3 miscellanea londinese (1934 1936)

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MISCELLANEA LONDINESE VOLUME TERZO

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(Anni 1934 1936)


OPERA OMNIA DI

L U I G I

S T U R Z O

SECONDA SERIE

SAGGI DISCORSI - ARTICOLI VOLUME VI


LUIGI STURZO

MISCELLANEA LONDINESE VOLUME TERZO

(Anni 1934 - 1936)

ZANICHELLI BOLOGNA


Poligrafici Luigi Parma S.p.A.

- Bologna - Dicembre 1970


PIANO DELL' OPERA OMNIA DI LUIGI STURZO PUBBLICATA A CURA DELL'ISTITUTO LUIGI STURZO

PRIMA SERIE: OPERE

I I1 I11 IV V-VI VIl VI11

IX X XI XII

- L'Italia

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e il fascismo (1926).

- La comunità internazionale e il diritto di guerra (1928). - La società: sua natura e leggi (1935). - Politica e morale (1936). - Coscienza e politica. - Note e suggerimenti di politica pratica (1952). - Chiesa e Stato (1939). - La Vera vita - Sociologia del soprannaturale (1943). - L'Italia e l'ordine internazionale (1944). - Problemi spirituali del nostro tempo (1945). - Nazionalismo e intemazionalismo (1946). - La Regione nella Nazione (1949). - Del metodo sociologico (1950). - Studi e polemiche

di sociolo-

gia (1933-1958).

SECONDA SERIE: SAGGI

.DISCORSI - ARTICOLI

- L'inizio della Democrazia in Italia. - Unioni professionali - Sintesi sociali (19W1906). -- Autonomie municipali e problemi amministrativi (1902-1915). Scritti e discorsi durante la prima guerra (1915-1918). - Il partito popolare italiano: Dall'idea al fatto (1919). - Riforma - statale e indirizzi politici (1920-1922). - I1 partito popolare italiano: Popolariemo e fascismo (1924). - I1 partito popolare italiano: Pensiero antifascista (1924-1925). - La libertà in Italia (1925). - Scritti critici e bibliogafici (1925 1926). - Miscellanea londinese (1926-1940). - Miscellanea americana (19401945).

- La mia battaglia da New York (1943-1946). - Politica d i questi anni. - Consensi e critiche

(1946-1959).

TERZA SERIE: SCRITTI VARI I I1 I11 N V

- I1 ciclo della creazione (poema drammatico in quattro azioni). Versi. - Scritti di letteratura e di arte. - Scritti religiosi e morali. - Scritti giuridici. - Epiatolario acelto. - Bibliogaiìa. Indici.



MISCELLANEA LONDINESE

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(Anni 1934 1936)



AVVERTENZA

In questo terzo volume della cc Miscellanea londinese r, sono raccolti gli articoli scritti da Luigi Sturzo negli anni 1934-1936, e pubblicati su quotidiani e periodici francesi, inglesi, svizzeri e catalani. Come per i volumi precedenti, degli scritti è stato riprodotto il testo manoscritto, conservato nell'Archivio dell'Istituto Luigi Sturzo in cartelline numerate dall'l A al 14 A, e i n altra contenente Articoli autografi 1929-1934. Nei casi in cui manca il manoscritto si è riprodotto i n nota il testo straniero, quale risulta dai ritagli stampa raccolti dallo stesso Autore, fornendo d i tale testo la traduzione. Le note storiche che corredano il testo, con chiarimenti su circostanze e personaggi meno noti, sono di Francesco Malgeri e Vincenzo Clemente. La collazione degli scritti e le traduzioni sono state curate da Maria Teresa Garutti Bellenzier.

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Miacellanea Londincsc

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I.H.S.

I socialisti della città di Ginevra arrivati al potere ( l ) , han deciso di togliere dalle insegne e dagli scaffali dell'amministrazione le iniziali del motto Jesus hominum Salvator. I nazional-socialisti di Germania han sostituito, nelle classi di religione, al saluto Sia lodato Gesù Cristo, l'altro tutto proprio Heil Hitler. I primi non conoscono il Salvatore, i secondi tendono a sostituirne un altro. Ma socialisti e nazi sono ambedue sulla medesima linea: vogliono legarci alla terra e farci dimenticare il cielo; vogliono sublimare gli uni la classe, il popolo, il proletariato; gli altri la razza o la nazione; i primi proclamano il vangelo di Marx, gli altri inneggiano al nuovo profeta e salvatore Hitler. Ove sono Marx e Hitler, non C' è posto per Gesù il Salvatore degli uomini; non è lecito ricordarlo nelle insegne e nei sigilli, non è lecito lodarlo nelle classi di religione. Gli interessi terreni vengono elevati a ideali permanenti, aspirazioni uniche delle anime e dei popoli. Per i socialisti di Ginevra come per i nazi di Germania, la storia non h a valore; deve essere cancellata. Un Salvatore che (l) Nei giorni 25 e 26 novembre 1933 m erano svolte a Ginevra le elezioni cantonali per il rinnovo del u Conseil d'Etat D, fino allora retto dal partito democratico. La vittoria toccò ai sociahti, che per la prima volta rinscirono a conquistare il potere nel cantone ginevrino; l'affermazione socialista assunse notevoli proporzioni, con m forte aumento di suffragi rispetto alle precedenti elezioni, sia nelle circoscrizioni urbane sia nei comuni rurali. (Cfr. a L'élection du comeil d'état D, in lournol de Genève, 27 novembre 1933).

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sia venuto diciannove secoli addietro a salvare l'umanità dal peccato, a proclamare l'amore fra gli uomini, a dare a tutti il diritto della figliolanza di Dio, non ha alcun valore, nè per il proletariato che vuole arrivare a instaurare la sua dittatura, nè per i germani ariani-puri, che debbono rivendicare la parit,à di armarsi. La storia comincia con loro! P e r essi sono questi i veri fini dell'umanità, per i quali non solo è degno combattere ma per i quali si debbono dimenticare i fini superiori: la morale, la religione, l'amore dei fratelli, la credenza in Dio, la sorte degli uomini nell'altra vita. J.H.S., Gesù Salvatore degli uomini, è un ostacolo a che questi fini terreni e pratici possano divenire fini supremi del proletariato ginevrino e del nazismo tedesco; che perciò sia dimenticato Gesù, che non sia piu riconosciuto ii Saivatore dei moridu, nè sia più lodato. Altre divinità occorrono agli uomini, Marx o Hitler, sì; ma non più Gesù Cristo! È triste assistere a questa paganizzazione della società, senza una resistenza degna del nome. I1 papa ha protestato nel concistoro contro la legge d i sterilizzazione (2), promulgata in Germania da Hitler, legge non solo violatrice della personalità umana, ma di carattere animalesco, come del resto è animalesca Ia concezione di razza, quale elemento di differenziazione morale fra gli uomini, come se non fossero più dotati di anima razionale, spirituale e chiamata alla vita soprannaturale. Mentre spesso i cattolici combattono il socialismo materialista, e non di rado per ragioni prevalentemente materiali (il regime d i proprietà), pochi sono oggi coloro che hanno il corag( 2 ) Il decreto-legge in questione, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale a Berliio il 26 luglio 1933, prevedeva la sterilizzazione di uomini e donne affetti da malattie ereditarie, tra cui gli epilettici, i ciechi, i sordomuti, gli alcoolizzati cronici. Sturzo si era già occupato di questa legge in un artico10 dal titolo a Sterilizzazioni! 3, apparso su E1 Matì di Barcellona il 5 agosto 1933 ed ora incIuso in Miscellanea Londinese, Vol. 11, Bologna 1966, n. 43. Le teorie e le pratiche di steriiiiazione furono censurate &cialmente daiia chiesa cattolica. Contro la legge di sterilizzazione parlò Pio XI nella d o cuzione natalizia del 1933.


gio di mettere a nudo tutto il paganesimo che è contenuto nella concezione nazista e in quella fascista, che ne è stretta parente. Quel che è negato è Gesù Salvatore degli uomini, che tutti gli uomini h a unito nel vincolo di fratellanza ed ha fatti figli di Dio. Al nostro Salvatore siano consacrate le nostre menti, i nostri cuori, le nostre aspirazioni ; con Lui cominci il nuovo anno; per Lui si lavori e combatta; si riconosca il Suo regno nelle nostre anime e nei popoli. Egli solo sia lodato in eterno. Sia lodato Gesù Cristo! Londra, gennaio 1934.

(E1 Mati, Barcelona, 2 gennaio 1934). Arch. 14 A, 18.

CONFUSIONI E PROFANAZIONI I1 vescovo di Magonza (l) d'accordo con la sua curia e col suo capitolo cattedrale, h a deciso che in avvenire le chiese e gli altri edifici religiosi non saranno pavesati che con i colori pontifici (bianco e giallo) e con quelli della diocesi (rosso-biancorosso). Le chiese non potranno più mettere la bandiera nazi con la croce gammata nè i colori del vecchio impero nero-biancorosso. La notizia non ha fatto piacere ai nuovi padroni della Germania; ma fa molto piacere a tutti coloro che stimano necessario che la chiesa non avvalli, di fronte al popolo, neppure con i simboli, tutte le teorie e le malefatte del partito dominante O del governo. Quante volte, andando in Francia, non si è provato u n vero disgusto a vedere il rivestimento di chiese in festa, perfino sull'altare, fatto dei tre colori repubblicani, non solo con gusto di(l) Vescovo di Magonza era allora Alberto Stohm, dottore in teologia e diritto honork causa. Resse la diocesi di Magonza per 18 anni, dal 1918 al 1936.


scutibile, ma con una ostentazione patriottarda, da sembrare la ripugnante intrusione di un'idea profana nel tempio? Si suole dire, a giustificazione, che l'idea di patria non contraddice all'idea cristiana; ed è vero; ma oltre l e passioni politiche che agitano i popoli pro o contro regimi e partiti politici, bisogna osservare con cura che nulla di profano, di disturbante, di eccessivamente mondano penetri nella chiesa di Dio. Che dire delle decorazioni di fasci littori. posti in una cantoria di una chiesa di Lucca? quei simboli indicano un regime tirannico, che si è imposto con la forza, che ha usato l a violenza, che fa soffrire a migliaia i suoi avversari nelle prigioni e nelle isole, che ha una teoria statale condannata diverse volte da Pio XI, specialmente nella famosa enciclica Non abbiamo bisogno D ( a ) . L'eccesso di cortigianeria che arriva alla profanazione è stato quello di un pittore, che nel fare gli affreschi di una chiesa restaurata in quel d i Monterotondo, ha dipinto il duce a cavallo che guida la marcia su Roma delle camicie nere. La storia è diversa; nella marcia su Roma Mussolini è restato a Milano, pronto a scappare in Svizzera se il colpo non riusciva. Poi chiamato dal re a formare il nuovo ministero, partì per Roma in vagone letto. Insomma, il cavallo non c'era, nè egli guidò le truppe nero-vestite.

(aj La enciclica u Non abbiamo bisogno D, in lingua italiana, emanata il 29 giugno 1931, intervenne a denunciare la ((campagna di false ed ingiuste accuse D fasciste ed il susseguente scioglimento, da parte del regime, delle associazioni giovanili ed universitarie di Azione cattolica, u scioglimento diceva l'enciclica - eseguito per vie di fatto e con procedimenti che dettero l'impressione che si procedesse contro una vasta associazione a delinquere n. Pio XI condannava nel fascismo a una ideologia che dichiaratamente si risolve in una statolatria pagana n ; accusava il tentativo, da parte dello stato, di monopolizzare l'edncazione giovanile; dichiarava la incompatibilità con la dottrina cattolica, di una a concezione dello stato che gli fa appartenere le giovani generazioni interamente e senza eccezioni dalla prima età fino alla età adulta a. I1 testo della enciclica è in Le encicliche sociali dei papi do Pio IX a Pio XZI (1864-1956), a cura di Igino Giordani, Roma, Studium, 19564. Si vedano nella stessa raccolta le encicliche a Rerum Novarum n (1891) e a Quadragesimo anno D (1931), sui problemi del lavoro, citate da S t u n o in questo articolo.


I1 simbolo che se n'è voluto fare, consacra nientemeno che una rivolta ai poteri costituiti. La crociata sacra, che il pittore, con il consenso di qualche buon prete, avrebbe dovuto rappresentare in una chiesa, manca proprio del tutto nel programma, nei mezzi e nei fini del fascismo del 1922, o in quello del 1931, della enciclica papale. L'elenco di queste mescolanze del profano nelle cose sacre potrebbe continuare. È il profano politico che preme sulla chiesa, che pare domandi una specie di consacrazione religiosa per ottenere più facilmente l'adesione del popolo; proprio quando il contrasto con l'etica cristiana è più 'manifesto e più urtante per le anime assetate di giustizia e di verità. Londra, 18 gennaio 1934. NOTADELL'A.DOPOaver pubblicato l'articolo del 2 gennaio, una notizia da Berlino apparsa sul Temps di Parigi smentisce che sia stato abolito nelle scuole di religione il saluto cristiano Sia lodato Gesù Cristo, per sostituirvi Heil Hitler!; invece il grido Heil Hitler precede, prima della lezione, e segue dopo la lezione, il saluto cristiano Sia lodato Gesù Cristo. Nel pensiero e nelle espressioni di molti nazi, Hitler è per la Germania più che Gesù Cristo, che è confuso nella Iotta contro gli ebrei.

(E1 Mati, Barcelona, 24 gennaio 1934). Arch. 4 A, 2.

VON PAPEN ... ESAGERA! Secondo il vice-cancelliere, il cattolico e nobile von Papen, è stato Hitler che ha attuato per primo le encicliche sociali Rerum Novarum e Quadragesimo anno. Così nel discorso del 14 di questo mese tenuto a Gleiwitz nell'Alta Slesia (l). (I) Quella di Frana von Papen (n. 1879) è figura controversa ed equivoca del cattolicesimo conservatore tedesco tra l e due guerre. Esponente dell'ala destra del Centro cattolico a l Landtag prnssiano; principale azionista, oltreché presidente del consiglio di amministrazione del noto giornale Germania; legato all'entourage di Hindenburg, fu da questi


A noi non interessa la questione del primato di Hitler in confronto di quello di Mussolini; ci penseranno gli storici dei regimi (tra cronisti e adulatori) a fissarne i titoli. Noi non vediamo quale rapporto ci sia fra regimi dittatoriali, di arbitrio e di violenza, ove i mezzi persuasivi sono i campi di concentramento, le deportazioni, i tribunali speciali, le esecuzioni capitali per delitti antecedenti alle leggi (caso Van der Lubbe) ( l ) chiamato il primo luglio 1932 a succedere a Briining, come cancelliere del cosiddetto a gabinetto dei baroni n, governo di concentrazione nazionale e di chiara ispirazione reazionaria - quindi tra i protagonisti deila crisi di Weimar. F u espulso dal partito del Centro nel 1932. Vicecancelliere nel primo gabinetto Hitler, promosse e trattò personalmente la stipulazione del concordato tra la Germania nazista e la S. Sede che fu firmato il 20 luglio 1933, [vedine il testo sd'Osservatore Romano del 23 luglio 19331. Solo nel discorso del 17 giugno 1934 alla università di Marburgo prese pubblicamente posizione contro gli eccessi del regime, di cui deplorò la campagna anticristiana. Scampò a stento alla u purga I, di fine giugno 1934 e sofferse l'arresto. Non molto tempo dopo però, fallito il putsch nazista a Vienna il 24 luglio 1934, venne da Hitler inviato in Austria come ambasciatore in missione s p e ciale, con il compito di riallacciare le relazioni tra i due paesi tedeschi compromesse dal colpo di stato, e qui promosse con alacrità ed astuzia una politica di pacifica penetrazione degli ideali gangermanici nella vita pubblica. Scagionato da responsabilità politiche dal tribunale di Norimberga. Ha scritto un volume di Ricordi, edito, nella traduzione italiana, da Cappelli (1952). Inaiigurando il 14 gennaio 1934 una associazione di cattolici hitleriani, la Arbeitsgemeimchaft deutscher Katholiken, di cui f u egli stesso presidente, Papen attribuì al nazionalsocialismo gli stessi meriti che aveva avuto l'impero austro-tedesco, in quanto baluardo contro le pressioni ~rientali.Polemizzando quindi con la lettera collettiva dell'episcopato austriaco (vedi L'Osservatore Romano del 24 dicembre 1933), affermò che i principi ricostruttivi di Hitler attuavano mirabilmente le encicliche sociali (Cfr. A. DE GASPWI, I cattolici doll'opposizione al governo, Bari, Laterza, 1955, p. 356). (2) Marinus van der Lubbe, comunista olandese, incriminato con E m t Torgler, leader parlamentare comunista, e tre altri comunisti bulgari, avanti alla corte suprema di Lipsia per l'incendio del Reichstag - avvenuto la notte del 27 febbraio 1933 -, fu dichiarato colpevole di alto tradimento e decapitato. La questione della responsabilità per l'incendio del Reichstag è tuttora dibattuta. L'incendio diede comunque ad Hitler il pretesto per ottenere dal presidente Hindenburg la firma del u decreto per la protezione del popolo e dello stato n, con il quale venivano sospesi i sette articoli costituzionali a garanzia deile libertà individuali e civili. Lo stesso decreto autorizzava il governo del Reich ad assumere i pieni poteri nei Londer e ad imporre la pena


o per le intenzioni di delitti non commessi (caso Schirru (3) in Italia) con i principi etico-sociali delle encicliche papali. Che se i von Papen e gli altri di Germania e d'Italia, vogliono riferirsi alla cosidetta organizzazione corporativa, basta avanzare la riserva fatta da Pio XI proprio nella Quadragesimo Anno, dove, accennando alla legislazione corporativa italiana, con la maggiore benevolenza possibile, aggiunge: (C Per nulla negligere un argomento di tanta importanza, e in armonia con i principi generali qui sopra richiamati, e con quello che subito aggiungeremo, dobbiamo pur dire che crediamo non mancare chi teme che lo stato si sostituisca alle libere attività invece di limitarsi alla necessaria e sufficiente assistenza ed aiuto, che il nuovo ordinamento sindacale e corporativo abbia carattere eccessivamente burocratico e politico e che, nonostante gli accennati vantaggi generali, possa servire a particolari intenti politici piuttosto che all'avviamento ed inizio di un migliore assetto sociale » (Quadragesimo Anno, 1931). E recentemente L'Osservatore Romano, a proposito della discussione del gran consiglio sulle corporazioni, scriveva in data 17 novembre: (C I1 nuovo principio corporativo cambia i rapporti fra individuo e stato anche sul terreno economico: all'uomo economico dell'individualismo si sostituisce l'uomo politico del quale non è facile precisare la posizione dialettica di fronte all'uomo totale inteso come somma di valori individuali e sociali, spirituali e materiali ; il primato degli interessi economici viene di morte per un certo numero di reati. A quest'ultima circostanza si riferisce Sturzo nell'accusare l'illegalità della condanna capitale di van der Lubbe. ( 3 ) Michele Schirm, anarchico sardo, era rientrato in Italia nel 1931 con vaghe velleità di attentare alla vita di Mussolini e con due bombe nel bagaglio. Incappato casualmente nelle reti della polizia per la vita irregolare che egli conduceva nella capitale, fu protagonista, al commissariato, di una sparatoria. La perquisizione della sua stanza allYHotelRoyal di via XX settembre portò al rinvenimento delle bombe. Schirru confessò il suo vago progetto. I1 processo ebbe luogo davanti al tribunale speciale il 27-28 maga gio 1931. Non potendosi più solidamente imbastire l'accusa, il P .M. Fallace sostenne la tesi che bastasse la preordinazione: la sparatoria contro gli agenti, rivelando la sua tendenza alla violenza, corroborava la volontà omicida. FU fucilato alla schiena il 29 maggio 1931 nella caserma di Forte Antenne da un plotone di « camicie nere n sarde.


sostituito da un primato d'interessi politici che, oltre a danneggiare l'economia, può nuovamente turbare l a naturale gerarchia effettiva dei valori umani D. Per chi sa con quanta cautela si scrive in Italia, queste parole suonano oggi le stesse di quelle di Pio XI nel 1931. Del resto, presso i nazi tedeschi (per tornare a von Papen) dov'è quella carità, dove quel rispetto alla personalità umana, dove quella libertà necessaria d i cui parlano le due encicliche? E dove è lo spirito cristiano in Germania? Lo stesso giorno che von Papen parlava a Gleiwitz l a rivista nazionale socialista di Berlino Der Hammer scriveva: « La concezione nazional-socialista del mondo, l a concezione tedesca del mondo, dichiarano la lotta ad ogni altra concezione. Finora, l'unica concezione del mondo era l'idea giudaica fissata nella Bibbia. I1 protestantesimo e il cattolicesimo non sono che varianti bastarde di tale idea. Bisogna avere il coraggio di riconoscere che l'unificazione politica della Germania è compromessa se le si vuol dare per fondamento morale un dogma e un'idea di Dio che sono assolutamente estranee al carattere tedesco D. Von Papen, pur biasimando i vescovi austriaci di aver condannato il nazismo, ricorda che i vescovi tedeschi hanno ritirato le condanne già date. Ora la verità è che i vescovi tedeschi hanno sospeso le sanzioni religiose contro gli iscritti al nazismo, date avanti l'avvento d i Hitler al potere, nella promessa di un rispetto religioso che si tradusse nel concordato; ma non hanno mai ritirato l e condanne ai principi nazisti. E i vescovi austriaci hanno aggiunto che neppure il concordato h a inteso approvare i principi anticristiani del nazismo. I1 che è evidente. I vescovi tedeschi hanno condannato in modo speciale quattro errori del nazismo: 1) I'antisemitismo radicale; 2) il nazionalismo esagerato; 3) l'odio di razza; 4) la concezione della chiesa di stato. Von Papen per conto suo riconosce che questi sono errori, ma rifiuta di vederli nella dottrina nazista. Questione di ottica! Perfino le persecuzioni ai giudei sono per lui giustificate come repressione degli eccessi del giudaismo. Londra, 18 gennaio 1934.

(E1 Matì, Barcelona, 25 gennaio 1934). Arch. 4 A, 2.


LA DEMOCRAZIA E LA RIVOLUZIONE È permesso intervenire nel dibattito tra Emmanuel Mounier e Paul Archambault? ( l ) Anzitutto una constatazione: la democrazia, come regime dello stato moderno, è ancora allo stadio iniziale: un tentativo e nulla di più. I1 sistema autoritario ha dietro di sè millenni, su tutta la superficie del globo; la democrazia ha qualche secolo in alcuni paesi. Non parlo naturalmente delle democrazie greca e romana, democrazie di élites nel quadro di un'economia fondata sulla schiavitù. Nè delle democrazie comunali del medioevo, democrazie artigianali e urbane, in un sistema d i corporazioni federate e di un regime agricolo fondato sulla servitù della gleba. Allora lo stato, quale lo concepiamo noi, non esisteva; esiLA DEMOCRATIE E T LA REVOLUTION Est-il permis d'intervenir dans le débat entre Emmanuel Mounier et Paul Archambault ? Tout d'abord une constatation: la démocratie, comme régime de l'état moderne, est encore au stade initial: un essai et n e n de plus. Le système autontaire a derrière lui des millénaires sur toute la surface du globe, la démocratie a quelques siècles dans quelques pays. Je ne parle pas, bien entendu, des démocraties grecque et romaine, démocraties d'élites au sein d'une économie fondée sur l'esclavage. Ni des démocraties communales du moyen ige, démocraties artisanalee et urbaines, dans un système de corporations fédérées et un régime agricole fondé sur le servage. Alors l'état, te1 que nous le concevons, n'éxistait pas; il existait la cité

( l ) Emmanuel Mounier (1905-1950), fondatore nell'ottobre 1932 della n. vista Esprit. I1 suo pensiero, che si alimentò degli scritti di Péguy e dell'amicizia con Mantain, è noto sotto il nome di « personalismo comunitario n. n dibattito qui richiamato è presumibilmente quello aperto da Paul Archambault con la lettera aperta a Emmanuel Mounier apparsa su L'Aube il 21 gennaio 1934. A questa Mounier aveva risposto sullo stesso giornale il 27 gennaio con una a lettera aperta sulla democrazia n. Cfr. E. MOUNIER, Rivoluzione personalista e comunitaria, Ed. di Comunità, Milano 1955, p, 269.


steva la polis greca, la respublica romana ; esistevano regni feudali costituenti la cristianità, unificati in qualche modo sotto l'autorit,à dell'impero e della chiesa. Lo stato moderno, quello che rimonta al XIV secolo - antifeudale, antiecclesiastico, assolutista - distrusse tutte le forme di costituzionalismo medievale, abolì, attraverso una lotta di parecchi secoli, tutte le immunità, trionfò della resistenza finanziaria dei parlamenti, si sottomise la chiesa - sia direttamente come nel protestantesimo, sia indirettamente con il gallicanesimo, il giuseppinismo, e in generale tutti i tentativi di chiese nazionali e di cleri aulici. Le lotte tra parlamenti e monarchi, come le guerre civili, non si ponevano sul terreno democratico o delle libertà pubbliche, ma rappresentavano un conflitto fra l'assolutismo del re e i diritti dei signori locali. La democrazia comincia ad apparire con le rivoluzioni inglese, americana e francese; ma è la democrazia del terzo stato, la partecipazione al potere della borghesia. Questa, attraverso una serie di esperienze opposte, passando da una demagogia disordinata a un nuovo assolutismo di origine popolare (demago-

grecque, la république romcrine; il existait des royaumes féodaux constituiant la chrétienté, unifiés en quelque manière sous l'autorité de l'empire et de l'état. L'état moderne, celui qui remonte su XIVem siècle - antiféodal, antiecclésiastique, absolutiste d é t r u i s i t toutes les formes de constitutionnalisme médiéval, abolit, à travers une lutte de plusieurs siècles, toutes les immunités, triompha de la résistance financière des parlements, se soumit l'église soit directement comme dans l e protestantisme, soit indirectement à travera le gallicanisme, le joséphisme et en général toutes les tentatives d'églises nationales et de clergés auliques. Les luttes entre parlements et monarques, c o m e les guerres civiies, ne se plaqaient pas sur le terrain démocratique ou des libertés publiques, mais représentaient un conflit entre l'absolutisme du roi et les droits des seigneum locaur. La démocratie commence à apparaitre avec Ia révoiution anglaise, américaine et francaise; mais elle est la démocratie du tiers-état, la participation au pouvoir de la bourgeoisie. Celle-ci, à travera une série d'expériences opposées, passant d'une démagogie désordonnée à un nouvel absolutisme d'origine populaire (démagogique, lui aussi, comme celui des deux Napoléons) a


gico anch'esso, come quello dei due Napoleoni), è riuscita a realizzare una certa forma d i democrazia - la forma individualista-liberale - soltanto per un'epoca del resto fedele alle sue origini e mai completamente. Nel momento in cui la borghesia democratico-liberale ha intravisto la possibilità di essere soppiantata dalla classe operaia, h a tentato di riguadagnare le sue posizioni trasformando la democrazia in un regime di privilegio per sè. Due vie le si aprivano davanti: o mantenere le forme democratiche, assicurando il predominio borghese con la corruzione elettorale e amministrativa, i sindacati di interessi privati, le congregazioni politiche ed economiche; oppure passare il Rubicone e costituire lo stato totalitario nelle mani di un partito armato, sopprimendo tutte le garanzie formali delle libertà civili. Finchè questo processo imprevisto ma logico - nella forma tipica che esso riveste i n Germania e in Italia,. ma anche in Polonia, in Ungheria, in Jugoslavia, in Romania, in Austria e altrove - si limita al predominio politico di un partito, esso non rappresenta che un fenomeno locale determinato e la difesa di un gruppo d i interessi che possono anche avere la loro legitti-

réussi a réaliser une certaine forme de démocratie - la forme individualiste libérale - seulement pour un temps d'ailleurs fidèle à ses origines et jamais complètement. Au moment où la bourgeoisie démocratico-libérale a entrevu la possibilité d'etre supplantée par la classe ouvrière, alors elle a tenté de regagner ses positions en transformant la démocratie en un régime de privilège pour ellememe. Deux voies s'oumaient à elle: ou maintenir les formes démocratiques, en assurant la prédominance bourgeoise par la corruption électorale et administrative, les spndicats d'intérets privés, les congrégations politiques et économiques; ou hanchir le Rubicon et constituer l'état totalitaire aux mains d'un parti armé, supprimant toutes les garanties formelles des libertés civiques. Tant que ce processus imprévu mais logique - sous la forme typique qu'il revet en Allemagne et en Italie, mais aussi en Pologne, en Hongrie, en Yougoslavie, en Roumanie, en Antriche et ailleurs - se limite à la prédominance politique d'm parti, il ne représente qu'un phénomène local déterminé et la défense d'un groupe d'intérets qui peuvent meme avoir leur légitimité du point de vue national. En somme, ces événements, et d'autres semblables, ne sortent pas du domaine des réactions historiques qui depuis


mità dal punto di vista nazionale. Insomma, questi avvenimenti, e altri simili, non escono dal campo delle reazioni storiche che, dal 1789, hanno seguito tutte le esperienze (sincere o fittizie) d i democrazia politica borghese. Evidentemente vi è una grande differenza tra la reazione agrario-industriale dell' Italia del 1922, che armò e finanziò il fascismo, e la reazione razzista tedesca d i oggi; o le oscillazioni dei nuovi paesi o di recente ingranditi, come la Polonia, la Romania e la Jugoslavia, in cui una vera classe media borghese non è mai esistita e non esiste ancora. Ma il problema della democrazia, in sè, è legato a quello dello sviluppo e della persistenza della classe media come classe politico-economica dirigente. È per questo che si pone nei suoi termini esatti, anche se sotto diversi aspetti, in Inghilterra e i n Francia, come pure in Belgio, in Svizzera e in un piccolo numero di altri paesi d'Europa, se facciamo astrazione dagli Stati Uniti. Parliamo della Francia. La democrazia liberale individualista fu una reazione naturale contro gli squilibri economici e i privilegi di classe del XVIII secolo. Anche sotto i regimi politicamente assolutisti, o quasi,

1789 ont suivi toutes le3 expériences (sincères ou factices) de démocratie politique bourgeoise. Evidemment, il y a una grande différence entre la réaction agrario- industrielle de 1'Italie de 1922, qui arma et financa le fascisme, et la réaction raciste allemande d'aujourd'bui; ou les oscillations des pays neufs ou nouvellement agrandis, comme la Pologne, la Roumanie et la Yougoslavie, où une vraie classe moyenne bourgeoise n'a jamais existé et n'existe pas encore. Mais le problème de la démocratie, en soi, est lié à celui du développement e t de la persistance de la classe moyenne comme classe politico-économique dingéante. C' est pourquoi il se pose dans ses termes exacts, bien que sous dea aspecta divers, en Angleterre et en France, comme aussi en Belgique ou en Suisse et dans un petit nombre d'autres pays d'Europe, si noua faisons abstractions des Etats-Unis. Parlons de la France. La démocratie libérale individualiste fut une réaction naturelle contre les entraves économigues et les privilèges de classe du XVIIItme siècle. Méme sous les régimes politiquement absolutistes, ou presque, du XIXhe siècle, l'économie libérale progessa et porta ses fruits. L'écart entre économie et


del XIX secolo, l'economia liberale progredì e portò i suoi frutti. La distanza tra economia e politica era tale che a lungo andare I'assolutismo doveva cadere, per f a r posto al regime della libertà d'opinione sotto la I11 repubblica. Solo l'individualismo economico - soprattutto dopo la grande guerra - sul quale posava il regime liberale, non corrisponde più alle nostre esigenze sociali. La crisi ha aggravato la situazione. Si tende verso un'economia organica, si chiami essa economia diretta, o socialismo di stato, o economia razionalizzata; non si può rimontare la corrente. E la corrente non è rivolta contro la democrazia, ma contro la democrazia individualista liberale, ciò che è diverso. Ogni economia diretta dallo stato, tuttavia, fornisce alle classi dominanti il mezzo più sicuro per spossessare politicamente ed economicamente le altre categorie di cittadini I1 nazismo, con la lotta contro gli ebrei, h a spostato una vastissima zona d i interessi in favore dei suoi affiliati. Un fenomeno simile è avvenuto in Italia una decina d'anni fa. Vi si è gi,à persino costituita una manomorta di stato sia in azioni industriali che in partecipazioni a vasti domini fondiari, quale non si era

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politique était te1 qu'à la longue l'absolutisme devait tomber, pour faire f la ce au régime de la liberté d'opinion sous la II18me république. Seulement l'individualisme économique - surtout depuis la grande guerre - sur lequel reposait le régime libéral, ne correspond plus à nos exigences sociales. La crise a aggravé la situation. On tend vera une économie organique, qu'elle se nomme économie dirigée, ou socialisme d'état, ou économie rationalisée: le courant est im~ossibleà remonter. I1 n'est pas toumé contre la démocratie, mais contre la démocratie individualiste libérale, ce qui est différent. Toute économie dirigée par l'état, toutefois, foumit aux classes dominantes le ~ l u ssGr moyen de déposséder politiquement et économiquement les autres catégories de citoyens Le nazisme, avec la lutte contre les juifs, a déplacé une très large zone d'intérets en faveur des ses propres affiliés. Semblable phénomène est advenu en Italie depuis dix ans. Il s'y est meme déjà formé une mainmorte d'état tant en actions industrielles qu'en participations à de vastes domaines fonciers, qui ne s'était pas constituée avant le fascisme en prèa d'un siècle après la mine de la féodalité et la vente des biens communaux aux particuliers. C'est pourquoi en Italie comme en Allemagne on a commencé par en-

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costituita prima del fascismo in quasi un secolo dopo l a rovina della feudalità e la vendita dei beni comunali ai singoli. È per questo che in Italia come in Germania si è cominciato col togliere a i cittadini ogni diritto politico. La Francia potrebbe subire per qualche tempo - come è avvenuto in passato una reazione politica unita a una dottrina nazionale ben definita; ma essa non potrebbe mai essere teatro d i una rivoluzione economica così ~ r o f o n d aquale la pensano coloro che vogliono arrivare a forme estreme di economia di. retta. La sua struttura economica e l a sua posizione internazionale non lo permettono. Perciò la Francia può guardare il bolscevismo, i l fascismo e i l nazismo come fenomeni che non possono toccarla. Da un altro lato tuttavia, la democrazia puramente formale, sottomessa alle congregazioni economico-politiche di destra e di sinistra, non può più durare; essa ha perduto poco alla volta l a sua ragion d'essere ed è divenuta una vana apparenza. È per questo che le giovani generazioni la guardano di malocchio. Occorre alla Francia una nuova esperienza democratica (che

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lever aux citoyens tout droit politique. La France pourrait subir pendant quelque temps - comme il advint dans le passé - une raaciion poiitique m i e à une doctrine nationale bien définie; mais elle ne pourrait jamais &e le théitre d'une révolution économique aussi profonde que le pensent ceux qui veulent amver à des formes extrèmes d'économie dirigée. Sa strutture économique et sa position internationale ne le permettent pas. Aussi la France peut elle regarder comme des phénomènes qui ne sauraient I'atteindre le bolchevisme, le fascisme et le nazisme. D'un autre coté, toutefois, la démocratie purement formelle, soumise aux congégations économico-politiques de droite et de gauche, ne peut plus durer; elle a perdu peu à peu sa raison d'6tre et elle est devenue une vaine apparente. C'est pourquoi les jeunes générations la regardent de travers. Ii faut à la France une nouvelle expénence démocratique (qui se v é d e r a certainement), basée sur une économie organisée (ou mieux, organique) et wr une véritable moralité publique; mais elle aura besoin d'une nouvelle mystique. La démocratie déclinante trouva dans le positivisme son élément pseudospirituel, dirons-nous, ou - comme on dit aujord'hui sa mystique. Mais le positivisme n'a plus cours ni comme interprétation de la vie, ni comme

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si verificherà certamente), basata su un'economia organizzata ( o meglio, organica) e su una vera moralità pubblica; ma essa avrà bisogno di una nuova mistica. La democrazia declinante trovò nel positivismo il suo ele. mento pseudo-spirituale, diremmo, o - come si dice oggi - la sua mistica. Ma il positivismo non h a più corso, nè come interpretazione della vita, nè come dottrina politico-sociale. La nuova democrazia sarà spiritualista o non sarà. Ecco il problema. Paul Archambault ne h a ben posto i termini quando ha parlato della tradizione democratica di ispirazione spiritualista e personalista n. Bisogna solo aggiungere che questa tradizione è rimasta allo stato di idea generale, non si è concretizzata storicamente se non in maniera parziale e tendenziosa. I1 positivismo ha soffocato le aspirazioni spirituali; la personalità umana non è stata garantita che nella forma. La crisi della democrazia era fatale e forse vantaggiosa, a questa sola condizione: di riprendere la tradizione interrotta, di riempirla di idee nuove, di adattarla ai bisogni economici presenti, e di farla rivivere nelle lotte filosofiche e morali per i diritti della personalità umana integrale (che per noi è cristiana). Londra, febbraio 1934. (L'Aube, P&,

13 febbraio 1934).

doctrine politico-sociale. La nouvelle démocratie sera spiritualiste ou elle ne sera pas. Voilà le problème. Paul Archambault en a bien posé les termes quand il a parlé de la a tradition démocratique d'inspiration spiritualiste et personnaliste n. faut seulement ajouter que cette tradition est demeurée à l'état d'idée générale, ne s'est concrétisée historiquement que d'une faqon partielle et tendancieuse. Le positivisme a suffoqué les aspirations spirituelles; la personnalité humaine n'a été garantie que dans la forme. La crise de la démocratie était fatale et peutetre avantageuse, à cette seule condition: de reprendre la tradition interrompue, de la remplir d'idéea non. velles, de l'adapter aux besoins économiques présents, et de la faire revivre dans les luttes philosophiques et morales pour les droits de la personnuìité humaine intégrole (qui pour nous est chrétieme).

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2.

- Smazo -

Miacellnnea Londinese

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111.


I NEO-GUELFI DI. MILANO Davanti al tribunale speciale per la difesa dello stato, si è svolto a Roma in questi giorni il processo contro i neo-guelfi di Milano (l). Gli imputati erano tre giovani cattolici milanesi, Malavasi, Malvestiti e Rodolfi, rei di avere preparato e diffuso contro il regime fascista dei foglietti a stampa dal titolo: Cristo re e popolo. Loro coimputati erano un certo Ortodossi padrone della tipografia e Bassani tipografo, per avere cooperato al a delitto 1). I foglietti, arrivati anche all'estero, erano espressione di innocue e legittime aspirazioni di libertà e moralità cristiana nella vita pubblica. L'associazione neo-guelfa comportava naturalmente (dato il regime fascista) anche il segreto che doveva legare i soci; il segno di riconoscimento era una margherita. Cose che colpiscono l'immagine giovanile. I1 ricordo del neo-guelfismo del risorgimento h a sedotto i promotori, che volevano diffondere fra la gioventù un orientamento poetico fatto di cattolicesimo e di libertà. La repressione fascista è stata feroce. Non ne valeva la pena perchè il neo-gnelfismo non presentava nessun lontano pericolo per lo stato. Gli imputati erano stati messi in prigione nell'aprile 1932 ed avcvano dovuto sopportare tutte le vessazioni che in

(l) Il u movimento neo-guelfo di azione x, fu un movimento cattolico antifascista che svolse attività clandestina soprattutto nel nord Italia. La P. S., che da tempo sorvegliava il gruppo, riuscì ad avere le prove che i neoguelli avevano avuto un incontro, in casa di Gioacchino Malavasi il 18 marzo 1933, con esponenti della concentrazione anti-fascista di Parigi. Arrestati il 20 marzo, il Malavasi, Piero Malvestiti e Armando Rodolfi furono incriminati davanti al tribunale speciale per la difesa dello stato, sotto l'accusa di svolgere propaganda antinazionale, e condannati il 30 gemaio 1934, Una testimonianza diretta sul processo dei guelfi è quella di Gioacchino Malavasi in Fascismo e Antifasckmo (1918-1936). Lezioni e testimonianze, Feltrinelli, Milano, 1962, pp. 250-56. Cfr. anche P. M~LVESTITI,Achtung! Banditi, Gastaldi, Milano, 1960, pp. 5-20 e Una lettera d i Piero Malvestiti, in u Rassegna di politica e di storia n, febbraio 1963, pp. 19-20.


Italia oggi si sogliono far patire ai detenuti politici. Si è cercato, anche nei resoconti della stampa controllata dal governo, di confondere questo movimento con quello laico e rivoluzionario di « giustizia e libertà ».Finalmente sono stati condannati i due capi del movimento (Malavasi e Malvestiti) a cinque anni di prigione; il Rodolfi (che disse aver agito per leggerezza giovanile) a tre anni; il proprietario della tipografia a due anni; l'operaio tipografo è stato assolto. I1 pubblico ministero h a rimproverato i giovani cattolici d'ingratitudine verso il regime fascista che h a fatto tanti favori alla chiesa. Strano modo di concepire i rapporti dello stato verso la chiesa, sì da avere lo stato il diritto di soffocare le coscienze dei cittadini che desiderano per il loro paese libertà e moralità. L'episodio dei neo-guelfi non è che un piccolo sintomo del disagio morale in cui si trovano quei giovani cattolici, a cui ripugna il fascismo fatto di violenze e di servilità, e non possono esplicare la loro concezione cristiana della vita pubblica perchè si corre il pericolo di essere rinviati davanti al tribunale speciale. I più attivi fra i cattolici lavorano nel campo spirituale e culturale e si preparano moralmente ( m a non politicamente) per il giorno in cui saranno chiamati dagli avvenimenti ad un compito politico, per il bene del paese e per la difesa dei principi cristiani e dei diritti della chiesa, Avranno allora questi giovani, oggi costretti a piegarsi al fascismo, carattere maturo per la lotta e autorità sufficiente per dirigerla? Noi abbiamo approvato quei popolari che han preferito ritirarsi nel silenzio della loro casa, tollerando dignitosamente la loro menomazione non solo politica ma spesso anche professionale ed economica, invece d i seguire, senza convinzione, il carro del vincitore. Le generazioni nuove non hanno più i vincoli col passato. Dopo otto anni, da che il partito popolare fu disciolto, coloro che oggi hanno venti anni nulla sanno più e nulla intendono delle lotte di allora. La gioventù fascista è inquadrata fin dai primi anni nei Balilla e tutti sono educati a divenire i partigiani del regime. 1 cattolici non sono come tali un partito; essi possono essere, politicamente parlando, sia fascisti (senza la teoria e la pratica

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della violenza), sia anti-fascisti (senza i metodi di rivolta armata). Ma essi debbono pensare oggi che quando cadrà il fascismo (ogni cosa umana è peritura) la nuova Italia sarà con loro o contro di loro, secondo che oggi avranno saputo preparare o non preparare il domani. I neo-guelfi, sotto questo punto di vista, con il loro enorme e sproporzionato sacrificio, sono un awertimento per tutti. Londra, 11 febbraio 1934.

(E1 Matì, Barcelona, 16 febbraio 1934) Arch. 4 A, 11.

L'AUSTRIA VISTA DALL'INGHILTERRA Nel semi-officioso articolo del Times di oggi (20 febbraio) è precisato il significato della dichiarazione del governo britannico, fatta insieme alla Francia e all'Italia, sull'indipendenza dell'dustria (l). Ciò era noto in questi circoli politici, ma la messa a punto chiara e pubblica sul giornale più autorevole di Londra è stata fatta perchè l'opinione pubblica si era mostrata abbaotooe~turbatz dal comunicato a tre. I n sostanza si dice che nessun nuovo impegno è stato preso dal governo circa l'Austria; che la dichiarazione non implica alcuna garanzia nè appoggio diplomatico; e si ripete ancora una volta che l'Inghilterra non intende interferire negli affari interni dell'Austria. I n altri termini, se i nazi austriaci prendono il potere ciò è affare interno; se la Germania interviene in Austria, l'Inghilterra non h a im(l) La dichiarazione del 17 febbraio 1934 è, nel suo testo italiano, la seguente: u I1 governo d'Austria si è rivolto ai governi di Francia, Gran Bretagna ed Italia, per conoscere il loro modo di vedere circa la documentazione che esso ha preparato al fine di st&ilire l'ingerenza germanica negli affari interni dell'Austria e della quale ha dato loro comunicazione. Le conversazioni che hanno avuto luogo tra i tre governi in proposito, hanno mostrato la loro comunanza d i vedute per quel che riguarda la necessità di mantenere l'indipendenza e l'integrità dellYAustria in conformità ai trattati in vigore n.


pegni di sorta nè diplomatici nè militari per intervenire. Aggiunge l'articolo in parola: L'impressione che la dichiarazione comunica al pubblico britannico si è che in ultima istanza nessuna definita azione sarà presa dal governo nell'Europa centrale, a meno che abbia dietro di sè l'appoggio della grande maggioranza della pubblica opinione D. Le ragioni di quest'ultima frase sono evidenti. Due grandi correnti sono oggi qui contro ogni intervento in Austria: la conservatrice di destra e di centro principalmente per ragioni politiche ; essa ha detto per bocca di Baldwin (3 che l'Inghilterra sanà fedele al patto di Locarno ma non vuole altri impegni nel continente. La corrente isolazinnista ha dato il suo motto: « Austria o Australia? » ; per essa è più vicina e più importante 1'Australia che l'Austria. L'altra corrente oggi ostilissima al17Austria è formata anzitutto dai laburisti che solidarizzano con i social-democratici d'Austria; ma anche da tutti i liberali con a capo il Manchester Guardian e il News Cronicle; nonchè una parte notevole di conservatori e di pubblico estraneo ai partiti; i quali tutti sono impressionati dei fatti sanguinosi della scorsa settimana (3). Per

(2) Stanley Baldwin (1867-1947), esponente del partito conservatore britannico, era tornato al governo nell'agosto 1931, come membro del gabinetto N nazionale r> formato da Mac Donald nel periodo della crisi economica e finanziaria inglese, confermatovi poi dalle elezioni dell'ottobre. Dal 1932 al 1934 ebbe l a carica di lord del Sigilio Privato. Il 3 giugno 1935 successe a Mac Donald come primo ministro. (3) Si tratta della repressione dei moti insurrezionali socialisti compiuti dal governo di Dollfuss nei giorni 12-15 febbraio 1934. Il vice-cancelliere Emil Fey, capo delle formazioni viennwi Heimwehr (anstro-fasciste), riassumendo da11'8 gennaio il dicastero della P. S. e della difesa, aveva scatenato un attacco massiccio alle posizioni dei socialdemocratici, rovesciandone i rappresentanti nei governi regionali, e le organizzazioni ancora assai solide ed armate. Nel corso d i operazioni di rastrellamento dei depositi socialisti d i armi a Linz, le locali organizzazioni di sinistra avevano opposto resistenza armata alle forze governative. La rivolta si era immediatamente estesa agli altri centri industriali; con particolare gravità a Viema. La sollevazione era stata stroncata con l'intervento dell'esercito e l'impiego dell'artiglieria contro quei casamenti operai, nidi di resistenza, a mi S t n n o accenna d i seguito. Le organizzazioni operaie avevano lasciato sul campo circa 1000 morti.


tutti costoro Dollfuss ha rovinato la situazione austriaca e non vale la pena impegnare per essa l'onore britannico.

Non bisogna sotto-estimare questa corrente morale, che i n dati momenti gioca i n Inghilterra un ruolo di primaria importanza. L'invito del governo britannico fatto a Vienna per la clemenza verso gli insorti non è un atto formale, risponde al senso di disagio spirituale che si è formato presso tutti gli strati sociali. E leggere le notizie come quella della decorazione della gran croce d'Austria data al vicecancelliere Fey qui fa disgusto. Ancora di più l'altra notizia, che è stato dato il nome di Feyhof a d uno dei casamenti operai ove egli fiaccò la resistenza. Si ha l'impressione che la dolorosa repressione di una rivolta prenda a Vienna la figura di una vittoria sul nemico. Questa impressione è generale. I1 conservatore Sunday Times del 18 ha un articolo di Scrutator - il suo redattore ordinario - dal titolo « The fruits of fascism n, ostilissimo alla condotta d i Dollfuss. I n sostanza molti del mondo politico e non politico di qui rimproverano a Dollfuss di aver consentito che u n partito armato ( l e fasciste Heimwehren) sostenesse un governo autoritario e volesse obbligare gli avversari non solo a disarmare, ma a subirne la prepotenza. Per questa ragione, mentre nell'interesse dell'indipendenza austriaca doveva cercarsi l'intesa con tutti i partiti e quindi accettare un compromesso con i social-democratici, Dollfuss ha rigettato perfino le, ultime proposte socialiste. Queste pubblicate dal Sunday Times,e da molti altri giornali - hanno meravigliato per la loro accettabilità: a 1) che un comitato limitato parlamentare, nel quale il governo avesse la maggioranza, avesse la facoltà di critica dei decreti governativi; 2) che fosse ripristinata la corte costituzionale n. Dollfuss non solo non accettò tali proposte, ma arrivò a decretare la decadenza di tutte le cariche elettive dei governi federali e municipali. Sapeva Dollhss che i socialisti avrebbero resistito con le armi? In tal caso fu temerario a provocarli prima di disarmarli. Non sapeva ch'erano armati? I n tal caso dimostrò una imprevidenza imperdonabile. Voleva invece prendere questa occasione per schiacciarli e instaurare il regime fascista?


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No: la spiegazione la danno il Manchester Guardian liberale, e la Morning Post conservatrice e il Daily Herald laburista. È stato Mussolini (4) che h a imposto a Dollhss, costi quel che costi, la eliminazione dei social-democratici dalla vita pubblica austriaca, e lo stabilimento della dittatura fascista; altrimenti egli - Mussolini - non avrebbe apertamente appoggiata l'Austria contro le pretese naziste d i Berlino. Ora che l'Austria è fascista egli h a il titolo d i protettore. I1 Manchester Guardian biasima il governo britannico di aver lasciato mano libera a Mussolini; e il Sunday Times domanda che si ritorni dappertutto ad un sistema di libertà democratica e soggiunge: « Anche un Mussolini non può scappare all'incertezza della situazione quando egli è per fissare le condizioni del benessere nazionale, e deve avvicinarsi al principio di libertà 1). Questa è oggi l'opinione pubblica inglese. È triste che il partito cristiano-sociale austriaco, invece di tentare tutte le vie per salvare la libertà e la democrazia del proprio paese (due anni fa il pericolo nazi non esisteva) e procedere al disarmo reale e simultaneo di tutti i partiti, si sia affidato al fascismo, abbia autorizzato le squadre armate e perfino abbia anch'esso fatto delle piccole squadre (le Ostmiirkische Sturmscharen del ministro cattolico Schuschnigg (3, come per avere un titolo all'esistenza po-

(4) Secondo Salvatorelli e Mira, (Storia d'ltalia nel periodo fascista, Einaudi, Torino, 195@, p. 759), non vi sono prove della responsabilità diretta di Mussolini, allora denunziata dalla (( concentrazione antifascista D. I documenti dell'archivio di stato austriaco pubblicati dallo storico Paul R. Sweet in appendice al volume di J. B R A U ~ ~ ~La A Ltragedia , del17Austria, ed. it. La Nuova Italia, Firenze, 1955, danno invece la prova di una fortissima pressione della diplomazia italiana e ~ersonaledi Mussolini sul cancelliere Dollfuss, perchè la lotta del governo contro la opposizione di sinistra fosse portata a fondo. Da ultimo il sottosegretario di stato agli esteri italiano Fulvio Suvich, nella sua visita a Vienna del 18-20 gennaio 1934, aveva spiegato che l'appoggio italiano alla causa personale del cancelliere era snbordinata al comportamento del governo austriaco nei confronti della sinistra. (5) Kurt von Schuschnigg, nato nel 1897 a Riva sul Garda, militante nel partito cristiano-sociale, si era tra l'altro dedicato alla organizzazione dei volontari cattolici del Tirolo: Ostmarkische Stumscharen e Tiroler Heimatdienst. Era nel governo Dollfuss ministro dell'educazione e della


litica vicino a Starhemberg. La conseguenza è che il partito cristiano-sociale è costretto oggi a solidarizzare con il governo e con i fascisti nella repressione sanguinosa d i una rivolta operaia. Non difendiamo i socialisti nella loro preparazione armata da lunga data e con proposito di resistenza, ma non diamo loro tutta la colpa dei dolorosi avvenimenti; che sono un triste monito per tutti coloro che vogliono fondare i nuovi regimi dittatoriali sopra i partiti armati. Londra, febbraio 1934.

(L'Aube, Paris, 23 febbraio 1934) Arch. 5 A, 16.

L'AUSTRIA E L'INGHILTERRA Oggi non c'è a Londra un uomo dell'altezza d i Gladstone; quando questi chiamò il governo dei Borboni di Napoli la negazione di Dio » egli era, non solo in Inghilterra, ma in Europa, una grande forza politica e morale. I1 governo di Napoli di allora fu bollato per sempre. Avvenimenti come la persecuzione degli ebrei in Germania o l a repressione sanguinosa d'Austria ( l ) (per parlare solo dei fatti recentissimi) oggi passano tra il mormorio timido e sommesso della camera dei comuni, senza che nessun uomo del governo elevi una protesta morale. Non intendo con ciò assegnare al governo inglese il compito della tutela della moralità degli altri stati; ma ci sono occasioni in cui la politichetta ispirata alla massima, alquanto ipocrita, a d i non interferire negli affari interni degli altri paesi n, dovrebbe dar posto a quelle manifestazioni di etica internazionale, che sollevano le questioni dette politiche in un'atmosfera più

giustizia. Fu nominato cancelliere dopo il putsch nazista del 25 luglio e la morte di Dollfuss. (l) Cfr. nota 3 dell'articolo precedente.

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generale e più umana. E se ce n'è di tali questioni, quella dell'Austria è una. È fuori dubbio che Dollfuss ha agito sotto la doppia pressione dei fascisti austriaci (le Heimwehren) e del governo di Roma, quando egli si è deciso a togliere illegalmente le amministrazioni di Vienna e dei vari paesi ai social-democratici, che le tenevano per mandato degli elettori. L'ultima fase delle pressioni di Mussolini si lega alla domanda di Dollfuss ai gabinetti di Londra, Parigi e Roma se portare o no a Ginevra il reclamo contro Berlino (=). Non è u n segreto per nessuno che Mussolini sconsigliava l'andata a Ginevra; e d'altro lato, perchè egli prendesse di fronte a Berlino un atteggiamento deciso, esigeva che l'Austria fosse veramente in mano ai fascisti. È quello che Dollfuss ha fatto, anche se ciò è costato del sangue. Di fronte all'ingerenza di Mussolini nella politica interna dell'Austria, quale valore può avere la massima della « non interferenza D, ripetuta in questi giorni da .Tohn Simon in ogni occasione? Nè è a dire che il governo inglese sia stato sempre fedele a tale massima, e non abbia mai praticata la teoria opposta. Forse l'Inghilterra non intervenne negli affari della Grecia durante la guerra? e forse non intervenne a favore dell'unità d'Italia durante il risorgimento? Per questo h o chiamato la teoria della non-interferenza (( una massima alquanto ipocrita ». Se l'Inghilterra non h a in Austria degli interessi propri da tutelare - come nei casi d i Grecia e d'Italia - ciò non vuol dire che non vi siano oggi interessi internazionali da far valere. La vecchia dichiarazione del Mutiny Act del 1867, per cui l'armata del Regno Unito veniva mantenuta anche per a the preservation of the balance of power in Europe 1) è ancora in vigore. L'estendersi del fascismo e del nazismo in Europa, e il successivo cadere sotto le dittature degli stati del centro ed est Europa, altera quell'equilibrio che si costituì dopo la guerra a Ginevra con la Società delle nazioni, a danno dei paesi che ancora si reggono sui principi di libertà e d i democrazia. E' un errore pensare che gli stati siano dei compartimenti

(2) Cfr. nota 1 dell'articolo precedente.


stagni e che ciascuno possa regolarsi come meglio crede, in un isolamento completo dal resto del mondo. La civiltà europea ha avuto sempre, anche prima dell'impero romano, la tendenza ad assimilarsi e a trovare un livello morale culturale e politico comune, non ostante le differenze di razza, di religioni e di interessi. Questa tendenza all'unità, che dopo la grande guerra culminò nel fatto della Società delle nazioni e in una concezione democratica e solidale della vita internazionale, oggi è stata spezzata. Anche nel passato fu più volte spezzata, sia per le invasioni barbariche sia per la riforma e controriforma, sia per la rivoluzione francese e l'impero napoleonico. Però, con diverse tendenze e con elementi storici adatti, si rifece sempre una certa unificazione o livellamento fra le varie parti dell'Europa ; nel medioevo su terreno feudale-ecclesiastico ; dopo le guerre di religione sul terreno dei governi paternalisti e tolleranti; dopo la rivoluzione francese sul terreno delle libertà politiche. Quale sarà l'unificazione di domani? Una novella democrazia sulla base etica del rispetto della personalità umana ovvero un fascismo nazionalista o razzista totalitario basato sulla violenza ? L'appello ad un'etica superiore (che per noi è sempre cristiana) per la quale s'impedisca che l'Europa cada nella barbarie delle persecuzioni di razza, della soppressione dei partiti con i massacri, della violazione di ogni diritto personale con l'uso della rivoltella, del bastone e dell'olio di ricino, e che edifichi i nuovi stati totalitari in cui la persona è assorbita dal gruppo dominante, è una urgente necessità. Questa divisione morale e politica dell'Europa di oggi è tutta a danno della sua sicurezza e del suo equilibrio internazionale. L'Austria oggi non è solo il punto di contesa fra due fascismi, quello di Roma e quello di Berlino; è per l'uno e per l'altro, un elemento nella loro politica imperiale. Berlino si vuole annettere l'Austria per far cadere nella sua orbita la Jugoslavia e la Romania, e arrivare a dominare gli sbocchi dell'Adriatico e del Mar Nero. L'Italia tende a formare un blocco con l'Austria e l'Ungheria, il che trova opposti insie-

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me Piccola Intesa e Germania. Siano ai primi prodromi di una guerra. Se i nazi del Tirolo austriaco si sollevano, e dietro d i loro vi sarà Hitler, tanto l'Italia che la Jugoslavia avranno l'interesse di occupare il triangolo di Triglav e dominare la valle della Drava. Chi vi a m v a per primo avrà acquistato un punto strategico di primo ordine. Ciò sanno bene gli stati maggiori d'Italia e di Jugoslavia. Nel 1919 per più mesi furono su questi fronti coll'arma al piede i due eserciti, mentre le truppe irregolari si battevano con guerriglie giornaliere, finchè vi fu ripristinato il dominio austriaco. Triglav può essere la futura Serajevo. I1 governo inglese pare che abbia sentito rumore (come diceva quello che si era voltato allo scoppio di un cannone); nel recente semi-ufficioso articolo del Times del 20 febbraio, a proposito della dichiarazione a tre sull'indipendenza austriaca, che <r in the last resort definite action could not be taken unless it had support of the great majority of public opinion behind it ».È questo un giusto appello alla pubblica opinione; ma la pubblica opinione deve essere illuminata e i n certi momenti guidata. Da molte parti in Inghilterra oggi si leva la voce per una politica più decisa da farsi in Austria, la quale non può perdere la sua indipendenza nè a favore della Germania nazista, nè a favore della Italia fascista. L'Austria deve andare a Ginevra. Ma come potrà presentarsi Dollfuss a Ginevra dopo il massacro dei giorni scorsi? Un'azione decisa a favore d i un'Austria indipendente importa la soluzione di tre problemi, che oggi sono arrivati al nodo più stretto: il riordinamento d i un governo costituzionale e pacificatore a Vienna, gli accordi economici con la Piccola Intesa e con l'Ungheria, e un intervento politico di piena intesa delle tre potenze, Gran Bretagna, Francia e Italia, nel quadro della Società delle nazioni. L'Inghilterra non ha essa la corresponsabilit~àdi aver creata (con i patti di pace) un'Austria che non potrà mai vivere nè politicamente nè economicamente così com'è? E non ha forse la corresponsabilità di avere ritardato fin oggi un'unione danubiana (già proposta da chi scrive nel 1921 e discussa più volte) per avere voluto mantenere intatti i diritti economici derivanti dai trattati di pace a favore dei paesi vincitori? E non h a la re-


sponsabilità, tutta sua, di lasciare che da più di un anno Mussolini faccia il suo gioco, in Austria e Ungheria? Le responsabilità morali e politiche non sono mai disgiunte. C'è qualcuno qui che possa credere che in una guerra sul continente l'Inghilterra possa stare alla finestra a guardare gli eventi e trafficare con le due parti combattenti? Londra, 25 febbraio 1934.

(New Britain, London, 28 febbraio 1934). Arch. 5 A, 17.

8. I L FATO DELL' EUROPA (*) Ormai è accertato che Mussolini h a spinto Dollfuss a procedere contro i socialisti ed eliminarli da tutti i posti che ancora avevano nella pubblica amministrazione in Austria e specialmente a Vienna. Recentemente aveva fatto sapere che 1'Italia non avrebbe potuto appoggiare il reclamo dell'Austria contro le mene di Berlino, se non avesse eliminato i socialisti ( e possibilmente anche i cristiano-sociali), dando il controllo del paese ai fascisti austriaci rappresentati dalle Heimwehren. Dollfuss, cedendo a Mussolini sapeva che andava incontro a d una resistenza sanguinosa? ovvero non credeva che i socialisti avrebbero resistito? NelI'un caso e neIl'a1tro egli è stato o temerario o imprevidente. Nè può giustificarsi la sua azione con il fatto che egli così si assicurava l'appoggio dell'ItaIia. Per le persone morali, soprattutto se si h a una morale cristiana, i fini non giustificano i mezzi. Dicendo ciò non giustifichiamo neppure la resistenza armata dei socialisti; però ci rendiamo conto che in un paese dove vi

(*) L'articolo non è datato, ma le evidenti analogie di richiami storici e di argomenti lasciano supporre sia stato scritto negli stessi giorni del precedente: L'Austria e l'Inghilterra, cioè intorno alla fine del febbraio 1934. Molto probabilmente venne pubblicato su E1 Moti di Barcellona o SU L'Aube di Parigi.


è un partito armato come le Heimwhren, è naturale che il partito nemico ( è la triste parola della guerra civile) si armi anch'esso. I cristiano-sociali più volte nel passato, prima che Hitler arrivasse al potere, manifestarono il proposito di disarmare i partiti; ma l'ala destra, fra cui Dollfuss, volle si il disarmo dei socialisti ma non il disarmo dei fascisti. Metodo pericoloso e negativo, che è anche il metodo del governo De Valera i n Irlanda ( l ) ; egli mantiene l'armata repubblicana (specie di esercito fascista) e mette fuori legge le camice blu di Duffy e d i Cosgrave (3. Mussolini h a raggiunto il suo scopo: egli ora controlla 1'Austria attraverso i fascisti Starhemberg e Fey; Dollfuss è suo prigioniero; i socialisti sono sbaragliati. Immediatamente si è subito rivolto alla Francia e all'Inghilterra per avere il loro consenso e prevenire Berlino che l'integrità dell'Austria deve essere rispettata. Non possiamo fare previsioni sull'awenire; ma per quanto è possibile possiamo valutare gli effetti degli avvenimenti. I socialisti erano i n Austria circa il 40 per cento della popolazione, ed erano per l'indipendenza austriaca; erano disposti ad intendersi con Dollfuss; avevano solo domandato:. « u n comitato parlamentare ristretto, nel quale il governo avesse la maggioranza per poter discutere i decreti del governo, e che fosse ripristinata la corte costituzionale che Dollfuss aveva disciolta ».Non pare che avessero troppe pretese! ora invece tutta questa massa, su cui pesano circa un migliaio di morti, più di duemila feriti, i prigionieri, i giudizi sommari e i condannati ad ( l ) Eamon De Valera (n. 1882), statista irlandese, capo del movimento nazionalista. Presidente della repubblica nel 1918, accusato di complotto, riparò negli Stati Uniti nel 1919, ponendosi a capo della resistenza armata contro il nuovo governo irlandese. Arrestato nel 1923, nel 1927 fece di nuovo parte del parlamento e nel 1932 fu eletto presidente del consiglio. Messo in minoranza nel 1948, ritornò al potere nel 1951. (a) William Thomas Cosgrave (n. 1880), fondatore nel 1932 e leader del partito Fine Gael (irlandesi uniti) con programma di autonomia. Ministro dell'intemo dal 1918 al 1921. Presidente del consiglio dal 1922 al 1933, allorchè f u sconfitto dal De Valera di cui fu energico e tenace oppositore.


essere impiccati, e la gente dimessa dai posti, quella fuggita O nascosta, non s a r i più a favore di Dollfu~s. Passerà ai nazi? C'è già un lavorio. Purtroppo quando si è sul piede della guerra civile, gli odi sono difficili da estinguersi. I nazi hanno guadagnato una prima battaglia morale e politica. Qual'è la portata della dichiarazione della triplice ItaliaFrancia-Inghilterra? Da parte dell'lnghilterra non h a che un valore ipotetico. L'opinione pubblica qui è contraria all'inter. vento in continente. e in ogni caso contraria a Dollfuss, che ha perduto ogni simpatia e ogni fiducia, e che viene reputato prigioniero dei fascisti. Se i nazi austriaci prendono il potere o tentano atti di ribeliione, l'Inghilterra ha già dichiarato che non intende interferire nei fatti interni di un'altra potenza. Forse che fu impedito che l'austriaco Hitler divenisse cancelliere germanico? Così non sarà impedito che Habicht o altro nazi austriaco divenga cancelliere a Vienna. Si dice che l'Italia in tal caso interverrebbe a sostenere la guerra civile fra Heimwehren e nazi austriaci. A Londra si dà poco credito a tale ipotesi; non mancano uomini politici che pensano che l'Italia si assumerebbe una grave responsabilità. Dietro a questa torbida prospettiva c'è un'incognita assai grave. Si dice ( e la voce è stata controllata) che il ministero estero della Jugoslzìvitì, interpellato sulla sua attitudine nel caso dell'Anschluss, avrebbe risposto ch'esso se ne disinteressa. Tattica o cambiamento di fronte? Sarà vera la voce di promesse di Hitler a Belgrado (come a Varsavia)? Hitler certo lavora per smantellare il sistema francese di dopoguerra. La Francia troverà molto utile che l'Italia si urti con la Germania, ma troverà vantaggioso che la Jugoslavia s'intenda con la Germania? Quale responsabilità morale e quale responsabilità politica hanno assunto i paesi democratici quali l'Inghilterra e la Francia, nel tollerare e favorire i fascismi e i nazismi d'Europa? Ginevra è scossa e ridotta all'impotenza; la guerra civile scuote i paesi; ricomincia la gara degli armamenti mentre i partiti si armano dappertutto; i1 revisionismo territoriale è in marcia; le alleanze si scuotono : dopo Varsavia Belgrado e dopo Belgrado Bucarest! e la guerra è alle porte. Arch. 5 A, 15.


GIURAMENTO DI RE I1 nuovo r e del Belgio, Leopoldo I11 (l), nel discorso del 23 febbraio, prima d i giurare, ha detto: ((.Te prends devant vous l'engagement solenne1 qui, aux termes de la constitution, scelle un pacte d e confiance réciproque entre le souverain et la nation D. E poco appresso: « Selon la tradition qu'ils (mes trois grands prédécesseurs) ont solidement établie, la dynastie belge est au service de l a nation. J'ai la ferme volonté de ne jamais l'oublier Tous les Belges comprennent les bienfaits de cette étroite association entre la nation et ses rois D. Sta in queste semplici e chiare parole tutto il segreto del fatto che nel Belgio, non ostante la vicinanza della Francia, la monarchia si sia mantenuta attraverso le vicende difficili di un secolo di esistenza. E non fa alcuna meraviglia che anche i socialisti belgi partecipino alla lealtà della nazione intera verso i loro re, e alle manifestazioni solenni del lutto per la perdita di Alberto I e dell'incoronazione del giovane Leopoldo 111. Nessuno nel Belgio e fuori del Belgio, oggi, mette in dubbio la lealtà ,del sovrano nell'impegno di rispettare la costituzione. Non è così dappertutto. In Italia, prima dell'avvento del fascismo esisteva un partito repubblicano; i socialisti non avevano la pregiudiziale antimonarchica, ma non facevano credito alla dinastia Savoia, e così molti cattolici, chi per la questione romana, chi per diffidenza verso il sistema monarchico-oligarchico. La dinastia Savoia in un secolo ha mancato ai suoi giuramenti due volte, con Carlo Alberto e Vittorio Emanuele 111. I monarchici francesi non hanno oggi alcuna preoccupazione costituzionale, perchè odiano il parlamentarismo; è perciò che non hanno bisogno di discolpare la casa di Francia dei mancamenti ai giuramenti costituzionali dei loro antenati; ma è per-

...

(1). Re Alberto era morto il 17 febbraio 1934 in un incidente di montagnafl discorso del successore Leopoldo I11 qui richiamato è quello della incoronazione.


ciò che in Francia non ha seria base un qualsiasi partito monarchico. La Spagna h a recente il ricordo di un re ( a ) , che mancò al giuramento; e nella sua storia costituzionale di poco più di un secolo, ha tristi esempi di giuramenti reali fatti e non mantenuti. Come può pretendersi che vi sia ancora reciproca fiducia fra una nazione e una dinastia? I monarchici spagnoli non sono logici se sognano una monarchia costituzionale; invece saranno logici se sognano una monarchia dittatoriale, come quella serba (3), ovvero un dittatore con una monarchia di facciata come quella italiana. I re costituzionali sono rimasti nel nord Europa, Inghilterra, Belgio, Olanda, Danimarca, Svezia, Norvegia. I re mediterranei non hanno più il diritto di essere creduti, neppure se giurano, perchè manca la cooperazione leale e fiduciosa tra la monarchia e il popolo. Vi è di mezzo un terzo elemento, che si chiama oligarchia dei pochi, esercito, aristocrazia, partito armato, dittatori, che impediscono l'intesa feconda del popolo con il suo capo. In tal caso la scelta dell'azione popolare va per la repubblica. Han fatto bene i cattolici ad aderirvi. Ma si badi, anche in repubblica vi sono gli spergiuri della costituzione come Hindenburg e MikIas (3. (2) Alfonso XIII di Borbone, che nel 1923 aveva consentito d'insediamento della dittatura militare di Miguel Primo de Rivera. (3) Per far fronte a gravi dissidi interni di nazionalità, il 6 gennaio 1929 re Alessandro di Jugoslavia aveva compiuto, con il sostegno dell'esercito, un colpo di stato; sospendendo la costituzione del 1921 ed assumendo provvisoriamente tutto il potere legislativo ed esecutivo. I1 parla. mento era stato sciolto senza indire nuove elezioni; soppressi i partiti politici. La costituzione del u Regno di Jugoslavia n, promulgata con decreto reale del 3 ottobre, aveva istituito una nuova ripartizione amministrativa in 9 bamti, non più corrispondente alle ripartizioni etniche delle nazionalità preponderanii ed in cui alle autorità locali elettive veniva sostituita una autorità governativa. (4) Paul Ludwig von Hindenburg (1847-1934), presidente della repubblica di Weimar dall'aprile 1925 all'agosto 1934, e Wilhelm Miklas, presidente del Bund austriaco dal dicembre 1928 al m a n o 1938, vengono da Sturzo accomunati nella responsabilità di aver istituzionalizzato deroghe


Occorre che il popolo sappia contenersi nei limiti costituzionali ed esigere che anche i presidenti si mantengano nei loro limiti; altrimenti questa C( étroite association entre la nation et ses rois D, di cui parla Leopoldo 111 - o « ses présidents » in regime repubblicano - si spezza a danno del regime e in ultima istanza a danno della nazione. Londra, 1 marzo 1934.

(E1 Mati, Barcelona, 2 m a n o 1934) Arch. 5 A, 13.

10.

UN APPELLO Non sappiamo se l'appello di u n gruppo di scrittori cattolici francesi samà o no arrivato nelle mani del presidente della repubblica austriaca, il dr. Miklas ( I ) ; non sappiamo se egli lo costituzionali che avevano a breve scadenza consentito l'insediamento di dittature nei loro rispettivi paesi. Nella fattispecie Hindenburg aveva permesso che B ~ n i n ggovernasse senza il consenso parlamentare, in base all'art. 48 della costituzione di Weimar, che prevedeva la possibilità di ricorrere ad un regime di decreti presidenziali in caso di emergenza e per la salvaguardia dell'ordine pubblico. Analogamente Miklas aveva consentito che Dollfuss, richiamandosi ad una legge di pieni poteri emanata dal Kaiser il 24 luglio 1917 legge di vigore e pertinenza più che dubbi ricorresse ai decreti di emergenza dall'ottobre 1932. Nel m a n o 1933 Dollfuss aveva poi colto l'occasione delle dimissioni del presidente e dei vicepresidenti del Landtag per dichiararne l'autoscioglimento, dato che la costituzione austriaca non prevedeva soluzione a questa contingenza. I n seguito l'intera legislazione awenne per decreti di emergenza. (l) Trattasi di un appello indirizzato al presidente della repubblica austriaca Wilhelm Miklas da parte di un gmppo di personalità cattoliche francesi, tra cui il presidente della « Société thomiste n e fntnro ambasciatore di Francia presso la Santa Sede, Jacques Maritain ed il noto scrittore e storico Maurice Vaussard. L'appello, di cui Sturzo riporta in questo articolo i brani più significativi, venne pubblicato sull'dube del 6 marzo 1934. Si veda più oltre la lettera di S t u n o al presidente Miklas, con la quale aderisce all'iniziativa degli scrittori cattolici francesi. Wilhelm Miklas (1872-1956) membro del partito cristiano sociale, ex segretario di stato per

-

L 3.

- STUPZO - Miscellanea

33 Ladinesc

- 111.


leggerà nè se, dopo averlo letto, egli potrà o . no influire sul suo governo. Noi pensiamo che quel gruppo d i scrittori cattolici ha fatto una buona azione degna d i essere segnalata su questo giornale. Essi si sono messi a en déhors de toute préoccupation politique », ma essi affermano giustamente di non poter dimenticare a qu'il y a des valeurs spirituelles plue hautes que toute politique D. E soggiungono : u Teniamo ad esprimere il profondo dolore che abbiamo provato per il sanguinoso conflitto che ha opposto, in Austria, una parte del mondo operaio e un governo uflicialmente cattolico. u Del resto, un tale awenimento rischia di far portare al cristianesimo delle responsabilità che gli sono estranee. Noi lo consideriamo come una disavventura storica ». Questa considerazione s'impone a qualsiasi mente avvertita e a ogni cuore che palpita per la nostra religione. Noi escludiamo qualsiasi legame tra i fatti di Vienna e i principi cristiani. Ma gli altri, gli avversari di oggi, e più assai quelli di domani, quando la classe operaia avrà superato le convulsioni dell'ora e parteciperà più intimamente alla vita politica, i fatti di Vienna saranno ricordati non certo a favore dei cattolici. Tranne che i cattolici sappiano fin da ora distinguere le responsabilità e mettersi dal lato critico obiettivo. L'appello prosegue ancora interessante. u Uomini che han combattuto con coraggio per una causa che credono giusta hanno diritto al rispetto. Un gran numero di socialisti austriaci sono attualmente detenuti in carcere preventivo. Esprimiamo il voto che i vinti siano trattati onorevolmente dai vincitori e che sopravvenga un'amnistia più larga possibile D. Noi ci associamo al voto degli scrittori cattolici francesi e riconosciamo che questa è la sola via della pacificazione degli animi nel campo operaio e il modo di avvicinare sul serio coloro che sono designati come vinti. Fra i firmatari di questo nobile appello notiamo per primo il culto (1919-1920), era stato eletto presidente della repubbIica il 10 dicembre 1928. Conservò la carica aino al 13 mano 1938, aiiorchè si dimise essendosi rifiutato di firmare la legge dell'Anchluss.

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mons. Beaupin, l'anima dell'Union d'études catholiques internationales, il tomista Jacques Maritain, noto anche all'estero, Maurice Vaussard che per circa dieci anni h a diretto il Bulletin Catholique Znternational, I'abbé Boyreau, uno dei più noti e popolari parroci di Parigi, e molti altri ben conosciuti in Francia. È da augurare che anche in altri paesi i cattolici prendano una simile iniziativa, e facciano sentire ai dirigenti d i Vienna quel che è nella coscienza di molti, ma che fino oggi non è stato espresso, perchè si è atteso il momento in cui una tale parola potesse essere ascoltata e trovare risonanze morali, al di fuori di qualsiasi preoccupazione politica. La domanda di rispetto degli avversari vinti è dettata dal senso d i dovere cristiano; la domanda di amnistia è formulata per il desiderio di pacificazione. Occorre che i cattolici sentano sempre la loro missione pacificatrice. Anche quando essi sono i vinti e gli avversari i vincitori, essi non mancheranno di iipetere la loro parola che viene da una fede che per qualsiasi evento non muore mai, e dovri essere sentita da tutti gli uomini come la consolatrice. Londra, mano 1934.

(E1 Matì, Barcelona, 11 marzo 1934). Arch. 4 A, 3.

LETTERA AL PRESIDENTE MIKLAS (*) Plaudendo all'iniziativa presa da un gruppo di scrittori cattolici francesi di indirizzare un pressante appello, in quanto cristiani, al presidente della repubblica austriaca, signor Miklas, perchè a i vinti siano trattati onorevolmente dai vincitori e perchè venga un'amnistia, più larga possibile 3, invio la mia ade-

(*) Adesione all'appello indirizzato al presidente della repubblica austriaca, Mikias, da un groppo di scrittori cattolici francesi. Cfr. n. 1 dell'articolo precedente.


sione a tale appello e auguro che anche negli altri paesi gli scrittori cattolici seguano questo esempio. LUIGI STURZO Londra, 8 marzo 1934.

(L'Aube, Paris, 14 m a n o 1934).

Applaudissant l'initiative priae par un groupe d'écrivains catholiques frangais d'adresser un pressant appel, en tant que chrétiens, au président de la république autrichienne M. Miklas, pour que « les vaincus soient traités honorablement par les vainqueurs et qu'une amnistie survienne, aussi large que possible D, j'envoie mon adhésion à cet appel et souhaite que dans les autres pays également, les écrivains catholiques suivent cet exemple.

IL PROGRAMMA DI UN PELLEGRINAGGIO I n questi giorni i cavalieri del Sovrano ordine di Malta, in numero di seicento, dalle varie parti di Europa, sono andati a Roma, per un pellegrinaggio giubilare (l). Niente di più edificante e di più cattolico. Se non che, nel programma prestabilito di un così religioso e devoto atto, figura, oltre che le visite giubilari e i ricevimenti del papa, anche un'udienza di Mussolini e una visita all'esposizione fascista. È 1'Aube di Parigi che pubblica la notizia. A prima vista si rimane un po' sconcertati e si crede ad u n errore d'informazione giornalistica. Poi si pensa: Mussolini è un balì dell'ordine ; ebbene, le parti sono invertite ; invece che Mussolini vada con gli altri a farsi il santo giubileo, sono i penitenti cavalieri che vanno a visitare Mussolini. Negli antichi protocolli non esistevano queste confusioni. I1

(l)

L'assemblea dei cavalieri del Sovrano ordine di Malta si era tenuta

a Roma nella eeconda decade del marzo 1934, in concomitanza con l e cerimonie per la conclusione dei a protocolli di Roma D italo-austro-unghere~i. Mussolini aveva ricevuto i cavalieri la sera del 17 marzo, e tenuto loro

un dieeorso.


peggio è ancora la visita all'esposizione fascista. Se i cavalieri di Malta venendo a Roma han preso il biglietto ferroviario col ribasso del 70 per cento, come degli umili borghesucci, e quindi per la regola della concessione sono obbligati a visitare I'esposizione fascista, potevano bene andarvi uno ad uno, senza mettere nel programma una tale triste bisogna. Ma no: i cavalieri di Malta vi andranno in corpo, in un atto di omaggio convinto. Questo è semplicemente ripugnante. L'esposizione fascista dimostra come il potere fu preso in Italia da fascisti con l a violenza. Ricorda le uccisioni e gli incendi che per due anni - dall'agosto 1920 all'ottobre 1922 - si susseguirono nell'alta e media Italia, in una guerriglia civile, vietata dalla legge morale e dalla legge civile. Ricorda la marcia su Roma che fu un atto di ribellione contro il potere costituito. Non importa se questo cedette, la ribellione vi fu. Ricorda le successive uccisioni, essendo il fascismo al potere, i 22 operai di Torino (2) buttati nel Po, l'uccisione di don Minzoni parroco di Argenta (3), l'assassinio di Matteotti (4), le stragi di Firenze e di Pisa (3. (a) La notte tra il 17 ed il 18 dicembre 1922, a Torino, nel quartiere Bamera a Nizza, 22 operai, creduti comunisti, furono assassinati dai fascisti; la maggior parte degli uccisi si trovavano nelle proprie case con le mogli ed i figli. Dopo il delitto alcuni corpi furono gettati nel Po. I fascisti di Torino meritarono un telegramma di plauso del sottosegretario De Vecchi e nei loro confronti fu applicata l'amnistia, motivando l'eccidio con i a fini nazionali n. Questo episodio è ricordato da Sturzo anche in L. STURZO, Italia e fascismo, Bologna, 1966, p. 107. (3) Com'è noto, l'arciprete di Argenta don Giovanni Minzoni (18901923), organizzatore cattolico ed antifascista, venne ucciso a colpi di mazze ferrate il 23 agosto 1923 da due squadristi di Casimaio di Reno. L'uccisione di don Minzoni era stata decretata in una riunione al caffè Folchini di Ferrara, nel corso della quale Italo Balbo consigliò di dare una lezione di stile a al sacerdote che, per la forte personalità ed il prestigio acquistato durante la guerra, impediva la fascistizzazione della zona. (Cfr. L. BEDESCHI,Don Minzoni, Monza 1952 e ID.,Diario di Don Minzoni, Brescia, 1965). (4) Nel pomeriggio del 10 giugno 1924, mentre percorreva il Lungotevere Arnaldo da Brescia per recarsi a Montecitorio, il deputato socialista Giacomo Matteotti era stato aggredito da sicari fascisti che, dopo averlo tramortito e caricato su una automobile, si erano allontanati da Roma lungo


La mostra è là, con i suoi gagliardetti dal teschio di morte per insegna, con i suoi pugnali e le sue bombe, con i fogli di ordine e le notizie celebranti le vittorie della guerra civile e della tirannia. Un popolo ha perduto la sua libertà, due minoranze, la tedesca e la slava, sono oppresse; lo spionaggio e I'OVRA mozzano il respiro a quanti non la pensano come i fascisti. Tutto ciò diviene oggetto d i celebrazione e di omaggio. Il senso morale dei cavalieri di Malta ne dovrebbe essere offeso; e il contrasto fra la concezione cristiana C la concezione pagana della società dovrebbe balzare vivo alla loro mente. Londra, marzo 1934.

(E1 Matì, Barcelona, 22 marzo 1934) Arch. l4 A, 16

la Flaminia. Il cadavere del più acceso oppositore di Mussolini in parlamento (il 30 maggio v i aveva pronunciato una violenta reqnisitoria contro i metodi elettorali del regime) era stato ritrovato tempo dopo, malamente sepolto in una macchia della zona di Riano, non molto lontano da Roma. L'incidente aveva suscitato profonda impressione e sdegno nel paese e provocato la secessione parlamentare dell'Aventino. In seno allo stesso partito fascista si era diffusa un'ondata di panico e si erano avute defezioni. Mus solini assunse su di sè la responsabilità politica dell'assassinio di fronte al parlamento nel noto discorso del 3 gennaio 1925. (Cfr. anche l'articolo n. 21, Dittatori e parlamenti). (5) La notte del 4 ottobre 1925, a Firenze un fascista di nome Luporini intendeva arrestare iliegalmente e tradurre nella sede del fascio un cittadino di nome Becciolini, accusato di antZascismo e di appartenenza alla massoneria; quest'dtho, reagendo u c c i s il Luporini e fu a m a volta ucciso da altri fascisti. Subito dopo gruppi di squadristi organizzarono spedizioni punitive contro awersari politici per vendicare la morte del Luporini. Nella stessa notte vennero assassinati l'ex deputato socialista Gaetano Pilati e l'avv. Gaetano Consolo, altri furono feriti ed altri, che avevano cercato scampo nella fuga, ebbero devastate le abitazioni. Il governo non p m ì i responsabili ma s i Limitò a rimuovere il prefetto e il questore. Analoghi episodi di violenza si verificarono neiio stesso periodo a Pisa ed in seguito a Roma, Parma ed altrove. I fatti di Pisa indignarono il vescovo della città, card. Pietro M&, il quale indirizzò a Mussolini il seguente telegramma: a Come vescovo piango, come italiano arrossisco n.


LA RESPONSABILITA DEGLI AVVENIMENTI D'AUSTRIA Dopo più di u n mese dai « tre giorni di sangue » ( l ) un giudizio esatto e approfondito delle responsabilità non è stato fatto. In Francia, in regime democratico, per i fatti del 6 febbraio di Parigi (a), nei quali si ebbero 15 morti, c'è stata una discussione parlamentare e c'è in funzione una commissione d'inchiesta, che esamina se le responsabilità furono del governo o della polizia o dei partiti o della folla; ma in Austria a regime dittatoriale, dove i morti furono secondo l e statistiche del governo 387, si sono avuti gli omaggi e i trionfi ai capi delle Heimwehren e del gabinetto per avere represso la rivolta socialista. La Vie Zntellectuelle, la nota rivista domenicana di Francia (3), nel numero del 10 m a n o ha pubblicato un articolo molto sereno del dr. Kurt Turmer; il quale dà la colpa principale degli avvenimenti austriaci al fatto che fin da dopo la guerra in Austria furono tollerati da tuttti i governi, compresi quello di mons. Seipel ( 4 ) , le formazioni militari private, fra le quali le Heim( l ) Si riferisce ai fatti di cui negli articoli 6, 7, 7 bis, 9 e 10 della presente raccolta. ( a ) Il 6 febbraio 1934 organizzazioni di destra avevano inscenato a Parigi tumulti contro il governo ed un tentativo di attacco al palazzo del parlamento. Si erano avuti scontri con la polizia in Place de la Concorde. Parecchi i feriti e i morti. I1 governo del radico-socialista Daladier fu costretto a dimettersi. Seguì un gabinetto di unione nazionale presieduto da Doumergue, di cui facevano parte H e m o t per l e sinistre e Tardieu per le destre. Barthou vi assumeva il dicastero degli esteri. Momento grave per la democrazia in Francia, sqnassata dalla crisi economica, dagli scandali finanziari (tra i più noti lo scandalo Stawinsky) e dalla minaccia delle formazioni militarizzate dei partiti di destra. (3) Periodico dei domenicani francesi; uscì dal 1928 al 1940 sotto la direzione di p. Bernadot. Affrontò particolarmente problemi filosofici, storici e scientifici. Dal 1929 affiancò il periodico una collana dal titolo Les documents de la a Vie intellectuelle n. (4) Ignaz Seipel (1W6-1932), sacerdote, studioso di dottrine sociali, entrò nella vita politica austriaca nel 1918 come esponente del partito cristianorociale e deputato di Vienna alla assemblea nazionale. Dal 1921 fu presidente del suo partito. Personalità di rilievo del primo decennio della repub-


wehreu. dei patrioti e il Republikanischen S c h u t z b ~ n ddei socialisti. Da principio l'Austria imitò la Germania nell'armare la gioventù in barba ai trattati e con la tolleranza dei governi; poi i governi furono inabili a sciogliere le armate private che divenivano un pericolo politico e sociale; infine i governi si appoggiarono alle Heimwehren, per lottare prima contro i socialisti e poi dal 1933 contro i nazi. Dollfuss decretò lo scioglimento dello Schutzbund, e non delle Heimwehren. I n Austria è avvenuto lo stesso di quel che avviene in Irlanda. Il governo d i De Valera si è appoggiato all'armata repubblicana ; gli avversari hanno costituito le camice blu, che De Valera ha proibito. È proprio il governo del paese, che dovrebbe essere imparziale e invece tiene a sua disposizione un'armata privata, una specie di pretoriani, a impedire che gli avversari si armino. Però i n Irlanda c'è ancora un parlamento dove si può parlare e protestare, c'è un corpo elettorale che può rovesciare la maggioranza attuale. Invece in Austria Dollfuss da più di un anno h a soppresso il parlamento, h a soppresso le elezioni, e il suo ultimo atto, che determinò la resistenza armata dei socialisti, fu quello di deporre d'autorità le amministrazioni provinciali e comunali dei socialisti, che l'avevano per risultato elettorale. Un problema morale e politico si pone. Poteva Dollfuss come cancelliere, che aveva giurato di osservare la costituzione austriaca, poteva Miklqs come presidente della repubblica che aveva anch'egli giurata la costituzione, sopprimere il parlamento, blica, tenne il cancellierato quasi ininterrottamente dal maggio 1922 aiio aprile 1929, a capo di gabinetti di coalizione dei partiti «borghesi D, dando mano in circostanze di estremo disagio economico, sociale e politico (vedi a questo proposito l'articolo di Sturzo dal titolo: Il problema austriaco in Miscellanea Londinese, vol. I, Bologna, Zanichelli, 1965, p. 224 segg.) al risanamento economico e finanziario del suo paese. I1 partito socialista-democratico era numericamente secondo in Austria, di poco inferiore al cristianosociale, con roccaforte nel circondano amministrativo di Vienna; esso disponeva di una bene armata organizzazione paramilitare, lo Schutzbund. LO fronteggiavano organizzazioni militarizzate di estrazione borghese e di ispirazione nazionalista, l e Heimtcehren. Tollerate in un primo momento come contrappeso alle formazioni socialiste, Seipel aveva sempre più apertamente appoggiato queste ultime dopo la sommossa socialista di Vienna del 15 luglio 1927.


e cambiare la costituzione? I n tal caso, sono essi Miklas e Dollfuss degli usurpatori del potere popolare? Ecco il problema che si sono posti uomini come mons. Beaupin, un internazionalista assai noto in Francia, e J. Maritain il famoso tomista, quando nell'appello al presidente Miklas, pur non entrando i n apprezzamenti politici hanno scritto: « Des hommes qui ont combattu avec courage pour une cause qu'iIs croient juste ont droit au respect D. Essi ammettono che i socialisti nel resistere a Dollfuss han creduto di combattere per una causa giusta, perchè Dollfuss ha violato le leggi costituzionali che reggono l'Austria ed è stato partigiano quando h a voluto il disarmo dei socialisti e ha lasciato le armi alle Heimwehren. Che faranno le camicie blu d'Irlanda quando saranno disarmate, mentre 1'I.R.A. continuerà ad avere bombe e moschetti? Ecco un problema assai grave, che deve far pensare De Valera a portare le cose all'estremo. Noi non ammettiamo la resistenza armata perchè non ammettiamo la guerra civile. E nel caso dei socialisti austriaci, noi sappiamo bene quali responsabilità politiche pesino su d i loro, per la loro politica che comportava un'esagerata tassazione in un paese povero quale l'Austria, e per la loro propaganda antireligiosa in u n paese cattolico. Ma noi sappiamo bene che la guerra civile non è solamente da una parte, è da due parti; e la parte governativa, se non è equanime e osservante della legalità, ne h a la maggiore responsabilità. Intanto la classe operaia di tutto il mondo segue come proprio sacrificio di sangue quello dell'Austria; e le accuse di tutto il mondo vanno a d un governo che si dice cattolico. Perciò i cattolici hanno la cura di precisare le responsabilità e di non solidarizzare con il governo di Dollfuss. Londra, marzo 1934. (The Catholic Herald, London, 24 marzo 1934). Arch. 5 A, 14.


13 bis LA RIVOLTA AUSTRIACA (*) Signore, Per coloro che non hanno letto o non ricordano il mio articolo sull'Austria pubblicato dal Catholic Herald il 24 marzo (') ed invece hanno presente la lettera di Helen Murray all'Editor, pubblicata oggi, devo precisare che il mio articolo esaminava la responsabilità degli avvenimenti sanguinosi del 6, 7 e 8 febbraio, responsabilità politiche anzitutto e morali insieme, perchè ogni azione umana non può sfuggire alla qualifica di moralità o d'immoralità. I1 problema religioso non fu da me posto perchè esulava dal tema; l'accenno alla propaganda antireligiosa dei socialisti fu fatto solo dal punto di vista delle loro responsabilità politiche. Solo non tenendo presente ciò si può cadere nella ingiusta critica in cui è caduta Helen Murray, la quale, spero, non vorrà affermare che l'eccidio di Vienna è giustificato dal fatto che i socialisti erano anticattolici. Purtroppo è molto facile, per coloro che approvano gli atti dei governi dal loro successo (sia esso politico economico o anche religioso) arrivare, senza avvedersene, a giustificare i mezzi per il fine. I1 che è semplicemeote immorale. Infine tengo a d assicurare Helen Murray che mai in trentacinque anni di vita politica ho parlato o scritto a favore di un determinato regime (sia esso la democrazia), in nome della religione e della chiesa; ma sempre in nome delle mie convinzioni, per le quali ho preferito lasciare l'Italia e vivere in esilio.

(The Catholic Herald, London, 5 maggio 1934). Arch. Cart. Articoli Autografi 1929-1934.

(l) Si tratta dell'articolo precedente della presente raccolta.


LA GIUSTIZIA DISTRIBUTIVA I1 padre Faidherbe dei domenicani, col suo recente studio su a La justice distributive » (*) ci richiama ad un problema non ben studiato fin qui, nè da teologi nè da sociologi; ma un problema dei più interessanti e più gravi della vita morale pubblica. I n tutta la società, nei suoi rapporti fra lo stato e i cittadini, fra il municipio e gli amministrati, fra le intraprese economiche e i partecipanti, fra le fondazioni morali e gli istituti culturali e coloro ai quali sono essi destinati, vi è sempre un rapporto di giustizia fondamentale, che se non tocca i limiti della giustizia commutativa (per speciali rapporti di do ut des) resta quasi sempre nell'ambito della giustizia distributiva. Fissare le imposte da parte dello stato in rapport.0 alle varie categorie di cittadini è un atto di giustizia distributiva; come giustizia distributiva è da parte d i una società azionaria, regolare i dividendi facoltativi secondo un criterio di equità. È atto di giustizia distributiva dare agli operai padri di famiglia un salario sufficiente, come è atto di giustizia distributiva l'intervento dello stato per le assicurazioni sociali per l'invalidità, la vecchiaia, la disoccupazione e simili. Non è mancata la teoria che salario familiare o allocazioni familiari o assicurazioni sociali fossero atti di beneficienza, di solidarietà umana, di carità, non mai di giustizia. In questo senso, mentre si approva l'ente pubblico o la società economica che vi provvede, si h a cura di escludere nell'operaio o nel cittadino un qualsiasi diritto ad rem. I1 reclamo alla cosa potrebbe farsi sotto aspetto morale o politico, non mai sotto quello di un diritto. I1 padre Faidherbe, mettendosi sullo stretto terreno teologico, e dal punto di vista tomistico, nel suo importante lavoro, arriva a stabilire la tesi che la giustizia distributiva è realmente giustizia, virtù i n sè completa, e non, come la riguardavano parecchi teologi, elemento potenziale della virtù della giustizia; (*) Librairie du Recueil Sirey, Paris, 1934.


onde arriva a riconoscere nel soggetto csercitante la virtù (stato, enti pubblici, ecc.) che nel creare il bene comune adempie ad un dovere reale verso terzi, e nelle persone alle quali è diretto l'atto di giustizia distributiva, un reale diritto ad esigerla. Noi abituati politicamente alle lotte per le rivendicazioni dei diritti sociali delle varie categorie di cittadini, non ci rendiamo conto delle sottigliezze teologiche. Però, quando vogliamo metterci sul terreno fermo dell'etica naturale, e domandiamo le ragioni morali che ci spingono alle nostre battaglie, per esempio, per il salario familiare, o per l'equità delle imposte e delle spese pubbliche, siamo obbligati a rifarci agli insegnamenti della morale cristiana, e alle applicazioni avute nei vari periodi storici, e a quelle revisioni che si fanno di tempo in tempo, secondo il sorgere di nuovi bisogni e d i nuove questioni. I1 problema della giustizia distributiva è più di attualità oggi che nel passato, anzitutto perchè nella società feudale i rapporti pubblici erano guardati sotto l'aspetto di rapporti privati. Prevaleva il concetto di giustizia commutativa. Ciò non ostante negli scolastici, e specialmente in S. Tommaso, c'è tanto ( e il merito di padre Faidherbe è d i averlo messo i n luce) che è s u 5 ciente, come linee fondamentali, anche per i tempi presenti. I n seguito, nei regimi assolutisti, quando tutto dipendeva dai monarchi o dai signori, il problema politico assorbì quello della giustizia. Furono i tempi deIIe discussioni sul tirannicidio e le lotte fra i monarcomachi e i regalisti. Superato quel periodo con il trionfo dell'assolutismo, i teologi del tempo, in maggioranza ligi al potere, evitarono le discussioni sulla giustizia distributiva, che in sostanza diveniva un trattato sulla giustizia dei re. Billuart ( l ) e Bossuet (2) non concepirono un vero rap(l) Charles Re& Billuart (1685-1757), domenicano francese, autore di una Summa Samti Thomae hodiemis Acadernianrm moribus accommodata (1746-1751, 19 voll.), che fu per oltre un secolo uno dei più importanti manuali di teologia. (a) Jacques Bénigne Bossuet (1627-1704), prelato, scrittore e piedicatore francese. Vescovo di Meaux dal 1681, svolse un ruolo importante nella redazione della Déclarotion des Quatre Artieles dell'assemblea del clero sulla libertà della chiesa francese. Intransigente difensore della fede, lottò contro il giansenismo ed il quietismo, sostenendo, tra l'altro, l'aasolutismo monar-


porto di giustizia fra i l re e i sudditi. Però non mancarono mai le voci dell'etica, e nelle prediche dei celebri oratori francesi (come altrove) c'è tanto quanto basta a richiamare i re al dovere verso i sudditi, anche sotto l'aspetto di giustizia. I1 problema della giustizia distributiva si è posto di nuovo nell'applicazione del regime liberale economico e politico: diritti dei cittadini, diritti degli operai, diritti delle famiglie, diritti delle classi...! tutto un movimento di diritti dei membri verso l a comunità, e u n dovere di questa verso i suoi membri, Non è a credere che la concezione del diritto dei membri verso i l capo - sul terreno sociale - non fosse antica. I parlamenti che garantissero i vassalli e i cittadini dalla pressione fiscale dei re, rimontano all'inizio del secolo XIII. L'Inghilterra, l a Sicilia e l'Ungheria hanno i primi parlamenti. Ma durante i regimi delle monarchie assolute anche i parlamenti o gli stati generali tacevano e s'inchinavano. Le classi garantite, ( e non sempre) erano le classi alte e privilegiate. Allora non si parlava di diritti ma di privilegi. È perciò che il problema della giustizia distributiva si ripropone ad ogni nuova partecipazione delle varie classi al potere politico e a l sistema economico che si vanno svolgendo generalmente con caratteri di reciproco influsso. L'avvento del proletariato alla vita politica e l e varie crisi del capitalismo borghese, rimettono a nuovo tutti i problemi pratici della giustizia distributiva, e ne fanno ancora di più apprezzare il valore. La scuola cristiana sociale ebbe fin dal suo inizio come base incrollabile i l principio della giustizia distributiva. I1 problema che ci si presenta oggi è questo: nella giustizia commutativa c'è u n medium per fissare un rapporto, ed è il do ut des e il facio ut facias, che si rapporta ad un'eguaglianza economico-morale di estimazione. C'è la magistratura che secondo i criteri tradizionali sempre più perfezionati decide nelle vertenze. chico. Membro dell'accademica di Francia, autore del Discorso sulla storia universale (1681), ebbe anche, nel periodo 1671-80, l'incarico di precettore deli'erede al trono. Oratore insigne, sono celebri le sue Orazioni funebri.


C'è u n mediurn pratico nella giustizia distributiva? I1 criterio della saggezza del governo o del direttori0 o del capo, di colui che è investito del dovere di agire secondo giustizia non è sufficiente. La tradizione etica e l'estimazione comune possono aiutare a decidere secondo giustizia. Ma il mediurn vero è la possibilità di reazione da parte di coloro che hanno diritto.ad rem, cioè il riconoscimento pubblico e giuridico del diritto dell'altra parte; il che trasporta il problema della giustizia distributiva dal piano etico ed economico a quello sociale e politico. Londra, aprile 1934.

(E1 Matì, Barcellona 10 maggio 1934). Arch. 8 A, 20.

DISARMO

... SPIRITUALE!

I1 Times del 14 di questo mese nel suo leading article scriveva: u I t is being freely put about in Paris that Germany has started an armaments race, that Herr Hitler is bluffing, that his regime is about to collapse; and it is repeated in half the capitals of Europe - including London - that Germany is making elaborate preparations for an immediate air attack on severa1 countries, which would include the dropping of gas and germs. There is no evidence that the German Government has gone completely mad; but n (*). La lettura di questo passo mi fece domandare a me stesso se il cautissimo Times, sia pure dicendo che non vi sono prove che il governo tedesco sia divenuto matto, non avesse voluto far

...

( 8 ) A Parigi corre voce che la Germania abbia iniziato una corsa agli armamenti, che Herr Hitler stia bluffando, che il suo regime sia prossimo a crollare; e si ripete in metà delle capitali d'Europa - Londra compresa che la Germania sta facendo elaborate preparazioni per u n immediato attacco aereo a più di un paese con lancio di gas e di germi. Prove che il governo tedesco sia diventato completamente matto non ve ne sono; tuttavia D.

...


capire a Berlino che qui si sta attenti alle sue manovre. Dopo una certa inchiesta, mi sono convinto che il Times qualche prova debba averla. Una delle notizie che corrono riservatamente a Londra ( e altrove) è la seguente. cc Nei primi del settembre scorso (1933) il Robert-Koch-Znstitut mandò una circolare a tutte le stazioni sperimentali tedesche riconosciute dallo stato, in particolare al Behring-Werke in Marburg, al Sachrischen Serum-Werke A-G., all'Institut fiir Tropenkrankheiten i n Ausburg, e all'Hygienisches Institut der Universitat Berlin, sotto il titolo : Vertrauliches Rundeschreiben uber die Kulturpathogener Keime (Circolare confidenziale concernente la cultura dei germi patogeni). La circolare contiene varie direttive circa la cultura dei bacilli e la loro pratica trasmissione; in modo speciale viene sottolineata la parte che riguarda la infezione delle acque da bere, e la diffusione dei bacilli della peste e del colera n. Altre informazioni circolano a Londra, ma non ho potuto averne esatti dettagli. Questo però basta a dimostrare che gli studi ai quali sono invitati gli istituti ufficiali tedeschi d i sperimentazione batteriologica nulla hanno a che vedere con la prevenzione e la cura di malattie infettive, ma invece hanno lo scopo della loro rapida diffusione - non certo in Germania - ma presso i popoli nemici. Nessuno può contestare alla Germania il diritto alla sua sicurezza. I1 problema della parità degli armamenti, nel quadro di un disarmo effettivo, e di una garanzia reciproca fra gli stati, non si può discutere, tanto è evidente. Ma non può ammettersi, sotto ogni aspetto, che uno stato prepari freddamente la uccisione di popolazioni civili, a mezzo di germi epidemici quali la peste e il colera ed altri simili. Perchè è da avvertire che la diffusione di simili germi tra le truppe combattenti porterebbe l'epidemia nel campo proprio. Simile arma non può essere diretta che contro le popolazioni civili, nei centri più popolosi e ben distanti dai fronti di battaglia. Lo scopo di questa preparazione è evidente: una guerra lunga come quella del 1914-18 sarebbe distruttiva non solo per il vinto ma anche per il vincitore. La revonche si potrà ottenere


dalla Germania solo con una guerra di sorpresa, rapida e tale da rendere quasi impossibile la resistenza. Uno degli obiettivi verrebbe raggiunto con una diffusione simultanea nei principali centri urbani della peste e del colera. I1 discorso di Baldwin ( l ) e la campagna dei giornali inglesi di questi giorni per una convenzione sulla guerra aerea e un regolare controllo, è sollecitata da preoccupazioni d i un colpo di testa della Germania. Oramai anche coloro che non volevano sentir parlare di sanzioni, e che non volevano che l'Inghilterra prendesse nuovi commitments, cominciano a essere pronti ad accettare impegni per l'osservanza di un patto aereo che comporti il controllo effettivo e le sanzioni efficaci. Che l'Inghilterra si svegli dal suo lungo torpore e cominci a vedere? Purtroppo, il problema non è facile non solo dal punto di vista tecnico e politico, ma principalmente dal punto di vista morale. Non è possibile aver fiuducia in coloro che sono i n mala fede, e che di nuovo ripeterebbero coi fatti la frase di Bethmann Hollwegg che i patti sono pezzi d i carta. Hitler vuole la pace? e prepara la guerra, militarmente, tecnicamente e moralmente. Londra, 23 maggio 1934.

(EE Mati, Barcelona, 26 maggio 1934). Areh. 14 A, 17.

UN PARAGONE

... CHE

NON REGGE

Si tratta del paragone mussoliniano, di recente invenzione, per i1 quale è detto che la guerra è all'uomo quel che il parto

( l ) Trattasi probabilmente di un discorso che Baldwin tenne 1'11 maggio 1934 presso il a Conservative Centra1.Women's Advisory Committee a. In questo discorso Baldwin aftrontò i più importanti problemi politici internazionali del momento, tra cui il disarmo e Ie aree depresse. (Cfr. The threot to liberty, in The Times, 12 maggio 1934).


è alla donna (l). La boutade » non h a significato nè realistico, n è simbolico. Vuol dire forse, il capo dei fascisti, che la guerra è una funzione normale della vita dell'uomo come il parto è normale per la donna? Nessun uomo di cervello sano dirà una cosa simile, come se la natura avesse dato alla donna la funzione di far nascere nuovi esseri umani, e all'uomo la funzione di farli morire. Lo stesso Mussolini, parla anche lui della necessità della pace; forse intende per pace lo spazio necessario per far sviluppare una nuova generazione, d i cui dovrà farsi I'olocausto cruento della guerra periodica. I1 Temps di Parigi (2), come a cacciare una mosca dal naso, scriveva che quella era filosofia che non interessa; mentre interessa la politica. Attribuiva così alla povera filosofia quel paragone abbastanza strano, e invece alla real-Politik la dichiarazione che la pace è necessaria. Di tutto si può accusare Mussolini, ma non di mancanza di logica; la sua filosofia (chiamiamola così) e la sua politica non sono l'una sulle nuvole e l'altra sulla terra, come finge di credere il Temps. A parte il preteso paragone, egli intende che la guerra sia un mezzo di dominio, all'esterno, come'la violenza di parte è un mezzo di dominio all'interno. La sua concezione è materialistica, ed è la concezione del primato della forza. Egli tenta di vestirla d'idealità; la forza (l) In un discorso pronunciato alla camera il 26 maggio 1934, Mussolini, prendendo in esame i più importanti problemi economici del paese e la politica internazionale, affermò tra l'altro: « L a stona ci insegna che la guerra è un fenomeno che accompagna lo sviluppo dell'umanità (...) La guerra sta all'uomo come la maternità aila donna ». Pur auspicando un lungo periodo di pace per l'Italia, il duce n si disse sicuro che il popolo italiano avrebbe affrontato qualsiasi awenimento con a disciplina cosciente n e a volontà ferma D (cfr. il testo del discorso in L I Popolo d'Italia 27 maggio 1934). (a) L'ltalie et la politique & paiz, in Le Temps, 28 maggio 1934. Trattasi di un editoriale in cui si esaminano gli aspetti positivi del discorso d i Mussolini del 26 maggio 1934 (cfr. nota precedente). I1 quotidiano francese auspicò che il lungo periodo di pace, che Mussolini disse necessario per l'Italia, avrebbe potuto contribuire a a creare una vera solidarietà tra i popoli in buona fede B.

4.

- SWRZO - Miscellanea

Londinese

-

IIT.


come espressione di valore, di virtù (nel senso latino antico), di coraggio; l a forza a servizio della nazione; la forza mezzo di formazione di élites di dominio. I n questa teoria, la guerra diviene normale. Non è più, come l a concepivano gli antichi, il mezzo ultimo per rivendicare un diritto o per respingere un'aggressione. Non è più come si concepisce dai moralisti un mezzo solo lecito quando, svolti tutti gli altri mezzi pacifici, si presenta come necessaria e come giusta. Non è più, come si può concepire oggi in un sistema di patti internazionali, un crimine. No; la guerra, secondo Mussolini, è un atto voluto dalla natura, necessario allo sviluppo delle virtù virili, così degno come è degna la maternità. I n questo momento di turbamento di coscienze e di sospetti fra i popoli, quando le esasperazioni nazionaliste rendono difficile il disarmo, e la corsa agli armamenti sembra il preludio d i una nuova guerra, i veri cristiani, gli uomini responsabili, coloro che veramente amano la umanità, dovrebbero fare i l maggiore sforzo possibile per rianimare lo spirito di pace, l'organizzazione della pace, non solo nella pratica, ma anche nelle idee; perchè le idee sono quelle che presto o tardi si concretizzano nei fatti. Le idee e solo l e idee sono quelle che guidano la storia. Londra, giugno 1934.

(EL Mati, Barcelona, 6 giugno 1934). Arch. 5 A, 7.

SU DUE PIANI DIFFERENTI Le democrazie, che credevano essere la più perfetta e definitiva forma politica di governo, sono oggi assalite con accanimento fino alla morte dai vari fascismi sorti dopo la guerra. Anche prima della guerra le democrazie vennero assalite dal socialismo (allora il comunismo contava poco). Ma dopo varie fasi rivoltose ( p i ù che rivoluzionarie) il socialismo si addomesticò col parlamentarismo, divenne perciò possibilista e di go-


verno come in Germania, in Austria, in Inghilterra, nel Belgio, nei paesi baltici e da ultimo in Spagna e in Svizzera. Non per questo il socialismo aveva rinunziato alla sua finalità rivoluzionaria per abbattere l'ordine democratico-borghese; nè all'impiego, occorrendo, di mezzi violenti, (come tentò nel febbraio scorso in Austria); ma nel complesso ha accettato i l metodo della libertà, il sistema rappresentativo, l'evoluzione pacifica dello stato. Cioè si è messo, sia pure per pura tattica, sul piano delle democrazie. I fascismi, no; quali essi siano, una cosa è certa; metodi e organismi politici sono sul piano della violenza di piazza e dell'assolutismo del potere. Se accettano la consultazione popolare, questa è regolata in antecedenza in modo da togliere non solo la sostanza della libertà ma anche la parvenza; i consensi che cerca sono quelli della folla suggestionata, non quelli di un popolo libero. Messi così su due piani differenti, democrazie e fascismi, con mentalità, metodi, finalità diverse e perfino opposte, non possono non negarsi a vicenda e quindi non arrivare ad un conflitto che dalle regioni ideali o spirituali, deve discendere nella vita pratica sia di ogni singolo stato sia degli stati nei loro rapporti reciproci. È vero che la vita pratica comporta dei compromessi, che la vita delle idee non può ammettere ; ma arriva sempre il momento che i compromessi pratici non reggono più di fronte alla forza delle idee. Mussolini, arrivando al potere (dopo la marcia su Roma) volle formare un ministero di coalizione con i partiti democratici e popolari, volle il voto della camera sui pieni poteri (ottenuti dopo un discorso minaccioso ( l ) ; lasciò la libertà di riu-

( l ) Mussolini pronunciò il discorso qui menzionato avanti ai due rami del parlamento il 16 novembre 1922. Vi ebbe a dire tra l'altro a [...I. Mi sono rifiutato di stravincere e potevo atravincere. Mi sono imposto dei limiti. Mi sono detto che la migliore saggezza è quella che non si abbandona dopo la vittoria. Con trecentomila giovani armati di tutto punto decisi a tutto e quasi misticamente pronti ad un mio ordine, io potevo castigare tutti coloro che hanno diffamato e tentano di infangare il fascismo. Potevo


nione e di stampa ( p u r mantenendo le squadre armate). Ma tanto i fascisti quanto i democratici e popolari compresero SUbito che non era possibile il compromesso: la vittoria e la sconfitta, il trionfo e la scomparsa erano lo sbocco naturale. Vinse e trionfò il fascismo e i democratici e popolari dovettero rinunziare alla lotta o fuggire all'estero. Questa storia si è ripetuta in Jugoslavia, in Polonia, in Germania, in Austria; la provò la Spagna per otto anni; e così altrove con le varietà dovute alla storia e al temperamento di ciascun paese. Anche nel Belgio, nella Francia, nell'Inghilterra, nell'olanda, ultimi bastioni delle democrazie occidentali, oggi si affacciano fascismi e pseudo-fascismi; governi e partiti sono incapaci a fronteggiarli perchè i piani di lavoro e di combattimento sono diversi (2). I fascisti cominciano con la propaganda della violenza e trovano un terreno adatto, formato dalla esperienza della guerra e acuito dalle crisi economiche e morali del dopoguerra. I democratici non hanno più lo slancio della propaganda, sono logorati dal potere e poco fiduciosi nei loro stessi ideali. Non si dà pro-

fare di quest'auia sorda e grigia un bivacco di manipoli. Potevo sprangare il parlamento e costituire un governo esclusivamente di fascisti. Potevo: ma non ho almeno in questo primo tempo voluto n. era stato denunciato dal ( 2 ) I1 problema del u filofascismo montante pubblicista e storico inglese Wickham Steed nel settembre 1933. Questi aveva detto a proposito dell'inerzia, quando non del favore che le nazioni ed i governi democratici per eccellenza accordavano al fascismo ed allo stesso nazismo: a [...I Mi sembra talora che si sia alla vigilia, se non anzi nel bel mezzo, della crisi più grave e profonda dena storia della civiltà occidentale. Gli Stati Uniti, la Francia, la Svizzera, il Belgio e gli altri paesi fondati su una base democratica e liberale si trovano in presenza di un gruppo di sistemi nascenti che non hanno con loro nulla in comune. Sistemi basati sullo scatenamento della violenza e sullo schiacciamento dei diritti dell'iudividuo [...l n. La tesi di Steed era stata ripresa e divulgata negli ultimi mesi del 1933 da una autorevole associazione degli u amici dell'Europa n, a cui Stuno non dovette essere estraneo. Sulla penetrazione del fascismo in Europa vedi SALVATOBELLI-MIRA, Storia d'Italia nel periodo fuscista, cit. pp. 739-743. Un bilancio u europeo n del fascismo nel fascicolo del decennale (ottobre 1932) della rivista mussoliniana Gerarchia.


paganda senza fede. D'altro lato essi non hanno mezzi adatti per opporsi alla violenza. Un mezzo sarebbe la polizia e l a giustizia criminale applicate contro ogni atto di violenza. Ma quando la propaganda ha preso una larga zona di gioventù, e gli atti d i violenza si sviluppano su larga zona, non si può contare solo sulla polizia, nè si può avere completa fiducia nella magistratura. Nel fatto, in Italia e in Germania buona parte della magistratura anche sotto i regimi liberali si mostrò favorevole ai fascisti e ai nazi, per un complesso di cause che sarebbe superfluo enumerare. Conta molto la posizione anti-comunista, anti-bolscevica, anti-marxista e filo-nazionalista presa dai fascisti, per avere l'appoggio di una parte della borghesia ricca, dell'intellettualità, della magistratura e della burocrazia. Ciò non ostante, secondo l'opinione di parecchi uomini politici di Germania e d'Italia, nè il nazismo nè il fascismo sarebbero arrivati al potere senza la connivenza o debolezza dei due capi di stato. Sarà vera questa osservazione; nei vari casi, si potrà stabilire storicamente la loro maggiore o minore responsabilità nel cedere alle pressioni fasciste; però i capi di stato di fronte alle situazioni complesse non hanno quasi mai alternativa. Nè si può contare mai sul loro coraggio dell'ultima ora, quando la situazione sia compromessa da ben lungo tempo. La verità è che la lotta si combatte su due piani diversi; le democrazie non hanno n è i mezzi della propaganda da controbattere, nè quelli della violenza da opporsi alla violenza. C'è però un mezzo, ed è interessantissimo, ma nessuna democrazia l'ha impiegato fin oggi, ed è quello della moralità. Occorre negare il fascismo e il nnzismo in nome della moralità; occorre portare la lotta sul terreno morale, e solo su questo piano incontrare il fascismo. Questo è un piano comune. Non c'è azione umana che non sia morale o immorale; non c'è teoria politica che non si possa rapportare sul piano etico e giudicare morale o immorale. Gli inglesi che oggi combattono il fascismo dicono: non è u n sistema politico che si confà allo spirito britannico; sarà buono per altri paesi non per noi. Al che i fascisti han buon gioco di


rispondere: Non sarà il nostro sistema buono per gli inglesi d i ieri, ma sarà buono per gli inglesi di domani. I partiti nazionali francesi anch'essi si oppongono a l fascismo che secondo loro non risponde a au génie d e la France n. Allo stesso tempo essi non mancano di lodi per l'Italia fascista, per il duce, per il suo governo e per le sue imprese. Ora son sorti in Francia i fascisti di sinistra, che accettano i metodi della violenza, per combattere, essi dicono, i fascisti di destra, che vogliono trasformare la democrazia francese in oligarchia. Così, divenanno fascisti tanto i destri che i sinistri, non ostante che il fascismo non sia adatto al genio della Francia! Fascisti nello spirito sono gli estremisti fiamminghi e fascisti anche d i nome sono i dinasos del Belgio; dove anche filo-fascista è la destra cattolica. Nessuno d i essi si pone il problema morale del fascismo. Purtroppo, dappertutto l'unica arma che ancora rimane alle democrazie è messa in disparte; l'arma con la quale dovrebbe denunziarsi (come fece il papa nell'enciclica a Non abbiamo bisogno D) (9) la teoria fascista dello stato, come dell'individuo, la teoria della violenza privata come mezzo di farsi valere politicamente, la teoria dell'unicità di un partito armato come classe d i domioio su tutti, la teoria della giustizia subordinata al potere esecutivo, la teoria dell'economia privata sottoposta intera. mente allo stato, la teoria che toglie o attenua tutti i diritti della personalità umana. La colpa di dimenticare i valori morali sul piano politico è una colpa generale; è questa una vera atonia morale, che non è difetto di un solo partito o di un sol gruppo, ma di tutte le classi dirigenti, delle élites politiche e dei responsabili della cultura intellettuale e morale dei paesi civili. È perciò che la crisi di oggi, che porta verso i fascismi, i bolscevismi e tutte le tirannie politiche ed economiche, è soprattutto la crisi morale dello classe dirigente. Londra, giugno 1934.

(3 Cfr. la

(L'Aube, Paris, 29 giugno 1934). Arch. 14 A, 20.

nota 2 deii'articolo n. 2 delia presente raccolta.


CONTROPROVA I1 nazionalismo eretto a sistema politico ed economico porta necessariamente ad un orientamento di autosufficienza per arrivare a vivere una propria vita chiusa in sè e con le sole proprie forze. Questo ideale in economia si chiama autarchia e in politica isolamento. La Russia, per realizzare un ideale comunista, tagliò i ponti con la civiltà occidentale, chiuse i confini, organizzò una propria economia, non volle contatti impuri. A poco a poco si accorse che, non ostante essa fosse la più vasta unità politico-economica del mondo e avesse tutte le materie prime necessarie allo stato e avesse tutte le condizioni adatte per essere self-suficient, aveva bisogno del contatto, degli aiuti, dei prestiti di uomini e di denaro degli altri paesi. L'esperienza è continuata; il pericolo del Giappone l'ha avvicinata agli stati del confine occidentale. I1 SOspetto di una Germania ai fianchi, d'intesa con la Polonia, l'ha riavvicinata alla Francia e agli stati baltici. Infine si prospetta la possibilità di un'entrata della Russia nella Società delle nazioni .... la controprova è fatta: la Russia non può isolarsi dal mondo né economicamente nè politicamente. E la Germania? la sua razza ariana pura le fa avere in orrore l'ebreo; la sua dignità offesa dal sistema di Versaglia le fa sbattere la porta a Ginevra. Occorre che la Germania basti a se stessa. In due anni di aspro e duro nazionalismo la bilancia commerciale della Germania è divenuta deficitaria; il commercio interno si è contratto; il marco h a perduto quasi per intero il suo ancoraggio nell'oro; e la moratoria per i debiti esteri è stata proclamata ; e Hitler corre da Mussolini a cercare quell'aiuto che gli renda possibile uscire dall'isolamento (l). (l) Hitler era stato ospite in Italia nei giorni 14 e 16 giugno 1934, ed aveva avuto abboccamenti personali con Mussolini nella villa Pisani di Stra ed a Venezia. Entrambi i capi di stato avevano sperato che l'incontro ed il rinsaldamento dei motivi di solidarietà ideologica avrebbero aiutato


Veniamo all'Italia. Il suo nazionaiismo non è stato mai così acuto da isolarsi completamente dal mondo; però l'esperienza che h a fatto il fascismo dell'economia diretta e dell'autarchia, sulla base di una lira rivalutata al di l à delle possibilità naturali, è stata disastrosa più o meno, come le esperienze russa e tedesca. Nel discorso del 26 maggio (2) il duce ha dovuto confessare che l a situazione finanziaria è grave, ed ha fatto appello a tutte l e forze del paese. Nello stesso tempo, decreti draconiani han vietato l'acquisto di titoli e di divise estere ed hanno fatto obbligo a tutti d i denunziare i titoli esteri che posseggono. I1 regime chiuso appella sempre nuovi provvedimenti in questo senso, fino ad arrivare alla sterilizzazione dell'economia che mancherà d'aria e d i vita. Politicamente l'Italia fascista oscilla fra questa'o l'altra combinazione, giocando i l ruolo di intermediazione o d i peso di compensazione, secondo i casi. Così contribuisce alla incertezza politica dell'Europa e al suo proprio isolamento di diffidenza e d'incapacità a creare un sistema stabile attorno a sè. La rassegna può continuare. L'isolamento non è nell'ordine naturale nè per l'individuo nè per i popoli. I1 mutuo aiuto, l a mutua intesa, il bisogno dell'uno dell'altro è nella natura delle cose. L'isolamento è dovuto ad egoismo, quali che ne siano l e cause prossime, e l'egoismo è il peggiore stato d'animo per gli individui e per i popoli. Anche il contatto per interesse e vantaggio proprio, siccome s i risolve in contatto reciproco e in mutua intesa, è sempre superiore a l distacco. Le teorie nazionaliste, razziste, di autarchie economiche, di a dissipare gli equivoci e gli antagonismi che si erano addensati negli ultimi tempi. Da parte sua Mussolini non disperava di imporre al partner una collaborazione italo-tedesca conforme alle proprie ambizioni di penetrazione politica ed economica nell%uropa danubiana e di salvaguardia dello statua interno austriaco. I risultati dell'incontro furono tutt'altro che positivi. In una atmosfera di gran disagio, Hitler ribadì la propria posizione intransiAMISI, lourna1 1932-1936, Plon, Parigi, gente verso l'Austria (Cfr. POMPEO 1957: note al 14 e 15 giugno 1934). (1) Cfr. la nota l dell'articolo n. 16 della presente raccolta.

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paesi self~uficientsono teorie egoiste, che non reggono al confronto con la realtà vivente, La controprova è sempre là a dimostrarlo, con i suoi effetti spesso disastrosi e qualche volta anche felici. Londra, giugno 1934.

(W.Matì, Barcelona, 11 giugno 1934). Arch. 2 A, 19.

CAPI DI STATO E DITTATORI Al sentire che Hitler, per sventare un complotto più o meno reale, aveva fatto ammazzare dalla polizia l'ex-cancelliere e generale von Schleicher, e due collaboratori d i von Papen, aveva fatto fucilare o ammazzare a bruciapelo una sessantina di capi nazi, altri costretti al suicidio, tutto ciò senza processi, senza l'ombra della legalità (l), senza nessuna garanzia umana... Sup-

(l) Adducendo a pretesto la preparazione di un complotto ai propri danni, il 30 giugno 1934 Hitler, coadiuvato dalle formazioni di Himmler e di Goering, aveva scatenato una sanguinosa purga contro l'ala radicale del partito - l e Stunnabteilungen di Rohm - che premevano per l'attuazione dei presupposti socialistici della rivoluzione nazista, e per ottenere l'egemonia nella nuova Reichswehr. Le irrequiete ed ingombranti formazioni armate di Rohm erano in questa occasione sacrificate all'accordo di Hitler con l'esercito (Cfr. WWEELER-BENNFPT, Lo nenesi del potere, Feltrinelli, Milano, 1957, p. 346 segg.). Nel corso della purga caddero numerose personalità estranee alle rivalità di partito, vittime della ragione politica o di risentimenti personali. Tra questi, i generali von Schleicher e von Bredow, accusati da Hitler, nel discorso al Reichstag del 13 luglio seguente, di alto tradimento per aver tramato con Rohm e cercato l'appoggio di una potenza straniera; cadde Briining, e furono assassinati i più stretti collaboratori del vice-cancelliere von Papen, Edgar Jung, Herbert von Bose, Ench Klausener. Papen, che aveva pubblicamente preso posizione contro gli eccessi del regime nel discorso del 17 giugno all'università di Marburgo, riuscì a porsi in salvo. Nel discorso al Reichstag del 13 luglio successivo, Hitler diede la cifra di 77 caduti durante la a rivolta n. Al processo di Monaco, nel 1957, si


poniamo che Hindenburg avesse pensato di ritirare la sua fiducia a Hitler e scegliere un altro per cancelliere: ciò sarebbe stato suo diritto, ma avrebbe potuto egli farlo? Questa domanda facevo a me stesso ieri a leggere gli orrori delle giornate del 30 giugno e del 1 luglio in Germania. Stamane leggo invece sui giornali che Hindenburg ha inviato un telegramma a Hitler « p e r ringraziarlo profondamente di avere salvato il popolo germanico da un grave pericolo D. Ecco il molo dei capi di stato in regime d i dittatura! Quello stesso Hindenburg che ai cancellieri Miiller o Briining o Schleicher (1) spediva lettere severe se credeva ch'essi o il Reichstag deviassero dalla linea costituzionale e perfino da una politica conservatrice, e che mandò a spasso Briining e Schleicher per non approvare le misure ch'essi volevano prendere a danno della proprietà feudale degli Junkers prussiani, oggi non h a null'altro da fare, di fronte ad una carneficina a freddo compiuta da Hitler e da Goering, che mandare un telegramma di ringraziamento. Si potrà dire che Hindenburg oggi è più vecchio di ieri e per giunta ammalato, che forse ignora la realtà dei fatti e li conosce solo attraverso la versione ufficiale (che ha avuto cura d i rilevare il fango sodomita degli ex-collaboratori nazi, come se fino a ieri il puro Hitler non ne sapesse nulla), che infine Hindenburg ha dovuto fare buon viso a cattivo gioco. Tutto ciò, se può attenuare la sua responsabilità ~ e r s o n a l e , non modifica la posizione effettiva che viene fatta dai dittatori ai capi di stato, i quali, una volta dati i poteri ad uomini che

accertò che gli uccisi furono più di mille. Un decreto-legge del 3 luglio 1934 legittimava retroattivamente gli assassini e le atrocità del 30 giugno e dell'l e 2 luglio, in quanto atti per la difesa dello stato nei confronti di persone colpevoli di alto tradimento. (2) Hermann Muller, (1867-1931), socialdemocratico, fu cancelliere dell'ultimo governo di coalizione democratica della repubblica di Weimar. Dimessosi nel marzo 1930, era succeduto il gabinetto di Heinrich Briining (n. 1885), capo parlamentare del partito cattolico del Centro. I1 generale Knrt von Schleicher (1882-19341, esponente dei circoli militari presso Hindenburg, dopo aver favorito la formazione del gabinetto Papen, era succeduto come cancelliere delì'ultimo gabinetto prenazista.


si chiamano Mussolini, Hitler, Dollfuss, non hanno la libertà d i revocarli. Forse che Miklas, presidente dell'Austria, avrebbe potuto dire una parola di biasimo a Dollfuss e ritirargli la sua fiducia se avesse creduto che questi aveva ecceduto nella repressione del febbraio scorso? Al più poteva dimettersi da presidente com'era corsa voce. Anche di Vittorio Emanuele 111, re d'Italia, più volte è corsa voce che avrebbe abdicato per non rendersi corresponsabile della violazione della costituzione e di fatti immorali quali l'assassinio di Matteotti (3). Ma Mussolini prese il passo avanti: stabilì che il gran consiglio dovrà dare esso il suo parere sulla successione al trono. Così il dittatore la vinse sul re quando pose una condizione politica al vecchio diritto automatico del primogenito reale a succedergli. I1 re d'Italia è rimasto al suo posto. Del resto, le velleità di dimissioni che potrebbero avere tali presidenti o d i abdicazioni reali sussurrate a mezza voce, sono subito superate per il senso di pericolo - vero o no - che correrebbe lo stato, e forse anche dalla speranza segreta che un giorno o l'altro la dittatura finisca. La realtà vera è che la figura d i capi d i stato irresponsabili e di un governo responsabile nasce da un sistema logico e politico assai diverso da quello dal quale nasce la figura del dittatore moderno. I1 capo di stato non responsabile suppone u n regime costituzionale, un governo responsabile, l'impero della legge, lo stato di diritto e il metodo di libertà. I1 dittatore moderno suppone un regime d'autorità senz'altra legge che la forza, il dominio di u n partito unico basato sulla violenza, nessuno stato di opinione ma il cosidetto stato totalitario. I1 dittatore prende così i1 soprawento sul capo d i stato, il quale diviene impotente a licenziarlo ed è obbligato ad approvarne tutti gli atti, anche quelli che violano le leggi umane e divine. Hitler ha fatto decretare dal suo governo una legge post-factum, per la quale gli assassinii o esecuzioni sommarie senza al-

(3) Cfr. nota 4 all'articolo n. 11 deila presente raccolta.


cuna forma legale fatte il 30 giugno e seguenti sono riconosciuti legittimi; Hindenburg firma la legge. Allo stesso modo nel dicembre 1922 il governo di Mussolini dichiarò amnistiati tutti gli assassinii e altri simili delitti fatti fino allora dai fascisti a scopo nazionale, e il re d'Italia firmò il decreto. Londra, luglio 1934.

(E1 Matì, Barcelona, 7 luglio 1934). Arch. 5 A. 5.

EQUIVOCO! Dunque, secondo u n comunicato officioso del governo di Hitler, l'uccisione del dr. Klausener (l), capo dell'azione cattolica di Berlino, è stata fatta per un equivoco. Se invece di uccidere sul colpo nemici e pretesi nemici del regime, li avessero chiusi in prigione e poi avessero fatto dei regolari processi, come nei paesi civili, allora l'equivoco si sarebbe scoperto e il dr. Klausener non avrebbe perduto la vita. Quanti equivoci dovranno contarsi in Germania nel massacro del 30 giugno non !o sanno neppure gli autori e i responsabili. Lo sanno solo o lo suppongono le famiglie delle vittime, che si sono viste in poche ore privare violentemente dei loro cari, senz'altra ragione che un supposto complotto, che in ogni (l) Erich Klausener, capo dell'azione cattolica tedesca e direttore generale al ministero delle comunicazioni, era stato assassinato nel suo utlìcio nel corso della purga del 30 giugno (cfr. l'articolo precedente della presente raccolta) da due agenti della Gestapo, i quali si erano poi allontanati tenendo sotto la minaccia delle pistole gli impiegati che tentavano di intervenire. La morte di Klausener aveva suscitato profonda impressione negli ambienti cattolici della Germania. Il regime accreditò la versione che Klausener, al quale la Gestapo avrebbe richiesto informazioni, si sarebbe tolta la vita. William L. Shirer (Storia del Terzo Reich, Einaudi, Torino, 1962, pp. 239 e 244) collega l'assassinio al fatto che Klausener era coilaboratore di Papen ed aveva ispirato, insieme a Bose, il discorso di Marburgo del 17 giugno. Il resto del gruppo Klausener, compresa la segret a n a baronessa Stotzinger, fu internato in un campo di concentramento.


altro paese civile si sarebbe liquidato con qualche anno d i pri. gione. All'equivoco confessato e non confessato, si sono aggiunti tali particolari, che aggravano le responsabilità del governo e dei capi nazi. La prima notizia data sul caso Klausener (come per altri casi) fu ch'egli si era suicidato. Protestò la famiglia, protestarono i cattolici di Berlino in quelle forme che sono possibili in un regime di terrore. Levò la voce L'Osservatore Romano in nome della memoria del capo cattolico assassinato. Klausener non si era suicidato, come altri parecchi non si erano suicidati. L'infame voce fu diffusa per provare ch'essi erano fra i complottanti e che scoperti si diedero da sè la morte, e anche per diminuire la responsabilità dei crimini commessi (a). Per alcuni sembra certo che l'intimazione del suicidio fu data dagli sgherri di Hitler come alternativa dell'esecuzione immediata. Anche con il Rohm (3) fu usata la stessa intimazione; egli rifiutò di suicidarsi e fu ammazzato sul colpo. Ma non è finita la prova della malvagità per equivoco. I1 Klausener cattolico avrebbe dovuto avere funerali e sepoltura cristiana ; quel che reclamava la famiglia. No ; il corpo del Klausener (come quello degli altri assassinati) fu cremato, certo contro la sua volontà, contro la volontà della famiglia, contro le leggi della religione cattolica, contro ogni umanità. Forse si voleva nascondere la prova che non di suicidio ma di vero assassinio si trattava nel caso di Klausener. Ma abbisognano prove contro una presunzione sicura della coscienza di tutti?

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(2) L'Osservatore Romano, 2-3 luglio 1934, in una nota senza titolo, respinse energicamente l'ipotesi secondo cui a membri eminenti dell'azione cattolica n tedesca, tra cui il presidente Klausener, « s i sarebbero suieidati per sottrarsi ali'arre~ton. ((Innalziamo alla sua memoria - concludeva il quotidiano cattolico - un commosso, reverente cristiano pensiero, rievocando le nobili parole che egli ha testè pronunciato alla solenne adunanza dei cattolici berlinesi [il 28 gennaio 19341. Esse resteranno scolpite nel cuore della gioventù tedesca siccome testamento di singolare pietà, di fervido zelo, di amore esemplare per la chiesa e per la patria n. (3) E. Rohm (1887-1934), ufficiale, capo delle S. A. nel 1925, capo di stato maggiore nel 1931, ministro del Reich nel 1933, venne ucciso il 30 giugno 1934. (Cfr. anche nota 1 articolo precedente).


Altro particolare che getta luce ancora più sinistra sul governo nazi è quello dato dal Times, che afferma che fu negata l'assistenza religiosa a coloro dei destinati alla morte (non possiamo chiamarli condannati) che l'avevano chiesta. Quale più atroce barbarie? Ricordo le storie dei famosi briganti della Calabria e delle Romagne di un secolo fa, che avevano la cura di awertire le loro vittime che per essi era suonata l'ora estrema e che pensassero a riconciliarsi con Dio. Ma i nazi sono peggiori dei vecchi briganti calabresi e romagnoli. I1 Times ed altri giornali h a m o scritto che la Germania di Hitler è un ritorno al medioevo. Ciò è diffamare il medioevo. Allora il sistema statale non era affatto totalitario; al contrario Molte volte le vittime dei potenti scappavano al loro destino col varcare la piccola frontiera di una contea o di marchesato, ovvero entrando in una chiesa, o salvandosi in un'abazia. Allora bastavano monaci e vescovi a calmare i tiranni e pacificare i popoli; e i terribili fatti di sangue che accadevano erano nel quadro dei costumi rozzi e feroci di tutto l'ambiente, corretti però da un senso di giustizia e di cristianesimo che non mancava. I sicari di S. Tomaso Becket furono condannati da giudici regolari ed Enrico d'Inghilterra fece pubblica penitenza. Si pensa che Hitler farebbe lo stesso? o che l'abbia fatto Mussolini per I'asstissinio d i Bfottcotti? I nazi (come i bolscevichi e i fascisti di tutte le tinte) han rinnegato il senso della civiltà cristiana, anche quella vigente nel medioevo feroce, e per di più hanno creato uno stato totalitario che non ammette scampo. Le frontiere sono chiuse, i passaporti negati, coloro che possono scappare all'assassinio, ai campi di concentramento, alle vessazioni morali e materiali di ogni sorta, sono i fortunati che vanno raminghi e poveri i n terra di libertà, quali la Francia, l'Inghilterra, il Belgio, e altre poche. Non è il medioevo che è tornato in Germania; è una barbarie senza lume di civiltà e di religiosità; barbarie fatta di cinismo egoistico, di fango morale, di persecuzioni di razza e di assassini, i n nome di una divinità sanguinaria che si chiama ingiustamente la nazione. Londra, 9 luglio 1934. (E1 Mati, Barcelona, 13 luglio 1934).

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Arch. 5 A, 1.


DITTATORI E PARLAMENTI

I dittatori non aboliscono i parlamenti; sanno bene che non ostante tutte le più aspre critiche contro, i parlamenti conservano ancora un certo prestigio, come quei nobili decaduti e ridotti in miseria che hanno ancora il vecchio titolo, che li rende rispettati. E se ne servono: o per decorazione di atti solenni, o come un coro scelto d i approvazioni e di lodi o come mezzo per giustificare misfatti... I1 parlamento serve ancora a qualche cosa! Si comprende che per adempiere a questa funzione da basso impero occorre che il parlamento sia riformato nella sua essenza, pur conservando il titolo e possibilmente un certo numero di vecchi uomini del passato, che diano l'impressione della continuità. I n Italia si conserva ancora (accanto agli anni dell'era fascista) l'antica numerazione delle legislature parlamentari, come se l'attuale parlamento fosse lo stesso di quelli del 1848, a Torino, del 1861 a Firenze, del 1914 e 1919 a Roma. Anzi, di più; si conserva anche il senato di nomina regia, dove tuttora un terzo dei senatori sono entrati prima del fascismo benchè ora tutti filofascisti tranne quattro o cinque oppositori, o all'estero come Sforza ovvero ridotti al silenzio come Croce e Albertini; la presenza di questi ultimi serve a giustificare la pretesa libertà del senato. La realtà è un'altra; sia per i sistemi elettorali, sia per i metodi dittatoriali, sia per la concezione totalitaria dello stato fascista, i parlamenti non sono più la voce libera del popolo, la partecipazione dei ceti scelti al potere legislativo; il controllo legale al governo, quale organo esecutivo; niente di simile concezione. I parlamenti in regime di dittatura perdono ogni autonomia, non hanno possibilità di affermare un pensiero diverso da quello del governo, finiscono nell'inazione completa, salvo che la tromba dittatoriale li desti dal letargo. Mussolini, pressato dalla stampa e dall'opinione pubblica a lui contraria per il delitto Matteotti, con i discorsi del giugno 1924 davanti alla camera e al senato riuniti insieme (gli oppositori assenti) cercò d i giustificarsi, e poi con quello del gennaio


1925 assunse su di sè tutti i delitti e le violenze fasciste commesse fin allora a scopo nazionale (l). Così rese indenni i suoi collaboratori dalle pene che meritavano, elevò i crimini fascisti a necessità e utilità statale, salvò sè stesso e provocò i dissensi e gli applausi d i deputati e senatori che per ciò stesso divennero con lui corresponsabili dei delitti di stato! In quel tempo l'opposizione socialista popolare e liberale aveva abbandonato il parlamento, e poscia fu sbandata, con il metodo imitato da Dollfuss, dichiarando i deputati ostili decaduti dal mandato. Ora è il turno di Hitler. I socialisti messi fuori legge, il centro cattolico disciolto (=),egli può contare sul Reichstag come sopra un'assemblea fidatissima. I1 13 luglio non c'è von Papen, non c'è Briining, non ci sono i dieci deputati ammazzati; speriamo che gli altri assenti siano dell'ex-centro cattolico. La gran maggioranza è là; tutti applaudono Hitler calorosamente, mostrano ostilità verso le sue vittime, danno così l'approvazione più inconsciente e vile al barbaro macello hitleriano. Sono tutti convinti di ciò? Non importa; sono là anche coloro che in coscienza pensano che Hitler abbia agito come un mostro d i ferocia o come un epilettico incosciente; ma essi non possono parlare, gridargli i n faccia la verità e disimpegnare la propria coscienza dalla solidarietà morale e politica con i suoi

...

( l ) a Se il fascismo è stato una associazione a delinquere, io sono il capo di questa associazione a delinquere. Se tutte le violenze sono state il risultato di un determinato clima storico, politico e morale, ebbene a me l a responsabilità di questo, perchè questo clima storico, politico e morale io l'ho creato con una propaganda che va dall'intervento ad oggi...n. Mussolini, discorso alla camera del 3 gennaio 1925. (2) I1 partito socialdemocratico era stato sciolto d'autorità dal ministro degli interni Frick con legge del 22 giugno 1933, in quanto colpevole di a alto tradimento ai danni della Germania e del suo legittimo governo n. I beni del partito erano stati confiscati; i rappresentanti esclusi dall'esercizio dei Ioro mandati e molti di essi arrestati o costretti ad espatriare. Il partito popoiare cattolico bavarese ed il C Centro D cattolico avevano dichiarato il proprio scioglimento il 4 5 luglio 1933. I1 comunicato del C Centro r dichiarava che gli esponenti del disciolto partito avrebbero continuato a collaborare con il governo mantenendo i propri connotati di origine ed entrando nel gruppo nazionalsocialista come ospiti (Cfr. A. DE GASPEBI,I cattolici dall'opposizione al governo, cit., p. 327).


delitti. Essi sono là senza volontà, senza coscienza, uomini di paglia di un regime tirannico. I parlamenti liberi hanno visto scagionati molti delitti; ma non è mancata in essi la voce della verità e della morale, voce ch'è risuonata nel cuore del popoli. I parlamenti delle dittature sanzionano i delitti fra gli applausi generali, nei quali sono confusi gli uomini onesti (fino allora) insieme ai malvagi (3). Londra, 15 luglio 1934.

(E1 Mati, Barcelona, 20 luglio 1934). Arch. 5 A, 6.

LA TRAGEDIA DELL'AUSTRIA Dollfuss ( l ) h a cercato di animare l'Austria con il soffio del patriottismo e di rafforzarla nella lotta per l'indipendenza. L'Austria non poteva e non può divenire una provincia della Germania, anche se con il trattato di Saint Germain è stata ridotta a un piccolo stato incapace di autosufficienza. Per fronteggiare la creTHE TRAGEDY O F AUSTRIA Dollfuss sought to inspire Austria with the breath of patriotism and to quicken her in the struggle for independence. Austria could not and cannot become a province of Germany, even though by the treaty of Saint Germain she was reduced to a little state incapable of self-sufficiency. TO

(3) Nel discorso del 13 luglio Hitler aveva dato in parlamento la versione d c i a l e degli awenimenti del 30 giugno (cfr. articolo 19 della presente raccolta). (l) Engelbert Dollfuss (1892-1934): attivo nelle organizzazioni economiche degli agricoltori austriaci, e fiduciario in esse del partito cristiano sociale, succedeva a Buresch il 20 maggio 1932 come cancelliere di un governo di coalizione tra cristiano-sociali, partito agrario ed Heimwehr. Per superare le fortissime resistenze parlamentari al governo aveva fin dal 1932 introdotto una legislazione per decreti. I1 4 marzo 1933, le dimissioni del presidente e dei vicepresidenti del Nazionalrat gli avevano dato il pretesto per liquidare l'istituto parlamentare, in cui la coalizione governativa si

5.

- Srnuzo - Miscellanea

Londinese

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scente pressione della Germania, essa aveva bisogno di un rinnovato patriottismo, che unisse il suo popolo nella resistenza, e DoUfuss ha cercato di suscitare questo sentimento sotto i due aspetti della missione cattolica dell'Austria e della sua indipendenza politica. Ăˆ stata una disgrazia che il suo tentativo in proposito sia stato indebolito dalla lotta contro i socialisti e dalle oscillazioni verso i fascisti e anche verso certi capi della polizia e del servizio civile. face the growing German premure, she needed a renewal of patriotism, uniting her people for resistance, and this feeling Dollfuss eought to revive nnder the two-fold aspect of Austria's Catholic mission and her politica1 independence. I t wae a misfortune that his endeavours in thii respect were weakened by the struggle against the Socialista and by the oscillations on the part of the Fascista and even oÂŁ certain chiefs of the police and civil service. On the other hand the policy of the Great Powers towards Berlin was

trovava ad avere un solo voto di maggioranza, ed awiare il suo <I corso autoritario Âť. Dollfuss si era impegnato a fondo nella difesa della indipendenza austriaca d i fronte alla violenta campagna annessionistica scatenata nel 1933 dai nazionalsocialisti; e per consolidare la compagine dello stato si era legato alle forze fasciste austriache ed all'Italia. Nel febbraio 1934 il suo governo aveva brutalmente cancellato daila vita politica ogni residua presenza ed organizzazione socialista (cfr. gli articoli 6, 7, 7 bis, 9, 10 e 12 della presente raccoltaj. Dollfuss aveva compiuto la propria rivoluzione autoritaria nel maggio 1934, promulgando la nuova costituzione che trasformava la repubblica austriaca in <t stato federale-cristiano-tedesco a base corporativa n. Ma anche in seguito il dualismo con le forze della Heimwehr in seno al governo era rimasto fortissimo. Tra l e 12 e le 13 del 25 luglio 1934, una formazione di SS austriache, in uniformi militari, aveva occupato la cancelleria nel tentativo di imporre un nuovo governo con la partecipazione dei nazisti, di cui Anton Rintelen era stato designato ad essere cancelliere. Sembra che la maggioranza dei componenti del gabinetto Dollfuss, messi in precedenza d ' a v v i s o , avessero giĂ abbandonato la cancelleria, dove erano tuttavia Dolifuss, Fey ed il segretario di stato alla sicnrezza Karwinsk~.Mentre le forze della Heimwehr e dell'esercito, sotto la direzione di Schuschnigg, riprendevano il controllo della cancelleria e l e redini delia situazione, Dollfuss, tentando di allontanarsi dall'edificio per una uscita laterale, era stato raggiunto dalle pallottole di uno dei putschiiti, tale Planetta, e ei era spento m un divano della cancelleria per mancanza di assistenza medica.


D'altro canto la politica delle grandi potenze verso Berlino è stata debole ed esitante. Le franche dichiarazioni che esse avrebbero garantita l'indipendenza del19Austria, non sono efficaci quando si permette che tale indipendenza sia messa in pericolo dagli intrighi e dal terrorismo nazista. Nè le melate parole di Hitler a Mussolini possono sostituire le azioni che sarebbero necessarie. Dollfusa è la vittima di questa debole e vacillante politica; si è fidato di Mussolini, il quale non è stato in grado - e di fatto ciò era fuori dei suoi poteri - di prevenire una sola bomba, o il tentativo di putsch del 25 luglio. E adesso? I1 governo austriaco ha provato che in questo momento è padrone della situazione. È necessario che i nuovi provvedimenti pacifichino i lavoratori, i quali non sono stati messi in grado di dimenticare gli eventi del febbraio, e cerchino di conciliare tutti gli elementi patriottici nella resistenza contro il nazismo. E d'altra parte gli stati europei, Gran Bretagna compresa, devono far pressioni su Berlino perchè ponga fine agli atti di terrorismo e a tutti gli intrighi contro l'indipendenza austriaca. Hitler, con la designazione di von Papen a ministro per l'Austria, h a fatto un passo avanti. È in buona fede? Vi sono quelli che sperano che egli abbia visto gli errori della sua

weak and hesitating. Mere declarations that they would guarantee Austrian independence have no &cacy when that independence is allowed to be imperilled by Nazi intrigue and terrorism. Nor did Hitler's honeyed words to Mussolini take the place of the action that were needed. D o k s is the victim of this weak and vacillating policy; he trusted in Mussolini, who was not able - and indeed it was beyond his power to prevent a single bomb, or the attempted putsch of 25th July. And now? The Austrian govemment has given proof that it is for the moment master of the situation. I t is necessary that the new d e r s should pacify the workers, who have not been enabled to forget the events in febmary, and should attempt to conciliate al1 patriotic elements in resistance to Nazism. And on the other hand the European states, Great Britain included, should bring premure to bear on Berlin to put an end to terrorist acts and to aii intrigues against Austrian independence. Hitler, by the appointment of Von Papen, as Minister to Austria, has made an advance. 1s he good faith? There are those who hope that? wen the errors of his policy; others remain fu11 of mistrust. In any case,

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politica; altri rimangono molto diffidenti. In ogni caso, per la pace'dell'Europa, Viema e Berlino non possono essere lasciate sole a fronteggiarsi, con la sola Italia che si muove nello sfondo. L'indipendenza dell'Austria dev'essere garantita dalle stesse potenze che hanno firmato il trattato di Saint Germain: Gran Bretagna, Italia, Francia e la Piccola Intesa, sotto l'egida della Lega delle nazioni. Solo così questa piaga purulenta in Europa può essere cicatrizzata. Londra, agosto 1934. (The Catholic Herald, London, 4 agosto 1934).

for the peace of Europe, Vienna and B e r l i cannot be left to face each other alone, with only Italy hovering in the background. The independence of Austria should be guaranteed by the same powers that signer the treaty of Saint Germain: Great Britain, Italy, France, and the Little Entente, under the aegis of the League of Nations. Only so can this running sore in Europe be healed.

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POLITICA DI PRESTIGIO : DANZICA AUSTRIA SAAR Hitler al potere, aveva bisogno di dare subito esecuzione al suo programma di rivendicazioni nazionali; egli doveva accrescere il suo prestigio di salvatore della « germanità non solo all'interno con l'incendio del Reichstag, con la persecuzione agli ebrei e con la legge di sterilizzazione (l), sì bene all'estero, per cancellare le ultime vestigie del trattato di Versailles. (l) Fin dal 28 marzo 1933 la direzione del partito nazional-socialista aveva disposto con ordinanza che in ogni branca della organizzazione venissero istituiti comitati di azione per una massiccia campagna antiebraica. Alì'inizio di aprile era stata lanciata con appelli alla popolazione una prima giornata di boicottaggio dei negozi di ebrei. Consta che fin dai 1933 gli ebrei furono allontanati dai pubblici &ci, dalla amministrazione, dal giornalismo, dalla radio, dall'agricoltura, dall'insegnamento, dal teatro, dai cinema (SHJEE~, Storia del Terzo Reich, cit., p. 256). Le misure antiebraiche avevano fortemente contribuito a modificare le disposizioni della opinione pubblica inglese nei conbonti del nuovo regime tedesco.


Per tanti anni tutti i tedeschi erano stati d'accordo che la Germania non poteva vivere n è prosperare senza il corridoio d i Danzica. L'Inghilterra aveva speso molto inchiostro e impiegate non poche insistenze diplomatiche per trovare una soluzione all'affare del corridoio ('). Uno dei più reputati scrittori inglesi di finanza mi diceva, appena Hitler arrivato al potere: u Occorre persuadere l a Francia a non opporsi ad una soluzione della questione del corridoio. Se non sarii più sostenuta dalla Francia, la Polonia cederà; noi avremo con Hitler la pace i n Europa r. Del resto, non mancavano i n Francia gruppi di giovani e uomini poli. tici che si sentivano il coraggio di finirla col comdoio polacco. Colpo di scena: Hitler s'intende direttamente con la Polonia, e per dieci anni ancora l a Germania potrà vivere e prosperare.... (9. Ma da più di u n anno ad oggi le questioni scottanti per la Germania sono l'Austria e l a Saar (4).

La questione della minoranza ebraica tedesca era stata affrontata nella sessione autunnale della S.d.N.: qui una commissione (la sesta) era stata incaricata di trattare i problemi delle minoranze. (a) Nella geografia politica di Versailles, il « comdoio n polacco era una fascia di territorio sottratto alla Pmssia occidentale ed incuneantesi fino al Baltico ad interrompere la continuità territoriale tra le due Pmssie. Dentro il corridoio, alla foce della Vistola ed al c o n h e con la Pmssia orientale, era lo stato libero di Danzica, autonomo, a5dato alla tutela della S.d.N., ma rappresentato all'estero dalla Polonia ed a questa legato in unione doganale. La Germania non aveva mai accettato il nuovo assetto territoriale ad est, ed agitava l a questione dei confini e quella delle minoranze. (3) 11 26 gennaio 1934 i ministri Neurath e Lipski avevano firmato a Berlino un patto di non aggressione, in cui si manifestava l'intenzione di a dar corso ad una nuova fase dei rapporti politici tra Germania e Polonia mediante una intesa diretta tra stato e stato n. Si trattò di una delle più abili mosse della diplomazia di Hitler, che mentre dava all'estero prova di spinto di cooperazione, serviva in realtà a placare momentaneamente le accresciute apprensioni del più bellicoso vicino, isolandolo nel contempo ed indebolendo il sistema francese di alleanze nellYEuropa orientale. (4) I1 trattato di Versaiues aveva assegnato temporaneamente il ricco bacino carbonifero della Saar alla Francia. Un plebiscito avrebbe dovuto


L'Austria vale bene un comdoio; Hitler punta sull'ilustria. La Francia non vuole 1'Anechluss e l'Italia vi si oppone anch'essa. Ma secondo Hitler nè l'una nè l'altra potrebbero impedire che l'Austria stessa si dia un governo nazi, il quale poi farebbe l'unione con la Germania in forma più effettiva o più rapida che non fosse quella economica di Curtius e Schober (7. I fatti compiuti hanno sempre il loro valore. Manciukuo (9 insegni. Hitler ha fatto i conti finora senza l'Austria patriottica e senza Dollfws, e senza Italia Francia e Inghilterra che non permetiteranno che l'Austria perda l'indipendenza e divenga un feudo dei nazi. A parte le debolezze e gli errori del governo di Vienna, in un anno e mezzo di lotte, Hitler fin oggi ha potuto fare delle vittime, decidere dell'assetto definitivo del temtorio a quindici anni dal trattato. (Cfr. l'articolo 37 della presente raccolta). (5) All'inizio del 1931 - la Germania era ancora repubblicana - i ministri Curtius e Schober avevano deciso di accelerare i tempi dell'unione politica austro-tedesca, promuovendo una unione economica dei due paesi. Non ostante l e cautele della formulazione, e non ostante l'iniziativa fosse presentata come un contributo regionale al progetto paneuropeo di Briand, la reazione europea era stata energicamente contraria. Nei mesi successivi, Iti crisi economica che aveva colpito i due paesi tedeschi aveva fornito d a Francia gli strumenti finanziari per scoraggiare la prosecuzione del progetto. Anche la corte internazionale di giustizia dell'Aja si era pronunziata all'inizio del settembre 1931 per la illegalità dell'unione alla stregua degli impegni internazionali contratti dall'Austria. t6j Nel settembre 1931, traendo pretesto da taluni incidenti provocati da nazionalisti cinesi, il comando della guarnigione giapponese alla ferrovia della Maneiuria meridionale aveva proceduto ad occupazioni militari, che nel gennaio 1932 erano state estese ad un'ampia zona della Manciuria. Il Giappone aveva quindi promosso il separatiemo manciuriano dall'impero cinese, e sostenuto militarmente il nuovo stato filogiapponese, il Manciukuo, che un gruppo di notabili mancesi aveva proclamato il 18 febbraio 1932. Fin dal settembre 1931 la Cina aveva sottoposto la controversia manciuriana alla S.d.N., in un primo tempo per ottenere l'evacuazione militare giapponese. Una commissione di inchiesta, presieduta dall'inglese Lytton, aveva redatto nell'autunno 1932 una relazione atta a favorire una procedura di conciliazione. All'inizio del 1933, la estensione delle operazioni militari giapponesi al confine con la Cina aveva dato luogo a raccomandazioni da parte del consiglio, che accettate dall'unanimità dei membri della S.d.N. e r e spinte invece dal Giappone, avevano portato il 27 m a n o 1933 alla notifica del ritiro giapponese dalla Lega.


ha potuto seminare il terrore fra le popolazioni austriache, h a a mo carico la responsabilità dell'assassinio d i Dollfuss, ma non h a l'Austria. L'avrà domani? Non sappiamo: altri errori di governo, mancata intesa fra le potenze, scissione fra i cittadini, e l'Austria potrebbe cadere. Ma il prestigio di Hitler è stato non solo compromesso bensì venuto meno in una lotta impari fra il diritto da un lato e il brigantaggio e l'assassinio dall'altro. Resta la Saar. Se Hitler non fosse là, non vi sarebbe oggi un ò problema della Saar. E terra germanica, nessuno ~ u contenderla alla Germania. Fin dal l919 chi scrive ha sostenuto che la Saar deve ritornare alla Germania e che le condizioni economiche per la retrocessione del bacino industriale debbono essere eque e favorevoli. Oggi, però, vi è u n problema della Saar perchè c'è Hitler. Egli nel Reich h a soppresso le libertà civili e politiche, h a disciolto i partiti, h a perseguitato gli ebrei e gli altri avversari del nazismo, è i n lotta con le chiese, si è insanguinato le mani uccidendo e facendo uccidere. La Saar è agitata fra il suo sentimento patriottico completamente tedesco e il suo amore per la libertà, e i cattolici della Saar mettono a confronto il regime hitleriano e la religione divenuti fra loro incompatibili. A cinque mesi d i distanza dal plebiscito e sotto le minacce naziste, la Saar non è pienamente libera di discutere se preferire u n prolungamento del regime attuale sotto la S.d.N. ad un ritorno immediato alla patria germanica. Questo è l'effetto della politica del Fiihrer. I1 suo bilancio non è certo all'attivo; il suo bilancio è deficitario i n confronto a quello di Stresemann che arrivò all'evacuazione anticipata del Reno (1930) o di quello di von tPapen che arrivò alla cancellazione delle riparazioni (Losanna, luglio 1932) O di quello di Schleicher che arrivò ad ottenere il principio d i parità degli armamenti (Ginevra, dicembre 1932). Hitler, invece, ha lasciato Ginevra sotto il pretesto della parità immediata senza periodo di prova (7); - ha reso diffidente ( l ) I1 14 ottobre 1933 Hitler aveva improvvisamente annunziato che, essendo stata negata alla Germania la parità di diritti, essa si ritirava immediatamente dalia conferenza per il disarmo e dalla S.d.N.


l'Inghilterra prima per lo persecuzione agli ebrei e poi per l'aumento della aviazione; - ha rotto con la Russia per una politica d'intrighi; - e finalmente, non ostante l'affinità fascista e gli entusiasmi d i Venezia del 18 giugno, h a urtato l'Italia per la questione austriaca. Oggi Hitler per tutto il mondo moralmente è messo al rango dei gangsters e degli assassini e politicamente è in fallimento. Ciò non ostante, niente meraviglia: morto Hindenburg, Hitler si può proclamare da sè presidente-cancelliere, riunire nella sua persona la figura di capo dello stato e capo del governo: la Reichswehr presta il giuramento di fedeltà al Reichsfiihrer ; i magnati dell'industria e gli Junkers prussiani sono d'accordo; il popolo applaude ;i fallimenti e i delitti di Hitler ancora non contano nulla per la Germania. Londra, settembre 1934.

(L'Aube, Paris, 5-6 agosto 1934). Amh. 5 A, 3.

IL DOTT. HEIM Ai nomi dei cattolici di primo rango, assassinati in occasione del preteso complotto anti-hitleriano, quali Klausener, Probst, Schmidt, Gerlich (l), occorre aggiungere quello del dott. Heim. Un vegliardo di circa ottant'anni, cieco per giunta, ma u n carattere, u n uomo che fino a qualche anno addietro ebbe in Baviera un ruolo politico importantissimo. Ricordo che quando nel settembre 1921 io con alcuni miei amici popolari italiani visitammo i cattolici di Germania (') a

Cfr. nota 1 deli'art. 19 delia presente raccolta. Xellfntaie del 1921 Luigi Stunu, accompagnato da Alcide De Gasperi, Stefano Jacini e Rufo Ruffo delia Scaletta, compì un viaggio in Germania per incontrare le maggiori personalità del Centro cattolico tedesco, tra cui Wirth, Stegenvald e Brauns. Scopo della visita era quello di cementare l'amicizia tra i più forti partiti ad ispirazione cristiana esistenti in (l)

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Monaco, Berlino, Colonia ( e molti altri centri che è inutile ricordare) pensammo di andare a Ratisbona, dove aveva sede l'organizzazione dei contadini fondata e diretta dal dr. Heim. F u nostra grande meraviglia vedere tutta una serie di grandi fabbricati propri (non ricordo il numero preciso) occupati dalle sue organizzazioni. Cooperative di produzione, d i acquisti collettivi, d i vendita di prodotti ; assicurazioni sociali, scuole elementari e professionali di agricoltura, corsi estivi e invernali, stampa e stamperia propria, reparto religioso culturale e assistenziale, tutto un insieme d i opere messe con ordine e proprietà. Niente denaro alieno, nè d i ricchi signori nè dello stato, tranne quel che per legge poteva esserne onestamente ottenuto. Tutto dipendeva dallo sforzo cooperativo del piccolo agricoltore, del laborioso colono, del contadino dedito alla sua terra. Tutta l a Baviera paesana e cattolica era là: Heim ne era la testa e il cuore. I1 suo merito non era solo nella bravura d i organizzatore (uno dei più grandi di tutta l a Germania), ma nel senso d i paternità che aveva per i suoi paesani. Qualche volta burbero e per lo più duro nei modi, ma sempre a contatto spirituale, e con dedizione completa, verso le classi umili e laboriose. I1 dr. Heim, quando io lo conobbi, era già sofferente agli occhi, benchè vigoroso e pieno di attività. Egli continuò l'opera sua fino a l giorno che fu costretto a lasciarne l a direzione, pur restandone il consigliere fido e autorevole e il fondatore amato. I nazi, appena arrivati a l potere, s'impadronirono della mirabile organizzazione di Ratisbona, cacciandone via Heim e i cattolici. La più grande e ben fatta organizzazione contadina della Germania ( e forse anche dell'Europa) in mano ai cattolici è così finita miseramente. Non so nei particolari quale responsabilità abbia avuto i l dr. Heim nell'avvento di Hitler al potere. Egli fu dopo la guerra l a più forte personalità politica della Baviera. Egli rimase fedele

Europa e gettare la prima pietra di quell'opera di pacificazione internazionale che i risentimenti creatisi dopo la guerra e la conferenza della pace sembravano aver resa precaria. (Sul viaggio di Sturzo in Germania, cfr. DE ROSA, Rufo Ruffo dello Scaletta e Luigi Sturzo, Edizioni di stona e letteratura, Roma, 1961, p. 17).


alla monarchia dei Wittebbach e contrario all'accentramento del Reich in Berlino. Egli si staccò dal Centro cattolico e fondò un partito proprio della Baviera che, ad imitazione di quello italiano, chiamò partito popolare bavarese. Tale partito, per opera del dr. Heim, si orientò a destra, combatté l'intesa dei cattolici con i socialisti, fu indulgente con Hitler e ne tollerò la propaganda in Baviera, e nelle elezioni presidenziali del 1928, fra il candidato del centro dr. Marx e quello delle destre, il maresciallo Hindenburg, votò per Hindenburg, al quale così assicurò il successo. Ricordo che nella lunga conversazione avuta con lui, quelI'unica volta che lo incontrai, gli feci presente i pericoli di fare una politica dissidente da quella del Centro, e più ancora, una politica monarchicizzante e di destra, che poteva riportarci ad uno spirito germanico militarista e nazionalista. Egli mi rispose che la sua era una politica di difesa della Baviera da una centralizeazione del Reich, amministrativa, fiscale e politica, nella quale si erano ingaggiati gli amici del Centro, e una politica di immunizzazione dal pericolo dei socialisti, con i quali il Centro allora era costretto a collaborare. I1 dr. Heim era troppo sincero e disinteressato per nascondere un'arrière pensée, e la sua aspirazione per una restaurazione dei Wittelsbach non era sul piano della sua politica pratica e im. mediata. Certo, come uomo politico il dr. Heim fu inferiore al SUO compito e alle sue grandi qualità di organizzatore. Egli senza volerlo, come altri non pochi cattolici tedeschi, contribuì indirettamente al trionfo di Hitler. Quale tragedia per un uomo come lui vedere tutto crollare: la sua organizzazione dei contadini cattolici, il suo partito popolare, e l'autonomia della sua Baviera. E alla fine, questhomo retto, pieno di età e di meriti, impotente a nuocere al regime nazista, cieco e inabile a tutto, finire ucciso per odio di partito, senza che nessuno lo sapesse e nessuno ne potesse parlare. Londra, agosto 1934.

(E1 Matì, Barcelona, 18 agosto 1934). (Arch. 4 A, 19


I PLEBISCITI E LA LIBERTA' È ben difficile trovare nella storia plebisciti che siano mai stati fatti in piena libertà. Occorre fare una gran differenza fra plebisciti e referendum popolare. I1 plebiscito è la ratificadone di un fatto, che si domanda al popolo ;mentre il referendum è un parere che il popolo esprime per una legge da farsi. I1 post e l'unte factum non sono in questi casi semplici modalità temporali ; essi indicano una sostanza costituzionale ; perchè la consultazione ante factum è sempre (volere o no) di natura amministrativa o finanziaria, quando il potere governativo per sicurezza di sè o per garanzia legale, domanda il consenso della popolazione. L'altro, il post factum, è sempre politico, e non può essere che la ratifica morale ( o presunta morale) di un fatto compiuto. Onde il referendum è istituzione veramente democratica e libera nella sostanza, anche se il governo tenta di esercitare pressioni sull'opinione pubblica. I1 plebiscito, al contrario, non è un'istituzione democratica, o meglio, non si concilia affatto con un sistema democratico, e in tutti i casi manca di libertà sostanziale, anche quando vi sarà una discreta libertà formale. Il fatto compiuto ha un valore proprio, che non può essere messo a confronto con un dato non esistente, che sarebbe o la negazione del fatto compiuto, ovvero la supposizione di un ritorno allo stato quo ante. Prendiamo, ad esempio, il recente plebiscito germanico (l). Nessuno potrà affermare che in Germania esista la libertà politica, perchè non esistono nè libertà di stampa e di riunione, nè libertà di organizzazione e propaganda. Potrebbe esserci la libertà morale se non fosse insidiata da

( l ) Spentosi il due agosto 1934 l'ottantaseienne presidente Hindenbnrg, un plebiscito era stato indetto per la successione di Hitler. Attraverso il plebiscito, che si era tenuto il 19 agosto 1934, il 90% circa degli elettori aveva approvato l'assunzione di tutto il potere nelle mani di Hitler.


pressioni di ogni genere e dal fanatismo razzista o nazionale, e non fosse attenuata da paure vere o verosimili. Ciò non ostante quattro milioni d i cittadini ne hanno fatto uso per votare contro il fatto compiuto, affrontando così tutti i pericoli che i n un regime come quello nazi è facile correre. La Germania ha paragonato i risultati del plebiscito hitleriano con la elezione di Roosevelt (a), rilevando che il presidente americano non ebbe d i voti che il 17 per cento della popolazione degli Stati Uniti, mentre Hitler ha ottenuto il 60 per cento di quella tedesca. Ma il paragone non regge. I n America vi erano due candidati e due partiti di fronte, con la libertà di scelta; e si trattava d i elezione i n regime libero ; in Germania si è trattato d i plebiscito quale ratifica di u n colpo di stato i n regime dittatoriale o totalitario. Se vi fosse stato, in Germania, un lontano pericolo non di una sconfessione, ma solo di una larga minoranza di voti contrari, quale ritegno avrebbero avuto alla manipolazione dei voti coloro che tutti i poteri han nelle mani? Chi ha fatto il colpo di proclamarsi insieme capo dello stato e capo del governo, può sentirsi impacciato d i fronte al pericolo di un voto ostile? Questa posizione reciprocamente falsa del potere e del popolo, rende sempre insincero qualsiasi plebiscito, anche se fatto i n condizioni migliori che quello hitleriano. Storicamente non può darsi valore nè al plebiscito di Napoleone 111, nè a quelli del risorgimento italiano che furono fatti dopo l'annessione di fatto delle provincie da parte di vincitori od occupanti, nè quelli italiani e tedeschi d i pest'ultimi anni. A tale lista si dovrebbero aggiungere anche i plebisciti del dopoguerra, quale quello dell'Alta Slesia (3) o come quello pros(2) L'8 novembre 1932 il candidato democratico Franklin Delano Roosevelt (1882-1945) ottenne una clamorosa vittoria nelle eIezioni presidenziali statunitensi, con una maggioranza di sette milioni di voti sul candidato repubblicano, l'ex presidente Herbert Clark Hoover (1874-1964). ( i j La destinazione politica deli3Aita Slesia era stata rimessa dal trattato di Versailles al risultato di un plebiscito. Nella regione la situazione etnica era assai intricata, prevalendo l'elemento tedesco nei distretti industriali e minerari, l'elemento polacco in queili agricoli. Il plebiscito (20 marzo 1921) aveva dato 707.605 voti alla Germania e 479.359 alla Polonia. Rimaneva da


simo della Saar, se essi non fossero fatti sotto la sorveglianza e tutela di un potere estraneo e prima ancora della decisione definitiva. Essi sono piuttosto consultazioni che ratifiche. Eppure il carattere politico di tali plebisciti e le posizioni d'influsso delle potenze interessate, attenuano il significato di libera manifestazione del volere popolare e ne alterano i risultati. Ma perchè, allora, si ricorre al plebiscito, quand'esso non dà nè moralmente nè politicamente l'impressione vera della volontà popolare? I1 ricorso al plebiscito ha solo il significato di legittimazione formale del potere. Qualsiasi potere che non è acquistato nelle forme legittime, cioè successione ereditaria o elezione libera secondo forme statutarie o tradizionali di ogni popolo, o che non è stabilito da una costituente, ha bisogno di ricorrere ad una legittimazione formale, che non può venire che dal popolo, comunque esso sia rappresentato. È perciò che a l popolo si fa appello. Ma il potere, già acquistato, non può compromettere la sua esistenza con un appello politicamente e moralmente libero. Occorre che l'espressione popolare perda in libertà quel che acquista in estensione, perda nella sostanza per quel che acquista nella forma. I1 plebiscito non h a nè può avere altro significato. Si dirà che una simile legittimazione non ha nessun valore, nè morale nè politico. Non è così. Qualsiasi potere ~ o l i t i c onon può sussistere se non è creduto legittimo, se non poggia sopra un qualsiasi titolo, anche un titolo colorato ( o creduto tale) di legittimità. I1 potere è come la proprietà, come la nobiltà: occorre il titolo, non importa se vero o falso, purchè creduto vero. Dopo il plebiscito Hitler sarà ritenuto il capo dello stato non solo dalla Germania ma da tutte le potenze che hanno ambasciate a Berlino. interpretare tale esito in termini di ripartizione territoriale: se cioè il risultato del voto dovesse valere per l'attribuzione in blocco del temtorio, ovvero se questo dovesse essere diviso secondo i risnltati particolari, raccolti per comuni. Anche in questo secondo caso rimaneva assai problematica la ripartizione del distretto industriale. La questione era stata rimessa ( 8 agosto 1921) all'arbitrato della S.d.N., che aveva cercato di seguire il più scnipolosamente possibile i risultati del plebiscito.


I1 plebiscito si presume libero, perchè la legittimazione si presume effettiva. Questa la psicologia del potere presso tutti i popoli, dal giorno che i tiranni si fecero coronare re dai sacerdoti ( o da falsi sacerdoti) al giorno che i dittatori si fanno proclamare capi dello stato dal popolo (o da un falso popolo). Londra, agosto 1934.

(E1 Moti, Barcelona, 28 agosto 1934). Arch. 5 A, 4

LA POLONIA E LE MINORANZE Nel rifiutami di osservare il patto sulle minoranze (l), il governo polacco ha dimenticato un dato di fatto che avrebbe dovuto tener presente. Cioè, che furono gli stati vincitori a ridare alla Polonia la sua indipendenza, i suoi confini e ad annettere alla Polonia popolazioni non polacche. Due vie giuridiche si presentavano ai vincitori, o esercitare sulle popolazioni vinte il diritto di vittoria e dare loro lo statuto politico e giuridico che credevano più conveniente agli interessi loro e ad un sistema internazionale, di loro gradimento, ovvero chiamare le popolazioni interessate a pronunziarsi sul loro destino, Secondo i casi, hanno preso ora l'una ora l'altra via. La resurrezione della Polonia era un impegno d'onore, un interesse politico europeo; era dippiù il riconoscimento del diritto di un popolo oppresso. E la Polonia risorse più che per meriti propri, per la volontà dei vincitori. Ma quali i confini? Potevano risorgere i diritti storici dei

(l) Le grandi potenze elaboratrici dei trattati di pace avevano imposto agli stati mccesaori garanzie per le minoranze nazionali secondo MO schema comune che assicurava uguaglianza dei diritti civili e politici, uso della propria lingua e libertà religiosa. Tali garanzie erano quindi dive unte condizione per l'ingresso nella S.d.N., a cui la protezione delle prerogative delle minoranze era affidata.


polacchi sugli altri popoli non polacchi? e costoro potevano moralmente essere costretti a subire la dominazione dei polacchi? Su questo punto la conferenza della pace non fu bene ispirata quando decise di includere nella Polonia popolazioni allogene senza il loro volere e senza le dovute garanzie. E mentre per l'Alta Slesia ricorse al plebiscito (3, (che poi non fu strettamente osservato), per gli altri paesi si limitò ad un regime di minoranze fissato in un patto successivo. Questo patto non è stato osservato, e sarà sempre meno osservato, finchè dura l'antagonismo fra i polacchi e le varie minoranze. Gli interventi della Società delle nazioni sono stati sempre poco efficaci e poco rispettati. I governi autoritari che non riconoscono diritti ai partiti della stessa nazione, come possono riconoscere quelli delle minoranze? Se poi queste sono tedesche, se covano propositi separatisti, se formano correnti irredentiste ; allora non diritti, ma lotta; non concessione ma oppressione. L'Ucraina polacca lo sa e ne freme. Quale voce ha mai levata la Francia contro i soprusi di Varsavia? Quale tutela efficace è stata applicata contro l'oppressione dell'ucraina ? Si fa gran caso della sovranità di uno stato, ed a ragione ; ma quando coloro che hanno costituito lo stato sovrano e indipendente, han posto delle condizioni morali e politiche, per avere essi confidato a questo stato una popolazione che non vi apparteneva, e che aveva diritto ad una propria personalità, hanno ben l'obbligo di sapere come si osservano i patti dalle due parti e di prendere le opportune misure. La Francia, che ora si lagna della Polonia che le volta le spalle sul terreno delle alleanze politiche, quale responsabilità non ha avuto nel proteggere una dittatura militare come quella di Pilsudski (9,e di chiudere gli occhi sulle violenze polacche

Cfr. nota n. 3 dell'articolo 24 della presente raccolta. I1 generale Pilsudski (1867-1935) si era impadronito del potere nel maggio 1926, effettuando una marcia su Varsavia a capo di truppe a lui fedeli e sostenuto dal partito socialista, che aveva proclamato uno sciopero generale. Abbandonato dai socialisti, si sostenne sempre più d'esercito, mantenendo un controllo di fatto m i successivi governi e fiaccando le opposizioni parlamentari. (a)

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contro ucraini e lituani. Presto o tardi, si paga caro il tradimento dei principi; tale colpa secondo noi è più dal lato della Francia che da quello della Polonia. La Polonia deve ancora formarsi la coscienza dei principi; la sua democrazia è presto caduta nel disordine; la dittatura militare e l'opposizione delle minoranze son derivate dalla paura di trovarsi circondata da nemici, russi e tedeschi, che la avrebbero schiacciata. La paura è divenuta spesso u n pretesto, e un gioco politico, ma nel fatto la paura è stata anche un sentimento reale e non trascurabile. Ma la Francia che si vanta di essere fedele ai principi; essa che h a la tradizione della difesa degli oppressi e della rivendicazione della libertà; la Francia h a tollerato e h a taciuto. I1 rimprovero che noi facciamo alla Francia non è da oggi, ma rimonta al 1920. Oggi la Polonia h a buon gioco. Domanda la generalizzazione del patto circa il regime delle minoranze. I n ciò siano d'accordo con la Polonia, non dal punto d i vista giuridico, ma da quello morale. L'Italia giuridicamente conquistò 1'Istria e il Trentino con la vittoria; ma moralmente è in colpa quando viola i diritti linguistici degli sloveni e dei tedeschi. Ciò non ostante, la strada presa della Polonia non porta alla estensione del patto sulle minoranze a tutti gli stati, porta solo alla violazione del patto fissato tra Polonia e Intesa, e questo è tale un precedente non solo illegale e immorale, ma politicamente dannoso, che la resistenza alla Polonia è oggi una necessità e un dovere. Londra, settembre 1934.

(E1 Matì, Barcelona, 22 settembre 1934). Arch. 4 A. 20

LE CRISI DELLA FRANCIA DI OGGI La più grave delusione della Francia dopo la guerra, fu il rifiuto degli Stati Uniti d'America a garantirla da una possibile


aggressione della Germania. Wilson aveva promesso tale garanzia, e Lloyd George anche. Ma quando l'America rifiutò di ratificare l'impegno d i Wilson, anche quello della Gran Bretagna venne meno. Così fu aperta la crisi della pace che dal 1919 ad oggi agita la Francia; e che si ripercuote su tutta la vita internazionale. La Francia cercò nelle alleanze militari e politiche con la Polonia e con la Piccola Intesa quel minimo di sicurezza che le era stata negata dagli alleati e associati. E intanto ( a parte l'episodio della occupazione della Ruhr) ( l ) proseguì, nel quadro della Società delle nazioni, una politica d i salvaguardia del trattato di Versaglia, insieme ad una possibile intesa con la Germania. Così si arrivò al patto di Locamo, al piano Dawes, all'entrata della Germania nella Società delle nazioni, alla evacuazione anticipata del Reno; e sul piano più largo d'un interesse generale, al patto Briand-Kellogg, alla unione degli stati d'Europa e alla conferenza del disarmo (3. Questo periodo, pieno di speranze, fu caratterizzato dalla politica di Briand e di Stresemann; e dalla benevola assistenza, senza altri impegni che quello d i Locamo, da parte della Gran Bretagna. Gli ultimi avvenimenti, che erano una continuazione di questa politica, furono il piano Young, la conferenza di Losanna del luglio 1932, dove furono condonate le riparazioni alla Germania, e finalmente l'intesa di Ginevra nel dicembre 1932, dove le potenze s'impegnarono a riconoscere alla Germania l a parità di diritto riguardo gli armamenti nel quadro del d'isarmo e della sicurezza generale. Tutto ciò sarebbe stato, com'è per l'Inghilterra, non affare di politica generale, se la Francia non avesse sentito fin dall'indomani della guerra, la debolezza della sua posizione in con( l ) Per far fronte alle inadempienze della Germania, e per esercitare pressione su Berlino, Francia e Belgio avevano deciso nel gennaio 1923 di provvedere direttamente al controllo della produzione del bacino della Ruhr, garantendosi con l'invio nel temtorio di cinque divisioni francesi e due belghe. ( a ) Dei noti awenimenti ed accordi internazionali qui menzionati Sturzo si era variamente occupato in articoli ora raccolti nei primi due VO. lumi di Miscellanea Londinese, cit.

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Miscellanea Londineac

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fronto ad una Germania ricostituita, armata e animata dallo spirito d i rivincita. Questo sentimento ha comandato tutta la situazione psicologica, politica e morale della Francia del dopoguerra. L'avvento di Hitler ne ha aumentate le preoccupazioni e ne ha accelerato il ritmo. La Francia è il paese meglio armato del mondo per quanto riguarda gli armamenti terrestri ; anche la marina e la forza aerea sono di prima ordine. Ciò ha portato ad uno sforzo finanziario notevole, che unito alle spese di riparazione e ai debiti e alle pensioni di guerra, ha gravato in modo indiscutibile sul paese ed ha dato due crisi significative, quella finanziaria e monetaria del 1926, che fu superata con l'unione nazionale attorno a Poincaré, e quella del bilancio del 1933-34, che è stata superata con la tregua dei partiti attorno a Doumergue (3). Però nè la prima nè la seconda crisi, hanno potuto evitare il rincaro della vita. Oggi la Francia è uno dei paesi del mondo dove il costo della vita è più alto, dove il medio tenore d i vita è molto basso, e dove i servizi pubblici non sono affatto alla parità della perfezione dell'Inghilterra, della Germania e di altri paesi nordici. Questo fatto, che potrebbe essere tollerato discretamente in un paese dove la disoccupazione è minima e dove ancora trova Iavoro una discreta emigrezione estera, oggi dà motivo d'inquietudine perchè sono allo stesso tempo scoppiati vari scandali, di sfruttamento della buona fede dei risparmiatori, di corruzione amministrativa e di polizia, di intrighi parlamentari e di connivenze ministeriali, che ha esasperato l'opinione pubblica. I n Francia il giornalismo alimenta l o scandalo anche quando questo è passato sotto l'autorità giudiziaria; la quale non gode certo di quel prestigio e di quell'indipendenza che gode in Inghilterra. Nè i n Francia è possibile quel che in regime fascista è possibile in Italia; cioè l'imposizione del silenzio, la sottrazione dell'affare dalla competenza giudiziaria e l'arbitrario e illeggittimo Intervento del partito e del duce perchè tutto sia regolato en amitié owero con sistemi extra-legali. Poco prima (3) Cfr. la nota 2 dell'articolo a Le responsabilità degli awenimenti di Austria n n. 12 della presente raccolta.


che scoppiasse in Francia lo scandalo Stawinsky ('), in Italia vi erano stati gli scandali di Belloni (5) al municipio d i Milano per circa 30 milioni e a Torino il fallimento non certo limpido di Gualino (9, per poco meno di u n miliardo. I1 Belloni fu tolto da podestà e radiato dal partito, dove da poco è silenziosamente rientrato, e Gualino se la passò con u n anno di confino ed ora va e viene dalla Francia per curare i suoi affari. Degli uomini politici compromessi nell'uno e nell'altro scandalo neppure una parola. I n Francia è tutt'altro ambiente: non passa giorno che non si trovi u n fatto nuovo da interessare il pubblico avido di notizie. I1 suicidio d i Stawinsky per u n certo tempo fu fatto passare per un'uccisione combinata dalla polizia. Se il giudice Prince fu assassinato o si suicidò è divenuta questione di partito politico come ai tempi di Dreyfus se questi era innocente o traditore. Una persona di buona famiglia, sia pure una signorina, che in un salotto si azzardi a mettere in dubbio che Prince sia stato assassinato a scopo politico, è guardata come persona sospetta. I n questa atmosfera passionale, s'inquadra il problema della politica interna. Tutti pensano che l'attuale sistema costituzionale è vecchio e logoro e bisogna riformarlo Tutti parlano da un certo tempo di riforma dello stato: i socialisti e comunisti naturalmente per primi sognano la dittatura del proletariato. Di rimbalzo l'estrema destra, quella monarchica dell'Action Franqaise, giura che la salute alla Francia verrà da una monarchia assoluta e da uno stato strettamente

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(4) Avventuriero dellYEuropaorientale, Stawinsky aveva tratto vantaggio dalie proprie relazioni con personalità del mondo politico hancese per compiere malversazioni. Lo scandalo, di cui la cronaca si era occupata nella seconda metà del 1933, era stato strumentalizzato dagli awersari del governo e delia istituzione parlamentare a scopo politico. ( 5 ) Lo scandalo Belloni era stato alla ribalta della cronaca. nel 1929-30. (3 Riccardo Gualino, bielleae, interessante figura di personalità del mondo industriale e finanziario eropeo tra le due guerre. Fondatore di importanti complessi industriali tra i quali la Snia Viscosa, di cui fu presidente fino al 1930. Presidente e direttore generale della Rumianca. Travolto in un crac fìnanziario alla fine del 1930. Durante il confino scrisse un volume di ricordi: Frmnmenti di vita (Mondadori 1931).


neutralizzato. I n generale tanto la destra monarchica che la repubblicana è orientata verso una dittatura. Però fin oggi nessuno di loro si è rivelato essere il Mussolini francese. La gran maggioranza di tutti i partiti non vuole u n dittatore, ma un rafforzamento del potere esecutivo (governo) contro l'esagerata influenza parlamentare, e una riforma elettorale che disimpegni il deputato dalle critiche locali e dalle pressioni del capitalismo in cerca di protezione statale. A questo fine il discorso di Doumergue ('9, radiodiffuso lunedì scorso (24 d i settembre) dà soddisfazione all'ala della destra riformista, col proporre di dare al governo il diritto di sciogliere la camera e appellarsi al paese nel caso di conflitto fra camera dei deputati e gabinetto; nel rafforzare i poteri del primo ministro, nel togliere ai deputati il diritto di iniziativa di proposte di spese, e periino nel dare al governo il diritto di prorogare il bilancio da un anno all'altro se il parlamento non lo avrà approvato in tempo. Doumergue in questo discorso non ha parlato della riforma elettorale, che è molto discussa tra proporzionalisti e uninominalisti; e la critica è stata sempre corroditrice e denigratrice della democrazia francese. Questa è stata influenzata dal positivismo filosofico e politico, che ha depresso i valori morali. La . lotta anticattolica d i prima delle guerza aveva divi50 i 5ai;cesi i n due parti irreconciliabili. La guerra saldò, sull'altare della patria, queste due parti; ma non così che anche oggi non se ne vedano le grandi lesioni. Per fortuna, dopo lo sciocco e insipido tentativo dei radicali, nel 1924, di rompere i rapporti col Vaticano e di applicare le leggi laiche i n tutto il loro rigore, una politica più saggia h a reso possibile una detente, che riesce oggi di gran vantaggio e per la Francia e per la chiesa. Ed è stato salutare che tanto Benedetto XV che Pio XI abbiano potuto portare le cose al

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(7)

I1 testo del discorso radiofonico, pronunziato da Gaston Doumergue

il 24 settembre 1934, in cui vengono esaminati i risultati elettorali e le prospettive future del governo trancese era apparso in Le Tempa del 26 settembre 1934, sotto il titolo r Le discours radiodiffusé de M. Gaston Doumergue n. C&. il commento del quotidiano parigino nell'articolo

a.

Le Salut n, num. cit.


punto da arrivare a d un'intesa con il governo francese sull'affare delle associazioni cultuali Ciò ha permesso anche l'avvicinamento della chiesa di Francia con il govemo, e una discreta tolleranza circa gli ordini religiosi. Ancora non è tutto, e il problema scolastico è il più grave di tutti. Ma se i cattolici sapranno contribuire alla soluzione dei problemi politici ed economici della Francia, come ha fatto nel suo piccolo il partito popolare democratico, e come fa L'Aube (g), meglio che altri giornali ispirati ad una tradizionale intransigenza e ancora in occulti legami con 1'Action Francaise, il problema religioso della Francia farà notevoli passi verso la soluzione più larga possibile. Pel resto: noi crediamo che il problema internazionale è

(8) Si riferisce alla controversia tra chiesa e Francia in seguito alla politica ecclesiastica del govemo Briand nel 1906, che tentò di separare il clero e i fedeli francesi da Roma e favorì la costituzione fra i cittadini delle cosiddette associations cultuelles, che avrebbero dovuto provvedere alle spese di esercizio del culto, amministrare i fondi e i locali del culto senza l'intervento del clero. (9) L'Aube fu un quotidiano francese di tendenza democratica cristiana, fondato nel 1932 da Francisque Gay e da lui diretto sino al 1940 insieme a Gaston Tessier. Riprese l e pubblicazioni dopo la liberazione (1944) e visse fino al 1951, come organo del movimento repubblicano popolare. L7Aube svolse un molo molto importante nel periodo tra le due guerre, combattendo soprattutto in favore della pace e dell'affermazione dei principi democratici presso i cattolici francesi, influenzati spesso dal nazionalismo esasperato dell'a Action franaaise n di C. Maurras. Come si può notare anche dalla presente raccolta di articoli, Luigi Sturzo collaborò attivamente all' Aube. Sembra che tale collaborazione ed in particolare la posizione critica che Sturzo assunse nei confronti deila guerra di Etiopia e soprattutto di Spagna non piacque ad alcuni ambienti cattolici italiani, tanto che alcuni cardinali scrissero a Francisque Gay a qu'on ne voyait pas sans agacement cette collaboration régulière d'un homme politiqne en e d qui de ce fait, ne se trouvait plus en mesure de refléter exactement l'opinion des hommes de son parti se trouvant en Italie .a. Comunque sia L' Aube continuò a pubblicare scritti di Sturzo ed anzi F. Gay, in un viaggio a Roma nel 1938, riuscì ad incontrami con De Gasperi, Gronchi e Jacini, ed ebbe la loro riconoscenza per aver accolto la collaborazione del loro antico capo. Queste notizie, che sono il frutto della diretta testimonianza di F. Gay, si trovano in FRANCOISE ~ Y E U R cr L'Auben. Efude d'un joumal d'opinion, A. Colin, Paris, 1966, p. 32.

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quello che comanda oggi le situazioni difficili della Francia, come di altri paesi. E al problema internazionale debbono dedicarsi i cattolici con maggiore slancio verso le forme pacifiche di intesa fra i popoli e con maggiore fiducia nella provvidenza. Londra, settembre 1%4.

(EI Matì, Barcelona, 9 ottobre 1934). Arch. 5 A, 2.

27. bis c Germania armata n Signore, so che è uso dei giornali inglesi aggiungere vari titoli e sottotitoli agli articoli che essi pubblicano, e anche se ciò può non piacere completamente, bisogna accettare tale uso. Lo farei, nel caso presente, se il sottotitolo aggiunto al mio articolo sulla a Crisi della Francia oggi », non venga letto come implicante qualcosa di assolutamente discordante con i miei punti d i vista. Tale sottotitolo, ((Ansietà nei confronti di una Germania ricostruita D può far pensare cbe il termine ricostruita si riferisca alla Germania di Hitler. Mentre invece io non posso concedere che la Germania di Hitler sia stata ricostruita, sia moralmente, giuridicamente, economicamente, che politicamente. Se il sottotitolo fosse « Ansietà nei confronti d i una Germania armata n, l'ambiguità sparirebbe. Suo

LUIGI STURZO Londra, 14 ottobre 1934.

(The Catholic Heraid, London, 20 ottobre 1934).

T0 THE EDITOR

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Sir, I b o w that it is the custom of English newapapere to add varions titles and m&-headings to the articlea they pnblish, and thongh it may not be wholly to one's liling, it is neceasary to bow to it.


I would do so in the present instance, if the sub-title added to my article on a The c r i e i in France to-day n, might not be read as implying eomething quite at variance with my views. This sub-title a Anxiety regarding a reconstmcted Germany n, might well appear as though the term a reconstructed D referred to Hitler's Germany. Whereas I cannot grant that Hitler's Germany has been reconstmcted, either morally, juridically, economically, or even politically. Were the sub-title a Anxiety regarding an armed Germany n, the ambiguity would dieappear. Yours, etc. Luigi Sturzo

R E ALESSANDRO A PARIGI BARTHOU A ROMA In questo momento la politica centro-europea si è concentrata sul problema dei rapporti dell' Italia con la Jugoslavia. Se questo problema sarà risolto, l a politica dell'Europa centrale piglieri una via, se non sarà risolto ne piglierà un'altra. L'azione della Francia è diretta a trovare una soIuzione che riconcili l'Italia con la Jugoslavia e avvicini così l'Italia alla Piccola Intesa. C'è veramente una ragione perchè i rapporti fra l'Italia e la Jugoslavia siano così tesi? Due erano le questioni gravi tra l'Italia e la Jugoslavia; quella della Dalmazia e quella di Flume (l). Sarebbe errore politico gravissimo da parte dell' Italia sognare un revisio(l) Ii trattato di Londra (26 aprile 1915), preludente al nostro ingreseo in guerra a fianco dell'Intesa, aveva definito il nuovo confine orientale dell'Italia assegnandole l'Istna, escluea Fiume, e gran parte della Dalmazia. Ma alla fine della guerra la questione della nostra nuova frontiera ad est si era presentata in termini tutt'affatto differenti da quelli del trattato di Londra: smembrata l'Austria-Ungheria, unita in stato la nazionalità jugoslava, e sostenuta nelle sue aspettative temtoriali dagli Stati Uniti ( i Quattordici Punti di Wilson), che non erano vincolati dagli accordi di Londra; infine, accresciute le pretese italiane alla intera Dalmazia ed a Fiume (cfr. PAOLO A L A ~ INi , tti. D'Annunzio e la questione adriatica, Milano, 1959).


nismo di trattati per avere la Dalmazia; e a tale scopo orientare una politica di avversione tra i due paesi confinanti. La questione di Fiume oggi può dirsi completamente obliata, perchè dall'una parte e dall'altra si sono adattati allo stato attuale, che in sostanza soddisfa Italia e Jugoslavia. Se Fiume ne soffre, l a colpa in gran parte è sua. Ora indietro non si ri. torna. Nessuno sogna più ad uno stato autonomo di Fiume; ma per via di convenzioni commerciali si potrà migliorare le sorti d i quella città, la cui crisi è spaventevole. L'Italia non ha nessun interesse a impedire che l a Jugoslavia abbia una migliore sistemazione a Salonicco; nè che sia in buoni rapporti con l'Albania, purchè non attenti alla d i lei sovranità ed integrità. L'Italia h a tutto l'interesse ad avere una Jugoslavia amica, in ottima intesa nellYAdriatico, dove gli interessi italiani sono senza contrasto prevalenti. Da parte sua la Jugoslavia, assicurata nella sua integrità, quale risulta dai patti di pace, e nella sua legittima posizione adriatica, senza urti nella regione fiumana, avrebbe tutto l'interesse ad avere unYItalia amica, nel quadro delle sue stesse attuali amicizie e alleanze, Piccola Intesa e Francia. Questa politica ideale è turbata dall'una parte e dall'altra. L'Italia fascista, con la sua politica revisionistica dei trattati h a ferito l a Piccola Intesa a vantaggio dellYUngheria; e per quanto abbia cercato di assicurare ora una ora l'altra delle tre potenze interessate, pure non ha mai fatta, e non lo poteva, una politica di avvicinamento e di equilibrio nell'Europa centrale. Tanto più che fino a che la questione austriaca non è arrivata al suo stato acuto, l'Italia h a sostenuto la politica d i Berlino contro la Francia. Ora è la volta della Jugoslavia di jlirtare con Berlino. L'urto fra Mussolini e Hitler per l'affare austriaco h a avuto episodi molti significativi. I n Germania è stata pubblicata e distribuita l a carta geografica del futuro Reich hitleriano, con l a bandiera tedesca su Trieste. Dal canto suo l a Germania, mentre ha attirato nella sua orbita la Polonia, che sogna andare ad Odessa a spese della Russia, sta attirando nella sua orbita la Jugoslavia, che sogna ingrandimenti in Carinzia, e forse nell'Istria con


Fiume. Sono sogni, ma anche l'Italia fascista h a orientato l a sua politica antijugoslava per il suo sogno sulla Dalmazia. I n una nuova guerra parecchi sogni si realizzeranno, non si sa se a vantaggio o a danno di quale delle potenze sognatrici. L'azione della Germania di oggi è quella di scardinare le basi del sistema europeo uscito dalla conferenza della pace, eccitando appetiti e d attenuando in alcune potenze la fiducia nello stato attuale. Così è riuscita a far cambiare politica alla Polonia, ora tenta di attirare nella propria orbita la Jugoslavia ( i n urto con l'Italia) e la Rumenia stessa (per ragioni d i politica interna), sì da isolare la Cecoslovacchia, ch'è la più odiata delle tre; e B spese della quale si promette appoggio alle immediate rivendicazioni dell'ungheria. In questo pasticcio danubiano, Vienna va diventando una sfinge. Von Papen è là che intriga. I nazi austriaci staranno quieti e sull'attesa. I1 governo di S ~ h u s c h n i g g ( ~si) barcamener,à fra le potenze senza impegnarsi a fondo; e se reggerà al gioco dei partiti locali, non sarà esso che la romperà con Berlino, I1 maggiore Fey, uno dei responsabili dell'assassinio di Dollfuss, è in contatto anche oggi con i nazi, ma non è stato toccato non ostante le evidenze contro di lui perfino davanti ai tribunali. Questo stato di cose obbliga l'Italia a rivedere la sua politica fascista e a ritornare allo spirito del trattato di Rapallo (merito personale di Sforza) (7 e alle iniziative del partito (a) Kurt von Schuschnigg (n. 18W), membro del partito cristiano sociale, deputato nel 1927, ministro della giustizia (1932) e dell'istruzione (1933), alla morte di Dollfuss, nel 1934, fu chiamato alla carica di cancelliere. NOnostante la sua opposizione all'Anschluss, fu costretto a cedere (1938); dimessosi e arrestato dai nazisti, fu internato. Nel dopoguerra si trasferì negli U.S.A. dedicandosi all'insegnamento. (3) I1 trattato di Rapallo (12 novembre 1920), concluso per l'Italia dal conte Carlo Sforza, ministro degli esteri dellhltimo governo Giolitti, aveva composto in via consensuale, la controversia italo-jugoslava per la frontiera comune, con la rinunzia italiana alla Dalmazia e la costituzione di Fiume in città libera. I1 nuovo confine era disegnato dallo spartiacque alpino fino al Monte Nevoso, ed includeva quindi tutta 191stria, con le isole di Cherso e Lussino e la città dalmata di Zara. ( Cfr. C m m SEOBW:lug0~1avia, Stona e ricordi, Milano, Rizzoli, 1948).


popolare per una intesa economica permanente dell9Ita1ia con quegli stati successori che sono diaposti a tale intesa i n base alla politica dello status quo. Re Alessandro è mlla via d i Parigi e Barthou (3 andrà a Roma. Riuscirà l a politica francese per un rawicinamento dell'Italia con l a Jugoslavia? Su quali basi? con quali criteri? Oggi l a politica centro-europea o si orienta a Berlino o si orienta a Parigi. Dipende in gran parte dall'Italia se l'avvenire sarà turbato da un'invadenza germanica irresistibile, con tutte l e conseguenze che essa comporta; ovvero se si p o t r i avere almeno u n decennio di respiro, nello stato attuale; sì che l a Piccola Intesa si rinsaldi, l'Austria possa difendere l a sua indipendenza, l'Ungheria curi i suoi interessi economici, senza agitare inconsultamente un revisionismo immaturoi e. pericoloso. L'Italia avrebbe tutto l'interesse a risolvere l a sua crisi economica e morale in pace, i n una politica estera eguilibrata, d'intesa con l'Inghilterra e con la Francia. Barthou h a un compito grave, nel quale dovrebbe mettere molto savoir faire per risolvere con l'Italia amichevolmente e da gran signore (non come minuto commerciante) l e piccole questioni dell'emigrazione italiana in Tunisia e della rettifica dei confini libici, così come già in questi giorni egli è andato in aiuto a l governo fascista per poter risolvere qualche difficoltà finanziaria. Londra, 5 ottobre 1934.

(E1 Moti, Barcelona, 13 ottobre 1934). Amh. 4 A, 14.

(4) Jean Luis Barthou (1862-1934), letterato e uomo politico francese, deputato delia destra nel 1889, fu più volte ministro dopo il 1194 e preaidente del conriiglio nel 1913. Miniatro degli esteri con Doumergue, stava attuando una politica di avvicinamento alia Polonia ed alia Piccola Intesa, quando venne assassinato nel 1934 a Marsiglia, insieme con Alessandro I.


LIBERTA' E LEALTA' (dopo gli avvenimenti di Spagna)

E' impossibile che un popolo acquisti il senso della libertà, nella vita civile e politica, se non ha allo stesso tempo il senso dei doveri che l a libertà impone. Si confonde spesso l'idea di libertà con quella di uomo o popolo senza legge: la vecchia idea di una libertà primitiva, asociale e in sostanza antisociale, è un nonsenso psicologico e politico. Liberi non si nasce ma si diventa, nel senso che la libertà, sotto qualunque aspetto si guardi, è una conquista. Conquista dell'individuo su sé stesso, dominando le proprie inclinazioni e le proprie passioni; conquista della società perchè i n essa ciascuno possa sviluppare la propria personalità, senza impedire che altri faccia lo stesso. La libertà è un metodo che armonizza i diritti di ciascuno con i doveri verso gli altri e verso la società presa come un tutto. I1 metodo per essere valevole in una società, deve essere accettato da tutti e lealmente osservato; chi vi manca deve essere costretto all'osservanza e perfino punito. I n un gioco, le regole del gioco fanno legge; ciascuno è libero d i giocare come crede, ma non può non osservarne le regole, nè gli può essere lecito il barare. In sostanza la sua libertà ha per contropartita la lealtà, sulla quale contano gli altri, perchè ciascuno possa eseguire il suo piano liberamente. Così è nella società. La violazione del metodo della libertà, fa cadere la sostanza delle libertà che sono a base della vita politica e civile. Se si permettesse il furto, la proprietà sarebbe minata dalle sue basi; se a i permettesse la frode, il commercio non reggerebbe. Ora lo spirito di rivolta in un regime libero, è lo stesso che il furto e la frode in u n regime economico. Mentre il metodo di libertà porta a dare valore al voto elettorale, alle assemblee legislative, alla opinione pubblica espressa con le riunioni libere e la stampa; interporvi l'uso della forza illegale, cioè l a rivolta armata, è mancanza di fiducia nel metodo e mancanza


di lealtà verso gli altri che di quei metodo ancora si giovano. La conseguenza necessaria ne è una trasposizione di me. todo: dal metodo della libertà a quello della forza; dal bollettino e l'assemblea elettorale a i fucili e alle mitragliatrici. E' evidente che se una parte insorge, l'altra si difende con l e medesime armi. I n via generale, la parte dove si trova l'esercito regolare ha il sopravvento sull'altra parte ; e se I'esercito è diviso, la conseguenza più funesta ne sarà la guerra civile. L'esercito h a l'alta funzione della difesa della patria contro un eventuale nemico, ma non dovrebbe essere mescolato nelle lotte politiche. Ma quando scoppia una rivolta contro i poteri dello stato, i l governo si difende con le armi. I1 primo ad essere chiamato è l'esercito; e poi vengono i cittadini alla difesa. I1 governo di Vienna fece così nel febbraio scorso contro i socialisti, e il governo di Madrid l'ha fatto nei giorni scorsi (l). Purtroppo sarà difficile, dopo tali esperienze di sangue, evitare che l'elemento militare prenda una più marcata partecipazione al potere politico, inclinando verso la reazione e verso l'instaurazione di regimi autoritari. Così oggi è a Vienna, così a Berlino, dove chi domina non è Hitler, ma la Reichswehr, cioè il militarismo prussiano. Speriamo che a Madrid gli uo(l) Nell'ottobre 1934, l'ingresso di 3 membri della Confederaciòn Espanola de Derechas Aukinomas (C.E.D.A.) il nuovo partito cattolico diretto da José Maria Gil Robles, che nelle elezioni del novembre 1933 aveva ottenuto il maggior numero di consensi tra i partiti di destra e manifestava decise tendenze autoritarie e corporativistiche - nel ricostituito gabinetto del radicale Lerroux, aveva scatenato la reazione deile sinistre. La Confederazione generale del lavoro proclamò lo sciopero generale in tutto il paese. La cosiddetta a rivoluzione d'ottobre spagnola a ebbe i suoi epicentri in Madrid, Barcellona e nelle Asturie. A Barcellona, l'ingresso della Ceda nel governo centrale indusse il repubblicano Companys, capo della Generalitat catalana, a proclamare lo a stato catalano n in rapporto di federazione con Madrid. Mentre la sedizione catalana e lo sciopero generale di Madrid furono facilmente repressi dal governo centrale, con l'impiego della guardia civil e dell'esercito regolare in Catalogna; nelle Asturie, dove la forte ed agguemta coalizione delle organizzazioni di sinistra aveva ab sunto il controllo di gran parte della provincia, il governo di Madrid ricorse all'impiego della Legione straniera agli ordini del generale Franco. Alla soffocazione della rivolta era seguita una rappresaglia terribile.

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mini responsabili evitino di portare l'elemento militare al punto di ricominciare i pronunciamientos, un tempo così tipici nella penisola iberica. La lealtà verso l a libertà non è solo un dovere delle masse verso lo stato, è anche un dovere dei governanti verso lo stato e verso le masse. Un esempio di mancanza di lealtà l'han dato coloro che in Barcellona proclamarono lo stato libero di Catalogna, e la nuova federazione spagnola, e la vollero affermare con le armi. Che si possa desiderare o volere un'autonomia catalana diversa da quella che oggi si ha, non è vietato i n regime di libertà. Ma la via per sostenere tali idee non è nè una proclamazione contraria al patto di autonomia e alle leggi vigenti, nè una insurrezione armata ; sì bene la discussione, la propaganda e l a persuasione. Ora si discute a Barcellona e a Madrid se l'attuale autonomia catalana sia, così com'è, compatibile con la sicurezza dello stato. È una discussione legittima, dopo gli avvenimenti del 6 ottobre. Però, guai a venir meno dall'altra parte a l metodo di libertà e all'osservanza dei patti e delle leggi. Se modifiche si debbono fare, non certo con l a violenza e con i colpi mancini. La lealtà da ambe le parti. I catalani debbono assicurare lo stato, che essi non saranno un elemento sleale nell'esercizio delle loro libertà. Lo stato da parte sua per rispettare l'autonomia catalana deve essere sicuro di non dover ritornare altra volta a mandare l'esercito contro l a Generalitat catalana. Ecco i l gioco fra libertà e lealtà. Impossibile scompagnarle; altrimenti l a libertà perde il suo carattere, basato sulla personalità umana e sulla responsabilità dei propri atti. Non sarà più libertà, ma abuso. I n un paese che non reagisce facilmente, si ca& nell'anarchia; in quello che reagisce, si arriverà alla dittatura e a i nuovi tipi di regimi totalitari. Oggi da molti, non si ha più fiducia nel metodo della libertà. I1 meccanismo è lento, i risultati sono parziali, i difetti sono moltissimi. Allora l e masse insoddisfatte si agitano; i partiti si agguemscono e si armano per a m v a r e a prendere il potere e non lasciarlo più. Si ha fretta, e si crede che con l a fretta si arrivi a ricostruire un paese e a superare una crisi. Errore enorme, che costa quel che di meglio può conservare


un paese; le sue istituzioni libere e la possibilità di una solida ricostruzione. Ma ci vuole pazienza. Occorre saper aspettare; occorre aver fiducia nella libertà, perchè la libertà renda tutti i suoi frutti. Fra le violenze delle rivolte e le repressioni della reazione, passa sempre molto tempo a distruggere e ricostruire ed è un'illusione che si possa ottenere il benessere pubblico con la fretta. Invece col metodo della libertà, la ricostruzione sarà più lenta, ma più sicura; e l'ordine che ne deriva affranca un paese dai sussulti e dalle guerre civili. Londra, ottobre 1934. (E1 Moti, Barcelona, 23 ottobre 1934). Arch. 5 A, 10.

LA RESTAURAZIONE ASBURGICA ( l ) Strano : nessuno pensa che la questione della restaurazione asburgica possa essere d'attualità, ed avere un peso nella politica del momento. Eppure, per quel sottile cammino che fanno le questioni politiche internazionali, si può dire che in questo moniento riappare come uno spettro. È dal lato jugoslavo che la questione si sente; può essere un falso allarme o la preoccupazione di un futuro lontano, certo si è che in determinati circoli militari, che oggi sono padroni del governo, si ha freddezza verso la Francia, sfiducia di una pos(l) Sulla questione si vedano in L. STWEZO,Miscellanea Londinese, vol. 11°, cit., gli articoli dal titolo: <r I1 problema dell'Europa Centrale s, apparso in Politique, Parigi nel sett. 1933, e u Democrazia autoritaria o monarchia costituzionale? D, apparso m EL Mati di Barcellona il lo ottobre 1933. Mentre la Piccula Intesa e la Geìmania erano radicdnente contrari ad una restaurazione, tanto in Francia che in Italia vi erano correnti favorevoli ad un ritorno a Vienna di Ottone di Absburgo, figlio deil'imperatore Carlo. In Italia era la stessa politica estera di riawicinamento austro-ungherese in funzione antitedesca a mantenere in vita la prospettiva di una restaurazione.


sibile intesa con l'Italia, perchè si teme che nè la Francia nè l'Italia, al momento dato, impediranno che gli Asburgo tornino a Vienna. Vero o no, in certe sfere francesi si h a l'idea che solo u n Asburgo a Vienna possa impedire 19Anschluss. Oramai la fiducia verso Schuschnigg e verso Starhenberg è piuttosto diminuita. Si sa che i nazi d'Austria non stanno fermi, solo attendono che passi il plebiscito della Saar, per tentare un nuovo colpo; e i socialisti malcontenti non sono indifferenti ai contatti con i nazi. Perciò l'idea d i una restaurazione sembra, a parecchi o a molti, l'unico à tout perchè l'Austria non cada sotto le grinfie della Germania. Non si attribuisce questo ragionamento direttamente al Quai d'Orsay, che sa bene come la Piccola Intesa si risentirebbe d i ciò; ma quel che gli si rimprovera è l a mancanza d i dichiarazioni esplicite, marcate, inequivocabili, sull'opposizione della Francia alla restaurazione asburgica come un punto saldo della sua politica, avvenga che può. E l'Italia? Mussolini è personalmente contrario a che Otto vada a Vienna, ma, a parte che il duce non è mai fermo nei suoi atteggiamenti di politica estera, può egli dare u n impegno alla Jugoslavia che vi si opporrà in ogni caso, per mantenere con essa l'amicizia e i buoni rapporti? E si può avere fiducia negli impegni del duce? Ecco il problema com'è visto i n Jugoslavia i n certi circoli militari importanti. Da qui, l'inclinazione (fin ora platonica ma non meno preoccupante) di questi circoli verso Berlino. Per ora il fatto della Piccola Intesa, che per ragioni della Cecoslovacchia non può non essere orientata verso la Francia; gli interessi dei tre stati successori di mantenere il principio antirevisionista nei confronti dell'ungheria, tengono la Jugoslavia legata alla politica francese, e il Jevtic (1) ne è l'esponente più autorevole.

(a) Bogoljub Jevtic fu ministro degli esteri e poi primo ministro nei gabinetti che segiiirono la morte di re Alessandro. (Cfr. nota seguente). Egli portò la questione delle responsabilità ungheresi per l'assassinio davanti al consiglio della S.d.N.


Ma la politica francese va subendo degli insuccessi enormi i n materia di alleanze. La Polonia è già più o meno dal lato tedesco, la Rumania pencola, e con tutta la sua abilità Titulescu non potrà fermarla sul cammino verso la Germania. L'intesa tra l'Italia e la Francia è problematica. Se a questi fatti si aggiunge una debolezza qualsiasi di Parigi per una Vienna asburgica, o quasi, sarà la goccia che fa traboccare il vaso, e la Jugoslavia s'intenderà con Hitler. Fin ch'era vivo Alessandro (=)questa possibilità era lontana ; ora che vi è una reggenza, che come tutte le reggenze è debole e insicura (oltre che debole per le persone che la compongono) la situazione va mutandosi. Gli elementi militari, che pensano ad una guerra certa e che, tutto sommato, non possono chiudere gli occhi a i progressi della Germania nel centro ed est Europa, credono che la via per una Grande-Serbia (ch'è quella ch'essi sognano) passa più da Berlino che da Parigi. Attenti, che il gioco polacco non abbia imitatori. Londra, 30 ottobre 1934.

(L'Aube, Paris, 31 ottobre 1934). Arch. 4 A, 17.

ORRORI E RESPONSABILITA' Lo sciopero della morte deciso dai minatori d i Pecz in Ungheria è uno degli episodi più tragici che segni la storia del lavoro nei nostri tempi. Circa un migliaio di minatori di carbone, dopo avere invano chiesto un aumento di salano, ritenuto necessario

(3) I1 9 ottobre 1934, re Alessandro, sbarcato a Marsiglia per una visita ulìiciale in Francia, era stato ucciso a colpi di rivoltella insieme al ministro degli esteri francese Barthou. L'attentato era stato preparato .negli ambienti dei fuoriusciti croati separatisii, e Belgrado recriminò contro l'Ungheria e l'Italia. Era succeduto al trono jugoslavo il figlio minorenne Pietro Ilo, con un consiglio di reggenza presieduto dal principe Paolo, cugino del re morto.


alla loro misera vita, verso la metà dello scorso ottobre decisero di scendere nei pozzi della miniera e di chiudersi li, preferendo morire che vivere: Se non accogliete le nostre richieste - essi dissero - potete ordinare mille bare rosse B. I padroni resistettero, resistettero gli operai, che avevano cominciato lo sciopero della fame. I1 deputato socialista Esctergllyos scese nei pozzi; non poté persuadere quegli operai a recedere dalla loro decisione. Egli disse alla folla di parenti e di minatori che assiepava la zona occupata, di averli trovati sdraiati a gruppi sulla polvere e i loro capezzali erano blocchi di carbone. Alcuni si rotolavano nel fondo dei pozzi non potendo resistere alla sete e alla fame; altri apparivano del tutto sfiniti. Avendo il deputato detto loro che sarebbe ritornato, essi gli risposero: Non tornate altrimenti non rivedrete la luce. L'aria comincia a mancare. O vinceremo o moriremo 1). Le scene di questo suicidio collettivo mano mano divenivano spaventose; e la folla sopra i pozzi tumultuava. La compagnia delle miniere di Pecz infine fu costretta a cedere alle richieste ' operaie.'Gli scioperanti della fame furono rianimati e ricondotti chi i n famiglia e chi negli ospedali. Qualche giornale ha poi detto che le promesse fatte dalla compagnia non vengono completamente mantenute e che i minatori tornano ad agitarsi. Questo episodio non h a nessuna colleganza con quell'altro della rivolta dei minatori delle Asturie (l), tranne la coincidenza di date. I minatori delle Asturie hanno capeggiato la rivolta, usando le armi accumulate per l'imprudenza dei governanti e l'istigazione dei capi sovversivi. Essi si sono impadroniti dei depositi di dinamite, per incendiare, abbattere, uccidere, in una rabbia distruttiva che non ha l'eguale. Però nella mia mente i due episodi vengono awicinati non perchè contemporanei nè perchè in ambo i casi si tratti di minatori, ma per una serie di elementi che debbono farci molto riflettere sulle cause e sulla portata di tali fatti nel doppio campo sociale e politico. I minatori, per il genere di lavoro che fanno, e per la vita (l)

Cfr. l'articolo 29 della presente raccolta.

'i.- Srcazo

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Miscellanea Londinese . 111.


che sono costretti a menare, sono una delle classi di lavoratori meno assistita moralmente, spesso non remunerata sufficientemente, esposta a gravi infortuni, e purtroppo non sempre al livello morale delle altre classi operaie. Meritano per questo un'assistenza sociale e religiosa maggiore delle altre classi; non solo per le questioni d i salario e ore di lavoro, ma per l'igiene, le abitazioni, le scuole, le chiese, gli asili infantili, le cooperative, le leghe professionali, le mutue sociali, e così via. Perchè i minatori quasi dappertutto (meno frazioni insignificanti) sono caduti in mano ai socialisti? Se i cattolici, i l clero, i vescovi anche, avessero ascoltato con prontezza, coraggio ed entusiasmo la parola di Leone XIII, quando egli pubblicò la enciclica Rerum Novarum (2) sulla condizione degli operai il 15 maggio 1891, le cose sarebbero andate diversamente. Allora solo pochi centri erano presi dal socialismo. Gli altri erano abbandonati a sè stessi, senza che nessuno si occupasse sul serio della triste situazione del lavoro. Se i cattolici d i ogni paese avessero lavorato con persistenza i n questi quarantatre a ~ neli campo operaio, i frutti oggi sarebbero assai larghi. Quando, come fiore sbocciato al caldo soffio della parola leoniana, sorse la democrazia cristiana (=), e da! Beigio, (dove per primo risuonò quel nome) arrivò in tutta l'Europa (la prima affermazione in Italia fu nel 1894 con il Toniolo, e allora io giovane vi partecipai con tutto il cuore e mi vi dedicai completa-

(3 C&. L'enciclica u Rerum Novarum n, Testo autentico e redazioni preparatorie dei documenti originali, a cura di mons. Giovanni Antonazzi, con prefazione di mons. Domenico Tardiii, Edizioni di Storia e Letteratura, Roma, 1957. (3) I1 termine u democrazia cristiana D si diffuse tra i cattolici italiani nell'ultimo decennio del secolo scorso. Il termine figura, fra l'altro, nel u programma dei cattolici di fronte al socialismo D noto anche col nome di a Programma di Milano 3, approvato nel corso del convegno dellwnione cattolica italiana di studi sociali (organismo fondato da G. Toniolo nel 1889), svoltosi a Milano il 2 e 3 gennaio 1894. I1 testo del programma di Milano in G. TONIOU), Democrazia cristiana. Concetti e indirizzi, vol. I, Città del Vaticano, 1949, pp. 3-14.


mente), l'ostilità dei cattolici conservatori fu così decisa, da aver sentito ripetere i o stesso ch'essi preferivano il socialismo alla democrazia cristiana. Gli anni son passati, e quanti avvenimenti d'allora ad oggi. Bisogna convenire che il campo della democrazia cristiana, non ostante tutto, non è stato disertato, e che l a più interessante opera che ancora vive è la confederazione internazionale dei lavoratori cristiani con sede a Utrecht (4). Anche l'Ungheria e anche la Spagna hanno i loro campioni e i loro pionieri. Nei tristi giorni della rivolta delle Asturie il sindacato cattolico di Moreda ha saputo opporsi ai rivoltosi tenendo testa con fermezza e coraggio a i rivoluzionari comunisti per un giorno intero. Ma è triste che gli operai debbano essere costretti a combattersi con le armi. 11 mio omaggio va i n questo momento a tre nomi spagnoli noti ai democratici cristiani di Europa: i l prof. don Severino Aznar (7, l'avvocato ex-ministro Angelo Ossorio (') e il canonico Arboleya. Essi sanno quanta ostilità, quanti sospetti, quali lotte sono a loro venute per il loro programma sociale. Ma se essi fossero stati ascoltati, oggi i cattolici spagnoli non passerebbero, (4) Dal 15 al 19 giugno 1920 si svolse allYAjail primo congresso internazionale dei sindacati cristiani, a l quale parteciparono novantotto delegati in rappresentanza di tre milioni e mezzo di lavoratori. I n tale occasione venne costituita la « confederazione internazionale dei sindacati cristiani n, con sede ad Utrecht. Segretario generale venne nominato l'olandese SerraI l movirens, presidente lo svizzero Scherrer. (Cfr. L. RIVA SANSEVERINO, mento sindacale cristiano dal 1850 al 1939, Bologna, 1950, p. 387 e 5s.). (5) Severino Aznar Embid (1870-1959), sociologo e pubblicista spagnolo: professore di sociologia all'università centrale dal 1930, prese parte a numerosi congressi internazionali di sociologia. Fondò il primo segretariato agrario in Ispagna, che ebbe prima carattere privato poi pubblico, sostenuto dalla chiesa. Attivo collaboratore a numerose riviste, tra cui Lo Paz Social e autore di numerose opere di scienze sociali e problemi agricoli. (6) Angelo Ossorio y Gallardo, giurista, storico e politico spagnolo, nato nel 1873. Deputato aile Cortes, fu anche ministro e ricoprì numerose cariche politiche. Oppositore di Primo de Rivera, f u favorevole all'abdicazione di Alforno XIII nel 1931. Collaborò alla repubblica senza legarsi a neasnn partito. Autore di numerose opere il cui motivo centrale è la necessità deil'ordiie giuridico nella società civile.


di fronte alla classe operaia, per fascisti, per reazionari, per alleati dei padroni anche nell'ingiustizia. Abbiamo parlato dei minatori, perchè i fatti ci han dato l'occasione; ma più larga e d i urgenza inderogabile, tanto in Ungheria che in Spagna, è la questione agraria; e sembra che i cattolici abbiano perduto troppo tempo a prendere sul riguardo una posizione netta e coraggiosa. Non ingiustizie a danno dei proprietari, ma giustizia ed equità a favore dei lavoratori. Coraggio e larghezza di vedute occorrono, per redimere il lavoro agricolo da un servaggio che dura da secoli. Le responsabilità del passato pesano su di noi. - -

Londra, novembre 1934.

(E1 Mati, Barcelona, 21 novembre 1934). Arch. 4 A, 15.

32. DUE ESPERIENZE A PROPOSITO DELLA CRISI FRANCESE Al principio del 1921 capo del governo italiano era Giolitti. L'opposizione social-comunista era forte: 152 deputati. Ii p p po popolare (99 deputati) collaborava con lui a malincuore ed egli non ne tollerava nè l'importanza nè l'indipendenza. I1 gruppettino di destra e i nazionalisti erano contro di lui. Per modificare la situazione egli decise di sciogliere la camera e convocare i comizi elettorali, ed ottenne dal re il decreto. Giolitti giocava una grossa carta; egli aveva favorito i fascisti e ne aveva tollerato le violenze. Pensava che nel momento in cui socialisti e comunisti venivano a dividersi, e una parte dei conservatori cattolici si allontanava dai popolari a causa del loro programma agrario-sociale, l'intervento dei fascisti alla camera poteva iimitare le potenzialità dei due partiti d i massa e dare a lui e al suo vecchio e abile gruppo democratico liberale l a posizione prevalente che aveva perduto. Le elezioni awennero nel maggio 1921. Giolitti non guadagnò, i socialisti u n po' diminuiti e i popolari un po' accresciuti


rimasero i partiti più forti; ma in contraccambio entrarono alla camera i fascisti con Mussolini, il quale orientò verso di sè una parte della borghesia cosidetta liberale. Giolitti si ritirò; Bonomi e Facta fecero ministeri deboli. F u preparata così la marcia su Roma e il colpo di stato del 28 ottobre 1922. Altra esperienza in Germania. Briining nel 1930 è alle prese con il Reichstag; non può contare sui socialisti, ch'egli del resto non ama; piega a destra con Treviranus verso i nazionalisti. Tenta allora di rovesciare la situazione, sciogliendo il Reichstag. I nazi che allora avevano solo 6 deputati e non contavano nella vita parlamentare, con le elezioni del settembre 1930 riescono in 107. La situazione è alterata. I1 resto è noto. Briining cade, come cadde Giolitti; von Papen e Schleicher, l'uno positivamente e l'altro negativamente, prepararono l'awento di Hitler e il cambiamento di regime. Non si può negare al capo dello stato ( r e o presidente di repubblica) il diritto d i sciogliere anticipatamente le camere. Tale diritto sarà regolato secondo la tradizione dei vari paesi. Però questa valvola del regime parlamentare non può essere usata per spostare la maggioranza parlamentare. Ciò preparerebbe la via al regime personale, sia di un re (nel caso di costituzione monarchica), sia d i un presidente o anche di un capo di governo. Lo scioglimento della camera è un appello al paese, perchè questo giudichi, non fra una maggioranza e il suo governo, ma sopra le questioni che il corpo elettorale non ha conosciuto e sulle quali non si è pronunziato. È questo il metodo del191nghilterra; per essa è inconcepibile un governo che voglia alterare la sua maggioranza parlamentare attraverso un'elezione; ma è legittimo che il corpo elettorale sia chiamato a dare il suo parere quando il cambiamento della maggioranza si è operato sopra una questione pratica determinata. Così fu nel 1931, q a n d o , per la crisi monetaria, si formò il gabinetto nazionale (l). ( l ) Nell'agosto 1931, in un momento di gravi diflicoltà finanziarie dipendenti dalla crisi internazionale, Ramsey Mac Donald era uscito dal partito laburista, e con il suo seguito aveva formato, insieme al partito conservatore ed alia maggioranza dei liberali, un governo « nazionale n di cui egli era


Questa discussione avrebbe l'aria di un casuktica di diritto costituzionale, se non ci fosse un elemento di fatto che oggi altera le situazioni parlamentari verso le dittature, cioè la formazione delle squadre armate. Tanto in Italia che in Germania i governi pre-dittatoriali hanno tollerato e in certi casi favorito i partiti che si andavano armando, mettendo uniformi, inquadrando l a gioventù, ed esercitandosi a l tiro del fucile, anche contro persone determinate, e predicando una rivoluzione. I n Francia oggi e' è qualche cosa di simile. La propaganda per l a dissoluzione ha u n netto significato d i voler cambiare la situazione parlamentare a favore di una parte e contro l'altra. E benchè non ci siano visibilmente squadre armate come i fascisti e i nazi, pure c'è lo stesso spirito nelle due ali estreme (ex-combattenti nazionali e fronte comune) pronti a scendere in piazza e se occorre a usare l a violenza. I n questo ambiente occorre ben altro che uno scioglimento della camera con intenzioni di parte. Occorre l a volontà, nei capi dei partiti dbrdine e del governo (che ne è emanazione) di non permettere che la legge sia violata, che l'ordine sia turbato, che l a piazza pigli l a mano, che l e fazioni si armino. Contro l'uso privato delle armi bisogna essere rigorosi e vigilanti. L'opinione pubblica non dovrebbe tollerare che dei privati portino le armi, nè per offendere nè per difendere. C'è l a polizia; c'è l'esercito e bastano. Quel che oggi fa temere, in Francia, della solidità del regime democratico, non è tanto l'atteggiamento antiparlamentare e disfattista di una parte della stampa, quanto l a sfiducia nel metodo della libertà che ha preso una parte notevole dei militanti della politica; gli uni per paura dei socialisti e comunisti, oggi fronte unico, e gli altri per paura dei fascisti veri e d i quelli immaginati tali per comodità polemica, come il presidente Doumergue (3. primo ministro, ma Stanley Baldwin, capo del partito conservatore, vi esercitava un'autorità predominante. Le elezioni dell'ottobre 1931, con la sconfitta dei laburisti, avevano energicamente confermato la formula Mac Donald-Baldwin. (2) Cfr. i nn. 12 e 27 della presente raccolta. Il governo Flandin-Lava1 era succeduto al gabinetto di coalizione nazionale di Doumergue.


Questo ambiente di sospetto reciproco è pericoloso. Se il governo Flandin sarà capace di ridare fiducia alle istituzioni democratiche, avrà reso un gran servigio alla Francia. Non bisogna credere alla fatalità degli avvenimenti; l a fatalità non esiste che nella impressione fantastica che possono destare gli avvenimenti. Se il re d'Italia, cedendo alle pressioni d i due capi militari, non ritirava l a parola d i firmare il decreto sullo stato d'assedio, deciso dal ministero Facta, l a marcia su Roma non avveniva. Non fu una fatalità, quella, ma una responsabilità assunta da chi aveva il potere di assumersela. La storia giudicherà. g e von SchleiSe Hindenburg non mandava via B ~ n i n prima cher dopo, per i loro provvedimenti agrario-sociali, che toccavano gli interessi dei grossi hoberaux pmssiani, Hitler non arrivava allora a prendere il potere, e forse alla Germania sarebbe stata risparmiata tale esperienza. Dopo che i fatti sono avvenuti, si trovano storici che dimostrano facilmente che l'ambiente era maturo e che non potevano non essere. È la loro una facile filosofia del post-factum; e non si accorgono che, se uno solo degli elementi concomitanti veniva meno, i fatti potevano accadere tutto al contrario; e I'ambiente sarebbe stato maturo al contrario! Se la Francia oggi correrà il pericolo della dittatura non sarà per una fatalità (come potrebbe sembrare all'accademico Louis Madelin), ma sarà per colpa personale e volontaria di coloro che sono i più responsabili dell'attuale vita politica. Londra, novembre 1934.

(L'Aube, Paris, 28 novembre 1934). Arch. 4 A, 16.

PSICOLOGIA DI DITTATURA

C'è nell'aria anche nei paesi di vecchia democrazia, come nel Belgio, una psicologia di dittatura. Non che la gente ami la dit-


tatura, meno i soliti esaltati, ma, da lontano, viene riguardata come un pis-aller, quale un rimedio ai mali del momento... Nel mio recente viaggio a Bruxelles ho visto parecchi amici ed ho fatto qualche nuova e interessante conoscenza. I n fondo, nessuno vorrebbe buttar giù l e libertà sulle quali un secolo addietro fu edificato lo stato belga. Ma alcuni vorrebbero una dittatura economico-finanziaria per far fronte alla crisi, ch'è veramente grave. Con un amico, che mi riferiva tale idea (che va sviluppandosi presso i giovani) ebbi questo breve ma credo convincente dialogo. Lui Per essi, occorre un dittatore economico. I o .Credete possibile una dittatura parziale, per la sola economia, senza che invada tutti i campi della vita politica e faccia crollare il sistema rappresentativo-democratico del Belgio? Lui A me non sembra possibile; ma essi non han più simpatia per il nostro sistema. Solo temono le masse operarie (in gran parte socialiste e in parte democratiche cristiane) e perciò limitano la dittatura all'economia. Io Ammesso, per ipotesi, che si possa creare una dittatura economica, senza intaccare il sistema parlamentare, credete che il futuro dittatore sarà un socialista o anche un democratico cristiano, cioè un uomo di sinistra? Lui Un uomo di sinistra? Neanche per idea ; sarà certo un uomo di destra. Vi ricordate quando i banchieri fecero cadere il ministero Poullet (l), democratico-cristiano in coalizione con i socialisti? Qualunque dittatore simile non si reggerebbe. I capitali fuggirebbero all'estero. Io È evidente. In tal caso, nell'interesse del popolo, non è meglio avere un ministero responsabile, con il controllo dell'opinione pubblica (parlamento, stampa, riunioni), che in forza di pieni poteri affronti la crisi; anzichè un dittatore nelle mani esclusive dei banchieri e dell'alta finanza? La conversazione continuò sulla ipotesi, avanzata da certi fanatici, di una dittatura del re. Nessuno crede sul serio che il

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( l ) Prosper Poullet (186&1937), uomo politico belga, deputato cattolico al parlamento, figlio del noto pubblicista e giurista belga Edmond Poullet.


re del Belgio violi il suo giuramento, come altri re di questo mondo. Questa e altre conversazioni, che io chiamerei (alla siciliana) di farmacia, mi diedero l'impressione che l'idea di dittatura, pur confusa, irrazionale e forse irrealizzabile, circola nel Belgio come un veleno sottile e rende difficile, presso i cattolici specialmente, un'aperta e franca reazione. Ma non è, per ora, che u n piccolo awelenamento conseguente ad u n pasto succulento e che allo svegliarsi si va eliminando attraverso lunghi sbadigli e un noioso peso alla testa, Alla fine il mio amico mi domanda: Non credete che si possa combinare il regime democratico con la dittatura? Io gli risposi : (( Certo che si : bisogna però intendersi sul significato di dittatura. I romani l'ammettevano e per un tempo determinato e per oggetti determinati, dentro il loro regime repubblicano e sotto il controllo popolare alla fine della dittatura. In sostanza, si trattava di quel che oggi si dice pieni poteri affidati ad u n uomo o a un consiglio dei ministri, per tre o sei mesi, per oggetti particolari, salvo il controllo pubblico alla fine del periodo stabilito. Quest'istituto, per quanto pericoloso, in certi periodi è necessario (per esempio in periodo d i guerra). C'è anche l'istituto della sospensione delle guarentigie statutarie (stato d'allarme o d'assedio) per il periodo di rivolte armate. Si tratta in tali casi di vere dittature secondo la concezione romana del periodo repubblicano. Oggi con la parola dittature s'intende un governo assoluto, senza controllo, senza responsabilità, come un regime stabile e duraturo, alla Hitler o alla Mussolini. Così, si parla anche di dittature di re, come quelle della Jugoslavia e testè quella dell'Egitto, che sono affermate, è vero, come dittature transitorie, ma nel fatto restano in indefinito e formano veri regimi oligarchici. Non è a credere che le dittature possano essere semplici regimi personali. Non ostante lo sforzo che fa Mussolini, di passare per l'uomo che vede tutto, che sa tutto, che conosce tutto, egli che ha tenuto contemporaneamente fino a otto ministeri, che oggi è presidente di ventidue corporazioni, e che assomma in eè tutti i poteri, pure anch'egli è circondato da un'oligarchia


potente, e spesso n' è soggetto, come qualsiasi re dell'ancien régime e qualsiasi mortale che tenga lo scettro e cinga la corona. È per questo che oggi la dittatura non può innestarsi nel regime costituzionale (salvo come emanazione parlamentare e popolare di pieni poteri determinati, controllati e transitori dati cum grano salis); altrimenti si cadrà nelle mani di una oligarchia irresponsabile, senza controllo e senza possibilità di essere eliminata nelle forme legali. La dittatura moderna è un pericolo, anche se emanazione momentanea di un parlamento, perchè per vivere deve ridurre il parlamento all'impotenza, pur conservandolo come paravento. È il caso dell'Italia e della Polonia, della Germania e della Jugoslavia. Ma tale parlamento non p o t ~ àmai più riprendere i suoi poteri e cacciar via il dittatore. Per farlo, occorrerà o l'esercito (dittatura militare) owero la rivolta della piazza che spesso finisce nel sangue, -

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Londra, dicembre 1934.

(El Muti, Barcelona, 7 dicembre 1934). Arch. 4 A, 13.

UNA VOTAZIONE PER LA PACE I n Inghilterra l'opinione pubblica ha, nel campo politico, un'efficacia più sensibile e più evidente che in nessun altro grande paese del continente. Due ne sono le ragioni; una prima che il governo non esercita mai, nè può esercitare, pressioni elettorali; una seconda che il governo è sempre ( o quasi sempre) l'emanazione di un partito, che può perdere la maggioranza e quindi il diritto a governare. Quando in Inghilterra un governo perde, in una questione d'interesse generale, l'appoggio dell'opinione pubblica, è un governo finito, perchè la maggioranza sarà rovesciata nelle prossime elezioni. Queste considerazioni mi vengono a mente a proposito della votazione per la pace iniziata dalla unione per la Società delle


nazioni. Le polemiche che ne sono seguite e gli ultimi atteggiamenti del governo di Sua Maestà Britannica, ne sono una prova. L'unione per la Società delle nazioni ha proposto ai cittadini del Regno Unito il seguente questionario: 1. Deve la Gran Bretagna restare membro della S.d.N.? 2. Siete voi a favore di una riduzione di armamenti in ogni paese per un accordo internazionale? 3. Siete voi a favore dell'abolizione in tutti i paesi dell'aviazione militare ( d i terra e di mare) per un accordo internazionale ? 4. Si deve, con accordo internazionale, proibire la fabbricazione e la vendita delle armi dell'industna privata? 5. Credete voi che se una nazione insiste nell'attaccare altra o altre nazioni, debba essere costretta a cessare le ostilità? a) con sanzioni economiche e non militari? b) e, se necessario, anche con l'intervento militare? (3. L'iniziativa dell'unione h a inteso anzitutto provare che la tesi di una politica d'isolamento, sostenuta dai giornali di lord Rothermere (2), non ha base nella pubblica opinione; e in secondo luogo, togliere al governo il pretesto, nei rapporti con l'estero, che l'opinione pubblica inglese sia del tutto contraria a prendere nuovi impegni internazionali all'infuori del trattato di Locarno. I n aggiunta oggi si vuole anche dare una lezione al ministro degli affari esteri, sir J. Simon (3), per la sua difesa delle fabbriche private di armi e munizioni, fatta recentemente alla camera dei deputati. Era naturale che tanto i giornali conservatori ( e non tutti) quanto gli uomini politici che non vogliono che un orientamento pubblico impacci le loro mosse, si opponessero a una simile votazione, e ne svalutassero la portata. (l)

Sui risultati di questo referendum cfr. l'articolo seguente.

( a ) Harold Sidney Rothermere (186&1940), noto

e uomo politico inglese, fondò con il fratello lord Northcliffe il Daily Mai1 (la%), il Daily Mirror (1903) e da solo, nel 1915, il Sunday Pictorial, il Sunday Dispatch e 1'Evening News. Propugnò una politica d'intesa con Mussolini. (3) John Allsebrook Simon (1873-1954), uomo politico inglese, liberale, ministro degli esteri dal 1931 al 1935, cancelliere dello scacchiere nel gabinetto Chamberlain (1937-1940).


Mentre da un lato uomini come sir Austen Chamberlain (3 si sono mostrati irritati dall'iniziativa dell'Unione, uomini come lord Cecil (5) e Gilbert Murray (p) l'hanno vigorosamente difesa E sostenuta. Non pochi si vanno astenendo dal votare, ma questa tattica non sarà molto efficace per la impressione del pubblico, mentre molti si affrettano ad esprimere la loro opinione. Lo spoglio di 21 gruppi di votazioni fatta ai primi di questo mese, h a dato un totale di circa 170.000 risposte. I risultati si possono riassumere nei seguenti ( i n cifra tonda): 165 mila perchè l a Gran Bretagna resti nella S.d.N. e 5 mila contro ; 160 mila per i l disarmo e 10 mila contro; 151 mila per l'abolizione dell'aviazione militare e 19 mila contro ; 158 mila per l'abolizione della fabbricazione e commercio privato delle armi, e 9.500 contro; 150 mila per le sanzioni economiche e non militari e 8 mila contro. Non si tratta che di un primo saggio, ben significativo. I1 lavoro perchè l a votazione continui fino ad ottenere la più larga partecipazione dell'elettorato inglese, è ben organizzato. I1 rieiiltato (anche con l'astensione degli indifferenti e degli oppositori) sarà certo imponente. I1 gabinetto MacDonald-Baldwin ha sentito rumore (come diciamo in Italia); e la mossa di Eden a Ginevra, riguardo l e milizie della Saar, è sintomatica. Non è stato solo un passo di carattere ginevrino, ma anche un passo di politica interna. Mentre due mesi fa non solo il governo era contrario a partecipare (3) Austen Chamberlain (1863-1937), ministro degli esteri nel gabinetto Baldwin (1924-1929), sottoscrisse il patto di Locarno (16 ottobre 1925); premio Nobel per la pace nel 1925 con Dawes. (5) Edgar Algernon Robert Cecil, lord Chelwood (1864.1958), deputato conservatore dal 1906, pari dal 1932, più volte ministro, fu tra i maggiori sostenitori della Lega delle nazioni. Premio Nobel per la pace nel 1937. Nel secondo dopoguerra gli venne conferita la presidenza onoraria dell'ONU. (6) Gilbert Murray (1866-1957), insigne filologo inglese, studioso di le:. teratura greca.


alla polizia della Saar, ma era seccato che un inglese come Knox dovesse avere nella Saar un ruolo di grave responsabilità, quale governatore, e ne avrebbe desiderate le dimissioni, oggi, sia pure con tutte le giuste cautele e con il consenso della Germania e della Francia (consenso che non sarebbe mancato neppure due mesi fa), il governo inglese si decide per l'intervento. Sulla stessa linea è la posizione assunta dal ministro Eden a Ginevra nella vertenza della Jugoslavia con l'Ungheria per I'assassinio di re Alessandro (l). I giornali inglesi più autorevoli, compreso il Times,notano che questo intervento, cauto ma attivo, della Gran Bretagna negli affari del continente, attraverso la Società della nazioni, è una buona politica di pace. Qualche cosa cambierà riguardo all'Europa se si potrà far capire a tutto il popolo inglese che la politica d'isolamento e d i non prendere impegni non giovetà alla pace, anzi preparerà la guerra. L'iniziativa di questa specie di referendum presa dalla Unione per la Società delle nazioni, è perciò degna di ogni appoggio. Londra, dicembre 1934.

(E1 Mati, Barcelona, 15 dicembre 1934). Arch. 4 A, 12.

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P.S. Le cifre di « Un referendum in Inghilterra (una votazione per la pace) n, pubblicate nel mio articolo di sabato, 29 dicembre, sono quylle della prima settimana di dicembre. I1 risultato dello spoglio effettuato nella terza settimana di questo mese è ancora più significativo, ed è il seguente: 436.884 perchè la Gran Bretagna resti membro della S.d.N. e 15.292 contro. 416.603 per il disarmo e 31.225 contro. 384.577 per l'abolizione dell'aviazione militare e 57.694 contro. 402.000 per l'interdizione dell'industria e del commercio privato delle armi e 29.000 contro. 398.000 per le sanzioni economiche e non militari e 20.000 contro. 244.000 per le sanzioni militari e 96.000 contro. È interessante rilevare che le percentuali dei voti pro e contro ogni questione sono più o meno le stesse per tutte le regioni. (L'Aube, Paris, 3 gennaio 1935).

(7) Cfr. la nota 3 dell'articolo u La restaurazione asburgica n, n. 30 della presente raccolta.


I L a NON

EXPEDIT n E IL

CARDINAL GASPARRI

Una sera del novembre 1918, pochi giorni dopo l'armistizio, accompagnato dal conte Carlo Santucci (l), amico personale del cardinal Gasparri (2), chi scrive veniva ricevuto negli appartamenti privati del segretario di stato (3). Avevo visto il cardinale solo due o tre volte, in ricevimenti ufficiali della giunta direttiva dell'azione cattolica della quale ero stato segretario generale durante circa tre anni, e della quale ero allora segretario del ramo scuola e consigliere generale per l'unione elettorale cattolica nazionale. Pochi giorni prima, il 17 novembre, i n un pubblico discorso tenuto alla Pro Cultura d i Milano ( 3 (presente il cardinal Fer(l) Carlo Santucci (1849-1932), uomo politico cattolico, appartenne nel periodo post unitario alla corrente dei conservatori nazionali, favorevoli all'abolizione del non ezpedit e d a formazione di un partito politico di cattolici. Nel 1919 fece parte della piccola costituente del P.P.I.; si staccò dal partito di Sturzo dopo il congresso di Torino dell'aprile 1923, aderendo al filofascista centro nazionale italiano. Fu presidente del Banco di Roma dalla fine del 1916 al febbraio 1923. Sul Santucci cfr. G. DE ROSA,I cowervaturi n a z i ~ r ì l i .Biografia d i Carlo Zantucci, Brescia, 1962. (2) Pietro Gasparri (1852-1934), cardinale dal 1907, segretario di stato dal 1914 al 1931, svolse un delicato ruolo diplomatico durante la prima guerra mondiale e per la conclusione con il governo italiano del concordato e del trattato lateranense nel febbraio 1929, di cui fu anche sottoscrittore in qualità di plenipotenziario. (3) Il 24 novembre 1918, il giorno stesso in cui venne approvato il prog a m m a del P.P.I. e l'appello u ai liberi e a i forti n, Luigi Sturzo e Carlo Santucci sottoposero quei documenti al giudizio del card. Gasparri, il quale raccomandò che a l nuovo partito non fosse imposto il u nome di cattolico o di cristiano, ma d'italiano, &chè non possa credersi che esso r a p p r e senti il Vaticano, il quale è e vuole essere estraneo n. Cfr. sull'argomento G. DE ROSA,Storia del movimento cattolico in ItaZia, vol. 11: I l partito popolare italiano, Bari, 1966, pp. 39 e 8s.; cfr. anche delio stessu autore 1 conservatori nazionali, cit., pp. 77-80. Sull'episodio riferisce, sia pure con qualche imprecisione C. SFORZA, L'ltalio dal 1914 al 1944, quale W la vidi, Milano, 1946, p. 77. ( 3 testo di questo discorso in L. S ~ v a z o l1 , partito popolare i t a b n o , vol. I, Bologna, 1956, pp. 32-58.

n


rari (7 di cui io ero ospite) avevo parlato del compito dei cattolici nella vita pubblica italiana, riesumando l'idea di una specie di partito d i centro con programma democratico cristiano. Una grave difficoltà si sarebbe opposta alla realizzazione di un organismo, ch'io con molti cattolici italiani ritenevamo allora necessario per il bene del nostro paese, cioè l'esistenza fin allora del non expedit. All'estero forse non si ricorda bene che cosa fosse il non che expedit. La frase è una formula della Sacra penitenzieria, rispondeva così a dei vescovi che nel 1867 avevano posto il quesito, se i cattolici potessero in coscienza votare nelle elezioni politiche e farsi eleggere deputati o senatori. I n quell'epoca del nuovo regno d'Italia erano stati soppressi gli ordini religiosi ed erano state occupate diverse provincie dello Stato Pontificio, e si era alla vigilia dell'occupazione di Roma (1870). I1 non expedit, con l'occupazione di Roma e la successiva politica anticlericale della sinistra, fu confermato, e Leone XIII nel 1895 dichiarò che il non expedit equivaleva a una proibizione. Così i cattolici si astennero ufficialmente dal prender parte alla vita politica parlamentare e concentrarono le loro attività nella vita municipale e provinciale e nell'organizzazione dell'azione cattolica e del movimento operaio. Vani erano stati i tentativi fatti da certi gruppi di cattolici perchè la Santa Sede ritirasse il non expedit. Non erano riusciti. Solo Pio X fin dal 1904 aveva cercato di attenuare la rigida applicazione datavi da Leone XIII, col dispensare dall'obbligo del non expedit caso per caso a semplice titolo personale, senza però mai consentire che i cattolici formassero un partito poli(5) Andrea Carlo Ferrari (1850-1921), vescovo di Guastalla nel 1890, cardinale e arcivescovo di Milano dal 1894. Organizzò e riunì seminari e clero, promosse l'istruzione religiosa e il culto pubblico, difese e naffermò i principi cristiani nella famiglia e nella vita pubblica, aiutò e potenziò la stampa cattolica. Fu tra i fondatori dell'università cattolica del S. Cuore; la m a opera assistenziale fu proseguita dall'opera cardinal Ferrari e dalla compagnia di San Paolo. FU lo stesso card. Ferrari che consigliò a Sturzo di parlare al card. Gaspam sul proposito di fondare il P.P.I. a Andate subito a Roma - egli disse - e parlatene con chi di dovere n. (G. DE ROSA, Storia del movimento cattolico, vol. 11, cit., pp. 39-40).


tico (3. Per questa via erano entrati circa una ventina d i cattolici militanti a far parte della camera dei deputati; durante la guerra il cattolico Filippo Meda aveva accettato l a nomina di ministro delle finanze. L'Osservatore Romano fece delle riserve su questa nomina facendo capire che il Meda non aveva avuto nè autorizzazione nè consensi. La cosa restò lì e Meda continuò a tenere l'ufficio d i ministro (7. Questa era l a situazione, quando avvenne il colloquio con il cardinal Gasparri nel quale io domandai se l a Santa Sede trovava maturo il momento per ritirare i l non expedit e lasciare che i cattolici intervenissero nella vita politica italiana nei modi e con i programmi ch'essi credessero adatti al momento. I1 cardinale fu molto benevolo nell'ascoltarmi, ed io potei esporre in larghe linee quale fosse l'idea che animava me ed i miei amici nel promuovere un nuovo partito, con propria responsabilità politica, non come un partito cattolico alla dipendenza della autorità ecclesiastica, ma come un partito autonomo, distinto in tutto anche dall'azione cattolica, che però s'ispirasse ai principi cattolici sotto l'insegna della democrazia cristiana. I1 cardinale trovò interessante e audace il mio piano, e si (6) In vista delle eJezioni politiche dd 6 novembre 1W4, Pio X, in un colloquio con Paolo Bonomi, un organizzatore cattolico d i Bergamo, pur riconfermando il non expedit, concesse alcune deroghe in casi segnalati dai vescovi, al fine di appoggiare candidati moderati per contrastare possibili vittorie socialiste. La partecipazione cattolica alle elezioni del 1904 f u notevole e furono eletti anche tre cattolici: Carlo Cornaggia, Agostino Cameroni e Giuseppe Piccinelli. Fu questo il preludio ad una più vasta autorizzazione disposta da Pio X con l'enciclica I1 fermo proposito dell'll agosto 1906. Sul significato della partecipazione cattolica alIe elezioni del 1904, cfr. G. DE ROSA,Storia del movimento cattolico in Italia, cit., vol. I: Dalla restaurazione all'età giolittiana, pp. 438 e ss. (l) Filippo Meda (1869-1939) fu nominato ministro delle finanze nel 1916, nel gabinetto di coalizione nazionale presieduto da Paolo Boselli. L'OSsenatore Romano, commentando quesia nomina osservava che a non essendovi in Italia un partito cattolico politicamente costituito, anzi neppure in parlamento un gruppo cattolico propriamente detto, l'on. Meda non può, come ministro, rappresentare altri che se stesso n (a I1 nuovo ministero n, in L'Osservatore Romano, 20 giugno 1916; cfr. anche G. De Rosa, Filippo Meda e Z'età liberale, Firenze, 1959, pp. 183 e 8s.).


riserbò di pensarci e di sentire quale (circa il non expedit) fosse la mente del santo padre Benedetto XV. M'invitò a ritornare da lui fra qualche settimana. Ma poichè io allora ero sindaco della mia città natale, Caltagirone, e dovevo trovarmi lA per impegni urgenti, promisi di fare ritorno in Vaticano dopo un mese. La sera del 21 dicembre (16 anni fa oggi) tornai, solo questa volta, dal cardinal Gasparri, nel suo appartamento privato, e il cuore mi batteva forte. Quale sarebbe stata la risposta della Santa Sede? Io avevo l'animo disposto a ricevere, con la stessa fiducia, tanto il si che il no. Avevo di già fatta la stessa esperienza con Pio X nel 1906 ed avevo avuto allora una risposta negativa. Ma ora gli avvenimenti incalzavano. I1 ritorno delle masse dalla guerra, era imminente per la smobilitazione; l a necessità di organizzare operai e contadini nelle unioni professionali era urgente, e il campo politico era uno sbocco a molte energie compresse durante la guerra. I1 cardinale fu amabilissimo: egli mi fece molte difficoltà alle quali risposi come credevo in coscienza. Mi pareva d i subire un esame. Infine mi disse: (C Voi e i vostri amici certo agite per il bene dell'Italia e in perfetta unione spirituale con la chiesa e con retta intenzione. Fate pure, se lo credete necessario, un partito politico. Ma questo non deve impegnare nè la Santa Sede nè l'azione cattolica. Se volete, lo farete a vostro rischio e pericolo n. Ebbi in quel momento la visione della mia responsabilità e i pericoli di una tale impresa. Non mi pento di averla affrontata; credo di aver servito, anche in un campo così diverso dal sacerdotale, e la chiesa e la patria. I1 18 gennaio 1919 fu lanciato l'appello e il programma del partito popolare italiano. I1 10 novembre 1919 fu ritirato il non expedit per decisione della Sacra penitenzieria. I1 19 novembre 1919 venivano eletti 99 deputati popolari. I1 ritiro del non expedit era per me un dato necessario alla formazione e attività del partito popolare; per il cardinal Gasparri era un altro passo verso il suo ideale di arrivare alla conciliazione fra lo stato italiano con Roma capitale e la Santa


Sede. Perchè il significato del ritiro del non ezpedit (sia che fosse stato costituito o no il partito popolare) era ben chiaro: i cattolici potevano partecipare in tutta coscienza alla politica del proprio paese, non ostante che la questione romana non fosse risolta. Fu nello stesso anno 1919 l'altro provvedimento della Santa Sede, per il quale fu tolto il veto ai capi di stato cattolici di andare a Roma e da allora essi furono ricevuti egualmente dal Vaticano e dal Quirinale, fin da dieci anni prima del trattato del Laterano. Nello stesso anno 1919 mons. Cerretti (allora non era cardinale (") si abboccava a Parigi con il primo ministro Orlando per iniziare le trattative di un'intesa sulla questione romana; e poscia, nel secondo semestre dello stesso anno 1919, il cardinal Gasparri i n persona aveva due o tre lunghe interviste con il primo ministro Nitti in Roma nel convento dei santi Giovanni e Paolo. F u lo stesso cardinal Gaspam, quegli che durante la guerra, quando si era sparsa voce che la Germania avesse fatto delle proposte per la soluzione della questione romana in caso d i vittoria tedesca, aveva dichiarato che tale soluzione doveva essere fatta direttamente fra la Santa, Sede e l'Italia. Londra, 21 dicembre 1934.

(E1 Mati, Barcelona, 29 dicembre 1934). Arch. 1 A, 10.

(8) Bonaventura Cerretti (1872-1933), cardinale, diplomatico, durante la conferenza delia pace di Versaille8 (maggio-giugno 1919) ebbe colloqui con Vittorio Emanuele Orlando per una soluzione concordata delia questione rcrnmti. FU B r e ad oppolsi d a conthuazione delle trattative. Fu n m i o a Parigi nel 1921. Vedi sulla missione Cerretti a Parigi: (Giuseppe De Luca), I l cnrdinale Bonauentura Cerretti, Roma, 1930, in particolare, pp. 218-31; V. E. OR-, Su alcuni miei rapporti d i governo con la Santa Sede. Note e ricordi, Napoli 1930; Cfr. DE ROSA,Storia del movimento cattolico in Italia, vol. 11: I l partito popolare italiano, cit., p. 203.


PREVENIRE O REPRIMERE Per molto tempo, nel secolo scorso, si discusse se, in politica, era migliore il metodo di u prevenire per non reprimere D o quello di u reprimere e non prevenire D, Per uno di quegli equivoci, che i filosofi chiamano sofismi, i sostenitori del prevenire per non reprimere era gli anti-liberali o reazionari, che volevano il regime autoritario della polizia e della censura; essi perciò accusavano i liberali d i non prevenire i turbamenti sociali e quindi essere costretti a reprimere, e perciò attribuivano ai liberali la massima di reprimere e non prevenire. Dal canto loro i liberali intendevano il prevenire come un ele. mento educativo, come u n prodotto della libertà ( e i n ciò erano ottimisti) e quindi i n un altro senso essi erano a favore del prevenire per non reprimere. Ma nel senso poliziesco e coercitivo essi ammettevano che lo stato non avesse diritto a violare la libertà personale dei cittadini prima che il reato fosse avvenuto, e quindi sotto questo aspetto erano a favore del reprimere e non prevenire. La discussione, su termini equivoci e con confusione di idee, durò a lungo, finchè, prevalso il sistema di libertà costituzionale, si cercò nel fatto d i temperare i due estremi, il poliziesco autoritario e il liberale in un compromesso pratico. Oggi, ch'è tornato in voga presso diversi stati il regime poliziesco ( e come!), per molti non è più una questione di diritto dello stato di prevenire e si estende fino all'arbitrio ; per contraccolpo anche le repressioni non mancano, fino al punto di £are dei massacri dei pretesi nemici dello stato, come il 30 giugno 1934 in Germania, e durante il dicembre scorso i n Russia. Oggi il motto d i uno stato ultra potente potrebbe essere quello di prevenire e reprimere.

***

Questi ricordi d i una vecchia polemica mi sono venuti in mente a leggere la statistica pubblicata il 12 dicembre nel bol-


lettino della a Fédération syndicale internationale D su certi tipi di spesa dei paesi democratici e di quelli autoritari messi a confronto. Da una parte sono raggruppate le spese d i polizia, giustizia e armamenti, (categona A) e dall'altra le spese d i educazione, cultura e previdenza sociale (categoria B). PAESI A

REGIME

DEMOCRATICO Cat. B

Paesi

Moneta

Anno

Categoria A

Francia Gran Bretagna Stati Uniti Svezia Danimarca Belgio Olanda

franco lira sterlina dollaro corona corona franco belga fiorino

1934 193435 1932-33 1933-34 1933-34 1933 1933

12.700 milioni 10.300 milioni 156 377 a 1.500 u 2.900 n 145 D 688 n 84 n 375 a 1.700 » 3.900 B 486 m 161 »

.

PAESI A REGIME AUTORITARIO Italia Austria Bulgaria Lituania Polonia Portogallo Ungheria Romania Germania

lira scellino leva lat. zloty escudo Peng" lei marco

7.600 milioni 2PO D 1.700 a 74 n 1.100 a 633 n 218 u 7.900 n 1.600

3.800 milioni 126 D 1.100 47 n 426 n 288 n 146 n 4.600 n 900 n

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Le cifre della Germania non sono sicure, perchè si dubita se le previsioni fatte siano vere o truccate. Circa la Spagna occorre tener conto che molte scuole sono in mano a religiosi, e l e relative spese restano di carattere privato, non riportate sul bilancio dello stato; nè vi è calcolato il bilancio particolare della Catalogna. La Spagna non può per ora classificarsi n è fra i paesi democratici nè fra quelli autoritari; il suo bilancio nel 19.34 portava 963 milioni di pesetas alla categoria A e 743 milioni alla categona B. Per la Francia occorre notare che vi sono molto scuole private di religiosi d i ambo i sessi, alle quali lo stato non dà nulla,


mentre in Inghilterra, nel Belgio, nell'olanda tali scuole sono sussidiate. La Francia inoltre h a il maggior peso militare per la situazione pericolosa in cui essa si trova. Ciò non ostante le differenze fra le spese repressive e quelle preventive, tutto considerato, non sono affatto simili a quelle dei paesi a regime autoritario. Tenendoci ai cinque grandi paesi, che hanno tutti un'organizzazione militare sviluppata, le proporzioni di rapporto fra le due categorie di spesa A e B sono significative. L'Italia è prima di tutti, da 76 a 38; viene poi la Germania da 16 a 9 ; la Francia da 127 a 103; gli Stati Uniti da 15 a 29; finalmente l'Inghilterra da 156 a 377. Ebbene; l'Inghilterra è oggi il paese più calmo, più solido, più prospero. E se qui non mancano segni di malcontento sul regime attuale e desideri di evoluzione proletaria, i cambiamenti si van facendo con quella tranquillità di metodo e quella fiducia nella libertà, che è il segno della più elevata civiltà ed educazione politica. Quando si pensa che qui i poliziotti non portano armi, che la giustizia è indipendente e sollecita, che le votazioni politiche si fanno in piena libertà, che non si ricordano delitti politici, si deve ben concludere che i 377 milioni di sterline per cultura, educazione e assistenza sociale sono bene spesi, e che la massima attuata è quella di prevenire per non reprimere. Londra, gennaio 1935.

(E1 Moti, Barcelona, 8 gennaio 1935). Arch. 7 A, 6.

MANCANZA DI PSICOLOGIA La politica è fatta per tre quarti di psicologia; se questa manca si fanno errori che si scontano a breve o a lunga scadenza. Quella che mancò quasi del tutto durante la conferenza della pace fu proprio la psicologia. Si potrebbe scrivere un volume


ben grosso a darne la prova. Uno degli errori di tale natura fu la decisione presa circa la Saar (l). Fra la tendenza francese a volere la Saar e quella americana a negargliela, la soluzione proposta di un plebiscito entro quindici anni sembrò la soluzione ideale, il non plus ultra del compromesso all'inglese, quando la inglese non è parte interessata. Così si creò u n malinteso tra la Germania e la Francia, che il 13 gennaio non ha cancellato intieramente. Perchè fissare per la Saar un plebiscito? Nessun poteva dubitare che la Saar fosse tedesca al cento per cento, e che in via normale non avrebbe affatto optato per la Francia. L'arrièrepensée fu che nei quindici anni di sfruttamento economico, la Francia avrebbe potuto, con le arti che la politica insegna, indurre gli abitanti della Saar a cambiare bandiera. Era il tempo in cui si pensava sul serio a un movimento separatista della Renania, della Westfalia e della Baviera. Questo fu un movimento artificiale, che cadde presto nel vuoto per la reazione naturale i n un popolo fiero quale il tedesco. La soluzione adottata fu la peggiore; espose la Francia ai risentimenti della Germania, ai sospetti d i voler profittare della posizione economica per una manomissione politica, agli intrighi di partiti e di uomini di affari; e poi alla fine ad u n esito del pleb'--l- C O S ~chiaro I: fuier:: dello Germania (non ostante un :=ULLC., governo quale quello di Hitler odiato o temuto), da domandarsi per quale stupida idea fu imposto il plebiscito dalla conferenza. Si potevano comprendere i plebisciti di popolazioni miste come quelle dell'Alta Slesia; ma quello di popolazioni omogenee non ha senso. A meno che non si volesse adottare una misura generale per tutte le provincie di confine, assegnate ai paesi vittoriosi, come l'Alto Adige e 1'Istria all'Italia, la Croazia alla Jugoslavia, le provincie austro-tedesche alla Cecoslovacchia, la Transilvania alla Romania e così via, e domandare a tutte un plebiscito a scadenza fissa. Il governo francese e gli uomini seri, non tocchi da eccessivo (l) I1 13 gennaio 1935, il plebiscito della Saar aveva sancito la riunione del temtono alla Germania con 476.089 voti, contro i 46.613 a favore dello status quo ed i 2.08'3 per la riunione alla Francia.


nazionalismo, si erano resi conto della vera situazione della Saar, fin da parecchi anni fa, ma non così che non volessero tenere in mano questo pegno per poter trattare nei colloqui internazionali. Briand, che vedeva più chiaro degli altri, voleva già risolvere il problema della Saar prima della scadenza, per togliere un motivo di malumore nei rapporti fra Germania e Francia. Ma la politica di Briand era avversata da tutte le destre e da parte del centro, come una politica debole e fatta di concessioni senza reale contropartita. La verità è che la Francia si è trovata, dalla guerra in poi, in una situazione tragica: per conto suo avrebbe fatto una politica forte verso la Germania, mentre l'Inghilterra inchinava ad una politica di concessioni e di intese per un avvenire di pace, nel quale aver fiducia. La Francia così si è trovata a dover cedere sempre alla Germania dopo avere sostenuto fortemente il no, in tutte le iniziative prese internazionalmente : l'eva. cuazione ailticipata del Reno (1930), il piano Young (1930), l'annullamento delle riparazioni (1932), la parità di diritto degli armamenti (1932). Oggi la Francia si trova di fronte una Germania riarmata di tutto punto, e la discussione con 1'Inghilterra verte sul tema se si debba riconoscere o no il riarmo, vietato dal trattato di Versailles. Discussione molto platonica, perchè nell'uno e nell'altro caso, la Germania ~r0seguir.àl a sua rotta verso il riarmo definitivo e completo. La barriera di una limitazione fissa di armamento e di un controllo automatico, che l'Inghilterra sostiene, sarà una barriera di cartone, che la Germania potrà respingere con un calcio. I n questo difficile momento, in certi giornali francesi si possono leggere affermazioni come quelle contenute nell'Echo de Paris del 23 gennaio, in un articolo dell'accademico Louis Madelin (1) dal titolo (C Recul n, Egli, storico eminente, vede i fatti dell'oggi con gli occhi del passato: così ha tutto il diritto di ricordare che la Saar fu sotto la monarchia dei Luigi e sotto l'effimero impero napoleonico. (2) Louis Madelin (1871-1956). storico francese. Deputato nella legislatura seguente alla guerra (1918). Accademico di Francia dal 1927, autore di una Storia della rivoluzione francese.


Quel ch' è contestabile è il credere che dopo la guerra si potesse pensare ad una politica espansionista della Francia verso l'est e ad una annessione della Saar, sol perchè trecento anni fa vi furono i bei gigli di Francia. Ma l'articolo di Louis Madelin non avrebbe altra importanza che quello di una scorsa nella storia, se non mettesse in evidenza, anche oggi, dopo tante disillusioni, lo stato d'animo dei nazionalisti francesi, che vorrebbero fare una politica d i espansione e di egemonia europea, quando avrebbero dovuto, fin dal giorno dopo la vittoria, pensare ad una politica di vera pace. Se nel 1919 fossero stati invitati a Versailles i tedeschi e si fosse definito insieme un trattato di pace europea, come a Vienna nel 1815 furono invitati i francesi, che per quindici anni, con le guerre napoleoniche, avevano messo a soqquadro tutta 1%ropa; si sarebbe anzitutto risolto u n problema psicologico, e quindi un problema politico: quello di un periodo sostanziale di pace. I1 che fin oggi non è stato fatto, e si ha l'impressione che non si possa tentare più, con una Germania hitleriana e armata fino ai denti. Londra, gennaio 1935.

(E1 Matr, Barcelona, 30 gennaio 1935). Arch. 7 A, 7.

CALENDARIO PER I CONTADINI TEDESCHI La corporazione statale dell'agricoltura, che ha sede in Berlino e d è una delle branche dell'organizzazione corporativa del Reich, h a pubblicato un a Calendario dei contadini tedeschi per l'anno 1935 D. I n esso non solo sono state omesse le indicazioni delle feste liturgiche cristiane e il nome del santo del giorno; ma vi sono state introdotte, in quella vece, e nei giorni delle feste più sacre, indicazioni mitiche o preistoriche che ne marcano il contrasto spirituale. Nota il foglio diocesano dei cattolici di Berlino, il Katho-


lisches Kirchenblatt, riportato dall'Osservatore Romano ( l ) , alcuni passi significativi, quali i seguenti: « Nell'aprile, per esempio, si legge una nota d i questo tenore: « Kar oder Stille-Freitag » (venerdì santo o del silenzio). Commemorazione dei 4500 Sassoni uccisi da Carlo il carnefice e degli altri nove milioni di combattenti per il diritto; di eroi della fede, di eretici e di streghe, uccisi, torturati a morte e bruciati »....Nel giorno di Pasqua: Festa di Ostara, l'aurora della primavera. Si picchia e si punge coi ramoscelli d'innesto, verghe vitali che destano e consacrano la vita; acqua di Ostara e bagno di rugiada; danza di Ostara e salti al sole; voci di cuculo, mele, lepri, uova di Ostara n. Nel dicembre, alla voce « Notte santa », si legge: « Nascita luminosa di Baldur (dio del sole); notte del gaudio e della madre; visita della bambina del solstizio, detta Christkind; sfarzo di luce (simbolo degli astri, della nascita del sole); albero di doni (catasta a piramide) con mele, noci, pani, palla con stella sulla cima, stella nspecchiata sul tetto di Walhalla, ceppo del solstizio, sorprese del solstizio, ecc. ». a La festa dellYEpifaniaè detta, alludendo ai Magi, la « festa dei tre Asa » ;il mercoledì delle' Ceneri è « il giorno d i Wotan » ; la domenica delle Palme è il giorno della iniziazione dei giovani D; l'Ascensione è il (C ritorno d i Donnar al cielo m. 11 29 giugno, festa dei santi Pietro e Paolo, è trasformato in una « festa d i Tius alla m&à dell'anno D. Per molti tedeschi, oggi presi da frenesia di razza, queste indicazioni non sono semplice conoscenza folkloristica, che serve a spiegare usi e costumi popolari o tradizioni rimaste oscure; sono il segno di un germanesimo differenziato dal resto dell'umanità ed elevato a qualcosa di divino. E poichè ogni divinizzazione ripugna alla coscienza e alla cultura cristiana e alla civiltà nella quale viviamo, così i nuovi tedeschi, i nazi fanatici, i cultori del Volkstum, vogliono far dimenticare l'idea, la tradizione e la cultura cristiana, in nome di una religione primordiale e simbolica della razza. I1 ~ u n d a yTimes del 6 gennaio, calcolava a due milioni il nu-

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(l)

« Appunti n, in L'Osservalore Romano, 23 gennaio 1935.


mero degli aderenti alla cosidetta religione nordica, culto di Wotan e delle altre divinità pagane dei germani dell'epoca precristiana. Abbiamo fiducia nel buon senso dei contadini, ai quali è diretto i l calendario, che non penseranno sul serio ad adorare Wotan o Frika o Baldur; nè crederanno ch'esistano simili divinità, a cui fare salti o inchini e accendere fuochi o fare odorare incenso. Ma quei fanatici, ex-cattolici ed ex-protestanti, che rinunziano a l cristianesimo per affermare la pretesa verità e bontà d i un paganesimo di razza, e si prosternano alle divinità mitiche di epoche barbariche, sono dei falsari, che non cercano nè l a verità religiosa nè la bontà etica, ma un grossolano simbolismo, per indicare la deificazione della razza germanica. Deificazione è una parola grossa, che oggi ripugna allo spirito occidentale; ma che negli imperi pre-cristiani e i n quelli orientali fino a poco tempo fa manteneva tutto il suo significato, quando si trattasse di imperatori e famiglie imperiali. Così in Cina o in Giappone, come un tempo i Cesari romani o i re assiri e babilonesi. I n Cina, l a caduta dell'imperatore fece andare a monte il mito della divinizzazione della famiglia celeste. I n Giappone esiste ancora il rito d i venerazione all'imperatore, ai suoi avi sepolti nel tempio di Ise e a tutti coloro che furono fedeli all'imperatore e sacrificarono l a vita per lui. Questo rito aveva reso fin oggi difficile la propagazione cristiana, ~ e r c h è ,rifiutandosi i cristiani ad un atto reputato segno di religione, erano trattati come cattivi cittadini e sudditi sleali. i3 perciò significativa la recentissima dichiarazione del governo giapponese che tali riti u non devono ritenersi che quale un cerimoniale d i corte, una manifestazione di patriottismo dinastico, che non rivestono alcun carattere religioso « (Osservatore Romano, 25 gennaio 1935) (=).Dopo di che gli studenti cattolici si sono potuti recare a i templi dei caduti e prestare il prescritto inchino. È veramente strana la coincidenza che mentre nell'estremo oriente governi non ancora cristiani vanno disimpegnando I'autorità statale e l'unità del popolo dai legami religiosi di simboli (a) u Il Giappone alla ricerca di una fede religiosa n, in L'Osseruatore Romano, 25 gennaio 1935.


pagani, in Europa il governo di una nazione colta e cristiana, quale la Germania, per dare forza e autorità allo stato e unit,à al popolo vada a esumare dopo più di un millennio Wotan e Frika e Baldur (3, come deità della razza. È questa la nuova eresia germanica, la superiorità di razza, presentata come u n dogma religioso, per spingere « il popolo eletto » a mettersi al disopra degli altri, in una superbia collettiva, di forza fisica e di valore mentale e culturale. E proprio questo popolo scende fino all'abbiezione adorando i simboli di una fede barbarica e infantile, come gli ebrei nel deserto abbandonarono Jahvé e adorarono il vitello d'oro. L'Osservatore Romano osservava che « il bolscevismo ateo si ferma alla negazione, alla distmzione del cristianesimo. 11 nazionalsocialismo antibolscevico d i Rosemberg e di Hauer va più oltre. Su quella stessa identica negazione e distruzione, pretende ricostruire. Indubbiamente è più pericoloso questo di quello. Alle anime semplici, come quelle cui si rivolge il calendario, una qualche fede, una qualche figura del soprannaturale è necessaria dopo lo smantellamento della croce. Ad impedirne i ritorni si erige l'ostacolo del paganesimo. Indubbiamente, di questo passo la brutalità bolscevica appare persino più sincera. Ivi i capi atei vogliono l'ateismo. Qui non vi sono capi che credano, che possan credere al politeismo, ad Ostara, alle sue danze, alle sue uova, al Walhalla, ad un Baldur, che non si chiami von Schirach. Eppure vogliono che ci credano i contadini, i più umili, la massa, il popolo. L'ateismo per sè; per il popolo la superstizione neopagana D. Noi pensiamo che i contadini tedeschi avranno più buon senso dei capi del nazismo; ma purtroppo il tedesco come popolo oggi attraversa l'ora più triste della sua storia, in una crisi anticristiana. Londra, febbraio 1935.

(E1 Muti, Barcelona, 14 febbraio 1935). Arch. 7 A, 9.

(3) Antiche divinità mitologiche tedesche: Wotan (o Odino), principe degli dei, dio della guerra, dei nobili guemen e della saggezza, rappresentato vecchio, con un solo occhio; Frija (o Frigg) è ma moglie, dea del matrimonio; Baldur, suo figlio, dio della primavera e divinità della luce solare Myzhes et dieux des Gennains, Paris, 1939). (cfr. G. DUMEZIL,


UN PROBLEMA DI COSCIENZA Già truppe partono dall'Italia per l'Africa e già 1'Abissinia si muove (l). Si arriverà ad evitare la guerra? E' questo il desiderio e il voto di tutti coloro che pensano alle tristi conseguenze di una guerra, anche in Africa. I1 mondo è grande e piccolo. Non si sa mai quali potrebbero essere l e ripercussioni nell'Europa. Ricordiamo che la guerra libica del 1911-12 diede occasione alle due guerre balcaniche (1912-13) e da queste ne venne la guerra austro-serba (1914) e l a guerra mondiale. I1 problema di coscienza che oggi sorge per tutti gli italiani (come potrà sorgere per casi simili in altri paesi) è il seguente: « una guerra con l'Abissinia, nelle circostanze attuali, da parte dell' Italia, è una guerra giusta? è una guerra morale e lecita? D. Questo non è un problema da confinare negli angoli d i una sacrestia, è un problema di moralità ~ u b b l i c adella quale vivono i popoli. Purtroppo, chi può in Italia discutere il problema della guerra con l9Abissinia? La stampa è tutta controllata dal governo, anche l a stampa cattolica (meno l'Osservatore Romano ch' è un giornale extraterritoriale). Guai se un giornale cattolico d'Italia mettesse in dubbio la giustizia di una guerra con 1'Abissinia; sarebbe soppresso e i responsabili sarebbero processati per alto tradimento. Neppure in parlamento alcuno oserà alzare la voce: già fun( l ) I1 5-6 dicembre 1934 si era avuto a Ual-Ual, nella regione SomaliaOgaden, uno scontro tra armati etiopici e truppe italiane che occupavano la località, per una contestazione d i frontiera. La richiesta etiopica d i arbitrato, fondata sul trattato di amicizia, conciliazione ed arbitrato italo-abissino del 2 agosto 1928, era stata respinta dal governo italiano con la motivazione che l'aggressione deU'altra parte era evidente. L'Etiopia si rivolse alla S. d. N. ( 3 gennaio 1935), invocando I'ert. 11 de! patto, relativo alla minaccia d i guerra. Il 19 gennaio il consiglio aveva rinviato la discussione in seguito ad accordo tra l e parti ad aprire l e trattative. Il 16 gennaio il governo fascista aveva nominato un alto commissario per l'Africa Orientale (il gen. De Bono). Dopo altri incidenti, e notizie di razzie ed aggressioni, l'Italia aveva mobilitato, 1'11 febbraio, due divisioni ed inviato rinforzi.


zionano poco il senato e la camera dei deputati. Quest'ultima è in agonia, e presto sacà rimpiazzata dal consiglio delle cor. porazioni. I n parlamento, al momento opportuno, vi sarà una dimostrazione patriottica, tutti vestiranno la camicia nera e applaudiranno la spedizione africana. Se parlasse la chiesa, papa o vescovi, tutti direbbero (anche i non fascisti) che la chiesa s'ingerisce negli affari interni di uno stato, e i l meno che ne verrebbe sarebbe una campagna anticlericale i n piena regola. Questa la situazione in Italia : nessuno potrà ricordare che fra l'Italia e 1'Abissinia vi è un trattato di amicizia del 1928 nel quale è previsto che le questioni che potessero sorgere fra i due stati e che non potessero venir risolte con i mezzi diplomatici, dovrebbero sottoporsi a una procedura d i arbitrato o d i conciliazione. Ammettiamo, per ipotesi favorevole, che l'Italia abbia ragione e I'Abissinia torto; perchè il governo fascista ha rifiutato l'arbitrato proposto dal Negus dopo l'incidente di Ual-Ual? I1 parlamento non ne sa le ragioni; nessun giornale può discutere questo punto; e pure è il punto sostanziale per giudicare se si tratta di guerra giusta o no. S. Tommaso di Aquino, spiegando e precisando la dottrina scolastica del tempo sulla guerra giusta, afferma che fra le condizioni che fanno lecita una guerra ci deve essere (oltre il buon diritto della difesa o dell'attacco) anche la necessità, cioè che per restaurare l'ordine e rivendicare il diritto leso, non ci sia altro mezzo che la guerra. Nel caso presente questo carattere di necessità manca del tutt o ; perchè l'una parte, l'dbissinia, è disposta a sottoporre la questione ad un arbitrato. Ecco il mezzo adatto ad evitare una guerra. Non solo mezzo adatto, ma mezzo convenuto, per cui è obbligo di giustizia da parte dell'Italia di osservarlo, per il patto del 1928. Da questo punto il problema di coscienza che sorge è dei più gravi per tutti. Nel medioevo, quando un problema di coscienza sorgeva, se una guerra era o no giusta, ogni corpo costituito poteva prendere le sue decisioni. I vassalli potevano rifiutare il concorso


militare-feudale al loro signore ; i comuni e le corporazioni non fornivano i mezzi; la chiesa poteva intervenire o con le ambascerie o con le scomuniche e gli interdetti. C'erano dei mezzi per affermare i diritti di coscienza. Nel periodo delle monarchie assolute esistevano ancora e la influenza della chiesa e certe autonomie di città e corporazioni, e l'autorità delle università. Quando Carlo V doveva iniziare la guerra contro il papa Paolo IV domandò il parere ali'università di Salamanca se la sua era guerra giusta, e si ebbe una risposta favorevole. Negli stati costituzionali liberali o democratici, c'è la voce libera della stampa e dei parlamenti, che formano l'opinione pubblica. Ma negli stati totalitari moderni ogni voce libera, ogni discussione franca, ogni possibilità di dissenso sono soppresse: così il problema d i coscienza se una guerra sia giusta o no rimarrà chiuso nel pensiero di ciascuno; e non potrà essere risolto sul piano della moralità pubb'lica, La Società delle nazioni doveva servire, nell'epoca presente, a evitare ogni guerra, o almeno a creare una procedura obbligatoria che rendesse pubblici i motivi di una guerra e ne mettesse i n chiaro le ragioni di giustizia. L'Abissinia ricorse alla Società delle nazioni ; ma :'Ingliilterra e la Francia, temendo che l'Italia avrebbe abbandonato Ginevra, persuasero 1'Abissinia a ~roseguire le conversazioni con l'Italia. Sarà una fortuna, un bene, e un atto di giustizia, se queste conversazioni eviteranno la guerra. Londra, 18 febbraio 1935.

(E1 Mati, Barcelona, 21 febbraio 1935). Arch. 7 A, 8.


LA FINE D I UN SISTEMA Ultima fra l e grandi potenze, anche l'Inghilterra riarma, in terra, in mare e nell'aria (l). I1 nuovo bilancio inglese segna il ritorno al passato. Le nuove cifre sembrano essere messe là come simboli della fine delle illusioni di un disarmo iniziale e spontaneo che doveva arrivare al disarmo collettivo a mezzo di una convenzione generale. Vero è che il gabinetto inglese nello stesso tempo che aumenta le cifre per gli armamenti, dichiara di voler seguire una politica di pace ( e non mettiamo in dubbio la sincerità delle intenzioni), che anzi per giustificare l e nuove spese accusa chiaramente la Germania di aver riarmato, violando il trattato di Versailles; pure, tanto le buone intenzioni che l e ben fondate giustificazioni non arrivano a togliere l'impressione penosa del cambiamento di rotta. Intanto la Francia si appresta a portare a due anni la ferma di coscrizione; il provvedimento è oggi giustificato dal cadere nel 1935 e 1936 delle classi militari degli anni 1915 e 1916, di scarsa natalità. L'America, dopo l a denunzia del trattato navale di Washington, aumenta la sua flotta. Non parliamo del Giappone, dominato da un militarismo invadente; non dell'Italia, dove i l fascismo arriva a dare l'insegnamento militare ai bambini di sei anni e che vuol fare dell' Italia una caserma. La pacifica

( l ) Nel marzo 1935 venne pubblicato un libro bianco britannico in cui si giustificava l'aumento delle spese militari inglesi con ampie prove del riarmo tedesco. I n quello stesso mese i l governo francese presentava al parlamento una legge per il prolungamento della ferma militare da uno a due anni, in maniera da compensare la deficienza di effettivi dovuta alla scarsa natalità negli anni di guerra. Tali decisioni fornirono ad Hitler il pretesto per annunciare che la Germania reintroduceva la coscrizione obbligatoria (16 marzo). La visita di Simon a Berlino, a cui l'articolo accenna, avrebbe dovuto aver luogo i l 6 mano, ma la pubblicazione del libro bianco inglese con l a documentazione del riarmo della Germania, aveva fatto si che alla vigilia della partenza il ministro degli esteri tedesco von Neurath chiedesse il rinvio della visita, a causa di un a raffreddore n del Fiihrer.


Svizzera, in questi giorni, ha ottenuto dal suo popolo u n refe. rendum favorevole per il miglioramento e aumento nella difesa militare. La Spagna fortifica le Baleari. Che dire dell'esercito russo, in piena efficienza; di quello polacco, di quello jugoslavo? Oggi, nel complesso, i paesi civili sono più armati e meglio attrezzati di prima del 1914, e lo spirito bellico si va sviluppando largamente presso la gioventù. I bilanci degli stati, già oberati dei debiti e delle pensioni di guerra, sono caricati terribilmente delle spese militari, proprio nel momento non della prosperità di prima della guerra, ma della più grande crisi e della più larga disoccupazione che ricordi la storia. La colpa è della Germania, ecco la risposta dell'Inghilterra e della Francia, della Russia, della Piccola Intesa, dell'Austria stessa... la colpa è del Giappone dice la Russia, dicono gli Stati Uniti Noi potremo dire a nostra volta che la colpa è dell'Inghilterra, della Francia, degli Stati Uniti, che non hanno saputo n è prevedere nè provvedere a tempo, così che oggi la situazione è compromessa, i rimedi sono più ardui, e ci vuole del coraggio per attuarli. La Germania d'oggi, la Germania di Hitler riarmata di tutto punto, è un prodotto della politica incerta e divisa dell'Inghi1terra e della Francia, e del rifiuto degli Stati Uniti a entrare nella Società deiie nazioni. Gli errori si scontano; anche Vcrsailles fu un errore e si sconta. Questa è la situazione da fronteggiare. Le recriminazioni del passato non giovano; ma conoscere gli errori del passato per rimediarvi è il modo migliore per iniziare una politica più saggia. Due ipotesi: la prima quella che un'intesa con la Germania sarà definita, sulla base dell'accordo franco-inglese (3; l'altra,

...

(3 In un convegno franco-inglese tenutosi a Londra nei giorni 1-3 febbraio 1935, la Gran Bretagna aveva aderito alle formule elaborate da Lava1 e Mussolini nell'incootro di Roma dei primi giorni di gennaio. Riguardo alla questione degli armamenti, divenuta in questo momento scottante, dopo aver nconfermato la dichiarazione sulla parità di diritti dell'll dicembre 1932 ed il principio che nessuno stato potesse unilateralmente venir meno ai propri impegni, Francia e Gran Bretagna si dichiaravano per un regolamento generale della sicurezza comprendente un patto di assistenza orientale ed altro di


che invece resterà la situazione attuale aggravata dal fallimento delle prossime conversazioni di Berlino. Bisogna persuadersi di guardare l'accordo franco-inglese co. me un tutto che tiene, e che non può disintegrarsi: accordo aereo, patto del nord, patto danubiano e indipendenza dell'Austria, ritorno della Germania a Ginevra e limitazione degli ar. mamenti. E ' t r o p p o lusinghiera la prima ipotesi di una Germania che accetta. La repentina grippe di Hitler e il rimando della visita di Simon non sono incoraggianti. Che faranno le potenze se la Germania rifiuta? Lasceranno che la Germania continui il suo riarmo e la seguiranno sì da riarmarsi tutti fino ai denti, fino a che, impossibilitati di andare avanti, torni un nuovo 1914? Sarebbe un fatalismo colpevole e un tradimento dei popoli. Occorre rianimare Ginevra, aver fede nel disarmo progressivo, definire le intese e i patti in corso, quello aereo, quello del nord, e quello danubiano anche senza la Germania, che così verrà posta davanti ai fatti compiuti. Hitler non è eterno, e il fanatismo hitleriano non è immortale. Ma i popoli han bisogno di ideali e di sentimenti. O satà l'ideale della pace o quello della guerra, il motivo finale che commuoverà i popoli. La Germania non potrà andare verso il suicidio. Occorre che alla Germania si dia il modo di ritornare pacificata fra gli stati in pace, Ma se le potenze europee oggi suonano la campana dei riarmamenti, danno ad Hitler la chance di aumentare la sue pretese ( i giornali hitleriani parlano già di un esercito di 400.000 uomini), e d i portare presto o tardi un grosso colpo all'attuale ordine europeo. La guerra sarà alle porte fra poco tempo; l'Austria cadrà nelle mani dei nazi; 1'Ungheria seguirà la Germania; la Polonia sarà in agguato per il momento in cui il Giappone si sentirà forte per affrontare la Russia. L'argomento erroneo dei paesi che riarmano si è quello di impedire, per paura degli armamenti, un'avventura hitleriana. Ora tale avventura non sarà impedita dal riarmo europeo, ma non ingerenza nell'Europa centrale; auspicavano il ritorno della Germania a Ginevra e proponevano un patto aereo di assistenza tra le potenze di Locamo.

9.

- Sm-RZO- Bliacellanea

Londiness

-

111.


da una politica di unione europea, basata sull'intesa dell'Inghilterra e della Francia a Ginevra, e nel rialzare le sorti di Ginevra e proseguirne l'attività sia che la Germania vi ritorni sia che non vi ritorni. E nuovi patti di Roma e di Londra, per. fezionati a Ginevra, dovrebbero essere la base della nuova po. litica di pace, non il riarmo che conduce diritto alla guerra. Londra, 7 marzo 1935.

(W

Matì, Barcelona, 12 marzo 1935).

Arch. 7 A, 11.

41. SULLA LIBERTA' DI INSEGNAMENTO Non comprendo la ragione dell'attacco contro il partito popolare italiano, a proposito delle libertà d'insegnamento, contenuto nel numero del lofebbraio di Giustizia e libertà ( l ) . Che il partito popolare italiano abbia mantenuto sempre la sua fede nella libertà (la sua insegna fu il motto (C Libertas 1) dei comuni italiani), non credo che si possa dubitare. A parte ~ p altra i prova, ne fznno fede i dire dei nostri capi morti in esilio, Giuseppe Donati ( a ) e Francesco Luigi Ferrari (7. Che

(1) Organo dell'omonimo movimento antifascista fondato a Parigi nell'estate del 1929 da Carlo Rosselli, Emilio Lussu e Fausto Nitti, dopo la loro fuga dal confino di Lipari. Il movimento di Giustizia e libertà fu, com'è noto, una delle più attive correnti dell'antifascismo italiano, che agiva clandestinamente sia in Italia sia d'estero tra gli emigrati. Tra gli altri principali esponenti troviamo Gaetano Salvemini, Riccardo Bauer, ALberto Cianca ed Ernesto Rossi. Per l a stona del movimento di Giustizia e Libertà si vedano principalmente le seguenti opere di Carlo Rosselli: Socialismo liberale, Roma-Firenze-Milano, 194S;Oggi i n Spagna, domani in Italia, eun prefazione di G. Salvemini, Paris, 1939; Scritti politici e rmtobiografii, con prefazione di G. Salvemini, Napoli, 1944. Per le vicende del movimento è anche utile la lettura di A. Gmosc~,La vita di Carlo Rosselli, 2 voll., Roma-Firenze-Mi. lano, S. d. C19461 e G. SALVEMINI,Memorie di un fuonucito, Milano, 1960. (a) Giuseppe Donati (1889-1931). giornalista e uomo politico cattolico,


poi i cattolici al potere sappiano rispettare la libertà d'insegnamento che hanno sempre invocata, la prova è data dal Belgio, dove i cattolici da soli han governato per circa quaranta anni fino al 1914, e poi sempre in maggioranza fino ad oggi. I n sì lungo periodo mai la libertà d'insegnamento è stata da essi rinnegata o menomata; al contrario, sempre sostenuta e difesa.

membro del partito popolare, direttore de Il Popolo. Antifascista, il 6 novembre 1924 presentò nna denuncia alla presidenza del senato contro Emilio De Bono, ex direttore generale della polizia, sostenendo la sua complicità nell'assassinio di Matteotti. Inoltre sul suo giornale condusse una costante campagna di denuncia contro i crimini e le violenze fasciste. I1 suo coraggio gli costò molte persecuzioni e l'esilio in Francia, dove la morte lo colse all'età di quarantadue anni. Si veda la raccolta dei suoi scritti in G. DONATI,Scritti politici, a cura di G. Rossini, Roma, 1956, 2 voll. e L. BEDESCHI, Giuseppe Donati, Roma, 1957. Si veda anche la commossa rievocazione di Sturzo nell'articolo Due campioni della resistenza al fascismo, i n L. STURZO, Miscellanea londinese, vol. 11, cit., n. 37. (3) Francesco Luigi Ferrari (1889-1933), formatosi alla scuola dell'azione cattolica e delle attività sociali all'inizio del secolo, presidente della FUCI dal 1910 al 1912, fu uno degli elementi più sinceramente democratici ed antifascisti del partito popolare italiano. I1 24 dicembre 1922, due mesi dopo la marcia su Roma, fondò a Milano il settimanale 11 Domani d'Italia, che visse sino al 1924. Al congresso di Torino del P.P.I. (aprile 1923) fu tra i maggiori oppositori alla politica di collaborazione con il fascismo. Più volte aggredito dai fascisti, dopo l'emanazione delle leggi liberticide e lo scioglimento del partito popolare fu costretto ad esiliare in Belgio ed in Francia, dove lo colse la morte nel marzo 1933. Di F. L. Ferrari vedi Azione cattolica e fascismo, Firenze, 1957 e la raccolta dei suoi scritti sul Domani d'Italia in F. L. FERRARI,C Il Domani d'Italia n, Ed. di Storia e letteratura, Roma, 1958. Sul suo pensiero e la sua attività politica, vedi G. DE ROSA,L'azione cattolica e il «regime» nella prospettiva di F. L. Ferran, in Humanitas, 1958, n. 5, e delio stesso autore n Sinistra n e centro nell'esperienza a popolare n, in Quaderni d i azione sociale, 1958, n. 3; S. DELLAPORTA,La personalità d i F. L. Ferrari, in I l Popolo, 22, 23, 24 agosto 1957. Per un inquadramento storico sull'attività del Ferrari in tutta la vicenda del partito popolare, cfr. De ROSA,Storia del movimento cattolico, cit. vol. 11, pcusim. Infine: M. G. ROSSI, Francesco Luigi Fenari, Roma 1965, non esente da fonature ideologiche. Vedasi anche gli articoli di Sturzo: Francesco Luigi Ferran' e Due campioni della resistenza al fascismo, in L. STURZO,Miscellanea londinese, vol. 11, cit., nn. 26 e 37.


Non desidero fare polemiche, ma solo rigettare una ingiusta insinuazione. Distinti saluti.

LUIGISTURZO (Giustizia e libertà, Paria, 15 marzo 1935).

IL PLEBISCITO DELL'AUSTRIA E IL PATTO DANUBIANO L'opinione ufficiale del governo inglese è che Hitler veramente è stato raffreddato e che ha fatto bene a curarsi. Ora che è guarito riceverà sir John Simon con piacere (l). Siano ringraziati gli dei! Quel che interessa sapere si è fino a qual punto Hitler sia disposto a contribuire al patto danubiano. Proprio nei giorni ch'egli prese lo storico raffreddore aveva dichiarato al maggiore Hennessey comandante della polizia internazionale nella Saar che C( Ciò ch'è avvenuto nella Saar, avverr.à in Austria. I n un paese dove il 15 per cento della popolazione opprime 1'85 per cento, alla lunga un plebiscito è inevitabile. E' un bene che gli austriaci siano obbligati a passare questa prova. La vittoria del nazional-socialismo nella mia ~ i c c o l apatria, sarà di tanto più grande n. Questa dichiarazione dal punto di vista diplomatico è da considerare (come ha fatto notare Berlino) come una semplice conversazione privata. E sia pure; però è chiaro che per lo meno manifesta una tendenza del pensiero e della volontà del Fuhrer. I1 patto danubiano è basato sulla tesi che nessuna potenza (l) La visita di John Simon ed Anthony Eden a Berlino, rinviata per lo u storico raffreddore a (cfr. prec. n. 40), avrebbe avuto Iuogo nei giorni 25-26 marzo. Nelia agendo delle conversazioni berlinesi era la richiesta aila Germania di aderire alle formule concertate nell'incontro Musolini-Lava1 e nella susseguente conferenza franco-inglese di Londra, tra cui lo schema del patto danubiano di non ingerenza nelle relazioni tra l'Austria e gli stati ad essa confinanti.


si debba ingerire negli affari interni dell'Austria. I n base a questa tesi i l presidente del governo austriaco Schuschnigg pretende che non s'impedisca, con un veto internazionale, il ritorno degli Asburgo, se questa sarà la volontà del paese. Ma Hitler h a buon gioco: come sapere la volontà del paese senza un plebiscito? La tesi della non ingerenza delle potenze in Austria si deve perciò estendere al caso di una domanda di plebiscito fatta dagli stessi austriaci. È veramente l'Austria indipendente? E può restare indipendente? Ecco il problema che si pone da parecchi anni e che nessuno può risolvere, perchè tutte le politiche sono in contrasto. Oggi l'Austria non è indipendente: dal giorno che due partiti interni si appoggiarono a due forti potenze ( i nazi austriaci alla Germania e l e Heimwehren e tutti i fascisti e filofascisti austriaci all'Italia) l'indipendenza morale e parte di quella politica è stata gravemente ferita. Si cerca di uscire dall'impasse con un nuovo patto ;l'attuale governo austriaco crede che l a soluzione asburgica sia l'unica che possa impedire 1'Anschluss con l a Germania, e che possa ridare all'Austria il suo carattere d i stato monarchico e indipendente. A noi sembra che la soluzione asburgica aggiungerebbe confusione allo stato presente di cose e non contribuirebbe alla soluzione del problema. I1 vecchio impero austro-ungarico fu inabile a impedire la prussianizzazione di tutta la Germania, nè seppe salvare la sua propria indipendenza e vitalità. Una Vienna asburgica non si potrà più intendere con la Piccola Intesa (nella migliore delle ipotesi, sempre che non scoppi subito una guerra) e non potrà domare il partito nazista neppure se la forza agisse come a i bei tempi antichi. Si suole dire K o Asburgo o Anschluss » come due necessità politiche delle quali subire l'alternativa. E non è così: Asburgo non impedirà 1'Anschluss se i nazi saranno la maggioranza; e per giunta precipiterà la guerra; perchè Asburgo attirerà a sè l e popolazioni scontente quali i croati e gli irredentisti tedeschi della Cecoslovacchia. Allora il plebiscito? Bisogna avere il coraggio di romperla


con la mistica bei plebisciti cii carattere demagogico, senza su£ficiente libertà morale, anche quando una polizia internazionale può assicurare una certa libertà e sicurezza fisica. I1 ple. biscito della Saar non è stato moralmente libero, come non sarebbe libero un plebiscito in Austria, nelle condizioni presenti. Perchè un appello al paese possa dare risultati sinceri occorre anzitutto che le potenze estere non influiscano pro o contro. I1 plebiscito dell'Austria riporterebbe in campo 1'Anschluss con tutti i suoi pericoli, sia nel caso di esito affermativo, sia nel caso di esito negativo. Hitler, se veramente ama la pace europea, dovrebbe cooperare con tutte l e altre potenze interessate nella questione danubiana, perchè si stipuli un patto sincero a favore dell'indipendenza austriaca, senza Asburgo e senza plebiscito, senza Anschluss effettivi o larvaii. Questa sarebbe la parte negativa del patto: occorre la parte positiva. Economicamente l'Austria non potrà vivere che in un sistema più largo: occorre che essa entri in combinazione con la Piccola Intesa; senza di che sarà impossibile ottenere risultati effettivi. Politicamente occorre la pacificazione dei partiti interni e la formazione di un governo che abbia una base assai piu Iorgo e ottenga la tolleranza delle opposizioni. Questo potrebbe awenire solo il giorno che Hitler rinunciasse a £omentare i nazi austriaci e Mussolini a sostenere i fascisti austriaci. Sarà ciò possibile? Ecco la domanda che dovrà fare Simon a Berlino a Roma e a Vienna, per sapere se il prossimo avvenire non ci porterà una nuova guerra da quella stessa Vienna, che fu la prima responsabile della guerra del 1914. Londra, marzo 1935.

(E1 Matì, Barcelona, 19 marzo 1935). Arch. 7 A. IO.


LETTERA AL DIRETTORE DI

(C

G. K.s WEEKLY

D

Signore, la protesta d i mr. Charles Schwarzenberg (*) per il mio riferimento alle « provincie austro-germaniche » annesse alla Cecoslovacchia (l), non mi sembra giustificata. Io ~ a r l a v odelle zone di frontiera, e mettevo tali provincie sullo stesso piano del1'Istria. Spero che mr. Charles Schwarzenberg non penserà che con ciò io intendevo negare i diritti storici e geografici dell'Italia. Nè intendevo negare i diritti storici della Boemia. Chiamando quelle provincie « austro-germaniche alludevo sia al fatto che esse hanno fatto par'te dell71mpero austriaco, sia alla razza germanica dei loro abitanti. La loro popolazione è infatti riconosciuta come minoranza, e perciò il trattato delle minoranze del 28 giugno 1919, fra gli alleati e la Polonia, f u (*) Si riferiva alla seguente lettera pubblicata sul numero del 28 febbraio 1935 del giornale: Signore, Domando scusa di occupare ancora lo spazio del vostro giornale. Ma vorrei chiedere a don L. Sturzo cosa intende dire (nel vostro numero del 7 febbraio) con le parole n l e provincie austro-germaniche annesse alla Cecoslovacchia n. Un così eminente scrittore sa ceriamente che quando 1'Impero austriaco fu dissolto nei suoi stati componenti, l e terre tedesche formarono l'attuale Austria, mentre la Cecoslovacchia è l'antica corona di Boemia, alle cui tre provincie furono aggiunte l e contrade slave della Slovacchia e della Russia Carpatica. Forse che per « l e provincie austro-germaniche annesse alla Cecoslovacchia D (come ha scelto di chiamarle don Sturzo) si intende quella parte del piccolo distretto di Vitoraz, che è stato restituito alla Boemia? Mi sembra una descrizione troppo solenne di tali villaggi ( d i lingua boema). Vorrei perciò chiedere ai vostri collaboratori di non essere così frettolosi quando menzionano l'Europa centrale in un giornale di solito così scrupoloso. Charles Schwarzenberg (l) La menzione delle a provincie austro-germaniche D si trova nell'ar. ticolo « Mancanza di psicologia n (n. 37 della presente raccolta).


fatto per includere 18 Cecos!ovacchis.

Mi rendo conto che una buona parte di quella popolazione è leale alla repubblica ceco. slovacca, ma c'è anche un fortissimo u irredentismo 1) e una corrente germanofila. I1 senso del passo in questione nel mio articolo è assolutamente chiaro. Io sostenevo l'ingiustizia e l'inopportunità d i imporre u n plebiscito nella Saar, e, per reductio a d absurdum, aggiungevo che un tal modo di procedere sarebbe stato giustificato solo se fosse stato decretato un plebiscito per tutte le provincie di frontiera. In tal caso i tre milioni di tedeschi della Cecoslovacchia avrebbero avuto pari e maggior diritto di esprimere la loro volontà che non gli 800.000 della Saar, o i 500.000 dell' Istria.

LUIGI STURZO (G.k.s Weekly, London, 4 apriie 1935). Sir, Mr. Charles Schwarzenberg's annoyance at my reference to u t h e Austro-German provinces D allotted to Czeco-Slovakia does not seem to me justified. I was speaking of frontier zones, and put such provinces on the same footing as Istria. I hope that Mr. Charles Schwarzenberg do- not think that by this I meant to deny the historic and geographic rights of Italy? Nor w o d d I deny the historic rights of Bohemia. In calling sucb provinces u Austro-Germanr I was alluding both to the fact that they àad iormed pari uf the Austrian Empire, and to that of the Germanic race of their inhabitants. Their population is indeed recognised as minority, and therefore the Minorities Treaty of 28 June, 1919, between the Aliies and Poland, was made to include Czeco-Slovakia. I realise that a good proportion of this population is loyal to the Czeco-SlovakRepublic, but there is also a very strong u irredentist D and Germanophile current. The sense of the passage in question in my article is perfectly clear. I was maintaining the injustice and inopportuneness of forcing a plebiscite on the Saar, and, by way of a reductio ad absurdum, I added that such a course would have been justifìed only if a plebiscite had been decreed for all frontier provinces. In which case the 3.000.000 Germans of Czeco-Slovakia w o d d have had as much and more right to express their will as the the 800.000 of &e Saar, or the 500.000 of Istria.


PRIMA DI STRESA ( l ) Dopo i viaggi di Eden e d i sir John Simon (a), tre tendenze dividono oggi l'opinione pubblica inglese. Per comodità di linguaggio, le chiamerò l'isolazionista, l'intesista e l'interventista. Spieghiamo il significato d i questi termini. L'isolazionista è quello che vorrebbe una politica di disinteressamento nei confronti degli affari del continente; la Gran Bretagna dovrebbe limitarsi a sostenere i suoi soli interessi, quelli del suo impero e dei dominions.

A LA VEILLE DE STRESA Après les voyages de Simon et d'Eden, trois courants se partagent aujourd'hui l'opinion anglaise. Pour la commodité du langage, je les appellerai l'isolationniste, l'ententiste et l'interventionniste. Expliquons la signification de ces mots. L'isolationniste est celui qui soutient une politique se désintéressant des affaires du continent; la Grande-Bretape devrait se bomer à soutenir ses propres intérets, ceux de son empire, ceux de ses dominions.

(l) Nei primi mesi del 1935, le nuove affermazioni ed il potenziamento conseguiti dal regime nazista nel plebiscito della Saar, con la costituzione dell'arma aerea, il riarmo e la coscrizione obbligatoria, allarmarono l e potenze occidentali, che decisero di consolidare i loro rapporti e concordare una comune linea di azione. Tappe di tale processo furono gli incontri Laval-Mussolini, l'incontro franco-inglese di Londra, quello italo-franco-inglese di Parigi; le note parallele di protesta contro il riarmo tedesco, le missioni dei ministri inglesi nelle principali capitali europee; infine la conferenza di Stresa. Nella conferenza di Stresa (11-14 aprile 1935), Mac Donald, Flandin e Mussolini sottolinearono la necessità di una concorde politica di pace e di ordine nei confronti delle principali questioni europee del momento: sicurezza dell'Europa orientale, organizzazione dell'Europa centrale, indipendenza austriaca, ripudio unilaterale dei trattati, riarmo, secondo gli schemi precedentemenle convenuti (cfr. prec. n. 40). ( a ) Cfr. prec. n. 25.


Chiamo intesista coiui che vuok ad ogni costo l'intesa con la Germania, affinchè la Gran Bretagna partecipi ad un sistema internazionale di pace; ma per ottenere l'adesione della Germania, bisogna esser disposti a cedere alle pretese d i Hitler. Infine, l'interventista è quello che pensa che l'Inghilterra non possa rimanere isolata e non possa all'infinito servire da intermediaria fra la Germania e la Francia, ma che essa debba seguire la sua strada e intervenire negli affari del continente, sia che la Germania accetti, sia che rifiuti. Sono veramente pochi, in Inghilterra, coloro che hanno, in materia internazionale, idee chiare e volontà risoluta. Molti inglesi sembrano uscire da un sogno; cominciano a vedere la realtà, ma ancora in maniera molto confusa. Altri inglesi hanno una tal paura di una Germania forte e bene armata che cederebbero tutto ciò che appartiene agli altri, per evitare una guerra. Persone molto colte e influenti parlano oggi di Memel o dell'Austria come due anni fa parlavano del corridoio polacco. « Perchè - essi dicono - l'Inghilterra dovrebbe ostacolare simili rivendicazioni? Saremmo forse noi la polizia internazionale dell'est europeo? D.

...

J'appelle a ententiste n celui qui cherche a tout prix I'entenie avec l'Allemagne, pour que 1'Angletel~e participe à un système de paix internationale; en t u e d'obtenir l'adhésion de l'Aliemagne, il faut étre disposé à céder aux prétentions de Hitler. Enfin, l'intewentionniste est celui qui pense que I'Angleterre ne peut rester isolée mi servir perpetuellement d'intermédiaire entre 1'AUemagne et la France, mais qu'elle doit suivre sa voie et intervenir dans les affaires du continent, soit que 1'Allemagne accepte, soit qu'elle refuse. 11s sont véritablement peu nombreux ceux qui, en Angleterre, ont des idéea claires et une volonté nette en matière intemationale. Beaucoup ont l'air de sortir d'un reve et de commencer seulement P voir la réalité, trèa confusément. D'autrea ont si g a n d peur d'une Ailemagne forte et bien armée qu'iln céderaient tout... ce qui appartient aux autres, dans le d w sein d'éviter une guerre. Des personnea très averti- et très influentea parlent aujourd'hui de Memel on de 19Autriche, comme ellea parlaient, il y a deux ans, du couloir polonais. u Pourquoi I'Angleterre devrait-elle s'opposer à de telles revendications? Serions-nous, par hasard, la olic ce intemationale de l'est européen? n.


Fortunatamente, il Peace Ballot(3), cioè la votazione sulla organizzazione della pace, cui fin'oggi hanno preso parte volontariamente cinque milioni di persone, ha riservato una grande sorpresa : ha mostrato che esiste una grandissima maggioranza favorevole all'Inghilterra, sul piano della Società delle nazioni, per assicurare la pace contro un eventuale aggressore, anche con le sanzioni economiche e politiche dell'articolo 16 del Covenant, e se necessario con un intervento armato. Finalmente, dopo sedici anni di esitazioni sulle sanzioni (') (indebolite dalla volontà del governo inglese che temeva l'opposizione dell'opinione pubblica), si è giunti (con grande sorpresa di uomini politici come sir Austen Chamberlain e sir John Simon) ad affermare, da parte di circa quattro milioni di voti su cinque milioni di votanti, che l'Inghilterra deve intervenire con le armi, se la Società delle nazioni lo richiede, per tener te. sta all'aggressore. La situazione è così chiarificata alla vigilia di Stresa. Tre questioni saranno discusse a Stresa: il patto del nord, il patto danubiano, il disarmo.

Heureusement, l e Peace Ballot, c'est-à-dire le vote sur l'organisation de la paix, auquel ont pris part librement cinq millions de personnes environ, a causé une grande surprise; il a montré qu'il existe une très forte majorité en faveur de l'intervention de l'Angleterre, sur le plan de la Société des nations, pour assurer la paix contre un agresaeur éventuel, meme avec les sanctions économiques et politiques de l'article XVI du Covenant et au besoin par l'action armée. Finalement, après seize ans de tergiversations au sujet des réparations (affaiblies par la volonté du gouvernement anglais qui craignait l'opposition de l'opinion pnblique), on en est arrivé ( à la surprise d'hommes politiques tels que sir Austen Chamberlain et sir John Simon) à affirmer, par quatre millions de votea snr cinq millions de votants, que YAngleterre doit intervenir par les armes, si la Société des nations le demande, pour tenir tete à l'agresseur. Voilà la situation clarifiée à la veille de Stresa. Il y a trois questions qui seront discutées à Stresa: pacte dn nord, pacte danubien, désarmement. (3)

Cfr. prec. nn. 34 e 34 bis.

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v. art. seguente, n. 44 bis.


I due patti servirorno a garantire lo status quo all'est e nel centro dell'Europa, l'indipendenza delI'Austria, l'esistenza della Piccola Intesa, l'integrità della Russia, e a far capire alla Germania che un'aggressione da parte sua su uno dei due fronti (est od ovest) scatenerà l'offensiva sull'altro fronte. Se l a Germania partecipa a tali patti, sarà il segno che essa non pensa d i modificare l e frontiere orientali nè di realizzare un Anschluss qualsiasi con l'Austria. Se non vi partecipa, essa sve1er.à le sue mire, ciò che obbligherà ad impedirne l a realizzazione, e, di conseguenza, a rafforzare le posizioni dell'est e del centro Europa attraverso i due patti in questione. Al tempo stesso, si deve arrestare la corsa agli armamenti. Una convenzione fra tutti i paesi sarà necessaria per fissare u n limite massimo e u n controllo reciproco, sia che la Germania accetti di parteciparvi, sia che rifiuti. Nel caso accettasse, nessuno dovrebbe più contestare oggi, alla Germania, il diritto all'eguaglianza degli armamenti, se non si vuol ricadere negli errori passati. Ma nel caso in cui la Germania rifiutasse, esistono due mezzi per costringerla a contenere i suoi armamenti entro certi limiti. Primo mezzo: cesLes deux pactes semiront à garantir l e status quo à l'est et au centre de I'Europe, 15indépendance de i'Autriche, i'existence aciuelle de la PetiteEntente, l'intégrité de la Russie, et à faire comprendre à 1'Allemagne qu'une agression de sa part sur l'un des deux fronts (est ou ouest) déclencherait l'offensive sur l'autre front. Si 1'Allemagne participe à de teis pactes, ce sera Ie signe qu'elIe n'a aucune intention de modifier les frontières orientales ou de constituer un Anschluss quelconque avec 1'Autriche. Si elle n'y participe pas, elle dévoile ses visées, ce qui oblige à en empecher la réalisation et à renforcer lea positions de l'est et du centre européens par le moyen des deux pactes. En meme temps, on doit empecher la course aux armements. Une convention entre tous les pays sera nécessaire pour 6xer une limite à ne pas dépasser ainsi qu'un controle réciproque, soit que I'Allemagne accepte d'y participer, soit qu'elle refuse. Dans Ie cas d'une acceptation, nul nujord'hui ne decra contester è 1'Allemagne l e droit à la panté des armements, si l'on ne veut retomber dans les erreurs passées. Mais si 1'Allemagne refuse, il existe deux moyens pratiques d'amener 1'Allemagne à contenir ses armements dans de certaines limites. Le premier moyen est de cesser avec elle tout commerce de ma-


sare con essa ogni commercio di materie prime destinate o potenzialmente destinate alla fabbricazione delle armi; secondo mezzo, sopprimere ogni prestito alle imprese tedesche e ogni credito commerciale alla Germania, obbligandola sempre (anche per il commercio privato) a pagare in contanti. A meno che la Germania non sia in preda ad una follia collettiva, si convincerà ben presto che non può affrontare da sola il mondo intero, nè creare un esercito permanente che assorba tutte le risorse del paese. Sarà ben presto obbligata a ricominciare a discutere con il resto dell'Europa e con l'America, in vista di ridurre gli armamenti ad un livello che sia economicamente tollerabile, e anche in vista di garantire l a sua indipendenza sul piano internazionale. O a Stresa si farà l'unione di tutta l'Europa (con o senza la Germania) p e r tener testa all'aggressore, chi esso sia; oppure bisognerà dichiarare il £allimento della politica attuale, ciò che porterebbe a una guerra non molto lontana. Londra, 2 aprile 1935.

(L'Aube, Paris, 4 aprile 1935).

tières premières, destinées ou pouvant &tre destinées à la fabrication dea armes; le second est de supprimer tout pret à des entreprises allemandes, tout crédit commercia1 à l'Allemagne, l'obligeant toujours (meme en ce qui concerne le commerce privé) à payer comptant. A moins que 1'Allemagne ne soit prise de folie collettive, elle se persuadera vite qu'elle ne peut affronter seule le monde entier, ni créer une armée permanente qui absorbe toutes les ressources du pays. Elle sera obligée de se résoudre bientot à discuter aver le reste de 1'Europe et avec 1'Amérique au sujet d'une réduction des armements, fixés à un niveau te1 qu'il soit tolérable économiquement et qu'il garantisse sa propre indépen. dance sur le plan international. Ou bien, à Stresa, s'effectuera l'union de toute 1'Europe ( y compris ou non 19Allemagne) &n de tenir tete à l'agresseur, quel qu'il soit; ou bien il faudra proclamer la faillite de la politique actuelle, ce qui doit conduire à une guerre non pas fort lointaine.

...


ANCORA u STRESA D E L' INGHILTERRA Nel mio articolo « A la veille de Stresa D, pubblicato il 4 di questo mese, per un facile errore fu stampato: u Finalement après 16 ans de tergiversations au sujet de réparations (atFaiblies etc.) D. Al posto di réparations doveva mettersi sanctions. I1 lettore avrà fatto da sè questa correzione. Sventuratamente, il comunicato ufficiale pubblicato dal Timeu stamattina ( 5 aprile) non dà molto a sperare sull'atteggiamento di MacDonald, che h a un orrore delle sanzioni e dell'articolo XVI del Covenant. E dire ch'egli fu nel 1924 con Herriot l'autore del protocollo d i Ginevra (l). MacDonald fa dire ch'egli non andrà a Stresa, che Stresa, nel pensiero del gabinetto inglese, è la tappa finale del giro informativo d i Simon e di Eden; (< se a Stresa si presenterà l a possibilità di un invito alla Germania per una più larga riunione ( a quattro o a più di quattro?) allora potrà essere desiderabile la presenza del primo ministro inglese 11. Dopo l'avviso d i Mussolini che a Stresa non si dovrà par. ( l ) I1 protocollo di Ginevra per il regolamento pacifico delle dispute internazionali, approvato il 2 ottobre 1924 ad unanimità dalla quinta assemblea della S. d. N., conteneva i seguenti impegni: non far guerra ai firmatari che rispettassero l e loro obbligazioni internazionali; sottoporre tutta le dispute giuridiche alla corte di giustizia internazionale delllAja e tutte quelle politiche al consiglio della Lega od a commissioni speciali di arbitrato; non mobilitare finché una disputa era sottoposta al procedimento di arbitrato; riguardare come aggressore chiunque non rispettasse le misure prowisone decretate dal consiglio, rifiutasse l'arbitrato o l'esecuzione della decisione arbitrale, ricorresse alla guerra o violasse una zona smilitarizzata; riconoscere il potere del consiglio della Lega a dichiarare i1 boicottaggio economico e sanzioni militari contro uno stato agressore, e l'obbligo di tutti a parteciparvi, mentre era senz'altro autorizzata l'applicazione degli accordi particolari contro lo stato aggressore. I1 protocollo non aveva avuto la ratifica degli stati. governo conservatore di Baldwin, succeduto al governo Mac Donald ii 5 novembre 1924, aveva da parte sua abbandonato la politica di promocione del protocollo.

n


lare di disarmo, quello di MacDonald è ancora più grave, perchè tende a svuotare la riunione di Stresa di ogni reale contenuto. MacDonald è purtroppo il capo degli intesisti a ogni costo. Londra, 5 aprile 1935. (Non risulta pubblicato). Arch. 7 A, 13.

DUE CONCEZIONI: LA CRISTIANA E LA BARBARICA L'accademico di Francia e storico eminente Louis Madelin (I) nell'articolo « Une lamentable page d'histoire n, pubblicato il 22 marzo dall'Echo ds Paris, scriveva: « Les rapports entre les peuples ne son pas hélas! une question de moralité,. mais une question de sécurité, donc de précaution ».E applicando questa teoria alla situazione della Germania dopo la grande guerra, Louis Madelin continua: « Du moment que les hommes d'état ou censés tels n'avaient pas c m devoir ou pouvoir diviser en troncons 1'Allemagne vaincue (qui p était presque résignée), il fallait tout au moins tenir la main à ce que cet éternel trouble-paix fut mis, pour un siècle, dans I'impossibilité de soutenir la guerre D. I1 punto di partenza d i questo ragionamento è un errore che sovente sentiamo ripetere anche da persone oneste e da buoni cristiani (Louis Madelin stesso è un cattolico convinto), cioè che i rapporti fra i popoli non sono basati sulla moralità ma sulla forza. Perchè mettere su due piani opposti la moralità e la forza e scindere la necessaria subordinazione della forza alla moralità? La ragione si è che si ha poca fiducia nella moralità e molta

(l)

Cfr. la nota 2 dell'articolo n. 37 della presente raccolta.


nella forza. Ma a che cosa si riduce la forza senza l a moralità? I tedeschi, violando la neutralità del Belgio, il cui patto >p avevano sottoscritto, fecero entrare in guerra la Gran Bretagna; e violando con i sottomarini il diritto delle genti contro i neutri e l a popolazione civile, fecero entrare in guerra l'America. Oggi Hitler, riarmando la Germania, viola il trattato di Versailles apertamente; ma si può dire che le aItre potenze Io abbiano violato anch'esse, nello spirito se non nella lettera, non procedendo ad un largo disarmo e fissandone d'accordo i limiti., Ciò non ostante, l'aperta violazione d i Hitler, se non sarài sanata da un accordo successivo, dovrà comportare un giudizio e l e sanzioni della Società delle nazioni, anzitutto come u n tribunale d i moralità internazionale. I n questo sta la differenza fra una concezione umana e cri- -" stiana dei rapporti fra i popoli: che la morale ne deve essere alla base, e che quel che Madelin domanda giustamente, la sécurité et Zes précautions, ne debbono, essere effetto. Solo così, i1 necessario impiego della forza potrà essere giustificato; altrimenti diverrebbe un arbitrio, una violenza, una sopraffazione. -

Se errore c'è stato nel sistema internazionale del dopoguerra, è stato proprio quello di volere, per un periodo indeterminato, mantenere la Germania in una condizione di inferiorità morale e giuridica, allo scopo di renderla impotente a turbare di nuovo l a pace europea. Non ostante la fatale esperienza di questi sedici anni, uomini come un Madelin (che non è l'ultimo venuto) ricadono nella stessa falsa concezione. Egli ch'è storico eminente sa bene che ogni guerra arriva o alla pace di consenso (ch'è l a vera pace), ovvero ad una pace imposta, che è quasi sempre una tregua, più o meno lunga, fra due guerre. Quella di Versailles non fu una pace d i consenso, fu una pace imposta; cioè una tregua. La Germania non vi aderì mai spiritualmente, ma sotto l'imposizione dei inc ci tori. Ora, moralmente e cristianamente, da una guerra si deve arrivare alla pace, ad una vera pace, ad una pace sentita come tale dalle due parti. I vincitori debbono saper moderarsi e i vinti accettare la


loro sventura, in vista di un ordine che riuscirà anche a loro di vantaggio morale ed economico. Non intendo giustificare Hitler, che purtroppo incarna oggi non il cristianesimo ma la barbarie. Ma se la coscienza europea di oggi fosse più cristiana di quanto non lo sia, e avesse più a cuore i valori morali, avrebbe protestato; non solo oggi che Hitler viola il trattato di Versailles, ma con maggiore efficacia contro Hitler quando iniziò la sua fortunata carriera di cancelliere con l'incendio del Reichstag e la persecuzione con. tro gli ebrei, la prosegui con i campi di concentramento e la portò al culmine con il massacro del 30 giugno 1934. Dopo di che, alla morte di Hindenburg, Hitler divenne capo di stato. Che cosa sarebbe successo, se per tutti questi fatti una protesta per lesa moralità fosse partita dai parlamenti europei e americani? E se al ricevimento del corpo diplomatico per gli omaggi al nuovo capo di stato, non si fossero presentati nè ambasciatori nè nunzi, fino a che Hitler non si fosse lavate in pubblico le mani rosse di sangue, che cosa sarebbe successo ? La doppia moralità, una privata e l'altra pubblica, è una ipocrisia che va denunziata, come va denunziata la concezione barbarica dei rapporti fra i popoli basati solo sulla forza, senza l a moralità che vi dà il senso di umanità e che solo risponde ai principi cristiani. Londra, aprile 1935.

(L'Aube, Paris, 11 aprile 1935). Arch. 5 A, 9.

UNA NUOVA FASE DEL PARTITO CATTOLICO BELGA La recente dichiarazione del card. van Roey (l) primate del Belgio, e la formazione del ministero Vali Zeeland (l), in ( l ) Joseph Emest van Roey (1874-1961), cardinale belga, arcivescovo di Malines dal 1926, fu nominato titolare di S. Maria in Ara Coeli nel 1946. (2) P. van Zeeland, (n. 1893), vicegovematore della Banca nazionale


collaborazione con i socialisti, segna una nuova fase del partito cattolico belga. I1 cardinal primate h a inserito nella sua pastorale per la Quaresima « Considérations sur 1'Eglise catholique » un passaggio, nel quale egli dichiara nettamente che non vi è alcuna solidarietà h a la chiesa e il partito cattolico, p u r rendendo omaggio ai « services incalculables » che il partito cattolico h a reso nel Belgio alla causa della religione, e p u r riconoscendo che il partito è stato u rendu nécessaire par l'évolution historique de la politique dans notre pays D. A coloro ch'erano abituati a confondere partito cattolico e chiesa, a vedere nel partito cattolico uno strumento i n mano ai vescovi, la dichiarazione van Roey è sembrata una sconfessione. Qualcuno h a visto un segno della situazione belga verso una dittatura; una specie di procellaria, tale e quale in Germania quando i vescovi, all'arrivo di Hitler, ritirarono la loro solidarietà al Centro, o quando i vescovi d'Austria sotto Dollfuss, poco prima del cambiamento di costituzione, obbligarono i preti a dimettersi dalle cariche pubbliche. Le polemiche si sono complicate con il fatto della costituzione del gabinetto Van Zeeland, che ha ottenuto la collaborazione socialista. I cattolici sono stati dissenzienti. Parecchi temono d i questo contatto con i socialisti, e ricordano Ia dichiarazione dei vescovi, quando il cattolico Poullet (3) fece un'altra coalizione tra socialisti e democratici cristiani. Allora i vescovi, p u r non interferendo nel governo del paese, in sostanza, vollero sottolineare che ia coIIaborazione non impe. gnava la chiesa nè doveva riguardarsi come un atto completamente scevro d i pericoli. Gli anticlericali inoltre insistono che l'episcopato, che oggi si disimpegna dal partito cattolico, lo ha non solo sostenuto direttamente,. ma spesso si è interessato e delle candidature dei

belga, aveva costituito il 25 marzo 1935 un governo composto di cattolici, socialisti e liberali, con la partecipazione di Henri De Man, il cui piano per rianimare la vita economica del paese era sostenuto dai socialisti. (3) Cfr. nota 1 dell'articolo n. 33 della presente raccolta.


cattolici e del loro dosaggio, favorendo più la corrente conservatrice che la democrazia cristiana. Tutto ciò non h a importanza per noi; quando la battaglia era sui principi come spesso nel Belgio a proposito della libertà scolastica, i vescovi avevano il dovere di appoggiare gli uomini e i partiti che sostenevano le tesi vitali per la chiesa. E quando c'era il pericolo della scristianizzazione degli operai, da parte di una corrente marxista irreligiosa, sarebbe stato errore da parte dei vescovi restare incerti e non appoggiare i sindacati cristiani. Per comprendere la situazione dei nostri amici belgi, bisogna ricordare che il partito fu fondato nel 1863 per fronteggiare l'offensiva anticlericale dei liberali; i quali, per i primi avevano rotta la tradizione dei ministeri a unionisti ». E' ben noto che allora i vescovi e la Santa Sede non vedevano di buon occhio la formazione di un partito cattolico, non volendo nè potendo legare la chiesa ad un partito; essi preferivano i rapporti diplomatici fra Santa Sede, il governo o la corte. Ma l'offensiva era sempre crescente e i cattolici, dopo sedici anni di tentennamenti si decisero a creare il loro partito che chiamarono conservatore. Incalzando però i movimenti operai, di fronte alla propaganda socialista, si andò sviluppando - dalla Rerum Novarum in poi (1891) - la corrente democratica cristiana, che trovava ostacoli spesso insormontabili presso i cattolici conservatori. F u al principio di questo secolo che, poco felicemente (secondo noi) il partito prese il nome di cattolico, per affermare il principio religioso, lasciando, secondo le varie correnti in seno al partito, di prendere il nome di conservatori o di democratici cristiani. I1 nome di partito cattolico portò e porterà sempre delle confusioni. Ma anche il fatto delle due correnti in seno all'unico partito, induceva i conservatori, che mancavano di larga base popolare, ad appellarsi ai vescovi per mantenere le loro posizioni elettorali. Inoltre, a diversi degli uomini eminenti del conservatorismo cattolico si è fatto rimprovero di avere favorito e sostenuto iniziative capitalistiche di speculazioni, sia nel Belgio che nel Congo.


Questo complesso di fatti ha generato un malessere notevole presso i cattolici, fra i quali, per reazione, si sono insinuate correnti antiparlamentari filo-fasciste e filo-socialiste, La dichiarazione del cardinal-primate mette fine ad un equivoco che gli avversari sfruttavano contro la chiesa, e cui i piccoli fatti d'ogni giorno davano esca. Del resto, oggi, nel momento di crisi acuta economica e finanziaria, l'orientamento del paese è verso problemi tecnici che involgono anche problemi politici, quali quello del parlamentarismo e della democrazia. Ma su questi problemi i cattolici come tali hanno la -libertà di pensare e di agire come l a loro coscienza cittadina li consiglia e secondo le loro convinzioni politiche. E potranno essere sui due fronti, senza implicare per ciò la chiesa, che vuole e deve rimanere estranea. Forse questo sarà un punto di partenza per la revisione della situazione dei cattolici belgi; i quali faranno bene a trovare altro nome (come fecero i cattolici italiani quando fondarono il partito popolare) che dia loro l a bandiera delle nuove battaglie politiche, economiche e soprattutto sociali e morali, che l i attendono. Londra, 16 aprile 1935.

(El Mati, Barcelona, 21 aprile 1935). Arch. 7 A, 14.

LA VOCE DEL BUON SENSO Tanto affastellare fra gli stati di patti bilateraii, dichiarazioni di non aggressione, intese segrete, conferenze, riunioni, visite, ha l'aria di un gioco di fanciulli che girano girano attorno al fuoco acceso, senza mai affrontarlo direttamente per spegnerlo. Non c'è un modo effettivo per impedire l a guerra, che tutti temono, se non la corsa al riarmo ch'è già una triste realtà? C' è e non è u n mistero per nessuno; c'è e sarebbe facile at-


tuarlo; ma se ne h a una paura fanciullesca da parte di coloro che ne dovrebbero essere i principali fautori. I n questi giorni, in cui l'Inghilterra ripete per l'ennesima volta il suo sistema d'inframettersi nella politica europea e di non assumere impegni, una voce autorevole d i buon senso si è elevata fra gli inglesi ( e non è la prima), quella di Norman Angell ( l ) (ben noto qui) per avvertirli che la via che tiene il governo inglese porta alla guerra, e quella che dovrebbe tenere e non tiene porterebbe alla pace. Se l'Inghilterra con tutti gli altri stati di Ginevra si legassero nel sistema collettivo di difesa reciproca contro lo stato aggressore, « la guerra cesserebbe di essere una Realpolitik », perchè nessuno stato al mondo potrà essere così forte da tentare una guerra contro tutti gli altri stati coalizzati. Oggi la paura dell'Europa è la Germania; ma come potrebbe la Germania perseguire una politica di riarmamento se sapesse di avere con certezza tutti gli stati, e fra questi l'lnghilterra, contro di sè? Che vale che l'Inghilterra oggi favorisca il patto franco-russo (3? L'effetto sar4à di aumentare gli armamenti della Francia e della Russia. E il patto danubiano? Ecco che Austria, Ungheria, Bulgaria vogliono le mani libere per accrescere i loro armamenti, e Mussolini vuole che gli istruttori italiani vadano ad organizzare l'esercito austriaco. Siamo fuori di strada: le alleanze portano alla divisione del( l ) Ralph Norman Angell Lane (n. 1874), pubblicista inglese celebre soprattutto per il suo The Great Zllusion (1910). Pacifista, contrario allo spirito del trattato di Versailles, propugnatore di una intesa generale tra i popoli su basi democratiche. Insignito del premio Nobel per la pace nel 1934. (2) Erano in corso le trattative per la convenzione franco-mssa che Lava1 e Litvinov avrebbero firmato il 2 maggio 1935. La convenzione prevedeva, in caso di minaccia di aggressione da parte di uno stato europeo, che i contraenti si consultassero per accelerare e rafforzare l'applicazione dell'art. 10 del Covenant della S.d.N.; e l'assistenza militare immediata alla controparte in caso di aggressione non provocata, anche nel caso in cui il consiglio della S.d.N. non avesse ottenuto l'unanimità per assicurare la repressione dell'attacco. Il 16 maggio 1935 un fatto analogo era intervenuto tra Unione Sovietica e Cecoslovacchia.


l'Europa in due, portano al riarmo generale, portano alla guerra. L'Inghilterra potrà restare neutrale se una nuova guerra si ingaggerà nel continente europeo? I più capaci di prevedere le situazioni politiche del futuro dicono nettamente di no. Come nel 1914 l'Inghilterra pensava di restare neutrale, ma fu trascinata alla guerra dall'invasione del Belgio, e non solo dall'invasione del Belgio, così sarà i n un conflitto futuro se l a Francia si sarà impegnata. Le alleanze porteranno la Francia sui campi di battaglia ; l'Inghilterra seguirà. Se invece di ripetere oggi No committments, l'Inghilterra dicesse: sono pronta a rinnovare (migliorandolo) il protocollo di Ginevra del 1924 (3), che fu un errore e una colpa far cadere ( e furono i conservatori inglesi ad assumersi tale grossa responsabilità), allora nessun paese in Europa avrebbe il coraggio di far la guerra. La convenzione del disarmo sarebbe una conseguenza logica della difesa collettiva contro l'aggressore. L'America anch'essa sta lontano dal vespaio europeo. Narra Norman Angell che egli una volta aveva sentito dire ad un ammiraglio americano che se gli Stati Uniti avessero avuto nel 1914 un'armata tre volte più forte la guerra non sarebbe scoppiata. Al che Norman Angell giustamente replicava che anche un'armata americana al triplo non avrebbe impedito l a guerra, perchè nel 1914 la Germania non avrebbe mai temuto un intervento americano contro d i essa, e nessun governo americano avrebbe mai fatto la minaccia preventiva d'intervenire i n una guerra europea. È: l a situazione di oggi: America e Inghilterra stanno fuori gioco, « aspettare e vedere - wait and see ».Quando l a guerra scoppierà, una ad una entreranno nella terribile giostra di fuoco, ch'esse avrebbero potuto impedire, e che per mancanza di coraggio, o per egoismo o per imprevidenza o per troppa prudenza non seppero e non vollero impedire. Londra, 28 aprile 1935.

(E1 Mati, Barcelona, 30 aprile 1935). Arch. 5 A, 11.

(a) Cfr. nota d'articolo 44 bis.

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RILIEVI E IMPRESSIONI SULLE FESTE GIUBILAR1 INGLESI I1 venticinquesimo anniversario dell'ascesa al trono di Giorgio V (l) e della regina Mary è stato festeggiato dall'hghilterra con la gioia confidente e serena che destano le ricorrenze sentite profondamente e vissute nell'ambiente di famiglia. Le feste continuano e il tono amabile e gaio, intimo e rispettoso delle feste di famiglia non è venuto meno, mentre il programma ufficiale non riveste alcun carattere di pompa eccessiva, alla quale il popolo resti estraneo e diffidente. I motivi commerciali, che non mancano mai in nessuna festa pubblica, civile o religiosa, non sono così palesi e non pungono gli occhi, come quando si organizzano fiere e mercati e vi si dà il tono prevalente. I1 commercio di Londra certo si è avvantaggiato dall'affluenza, fin oggi, di oltre seicento mila forestieri venuti da ogni parte dell'impero e da ogni paese, e le strade principali - fastosamente decorate - furono per più giorni così affollate, da impedire il traffico e rendere difficile il muoversi in mezzo a tanta gente che si dondolava, beata di guardare. E dire che il freddo è stato così intenso come non si ricordava da oltre mezzo secolo. Una dama prima, poi un giornalista socialista, poi un giovane commerciante, e così di seguito, mi hanno fatto osservare che nell'ondata d i freddo che ci ha portati in pieno gennaio, solo il giorno 6 maggio fu eccettuato, il giorno giubilare in cui i1 re e la regina i n gran corteo si recarono alla cattedrale di San Paolo per il solenne ringraziamento a Dio. Veda, concludevano, Iddio ha voluto mostrare la sua benigna partecipazione alla solennità regale. Questa idea che Dio protegge la Gran Bretagna è nel fondo del cuore di ogni inglese, che non manca di sentimento religioso, di bontà naturale e di educazione da gentiluomo: gentleman (l) Giorgio V d'Inghilterra (1865-1936) era salito al trono il 6 maggio 1910, aila morte di suo padre Edoardo VII.


si dice, per indicare la sobria squisitezza, la calma del tratto e la correttezza dei rapporti: coloro che non credono mantengono la correttezza da gentiluomo anche con Dio. Una vignetta del Daily Herald (socialista) portava in basso la corte di Londra in piena allegrezza e di lontano Hitler e Goering che dicono fra loro: « È proprio spontanea questa festa? - e nessuno l'ha comandata? n. È questa la caratteristica inglese: una festa non si comanda; se si fa è perchè è sentita e spontanea. I1 popolo vi ha partecipato con il cuore, anche il più socialista, anche nei quartieri poveri e dove la disoccupazione è diffusa. L'addobbo delle case non era imposto; non sarebbe stato possibile imporlo, nè come in Germania o in Italia con le minacce a colpi di scudiscio, nè come in Francia con i comitati e le commissioni che girano d i casa in casa invitando e insistendo. Gli operai, quasi in tutte le strade, han fatto addobbi, luminarie, balli comuni e thé ai bambini con una spontaneità straordinaria e con una allegrezza da fanciulli. E il popolo e i signori sono a contatto senza il minimo disagio, giorni e notti nei parchi e attorno al palazzo reale, acclamando, festeggiando, accendendo luminarie come in un fraterno festino. Episodio caratteristico; in un palazzo del p a r t i e r e più elegante di Londra si dà un ballo i n onore dei sovrani; fuori c'è molta folla. Qualcuno si rivolge ad una signora che sta sul balcone domandando che l a musica scenda nella strada; signori e signore in evening dress scendono con la musica in mezzo alla folla e improvvisano un ballo popolare; e poichè il palazzo è completamente isolato, tenendosi mano a mano tutti senza distinzione vi fanno attorno u n bel cerchio danzante. Non ostante la folla e il ripetersi di cortei reali, di funzioni nelle chiese ( i cattolici hanno anchyessi cantato il Te Deum in tutte le chiese e le cappelle), di fuochi notturni, di rappresentazioni di gala e altre continue agglomerazioni popolari, nessun incidente h a turbato la festa, non una rissa, una uccisione, un ferimento; non una voce di dissenso o un contrasto di tendenze. Quasi nessuno ha notato un fatto significativo. I1 6 maggio, giorno del gran corteo reale, il partito laburista e i sindacati operai fissarono la loro festa del lavoro, perchè in quel giorno l e officine e gli uffici erano chiusi. E fecero il loro ben lungo


corteo, con le solite scritte di abbasso il fascismo! abbasso la guerra! viva il socialismo, viva il comunismo e persino abbasso i profittatori del giubileo e simili. Essi andarono ad Hyde Park a tenere i loro discorsi alla folla, con più o meno retorica; secondo l'abilità degli oratori, che qui all'aperto, col vento che tira, facilmente diventano rauchi e sembrano più aspri di quel che non sono. I n altri paesi il corteo operaio sarebbe stato proibito, ovvero circondato da un nugolo di poliziotti e di soldati con baionetta in canna. Ciò non ostante non sarebbero mancati i soliti conflitti, con diversi feriti e molti portati in questura o in prigione. Qui nulla di ciò: i policemen non portano armi, e i soldati non vengono impiegati. Ciò non ostante il corteo si svolse pacificamente e in piena libertà, senza che nessuno se ne meravigliasse. Per questo il re poteva affermare nel suo discorso che egli era lieto di mantenere la tradizione inglese basata sulla giustizia e la libertà, non ostante che dopo la guerra in Europa molti mutamenti fossero avvenuti in senso contrario. È stato questo il tono generale dei festeggiamenti: i l significato di una tradizione di libertà senza che la fiducia in essa sia scossa, senza che ombre di timore facciano pensare che l e libertà inglesi possano essere attenuate nel loro valore e nella loro portata. Se la monarchia inglese in un secolo ha guadagnato nell'affetto popolare e nella pubblica opinione politica, anche presso l e correnti laburiste, ciò si deve non solo all'influsso personale della regina Vittoria, di Edoardo VI1 e di Giorgio V, ma anche al sempre maggior contatto con l'anima popolare, al rispetto delle libertà e tradizioni inglesi, si che la mutua fiducia di re e popolo non è venuta mai meno, anche nelle ore più difficili della guerra e degli scioperi susseguenti. I1 fascino dell'attuale re sui precedenti, è dovuto al suo carattere paterno, al senso di famiglia, alla bontà che irradia attorno, ai suggerimenti morali che dà nei suoi discorsi che l a radio porta fino all'ultimo confine dell'impero. Sotto di lui il Commonwealth britannico si è consolidato moralmente, non ostante che i domini abbiano acquistato l'indipendenza politica dovuta alla loro maggiore età; non ostante che l'Irlanda sia divenuta


stato libero e tenda a proclamarsi repubblica indipendente; e non ostante le passate e presenti agitazioni nell'India per uno statuto autonomo. Questi mutamenti nella struttura dell'impero britannico dovevano avvenire; il merito del re è stato quello di agevolare il corso degli avvenimenti senza contrastarli e favorendone l'esito ; si deve a lui personalmente se la guerra civile in Irlanda fu fermata e se fu concordato lo statuto di stato libero. L'Irlanda ( o sud-Irlanda) nel coro di tutto l'impero, è rimasta in silenzio: nessuna partecipazione ufficiale ai festeggiamenti, nulla che potesse segnare un'adesione che per essa rappresenterebbe ancora il segno di una dipendenza dallYInghilterra. Ma il fair play inglese ha saputo tenere questo fatto nella penombra, senza discutere o polemizzare, senza neppure notarlo: ignorandolo. Molti irlandesi han voluto testimoniare, da rivat ti cittadini, il loro attaccamento ai sovrani, e lo han fatto con discrezione. Lo stesso governo di De Valera ha tenuto a non far fare rumore attorno al suo gesto. La verità è che oggi ii re U'IrigLilieii-a, o k r e !e m e qa!itè personali, rappresenta il legame simbolico ed effettivo di tutta la compagine britannica; e non è più il governo nè il parlamento di Westminster, ma solo il r e che può dirsi a capo di questo immenso impero. Londra, maggio 1935.

( E l ilfati, Barcelona, 29 maggio 1935) Arch. 12 A, 1.

IPOTESI, NON PROFEZIE SUL CONFLITTO ITALO-ABISSINO Gli uomini, nella vita pratica, non possono arrivare a prospettarsi il futuro che dentro limiti assai ristretti; sorpassando tali limiti debbono giocare d'ipotesi, non potendosi dare il lusso delle profezie. I n tre modi, nella vita politica, può guardarsi il futuro: o


come progetto da realizzare in un dato periodo (oggi si dice piano); o come proposito deliberato di chi ha il potere i n mano; o come calcolo di ipotesi, per avere pronte le decisioni. In genere, quasi tutti i piani, i propositi e i calcoli falliscono; ma c'è sempre una percentuale che si realizza. I giornali possono lanciare piani, fare delle campagne a scopo determinato o limitarsi allo studio di ipotesi; in tutti i tre modi influiscono sull'opinione pubblica. Per oggi piace a me fare delle ipotesi, non improbabili nè fantastiche, sul conflitto italo-abissino.

I1 25 marzo a Ginevra si è arrivati all'accordo tra il consiglio della Società delle nazioni, 1' Italia e 1' Abissinia : la commissione arbitrale già nominata - due dal171talia e due dall'Abissinia - dovrà dentro il 25 luglio o nominare il quinto membro ovvero mettersi d'accordo per fissare il giorno di tale nomina; altrimenti interesse& il consiglio della Società. Facciamo l'ipotesi migliore che venga nominato il quinto arbitro in tempo: però supponiamo pure che dentro il 25 agosto, termine segnato dal consiglio, gli arbitri non si saranno messi d'accordo e che intanto per nuovi incidenti, più o meno dall'una o dall'altra parte provocati, si sia arrivati alla rottura fra l'Italia e 1'Abissinia. Questa ipotesi non può dirsi azzardata, perchè l'Italia non ostante I'arbitrato continua a mandare in Somalia e in Eritrea truppe e munizioni per preparare una guerra su larga scala. Finora le spese fatte e preventivate superano il miliardo di lire, e il prestito italiano vi è impegnato. Che la vertenza possa finire con un comunicato sibillino degli arbitri, che daran ragione alle due parti, non sembra probabile, dopo i discorsi di Mussolini e tutta la campagna anti-abissina che si è scatenata in Italia. La stampa internazionale, nel registrare il mezzo successo della Società delle nazioni, ha pure fatto notare che il deliberato del consiglio può servire all'Italia per arrivare senza ulteriori difficoltà alla fine del periodo delle pioggie, quando potrà più facilmente iniziare le operazioni di guerra. Intanto nè la


Francia nè l'Inghilterra permetteranno i l transito delle armi verso l'Abissinia, allo stesso tempo che l'Italia continua a inviare truppe e munizioni.

Nel prossimo giugno dovrà riunirsi a Roma la conferenza danubiana (') : finora l e prospettive di essa non sono confortanti. La propaganda germanica non si limita all'Austria e Ungheria, ma è penetrata nella Piccola Intesa, e tende ad ingrandire sempre più. L'Italia si è indebolita in Austria per l'affare del Sud Tirolo o Alto Adige: è vero che ieri ha deciso di consentire alle popolazioni tedesche l'insegnamento privato della loro lingua (cosa che aveva proibito circa nove anni fa), però in Austria tutti credono che ciò sia il risultato della pressione dei nazi più che effetto dell'amicizia di Stahremberg. Comunque sia, l'ingerenza italiana in Austria sta divenendo presso l e popolazioni motivo di risentimento e di cattivo sangue; i a stessa iieimwebr è divisa; 3 si paria a i un iascismo austriaco, e si rigetta il fascismo italiano. Solo il gabinetto e un gruppo di uomini politici sono legati a Mussolini, ma non si ha il coraggio di dirlo pubblicamente. Se 1'Itaiia insistenà per ii riarmo deiia Bulgaria, Ungheria e Austria, la conferenza stessa è compromessa. D'altra parte sarebbe il colmo aver lasciato armare la Germania e non averlo impedito, mentre poi si vorrebbe fare i forti con gli staterelli di terz'ordine, quali oggi l'Austria, l'Ungheria e la Bulgaria! I1 problema danubiano dovrà certo pesare assai sulle decisioni dell'Italia per una grossa guerra in Africa. & vero che MUSsolini ha proclamato che l'Italia sarebbe in grado col suo esercito di far fronte allo stesso tempo in Somalia ed Eritrea e sul

(l) A proposito della conferenza danubiana, Mussolini ebbe a dire nel discorso alla camera del 25 maggio 1935: u A Stresa fu decisa. la convocazione di un'altra conferenza per affrontare i problemi del bacino danubiano. Tale conferenza non si può tenere ai primi di giugno come fu annunziato; aggiungo che non sarà convocata se non sia stato molto, ma molto diligentemente preparata s. La conferenza non ebbe più luogo.


Brennero. Però altro sono le parole e altro i fatti (2). La Germania ha rafforzato i confini bavaresi, con eserciti, armi, munizioni e contrafforti. La Germania sarà pronta all'intervento se l'Italia si muove. E certo l a Germania è in posizione più vantaggiosa che l'Italia, per l e operazioni di garanzia e per la presa di posizioni in Austria. Per giunta: che cosa farebbero in tale evenienza la Jugoslavia e la Cecoslovacchia? E chi può prevedere le conseguenze di una rivolta nazi a Vienna? '

I dittatori moderni pare che non si preoccupino molto della situazione delle finanze dei loro paesi. Però, non ostante tutti i decreti draconiani e tutte le misure restrittive, anche per i dollari, c'è un limite insuperabile. L'Italia è dei paesi del cosiddetto blocco-oro, per quanto l'oro non sia una merce molto comune. La lira italiana si sostiene perchè i cambi sono controllati rigorosamente, è impedita l a sortita dei capitali, è resa impossibile ogni contrattazione libera di divise estere. Ma i l Belgio è caduto; si parla di situazioni incerte in Svizzera e Olanda; la Francia va a fare una battaglia di resistenza, ma con la prospettiva di grosse perdite. Tutto ciò deve influire assai sulle decisioni dell'Italia che sta per impegnarsi in una guerra a fondo con l'Abissinia, quando probabilmente ne dovrà spendere ancora se la situazione austriaca costringesse ad una pii1 larga mobilitazione.

(2) Nel discorso alla camera del 25 maggio 1935, Mussolini aveva negato la consistenza di un dilemma per l'Italia tra il montare la guardia al Brennero e l'impegnarsi in azioni coloniali. In realtà il dilemma era stato concreto tanto che nello stesso discorso Mussolini era costretto a modificare sostanzialmente alcune direttive della propria politica estera, abbandonando da un lato la pretesa a garante esclusivo dell'indipendenza austriaca, minimizzando dall'altro i motivi di attrito italo-tedeschi.


Nè la Società delle nazioni, nè i gabinetti di Parigi e di Londra, d i Mosca e di Berlino, potranno credere che la guerra italoabissina resterebbe un fatto isolato come un semplice avvenimento coloniale. Tutti pensano che sarebbe una guerra lunga, dispendiosa e incerta. Quando Giolitti si avventurò nella guerra libica, nel 1911, nè l a Francia nè l'Inghilterra vi si opposero sul serio, benchè non ne fossero del tutto contenti. Ma infine, all'Italia toccava l'osso libico, dopo che i n Africa esse avevano avuto Ie parti migliori. Nessuno pensò quale ne poteva essere il seguito imprevisto. Ma fu allora che gli stati balcanici si strinsero in lega e visto che la Turchia veniva sempre più impegnata contro l'Italia e indebolita dalla guerra, credettero opportuno di attaccare la Turchia. Siamo nel 1912. La prima guerra balcanica portò l'Austria-Ungheria a mobilitare parte del suo esercito e a intrigare in modo da contribuire a far scatenare la guerra hulgara-nerhn nel 1913, L'icitn delle vittorie serbe pose l'Austria-Ungheria nella situazione più difficile. F u in quell'anno stesso che l'Austria fece dei passi perchè l'Italia partecipasse ad una eventuale guerra contro la Serbia. Giolitti rifiutò. Ma da questo fatto si vede come l'Austria già premeditava quel che avvenne nel 1914. E la guerra austroserba ci portò subito alla conflagrazione generale. P e r t i n a ~ ( ~ )che , è tanto cauto in politica estera, nel suo articolo del 28 maggio sull%cho de Paris si è lasciato scappare questa frase: u Inutile di dire que nous (la France) n'assumerons pas de devoirs particuliers. Pour défendre le Covenont en Afrique, s'exposer à le miner en Europe serait le comble de l'absurdité P.

(3) Pseudonimo del noto giornalista francese -4ndré Géraud, redattore diplomatico dell'Echo de Paris. Nel 1939 lasciò 1'Echo' per dissensi con l'indirizzo filonaeista del quotidiano, fondando con altri giornalisti di destra L'Epoque. Nel 1940 si rifugiò in America dove pubblicò Les fossoyeurs (1943), in cui sottolineò le responsabilità di Daladier, Reynand e Pétain nel crollo della 111 repubblica.


Ora, a parte l a difesa del Covenant che interessa la Francia più che altre nazioni, difesa che non si fa i n Africa o in Asia, ma a Ginevra, Pertinax e gli altri che scrivono di politica estera debbono comprendere che una guerra contro 1'Abissinia sarà l'inizio di una nuova catena di guerre che ci porteranno non in tre anni, ma in tre mesi, ad una nuova conflagrazione. Essi debbono comprendere che è stato u n torto da parte della Francia e dell'hghilterra aver lasciato per sei mesi invelenire i rapporti dell'Italia e 1'Abissinia senza un intervento fatto in tempo per una possibile amichevole soluzione, impossibile quando l'Italia ha mobilitato classi intiere e le ha spedite in Africa. Ora non dico che è tardi; ma l'Italia si trova troppo avanti per poter ritornare indietro con un pugno di mosche nelle mani. Solo la cooperazione internazionale ferma e soridale potrà impedire che si apra un nuovo e maggior disastro nella vita dei popoli. Londra, maggio 1935. (E1 Mati, Barcelona, 5 giugno 1935). Arch. 8 A, 9.

UN EPISODIO SIGNIFICATIVO I n Francia, nonostante la democrazia, le donne non sono nè elettrici nè eleggibili, nè nei municipi nè in parlamento. Varie proposte di legge per dare il voto alle donne, sono cadute per l a resistenza del senato. I n fondo il radicalismo imperante e la massoneria dietro l e quinte non vogliono il voto alle donne, perchè, dicono, l a donna francese è in maggioranza clericale e nazionalista. Ma il movimento femminista va prendendo i n Francia larghe proporzioni, e vi sono già dei nuclei decisi a tutto. Nelle passate elezioni municipali, a Parigi nel quartiere di Montmartre, e a Marsiglia, si ripeterono in piccolo le agitazioni famose


delle femministe d i Londra a principio del secolo guidate dalla celebre Pankhurst. Non è questo episodio che mi interessa; bensì un altro accaduto nel grosso sobborgo operaio d i Lione che porta il nome di Villeurbanne, e che da dieci anni è amministrato da socialisti. Quel consiglio comunale prima del rinnovo elettorale decise di aggiungere a titolo privato e consultivo quattro donne consigliere, che avrebbero assistito alle sedute del consiglio e anche preso la parola, senza però poter votare, e che sarebbero state incaricate di affari municipali, come quelli riguardanti la disoccupazione, la cura dell'infanzia, le scuole all'aperto, le questioni igieniche e simili. Per essere elette le candidate avrebbero dovuto ottenere il voto degli elettori (cioè degli uomini) in proporzione non inferiore a u n quarto degli iscritti, e la maggioranza dei votanti. Un ufficio elettorale a parte fu posto per questa elezione libera e fuori legge (non contro legge); si presentarono tre liste, una femminista detta delle réalisations féministes 1) nella quale fu candidata una demncrnticn p ~ p i l ~ sc!tc re ngta !zg+ ccze fondatrice di una scuola professionale per le domestiche, madame Jeanne Grillet; una seconda presentata dal partito comunista e la terza dalla federazione repubblicana (destra). Non avendo nessuna delle caodidate ettenutc il quorum al primo turno, furono indette le elezioni del secondo turno, nel quale le comuniste furono in testa, con una media di I N 0 voti di più della lista femminista e di 2600 in più di quella repubblicana. Quel che c'interessa far notare si è che gli elettori, uomini s'intende, al primo turno andarono a votare il 60 per cento, e al secondo turno il 75 per cento. L'interessamento di questa affermazione pratica e simpatica per l'attività femminista nei municipi presso la popolazione, in gran parte operaia, è stato notevolissimo. In secondo luogo c'interessa far notare come i comunisti han saputo cogliere l'occasione per una loro non difficile vittoria anche nel campo femminile; perchè purtroppo le masse lavoratrici sono spesso abbandonate a sè stesse, esposte agli egoismi degli imprenditori, senza sufficiente organizzazione sociale cristiana. I cattolici e i massoni credono che la donna sia ancora


legata alla chiesa; e lo è in gran parte, dove la famiglia, la piccola proprietà, l'artigianato sono tuttora alla base della vita sociale; ma dove l'industria è diffusa e il salariato maschile e femminile modificano la struttura economica e morale della classe operaia, sono necessarie e urgenti l e associazioni sindacali cristiane e le opere assistenziali. In complesso, l'educazione civile e politica dell'operaio in genere e della donna in specie, è necessaria e urgente presso i paesi ove c'è il suffragio universale, sia o no ancora esteso alla donna, perchè in tempo le classi operaie si sappiano premunire dalle mene socialiste e comuniste, dalla propaganda anticlericale o da quella, dall'altro lato, reazionaria e fascista. Molto si domanda ai governi, ai capi, ai condottieri dei popoli, ai deputati, ai gerarchi; poco o nulla a noi stessi, alle masse dei governanti, dei cittadini e degli elettori. E' vano quel che si fa contro l'opinione pubblica e contro il sentimento popolare; ma l'una e l'altro si debbono educare, allenare, premunire, fortificare e rendere coscienti dei loro diritti e dei loro doveri. Fan sempre così i cattolici? Londra, 2 giugno 1935.

(E1 Moti, Barcelona, 7 giugno 1935). Arch. 7 A, 16.

C(

LIBERTAS

Era l'insegna dei comuni guelfi italiani, Bologna lo porta nel suo stemma, il partito popolare italiano ne fece il suo motto: Libertas 1). Questi ricordi mi son venuti i n mente ( e con che passione nel cuore) quando h o visto sull'Osservatore Romano del 30 maggio scorso riportati alcuni tratti dell'dppel à la conscience chrétienne di mons. Mario Besson ( l ) vescovo di Losanna, Ginevra e Friburgo, a proposito della proposta socialista detta u iniziativa (l)

11.

Manus Besson (1876-1945), vescovo di Losanna, Ginevra e Friburgo

- Smnzo -

Miscclhnea Londinese

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della crisi n. Egli ha creduto suo dovere d'intervenire per difendere (C le nostre vecchie istituzioni feudali )) e per proclamare intangibili a i diritti fondamentali della famiglia e dell'individuo D che verrebbero lesi per la proposta socialista della statizzazione politica ed economica alla quale i socialisti miravano. I giornali han riportato l'esito del referendum popolare di domenica scorsa 2 giugno; il popolo svizzero con 566 mila voti contro 426 mila si è pronunziato contro la proposta. Ed è stato un atto sano e coraggioso, al quale han contribuito i cattolici a viso aperto e con una magnifica unione di forze. La stampa francese, dando all'avvenimento svizzero il colore delle passioni che in questo momento agitano i1 paese, ha voluto vedere da un lato la vittoria del conservatorismo e dell'economia liberale, e dall'altro lato una sconfitta socialista. Certo questi motivi non sono mancati nella lotta della Confederazione elvetica, ma il motivo fondamentale dell'esito del referendum è stato dato dalla gelosa difesa dei diritti cantonali, dal sentimento federale e non unitario alla francese che è caratteristico della S ~ i z z r r a ,du! ~iilrrrtrzdiziennli qnasi millenario di quelle istituzioni e dal senso profondo di libertà. Purtroppo, dacchè della parola libertà si è fatto tanto scempio e si è confusa la libertà organica e fondamentale dell'indivibuo e dei gruppi sociali, (famiglio, comune, cantone, regione, stato) con ogni sorta di licenza, i cattolici hanno avuto quasi paura di parlare di libertà ed han lasciata la parola ( e spesso il suo significato reale) in mano agli awersari. Ora di fronte a tutte le correnti monopoliste dello stato, socialismo, comunismo, fascismo, nazismo, monarchie assolute, dittature, noi dobbiamo affermare la libertà e difenderla coraggiosamente. La libertà si conquista sempre; non è un dono gratuito di Dio, è u n dono oneroso che importa doveri e che impegna alla difesa. La libertà non è divisibile; buona nella politica o nella dal 5 maggio 1920. Insigne storico e scrittore, lasciò una lunga serie di pubblicazioni sulla storia della chiesa in Svizzera. Attivo collaboratore della Revue d'histoire écciesiastique suisse, e fondatore della Revue Charlemagne, che trattava argomenti storici dell'evo carolingio.


religione e non buona nell'economia o nell'insegnamento : tutto è solidale. Vedo che certi cattolici sociali ora sarebbero disposti ad abbandonare la libertà economica e non comprendono ch'essi così abbandonano la libertà in tutti i campi, anche quello religioso. L'appello del vescovo di Losanna, Ginevra, Friburgo ai cattolici svizzeri li esortava a difendere le loro istituzioni nazionali basate sulla libertà (si trattava di sospendere per cinque O dieci anni il diritto popolare al veto e di accentrare per lo stesso periodo molti poteri a Berna). Oggi molti amano parlare solo dell'autorità, dimenticando che la libertà è quella che dà veste morale all'autorità, come l'autorità bene intesa è quella che assicura l'attuazione della libertà. I1 giorno che la dittatura arriva i n un paese cessano realmente e libertà e autorità, e vengono sostituite con la licenza e l'arbitrio in alto, la servitù e la cortigianeria in basso. La dignità di uomini e di cristiani cessa in quel momento. Londra, 5 giugno 1935.

(E1 Mati, Barcelooa, 9 giugno 1935). Arch. 7 A, 17.

LE LEZIONI DELL'ITALIA I1 partito popolare italiano fu costituito il 18 gennaio 1919. Nell'appello al popolo lanciato dai promotori stava scritto: « A tutti gli uomini liberi e forti, che i n questa grave ora sentono alto il dovere di cooperare ai fini supremi della patria, senza pregiudizi n è preconcetti, facciamo appello perchè uniti insieme propugnino nella loro interezza gli ideali di giustizia e di libertà D. E più sotto : cc ad uno stato accentratore tendente a limitare e regolare ogni potere organico e ogni attività civica e individuale, vogliamo sul terreno costituzionale sostituire uno stato veramente popolare, che riconosca i limiti della sua attività, che rispetti i nuclei e gli organismi naturali - la famiglia,


le classi, i comuni - che rispetti la personalità individuale e incoraggi le iniziative private. E perchè lo stato sia la più sincera espressione del volere popolare, domandiamo la riforma dell'istituto parlamentare sulla base della rappresentanza pro-' porzionale, non escluso il voto alle donne, e il senato elettivo, come rappresentanza direttiva degli organismi nazionali, accademici, amministrativi e sindacali; vogliamo la riforma della burocrazia e degli ordinamenti giudiziari e la semplificazione della legislazione, invochiamo il riconoscimento giuridico delle classi, l'autonomia comunale, la riforma degli enti provinciali, e il più largo decentramento nelle unità regionali D. La prima battaglia, nello stesso anno 1919 (giugno-luglio) fu per la proporzionale; il leader popolare alla camera dei deputati fu 1,011. Micheli ( l ) , e il suo progetto (con alcune modifiche volute dai liberali e non sempre felici, come il voto preferenziale) fu approvato e andò in vigore. Forti della prima vittoria, i popolari, nelle elezioni legislative del novembre 1919 ottennero un successo considerevole, conquistando 99 seggi, quasi un quinto dei deputati aiiora 508. Neiie elezioni del i922 arrivarono a 107 su 535. La seconda battaglia fu imposta dagli avvenimenti. Nel gennaio 1920 i socialisti promossero due scioperi generali, uno nei servizi di poste e telegrafi, e 1kaItro ne1 servizio ferroviario. Si era formata allora da u n anno la confederazione italiana dei lavoratori detta bianca (3, - in contrapposto alla rossa o so-

(l) Giuseppe Micheli (1876-1%8j, collaborò con Murri nella prima democrazia cristiana; deputato dal 1902, aderì ai P.P.I. nel 1919 e fu ministro dell'agricoltura con Nitti (maggio-giugno 1920) e Giolitti (1920-Zl), dei lavori pubblici con Bonomi (1921-22) e, nel secondo dopoguerra, della marina militare (1946-47). Deputato d. C. alla costituente, senatore d i diritto nel 1948. (2) La confederazione italiana dei lavoratori (C.I.L.) fu costituita nel corso di un convegno svoltosi a Roma dal 16 al 18 marzo 1918, al quale parteciparono rappresentanti di vane federazioni sindacali cattoliche. Massimo ispiratore e primo segretario della C.I.L. fu Giovanni Battista Valente (1872-1944). Successivamente la carica di segretario fu coperta da Giovanni Gronchi e da AchiUe Grandi. L'azione della C.I.L. fu diretta soprattutto al riconoscimento del partecipazionismo operaio alla gestione e proprietà dell'azienda, specialmente nel periodo deli'occupazione delle fab.


cialista - democratica cristiana, legata politicamente al partito popolare e appoggiata da questo per le rivendicazioni legislative e amministrative. La confederazione aveva due forti nuclei di postelegrafonici e di ferrovieri. Costoro non aderirono allo sciopero generale, perchè di carattere più politico che professionale, e fecero andare avanti i servizi per oltre due settimane, finchè il governo e le organizzazioni socialiste vennero ad un'intesa. I1 partito popolare sostenne le ragioni della confederazione bianca presso il governo; e mentre fin allora tutte le rappresentanze operaie nei consigli superiori dei ministeri erano monopolio socialista, i sindacati cristiani cominciarono ad avere la loro voce, e la loro efficacia. E quando il governo Giolitti durante l'occupazione delle fabbriche, per guadagnarsi i socialisti propose il disegno di legge sul controllo operaio nelle fabbriche, i deputati popolari sostennero il contro progetto della confederazione bianca sull'azianariato operaio o partecipazione dell'operaio all'azienda, con azioni privilegiate. 11 movimento sindacale cristiano ebbe altre lotte e altre vittorie, nell'intesa completa e nella collaborazione fidente con il partito ~ o p o l a r e ,e verso la fine del 1921 essa contava quasi un milione e 200 mila soci, mentre i socialisti ne avevano un milione e mezzo. Fu i n quel tempo che i popolari alla camera proposero il disegno di legge del riconoscimento legale delle organizzazioni professionali sindacali e loro rappresentanza legale. Ma la principale e più forte campagna dei popolari fu sulla questione agraria. Ministri dell'agricoltura furono successivamente i popolari Micheli, Mauri ( 3 ) e Bertini (4). I1 progetto per la briche (settembre 1920). La C.I.L. cessò la propria attività con l'awento del regime fascista seguendo la sorte delle aItre organizzazioni sindacali democratiche. Per la storia della C.I.L. cfr. L. RIVASANSEVERINO, I l movimento sindacale cristiano dal 1850 al 1939, Bologna, 1950, cap. V ; I. M. SACCO, Storia del sindacalìsmo, Torino, 1947, pp. 223-228. Per quanto riguarda i rapporti ira P.P.I. e C.I.L., che furono spesso caratterizzati da vivaci polemiche, cfr. G. DE ROSA,Storia del movimento cattolico in Italia, vol. I1 cit. pp. 536-55. (3) Angelo Manri (1873-1936), aderì da giovane alla democrazia cristiana, collaborando alla Cultura Sociale di Romolo Mnm, e all'Osserva-


colonizzazione interna e per la trasformazione dei latifondi ha il nome di Micheli; ebbe l'onore di una lunga e appassionata discussione alla camera dei deputati che l'approvò nel luglio 1922, e lo inviò al senato. Ma quando il progetto fu davanti al senato il fascismo era arrivato al potere e il governo Mussolini ritirò il progetto, che urtava troppo gli interessi dei proprietari che avevano finanziato il movimento fascista e la marcia su Roma. Un'altra battaglia memorabile dei popolari fu quella per la riforma scolastica. I n Italia vigeva allora il monopolio scolastico. Si trattava di ottenere un principio di libertà e l a parificazione delle scuole private con l e scuole pubbliche. I popolari volevano arrivarci per gradi; il primo passo fu quello dell'esame di stato, per cui i provenienti dalle scuole private venissero messi nelle stesse condizioni degli alunni delle scuole pubbliche. I1 progetto era sostenuto anche da non cattolici per motivi tecnici, fra i quali erano Croce e Gentile con differenti vedute. Ma socialisti e vecchi liberali erano contrari; e i tre progetti successivi di Croce, di Corbino (5) e di Anile (7 (quest'ultimo popolare) caddero agli uffici della camera. tore cattolico di don Albertario. Nel 1903 assunse la direzione del quotiI momento. Presidente della federazione piccoli diano cattolico torinese L proprietari agricoli, fu tra i fondatori della C.I.L. nel marzo 1918. Deputato alla XXII, XXV e XXVI legislatura, fu ministro dell'agricoltura nel gabinetto Bonomi dal luglio 1921 al febbraio 1922. (*) Giovanni Bertini (187&1949), collaborò da giovane a numerose riviste e giornali democratici cristiani, tra cui Cultura sociale, aderì nel 1905 alla lega democratica nazionale, movimento politico fondato da R. Murri. Presidente della federazione mezzadri e affittuari, fu tra i fondatori della C.I.L. nel marzo 1918. Eletto deputato nel 1913, collaborò alla creazione del P.P.I. Ancora deputato nel 1921, fu ministro dell'agicoltun nel secondo gabinetto Facta, dopo essere stato sottosegretario all'agricoltura e ai lavori pubblici. Deputato alla costituente nel 1946, senatore a vita nel 1948. (5) Ii progetto di legge sulla scuola di Orso Mario Corbino (1876-1937), benchè più modesto di quello Croce, era preferito dai popolari in quanto concedeva l a sede d'esame agli istituti privati, Ii Corbino fu ministro dell'economia nazionale nel I gabinetto Mussolini; studioso di fisica, in collaborazione con Damiano Macaluso scoprì l'effetto Corbino-Macaluso sulla luce polarizzata. (=)Antonino Anile (1869-1943), medico, educatore e scrittore cattolico;


Venuto il fascismo Gentile impose la sua propria riforma ( l ) . L'altra campagna fu per la riforma amministrativa: il partito popolare non era il solo; esso sosteneva le vedute dell'associazione dei comuni, dove chi scrive era il vice-presidente e dove uomini come i ministri Meda, Mauri, Rodinò ('), Micheli e il prof. Gilardoni (g) (tutti deputati popolari) erano in primo piano. La riforma riguardava l'autonomia e la libertà dei comuni e delle provincie, le finanze locali, il controllo statale. I progetti erano stati redatti da apposite commissioni nominate dal governo ( e chi scrive ne faceva parte) e tutto era pronto nell'ottobre 1922 quando l'avvento del fascismo interruppe i lavori e fece cadere i progetti.

docente di anatomia, fu più volte deputato del P.P.I. e nel 1922 ministro deil'istmzione in ambedue i ministeri Facta. La sua riforma scolastica prevedeva l'esame di stato per ogni ordine e grado, la riforma degli asili infantili, rapporti fra scuola e regione, scuola obbligatoria per cinque anni, autonomia delle università quali centri della vita culturale regionale. L'Anile f u anche autore di numerose opere scientifiche e poetiche, tra cui ricordiamo: La salute del pensiero (Bari, 1916), Nella scienza e nella cita (Bologna, 1921), Poesie (Bologna, 1921), La cultura cattolica (Torino, 1924), Bellezze e verità delle cose (Firenze, 1935), Questo è l'uomo (Firenze, 1943). (7) Sullo spinto della riforma scolastica Gentile, che tendeva ad accentrare e ~oliticizzare la scuola secondo i desideri dell'esecutivo, cfr. gli articoli di don Giulio de Rossi : C Illusioni e realtà nella riforma scolastica : Hegel, san Tommaso e il modernismo D, in I l Popolo, 28 dicembre 1923. Si veda anche il giudizio di Sturzo nell'intervista concessa a Cesare Sobrero e pubblicata su La Stampa del 10 febbraio 1924, ora in L. STURZO, I l partito popolare italiano, cit., vol. 111, p. 17. (8) Giulio Rodinò (1871-1946), deputato cattolico dal 1913 al 1926. Ministro della guerra nel secondo gabinetto Nitti e nel successivo gabinetto Giolitti. Nel ministero Bonomi (luglio 1921 -febbraio 1922) fu ministro di grazia e giustizia. Antifascista, partecipò all'Aventino. Nel secondo dopoguerra fu eletto deputato nelle file della democrazia cristiana e fu ministro senza portafoglio (1944) e vice-presidente del consiglio (1944-1945). (9) Annibale Gilardoni, esponente del partito popolare, f u deputato nella XXVII legislatura.


Quali i motivi della disfatta? a) 1 popolari erano un partito giovane di tre anni; non poterono assumere l a direzione del potere e dovettero collaborare con i vecchi partiti democratici liberali e radicali, infetti di massoneria anticlericale e di conservatorismo antisociale. I popolari erano per loro collaboratori necessari ma incomodi. Quando venne l'ondata del fascismo i liberali conservatori e varie correnti democratiche sostennero i fascisti come quelli che avrebbero messo a posto socialisti e popolari. b) La campagna per l a riforma agraria fatta dai popolari, sia nel sud e nel centro-sud contro il latifondo, sia nel centro nord e nel nord dell'Italia per l a revisione dei patti agrari, destò le ire dei ricchi proprietari, in buona parte cattolici, che si volsero a favorire i fascisti. C) I1 governo centrale sotto Giolitti voleva servirsi del fascismo a scopi politici e consentì che dai magazzini militari si dessero le armi alle squadre delle camice nere e lasciò ad esse una certa libertà. I1 governo Bonomi cercò di frenarle ma fu debole. I1 successivo governo Facta si fece prendere la mano. Le squadre armate terrorizzavano le città e le campagne. I popolari si sciuparono nell'abbattere successivamente i governi d i Nitti, Gio. litti e Facta, ma non poterono costruire un governo forte del quale essi fossero il fulcro. Queste l e ragioni principali della caduta del popolarismo e insieme delle libertà costituzionali d'Italia, e dell'awento della dittatura. Londra, 16 giugno 1935.

(El Mati, Barcelona, 29 giugno 1935). Arch. 14 A. 8.


TRENTA

GIUGNO

Nel centinaio di persone assassinate il 30 giugno 1934 per ordine diretto di Hitler e, a Monaco, con il suo intervento personale, vi sono due nomi che emergono a l di sopra di tutti gli altri e che sono rimasti nella memoria internazionale: il generale Schleicher, ex-cancelliere del Reich, e i l dr. Klausener, capo dell'azione cattolica di Berlino e collaboratore di von Papen (l). La memoria del primo è stata riabilitata dalla Reichswehr: ciò avveniva in una grande riunione di generali e di capi dell'esercito, comprendenti tutto lo stato maggiore, con l'intervento del ministro della guerra Blomberg e del Fuhrer Hitler. È stato fatto l'appello del generale Schleicher ed è stato considerato presente; non era più citato come un vile traditore del regime, ma come uno dei grandi servitori della patria (2); colui che ave-

TRENTE JUIN Parmi la centaine de personnes assassinées le 30 juin 1934 par ordre direct de Hitler et, à Munich, avec son intervention personnelle, il p a deux noms qui émergent par-dessus tous les autres et qui sont restés dans la mémoire internationale: le général Schleicher, ancien chancelier du Reich, et le dr. Klausener, chef de l'action catholique à Berlin et collaborateur de von Papen. La mémoire du premier a été réhabilitée par la Reichswehr: ceci se passait dans une grande réunion de généraux et de chefs de l'armée, comprenant tout l'état-major, avec l'intervention du ministre de la guerre Blomberg et du Fuhrer Hitler. On a fait l'appel du nom du général Schleicher et il a été considéré comme présent; il n'était plus cité comme un traitre vi1 à l'égard du régime, mais comme un des g a n d s serviteurs de la patrie; celui qui avait ordonné l'assassinat se trouvait là; mais sa pré-

Cfr. i precedenti nn. 19-20 e 23 della presente raccolta. Ad esigere la riabilitazione erano stati in prima linea il feldmaresciallo August von Mackensen ed il generale Kurt von Hammerstein. La riunione a cui si accenna, presenziata dai capi del partito e dell'esercito, aveva avuto luogo a Berlino il 3 gennaio 1935 (cfr. WHEELER-BENNEIT, La nemesi del potere, Feltrinelli, Milano, 1957, pp. 381-383). (l)

(2)


va ordinato l'assassinio si trovava l a ; ma l a sua presenza era il prezzo della sua riconciliazione con l a Reichswehr: o bere o affogare. Per i l dr. Klausener, nulla di simile: l a sua memoria è cara a i cattolici berlinesi; gli altri l'hanno dimenticato. Sono cosi numerose le vittime innocenti dell'ingiustizia del regime, che una d i più, una di meno, non conta. Vi era un uomo che poteva e doveva esigere la riabilitazione della memoria di Klausener: era von Papen. Ma egli non ha sentito il rimorso d i continuare a collaborare con Hitler ( o meglio, a servirlo) dopo che il Fuhrer si era macchiato di sangue l e mani. Si credeva che von Papen restasse al ministero, anche dopo il 30 giugno, per ottener soddisfazione del crimine e per difendere gli altri cattolici, quali Probst, Schmidt, Beck e Gerlich, tutti vittime innocenti dei nazisti. Nulla di tutto ciò: Papen, dopo aver intrigato nella Saar, è andato a intrigare in Austria per conto di Hitler (3) e i cattolici assassinati non hanno

sence était le prix de aa réconciliation avec la Reichswehr: ou boire ou étouffer. Pour le dr. Klausener, rien de semblable: sa mémoire est chère aux catholiques berlinois; lea autres l'ont oublié. Elles sont si nombreuses le oictimes innocentes de l'injustice du régime, qu'une de plus, une de moins, cela ne compte pas. Il y avait un homme qui pouvait et devait exiger la réhabilitation de la mémoire de Kiamener: c'était von Papen. Mais il n'a pas éprouvé le remords de continuer à collaborer avec Hitler (ou mieux, de le servir) après que le Fuhrer eut taché de sang sea mains. On croyait que von Papen restait au ministère, meme après le 30 juin, pour obtenir satisfaction du crime et pour défendre les autres catholiques, tels que Probst, Schmidt, Beck et Gerlich, tous victimes innocentes des nazis. Rien de tout cela: Papen, après avoir intrigué dans la Laar, est allé intriguer en Autnche

(3) I n qualità di commissario del Reich per gli affari della Saar, Papen aveva trattato nel 1934 le condizioni in cui si sarebbe attuato il plebiscito (Cfr. le sue Memorie, Cappelli, Rocca San Casciano, 1952, pp. 355-57). Aveva quindi rimpiazzato a Vienna il ministro Reith, compromesso nel fallito putsch del 25 luglio 1934, con la carica di ambasciatore straordinario e la missione di ristabilire relazioni amichevoli tra la Germania e l'Austria.


avuto altra riabilitazione che la legge fatta promulgare in Germania con la firma d i Hindenburg, con la quale le esecuzioni sommarie del 30 giugno e del 1 luglio 1934 sono state riconosciute legittime. Così il povero Klausener (che si voleva far passare per suicida) cade sotto la sanzione legale della legittimità della sua uccisione. Von Papen non protestò, non diede le dimissioni, non andò a rinchiudersi in un eremitaggio, come facevano i grandi colpevoli del medioevo. A Vienna, quando incontra un compatriota, leva i l braccio e grida: Heil Hitler! 3. Noi oggi ricordiamo il buono e devoto cattolico che fu Klausener, anch'egli illuso dai nazisti, come tanti altri cattolici, ma puro' nelle sue intenzioni e nei suoi atti, e forse, prima della sua morte, già persuaso della rovina e del danno che avrebbe recato Hitler al caitolicesimo e alla Germania. Dopo un anno, quel sangue è 1.à;e non solo quello degli Schleicher e dei Klausener, ma di tutti, anche dei nazisti uccisi, anche degli indegni la cui condotta era stata cattiva in ogni senso, ma non giustificava i l loro assassinio. Hitler, dopo il 30 giugno, ha preso i l posto di capo dello pour le compte de Hitler et les catholiques assassinés n'ont eu d'autre réhabilitation que la loi qu'on a fait promulguer en Allemagne avec la signature de Hindenburg et par laquelle les exécutions sommaires du 30 juin et du la juillet 1934 ont été reconnues légitimes. Ainsi meme le pauvre Klausener (qu'on voulait faire passer pour suicidé), tombe sous la sanction légale de la Iégitimité da son meurtre. Von Papen ne protesta pas, ne se démit pas, n'alla pas s'eufermer dans un ermitage, comme faisaient les grands coupables du moyen ige. A Vienne, quand il rencontre un de ses compatnotes, il lève le bras et il crie: a Heil Hitler! n. Nous, aujourd'hui, faisons mémoire du bon et dévoué catholique que fut Klausener, illusioné lui aussi par le nazisme, comme tant d'autres catholiques, mais pur dans ses intentions et dans ses actes, et peut-&e, avant sa mort, déjà persuadé de la mine et du dommage qu'apportait Hitler au catholicisme et à 1'Allemagne. Après un an, ce sang est là; et non seulement celui des Schleicher ct des Klausener, mais de tous, meme des nazis tués, meme des indignes dont la conduite avait été mauvaise dans tous les sens, mais ne justifiait pas leur assassinat. Hitler, après le 30 juin, a pris le poste de chef de l'état; 17Allemagne,


stato; ia Germania, nella sua infatuazione, ha dimenticato quella notte d i sangue, ma in tutti i regimi e i n tutte le epoche « i morti pesano ».La morale non si viola impunemente nè davanti a Dio nè davanti agli uomini. Londra, giugno 1935.

(L'Aube, Paris, 30 giugno 1935). dans son infatuation, a oublié cette nuit de sang, mais, dans tous les régimea et à toutes les époques u les morts pèsent n. La morale ne se viole impunément ni devant Dieu ni devant les hommes.

IL PAPA E LA GUERRA ETIOPICA Al direttore. Nel riportare alcuni periodi del mio articolo C( un problema d i coscienza D, pubblicato su L'Aube del 31 marzo scorso (l), Giustizia e libertà h a soggiunto fra l'altro che il papa « non ha avuto una parola contro la guerra nel ricevimento dato ai granatieri. Ciò è vero, e credo che per parlare contro la guerra non sarebbe stato quello il momento più opportuno nè il pubblico più adatto, trattandosi di personale militare, soggetto ad una disciplina patria, indipendentemente dal fatto che i reggitori della patria siano fascisti o bolscevichi. Però il papa ha recentemente parlato contro la guerra due volte (non ho il tempo di ricercarne le date), in forma solenne avanti ai cardinali, quando accennando al riarmamento ed alle voci di guerra ha finito col citare le forti parole dei salmi: u Dissipa gentes quae bellrc volunt » (2). Cfr. l'articolo n. 39 della presente raccolta. Il u dissipa gentes quae bella volunt n era contenuto nell'allocuzione natalizia di Pio XI del 24 dicembre 1934. DalI'ottobre 1935, in occasione della guerra etiopica, L'Aube fece di questo passo il proprio motto, pubblicandolo quotidianamente i n una u manchetten. (Cfr. F. M A ~ U X , rr L'Aube D. Étude d'un journul d'opinion, cit. p. 118). (l) (2)


Ricordo che diversi giornali (fra i quali certamente 1'Echo de Paris) dissero che il papa intendeva alludere alla Germania. Nessuno ci impedisce di pensare che il papa avesse anche alluso alla probabile guerra italo-abissina. Certo, senza portare un giudizio di fatto sulle responsabilità particolari, egli intendeva condannare coloro che vogliono la guerra; in termini giuridici internazionali, (( l'aggressore ». È del resto nella tradizione della curia dalla caduta del potere temporale in poi, di non pronunziarsi a favore di uno o contro l'altro belligerante, ma di volere la pace fra tutti i popoli e di cooperarvi per quel poco che oggi è possibile. Non per me, ma per coloro che cercano di leggere nelle intenzioni altrui, vale la pena di riportare per intiero il versetto del salmo 67 citato dal papa: (C Disperdi le nazioni che vogliono le guerre. Verranno (allora) ambasciatori dall'Egitto, l'Etiopia stenderà le sue mani a Dio » (trad. Libreria Èditrice Fiorentina, 1929). devotissimo LUIGI STURZO Londra, 23 giugno 1935. (Giustizia e libertà, Paris, 28 giugno 1935).

Giustizia e libertà » faceva seguire alla lettera un commento improntato al più violento anticlericalismo, con aperte e volgari accuse a l papa d i connivenza col regime fascista. Tali accuse venivano ripetute in una lettera pubblicata nello stesso numero, di Magrini. Sturzo rispondeva allora con la seguente lettera : Al Direttore di Giustizia e libertà. Perdoni se le scrivo una seconda volta: ma non posso lasciai passare alcune affermazioni che mi riguardano, senza fare le opportune rettifiche. I1 signor Magrini credo che mi sospetti per un teocratico ( e dire che ho fatto sempre professione di democrazia!!); egli, accennando alla chiesa del medioevo, aggiunge u tanto vagheggiata da Sturzo a. Se per caso egli avesse letto qualcuno dei miei scrit-

'


ti, si sarebbe convinto subito che io non ammetto che l a storia sia reversibile, e che non ho mancato di criticare coloro che sognano ritorni a l passato, sia esso vicino o lontano, sia anche il medioevo. Più grave è l'altro sospetto ch'è venuto in mente al signor Magrini, che io abbia C( dato peso ad una possibile campagna anticlericale a l punto da preferire la guerra dell'Italia con 1'Abissinia. I1 mio articolo C( Un problema di coscienza nel suo complesso sosteneva che una tale guerra, secondo la teoria di san Tommaso, non sarebbe uqa guerra giusta, e giuridicamente violerebbe i patti esistenti. Quindi analizzavo le gravi difficoltà, sotto una dittatura, ad esprimere una opinione contraria alla guerra, sia da parte dei cattolici come cittadini, sia nel parlamento e sia da parte del Vaticano. E facevo rilevare l a differenza fra le condizioni di uno stato sotto dittatura e quelle di uno stato a regime costituzionale; con degli accenni alle condizioni storiche degli stati medievali e delle monarchie assolute. I n sostanza i l mio era uno studio obiettivo fatto sopra un gior--l-

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Se il signor Magrini avesse letto senza preconcetti il mio articolo, non mi avrebbe attaccato come egli ha fatto. P e r di più avrebbe omesso il dilemma polemico e irrealistico, o campagna anticlericale o guerrti abissina n, come se bostasse la prime a impedire la seconda. Un'ultima rettifica a proposito del discorso del card. Ferrari. Don Sturzo non l'ha dimenticato; però ricorda anche l'appello de11'8 maggio 1915 della giunta direttiva dell'azione cattolica (della quale facevo parte come segretario generale), appello in favore dell'intervento dell'Italia. Seppi che tale appello in Vaticano non piacque, mai però la giunta n'ebbe una osservazione o un biasimo. La verità è che i cattolici erano divisi (come tutti gli italiani) in neutralisti e interventisti, e il Vaticano lasciava quella libertà di apprezzamento e d i azione, che oggi noi quali cittadini italiani invano invochiamo per tutti, sia p e r i favorevoli, sia per i contrari alla guerra abissina. Londra, 30 giugno 1935. (Giwtizio e libertà, Paria, 5 luglio 1935).


TEORIE E FATTI I n questo periodo così gravido di avvenimenti internazionali, la lettura del primo volume di Estudios Znternacionales (publicaciones del gmpo espaiiol de la Union de Friburgo) h a suscitato in me un contrasto spirituale e direi quasi un urto psicologico. I patti internazionali non reggono all'urto della realtà ; la Germania denunzia unilateralmente le clausole militari del trattato di Versailles, Ginevra dà un biasimo ma si adatta al fatto compiuto (l), l'Inghilterra si affretta a stipulare un patto navale con la Germania (=).La Polonia aveva dato l'esempio in precedenza, quando dichiarò di non sentirsi obbligata all'osservanza del patto internazionale sulle minoranze (3). Le proteste di Ginevra, blande e di pura convenienza, non ebbero altro seguito. Ora è la volta dell'Italia: essa muovendo in guerra contro 1'Abissinia violerà il patto del I906 (4) con la Francia e 1'Inghilterra di rispettarne l'integrità: violerà il patto del 1928, stipu( l ) I1 9 marzo 1935 Goering aveva pubblicamente annunziato la ricostituzione di una aviazione militare tedesca, ed il 16 marzo Hitler aveva decretato il ristabilimento del servizio militare obbligatorio, con un piano per la formazione di 12 corpi d'armata e 36 divisioni. Nella sessione straordinaria del consiglio della S.d.N., riunitosi il 16-17 aprile 1935, Lava1 aveva presentato a nome dei governi francese, inglese ed italiano (secondo le direttive concordate a Stresa) una risoluzione di condanna della violazione tedesca agli impegni di Versailles. Tale risoluzione prevedeva la nomina di un comitato per studiare misure, in specie di natura economica e finanziaria, da contrapporre ad eventuali nuove violazioni. Era stata approvata all'unanimità. Non erano seguite misure concrete. (a) I1 18 giugno 1935 la Gran Bretagna aveva concluso un accordo navale con la Germania - autorizzando la ncostituzione di una marina tedesca nella misura del 35% del tonnellaggio della marina britannica - in palese contraddizione con l e clausole militari di Versailles, e trascurando le recenti deliberazioni di Londra, Stresa e Ginevra. (3) Riferimenti alla questione delle minoranze polacche sono nei nn. 26 e 43 della presente raccolta. (4) Inghilterra, Francia ed Italia avevano concluso nel 1906 un accordo a tre per l'integrità dell'Etiopia e la delimitazione delle sfere di influenza.


lato con I'Abissinia stessa, di ricorrere all'arbitrato, violerà il patto della S.d.N. e il patto Kellogg (6). E il Giappone? Quale più flagrante violazione dei diritti di uno stato indipendente che quello di occupare parte della Cina e d i continuare con evidenti pretesti, ad annettersi una o l'altra provincia attraverso il prestanome d i Manchiukuo (?? E quante altre violazioni del diritto internazionale potremo citare da dopo la guerra fino ad oggi? Ciò nonostante, lo sforzo scientifico di creare u n diritto internazionale pubblico adatto ai tempi e di £ormare uno spirito-giuridico internazionale, che vi dia la necessaria ambientazione, è quanto di più lodevole possa immaginarsi, e quanto di più necessario per l'awenire della nostra civiltà. * I1 contrasto fra il diritto e la Realpolitik, nel campo internazionale non è stato ancora eliminato, nonostante la formazione della Società delle nazioni e nonostante l'istituzione della Corte di giustizia internazionale dell'Aja. Due le cause: la prima la mancanza di formazione di un'opinione pubblica etico. e;:~r:dics beu f o ~ d a t ei wrzmente valida; sì da marcare un contrasto di convinzione e di coscienza con gli attentati al diritto e alla morale internazionale da parte del governo di uno stato; la seconda la mancanza di sanzioni efficaci. I ca::olici hanno l'obbligo 01 contribuire a rendere meno efficienti queste due cause. Per la prima essi sono i meglio qualificati a farlo, perchè possono basare l'opinione pubblica eticogiuridica sopra il cristianesimo e darvi un valore che nessun altra dottrina e nessun'altra religione potrà mai dare. A questo mir a l'unione di Friburgo, costituita da giuristi e moralisti cattolici di tutte le nazioni con gruppi per ogni singola nazione. I1 contributo dato finora non è stato clamoroso, ma serio e imparziale. Vi è stato un po' d'infezione filo-fascista fra le sue file; speriamo

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(6) R patto Rellogg, firnato a Parigi il 27 agosto 1928, condannava nel primo articolo il ricorso alla guerra per il regolamento delle dispute internazionali, e proclamava la rinunzia ad essa come strumento di politica nazionale; nel secondo artico10 proclamava che il regolamento di controversie tra i firmatari dovesse ottenersi con mezzi pacifici. (6) Cfr. prec. n. 25, nota 5.

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che l'esperienza dell'oggi faccia ricredere quei pochi che si erano entusiasmati del governo autoritario di Roma. I1 volume che h o letto è stato redatto dal gruppo spagnolo ( i l cui segretario è l'illustre professore dell'università d i Oviedo D. Alfredo Mendizabal Villalba) e contiene cinque relazioni e una cronaca dell'attività del gruppo. È interessante leggerlo e anche discuterlo : servirà a far conoscere l'orientamento attuale dei cattolici e a quale termine occorre mirare. (Fra parentesi debbo fare alcune riserve alla relazione di D. Manuel Torres n Catolicos ante la guerra D, ma non è qui il posto di discuterle). A parte ciò il volume spagnolo resta uno dei più notevoli contributi, e la relazione di D. Josè Maria Ruiz Manent « E1 trabajo valor humano », interesserà molto anche coloro che non si occupano direttamente d i problemi internazionali, Occorre che la stampa quotidiana cattolica dia non solo i fatti della vita internazionale ma u n orientamento sicuro, costante e fermo. Perciò non ci sono simpatici quei giornali cattolici, che per giustificare o attenuare la flagrante violazione del diritto e della morale che sarebbe la guerra contro l'Abissinia, parlano di attacchi briganteschi, d i popolazione incivile, di tolleranza verso la schiavitù, di necessità di portare laggiù la civiltà occidentale, come se tutte queste vedute, anche se fossero vere, giustificassero una guerra. Sarebbe affermare in diritto internazionale il principio immorale che i l fine giustifica i mezzi. E vi sono dei cattolici che inconsciamente vi danno la loro acquiescienza ! L'altro mezzo sono le sanzioni: fu un gran torto di molti cattolici mostrarsi ostili alla Società delle nazioni, presentarla come l'anti-Roma, come il covo della massoneria ; e ingrandire ogni sbaglio fatto a Ginevra e denigrarne gli uomini e le iniziative. Fu un torto del191nghilterra attenuare la portata dell'articolo 16 del patto de la S.d.N. (7) con la decisione del 1921 e con la ( l ) L'art. 16 del Covenant disponeva le sanzioni in cui sarebbe incorso lo stato membro che ricorresse alla guerra senza aver prima esperito le procedure dell'arbitrato e del ricorso al consiglio della Lega, owero che non ottemperasse alle decisioni del consiglio stesso. Nel 1921 la Gran Bretagna aveva provocato, in sede di assemblea, una interpretazione autentica dell'articolo in senso restrittivo.

12. - S~nnzo- Miscellanea Londinese

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111.


non applicazione dello stesso articolo ai primi casi presentatisi, nella parte di sanzioni economiche da minacciare sul serio. Fu un torto della Francia nel caso del bombardamento di CorfÚ (3 ordinato da Mussolini contro le leggi internazionali, consentire che la vertenza fosse tolta alla competenza di Ginevra e data al comitato degli ambasciatori. Mussolini avrebbe allora provato sul serio quel che in difesa del diritto offeso potevano e dovevano fare C( i preti di Ginevra 1). Occorre che tutti si mettano in mente che un sistema giuridico non regge senza una sua costante, sincera e piena applicazione; e che nessun sistema giuridico può conciliarsi con la tolleranza delle azioni illegali e immorali. I cattolici debbono rivendicare l'esistenza dell'ordine giuridico basato sulla morale e al d i sopra delle passioni nazionali, delle violenze di partito e delle guerre d i aggressione e di conquista. A questo ordine etico-giuridico internazionale (ordine che comporti sanzioni), i cattolici dovranho contribuire con la saa loro giornali e pienza dei loro giuristi, con la ~ r o p a ~ a n ddei F i n Iz 6d1-ia nell'npera rli hena che soln la fede cristiana può dare ferma ed intiera. Londra, luglio 1935.

(E1 Mati, Barcelona, 11 luglio 1935). Arch. 8 A, 17.

(3 Nel 1923, il generde Teluni ed altri membri italieni di una commissione interalleata per la delimitazione della frontiera greco-albanese, erano stati assassinati mentre attendevano al loro incarico. Mussolini aveva fatto seguire, ad un ultimatum alla Grecia perchĂŠ questa prowedesse alla punizione dei colpevoli, alle scuse ed alle riparazioni, una squadra navale italiana che aveva bombardato ed occupato l'isola di Corfu.


UNDICI MILIONI DI VOTI

I1 voto per la pace ( l ) , organizzato su iniziativa dell'unione per la Società delle nazioni, ha ottenuto in Inghilterra u n successo insperato persino dai suoi promotori più entusiasti. Più di undici milioni di voti su 11.559.165 voti espressi, hanno affermato la volontà di cercare la pace attraverso la Società delle nazioni. Non è stata, come ha scritto il Times (tentando di attenuarne l'importanza) una manifestazione generica del pensiero inglese, che non comporta alcun impegno politico. È stata, al contrario, l'espressione di u n orientamento ben determinato dell'opinione pubblica inglese. E si sa che l'opinione pubblica conta ancora nel Regno Unito. Fra le risposte concrete al referendum per la pace (chiamato in Inghilterra il Peaee Ballot), occorre notare anzitutto quelle date alla domanda : « La fabbricazione privata e il commercio delle armi devono essere proibiti con una convenzione

ONZE MILIONS DE V W S La votaci6 per a la pau, organitzada per la Uni6 pro Societat de nacions, ha obtingut a Anglaterra un èxit que no esperaven àdhuc els seus més entusiastes promotors. Més d'onze milions de vots sobre 11.559.165 votants han afirmat la voluntat de cercar i voler la pau a través de la Societat de nacions. Aquesta votaci6 no ha estat, com deia il Times (intentant desvalorarla) una genèrica manifestaci6 del pensament anglès que no determini cap influència politica; al contrari, ha estat una ben determinada orientaci6 de l'opini6 piihlica britànica. I ja és sabut qne l'opini6 publica encara compta, al Regne Unit. Entre les respostes concretes al referèndum per a la pau - que aci s'ha anomenat peuce ballot - cal notar en primer lloc les que es referien a la pregunta de si les manufactures i e1 comerg privat de les armes ha d'ésser prohibit mitjangant una convenei6 intemacional. Deu milions i mig de

(l)

Cfr. gli articoli nn. 34 e 34 bis della presente raccolata.


internazionale? 1). Dieci milioni e mezzo di votanti hanno risposto: si. È vero che attualmente un accordo internazionale di tal genere appare meno probabile che non cinque o sei anni f a ; è vero che dietro le grandi fabbriche di armi ci sono interessi colossali che i governi borghesi non sono in grado d i affrontare; ma una nuova affermazione della volontà popolare indica come la coscienza comune senta questo grave problema. Le risposte alla quinta e sesta domanda mostrano un mutamento [nell'opinione inglese] di cui bisogna prender nota. Queste domande riguardavano le sanzioni previste nell'articolo 16 del Covenant - sia le sanzioni economiche, sia le sanzioni militari - contro l'aggressore o contro colui che minaccia una guerra. Con 10.027.000 voti, il popolo ha risposto a favore delle sanzioni economiche, e con 6.784.000 voti, in favore anche delle sanzioni militari. Chiunque conosca l a ripugnanza degli inglesi ad intervenire negli affari europei, la propaganda isolazionista dei giornali più diffusi e meglio finanziati, la lontananza del governo e del parli?iiieii;uia! Prezdere impcgui per l'ui;~ezire,ueic=dc lazctl formula: No commitments D, può facilmente immaginare l'effetto di questa adesione così chiara di circa 7 milioni di votanti, su undici milioni e mezzo, alle misure militari che venissero

votants han respost: sì! Es veritat que avui dia sembla menys probable que fa cinc o sis anys un acord d'aquesta mena; és veritat que darrera de les grans fàbriques d'arma hi ha interessos colossals als qual8 els govems anomenats burgesos no estan en condicions de fer front; però una nova afirmaci6 de la voluntat popular indica que la consciència comuna sent aquest greu argument. Les respostes a les preguntes 5 i 6 indiquen un canvi del qual cal prendre nota. Aquestes preguntes es referien a les sancions previstes en I'article 16 del Couenant - ja sigui sancions econòmiques, ja sigui sancions militars - contra I'agressor o contra e1 pais que amenaci amb una guerra. Amb 10.027.000 vots e1 poble ha reapoat a favor de les sancions econòmiques, i amb 6.784.000 vots a favor també de les sancions militars. Qui conegui la repugnància dels anglesos a intervenir en els afers europeus, la propaganda isolacionista de diaris de grandiosa circulacio i ben fbancats, l'hostilitat del govern i del parlament a comprometre's per al futur, pot imaginar fàcilment i'efecte d'aquesta clara adhesi6 de quasi set

.


proposte dalla Società delle nazioni per sbarrare la strada a una guerra. Da ciò si può capire quanto sia diffuso oggi nel popolo inglese il risentimento contro l'Italia che vuole ad ogni costo la guerra contro 1'Abissinia e che respinge l'intemento della Società delle nazioni e i buoni uffici e le proposte pacificatrici e compensatrici dell'hghilterra. Vi sono altre ragioni perché il governo inglese si opponga ad un colpo di mano sul19Abissinia. Esso deve proteggere i suoi interessi nel Sudan e nell'Egitto; non desidera che la questione etiopica divenga un motivo di turbamento nelle altre colonie africane; e inoltre teme che una guerra italo-abissina abbia ripercussioni in Europa. Le guerre sono sempre concatenate. Ma .qu ogni altro motivo predomina oggi nel sentimento pubblico inglese, quello che concerne la Lega delle nazioni. Si teme che Ginevra rifiuti di intervenire a favore della pace e contro l'aggressore, davanti alla minaccia dell'Italia di abbandonare - in vista di un intemento ginevrino - la Società delle nazioni; nel qual caso tale istituzione ne riceverebbe un colpo che potrebbe essere mortale.

milions sobre onze i mig, a les mesures militars que serien proposades per la Societat de nacions, per aturar una guerra. D'aci es pot comprendre al fet que a m i signi dif6s en e1 poble anglès e1 ressentiment contra Itàlia, que v01 de totes passades la guerra amb Abissinia, i que rebutia la intervenci6, els bons oficis i les proposicions pacificadores i compensadores d'Anglaterra. Hi ha altres raons perquè e1 govern anglès s'oposi a una manumissio d'Abissinia, car aquest ha de tutelar els seus interessos al Sudan i a Egipte; e1 govern anglès no desitja que la qiiesti6 abissinia sigui un motiu de pertorbacio a les altres colònies africanes; i, a més, tem que una guerra italoabissinia no tingui repercussions a Europa. Les guerres sempre van en cadena. Però per damunt d'aquests motius, predomina avui en e1 sentiment p o p d a r anglès, e1 de la Societat de nacions. Hom tem que Ginebra no es negui a intervenir a favor de la pau i contra l'agessor, davant de l'amenaca que Itàlia, en vista d'una intervencio ginebrina, abandoni la Societat de nacions, en e1 qual cas aquella instituci6 rebria una ferida que li podna ésser mortal.


Ecco perchè l'Inghilterra invoca l'intervento della Francia p e r persuadere Mussolini a non iniziare la guerra e ad accettare i l metodo pacifico. La Francia non intende perdere l'amicizia dell'Italia fascista che crede di aver guadagnato alla sua causa; così non mostra u n gran desiderio di secondare le proposte britanniche. D'altro lato, se Ginevra fallisce, anche la Francia perde il punto centrale della sua politica. I n questo momento diacile per l'Europa, gli undici milioni d i voti dati in Inghilterra a favore di Ginevra hanno un valore e un significato internazionali e sono estremamente simbolici. I n ogni caso, sia che Ginevra subisca un altro colpo fatale, sia che superi l'attuale crisi, nel disorientamento generale vi è u n forte nucleo di volontà popolari che intendono sostenere una istituzione che, una volta creata, non deve più morire, poichii rappresenta il principio della collaborazione dei popoli sulla base del diritto e con mezzi pacifici, e la difesa del debole contro i l forte. Le debolezze e le mancanze diSGinevra sono anzitutto sbagli dei governi delle grandi potenze e deficienze dell'opinione pub-

Heus aci per què Anglaterra invoca la intervencio de Franga, per convèncer Mussolini de no fer la guerra i acceptar els mètodes pecifics. Franga no pensa perdre I'amistat de la Itàlia feixista, que creu guanyda a la seva pròpia causa, i per això no té cap desig de secundar les proposicions britaniques. D'altra banda, si Ginebra fallés, Franca perdri e1 punt centra1 de sosteniment de la seva politica. En aquest moment dificil que passa Europa, els onze milions de vots a favor de Ginebra, emesos a Anglaterra, tenen un valor i un significat intemacional, i a6n extremadament simbòlics. Tant ai Ginebra rep un altre cop fatal, com si arriba a vèncer la crisi actual, en la genera1 desorientacio d'ara h i ha u n fort nucli de voluntats populars que volen sostenir una institucio que una vegada creada ja no no ha de morir, perquè representa e1 principi de la collaboraci6 dels pobles sobre la base del dret, dels mitjans pacifica, i de la defensa del feble contra e1 fort. La febleses i els mancaments de G i e b r a s6n, primer que tot, culpa del8 governa de les grana potències europees, i deficiències de l'opini6 publica. Per això aprovem e1 Peoee Ballot d'Anglaterra. tQuan tindra Uoc un altre referèndum aixi, als paiisos lliures?


blica europea. È per questo che bisogna approvare il Peace Ballot di Inghilterra. A quando un simile referendum negli altri paesi liberi ? Londra, 13 luglio 1935.

(E1 Mati, Barcelona, 16 luglio 1935).

LA MOBILITAZIONE ITALIANA CONTRO L'ABISSINIA È indubbio che l'opinione pubblica, specialmente in Inghilterra, è decisamente contraria a una guerra dell'Italia contro 1'Abissinia. Anche gli Stati Uniti manifestano la loro opposizione ad una iniziativa bellica, che l'Italia è decisa a prendere nel caso che 1'Abissinia non ceda a pretese che di giorno in giorno si fanno più concrete, tali da essere la manomissione di un popolo che finora aveva conservato la sua libertà. In Francia la stampa si è mostrata più riservata, e per certi aspetti favorevole all'Italia, fino al punto di riconoscere la necessità di lasciare a Mussolini mano libera sull'Abissinia ('), di

LA MOBILITZACIO D'ITALIA CONTRA ABISSfNIA Es indubtable que l'opini6 publica, especialment a ~ n ~ l a t e r r aés, decididament coutràna a una guerra d'Itàlia contra Abissinia. Adhuc els Estats Units manifesten la seva oposici6 a una iniciativa de guerra, que Itàlia està decidida a prendre en e1 cas que Abissinia no cedeixi a unes pretensions que de dia en dia es fan més concretes, tals com la mauumissi6 d'un poble que fins ara havia conservat la seva llibertat. A Franca, la premsa s'ha manifestat més reservada, i en certs aspectw favorable a Itàlia, fins al punt de reconèixer la necessitat de deixar a Mus-

(l) Snll'atteggiamento francese nei confronti della impresa etiopica e dell'Italia c f ~ .seg. n. 70. La formula u mains libres n, usata da Lava1 nei colloqui con Mussolini del gennaio 1935, aveva dato luogo ad un malinteso i cui termini furono chiariti in uno scambio di lettere tra i due statisti (cfr. Opera omnia di B. Mussolini, a cura di Edoardo e Duilio Susmel, La Fenice, Firenze, 1951, vol. XXVII, pp. 285-7).


non implicare la Società delle nazioni in una questione ritenuta senza soluzione. Ora si fa pressione sul Negus perchè ceda; ed a questo stato d'animo è ispirato l'articolo dell'observer (=) di domenica scorsa, che h a sorpreso non poche persone; domandare a una vittima di sacrificarsi perchè l'aggressore non pu& f a r marcia indietro senza perdere la faccia, e perchè 1'Inghilterra non può compromettersi. a Ginevra, è mancare completamente di ogni senso di giustizia e di moralità.

Ma le manifestazioni dell'opinione pubblica - anche se sviata, come quella dell'observer - sono sempre rispettabili; quello che invece dà molto da pensare è la propaganda che cerca di alterare i fatti e consegue mire particolari, specialmente quando dietro di essa vi sono potenze occulte. Molti credono che in Italia la massoneria sia stata distrutta dall'offensiva di Mussolini del 1925, quando furono chiuse le

solini les mans lliures a Abissinia, i de no complicar la Societat de nacions en una qiiesti6 que es creu que no té soluci6. Ara es fa pressi6 al Negus, per tal que cedeixi; i en aquest sentit està inspirat l'article de i'observer de diumenge passat, que ha sorprès no poques persones; demanar a la victima que se sacrifiqui perquè l'agressor no pot retrocedir seme fer mal paper, i perquè Anglaterra no pot comprometre's a fons a Ginebra, és un prec mancat de tot sentit de justicia i de moralitat.

Però les manifestaciom de l'opini6 pfiblica - àdhuc desviada, com la de 1'0bserver - sempre s6n respectablea; aliò que, en canvi, fa pensar molt, és la propaganda que intenta alterar ele fets i té mirea particulars, especialment quan darrera la propaganda hi ha potències ocultes. Molts creuen que a Itàlia la hancmaconeria fou destruida, en l'ofensiva de Mussolini del 1925, en què foren clausurades les Iògies i e1 Gran Mestre fou

(a) Observer, 15 luglio 1935.


logge, il gran maestro venne esiliato nell'isola di Ustica (3), e si permise infine che taluni capi massoni venissero assassinati, come accadde a Firenze. Da allora, silenzio; nessuno si occupò della massoneria in Italia. Non apparve la notizia che i l gran maestro della massoneria dissidente, Raul Palermi (4), era andato in America a negoziare con i tedeschi locali nell'interesse del governo fascista, e che uno dei capi più autorizzati della massoneria ufficiale italiana, l'on. Beneduce, andava pure in America, a trattare prestiti, per divenire poi il direttore delle finanze statali e delle imprese economiche del fascismo. Cosa vediamo adesso? I1 pontefice della massoneria belga,

exiliat a I'illa d'ustica, i finaiment es permeté que certs caps francmacons fossin assassinats, com ocorregué a Florència. Després d'això, silenci; ning6 no s'ocupà de la francmaconena a Itàlia. Només aparegueé la noticia que e1 Gran Mestre de la francmaconeria dissident, Raul Palermi, anà a Amèrica a negociar amb els Germans d'allà en interès del govern feixista, i que un dels caps més autoritzats de la francmaconena oficial italiana, l'hon. Beneduce, anava també a Amèrica, a contractar emprèstits, per passar després a ésser e1 director de les finances estatals i de les empreses econòmiques del feixisme. Què veiem, ara? E1 pontifex de la francmaponeria belga, M. Charles

(3) Si tratta di Domizio Torrigiani, gran maestro della massoneria di palazzo Giustiniani. Sui rapporti tra massoneria e fascismo. cfr. MARIA RYGIER,La franc-mqonnerie italiénne dwant la guerre et devant le fascisme, Pans, 1929; M. MISSIROLI,Studi su1 fascismo, Bologna, 1934, pp. 91-129. Cfr. anche A. TASCA,Nascita e avvento del fascismo, Bari, 1965, vol. 11, pp. 435-437 e 504-507. (4) Raul Palermi era il « commendatore n della a massoneria di rito scozzese antico ed accettato n. I1 suo nome era stato fatto in Francia al. l'epoca dell'affare Caillaux. Fu molto vicino a Mussolini nei giorni della marcia su Roma. Narra Cesare Rossi che il Palermi il 25 ottobre 1922 assicurò Mussolini che « ufficiali del comando della regia guardia, alcuni comandanti di reparto della guarnigione di Roma ed il gen. Cittadini, aiutante in campo del re - tutta gente della massoneria - lo avrebbero aiutato n. Aggiunge il Rossi che Raul Palermi a nei giorni 28 e 29 ottobre fece la spola tra il Viminale e il Quirinale n (G. ROSSI, Mussolini com'era, Roma, 1947, p. 183).


Charles Magnette, pubblica su L'lndependence Beige u n articolo a favore della penetrazione italiana i n Abissinia, e critica il Negus per essersi opposto alla mobilitazione, per C velleità di indipendenza D. A questo articolo si riferisce il corrispondente a Milano dell'dube, di Parigi, (13 luglio), il quale pone in rilievo che una settimana dopo l'articolo di Charles Magnette, un antifascista che vive a Bruxelles, anch'egli gran maestro della massoneria, il prof. Arturo Labriola (5), pur essendo un rifugiato politico, h a scritto u n articolo a favore della prossima guerra africana dell'Italia. I1 prof. Labriola, attaccato dagli antifascisti di Parigi, si è giustificato dicendo che egli fu anche favorevole alla guerra di Libia (1911) (=), quando Mussolini, al contrario di adesso, eccitava le masse operaie a distruggere le

Magnette, publica en L'lndependance Belge un article a favor de la penetraci6 d'Itàlia a Abissinia, i critica e1 Negus per haver-se opsat a la mobilitzacio, per a vellei'tats d'independència ».A aquest article es refereix e1 corresponsal de L'Aube, de Paris, a Milà (13 de juliol); e1 qual posa de relieu que una seiuiaria Ùespr& Ùt: l'aii;c:e ilr. C h a i k ~ ?.Lipetti, , -asiì:ifririi:u que viu a Bmselles, que també és Gran Mestre de la francmaconena, e1 prof. Arturo Labriola, tot i ésser un refugiat politic, escrivi un article a favor de la pròxima guerra africana d'Itàlia. E1 prof. Labriola, atacat pels antifeixistes de Paris, s'ha justificat dient que ell també fou favorable a la guerra de Libia (1911), quam Mussolini, al revés d'ara, excitava I a massa obreres a destruir les linies ferroviàries, per evitar que poguessin circular els

(5) Arturo Labriola (1873-1959), napoletano, uomo politico e studioso di storia e di dottrina economica. Socialista soreliano della corrente sinda. calista, era passato al riformismo in epoca giolittiana, ed era divenuto, nel 1921, primo titolare del ministero del lavoro e della previdenza sociale istituito da Nitti. Fiero avversario del fascismo, aventiniano, era emigrato nel 1926 in Francia, stabilendosi poi in Belgio, dove insegnò per nove anni all'lmtitut des Hautes Etudes di Bruxelles. Al tempo del conflitto italoetiopico suscitò una certa sensazione la notizia che i l Labriola aveva manifestato, in una lettera al nostro ambasciatore a Bruxelles, la sua piena solidarietà all'azione, al di sopra delle proprie preferenze politiche. Una richiesta per essere riammesso i n Italia, di quest'epoca, fu accolta da Mussolini nel 1938. Nuovamente attivo nella vita politica italiana dopo la caduta del fascismo. (6) A. Lhsaion, L a guerra di Tripoli e l'opinione socialista, Napoli, 1912.


linee ferroviarie, per evitare che potessero circolare i convogli militari. Labriola è sincero nei suoi sentimenti, ma è un massone convinto, e a nome della massoneria lanciò una volta una circolare antifascista. Non c'è quindi da meravigliarsi che i suoi fervori bellici siano anche fervori massonici.

La propaganda massonica continua in altri continenti. Secondo lo stesso corrispondente, un certo Chekib Arslan, ex-membro dei giovani turchi, e uno dei capi della massoneria mussulmana, che è a Ginevra a capo del co.mitato permanente islamico, è stato i n questo periodo varie volte a Milano e a Roma, e in contatto con i politici italiani. I1 direttore d i EL Youm, u n periodico arabo palestinese, h a pubblicato una lettera di Chekib Arslan, diretta a l gran mufti di Gerusalemme, nella quale ricorda l a conversazione avuta con i l barone Aloisi, rappresentante dell'Italia a Ginevra. Egli afferma di essere autorizzato a dichiarare che se l'Italia vince l'Etiopia, i maomettani avranno il predominio; pertanto insiste presso il gran mufti perchè l a stampa mussulmana sia favorevole all'impresa degli italiani.

combois militars. Labriola és sincer en els seus sentiments, però és un francmaq6 convencut, i a nom de la francmaconeria llanqà una vegada una circular antifeixista. No hen de meraveliar-nos, doncs, que els seus fervors bèllics siguin també fervors francmacònics.

La propaganda francmacònica continua en d'altres continents. Segons e1 mateix corresponsal, un cert Cbekib Arslan, ex-membre de les joventuts turques, i un dels caps de la francmaconeria musulmana, que es troba a Ginebra al cap del comitè permanent islàmic, ha estat aquesta temporada moltes vegades a Milà i a Roma, i en contacte arnb els politics italians. E1 director d'E1 Youm, un periodista àrab de Palestina, ha publicat una carta de Chekib Arslan, dirigida al Gran Muphti de Jerusalem, en la qual recorda la conversaci6 que tingué amb e1 bar6 Aloisi, representant d'Itàlia a Ginebra. Afirma que està autoritzat per declarar que si Itàlia vene& Etiòpia, dominarien els mahometans; per això e11 insisti prop del Gran Muphti que procurés que la premsa musulmana afavoris I'empresa dels italians.


u Arditi di Cremona: fate oggi che per le strade della fascistissima Cremona risuoni quella canzone della nostra guerra, che è divenuta canzone dell'Italia; quella canzone che cantano oggi allegramente le camice nere italiane in navigazione verso l'Africa orientale: la canzone di colui che h a consacrato l'Italia a Dio, e ogni battaglia del quale è stata coronata dal più alto trionfo. Arditi: alzate in alto la vostra bandiera; fissate gli occhi nella più grande visione della nuova Italia e della sua infallibile vittoria. Oh, è meglio, molto meglio, vivere un giorno, u n giorno solo, da leone, piuttosto che cento anni da pecora (da I l regime fascista, 2 luglio 1935). Questo frammento di discorso è stato pronunciato dal padre Elia Baratona. I giornali fascisti pubblicano spesso altri discorsi di medesima intonazione pronunciati da cappellani militari e da ecclesiastici di varia categoria. Se siano o no esatti i frammenti riprodotti, nessuno lo può provare; ma come propaganda servono molto bene il fascismo italiano. Non è possibile, agli imprudenti oratori, rettificare le informazioni giornalistiche che non corrispondano a verità -

u Arditi de Cremona: avui pels carrers de la feixistissima Cremona, féu que ressoni aquella canc6 de la nostra guerra, que ha esdevingut causo de la Italia; aquella c a n ~ 6que canten avui alegrement els camises negres d'Itàlia navegant cap a l'Africa oriental: la canc6 d'aquell que ha consagrat Italia a Déu, i cada batalla del qual ha estat coronada pel més alt triomf. Arditi: alceu enlaire la vostra bandera; fixeu els ulls en la més gran visi6 de la nova Itàlia i de la seva infallible victòria. 0, és millor, molt millor, viure un dia, només un dia, com un lleP, que cent anys com una ove!Ja a. (D' Il regime fasckta, del 2 de juliol del 1935). Aquest fragment de discurs fou pronunciat per P. Elia Baratona. Els diaris feixistes publiquen sovint altres discursos de la mateixa vibraci6 pronunciats per capellans militars i per eclesiàsties de diversa categoria. Si s6n o no exactes els fragments que reprodueixen, no ho podem comprovar; però com a propaganda, serveixen molt bé al feixisme italià. Mai els és possible, als imprudents oradors, de rettificar les informacions


se veramente non vi corrispondono - poichè tutti i giornali italiani sono sotto controuo. Così la propaganda va facendosi ogni volta più forte, e lascia perplessi anche coloro che non approvano l'avventura africana. Se Mussolini può ottenere i vantaggi che spera in Abissinia, senza una guerra, certamente egli sarà il primo a rallegrarsene, e con lui gli italiani. Ma dal punto di vista della moralità internazionale e del rispetto dell'indipendenza e dell'integrità di uno stato, quanti passi indietro, dalla creazione della Società delle nazioni ad oggi! Londra, 16 luglio 1935.

(E1 Mati, Barcelona, 21 luglio 1935).

periodistiques que no corresponen a la veritat - si veritablement no hi corresponen - perquè tots els diaris italians estan sota control. Aixi, la propaganda va fent-se cada vegada més forta, i fa quedar perplexos àdhuc aquells que no aproven l'aventura africana. Si Mussolini pot obtenir els avantatges que e11 espera a Abissinia, sense una guerra, certament e11 seri e1 primer a alegrar-se'n, i els italians amb ell. Però del punt de vista do la moralitat intemacional i del respecte a la independència i a la integritat d'un estat, quantes passes endarrera, de la creaci6 de la Societat de nacions encà!

OBERAMMERGAU

...

L'agenzia Havas del 31 luglio dava, da Vienna, la notizia che la Passione di Nostro Signore, rappresentata da tre secoli a Oberammergau ( l ) , sarebbe stata rimpiazzata con un dramma antisemita dal titolo a Il raccolto D, avente per tema la seduzione

(l) Ad Oberammergau, cittadina della Baviera, veniva rappresentata, dal 1634, ogni dieci anni, una celebre Passione medievale, interpretata dagli abitanti del luogo.


di una giovinetta ariana-germanica da parte di un giudeo. I1 ruolo principale verrebbe eseguito da Alois Lang, che interpreta da parecchi anni il molo del Cristo. La stessa Havas del 1 agosto dava, da Berlino, che la Passione non è stata soppressa e sarà rappresentata nel 1944; nel frattempo gli attori di Oberammergau eseguiranno dei drammi di carattere a religioso D. Intanto nel presente anno, sarà eseguito proprio il dramma suddetto della seduzione della giovinetta ariana ad opera di u n giudeo e il ruolo del giudeo seduttore sarà tenuto da Alois Lang. Perchè questa notizia, d'origine bavarese, sia pure rettificata da Berlino, fa un'impressione assai dolorosa e u choquante (come dicono i francesi) a ogni cristiano che ha assistito a quella (C Passione » o che semplicemente ha letto i resoconti dei giornali, i libri e i fascicoli d i quell'indimenticabile spettacolo? Infatti, si è sempre andato a Oberammergau come ad un pellegrinaggio; si è sempre assistito alla rappresentazione come ad una funzione liturgica; e spesso si ritornava a casa come dopo -------l:-- uu r:i u r v: mpirrruu!e. : : T1 arPmma -.., , , , n m a i n,-,,,uua prliulUa u P -u r s

uruuLuu

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giato sulla teatralità; gli attori non sono stati presi dalla mondanità del palcoscenico e del ruolo. Nella coscienza tradizionale d i quel villaggio bavarese c'è stato sempre ch'essi si preparavano all'avueninento nella Eoirtà della vita, nella penetrazione del soggetto pio e commovente e perfino nella meditazione e preghiera. E d eccoli, d'un subito, gli attori che per anni ed anni si formavano la coscienza di dovere imitare Gesù, Maria, la Maddalena penitente, Giovanni, Pietro, Giuseppe d'Arimatea; e pur facendo da Pilato o da Caifa o da crocifissori non cessavano d'essere in un ambiente mistico, nel quale si vive dello spirito di Cristo e non di quello dei suoi giudici; eccoli, d'un subito, disintegrati da questa seconda e, direi, sacra personalità, per divenire attori come tutti gli altri, buoni a rappresentare non importa qual personaggio, a immedesimarsi in tutti i ruoli e scendere fino alla propaganda antisemita e alla cortigianeria verso il regime nazista. Per l'opinione pubblica formata attorno Oberammergau, per la psicologia mistica del villaggio fortunato, degli attori e del-


l'udienza, che nella quasi totalità partecipava con fede al sacro Mistero, questa è reputata una profanazione. I1 nazismo, come acido corrosivo, dissolve e disintegra quel che tocca. La sua è bava awelenata di serpente, che contamina e uccide. Berlino può affermare che nel 1944 si darà la Passione a Oberammergau: ci sono nove anni ancora. Due ipotesi per il 1944: i nazi saranno ancora padroni della Germania e come oggi antisemiti e anticristiani; i n questo caso dubitiamo che l a Passione vi sarà data e che il pubblico estero vi sia attratto: l a Passione (se data) non potrebbe significare che la persecuzione e l a lotta: haec est hora vostra et potestas tenebrarum. Ma se, come si spera, il nazismo sarà caduto, allora la Passione data a Oberammergau sarà la riaffermazione più significativa della ripresa del cristianesimo in Germania, come il segno di una nuova era. Londra, agosto 1935.

(L'Aube, 15 agosto 1935). Arch. 7 A, 20

MORALITA' E SUCCESSO IN POLITICA Pierre Mille, in un articolo pubblicato giorni fa sul Petit Moralité des hommes Marseillais, esaminava il caso della d'ètat D. E parlando di Talleyrand, venale e traditore dei suoi padroni (Dio prima e poi Napoleone) però abilissimo e senza scrupoli, notava ch'egli ebbe il merito, al congresso di Vienna, di far mettere la Francia a pari delle grandi potenze, la vinta insieme ai vincitori, e tutelarne gli interessi. Voilà - esclama Pierre Mille - ce qu'accomplit cet homme sans moralité D. E continua a mettere in vista l a mancanza di scmpoli, la sete d'oro dei cardinali Richelieu e Mazarino, che governarono l a Francia con il clamoroso successo che tutti sanno. Pierre Mille si arresta sulla china verso cui portava l a strana impostazione del tema, e, per finire, cita uomini corretti e one-


sti, quali Jules Ferry ( l ) e Delcassé (3, ch'ebbero i l gran merito, il primo d i saper guadagnare per la Francia i l Tonkino e l a Tunisia, il secondo quello di preparare 1'Entente Cordiale con la Inghilterra, che assicurò alla Francia l a vittoria sulla Germania nella guerra mondiale. L'idea di Pierre Mille potrebbe così esprimersi: a che i politici siano abili, poco importa se sono immorali ». I1 tema, così esposto, può dare motivo a due osservazioni interessanti. La prima, che sotto i regimi assoluti (oggi si dice dittatoriali) il controllo della moralità dei capi, ministri, uomini di stato, è meno possibile e meno efficace, che in regime parlamentare. Solo l'opinione pubblica, per mezzo delle libertà civili, esercita un'influenza attiva. Il popolo tiene alla moralità politica più che non ci tengano le oligarchie chiuse, le corti dei principi e i clan delle dittature. Seconda osservazione, che i ministri, i dittatori, i capi politici venali, e immorali, anche se abili, tendono sempre ad assimilare la causa del paese o del regimi con quella propria personale, e ciò basta ad alterare in loro l a visione del benessere pubblico. Napoleone credette servire la Francia, facendo le guerre di Spagna e di Russia; egli serviva solo il suo prestigio personale e l a sua sete di dominio, e danneggiò sè e la Francia. T a l l e ~ r a n dche profittava di tutto e di tutti, non ebbe mai altra cura che servire sè stesso. Con dire così, non si nega che tante volte possano coincidere ( l ) Jules Ferry (18'32-1893), statista francese, radicale, oppositore di Napoleone 111, f u una delle figure dominanti della I11 Repubblica. Antiprussiano, cercò di evitare dapprima la dichiarazione d i guerra, ed in seguito l'evacuazione di Parigi di fronte alla Comune (1871). Ministro dell'istruzione, pose le basi della scuola laica in Francia. Presidente del consiglio nel 1880 si adoperò per limitare l'influenza degli ordini religiosi nella vita pubblica. Promosse l'espansione coIoniale francese, ed a lui si deve l'occupazione di Tunisi nel 1882, che inasprì i rapporti franco-italiani. Oppositore del bou. langismo, f u eletto nel 1891 presidcnte del senzto. (3 Théophile Delcassé (1858-1923), uomo politico francese, ministro degli esteri dal 1898 al 1905, favorì il riavvicinamento francese con l'Inghilterra e la Russia in funzione antitedesca. A lui si devono anche le intese con l'Italia del 1900 e 1902 (accordi Prinetti-Barrère). Ministro della marina dal 1911 al 1913 e di nuovo degli esteri dal 1914 al 1915.


il vantaggio personale e quello del proprio paese. Ma in tal caso, c'è sempre da domandarsi se i l vantaggio che ne ricava lo stato o l a nazione non sia comprato a prezzo di un'ingiustizia, d i una sopraffazione o di altri mezzi immorali. Questa domanda per molti sarà senza significato. I1 successo nell'interesse della nazione è spesso voluto e applaudito, senza badare ai mezzi con i quali è stato procurato. Perciò vi sono di quelli che reputano più opportuno che un paese sia governato da dittatori e ministri abili o senza scrupoli, in regni autoritari, perchè da un lato costoro potranno ottenere dei successi con qualsiasi mezzo, e dall'altro lato essi non avranno l'obbligo di renderne conto ai cittadini, i quali credono di non avere alcuna responsabilità morale dei mezzi che impiegano i loro dominatori. Tali cittadini fanno la figura di quella pia abadessa che cercava sempre, per gli affari del suo convento, un procuratore abilissimo, in tutti i sensi, dal quale non voleva mai sapere altro che l'esito degli affari; essa non s'intendeva delle cose di questo mondo (ch'è tanto cattivo), nè sapeva di leggi; perciò nutriva nei confronti del suo procuratore una fiducia ... intieramente cieca ! I1 successo abbacina gli occhi e non fa vedere quel che si nasconde dietro di esso. Hitler ha detto nel discorso di Rosembein, tenuto ai primi d i agosto, cc a quelli che credono d i avere preso in appalto essi soli l a benedizione del cielo (cioè ai preti) che i l movimento nazional-socialista è divenuto il movimento della Germania, h a conquistato la nazione tedesca e forgia il Reich. Sarebbe stato questo possibile senza l a benedizione dell'onnipotente? D. Ecco che Dio è chiamato, così, a sanzionare il successo. Se questo nasce dalle cattive azioni, se ha come fattori l a violenza, le uccisioni, i campi di concentramento, le persecuzioni a i giudei, la violazione della personalità umana, la lotta contro il cristianesimo, l a deificazione della razza, niente paura: c'è il successo? dunque c'è la benedizione dell'onnipotente! I1 cristianesimo ci ha dato ben altra coscienza dei valori temporali e di quelli spirituali. Esso c'insegna a temere Dio e a 0sservare la sua legge; Gesù Cristo comanda di cercare prima il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte le altre cose, cioè quel

13.

- S~un2.o-

Miacelhnea Londinese

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111.


che serve alla vita terrena, ci sarà dato per soprappiù. Quel che si dice per ciascuno di noi personalmente, vale per l a collettività,. per la famiglia, la classe, la città, la nazione, lo stato, la società degli stati. Bisogna tener ferme due sentenze: non sunt facienda n a i a ut euenient bona; l'altra che i l fine non giustifica i mezzi, ch'è il contrario di quel che si suole affermare. Non ci sono due moralità: una individuale e l'altra collettiva; non ci sono azioni che sfuggono alla sanzione della legge morale; la politica non è fuori della cerchia dell'etica. Ogni atto politico si riduce ad atto individuale con la sua propria responsabilità. La morale è legge generale e imperiosa per la coscienza di ciascuno e per quella di tutti, presi insieme. Londra, 28 agosto 1935.

(E1 Mati, Barcelona, 4 settembre 1935). Arch. 12 A, 17.

VERSO UN NUOVO ORIENTAMENTO DELLA POLITICA INGLESE L'esperienza in corso del conflitto italo-abissino (l), l'utile risorsa che per il gabinetto britannico è stato l'appoggio di Ginevra, la stessa oscillazione della Francia, dibattuta £ra l a vecchia amicizia inglese e l a nuovissima dell'Italia fascista, han prodotto (l) Fallito il tentativo britannico di tacitare l'Italia con concessioni territoriali ed economiche nella regione etiopica (missione di Eden a Roma, 2425 giugno 1935), e respinta la proposta franco-inglese di &dare all'Italia lo sviluppo economico dell'Etiopia (Parigi, 16-18 agosto), nel settembre 1935 Ia controversia italo-abissina era tornata davanti al consiglio della S.d.N.; e la delegazione britannica, sensibile al vasto movimento di opinione che irr Inghilterra osteggiava la condotta italiana nella controversia e favoriva la politica ginevrina della sicurezza collettiva, si dimostrava ora disposta a portare a fondo la questione nell'ambito della Lega. Lava1 aveva cercato di evitare che la controversia fosse sottoposta al consiglio societario, ed aveva promosso una soluzione consensuale, favorevole alle ambizioni italiane, assumendo una posizione di mediazione tra Gran Bretagna ed Italia.


sugli uomini politici inglesi uno shock; lo shock della novità insospettata e della rivelazione improwisa. Fin oggi due erano i dogmi della politica inglese nei rapporti con il continente europeo: Locarno e non più in là di Locarno ('), come obbligazione preventiva di sicurezza; la Società delle nazioni come un mezzo di cooperazione e uno strumento di consultazione, senza arrivare alle sanzioni Fu l'Inghilterra che fece attenuare il carattere delle sanzioni dell'art. 16 con l'interpretazione autentica dell'assemblea del 1921; fu l'Inghilterra che fece cadere il protocollo di Ginevra nel 1924 (3). In genere, l'Inghilterra si è sempre opposta ad assumere impegni preventivi per ipotetici conflitti; e pur sempre protestando la sua fedeltà al Covenant e il suo appoggio per il rispetto dell'ordine europeo, h a voluto riservarsi ogni decisione ulteriore per avere in sostanza le mani libere. I1 caso più evidente è stato quello dell'Austria. Per due anni la Francia ha premuto perchè l'Inghilterra si pronunciasse i n materia; per due anni l'Inghilterra, pur associandosi alle dichiarazioni di rispetto dell'indipendenza austriaca (*), si è rifiutata di assumere alcun impegno e di dichiarare fino a qual punto essa sarebbe disposta a sostenere l'Austria. Sorto il conflitto italo-abissino, vista la volontà del governo fascista di promuovere guerra al Negus e di occupare le sue terre, l'opinione britannica si è sollevata contro e un po' tardivamente si è decisa a impedire una così grave sopraffazione e a ostacolare la guerra con tutti i mezzi. L'Inghilterra avrebbe di già indotto l'Italia fascista con le buone o con le cattive, a cessare ogni provocazione e ad accettare un buon compromesso, se il governo francese presieduto da

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(a) . . Negli accordi di Locarno (16 ottobre 1925), la Gran Bretagna aveva assunto, insieme a1171talia,la garanzia delle frontiere francese e belga con la Germania, quali definite nel trattato di Versailles. (3) Cfr. n. 44 bis, nota. (4) La dichiarazione anglo-franco-italiana del 17 febbraio 1934 (testo in nota al n. 6 ) era stata rinnovata il 27 settembre di quell'anno negli stessi termini vaghi. Una nuova formula di garanzia dell'Europa centrale, ed in particolare del17Austria, era poi sorta dalle conversazioni Laval-Mussolini all'inizio del 1935 (cfr. n. 42).


Lava1 non avesse fatto delle larghe promesse a Mussolini ('). Lava1 aveva il suo gioco; da un lato assicurarsi ad ogni costo l'amicizia dell'Italia fascista, acquistata di recente; e dall'altro lato ripresentare all'Inghilterra il problema della politica del centroEuropa, per quando la Germania vorrà realizzare il suo sogno di unione con l'Austria. L'Inghilterra non vuole impegni; odia i commitments; ma cosi continuando essa, al momento opportuno, manca della chance di riuscire, perchè non h a più in mano tutti i fili della situazione politica; allora per riuscire dovrebbe ricorrere alle armi, il che è la peggiore delle politiche. Oggi, con l'attuale intrico internazionale, il dilemma è « o impegni preventivi o guerra n. Chi vuole evitare la guerra bisogna che prenda impegni preventivi. I1 governo inglese sta considerando quali assicurazioni dare alla Francia per l'eventualità di un intervento palese o mascherato della Germania negli affari dell'Austria; per così avere la Francia unita con essa nel caso di sanzioni che Ginevra dovrebbe decretare contro l'Italia. Se Inghilterra e Francia con l'approvazione e l'appoggio di tutti gli stati membri della S.d.N., decideranno di applicare le sanzioni contro l'Italia, Mussolini non farà la guerra; così come se Inghilterra e Francia s'intenderanno circa l'indipendenza dell'Austria, la Germania non tenterà affatto una qualsiasi manomissione dell'Austria. Se simile politica veniva chiarita a Stresa, e se nel maggio scorso Inghilterra e Francia d'accordo domandavano all'Italia di sospendere l'invio di truppe e di munizioni in Africa orientale, il pericolo che vi è di una guerra abissina con tutte le sue ripercussioni in Europa, non sarebbe oggi nè cosi grave nè così imminente. Una lettera, pubblicata dal Times l'altro ieri 17 settembre, è i n proposito assai significativa e degna di ogni considerazione. La lettera è firmata da tutti i responsabili del recente libro dal titolo C: The Next Five Years », tra i quali i più noti in Europa Norman Angell, Arnold Forster, Walter Layton, Artur Salter, Allan Young ecc. La conclusione è la seguente: « La migliore

-(5)

Cfr. n. 57 (nota l) e n. 70.


speranza nella presente situazione viene dalle dichiarazioni del ministro degli esteri: la più grave difficoltà sorge dal fatto che nessuna inequivocabile dichiarazione fosse stata fatta più a tempo. Può essere che la presente situazione si svolga sulla questione se altri paesi, quale la Francia ( l a cui effettiva collaborazione è ora essenziale) potranno contare che una simile politica (quella definita da S. Hoare a Ginevra) sarà proseguita dalla Gran Bretagna nel caso che una futura minaccia alla pace sorga da qualsiasi altra parte D. I firmatari della lettera sostengono giustamente che prima che la crisi sorga, si debba conoscere quale sarà la politica della Gran Bretagna e quali impegni essa potr,à prendere al momento opportuno, d'accordo con la Lega e nello spirito di pace che anima la Lega. I n sostanza, perchè solo Locarno? perchè no anche un impegno per l'Austria? Ora è i l momento che a Ginevra e in occasione del conflitto italo-abissino il governo inglese assuma la parte di responsabilità per l'avvenire dell'Europa. Londra, 19 settembre 1935.

(E1 Mati, Barcelona, 24 settembre 1935). Arch. 8 A, 12.

« UNE MYSTIQUE NATIONALE È questo il titolo di un articolo che lo storico e accademico

Louis Madelin ( l ) h a pubblicato sul19Echo de Paris di ieri 4 settembre. Egli esalta « le soufle patriotique qui court à travers 1'Italie n. Egli fa un paragone (non certo da storico) fra l'Italia di dopo Adua e quella di oggi, sia nei riguardi dello spirito pubblico che dei due governi, quello del 1896 e quello del 1935. Tutto ciò non mi avrebbe interessato che assai poco. Quel che però ha toccato il mio sentimento storico e pratico è il (l)

Cfr. nota 1 dell'articolo n. 37 della presente raccolta.


salto che egli fa. dal 1896 al 1935; un silenzio assoluto anzitutto sull'impresa libica, la quale non fu certo una grande impresa, ma fu voluta ed eseguita dai governi democratici-liberali, (dei quali l'eminente storico ha tanto disprezzo) ed ottenuta con non spregevoli successi militari e con avvedutezza politica. Si può dissentire sia sul vantaggio dell'impresa sia sul modo di condurla, ma non si può disconoscere il fatto. Ma come non dover rimproverare a Louis Madelin il silenzio completo sulla partecipazione dell'Italia alla guerra mondiale? La Francia intiera non può non sentire verso l'Italia democratica del 1914-18 tutta la sua gratitudine per avere concorso a salvarla nel pericolo prima con la sua denunzia del trattato della Triplice alleanza e la benevola neutralità, poi con l'intervento in guerra contro l'Austria e infine contro la Germania. Se sforzo nazionale senza vanterie, se sacrificio in tutti i sensi fu fatto dall'Italia agli ideali di giustizia e di pace europea, se generosità di propositi e di azione, se prova di carattere, fu proprio quella. Perchè Louis Madelin, storico e francese, oggi non se ne ricorda più? Londra, 5 settembre 1935.

(L'Aube, Paris, 28 settembre 1935). Arch. 8 A, 10.

UN GESTO SIGNIFICATIVO

I lettori di questo giornale avranno appreso l'importante notizia data il 26 settembre da Ginevra, che una delegazione inglese ha presentato al primo ministro francese, mr. Laval, una lettera con la firma di 47 fra i più importanti uomini politici e donne rappresentative con una lunga serie di qualifiche religiose, politiche, organizzative di ogni colore. Fra i cattolici noto l'ex-ambasciatore a Washington lord Howard of Penrith e Jowke segretario del consiglio cattolico per le relazioni internazionali. Purtroppo nessuno fra gli ecclesiastici firmatari è cattolico.

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Costoro riaffermano chiaramente il nuovo orientamento in-

' glese nella politica internazionale, arrivando a dichiarare espli-

citamente, che cc non solo questo collettivo principio ( d i resistenza ad ogni atto di aggressione) si deve applicare ad arrestare l'invasione di un debole stato africano, ma esso deve egualmente essere applicato allo scopo di prevenire o reprimere un'aggressione i n ogni altra parte del mondo. Questa è la determinazione - noi ben lo sappiamo - della grandissima maggioranza del popolo britannico D. Essi finiscono con il dire che è un grande pregiudizio alla causa della pace rappresentare l'opinione britannica come pronta a tollerare l'aggressione in Europa. I giornali che dicono ciò non rappresentano che una frazione trascurabile del nostro popolo, che sarà ancora più trascurabile nelle prossime settimane. Questa è la verità, che i francesi di destra non vogliono intendere perchè non la comprendono. Se un gmppo di uomini qualificati della Francia avesse fatto simile gesto, presentandosi al primo ministro inglese, a quest'ora avremmo letto sui giornali detti nazionali gridi frenetici contro i traditori della patria, contro coloro che vogliono fare una politica passando sulla testa degli uomini responsabili del governo, mettendo in scacco il Quai d'0rsay e compromettendone le linee diplomatiche. Se simile gesto fosse stato fatto in Italia o in Germania sotto gli attuali governi dittatoriali, il meno che sarebbe accaduto ai malcapitati firmatari sarebbe stato una deportazione nelle isole o nei campi di concentramento, ovvero un processo per tradimento degli interessi della patria. Qui niente di tutto questo: i grandi giornali riproducono la lettera e i nomi e le qualifiche dei quarantasette personaggi (di molti dei quali vorrei dare un cenno per farne comprendere l'alto valore politico e morale); e l'opinione pubblica, che qui è veramente sovrana, si compiace di questa manifestazione fatta per persuadere i francesi a comprendere, alla fine, lo spirito inglese e non continuare a svalutarlo in un momento drammatico come questo. Domani o dopodomani si saprà il tenore della risposta del governo inglese alla richiesta della Francia sulla condotta futura nel caso di un'aggressione in Europa.


Niente da meravigiiarsi se i1 governo inglese risponderà u&cialmente che il suo impegno è quello che risulta dal Covenant e che esso non verrà meno all'ossemanza del patto. I francesi, che vogliono, come ogni buon contadino, u del bianco sul nero diranno, come Pertinax, non basta. u Serait seul valable un texte p a r lequel I'Angleterre, l a France et les autres états pacifiques s'engageraient directement, en dehors des obligations du Covenant, à maintenir le statu quo européen pendant la durée des hostilités (Echo del 23 settembre), Pertinax scrive che ciò è l'opinione des personnages les plus perspicaces ; non nega che fra questi personaggi perspicaci ci sia dentro lui stesso. Purtroppo costoro non capiscono niente della mentalità inglese nè del suo orientamento. Se per gli inglesi vi è qualcosa da salvare, facendo dei sacrifici, è la Società delle nazioni e il suo patto; s e i n qualche evenienza deve intervenire l'armata britannica, è per impedire un'aggressione. C'è bisogno di altri patti scritti? c'è bisogno di ripetere ogni cinque minuti che gli inglesi sono pronti a mantenere i loro impegni? C'è bisogno di individuare pubblicamente l a Germania come possibile aggressore? Sir Austen Chamberlain sul Figuro del 27 settembre ha dichiarato: « La Lega emergerà da questa prova di h o c o o trionfante o terribilmente indebolita. Un'azione risoluta d i tutti i suoi membri può creare un precedente tale da imporre un'azione similare il giorno che il pericolo d i un'aggressione sorgerà in Europa D. E più sotto dichiara: I1 popolo britannico non agisce per se stesso. La fedeltà al Covenant è il suo motivo P. Queste e simili dichiarazioni valgono per l'Inghilterra assai più dei trattati; mentre i trattati per la Germania di Guglielmo I1 erano stracci d i carta ; così come sono oggi stracci di carta per i fascisti i patti segnati fra l'Italia e l'dbissinia, lo stesso Covenant e il patto Kellogg. Ed è strano e dolorosa insieme vedere i giornali francesi d'informazione e di grande tiratura, non solo non far più caso dei trattati degli altri, ma persino svalutare e il patto della Società delle nazioni e il patto Kellogg, per una visione unilaterale della pace.

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Ma l a pace in un mondo così piccolo e ristretto è e non può ' essere altro ormai che una pace unica e indivisibile. (E1 Moti, Barcelona, 1 ottobre 1935). Arch. 7 A, 19.

DUE TEORIE DI FRONTE È follia pensare di poter fermare le guerre con l e parole; bi-

sognerebbe eliminare le cause ( Aloisi) (l). Come abbiamo condannato l a guerra in teoria bisogna sopprimerla in pratica. La guerra è un anacronismo (Eden) ('). Così è stato detto dall'uno e dall'altro a Ginevra nella fatidica assemblea del 9 ottobre (3), I1 senso delle parole di Aloisi può essere doppio; uno che l e guerre non possono eliminarsi del tutto ( è il pensiero di MUSsolini espresso più volte), ma che solo potranno evitarsi quelle le cui cause saranno state eliminate in tempo. L'altro senso, che una guerra iniziata è impossibile fermarla nel suo fatale sviluppo; si sarebbe dovuto provvedere prima a eliminarne le cause. Anche due sensi potranno darsi alla risposta di Eden; uno (1) Pompeo Aloisi, era dal luglio 1932 capo di gabinetto al ministero degli esteri e capo della delegazione italiana alla S.d.N. In tale veste egli manovrò molto abilmente la diplamazia italiana a Ginevra attraverso le vicende della crisi etiopica e delle sanzioni, senza tuttavia condividere le direttive generali della politica di Mussolini. (Cfr. il suo Journal 1932-1936, cit., e, di maggiore interesse per i l nostro argomento, La mia attività al servizio della pace, Roma, 1946). (2) Anthony Eden (n. 1897) era, nel terzo gabinetto Baldwin ( 7 giugno 1935), ministro senza portafoglio incaricato degli affari della S.d.N. Nel conflitto italo-etiopico è il maggiore rappresentante della mentalità a sanzionista n. (3) 11 3 ottobre le truppe italiane avevano varcato la frontiera etiopica ed iniziato la campagna militare. Constatato che la guerra era stata ingaggiata in violazione dell'art. 12 del Covenant, l'assemblea della S.d.N. passava il 9 ottobre alla votazione delle sanzioni previste dall'art. 16.


pragmatistico ( e sarebbe di carattere inglese): data la riprovazione teorica della guerra, si deve fare di tutto per eliminarla nella pratica (si riesca o no), sia evitandone le cause, sia obbligando le parti con la forza di un'autorità quale la Lega e con l'intervento efficace di tutte le nazioni. L'altro senso espresso di fatto da Eden nel successivo periodo è che la guerra è un anacronismo e che l'umanità non potrà essere felice se non si rinunzia all'ingannevole appello alla guerra. Ma quale che sia il senso internazionale dell'uno e dell'altro, il fatto si è che a Ginevra si sono affrontate due tesi teoriche e due sistemi pratici, l'uno e l'altro appoggiato sulle convinzioni e sulle possibilità umane. La loro importanza di primo ordine è non tanto come teorie, sia pure espresse da uomini rappresentativi, ma come esperienza, in un momento gravissimo per la pace del mondo, in un conflitto acuto, dal quale si vorrebbe uscire, ma per la cui uscita non si trova la via diritta. Quale sarà l'esito di questa esperienza non è dato poterlo dire fin da ora. Ma quel ch' è certo si è che la prova è più significativa per la teoria di Eden che per quella di,Aloisi. Questi rappresenta il passato, Eden rappresenta l'avvenire. Sia che la Società delle nazioni riesca a breve tempo a fermare la guerra italo-abissina, sia che non vi riesca, sì che la guerra si protragga fino a che i beliigeranii di propria iniziativa o per battaglie decisive s'indurranno a trattare la pace, la teoria di Eden rimarrà intatta come quella che esige una serie di esperienze per poter adattare il nuovo sistema sul vecchio. Noi potremo paragonare il momento presente a quello, storicamente imprecisabile, ma per molte esperienze storiche e pratiche idealmente concepibile, quando al sistema di giustizia di famiglia, basato sulla vendetta, venne sostituito il sistema di un giudice di città o di repubblica o il re stesso che nella sua più originaria funzione dovesse rendere giustizia e far punire i colpevoli. Data l'organizzazione primitiva della giustizia, la sopravvivenza delle abitudini, l'importanza dei clan e delle famiglie patriarcali e il loro orgoglio tradizionale, la cosa più facile era che la vendetta persistesse per lungo tempo, e che la città o il re


non avessero che mezzi insufficienti a frenarla e a reprimerla. Del resto vediamo anche oggi l a sopravvivenza del sistema di vendetta di famiglia in Corsica e in Sardegna ( o altrove) non ostante secoli e secoli di organizzazione giudiziaria e di potere di polizia statale, Così oggi possiamo paragonare gli stati ai clan d i famiglie di una città in formazione; esse di fatto e con tutta convinzione si erano legate con un patto (tacito o espresso) di rimettere le loro vertenze al tribunale cittadino; ma, i n un momento di attrito violento, dimenticavano il patto e lo violavano e volevano farsi giustizia da sè. Così oggi fra gli stati: ma ciò non diminuisce i l valore etico del patto, nè l'utile politico che ne può venire alla pace comune; ciò dimostra so10 a) che l'organismo centrale di pacifi. cazione non ha acquistato tutta l'autorità necessaria, nè i mezzi adeguati; b) che la convinzione etica, derivante dal patto, non è ancora radicata nella coscienza dei popoli. Come sarà possibile arrivare a eliminare queste due cause di debolezza internazionale se non attraverso le più dure esperienze ? Fin oggi si è avuto cura di trattare la Lega delle nazioni come un'ammalata, alla quale evitare tutti i colpi d'aria, tutti i più tenui scuotimenti, per paura che alla prova, alla minima prova, venisse meno e cadesse ne1 nulla. Così si spiegano le varie debolezze e oscillazioni che, di fronte ad eventualità gravi e preoccupanti, essa ha sempre mostrato. Oggi la Lega è ingaggiata nella procedura delle sanzioni per fermare la guerra italo-abissina. P e r me e per molti italiani che abbiamo creduto e sperato in un sistema internazionale d i moralità e di pace, è questo un momento tragico per il conflitto fra l e nostre convinzioni e i nostri affetti; e non possiamo notare che con dolore come l a prima volta che la Società delle nazioni s'ingaggia nella procedura delle sanzioni è proprio contro 1'Italia. Certo, sarebbe stato meglio che tale sistema fosse stato provato prima contro la Bolivia (3 o contro il Giappone. I1 governo italiano non si sarebbe ingaggiato in simile avventura. (4)

I1 richiamo si riferisce presumibilmente alla contesa tra Paraguay e

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I1 punto difficile della presente situazione è come arrivare a fermare la guerra in Africa, ed evitare che si estenda in Europa. Se l a Società delle nazioni esce dalla prova rafforzata, sara una esperienza importantissima per l'avvenire dell'Europa e per il futuro orientamento della Germania. Dall'altro lato, si vedranno le debolezze dell'organismo di Ginevra e le necessità di rinvigorirlo con tre provvedimenti: a) i l coordinamento del Covenant con il patto Kellogg; b) lo studio e l'attuazione di rapidi provvedimenti circa il problema demografico e l'attuazione delle misure proibitive dell'immigrazione ; C) i provvedimenti circa la distribuzione delle materie prime, e la revisione dei mandati. L'autorità della Lega in tanto sarà più efficace a impedire o a fermare l e guerre, i n quanto sarà basata sulla giustizia distributiva, in quanto eliminerà le differenze fra paesi vinti e vincitori e daaà maggiore fiducia ai piccoli di fronte agli stati grandi e potenti. Se la Germania comprenderà (attraverso l a presente esperienza) che non valgono contro la Lega nè gli armamenti, nè gli intrighi, comincerà a pensare se non sia i1 caso di ritornare a Ginevra, pari con i pari, e trattare di nuovo i l problema del d'isarmo. L'abilità dell'Inghilterra, la lealtà della Francia oggi potranno indurre l'Italia ad una pace non disonorevole e duratura. Ma domani potrebbe invece essere i l disastro dell'Italia e quello dell'Europa. Londra, ottobre 1935.

(E1 Mati, Barcelona, 17 ottobre 1935). Arch. 8 A, 11.

Bolivia per i l possesso della regione del Chaco borea1 (che avrebbe consentito alla Bolivia uno sbocco, sia pure indiretto, al mare per via fluviale). Converrà però rilevare che la S.d.N. aveva sostenuto le ragioni della Bolivia e non del Paraguay. La guerra, esplosa nel giugno 1932, si era spenta per logoramento dei contendenti nel 1935. La S.d.N., interessata alla contesa, aveva inviato una sua commissione senza positivi risultati. Era invece stato applicato l'embargo alle forniture di armi, tolto poi nel febbraio 1935 per la Bolivia e non per i l Paraguay.


INTERVISTA SULLA GUERRA ETIOPICA 1) Non mi rifiuto ad un'intervista, ma non reputo opportuno dare un'intervista sull'avventura italiana in Africa e sulle ripercussioni interne ed estere, per un riserbo troppo naturale. Solo mi limito a dire che come sacerdote cattolico e come democratico, io sono contrario alle guerre, e spero che presto si trovi una soluzione pacifica al conflitto italo-abissino, che può divenire minaccioso. 2) La posizione del papa è assai delicata; egli ha già parlato e condannato la guerra di aggressione ed ogni difesa che ecceda i limiti della giustizia. Potrebbe darsi che gli sia riserbata una funzione mediatrice al momento, oggi non probabile ma purtroppo non impossibile, di una guerra mediterranea o europea. 3) La Società delle nazioni è un istituto nascente e ancora incerto nei mezzi da usare. Noi tante volte parliamo d i essa come dello stato, cioè quale ente astratto, che abbia una mente e una volontà propria. Come non si dà stato senza cittadini, così non si dà Società delle nazioni senza nazioni. Sono le nazioni che la potranno rendere forte o la potranno ridurre ad una ombra. Uno degli errori più gravi delle nazioni è stato quello di non arrivare ad una convenzione di sicurezza collettiva come il protocollo di Ginevra del 1924 e alla susseguente convenzione di limitazione degli armamenti (l). Oggi la situazione sarebhe un'altra. 4) I o sono stato sempre un sostenitore della Società delle nazioni, e lo sono tuttora, perchè solo per mezzo di un tale orga-

(l) Una «commissione preparatoria del disarmo n. istituita dal consiglio della S.d.N. nel dicembre 1925, completò negli ultimi mesi del 1930 un progetto di convenzione per la limitazione degli armamenti, che avrebbe servito da base aile trattative della conferenza per il disarmo. Questa veniva convocata nel febbraio 1932.


nismo si potrà organizzare praticamente il diritto internazionale e limitare il potere dei singoli stati. L'idea della sovranità assoluta degli stati deve dar luogo a quella della interdipendenza; e le alleanze particolari e antagoniste devono cedere ad un'alleanza collettiva e permanente. Le grandi idee e i grandi istituti ci mettono assai tempo a progredire e ad attuarsi, Noi siamo all'inizio. Tutti vogliamo il dominio del diritto e la stabilità della pace. 5) Certo che gli stati democratici, veramente tali, mettono la forza a servizio del diritto, e la subordinano all'impero del diritto; mentre gli stati autoritari e dittatoriali si basano più sulla forza che può divenire anche violenza e tirannia. Purtroppo, anche gli stati democratici deviano e diventano violatori del diritto sia in politica interna che in politica estera. E d è la mancanza di una concezione morale nella vita politica, che altera sempre i rapporti di giustizia. 6) Tutta la mia vita è stata una continua battaglia per la primauté (come dicono i francesi) della morale nella politica. HO trovato cattolici indulgenti verso la violazione della morale nella vita pubblica. Tante volte senza che essi se ne accorgano, cedono alla tentazione di approvare l'uso d i mezzi illeciti per ottenere un successo. Le parole patria, monarchia o repubblica, si usano come ideali ai quali sacrificare gli awersari, senza guardare fino a quali limiti la giustizia ( e la carità anche) ci consente di andare. Se così non fosse, come si potrebbe comprendere il fervore, presso non pochi cattolici di Germania, verso il nazismo? le simpatie di cattolici esteri verso il fascismo che proclama la teoria tutto per lo stato, niente fuori o contro o sopra lo stato n? 7) Nella mia esperienza amministrativa e politica, d i più di 25 anni, io ho trovato che la morale e la politica possono bene stare insieme, senza alcun danno dell'ente pubblico che si amminlstra e si governa. E se un conflitto nasce, si fa sempre il vantaggio del paese accettando l'impero della morale sopra l'utilità della politica. Anche per essa occorre ripetere le parole del Vangelo : C( quaerite primum regnum Dei et justitiam ejus, et haec omnia adji-


cientur vobis D. Fra Iyhaec omnia c'è il bene economico e politico dei nostri paesi, che tanto amiamo. Londra, 20 ottobre 1935.

(E1 Moti, Barcelona, 29 ottobre 1935). Arch. 12 A, 17.

HITLER-MUSSOLINI : NOVELLE DIVINITA' Di tanto in tanto ci arriva all'orecchio una voce: Hitler è un dio; Mussolini è un dio. Frasi ellittiche? frasi adulatrici? Non sempre; recentemente nello Sturmer, il giornale di Julius Streicher (l), si lamentava che in un funerale di un nazi fosse stato invocato il dio di Abramo e di Giacobbe, che forse doveva trovarsi anche lui sotterrato, e non si era ricordato il Fuhrer. Nel Times del 25 ottobre scorso vi è un articolo da un corrispondente dal titolo « Tuscany and the War », dove egli, descrivendo i vari sentimenti dei toscani circa l'attuale guerra italoabissina, notava fra l'altro, con un grosso sottotitolo: The duce a God (C per costoro (gli avanguardisti) il Duce è un dio e il fascismo l'avvenire del mondo Io dubito se si sia ben compreso all'estero ciò che è stata l'educazione fascista per gli ultimi tredici anni. Questa generazione è stata cresciuta nella dottrina che il potere è il diritto D. Questo che scrive il corrispondente del Times è meglio illustrato da un altro corrispondente, non solo favorevole ma entusiasta del fascismo, Raymond Cartier de 1'Echo de Paris. Nel numero del 30 settembre egli scriveva un lungo articolo Comment pensent et parlent les educateurs italiens n, dove svilup-

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(l) Julius Streicher (1885-194-6). giornalista e uomo politico nazista; prese parte al « putsch n di Monaco con Hitler, nel 1923 e venne arrestato. Nel quotidiano nazista Der Stiinner, da lui diretto dopo l'awento di Hitler al potere, condusse una violentissima campagna antisemita. Processato a Norimberga, fu condannato a morte.


pava un'intervista avuta col prof. Padellaro (2), provveditore agli studi di Roma, esaltante la concezione fascista dell'educazione. Fra le altre enormità ch'egli dice a l suo benevolo interlocutore francese c'è questa: « Le centre de tout c'est Mussolini; on peut à peine imaginer ce qu'est Mussolini pour les enfants. Mussolini, c'est l a Providence vivante, l'homme qui les aimes et qui les défend n. Non basta dire la Providence vivante, con la P maiuscola; il prof. Padellaro rincalza: « Les enfants sont comme les hommes, sentent comme les hommes. Mussolini est un héros; Mussolini est un dieu D. I1 povero Cartier a questa frase avrà forse fatto un movimenAi-je involontairement froncé le to; egli stesso si domanda: sourcil? Peut-Gtre 11. Allora il prof. Padellaro osserva: cc Tout cela, sans doute, est difficile à comprendre, à admettre pour les étrangers. Pourtant, tout cela est vrai D... Quando lessi questa confessione sentii una terribile stretta al cuore, e pensai quale aberrazione è nella mente di uomini come i l prof. Padellaro, che se mal non ricordo, non deve essere un'oca e forse è un cattolico o un filo-cattolico, che ha fatto anche conferenze in ambiente cattolico e con idee abbastanza ortodosse. Che dire degli altri che non sono nè così cattolici nè così colti come i l prof. Padellaro? Nel Catholic Keruld ho letto citato dal Westdeutscher Beobachter, un giudizio dell'accademico francese Louis Bertrand (3), dove egli constata che « il Fuhrer è un dio e il nazionalsocialismo una religione D, e che tutte le celebrazioni fatte oggi i n Germania con tanta tranquillità e dignità, sono come una C( Messa so. lenne della nazione D, e soggiunge: « Di fronte a questo sacro patriottismo tedesco io penso con ironia a certi filosofi del secolo

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(2) Si tratta del prof. Nazareno Padellaro, in seguito direttore generale al ministero della pubblica istruzione e presidente del comitato centrale per l'educazione popolare. ( 3 Louis Bertrand (1866-1941), scrittore e romanziere, affrontò particolarmente i problemi deiio spirito e del cristianesimo in opere come Madamoisel2.e de lessincourt (Parigi, 1911) e Sanguis Martyrum (ivi, 1918). Tra le altre sue opere ricordiamo: S. Augwtin (ivi, 1913), Flaubert à Paris, ou le mort vizant (ivi, 1921), Louis XIV (ivi, 1924) e Philippe 11 à Z'Escurial (ivi, 1929).


scorso, che credettero poter annunziare la morte di tutti i miti e il trionfo della pura ragione D, Spero che Louis Bertrand abbia pure pensato non più con ironia, ma con tristezza, all'abiezione umana, che si foggia nuovi dei e nuove religioni, abbandonando la vera ed unica religione e disprezzando l a sequela di Gesù Cristo. Nazi e fascisti disprezzano le virtù cristiane, l'umiltà, la pazienza, la mitezza, la carità. Essi sono pieni di orgoglio, contano sulla forza materiale, usano la violenza come sistema, calpestano il diritto altrui in nome della razza e della nazione. È triste, ma è vero: in fondo alle deificazioni dei Mussolini e degli Hitler c'è la negazione di Gesù Cristo e del cristianesimo.

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Londra, 1 novembre 1935.

(E2 Mati, Barcelona, 6 novembre 1935). Areh. 8 A, 6.

LE SANZIONI SONO LA PACE O LA GUERRA? L'opinione mondiale dell'oggi, a proposito del conflitto italoetiopico, s'è divisa in due: una parte, filo-ginevrina, dice: le sanzioni sono la pace!, l'altra filo-italiana: le sanzioni sono la guerra! È venuto il momento di guardare il problema spassionatamente, senza esagerazioni dall'una parte e dall'altra, e vedere quali insegnamenti ci danno i primi due mesi di esperienza, dall'assemblea della Società delle nazioni del settembre scorso, fino ad oggi. Da parte mia faccio uno sforzo di obiettività, astraendo dalle mie condizioni di spirito che mi portano a guardare agli interessi per studiare il problema e allo stato d'animo del mio paese nel suo carattere essenziale e atemporale, quale problema dell'oggi e del domani. Una prima constatazione da farsi è che fin oggi, nel sentimento degli italiani e nell'opinione di gran parte dei paesi euro-

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pei, il conflitto non è fra l'Italia e Ginevra, ma fra l'Italia e l'inghilterra; il conflitto si è dualizzato, e Ginevra è servita come « decor », come una « mise en scene D. È vero che l'Inghilterra ha più volte e autorevolmente dichiarato ch'essa non ha agito nel suo interesse, ma solo per la difesa dei principi della Lega, per la tutela del diritto e per la sicurezza collettiva. Ma la politica oscillante della Francia, l'assenza da Ginevra di tre grandi potenze: Stati Uniti, Giappone e Germania - e la stessa lentezza delle procedure della Lega, - hanno messo in pieno rilievo l'azione franca, netta e decisa dell'Inghilterra ad applicare le sanzioni e a prevenirle, con l'invio dell'Home Fleet nel Mediterraneo (l). Questo aspetto, così troppo inglese, delle sanzioni ha portato un indebolimento del loro lato morale e del loro significato collettivo. Per quanto oggi anche la Francia sia fra gli stati sanzionisti, per quanto gli Stati Uniti e la Germania mantengano una certa neutralità in una certa armonia con la politica sanzionista della Lega ; pure la convinzione non solo italiana, ma di molti altri paesi è che le sanzioni sono applicate perchè l'lnghilterra non solo le ha volute, ma perchè le ha imposte, col peso della sua autorità, agli stati recalcitranti (compresa la Francia) e alla stessa Società delle nazioni. È vero che paesi come il Belgio, l'Olanda, gli Stati scandinavi, la Piccola Intesa e soprattutto la Russia, sono convinti sanzionisti; ma la loro convinzione è stata riservatamente e prudentemente espressa (meno la Russia); e certo senza la spinta dell'Inghilterra, tale convinzione non sarebbe stata così aperta e soprattutto così e6cace. Sarebbe stato assai diverso il caso attuale ( e forse non si sarebbe amvati alla guerra) se, fin da principio, l'azione di spinta verso le sanzioni fosse partita di pieno accordo e d'ugual modo dalla Francia e dall'Inghilterra. Questi due paesi avrebbero fatta subito l'unanimità morale ( e non solo legale) della Società ( l ) Alla metà di settembre 1935 i l governo inglese, allarmato per le misure militari italiane in Libia e per il contegno antibritannico deila nostra stampa, aveva inviato la propria flotta metropolitana a rafforzare la squadra mediterranea.


delle Nazioni. La qual cosa sarebbe stata così efficace, da rendere l'Italia assai più guardinga nel lanciarsi nell'avventura africana, e più incline nell'accettare un regolamento pacifico benchè non molto soddisfacente dallo stretto lato politico. I n tal caso, si sarebbero evitati errori psicologici, che potranno riuscire fatali all'avvenire della pace europea. I1 più grave è stato quello di prolungare per dieci mesi una vertenza nata da un incidente che si sarebbe potuto risolvere i n quindici giorni; I'incidente di Ual-Ual nel dicembre dell'anno scorso. Se invece di tergiversare, a Ginevra, sulle questioni di ~ r o c e d u r afissate dagli articoli del Covenant, e di rimandare di mese in mese la trattazione dell'affare, si fosse rapidamente arrivati a prendere l'atteggiamento di resistenza ad ogni aggressione e insieme di giusta comprensione del problema dei rapporti italo-abissini, l'Italia non avrebbe tratto motivo di mobilitare una parte dell'esercito, e di inviare nell'Africa orientale più di centocinquantamila uomini di truppa. Invece, quanto tempo perduto; per giunta l'embargo delle armi, deciso in maggio, si risolse a danno dell'Abissinia e diede l'impressione di lasciarla inerme, per farle subire la legge del più forte, e indurla così a cedere alle richieste italiane. Le sanzioni, messe in esecuzione dopo dieci mesi di trattative - che si sono svolte nell'intento di dare all'Italia una soddisfazione economica, mentre il governo fascista voleva una soddisfazione politica - sono arrivate senza la dovuta preparazione, anzi con la preparazione contraria, sì da riuscire psicologicamente inefficaci sia a d impedire la guerra sia a far fermare spontaneamente la guerra già incominciata. Ora il problema che si pone è assai difficile a risolvere sia dal lato italiano che da quello della Società delle nazioni. Bisogna trovare una soluzione che non leda l'autorità di Ginevra, che non umilii l'Italia e che sia consentita dal Negus. Può sembrare la quadratura del circolo, e sotto diversi aspetti è proprio tale. Che cosa avverrà se l'Italia avxà un successo militare? e se invece l'avrà 1'Abissinia u n successo militare? e se invece nessumo dei due belligeranti potrà registrare alcun successo effettivo, e tutte due vorranno continuare l'attuale schermaglia fino alla prossima stagione delle pioggie?


Intanto le sanzioni vanno applicate; più si andrà avanti e più il popolo italiano soffrirà e più sarà esasperato non solo contro l'Inghilterra, ma anche contro la Francia ed altri paesi già amici ; più continuerà l'attuale stato d i cose e più si renderà possibile un conflitto più largo in Europa. L'esperienza attuale ci porta a concludere che le sanzioni possono essere efficaci solo se sono applicate con unanimità spirituale (oltre che legale); ben a tempo, prima che una guerra scoppi; al momento stesso che l'aggressione è minacciata prima d i essere lanciata ; quando le troppe discussioni sulla possibilità, opportunità e misura delle sanzioni non avranno tolto ad esse l'efficacia morale e lasciato solo una dubbia efficacia materiale. I n sostanza, l'arma delle sanzioni è come ogni arma messa a disposizione del diritto ; i n tanto vale in quanto il diritto è sentito dalla collettività come un vincolo morale inderogabile. Se il diritto è messo in dubbio, se la difesa di questo diritto è reputata un'utopia, se i pericoli di questa difesa sono valutati più gravi che la perdita stessa del diritto, allora l e sanzioni perderanno in gran parte il loro necessario valore morale. L'Italia che contrattacca alle sanzioni, affermando che il suo diritto ,a far la guerra è superiore al diritto della Società delle nazioni a impedirla, non trova la sua forza di resistenza i n un . diritto contro I'Abissinia? ch'essa non ha, perché I'Abissinia è uno stato indipendente e perchè la guerra di aggressione è una guerra ingiusta; ma trova la sua forza nell'apprezzamento di parte dell'opinione pubblica di Francia e di altrove per colpa d i coloro che hanno svalutato le sanzioni, hanno messo in dubbio l'autorità d i Ginevra, hanno sostenuto ch'è solo l'Inghilterra a impedire l'espansione italiana, per i suoi interessi mediterranei ed imperiali. Le sanzioni saranno la pace o la guerra? Lo sapremo fra pochi mesi. Londra, 14 novembre 1935.

(E1 Mati, Barcelona, 17 novembre 1935). Arch. 7 A, 5.


LA GIOVENTU' CATTOLICA NELLE CASERME Dacchè la coscrizione obbligatoria manda ogni anno milioni di giovani sotto le armi, si è posto ( e non ancora risolto) il grave problema della religiosità e moralità giovanile nelle caserme. La caserma, è vero, è u n ambiente di disciplina: più esterna che di convinzione, più regolamentare che spirituale; ma tale disciplina non può riuscire salutare, senza un complesso di forze morali che vi diano sostanza. È diverso il caso dell'ufficiale di carriera, che acquista nella milizia insieme alla formazione professionale, quella di un carattere adeguato, non disgiunto da una certa cultura personale. La giovane recluta è in maggioranza contadino, operaio, artigiano, staccato a venti anni dal centro familiare e di lavoro, dagli ambienti chiusi di villaggi e di piccole città di provincia o addirittura dalle case campagnole, e portato in una vita comune, tutta di giovani, nel momento in cui le passioni hanno bisogno di controllo, di freno e di educazione. I1 repentino passaggio d i ambiente, l'uniformità d i vita, il contatto con persone mai conosciute con le quali è necessità vivere insieme e d'accordo, dà una scossa psicologica notevole; mentre la mancanza della vigilanza familiare, della vita religiosa domenicale, delle amicizie e relazioni avute, dà il senso di una libertà non controllata che può cader nella licenza. Di qui i pericoli detti della caserma. Non basta segnalarli, occorre prevenirli. I1 giovane cattolico deve trovare nella caserma un ambiente non ostile, non estraneo, non ripugnante. Egli deve potersi professare cattolico senza timore di essere irriso, deve rifiutare l'invito ad andare in luoghi cattivi, senza sentirsi inferiore agli altri, anzi con la fierezza di saper resistere alla doppia tentazione del rispetto umano e della sensualità. Non sono mancate fin oggi iniziative particolari da parte delle organizzazioni di gioventù cattolica, da parte di preti zelanti e di ufficiali cattolici che fanno onore all'esercito. Ricordo, nel 1897, quand'ero giovane prete, a Roma, andavo a confessare e a preparare alla Pasqua i soldati che frequentavano i due circoli



noma dalla tradizione di caserma, e atta a espandersi, a prendere contatti con gli altri, a conquistare delle anime. Quale più bello e salutare apostolato? Londra, 1 dicembre 1935.

(E1 Moti, Barcelona, 4 dicembre 1935) Arch. 8 A, 14.

PERVERSIONI Oggi Marinetti ( l ) non è più il poeta futurista anarchico, che voleva abolito il « chiaro di luna n e distrutte le biblioteche e le gallerie d'arte e pinacoteche del mondo; quello che proclamò la guerra l'unica igiene del mondo. Oggi Marinetti è un accademico d'Italia, capo della corporazione dei letterati e artisti, l'uomo di fiducia del duce. Egli interpreta il pensiero del fascismo nel lanciare il suo nuovo motto: La guerra è bella! « È bella - egli dice - perchè fonde armoniosamente la Forza e la Bellezza « perchè realizza l'uomo meccanico perfezionato, grazie alla maschera contro i gas, al megafono terrificante, al lanciafiamme, al piccolo carro blindato, che afferma il dominio dell'uomo sulla macchina assemita. « perchè la guerra completa un campo fiorito con le orchidee fiammeggianti delle mitragliatrici « perchè qualche volta riesce a superare in violenza, entusiasmo e grandezza lirica i cataclismi terrestri e i combattimenti degli angeli e dei demoni. N. I1 canto è lungo e finisce con questa boutade: n La guerra è bella perchè ella serve alla grandezza dell'Italia fascista n. I n questo canto lirico alla bellezza della guerra, Marinetti si è messo, come un dio dell'olimpo, sopra le nubi a guardare

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(l) Filippo Tommaso Marinetti (1876-1944), autore dei noti manifesti del futurismo. Aveva aderito al fascismo. Accademico d'Italia fin dagli inizi dell'istituzione.


i combattenti e a goderne i fuochi e i fumi sacrificali; o meglio, come un Nerone che canta sulla cetra l'incendio di Roma ch'egli ha voluto. Non è lo stesso quando dalla posizione di un nume crudele, che gioisce dell'altrui sacrificio, si passa a quella di combattente, di ferito, di moribondo; e da quella di un paese vittorioso (in poesia o i n sogno) si passa a quello di un paese vinto o d i un paese tragicamente vittorioso come quelli dell'Intesa, vittoriosi sulla Germania, ma ancora oggi, dopo diciassette anni di tregua e d i pace, sofferenti delle piaghe inferte - morali, economiche e politiche - dalla grande guerra. Nella realtà le bellezze delle mitragliatrici e dei lanciafiamme si rivelano alla luce rossastra dell'incendio sinistro, come il simbolo del male, del peccato, della punizione e della morte. Un paese che si è ingrandito con le guerre sulle sofferenze ingiustamente causate agli altri e a sè stesso, non potrà mai più ritrovare la gioia del vivere umano e cristiano senza prima una lunga e penosa espiazione della colpa. È la oemesi delle storie. Londra, dicembre 1935.

(E1 Mati, Barcelona, 19 dicembre 1935). Arch. 2 A, 18.

« PACE AGLI UOMINI DI BUONA VOLONTA'

Natale 1935 : la liturgia ripete le parole degli angeli : « pace agli uomini di buona volontà D. Nella coscienza del giusto c'è sempre pace; nella coscienza dell'empio non c'è mai pace. La guerra italo-abissina turba la pace tra i popoli, esercita il giusto, tormenta I'ernpio: la liturgia ripete le parole degli angeli : « pace agli uomini di buona volontà 1). Chi ha mancato di buona volontà nel causare il gran male che è una guerra? Dio solo legge nelle coscienze; noi possiamo appena giudicare gli atti e le parole.


Perchè esaltare la guerra come un alto fine di u n popolo, come un mezzo d i dominazione sugli altri, come un atto d i valore e di orgoglio collettivo? Isaia canta con ineffabile gioia quando le spade e le lancie si trasformeranno i n vomeri e falci, quando il vitello, l'agnello e il leone abiteranno insieme. Egli canta la pace del Messia. La liturgia ripete le sue parole.

Non potevano Italia e ~ b & s i n i aintendersi amichevolmente per una zona da colonizzare, impiegandovi metà o un terzo del denaro che l'Italia oggi spende per la conquista? Non poteva la Società delle nazioni favorire tale intesa, appena l'incidente di Ual-Ual fece luce sopra i l conflitto che si andava maturando? Cosa strana: prima dell'incidente d i Ual-Ual, ora è un anno, non risulta che l'Italia abbia mai domandato all'Abissinia la concessione di una zona determinata per scopo di popolamento. Non può neppure affermarsi che l'Italia prima di allora abbia mai reclamato direttamente dalla Società delle nazioni un mandato sull'Abissinia, al doppio scopo di colonizzare e d'incivilire. Tali oneste richieste non era meglio farle senza minacciare la guerra? Senza mandare truppe su truppe nell'dfrica orientale, prima che le trattative presso Ginevra e presso Londra e Parigi fossero condotte a buon fine? Forse da parte del governo italiano ci fu l'idea che il metodo forte fosse l'unico che, al momento dato, poteva riuscire. Dall'altro lato Ginevra, che fin da gennaio aveva ricevuto il reclamo del Negus (che già si sentiva minacciato), mancò di buona volontà nell'intervenire a tempo, efficacemente e con autorità. La colpa della politica di Pilato è grande, perchè è un negare giustizia. A Ginevra si finse di capire che la questione era quella di Ual-Ual; occorreva mettere a confronto le due parti, ovvero rendere effettivo l'arbitrato. A Ginevra si sapeva che l'arbitrato di Ual-UaI copriva un'azione più a fondo e decisiva: Ginevra vide che in febbraio si spedivano truppe su

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truppe in Eritrea e in Somalia. Ciò non ostante rimandò tutto a luglio, poi a settembre, finchè il 3 ottobre spararono i cannoni e i fucili !

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Un problema morale è sempre al fondo di ogni problema politico; questo si può risolvere con le combinazioni, quello, il morale, non può risolversi che dentro la logica della moralità. L'Italia ha mosso guerra per avere terreno di colonizzazione. Ma le spese a cui essa va incontro ( a parte le perdite umane) sono tali che per molti anni gli ijaliani non avranno mezzi sufficienti per sviluppare la propria economia all'interno, nè per finanziare imprese colonizzatrici. L'Abissinia ha avuto il torto di non intendersi prima con la Società delle nazioni per migliorare il proprio regime civile ed economico; ha oggi il peso di una guerra di difesa lunga, costosa e sanguinosa, La Società delle nazioni, per avere tergiversato sul suo compito immediato, per essere stata compiacente con l'Italia dal gennaio all'ottobre, si è trovata obbligata a mettere in azione le sanzioni, senza una sufficiente preparazione morale. Mai si è voluto esaminare a fondo il caso dell'Italia, nè di~ coctro scuterne Te ragioni, nè mettere in luce i V G I O Pmorali ogni guerra, valori che superano le semplici formalità giuridiche. Questa è la ragione per cui oggi l'Italia si esalta nella resistenza alle sanzioni, dopo avere rifiutato come insufficienti le offerte di Parigi nell'agosto e quelle dei cinque nel settembre. Si sperava che la nuova iniziativa di Laval-Hoare ( l ) avrebbe (l) 11 piano di conciliazione Hoare-Lava1 (10 dicembre 1935) avrebbe dovuto risolvere la controversia italo-abissina con la concessione al171talia del Tigré orientale e rettifiche di frontiera tra la Dancalia e I'Eritrea e 1'0gaden e la Somalia Italiana. In cambio l'Etiopia avrebbe ricevuto dali'ltiilia il porto ili h a b con una fascia di accesso 21 mma. Nell'Etiopia meridionale sarebbe stata costituita una larga zona di espansione economica e di popolamento riservata ali91talia sotto l'alta sovranità del Negus. In Inghilterra gli ambienti democratici-societari avevano energicamente reagito al piano. I1 18 dicembre Hoare offriva le proprie dimissioni e veniva sostituito da Eden. La stessa posizione di Lava1 era definitivamente compromessa.


portato prima d i Natale il ramoscello di ulivo. Ma essa è caduta sotto la riprovazione morale di una gran parte dell'opinione pubblica, che non poteva accettare la divisione dell'abissinia sotto l'idea di un premio all'aggressore. Ecco il punto terribile. L'Italia non accetta la qualifica di aggressore e rigetta la responsabilità sull'Abissinia. Come può farsi credere al mondo che I'Abissinia (con i torti che Ie si attribuiscono) abbia aggredito l'Italia? Ma torti e ragioni possono risolversi con la guerra fino in fondo? Non ricorrono a mente le parole di Benedetto XV sull'inutile strage? (') Non è il momento che la pace con giustizia, nella verità e nella carità D, secondo le parole di Pio XI, venga ad essere desiderata dagli italiani e dagli abissini? I1 Natale ci richiama al cuore la pace dei figli di Dio, la pace fraterna: non siamo tutti fratelli? Italiani e Abissini, tutti fratelli. Cessi il disprezzo del negro e del selvaggio; cessi dalle due parti l'odio contro il nemico. Fratelli ! Fratelli! (C Pace agli uomini di buona volontà ». Londra, Natale del 1935. (L'Aube, 25 dicembre 1935). Arch. 8 A, 5.

Accusato dal Fronte popolare di filofascismo, di compromettere l'amicizia con la Gran Bretagna e la causa della S.d.N., egli stesso si ritirava (22 gennaio 1936), e, nel nuovo ministero Sarraut, Flandin assumeva il dicastero degli esteri. (2) Si riferisce alla nota che il 1 agosto 1917 Benedetto XV diresse ai capi delle potenze belligeranti, invitandoli a trovare una soluzione negoziata del conflitto mondiale che da tre anni aveva sconvolto l'Europa. (Cfr. A. MARTXNI,La nota di Benedetto XV alle potenze belligeranti nell'agosto 1917, in Benedetto XV, i cattolici e la prima guerra mondiale, Atti del convegno di studio di Spoleto nei giorni 7-8-9 settembre 1962, a cure di G. Rossini, Roma, 1963, pp. 363-387. Vedi anche G. DE ROSA,F i l i p p Meda e I'età liberale, cit., pp. 200-209).


POTRA' L'ITALIA ESSERE GRATA A LAVAL? Dal punto di vista fascista probabilmente sì, perchè la manovra di Laval ha finora consentito a Mussolini di lanciarsi nella guerra, e di ritardare le prime sanzioni, di evitare le sanzioni gravi, quali l'embargo del petrolio, e avere per precedente di pace il piano Laval-Hoare (l). Anche dal punto d i vista antifascista la risposta potrebbe essere affermativa, perchè la tattica di Laval ha fatto ingolfare Mussolini in una guerra difficile e lunga, con mezzi economici insufficienti e con una enorme impreparazione diplomatica; se il regime pericola, gli antifascisti troveranno motivo a sperare il rovesciameqto. Ma dal punto di vista strettamente italiano, potrà l'Italia essere grata a Laval? Ecco il problema che, sotto diversi aspetti, interessa all'Italia e alla Francia di esaminare e di risolvere, prima che gli avvenimenti possano trascinare i due paesi amici in un'aspra contesa. L'azione d i Laval dal gennaio 1935 in poi fu diretta anzitutto ad evitare un conflitto fra l'Italia e la Società delle nazioni a proposito del reclamo del Negus, dopo Ual-Ual; quindi cercare di ottenere da Ginevra il disinteressamento, sotto l'apparenza che quell'incidente fosse pura materia di arbitrato, Così la procedura arbitrale, limitata all'incidente stesso (con divieto agli arbitri di cercare se Ual-Ual fosse in Abissinia o nella Somalia italiana) servì d i paravento per dare tempo al governo fascista di preparare l'offensiva militare inviando in Africa truppe su truppe; e procurarsi motivi a giustificare l a prossima guerra. Della manovra di Laval si erano accorti parecchi a Ginevra, ma sia perchè non volevano sembrare ostili all'Italia, sia perchè speravano in un amichevole risultato, nessuno seriamente vi si oppose; così che rimandando da gennaio a marzo, da marzo a maggio, a $ugno, a luglio, l'urto fra Ginevra e l'Italia non fu (l) Cfr.

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nota 1 dell'articolo precedente.


che ritardato di sette mesi. Purtroppo in questi sette mesi parecchio era cambiato. Seconda fase, la conferenza di Parigi. Le proposte elaborate d'accordo fra Londra e Parigi, per una soluzione della vertenza italo-abissina, furono da Mussolini rispettate senza esame. Uno schiaffo diplomatico dato a Laval e a Eden. Perchè? I1 perchè era chiaro: dal febbraio all'agosto il governo fascista aveva inviato in Africa orientale circa 180 mila uomini con artiglierie e munizioni, oltre ventimila lavoratori, e aveva speso già da quattro a cinque miliardi d i lire. Era possibile ritirare le truppe, per un compromesso apparentemente mediocre, in base ad acquisto di zone desertiche, nell'ogaden e nel Danakil, e di vantaggi economici molto ipotetici per chi, come l'Italia, non ha grandi capitali da buttare i n Africa? Se l e proposte di agosto fossero venute in febbraio o marzo, e se la Società delle nazioni avesse fin da gennaio preso in mano tutto il problema abissino, e non solo l'incidente di Ual-Ual ( e in qual maniera!), Mussolini avrebbe riflettuto dieci volte prima d i rigettare sdegnosamente una onesta proposta di compromesso. Terza fase: Ginevra in settembre e ottobre. Anche qui l a manovra di Laval continuò tra i l sanzionismo e le concessioni. Come poteva Mussolini accettare le proposte dei cinque (che più o meno ripetevano quelle di Parigi), quando egli poteva sperare in più larghe proposte nell'avvenire? Speranza non infondata, come si è visto con il piano Laval-Hoare de11'8 dicembre. E come poteva Mussolini credere sul serio alle sanzioni quando Ginevra gli aveva dato sì lungo tempo da gennaio a settembre, per preparare la sua guerra, attendere indisturbato la fine delle pioggie per poter cominciare le operazioni militari? Per giunta aveva ottenuto I'embargo delle armi, che danneggiava solo I'Abissinia. Era il momento del colpo audace, nessuno lo avrebbe impedito. I1 3 ottobre cominciano in Africa a tuonare i cannoni e gli aeroplani a gettare bombe. La guerra legale non è mai cominciata, perchè non c'è stato nè un ultimatum all'hbissinia, nè una dichiarazione d i guerra. Quelle di Africa furono dette operazioni di sicurezza. Laval


stesso si oppose alla richiesta del Negus di inviare esperti cieiia Lega a constatare la violazione del territorio abissino. Egli aveva ragione: la constatazione si poteva fare da tutti senza bisogno di esperti. Allora nuovo ripiego di Laval: diamo a Mussolini il tempo di avere una vittoria militare, di rivendicare i caduti di Adua del 1896; dopo sarà più facile trattare con lui; intanto rimandiamo ancora le sanzioni. Adua fu presa, fu presa Makallé; vere battaglie gloriose non ve ne furono. Mussolini fu intrattabile; si dovettero applicare le sanzioni; cominciò così il 18 novembre l'assedio economico all'Italia. Continuando la sua politica, Laval impegnò Hoare nel piano de11'8 dicembre; egli si era assicurato l'immediato assenso di Mussolini (che poi mancò), ma nulla aveva fatto per avere il consenso (anche condizionato) del Negus e della Società delle nazioni. La reazione a Londra e a Ginevra fu così forte che il piano si è dovuto seppellire come nato-morto. Questi i fatti: oggi l'Italia si trova: - impegnata in una guerra che non era sentita da nessuno nè come necessaria, nè come opportuna; - in urto con l'Inghilterra, con la quale dovrà fare sempre la sua politica mediterranea; - in contrasto aperto con Ginevra e specialmente con i piccoii stati, che si oppongono al successo d i un'aggressione, perchè temono che il precedente abissino si possa ripetere a loro danno; - sotto una pressione economica doppia: una per le spese di guerra, l'altra per le sanzioni; - ferita nel suo onore e nella sua dignità di grande nazione. Laval voleva tutto questo? Fuori dalla mia mente un simile pensiero ingiusto: Laval h a agito sotto tre impulsi lodevoli: aiutare u n paese e un governo amico; impedire che per imprudenza la guerra si estendesse in Europa; evitare che l'Italia per dispetto si buttasse nelle braccia della Germania; il che in linguaggio diplomatico si chiama: mantenere il fronte di Stresa. Però se le intenzioni di Laval sono state lodevoli, la sua manovra non solo non può dirsi riuscita, ma ha portato a risultati negativi specialmente dal punto di vista del191talia, la quale oggi


non ha modo di uscire dall'empasse senza gravi conseguenze. La situazione oggi è la seguente: 1) Se Ginevra non applica altre sanzioni e lascia che Italia e Abissinia si battano prima per intendersi poi direttamente fra di loro, la guerra durerà fino alle prossime pioggie con dubbi risultati, salvo avvenimenti eccezionali. 2) Se Ginevra applica le sanzioni ulteriori sul commercio dell'olio, carbone, ferro e acciaio, l'Italia dovrà fermare la guerra a breve scadenza, abbandonando parte delle zone occupate, con suo grave discapito. 3) C'è chi sospetta che in tal caso Mussolini voglia tentare un gesto disperato, bombardando la flotta inglese. Per questa ipotesi, l'Inghilterra ha già interrogato gli stati mediterranei per un'azione solidale. Se ciò capita, l'errore di Laval si dimostra più grande di quel che si possa pensare. Principiis obsta, sero medicina parata, con quel che segue; Laval ha giocato abilmente perchè l'Italia non fosse ostacolata all'inizio dell'avventura. Ora è tardi! Bisogna cambiare rotta: pensare che un'Italia indebolita e vinta sarebbe in Europa un danno per tutti; come sarebbe un danno per tutti un aggressore premiato. Londra, dicembre 1935.

(El Matì, Barcelona, 27 dicembre 1935). Arch. 8 A, 7.

I L PROBLEMA DEI RIFUGIATI POLITICI La lettera d i dimissioni dell'alto commissario per i rifugiati tedeschi, James G. MacDonald (l), indirizzata al segretario della EL PROBLEMA DELS REFUGIATS POLITICS La carta de dimissi6 de l'Alt Comissari per als refugiats procedents dYAlemanya,Mr. James G. MacDonald, dirigida al Secretari de la Societat ( l ) James Grover Mac Donald, diplomatico americano, professore d i scienze politiche all'università dell'Indiana, fu nominato nel 1933 alto com-


Società delle nazioni, ha richiamato l'attenzione di molti sul gravissimo problema dei rifugiati politici. Non soltanto i rifugiati recenti, venuti dalla Germania e dalla Saar, ebrei per la maggior parte, cristiani u non ariani n, dissidenti politici, cattolici e socialisti, il cui numero non è inferiore a centomila e che hanno abbandonato il Reich per evitare la persecuzione, il campo di concentramento, la miseria o la morte; ma anche gli altri, quelli che provengono dall'Armenia, dalla Russia, dalla Assiria, dall'Ita1ia (più d i un milione) e che, dopo tanti anni, vanno per il mondo spesso in condizioni deplorevoli quanto alla salute, al lavoro, ai mezzi di sussistenza, alla tranquillità, alla pace morale. Non parliamo di quell'inumano e barbaro scambio di cittadini greci e turchi che seguì la guerra del 1922-23, nè delle altre cr conseguenze » immediate della grande guerra; parliamo in questo articolo dei rifugiati politici. La S0ciet.à delle nazioni si è occupata dei rifugiati armeni e russi per i quali furono istituiti l'ufficio Nansen, un tipo di passaporto e utili soccorsi; altri utili soccorsi, malgrado tutto, sono quelli che sono stati ottenuti sia dall'Assiria, sia con la creazione dell'alto commissariato per i rifugiati tedeschi.

de nacions, ha cridat l'atencio de molts sobre e1 gavissim problema dels refugiats politics. No menys de 100.U00 persones han sortit del Reich per evitar la persecucio, e1 camp de concentracio, la misèria o la mort: d'Alemanya i del Saar han sortit la major part de jueus, cristians no aris, dissidents politics, catòlics i socialistes. Però hi ha, a més, els altres refugiats, els procedents d'Armènia, de Russia i dTtàlia, que de fa tants anys volten e1 mori sovint en condicions miserables de salut, de treball, de mitjans de viure, de tranquillitat i de pau moral. No parlem del bàrbar i inhumàn canvi de u ciutadans » g e c s i tures, que segui a la guerra de 1922-23, i de les altres « consequències immediates de la Gran Guerra; parlem en aquest article només que dels refugiats politics. La Societat des nacions s'ocupà dels refugiats de Russia i d'Armènia, per als quals fou instituida l'oficina Nansen, una modalitat de passaport i procediments utils, tot i això, s'han trobat altres procediments utils amb la institucit de l'Alt Comissariat per a h refugiats alemanys. missario per i rifugiati della S.d.N. Collaborò in seguito al N a u York Times e nel secondo dopoguerra (1944) fu di nuovo presidente del comitato dei rifugiati politici. Ambasciatore in Israele nel 1950.


Utili, certamente, ma non sufficienti, nè destinati a tutti ( i rifugiati italiani, fino ad oggi, non sono stati presi in considerazione a Ginevra, non fosse che attraverso la semplice concessione d i un passaporto), nè prendenti in considerazione tutti i casi. Non possiamo chiedere a Ginevra d i trasformarsi i n istituto di beneficienza che rimedi a tutti i mali dell'universo; ma abbiamo il diritto d i esigere anzitutto che, sul terreno giuridico internazionale, ci si occupi di regolare la situazione di tutti i disgraziati e di facilitare loro u n nuovo e onorevole modus vivendi nei paesi ospiti. La questione del passaporto è per molti di loro questione di vita. In secondo luogo, intermediaria Ginevra, gli stati che accolgono gli esiliati devono mettere i n comune le risorse destinate a far fronte ai bisogni urgenti di tanta povera gente; così si potrà riunire una somma non trascurabile, senza che nessuno stato abbia rapporti diretti con i rifugiati nè che si creino incidenti con i paesi di origine. Infine, si deve cercare di coordinare le iniziative private (senza invadere il loro campo nè sterilizzare le loro funzioni integranti al solo scopo di non disperdere gli sforzi e le risorse. Ciò che occorre soprattutto mettere in rilievo, dal nostro pun-

Utils, certament; però no suficients, ni per a tots (els refugiats italians, fins avui, no han estat tinguts en consideraci6 a Ginebra, ni tan solament per a proveir-se d'un simple passaport), ni per a tots els casos. Uo podem demanar a Ginebra que es transformi en un institut de beneficència per als mals de tot e1 m6n; però tenim e1 dret d'exigir en primer Iloc que, sobre e1 terreny juridic intemacional, procedeixi a regular la posici6 de tants desgraciats i procurar-10s una nova situaci6 honrada, en eis pa'isos on reben asil. La qiiesti6 del passaport és vital per a molts. En segon lloc, cal que per mitjà de Ginebra, els Estats que recullen els exiliats uneixiu llurs mitjans econòmics per fer front a les necessitats urgents de tants infeliqos; d'aquesta manera podrà recaptar-se una suma no negligible, sense que cap Estat tingui relaciò directa amb els refugiats ni això li proporcioni incidents amb els Estats d'origen. Finalment, que se cerqui de coordinar les migracions sense envair-ne e1 camp ni fer estèrils llurs funcions integrants, només amb la finalitat de no malversar forces i mitjans. E1 que cal posar de relleu més que res, des del nostre punt de vista,

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- S~nnzo-

.ifiscellanea Londineae

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to d i vista è il dovere cristiano della carità e dell'assistenza alle persone private di aiuti umani e di conforto, sradicate dal loro paese e dalla loro casa, strappate alle loro relazioni familiari e professionali, obbligate a cercare una nuova posizione in terra straniera. Certo, in così grande folla di disgraziati, vi sono degli indesiderabili; ma la carità cristiana assiste anche gli indesiderabili, senza che pertanto le polizie dei vari paesi trascurino la vigilanza necessaria nei loro confronti e omettano d i prendere le necessarie precauzioni. Bisogna pensare - ciò a cui i governi dei paesi donde vengono i rifugiati non pensano, sotto l'influenza dell'odio politico e dei pregiudizi di razza - che sono uomini come noi, spesso cristiani come noi, e che come tali sono degni di assistenza e di soccorso. Al tempo stesso l'opinione pubblica non dovrebbe avere alcuna compiacenza verso governi tanto tiranni e inumani; bisogna mettere a nudo l e loro ingiustizie, scoprire le loro malsane teorie, sfatare il mito che li circonda, stabilire con inchieste e rapporti veridici tutte l e loro variazioni, tutte le loro persecuzioni. La giustizia e la carità non torneranno in questo mondo nei rapporti fra stato e cittadini e fra i diversi stati, se non si met-

és e1 deure cristià de la caritat i assistència a les persones pnvades d'ajut i de consol humans, desarerlades de llur pais i de Ilurs cases, arrencades de les relacions familiars i professionals, i obligades a cercar una nova posici6 en terra estranya. Certament, entre una massa tan gran de dissortats, n'hi ha d'indesitjables; però la caritat cristiana assisteix àdhuc els indesitjables, seme que per això, les policies dels diferents palsos negligeixin la vigilància necessària sobre aquelles persones i prenguin les mesures oportunes. Cal pensar allò que no pensen els governs d'origen, im~ulsatsper l'odi politic o els prejudicis de raca, es a dir: que els refugiats s6n homes com nosaltres, sovint cristians com nosaltres i que, com a tals, s6n dignes d'assistència i d'ajut. Al mateix temps, l'opini6 publica no hauna de tenir cap contempIaci6 per a govems tan tirans i inhumans; s'haurien de posar de relleu Uurs injusticies, denunciar llurs malsanes teories, esvair e1 mite que les envolta, delatar amb enquestes i informacions veridiques, totes les persecucions. La justicia i la caritat no retomaran a aquest m6n, en les relacions entre l%stat i els ciutadana, i entre Estat i Estat, si no es posa a la base de tota


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tono a base d i tutta la vita la morale e la religione, come espressioni eterne della fratellanza umana e della nostra filiazione divina. Perchè i cattolici spesso si comportano, nei confronti di questi fratelli disprezzati, perseguitati, resi miseri non come il samaritano del Vangelo, ma come il sacerdote e il levita? Non è senza ragione che Gesù, nel Vangelo, ha posto questi due (C ecclesiastici i n contrasto con il laico : ha voluto farci capire che il culto divino non sarà mai accolto se non è accompagnato dalla misericordia verso i nostri fratelli che soffrono., Londra, 10 gennaio 1935.

(E1 Matì, Barcelona, 14 gennaio 1935). la vida, la mora1 i la religi6, com expressions etemes de la fratemitat humana i de la nostra condici6 de fills de Déu. per qué els catòlics es mantenen, sovint, envers aquests germans dissortats, atribolats i reduits a la misèria no com e1 samarità de l'Evangeli, sin6 com e1 sacerdot i e1 levita? No sense ra6 Jesis, en l'Evangeli, posa aquells dos sacerdots davant del seglar: v01 significar que e1 culte divi mai no serà acceptat, si no hi ha, alhora, misericòrdia envers nostres germans que sofreixen.

UN FALSO DILEMMA: FASCISMO O BOLSCEVISMO Ieri come oggi si sente ripetere, anche da persone molto accorte, che la caduta del fascismo porterebbe al bolscevismo. Ciò che si vuole includere nel termine bolscevismo non lo si sa bene ; ma, grosso modo, si intende: comunismo o abolizione della proprietà privata, lotta contro la religione (questo interessa meno) e, in una parola, K dittatura del proletariato D, o semplicemenUN FAUX DILEMME: FASCISME OU BOLCHEVISME Hier comme aujourd'hui, on entend répéter, meme par des personnes très averties, que la chute du fascisme mènerait au bolchevisme. Ce que I'on prétend inclure dans le mot de bolchevisme, on ne le sait pas très bien; mais, en gos, on entend: communisme ou abolition de la propriété privée,


te: dittatura delle sinistre - l à ove esiste ancora una destra che h a paura di perdere il suo potere politico ed economico. Quand'ero fanciullo, nel linguaggio comune in Italia, l a parola « repubblica » suscitava più o meno lo stesso complesso di sentimenti; mi ricordo di u n superiore di collegio il quale, nei momenti d i disordine e di insubordinazione, gridava: Ma che cos'è questa repubblica? ».Quando, nel 1876, in Italia cadde l a destra e l a sinistra arrivò al potere (l), si credette e si fece credere che l'Italia unificata stava per crollare. Oggi, leggendo gli articoli di M. de Kerillis, sull%cho de Paris - che suonano come u n S.O.S. davanti al pericolo d i una vittoria del fronte popolare alle prossime elezioni - mi sembra di rileggere gli articoli scritt i in Italia quando, nel 1900, trionfarono i partiti popolari formati da radicali, socialisti e repubblicani uniti per impedire il persistere della reazione conservatrice con l e leggi eccezionali e gli stati d'assedio. Ma nè nel 1876 nè nel 1900 l'Italia crollò, la proprietà prilutte contre la religion (ceci intéresse moins) et, en un mot, « dictature du prolétariat n, ou simplement: dictature des gauches - là où existe encore une droite qui a peur de perdre son pouvoir politique et son pouvoir économique. Qiland j'étaia enfant, dans le langagn commun, nn Italin; le mot « 16publique » éveillait plus ou moins le méme ensemble de sentiments; je me souviens d'un supérieur de collège qui, en un moment de désordre et d'insubordination, criait: « Mais qu'est-ce donc que cette république? ». Quand, en 1876, en Italie, la droite tomba et que la gauche amva au pouvoir, on c m t et l'on fit croire que 1'Italie unifiée allait s'écrouler. Aujourd'hui, en lisant les articles de M.de Kerillis, dans I%cho & Pmis - qui résonnent comme un S.OS. devant le danger d'une victoire du front populaire aux prochaines élections - il me semble relire les articles écrits en Italie quand, en 1900, triomphèrent les partis populriires formés de radicaux, socialistes et républicains unis pour empecher la persistance de la réaction conservatrice avec les lois d'exception et les états de siège. Mais ni en 1876 ni en 1900 l'ltalie ne s'écroula, la propriété privée ne ( l ) Come è noto I'awento della sinistra al potere si ebbe dopo il 18 m a n o 1876, allorché il govemo di destra presieduto dal Minghetti venne messo in minoranza alla camera sul progetto per l'imposta sul macinato e sul progetto di nazionalizzazione delle ferrovie. I1 nuovo govemo di sinistra venne formato il 25 marzo 1876 sotto la presidenza di Agostino Depretis.


vata non fu abolita e la crisi non fu più acuta che in altri periodi; bisognò arrivare al 1922 per avere una rivoluzione (favorita e resa possibile dai conservatori e dai militari), l a rivoluzione fascista. Si è detto che il fascismo aveva salvato l'Italia dal bolscevismo, Ma in realtà (come a suo tempo ha affermato lo stesso Mussolini) il pericolo bolscevico, se mai è esistito in Italia ( i l che deve negarsi) l o sarebbe stato nel 1921, quando sotto Giolitti si fecero l e elezioni generali e Mussolini arrivò legalmente alla camera con un gruppo di trentaquattro appartenenti al suo partito (a). Comunque si giudichi il passato, dal periodo repubblicano del risorgimento fino ad oggi, si può veramente affermare che 'la caduta del fascismo porterebbe l a venuta del bolscevismo, cioè la dittatura del proletariato? Per arrivare ad u n sistema di dittatura, bisogna anzitutto che l'esercito e il denaro siano in mano del presunto dittatore, fosse anche il proletariato. I n questa ipotesi, il popolo insorto non

fut pas abolie et la crise ne fut pas plus aigiie qu'en d'autres périodesi il fallut arriver à l'année 1922 pour avoir une révolution (favorisée et rendue possible par les conservateurs et les militaires), la révolution fasciste. On a dit que le fascisme avait sauvé 1'Italie du bolchevisme. Mais, en realité (comme l'a, en son temps, affirmé Mussolini lui-meme) le péril bolcheviste, s'il a jamais existé en Italie (se qu'on doit nier) l'aurait été en 1921, quand sous Giolitti se firent les élections générales et que Mussolini arriva legalement à la chambre avec un g o u p e de trente-quatre députés de son parti. De quelque facon qu'on juge le passé, depuis la période républicaine du risorgimento jusqu'à nos jours, peut-on vraiment &rmer que la chute du fascisme aménerait la venue du bolchevisme, c'est-à-dire Sa dictature du prolétariat ? Pour arriver à un spstème de dictature, il faut avant tout que l'armée et I'argent soient aux mains du dictateur présomptif, ce dictateur fut-il le prolétanat. Dans cette hypothèse, le peuple insurgé n'aurait certainement (a) Si tratta delle elezioni svoltesi il 15 maggio 1921. Si veda il giudizio di Sturzo su queste elezioni, volute da Giolitti nella speranza di ottenere Popolansmo e una camera più incline alle proprie manovre, in L. STURZO, fascismo, in Il partito popolare italiano, cit., vol. 11, pp. 32-34.


avrebbe certo dalla sua nè l'esercito nè l a finanza; essi non apparterrebbero che a un governo, fosse anche di sinistra, il quale vorrebbe assicurare un qualsiasi ordine. Tanto più che l'esercito italiano non sarebbe nè in disgregazione come l'esercito russo del 1917 nè umiliato dalla disfatta come quello tedesco del 1919. Quest'ultimo, per di più, ha servito molto alla repubblica di Weimar per ristabilire l'ordine e rimettere in piedi l'organismo statale. I1 denaro? sarà difficile trovarlo in Italia dopo la guerra italo-etiopica; un governo bolscevico (se mai potesse installarsi) dovrebbe vincere difficoltà monetarie ed economiche tali da aver necessariamente bisogno della collaborazione delle classi borghesi e non dovrebbe sconvolgerne il sistema economico. I n questo caso, non sarebbe più un bolscevismo se non di nome. Ma c'è di più: i n un'Italia in cui la piccola proprietà rurale e urbana si estende fino ai contadini e agli stessi artigiani, l'instaurazione di un collettivismo comunista sarebbe impossibile. Per quanto riguarda l a grande proprietà e la grande industria, basta osservare che tutte le cure del governo fascista tendono a toglier loro il carattere di proprietà privata e a dar loro quello di proprietà statale o semistatale. I n molti casi, i proprietari

avec lui ni l'armée ni la banque; elles n'appartiendraient qu'à +un gouvernement, fut-il de gauche, qui voudrait assurer un ordre quelconque. D'autant plus que l'armée italienne ne serait ni en désagrégation comme I'armée russe de 1917 ni humiliés par la défaite comme l'armée allemande de 1919. Cette dernière, au surplus, a beaucoup semi à la république de Weimar pour rétablir l'ordrc et remettre sur pied l'organisme de l'état. L'argent? il sera difficile à trouver en Italie après la guerre italo-éthiopieme; nn gouvernement bolcheviste (si jamais il pouvait s'installer) devrait vaincre des difEcultés monétaires e: économiques telles qu'il aurait nécessairement besoin de la collaboration des classes bourgeoises et ne devrait pas en bouleverser le système économique. Dans ce cas, ce ne serait plus qu'un bolchevisme de nom et de parade. Mais il y a plqs: dans une Italie où la petite propriété rurale et urbaine s'étend jusqu'aux paysans et aux artisans eux-mémes, I'établissement d'un collectivisme communiste serait impossible. En ce qui regarde la grande propnété et la grande industrie, il suffit d'observer que tous les soins du gouvernement fasciste vont à leur enlever le caractère de propriété pnvée et à leur donner celui de propriété étatiste ou semiétatiste. Dans beaucoup de


sono ora ridotti ad essere semplici amministratori per conto delle banche, e queste a non essere che gerenti del denaro o dei titoli per conto della Banca d'Italia o del ministero del tesoro, o di altri poteri centrali. Ma ciò che impedirà in Italia una dittatura bolscevica - nel senso antiborghese e collettivista del termine - è la struttura sociale della vita italiana, la quale, benchè compressa sotto il fascismo, ha conservato il suo carattere proprio e fondamentale. L'Italia è per tre quarti un paese agricolo, con tutto il suo complesso di artigianato, di piccole industrie, di industrie sussidiarie e con il suo spirito conservatore e familiare. È su queste basi che in Italia è stata edificata ogni politica, vecchia o nuova, con le più accentuate deviazioni sia a destra sia a sinistra. Ma l'agricoltura italiana comporta problemi economici e sociali che non sono risolti e che bisogna risolvere; quale il problema del latifondo nell'Italia meridionale e i n Sicilia. Una volta risolti questi problemi, la struttura italiana diverrà più solida e, di conseguenza, meglio premunita contro ogni idea comunista. Vi sono poche industrie italiane, oggi malate, cui le sanzioni d i Ginevra possano inferire grossi colpi; l'operaio industriale

cas, les propriétaires sont maintement réduits à &tre de simples administrateurs pour le compte des banques et celles-ci à n'&tre que des gérants de l'argent ou des titres pour le compte de la Banque d'Italie ou du ministère du trésor, on d'autres pouvoirs centraux. Mais ce qui empgchera en Italie une dittature bolcheviste - au sens antibourgeois et collectiviste du mot - c'est la structure sociale de la vie italienne, laquelle, toute comprimée qu'elle est sous le fascisme, a gardé son caractère propre et fondamental. L'Italie est pour les trois quarts un pays agricole, avec tout son ensemble d'artisanat, de petites industries, d'industries subsidiaires et avec son esprit conservateux et familial. C'est sur ces fondements qu'à été édifiée en Italie toute politique, ancienne ou nouvelle, avec les déviations les plus accentuées tanttit à droite, tanttit à gauche. Mais l'agriculture italienne comporte des problèmes économiques et sociaux qui ne sont pas résolus et qu'il faut résoudre; te1 l e problème des latifundia en Italie méridionale et en Sicile. Ces problèmes résolus, la structure italienne deviendra ~ l u ssolide et, par suite, mieux prémunie contre toute idée communiste. 11 y a peu d'industries italiennes, aujourd'hui malades, aux-quelles les


che abita eittà come Toiiiio, Rfilano o Geirova, operiiio iirtelligente e solido, che per gran parte era socialista, è quello che attualmente soffre maggiormente della disoccupazione e della crisi, e sarà domani colui che avrà il maggior bisogno che l e industrie riprendano la loro prospera attività. Industrie private o industrie d i stato?'Le une e le altre; è impossibile fare altrimenti senza cadere in crisi peggiori e insolubili. Tutto ciò comporta iniziative e responsabilità: vi saranno uomini capaci di prenderle nel momento in cui ( p e r ipotesij cesserà la dittatura fascista? Cosa faranno l e classi dirigenti? Coloro che hanno oggi responsabilità politiche e morali? Coloro che vorranno salvaguardare un dato ordine economico? Sono morti tutti? Sono stati tutti sommersi? È la canzone che si ripete da più di dieci anni, ogni volta che il regime fascista vien posto in discussione, teoricamente, se non praticamente. Se veramente il fascismo fosse riuscito a sopprimere ogni pensiero e ogni energia, per ridurre tutto al pensiero e all'energia di un solo uomo (mortale come noi), avrebbe non soltanto compiuto il più gran delitto morale e politico, ma certamente il più grande tentativo di pervertimento umano e di liquidazione di una nazione. Ma tutto ciò sono sciocchez-

sanctions de Genève puissent porter de rudes coups; i'ouvrier industrie1 qui habite des villes comme Turin, Milan ou Genes, ouvrier intelligent et robuste, qui pour une grande partie était socialiste, est celui qui actuellement souffre le plus du chomage et de la crise, et ce sera demain celui qui aura le plus grand besoin que les industries reprennent Ieur activité prospère. Industries privées ou industries d'état? Les unes et les autres; il est impossible de faire autrement sans tomber daus des crises pires et insolubles. Tout cela comporte des initiatives et des responsabilités: y aura-t-il des hommes capables de les prendre au moment où (par hypothèse) cessera la dictature fasciste? Que feront les classes dirigeantes? Ceux qui ont aujourd'hui des responsabilités politiqua et morales? Ceux qui voudront sauvegarder un ordre économique donné? Ont-ils tous péri? Sont-ils tous submergés? C'est la chanson qu'on répète depuis plus de dix ans, chaque fois que le régime fasciste est mis en discussion, théoriquement, sinon pratique ment. Si vraiment le fascisme avait réussi à supprimer toute pensée et toute énergie, pour tout réduire à la pensée et à l'énergie d'un seul homme (morte1 comme nous), il aurait accompli non seulement le plus grand crime mora1 et politique, mais certainement la plus vaste tentative de pervertissement


ze e falsità: l'Italia, benchè in uno stato di soggezione umiliante o di esaltazione fanatica, mantiene le sue energie morali e intellettuali e le sue possibilità di redenzione come l a Francia di Napoleone il piccolo. I1 pericolo di una catastrofe bolscevica è lontano, grazie alla resistenza della struttura morale ed economica del paese e anche nella misura in cui esisteranno la volontà e la forza di superare la reazioni e le convulsioni che porterà con sè il passaggio da un regime ad u n altro. Ma avrà luogo tale passaggio? È vicino o lontano? È u n altro problema, molto più complesso e certo meno chiaro. È insensato fare il profeta, ma tutti i periodi eccezionali finiscono; in qualunque modo si consideri il fascismo, con occhi benevoli o malevoli, esso non può essere considerato che come un periodo di eccezione. Londra, gennaio 1935.

(L'Aube, Paris, 29 gennaio 1936).

humain et de liquidation d'une nation. Mais tout cela est sornette et fausseté: l'Italie, quoique dans un état de sujétion humiliante ou d'exaltation fanatique, maintient ses énergies morales et intellectuelles et ses possibilités de rédemption comme la France de Napoléon le petit. Le danger d'une catastrophe bolcheviste est lointain, grace à la résistance de la strutture morale et économique du pays et dans la mesure aussi où existeront la volonté et la force de surmonter les réactions et les convulsions qu'amènera le passage d'un régime à un autre. Mais ce passage aura-t-il lieu? Est-il procbe ou éloigné? C'est un autre problème, beaucoup plus complexe et certainement moins clair. I1 est insensé de faire l e prophète, mais toute période d'exception a son terme; de quelque fason que l'on considère le fascisme, avec des yeux bienveillants ou malveillants, il ne peut &treregardé que comme une période d'exception.

I GIARDINI D'INFANZIA MILITARIZZATI Il corrispondente del Times dà la notizia da Milano ( 2 3 gennaio) che saranno militarizzati anche i bambini al di sotto dei 6


anni e dice che ia nuova organizzazione si chiameri pre-Salilla.. Così in Italia i bambini da 4 a 6 anni saranno pre-Balilla, da 6 a 8 anni Figli della Lupa, da 8 a 14 Balilla, da 14 a 18 Giovani italiani, per arrivare dopo l 4 anni di training ad essere incorporati nella Milizia fascista. Ma quale lo scopo? Per avere buoni militari basta una sana educazione fisica, senza l'inquadramento militare anticipato, che desta precocemente sentimenti e istinti di dominazione, di odio, facili a svilupparsi nei primi anni. L'Inghilterra ha soldati magnifici e marinai di primo ordine, e non solo non ha la coscrizione obbligatoria, ma la gioventù si educa solo nello sport O nell'inquadramento dei boyscouts; l'organizzazione dei cadetti è libera. La Francia non h a organizzazioni di educazione premilitare obbligatorie, ma anch'essa h a gli scouts de France e altre organizzazioni sportive ; il tiro a segno per giovani a ciò adatti; pure il soldato francese è uno dei migliori del mondo. Non si tratta quindi di avere buoni soldati, non è questo lo scopo della completa uiiiitarizzazione dell'infanzia ; ma si vuole formare un nuovo spirito: quello della disciplina assoluta, della dedizione completa allo stato: l'altro scopo è quello di creare psicologicamente un obiettivo guerriero necessario e permanente. L'uno e itaitro scopo non possono essere approvati. Fare di tutta la vita dell'uomo una milizia; milizia di preparazione, milizia di riserva; non dare altro scopo nella vita sociale, non la politica, non l'amministrazione, non la libertà di stampa, non la libertà economica; tutto militarizzato, i n uno sforzo continuo verso un ideale militare; e creare un ambiente fittizio, un'ipertensione che deve un giorno o l'altro scoppiare. Si può capire che in certe tribù dedite alla caccia e alla difesa armata dei loro templi e delle loro capanne, gli uomini passino tutta la vita con le armi alla mano. Si poteva capire la lotta di Atene e Sparta per la egemonia, e quindi per secoli l'allenamento militare per una successione di guerre. Ma oggi tutto ciò è assurdo. L'Italia non ha nemici contro cui combattere tutte l e stagioni buone, per riprepararsi nelle stagioni cattive, come facevano gli


antichi. L'attuale spedizione contro 1'Abissinia è stato più uno sbocco di politica interna che una necessità d i sicurezza coloniale; nel quale caso sarebbero bastate (come hanno fatto sempre Inghilterra e Francia) le truppe coloniali sia pure leggermente rinforzate. I n Europa, a meno di un conflitto generale che tutti deprecano e che tutti pensano sarebbe la fine della civilizzazione attuale, l'Italia non ha nemici; non nemici tradizionali (come potrebbe credersi che siano tra loro Germania e Francia); non nemici occasionali, perchè nessuno domanda all'Italia nè una provincia nè una colonia. L'Italia h a bisogno di espansione; è così; ma pensare che si possa fare all'uopo una spedizione come quella d i Serse è sognare ad occhi aperti. L'Italia vede oggi quanto l e costa di vite umane, di denaro e d i prestigio l'attuale spedizione in Abissinia. Nep. pure la guerra del Marocco fu organizzata sulla base di trecento mila uomini come oggi fa l'Italia. Ma qui sta l'errore. Obiettivi militari permanenti l'Italia non n e ha e non può averne. Solo obiettivi di difesa, per la quale occorrono, nel sistema attuale, eserciti, marine di guerra e aviazione; cioè, corpi tecnici, servizio militare limitato, allenamento proporzionato. Quando lo scopo è la difesa del paese, l'educazione militare ha alla sua base un'idea morale, quando la guerra offensiva e l a conquista sono scopi permanenti, l'educazione militare h a per base un elemento non morale. Trasportate questo elemento nell'educazione della gioventù e avverrà l a perversione di fini ottimi e giusti in fini ingiusti e immorali. Che dire quando si comincia a quattro anni a parlare d i guerre e di conquiste, di nemici da combattere e da odiare? Quale base anticristiana alla vita di un popolo! Londra, 30 gennaio 1936.

(E1 Mati, Barcelona, 8 febbraio 1936). (Popolo e libert0, Bellinzona, 26 febbraio 1936).


LE CLASSI DEPRESSE I N INDIA È stata segnalata in questi giorni una risoluzione delle classi depresse dell'India dette degl'intoccabili di Tiunevelly, che merita d i essere messa in rilievo. Con essa è stata accettata I'opinione del dottor Ambedkar di lasciare in massa l'hinduismo per altre fedi religiose, date le inumane crudeltà inflitte dalle classi superiori ai poveri intoccabili. Nello stesso tempo è stata richiamata l'attenzione delle chiese cristiane sullo stato di inquietudine di tali classi, perchè (la stessa risoluzione dice) « tale inquietudine viene da un profondo bisogno spirituale e costituisce una chiamata di Dio, che le chiese cristiane non debbono ignorare D. Queste parole veramente toccano il cuore. Che meraviglia che il risveglio della coscienza di essere umani, pari agli altri, che si va operando nelle classi depresse indiane, sia una chiamata di Dio alla loro redenzione spirituale? Le vie di Dio sono infinite com'è infinita la sua misericordia. Gl'intoccabili partono di sicuro dalle rivendicazioni di u n diritto umano: la parità naturale con gli altri uomini; e perciò è stato loro proposto di rinunciare alla religione hinduista, che li fa per natura non solo inferiori agli altri, ma spregevoli, indegni del contatto degli uomini superiori, destinati sempre a. stare sotto, o meglio lontani dal consorzio dei veri uomini. Sono peggio degli schiavi, perchè non può esistere fra essi e gli altri nessuna avvicinabilità nè spirituale nè fisica. Perciò stesso ch'essi rivendicano la parità naturale umana, essi si avvicinano a l cristianesimo di tanto, di quanto I'hinduismo li h a allontanati dall'umanità. È il primo passo: tornare uomini per diventare cristiani. Essi rovesciano i termini: vogliono farsi cristiani per divenire uomini. Qualcuno potrà farne un rimarco non favorevole. I1 cristianesimo è la luce e la grazia soprannaturale che si deve volere per sè stessa, non per un fine umano. È vero; ma il fine umano è intuito per il primo; è il movente terreno che li spinge a cercare il Vangelo ; ma, quando il Vangelo sarà arrivato nel loro cuore, essi diranno come i samaritani dicevano alla donna: u Noi


non crediamo più a motivo d i ciò che tu ci hai raccontato, ma perchè noi stessi lo abbiamo udito e riconosciuto ch'egli è veramente il Salvatore del mondo » ('). Non capita qualche volta che u n giovane per amore di una donna si fa cristiano? La spinta umana è l'occasione di una chiamata: se quel giovane accetta la occasione senza accettare la chiamata di Dio, resta cristiano di nome, ma non sarà nello spirito un vero cristiano; se invece sentirà la chiamata, benedirà due volte l'amore di quella donna che gli avrà fatto conoscere il « Salvatore del mondo ». Così sarà degl'intoccabili : non pochi resteranno al vestibolo ; saranno cristiani per non rimanere intoccabili; molti però sentiranno ch'è Dio che li ha chiamati e diverranno allo stesso tempo uomini pari agli altri e dippiù cristiani. Intanto u n nuovo popolo è alle porte della casa d i Dio. Quando molti in Europa fanno la campagna dei senza-Dio ovvero si materializzano con gl'ideali strettamente nazionali o strettamente economici, perdendo il contatto con Dio, altri vengono dall'oriente « a sedersi con Abramo e Giacobbe D. Londra, 9 febbraio 1936.

(Popolo e libertà, Bellinzona, 20 febbraio 1936).

L'UTILITA' DI UNA SCONFITTA Ai miei amici spagnoli

Si può parlare dell'utilità d i una sconfitta (9, pochi giorni dopo averla subita, quando ancora è viva la passionalità della lotta? Gv. 4, 442. Nelle elezioni del 16 febbraio e del primo marzo 1936 in Spagna, il fronte popolare, che includeva socialisti, sinistra repubblicana, unione repubblicana, comunisti ed altri, aveva totalizzato 4.176.156 voti, contro i 3.783.600 del fronte nazionale, che includeva la CEDA, agrari, monarchici, indipendenti, tradizionalisti ed altri. Il centro otteneva 681.047 voti. (l)

(2)


Perchè no? se si parla a coloro che hanno avuto nella lotta un alto fine morale, non per le proprie persone, ma per i propri ideali, credo che si possa loro domandare un momento di calma riflessione, quando già ogni attività elettorale sia cessata. Mi permetto di parlare ai miei amici spagnoli non per altro titolo che quello dell'esperienza delle vittorie e delle sconfitte da me avute nel campo amministrativo e politico, ininterrottamente per quasi un trentennio. Altri tempi, altro ambiente ; ma gli uomini sono tutti gli stessi, impastati di bene e di male: l'una esperienza è valevole per le altre. Anzitutto un avvertimento ; non cadere nella tentazione di assimilare le sorti di un partito o di una coalizione di partiti con la chiesa; non dire che la sconfitta è del cattolicesimo, nè credere che per esso tutto sia perduto. Le vie del Signore sono spesso a noi segrete: la sua chiesa soffre di persecuzioni, non di sconfitte; e spesso la persecuzione le riesce più utile che il mondano e apparente trionfo. Noi siamo dei servitori di Dio e della sua chiesa anche facendo la politica e interessandoci direttamente del nostro paese e del partito formato per scrvire il paese e difenderne gli interessi. Ma le vicende politiche non debbono essere legate in nessuna maniera alle sorti della chiesa, E se dei nemici della chiesa vanno al potere, occorre pensare ch'essi in tanto SOno nemici della chiesa in quanto sono zemici dei partiti ch'essi hanno combattuto e soppiantato. La prima utiliti della sconfitta è fare questa discriminazione fra i nostri partiti e la chiesa; discriminazione tanto più necessaria in quanto, essendo al potere, si poteva troppo facilmente fare confusione fra il partito e la chiesa. Altra utilità, che viene dalla sconfitta, è studiarne oggettivamente le cause. Parlerò appresso delle cause politiche e dei difetti dei partiti; ma qui intendo riferirmi alle cause individuali e morali che ingenerano le sconfitte. Perchè ci siano tanti avversari non di questo o di quel partito, ma dell'ordinamento attuale religioso, civiie ed economico, occorre che ci siano dei difetti radicali i n tale ordinamento. Non è a credere che gli avversari abbiano sempre torto, e che noi abbiamo sempre ragione. La sconfitta ci deve dare un senso di umiltà (che spesso non abbiamo) in confronto ai nostri avversari. È applicabile al caso la mas-


sima ascetica che nessuno si deve credere migliore di qualsiasi persona. La ricerca delle ragioni morali della sconfitta (più che quelle politiche o tattiche) ci conduce a rivalutare tutti i problemi della vita pubblica. Ma su tutti questo problema, ch'è fondamentale: nella vita pubblica non siamo soli, non siamo sempre dominatori, non abbiamo sempre ragione. Ma siamo in contrasto e conflitto con altri, che potranno arrivare al potere e potranno anche avere ragione. Ciò significa che si deve avere sempre presente il proposito di non portare la lotta politica a fondo per la distruzione dell'avversario, di non rendere impossibile l'intesa con i partiti che si combattono, di non tagliare mai i ponti sul terreno elettorale e parlamentare. L'errore enorme di ridurre il paese a due blocchi fermati e chiusi per l'eliminazione del competitore dovrebbe essere bandito con ogni cura ; anzitutto per mezzo di sistemi elettorali adeguati (quali la rappresentanza proporzionale in uso nel Belgio, ovvero il sistema del collegio uninominale a u n solo turno come in Inghilterra); ma ancora di più per direttiva morale, che non dovrebbe mancare ai capi responsabili. Non bisogna mai portare le lotte elettorali sul piano di una guerra civile. Occorre iniziare il fair play degli inglesi; cioè l'osservanza delle regole della lotta, il rispetto degli avversari, la considerazione, pur mantenendo intatti e ben organizzati i partiti, Lunga educazione politica e morale occorre per acquistare un metodo da gentiluomini e da cristiani qual'è il fair play, ma se non s'incomincia, si arriverà mai? E se non c'è un partito, un gruppo di cittadini che per convinzione vogliano evitare la guerra civile, sia pure trasportata nei metodi elettorali, si potrà mai arrivare a formare un sano ambiente politico? I o son sicuro che esistono in Spagna gruppi decisi a imporre i metodi di lotta civile e che non intendono arrivare all'accanimento dei partiti, che crei una profonda e insanabile divisione nel paese. Costoro, se sono fra i partiti sconfitti, potranno meditare se essi vennero meno, quando erano al potere, a quel metodo di lealtà politica e di rispetto dell'awersario (anche quando è colpevole e degno di essere punito) ch'è necessario per mantenere l'unità spirituale della nazione. Oggi gli sconfitti forse saranno anche dei perseguitati: non


si sa quali saranno i propositi dei vincitori. Ma anche nelle più difficili condizioni personali, occorre evitare, da buoni cristiani, la fermentazione degli odii personali, l'invelenamento delle situazioni e la formazione dello spirito di guerra civile.

Non posso di lontano apprezzare bene le cause della disfatta delle destre; io prendo l'avvenimento come una cosa naturale nella vita politica quando essa è basata sulla formazione dei partiti e sulle lotte elettorali. Quel che posso notare di lontano (senza la minima volontà di fame u n motivo di critica personale), si è che presso qualche partito e presso molti uomini della destra, si annidava un forte equivoco. Cioè ch'essi, p u r partecipando alla lotta e pur eleggendo dei deputati alle Cortes, concepiscono la repubblica come una forma temporanea di regime, e il parlamentarismo come un mezzo per poterlo cambiare con il minore pericolo possibile. Questo equivoco è piu grave in coloro che non si chiamano monarchici e lo sono nel cuore, in coloro che non si pronunziano per la dittatura ma la desiderano. La duplicità non è buona nè nella vita privata, nè nella vita pubblica: essa obbIiga a mentire, a equivocare, a iergiversare, a fingere, a seguire vie coperte. I1 Vangelo ci dice di essere prudenti come i serpenti, ma anche semplici come le colombe: è un errore distaccare le due qualità, anche nella vita pubblica. So bene che ci sono dei cattolici spagnoli che accettano per dovere d i coscienza l'attuale stato repubblicano, ma amano ancora la monarchia; usano della scheda elettorale, ma vorrebbero u n governo autoritario. Costoro individualmente saranno irreprensibili; ma se costituiscono un partito hanno l'obbligo d i mettere in chiaro le loro convinzioni e i loro metodi, perchè hanno il dovere di non ingannare il prossimo: e prossimo è tanto il proprio seguace, quanto l'indifferente, quanto l'avversario. I o credo che quando nell'ottobre 1934 l'estrema sinistra lanciò nella Spagna la rivolta, perchè tre della Ceda erano entrati


nel governo ('), fece un delitto contro la patria, e fu ingiusta contro la Ceda. Io credo anche che recentemente, nelle due ultime crisi ministeriali, prima delle elezioni, toccava alla Ceda formare il governo, come il partito più forte delle Cortes. Ma non sembra doveroso osservare che le incertezze della Ceda riguardo il regime repubblicano, abbiano dato motivo agli avversari per creare uno stato d'animo d i diffidenza, sfruttata sia pure irragionevolmente, come simpatia verso una dittatura alla fascista? Queste mie osservazioni da lontano, sono fatte al solo scopo d i indicare una fra le tante utilità della sconfitta; quella di chiarire meglio la posizione della Ceda sia nel confronto delle destre monarchiche, sia in confronto del regime repubblicano. Ricordo bene su questo punto le dichiarazioni del capo; ma non sempre i seguaci sono fedeli alle dichiarazioni del capo. E poi, quando il tono non è quello che le circostanze impongono, l'equivoco s'insinua facilmente fra le masse avversarie e viene sfruttato a danno d'una causa molto superiore a quella monarchica, che oggi è forse completamente caduta. Aggiungerò un'altra idea. Ci sono partiti che non hanno altro scopo che la conquista del potere: per tali partiti la sconfitta è una vera perdita; il loro lavorio sarà di nuovo quello di guadagnare adepti per un'altra lotta. I partiti che invece hanno u n ideale più alto, la realizzazione d i un programma morale e sociale, sanno utilizzare la sconfitta a u n più vantaggioso piano di azione. Noi siamo a favore di questo secondo tipo di partiti. Però a una condizione, che non si abbia fretta, che si imiti la pazienza d i Dio per realizzare il programma in tutta la sua estensione. È il lavoro in profondità che occorre; l'organizzazione della gioventù e delle masse; le opere sociali di credito e previdenza; i sindacati operai e le leghe professionali, la cultura religiosa (2) Si tratta di Anguera de Sojo, ministro del lavoro; Jimenez Fernandez, ministro dell'agricoltura e Aizpum, ministro della giustizia. Questi tre esponenti della C.E.D.A., entrarono a far parte del gabinetto di concentrazione Lerroux, costituitosi il 4 ottobre 1934. (Cfr. anche la nota n. 1 all'articolo n. 29 della presente raccolta).

16. - Smnzo

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,Wiacellanea Lundinese

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111.


e civile; l a formazione del carattere e l a lealtà del tratto con tutti, amici e avversari; lo sviluppo della stampa e delle biblioteche popolari; l a preparazione civile di buoni amministratori, consiglieri e deputati. L'avvenire sarà con noi se noi sapremo utilizzare tutte le nostre forze al presente; se sapremo bene apprendere la lezione che dà l a sconfitta. Dio l'ha permessa a scopo di bene: sarà nostra colpa se non sapremo trame tutto il bene ch'essa ci può portare. Fra l'altro si h a la prova di quel che vuol dire essere un partito sconfitto sì da potere altra volta evitare agli avversari quelle ingiustizie che si proveranno sulle proprie persone. Si penserà anche che nessun uomo è al mondo immune da errori e da colpe, si da poter essere creduto necessario e indispensabile alla vita politica di un paese; e che nell'alternarsi delle varie forze e nell'equilibrio di tale alternanza, si debba trovare una base utile per tutti. L'avvenire è tutto avanti ai buoni; essi non lavorano nè si sacrificano per an proprio vantaggio personale, ma per più alti ideali. Ricordo che nel congresso di Torino del partito popolare italiano dell'aprile 1923, dopo la nostra sconfitta e la vittoria del fascismo, conchiusi il mio discorso con queste parole: cc Le sconfitte sono per noi; l e vittorie sono per i nostri ideali » (3). Londra, febbraio 1936.

(E,? Mati, Barcelona, 25 e 28 febbraio 1936). Arch. 2 A, 20.

76. EZZELINO I11 DA ROMANO Immersi nel sangue bollente mette Dante nel suo inferno ( a l settimo cerchio) i tiranni.

n

(3) discorso di Sturzo al congresso di Torino, in L. STURZO, 11 partito popohre italiano, cit., vol. 11, pp. 95-125.

242


I o vidi gente sotto infino al ciglio, E il gran Centauro disse: ei son tiranni, Che dier nel sangue e nell'aver di piglio.

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E quella fronte ch'ha il pel così nero È Azzolino

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(Inferno XII) Al tempo d i Dante bastava dire Azzolino o Ezzelino, per sapere chi era costui; non era passato che mezzo secolo dalla sua terribile morte. Ma anche oggi, in Italia almeno, ogni ragazzo di scuole secondarie saprà chi fu Ezzelino da Romano. A questo punto il lettore non italiano si domanderà: quale la ragione. di parlare in un articolo politico di uno dei peggiori tiranni del medioevo? Eccola. La Radio Mediterranea (Bari) nella rubrica intitolata « Calendario storico-letterario delle glorie d'Italia n h a rievocato questo triste tiranno che governò la marca Trevigiana da Padova a Trento, ai tempi dell'imperatore Federico I1 di Svevia ( d i cui sposò la figlia bastarda Selvaggia), che fu tale uomo da essere creduto figlio del diavolo, e contro il quale Innocenza IV lanciò la scomunica per le sue immani crudeltà, dichiarandolo eretico, e bandì una crociata per togliergli quel potere del quale abusava nella maniera più ripugnante. A parte le esagerazioni della leggenda (Villani parla di undicimila padovani arsi vivi) si sa che solo a Padova n e massacrò oltre mille e moltissimi furono i fanciulli per suo ordine evirati. Nella Enciclopedia Italiana edita da Treccani (opera del regime fascista) il prof. L. Simeoni dell'università di Bologna, scrive: a Non f u (Ezzelino) il tirannico frenetico e pauroso della leggenda, ma una natura spietata capace freddamente delle crudeltà più orribili per rimediare col terrore alla debolezza delle sue forze, ai pericoli continui che lo circondavano 1) (l). (l) Ezzelino ZII da Romano, in u Enciclopedia Italiana n, vol. XIV, pp. 692693. I1 prof. L. Simeoni era allora docente di storia medioevale e moderna all'università di Bologna.


Si sa, che per certi storici la leggenda non S O ~ Onon ha vaiore, ma è la deformatrice della storia; per altri invece, la leggenda, saputa valutare, dà alla storia u n contributo prezioso, quello della significazione dei fatti. Ma anche riducendo la storia d i Ezzelino alle proporzioni non leggendarie fissate dal prof. Simeoni, non sembra affatto giustificabile la Radio Bari per aver messo un simile tiranno nel u Calendario delle glorie italiane D. A meno che, per la nuova mentalità che si vuole formare in Italia, la figura di un avventuriero che passa dai guelfi ai ghibellini, che prende il posto di vicario imperiale per mancare di fede all'imperatore, che assoggetta a tirannia liberi comuni italiani, e che governò con una (C natura spietata capace freddamente delle crudeltà più orribili », come dice il prof. Simeoni, sia una gloria italiana degna di essere proposta all'ammirazione di quanti ascoltano alla Radio gli esempi del passato, per inorgoglirsi del nome italiano e per imitare le antiche virtù e le antiche glorie. Londra, marzo 1936.

(E1 Mati, Barcelona, 6 marzo 1936). Arch. 12 A, 14.

u PACTA SUNT SERVANDA

Con queste parole, tramandateci attraverso i secoli come un imperativo categorico, la sapienza antica aveva fissato il valore dei patti individuali e dei trattati internazionali. Per renderne sacra la natura, i patti fra le nazioni venivano consacrati con riti e giuramenti, invocando gli dei come testimoni e come protettori. Il cristianesimo vi diede una base morale e religiosa inalterabile, per virtù della fede nel vero Dio, della paternità divina e della fratellanza umana. Purtroppo, gli egoismi nazionali sono assai forti, le passioni collettive non hanno freno; spesso (più spesso di quanto non si crede) i patti fra le nazioni contano come pezzi d i carta. La coscienza collettiva si sente oltraggiata da questa frase: pezzi di


carta; quando può e come può essa reagisce, e se è impotente protesta. È vero: lo zelo contro la violazione dei patti è più acceso quando ci tocca direttamente e lo è meno quando tocca il nostro vicino; ma ciò rende più acuto il disagio morale della coscienza collettiva. Oggi ci turba assai più l'incertezza e la reticenza del governo Baldwin e della stampa inglese a mantenere gl'impegni derivanti dal patto di Locarno, che non Hitler che l'ha violato occupando la zona smilitarizzata ( l ) ; perchè 1'Inghil. terra tiene alla morale internazionale e Hitler non ci tiene. Allo stesso modo ci ha turbato il contegno di connivenza larvata del governo Laval, e di connivenza aperta della destra francese per l'aggressione italiana in Abissinia, perchè la Francia tiene molto alla morale internazionale e Mussolini non ci tiene. L'accademico cattolico Madelin (non poteva mancare al suo ruolo) scrive sull'Echo de Paris a proposito della violazione dei trattati di Versailles e di Locarno: « un traité est toujours un traité, u n acte que l'on a sur l'honneur juré de respecter ».Ma lo stesso Madelin, dimenticando che « u n traité est toujours u n traité » aggiunge: « Il y a six mois que nous montrons la faute que l'on commet e n transformant I'affaire d'Abyssinie en une aff aire européenne D. Bene signor accademico! per la Francia i trattati sono sempre trattati, ma per l'Abissinia, situata fuori del circolo superiore degli europei, i trattati sono... pezzi di carta. Un altro scrittore di destra, ben visto dai cattolici detti nazionali, H. de Kerillis, scrive sullo stesso Echo a?e Paris biasimando « la rupture du front de Stresa à propos d'une bagatelle coloniale n ; la « bagatelle è l'aggressione all'Abissinia. Pure grave è stata la posizione assunta da certa stampa inglese e da certi uomini politici quando hanno espresso l'opinione che il trattato d i Locarno oggi non esiste più perchè denunziato dall'una parte, come se, al contrario, non fosse proprio il momento d i doverlo applicare nel suo spirito e nella sua lettera insieme. Per fortuna, a poco a poco, l'opinione pubblica inglese (l) I1 7 marzo 1936 la Germania aveva proceduto d a rimilitarizzazione deiia Renania in violazione dei trattati di Versailles e di Locarno.


si va correggendo, e il governo mostra di comprendere bene il suo dovere. Di fronte al dualismo Francia-Germania, è opportuno che l'Inghilterra tenga un contegno tale da non impedirsi il ruolo di intermediario, pur restando garante. Ma avremmo desiderato che Baldwin ed Eden avessero detto, subito dopo il gesto di Hitler: u L'Inghilterra si sente legata a tutte le clausole del trattato di Locamo e alla decisione della Società delle nazioni del 17 aprile 1935 circa le sanzioni previste contro i violatori dei trattati : l'Inghilterra perciò invita i responsabili delle due parti, prima di un'applicazione definitiva, a trovare i mezzi più adatti per evitare la guerra e fabbricare la pace D. Questo sarebbe stato un discorso nobile, onesto, degno dell'Inghilterra e rispondente alla moralità e sicurezza internazionale. Purtroppo, il contegno timido e oscillante di Baldwin-Eden di fronte a Hitler è lo stesso di quello di Baldwin-Hoare di fronte a Mussolini; il ricorso alle sanzioni contro l'Italia, fatto contemporaneamente alle trattative, ha danneggiato il popolo italiano senza impedire la guerra ;lo stesso sarebbe domani se si volessero applicare contro Hitler le sanzioni e intanto iniziare le trattative. La difficoltà di accettare l'offerta di Hitler è molto grave: 4 Si potrà avere fiducia nella parola di chi nello stesso momento che oflre un nuovo trattato per i'awenire, viola il trattato preseote? Quale garanzia si avrà che non si ripeta il gesto di oggi, pari a quello di ieri, pari a quello dell'altro ieri, pari a quello del 1914 D? La necessità di rendere inviolabile il patto avvenire costringe a tutelare l'inviolabilità non solo del patto presente, ma di ogni patto; sia in Europa, in Asia o in Africa. Ha fatto bene Eden a domandare a Hitler un segno tangibile per mostrare la sua buona volontà e per riparare alla violazione del trattato ( a ) ; Hitler tenta di nuovo di giustificare il suo atto, ma la sua risposta è giudicata insufficiente. (2) Un questionario Eden del 6 maggio 1936 chiedeva ad Hitler se egli si sentisse impegnato alla sincerità dei trattati ed al rispetto dello statuto temtoriale-politico europeo. Una risposta dermativa della Germania al questionario veniva dalle potenze di Locarno posta a premeasa per una trattativa sulla base delle profferte di pace che Hitler aveva fatto seguire alla operazione renana.


L'ora è grave: c'è in gioco la pace o la guerra i n Europa; occorre quindi essere prudenti e cogliere tutte le possibilità per una soluzione onesta; ma se non si mette a base di ogni lavoro e di ogni accordo la santità dei trattati, si edifica la pace dell'Europa sull'arena e lo spettro della guerra, allontanato oggi, ritornerà domani. L'errore che oggi si paga fu quello di non aver mantenuto l'impegno dei trattati di pace di procedere al disarmo; peggio ancora, al momento d'iniziare la conferenza del disarmo, nel 1932, si vollero mantenere intatte le clausole militari d i Versailles contro la Germania. F u quella una violazione vera e reale dello spirito del trattato se no ndella stretta lettera. Ma l e colpe contro lo spirito sono le più gravi: oggi si scontano. Ora le posizioni sono rovesciate: Hitler con i suoi armamenti è una minaccia alla pace europea. Hitler fa valere questa sua posizione tanto più fortemente quanto più sa che nessuno vuole la guerra; perciò fa l'offerta di un nuovo trattato. Solo nel quadro della Società delle nazioni può trovarsi un piano d'intesa, a condizione che si restauri la moralità internazionale offesa da tutti - ma oggi offesa più assai da Hitler e a condizione che si gettino le basi serie per u n vero disarmo. Hitler non vuole un'umiliazione, come non la voleva Mussolini ; l'accortezza della Lega consisterà nell'evitare ogni richiesta inopportuna che non possa ferire più che le loro persone, il popolo che sta dietro di loro. Ma se Hitler si ostina nel rifiuto di dare prova della sua buona fede e buona volontà per un nuovo trattato, le sanzioni dovranno essere guardate come possibili e doverose, se c'è l'unanimità degli stati (meno l'Italia certamente), per evitare u n danno delle popolazioni già provate dalla crisi e e se le sanzioni avranno più un carattere morale che economico, dalla miseria. Quel che interessa su tutto è di non precipitare gli eventi con gesti inopportuni e misure pericolose. I1 consiglio della Società delle nazioni dovrà porsi sopra una base morale forte e, assistito dal consenso della coscienza mondiale, attendere con fiducia e preparare con intelligenza il momento propizio per una com-


pleta soluzione del difficile problema d i un nuovo « trattato di pace n. Londra, 13 marzo 1936.

(E1 Mati, Barcelona, 17 marzo 1936) Arcr., 11 A, 2.

IL PROSSIMO PLEBISCITO TEDESCO Hitler h a chiamato il popolo tedesco ad approvare la sua politica renana ed i l suo appello d i pace... per 25 anni! (l). Che valore abbia il voto del popolo tedesco si può dedurre dalle dichiarazioni del dr. Goebbels, ministro della propaganda, fatta a Breslau nella sera del 19 di questo mese: u Noi non abbiamo bisogno di appellarci al popolo. Noi abbiamo l'esercito, la polizia, l a radio, la stampa, l'organizzazione del partito nazi. Chi potrebbe fare qualche cosa contro di noi? Nessuno potrebbe pensare che col ritirarci il suo voto possa f a r cadere il nazional-socialismo n. Questo pezzo maestro, può servire tanto per uso interno che per uso esterno: cioè siano i voti favorevoli o siano contrari, noi nazi restiamo i padroni della Germania e manteniamo contro chiunque la nostra occupazione sul Reno. I1 plebiscito sarà, nel significato datovi dai padroni della Germania, una brillante messa in scena, una decorazione solenne, ma senza valore proprio si potrebbe dire una commedia. Ma possono i plebisciti di tale sorta, avere altro valore? non certo : a parte l'eccitazione sentimentale e patriottica, che in ogni caso sarebbe identica, più o meno, in altri paesi, Francia compresa, c'è i l coefficiente della dittatura di un partito, della polizia, dell'esercito, della stampa e della radio e del cinema (che Goebbels (3 .ha dimenticato d i mettere in conto), i quali

...

(l) n plebiscito del 29 marzo 1936 ottenne il consemo di oltre il 98% degli elettori. (2) Paul Joseph Goebbels (1897-1945), uomo politico nazista, ministro deU9educazione nazionale e della propaganda dal 1932 al 1945. Diresse l'organizzazione del plebiscito nazista del 1933 e fu uno degli uomini più vicini ad Hitler. Si suicidò nel 1%.


tutti fanno tale pressione sulla mente e la volontà di ogni elettore che non potr,à sfuggire a una simile coercizione morale politica e (se occorre) anche fisica. I voti favorevoli saranno il novanta, o il novantanove o anche il cento per cento. Probabilmente saranno gli stessi nazi che metteranno qua e là dei bollettini negativi o contrari, per dimostrare al mondo che il popolo tedesco è stato libero nel suo voto. Potrà anche darsi ch'essi vogliano dare l'impressione, rispondente alla psicologia caporalesca del prussiano, che tutti, tutti i tedeschi, sono sotto il pugno di chi comanda e nessuno osa ribellarsi. Allora si avrà il cento per cento dei voti favorevoli; e quel voto contrario o nullo dato da qualche rara persona libera e sdegnosa, si farà scomparire. Tutto è possibile in regimi totalitari. Per evitare agli elettori cattolici un conflitto di coscienza, il cardinale Bertram (3), arcivescovo di Breslau e presidente della conferenza episcopale tedesca, in una dichiarazione da leggersi in tutte le chiese della Germania, h a precisato che quei cattolici che vorranno votare a favore della politica nazionale e internazionale d i Hitler, non intendono perciò approvare le leggi e i provvedimenti a dei quali essi non possono in coscienza assumere le responsabilità D. Misura necessaria questa, per evitare equivoci che i nazi avrebbero fatti valere contro l a chiesa cattolica; ma che mostra a quale stato infelice sono ridotti quei cittadini, che di fatto non possono menare in nessun modo una campagna elettorale contro il governo che tiranneggia la chiesa, e debbono contentarsi di una riserva fatta d i autorità dal vescovo, e correre con tutti gli altri a votare favorevolmente (anche se si tratta di approvare la violazione voluta di un trattato internazionale liberamente contrattato) per la maggior gloria di Hitler e del nazismo. Un altro inganno si annida nel plebiscito germanico: è il plebiscito della pace. Ma perchè pace per venticinque anni?: (3) Adolf Bertram (1859-1945), cardinale, arcivescovo di Breslavia dal 1914. Dopo l'awento del nazismo difese i diritti dei cattolici tedeschi, protestando contro l o scioglimento delle associazioni cattoliche e contro l'allontanamento dai pubblici &ci di molti funzionari cattolici. Dopo il 1939, durante la guerra, protesse i sacerdoti e gli operai polacchi internati in Germania.


Che cosa è questo limite alla pace? È una preparazione alla guerra? Allora non è pace ma tregua; sia una tregua di un anno o di tre o di venticinque, è semplice tregua e non pace. Se invece è pace, cioè restaurazione di amicizia fra i popoli già in lotta, sopra un piano giusto ed equo, con reciproche concessioni basate sulla confidenza dall'una e dall'altra parte, allora è pace, quella che gli antichi pagani chiamavano: u pace per sempre N. Ma purtroppo Hitler non è in grado d i presentare a nome dei tedeschi una pace per sempre: egli ha le voci che gli parlano in una specie d i sonnambulismo; non sono le voci d i san Michele Arcangelo o di santa Caterina, forse sono le voci. di Wotan. Oggi le voci gli dicono: pace per venticinque anni. Ma se domani queste voci inconscie gli diranno: pace solo per cinque anni? e se gli diranno: guerra subito decisa in una notte (egli ama i consigli notturni), anche dopo di aver firmato la pace di venticinque anni suggellata da un plebiscito? I1 popolo tedesco ha nulla da dire oggi, nè domani; i suoi plebisciti sono senza significato; i! suo voto non ha valore nè per l'interno nè per l'estero. Questa è la tragedia dell'Europa. -

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Londra, 23 marzo 1936. (Popolo e libertà, Beliinzona, 28 marzo).

LETTERA AL DIRETTORE DE u L'AUBE » Signor direttore, Domando l'ospitalità dell'Aube per un. fatto personale. Mi è stata segnalata ieri la pubblicazione sul Grido del PoLETTRE A' a L'AUBE

r,

Monsieur le directeur, Je demande l'hospitalité de L'Aube pour un fait personnel. On m'a signalé hier la publication dans le Gridi &l Popolo, hebdo-


polo, settimanale comunista degli italiani di Parigi (28 marzo), di una conversazione che ho avuto con Romano Cocchi (l). Dichiarerò i n primo luogo che non ho autorizzato nessuna pubblicazione; mi ricordo anzi di aver detto a Cocchi che io non accordavo nessuna intervista ( è una delle mie vecchie e costanti abitudini di non accordare interviste) senza aver scritto prima io stesso il testo delle mie risposte. Romano Cocchi fu per parecchi anni un organizzatore dei sindacati cristiani (cattolici) dell'alta Italia; egli era iscritto a l partito popolare. Ignoravo fino a questi ultimi tempi che egli fosse emigrato da circa otto anni e militasse nel partito comunista. Ho appreso tutto ciò nel corso di questa conversazione, allorquando egli ebbe a sollecitare l a mia partecipazione ad un congresso internazionale che doveva tenersi a Londra, nei primi giorni di marzo, contro la guerra dell'Italia in Abissinia.

madaire communiste des italiens de Paris (28 mars), d'une conversation que j'ai eu avec Romano Cocchi. Je déclarerai, tout d'abord, que je n'ai autorisé aucune publication; je me souviens m6me d'avoir dit expressément à Cocchi que je ne donnais pas d'intewiew (c'est une de mes vieilles et constantes habitudes de ne pas donner d'intemiew) sans avoir écrit auparavant moi-meme l e texte de mes réponses. Romano Cocchi fut pendant plusieurs années un organisateur des syndicats chrétiens (catholiques) de la Haute-Italie; il était inscnt au parti populaire. J'ignorais, jusqu'à ces derniers temps, qu'il était émigré depuis environ huit ans et qu'il militait dans le parti communiste. J'ai appris tout cela au cours de cette conversation lorsqu'il a soilicité ma participation à un eongrès international qui devait se tenir à Londres durant les premiers jours de mars, contre la guerre de 1'Italie à 1'Abyssinie. (l) Romano Cocchi, membro del P.P.I., fece parte del gruppo migliolino, denominato u Conquista popolare n. Uscito dal partito dopo il congesso di Napoli, nel settembre 1920, diede vita a Palestrha, insieme a Giuseppe Speranzini, a l partito cristiano del lavoro, che visse poco tempo ai margini della vita politica italiana ed ebbe come proprio organo il periodico Bandiera bianco. Fuoruscito dopo l'awento del fascismo aderì a l partito comunista, assumendo il nome di battaglia di Adami. Cfr. A. Gmosci, Storia dei fuorusciti, Bari, 1953.


Sicome egli mi diceva che gli amici della Jeune République ( l ) facevano parte di questo movimento, gli risposi che ignoravo che dei cattolici di Francia e d'altrove fossero a Londra per questo congresso, ma che, quanto a me, non intendevo parteciparvi, innanzitutto perchè non avrei potuto rappresentarvi legittimamente che me solo, ed in secondo luogo perchè non volevo affatto passare per essere al rimorchio di Mosca, che intravvedevo dietro questa iniziativa. È: inutile aggiungere che Romano Cocchi h a dato a questa conversazione un'interpretazione favorevole al comunismo che non corrisponde per nulla alle risposte che gli ho dato. Neppure è vero che io abbia dichiarato di lasciare da parte i programmi divergenti per unirci in una semplice opposizione al fascismo, Se sono lontano dalla mia patria, è unicamente per salvaguardare le mie convinzioni morali e politiche e non per altra cosa; non le ho mai abbandonate per ottenere un successo pratico. Comme il me disait que les amis de la Jeune-République faisaient partie de ce mouvement, je lui répondis que j'ignorais que des catholiques de France ou d'ailleurs fussent à Londres pour ce congrès, mais que, quant à z o i , je n'ectendais p= y participer parce que d'abord je n'aurais pu y représenter légitimement que moi seul, parce que, ensuite, je ne voulais point passer pour ;tre à la remorque de Moscou, que j'entrevoyais derrière cette initiative. l'l est inutile d'ajouter que Romano Cocchi a donné de cet entretien une interprétation favorable au communisme et qui ne correspond nullement aux réponses que je lui ai faites. De meme il n'est pas vrai que j'ai déclaré laisser de c6té les progammes divergents ponr nons unir dans une simple opposition au fascisme. Si je BUi9 loin de ma patrie, ce n'est pas pour autre chose que pour

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(2) Movimento politico fondato nel 1911 da Marc Sangnier, dopo che Pio X, il 25 agosto 1910, aveva condannato come non conforme alle direttive ecclesiastiche il movimento del SiUon, di cui il S a n p i e r era stato il massimo ispiratore (cfr. nota 1 all'articolo n. 57). Organo del movimento della J e ~ e République, che si ispirava ai principi cattolici, democratici e repubblicani, h il periodico leune République, portavoce di idee pacifiste ed antirazziste. Il Sangnier, che partecipò alla resistenza contro il nazismo, fu, nel 1% acclamato presidente onorano del movimento repubblicano popolare.


I n materia d i libertà religiosa soprattutto sono stato molto esplicito e non h o mostrato in nessun modo di prestar fede all'affermazione d i Cocchi secondo la p a l e « la libertà religiosa esiste nell'unione Sovietica D. Non gli ho mai detto che avevo consigliato ai miei amici spagnoli di votare per il fronte popolare (consiglio che, d'altra parte, non avevo l'autorità di dar loro); ma ho detto soltanto che un gruppo di miei amici (alludevo senza nominarli espressamente, a don Angelo Ossorio ed a qualche altro) si sono astenuti dalla lotta politica. Non mi interessa di rettificare le altre affermazioni che egli ha fatto, in materia politica o tecnica, sul fascismo e la guerra d'Africa; penso di non aver potuto dare l'impressione che la caduta del fascismo fosse così imminente da dover formare così presto u n fronte popolare per l'Italia. Chi può dire quali possono essere gli avvenimenti futuri, e quale sarà il compito delle diverse correnti in Italia? È certo che i cattolici italiani non mancheranno (domani più che mai) al loro dovere d i difendere gli interessi morali e religiosi della nostra patria e di riconquistare le libertà perdute.

sauvegarder mes convietions morales et politiques: je ne les ai jamais abandonnées pour obtenir un succès pratique. En matière de liberté religieuse surtout j'ai été très explicite et je n'ai en n e n montré que je croyais à l'affirmation de Cocchi d'après laquelle la liberté religieuse existe dans 1'Union Sovietique D. Je ne lui ai jamais dit que j'avais conseillé à mes amis espagnols de voter pour le Front Populaire (conseil que je n'avais d'ailleurs pas autorité pour leur donner); mais j'ai dit seulement qu'un groupe de mes amis (je faisais allusion, sans le nommer expressément, à Don Anzelo Ossorio et à quelques autres) se sont abstenus de la lutte politique. I1 ne m'interesse pas de rectifier les autres afFirmations qu'il a faites, en matière politique ou technique, sur le fascisme et la guerre d'Afrique; je ne pense pas avoir pu donner l'impression que la chute du fascisme fiit si imminent que l'on diìt former d'ici peu un Front Populaire pour lYItalie. Qui peut dire ce que seront les événements futurs? Et quelle sera la tiche des différents courants en Italie? I1 est certain que les catholiques italiens ne manqueront pas (demain plus que jamais) à Ieur devoir de défendre les intérets moraux et religieux de notre patrie et de reconquérir les libertés perdues.


Voglia gradire, signor direttore, i miei ringraziamenti per la sua ospitalità e nello stesso tempo l'espressione dei miei più devoti sentimenti. LUIGI STUIUO Londra,

lo

aprile 1936.

(L'Aube, Paris, 2 aprile 1936).

Veuillez agréer, monsieur le directeur, mes remerciements pour votre hospitalité, en meme temps que l'expression de mes sentiments les plus dévoués Luigi Sturzo

« POPOLO, REICH, NAZIONE

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Nel « Piano d i pace del governo tedesco D ( l ) si trovano, diversamente usate, le parole popolo, Reich, nazione. Poichè i tedeschi hanno sempre nella mente una costruzione teorica alla quale riferire le loro espressioni, sarà assai utile chiarirne la portata per il lettore comune che vuole rendersi conto deI valore del documento. I1 popolo è guardato sotto due aspetti, il primo « come volontà collettiva D: il plebiscito del 29 marzo è un atto del popolo ; il governo tedesco è rappresentante del popolo ; i l Fuhrer è il popolo stesso nella persona che Io guida. L'altro aspetto è quello individuale e passivo: il popolo come amministrato al quale occorre provvedere economicamente e disciplinarmente. 11 Reich è l'organismo giuridico territoriale della Germania attuale: garantirne i diritti, fissarne l'eguaglianza con gli altri stati, scuotere ogni soggezione, modificare i trattati; tutto ciò si riferisce al Reich. La nazione è il complesso animato e attivo della razza germanica: i suoi confìni non coincidono con quelli del Reich attuale; il SUO diritto non è quello positivo e scritto, ma quello (l)

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Cfr. ì'articolo n. 78 della presente raccolta.


segnato dal sangue, Hitler eletto dal popolo è i l Fuhrer; Hitler capo del Reich è il governo; Hitler rappresentante della razza è l'incarnazione. Sbaglia il vescovo provinciale della Turingia, capo del « Deutsche Christen » nello scrivere che « l a dottrina ufficiale della chiesa evangelica di Turingia riconosce in Adolfo Hitler una reincarnazione divina, l a quale nell'ambito delle cose terrene è da mettersi sullo stesso piano coll'awento del Cristo ».Questa non è la vera teoria razziale; Cristo, volere o no, nacque da madre ebrea, Hitler è l'incarnazione della razza ariana; egli così rappresenta l a nazione tedesca. Nelle recenti elezioni del Reich, per u n valore simbolico, sono stati eletti quali deputati Jung e Krebs, fuggiti dalla Cecoslovacchia, e Habicht Frauenfeld, Proksch e Reschny di Austria. Costoro sono l à per far comprendere che la nazione non è il Reich, ma i l Reich dovrà coincidere con l a nazione. Reich e nazione debbono fabbricare la nuova Pax Germanica, si che i l popolo germanico formi unico Reich e unica nazione, La rivoluzione francese portò la guerra a tutta l'Europa in nome dei diritti dell'uomo e con il motto « libertà, uguaglianza, fratellanza n. La Santa alleanza fece la contro-rivoluzione e impose con le armi i l principio di legittimità e l'unione del trono e dell'altare. I popoli reagirono, si ribellarono, e imposero con l e armi u n nuovo ordine sul principio della indipendenza e libertà nazionale. Così sorsero gli stati autonomi e nazionali, la Grecia, il Belgio, l'Italia, l a Serbia, l a Bulgaria, l a Rumania, e la Germania fece il suo Reich. La Russia dei Soviet h a avuto l a bandiera della classe proletaria, una specie di liberazione degli schiavi, difesa con l e armi e imposta con l e armi. I1 fascismo e il nazismo han creato una mistica; anch'essi debbono imporla con le armi. I1 fascismo non può contare come conquista a l suo ideale una spedizione africana; i l nazismo non può far passare per sua gloria nazionale l a persecuzione agli ebrei o l a strage del 30 giugno. Il fascismo, il nazismo debbono conquistare al loro ideale i l resto dell'Europa, La Piccola Intesa già traballa; i K m p p di


Essen mandano i loro tecnici in Jugoslavia a impiantarvi qualche fabbrica d i cannoni; Austria e Ungheria si stringono ancora d i più all'Italia. I n Francia le destre vorrebbero un Mussolini; nel Belgio i Rex simpatizzano con i metodi fascisti; i n Inghilterra perfino dei cattolici sono iscritti ai British Fascists d i Mosley. La Spagna è divisa fra gli ideali di Mosca e quelli d i Roma. Quali ideali oppongono a tali movimenti le nazioni, i governi e i partiti democratici? Essi non possono negare il popolo, ma dovrebbero negare la demagogia popolare plebiscitaria d i Hitler e di Mussolini. Essi non possono negare lo stato ( i l Reich), ma dovrebbero negare lo stato accentratore e totalitario. Essi non possono negare la nazione; ma dovrebbero negare la deificazione della nazione e la sua natura razziale. Sventuratamente, con la negazione non si crea una mistica, non si rinnova un ideale. Occorrono elementi positivi. Libertà, uguaglianza e fratellanza, dopo un secolo e mezzo di intolleranza, disuguaglianza e inimicizia e guerra, non hanno più il significato umanitario del secolo XVIII. La legittimità fu distaccata dal trono e dall'altare e cadde secca. L'altare riacquistò la sua indipendnza dal trono, e le monarchie paternaliste finirono per dar luogo a quelle liberali, dove il re regna e non governa. I1 principio d i nazionalità ebbe la sua funzione, ma al concetto d i indipendenza oggi praticamente si è aggiunto quello dell'interdipendenza degli stati, a cui fa opposizione quello del-, l'autarchia o self-sufficiency, utopia irrealizzabile. Dopo la grande guerra sorse l'ideale della Società delle nazioni come mezzo per la pace fra i popoli; ideale presto caduto, per colpa dei paesi democratici: America che non accetta, Francia che riarma, Inghilterra che oscilla fra il si e il no, Italia che diviene fascista. Oggi si è a un bivio: Pax Germanica? Pax Genevensis? Ma prima di mettere questi due termini a confronto, e discuterli, ci si domanda: da quali ideali sono mossi i popoli democratici? La semplice negazione non basta: occorre un nuovo motto che riassuma una nuova tappa, nel cammino della uma-


nità, La pace è un bene desiderabile, ma la pace deve voler dire moralitit, diritto, organizzazione internazionale. Una nuova società europea che comprenda e superi allo stesso tempo quella del popolo, del Reich e della nazione. Londra, aprile 1936. (Popolo e libertà, Bellinzona, 15 aprile 19,36)

IL PENSIERO DI MACHIAVELLI IN FRANCIA L'ultima fase della politica estera della Francia mi h a fatto ricordare il recente volume di Albert Cherel, professore all'università di Bordeaux su La pensée de Machiavel en France (*). Essa mi è sembrata tale quale si concepisce debba essere ogni politica verosimilmente « machiavellica ». Quando in Francia si parla di fronteggiare la Germania, si ricorre a idee morali: rispetto dei trattati, osservanza della fede data, necessità della sicurezza collettiva nel diritto e nella solidarietà tra gli stati e così via. Quando si parla della guerra italo-abissina, aIlora cambia il tono. Quella non è che un'« operazione coloniale »: è n errore » avere applicato al caso la legge di Ginevra; ora bisogna adattarsi ai fatti compiuti »; perchè la vittoria « h a il suo diritto »; Mussolini sarà andato troppo avanti, ma sarebbe un torto privarlo dei « frutti del successo militare D. I1 vero machiavellismo non consiste tanto nell'atteggiamento spregiudicato verso l'dbissinia, quanto nella contemporaneità dei due atteggiamenti, il primo vestito di ragioni giuridiche ed etiche, il secondo fatto di pura politica e d i contingenza utilitaria. In quale dei due atteggiamenti potnà dirsi che sia sincero colui che li accetta contemporaneamente : nell'atteggiamento morale o in quello politico? Certo nel secondo, che non gli impedisce di avere anche il primo, il quale perciò stesso perde il suo carattere morale per divenire anch'esso un altro lato dell'atteggiamento politico. (*) L7artisan du Lime

17. - Smnzo

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- 2, m e de Fleurus, Paris.

~fiscelianeaLondiness

- 111.


La moralità dell'atteggiamento verso la Germania è cosi solo una copertura; non è una convinzione, perchè se lo fosse renderebbe impossibile tale atteggiamento verso l'dbissinia. E questo è del machiavellismo u allo stato naturale D, senza le sofisticazioni ipocrite di un Tartufo e senza le attenuazioni formalistiche della burocrazia ginevrina. Tra la fine del secolo XVI e il principio del XVII, le opere di Machiavelli furono conosciute in Francia e l a reazione u moralistica n fu generale i n tutti gli scritti del tempo; si arrivò ad attribuire a Machiavelli tutti gli orrori della politica di allora; però, a guardarvi nel fondo, essi facevano come colui che vuole evitare il peccato ma non ne allontana le impressioni seducenti. Fu così che ciò che Machiavelli chiamava verità effettuale, cioè quella che attuata reca i suoi effetti, fu nominata ben « raison d'état n: le parole sono diverse ma significano due lati della stessa cosa. I tedeschi, dopo altri due secoli, trovarono un'altra frase, Realpolitik: un terzo lato della stessa cosa. I n questi motti così pregnanti si può tradurre tutta la teoria machiavellica dello stato. Flandin (l) mira ad avere allo stesso tempo l'amicizia e l'aiuto dell'Italia e della Gran Bretagna, onde fronteggiare il pericolo hitleriano; la sua verità efettuale è la moralità del diritto e la santità dei patti, Ma non potrebbe a m v a r e a ciò senza sacrificare I'Abissinia. Ii sacrificio di qrre!la a: gente barbara n è richiesto dalla ragion di stato. Per tener buono il governo della Gran Bretagna bastano i piccoli passi che si fanno a Ginevra, sul terreno giuridico e sanzionistico: la Francia non viene meno ai suoi obblighi verso la Società delle nazioni; sotto questo titolo Flandin p o t ~ àrivolgersi a Londra per applicare (se occorre) le sanzioni contro la Germania: questa è la vera Realpolitik. Il consiglio di Charron qui vale qualche cosa: u Pour gar-

( l ) Piene-Étienne Flandin (n. 18831, uomo politica fxzncese, connervatore. Deputato e più volte ministro, presidente del consiglio dal 1934 al 1935. Fautore di una politica arrendevole verso Hitler, fece parte, come mi. nistro degli esteri, del governo Pétain, ma i tedeschi lo costrinsero a dimettersi, sotto l'accusa di non collaborazionismo. Aderì in seguito alla resistenza. Si veda i1 suo Politique frawaise 1919-1940, Paris, 1947.


der justice a u r choses grandes il faut quelquefois s'en détourner aux choses petites a. Flandin è della stessa opinione di Charron: assicurare la giustizia contro la Germania (cosa grande), allontanandosi dalla giustizia verso 1'Abissinia (cosa piccola). I1 bibliotecario del cardinal Mazzarino (Gabriel Naudé) che si appella all'autorità di Charron, nota per suo conto, interpretando il pensiero del gran cardinale, che ci sono due sorte d i prudenze, una ordinaria e facile, l'altra difficile e straordinaria. Luigi XI, che usò la seconda prudenza, dice Naudé: « fut le plus sage et avisé de nos rois a. Infatti, senza una simile prudenza la notte di S. Bartolomeo sarebbe fallita, come sarebbe fallita l'uccisione dei Guisa! Così secondo quel buon uomo del secolo XVIII si giustificano all'interno certe « actions hardies » che si chiamano colpi d i stato, e all'esterno certe alléances scandaleuses N. Chi ama sapere quali buoni insegnamenti abbia dato Machiavelli ai francesi, e come gli uomini più zelanti di quel tempo e di appresso abbiano reagito e come gli uomini politici se ne siano scandalizzati, pur mettendoli in pratica più spesso che non si creda, legga il libro di Albert Cherel, Londra, 27 aprile 1936.

(Popolo e libertà, Bellinzona, 4 maggio 1936).

LA SPINTA COMUNISTA

, E GLI ELETTORI CATTOLICI DI FRANCIA L'illustrazione Vaticana dell'l-16 maggio, commentando l'esito delle elezioni francesi, si sofferma sull'atteggiamento dei cattolici quale espresso in due libri recenti: uno dell'abate Lallement ( « Principes catholiques d'action civique n) e l'altro di Pierre Henri Simon ( a Les catholiques, la politique et l'argent a), manifestando una certa inquietudine sul sistema strettamente individualista e casuistico della loro politica elettorale.


L'articolo è chiuso con questo periodo: a Questo libro (quello del Simon) illustra la situazione dei cattolici costretti per mancanza di una propria formazione politica a dosare il loro contributo e a spezzettarlo in un individualismo infecondo. Ma esso dà anche un'idea di quello che deve essere stato l'atteggiamento della gran massa moderata, facile preda delle parole d'ordine che sono lanciate all'ultimo momento nel fervore della campagna elettorale ». Di fronte alla gran massa dei cattolici individualisti, o legati alle situazioni locali, al di fuori delle correnti politiche, e di quegli altri che si sono lasciati attirare a destra o a sinistra dalla posizione obbligata dei due fronti, il piccolo nucleo dei democratici popolari fa la figura dei pochi venuti salvi dal naufragio. E d hanno ben meritato questa ventura con il loro coraggio a combattere in condizioni d'inferiorità, non ostante le riserve che possono e debbono farsi per la loro condotta in questa o quella circoscrizione. Avere potuto raccogliere circa 300.000 voti è indizio di una base discretamente sicura per un prossimo avvenire. Ad una condizione però, che il lavoro di organizzazione della gioventù e di penetrazione della classe lavoratrice e di sviluppo della stampa politica, propria e affine, sia fatta con criterio, con continuità e con fiducia. P u r non potendo bene conoscere in dettaglio le varie posizioni dei collegi politici, dove i democratici popolari hanno vinto nel primo turno o nel ballottaggio, si può fare una classifica approssimativa : 1) i collegi dove il lavoro organizzativo e di stampa è inteso come i n Alsazia ; 2) quelli dove si hanno discreti organismi e una tradizione politica indipendentemente dalla persona del candidato; 3) quelli infine dove il candidato democratico popolare per le sue doti personali trascina a sè molti cattolici e anche certe zone d'indifferenti, sì che il suo successo diviene un successo del partito. È evidente che, se si applicasse la proporzionale, la situazione fondamentale sarebbe quasi identica, con guadagni solo nella seconda categoria. Perchè la prima sarebbe già satura per


la forza dell'organizzazione esistente; la terza non offrirebbe possibilità d i aumentare il numero dei posti se non nel caso d i avere diversi candidati in buone posizioni elettorali personali nei vari posti della circoscrizione ampliata. L'unico vantaggio possibile sarebbe quello di addizionare all'unico candidato serio i voti di altri popolari estranei al nucleo municipale, che altrimenti andrebbero dispersi. Ma poichè questo vantaggio sarebbe uguale per tutte le liste, la chance di risultato sarebbe limitata, Invece nella seconda categoria il vantaggio sarebbe tanto più evidente quanto più numerose sarebbero le minoranze locali che si potrebbero coalizzare in una lista proporzionale. Ho accennato a ciò, perchè molti in Francia credono che la proporzionale sarà l'unico mezzo per far fare al partito democratico-popolare u n gran balzo in avanti. Un balzo sì, un gran balzo, a condizione di un grande lavoro organizzativo in intensità sul piano provinciale. Questa esperienza ho avuto in Italia. Prima della proporzionale e con gli impacci del non-expedit tuttora vigente, ma dispensato caso per caso ( l ) i cattolici arrivarono alla camera in 23 ; 16 dell'alta Italia, 4 dell'Italia centrale, 3 del mezzogiorno e isole. Formato il partito popolare nel 1919, applicata la proporzionale e abolito interamente il non expedit, avemmo quel che ci meritavamo, secondo il lavoro organizzativo in intensits: cioè 57 nell'alta Italia; 24 nell'Italia centrale; 18 nel mezzogiorno e isole. Ma allora noi avevamo organizzato un partito con trecentomila iscritti e con un milione e duecentomila elettori. Una confederazione sindacale dei lavoratori, che allora contava circa seicentomila iscritti, una federazione di casse rurali e altre cooperative di circa tremila. Ci faceva difetto la stampa d i partito; si ebbe allora il largo appoggio dei quotidiani cattolici che fecero un buon servizio d i propaganda. Ecco il bilancio. Senza volere essere ufficialmente partito cat(l)

Si riferisce alle elezioni politiche del 1904 (cfr. nota 6 all'articolo

n. 35 della presente raccolta).

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tolico, senza volere monopolizzare le opere cattoliche e l'azione cattolica (tutti organismi che non fanno e non debbono fare politica elettorale e di partito), è ossib bile andare verso le masse, non con le mani vuote e con le parole e i discorsi solamente, ma con opere pratiche a loro vantaggio materiale e morale e con u n programma netto, chiaro e ardito. Ci sembra che qualche volta i popolari francesi non sappiano prendere le occasioni per farsi sentire fuori delle loro simpatiche assemblee, sia i n parlamento, sia sulla stampa. Ma ora u n compito grave è sulle loro spalle: mantenere intatta la posizione d i centro e stendere la mano alla classe operaia. La spinta comunista deve insegnare qualche cosa a loro, e molte cose ai cattolici... individualisti e più ancora a quelli rimorchiati a destra o a sinistra. Londra, 12 maggio 1936. (Popolo e libertà, Bellinzona, 18 maggio 1936)

PACE CON LIBERTA' Tutti dicono d i volere la pace, e potranno essere sinceri; non tutti però vedono u n nesso necessario fra la pace e l a libertà, sì da non poter concepire la pace che con la libertà. Una nuova iniziativa è i n corso qui a Londra che mira a rendere popolare ed evidente questa concezione e a spingere il governo ad adottarla; perciò i promotori hanno preso questo motto come divisa: Peace with Freedom. Un manifesto sarà pubblicato fra poco. Fra le firme più note vi sono: sir Norman Angell (premio Nobel), sir Walter Citrine (capo delle Trade Unions) (l), Winston Churchill (ex-cancelliere e d ex-capo dell'ammiragliato), lord Melchett, lady Violet Braham, miss Margaret

( l ) Sir Walter Mc Lennan Citrine (n. 1887), attraverso un curriculum nelle Trade Unions, raggiunse successivamente le cariche di segretario generale (1926) e di presidente della federazione internazionale (1928).


1 \

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Bonfield (ex-ministro e deputato ai comuni), mr. Wickham Steed (ex-direttore del Times)(=)ecc. Essi scrivono: Tanto l'efficienza della Società delle nazioni quanto gli ideali ai quali essa doveva servire, sono stati ora danneggiati. Un sistema dittatoriale (of unfreedom) ha trionfato sopra u n debole stato membro della lega con metodi che disonorano la civiltà. In Germania un identico sistema ha creato una gigantesca macchina da guerra, violando i trattati, perseguitando le minoranze di religione e di razza, abolendo i diritti di libera iniziativa fra i lavoratori e gli altri cittadini, calpestando ogni principio cristiano. Tali sistemi politici e i loro metodi non possono non condurre alla guerra a meno che non vi si faccia fronte, insieme con risolutezza e azione, da parte dei popoIi liberi D. La concezione è netta: di là stati totalitari che portano alla guerra, di qua popoli liberi che difendono la pace. È questa una concezione realistica? Su quali basi si potrà edificare, così, una pace stabile e duratura? Ecco il problema che si presenta alla mente dopo la lettura del manifesto di Peace with Freedom, richiamandovi l'attenzione di quanti si preoccupano delle sorti della disgraziata Europa. Oltre a questa concezione ve ne sono altre due: quella irenica (o ironica?) dell'embrassons nous e la Realpolitik del fronte di Stresa, L'unione d i tutti gli stati sopra una nuova base internazionale è stata concepita da Hitler, dopo il colpo del 7 marzo, con il suo piano per 25 anni di pace. Ci voleva poco a capire che il (2) Henry Whickham Steed (1871-1956), corrispondente del Times a Berlino, Roma e Viema negli ultimi anni del primo anteguerra, aveva acquisito notevole esperienza degli affari politici centroeuropei. Dal 1914 al 1919 è primo redattore di politica estera del Times; direttore dal 1919 al 1922. Dal 1925 al 1938 è insegnante di storia dell'Europa Centrale al King's College di Londra. Dopo aver favorito alla fine della guerra mondiale intese tra le nazionalità dello stato absburgico in dissolvimento, difese il sistema ginevrino e di Versailles con tanto maggior vigore quanto più la ripresa tedesca e l'indebolimento delle democrazie minacciavano gli stati successori e l'equilibrio europeo.


piano di Hitler e ia sua pace sono troppo germanici, cosi come il piano Flandin i n contro-progetto è troppo francese. Ma, a parte ciò, una pregiudiziale gravissima rende impossibili questi piani: cioè la mancanza di fiducia nella Germania hitleriana, che dopo aver violato il trattato d i Versailles nel 1935 e il patto d i Locarno nel 1936, non può ottenere credito d i osservare altri patti, se non dà una prova reale della sua nuova buona volontà di sottostare ai patti liberamente contrattati. Si domandò u n minimo di questa prova, il ritiro simbolico delle truppe di occupazione dalla zona smilitarizzata. No: la Germania non s'inchina, non cede, non può che imporre la sua volontà con la forza, con i fatti compiuti. Inghilterra e Francia a malincuore hanno ceduto ( d i fatto, se non in principio) e l'Inghilterra ha sottoposto a Hitler un questionario pratico, per conoscere fino a qual punto si potzà contare su di lui e quali sono le sue vere mire e le sue recondite intenzioni. Hitler non solo non ha risposto, ma sembra non abbia voglia di rispondere: se messo alle strette, forse finirà col dare una risposta, che non potrà che essere incompleta, reticente, insincera. Lo stile del Fuhrer è noto. Quando tutto s a r i calmo e nessuno si aspetterà una novità qualsiasi, egli co1pir.à improvvisamente u n punto nevralgico della situazione; nuove proteste, colloqui, domande, piani del futuro a condizione che il nuovo fatto compiuto, non si metta più in discussione. Fronte di Stresa: Francia, Inghilterra e Italia rimesse in linea per tenere a posto la Germania e impedirne gli sbandamenti. Due difficoltà assai gravi. Primo, l'Italia per ritornare al suo posto nel fronte di Stresa esige il ritiro delle sanzioni e un lasciapassare per il suo fatto compiuto i n Abissinia. Quale valore morale avrà il detto fronte, ricostituito solo per impedire i fatti compiuti della Germania, nel momento stesso che Francia e Inghilterra acconsentirebbero al fatto compiuto dell'Italia? Nessun valore morale, solo una coalizione politico-militare. La conseguenza logica sarà la disfatta morale della Società delle nazioni e lo sbandamento degli altri stati, specialmente i piccoli (Olanda, Belgio, Svizzera, Paesi Scandinavi, Piccola Intesa), che non avranno nessun interesse a secondare una politica d i fronte militare anti-germanico per fare piacere alla Francia e all'Inghilterra.

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Ma di più, l'Inghilterra potrà prendere una posizione antitedesca come nuovo fronte di Stresa, quando verrebbe meno la sua base di Ginevra? Data l'opinione pubblica inglese, sarà impossibile una tale politica. Oggi solo i nazionalisti e i reazionari francesi la sostengono senza vedere la sua intrinseca impossibilità. Lo stesso Mussolini si guarda bene dal parlare, nelle sue interviste, del fronte di Stresa; egli, dopo aver veduto, nel periodo delle sanzioni, la collaborazione economica della Germania, non vorrà prendere verso di essa u n atteggiamento ostile. Egli invece tende al solito patto a quattro, che sarebbe un patto a cinque con la Russia, o un patto a sei con la Polonia. Ma un simile patto sarebbe la fine ingloriosa di Ginevra. Parecchi dicono che la Società delle nazioni è i n fallimento: quali che siano le decisioni prossime sul caso italiano, non le sarà più possibile difendere lo stato aggredito contro lo stato aggressore, nè mantenere il principio del non riconoscere, direttamente o indirettamente, il fatto compiuto. Ecco perchè domandano a gran voce di modificare lo statuto, abolirne l'articolo 16 (quello delle sanzioni) e ridurre Ginevra ad un'accademia. A contrastare questa tendenza disfattista è sorta la Peace with Freedom; tendere a unire tutti i paesi dove c'è la libert,à, per sostenere il principio di una pace fondata sul diritto e sulla morale. I1 patto della Società delle nazioni stabilisce all'art. 2 che sarà membro quello stato, dominio o colonia, che si governa liberamente, « pourvu qu'il donne des garanties effectives de son intention sincère d'observer ses engagements internationaux et qu'il accepte le règlement établi par la Société en ce qui concerne ses forces et ses armements militaires, navales et aériens ». Fra l e premesse del patto sta scritto: « Faire regner la justice et respecter scrupuleusement toutes les obligations des traités dans les rapports mutuels des peuples organisés D. Torniamo allo spirito e alla lettera del Covenant, ch'è Peoce with Freedom; cioè pace basata sul diritto e sulla moralità. Quelli che ci stanno ne siano i membri; gli altri no. Vale più una lega omogenea, sicura, attiva, morale, con iniziative nette


e franche, che un'accolta d i stati che non sanno quel che vogliono, nè quel che possono, nè dove vogliono arrivare, divisi fra l'idea del diritto e il predominio delia forza. Londra, giugno 1936. (Popolo e libertà, BelIinzona, 6 giugno 1936).

« POLITICA ANZITUTTO » O

MORALE ANZITUTTO »

Questo dilemma può porsi sia nel caso i n cui si pensi che la politica è indipendente dalla morale, sia nel caso i n cui un atto politico, pur essendo giudicato non morale, sarebbe ritenuto necessario e si moralizzerebbe in virtù della necessità. I1 primo caso non può essere quello di un cristiano, meno ancora di un cattolico praticante, perchè la professione di cristianesimo impedisce che un'azione umana, qualunque sia (fosse anche politica) possa essere ritenuta fuori della morale; ogni azione è buona o cattiva; per il cristiano non vi sono azioni indifferenti o extra-morali; anche le azioni più semplici e più naturali, mangiare, dormire, vestirsi, rientrano nel ciclo della moralità. Si è condannato i1 « politique d'abord » de L'Action Francaise, considerata come fuori e al di sopra della morale. Rimane il secondo caso: che un'azione politica, p u r essendo giudicata d i 'per sè non morale, si giustifichi per la sua necessità: esiste veramente tale caso in morale? Questo il problema nei suoi termini estremi. Coloro che sostengono la tesi che « il fine giustifica i mezzi D, credono di evitare la giustificazione della politica, presa i n sè, cercando questa giustificazione nel fine. Ma questa tesi ha subito tante riprovazioni e condanne che nessuno osa sostenere a viso aperto che il fine giustifica i mezzi; i nemici della chiesa attribuivano tale massima ai gesuiti per trovare un motivo di più per ravvivare vecchi rancori contro la compagnia. Resta il tema della necessità. F u la frase del cancelliere tedesco nel 1914: « La necessità non ha legge », che seguì l'altra frase, più celebre ancora; u I trattati sono pezzi d i carta! 11.

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L'opinione pubblica si indignò; nessun moralista h a mai potuto approvare parole tanto ciniche. Queste vecchie e semplici idee ritornano d'attualità, appena qualche mese dopo la guerra dell'Italia all'Abissinia, a proposito della guerra civile di Spagna (l). « Politica anzitutto « o morale anzitutto D? I cattolici e il clero che, i n Spagna, prendono partito sono in maggioranza con gli insorti, i n minoranza con i governativi; dalle due parti si combatte. La maggioranza partecipa attivamente all'insurrezione; così l e viene dato i l carattere di guerra d i religione, di liberazione dalla tirannia anticlericale, di crociata anticomunista. I fini sono buoni, ma i mezzi: insurrezione, guerra civile senza pietà, partecipazione d i truppe islamiche del Marocco, ripugnano a una morale comune. Ci si chiede allora se è una necessità che ha spinto gli spagnoli a insorgere. Due ricordi storici: i primi cristiani non furono trattati dai loro imperatori romani meglio dei cattolici spagnoli da parte del Frente Popular. La teoria della non resistenza al male, sul terreno della forza, prevaleva allora; oggi prevale l a teoria della resistenza con la forza. Allora: « morale anzitutto)) ; oggi: « politica anzitutto D. Altro esempio recente: i cattolici francesi sottomessi alle leggi anticattoliche di Combes (che non erano migliori di quelle della repubblica d i Azafia (') dopo una prima resistenza con dimostrazioni pubbliche, si posero sul terreno morale e legale, la,varando perchè tali leggi fossero modificate e attenuate; molti furono in favore della divisa: a morale anzitutto, politica poi D. Così arrivarono a un periodo di calma; nell'attesa hanno riorganizzato le chiese e le parrocchie, ricostruito seminari diocesani (1) I1 17 luglio 1936 era scoppiata nel Marocco spagnolo la rivolta miIitare del generale Francisco Franco, che si sarebbe rapidamente estesa al t e m t o n o metropolitano, portandovi la guerra civile. (2) Manuel Azaiia y Diaz (1880-1940), uomo politico e pubblicista spagnolo, fondatore nel 1934 del partito della sinistra repubblicana; dopo la vittoria del fronte popolare nelle elezioni del febbraio 1936, fu eletto presidente della repubblica il 10 maggio. La sua politica suscitò la reazione dell'estrema destra franchista che condusse poi alla guerra civile.


e conventi, ripreso sul terreno della cultura e della propaganda religiosa uno.dei posti migliori fra i cattolici degli altri paesi. I cattolici spagnoli non potevano aspettare - nel sacrificio, nelle proteste pubbliche, nel lavoro organizzativo, servendosi di quel poco di libertà che era loro consentito - il momento del ritorno a un'intesa o della ripresa di una maggioranza parlamentare, conquistata non con facili elezioni in un sistema elettorale ingiusto e con coalizioni compromettenti, ma con un lavoro sociale presso le masse e per effetto di convinzione? Spesso non si h a la pazienza che Dio ha con noi e si cede alla tentazione. È venuta la tentazione, quella dei generali: un'insurrezione con sicuri appoggi all'estero, una vittoria facile con il trionfo della dittatura internazionale: quale tentazione per molti, anche in buona fede! Ora in Spagna vi son mucchi di cadaveri, una guerra di religione, una guerra di dittature. Chi potrà ormai pensare alla pacificazione della Spagna ! Passiamo dalla parte delle minoranze cattoliche. Le provincie basche sono con il governo di Madrid, pur essendo provincie cattoliche, poichè esse credono possibile ottenere dal Frente Popular l'autonomia basca: cosa impossibile, se i generali vinceranno. cc Politica anzitutto D! Essi giustificano il loro atteggiamento allegando che difendono il governo legittimo. Ma un governo può dirsi legittimo quando è prigioniero delle masse armate, comuniste e anarchiche? I1 governo attuale non è più lo stesso d i quello uscito dalle elezioni generali. I1 mazziere di Madrid, don Angelo Ossorio y Gallardo, cattolico, democratico-cristiano, fondatore nel 1919 del partito popolare sociale, uomo eminente nelle scienze giuridiche, come altri preti e laici, sono per il governo centrale; le ragioni del loro atteggiamento sono da ricercare nell'avversione per ogni collusione della chiesa con i militari, fascisti e reazionari; ma non possono negare gli orrori della persecuzione anticattolica prima e dopo l'insurrezione, nè la situazione anarchizzante della Spagna legale. Essi pretendono tuttavia di giustificarsi: l'insurrezione non è lecita fuori delle condizioni segnate dalla teologia scolastica: bisogna cioè aver esaurito tutti i mezzi pacifici e l'accordo dei

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cittadini deve dare una garanzia di successo. Così pensa S. Tommaso. Nel caso della Spagna, nè l'una nè l'altra condizione si erano avverate. Da una parte, le relazioni diplomatiche esistevano ancora fra il Vaticano e Madrid e tutte le speranze non erano perdute; dall'altra parte, si chiedeva ai cattolici di togliere la loro solidarietà al movimento fascista che provocava assassini con la violenza scatenata. Del resto, essendo il paese diviso in due parti sul terreno politico e sociale, non era passibile un facile successo dell'insurrezione, mentre si poteva prevedere l'entrata in una guerra civile. La guerra civile era lecita? Fuori della Spagna non mancano cattolici che prendono posizione in favore degli insorti; gli orrori sacrileghi commessi dalle folle sono tali e così numerosi che istintivamente si pensa che la salvezza e l'ordine verranno dall'altra parte, Ma bisogna tener conto anche, in questa terribile esperienza di sangue, degli eccessi commessi dalle truppe insorte. Gli operai detti marxisti passati a fi1 di spada? La repressione che h a fatto seguito alla presa di Badajoz? Gli eccessi delle truppe marocchine contro le popolazioni senz'armi? Gli ostaggi messi a morte anche dalla parte degli insorti? La guerra civile h a due aspetti: la giustizia vuole che si riprovino gli eccessi commessi dall'una e dall'altra parte; che non si dia agli insorti un carattere religioso che essi non hanno e non possono avere ( p e r le ragioni indicate più sopra) e d i cui essi traggono u n vantaggio politico. La chiesa è soltanto dalla parte delle vittime innocenti, cadute da una parte e dall'altra dei due fronti ; essa è solo con colui che soffre, perchè soffre; con colui che muore, perchè muore, dai due lati; essa è anche con coloro che sono trascinati all'odio fanatico contro la religione per ignoranza, per assenza di formazione religiosa, per smarrimento; è con essi perchè fino all'ultimo respiro essi pure hanno un'anima da salvare. La chiesa non maledice i suoi persecutori, ma prega per essi ; non li uccide, ma cura l e loro piaghe; non si arma e non arma gli altri; ma predica la pace per tutti; là solamente è la chiesa. I n questa tormenta di fuoco e di sangue sono già fioriti martiri innocenti, donne e bambini, religiosi e religiose, giovani novizi, boy-scouts e vecchi preti morti per gli sbagli altrui. Il


loro sacrificio e il loro sacrificio soltanto sarà giovevole alla Spagna d i domani, poichè non si sono macchiati le mani di sangue, ma hanno dato' il loro sangue in olocausto e pregando Dio. Londra, settembre 1936.

(L'Aube, Paris, 6 settembre 1936).

84 BIS SEGUITO A u POLITICA O MORALE ANZITUTTO

1)

I1 mio articolo sugli avvenimenti spagnoli, pubblicato su L'Aube del 6 settembre e sul Catholic Herald (Londra) dell'll settembre, mi è valso molte approvazioni da parte di cattolici che si augurano di sentire una parola chiara. Fra le diverse Iettere che ho ricevuto, me n'è arrivata una (inviata da un parroco al direttore dell'dube) il cui firmatario crede che io sia caduto « nelle zone pericslosc del tolstoismo e del disfattismo a e che io abbia commesso « una riprovevole confusione d i politica e morale ». Dato l'atteggiamento di certi giornali di destra diffusi fra i cattolici francesi, mi sembra cipporkno di pubblicare sii L'Aube la parte principale di una risposta che ho indirizzato al Catholic Herald in seguito a una critica del mio articolo fatta dal reverendo don Alphonso de Zulueta. I1 punto essenziale che mi separa da don Zulueta, è la sua affermazione che la guerra civile di Spagna ha il carattere d i una crociata. Io le nego questo carattere. Ho dalla mia parte L'Osservatore Romano; il quale, i n u n articolo (non firmato) del 18 settembre, scrive: u Nel conflitto spagnolo, nella sanguinosa guerra civile che affligge tanto il cuore del Padre, la posizione dei cattolici è una posizione di difesa Se si riconduce tutta la controversia ai falti, si otiserva che all'indomani ( l a sottolineatura è mia) di un pronunciamento di carattere nettamente militare che era scoppiato in Marocco, la folla rivoluzionaria assalì le chiese, commise dei sacrilegi, mise a morte vittime innocenti che, in modo evidente (sono ancora

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io a sottolineare) non potevano avere alcun legame con le rivalità politiche portate sul terreno della guerra civile.. ». L'Osservatore Romano prosegue : Cosa potevano allora fare i cattolici per mantenere i diritti naturali della loro fede e del loro culto? Difendere e restaurare. Esercitare il diritto di legittima difesa, di difesa della loro stessa vita ». L'Osservatore Romano distingue tre fatti : 1 ) il pronunciamento e la guerra civile a scopi politici; 2) lo scatenarsi delle masse rivoluzionarie contro le chiese, il clero e i fedeli; 3) la legittima difesa di questi. A proposito della legittima difesa, L'Osservatore Romano, dopo aver riprodotto le parole pronunciate dal Papa nella sua allocuzione del 14 settembre, aggiunge: Ecco fissate l e ragioni e i limiti dell'azione dei cattolici in aiuto della loro fede, Il diritto di difesa, diceva un anno fa il Santo, Padre i n altra occasione, h a dei limiti e comporta una moderazione che bisogna rispettare perchè la difesa sia irreprensibile. Lo stesso principio è oggi confermato quando si benedicono coloro che hanno versato e sono pronti a versare i l loro sangue per la fede. E non soltanto essi, ma anche coloro che, per un miserevole accecamento, odiano la fede... a. I1 richiamo alle parole del Papa pronunciate l'anno scorso, a proposito della guerra d'Italia contro l'Etiopia, non è senza intenzione. Chiunque non vive nelle nuvole comprende che I'ipotesi della legittima difesa applicata all'Italia non poteva comportare la totale conquista dell'awersario. Parabola significat. I1 reverendo A. de Zulueta, per giustificare l'idea di una crociata, parte da un punto di vista inverso di quello dell'osservatore Romano. Ai suoi occhi si tratta di un movimento nazionale e patriottico appoggiato dall'esercito. Il pronunciamento si giustifica come l'esercizio di un potere che avrebbe i l compito di mettere ordine nel paese, anche nei confronti del governo legittimo, il quale aveva perduto r rima del pronunciamento) a ogni diritto al rispetto e all'obbedienza ». La teoria cattolica tradizionale è assolutamente contraria a una simile tesi. I1 celebre gesuita Victor Cathrein, nella sua Philosophia moralis (ed, 1880), distingue due tipi di resistenza

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contro l'autorità dello stato : la resistenza ojeensiva e la resistenza difensiva. La prima non è mai lecita; la seconda è lecita i n determinate circostanze, ~ u r c h è ci si limiti a difendersi contro aggressioni attuali B. (& Cathrein che sottolinea). Egli cita il card. Zigliara (uno dei più grandi moraIisti del XIX secolo): u Quo in casu non resistitur auctoritati, sed violentiae, non juri, sed juris abusui, non principi, sed injusto aggressori proprii juris in actu aggressionis n. Ma ciò a una condizione, molto importante, e cioè che una tale resistenza - dice Cathrein - possa esercitarsi senza provocare mali più grandi per la collettività ». Questa riserva a proposito di un danno più grave comune si trova nella Summa Theologica di S. Tommaso d'dquino (2-2; q. 42; a. 2 ; ad 3). Chi potzà negare che la guerra civile attuale in Spagna sia un male di p e s t o tipo, un male le cui conseguenze morali e religiose (senza parlare delle conseguenze sociali, oli ti che e materiali) saranno tali che bisognava evitarla ad ogni costo? Leone XIII ha molto bene elencato casi analoghi nella sua enciclica Quod Apostolici del 2s dicembre 1878, in cui si scrive: « Se capita tuttavia ai principi di eccedere temerariamente nell'esercizio del loro potere, la dottrina cattolica non permette di insorgere da sè contro essi, per paura che la tranquillità delI'ordine non sia sempre più turbata, che la società nrcin ne riceva un più grave danno. E, quando l'eccesso è arrivato al punto che sembra non esserci più alcuna speranza di salvezza, la pazienza cristiana insegna a cercare il rimedio nel merito e in incessanti preghiere a Dio n. Dunque nessun crociata, nessuna guerra santa. La chiesa cattolica non è una parte in lotta nella guerra civile d i Spagna. Operai e contadini spagnoli ( è un inglese ben informato che me l'ha riferito) dicono, vedendo gli aerei nemici: « Ecco gli aerei del Papa! D, e vedendo i mori, dicono: u Ecco i soldati del Papa! 1). Come si potrà gridare alla mistificazione, se si sostiene la tesi della guerra santa? In verità, il conflitto spagnolo attuale è cominciato, come lo dice L'Osservatore Romano, come un pronunciamento di carattere nettamente militare che portava le rivalità politiche sul terreno della guerra civile. In essa si è inserita l'offensiva reli-


giosa e la difesa delle chiese e dei conventi. La guerra è divenuta oggi una guerra ((sociale 1) che tende allo sterminio dell'avversario. Ciò che oggi bisogna augurarsi e sperare (cooperandovi secondo le nostre forze) è la cessazione dell'inutile strage (come Benedetto XV ha definito la guerra) con un piano di conciliazione politica e sociale a lunga portata ('). (L'Ade,

Paris, 3 ottobre 1936).

(l) A seguito di altre critiche, e del giudizio d i padre A. de Zulueta il quale scriveva: a Una volta ancora, questo è un movimento nazionale e patriottico, con l'appoggio delle armi D, il Catholic Herald pubblicava questa lettera di Sturzo, facendola seguire da un commento redazionale e da un'altra lettera, sull'argomento, di un ex-combattente: «Poche parole per rispondere ad altre critiche. L'A. dell'articolo di fondo del 18 settembre attacca la mia teoria della pazienza e non-resistenza, segnando una distinzione fra la posizione dei primi cristiani e quelli di oggi. Fategli leggere l'enciclica di Leone XIII già citata, del 28 dicembre 1878. a La stessa risposta serve per mr. Dawson. Il caso di Carlo Sotelo non ha certo reso legale il pronunciamento né lo scatenarsi della guerra civile. a Don Giovanni d'Austria e Giovanni Sobieski, citati da p. M. Northcote, vinsero i Turchi in guerra di difesa, e non hanno nulla a che vedere con l'insurrezione e la guerra civile in Spagna. « A proposito della questione se e in che modo le teorie e la pratica del fascismo sono state condannate, voglio chiedere al padre Webb di leggere e meditare l'enciclica di Pio XI « N o n abbiano bisogno n, del 29 giugno 1931 D. Luigi Sturzo

(Dubitiamo che vi sia una divergenza fra padre Zulueta e don Sturzo così grande come quest'ultimo sembra pensare. Mentre può essere possibile segnare una distinzione teorica fra la difesa della fede (benedetta dal papa, come don Sturzo ammette) e la difesa della società nazionale, in pratica le due cose si combineranno di fatto, in genere. Inoltre i cattolici sono anche cittadini, e mentre il Papa naturalmente si riferisce alla lotta per la fede, poiché non è suo compito prendere posizione circa l'aspetto civile del conflitto, i cattolici individui cittadini devono prendere le armi nella concreta lotta per la religione, il paese e l'ordine. Nella misura in cui tale cittadino realizza coscientemente che sta lottando per preservare la sua fede, che di fatto è esternamente unita con l'ordine sociale del suo paese, egli è certamente autorizzato a chiamare la sua lotta una a crociata n. La difesa dell'Europa contro i Turchi comportava chiaramente la difesa della società e della cultura europea, come pure della religione europea. Lepanto non ha salvato soltanto la cristianità, ma YEu. ropa. - Editor).

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18. - S~unzo Miscellanea Londineie

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LA CHIESA D I SPAGNA DI DOMANI (*) Quale sarà l a posizione della chiesa di Spagna dopo la cessazione della guerra civile? Se prevarranno gli insorti, come sembra probabile, sarebbe facile a l clero e a i cattolici che li hanno sostenuti identificare l a causa dei vincitori con quella della chiesa. Al contrario, se prevalessero i governativi e l e masse popolari, l a chiesa sarebbe guardata come la nemica da tener schiava. Ma l a Spagna non è identica da un capo all'altro, e manterrà l e sue differenze e, le sue preferenze, quale che sia l'esito della guerra civile. Per gli insorti sarebbe impossibile l a sottomissione completa della Catalogna e delle provincie basche, tranne che col terrore; come per gli avversari sarebbe impossibile domare la Navarra. Nè è a credere che la prevalenza dell'una parte (quale essa sia) porterà la pacificazione della Spagna. I1 ricordo della guerra civile, con l e sue divisioni irreconciliabili, con i massacri inauditi, con gli odii profondi, non si estinguerà in un giorno. I n tale situazione, l'unica che potrà influire alla pacificaSignore, posso suggerire ai numerosi lettori che sono interessati nelle repliche all'articolo d i don Sturzo sulla politica e moralità, di rileggere, dopo aver purificato per quanto possibile il loro spirito da ogni nozione preconcetta, i quattro Vangeli, con particolare attenzione allo «spirito D e all'atteggiamento generale d i Nostro Signore come si manifesta nelle Sue parole e azioni, e le loro circostanze. Poi, sempre con animo aperto, rileggere attentamente l'articolo d i don Sturzo e le cinque lettere su di esso nel numero d i questa settimana del Catholic Heraid. E poi, con calma, tranquillità e senza emotività, formarsi una opinione su quale, l'articolo o la corrispondenza, è maggiormente in accordo con lo spirito di Cristo. Non dico che o l'articolo di Sturzo da una parte, o le lettere dall'altra, siano non cristiani: dico colo, che uno di essi è notevolmente più cristiano dell'altro. Un ex-combattente (Catholic Heraid, 16 ottobre 1936) (*) Pubblicato col titolo: u La funzione dei cattolici domani D.


zione degli animi, con un'azione delicata, seria e costante, sarà proprio la chiesa. Odiata e perseguitata dalle masse anarchiche e da governanti irreligiosi; adulata e sostenuta dagli insorti e nazionali, la chiesa non potrà darsi agli uni, n è erigersi antagonista degli altri, ma deve fare opera di mediazione fra vincitori e vinti, Per tale missione pacificatrice della chiesa, occorre che il clero e i dirigenti cattolici (quale siano state hinc et inde le simpatie d i ciascuno i n articola re) non solo si disimpegnino dalla politica partigiana e faziosa, ma cerchino d i riconquistare per la religione una propria indipendenza da qualsiasi cointeresse politico, sia pure momentaneamente vantaggioso per essa. Non sarà ciò una cosa facile; ma di fronte ai pericoli e ai danni di una politica simile a quella della restaurazione del 1814 dell'unione del (C trono e dell'altare (qui forse non ci sarà il trono ma la dittatura), la via non può essere diversa. Col dire ciò, non intendiamo prevenire quel che farà I'episcopato spagnolo ( i n unione con la Santa Sede); ma pensiamo di contribuire a formare quell'opinione generale dell'ambiente cattolico, che sarà necessaria perchè l'azione dei vescovi riesca efficace e vantaggiosa. Sarebbe loro quasi impossibile prendere una posizione autonoma, quando i fedeli fossero praticamente impegnati in senso contrario. I1 loro comando non sarebbe eseguito, perchè resterebbe incompreso. Così avvenne in Francia quando Leone XIII consigliò di aderire alla repubblica; i cattolici resistettero, perchè legati alle posizioni politiche antirepubblicane e monarchiche. La parola del papa fu ascoltata solo da pochi e finì col cadere nel vuoto. Forse non è avvenuto lo stesso in Spagna con l'enciclica Rerum Novarum di Leone XIII e anche recentemente con la Quadragesimo anno di Pio XI? (l). La massa contadina e operaia spagnola (in fondo religiosa per quanto d'istinti anarchici) non

(l) Enciclica emanata da Pio XI il 15 maggio 1931, nel quarantesimo anniversario della Remm Novarum. Conteneva disposizioni per l'istaurazione di un ordine sociale cristiano. (Cfr. I'articoIo n. 2 della presente raccolta e la nota n. 2 all'articolo 31).


sarebbe stata faciIe preda degii awersari, se cattolici e ciero si fossero dati con fiducia all'azione sociale. Questo lamento non è di oggi. Uno dei preti sociali più illuminati, Maximiliano Arboleya Martinez di Oviedo ha sostenuto una campagna d i oltre venticinque anni per l'azione sociale, ma la sua è stata una voce nel deserto. Dei laici cattolici di primo piano nel mondo della politica e della cultura, don Angelo Ossorio y Gallardo, e don Severino Aznar, da quasi quarant'anni sono stati sulla breccia, spingendo all'azione sociale. Non sono mancate settimane sociali, giornali bene ispirati e tentativi d i leghe operaie. Ma la situazione politica h a reso diffidenti ed eccitate le masse operaie, che hanno avuto facile sfogo ai loro risentimenti, nell'assalto d i chiese e conventi, Monsignor Llovera, canonico della cattedrale di Barcellona, profugo a Milano, ha tenuto due conferenze sulla Spagna di oggi al corso d i cultura dato da quell'università cattolica nella prima settimana di settembre. Ne ha pubblicato il resoconto l'Osservatore Romano del 6, 7 8 settembre. All'inizio del primo discorso, monsignor Llovera dichiarò di non voler u assolutamente che alcuna delle sue parole possa suonare come accento di odio per i suoi persecutori o di condanna per i suoi fratelli di fede >). Quindi, fatto un riassunto degli avvenimenti e delle loro cause, affermò come conclusione che la causa principale debba ricercarsi nella « grande fiducia della Spagna cattolica e dei cattolici spagnoli i n chi proteggeva la loro fede e le manifestazioni della loro religiosità, che li trasse a fidarsi troppo poco nelle forze spirituali e più invece in quelle esteriori 1). Questa potrebbe dirsi causa remota e generale. Esaminando, nella seconda lezione, le cause immediate, mons. Llovera accennò alla imperfezione della legge elettorale, alla mancanza, da parte dei cattolici, di organizzazioni sindacali per i lavoratori e all'assoluta incomprensione delle classi padronali degli insegnamenti pontifici di carattere sociale. Egli finì le due lezioni invocando per la sua ~ a t r i auna pace feconda dopo la tempesta. In queste poche linee è disegnato il piano futuro. Sotto qual-


siasi dittatura ( d i destra o di sinistra) non potrà parlarsi per lungo tempo d i attività elettorale; ma anche in questo campo particolare, bisogna utilizzare le tristi esperienze del passato. Ma è all'azione cattolica e alla sua attività sociale che dovranno rivolgersi subito tutti i cattolici responsabili e capaci (clero e laicato) per farne uno dei mezzi efficaci di contatto e di pacificazione delle masse e loro ritorno alla vita religiosa. Per tale mezzo si avrà anzi tutto l a formazione di un'élite intellettuale e moralmente tale da ispirare fiducia; una diffusione larga e intensa di cultura religiosa; una reviviscenza di educazione giovanile cristiana fervorosa e battagliera, quale oggi è necessaria; e infine un'organizzazione professionale operaia e padronale ispirata alle encicliche Rerum Novarum e Quadragesimo Anno. Per essere efficace, l'azione cattolica dovrà essere disimpegnata dalla politica militante dei partiti e delle fazioni, dalle organizzazioni militarizzate fasciste o monarchiste, e libera da ogni risentimento politico per le persecuzioni subite. Le stragi sono state da ambo le parti: il clero, le istituzioni religiose, l e opere cattoliche sono state (è vero) oggetto speciale di persecuzioni, d i ire, di odi, Sarà loro onore poter constatare che nella maggior parte dei casi, i religiosi colpiti sono stati immuni da ogni responsabilità, privi di armi, dediti alla preghiera, alla beneficienza, all'educazione, svincolati da legami politici e liberi da passioni, In tali condizioni si potran guardare con l'occhio della pietà fraterna e della bontà commossa, tutti quegli altri, detti rossi, comunisti, senza Dio, che non sono agli occhi della chiesa che dei traviati, ai quali non è mancata la benedizione del Padre comune in terra, nè potr,à mancare la misericordia di Dio, quante volte la invocheranno. Solo così potrà iniziarsi l a ~acificazionedella Spagna (quale che possa essere l'esito immediato e particolare della guerra civile); pacificazione che potrà e dovrà farsi nel nome e nello spirito d i Gesù Cristo. Londra, 20 settembre 1936.

(La Vie Catholique, Paris, 26 settembre 1936). Arch. 7 A, 2.


QUATTRO

MESI DI GUERRA CIVILE

I vari colpi di stato del dopoguerra e le varie insurrezioni (eccezione fatta per l'Irlanda) non hanno incontrato seria resistenza; pochi giorni o poche ore di lotta, o il governo è prevalso o la fazione vincitrice si è impossessata del potere. Spartachisti in Germania, Bela Kun (l) e i comunisti in Ungheria, i fascisti in Italia, Primo de Rivera in Spagna, Hitler e il Putsch del 1923 a Monaco, e così via via in Finlandia e in Grecia, in Lituania, i n Polonia, in Austria, nel Portogallo, in Bulgaria Abbiamo fatto eccezione per l'Irlanda, dove la lotta fu nazionale, nel senso che l'Irlanda stimava il governo d i Londra come nazionalmente straniero; la insurrezione e la guerra non furono, nel loro significato reale, per u n regime interno, ma per la libertà e la indipendenza nazionale. I n tutti gli altri paesi si è trattato di fazioni politiche, popolari o militari, che han tentato di assicurare il potere nelle loro mani. Quali siano stati i particolari scopi delle varie rivolte, fin oggi le popolazioni civili e le masse operaie, prese nella loro maggioranza e nella loro complessa personalità, sono stati piuttosto come spettatori dei e~sxhiamenti di regime, spettatori appassionati, quelli d i un teatro popolare, parteggianti in ispirito per gli uni o per gli altri, ma lontani dalla zuffa e adattantisi alle nuove situazioni, salvo a desiderarne il rapido cambiamento e ad almanaccarne il giorno della caduta. Così minoranze audaci, spesso a5ancate e sostenute dai militari, ovvero i capi stessi dell'esercito, si sono presi il potere politico, proclamando l e nuove dittature. Fra tutti i casi, il più notevole è stato quello della Germania del 1932-33; il partito della democrazia-sociale era il più forte e il meglio organizzato di tutti i partiti di Europa; il Centro era ancora per molti la

...

(l) Kun Bela (1886-1937), rivoluzionario ungherese, bolscevico. Primo ministro per pochi mesi nel 1919, rovesciato daila controrivoluzione, si rifugiò in Austria e in Russia, dove fu posto a capo della sezione europea occidentale del Comintem. Nel 1937, per volontà di Stalin fu condannato a morte e giustiziato.


torre di avorio ; il primo teneva il potere i n Pmssia, il secondo aveva il cancellierato e governava la Baviera, Essi perdettero il potere senza fare la minima resistenza politica e morale, ritirandosi man mano sulle linee della formalità giuridica, sino a che con un piccolo calcio furono messi fuori e ridotti in condizioni di dover cessare ogni, anche minima, resistenza, Di fronte a questi casi, quello della guerra civile di Spagna prende un colore tutto proprio e segna un punto d i svolta nella storia dell'Europa.

Mettiamo nel debito conto il cosidetto spirito spagnolo individualista ed anarchizzante, l a tradizione di guerre civili, il metodo dei pronuncianientos, le vampate antireligiose con relativi massacri di preti e frati e bmciamenti di chiese e d i conventi (non sono una novità da più di un secolo ad oggi, salvo in estensione e intensità): tutto ciò può influire ed h a influito d i fatti a mettere le due parti di fronte e a creare lo spirito d i guerra. Però non è stato sempre così: Primo de Rivera rovesciò il regime pseudo-liberale senza colpo £erire; l a rivolta dell'artiglieria, promossa d i Sanchez Guerra (a) contro la dittatura, fallì in poche ore senza creare il clima di oggi; la repubblica arrivò tutta liscia, mentre il monarca faceva le valigie; nessuno tirò un colpo d i fucile; il tentativo di Sanjurjo (3) contro la ( a ) José Sanchez Guerra (1859-1935), uomo politico spagnolo, deputato, direttore del giornale Iberio, ministro degli interni e dell'economia nei gabinetti Maura (1907-1909). Presidente del consiglio nel 1922, difese il regime democratico contro Primo De Rivera, ponendosi anche in opposizione ad Alfonso XIII. Emigrato in Francia nel 1927, capitanò la rivolta di Valenza (1929). Arrestato, venne assolto dal consiglio di guerra. (3) José Sanjurjo y Sacanell (1872-1936), generale spagnolo; comandò le forze spagnole in Africa nel 1923. Al momento della proclamazione della repubblica (1931) assicurò la fedeltà della guardia civile, di cui era direttore, al nuovo governo. Capo della divisione di Siviglia, diresse la rivolta, proclamandosi capitano generale del19Andalusia (1932). Arrestato, fu condannato ai lavori forzati; liberato nel 1934 si recò in Portogallo, dove nel 1936, allo scoppio della guerra civile spagnola, perì in un incidente di volo, cercando di rientrare in patria.


repubblica fu presto represso; la stessa rivoita deile Asturie (che fu un apercu alla rovescia di quel che succede oggi) fu domata, (certo con molta fatica e molto sangue) in poco più d i due settimane, mentre in pochi giorni fu superata quella di Barcellona. Oggi invece si combatte di qua e di là una guerra accanita, con metodi militari ed armi moderne (fornite i n maggior parte dall'estero), impegnando tutto per tutto, senza risparmio di danaro e d i sangue, come un duello a morte. Non si tratta solo di gruppi di rivoltosi e d i soldati regolari (con in più da un lato le truppe coloniali); ma si tratta di guerra dichiarata e crudele, fra due parti della popolazione spagnola, senza eccezione di classi, categorie, sesso ed età. Un tempo si guerreggiava tra Alfonsisti e Carlisti; le due branche della casa reale impegnavano soldatesche regolari; bande d i briganti, insieme a famiglie nobili e loro seguaci. Oggi nessuno combatte per la monarchia; l'eventuale e problematica restaurazione, sarà in ogni caso un episodio secondario e complementare; non è nè il movente nè la finalità della guerra civile. Si è detto che questa è una guerra religiosa; si è chiamata crociata; si è paragonata alle guerre di religione dei secoli XVI e XVII. Niente d i più inesatto. Le guerre d i religione, dalle crociate i n poi, hanno avuto la religione come movente e come finalità (sia pure complicate o alterate da interessi politici ed economici più o meno riflessi o istintivi); nell'attuale guerra d i Spagna la religione non è un movente nè un fine ; nelle due parti è piuttosto un mezzo: di qua la difesa religiosa per valorizzare e generalizzare la rivolta; di 1à l'offesa antireligiosa come sfogo d i plebe ed eccitamento alla resistenza. Non si nega che i sentimenti religiosi o antireligiosi penetrino la psicologia o psicosi di guerra (con più e minore reazione secondo gli strati sociali e gli interessi immediati); si nega che il movente diretto, lo scopo reale della guerra sia religioso e caratterizzi l'essenza del conflitto. I moventi e gli scopi della guerra civile, dallhna parte e dall'altra, sono di carattere politico, ed è politica l'essenza del conflitto: i sentimenti religiosi che vi si agitano prendono colore e sapore politico e non viceversa. I n ciò consiste l'enorme

i


differenza con le guerre di religione del passato, ed è la ragione per cui oggi non si può parlare di guerra santa e di crociata.

Quale politica? E semplicistico dire: di qua fascismo, di là comunismo, Le due parti hanno caratteri complessi. Gli insorti sono caratterizzati come esponenti della grande industria e della proprietà fondiaria e della classe intellettuale e media; anche dall'altra parte vi sono industriali e proprietari e molti della classe intellettuale e media. Le classi operaie e contadine sono di qua e di là. Qual'è dunque il punto di differenziazione? I1 fondo è questo: le classi operaie presso gli insorti sono semplici ausiliari, subordinati ai militari, ai padroni, al clero; presso i governativi le classi operaie hanno in mano il comando e aspirano a mantenerlo; presso i primi si vuole un governo militare per rimettere l'ordine e ripristinare l'economia borghese, sia pure con la facciata corporativa e per creare una dittatura a tipo medio fra la ~ o r t o ~ h e es el'italiana; mentre presso i governativi si va verso la dittatura del proletariato, o comunque verso una trasformazione del regime economico-sociale a base operaia. La posizione delle classi lavoratrici nei due campi avversi dà il carattere alla guerra, che non è guerra civile (nel senso antico della parola) nè guerra religiosa, ma guerra socialepolitica. I dirigenti catalani sono stati fin qui gli anarchici; i dirigenti madrileni i socialisti, i dirigenti baschi gli autonomisti; la prevalenza popolare nei tre settori caratterizza la lotta dei governativi. Presso i combattenti governativi si è insinuato un comunismo di simpatia, sia perchè i russi sono quelli che li aiutano, sia perchè la comunione della proprietà o la partecipazione di ciascuno ad essa è un'aspirazione inconscia e tradizionale delle classi diseredate. Di un certo comunismo politico si fa esperienza a Barcellona, con espropriazioni improvvisate e vendicative, giustificate dallo stato di guerra. Può essere questo il primo passo.


Dall'altro lato si è introdotto un fascismo d i simpatia (oitre il falangismo che ha sua propria personalità) con il saluto alla romana e lo sfruttamento religioso e clericale; nonchè un nazismo filo-germanico, stimato forse più valido e potente: è naturale che sia così, dati gli aiuti venuti da Roma e da Berlino, aiuti noti a tutti, tranne che alla commissione internazionale del u non intervento. ».

L'esito definitivo della guerra non è immediato: la resistenza dei cosidetti rossi continua accanita e continuerà ancora non si sa fino a quando. La Catalogna è un osso duro ; Madrid contende palmo per palmo il suo terreno ai generali, mentre arrivano rinforzi d i truppe marocchine. Un insistente corpo a corpo nelle strade barricate, nelle case trasformate in fortini, con la partecipazione d i tutti, uomini e donne, queste le più coraggiose, le più feroci, Ie più resistenti. Si parla di massacri a Barcellona e a Madrid: a parte le esagerazioni delle notizie di guerra a scopo di propaganda interna ed estera, nessuna meraviglia se >n questo clima di duello a morte, le vendette si moltiplicano e gli innocenti sono sgozzati a migliaia, olocausto al demone dell'odio ecatecato dall'una parte e asperso d'acqua benedetta dall'altra parte. Le guerre di religione del secolo XVII finivano con tregue e compromessi fra le due parti; tregue violate, ma tregue; compromessi stracciati, ma compromessi, C'era il tempo di respirare, d i riprendere calma, di ritrovare la via per le possibilità della vita. I cattolici si raccoglievano in cantoni, provincie o regni rimasti cattolici; i protestanti in altri paesi, così in Germania e in Svizzera; anche in Francia agli ugonotti furono concessi città d i asilo e luoghi di salvezza. Furono riconosciuti il jus emigrandi del popolo e il jus recipiendi del principe. Modi di convivcnzii possibile in quel clima d i passioni e di intolleranze. Ma in Spagna oggi nessuna tregua, nessun compromesso si vede possibile. Dalle due parti si vuole la vittoria completa con la soggiogazione dell'altra parte. Nessuna voce si è levata per fare cessare a l'inutile strage D per dirla con l e famose e giustis-


sime parole di Benedetto XV. Perchè la strage mai è utile, a nessuno e per nessuna ragione. I1 vincitore, se ce ne sarà uno veritiero in Spagna (vincitore sui suoi fratelli!) troverà un paese mutilato, immiserito, pervertito dall'odio e dall'orgia di sangue; il vinto si alimenterà di ricordi di eroismi e di morti e sognerà la rivincita. Dopo quattro mesi d i carneficina, il mondo dovrebbe gridare inorridito perchè si sospenda la lotta fratricida e si pensi alla restaurazione della pace. Londra, 17 novembre 1936.

(L'Aube, Paris, 18 novembre 1936). Arch. 11 A, 20.

IL PROBLEMA DEI RIFUGIATI DI SPAGNA Con tutti gli altri problemi della attuale crisi morale, internazionale ed economica, quello dell'emigrazione politica va pren. dendo un aspetto sempre più grave, esteso e inquietante. Quale sia per essere l'esito della guerra i n Spagna, gli emigrati ed esiliati politici domanderanno asilo ai paesi amici, a migliaia e migliaia. Fra costoro vi saranno quelli che avranno del denaro, i pochi : la maggior parte non avr,à più denaro, non lavoro, non avvenire: saranno di peso a sè stessi e ai paesi dove troveranno rifugio: non pochi saranno degli indesiderabili morali e politici. e vivranno di odio verso la patria che li espelle o li costringe a fuggire e verso il paese che li riceve, ma che non può e non sa aiutarli, I1 nostro pensiero si volge subito alla Società delle nazioni che, per quanto svalutata n politicamente, resta ancora un centro di coordinamento, d i appoggio aIle iniziative internazionali e di scarico di responsabilità politiche che ~ o t r e b b e r ogravare sopra un singolo stato. Come gli ebrei e le altre vittime delle persecuzioni tedesche hanno avuto presso la Società delle nazioni un certo aiuto, non


sufficiente, ma tale da permettere varie iniziative e soluzioni, senza urti e con utili risultati; così, nel caso della Spagna, bisogna fin d'ora preparare gli organi e i mezzi sufficienti per far fronte a l nuovo flagello. La Società delle nazioni non basta; vi sono paesi destinati ad accogliere numerosi rifugiati, e nel caso della Spagna sarà proprio l a Francia (oltre al Portogallo, l'Italia, il Belgio e la Svizzera) il paese ospitale per eccellenza, sia che gli emigrati siano seguaci di Franco, sia che siano i fedeli del governo. Già molti spagnoli hanno trovato domicilio in terra francese; ma questo è solo un campione di quel che sarà durante l'inverno. Purtroppo l a Francia attraversa un periodo inquietante-: l a crisi economica è acuita dall'inquietudine politica e sociale; il timore che una guerra generale sarebbe lo sbocco dell'at. tuale guerra spagnola, rende gli spiriti meno disposti agli sforzi generosi verso gli altri, specialmente gli stranieri. Tutta. via, abbiamo potuto leggere i nobili e cristiani appelli di S. E. il cardinal Verdier (l), arcivescovo di Parigi, e di S. E. mons. Pic, vescovo d i Valenza. Ahhiamo anche appreso con vivo interesse che u n comitato di aiuti ai bambini spagnoli si è recentemente costituito ed h a offerto al governo di Valenza di far trasportare in Francia trentamila bambini. Questi fanciulli cominciano l a loro vita come emigranti e non sappiamo quale potrà essere l a loro educazione morale. Ma nonostante che il mondo sia oggi meglio conosciuto e tutto percorribile grazie a rapidi mezzi di trasporto, esso non offre le possibilità che offriva all'epoca in cui inglesi e francesi, spagnoli e portoghesi andavano a cercare nelle Indie, nelle due Americhe e in Oceania uno sbocco, un rifugio, l'avventura o la vita tranquilla, lontano dalle guerre di religione e dai fanatismi dell'intolleranza, Oggi, molti paesi sono chiusi; altri, se aperti, non offrono possibilità economiche; altri sono anch'essi turbati dallo scatenarsi. di terribili passioni; percorrendo il mondo, si sentirebbe (l) Jean Verdier (1864-1940), cardinale, arcivescovo di Parigi dal 18 novembre 1929. Promosse l'organizzazione dell'Azione cattolica francese. Oratore e scrittore, collaborò alla Revue pratique d'apologétique.


il bisogno d i evadere, tanto gli odii e gli egoismi l'hanno reso anticristiano e inumano. Ma fin d'ora occorre che anime generose, uomini politici previdenti, uomini di chiesa animati dallo spirito di Gesu Cristo, si uniscano i n questa nuova opera di buon Samaritano, in favore di coloro che hanno lasciato o stanno per lasciare la bella Spagna insanguinata e che cercheranno nell'esilio un mezzo di vivere e la pace per le loro anime tormentate.

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Londra, gennaio 1937. (Popolo e libertà, Bellinzona, 12 gennaio 1937).

DIFESA DELLA LIBERTA' E DELLA PACE Nell'estate scorsa scrissi sull'dube e poi sul Journal d e s Nations intorno all'iniziativa di W. Steed e altri che maturava in Londra e che aveva preso il titolo di Pace con libertà (Peace with Freedom) ( l ) , dando alcuni tratti di un appello che doveva essere lanciato. La notizia era vera; l'appello realmente scritto e approvato, ma all'ultima ora sembrò tutto arrenarsi. Venivano le vacanze : era necessario un rinvio. Sei mesi d i maturazione: gli inglesi non sono facili a spostare le loro abitudini mentali e stagionali. Una difficoltà di organizzazione sembrava insuperabile : come unire liberali, conservatori e laburisti sopra un piano di convergenze politiche, senza venir meno alla lealtà e disciplina al proprio partito? Finalmente si è trovata la formula: evitare di farne un partito, s'intende; ridurre i punti da difendere a quelli sui quali si può formare una larga concordanza; operare, con riunioni, conferenze, manifestazioni di massa, sull'opinione pubblica, appoggiarsi all'unione per la Lega delle nazioni. Per chi sa quanto conti in Inghilterra l'opinione pubblica per l'orientamento politico del governo, del parlamento e dei (l)

Cfr. prec. n. 83.


partiti, comprende bene quale potrii essere il molo della nuova iniziativa che prende il titolo : Defence of Freedom and Peace. Chi poi tiene conto della debolezza dell'attuale governo Baldwin e delle oscillazioni dell'opinione inglese sui problemi della pace, dopo lo scacco italo-abissino, potrà dedurre a quale importanza potrà assurgere l a nuova costellazione nella vita politica inglese. La prima solenne riunione avverrà oggi 3 dicembre, nella immensa sala dell'dlbert Ha11 (che contiene oltre diecimila posti); presiederà sir W. Citrine, parleranno fra gli altri Winston Churchill, l a figlia d i Asquith Bonham Carter e il capo delle Trade Unions d i Londra, mr. Wall, Gli scopi e i principi sono già pubblicati i n u n foglio volante, ed han trovato larghi consensi negli ebdomadari quali lo Spectator (conservatore) e il New Statesman (laburista). Gli scopi sono: u 1. difesa della libertà assicurata dal regime democratico e dalla legge (public law) D; u 2. resistenza a tutti gli sforzi per diminuire o distruggere la libertà con la violenza all'interno e con l'attacco dall'estemo; u 3. appoggio all'adempimento del dovere (nel campo internazionale) di unirsi agli altri stati per preservare la pace e far fronte sd m'aggeasione armata D. Questi scopi sono sostenuti dai principi sui quali si appoggiano e che sono stati schematizzati dai promotori nei seguenti termini : u La causa di un'ordinata libertà è in pericolo. La pace stessa è i n rischio. I nemici delIYunae dell'altra hanno voce e sono organizzati e forti. Defence of Freedon and Peace offre un piano comune a tutti coloro che sono convinti che senza pace la Iibertà non può essere sicura; e che senza libertà non si dà vera pace. (C La massa centrale della temperata e tollerante umanità non deve essere trovata debole nell'azione e nella direttiva. I governi parlamentari dei popoli liberi (self-ruling) debbono sapere ch'essi sono sostenuti dalla volontà risoluta dei cittadini che sono pronti a difendere i diritti della personalità umana e la giustizia fra le nazioni.


« Gli ideali contenuti nel Covenant della Società delle nazioni e il patto Kellogg sorsero da un'amara necessità umana dopo un sacrificio indicibile. Solo queste idee potranno salvare i l mondo da miserie senza nome, La Gran Bretagna deve essere forte da compiere l a sua parte nel mettere la guerra a l bando dalla vita delle nazioni, così che la ben difesa pac,e possa alleggerire il fardello dei popoli ed offrire agli stati grandi e piccoli un giusto raddrizzameiìto di una accertata ingiustizia. N La direttiva e l'azione della Gran Bretagna potranno ancora salvare la pace e l a civiltà. La finalità di Defence of Freedom and Peace è di agevolare questo compito D. I1 raddrizzamento dell'opinione pubblica è stato notato nelle forti dichiarazioni di Eden circa l a Francia e il Belgio ('), vecchia politica inglese, ma che mai dal 1918 in poi è stata affermata con tanta chiarezza in momenti difficili come i presenti. Pochi ancora fra le persone autorevoli si rendono conto che il vociferare di Hitler contro l a Russia non è che una finta mossa, destinata a richiamare 1,attenzione verso l'oriente, mentre i suoi scopi e i suoi interessi sono verso occidente o verso le zone danubiane e balcaniche. La Germania conosce quali linee di fortificazioni abbia l a Russia, non solo sul fronte giapponese, ma sul fronte polacco e baltico, e come sia militarmente assurdo il tentativo d'invadere la Russia. Se guerra terrestre fra Germania e Russia vi potrà essere, questa sarebbe sul territorio polacco, o cecoslovacco, o tedesco, non mai sul territorio russo. Circa l'aria e il mare, l e condizioni non sono oggi decisive nè per l'una nè per l'altra parte. I1 problema del petrolio orienta l a Germania verso Bachum al confine persiano, e spinge l'Ungheria verso la Romania: ma questi sono obiettivi concomitanti, non i principali. (2) In un discorso ai suoi elettori, tenuto il 20 novembre 1936 a Leaminngton, i l ministro degli esteri inglese Anthony Eden affermò che nel caso non fosse stato firmato un nuovo patto di Locarno in sostituzione del vecchio, sarebbe rimasta in vigore l'alleanza virtualmente esistente tra la Gran Bretagna, la Francia ed il Belgio. I1 23 novembre successivo l'ambasciatore francese a Londra, Corbin, manifestò ad Eden l'approvazione del governo francese alle proposte britanniche.


Ad ottenere il suo scopo occorre a Hitler far rompere i patti della Francia, Cecoslovacchia e Romania con la Russia e sollevarvi contro l'opinione mondiale. L'intesa germano-giapponese non può avere altro significato che quello di una intimidazione all'Europa. Però l'effetto è stato più in l à del previsto. LyInghilterra ha capito che non potrA contare più sull'amicizia con il Giappone nel momento che l a Germania si volgerà contro l'occidente. L'Inghilterra si rifiuta d i dividere il mondo in due blocchi basati sopra ideologie, perchè l e ideologie in questo campo nascondono l a merce avariata dei propri interessi. Ma l'Inghilterra resta ancora di più attaccata a Ginevra perchè solo nel quadro della Società delle nazioni può rivendicare e difendere per sè e per gli altri l a libertà e l a pace. Londra, 29 novembre 1936. (Popolo e libertà, Bellinzona, 2 dicembre 1936).

IMPRESSIONI SULLA CRISI INGLESE Quel che più mi h a interessato, nella crisi costituzionale in. glese, che si è risolta con l'abdicazione di Edoardo VI11 (l), è stata l a formazione dell'opinione pubblica e il suo influsso imponente nello scioglimento del nodo trammatico. Quando si parla di opinione pubblica, circa un problema della corona inglese, si deve intendere non solo quella del vecchio Regno Unito, ma anche quella che emana da tutti i domini che hanno personalità costituzionale propria, e che limitano l a capacità d i autonomia sia del parlamento inglese sia del re. Questo immenso impero, la cui distanza dalla metropoli è pari alle distanze fra i vari continenti della terra, ha dimostrato (I) I1 10 dicembre 1936, alIa morte di re Giorgio V, si aprì in Gran Bretagna una crisi dinastica per l a rinuncia al trono da parte del principe di Galles, Edoardo VIII. La crisi fu risolta con l'abdicazione di Edoardo VI11 in favore del fratello Giorgio VI (1895-1952).


di poter attivamente e continuatamente partecipare (mercè i moderni mezzi d i comunicazione) col gabinetto britannico, e di poter formare un'opinione pubblica unica sopra un problema d'interesse capitale. Difatti, era i n gioco, questa volta, l a stessa unione del Com. monwealth. Il re è il legame simbolico ed effettivo tra le diverse comunità; la unicità di politica estera e inter-dominionica è da lui rappresentata e garantita; un malinteso fra lui e i singoli stati e domini, anche se non valutato da tutti allo stesso modo, avrebbe aperto una discussione assai grave, che poteva arrivare o a costringere il re ad andarsene, (se non prendeva la decisione più saggia); owero ad iniziare un movimento di distacco dalla madre patria. I1 problema della regina si poneva per tutti in modo assai chiaro: impossibile tollerare a quel posto persona che non vi portasse quella considerazione morale (anche se borghese o popolare) che deve renderla degna di rispetto. I1 progetto di u n matrimonio morganatico non poteva avere alcuna possibilità nel mondo anglo-sassone. Perchè, se il progetto si basava sul principio aristocratico e di parentela reale, avrebbe instaurato una distinzione di casta intollerabile ad una democrazia borghese e ripugnante al laburismo. Se invece riguardava solo i l caso particolare, sarebbe stato marchio legale e pubblico alla sposa del re. I n ogni caso, ripugnava agli inglesi non solo il fatto del doppio divorzio di mrs. S i m ~ s o n ,ma anche l'ambiente formatosi attorno a lei e attorno al re. Su questo tema l a stampa inglese più qualificata h a avuto discreti accenni, ma tali da far comprendere quale doppio motivo turbava i sentimenti di un popolo affezionato alla casa regnante e simpatizzante con Edoardo VI11 per le sue qualità che lo rendevano personalmente simpatico a tutte l e classi sociali. W. Steed, i n u n articolo per il Christian Science Monitor di New York ha scritto l e seguenti gravi parole: « La verità era che I'entourage del re era troppo largamente composto di uomini e dame, parecchi dei quali di nobile nascita ma tutti così lontani dal vero popolo, da non sapere che essi urtavano e volevano spingere il re ad urtare una sana e salutare tradizione di con-

19.

- Smnzo

- Miscellanea

Londinete

- 111.


dotta che è comune a tutte le classi e ambienti degli stati e domini inglesi. B senza dubbio difficile per u n principe o un re scegliere buoni amici o essere fermo nell'allontanare i cattivi amici. I1 principe Ha1 che ebbe cattivi amici, quando divenne re Enrico V li allontanò da sè. Edoardo principe di Galles ignorò questo precedente quando divenne Edoardo VI11 D. L'opinione pubblica fu ferma, concorde e costante fin dal primo momento. Un non possumus popolare, senza appello. C'è stato per due o tre giorni il tentativo d i creare una scissione. Ebbe l'idea Winston Churchill di formare lui un gabinetto nel caso che il re avesse insistito nel suo progetto e che il gabinetto Baldwin si fosse dimesso? Non si sa; il contegno di Churchill è stato equivoco; non si sa se sia stato lui a farsi chiamare dal re, o sia stato il re a volerlo. La sua richiesta, in parlamento, di non precipitare gli eventi, era per saggiare l'ambiente. Ma egli rimane solo e isolato. I giornali di Rothermere (') e di Beaverbrook (3), non forrniino l'opinione politica d'Inghilterra; i british fascists di Oswald Mosley (9 non hanno voce. Costoro, con un atteggiamento ultra-regalista, avrebbero voluto formare una corrente antiparlamentare e dare forza a un conflitto fra corona e parlameztc; ma attornn a loro si fece il vuoto, Edoardo è stato leale alla costituzione (ed era nelle sue tradizioni di famiglia) ed è stato prudente nel comprendere che questi signori rappresentavano quasi niente a Londra e nella provincia, e niente del tutto nei domini.

Cfr. nota 1 ali'articolo n. 34, Una vohszione per la pace. William Marxwell Beaverbrook (1897-1964), uomo politico e finanziere anglo-canadese, liberale unionista, proprietario del più importante trust giornalistico inglese, comprendente il Daily Express, I'Evening Standard ed il S u d a y Express. Ministro della produzione aeronautica ed in seguito dei rifornimenti bellici durante la seconda guerra mondiale, nei gabinetti Churchi11 (1940-1943). (3 Oswald Ernald Mosley (n. 1896) uomo politico inglese di estrema destra. Fondò nel 1931 il partito fascista inglese; durante la seconda guerra mondiale venne internato. (2)

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I1 dilemma era posto non da Baldwin, nè dal gabinetto, nè dal parlamento, ma dall'opinione pubblica unanime, ferma, indiscutibile: o lasciare il progetto di matrimonio o lasciare il trono. Edoardo ha scelto.

L'impero britannico nel suo insieme n% uscito più fermo e più saldo. L'oscillazione dell'Irlanda del sud (Free State) non ha causato il più piccolo disturbo. Vi accenniamo, perchè mette in luce uno dei lati caratteristici del mondo inglese, tanto differente da quello continentale. I1 governo di De Valera, sorto in opposizione alla politica filo-inglese del suo competitore Cosgrave, aveva posto o doveva risolvere tre problemi costituzionali, che avrebbero dato al suo partito i l senso di averla una volta per sempre finita con Londra : abolizione del giuramento di fedeltà ; abolizione del senato; abolizione del governatore quale rappresentante del re e quale organo di tutela formale. Tutto ciò veniva compendiato nella parola: repubblica. I1 giuramento fu il primo a cadere: Londra se ne risentì per un momento, ma pensò trattarsi di una formalità. I1 senato non interessava Londra, perchè veniva considerato come organo interno dell'Irlanda; che lo abolisse se voleva. De Valera h a finito per abolirlo. Restava fino a ieri il governatore generale nominato dal re. De Valera ha colio l'occasione della crisi costituzionale e l'abdicazione del re per f a r passare l a legge che abolisce quel posto attribuendo l e funzioni che vi erano inerenti al capo del parlamento o al capo del governo, secondo i casi e le materie. Sabato scorso, 1 2 dicembre, lo stesso governatore h a posto l a sua firma al deliberato del parlamento irlandese, facendolo così divenire legge dello stato e segnando allo stesso tempo la sua decadenza, Quale l a connessione di ciò con l'abdicazione di Edoardo? A prima vista non sembra; ma c'è una connessione. ~ e r c h è l'abdicazione fosse valida ci voleva il consenso di tutti i domini, compreso l o stato libero d'Irlanda; consenso che non era stato necessario alla successione di Edoardo a Giorgio V suo padre,


che si effettuava per la proclamazione fatta dal parlamento di Londra. De Valera era messo, adunque, in una posizione incomoda e falsa: consentire all'abdicazione voleva dire riconoscerlo per r e d'Irlanda, e ciò era in urto col fatto dell'abolizione del giu. ramento di fedeltà; non consentire voleva dire creare una crisi di distacco. La soluzione presa ha il seguente significato: lo stato libero d'Irlanda nel suo interno è repubblica indipendente ( e quindi senza più governatore); ma come unita al Commonwealth britannico è uno dei partecipanti, che hanno per capo il re; solo i n quanto tale, vigono per l'Irlanda i legami con i vari domini ( i l Regno Unito è considerato anch'esso un dominio) legami rappresentati e consolidati dalla corona. In quanto dominio l'Irlanda ha dato il suo consenso all'accettazione dell'abdicazione di Edoardo VI11 e alla proclamazione di re Giorgio VI. Questa soluzione sottile e meticolosa, soddisfa i contadini irlandesi ( i quali finalmente si sentono liberi dalla soggezione allo straniero eretico); e non urta troppo gli inglesi che non penetrano le formalità giuridiche e stanno alla sostanza. Cioè: che l'Irlanda è un dominio; che il re è il capo e simbolo del Commonwealth; che certi porti irlandesi sono sotto il diretto czctrcllo dell'emmiragliato. La crisi irlandese a Londra è passata come il rumore di una zanzara: l'impero è più saldo di prima.

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Un settimanale cattolico inglese, che h a mostrato viva simpatia per Edoardo come un re popolare e interessato alle sorti della classe povera, h a rilevato che l'opposizione al matrimonio d i Edoardo con mrs. Simpson, perchè divorziata, era illogica i n un paese dove è ammesso il divorzio, e proprio al momento stesso che la camera dei comuni discuteva un nuovo disegno di legge sirl divorzio. Non sono mancate all'estero le solite accuse d'ipocrisia inglese. La verità è ben diversa. Anzitutto è da notare che le prime awisaglie contro il progettato matrimonio sono venute dai domini, specialmente dal Canadà. Ma la stessa popolazione in-


glese, di ogni classe sociale, se n'è risentita, appena si ebbe sentore del fatto. Domandare la logica agli inglesi è come domandare l'ordine agli spagnoli e il sangue freddo ai francesi. Gli inglesi tengono il divorzio come un mezzo legale per regolare certe situazioni insostenibili ed infelici; ma non le impongono alla chiesa che può rifiutare il matrimonio; per di più il divorzio non è ben visto dalla società e presso il popolo rimane a l d i fuori delle cose rispettabili. Questo basta per loro a non volerlo portato sul trono. E non hanno torto. Un'altra fiaba è corsa sui giornali continentali, che i l fondo del conflitto tra gabinetto e re è stato politico; un re filo-fascista e autoritario non poteva piacere alla democrazia inglese. Ciò è stato motivato dal fatto che Edoardo andò nel Galles a visitare (senza il consenso del governo alcune zone popolari malsane, che con legge in corso dovrebbero risanarsi, creando un certo urto con Baldwin e una discussione sui giornali intorno ai limiti del potere costituzionale del re e sul carattere delle sue funzioni. Chi conosce il retroscena di ciò, sapeva che il re da principio credeva di non dover trovare forte opposizione a l suo volere di sposare mrs. Simpson; l'averla trovata gli procurò u n disappunto e un malcontento giustificabile. La visita nel paese di Galles alle zone povere voleva essere un assaggio della resistenza del governo. La cosa cadde. L'Inghilterra è troppo interessata alla pace interna, oltre che alla pace internazionale, per correre un'avventura, sia pure capeggiata da un r e e con l'aureola della popolarità. La sua struttura imperiale impone dei riguardi a tutti, piccoli e grandi, re e governi, partiti e parlamenti, finanzieri e lavoratori. Chi non tiene presente ciò, non si rende conto del perchè della aperta leale e larga collaborazione del capo dei laburisti e del capo dei liberali con Baldwin nelle circostanze presenti, pur restando ambedue capi dell'opposizione parlamentare. Pensare che in simili circostanze l'opposizione socialista francese di un tempo avesse fatto lo stesso con u n governo Doumergue o Tardieu, ovvero che questi due facessero lo stesso con u n governo Blum o Thorez, sembra immaginare il paradosso.

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Un tale paradosso sarebbe realtà in Francia solo in un effettivo pericolo d i guerra; per una questione costituzionale e d i regime non sembra possibile. La ragione sta in ciò che i n Inghilterra e nei domini fin oggi il regime e il sistema costituzionale non sono messi in discussione, e non creano dissensi e lotte nel popolo. I1 capo del partito laburista indipendente, Maxton, volle sollevare la questione repubblicana al momento d i approvare la successione di Giorgio VI, ed ebbe solo 2 voti favorevoli alla sua mozione. Un'affermazione platonica, che non sollevò la minima protesta; mentre altrove poteva finire con un clamoroso incidente e la sospensione della seduta parlamentare. I socialisti sono dentro e non fuori delle istituzioni inglesi; essi tendono a modificare la struttura economica non il regime costituzionale. Fascismo e comunismo fin oggi non hanno nessun valore politico; penetrano come idee e sentimenti, ma tali idee e sen. timenti elaborandosi nella vitale tradizionalità inglese, ne subiranno l'impasto. Nè si creda che ciò dipende esclusivamente dalla lunga educazione libera e tollerante della Gran Bretagna. La vita costituzionale dei domini come Canadà, Nuova Zelanda, Australia, Africa dcl szd è recente o recentissima. La loro educazione politica è in formazione, ma la loro mentalità h a radici nella concezione di libertà e nel valore della propria personalità statale, che li rende fieri di essere autonomi e d i appartenere al Commonwealth britannico.

Un'ultima nota caratteristica. Fra le discussioni circa la successione, fu per un momento affacciata l'idea di passare la corona alla principessa Elisabetta (che sarebbe stata Elisabetta 11), la primogenita del duca di York oggi Giorgio VI. L'idea veniva da una certa resistenza del duca a succedere al fratello, in circostanze così commoventi e d i carattere intimo. Elisabetta non ha che undici anni; un consiglio d i reggenza o u n reggente avrebbe durato troppo fino a che essa avesse raggiunto la


maggiore età. Per il popolo inglese, l'idea della piccola regina era assai attraente; era stata coltivata da panda si diceva che il principe di Galles non intendesse sposarsi, e forse non succedere a suo padre; sì che l a piccola Elisabetta è stata sempre circondata da rispettosa simpatia e da affetto semplice e popolare. La decisione di Giorgio VI di accettare i l trono è stata tutta sua ed è stata assai opportuna, Allo stesso tempo veniva desiderata dal mondo degli affari e del commercio. Questo si era impegnato enormemente per l e feste dell'incoronazione reale. Navi mercantili noleggiate, alberghi già fissati, cinema e teatri con contratti gi.à fatti, il Lloyd con le sue assicurazioni già contrattate, piccoli e grandi negozi di ogni sorta di generi organizzati per l a festa-monstre, quando dovrà venire a Londra più di un milione di persone. Se l'incoronazione non vi fosse stata, tutto crollava. L'incoronazione è stata mantenuta; anche il mese di maggio rimane lo stesso. È questo per l'Inghilterra un momento di grande prosperità. I1 pericolo è passato. Invece di Edoardo sarà incoronato Giorgio. God save the King! Londra, l 4 dicembre 1936. (Popolo e libertà, Bellinzona, 23 e 24 dicembre 1936).

COSE A POSTO Signor direttore, I1 corrispondente da Lugano dell'Os~ervotore Romano (G. L.) rileva con u n certo zelo che io nell'aver « deplorato che nessuna voce si sia levata contro gli orrori di quella tragedia 11 (la spagnola), h o omesso di fare esplicito riferimento al discorso del Sommo Pontefice tenuto a Caste1 Gandolfo ai profughi spagnoli. Ora, la mia frase, nell'articolo pubblicato su Popolo e Li-


bertà del 19 novembre, era ben diversa; il corrispondente non aveva il diritto d i cambiarla a piacere. Io scrivevo: u Nessuna voce si è levata per far cessare l'inutile strage, per dirla con l e celebri e giustissime parole di Benedetto XV. Perchè l a strage non è mai utile a nessuno e per nessuna ragione n. Non deploravo, come scrive (G. L.) che nessuna voce si è k v a t a contro, il che sarebbe stato stupido dato che tutto il mondo si è levato contro gli uni o gli altri o le due parti insieme; ma p e r f a r cessare la guerra civile. I1 che importa una iniziativa autorevole presso Madrid e Burgos, con un piano per una tregua e un'intesa. I1 Santo Padre, nel suo discorso, parlò ai profughi spagnoli come loro padre e confortatore, deplorò, deprecò, diede l a sua benedizione agli uni e agli altri; ma quel discorso non era diretto ai capi delle due parti con lo scopo ben preciso di far cessare la guerra. P e r giunta, chi potrebbe pensare che, nelle circostanze attuali, i l governo d i Madrid (ora a Valencia) fosse disposto ad ascoltare l a voce del Papa, mentre non si degnò di dare una risposta alla protesta diplomatica del Vaticano fatta all'inizio della guerra per l'uccisione d i tanti preti, frati e suore, per le profanazioni e gli incendi delle chiese? Coloro che non han fin oggi levata la voce per far cessare l a guerra i n Spagna, e lo potevano, sono state le grandi potenze, da singole o nella Società delle nazioni e nel comitato di non intervento. Chi ha voluto vedere nella mia constatazione iberica una omissione irriverente, ha il torto di aver fatto u n giudizio infondato e per di più di averlo appoggiato sull'alterazione delle mie stesse frasi. Mi creda devotissimo

LUIGISTUBZO (*) Londra, 9 dicemhre 1936. (Popolo e lioertà, Bellinzona, 12 dicembre 1936).

(*) L'Osservatore Romano replicava con una precisazione del suo corrispondente, che veniva riportata da Popolo e Libertà.

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Sull'Osservatore Romano del 26-27 corrente, in a Cronache svizzere n datato da Lugano, leggiamo qwnto segw: a I1 pubblicista al quale ho accennato nell'ultima mia comspondenza, commentando quanto scrisse in merito alla guerra spagnola che cioè a nessuna voce si è levata per far cessare l'inutile strage ecc. ecc. n ha spiegato con una lettera alla direzione del giornale su cui scrive, come egli avesse deplorato che nessuna voce si fosse levata per far cessare la guerra civile, nel eenso che nessuna iniziativa autorevole è stata presa presso Madrid e Burgoe con un piano per una tregua e un'intesa. Il pensiero dell'articolista si riferiva quindi alle g a n d i potenze che da singole, o nella Società delle nazioni, o nel comitato di non intervento, avrebbero dovuto levare la voce per far cessare la guerra. Prendiamo atto volentieri di questa spiegazione che pone nel quadro meramente politico una constatazione, che poteva essere più largamente intesa. Una volta ancora non è nociuto l'aver dato occasione a più chiari termini della questione D. I1 piccolo incidente è dunque liquidato. Londra, dicembre 1936. (Popolo e libertà, Bellinzona, 29 dicembre 1936).



INDICI



INDICE ANALITICO

GERMANIA, 27, 46-48, 55, 57-59, 60-62, 68-77, 86, 88-89, 101, 118-120, 127130, 138141, 1 4 1 4 5 , 149, 169-172, 246-250, 254257, 264. GIURAMENTO, 31-33. G1usnz14 43-46. GUERRA,47-50, 124-126, 148-150, 158, 172-173, 201-2W, 215-216, 271-2139 - civile spagnola, 267-283, 295-297.


- etiopica,

124126, 154157, 173-176, 177, 183-189, 194197, 203-207, 209212, 216-223, 253, 257.

PACE,106-109,179-183,198-201,209-212, 216-219, 247, 249-250, 254, 262-2669 277, 285-288. PARTITO POPOLABE ITALUIYO, 112-114, 130-132, 163-168, 242, 261. PARTITI, 237-242, 260-262. PARLAMENTO, 12, 63-65. P A T DANUBIANO, ~ 132-134, 139-140. PATN KELLOGGBRIAND, 84, 176, 200. PAIM DEL NORD, 139-140. P A A QUATPBO, ~ 81. PIANO DAWES,81. PIANOYOUNG,81. PICCOLA INTESA, 27, 81, 88, 90, lm, 156, 255. PLEBISCITO, 75-78, 118,132-134, 248-250. POLITICA, 191-194, 206, 257-259, 266-273. POLITICA INTERNAZIONALE,68-72, 87-90, 117-120, 137-143, 144145, 115-1789 199-201, 202-204, 209-212. POLONIA, 78-80. PROPORZIONALE, 164, 260-262. RAZZISMO,

55-56.

REFERENDUM, 162. REICH,254-257. RESTAUBAZIONE (degli Asburgo), 94-96, 133.

RIARMO,127-130, 148-150, 156. R I F o AGRARIA, ~ 165-166, 168. RIFORMASCOLASTICA, 166-167. RIFUGIATI P o L I n c I , 223-227, 283-285. RIVOLTA, 22, 24, 28, 39-42, 91-94, 240241, 278-283. RIVOLUZIOIVE, 11-17.

ROMANA,26. RUSSIA, 55.

OPINIONEPUBBLICA, 106-109, 285-2889 290-295.


SOCIETÀ DELLE NAZIONI, 26, 81, 107-109, 126, 139, 144, 155, 158, 176-178, 181-182, 195-197, 200, 202205, 209212, 217-218, 220-225, 247, 258, 263265, 283-284, 285, 287, 288, 296. SPAGNA,32, 91-94, 237-242, 267-285. STATO,12, 43.

TOTALITARISMO, 26-28, 124-126. TRATTATIINTERNAZIONALI, 81, 144-145, 244-248.

UNGHERIA, 26, 28. Vom, 159-161.



INDICE DEI NOMI

ABRAMO, 207, 237. AIZPUM,241 n. ALATRIPaolo, 87 n. ALBERTARIO don Davide, 66 n. ALBERTINILuigi, 63. ALBERTO I del Belgio, 31. ALESSANDRO I di Jugoslavia, 90, 96, 109. ALFONSO XIII di Borbone, 32 n., 99 n., 279 n. ALICHIERIDante, 242, 243. ALOISI Pompeo, 56n., 187, 201, 202. AMBEDKAR, 236. ANGELLLANE Ralph Normann, 149, 150, 196, 262. ANCUERA DE SOJO,241 n. ANILEAntonino, 166. ANTONAZZI Giovanni, 98 n. ARBOLEYA Maximiliano, 99, 276. ARCHAMBAULT Paul, 11, 17. ARSLANChekib, 187. ASQUITHBoham Carter, 286. AUGA Manuel, 267. AZNARdon Severino, 99, 276. BALBOItalo, 37 n. BALDWIN Stanley, 21, 48, 102 n., 108, 142 n., 201 n., 245, 246, 286, 290, 291, 293. BARATONA padre Elia, 188. BARRÈRECamille, 192 n. BARTHOUJean Louis, 39 n., 90, 96 n. BASSANI, 18. BAUER Riccardo, 130 n. BEAUPIN mons. 35, 41.

BEAVERBROOK William, 290. BECCIOLINI Giovanni, 38 n. BECK Fritz, 170. BECKETTommaso, 62. BEDESCHILorenzo, 37 n., 131 n. BELLONIEmesto, 83. BENEDET~O XV, 113, 219, 273, 283, 296. BENEDUCE Alberto, 185. BERNADOT O. P., 39 n. BERTINIGiovanni, 165. BERTRAMAdolf (vescovo), 249. BERLouis, 208, 209. BESSONMarius (vescovo), 161. BETHMANN Hollweg, 48. BILLUART Charles René, 44. BLOMBERG Werner von, 169. BLUMLéon, 293. BONFIELDMargaret, 263. BONOMIIvanhoe, 101, 164 n., 166 n., 167 n., 168. BONOMIPaolo, 112 n. BOSEvon, 57 n., 60 n. BOSELLIPaolo, 112 n. BOSSIJETJacques Bénigne, 44. BOYREAU don, 35. BRAHAMViolet, 262. BRAIJNSErnst, 72 n. BRAUNTHAL J., 23x1. BREWWvon, 5711. BRIANDAristide, 70 n., 81, 85 n., 119. BRUNINGHeinrich, 8 n., 33 n., 57n., 58, 64, 101, 103. CNLLAUXJoseph, 18511. CAMERONI Agostino, 112 n.


Cmm di Asburgo, 94 n. C m o V, 126. Cmm Alberto di Savoia, 31. CARTIERRaymond, 207, 208. CATHREINVictor S.J., 271, 272. CECILlord Edgar A., 108. CEUREITI Bonaventura, 114. CHAMB~UAIN Austen, 108, 139, 200. CHAMBE~LAIN Neville, 107 n. CHARRON Pierre, 258, 259. CHERELAlbert, 257, 259. CHURCHILLWinston, 262, 286, 290. CIANCAAlberto, 130 n. CITRINElord Walter, 262, 286. CITTADINIgen. Arturo, 185 n. COCCHIRomano, 251, 252, 253. COMBESEmile, 267. COMPANYS, 92 n. C m s o ~ oGaetano, 38 n. CORBIN,287 n. CORB~NO Orso Mario, 116. CORNAGGIA Carlo, 112 n. COSGRAVE William Thomas, 29, 291. CROCEBenedetto, 63, 166. CURTIUSJulius, 70 n. DA~ADIER Edouard, 39 n., 158 n. D'ANNUNZIO Gabriele, 87 n. DAWSON,273. DE BONOEmilio, 124, n., 131n. DE GASPERIAlcide, 8 n., 64 n., 72 n., 85 n. DELCASSÉThéophile, 192. DE LUCAGiuseppe, 114 n. DELLAPORTAS., 131 n. DE MANHenri, 146 n. DE RIVEBAPrimo Miguel, 32 n., 99 n., 278: 279. DE ROSAGabriele, 73 n., 110 n., l11 n., 112 n., 114 n., 132 n., 165 n., 219 n. DE ROSSIdon GiuIio, 167 n. DE VALEBAEamon, 29, 40, 41, 154, 291, 292. DE VECCHICesare Maria, 37 n. DOLLFUSSEngelbert, 21 n,, 22, 23,

24 n., 25, 27, 28, 29, 30, 33 n., 40, 41, 59, 65, 66, 71, 89, 146. DONATIGiuseppe 130, 131 n., DOUMERGUE Gaston, 39 n., 82, 84, 90 n., 102 n., 293. DUFFYCharles Gavan, 29. DUMEZILG., 123 n. DREYFUS Alfred, 83. EDENAnthony, 108, 109, 132 n., 137, 142, 194 n., 201, 202, 218, 221,- 246, 287. EDOARDO VII, 151, 153. E w m o VIII, 288, 289, 290, 291, 292, 293, 295. ELISABETTA di York, 294. ENRICOV, 290. ENRICOd'Inghilterra, 62. ESCTERGLLYOS, 97 n. EZZELINO 111 da Romano, 242, 243, 244.

FALTA Antonio, 101,103, 166 n,, 167 n., 168. FAIDHERBE O. P., 43, 44. Funte Carlo, 9 n. FEDERICO 11 di Svevia, 243. F m f i ~ a J imenez, 241 n. F ~ a r u acard. ~ Andrea, 111, 174. F-I Francesco Giuseppe, 130,131 n. F E ~ Jules, Y 192. FEY Emil, 21 n., 22, 29, 66, 89. FLANLIIN Pierre, 102 n., 103, 137 n., 219 n, 258, 259, 264. FORSTER Arnold, 196. FRANCO Francisco, 92 n., 267 n. FRICKWilhelm, 64 n. GAROSCIAldo, 130 n., 251 n. GASPARRIcard. Pietro, 110, 111 n., 112, 113, 114. GAYFrancisque, 85 n. GENTILEG i o v a ~ i ,166, 167. G ~ I C Fritz, H 72, 170. GESÙ CRISTO,3, 4, 5, 7, 190, 193, 209, 227, 277, 285.


GIACOBBE, 207, 237. GIL ROBLESJosé Maria, 9211. GILARDONI Annibale, 167. GIOLIT~IGiovanni, 89 n., 100, 101, 158, 164 n., 165, 167 n., 168, 229. GIORDANI Igino, 6 n. V, 151, 153, 288 n., 291. GIORGIO GIORGIO VI, 288 n., 292, 294, 295. GIOVANNId'Austria, 273. GLADSTONE William, 24. GOEBBELSJoseph, 248. GOERING Hermann, 57 n., 58, 152. GRANDIAchille, 164 n. GRILLETJeanne, 160. GRONCHIGiovanni, 85 n., 164 n. GUALINO Riccardo, 83. HABICHTFrauenfeld, 255. HAMMERSTEIN von Kurt, 169 n. HAUERJakob, 123. HEGELFriedrich, 167 n., HEIM Georg, 72, 73, 74. HENNESSY,132. HERRIOT Edouard, 39 n., 142. HIMMLER Heinrich, 57 n. HINDEMBURG Paul Ludwig, 7 n., 8 n., 32, 33 n., 58, 60, 72, 74, 75 n., 103, 145. HITLERAdolf, 3, 4, 7, 8, 10, 27, 30, 46, 48, 55, 56 n., 57, 58, 59, 61, 62, 64, 65 n., 67, 68, 69, 71, 72, 73, 74, 75 n., 76, 77, 82, 86, 87, 88, 92, 96, 101, 103, 105, 118, 127 n., 128, 129, 132, 133, 134, 138, 144, 145, 146, 152, 169, 170, in, 248, 249, 250, 255, 256, 258 n., 263, 264, 278, 287, 288. HOARESamuel, 218, 220, 221, 222, 246. HOOVER Herbert Clark, 76 n.

JACINI Stefano, 72 n., 85 n. JEVTICBogoljub, 95. JOWKE,

10,.

198.

- Smpzo

- Miaccllanea Londineaa

-

111.

Edgard, 57 n. JUNG,255.

JUNC

KARWINSKY, 66. KELLOGFrank Billings, 81, 176, 200, 204, 287. KERILLIS Henri de, 228, 245. KLAUSENER Erich, 57 n., 60, 61, 72, 169, 170, 171. KNOX,109. KREBs, 155. GUPP (famiglia), 255. K m Bela, 178.

LABRIOLA Arturo, 186, 187. LANGAlois, 190. LAVU Pierre, 102 n., 128 n., 132 n., 137 n., 183 n., 194 n., 195 n., 196, 198, 218, 220, 221, 222, 223. LAYTON Walter, 196. LEONEXIII, 98, 111, 272, 273, 275. LEOPOLDO I11 del Belgio, 31, 33. LERROUXAlejandro, 92 n., 241. LIPSKI, 69 n. LLOVERA mons., 276. LLOYD George David, 81. LUIGI XI, 259. LUPORINIGiovanni, 38 n. Lussu Emilio, 130 n. MAWUSO Damiano, 166 n. MACDONALD James G., 223. M A C D O N ~3.DRamsey, 21 n., 101 n., 102 n., 108, 137 n., 142, 143. MACHIAVELLI Niccolò, 257, 258, 259. MACKENSEN von Angust, 169 n. MADELINLouis, 103, 119, 120,143, 144, 197, 198, 245. card. Pietro, 38 n. Charles, 186. MAGRINI,173, 174. MAUVASIGioacchino, 18, 19. MALVESTITIPietro, 18, 19. José Maria Ruiz, 177. M A R I NFilippo, ~ 215. MARITAINJacques, 11 n., 33 n., 35, 41.


MARTINIA., 219 n. MAax Karl, 3, 4.

NORTHUIFFE lord, 107 n. N O R T H CM., ~ 273.

h Wiihelm, 74. MARYd'Inghilterra, 151. MAITEOITI Giacomo, 37, 59, 62, 63,

ORLANDO Vittorio Emanuele, 114. O R ~ M S S I18. , OSSORIO don Angelo, 99, 253, 268, 276. O ~ N diEAsburgo, 94 n.

131 n. MA279 n. MAURIAngelo, 165, 167. MAUREAS Charles, 85 n. PADELLARO Nazareno, 208. M.~~ToN, 294. PALERMIRaul, 185. MAYEURFrancoise, 85 n., 172 n. PANKURST Emmeline, 160. &ARINO card. Giulio, 191, 259. PAOLOdi Jugoslavia, 96 n. MWA Filippo, 112, 167, 219. PAOWIV, 126. MELCHEIT lord, 262. PAPENFranz von, 7, 8 n., 9, 10, 57, 58 n., 64, 67, 71, 89, 101, 169, MENIIIZABAL Alfredo, 177. MICHELIGiuseppe, 164, 165, 166, 167. 170, 171. MIKLASWilhelm, 32, 33, 35, 40, 41, 59. PÉGUYCharles, 11 n. PENRITHlord Howard, 198. MILLEPierre, 191, 192. MIKGHET~ Marco, 228 n. PCBTINAX (Géraud Andrh), 158, 159, MINZONIdon Giovanni, 37. 200. MIRAGiovanni, 23 n., 52 n. PÉTAINPhilippe, 258 n. MISSIROLIMario, 185 n. Prc mons., 284. MOSLEYOswald, 256, 290. PICCINELLI Giuseppe, 112 n. PIETROI1 di Jugoslavia, 96 n. MOUNIER Emmanuel, 11. PILATIGaetano, 38 n. MULLERHermann, 58. MURRAY Gilbert, 108. PILSUDSKI Joseph, 179. MURRAY Helen, 42. PIOX, 111, 112 n., 113, 252 n. MURRIRomolo, 164 n., 165 n,, 166 n. PIOXI, 4 n., 6, 9, 10, 84, 172 n,, 219, MUSSOLINIBenito, 6, 8, 9 n., 23, 25, 273, 275. 28, 36, 38 n., 49, 50, 51, 55, 56 n., PIO XII, 6 n. 59, 60, 62, 63, 64 n., 67, 84, 88, 95, P ~ A 66., 101, 105, 107 n., 128 n., 132 n., 134, PONZIOPilato, 217. 137 n., 142, 149, 155, 156, 157 n., POULLETEdmond, 104 n. Prosper, 104, 146. 166, 178, 182, 183, 184, 185 n., POULLEF 186, 190, 195 n., 196, 201, 207, 208, PRINCE,83. 209, 220, 221, 222, 223, 229, 245, PRIR'GITI, 192 n. 246, 256, 257. PROBST Adalbert, 72, 170. PROKSCH, 255. NAPOLEONE Bonaparte, 13, 191, 192. NAPOLEOKE 111, 13, 76, 192 n., 233. RWTH, 170 n. NAUDÉGabriel, 259. RESCHNY,255. NERONE, 216. REYNAUD Paul, 158 n. NEUBATEConstantin von, 69 n., 127 n. RICHELIEUcard. Louis Francois, 191. NIT~IFausto, 130 n. RINTELENAnton, 66. N ~ r nFrancesco Saverio, 87 n,, 114, RIVASANSEVERINO L., 99 n.: 165 n. 164 n., 167 n., 186 n. RODINÒGiulio, 167.


RODOLFI Armando, 18, 19. ROHMEmst, 57 n., 61. ROOSEVELT Franklin Delano, 76. ROSEMBERC Alfred, 123. ROSSELLICarlo, 130 n. ROSSI Cesare, 185 n. ROSSIErnesto, 130 n. ROSSIM. G., 131 n. ROSSINIGiuseppe, 131 n., 219 n. R~HERMER lord E Harold S., 107, 290. RUFFORufo della Scaletta, 72 n., 73 n. RYCIERMaria, 185 n. Sacco I. M., 165 n. SALTERArtur, 196. SALVATORELLI Luigi, 23 n., 52 n. SALVEMINIGaetano, 130 n. SANCHEZ Guerra José, 279. SANCNIER Marc, 214, 252 n. SANJURIOJosé, 279. SANTUCCI Carlo, 110. SARRAUT Albert, 219 n. SCHERREK, 99 n. SCHIRACH von Baldur, 123. SCHIRRUMichele, 9. SCHLEICHER Kurt, von, 57, 58, 71,101, 103, 169, 171. SCHMIDT,72, 170. SCHOBEK Hans, 70 n. SCHUSCHNIGC Kurt, 23, 66, 89, 95 133. SCHWARZENBERC Charles, 135, 136. SEIPELIgnaz, 39, 40 n. SERRARENS, 99 n. SFORZA Carlo, 63, 89, 110 n. SHIRERWilliam L., 60, 61. SIMEONIL., 243, 244. SIMONJohn, 25, 107, 127 n., 129, 132, 134, 137, 139, 142. SIMONPierre-Henri, 259, 260. SIMPSONWally, 289, 292. SOBIESKIGiovanni, 273. SOBREKO Cesare, 167 n. S O ~ LCalvo, O 273. SPERANZINI Giuseppe, 251 n. STALINJoseph, 278 n.

STARHEMBERC Emst von, 24, 29, 95, 156. STAWINSKY Alexandre, 39 n., 83. STEGERWALD Adam, 72 n. STOHRNAIbert (vescovo), 5 n. STORINCER (baronessa), 60. STREICRER Julius, 207. STRESEMAN Gustav, 71, 81. STURZOLuigi, 4 n., 6 n., 9 n., 21 n., 32 n., 36 n., 37 n., 40 n., 42, 52 n., 72 n,, 73 n., 81 n., 85 n., 86, 87, 94 n., 110 n., 111 n., 131 n., 132, 135, 136, 167 n., 173, 174, 229 n., 242 n., 254, 273, 274 n., 296. SUSMELEdoardo e Duiliok, 183 n. SUVICHFulvio, 23 n. SWEETPaul R., 23 n. TARDEUAndré, 39 n., 292. TARDINIDomenico, 98 n. TAYLLERAND, 191, 192. TELLINIgen. Enrico, 178. TESCAA., 185 n. TESSIERGaston, 85 n. THOREZMaurice, 293. TITULESCU Nicolau, 96. d'Aquino, 44, 125, 167 n., TOMMASO 174, 269, 272. TONIOLO Giuseppe, 98. TORCLER Emst, 8. TORRES don Manuel, 177. TORRICIANI Domizio, 185 n. TREVIRANUS, 101. TWRMER Kurt, 39. VALENTE Giovan Battista, 164 n. VAX DER LUBBEMarinus, 8, 9 n. VAN ROEYcard. Joseph, 145, 146. VANZEELAXD Paul, 145, 146. VAUSSARD Maurice, 33 n., 35. VERDIER Jean card., 284. VILLANIGiovanni, 243. VIITORIAd'Inghilterra, 153. VIITORIOEMANUELE 111 di Savoia, 31, 59.


W m , 286. WEBB, 273.

WIRTH

WICKHAM STEI~> H

WHEELEB-BEN~TC John, 57 n,, 169 n. ~ 52 n,, ~ 263, ~ 285, 289.

Z~U L ,~ don A Al~honso,270,271,273.

WILSON Thomaa Woodrow, 81, 87 n.

YOUNGAllan, 196. YOUNGOwen D., 81, 119.

ZIGm

Karl

Joseph, 72 n.

card.* 272.


TAVOLA DELLE MATERIE

Awertenza

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1 1.H.S. 2 Confusioni e profanazioni 3 Von Papen esagera! 4 La democrazia e la rivoluzione 5 I neo-guelfi di Milano 6 L'Austria vista dail'Inghilterra 7 L'Austria e l'Inghilterra 8 I1 fato dell'Europa 9. Giuramento di re 10 Un appello 11 Lettera al presidente Miklas 12 I1 programma di un pellegrinaggio 13 La responsabilità degli awenimenti d'Austria 13 bis . La rivolta austriaca . . . . 14 La giustizia distributiva 15 Disarmo spirituale! . . . . 16 Un paragone ... che non regge 17 Su due piani differenti . . . . 18 Controprova 19. Capi di stato e dittatori 20 Equivoco ! 21 Dittatori e parlamenti 22 . La tragedia dell'Austria . . . . 23 Politica di prestigio: Danzica Austria Saar 24. Il dott . Heim 25 I plebisciti e la libertà 26 La Polonia e le minoranze 27 . Le crisi della Francia di oggi 27 bis a Germania armata n 28 Re Alessandro a Parigi Barthou a Roma 29 Libertà e lealtà . . . . . . 30 La restaurazione asburgica . 31 Orrori e responsabilità

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3 5 7 11 18 20 24 28 31 33 35 36 39 42 43 46 48 50 55 57 60 63 65 68 72 75 78 80 86 87 91 94 96


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32 Due esperienze a proposito deila crisi inglese 33 Psicologia di dittatura . 34 Una votazione per la pace 35 Il u non expedit B e il card Gasparri . 36 Prevenire o reprimere 37 Mancanza di psicologia 38. Calendario per i contadini tedeschi 39 Un problema di coscienza . . . . 40 La fine di un sistema . 41 Sulla libertà di insegnamento 42 Il leb bis cito dell'Austria e il patto danubiano 43 . Lettera al direttore di G K.'s Weekly 44 Prima di Stresa 44 bis Ancora Stresa e l'Inghilterra 45 Due concezioni: la cristiana e la barbarica 46 Una nuova fase del partito cattolico belga 47 La voce del buon senso 48 Rilievi e impressioni sulle feste giubilan inglesi 49 Ipotesi. non profezie sul conflitto italo-abissino 50 u n episodio significativo 51. u Libertas D 52. Le lezioni del191talia 53 . Trenta giugno 54 I1 papa e la guerra etiopica 55. Teorie e fatti 56 Undici milioni di voti 57 La mobilitazione italiana contro 1'Abissinia 58. Oberammergaii . . . . . . . . . . 59. Moralità e successo i n politica 60 Verso un nuovo orientamento della politica inglese . . . . 61 u Une mystique nationale n 62. Un gesto significativo 63. Due teorie di fronte 64 Intervista sulla guerra etiopica 65 Hitler-Mussolini: novelle divinità . . . 66 Le sanzioni sono per la pace o per la guerra? 67 La gioventù cattolica nelle caserme 68 . Perversioni 69 «Pace agli uomini di buona volontà D . 70 Potrà l'Italia essere g a l a a Laval? 71. Il problema dei rifugiati politici 72. Un falso dilemma: fascismo o bolscevismo 73 I giardini d'infanzia militarizzati 74 Le classi depresse in India 75 L'utilità di una sconfitta 76 . Ezzelino I11 da Romano

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77 Pacta sunt servanda n 78 11 prossimo leb bis cito tedesco 79 Lettera al direttore de L'Aube 80 Popolo. Reich. nazione 81 I1 pensiero di Machiavelli in Francia 82 La spinta comunista e gli elettori cattolici in Francia 83. Pace con libertà 84 a Politica anzitutto » o « morale anzitutto n 84 bis Seguito a a Politica o morale anzitutto 85 L a chiesa di Spagna di domani . 86 Quattro mesi di guerra civile 87 problema dei rifugiati di Spagna 88. Difesa della libertà e della pace . 89 Impressioni sulla crisi inglese 90. Cose a posto

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Indice analitico Indice dei nomi . Tavola delle materie

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