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ANNO XIII • N. 7
1 APRILE 1967
RIVI STA POL IT IC A QUIN DICI NAL E
R IZZ OL I
ED ITO RE · JIIL A.N O
J aprile 1.967
CONCRETEZZA
Breve storia del movimento femminile DC
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IN PRIMA ·LINEA LE DONNE NELLA BATTAGLIA DEL 18 APRILE di CLELIA D'INZILLO La coscienza politica delle giovani e quella sindacale fra gli obiettivi prin· cipali. Diciotto rappresentanti dello scudo crociato elette per la legislatu· ra 1948-1953. La prima legge sociale del nuovo Parlamento repubblicano. Dopo il convegno del marzol947 conclusosi con la elezione di Maria Jervolino alla carica di delegata nazionale, il Movimento femminile assume fisionomia dai contorni via via più precisi, ed incominciò ad affrontare alcuni problemi · nuovi, tra cui faceva spicco - come abbiamo accennato nel precedente articolo - la formazione di una coscienza politica delle giovani. Si trattava, invero, di un obiettivo sentito col nascere del Movimento stesso, ma non concretizzabile senza uno statuto che ne stabilisse funzioni, limiti, indirizzi e programmi; e senza l'autorità necessaria alle dirigenti a tutti i livelli, autorità legata alle elezioni delle cariche e alla presenza di diritto della delegata nazionale nella direzione del partito. Dal '47 al '50, perciò, la formazione politica delle giovani impegnò al massimo il comitato centrale, e di conseguenza ogni comitato provinciale, poiché la Democrazia cristiana intendeva portare avanti con le nuove leve elettorali femminili un discorso in termini di formazione della coscienza piuttosto che rivendicazionistico, distinguendosi in ciò nettamente - e non per spirito polemico ma per vocazione - dal nuovo tipo di femminismo di cui si faceva portatore il « verbo » marxista. Secondo l'auspicio espresso al convegno d'Assisi «per la presenza delle lavoratrici nella vita sindacale » non si dovevano ignorare neppure le meno giovani, ossia quelle donne già avviate al lavoro di fabbrica o nel pubblico impiego, poiché rischioso sarebbe stato trascurare la formazione di una coscienza sindacale democratica, soprattutto nel momento di confusione che in materia regnava. La rottura del fronte unico dei lavoratori era avvenuta proprio allora; e del resto Achille Grandi, sostenitore del « Patto di Roma » che sanciva l'unità sindacale, si era già accorto nel 1946 (e lo aveva detto al congresso nazionale del partito nell'aprile di quell'anno) che il linguaggio dei sindacalisti cristiani e di quelli marxisti era troppo diverso .per un costruttivo dialogo; il Movimento femminile non poteva restare indifferente all'opera di proselitismo abilmente condotta dalle esponenti dell'UDI con preparazione « tecnica » di primissimo ordine. Basterebbero questi due obiettivi - coscienza politica delle giovani e coscienza sindacale delle lavoratrici - per comprendere come alla fatica dei primi anni, caratterizzata più dal volontariato che dal metodo, succedesse ora una fatica che chiamerei organizzata. Gli strumenti li fornì il secondo congresso nazionale della DC svoltosi a Napoli nel novembre '47 che accolse nello statuto la richiesta di «inserimento di diritto delle delegate provinciali, regionali e
nazionali negli esecutivi dei vari gradi » formulata al conve· gno di Assisi. Al congresso di Napoli Attilio Piccioni, nuovo segretario politico, aveva elogiato le donne, ma con quegli elogi le aveva tirate dentro totalmente in tutti gli impegni da assumere in vista della campagna elettorale dell'anno successivo da cui sarebbe scaturita la prima legislatura a sistema bicamerale dell'Italia repubblicana.· « La vostra funzione », aveva detto colui che succedeva a De Gasperi in un momento grave della vita nazionale, « non dovrà mai esorbitare fino a farvi sentire un partito di dorine, o radicalizzate in -estremismo femminista; la vostra funzione deve attuarsi in piena armonia e collaboràzione, per cui la DC non dovrà essere considerata il partito delle donnacole, come con cattivo gusto gli avversari politici vanno dicendo, mentre è certo che nessun altro schieramento politico italiano può vantare nella rappresentanza femminile una forza cosciente e fattiva come quella che abbiamo noi ». Il 18 aprile bussava alle porte. La Carta costituzionale era stata approvata alla fine di dicembre: il nuovo ruolo della donna come diretta partecipe della vita pubblica era ormai sancito; aggiunto a quello tradizionale familiare diventava un « doppio ruolo », creava una questione di portata nazionale, accrescendo responsabilità e compiti della Democrazia cristiana, e per essa del Movimento femminile. Furono, perciò, intensificati i corsi di studio a carattere settoriale, sia nazionali che provinciali. Era necessario conoscere le disponibilità su cui contare per i quadri dirigenti; era opportuno « conoscere le tastiere che noi abbiamo dinanzi » diceva Maria Jervolino. Convinta che gli schemi non sarebbero stati utili, in quanto di continuo superati da una realtà mutevole, preferì impostare il lavoro con senso preminente dell'attua·lità, seguendo i movimenti sociali e politici che si andavano affermando, dando ad ogni iniziativa l'impronta richiesta dalla realtà di un Paese dove la classe dirigente si batteva su diversi fronti interni ed internazionali, e si dibatteva in gravi difficoltà. Facciamo qualchè esempio: il governo apprestava il piano di assistenza invernale? (bisogna rifarsi all'epoca per comprendere l'importanza dell'assistenza); bene, il Movimento femminile DC indiceva un convegno nazionale avente per tema l'argomento, quindi impartiva direttive in periferia. Ciò sempre al fine di essere presenti - spiegava la delegata nazionale - e di adoperare gli strumenti di cui ci si potesse servire, senza arrogarsi, come organismo pol~tico, compiti e iniziative che non gli_ sarebbero spettate.
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L'esempio valga per il piano Marshall, per la politica finanziaria del governo, per la politica estera ecc. Convegni di rilievo furono quello sui problemi .deil'artigianato e l'altro sui problemi dell'emigrazione (entrambi gli argomenti studiati e seguiti da Angela Cingolani fin dal tempo in cui, signorina Guidi, apprendeva nozioni politiche e sociali dalla signora Novi~Scanni, alla quale ho accennato nel primo articolo); nel secondo dopo-guerra quei problemi si ripresentavano con esigenze ed urgenza diverse, e non era opportuno trascurarli. Ma il più importante convegno del 1947, che io ricordi, fu dedicato alle consigliere comunali e provinciali, elette in numero sorprendente durante i due turni « amministrativi » del '46. Le amministratrici si trovarono per la prima volta insieme a Roma, e fu uno schieramento imponente sotto l'aspetto quantitativo e qualitativo. Era il febbraio 1948, mancavano meno di tre mesi alle elezioni politiche, e fu atto di saggezza convocare quante donne avevano già dimistichezza con la direzione della cosa pubblica, si trattasse di Torino o di Caropepe non contava, e attirare la loro attenzione sul manifesto-programma preparato dal consiglio nazionale del partito. Dal lancio del programma sarebbe dipeso in gran parte l'esito delle elezioni; e lo stesso dirigente della SPES, Giorgio Tupini, intervenendo alla riunione, disse che quella grossa carta, il programma, sarebbe stato accolto e compreso dall'elettorato a seconda della capacità con cui sarebbe stato presentato e difeso. Come già in precedenti occasioni, De Gasperi intervenne a chiusura dei lavori. Sebbene non più segretario politico, e in un certo senso svincolato dal dovere di seguire da vicino lo sviluppo degli or~ gani interni del partito, volle affermare con la sua presenza il valore che attribuiva a quell'incontro. Disse che la lotta era aspra e decisiva, .r;ibadì la sua piena fiducia nelle dirigenti e nelle iscritte. « Le donne sono più ìnclini alle ragioni ideali che agli opportunismi » disse « perciò io faccio appello a loro affinché convincano gli uomini che ogni calcolo di opportunità o doppio gioco è vano e non rende. La nostra parola d'ordine è quella di avere coraggio e di infondere coraggio. Agire secondo coscienza bisogna, costi quel che può costare. Se avremo coraggio noi che dirigiamo la vita pubblica, il popolo ci seguirà nella lotta intrapresa per la libertà del suo sviluppo politico e per la sua rinascita economica. Io prego voi donne che ricoprite incarichi di responsabilità, di infondere in tutti la convinzione che questa volta non ci sono vie di mezzo, che non esistono posizioni di riserva, che la lotta va affrontata in pieno, accettando in pieno anche le conseguenze ». Non è questa la sede per ricordare le ragioni della strepitosa vittoria del 18 aprile 1948; certo è, però, che se la fiducia del popolo nella persona di De Gasperi fu la prima causa, la mobilitazione generale degli elementi femminili militanti nella DC o ad essa vicini per convincimento ideale, non fu l'ultima. Nei grandi, piccoli, piccolissimi centri, in maniera particolare laddove il fronte popolare social-comunista era notoriamente più forte, le donne si batterono con fermezza insospettabile, al cui confronto le battaglie sostenute due anni prima, per il referendum istituzionale e l'Assemblea costituente, sembravano giochetti. . Dalle figure emerse con alone di leggenda dalla resistenza, (Ida D'Este, Lisetta Dal Cero, Laura Bianchini, Bianca Maria Chiri ed altre il cui nome mi sfugge) alle dirigenti della primissima ora, alle iscritte nelle sezioni di periferia i cui noini rimasero sempre ignorati, tutte seppero meravigliosamente tener testa alla coalizione social-comunista che non badava a mezzi. Ricordo di aver incontrato in una cittadina del Lazio per la prima volta la contessa Heleda Pecci, offertasi al servizio dello scudo ero-
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dato con uno slancio che sapeva tradurre abilmente in veemenza quando parlava in pubblico; era donna capace di tenere anche cinque o sei ·comizi al giorno, passando incurante tra gli insulti e il lancio di pomodori di cui cavallerescamente i comunisti la facevano oggetto; ricordo il primo incontro in Piemonte con Emanuela Savi<;>, abilissima nel districarsi . in un ambiente apertamente monarchico che faceva risalire alla DC la « responsabilità » del mutamento istituzionale; Maria Eletta Mattini che si batteva in Toscana dove i « rossi » non scherzavano in f~tto di violenze· rivedo le più giovàni rafforzare ovunque le « truppé d'assai: to » di quella incandescente campagna elettorale, in a,ii i comunisti giocavano il tutto per tutto, di fronte ad una Democrazia cristiana che presentava la grinta del leone. Le donne entrate con il gruppo parla~entare DC a Montecitorio nel 1948 furono diciotto, esattamente il doppio di quelle elette nel 1946: Laura Bianchini, Margherita Bontade, Lina Cecchini, Angela Cingolani-Guidi, Pia ColiniLombardi, Elsa Conci, Maria Pia Dal Canton, Memena Delli Castelli, Ida D'Este, Maria Federici, Erisia Gennai-Tonietti, Grazia Giuntoli, Angela Gotelli, Maria Jervolino, Maria Nicotra, Maria Pucci, Vittoria Titomanlio, Gigliola Valandro. Esse misero immediatamente sul tappeto alcune questioni da cui in seguito sarebbero scaturite importanti leggi sociali; ed ebbero l'avvedutezza di non cristallizzaré la loro attenzione su temi aventi precisa marca di rivendicazioni femministe, errore (o imposizione di partito?) che caratterizzò, per tutta la legislatura l'azione delle parlamentari di estrema sinistra. La linea scelta dalle rappresentanti della DC era la meno agevole, perché più lontana dalla demagogia; ma era ànche la più intelligente, oltre che identica a quella adottata dal Movimento femminile nel contesto generale del partito: affrontare i problemi secondo il criterio di priorità e di possibilità. La Costituzione considerava il lavoro femminile in modo molto diverso che per il passato e non si poteva in sede legislativa non provvedere alla madre di famiglia anche lavoratrice extra menia; bisognava offrirle la possibilità di conciliare i suoi compiti di sempre con quelli nuovi, il lavoro di casa con ·il lavoro remunerato, verso il quale - chi per scelta chi per bisogno - si stavano avviando in forma massiccia le italiane di ogni ceto e condizione. Notoriamente, per i comunisti i compiti familiari non erano considerati essenziali, perciò il fatto che la donna lasciasse la casa per l'impiego non poneva problemi per le parlamentari di quel gruppo; ma quando si accorsero che le democristiane intendevano salvare lavoro e famiglia, cercarono di scavalcarle. Da parte DC si intendeva proporre una legge di protezione, non onerosa per il datore di lavoro fino al punto da indurlo a chiudere le porte anziché aprirle. Si ingaggiò, quindi, una battaglia a Montecitorio, di cui le protagoniste più in vista furono Maria Federici per la DC e Teresa Noce per il PCI. La signora Noce chiedeva vantaggi inattuabili nel. trattamento economico durante il puerperio, Maria Federici chiedeva vantaggi possibili. La vittoria toccò a lei e nel 1950 la sua proposta fu approvata dai due rami del Parlamento. La legge recava il titolo «Tutela fisica ed economica della lavoratrice-madre » ; pur trattandosi di un'audace conquista che nqn ha perso il minimo di validità dopo circa .venti anni, non 'allarmò troppo il fronte padronale, più che per la sostanza probabilmente per «l'aria di dispositivo di ordinaria amministrazione che presenta nel titolo» spiegherà molti anni dopo la stessa Maria Federici in un'intervista alla stampa. Fu quella la prima legge sociale del Parlamento italiano del secondo dopo-guerra, ma anche la prima in senso assoluto, in quanto i benefici si estendevano àlle categorie
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più abbandonate e dimenticate (lavoratrici in agricoltura, addette ai servizi domestici ecc ... ). Il Movimento femminile nel frattempo si fortificava nelle strutrure organizzative e nella preparazione politico-culturale dei quadri dirigenti. Sei mesi dopo la strepitosa vittoria dello Scudo Crociato, fu indetto il terzo convegno nazionale (9-11 ottobre a Firenze). Angela Gotelli affrontò il tema « Realizzazioni dei princìpi sociali nelle leggi riguardanti la donna », preannunciando alcune novità che negli anni seguenti furono portate a concreta attuazione, facendo il punto sul laborioso iter della legge per la protezione della lavoratricemadre. Piccioni intervenne ai lavori; e in un magistrale discorso riassunse situazione interna del Paese ed internazionale, situazione interna di partito. « Non bisogna credere che tutto sia risolto con la vittoria del 18 aprile » , disse tra laltro, « poiché quella data ha affermato un principio di libertà, di autonomia, di indipendenza del popolo italiano nei confronti del suo destino; ma rimangono - e voi lo vedéte nel dispiegarsi dei mesi e delle settimane - problemi vari che urgono alla vita del Paese e che sono di tale mole da far tremare le vene e i polsi dei dirigenti del partito, o dei partiti che hanno assunto la massima responsabilitià del Paese » . (De Gasperi, ben lunghi dalla tentazione di governo monocolore consentitogli dalla maggioranza assoluta parlamentare, volle valorizzare i « partiti minori » che avevano dato prova di fede democratica, anche se la sua decisione fu accolta dallo sbalordimento generale). Le future difficoltà nel partito e nel Paese Attilio Piccioni le percepiva già in quel momento con un tale anticipo sui tempi da poter essere considerato oggi, se si guarda retrospettivamente agli anni difficili attraversati, uomo di una chiaroveggenza di cui raramente si riscontrano esempi sulla scena politica. Piccioni dei suoi timori non fece mistero dinanzi all'assemblea femminile a Firenze, dando un'ulteriore prova di fiducia nelle donne del partito. « Voi donne » , disse, « rafforzerete ancora lo schieramento femminile della DC e non in omaggio a sogni autonomistici, ma perché si ottenga la massima collaborazione e il massimo contributo, ossia tutto l'apporto possibile dell'elemento femminile alle future battaglie del partito. Voi vedete con quali mezzi, con quale tenacia, con quale forza di resistenza, direi quasi al di sopra delle capacità intellettauli di chicchessia, si vuole far passare agli occhi della nazione lopera dell'attuale governo come l'opera di un governo reazionario, liberticida, venduto allo straniero. Questo è il sintomo di una malattia profonda che veramente infetterà i tessuti della vita collettiva. Il rimedio, il vaccino contro questa infezione che da certe tri_bune si propaga nel Paese, è la forza unitaria del nostro partito, forza di posizione polemica, di valorizzazione dell'azione del governo. Questa responsabilità è di tutti noi che partecipiamo, comunque, da qualsiasi posto, alla vita democristiana. Voi donne avete dato magnifica prova di slancio in-
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teriore e di superiorità, direi di spiritualità. Continuate sempre a fare sentire che la vostra spiritualità è diversa da quella delle donne degli altri partiti, fate sentire che è cristiana, che è sociale perché cristiana. Che tale spiritualità sia trasferita nella vita quotidiana in ogni paesetto, in ogni sobborgo, nei contatti con coloro che seguono la nostra idea politica o il nostro ideale religioso, o non li seguono affatto, fate sentire che non siete dei numeri che si sommano ad altri numeri » . La delegata nazionale - che fu rieletta nella carica insieme alle due vicidelegate Elsa Conci ed Angela Gotelli presentò un bilancio lusinghiero del lavoro svolto, senza ombra di presunzione, con quel tono di normale amministrazione con cui ha sempre affrontato problemi e situazioni a volte intricati, e soprattutto da lei usato quando parla di ciò che direttamente la interessa. La sua fermezza di carattere trasportava sul terreno pratico qualsiasi proponimento con disinvoltura non comune; cosicché in un anno e mezzo dall'assunzione dell'incarico, era già riuscita a dare linee molto chiare ad un movimento politico pur di recentissima creazione; e lo aveva fatto senza indugiare, man mano che il mòvimento cresceva di numero e di esigenze, poiché ormai vi convivevano la professionista e la contadina, l'operaia e la casalinga, l'impiegatina e l'intellettuale. Circa i numerosi corsi di studio organizzati durante l'estate in luogo di un meritato riposo dopo le fatiche estenuanti della battaglia di primavera, la delegata nazionale spiegò (qualche d~legata tale rilievo aveva fatto in convegno) che il comitato centrale aveva « voluto dimostrare che dopo il 18 aprile le donne democristiane sono sulla breccia più di prima ». Un interessante diagnosi dei rapporti con le altre organizzazioni femminili, intensificati o rallentati o addirittura combattuti a seconda della « spinta democratica che hanno dimostrato di possedere »' valse a chiarire posizioni e atteggiamenti anche per il futuro. Infine, a chiusura della relazione, Maria Jervolino annunziò la sostituzione di A zione Femminile con una nuova pubblicazione. Quel primo foglio dalla pessima carta e dal contenuto coraggiosissi~o, aveva assolto il suo compito, meglio dire che aveva fatto il suo tempo. E Maria Jervolino lo disse. Ad un organo di stampa, creato come supplemento de Il Popolo era ormai necessario far succedere una pubblicazione dichiaratamente legata al Movimento, capace di affrontare le esigenze dei diversi ambienti femminili in cui il partito era penetrato. Era giusto. Anche se per « le ragazze della Maraglio » quell'annunzio costituì un autentico dispiacere, esse avvertivano che il periodo romantico del Movimento femminile era finito, così come era finita la loro primissima giovinezza a quel periodo e a quel periòdico « bruttino ma tanto battagliero » tanto tenacemente ancorata. CLELIA D'INZILLO (Continua)
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cattoli co-com unista , faceva apprez zamen ti poco lusinghi eri sul parall elo institu ito dal relato re fra Sturzo e Grams ci propri o mentr e a Caglia ri i comun isti stavan o rievoc ando Grams ci, si infasti diva dell'apologia di Felice Balbo, anche dopo che Fabro aveva reso testim onianz a a favore del tomism o del Balbo. Costoro erano partic olarm ente soddis fatti quand o Magrì, polem izzand o contro i cattoli ci comun isti, condanna va il loro vago spiritu alismo . Da altre critich e De Rosa si è difeso ottima mente da solo, come da quella, serpeg giata sottovoce, che egli voless e buttar discre dito sull'az ione politic a del Partit o ispira ta dal tanto deprez zato « sociologismo cattoli co». Al riguar do furono peren torie le segue nti parole : « Lo Stato fondat o col contr1 buto della DC è certam ente, a mio avviso , lo Stato cultur almen te e civilme nte più robust o nella storia europ ea di questo second o dopog uerra> . Anche sugli equivo ci sorti a propo sito di alcune sue afferm azioni circa la contra pposiz ione al marxi smo e circa l'unità politic a dei cattoli ci, De Rosa ha avuto parole chiare . Negan do che la contra pposiz ione tra marxi smo e cristia nesim o fosse da esauri re in una contra pposiz ione di ideologie e civiltà , De Rosa ha afferm ato che «la contra pposiz ione oggi è fra la cultura che difend e il nucleo fonda menta le, essenz iale della libertà dell'uomo, H prima to della societ à civile su quella economica, e la cultur a che subord ina tutto alle illusio ni di un progre sso puram ente pragm atistico che annul la le preme sse medes ime per la costruzi one di una societ à 'più autent ica, che si possa ricono scere nei suoi costum i uman i». Parole - com'è eviden te - che sembr€J.vano ripren dere considerazioni care a Pio XII. Anche sulla questi one dell'un ità, De Rosa conco rderà con Del Noce nell'in vocarl a per difend ere la dimen sione religio sa dell'uo mo, nell'azio-
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ne politica, ben inteso , e non solo in quella confessionale. Non abbiam o potuto difend ere De Rosa nel suo anticl ericali smo: esso è emers o più volte e nella voce più ancora che nelle parole le qual_i, scritte , perdono molto del loro sapore e colore. De Rosa non ha avuto la mano legger a contro la Curia e il Vatica no, contro il sociologismo e il corpor ativism o di altri tempi, contro l'intro missio ne del clero in pofitica. Direm o la verità : noi abbiam o avuto l'impr ession e che lo storico si lascias se prend er la mano dal risent iment o e dalla passione, ricono scibile anche nelle parole con cui lo studio so bolla d'infa mia « il clero troppo assimilato alle torpid e e torbid e condiz ioni del costum e locale, eccess ivame nte immed esima to nelle ragion i di una borgh esia ossequiosa~ spenta », Come ci sembr ò sbriga tivo De Rosa quand o affermava: « In breve, i conten uti civili del pensie ro politico sturzi ano non nasco no dentro le forme di quella sociblogia cristia na, che aveva avvizz ito per un trentennio la vita del movim ento cattoli co social e con il mito del patern alismo e delle union i profes sional i miste, con la riduzi one empir ica del Vange lo a medicina sociale » . Come ci sembr ò ingius to De Rosa quand o mostra va di misco noscer e valore civile alla preocc upazio ne vatica na di una pacificazione giusta fra .Chies a e Stato! Aveva prean nunci ato che nelle sue parole sarebb ero manca ti i toni dell'ap ologet ica, ma non son mancati i toni dell'ac cusa, anche se masch erata. E neppure i toni lacrim evoli, anche se nella giustif icata evocazione « dei figli e dei figli dei nostri figli se vi sarann o "· Nel pronu nciare queste parole la sua voce era incrin ata dal pianto , così almen o ci parve, ma ciò non concil iava la nostra simpa tia. Vigore lli non perdo nò la malev ola allusio ne fatta da De Rosa a Teilha rd de Chard in. Noi lasciam o ad altri la difesa del popol arismo accusa to di non aver mai varcat o le soglie dell'ut ilitari smo di vecch io stampo libera lista. Ci conten terem o di mette re in guard ia il lettore della relazi one di De Rosa contro la « rivendicazi one dell'au tonom ia del tempo rale dall'ec clesiale» , espres sione impro pria e perico losa, quasi che l'eccle siale fosse una realtà avulsa dal tempo rale. Con ciò non voglia mo dire che De Rosa non ci sia mai piaciu to. Ecco alcune sue belliss ime senten ze: svalut are il « Putrop po c'è nei cattOlici una smani a a iale, a veeccles dello e spirito dello pro in rale tempo dere tutta l'avve ntura dell'uo mo imme rsa nella eternità di una vocaz ione esisten ziale, senza passat o e senza storia. Si cade così nelle formu le sugge stive di un messi anism o spiritu alistic o, che getta a mare la concre tezza della storia e con un bel salto della coscienz a religiosa, alla manie ra di certi esemp i france si, vuole brucia re ogni resiste nza dell'um ano operar e, ogni distinz ione fra storia e progre sso, fra fede e politica" · Una poli« Innov azione non signifi ca distru zione. ventudell'av a ricerc dire vuol tica per il futuro non nello o, passat del o ament rinneg dire vuol ra, non slanci o mistic heggia nte di un cupio dissol vi in vista di un appro do confus o alle rive di un comun ismo interpretat o paling enetic ament e "· abitua ti « Sì, spereq uazion i cultur ali che noi siamo alla più dei o access di ltà diffico come ad intend ere cultur a dei pochi, ma che in effetti si presen tano come l'igno ranza dei pochi verso l'espe rienza umana e travaglia ta dei più».