MISCELLANEA LONDINESE VOLUME QUARTO (Anni 1937-1940)
OPERA OMNIA DI
L U I G I
S T U R Z O
SECONDA SERIE
SAGGI - DISCORSI - ARTICOLI VOLUME VI
LUIGI STURZO
MISCELU.NEA LONDINESE VOLUME QUARTO
(Anni 1937-1940)
ZANICHELLI BOLOGNA
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Poligrafici Luigi Parma S.p.A.
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-- . .- Maggio 1974
Bologna
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PIANO DELL'OPERA OMNIA DI LUIGI STURZO PUBBLICATA A CURA DELL'ISTITUTO LUIGI STURZO
PRIMA SERIE: I
I1 111 IV V-VI VI1 VI11 IX X XI XII
OPERE
- L'Italia -
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e i l fascismo (1926). La comunità internazionale e il diritto di guerra (1928). La società: sua natura e leggi (1935). Politica e morale (1936). Coscienza e politica. Note e suggerimenti di politica pratica (1952). Chiesa e Stato (1939). La Vera vita Sociologia del soprannaturale (1943). L'Italia e l'ordine internazionale (1944). Problemi spirituali del nostro tempo (1945). Nazionalismo e internazionalismo (1946). La Regione nella Nazione (1949). Del metodo soeiologico (1950). Studi e polemiche di sociologia (1933-1958).
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SECONDA SERIE: I
- L'inizio
I1
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111
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IV V VI VI1 VI11 IX-XV
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I1 I11 IV V
SAGGI - ~ISCORSI- ARTICOLI
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della Democrazia in Italia. Unioni professionali Sintesi sociali (1900-1906). Autonomie municipali e problemi amministrativi (1902-1915). Scritti e discorsi durante la prima guerra (19151918). 11 partito popolare italiano: Dall'idea al fatto (1919). Riforma statale e indirizzi politici (1920-1922). I1 partito popolare itaiiano: Popolarismo e fascismo (1924). I1 partito popolare italiano: Pensiero antifascista (1924-1925). La libertà in Italia (1925). Scritti critici e bibliografici (19231926). Miscelianea londinese (1926-1940). Miscellanea americana (1940-1945). La mia battaglia da New York (1943-1946). Politica di questi anni. Consensi e critiche (1946-1959).
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SCRITTI VARI
- I1 ciclo della ereaaione (poema drammatico in quattro - Versi. - Scritti di letteratura e di arte. - Scritti religiosi e morali. -
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TERZA SERIE:
I
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Scritti giuridici.
- Epistolario scelto. - Bibliografia. - Indici.
azioni).
MISCELLANEA LONDINESE (Anni 19.37-1940)
AVVERTENZA
Con il presente quarto volume di Miscellanea londinese si conclude la pubblicazione degli articoli scritti da Luigi Sturzo durante l'esilio in Gran Bretagna. Si tratta di scritti pubblicati su periodici e quotidiani inglesi, spagnoli, francesi e svizzeri, dall'inizio del 1937 ai primi mesi del 1940, fino a quando cioè Sturzo lasciò Londra per gli Stati Uniti. I1 loro contenuto è quasi esclusivamente di commento agli avvenimenti dell'epoca. Come per i volumi precedenti, degli scritti è stato riprodotto il testo manoscritto, conservato nell'Archivio dell'Istituto Luigi Sturzo in cartelline numerate dall'l A al 14 A: e in altra contenente Articoli autografi 1929-1934. Nei casi in cui manca il manoscritto, si è riprodotto in nota il testo straniero, quale risulta dai ritagli stampa raccolti dallo stesso Autore, fornendo di tale testo la traduzione. Le note storiche che corredano il testo, con chiarimenti su circostanze e personaggi meno noti, sono di Francesco Malgeri. Non sono state tuttavia ripetute note già apparse negli altri tre volumi precedenti di Miscellanea londinese. In appendice sono stati raccolti alcuni altri scritti del periodo londinese, che non risultano pubblicati e di cui a volte manca anche la data esatta di composizione. Sempre in appendice sono pure pubblicate alcune recensioni di volumi a carattere storico-politico-sociale. La collazione degli scritti e le traduzioni sono state curate da Maria Teresa Garutti Bellenxier.
LA PROSSIMA GUERRA È certo che la prossima guerra sarà la guerra delle dittature o non sarà; le democrazie vi si preparano, costrette dalle dittature, ma non saranno gli attori di un tale tragico litigio, bensì sdo i convenuti. Se quali convenuti le democrazie avranno torto o ragione, l o dirà la coscienza popolare (al momento che la guerra avverrà) e lo dirà la storia dopo la tragedia. È terribile vivere con l'incubo di una tragedia imminente, più o meno vicina. Si sente il bisogno di evaderne o fuggirne lontano, ovvero divenire di proposito ottimista. Un amico, qualche mese fa, mi diceva di lasciare l'Europa e di andare in America; là almeno non si sente imminente la guerra, come un fato, come una nemesi inevitabile. Solo pochi potranno lasciare l'Europa per andare a vivere i n America; anche se lo potessi, io non mi sento di lasciare il piccolo posto di combattimento che ancora tengo; vorrò parlare di pace finché vivrò e avrò forze, non di una pace falsa, ma d i quella annunziata e cantata a Bethlem « agli uomini di buona volontà n. Negare che si va verso una guerra europea, anzi mondiale, come verso un fatale sbocco dell'attaale situazione, sarebbe negare la realtà che ansiosi viviamo. C'è un'innegabile volontà di guerra, anche nelle continue dichiarazioni di pace. L'equilibrio instabile in cui vivevamo fin dal 1919 fu rotto a Ginevra, quando la conferenza del disarmo fu costretta a segnare il suo fallimento, la Germania lasciò la Società delle nazioni e accelerò il suo riarmo, amvando fino alla denunzia delle clausole di Versailles e l'Italia cominciò a maturare il suo disegno sull'Abissinia.
Oggi le posiziqni sono rovesciate; il cosidetto fronte di Stresa (che mai esistette sul serio) non poté fare nessuna diga al germanesimo invadente; invece sono stati posti in luce tanto l'asse Berlino-Roma iniziato durante la guerra di Abissinia e continuato per la guerra civile in Spagna; quanto l'accordo Berlino-Tokio, il quale non è solo un accordo morale contro il comunismo, ma un accordo politico contro la Russia. Si tratta dunque di una nuova sistemazione di forze per una preparazione alla guerra, che non lascia dubbio alcuno. La svalutazione della Società delle nazioni continua, voluta e perseguita con acredine, entra nel piano della preparazione diplomatica. Attenuare la solidarietà fra gli stati, cancellare la figura dell'aggressore, rendere inutili gli ingranaggi societari, far cadere ogni costruzione giuridica nei rapporti fra gli stati e ridurre i l diritto internazionale a inutile occupazione di giuristi, questo entra nella preparazione diplomatica alla guerra. Berlino e Roma, fiancheggiati da satelliti e aiutati da governi paurosi ed egoisti, ci son riusciti con loro evidente vantaggio. Altro piano di preparazione diplomatica è la campagna anticomunista, in quanto diretta allo scopo di distaccare la Francia, la Cecoslovacchia e la Romania dalla Russia, con la quale sono legate dai recenti patti; in ogni caso impedire le intese fra gli stati maggiori di questi paesi con la Russia e dividere le forze interne di ciascun paese pro o contro il patto sovietico, pro e contro i partiti comunisti e i fronti popolari. Entrava nel conto di questa preparazione diplomatica, sia l a guerra civile spagnola, che ha diviso dappertutto borghesia e proletariato pro o contro Franco, e più che altro una grave crisi francese, che (nonostante gli scioperi sul « posto n) non è arrivata allo stato acuto e forse non vi arriverà nel prossimo avvenire. Ma come la spada di Anchise che prima feriva e poi guariva, così questa preparazione diplomatica e questo scliieramento di forze ha servito a far comprendere (finalmente) al governo inglese che la Gran Bretagna con tutti i dominions non potrà (come alcuni volevano credere) rimanere in disparte in una prossima guerra, e che occorre prepararsi non
solo militarmente ma anche sul terreno diplomatico e morale. Militarmente l'Inghilterra va facendo uno sforzo immenso per riprendere una superiorità che aveva lasciato cadere, fidando nei patti e nell'azione di Ginevra. Ora che i patti si violano impunemente e che l'ingranaggio della Società delle nazioni funziona a vuoto, occorre essere pronti a fronteggiare gli avvenimenti per terra, per mare e per aria. Occorre, è vero, del tempo : questo periodo di transizione è penoso; bisogna fare buon viso a cattivo gioco; appigliarsi a tutte le procedure piii stancanti; fare mostra di non accorgersi degli scacchi che -si vanno subendo; trattare con cortesia e condiscendenza anche con coloro che usano metodi da gangsters e da briganti. La pazienza inglese è pari alla sua tenacia e alla indifferenza per i disappunti e per le contrarietà. Così si spiega la politica inglese verso l'Italia durante e dopo la guerra d'Africa fino all'attuale Gentlemen's agreement per il Mediterraneo (l), verso la Germania per la denunzia delle clausole militari del trattato di Versailles e la violazione del trattato di Locarno, e riguardo la guerra di Spagna con il comitato di non intervento. Allo stesso tempo 1'Inghilterra si è avvicinata agli Stati Uniti d'America e agiri di concerto, se il Giappone intende alterare le posizioni nel Pacifico; non ostacola il patto della Francia e altri stati con la Russia, si stringe di più alla Francia; e fa capire che qualche cosa è mutata da quando andava riaffermando ad ogni occasione il suo disinteressamento per la frontiera dell'est. Così si delinea l'allineamento futuro. Tutti gli sforzi della politica francese sono perchè l'Italia tomi a Stresa (che gioco di ottica per Stresa!); ma l'Italia tende a mantenere attorno a sè l'equivoco, giocando ora a destra ora a sinistra, per ottenere dei vantaggi al presente e per non compromettere del tutto la sua libertà di scelta nel futuro.
(1)
Nella seconda metà del 1936 si svolsero a Roma i negoziati tra Italia
e Inghilterra che portarono, il 2 gennaio 1937, al cosiddetto Gentlemen's
agreement, con il quale i due paesi si impegnavano a rinmciare a qualeiasi propoaito di modificare lo statu quo nel Mediterraneo. Ciò non impedì a Mnssolini di continuare a prestare aiuto alla causa di Franco in Spagna.
Tenendo presente l'attuale orientamento delle potenze, sembra naturaIe che il gruppo germanico sia formato dalla Germania, Austria e Ungheria, mentre il gruppo avversario non può non riunire insieme Francia e Gran Bretagna, Piccola Intesa e Russia. In questo caso il Belgio, non ostante tutto, sarà dal lato dell'Inghilterra. La Polonia non potrà mantenersi neutrale e dovrà cadere dal lato francese, così come forse Grecia e Turchia; altre pedine nello scacchiere (Spagna, Bulgaria, Portogallo) non spostano molto. In queste condizioni, la Germania, per fare la guerra, deve poter contare sull'Italia. Donde una responsabilità gravissima pesa sul governo italiano sia per gli interessi del proprio paese sia per la pace internazionale. Se il Giappone interviene, la Cina sarà dall'altro lato, gli Stati Uniti non saranno indifferenti. L'allargamento della guerra in tale caso non porterebbe reale giovamento alla G e m a nia, al contrario alla fine la danneggerebbe. Ecco come oggi, più che ieri, la posizione dell'ltalia, nel gioco delle forze, può essere non decisiva della vittoria, ma decisiva della guerra. Se l'Italia oggi fosse chiaramente e fermamente d'intesa con l'Inghilterra e la Francia sopra u n programma di giuste riforme, ma con l'esclusione senza equivoci di ogni guerra e con la volontà di tener testa all'aggressore eventuale, le probabilità di una guerra europea sarebbero allontanate almeno del novanta per cento. Questa politica non dovrebbe avere nè la mira d i accerchiare la Germania e crearvi dell'ostilità contro; nè quella di mettere un cordone sanitario alla Russia. D'altro lato c'è il modo di porre argine alle mene dell'Internazionale di Mosca dirette a sovvertire i singoli paesi per agevolare in essi la rivoluzione comunista, senza per questo preparare una guerra europea che sarebbe proprio il terreno propizio per una bolscevizzazione finale germogliante tra le rovine della guerra. Insistiamo sulla responsabilità che pesa oggi sull'Italia per quanto riguarda l'orientamento della politica europea verso la guerra o verso la pace, non per minimizzare le responsabi-
liti di altri paesi, specialmente della Germania, ma per =citare l'opinione pubblica a rendersene conto e a valutare di eonseguenza i mezzi necessari per impedire che l'Italia s'impegni a fondo con la Germania. D'altra parte, se è difficile assumersi la responsabilità di una guerra anche quando si ha la certezza della vittoria, ehe dire del caso presente, quando una tale certezza non è possibile averla neppure nel caso che Germania e Italia fossero legate per la vita e per la morte? Fino a ieri il tempo lavorava a favore della Germania; da oggi il tempo lavora a favore della Francia e suoi alleati, a favore dell'hghilterra e della sua politica. Questa è la verità, che comincia a comprendersi di qua e di Là del Reno, di qua e di là delle Alpi. L'Inghilterra va compiendo il suo riarmo; la Francia va perfezionando il suo. La Germania nella sua preparazione bellica ha avuto la mira di poter colpire e vincere il suo eventuale nemico di sorpresa, in modo da atterrarlo definitivamente e costringerlo alla resa in poche settimane o in pochi mesi. Oggi, quale che possa essere il suo awersario eventuale, la Francia o la Cecoslovacchia, la Polonia o la Ruseia, o anche l'Inghilterra, la Germania sa di trovare tale resistenza che l'attacco di sorpresa, anche se vittorioso, non potrà essere decisivo. Sul lato francese, la linea Maginot darebbe tempo ad u n riordinamento di forze e ad un immobilizzo di eserciti, tale da trasformare la guerra e alterarne i piani. Dal lato est, anche se la Cecoslovacchia sarà invasa, gli eserciti della Piccola Intesa e della Russia invaderanno l'Ungheria, e fronteggeranno gli eserciti invasori; nell'ipotesi di una guerra con la Polonia (perchè legata alla Francia) l'occupazione di parte del territorio polacco avrà per contraccolpo l'invasione della Prussia orientale da parte dei polacchi. I fronti si fisseranno per una guerra di usura e di distruzione reciproca, anche nel caso che l'Italia sarà con la Germania e fisserà i suoi fronti contro la Francia e contro la Jugoslavia. Certo il fattore Italia avtà una funzione di gran lunga superiore di quello ch'ebbe nel 1914-18, perchè l'Austria di oggi è niente di fronte all'Austria-Ungheria di allora, e perchè l'at-
tuale SUO allenamento militare è superiore alla impreparazione del 1914. Ma le condizioni finanziarie del191talia di oggi sono inferiori di molto a quelle di allora. Nel caso di una guerra lunga e di usura la resistenza vittoriosa sarà dal lato d i chi ha l e risorse finanziarie, non dal lato della Germania e Italia che sono finanziariamente ed economicamente debolissime. Ecco come si presenta all'inizio del 1937 il problema della guerra futura. Resta il caso imprevisto, il puntiglio del momento, I'accecamento dell'orgoglio. Questi elementi giocano più dal lato dei dittatori che da quello delle democrazie; spetta a queste ultime di saper impedire con sangue freddo, volontà decisa e sicurezza d'intuito, che lo scoppio di un petardo generi un incendio, e che il casus belli non venga isolato e risolto pacificamente. Oggi è la guerra in Spagna che preoccupa. Fin qui, Inghilterra e Francia han saputo evitare che l'Europa prenda fuoco. Ci vuole più coraggio a dimostrarsi prudenti e calmi, che a sfoderare l a spada. Più che altri, noi cattolici evitiamo di soffiare nel fuoco e d i accalorarci per cause anche. buone, nel preconizzare mezzi violenti e guerra di crociati. Non domandiamo, come Giacomo e Giovanni figli di Zebedeo (prima di essere apostoli e santi) che scenda il fuoco su Samaria. Londra, gennaio 1937.
(L'Ade, Paris, 16 e 23 gennaio 1937). Arch. 10 A, 9.
2. I L COMUNISMO IN INGHILTERRA Dal punto di vista ~ o l i t i c oil comunismo in Inghilterra può dirsi quasi inesistente. Le poche migliaia di elettori comunisti non possono darsi neppure la consolazione di vedere i l nome del loro partito messo in rango con gli altri. Essi sono spiri-
tualmente rappresentati dall'I.L.P., cioè dall'hdependent Labour Party, il quale non conta che tre deputati. Qualche cosa di più dei fascisti di Mosley che ancora non Iianno un deputato alla camera dei comuni. Non sembra che l'awenire sia molto promettente per loro. Essi hanno fatto il cosiddetto Fronte popolare con la lega socialista e con 1'I.L.P.; ma pare che in tutto non contino diecimila aderenti. E mentre i fascisti di Mosley preparano, per le prossime elezioni, una cinquantina di candidati (su 616 seggi) non pare che i comunisti, oggi fronte popolare, possano arrivare nemmeno ai cinquanta. Come si spiega allora che in certa stampa inglese si comincia a parlare di dilemma comunismo-fascismo come di una necessità di opposizione, come se da un lato vi fosse tutto il male e dall'altro tutto il bene? Proprio i n questi giorni, in un grande banchetto di azione cattolica, al quale partecipavano l'arcivescovo di Westminster e il vescovo d i Southwark, l'ausiliare vescovo di Pella e i capi organizzatori e giornalisti cattolici di Londra (oltre trecento intervenuti), l'arcivescovo mons. Hinsley li ammoniva a non credere che i l rimedio del comunismo fosse il fascismo, a non appellare fascismo tutto ciò che non fosse comunismo e a guardarsi dal discutere di puri nomi, senza tener conto della vera sostanza delle cose. Per i cattolici la salvezza è nel cattolicesimo puro e intiero, non in programmi e teorie che in una maniera o in un'altra negano o violano i principi cristiani. Purtroppo, certe parole d'ordine, certe idee sempliciste si impongono alle fantasie, ai sentimenti, alle paure delle varie classi; sicchè dal punto di vista sociale oggi si va orientando il pensiero verso il comunismo o verso il fascismo come termini risolutivi della crisi attuale. Per gli operai in genere la soluzione definitiva sarà nel comunismo; per la borghesia industriale e proprietaria la soluzione sarà nel fascismo. I n Inghilterra il popolo non è incline alle ideologie; non ama le costruzioni teoriche; vuole la pratica, la sperimentazione dei rimedi, la gradualità dei piani di riforme. Perciò è ben premunito per non correre verso gli estremi da un lato e dall'altro.
Ciò non ostante, il comunismo è guardato con simpatia da studenti, da professori, da teorici, come un mezzo per superare la crisi, che ancora mantiene oltre un milione di disoccupati (non ostante la ripresa di affari in tutti i rami della produzione e del commercio), e come uno sbocco verso il quale presto o tardi dovrà arrivare il sistema capitalista attuale. Costoro non si preoccupano del lato materialista del comunismo; essi pensano che, in Inghilterra almeno, ci saranno dei comunisti atei, come ci saranno dei comunisti buoni metodisti, anglicani, cattolici, allo stesso modo che nel partito laburista ci sono persone religiose e pie di tutte le confessioni (compresi i cattolici), perchè nessuno va loro a chiedere se e perchè vanno in chiesa e frequentano i sacramenti. Per costoro il comunismo è solo l'antitesi di capitalismo; l'uno e l'altro sistemi economici, evidentemente estranei ad ogni preoccupazione religiosa, ma che non avversano la religione in quanto tale. Questo spirito inglese di tolleranza e di rispetto religioso, non è certo lo stesso di quello continentale, dove le passioni e gli interessi economici si coloriscono di clericalismo e di anticlericalismo. È per questo che qui, per far comprendere bene in certe zone cattoliche operaie l'attuale campagna della stampa cattolica o dei predicatori in chiesa contro il comuiiismo ateo e materialista, bisogna riportarsi alla situazione della Russia o della Spagna. Allora il problema diviene concreto o comprensibile alla mente dei più; non come un problema che li tocchi personalmente, ma come una difesa della religione ch'essi amano e che vedono conculcata in quei paesi disgraziati. La simpatia per la Russia sovietica presso le classi operaie inglesi dieci anni fa era assai diffusa. Oggi lo è meno. La campagna dei senza-Dio ha urtato anche gli operai non credenti o indifferenti alla religione; e i metodi tirannici di Stalin non sono riusciti di gusto a questo popolo abituato alla libertà goduta con serietà e con rispetto, senza costrizione nè licenza; i processi sovietici imbastiti per sopprimere gli avversari hanno finito col togliere alla Russia quella simpatia che veniva dal carattere operaio della rivoluzione.
Circa la Spagna la posizione è diversa. Più che di comunismo si ritiene che in Spagna si tratti di anarchia, di sindacalismo e di socialismo verbale e rivoluzionario. L'operaio cattolico inglese è assai colpito dal fatto delle chiese bruciata e dei preti uccisi a Barcellona e a Madrid, ma non identifica la chiesa cattolica con una parte e non accetta la tesi della guerra santa. Una commissione di operai della Catholic Trade Union Officials si presentò, verso i primi di ottobre, all'arcivescovo, per manifestargli il disagio in cui essi si trovano, perchè da un lato erano solidali con le Trade Unions e loro rapporti verso gli operai spagnoli, e dall'altra non volevano fossero messi i n dubbio i loro sentimenti cattolici. Essi credevano che la situazione attuale della Spagna era dovuta come prima causa alla rivolta militare, non al comunismo. L'arcivescovo, pur assicurandoli che essi potevano restare fedeli alle loro Trade Unions (unioni professionali o sindacati) nelle quali il pericolo del comunismo viene circoscritto e attenuato, disse loro che anche il fascismo va condannato, come non basato sui principi cristiani. Per la Spagna, la chiesa non h a responsabilità di quel che avviene laggiù. Essa ne soffre tutte le peggiori conseguenze. Secondo l'arcivescovo, un complotto comunista si preparava in Spagna prima della rivolta. Non ostante tutto, vi sono in Inghilterra ancora coloro che parlano di scelta: fascismo o comunismo; ma costoro non sono quelli che lavorano sul serio nell'azione cattolica, nè quelli che mantengono fede ai sindacati, nè quelli che difendono i principi cristiani nella vita politica; ma sono quelli che vedono il problema dell'attuale crisi sotto aspetto di classe... comunismo o dominio degli operai, fascismo o dominio della borghesia e del militarismo. (Popolo e libertà, Bellinzona, 13 febbraio 1937). Arch. 11 A, 17.
MESSAGGIO ALL'AUBE Caro direttore dell'Aube, è con vivo piacere che ho preso parte alla kermesse organizzata in favore dell'dube, e mi son sentito ringagliardito nel poter constatare lo slancio, l'entusiasmo, la fiducia nell'avvenire che vi anima, voi e i vostri collaboratori ('). Ciò mi fa bene sperare, poichè è solo con un quotidiano come L'Aube, vivo e di spirito aperto, che i cattolici sociali francesi potranno manifestare pienamente la loro personalità politica, difenderla contro gli attacchi degli avversari dichiarati, affermarla in faccia ai compagni diffidenti o e&tanti. per questo che ogni sforzo mirante ad assicurare la vita dell'Aube è seguito anche fuori della Francia con la più viva simpatia ed è accompagnato dai più cordiali voti. Vogliate gradire, signor direttore, i miei sentimenti di affettuosa solidarietà. LUIGI STURZO Londra, 8 m a n o 1937. (L'Aube, Paris, 10 m a n o 1937).
Mon cher directeur de L'Aube, C'est avec un vif plaisir que j'ai pris part à la kermease organisée en faveur de L'Aube et je me suis senti regaillardi de pouvoir constater l'élan, l'enthousiasme, la confiance dans l'avenir qui vous anime, vous et vos collaborateurs. Cela nous donne beaucoup d'espoir, parce que c'est seuleuient avec un quotidien comme L'Aube, vivant et d'esprit ouvert, que le8 catholiques sociaux francais pourront manifester pleinement leur personalité politique, la défendre contre les attaques dee adversaires déclarés, l'affirmer en face des compagnons défiants ou hésitants. C'est pourquoi tout effort visant à assurer la vie de L'Aube est suivi
( l ) Francisque Gay, direttore de a L'Aube n, organo dei cattolici francesi di ispirazione democratica cristiana, onde assicurare un contatto con i propri lettori, era solito organizzare tournées di propaganda. Cfr. F. MAYEUR,L'Aube. Studio di un giornale d'opinione, Roma 1969, pp. 322-23.
mEme ho= de France avec la plus vive sympatie et s'accompagne dea voeux les plus cordianx. Je vous prie d'agréer, monsienr le directeur, mes sentiments de solidanté affecteuse. Luigi Sturzo
LA MISSIONE DEI CATTOLICI DEMOCRATICI Don Sturzo, nostro maestro, come lo chiamiamo affettuosamente, ci h a inviato una lettera estremamente interessante, di cui qui di seguito trascriviamo alcuni concetti. Dice: « Le invio copia della lettera dell'episcopato belga, i n tutta la sua integrità: vale la pena di diffonderla fra quei cattolici ed ecclesiastici che credono più nella forza materiale che nella forza morale delle idee e della fede. È missione dei cattolici democratici lottare contro le destre reazionarie nazionaliste e capitaliste e clericali, e contro le sinistre antireligiose e rivoluzionarie. È infatti un'alta missione difendere i valori morali e i principi sociali del cristianesimo contro gli uni e contro gli altri. Sarebbe necessario diffondere su larga scala le encicliche Rerum ,Novarum d i Leone XIII e Quadrogesimo Anno di Pio XI. Non aver fretta, non abbattersi e lavorare in (questo e con convinzione e per conquistare gli altri) sarà il miglior metodo per raggiungere lo scopo 1). (Presente!, Buenos Aires, m a n o 1937)
NOS ESCRIBE DON STURZO Don Sturzo, nuestro maestro, come carifiosamente le Ilamamos, nos ha escrito una carta sobremanera interesante, de la que transcribimos a continiiaci3n al y n o s conceptos. Dice : a Le envio copia de la Carta del Episcopado de Bélgica, en toda sii integridad: vale la pena difundirla entre aquellos cat6licos y eclesiisticos que cree mie en la fuerza materia1 que en la fuena mora1 de las ideas y de la fe. a Es la misi6n de 10s catolicos democriticos tener que luchar contra las derechas reaccionarias nacionalistas capitalista8 y clericales, y contra las izquierdas antireligiosas y revolucionarias. Pero, eata W una alta mision, la
de defender 10s valore8 morales y 10s principios sociales del Cristianiamo contra 10s unoa y en contra 10s otros. Seria necessario difundir en gran nscala las enciclicas Rerum Nonorum de Léon XIII y Quadragesirno Anno de Pio XI. No tener apuro, no desmadejar y trabajar en prohdidad (esto es, con conviccion y para conquistar a otros) seri e1 mejor método para alcanzar e1 éxito m.
LA DIFFAMAZIONE I N INGHILTERRA Quando lessi che a Francisque Gay il tribunale della Senna aveva liquidato i n tutto tremila franchi per le continue ingiurie diffamatorie dell'dction Frangaise ( l ) pensai che dai due lati della Manica vi era un ben differente metodo di valutare i danni morali e materiali di una persona offesa. Un amico inglese, che conosce assai bene la Francia, mi diceva in proposito che in Francia si apprezza assai più il denaro che la persona, mentre in Inghilterra si apprezza più la persona che il denaro. Altri invece pensa che in Inghilterra anche l'onore offeso si traduce in moneta contante, quale un business, mentre in Francia basta il simbolo della riparazione, non occorre il denaro. Sarà così o sarà diversamente; coloro che cercano di interpretare la psicologia dei diversi paesi hanno un bel rompicapo. Quel che è certo si è che in Inghilterra la diffamazione e I'accanimento personale per ragioni politiche e a mezzo della stampa non esistono affatto, mentre in Francia, nel Belgio e altrove sono assai diffusi. I1 ricatto personale fatto con la stampa e la diffusione di fatti intimi è raro in Inghilterra, mentre in altri paesi vi sono dei giornali che vi si dedicano spudoratamente e ne fanno una speculazione. È caratteristico il caso accaduto a me or sono sei anni, nel
(l) Sui rapporti, le polemiche, i contrasti tra L'Aube e 1'Action franqaise, cfr. F. MAYEUB,op. cit., pp. 265276.
periodo del dissenso aperto fra Pio. XI e Mussolini, per la questione della gioventù cattolica, poco prima che venisse fuor i l'enciclica Non abbiamo bisogno (che tra parentesi molti cattolici han dimenticato). Un corrispondente del Daily Express d i Londra scrisse che i l segreto istigatore del conflitto era u n prete italiano, con la barba lunga e la testa calva che abitava a Londra presso i gesuiti e c h e si chiamava don Sturzo. Feci sapere, per mezzo d i u n amico, al direttore del Daily Express che don Sturzo non aveva la barba lunga ma era rasato; non era calvo ma aveva ancora i capelli: non abitava presso i gesuiti, ma in una casa privata, e infine che non aveva nulla a vedere nel conflitto Vaticano-Mussolini. Domandai l a smentita completa; poichè tardò a venire, io feci sapere che se non andavo i n tribunale era per mostrare di non voler approfittare d i una falsa informazione data da un fascista (come seppi allora) p e r farmi liquidare una forte somma; però esigevo che insieme alla rettifica il giornale mandasse 50 sterline (allora più di 6.000 franchi francesi) alla parrocchia cattolica dei Serviti di Fulhan Road da darsi ai poveri. Così fece il Daily Express e mi mandò a ringraziare d i non aver voluto fare querela per diffamaxione e richiedere danni. Un caso analogo, ma con maggiori conseguenze, f u quello che capitò parecchi anni fa al Times, che per u n equivoco accusò u n certo Giulio X... d i avere rapporti con i bolscevichi, mentre si trattava di Filippo X.. . Accortosi dell'equivoco, l'indomani i n caratteri più grossi e nello stesso posto avvertì i lettori che si trattava di Filippo e non di Giulio. Passati alcuni mesi, il Giulio X... dimostrò al Times di avere per tale equivoco sofferto dei danni, e il giornale venne a una transazione amichevolmente per una cifra alquanto elevata. che superò i l mezzo milione d i franchi. Ma perchlì: questa cura di evitare i processi avanti l e corti inglesi, e quindi la cura d i non accusare nessuno sui giornali inglesi e d i limitarsi a riportare i Fatti oggettivamente? T r e l e ragioni: percliè l'inglese non vuol perdere tempo: il tempo è denaro specialmente in un paese ricco e di affari come q u i ; perchè i processi sono costosissimi; perchè infine i l diffamatore e divulgatore di fatti personali è quasi sem-
pre condannato a pagare forti somme e può arrischiare la prigione. Ecco in breve il sistema inglese. Esso è basato sopra un solido principio di difesa personale, cioè che non basta che le notizie diffuse. siano vere, occorre provare che vi sia un'utilità pubblica a divulgarle. Questo principio si applica tanto alla divulgazione orale (slander) quanto a quella scritta (libel). Se manca la ragione di pubblica utilità, non si ammette la prova della verità e la condanna è sicura. Questa è solo pecuniaria (spese, danni e interessi) nel caso che l'accusa non abbia carattere di malicious kriminal libel, cioè che non attribuisca maliziosamente alla persona accusata dei disegni criminali; in questo caso specifico si è anche condannati alla prigione. La cura di salvaguardare la persona accusata è tale, che nel caso di diffamazione orale il tribunale può ordinare di mantenere segreto il nome della persona offesa e dell'oggetto della querela. Infine, quando di qualsiasi processo è investita la corte, nessuno può più parlarne a favore o contro, perchè cadrebbe nel reato di contempt of court e andrebbe diritto in prigione. Per indicare quale sia il metodo delle corti bastano questi due esempi recenti. L'Evening Standard di Londra più di sette anni fa rivelò che Barbujonesco di Romania quando era garzone di caffè aveva truffato; poi era divenuto agente di re Carlo. Non potendo provare nè l'esattezza dell'informazione nè la pubblica utilità, fu condannato a pagare dodicimila sterline di danni, oltre le spese; in totale quasi due milioni di franchi. Tre anni fa il signor Recchioni detto King Bomba dall'insegna di uno dei più assortiti negozi di generi alimentari a Piccadilly, fu indicato dal Daily Telegraph come uno che avesse contribuito alle spese per un attentato a Mussolini. Costui chiamò il giornale in corte e diede la facoltà della prova. Ma la prova mancò. King Bomba era un fiero antifascista ed ebbe modo (poco prima di morire) di dire in una corte inglese tutto il euo aperto dissenso contro i1 fascismo; ebbe liquidato
1750 sterline (quasi 200 mila franchi) oltre le spese e gli interessi. Di fronte a simile sistema i giornali sono cauti, i giornalisti quando scrivono non si lasciano trasportare dalle passioni, gli oratori sono flemmatici e il paese è più tranquillo e la politica più seria. (L'Aube, Pans, 26 marzo 1937). Arch. 10 A, 15.
POLIZIA E CITTADINI IN INGHILTERRA (Dopo i fatti di Clichy) Un mese fa, trovandomi in Francia, parlavo ad un amico di alcuni sistemi inglesi amministrativi, burocratici e di polizia. L'amico a rispondermi: « Molto buoni certo, ma non adatti per noi francesi individualisti all'estremo. L'inglese ha un'autodisciplina qui inconcepibile n. È vero: ma molti istituti e metodi, con diversi adattamenti passano da paese a paese. Gli italiani del risorgimento presero dalla Francia l'accentramento amministrativo e il monopolio scolastico. La Francia prese dall'hghilterra il sistema parlamentare. Il Belgio tolse dalla Francia la costituzione, l'Inghilterra imitò dalla Francia la scuola elementare laica. I fatti di Clichy mi hanno ricordato quella conversazione, e una frase di Blum, che ho letto stamane nel Tirnes, sull'armamento della polizia, ha prevenuto l'articolo che da tre giorn i avevo in mente di fare per L'Aube. I n Inghilterra due canoni sono fondamentali circa l'ordine pubblico: che il cittadino è un cooperatore nato degli agenti dell'ordine, e che questi sono gli amici e difensori nati del cittadino onesto e disciplinato. A questi canoni si deve ag-
giungere l'altro che la persona del cittadino è sacra e inviolabile. È perciò che la polizia non è armata; essa non ha mai i l diritto dell'uso delle armi. Solo fa eccezione la cosidetta squadra anticriminale (che non sono più di 20 a Londra) che si arma quando deve andare a far prigioniero qualche criminale che si teme possa resistere con le armi. Allora si fa luogo alla legittima difesa. La polizia invece tiene il bastone non in servizio di sorveglianza ordinaria, ma quando ci sono agglomeramenti che possono degenerare in disordini di folla. I n questo caso, vi è sempre un sistema che si deve osservare rigidamente. I n un primo tempo la polizia cerca di rimettere l'ordine con l'autorità, e solo può toccare le persone con l e mani e i gomiti. Se teme di essere sopraffatta, allora può usare il bastone. Se l'eccitame&to della folla può prendere carattere di tumulto, in tal caso la polizia fa appello ai soldati. Allora il sindaco (Major) o altro capo responsabile, legge al popolo il Riot Act, indi fa dare per tre volte l'intimidazione di sciogliersi; quindi autorizza il comandante della truppa a far uso delle armi. Per contro partita c'è che il popolo inglese non ha l'abitudine di portare armi da fuoco. I permessi di caccia sono esclusivi per l a caccia, la quale è uno sport delle classi ricche, e non è molto diffusa fra le persone comuni. C1 sono i permessi per tenere la rivoltella in casa; ma poche sono le persone che usano averla, rarissime quelle che la portano con sè fuori di casa. I n tanti disordini che ci sono qua e là per motivi sociali, scioperi, disturbi nelle miniere e nei docks, i casi di colpi di armi da fuoco sono un'eccezione rarissima e sempre senza gravi conseguenze. Nei giornali si leggono casi di gente uccisa con qualche pistola; sono malfattori, ladri, gente di malaffare, sfruttatori di donne e simile genia, che in via normale non s'intmfolano nelle dimostrazioni politiche e nelle agitazioni operaie. In queste la gente, inquadrata in centinaia e centinaia di gruppi, fa la
sua sfilata con calma, serietà, portando bandiere e scritte le più varie con una convinzione eccezionale. I fascisti di Mosley stanno cominciando a portare in Inghilterra dei costumi continentali, ma fin oggi non sono andati più in là del tiro di pietra e delle rotture dei vetri delle botteghe di ebrei, tanto per dimostrare il loro antisemitismo. La proibizione ai partiti politici di vestire divise e camicie di vario colore è arrivata opportuna a togliere un motivo di disordini. In ogni caso, la polizia disarmata è bastata a impedire gli eccessi e a frenare i bollori delle teste calde. La polizia può fare appello ai cittadini per essere aiutata; il cittadino inglese sa già che è un suo dovere e che l'adempierlo è nell'interesse della comunità. I n tempi d i scioperi generali, i cittadini che vogliono spontaneamente aiutare la polizia vengono inquadrati in essa, con un semplice distintivo al braccio. Ma anche in tempi normali, anche ad aiutare i policeman per un ladro che fugge, i cittadini si prestano e saniio di doversi prestare. Ci& porta ad una simpatia fra il policeman e il cittadino che non si riscontra in nessun altro paese. I1 policeman inglese è sempre un bell'uomo alto e grosso e sorridente, come si suole disegnare nelle vignette illustrate e negli affissi ai muri; egli non secca le persone, non fa mostra di autorità fuori luogo, è tollerante e simpatizzante fin che può. Ma si fa ubbidire, senza gridare, con un cenno della mano o della testa. I1 popolo sente questa superiorità simpatica e l'ama; e sa di potervi contare. Dall'altro lato, il popolo è flemmatico, tollerante, non eccitabile. Nell'angolo di Hyde Park, che dà sul piano di Marble Arch, ogni giorno e ogni sera si possono vedere centinaia di persone che ascoltano all'aperto conferenzieri improvvisati, i parlano di politica, di religione, di economia, sotto le più differenti teorie in contrasto, comunisti e liberali, cattolici e protestanti, quacqueri e obiettori di coscienza, militaristi e pacifisti, ciascuno con i l suo gruppo vicino all'altro, con la folla varia, plaudente o diffidente, entusiasta o indifferente. I policemen passeggiano, guardano, sorridono. Trecentosessanta giorni su trecentosessantacinqiie non succede mai nulla; e ne-
gli altri 5 giorni, con oche guardie si tengono a posto notevoli folle. E la vita continua
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(Popolo e libertà, Bellinzona, 31 marzo 1937). Arch. 5 A, 12.
LETTERA DA LONDRA
Ciò che soprattutto mi ha interessato nella crisi costituzionale inglese, è l'influenza dellYopinione pubblica sullo scioglimento del drammatico episodio (l). Parlando di questa opinione pubblica, bisogna intendere non solo quella del vecchio Regno Unito, ma anche quella dei Dominions, che hanno una personalità costituzionale propria e che limitano il potere autonomo sia del parlamento inglese, sia del re. Questo immenso impero che si estende dalla metropoli fino ai confini della terra ha mostrato di potere, grazie ai moderni mezzi di comunicazione, collaborare attivamente e continuamente con il governo britannico e presentare una massiccia opinione pubblica su un problema di interesse capitale. L'unione. del Commonwealtli britannico è stata veramente in gioco. I1 re è il legame simbolico ed effettivo fra le collettività che lo compongono. L'unità in politica estera e fra Dominions è rappresentata e mantenuta da lui. Ogni malinteso fra lui e i diversi stati o Dominions (anche se tale malinteso non venisse considerato da tutti allo stesso modo) aprirebbe un dissenso abbastanza grave da obbligare il re ad andarsene
( l ) I1 16 novembre 1936, il re d'Inghilterra Edoardo VI11 annunciò pubblicamente il suo matrimonio con l'americana Wallis Simpsoa. Si trattava di matrimonio morganatico che, secondo la carta costituzionale britannica, impediva al sovrano d i restare sul trono. Il 10 dicembre Edoardo W 1 firmò l'atto diabdicazione. Gli successe il fratello Giorgio VI, incoronato il 18 maggio 1937.
se non adottasse la condotta più saggia, o da portare ad un certo distacco dalla madre patria. La faccenda della regina si è presentata molto chiaramente. Impossibile ammettere a quel rango una persona che non aveva, agli occhi della borghesia e del popolo, quella condotta morale che attira il rispetto. I1 progetto di matrimonio morganatico era impossibile nel mondo anglosassone. Se tale progetto veniva legittimato i n nome dei principi di aristocrazia e d i sangue reale, avrebbe instaurato una distinzione di casta intollerabile per l a borghesia e per il laburismo; e se veniva legittimato unicamente da considerazioni personali concernenti la sposa del re, allora avrebbe recato a questa un pregiudizio pubblico e legale. In ogni caso non soltanto il duplice divorzio della signora Simpson, ma anche l'ambiente formatosi attorno a lei e al re, urtarono gli inglesi. Su questo punto la stampa inglese più autorizzata si è espressa in modo discreto ma significativo. Essa ha saputo far intendere ciò che aveva turbato i sentimenti di una nazione attaccata alla casa reale e al re Edoardo VIII, che le qualità personali avevano reso simpatico a tutte le classi. I n un articolo del Christian Science Monitor di New York, Wickham Steed ha scritto queste gravi parole: « La verità è che l'entourage del re comprendeva troppi uomini e donne (molti di nobili natali) lontani dal vero popolo, al punto di non capire che essi urtavano, e spingevano i l re ad urtare ancora la sana tradizione che è comune a tutte le classi degli stati e dei Dominions britannici. Senza dubbio è difficile a un principe e a un re scegliere buoni amici e allontanare fermamente gli amici pericolosi. I1 principe Hal, che aveva amici sconvenienti, seppe allontanarli quando divenne Enrico V. I1 principe di Galles Edoardo ignorò questo precedente quando divenne Edoardo VI11 D. L'opinione pubblica fu ferma, massiccia e costante fin dal primo giorno. Un (C non possumus » senza appello. Per due o tre giorni, si tentò di provocarvi una fessura. Winston Churchill ebbe l'idea di formare un gabinetto nel caso in cui il r e avesse persistito nel siio progetto e in cui il gabi-
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Non lo si sa. L'atnetto Baldwin avesse dato le dimissioni? teggiamento di Winston Churchill è rimasto equivoco. Era lui che cercava di farsi chiamare dal r e ? Era il re che voleva chiamare Winston Churchill? I n ogni caso Churchill rimase isolato al parlamento. I giornali di Rothermere e di Beaverbrook non dirigono l'opinione pubblica inglese. I fascisti di Mosley non hanno influenza; assumendo un atteggiamento ultra-regalista, essi volevano dar vita a una corrente antiparlamentare e rafforzare un conflitto tra re e parlamento, ma attorno ad essi si è fatto i l vuoto. Edoardo VI11 è rimasto fedele alla costituzione (così era nella tradizione della sua famiglia) ed ha capito che quei signori fascisti non contavano quasi nulla a Londra e in provincia, e assolutamente nulla nei Dominions. L'alternativa inesorabile : « rinunciare al matrimonio progettato o rinunciare alla corona », venne posta non da Baldwin o dal parlamento, ma dall'opinione pubblica ferma e unanime. L'impero britannico è uscito più saldo da questa vicenda. L'oscillazione dell'Irlanda del sud (Stato libero) non ha causato i l minimo turbamento. I1 governo di De Valera, eletto in opposizione alla politica anglofila di Cosgave, aveva posto nel suo programma tre punti clie parevano dover condurre ad una rottura totale con Londra : abolizione del giuramento di fedeltà ; abolizione del senato; abolizione del « governatore » che rappresenta il re. Tutto ciò riassunto nella parola « repubblica ». I1 giuramento cadde per primo. Londra si turbò per un istante, poi si disse che si trattava solo di una formalità. I1 senato, che De Valera ha finito con l'abolire, non interessava Londra: era a i suoi occhi una faccenda irlandese. Infine De Valera ha colto l'occasione della crisi costituzionale inglese e dell'abdicazione, per far passare la legge che abolisce il « governatore ».Questi, il 12 dicembre, ha ratificato la decisione del parlamento irlandese, l'ha così fatta divenire legge dello stato ed ha firmato così, lui stesso, la propria abolizione. Quale connessione con l'abdicazione del re? A prima vista, nessuna, e tuttavia esiste. Perchè l'abdicazione fosse valida, occorreva i l consenso di tutti i Dominions ivi compreso lo Stato
libero d'Irlanda, consenso che non era stata necessario per far succedere Edoardo a suo padre Giorgio V. De Valera si trovava cosi in una scomoda situazione. Consentire all'abdicazione, equivaleva a riconoscere Edoardo re d'Irlanda. Rifiutare di consentirvi, era aprire una crisi. La soluzione adottata ha questo senso: lo Stato libero d'Irlanda, dal punto d i vista interno è una repubblica indipendente e p e r questo non ha più « governatore D ; ma lo Stato libero rimane una delle unità di cui è composto il Commonwealth britannico, e come tale lo Stato libero ha per capo il re. È solo cosi che rimangono in vigore per l'Irlanda i legami che l'uniscono ai diversi Dominions o comunità (considerando lo stesso Regno Unito una comunità), legami rappresentati e consolidati dalla corona. È solo così che l'Irlanda ha dato il suo consenso alla accettazione dell'abdicazione del re Edoardo VIII e alla proclamazione del re Giorgio VI. Questa soluzione sottile e complicata soddisfa gli irlandesi che si sentono infine liberi da ogni soggezione verso lo straniero eretico; e al tempo stesso non urta troppo gli inglesi, che tengono alla sostanza più che alle forma1it.à giuridiche. Rimane per essi il fatto che l'Irlanda è un Dominion; che i1 re è il capo e il simbolo del Commonwealth; e che taluni porti dell'Irlanda sono sotto il controllo diretto dell'ammiragliato britannico. La crisi irlandese, a Londra, ha fatto l'effetto d i u n ronzio di zanzara. L'impero è più saldo di prima. Un settimanale cattolico inglese, che ha manifestato molta simpatia a Edoardo VIII, ha rilevato che l'opposizione al suo matrimonio con una divorziata è illogico in un paese ove il divorzio è angmesso, e soprattutto in u n momento in cui il parlamento discute una modifica della legge sul divorzio. E all'estero non si è mancato di parlare a questo proposito d i (C ipocrisia inglese n. La verità è tutt'altra. Facciarno anzitutto notare che le prime opposizioni al matrimonio progettate sono venute dai Dominions. Ma tutta l'Inghilterra vi si è associata immediatamente. Chiedere della logica agli inglesi è come chiedere ordine agli spagnoli e sangue freddo a i francesi. Gli inglesi considerano il divorzio come iin mezzo legale di porre fine a talune
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dolorose situazioni; ma non lo impongono alla loro chiesa, la quale può rifiutare il matrimonio ai divorziati. Inoltre il divorzio è mal visto nella buona società, e per il popolo è qualcosa di poco rispettabile. Non si è dunque voluto installarlo sul trono. E con ragione. Un'altra favola ha circolato nel continente: il conflitto tra il re e i l ministero sarebbe stato politico. Un re amico dei fascisti e autoritario non poteva piacere, si è detto, alla democrazia inglese. Si ricorda che nel viaggio nel Galles, i l re Edoardo andò, senza il consenso del ministero, a visitare alcune malsane zone popolari, provocando così una frizione tra lui e Baldwin e discussioni sui giornali circa i limiti del potere regale e i l carattere delle sue funzioni. Chi conosce il fondo di tutta questa storia, sa che all'inizio il re non credeva di incontrare una forte opposizione al suo matrimonio con la signora Simpson, e quando si rese conto di questa resistenza, ne provò una delusione e un malcontento comprensibili. E la visita alle zone povere del Galles era una prova della resistenza al governo. L'Inghilterra è troppo attaccata alla sua pace interna per correre un'avventura; e la sua struttura imperiale le impone dei riguardi verso i grandi e verso i piccoli, verso il re e i governanti, verso i partiti e il parlamento, verso i banchieri e gli operai. Chi non ne tiene conto non capirà la ragione della collaborazione aperta, larga e leale del capo dei laburisti e del capo dei liberali con Baldwin nelle circostanze presenti, pur rimanendo, l'uno e l'altro, capi dell'opposizione parlamentare. Immaginare una simile collaborazione dei socialisti francesi con un governo Doumergue o Tardieu, oppure di questi con u n governo Blum, è paradossale Un simile paradosso in Francia non si realizzerebbe che in caso di pericolo di guerra, ma non su una questione concernente la costituzione e il regime. La ragione di questa differenza, è che nell'impero britannico il regime e la costituzione, non sono in discussione e non creano dissensi nel paese. I1 capo del partito laburista indipendente, Maxton, ha voluto mettere avanti la repubblica nel momento in cui si stava per votare l'avvento d i Giorgio VI, e la
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sua mozione ha raccolto giusto due voti! La sua proposta del tutto platonica non ha suscitato alcuna emozione, mentre altrove una proposta del genere avrebbe sollevato clamorosi incidenti e provocato forse la sospensione della seduta. I n Inghilterra, i socialisti si pongono all'interno e non al di fuori delle istituzioni esistenti. Essi cercano di mutare la struttura economica e non la costituzione. In Inghilterra fascismo e comunismo non hanno fin'oggi alcun valore politico; essi penetrano come idee e sentimenti, ma tali idee e tali sentimenti, lavorando nella viva tradizione nazionale, ne subiranno l'influenza. Non si creda che tale stato d i cose provenga esclusivamente dalla lunga educazione liberale e tollerante della Gran Bretagna. La vita costituzionale del Canada, della Nuova Zelanda, dell'Australia è molto recente. La loro educazione politica è ancora in formazione, ma la loro mentalità ha le sue radici nella loro personalità di stato che dà loro la fierezza di essere autonomi e di appartenere al tempo stesso al Commonwealth britannico. Un ultimo punto caratteristico. Si è per un momento considerata l'idea di dare la corona alla principessa Elisabetta (che sarebbe stata Elisabetta 11), la primogenita del duca di York (oggi Giorgio VI). L'idea nasceva da una certa resistenza del duca a succedere al fratello in circostanze così emotive. Elisabetta ha solo undici anni e sarebbe stata necessaria una reggenza fino alla sua maggiore età. L'idea di avere questa piccola regina piaceva abbastanza al popolo inglese e la si prendeva in considerazione fin da quando si era supposto che il principe di Galles non si sarebbe sposato e non avrebbe avuto l'intenzione di succedere a suo padre. Sicchè la piccola Elisabetta è sempre stata circondata da rispettosa simpatia e dallo affetto popolare. La decisione di Giorgio VI di accettare la corona ha vivamente soddisfatto il mondo degli affari e del commercio, che aveva preso forti impegni in vista delle feste dell'incoronazione. Navi mercantili erano state affittate, gli alberghi attendevano i visitatori, cinema e teatri avevano stipulato dei contratti. L'enorme festa doveva condurre a Londra più di un milione di
persone. Senza l'incoronazione, tutto ciò cadeva. L'incoronazione è mantenuta, rimane fissata a maggio, che sarà p e r l'Inghilterra u n momento d i grande prosperità. Il pericolo è passato. Al posto d i Edoardo, sarà incoronato Giorgio VI. God save the King N. (Le Mouvement, gennaio-marzo 1937).
1,ETTRE DE LONDRES L'illustre exilié don Sturzo a bien ooulu érrire pour le iilouuernent ce& cirticle sur la crise qui uient d e remuer l'dngleterre et tout son empire. Ce qui in'a surtout intéressé dans la crise consiitutionnelle aoglaise, c'est I'influencc de l'opinion publique sur le dénouement de ce dramatique épisode. En parlant de cette opinion, il faut entendre non seiilement celle du vieux Royaume-Uni, mai aussi celle des Dominions, qui ont une personnalité constitutionnelle propre et qui limitent l e pouvoir autonome soit du parlement anglais, aoit du roi. Cet immense empire qui s'étend de 1; métropole jusqu'au bout de l a terre a montré qu'il peut, grate aux moyens modernes de communication, collaborer activenirnt et continiiment avec le gouvernement britanriique et présenter une opinion publique massive sur un problème d'intérét capital. L t n i o n du Commonwealth britannique a été veritahlement e n jeu. Le roi est le lien syrnbolique et effectif entre les collectivités qui le compnsent. L'unité en politique extérieure et entre Dominions est représentée et maintcniie par lui. Tout malentendu entre lui et les divers états ou' Dominions (méme si ce malentendu n'était pas envisagé par tous de la meme manitre), ouvrirait une dissension assez grave pour obliger le roi à s'en aller s'il n'adoptait pas la conduite l a plus sage, ou bien pour amener un certain détachement vis-à-vis de la mGre-patrie. L'affaire de la reine s'rst présentée très clairement. Impossible d'admettre à ce rang une personne n'ayant pas, aux yeux de l a bourgeoisie aussi que du peuple, cette tenue morale qui attire le respect. Le projet de mariage inorganatique était impossible dans le monde anglo-saxon. Si ce projet était légitimé au nom des principes d'aristocratie et de sang royal, alors il aurait instauré une distinction de caste intolérable pour la bourgeoisie et pour le travaillisme; et s'il était légitimé uniquement p a r des considérations petconnelles concernant l'épouse du roi, alors il aurait porté à celleci une atteinte publique et légale. E n tout cas non seulement le double divorce de Mme Simpnon, mais encore l'ambiance qui s'était formée autour du roi et d'elle, furent antipathiques aux anglais. S u r ce point la presse anglaise la ~ l u sautorisée s'est exprimés de facon
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cesi che tendono a formare due fronti D. Questa impressione viene ancora oggi dal fatto che mentre il governo Blum, per timidità verso i suoi e per non ingiustificata preoccupazione verso gli avversari, impedisce il corteo del 9 maggio, dall'altra parte la folla che è accorsa ad onorare la santa e a celebrare la festa nazionale (certo non tutta ma una buona parte), ha voluto accentuare i segni della divisione e i caratteri di una contesa di fazioni. In Inghilterra intanto, socialisti e liberali, in dissenso profondo con il governo e con il partito conservatore al potere, popolo e folla di tutte le parti del regno e di tutti gli angoli dell'impero, sono uniti in una gioia serena, umana, umile, nel senso più bello che il cristianesimo ha dato a questa spregiata parola, per il trionfo d i un simbolo paterno, morale e politico di primo ordine, comune a tutti, accetto a tutti. Anche i- cattolici hanno partecipato alla festa: non ufficialmente al rito religioso fatto dalla chiesa anglicana; ma (secondo gli ordini dei vescovi) celebrando la messa della Santissima Trinità in ringraziamento e cantando il Te Deum. Anch'io, nel piccolo convento di suore dove celebro ogni giorno, ho detto la messa della Trinità e cantato il Te Deum. I1 papa h a mandato la sua delegazione. I1 cattolicesimo, dopo tante lotte e persecuzioni, oramai da un secolo è rientrato nell'orbita nazionale, e tutte le rivendicazioni si sono ottenute con il metodo civile, non senza resistenza e urti, ma superando lo spirito partigiano, in una larga comprensione civica e morale. E l'Irlanda? Essa era assente: nessun giornale ha preso il tono tragico, nessuna declamazione ostile, nessun proposito d i vendetta, nessuna protesta. I giornali- han dato notizia della nuova costituzione, che fa a meno del sovrano, anche dal punto di vista del Commonwealth; si sono posti il problema se gli irlandesi che hanno impieghi nell'impero dovranno essere o no riguardati come « sudditi britannici »... Tutto ciò senza ira, senza partito preso, come un avvenimento già previsto, scontato e da mettere da parte. L'inglese in questo affare, ha l'aria di quel ricco banchiere che vede una grossa partita irrealizzabile e la mette fra le perdite fumando la pipa, come per non pensarci più.
T R E QUADRI - TRE PSICOLOGIE (9-12 maggio 1937) La «. sacra » del r e del Regno Unito, capo del Commonwealth britannico e imperatore delle Indie è stata u n avvenimento politico d i primo ordine. I1 decoro è tradizionale ed h a il carattere e il significato di mille anni di storia ininterrotta e ancora vissuta. I n ciò sta la differenza con tutte l e altre nazioni d e l mondo. Potrebbe forse eccettuarsi il Giappone, dal punto d i vista della propria tradizione dinastico-religiosa; ma il Giappone ha inserito nella sua storia tre quarti di secolo d i occidentalizzazione: i n quanto tradizione è troppo locale e non h a influsso nel mondo, in quanto occidentalizzazione è una imitazione che dovrà maturare e va maturando; perciò non ha valore psicologico-storico. Solo la Francia h a una storia e una tradizione più lunga e più gloriosa, nel passato, di quella inglese; ma la Francia ha due volte interrotto la tradizione rinnegandone i valori politici con la rivoluzione del 1789 e con la terza, repubblica laica. Essa perciò non ritrova oggi quella unità d i sentimento nazionale e quella forza istituzionale, che la Gran Bretagna mantiene inalterata. La guerra combattuta e la vittoria ottenuta sulla Germania, dovevano portare la Francia a riaffermare le istituzioni democratiche nell'unione nazionale, e a pacificarsi, nella più larga tolleranza civile, con il cattolicesimo. La festa nazionale di Giovanna d'Arco, allo stesso tempo canonizzata santa, doveva essere i l nuovo simbolo che legava la Francia alle sue tradizioni gloriose, senza per questo tornare alle forme monarchiche di governo. Questa unione non solo non si è fatta, ma le istituzioni democratiche sono terribilmente bersagliate dai nazionali (come si definiscono da sè con esclusione degli altri antinazionali o rossi); e la santa simbolo della religione e della nazione unite insieme, viene a d essere presa a segnacolo di lotta e monopolizzata e sfmttata per le divisioni profonde e insanahili dei fran-
lano che oggi fa spavento, è stato il prezzo pagato dai re per negare l'autonomia alla Catalogna. Ogni volta che i catalani si agitavano, gli attentati anarchici promossi da agenti provocatori della polizia madrilena servivano di pretesto per una repressione sempre più rigorosa. I n sostanza, la Castiglia come regione, la monarchia come titolo, gli interessi dell'aristocrazia e dei -partiti come movente, hanno mantenuto tutte le regioni spagnole sotto il dominio di un rigido accentramento. I baschi non negano la madre patria, non sono separatisti; sono autonomisti a loro modo, secondo le loro tradizioni, così come non sono separatisti ma autonomisti o se piace regionalisti, quelli dell'Alsazia Lorena. Forse non fanno bene questi ultimi a mantenere il loro statuto religioso e scolastico? e se la Francia fosse meno accentratrice in materia di amministrazione locale, forse non sarebbe meglio per la politica stessa e per un maggior respiro nelle questioni nazionali? I baschi si sono legati alle sorti del governo di Madrid perchè ebbero negati i loro diritti da Franco e compagni; ma anche perchè i baschi non pensavano mai che Hitler e Mussolini avrebbero mandato in Biscaglia le loro truppe regolari, i loro aerei e i loro tanks. Oggi se i baschi =laoiono, sotto la reffica delle bombe; se Mola può minacciare di radere al suolo Bilbao ( l ) ; se l'odio dei generali e loro compagni è per i baschi al punto d i dire ch'essi preferiscono una Spagna rossa a una Spagna divisa; tutto ciò si deve all'intervento dei grandi nazionalismi, il tedesco e l'italiano. Questi agiscono in nome della potenza e spirito di dominazione; mentre i piccoli nazionalismi, quali quello basco, domandano solo autonomia e libertà. -
Londra, 10 maggio 1937.
(L'Aube, Paris, 12 maggio 1937)Arch. 10 A, 13.
(l) Emilio Mola Vidal, generale spagnolo di parte franchista. Guidò la campagna per la sottomissione dei baschi, ma morì il 3 giugno 1937 in un incidente aereo. Sulla minaccia di Mola di radere al miolo Bilbao, cfr. l'articolo di Sturzo Il significato di Guernica, pp. 50-53 di questo volume.
rait au moyen ige, si les nationrilismes lilliputiens qui sommeillent partout étaient réveillés et consacrés (1.c.). Egli cade nell'assurdo, quando vuole costringere i popoli a subire una servitù o un vincolo che con la maturazione delle epoche si rivela assurdo. Che cosa è stato tutto il secolo XIX se non il risveglio d i questa coscienza nazionale, non come spirito di dominio ma come spirito di libert,à? Chi si sarebbe messo dal lato dell'impero ottomano, in nome del principio delle grandi unità politiche, per impedire la nascita degli stati balcanici, greci, bulgari, serbi, rumeni, albanesi? Forse il Belgio non è nato (come stato) nel 1830? e che garanzia da allora ad oggi per la Francia e la Gran Bretagna! Forse che il distacco della Svezia dalla Norvegia ( p e r una propria autonomia) ha recato del male a quelle due nazioni? e tutti i nuovi stati baltici? Vorrebbe de ICerillis regalarli alla Russia, ovvero alla Germania? Ci sono francesi che piangono ancora a calde lacrime lo sfacelo del vecchio impero austro-ungarico (de Kerillis è di costoro), ma chi si mette dal lato delle libertà dei popoli, accetta la formazione dei nuovi stati successori, come un migliore assetto dell'Europa centrale. E se ora questo assetto non è-tranquillo, non è colpa dei nuovi stati, ma della politica francese in prima riga, dei Tardieu, dei Paul Boncour, dei Lava1 che non han soputo far mantenere la fiducia nella Francia, e dal punto di vista economico e da quello politico, della Piccola Intesa, Forse la Svizzera non è ancora al centro della libertà e della sicurezza europea con i suoi cantoni medievali e ultra lillipuziani? Eppure non c'è stato più moderno della Svizzera in tutti i sensi. La Spagna doveva essere anch'essa una Svizzera in grande; una federazione di stati. I1 sogno monarchico unitario fu l'errore fondamentale che anche oggi si sconta. Dopo l'epopea dell'impero in Europa e in America, la Spagna decadde rapidamente, perchè mancò il contatto fra monarchia, clero e magnati da un lato e la borghesia e il popolo dall'altro. Mancò una vera vita organica locale, una partecipazione di tutte le classi alla formazione politica del paese. L'anarchismo cata-
cuazione dei fanciulli baschi per l'opera umanitaria del171n&ilterra e della Francia, hanno richiamato il mondo alle sorti del popolo basco; come la rivolta dei Sinn-Feiners e i tanks di Lloyd George richiamarono il mondo sulle sorti dell'Irlanda nell'immediato dopoguerra. I due popoli sono parenti di razza, di spirito d'indipendenza, di combattività, di religione cattolica vissuta nelle loro tradizioni più antiche e più pro£onde. Ai due popoli l e sorti storiche han dato secoli di soggezione, di umiliazioni, di annientamento. Oggi, nel momento che gli irlandesi rivendicano la loro totale autonomia e possono, senza reazione da parte del governo britannico, darsi una costituzione in cui viene a cessare l'autorità e i1 nome del sovrano; i baschi sono minacciati dal più largo esterminio, forse solo pari a quello degli armeni, che sono anch'essi nella litania dei popoli cristiani e cattolici, vittime storiche dello spirito di dominazione. Henri de Kerillis nell%cho de Paris del 5 maggio, afferma (come tutti i nazionalisti) che « i l ( l e peuple basque) a été l'artisan de son malheur quand il a lié sa cause à Caballero, aux communistes et aux anarchistes criminels de Barcelone e t de Valence n. Molti anche cattolici sono dell'opinione di Kerillis, perchè non pensano che a l popolo basco fu sempre negato il diritto alla sua autonomia dalla monarchia, dalla dittatura, dai liberali, dai cattolici di Gil Robles, e dalle destre alleate, dai militari, dai fascisti, a nome di una centralizzazione politica e amministrativa, che ripugna alla storia, al carattere, ai bisogni della iberica. È proprio questo quel che non comprende de Kerillis, quando scrive che « la doctrine (de l'autonomie basque) est d'ailleurs pmement absurde, car il est clair que l'Europe retourne-
conquista della regione basca. I baschi cercarono di resistere tenacemente difendendo il loro temtorio palmo a palmo. Dal 12 al 19 giugno i franchisti sferrarono una vigorosa offensiva contro la città di Bilbao. Grazie ad un poderoso fuoco di artigiieria e bombardamenti aerei, le forze di Franco riuscirono ad espugnare la città basca.
l'Italia, sia essa democratica o fascista. Però fra l'una e l'altra politica vi sarà sempre la differenza che passa fra una politica di pace e una politica di guerra. Chamberlain, con la sua vieita di Livorno al duce, che allora veniva fuori dalla crisi per l'assassinio di Matteotti, diede, senza volerlo, una spinta al consolidamento dell'uomo che doveva condurre le più vivaci campagne antibritanniche e doveva turbare l'equilibrio sul Danubio e nel Mediterraneo. Ciò non ostante Chamberlain favorì la politica di Baldwin per l a liquidazione delle sanzioni senza contropartita, e fu poi disilluso della partecipazione di Mussolini alla rivolta dì Franco, ancora prima che scoppiasse, con l'invio dei noti aereoplani caduti nell'Afnca del nord in territorio francese. Il fallimento della politica inglese dal trattato di Versailles in poi non poteva essere più manifesto. Ciò non ostante, sir Austin Chamberlain resta nella memoria europea come il migliore dei ministri degli esteri inglesi dalla fine della guerra fino a d oggi, uno dei più convinti a favore della pace nella sicurezza collettiva, e un amico sincero della Francia, a l punto che p u r essendo ministro, e con grave scandalo dell'assemblea, ebbe a dire a i comuni che la Francia si ama come si ama una donna n. (Politique, Paria, maggio 1937). Arch. 10 A, 10.
12. LA CAUSA DEL POPOLO BASCO
I1 bombardamento di Guernica ( l ) l'assedio di Bilbao ( l ) , I'eva(l) I1 26 aprile 1937 una squadriglia aerea tedesca, al 6ne di u sperimentare gli effetti di una distruzione senza difesa sul morale dei civili n, bombardò la città basca di Guernica, distruggendola completamente e provocando la morte di 1500 uomini oltre ad 800 feriti. L'episodio provocò l'indignazione deli'opinione pubblica di tutto il mondo. (2) U 30 marzo 1937 ebbe inizio una offensiva dei franchisti per la
Ma gli eventi successivi dovevano mostrare a lui - che fu sempre una persona retta, onesta, e persuasa della necessità d i una stretta costante e fiduciosa collaborazione con la Francia - che era impossibile conservare la pace e la sicurezza collettiva senza rafforzare la Società delle nazioni. Quando egli, dopo cinque anni di direzione e responsabilità degli affari esteri (che gli avevano fiaccato la fibra) fu più libero dei suoi atti, divenne costante sostenitore della Società delle nazioni e il più autorevole e ascoltato uomo politico che parlasse di affari esteri. Per lui h uno dei più gravi disappunti il contegno della Francia durante la guerra italo-abissina; egli vedeva come la politica di Lava1 avrebbe rallentato i rapporti anglo-francesi, avrebbe indebolita la Società delle nazioni e avrebbe reso baldanzoso Hitler nel suo sogno di abbattere l'attuale ordine europeo. Fu perciò che fece il noto discorso' ai francesi, avvertendoli delle gravi conseguenze, specialmente per il loro paese, alle quali si andava incontro. I1 7 marzo 1936, quando Hitler occupò la zona demilitarizzata del Reno, mostrò che sir Austin vedeva giusto; l'Inghilterra allora ripagava la Francia della sua stessa moneta. Egli fu il superstite dei tre autori di Locarno, quello che vide cadere in pezzi il sistema, che con Briand e Stresemann aveva pazientemente e fiduciosamente costruito. E non si accorse ( p e r quel che si poteva capire dal suo atteggiamento) che un nuovo Locarno era ormai impossibile. A lui sembrava che l'Inghilterra fosse di nuovo portata al punto fatale di ripetere la politica di lord Grey; allontanare, allontanare con tutti i mezzi, a costo di umiliazioni, il giorno fatale in cui la Germania imporrà al mondo un'altra guerra; ma essere per quel giorno pronti a difendere la Francia e con essa il Belgio e se occorresse l'Olanda. Ebbe una visione chiara del problema del Mediterraneo? Forse no; nessuno in Inghilterra, fino allo scoppio della guerra italo-abissina, comprese il nuovo molo dell'Italia, non solo dell'Italia fascista che ha bisogno di prestigio; ma dellYItalia della conquista libica e dell'Italia vittoriosa siill'impero austroiingarico, ridotto a pezzi. Bacino danubiano e Mediterraneo non possono oramai non essere influenzati dalla politica del-
Londra avrebbe rigettato i l protocollo di Ginevra), sir Austin rispose che la via per arrivare a Londra passava da Parigi dove dovevano farai i primi passi. Nè egli sembrava allora molto confidente nella Germania, riguardo i l confine dell'est, fino a che non ebbe una conferma da Berlino alla interpretazione ch'egli aveva dato alla camera dei comuni sulla portata del futuro patto che escludeva qualsiasi revisione della frontiera dell'est, interpretazione che l'ambasciatore tedesco a Londra gli aveva contestato. Se Austin Chamberlain avesse saputo della lettera di Stresemann al Kronprinz, il patto del Reno non sarebbe stato firmato. Certo fu un errore dei conservatori inglesi far cadere il protocollo d i Ginevra e ridursi al ripiego di Locarno; sir Austin allora non aveva della Società delle nazioni quella chiara idea che si formò successivamente; però egli non era intimamente contrario al protocollo; voleva solo delle modifiche, che forse ne avrebbero alterato la fisionomia, ma che ne conservavano i l fondo. Fu l'influenza d i lord Balfour che prevalse contro la sua opinione. Per un paio d'anni lo spinto d i Locarno dominò la politica europea; e al punto che si andava creando una specie di triumvirato che preludeva i l patto a quattro: Chamberlain, Briand e Stresemann aggiustavano i l mondo dietro le quinte e poi andavano a Ginevra a imporre la soluzione. Fu nell'assemblea del settembre 1927 che sir Austin perdette la pazienza (egli che si dominava e si controllava sempre). e gli scappò l'infelice frase della a your League n che vorrebbe imporre d i nuovo un protocollo; in tal caso l'Inghilterra potrebbe tornare alla «. smaller but older League n, il British Commonwealth of nations. Un freddo prese l'intera assemblea alla parola vostra lega, e nel resoconto ufficiale fu cambiato con questa lega. Ancora in tale incomprensione della solidarietà internazionale si mantenne Chamberlain a proposito del patto BriandKellog, quando egli fece inserire quella lunga e in certe parti inopportuna riserva, che evidentemente indeboliva la portata morale e politica del nuovo strumento di pace. Questa volta fu proprio Chamberlain ad assumere tutta la responsabilità.
année pliis tard. I1 est possible que une alliance nous ait procuré un temps de répit là où une entente échoua à conjurer le péril, mais je ne pense pas qu'il en ait été ainsi. Le caractère de 1'Allemagne rendait la guerre inévitable .à un moment donné, exactement comme ce fut le cas lorsqu'elle declina l'invitation de Grey à una conférence en juillet 1914, et sa declaration de guerre à la Russie alors que 1'Autriche se trouvait encore engagée dans des negotiations avec la Russie, ne fit qu'en précipiter I'éclosion. Mais en tout cas, il n'était pas du pouvoir de Grey de réaliser ce changement. Le cabinet ne l'aurait pas soutenu et au parlement son parti l'aurait désavoué n. Nello stesso articolo egli aveva scritto poco avanti: a Grey ne se faisait pas d'illusions sur l'inévitable aboutissement de la politique allemande. Leur manière de commencer une conversation, écrivait-il à Roosevelt, consiste à vous marcher m r le pied pour attirer votre attention au moment où vous ne vous tenez pas SUI vos gardes; et c'est alors pour eux une surprise et une grosse déception si la conversation ne se poursuit pas ultérieurement dans la douceur. Le caractère de la politique allemande a si peu changé que Grey aurait pu écrire ces paroles en 1937 et non pas en 1911 ». Nello scorso febbraio sir Austin aveva scritto un altro articolo sul medesimo tono e con gli stessi motivi per contestare alla Germania il diritto di rivendicare le colonie, sia dal punto di vista politico che da quello economico. Egli chiudeva l'articolo con una nota polemica assai grave nella penna di uno statista come lui: Un allemand se demande-t-il quelles conditions I'Allemagne aurait imposées à la Grande Bretagne et à ses alliés si 1'Allemagne avait remporté la victoire. Quelle pitié aurions-nous pu attendre d'elle? quelles indemnités aurions-nous diì lui payer? Que serait-il resté de la Belgique, et du Congo belge, et à 1'Angleterre de ses colonies et protectorats? Se serait-elle montrée plus clémente dans la victoire? I ) . Questi passi indicano chiaramente quale fu l'orientamento di sir Austin in politica estera: l'amicizia con la Francia fino all'alleanza; rapporti con la Germania con cauta diffidenza. Quando nel gennaio 1925 Stresemann gli fece proporre un'intesa a tre ( e Stresemann non l'avrebbe fatto se sospettava che
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Londra da partigiani di Franco; si fa anche il nome del banchiere Juan March ( l ) , andato a Roma come negoziatore della mediazione. Si citano in proposito giornali francesi come il Paris-Midi, il Temps (corrispondenza da Roma), 1'Ezcelsior. Superfluo dire che il mio articolo non è ispirato nè dagli ambienti fascisti di Roma, nè da quelli della destra di Parigi. Per me non si tratta di discutere una mediazione, nè di creare un ambiente favorevole a questa o a quella parte in guerra, ma di creare una psicologia di pace. Coloro che si prestano ad una ipotetica manovra di Juan March non avrebbero uno scopo etico-psicologico ma solamente un movente politico su un piano politico. (L'Aube, Paris, 27 aprile 1937). Arch. 10 A, 14.
11. SIR AUSTIN CHAMBERLAIN Pochi giorni prima di morire (=), sir Austin Chamberlain aveva pubblicato sul Daily Telegrapli. due articoli, a proposito della recente Vie de lord Grey of Fallodon; articoli apparsi anche sul Journal des Nations di Ginevra, col titolo: N L'Angleterre aurait-elle pu empecher la guerre? n. In essi si legge in proposito di ciò un'interessante confessione del pensiero personale di sir Austin. Dopo aver accennato a tutti gli sforzi fatti da lord Grey per allontanare la guerra con la Germania, egli aggiunge : « Une unique chance de salut demeura inutilisée. J'avais insisté auprès de lui (lord Grey) en 1912, pour que l'entente comporte toutes les obligations d'une alliance sans ses désavantages, et Balfour soutint le meme point de vue une ( l ) Juan March, capitalista catalano d'origine maiorchese, appoggiò la rivolta franchista, finanziando, tra l'altro, nel luglio 1936, il trasferimento di Franco, con l'aereo « Dragòn volante n pilotato dal capitano Olley, da Lnndra in hlarocco. ( a ) Eir Austin Chamberlain mori a Londra il 16 m a n o 1937.
di ogni diritto umano contro le popolazioni inermi, gli ostaggi, i non combattenti. Purtroppo la psicologia di preguerra ci soffoca; noi andiam0 ciechi verso una guerra europea, anzi mondiale, perchè accentuiamo tutti i sentimenti di divisione, di odio, d i partigianeria, di orgoglio da un lato, di paura, di egoismo, di indifferenza di fronte ai più grandi misfatti e agli orrori più inauditi, dall'altro lato. Eppure, c'è ancora un residuo di umanità e di cristianesimo, che non è morto nelle nostre anime. Le parole di tregua, di armistizio, di trattative, di pace, di mediazione, ci toccano nelle nostre fibre. E' vero che dai campi spagnoli si grida: nessuna pace fino all'esterminio del nemico! È questo il grido della passione, è il grido della morte, non quello della vita. Dopo nove mesi di guerra, i fronti si sono stabilizzati: pochi vantaggi a destra o a sinistra; rovescì e riprese dai due lati. La guerra si eternizza. Ai cosiddetti nazionali, per poter prendere Bilbao, Valenza e Barcellona, non ostante i mori, gli italiani e i tedeschi (centomila in cifra tonda), non basterebbero mesi e mesi, ma ci vorrebbe più di un anno. E dall'altro lato, i governativi che tentano di riprendere Cordova, che sperano di guadagnare Oviedo, che vorrebbero avere Burgos, vedono che anche per essi ( a essere fortunati) passeranno i mesi e ariiverà il nuovo anno... Intanto il controllo, bene o male, funziona. L'Italia ha accettato d i riesaminare la possibilità del ritiro dei volontari (sic). La discussione prenderà dei mesi e non avrà esito; ma intanto s'impoveriranno i due fronti di soldati e di armi. No; non è possibile continuare. L'Europa deve sollevarsi dal marasma fatale di spettatrice impotente ; i giornali devono cessare dal parteggiare per gli uni e per gli altri. Sulle trincee di Francia e di Inghilterra, della Svizzera e del Belgio, dell'Olanda, della Germania e dell'Italia, deve passarsi la voce delche un armistizio è necessario, per seppellire i morti l'odio e dell'ira fraterna, ed aiutare la Spagna a formarsi fin da ora una psicologia di pace. P.S. Leggo sul lournal des Nations del 19 e 20 aprile che una manovra pacifista sembra essere condotta a Roma, Parigi e
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Io non penso che la pace fra le due parti si possa imporre dall'estero. La pace dovrà farsi in Spagna e da spagnoli. La mediazione estera sarà possibile quando già le due fazioni la sentiranno matura. Occorre una preparazione psicologica, alla quale non possiamo essere estranei noi che fin oggi siamo stati, più che spettatori, partigiani di quella tragica guerra. Ebbene, quel che occorre anzitutto è che l'Europa cessi di essere partigiana, e cerchi di comprendere le ragioni delle due parti. Possibile che si sia partigiani di una guerra civile? Triste fatto ma vero. Trasportare in Francia, Italia, Germania, Inghilterra, Olanda, Svizzera, Belgio, le passioni delle fazioni spagnole, ingrandendole, deformandole, facendole servire agli odi e alle passioni di parte, ecco il primo errore, la prima colpa del resto d'Europa. Di fronte a i massacri di sinistra dei preti e dei frati, dei falangisti e franchisti, ci sono stati i massacri di destra degli operai pretesi comunisti, anarchici, democratici detti antinazionali. E non so se non facciano più orrore i massacri fatti dai difensori della fede e che inalberano le insegne religiose, che non quelli fatti da una plebe incitata e piena di odio, che non sa quello che f a e merita perciò la preghiera di Gesù per i suoi crocifissori. Se la stampa, i partiti, i governi di tutti i paesi avessero mostrato pari e costante orrore contro questi massacri, se avessero separata la causa della civiltà, quella della moralità, quella della fede, dagli orrori delle due parti combattenti in Spagna, non si sarebbe formato uno stato d'animo di partecipazione spirituale, che ha sostenuto la guerra e l'ha ingigantita. Si crede che la causa di tale partecipazione sia solamente politica, per il fatto che la prima a inviare in Spagna areoplani fu l'Italia (anticipando di tre giorni il pronunciarniento di Franco), e la Russia ben presto alimentò di armi Barcellona. Ma questi fatti sarebbero rimasti probabilmente isolati, o non avrebbero avuto un seguito così imponente, se l'opinione pubblica europea avesse mostrato in tempo e intiera la sua netta opposizione alla guerra combattuta dalle due parti e ai metodi assolutamente selvaggi dei massacri e della violazione
Oggi l'Asse Berlino-Roma e tutta la rinnovata propaganda antifrancese è un motivo di maggior considerazione del fascismo e dell'ltalia, di quando nel 1914 essa dichiarò la sua neutralità e nel 1915 scese in guerra. (L'Aube, Paris, 9 maggio 1937).
UN PRIMO ARMISTIZIO Dopo nove mesi di guerra civile in Spagna, sul fronte di Madrid, nel settore E1 Patdo, vi è stato nella scorsa settimana un breve armistizio, proposto dalle truppe antigovernative e accettato da quelle governative. Lo scopo, tutto umano e non politico, quello di seppellire i cadaveri dei morti sul campo di battaglia fra le due linee avversarie. Non segnaliamo questa notizia trasmessa dell'united Press, come un fatto significativo, né come un indice di futura tregua. Null'altro che quello di una necessità igienica e d i una umanit?à doverosa verso i morti. Però è il primo armistizio segnato fra i comandanti, e comunicato a voce di trincea in trincea e rispettato dalle due parti. Che impressione psicologica hanno avuto quei combattenti, specialmente gli spagnoli? Nessuna idea ha loro suggerito il silenzio delle mitragliatrici? Nessun sentimento il fatto nuovo di potersi parlare da trincea in trincea senza ira, nè odio, dinnanzi ai corpi esangui dei loro fratelli? È la prima volta che si comunica fra le due parti in pace, sospendendo per qualche ora il massacro; ma dopo è ripresa la lotta, i due campi sono ridiventati nemici. Eppure, qualche cosa d i nuovo s'insinua, la tregua chiama la pace; la parola di W. Churchill alla camera dei comuni non resterà vana, come non resta vana ogni parola diretta a far cessare il conflitto sanguinoso e nefasto.
sento tutta la tristezza cristiana anche delle vittorie che sono costate vite umane e che han generato odii inestinguibili, e prodotto danni irreparabili. Riconosco che le vittorie sono spesso occasionali, e che sui due fronti ci sono sempre sacrifici ed eroismi mescolati a timidezze e viltà, defezione ed errori. Ma il costante misconoscimento dei sacrifici fatti dall'Italia nella grande guerra per la salvezza della Francia e del Belgio in particolare e dell'Intesa in generale, (non ostante la frase infelice di Salandra sul sacro egoismo) è cosa che m'indigna e come amante della verità e come italiano. Tanto più che questo misconoscimento da un lato è dovuto a d ingeneroso disprezzo degli italiani, e dall'altro lato ad artificioso ingrandimento della figura del duce a scopo di politica interna per i francesi detti nazionali. (L'Aube, Paris, 15 aprile 1937). Arch. 7 A, 1.
Postscriptum Mr. Jean Ajalbert dell'Académie Goncourt mi ha scritto una lettera, u n po' irritato delle mie osservazion'i, egli ch'è stato a un ami de tous temps de 1'Italie D, egli che non è « d'aucun clan a. Parlando di tappeti e tenendo in conto i colori, egli h a citato Hindous et Chinois, ed altri u costumes orientaux bariolés n, non poteva pensare alla « sobre uniforme des (mes) compatriotes D. Non ho difficoltà a dargli atto di quel ch'egli scrive e della cui sincerità non ho motivo a dubitare. Però egli, spero, converrà con me che anche le uniformi dellYInghilterranon erano poi meno sobrie di quelle dei bersaglieri italiani e dei garibaldini volontari. Ma passiamo; finchè si tratta della ricerca dei colori, la cosa mi potrebbe interessare.. come critico d'arte! Ciò non toglie, che se la dimenticanza non era volontaria, essa purtroppo corrisponde ad un abito mentale, ad un riferimento di fatti non completamente abituale, per cui nella difesa della Francia, l'Italia è sempre passata in terza o quarta linea i n una involontaria dimenticanza.
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nufactures nationales di mobili e di stoffe, che mi è piaciuto assai. I1 confronto fra l'interessamento delle monarchie dell'ancien régime e della restaurnfion con l'abhandono tutto borghese della terza repubblica mi dava ~ a r e c c h i oa considerare anche, dal mio punto di vista, contro l'accentramento amministrativo della Francia e a favore delle autonomie degli enti locali e tecnici, che dovrebbero vivere di vita propria. Ma non è di ciò che voglio scrivere sull'dube. Quel che mi ha urtato è stato i l seguente periodo, dove lo articolista accenna ai bei panneggi sulla grande guerra che dovrebbe fare Anquetin. « Viola. Anquetin fera quatre tentures, deux de 4 m. sur 5 m. la Mobilisation » et la « Victoire N, et, entre celles-ci, deux plus vastes « la Marne », rien que les Franqais, les Anglais et les Allemands; et la seconde avec les alliés, Américains, Hindous, Chinois Tous les coutumes, une orgie des couleurs, des chevaux N. Gli italiani per Anquetin non c'erano; neppure per Jean Ajalbert dell'Académie Goncourt. Una semplice omissione! Non ricordano questi signori nè i volontari italiani delle Ardenne nè i soldati dell'esercito regolare venuti in aiuto ai francesi. Questa omissione può essere una semplice dimenticanza occasionale? Non ricordo di aver mai rilevato dai giornali francesi nazionali il minimo senso di gratitudine per l'intervento italiano, nè il riconoscimento del valore e sacrifici dell'Italia per l a grande guerra. Questo oblio è stato accentuato dacchè Mussolini è al potere. Per esaltare costui e far vedere che l'Italia solo ora è diventata una grande nazione militare e forte, saltano tutto il periodo della grande guerra come un fatto négligeable. Ricordo a questo proposito un articolo sull'Echo de Paris dell'accademico Madelin, il quale dalla disfatta di Adua del 1896 passava alla conquista di Adua del 1935, atto riparatorio dell'onore perduto quarant'anni prima, omettendo di proposito la storia degli eroismi e delle vittorie della guerra d i Libia (1911-14), e della grande guerra (1914-18). Io non sono di coloro che s'inorgogliscono delle vittorie e che cantano poemi lirici ed epici per le guerra combattute. Io
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non solo avrebbe consentito la discussione sulla stampa (mentre in Italia fin oggi la stampa tace sui fatti), ma avrebbe ordinato una inchiesta, accertate le responsabilità, deposti e colpiti i colpevoli, deplorati i fatti, dando pegno alle popolazioni abissine che simili fatti non si sarebbero rinnovati. I dittatori sono legati ai delitti dei propri dipendenti? Non sono legati; anzi tante volte e senza ragioni essi mandano via collaboratori e dipendenti loro, li chiudono in prigione o peggio li uccidono (come Hitler la notte del 30 giugno 1934)' senza credersi per questo scossi dal loro piedistallo. Ma quando l'accusa viene da fuori e sono gli altri paesi che levano la voce, ovvero è il sistema che viene toccato, ovvero si teme d i perdere di autorità (di falsa autorità) di fronte al mondo e di fronte ai sudditi (nel caso attuale gli abissini); allora i dittatori, peccando di orgoglio e insieme schiavi di sè stessi, sono costretti a solidalizzare con coloro che hanno trasgredito le leggi morali e il diritto delle genti e mostrare ch'essi sono al disopra dei giudizi umani e alla voce del cristianesimo offeso. L'ombra di Teodosio che domanda perdono ad Ambrogio del massacro di Tessalonica, non si affaccia ai moderni dittatori « Tout cela sans doute est di5cile à comprendre, à admettre pour les étrangers. Pourtant tout cela est vrai n.
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(LYAube, Paris, 5 aprile 1937). Arch. 10 A, 2.
COSTANTE INGIUSTIZIA Jean Ajalbert dell'dcadémie Goncourt ha scritto un interessante articolo, sull'Echo de Paris del 6 aprile, sulle u Ma(') Jean Ajalbert (18651947). Poeta e scrittore francese. Dalle prime poesie impressionistiche (Sur k vi/, 1885), passò alla narrativa di impronta naturalistica ( E n amour, 1890; Sao van Di, 1905). Autore anche di opere teatrali, memorie e reportages (Mémoires en vrac, 1938).
rola di critica o di consiglio. Anch'essi debbono consolidare la tragica posizione degli uomini che han sempre ragione, degli uomini che non possono avere torto, di cotesti schiavi della propria dittatura. Pio XI, nell'enciclica del 14 marzo sulla situazione in Germania, ha un passaggio adatto al caso: a Colui che con sacrilego misconoscimento delle diversità essenziali tra Dio e la creatura, tra l'Uomo-Dio e il semplice uomo, osasse di porre accanto a Cristo o, ancora peggio, sopra di Lui o contro di Lui, un semplice mortale, fosse anche il più grande di tutti i tempi, sappia che è un profeta di chimere, a cui si applica spaventosamente la parola della Scrittura: « Colui che abita nel cielo ride di loro n. Chi non ricorda le dichiarazioni di un provveditore agli studi fatte a Raymond Cartier dell'Echo de Paris e pubblicate il 30 settembre 1935? a Le centre de tout, c'est Mussolini; on peut à peine imaginer Ce qu'est Mussolini pour les enfants; Mussolini c'est la Providence vivante, l'homme qui les aime et qui les defend Les enfants sont comme les hommes, sentent comme les hommes. Mussolini est un héros: Mussolini est un dieu n. A cette phrase, le pauvre Cartier aura-peut-6tre fait un mouvement; lui meme se demanda (selon 1'Echo & Paris): « Ai-je involontairement froncé le sourcil? ... Peut-6tre » Alors le professeur fit observer: <r Tout cela sans doute est difficile à comprendre, à admettre pour les étrangers. Pourtant tout cela est vrai I)... È triste ripetere: u Pourtant tout cela est vrai! » Mussolini si trova oggi attaccato dalla stampa internazionale, dal parlamento inglese e dai capi anglicani per i fatti di Addis Abeba del lo febbraio scorso, quando, 'in seguito al grave attentato contro il vice-re Graziani e altri generali, furono dalle milizie fasciste massacrati (si dice) circa seimila abissini. Chi scrive, non intende attribuire direttamente a Mussolini la responsabilità'di quel massacro, dovuto in gran parte allo inaspettato complotto e alla subitanea reazione nel campo fascista, abituato purtroppo ai metodi della guerra civile e della guerra militare, senza limiti di freni morali e giuridici. Un governo costituzionale, di fronte a fatti di tanta gravità,
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gione o è per lui una catena al piede. Egli è costretto, contro l'evidenza dei fatti, contro gli interessi del paese e contro l a sua stessa personalità, a prendere la maschera dell'infallibile, credere e far credere ch7egli ha indovinato anche quando in sè stesso è convinto di aver sbagliato. Lo stesso è da dire per Hitler e per i loro imitatori grandi e piccoli. Nel caso che gli avvenimenti siano più forti della loro volontà, essi sono costretti a camuffare la realti stessa, per trovare il modo di dare a intendere al mondo che essi non hanno avuto torto e che tutto è andato secondo il lor volere e secondo le loro previsioni. Di qui l e ire subitanee e i movimenti di sdegno quando sono sorpresi nei loro disegni e smascherati nei loro infingimenti. Hitler è furibondo contro l'enciclica papale ( l ) , più (secondo me) perchè a sua insaputa ed eludendo la vigilanza della Gestapo fu letta nelle chiese cattoliche la domenica delle Palme, che per lo stesso contenuto e per i l rimprovero aspro del papa contro la violazione dei trattati e la rivendicazione che la Germania ha i l diritto a violare i trattati se ciò è a suo vantaggio. Ogni umana prudenza dovrebbe coiisigliare Hitler a non gettare venti milioni di cattolici in una lotta religiosa clie condurrebbe lui e il suo governo a una Canossa, come quella di Bismarck. Ma, non ostante che Bismarck fosse anche lui autoritario e dittatoriale, pure era controbilanciato da un parlamento che aveva una certa liberià, e da una monarchia che stava al disopra del conflitto e poteva (come poscia fece) rinviare lo stesso cancelliere di ferro e mutare politica. Hitler è insieme cancelliere, capo dello stato ed ha ridotto il parlamento ad un'itiutile comparsa, a meno di un coro della tragedia greca. il quale se non aveva parte nell'azione, poteva sottolineare il fato de117attore principale; i parlamenti delle dittature moderne non possono darsi il lusso di una sola pa-
(l) Si tratta dell'enciclica di Pio XI Mit Brerinender Sorge, del 14 marzo 1937, con la quale il papa prese posizione contro il nazismo, il razzismo e sulla situazione della Chiesa cattolica nella Germania hitleriana.
de donner la couronne à la princesse Elizabeth (qui aurait été Elisabeth 11), la première-née du duc d l o r k (aujourd'hui George VI). Cette idée provenait d'une certaiue résistance du due à succéder à son frère dans des circonstances aussi émouvantes. Elizabeth n'a que onze ans et un régence aiirait été nécessaire jusqu'a sa majorité. L'idée d'avoir cette petite reine plaisait assez au peuple anglais et l'on envisageait depuis que l'on avait siipposé que le prince de Galles ne se marierait pas et n'aurait pas l'intention de succéder à son père. De sorte que la petite Elizabeth a toujoura été entourée de respectuese sympathie et d'affection populaire. La décision de Georges VI d'acce~ter la couronne a vivement satisfait le monde des affaires et du commerce qui avait pris de forts engagements en Mie des fetes du couronnement. Des navires marchands étaient frétés, les h6tels attendaient les visiteurs, des cinémas et des théitres avaient passé des contrats. L'énorme f2te devait ameuer à Londres plus d'un million de personnes. Sans le couronnement, tout cela croulait. Le couronnement est maintenu, il reste fixé au mois de mai qui sera pour 1'Angleterre un moment de grande prospérité. Le péril est passé. Au iieu d'Edouard, Georges sera couronné. Gode save the king n.
I DITTATORI SCHIAVI DEL LORO PRESTIGIO Nelle mancanze di amministrazione e nelle crisi del potere, il sistema costituzionale ha due rimedi, quello di cambiare gli uomini di governo, e quello più radicale di cambiare l a maggioranza ~ a r l a m e n t a r e , mediante appello al paese. C'è anche un'altra via, molto umana, che un ministero saldo e ben fiancheggiato può accettare senza paura: confessare i l proprio torto e ottennere dalla maggioranza una rinnovata fiducia. Quando Baldwin, dopo il fallimento della politica inglese nella guerra italo-abissina, si disse umiliato di quel ch'era successo e ne accettò le conseguenze senza esitazione, mostrò nella sua umana umiltà un coraggio maggiore di coloro che a l suo posto avrebbero difeso con accanimento gli errori commessi ovvero si sarebbero dimessi lasciando ad altri la cura di rimediare al malfatto. Le dittature non hanno questi sbocchi pacifici, perchè i dittatori moderni si presentano come infallibili, superiori agli altri uomini e agli eventi. La frase Mussolini ha sempre ra-
pouvait plaire, a-t.on dit, à la démocratie anglaise. On rappelie que dans son voyage au pays de Galles, le roi Edouard alla, sans le consentement du ministère, visiter des z o n a populaires malsaines, amenant ainsi une friction entre lui et Baldwin et des discussions dans les journaux sur les limites du pouvoir royal et sur le caractère de ses fonctions. Qui connait le fond de toute cette histoire, sait qu'au début le roi ne croyait pas rencontrer une forte opposition à son mariage avec Mme Simpson, et quand il s'avisa de cette résistance, il en ressentit un désappointement et un méeontentement compréhensibles. Et la visite aux zones pauvres du pays de Galles était une éprouve de la résistance au gouvernement. L'Angleterre est trop attachée à sa paix intérieure pour courir une aventure; or sa structure impériale lui impose des égards à la fois envers les grands et les petits, envers le roi et les gouvernées, envers les partin et le parlement, envers les banquiers et les ouvriers. Qui n'en tient pas compte ne comprendra pas la raison de la coliaboration ouverte, large et loyable du chef des travaillistes et du chef des libéraux avec M. Baldwin dans les circonstances présentes, encore qu'ils restent, l'un et I'autre, chefa de l'opposition parlementaire. Imaginer m e collaboration semblable des socialistes francais avec un gouvemement Doamergue ou Tardieu, ou bien de ceux-ci avec un gouvernement Blum, voilà ce qui sérait paradoxal Un te1 paradoxe en France ne se réaliserait qu'en danger de guerre, mais non dans une question concernant la constitution et le régime. La raison de cette différence, c'est que dana l'empire britannique l e régime et la constitution ne sont pas en discussion et ne créent point de dissensions dans le pays. Le che£ du parti travailliste indépendant, Maxton, a voulu mettre en avant la ;épublique au moment où l'on allait voter l'avénement de Georges VI, e t sa motion a recueilli tout juste deux uoix! Sa proposition toute platonique n'a soulevé aucune émotion, alora qu'ailleurs une proposition du meme ordre aurait soulevé de bruyants incidents et amené peut4tre la suspension de la séance. En Angleterre, les socialistes se placent à l'intérieur et non à l'extérieur des imtitutions existantes. 11s cherchent i changer la structure économique et non la constitution. En Angleterre iascisme et communisme n'ont jusqu'à présent ancune valeur politique; ils penètrent comme idées et sentiments, mais ces idées et ces sentiments, travaillant dans la vivant tradition nationale, en subiront l'influente. @e l'on ne croie pas que cet état de choses provienne exclusivement de la longue éducation libérale ei tolérante de la Grande-Bretagne. La vie constitutionnelìe du Canada, de la Nouvelle Zélande, de YAustralie est toute récente. Leur éducation politique est encore en formation, mais leur mentalité a ses racines dans la liberté et dans leur personnalité d'état qui leur donne la fierté d'ètre autonomes et d'appartenir en méme temps au Commonwealth hritanniquc. Un dernier point bien caractéristique. On a considéré un instant l'idée
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ratifié la décision du parlement de l'lrlande, l'a fait ainsi devenir loi de l'état et a signé par là, lui-meme, son abolition. Quelle connexion avec l'abdication du roi? A première vue, aucune. pourtant elle existe. Pour que l'ahdication &t valable, il fallait le consentement de tous les Dominions y compris 1'Etat libre d'lrlande, eonscntement qui n'avait pas été nécessaire pour faire succéder Edouard à son p&re Gcorges V. De Valera se trouvait ainsi dans une situation incommode. Consentir à l'abdication, équivalait à reconnaitre Edouard roi dYIrlande. Refuser d'y consentir, c'était amener une crise. La solution adoptée a le sens suivant: 1'Etat libre d'lrlande est, ou point de vue interne, une république indépendante et c'est pourquoi il n'a plus de « gouverneur »; mais 1'Etat lihre demeure une des unités dont est composé le Commonwealth britannique et, comme tel, 1'Etat libre a pour che£ le roi. C'est seulement ainsi que restent en vigueur pour 1'Irlande les liens qui l'unissent aux divers Dominions oli communautés (le Royaume Uni éta lui-meme considéré comme une communauté), liens représentés et consolidés par la eouronne. C'est seulement ainsi que llIrlande a donné son consentement à l'acceptation de l'abdication du roi Edouard VI11 et à la proclamation du roi Georges VI. Cette solution mbtile et compliquée satisfait les irlandais qui se scntent enfin libres de toute sujétion vis-à-vis de l'étranger hérétique; et en meme temps elle ne choque pas trop les anglais, qui s'attachent au substantiel plutot q'aux formalités juridiques. I1 reste pour eux que llIrlande est un Dominion; que le roi est le chef et le symbole du Commonwealth; et que certains des ports de 1'Irlande sont sous le controle direct de l'amirauté britannique. La crise irlandaise, à Londres, a fait l'effet d'un bourdonnement de moustique. L'empire est plus solide qu'auparavant. Un hebdomadaire catholique anglais, qui a témoigné beaucoup de sympathie à Edouard VIII, a relevé que l'opposition à son mariage aver une divorcée, est illogique dans un pays o& le divorce est odmis, et surtout au moment où le parlement discute sur un remaniement de la loi du divorce. Et à l'étranger on n'a pas manqué de parler à ce sujet a d'hypocrisie anglaise n. La vérité est toute autre. Faisons d'abord remarquer que les premières oppositions au mariage projeté sont venues des Dominions. Mais toute 1'Angleterre s'y est aasociée immédiatement. Demander de la logique aiix anglais, clest comme demander de l'ordre aux espagnols et du sang-froid aux francais. Les anglais considèrent l e divorce comme un moyen légal de mettre fin à certaines situations douloureuses; mais ils ne l'imposent pas à leur eglise qui peut refuser le mariage aux divorcés. En outre le divorce est mal vu par la société distinguéc, et pour le peuplc c'est quelque chose de pas respectable. On n'a donc pas voulu l'installer sur le trone. Et avec raison. Une autre fable a circulé snr le continent: le conflit entre le roi et l e ministére aurait eté politique. Un roi ami des fascistes et autoritaire ne
discrete, mais significative. Elle a w faire entendre ce qui avait troublé les sentiments d'une nation attachée à la maison royale et au roi Edouard VIII, que ses qualités personnellea avaient rendu sympathiqne à toutes lee claseea. Dans un article du ChrUtian Science Monitor de New York, Wickham Steed a écrit ces graves paroles: a La vérité est que l'cntourage du roi contcnait trop d'hommes et de femmes (dont plusieurs de haute naissance) éloignés du vrai peuple, au point de ne pas comprendre qu'ils heurtaient et qu'ils poussaient le roi à heurter encore la saine tradition qui est commune à toutes les classes des états et des Dominions britauniques. Et saus doute il est d a c i l e à un prince et à un roi de choisir de bons amis et d'éloigner fermement les dangereux amis. Le prince Hal, qui avait de fàcheur amis, sut les éloigner de lui quand il devint Henri V. Le prince de Galles Edouard ignora ce précédent quand il devint Edouard VII1.n L'opinion publique fut ferme, massive et constante depuis le premier jour. Un a non poseumus n sans appel. Pendant dcux ou trois jours, on tenta d'y introduire une fissure. Winston Churchill eut-il l'idée de former un cabinet au cas où l e roi aurait persisté dans son projet e où le cabinet Baldwin aurait donné sa démission ? On ne sait. L'attitude de Winston Churchill est restée équivoque. Etaitce lui qui cherchait à se faire appeler par l e roi? Etait-ce le roi qui voulait appeler Wimton Churchill? En tout cas Churchill demeura isolé au parlement. Les journaux de Rothermere et de Beaverbrook ne dirigent pas l'opinion publiqne anglaise. Les fascistes de Mosley n'ont pas d1influence. Ceux-ci, adoptant une attitude ultra-royaliste, voulaient lancer un courant antiparlementaire et donner force à un conflit entre roi et parlement, mais le vide se fit autour d'eux, Edouard VI11 est resté fidèle à la constitution (il était ainsi dans la tradition de sa famille), et il a compri8 que ces messieum les fascistes n'étaient à peu près n e n à Londres et en province, et absolument rien dans les Dominions. L'alternative inexorable: u Renoncer an mariage projeté ou renoncer à la couronne n, fut posée non par Baldwin ou par l e parlement, mais par I'opinion publique ferme et unanime. L'empire britannique est sorti plus solide de cette histoire. L'oscillation de 1'Irlande du Sud (Etat Libre), n'a pas causé le moindre trouble. Le gouvernement de De Valera, élu par opposition à la politique anglophile de Cosgrave, avait dans son programme posé trois points qui paraissent conduire à une rupture totale avec Londres: abolition du serment de fidélité; abolition du sénat; abolition du a gouverneur n qui réprésente le roi. Tout ceci résumé par ce mot: u république n. Le serment tomba le premier. Londres s'en émut un instant, puis se dit qu'il ne s'agissait que d'une formalité. Le sénat, que De Valera a fini par abolir, n'intéressait pas Londres: ce n'était à ses yeux q'une affaire irlandaise. Enfin De Valera a saisi l'occasion de la crise constitutiomelle anglaise et de I'abdication, pour faire passer la loi abolissant le a gouvemeur n. Celui-ci, le 12 décembre, a
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Ciò non ostante, l'Irlanda non è perduta per il Commonwealth britannico; è un membro della famiglia che si distacca, che acquista la sua personalità, fa la sua esperienza, ma per quel che faccia, resta sempre della famiglia. I1 sangue diverso e il diverso modo di sentire terranno distaccati, ma non divisi nè in contrasto insanabile. Anche l'Italia ha avuto la sua festa nello stesso giorno di Parigi e tre giorni avanti la festa di Londra: il primo anniversario dell'impero abissino. Anche là parate e feste, musiche e discorsi. A differenza di Parigi, a Roma l'unanimità è perfetta: nessun dissenso. Ma a differenza di Londra l'unanimità è imposta, perché nessuno poteva dissentire senza pericolo; nè uomo nè istituzione; nessuno poteva mancare di dare la sua adesione e dimostrare il suo vero o finto entusiasmo. Che cosa sarebbe successo in Italia se una regione (mettiamo i tedeschi del Tirolo o gli slavi dell'Istria) si fosse permessa d'imitare, i n qualche modo, l'Irlanda? Nessuno potrebbe immaginare in Italia una simile avventura. E se qualcuno avesse imitato il deputato inglese Maxton nel pensare ad una repubblica invece di una monarchia o di negare al re d'Italia il titolo d'imperatore? Lasciamo queste ipotesi : purtroppo la tradizione italiana della libertà è stata interrotta dal fascismo; il quale, se da un lato, con il trattato del Laterano, ha tolto la più grave questione che divideva gli italiani, non ha potuto attuare nel popolo una unificazione politica e psicologica, perchè il regime dittatoriale si basa sopra un partito ad esclusione di ogni altro, sulla milizia armata, sulla polizia e lo spionaggio. I1 popolo inglese può tranquillamente sopportare una crisi come quella di Eduardo VIII; non la potrebbe sopportare così tranquillamente il popolo italiano, che ogni giorno più è posto artificialmente nel dilemma : faseismo o bolscevismo. I1 popolo britannico è arrivato alla sua maturità in cui la stabilità delle istituzioni sopporta senza pericolo il massimo di libertà politica, corretta però dall'educazione dell'auto-controllo del cittadino. 11 popolo francese è ancora nella fase passionale, in cui le istituzioni, pur in sè consolidate, non hanno ottenuto ancora
l'unanimità del paese, sì che l'liso delle libertà non è controbilanciato in tutte le occasioni dall'autocontrollo del cittadino. I1 popolo italiano è nella crisi di crescenza, nella fase intermedia fra la libertà ottenuta da un'élite e la libertà da conquistarsi da parte del popolo e per il popolo: è la fase della dittatura, che fa l'unanimità sia per prestigio accidentale, sia per metodi di costrizione e che altera la tradizione nazionale. La storia è ancora lunga, ed è lungo il cammino per meritare insieme la libertà personale e la stabilità istituzionale. Londra, maggio 1937.
(L'Aube, Paris, 22 maggio 1937). Arch. 10 A, 12.
I L SIGNIFICATO DI GUERNICA Guernica (l) è un nome che resterà nella storia come un simbolo, così come è rimasto il nome di Lusitania (2)... È fatale che si riparli d i Guernica ancora per un pezzo. La questione se Guernica fu bombardata da aeroplani tedeschi a serv'izio di Franco e della causa ribelle è superata. Lo vogliano o no Franco e i franchisti (nazionali e cattolici di ogni paese), la questione è superata. C'è un giornale serio e probo come il Times, ci sono testimoni oculari come il canonico Onaindia (l'essere in urto col suo capitolo di Valladolid per questione di diritto canonico non ne diminuisce i l valore della testimonianza), i1 sindaco di
Cb. nota 1 dell'articolo n. 12, pp. 43. (a) 11 7 maggio 1915 venne silurato e affondato da un sommergibile tedesco il grande transatlantico inglese u Lusitania n, determinando la morte di 1100 civili, tra i quali numerosi americani. L'episodio fece sensazione presso l'opinione pubblica internazionale e soprattutto americana. Clr. altri giudizi di Sturzo sull'affondamento del u Lusitania a nell'articoln Lusitunia ... Guemica Almeria ..., pp. 63-65. (l)
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Guernica, il prete Aronatequie, pure di Guemica, e moltissime testimonianze di rifugiati scampati al bombardamento. I1 padre gesuita Ramon Arziiaga in una lettera inviata al Messajero de e1 Corazon de Jesus di Bilbao (secondo l'agenzia Havas che non è sospetta) afferma che (C gli aerei degli insorti hanno lanciato su Guernica bombe incendiarie in gran numero. A Durango e Guernica, coloro che poterono scampare all'incendio furono inseguiti come topi dalle mitragliatrici, fin nei cimiteri, e le religiose fin nei giardini dei conventi N. Fra gli altri giornalisti merita speciale menzione André Hoornaert, corrispondente de La Libre Belgique di Bruxelles, che non aveva (prima di Guemica) nascosto le sue simpatie per Franco. Del resto, oramai dal lato ribelle non si nega più il bombardamento su Guernica degli aereoplani tedeschi; ci si riduce ad affermare che furono i rossi del lato basco a incendiare le case, prima di fuggire. Quest'accusa (per quanto ritenuta verità indiscutibile dai giornali cattolici decisamente pro-Franco) in sè non h a verosimiglianza; ma anche ammettendone la possibilità non attenua la responsabilità del bombardamento dell'aviazione tedesca a servizio di Franco. Ma tutto ciò, abbiamo detto, è. sorpassato. Guernica oggi è, come il Lusitania, un nome storico, un simbolo indelebile. I1 Lusitania rivelò la possibilità del siluramento e la malvagia applicazione £attane su navi neutre cariche di passeggeri inermi, a destinazione di un paese non belligerante. I1 mare inghiotti nave e passeggeri: non il nome, non l'infamia, non l'orrore del mondo civile! Guernica ha mostrato come gli aerei possono distruggere una città intiera e farne perire gli abitanti, senza scampo di salvezza anche fuggendo e nascondendosi. La Corrispondenza politica e diplomatica di Berlino (citata dallYOsservatore Romano del lo maggio) lamenta che la proposta di Hitler del 21 maggio 1935 per un accordo internazionale contro il bombardamento aereo, fu fatta cadere dai paesi allora meglio attrezzati della Germania. Noi aggiungiamo a questa osservazione che né la Società delle nazioni né gli stati detti civili fecero nulla per impedire che l'Italia usasse in Abissinia il bombardamento e i gas asfissianti (non ostante
le convenzioni internazionali) non solo contro un esercito privo d i aerei e di gas, ma anche contro i non combattenti e perfino contro gli ospedali della Croce rossa. Tutto ciò è vero: ma ci sono momenti in cui realtà e sentimento, ragione e fantasia si uniscono insieme per dare ai fatti un rilievo inaspettato e immenso. Certo Toledo, Saragozza, Madrid e Valenza sono stati bombardati dalle due parti, con centinaia e centinaia di morti; ma queste città sono ancora là, le popolazioni, pur decimate, pur in mezzo a inaudite sofferenze, sono l i : Guernica non è più. Madrid, Valladolid, Saragozza, sono divise in due fazioni di destra e di sinistra; i baschi sono un popolo unito, che tende a difendere la sua autonomia, la sua cultura, le sue tradizioni. È un popolo assalito gratuitamente; Guernica, la sua capitale morale e simbolica, è perita. La minaccia di Mola, diffusa nel mondo, suona come un'offesa alla civiltà: Noi raderemo al suolo Bilbao, e la sua area, nuda e desolata, toglierà all'Inghilterra la voglia di sostenere, contro la nostra volontà, i bolscevichi baschi. Bisogna distruggere la capitale di un popoIo pervertito che osa tener testa alla causa irresistibile dell'idea nazionale D. Ecco gli aerei che possono distruggere città non sono lontani in Abissinia, aerei italiani eccitati dalle sanzioni, per una guerra coloniale; no, sono in Spagna, sono aerei tedeschi che non sono mossi da nessun motivo nazionale, da nessun sentimento personale; sono tedeschi che domani, in una guerra europea, applicheranno freddamente il loro sistema distruttivo alle città aperte: Glasgow, Arnsterdam, Grenoble o Basilea, Cardiff o Anversa o Lione, facendo ecatombe di donne e fanciulli e vecchi inabili o uomini senza armi Quale responso viene all'umanità dallo scatenamento della vo1ont.à distruttrice del più forte? Forse che tutti noi siamo in preda alle forze cieche della natura, in mano a gente irresponsabile e folle, che non ha più alcun freno morale e religioso'! Dopo l'affare di Guemica il governo inglese, a mezzo del comitato di non intervento, prese l'iniziativa di fare appello alle due parti combattenti in Spagna, per cessare il bombardamento di città aperte. I delegati, nella seduta del 7 maggio,
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dichiararono di doverne riferire ai propri governi. Dopo di che silenzio. Siamo al 19 maggio e non si ha più notizia della questione. Intanto sui giornali tedeschi e su quelli francesi detti nazionali si avanza l'opinione che non potrà impedirsi il bombardamento anche di città aperte, se ciò risponde alle esigenze di guerra, se il punto è strategico, se si teme che vi siano depositi di armi, se... È proprio così: Guernica fa storia; nel passato tali bombardamenti sono stati tollerati, perchè non furono rilevanti o non furono rilevati; da oggi la storia delle guerre future (storia di catastrofi inaudite) si rifarà per i bombardamenti aerei alla distruzione d i Guernica (come per i siluramenti sottomarini si ri£à al Lusitania). Londra, 19 maggio 1937.
(L'Aube, Paris, 2 giugno 1937). Arch. 10 A, 13.
SUL CANONICO ONAINDIA (Lettera all'dube) Signor direttore, nel mio articolo I1 significato di Guernica » (L'Aube, 2 giutestimoni oculari come il canonico Onaindia gno) scrivevo: C( ( i l fatto che egli sia in conflitto con il suo capitolo di Valladolid per una questione di diritto canonico non diminuisce il valore della sua testimonianza 11). La parentesi mi era stata suggerita dal fatto che il periodico cattolico The Universe, di Londra, aveva pubblicato un'informazione sul menzionato conflitto, per attenuare, credo, il peso della testimonianza del canonico Onaindia. Ricevo ora una lettera dell'interessato, il quale dichiara che : 1) da cinque anni lia lasciato Valladolid per la Biscaglia
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dove lavora nel quadro dell'azione cattolica e sociale per gli operai baschi ; 2) ogni anno h a ottenuto, sia dal suo arcivescovo (che è morto il mese scorso) sia dal capitolo metropolitano, l'autorizzazione di chiedere alla S. Congregazione romana il permesso necessario per risiedere a Bilbao, cedendo sempre i suoi emolumenti canonici al capitolo citato; 3) di conseguenza, la sua assenza è regolare e conforme al diritto canonico. Fino al giorno in cui egli ha reso pubbliche le sue dichiarazioni su Guernica, nessuna osservazione gli era stata mossa a proposito della sua condotta nei suoi rapporti con il capitolo. La prego, signor direttore, di rendere pubblica la mia lettera affinchè la mia breve allusione a tale dibattito non rechi pregiudizio all'onore del canonico Onaindia. La ringrazio e mi creda, ecc.
LUIGI STURZO Londra, 6 giugno 1937.
(L'Aube, Paris, 10 giugno 1937).
Monsieur le directeur, Dans mon article u La signification de Guernica (Aube, 2 juin) j'écrivais: u de témoins oculairea comme le chanoine Onaindia (le fait qu'il se trouve en conflit avec son chapitre de Valladolid pour une question de droit canon n'affaiblit pas la valeur de son témoignage) n. La parenthèse m'avait été suggérée par le fait que l'hebdomadaire catholique The Universe de Londres avait publié une information sur l e conflit mentionné pour atténuer, je crois, le poids du témoignage du chanoine Onaindia. Je recois maintenant une lettre de l'intéressé qui déclare qui: lo depuis cinq ans il a quitté Valladolid pour la Biscaye où il travaille dans l e cadre de l'action catholique et sociale pour les ouvners basques; 20 il a obtenu chaque année, tant de son archeveque (qui est mort l e mois dernier) que du chapitre métropolitain, l'autorisation de demander à la S. Congrégation romaine la permission nécessaire pour résider à Bilbao, en cédant constamment ses émoluments canoniaux au chapitre cité; 30 Par suite, son absence est régulière et conforme au droit canon. Jusqu'au jour où il a rendu publiques ses déclarations aur Guemica, aucune observation ne lui a été faite au sujet de sa conduite, dans ses rapporis avec son chapitre.
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J e vous prie, monsieur le directeur, de reudre ma letire publique afin que ma brève allusion à ce débat ne porte pas préjudice à l'honneur du chanoine Onaindia. Avec mes remerciements, eroyez-moi, etc. Luigi Sturzo
« UMANIZZARE n LA GUERRA!
Ora sono le fasi del controllo e della mediazione; il primo tardivo e poco efficace, la seconda ancora vaga da parte dei governi democratici, intralciata dai dittatori e rigettata dai due fronti in guerra. Ora sono le fasi dell'umanizzazione della guerra: - non bombardamenti, non uccisioni di prigionieri, non atrocità; anche questa in formule vaghe, promesse con riserve, accuse dalle due parti. Com'è possibile ottenere l'umanizzazione della guerra civile di Spagna, se ogni guerra è per sè inumana? In quale guerra si sono osservate mai le leggi di umanità? Oggi peggio di prima, si fanno le guerre senza neppure la dichiarazioae dì guerra per non essere obbligati a osservarne le leggi. Nel caso poi di una guerra civile, la efferatezza è in rapporto alla irresponsabilità dei governi e dei combattenti. Le folle cittadine trasformate in comitati di salute pubblica, i partiti e i sindacati divenuti poteri civili e politici, gli eserciti stranieri divenuti poteri di occupazìone. In questo intrecciarsi e sovrapporsi di poteri e di forze armate, l'odio fra le parti è divenuto parossismo; non c'è più legge nè divina nè umana che freni e che leghi, tutto è permesso ed esaltato, giustificato e approvato, siano pure le eseciixioni e i massacri più efferati. Due esempi, di fresca data: lino è un delitto anarchico, con una sadica parodia del più santo dei sacrifici. A Lerida, in
aprile, una folla anarchica ha preso un giovane d i 18 anni: un seminarista, il suo nome non conta. Nella piazza si fa la parodia della condanna di Gesù Cristo: uno, che fa da Ponzio Pilato, si lava le mani; il giovane è schiaffeggiato; gli si domanda chi egli è : risponde fermo : un seminarista d i Barbastro. È inchiodato sopra un legno a forma di croce e spira dicendo: « Gesù per il tuo amore e per la salvezza della Spagna » ( 0 s sematore Romano, 15 aprile 1937). Un altro episodio tragico dall'altro lato: un processo a Malaga contro il dottore Galoez Ginachero, cattolico di destra, che mentre Malaga era sotto ai governativi, all'ospedale d i guerra curava i feriti detti rossi; e contro la lavandaia Encarnacion Imenez donna di et.à, che aveva servito nel detto ospedale di guerra. Ambedue condannati a morte e fucilati, sotto l'accusa di aver <( soigné des républicains P. I1 dottore nella sua discolpa dichiarò: « Les blessés n'ont pas d'opinions politiquea >). Ma il tribunale di guerra decise che u les rouges n'ont aucun droit et il faut les exterminer. Qui les aide est leur complice et men t e le meme chiitiment » (Journal des rtutions, l 4 maggio 1937). P u r lasciando ai giornali succitati la responsabilità della esattezza delle notizie da essi riprodotte, il clima passionale della Spagna è tale che ciascuno ha il diritto di domandarsi cosa possa significare il motto umanizzare la guerra. Quando u n uomo responsabile come il generale Queipo de Llano può minacciare, impunemente, di far uccidere migliaia di prigionieri se il governo basco esegue la sentenza di morte contro i due aviatori tedeschi (per i quali si son mossi anche i nostri amici cattolici londinesi di People and Freedom Group); che valore avranno le parole: tregua, armistizio, m e &azione, pace? Occorre che l'Europa mostri il suo orrore per tali atrocità e le sconfessi tutte, quelle di destra e quelle di sinistra, senza compiacenze nè silenzi per la parte preferita. Occorre il nostro disimpegno dalla guerra atroce di Spagna; l'Europa vi ha preso parte non solo con le legioni volontarie e con le divisioni e i tecnici di eserciti-regolari, ma soprattutto con l'appoggio passionale agli uni o agli altri. Ciò deve cessare in nome dell'umanità.
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Altrimenti la guerra civile noxi avrà fine che con la distruzione della Spagna. N.d.R.: Da notarsi che le riflessioni d i don Sturzo erano già state scritte prima degli ultimi avvenimenti. (Popolo e libertà, Bellinzona, 2 giugno 1937).
L'OPINIONE PUBBLICA E LA GUERRA DI SPAGNA (*) Da più di dieci mesi il mondo guarda con angoscia la guerra civile spagnola, impotente a fermarla e pieno di timore che il conflitto si estenda in Europa. Malgrado le sue imperfezioni, la ~ o l i t i c anegativa di controllo fu un primo passo per un intervento internazionale a favore della pace. Ma non può esserci un'azione pratica verso quello scopo senza il sostegno di un'opinione pubblica, informata ed educata in uno spirito di simpatia imparziale verso il popolo spagnolo. Si è detto - ed è vero - che nessuno dei due campi in lotta in Spagna è disposto a cessare le ostilità, e che tutti due sperano in una vittoria finale, in un futuro indefinito, quali che siano i mezzi che possono procurarla. Non è una ragione di più per coloro che simpatizzano con il popolo spagnolo tutto intero, per lavorare a una pace di tolleranza se la pace di comprensione non può ancora essere ottenuta, nelle sfere sociali, religiose non meno che in quelle politiche? Forse una vittoria finale è possibile da una parte e dall'altra fra qualche mese - ipotesi molto dubbia - ma essa non risolverebbe il problema. Indubbiamente creerebbe l e condizioni di una nuova rivolta da parte dei vinti, e, in ogni caso, instaurerebbe una tirannia vendicativa da parte dei vincitori. L'unica via pratica appare un compromesso le cui condi-
(*) Lettera al Times, di cui manca il testo inglese; si riporta dal testo pubhiicato in Belgio.
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zioni dovrebbero essere studiate e preparate da spiriti competenti e sperimentati, al corrente delle aspirazioni e dei bisogni delle diverse provincie spagnole. Le stipulazioni provvisorie elaborate, quali che siano, sarebbero sottoposte all'esame e all'approvazione delle parti interessate, come base per una tregua o un armistizio. Anche oggi, non può essere troppo presto per elaborare tali stipulazioni, e lo sforzo di coloro che vorrebbero imbastirle pur sottolineando i punti deboli di tali proposte, getterebbe luce sui punti più interessanti per i quali può essere ottenuto un accordo. Ma questo lavoro preliminare sarà impedito finchè l'opinione pubblica straniera continua a prendere partito per i ribelli o per il governo, e finchè gli sforzi umanitari per alleviare le sofferenze delle vittime sono rivestiti dal colore politico dell'uno o dell'altro campo in lotta. Questo spirito partigiano, anche se è in sè comprensibile, accresce la difficoltà ultima di una pace per compromesso. Finchè tale mentalità non sarà stata in qualche misura attenuata, i governi europei che lavorano a por termine a questa effusione di sangue e a questa distruzione, mancheranno del sostegno di un'opinione pubblica abbastanza forte per rendere la loro azione efficace. È per questo che faccio questo appello: è per far capire ai partigiani non spagnoli delle due parti, che essi devono considerare gli interessi del popolo spagnolo come un tutto, in modo che, quando sarà venuto il momento per considerare i termini di una pace per compromesso e della tolleranza, gli ostacoli innalzati dalle attuali animosità siano meno formidabili. Si può credere che, mentre nessuno dei due campi spagnoli è disposto a prendere in esame le condizioni di una pace nata da una vittoria totale, essi siano pertanto disposti a esaminare le proposte che potrebbero esser loro fatte da amici imparziali, il cui animo è mosso dall'unica preoccupazione della salvezza finale della Spagna. (Avant Garde, Bruxelles, 31 maggio 1937). Depuis plus de dix mois, le monde regard avec angoisse la guerre civile espagnole, irnpuissant à l'arreter et plein de crainte que le conflit ne se répande à travers 1'Europe.
En dépit des iinperfections, la politique négative de controle fut un premier pas pour une intervention intemationale en faveur de la paix. I1 semble qu'il ne peut p avoir une action pratique vers ce but sans le soiitien d'une opinion publique, infomée et éduquée en un esprit de sympathie impartiale envers le peuple espagnol. On a dit - et c'est vrai - qu'aucun de deux camps qui luttent en Espagne n'est disposé a cesser les hostilités, et que tous deux escomptent une victoire finale, dans quelque avenire indéfini, quels que soient les moyens qui puissent la procurer. N'est-ce pas une raison de plus pour ceux qui sympathisent avec le peuple espagnol tout entier à travailler pour une paix de tolérance si la paix de compréhension ne peut encore étre obtenue, dans les sphi.res sociales ,religieuses non moins que dans les sphères politiques? Peut-étre une victoire finale est-elle possible de part et d'autre dans qiielques mois - hypothèse fort douteuse - mais elle ne resoudrait pas le problème. Saus cioute créerait-elle les conditions d'une nouvelle révolte de la part des vaincus, et, en tout cas, elle instaurerait une tyrannie vindicative de la pnrt des vainqueurs. La seiile voie praiiqiie semble étre un compromis dont les conditions devraient Ctre étudiées et préparées par des esprit compétents et expérinientés, familiarisés avec les aspirations et les besoins des différentes province~espagnoles. Les stipulations provisoires élaborées, quelles que soient, seraient soumises à l'exainen et à ì'approbation des parties intéressées, comme base d'une trève ou d'un armistice. Mème aujord'hui, il ne peiit &tre trop t6t pour élaborer ces stipulations, et I'éffort de ceux qui voudraient les mettre sur pied tout en révélant les points faibles de ces propositiona, jetterait la lumiére sur des points plus intéressants poiir lesqiiels un accord pourrait ;tre obtenu. Mais ce travail préliminaire sera empeché aussi longtemps que l'opinion publique étrangère continue à prendre parti pour les rebelles ou le gouvemement, et aussi longtemps que des efforts humanitaires pour alléger les souffrances des victimes sont revetus de la couleur politique de l'un ou de l'autre des camps en lutte. Cet esprit partisan, pourtant compréhensible en lui-méme, accroit la difficulté ultime d'une paix par compromis. Aussi longtemps que cette mentalité n'aura pas été atténuée en quelque mesure, les gouvernements européens qui travaillent à t e m i n e r cette éffusion de sang et cette géstmction, manqueront du soutien d'une opinion publique, assez forte pour rendre leur action efficace. C'est pourquoi je fai8 cet appel: c'est pour faire comprendre aux partisans non espagnols des deux cotés, qu'ils doivent considérer les intéréts du peuple espapol comme un tout, de sorte que. quand le trmps sera venu pour considérer le8 termes d'une paix par un ronipromis et de la toléranee, les obstacles dréssés par les animosités actuelles soient moins formidables.
On peut croire que, alors qu'aucun des camps en Espape n'est prèt à considerer les conditions d'une paix issue d'une victoire totale, ils sont pourtant disposée à examiner les propositions qui pourraient leur Btre faitee par des ami8 impartiaux, dont l'esprit est animé par le seul souci du salut ultime de llEspagne.
GINEVRA DI IERI E DI DOMANI I nemici della Società delle nazioni (ce ne sono in tutti i ranghi) pensano ch'essa è destinata a morire e clie bisogna darle il colpo di grazia. Gli amici ( e ce ne sono anche dappertutto) deplorano ch'essa non sia stata sostenuta come si doveva, nè dagli stati nè dall'opinione pubblica, al momento delle sue migliori iniziative, e sono trepidanti sul suo prossimo avvenire. Nè gli uni nè gli altri sono realisti, nel senso buono della parola ; poichè essi trasportano i propri sentimenti nella realtà degli avvenimenti, invece di trasportare la realtà nei propri sentimenti. La Società delle nazioni ieri, fu allo stesso tempo la coalizione degli stati vincitori e la organizzazione del diritto internazionale basato sopra ideali di moralità e di giustizia. I due aspetti non formavano una sintesi, perchè non si possono sintetizzare moralità internazionale e utilità nazionale senza una subordinazione dell'una all'altra; nè si possono subordinare gli interessi particolari senza una eguaglianza di diritti. D'altro lato, non si può rendere valida la moralità internazionale senza un'autorità munita di poteri. Questa non è critica malevola del passato; è la costatazione benevola delle difficoltà clie nascevano da una costituzione improvvisata dopo la guerra. Ma solo dopo una guerra come quella del 1914-18 poteva nascere la Lega tale quale è nata, assumendo nello stesso tempo i due caratteri, uno generale di diritto internazionale e l'altro particolare di difesa dei trattati di pace.
La colpa non era della Lega, ma dei trattati di pace che la Lega, col nascere, ereditava dalla conferenza di Parigi; il cui spirito non era stato quello della conciliazione fra vincitori e vinti, nè quello della equità nel cozzo dei diversi interessi. Ciò nonostante, nasceva un nuovo spirito: Ginevra diveniva non solo una causa di compensazione fra gli interessi divergenti e contrastanti, ma una costruzione giuridico-politica, un ideale di moralità. internazionale, un'aspirazione costante alla pace. Tutto ciò è fallito? I n parte si, è fallito. Si doveva arrivare alla pariti con la Germania pacificata, e la Germania è fuori della Lega. Si doveva arrivare al disarmo graduale e si è arrivati al fallimento della conferenza del disarmo e ad una nuova corsa degli armamenti (l). Si doveva arrivare a garantire i temtori dei singoli stati e a risolvere i conflitti con mezzi pacifici, e si sono avute la guerra tra la Bolivia e i l Paraguay, fra il Giappone e la Cina, fra l'Italia e I'Abissinia e l'intervento della Germania e dell'Italia nella guerra civile di Spagna. Ciò nonostante, si potrebbe fare un discreto bilancio delle buone iniziative della Lega, e si può dire che il suo passato fino ad oggi è stato sotto vari aspetti utilissimo. Proprio oggi, nel momento della sua maggiore depressione, possiamo registrare come successi la modifica dello stato militare sul Bosforo, l'abolizione delle capitolazioni dell'Egitto, l'accordo di Alessandretta. Strano: al momento che i cristiani si armano e fanno guerre di conquista, come l'Italia, o guerre civili, come la Spagna, o si fan giustizia da sè, violando i trattati, come la Germania, gli
(l) Nell'autunno 1933 si svolse la conferenza per il disarmo da parte tedesca. I1 14 ottobre i l governo di Berlino aveva annunciato i l suo ritiro dalla conferenza, al quale seguì, il 19 ottobre, il ritiro dalla Società delle nazioni. In dicembre Hitler annunciò che avrebbe ripreso i negoziati solo alle siie condizioni.
stati mussulmani, Turchia ed Egitto, arrivano a ottenere quel che stimano loro diritto a mezzo di pacifici accordi, nel quadro della Lega. La verità è che noi attribuiamo a Ginevra i torti dei singoli stati, e svalutiamo la Società delle nazioni perchè non ha autorità sufficiente non solo contro i violatori aperti, ma neppure contro gli stati che dicono di servire la Lega e osservano le decisioni, e di fatto la sabotano come fece Tardieu per la conferenza del disarmo e come fece Lava1 nel caso della guerra italo-abissina. C'è possibilità di avvenire per Ginevra? Non è un paradosso: oggi se Ginevra non ci fosse bisognerebbe inventarla. Perchè non c'è possibilità di fare a meno di Ginevra; non c'è nessuna politica che potrebbe sostituire i1 quadro di Ginevra. Oserei dire, che gli sbagli del passato sono una ragione di più perchè Ginevra resti e riprenda il suo ruolo futuro. Dicono: « occorre modificarla »; e infatti c'è una commissione ad hoc. Costoro non hanno immaginativa. Le modifiche sono già avvenute, quelle reali, dal 1920 ad oggi; e altre ne verranno con i successivi adattamenti. Le modifiche formali valgono solo a creare dissensi insolubili. Ogni organismo vivente esperimenta le modifiche nel fatto prima di arrivare a conservarle nelle formule giuridiche. Queste non apporteranno nulla agli stati soci che ne comprendono la portata; e non accontenteranno quegli stati (come la Germania e l'Italia) che vorrebbero la morte della lega, non la sua modifica. L'errore di oggi è quello di pensare che Germania e Italia possano tornare facilmente a Ginevra. I fatti varranno più delle parole. Se I'awentura spagnola non si risolve in un vantaggio per i fascismi d'Italia e di Germania; se il riarmo dell'Inghi1terra diviene (come sembra) decisivo nell'equilibrio delle forze militari europee; se la pace monetaria sarà consolidata; se la Francia saprà superare le sua crisi interne; se l'Europa centrale sarà difesa da sorprese germaniche, allora la Società delle nazioni riacquisterà una posizione tale, che Italia e Germania sentiranno il bisogno di avvicinarsi ad essa. Come si vede, il problema è tutt'altro: Ginevra è la risul-
tante di una politica degli stati democratici e liberi, perchè essa è basata sul principio democratico internazionale e sulla libertà. Come ogni « risultante », essa dipende dai suoi « f a t t o r i D. Se gli stati detti societari, non solo Inghilterra e Francia, m a anche gli altri, Olanda, Piccola Intesa, Belgio, Svizzera, Stati scandinavi, ecc. faranno una politica basata sui principi del patto e sulla ferma volontà d i farlo vglere, diciassette anni d i esperienze non saranno perduti e la Societ,à delle nazioni riprenderà il suo ruolo di garanzia della pace. (Popolo e libertà, Bellinzona, 18 giugno 1937).
LUSITANIA
... GUERNICA ... ALMERIA
I1 giornale Volk e n Staat mi dà l'occasione di una messa a punto cui non m i voglio sottrarre. Si, il « Lusitania » (l) era una nave inglese, veniva da New York, trasportava 1196 passeggeri d i cui 113 americani. Trasportava materiale bellico? Ciò fu affermato dalla Germania. E allora? Secondo l e leggi d i guerra, poicliè si trattava d i poteva essere visitato e una nave mercantile, il « Lusitania catturato; nel caso in cui avesse opposto resistenza. si sarebbe potuto sparare s u di esso. I n ogni caso, si doveva offrire ai passeggeri la possibilità d i salvarsi. I1 siluramento del « Lusitania » fece una viva impressione in America (allora neutrale, e nella quale vi erano tanti « germanofili » quanti « intesofili ») per il gran numero d i vittime; m a il siluramento senza preavviso di navi con passeggeri e senza carico d i materiale bellico, e quello delle stesse naviospedale, furono il nuovo metodo d i guerra sui mari inaugu-
(l)
Cfr. l a nota 2 all'articolo n. 14.
rato nel 1915 dalla Germania. È per questa ragione che il Lusitania n - più ancora che 1' « Arabia » o il C( Sussex - rimane nome simbolico, così come il nome di Guernica lo rimarrà per i bombardamenti aerei ( l ) . Questa osservazione non era affatto diretta a riaccendere odi spenti fra i paesi. L'ultimo a poter essere accusato di ciò sono proprio io che, nel 1921, come capo del partito popolare italiano, con una delegazione speciale fui il primo ad andare in Germania a Monaco, a Berlino, a Colonia per riannodare l'amicizia con gli ex-nemici, ricevuto ovunque (governo, autorità locali, partito del centro, partito popolare bavarese, organizzazioni operaie, leaders di tutti i partiti ...) con cordialità, simpatia e comprensione reciproca. Io, che all'inizio del 1925 fondai con gli amici francesi il segretariato dei partiti democratici di ispirazione cristiana per trovare il terreno comune d i collaborazione internazionale con il centro tedesco (a). Io, che dall'armistizio sostenni la tesi che i vinti dovevano partecipare alla conferenza della pace con i vincitori, e che fin dal 1919 sostenni le giuste rivendicazioni della Germania. I miei libri e i miei articoli sono là per provarlo, anche se la mia azione politica può oggi esser mal nota o dimenticata. Chiudo la parentesi personale. Ciò che mi pare dovere da parte dei cattolici, senza distinzione di colore e di sfumatura, è la riprovazione totale, di tutto cuore, efficace: non soltanto di ogni violazione del diritto delle genti, quale il cristianesimo ha maturato in duemila anni d i azione benefica, ma il rigetto di ogni pretesa giustificazione di tali violazioni. I1 u Lusitania » è il passato che non può più tornare. Guernica è il presente, ed è talmente grave che i nazionalisti di Spagna e i tedeschi hanno cercato di rigettare tutta la responsabi-
...
(l)
Cfr. la nota 1 aìi'articolo n. 12.
( a ) Sul Segretariato internasionale dei partiti e dei movimenti politici
ad ispirazione cristiana, cfr. G. Rossmr, IL movimento cattolico nel periodo fascista, Roma 1966, pp. 195-222, e F. PIVA-F. MALCEBI,Vito di Luigi Sturzo, Roma 1972, pp. 312 e sgg.
lità sui baschi stessi. Taluni giornali cattolici pro-Franco si sono attaccati con accanimento a questa versione, per non essere accusati di essere solidali con aviatori che hanno massacrato un'intiera popolazione. Almeria, fortunatamente diremmo, non ha due versioni, una di qua una di là. Il forfait di Almeria è stato in piena luce, è stato riconosciuto, esaltato persino dai tedeschi e dai ribelli di Franco. Almeria e Guernica formano un dittico. Non so che cosa V d k en Staat abbia scritto su Almeria. Spero che si sarà unito all'dvant Garde e a tutti i giornali cattolici e non cattolici che hanno riprovato questo sistema di rappresaglia contro popolazioni inermi. Tollerare oggi è ammettere che domani potranno ripetersi. È reintrodurre nella vita dei popoli il metodo del massacro come diritto di guerra. I1 mondo si abitua a questi crimini, diviene insensibile, e quando vengono commessi dagli amici se ne cercano le scusanti. Ricordare il bombardamento di Corfù nel 1923 da parte di Mussolini? Silenzio! Mussolini aveva salvato l'Italia dal bolscevismo. Ricordare il massacro di Addis-Abeba del 19 febbraio 1937? Silenzio! Mussolini è in buoni rapporti con il Vaticano. Si arriva così ben presto a dimenticare il quinto comandamento : « non ammazzare » !
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(Avarat Gorde, Bnixelles, 10 giugno 1937).
Le joumal VoEk en Stoat me donne l'occasion d'une mise au point à laquelle je ne veux point me soiistraire. Oui, ~ L u s i t a n i ar> était un paquebot anglais, il venait de New York, il trasportait 1196 passeggers dont 113 américains. Avait-il du maténel de guerre? Cela fu affirmé par 1'Allemagne. E t alors? D'après les lois de guerre, puisqu'il s'agissait d'un navire de commerce, le « Lusitania n pouvait Gtre visité et capturé; au cas où il aurait résisté, on aurait pu tirer sur lui. En tous cas, on devait offrir aux passagers la possibilité de se sauver. Le torpillage du u Lusitania a fit une vive impression en Amériqiie (alors neutre, où il y avait autant de germanophiles que d'u ententophiles I>) pour l e grand nombre de victimes; mais le torpillage sans préavis de navires ayant des passagcrs et san9 chargement de matériel de guerre, et celui
drs navires h6pitaux eux-memes: furent la nouvelle méthode de guerre sur les mers iuaugurée en 1915 par I'Allemagne. C'est pour cette raison que le « Lusitania n - plus encore que l'« Arabia n ou le « Sussex n - reste le nom symbolique, tout comme le nom de Guernica le restera pour les hnmbardements aériens. Cette remarque n'était nullement dirigée dans le but de rallumer des haines éteintes entre les pays. Le demier à pouvoir étre accusé de cela. c'est bien moi qui, en 1921, comme che£ du parti populaire italien, avec une délégation spéciale fut le premier à aller en Allemagne à Munich, à Berlin, à Cologne à renouer l'amitié avec les ex-ennemis, recu partout (gouvernement, autorités locales, parti du Centre, parti populaire bavarois, organisations ouvriéres, leaders de tous les partis ...) avec cordialité, sympathie et compréhension réciproque. Moi, qui au début de 1925 j'ai foudé avec les amis francais le secretariat des partis démocratiques d'inspiration chrétienne pour trouver le terrain commun de collaboration intemationale avec le centre allemand. Moi, qui dès I'armistice soutins la thèse que les vaincus devaient participer à la conférence de la paix avec les vainqueurs, et qui dès 1919 ai soutenu les revendications justes de 1'Allemagne. Mes livres et mes articles sont là pour le prouver, méme si mon action politique peut aujourd'hui ;tre mal connue ou oubliée. Je ferme la parenthèse personnelle. Ce qui me semble un devoir de la part des catholiques, sans distinction de couleur et de nuance, est la rèprobation totale, de tout coeur, efficace, non seulement de toute violation du droit des gens, te1 que le christianisme l'a muri en deux mille ans d'actioa bienfaisante, mais le rejet de toute prétendue justification de telles violations. Le « Lusitania » c'est le passé qui ne peut plus revenir. Guernica c'est le présent, et c'est tellement grave que les nationalistes dYEspagne et les allemands ont cherché de rejéter toute la responsahilité sur les Basques méme. Certains journaux catholiques pro-Franco se sont attachés avec acharnement à cette version, pour ne pas Gtre accusés d';tre solidaires des aviateurs qui ont maesacré une population entière. Almeria, heureusement dirons-nous, n'a pas de version. une en decà, I'autre en delà. Le forfait d'Alméria a été fait en plein soleil, a été avoué, exalté rnéme par les allemands et par les rebelles de Franco. Alméria et Guernica font un dyptique. J e ne sais pas ce que Volli en Stuut a écrit sur Alméria. J'espère qu'il se sera uni à l'Avant Carde et à tous les journaux catholiques et non catholiques qui nnt reprouvé ce système de représailles contre des populations sans armes. Les tolérer aujourd'hui, c'est admettre que demain elles pouront se rkpeter. C'est réintroduire dans la vie des peuples la inéthode du massacre comme droit de guerre. Le monde s'habitue à ces crirnes, devient insensible, et quand ils sont commis par des amis on en cherche l'excuse.
...,
Rappeller le bombardement de Corfou en 1923 par Mussolini? Silence! Mussolini avait sauvé lYItalie du bolschevisme. Rappeler l e maseacre d'Ad& Abeba du 19 février 1937? Silence! Msolini est en bons rapports avec le Vatican. On en vient ainsi, trèa vite à oublier le cinquième commandement: TU NE TUERAS POINT!
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LA STAMPA IN INGHILTERRA Punto d i partenza: la stampa i n Inghilterra è costosissima. Questo, se da un lato limita l e iniziative giornalistiche individuali e senza larga base, dall'altro lato commercializza a l sommo ogni impresa bene stabilita. I giornali sono quasi tutti pubblicati da società a capitale limitato: Ldt. Da notare subito che i n Inghilterra non ci sono titoli al portatore; tutti sono nominativi. Coloro che partecipano alla società sono conosciuti; i loro titoli sono segnati dal loro nome e firma; il loro rischio è limitato al capitale sottoscritto. La società o compagnia è registrata a Somerset House, una dipendenza del dipartimento delle finanze, dove si conservano tutti gli atti pubblici e i documenti al doppio effetto della responsabilit,à civile e commerciale e del pagamento delle tasse. Nessuna tutela politica, nessuna ingerenza governativa sulla stampa. Solo i l fisco h a i suoi diritti a base dei bilanci: questi debbono essere firmati da un ragioniere o contabile autorizzato, depositati regolarmente; sulla base d i tali bilanci lo stato riscuote la Income Tax. Tutte le entrate e le uscite della compagnia debbono essere tenute a registro; ma ciò non per sindacarne la provenienza politica (sia pure estera), ma agli effetti della tutela del diritto degli azionisti (se costoro pensano d i avere ragioni da far valere contro gli amministratori) e per la esazione delle tasse. I1 giudizio politico sulla provenienza del denaro è lasciato al lettore e all'opinione pubblica. Questa fa una notevole discriminazione fra giornale politico e giornale che potrebbe dir-
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si d'informazione (come si usa in continente) ma che qui è anche il giornale di passatempo. Nessuno dà importanza politica al Daily Mail, che avrà una tiratura, più o meno secondo i tempi, di due milioni di copie. Per molte famiglie il Daily Mai1 è il consigliere di cucina, l'indicatore dei buoni impieghi, dei piccoli risparmi, l'informatore politico che risponde a certi gusti stabili e tranquilli dei colonnelli in ritiro; ha belle illustrazioni, dà notizie dettagliate dei fatti del giorno, fa articoli brevi, elementari: che non provocano alcuna fatica a l lettore. Ecco tutto. È perciò che certe campagne del Daily Mail, come quella isolazionista, non hanno nessuna presa. Ed è anche per questo che giornali politici come il Daily Herald e il Daily Express, seguono i metodi giornalistici del Daily Mail: titoli sensazionali, per cose da nulla; mancanza di proporzione fra il fatto e il significato attribuito; articoli politici per far pensare il meno possibile, fotografie vistose intercalate in tutte le pagine. La tiratura sale a un milione, a due milioni, a due milioni e mezzo di copie. È il record del Daily Herald, il quale ha quasi cessato di far propaganda socialista e si contenta solo delle linee indicative, che bastano per la massa dei lettori. I lettori di fatto sono stabilizzati nelle loro idee, inquadrati in partiti tradizionali; si alimentano di pensieri politici nei propri clubs o sindacati o associazioni, e nei continui meetings di tutte le specie, sì che il giornale esercita un'influenza limitata. I1 grande giornale è perciò, novanta volte su cento, un affare; e quando non lo è, perde credito. Esso si appoggia non sugli abbonamenti, ma sulla vendita organizzata da società speciali (come Hachette) e sulla pubblicità, ch'è la sorgente più importante delle riserve giornalistiche. Allo stesso modo sono organizzati i giornali finanziari, indipendenti da ministeri o da borse, che servono il pubblico che si occupa di affari, che è molto esteso in tutte le branche dell'rittività economica del paese. Ciò si spiega per il fatto che quasi tutti i valori sono tradotti in capitale mobile e in titoli nominativi. I proprietari di giornali hanno la loro associazione (Newspapers Proprietors Association) e i giornalisti la loro (JVatio-
naZ Union of Journalists). I1 carattere è strettamente di tutela professionale e per gl'interessi collettivi; nessuna ingerenza negli affari di ogni singola azienda o persona, nè alcuna rappresentanza presso le autorità politiche o civili. La stampa inglese è veramente libera; il rapporto fra stampa e pubblico è veramente sentito. È una felice conseguenza del valore dell'opinione pubblica nel campo politico e dell'influsso ch'essa esercita in tutte le manifestazioni della vita collettiva. Sotto questo aspetto, si può dire che la stampa più che influire sulla opinione pubblica ne subisce l'influsso. Essa, più che una guida, è una manifestazione del sentimento collettivo e delle sue oscillazioni. Questo carattere della stampa rende possibile l'auto-controllo del giornalismo inglese (nella sua maggior parte), si che l'uso della libertà non degenera in licenza; la campagna politica non arriva mai all'accanimento; il fair play, sistema generale della politica inglese, è mantenuto in via normale in tutta la stampa. Dove interviene la legge è nella diffamazione o ingiuria diffamatoria. Qui i l sistema è rigoroso, accettato da tutti, reso efficace dalle sanzioni economiche e penali, non solo per l'autore, ma persino per il tipografo. (Nouveaux Cahiers, Paris, 1 luglio 1937). Arch. 1 A, 2.
GUERRA E PACE La guerra è qualche volta necessaria? Coloro che credono alla guerra « santa N in Spagna, e la so*tengono con la loro propaganda per lo schiacciamento dei « rossi n, pensano certo che la guerra civile di Spagna è stata necessuria.
Noi no; noi non crediamo alla necessità di alcuna guerra, sia essa fatta i n nome della religione o in nome della nazione; in nome del diritto o in nome della patria. La guerra è qualche volta fatale? Ci sono coloro che credono alla fatalità della guerra. Nessuno la vuole, ma la guerra scoppia per un nulla, come una botte di polvere dove cade un piccolo fiammifero mezzo spento. Così alcuni pensarono che fu fatale la guerra del 1914-18. Noi no; noi non crediamo alla fatalità della guerra. Per noi ogni guerra non solo non è necessaria e non è fatale; ma è volontaria. La guerra dell'Austria alla Serbia nel 1914 fu volontaria e premeditata. Sono gli uomini, determinati uomini, pochi o molti, i responsabili della guerra, di ogni guerra, anche quando essi dicono di non volerla. Cerchiamo queste responsabilità. Anzitutto in via lontana, una responsabilità spetta a coloro che ammettono la guerra, come mezzo legittimo di risolvere le vertenze fra gli stati. Questa convinzione porta di conseguenza a guardare la guerra come un minor male, come una necessita politica; a giustificarne l'uso, a precisarne i contorni giuridici e morali, a educare la gioventù perchè sia moralmente e militarmente atta alla guerra. Questa è una responsabilità generica, che è connessa con il sistema politico nel quale viviamo. Però occorre una discriminazione. I piccoli stati, in grandissima maggioranza, non vogliono la guerra; solo si armano (come possono) per tutelare, nel caso di guerra generale, la loro personalità politica e morale. Così l'Olanda, il Belgio, la Svizzera, i Paesi Scandinavi; Cecoslovacchia, Austria, Portogallo Gli stati legati alla Società delle nazioni non vogliono in via generale la guerra e cercano la risoluzione pacifica dei conflitti (come è avvenuto recentemente per la Turchia e per lo Egitto a maggioranza mussulmani) per le modifiche delle clausole di certi trattati. Ciò non ostante, ammesso il sistema degli armamenti, ammessa l'opinione dei più che la guerra può essere legittima e necessaria, purtroppo si arriva ad una situazione nella quale la guerra è guardata come possibile, come vicina, come fatale. È il caso presente. Ma questo caso non è senza colpa.
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1) I1 disarmo promesso nel irattato d i Versailles non fu eseguito.
I) La pacificazione della Germania e degli altri paesi vinti non fu curata come dovevasi dal punto di vista economico e politico. 3) Le dittature furono favorite, mentre dovevano essere avversate, perchè sono quelle che preparano le guerre d i prestigio. 4) La Società delle nazioni mancò al suo dovere nei vari casi di violazioni del patto: Corfù, Wilno, guerra Bolivia-Paraguay, occupazione della Manciuria, guerra italo-abissina, guerra spagnola). Tutto è legato: la guerra è una punizione della violazione della morale e del diritto fra i popoli, non come una fatalità cieca, ma come una conseguenza etico-sociale. Così, come la conseguenza delle colpe individuali si estende alla stessa vita personale e familiare di ciascuno. L'ubriaco o il lussurioso che si rovina il corpo e che disturba la famiglia; l'avaro che intristisce e altera i suoi rapporti sociali subiscono la nemesi personale e sociale della colpa. Perchè la guerra cessi di essere il prezzo delle colpe morali dei governi e dei popoli, occorre (come nel caso delle colpe personali) una conversione e un'espiazione. P e r evitare l'effetto bisogna rinnegare le cause. E' possibile? Sì: lo spirito cristiano deve soffiare nella vita sociale e politica allo stesso modo e con la stessa efficacia che nella vita personale e familiare. Esso ci porta a dare importanza ai valori morali anche nei rapporti fra i popoli; a cercare l e soluzioni pacifiche; a evitare i massacri di guerra. Le grandi rivoluzioni morali ( e questa sarà una) cominciano da piccoli e incerti inizi e per la fede di pochi. La fede che la guerra non è più legittima (perché è evitabile); non è più necessaria (perchè non è legittima); non è più fatale (perchè non è necessaria), è la fede che oggi ci vuole. Bastano l'arbitrato, l e trattative amichevoli, l'organizzazione internazionale della pace; perchè ricorrere alla guerra? Se la guerra verrà, ciò sarà perchè pochi credono alla pace
e i più pensano alla guerra. Quando nel 1934 visitai la Spagna da diverse parti sentivo: u Così non può andare; occorre un colpo di forza n. Dissi a diversi: « Con questo sentimento avrete la guerra civile n. Se gli spagnoli avessero invece creduto alle Cortes, alle schede elettorali, ai partiti, e si fossero tollerati reciprocamente, alternandosi al potere, cioè se non ave8sero creduto alla guerra, la guerra non veniva. Forse che la persecuzione anticristiana i n Germania non è peggiore di quel che aweniva in Spagna tra il febbraio e il giugno del 1936? Ma in Germania la guerra civile non viene perchè nessuno vi pensa. (L'Aube, Paris, 22 g i u p o 1937). Arch. 10 A, 8.
LA PACE IN SPAGNA C'è chi la vuole per la vittoria di Valenza; c'è chi la vuole per la vittoria di Salamanca. Per noi la vittoria degli uni è lo schiacciamento degli altri. Potrà una simile vittoria generare la pace? Bisogna aver chiara la nozione della pace per rendersene conto. La pace obiettivamente è la tranquillità nell'ordine; psicologicamente è la concordanza dei cittadini in un sistema accettato dalle due parti combattenti come giusto per gli uni e per gli altri. La pace vittoriosa che schiacci il nemico non è pace; solo è pace il compromesso basato sull'equità che venga a togliere i motivi di guerra e a restaurare l'ordine. Se questa è la pace cristiana fra due popoli diversi che si sono battuti in guerra, che dire di due fazioni dello stesso popolo? Da un anno e più si combatte in Spagna. su vari fronti, con l'aiuto di stranieri di qua e di là (ma più da una parte che dall'altra), ma guerra sans merci; una delle più selvagge guerre che ricordi la storia.
Fin oggi ( a credere a certe statistiche approssimative) quasi un milione di vittime giacciono sottoterra, sacrificate all'odio fraterno. Domani, se una parte vincerà, forse che questo odio cesserà di soffiare dentro i petti dei vincitori e dei vinti? Le vendette seguiranno la vittoria, perchè il sangue chiama sangue. E l'odio coverà in coloro che saranno gli sconfitti e i sacrificati. Molti, per ragioni religiose o politiche, per ideale nazionalista o nazista, pensano che Franco è sul punto di vincere; per essi parlare di pace sarà un tradimento della causa cattolica, della causa dell'ordine e dell'unità nazionale della Spagna. Questo ragionamento mi è stato fatto a novembre 1936 (prima offensiva su Madrid), a marzo 1937 (offensiva di Guadalajara), a giugno 1937 (caduta di Bilbao). Siamo ad agosto; fra tre mesi soffieranno i venti freddi sulI'altopiano madrileno. Verrà terribile l'inverno 1937-38. E forse Franco, le sue truppe spagnole e marocchine, i suoi ausiliari italiani e tedeschi, saranno là a pensare di essere alla vigilia del successo definitivo. Intanto il sangue scorre, la Spagna si distrugge, gli odi aumentano... la pace si allontana, la pace i n Spagna e la pace i n Europa. Giorni fa il Santo Padre, parlando alle religiose spagnole ospitaliere del S. Cuore, incominciò « invitando tutti a pregare perché abbia presto e cessare il desolato periodo di tribolazione per il loro grande e nobile paese ed abbiano a succedere invece giorni di pace » ( Osservatore Romano 19-20 luglio). Tutti i cattolici del mondo dobbiamo eseguire il consiglio del papa e pregare per la pace in Spagna, per la vera pace, non una pace di odio e di vendetta e di schiacciamento di una parte della popolazione, ma una pace di riconciliazione e di fratemiti. Londra, luglio 1937.
(L'Aube, Parb, 31 luglio 1937). Arch. 10 A, 11.
L'UNITÀ DEI CATTOLICI NELLA VITA PUBBLICA Come può farsi l'unità dei cattolici nella vita pubblica? Parliamo dei paesi costituzionali; negli altri, a regime dittatoriale, palese o larvato, non si pone un tale problema, perchè vi manca una vita pubblica di cittadini, nel senso vero della parola. Una certa unit.à dei cattolici, nella vita pubblica, per essere tale si dovrebbe formare su quattro piani. Sul piano religioso, morale e culturale, l'unità viene concepita senza difficoltà sia nella concordanza sia nell'adesione agli insegnamenti della chiesa e alle direttive dell'episcopato locale; sia nella sua realizzazione pratica, nonostante le differenze sui mezzi e sull'opportunità. I cattolici del Belgio hanno la loro storia scolastica, come una delle più grandi e generose lotte del secolo X I X ; gli svizzeri quella della libertà religiosa, rivendicata contro settarismi tradizionali e inveterati. Sul piano istituzionale è ancora facile e doverosa l'unione dei cattolici. Non concepiamo le istituzioni di un paese come un dogma immutabile, ma solo come un'organizzazione stabile, nei cui quadri si possa largamente svolgere la vita pubblica e trovare il suo assetto progressivo secondo i hjsogni delle varie epoche. Un sistema costituzionale non può essere rigido; quando anche dovesse essere adoperato - non per colpi di forza e per tentativi rivoluzionari - ma con il consenso dei più, secondo le leggi fondamentali di ciascun paese. I1 vantaggio dei regimi costituzionali, detti di opinione, consiste nell'acquiscenza delle minoranze al volere delle maggioranze, e insieme nella possibilità che le minoranze a loro turno divengano maggioranze, per effetto di persuazione, di organizzazione, di ~ r o p a ~ a n d ea ,infine per volere ~ o p o l a r e ,legittimamente espresso. I cattolici che non accettano il regime costituzionale vigente nel proprio paese, non hanno da scegliere che o i tentativi di rivoluzione, di colpi di stato, le violenze armate e perfino le
guerre civili; ovvero il disinteressamento dalla vita pubblica, lasciata così ai partiti non cattolici o anti-cattolici. L'una e l'altra alternativa non sono degne di una scelta fatta con coscienza. Vi sono coloro che vorrebbero servirsi del regime costituzionale per sabotarlo e scuoterlo con l'arrière pensée di un colpo di stato bianco D, quando essi avranno in mano le leve di comando. Ma tale condotta sarebbe un infingimento, un inganno; le masse non potrebbero far così, perchè masse, nè tollerarlo a lungo. Solo un'oligarchia che usurpasse l'etichetta cattolica ( o clericale) per proprio vantaggio, potrebbe proporsi un tale scopo, che ripugnerebbe a d uomini retti e sinceri, quali dovrebbero essere i veri cattolici. Un terzo piano è quello sociale. Dopo la Rerum Novarum e la Qzurdragesimo Anno non dovrebbe esservi alcuna difficoltà sui principi che formano la base solida del programma sociale dei cattolici nella vita pubblica. Si intende, che nelle realizzazioni pratiche non mancheranno divergenze di vedute. Ma queste potranno essere superate da quella buona volontà d'intesa fra le varie classi, padronali e operaie, e fra le varie correnti parlamentari ( d a una destra prudente a una sinistra audace), che dovrebbe formare l o stesso spettacolo dei primi cristiani di un cuor uno e di un'anima una, nonostante le differenze fra i giudaizzanti e i gentilizzanti. Affinchè si formi, per tutti i piani indicati (religioso, morale, culturale) un vero spirito di unità, occorre che i cattolici si educhino un po' meglio al metodo di libertà. Questo esige, come ogni libertà, un centro organizzativo e d'autorità, nel senso profondo della parola (non autoritarismo); perchè, mentre senza organismi e direzione non si ha che confusione di tendenze e dispersione di forze, solo con essi può essere consentita la più larga facoltà d'iniziativa in un confidente ricambio di pensieri e di voleri fra tutti i consociati. Non intendiamo con ciò affermare che tutti debbano essere legati a una sola organizazione. Il partito politico può essere unitario o federato; i sindacati hanno un compito laterale, ma importante nella vita pubblica; i circoli di studi e le settimane sociali elaborano i programmi dal punto di vista teorico; la stampa fa la battaglia quotidiana lavorando sull'opinione pub-
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blica. Perchè ci sia unità occorre che non ci siano nè intoìier a m e nè preminenze immutabili, ma metodo d i libertà nella fiducia reciproca e nelì'omore fraterno di coloro che combattono per il bene del proprio paese nel vero spirito cristiano. Londra, agosto 1937. (Popolo e libertà, Bellinzona, 16 agosto 1937).
23 bis. ANCORA SULL'UNITA DEI CATTOLICI NELLA VITA PUBBLICA L'articolo sulla vita ~ u b b l i c adei cattolici mi ha procurato lettere, commenti, citazioni. I1 tema interessa parecchio e ci ritorno una seconda volta. Riassumendo, l e obiezioni fattemi -comprendono l'organizzazione politica di un partito detto cattolico ( o altrimenti), la sua attività elettorale e parlamentare, l'atteggiamento sociale. Qualcuno si è domandato: unità o unione? Non è una quisquilia di vocabolario; dove non c'è unità, per dissensi e diversità di opinioni, si fa l'unione, più o meno temporanea, superficiale, fittizia. Quando invece l'unione è sincera ed effettiva si arriva all'unità. E perchè sulla sostanza religiosa, istituzionale ( u n signore mi h a scritto che dovrei dire costituzionale) e sociale i cattolici hanno, o debbono avere, un identico sentire, lo effetto non può essere che quello di un'unione che produce unità. Restano però le questioni pratiche. Qui, nonostante l'unità, si avranno sempre divera'ità di vedute, anche contrasti. È così tutta la vita: perfino in quella della famiglia che è un'unità naturale. Perchè non deve essere così nella vita pubblica? Secondo me, questo è un dono della natura, per esercitami nella ricerca del meglio, per farci vedere i vari lati di ogni questione e accettarne il più efficiente, il più utile al bene comune, i1 più opportuno per un dato momento, e per tenerci esercitati nell'attuazione dei nostri ideali.
Che se nelle cose spirituali e teologiche sant'Agostino inculcava la sua celebre norma: a in necessariis unitas, in dubiis libertas, in omnibus charitas », noi possiamo inculcare la stessa norma anche nel difficile terreno della vi'ta pubblica. In essa le cose necessarie riguardano l'esistenza e la difesa della nazione o della civiltà religiosa, morale e culturale; la stabilità dello stato e della sua costituzione. Ma in tutto il resto ha luogo l'opinabile: la libertà h a qui il suÒ campo. Perciò nello scorso articolo insistevo sul punto quarto, quello che io ormai da trenta e più anni chiamo il « metodo della libertà n. Uno dei più gravi ostacoli alla formazione di un vero partito fra i cattolici ( a me non piace chiamarlo partito cattolico) è l'opinione che hanno di sè certi cattolici: essi cioè formano un'élite destinata a guidare, a dirigere, a comandare la massa degli elettori cattolici. Uno specie di diritto divino che dai monarchici dell'ancien régime è passato sulle loro teste. Non dicono essi così: se ne guarderebbero bene. Ma essi tendono, in ogni paese cattolico, ad accordarsi circa gli interessi della chiesa, e poi per il resto (vita economica, sociale e politica dello stato), a mettersi con le destre più o meno reazionarie, con i nazionalisti, con i filo-fascisti. Così essi divengono intermediari nati fra la chiesa e il potere politico, e fra questo e le masse cattoliche dei lavoratori. Spesso essi formano una casta chiusa, rappresentano forti gruppi d'interessi borghesi e capitalisti: sono quelli che sono designati spesso con il nome di clericali, anche quando non siano disposti a sacrificarsi troppo per la chiesa; amando, più che le lotte e le persecuzioni, i compromessi e gli adattamenti. Costoro non si rassegneranno mai a lasciare che si formi nelle masse operaie cattoliche uno spirito politico: e pretenderanno magari l'aiuto del clero, per tenere distanti dalla responsabilità della vita pubblica quelle leghe operaie e quei sindacati, che invece sono utilissimi nel campo elettorale come massa di manovra e come voti sicuri per mantenerli al loro posto di comando. Che delle élites siano necessarie per ogni organismo politico, e in modo speciale per un partito, nessuno può mettere i n dubbio. Ma la formazione delle élites deve essere libera, non
chiusa in classi economiche o in caste familiari. Deve essere il valore personale, l'attività organizzativa, la fiducia meritata, che spinge le persone a divenire élite dirigente. La gran differenza fra l'ancien régime e il regime di libertà e di democrazia consiste nella diversa formazione delle élites politiche (meglio dette classi dirigenti), e nello scambio tra una e altra élite, cosa che dà una larga estensione alla partecipazione della vita pubblica. P e r arrivare a ciò, occorre che l a stessa massa sia educata alla vita politica; non basta il giornale, che spesso è letto in fretta e più che altro nella parte di notizie ( i giovani cercano la pagina dello sport e del cinema); occorre la conferenza, la discussione teorica, l'attività pratica che prepari all'esercizio cosciente del voto; che arrivi a fare degli operai e delle donne buoni consiglieri comunali o provinciali, probi-viri, capi delle sezioni del partito, capi delle leghe e dei sindacati, dei circoli e delle opere di assistenza, e infine anche buoni e abili deputati. Moltiplicare l a capacità a coprire i posti direttivi contribuisce a formare una più larga sfera d'influenza nel pubblico anche estraneo al mondo cattolico. La povertà di uomini di comando dal piccolo al grande, è un grave danno per un partito fra cattolici. Rari sono i paesi che hanno un van Zeeland come i l Belgio ( l ) . La Svizzera non ne manca, il Canton Ticino ha le sue glorie. Quante volte non avevo sentito, n d passato, che l'ala democratica cristiana del Belgio, dopo la guerra, mancava d i uomini dirigenti, per cui essi poco contavano nella vita pubblica! E quando si ebbe il ministero Poullet (2), fu una grande speranza nel mondo dei democratici cristiani d'Europa. Le questioni sollevatemi dai corrispondenti sulle difficoltà di fare l'unione sul terreno dellyorganizzazione del partito e su
(l) Paul van Zeeland, esponente del movimento cattolico belga, vice governatore della Banca nazionale, costituì il 25 marzo 1935 un governo di coalizione formato da cattoIici, socialisti e liberali. ( a ) Prosper Poullet, uomo politico belga, cattolico, ex primo ministro, aveva guidato un gabinetto di coalizione fra socialisti e cattolici, che fu costretto a dimettersi per la pressione di gruppi finanziari e conservatori. Cb. anche Miscellaneu londinese, I[I, p. 104.
quello elettorale e parlamentare ( n o n parlo del solo Belgio) sorgono, secondo me, più dal fatto clie non c'è unità d i programma nelle questioni istituzionali e sociali (suppongo che c i sia l'unità sul terreno religioso) che per difficoltà pratiche di organizzazione. Difatti, oggi i dissensi principali sono nel campo economicosociale; di là si riflettono su quello della collaborazione governativa e sull'orientamento politico. Perciò i cattolici conservatori, nazionalisti e reazionari, sono quasi tutti filo-fascisti; ciò per essi importa una concezione anti-democratica (limitare la partecipazione delle masse al potere) e una concezione anti-sociale (limitare le aspirazioni operaie a u n miglior trattamento). I l problema economico-sociale comanda quello politico. Così vien posta la questione se oggi possa continuare ad esistere u n governo democratico o non debba farsi u n esperimento autoritario ( p i ù o meno fascista), tipo Austria o Portogallo. Di fronte a questo atteggiamento non si può far altro dai democratici veri che affrontare il problema se costoro non siano già fuori delle linee maestre di u n partito fra cattolici i n regime democratico: perché il loro dissenso è proprio sulla nota specifica : quella del regime. Che se non fosse così, allora non si dovrebbe avere alcuna difficoltà da parte di costoro ad accettare, non solo i n teoria, ma anche in pratica, la Rmum Novarum e la Quadragesimo Anno, e di lavorare (nei quadri dell'attuale regime democratico) per le necessarie riforme sociali di carattere cristiano. Solo in tale caso il « metodo della libertà » giocherà i n tutta la sua ampiezza; nel senso che ciascuna corrente pratica potrà affermare l e proprie vedute. avere i suoi rappresentanti, sostenere l e proprie proposte. Quando uno è il programma e uno lo scopo finale, non si deve avere nessuna difficoltà a sottoporsi al volere degli altri e concorrere con l e proprie forze al miglioramento del proprio partito per il bene del proprio paese e per l'attuazione d i u n ordine sociale cristiano. (Popolo e libertà, Bellinzona, 21 settembre 1937).
LETTERA AGLI AMICI DELL'AUBE
(l)
Caro signor Pochard, Ecco la mia adesione al primo congresso nazionale degli u Amici del19Aube». Perchè non un congresso internazionale?
Voi avete amici in Inghilterra, in Irlanda, in Belgio, in Olanda, in Cecoslovacchia e altrove. Spero essere con voi il 5, 6,7 novembre. In ogni caso, sono presente col cuore per augurarvi uno splendido succeeso. Cordialmente Luigi Sturzo Cher Monsieur Pochard,
Ii.
Voilà mon adhésion au premier congrès national des u Amis de 1'Aube n. Pourquoi pas un congrès international? Vous avez dea amis en Angleterre, en Irlande, en Belgique, en Hollande, en Tchécoslovaquie et ailleurs. J'espère Ctre avec vous les 5. 6, 7 novembre. En tout cac, je suie là avec mon coeur pour vous souhaiter une réussite éclatante. Cordialement à vous Luigi Stumo
L'OPINIONE INGLESE E L'ORGANIZZAZIONE DELLA PACE (Una discussione che continua) Da più anni una discussione giornalistica è -aperta sui giornali più reputati d'Inghilterra ( T i m s , Manehester Guardian, Daily Telegraph, New Chronkle, ecc.) e con l'intervento, a
(l)
Per il primo congresso nazionale degli a Amici dell'Aube r, cfr. l?.
M4rerrn, op. cit., pp. 323 e
8s.
mezao di lettere, degli uomini politici d i primo piano (lord Cecil, Gilbert Murray, Wickham Steed, lord Lothiam, Lord Allen of Hurtwood, lord Davies, dr. Jacks editor of The Hibbert Journal of Oxford, ecc.) ~ull'or~aniazazionedella pace, sulla Società delle nazioni, sull'indirizzo di politica continentale delllInghilterra. È un'abitudine tutta inglese la partecipazione all'orientamento dei grandi giornali - per mezzo di lettere - del pubblico più qualificato, sia su materie olit ti che, sia letterarie o storiche. Non disdegnano, anche dei nomi noti, intervenire nelle discussioni di culinaria e di giardinaggio. Non manca ogni anno sul Times una serie di lettere ansiose a proposito dell'esistenza degli scoiattoli nei parchi lòndinesi o sulle qualità e abilità dei gatti e loro specie e sottospecie. Quel che, da diversi anni, appassiona di più, è l a politica estera, la Società delle nazioni, la pace e l a guerra. Se ne comprende il perchè. L'inglese è un popolo soddisfatto ( p e r usare un termine corrente) e non vuole la guerra. Perchè volerla? Ma purtroppo ne sente i prodromi, vede che tutto il mondo è in grave sconvolgimento. Ha provato le delusioni della politica del disarmo unilaterale; ha tentato un mezzo isolamento e il gioco fra Parigi e Berlino: ha subito nel fondo del suo animo lo scacco della guerra italo-abissina; ora vede cadere a pezzi la costruzione del non-intervento in Spagna, è minacciata nel Mediterraneo dalla pirateria n sconosciuta » e nota a tutti... È perciò che ii discute; si discute perchè non si trova la via, o perchè la via che sembra la migliore è piena di pericoli, e perchè infine l'inglese non vuole persuadersi che la situazione di oggi è totalmente differente da quella del 1914 e da quella del 1920. I due articoli di Norman Angell ( l ) (premio Nobel per la pace) pubblicati dal Daily Telegraph del 22-23 settembre, sono i più chiari e i più rimarchevoli di tutta la polemica di questi ultimi quattro mesi, dal fallimento del controllo in Spagna,
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( l ) Sir Nomann Angell, pseudonimo di sir Ralph Normann Angell Lane, noto uomo politico inglese, autore del libro pacifista La grande illusione. Nel 1934 ottenne il premio Nobel per la pace.
che si credeva dovesse sboccare nel ritiro dei cosiddetti volontari. Egli, ponendosi dal punto di vista dell'impero britannico, approva in pieno il riarmo (ormai è rimasta ostile solo una frazione laburista senza gran seguito), ma domanda: « Al momento che i cannoni tuoneranno, chi sarà dal nostro lato e chi contro di noi? » Difatti una politica di riarmo non può essere neutra. Punto di partenza: l'impegno assunto di aiutare la Francia e il Belgio, se attaccati ingiustamente. Tale impegno corrisponde agli interessi britannici; egli si meraviglia che si sia tardato diciassette anni a formularlo chiaramente. Se noi, egli dice, avessimo affermato il nostro impegno subito dopo la guerra, (anche senza il concorso degli Stati Uniti) la politica europea sarebbe stata diversa e la pace ci avrebbe guadagnato. Ma acqua passata non macina più », si dice in Italia. Ora siamo a questo: l'Italia in Abissinia e nelle Baleari, la Germania nel Marocco, la Piccola Intesa in disgregazione, i l Mediterraneo pirateggiato. Un fattore nuovo intanto è entrato in scena: la Russia. La Inghilterra ha guardato di mal occliio il patto franco-sovietico, ma questo ha spostato le posizioni, in quanto Germania e Giappone debbono contare la Russia come eventuale loro opponente, diretta o indiretta. A coloro che non vogliono sentir parlare della Russia, sir Norman Angell si domanda come faranno l'Inghilterra, la Francia e il Belgio a viqcere una nuova guerra, se avranno contro i l Giappone e l'Italia e se avranno neutrali la Russia e gli Stati Uniti, e se la Romania e la Jugoslavia cadranno, come sembra, nell'orbita della Germania, tutti stati che nella grande guerra furono invece dal nostro lato. Non ci sono per l'Inghilterra che due politiche: o quella dell'isolamento, con la prospettiva di perdere l'impero e di ridursi a divenire una Danimarca o una Norvegia, un po' più grande ma non più importante; ovvero quella dell'organizzazione della pace internazionale, con tutti i rischi ch'essa comporta, compresa la difesa armala di tale organizzazione. E perchè l'Inghilterra non sia esposta 2d essere sconfitta da quei paesi che tendono alla guerra rgemonica, occorre che
la sua preparazione psicologica e morale, diplomatica e militare sia tale da reputarsi invincibile. Wickham Steed ha scritto mesi fa un libro intitolato I rischi della pace; le linee sono presso a poco !C stesse. Tale orientamento porta sir Norman n precisare quello che egli chiama (C A new experiment D, cioè: (t Fare dell'attuale combinazione anglo-francese il nucleo di una confederazione difensiva aperta a tutti i paesi che accetteranno i suoi principi e le sue obbligazioni ».Ecco i punti ch'egli ha formulato: « 1) un attacco contro uno è u? attacco a tutti: la nostra forza è messa in comune con quella degli altri stati aderenti per resistere a chiunque viene in guerra. ((2) Lo scopo della federazione non è quello di imporre il nostro punto di vista agli altri, ma che altri non impongano il loro punto di vista a noi; nè è quello di mantenere lo statu quo, ma che lo statu quo non sia cambiato a mezzo di guerre e come conseguenza di vittorie; nè quello 'di mantenere il diritto di chiudere i nostri imperi agli altri, ma quello di impedire che altri chiudano contro noi quei territori che sono o saranno aperti a tutti. « 3) Nelle questioni e nei dissensi noi siamo preparati o ad accettare l'arbitrato o un pacifico aggiustamento, o accettare dei pacifici cambiamenti a tale scopo promossi. 4) Perciò il gruppo della confederazione difensiva » dovrà creare e sviluppare organi adatti, per fissare i principi, per le investigazioni, le discussioni e i mezzi per operare gli eventuali cam6iamenti in modo pacifico. « 5) La protezione di tale regola di pace, basata sulla comune resistenza alla violenza, è aperta a tutti coloro che sono preparati ad accettare quanto sopra, quale essa sia la forma del proprio governo. Non sarà la politica interna, ma la condotta nella politica estera, che determinerà la idoneità di uno stato a farne parte D. Lo stesso autore si domanda: « È questa una nuova lega? (Lega in questo senso vuol dire società delle nazioni, che per l'inglese è la Lega per eccellenza). n No, egli risponde, ma la vecchia lega ricostmita pezzo per pezzo; il vecchio problema, affrontato in una maniera nuova e forse più realistica 1).
A riprova delia sua tesi, sir Norman ricorda l'atteggiamento preso dagli Stati Uniti quando, più di un secolo fa, la Santa Alleanza voleva tentare di ridurre le nuove repubbliche del centro e del sud America sotto il dominio spagnolo e portoghese. « Chiunque attaccherà una repubblica americana, attaccherà gli Stati Uniti n. E ripete l'affermazione, oramai corrente in Inghilterra, che se nel 1914 lord Grey avesse fatto sapere a Berlino che l'Inghilterra interveniva nel caso che la Francia fosse stata attaccata, la grande guerra non scoppiava. Di tutta la discussione (allo stato attuale) rimangono inesplorati due punti interessanti. I1 primo è, fino a qual punto l'opinione pubblica inglese è disposta a impegnarsi per un'azione collettiva, della quale si ignorano oggi i termini esatti e gli obiettivi concreti. Certo, l'opinione pubblica inglese ha fatto dei passi considerevoli sulla via della difesa collettiva della pace: ricordare il Peace Ballot, che non ostante la delusione della conquista dell'bbissinia, rimane come caposaldo nella coscienza delle masse. Senza il Peace Ballot non si sarebbe potuto avere l'adesione del laburismo al riarmo inglese così massiccio e così accelerato. Infine l'impegno aperto di difendere il Belgio e la Francia è oggi ammesso da tutti, cosa che non era affatto possibile solo tre o quattro anni fa. Progressi innegabili questi: ma di fronte a tali progressi ci sono posizioni insormontabili ancora per la psicologia inglese come per quella francese. Se l'Austria accedesse. a questa u confederazione difensiva », sarebbe disposta l'opinione pubblica inglese ad affrontare per essa una guerra, nel caso che Hitler ne manomettesse la indipendenza? Lo stesso dicasi per esempio della Lettonia od Estonia attaccate dalla Russia, o della Lituania minacciata dalla Polonia. Nel sistema europeo dei secoli XVIII e XIX, i piccoli stati gravitavano attorno ai grandi per affinità dinastiche e per posizioni storiche e politiche; essi erano, in via normale, tranquilli d i sè, perchè avevano sicura la difesa. Cadute le grandi monarchie e alterato l'equilibrio politico europeo, tutti i piccoli stati sono oggi afflitti da un'insicurezza che li rende incerti della loro politica. Occorre rifare il sistema di garanzie e di garanzie stabili.
La Società delle nazioni non dà oggi tali garanzie, dopo i fallimenti avvenuti; le alleanze dei vari stati centro-europei con la Francia si sono attenuate per la politica incerta dei vari gabinetti degli ultimi sette anni e per il famoso patto a quattro. L'Inghilterra si era immobilizzata a Locamo; anche questa una costruzione teorica, senza consistenza pratica, che è caduta al primo soffio. Peggio poi, i patti regionali, .che dovevano fermare i « Locarno » locali. Si può costruire una garanzia per i piccoli stati solo quando essa è incentrata in un grande stato forte o assicurata da una neutralità ammessa da tutti come per la Svizzera. (Purtroppo anche la Svizzera risente oggi della situazione alterata dalle correnti fasciste e naziste). Oggi le varie esperienze del dopoguerra dovrebbero condurre ad un orientamento più serio e decisivo. I piccoli e medi stati sono costretti a gravitare verso i grandi per un sistema di equilibrio; sia che la Società delle nazioni continui a esistere come oggi, sia che venga modificata. Agli interessi dinastici politici e storici di u n tempo, occorre sostituire gli interessi politici e morali di oggi. L'Europa o è un sistema o non è che un caos. La Francia e l'Inghilterra non possono limitarsi ai loro confini nazionali senza suicidarsi, in quanto grandi potenze. Se lo vogliono, lasciano all'Italia e alla Germania il compito di ricostituire l'Europa secondo i propri interessi e le proprie vedute. Altrimenti, dovranno assumersi, in una forma o in un'altra la difesa di quegli stati, piccoli e medi, che aderiscono alle iniziative internazionali siano franco-britanniche siano anglo-francesi. Sarà così l'Europa divisa in due campi avversi FranciaInghilterra e Germania-Italia? Forse sì e forse no. Oggi si tenta evitare la rottura, ma il dualismo esiste; a Ginevra e fuori di Ginevra vi sono due politiche. La lotta è possibile fra due politiche quando ciascuno crede l'altro meno forte; lotta che arriva alla guerra se l'uno pensa che possa vincerla. Ma quando la parte che non vuole la guerra è la più forte e dà' l'idea di essere la più forte, cioè è decisa a resistere all'aggressione, la guerra non arriverà mai. La confederazione difensiva di sir Norman Angell ha questo scopo: creare un blocco forte, aperto a tutti, sì da diven-
t a r e , c o l t e m p o , l a v e r a società
delle n a z i o n i , u n a n u o v a E u -
r o p a pacifica, in un s i s t e m a di d i r i t t o e di f o r z e , d a l q u a l e n e s s u n o p o s s a e v a d e r e s e n z a e s s e r e messo a l b a n d o m o r a l m e n t e , politicamente e militarmente.
P. S. - I1 naily Telegraph (che dal 1 ottobre si chiama Daily TelegraphMorning Post, a seguito di una fusione per cui il Morning Post viene soppresso) ha pubblicato nel suo numero del 30 settembre una lettera del prof. Gilbert Murray, che fa eco all'articolo di Norman Angell, dicendo che questi u non solo tenta una soluzione del problema delia sicurezza della Gran Bretagna, ma ne dà l'unica possibile soluzione B. Ciò detto, Gilbert Murray precisa che non si tratta di cercare u nuove basi » per la Società delle nazioni, ma di conservare le vecchie, sulle quali la Società delle nazioni è stata costmita. Due, secondo lui, sono l e principali. l o - Un più elevato Livello di moralità internazionale (non certo una morale da santo, ma almeno quella di un'onestà di tipo commerciale). 20 - La solidarietà fra gli stati, in modo che l'aggressione ad uno di essi sia un atto di guerra verso tutti. Aggiunge tre osservazioni che, egli ritiene, sono neila linea di Norman Angell : a) Non si può ammettere alla base della Società delle nazioni il principio dell'universalità. Se uno stato non vuole osservare i principi e i doveri della Lega, non può fame parte. b) Non si può trionfare della crisi attuale con la paura estrema della guerr a ; paura che impedisce agli stati interessati di prendere gli imp.egni n e cessari. C) Non è nece~sarioche i paesi, legati da un'alleanza solidale, siano molto più forti dell'aggressore ( o degli aggressori) presunti, perché lo scopo non è la conquista, ma impedire l'aggressione. Conclude dicendo che se l e democrazie non sono capaci d i agire in tal modo, e di mostrare al mondo qual'è la loro direttiva, e'è poco da sperare che esse continuino ad esistere. L'opinione di sir Gilbert Murray è condivisa da una larga parte dell'opinione inglese, ma ha contro di essa un'opposizione ben decisa: quella dei Die-Har& e dei gennanofili. i
(Nouveaur Cahiers, Paris, l novembre 1931). Arch. 13 A, 20.
UNA TREGUA AI BOMBARDAMENTI AEREI (*) Sir, Non è venuto i l momento di sollecitare la proposta che - mentre le commissioni internazionali sono in Spagna « per
stabilire il numero di ausiliari stranieri in servizio sui due campi » - le autorità spagnole delle due parti vengano richieste di sospendere tutti i bombardamenti aerei? Tale proposta risponde allo spirito della decisione del comitato di non-intervento, dal momento che la maggior parte degli aviatori combattenti sono ausiliari stranieri. Dato che essi devono essere ritirati entro breve tempo, è bene che non partecipino più alla distruzione di città e di villaggi, causando gravi danni alle popolazioni civili e provocando la morte di centinaia e centinaia di non combattenti, vecchi, donne e fanciulli. Ragioni politiche e umanitarie appoggiano tale proposta. Mi creda suo
LUIGISTURZO (The Times,London, 3 novembre 1937).
A TRUCE T 0 AERIAL BOMBARDMENT Sir, Has not tlie moment come to urge the proposal that, ~vhilethe International Commissions are in Spain « to estahlish the numbers of foreign auxiliaries serving on each side n, the Spanish aiithorities on both sides should Le asked to suspend al1 bombardment by air? This proposal corresponds to the spirit o£ the decision taken by the nonintervention committee inasmuch as most of rhe fighting airmen are foreign auriliaries. Seeing that thcy shortly to be withdrawn, is it not well that they should cease to take part in the deslmetion of cities and villages, to do p i e -
(*) Lettera al direttore del Tinies.
VOUB harm to the civilian population on both sidea, and to cauee &e death of hundreds of noncombatants including old people, women, and children? On politica1 and humanitarian grounds alike I think this proposal deserves consideration and mpport. Yours obediently Luigi Sturzo
L'ITALIA E I MANDATI COLONIALI (*) Sir, Ho letto con molto interesse il nobile discorso del visconte Samuel tenuto ieri alla camera dei lords: e credo che non vi sia alcuno che non approvi del suo atteggiamento la mancanza di ogni preoccupazione interessata e. la ricerca di una pace migliore di quella di Versailles. Un appunto mi permetto di fare alla frase del testo pubblicato dal Times: a He hoped that the French people would realize. that- a eettlement in which Great Britain, France and Germany were the principal parties was in these days the primary need oÂŁ the world D. Egli ha omesso l'Italia; e sarebbe un errore. Al di fuori dell'asse Roma-Berlino (assai recente) ( l ) ; al di fuori dei disturbi nel Mediterraneo, che datano dalla guerra italo-abissina (1935-36); al di fuori del patto a quattro (giĂ scaduto), l'Italia, con la sua partecipazione alla guerra e con la caduta dell'impero austro-ungarico, ha preso il posto di po-
(*) Lettera al direttore del Times. (1) I1 24 ottobre 1937 venne sottoscritta l'alleanza tra Mwolini e Hitlenota col nome di a Asse Roma.Berlino a. L'accordo mirava principalmente a stabilire una politica comune dei due governi circa i problemi europei. Cfr. E. WISKEMANN, L'Asse R o m B e r l i m , storia dei rapporti tra M u s i o h i e Hitler, Firenze, 1955.
tenza di primo grado; non può seriamente organizzarsi una pace stabile senza il suo concorso effettivo e responsabile. Nel caso specifico delle ex-colonie tedesche, che fecero oggetto del discoyo del visconte Samuel, è da rilevare che in forza dell'art. 119 del trattato di Versailles l'Italia è una delle potenze a cui favore la Germania rinunziò alle colonie. Ecco il testo: « La Germania rinuncia, in favore delle principali potenze alleate e associate, a tutti i suoi diritti e titoli sui suoi possedimenti d'oltre mare D. L'Italia fu sempre una delle principali potenze, e faceva parte del consiglio supremo delle potenze vincitrici. I1 fatto che l'Italia non ebbe alcun mandato coloniale non inficia il suo diritto derivante dall'art. 119. I mandati furono fiseati da un atto separato, connesso nella sua natura all'istituzione della Società delle nazioni e dipendente dall'art. 22 del Covenant. Nessuna potenza ha la libera disposizione delle colonie sotto mandato. Ma per la lettera e lo spirito dei trattati di pace hanno diritti diversi e combinati tanto i popoli nativi quanto la Società delle nazioni e con essa collettivamente le principali potenze alleate e associate. LUIGI STURZO J,ondra, 18 novembre 1937.
( T h Times, London, 20 novembre 1937). Arch. Cart. Art. Autog. 1929-34.
LA PORTA APERTA La frase riassuntiva delle conversazioni di Halifax in Germania ( l ) è che oramai la porta è aperta per ulteriori passi.
( l ) Nel novembre 1937 il ministro degli esteri britannico Edward Halifax fece un viaggio in Germania ove incontrò Hitler. Non si ebbero, però, risnltati politici di rilievo ad eccezione di una distensione nei rapporti fra la Germania e la Francia.
Noi credevamo che la porta fosse aperta ancl~cprima del viaggio di Halifax, ma il fatto di avere marcato oggi questo risultato ci fa comprendere che forse la porta non era aperta; non sappiamo se ciò fosse dal lato di Londra o dal lato di Berlino. Trattandosi di un affare così vitale per la nostra civilizzazione, quale quello della pace, non vogliamo criticare nessuno sforzo che si fa a questo scopo, ~ u r c h èfatto in buona fede (come è certo il viaggio di Halifax): anche quando a noi sembra inutile. Ma se, invece, fosse dannoso? Ecco il dubbio che ci assale, e che ci sembra interessante mettere in luce, nella speranza che altri ci disinganni e ci mostri che noi siamo proprio in errore. Tutte le volte che abbiamo avanzato qualche riserva sulla buona fede dei dittatori, c'è stato qualcuno che ci ha scritto lettera o biglietto, per dimostrarci il nostro errore, o per deplorare la nostra creduta insinuazione. Ma non si tratta di valutare le condizioni oggettive dei rapporti fra gli stati. che impongono certe precauzioni nel trattare con i dittatori. I giornali del Reich, che sono tutti controllati dal governo e che non esprimono altro che una volontà unica, quella del dittatore e del suo entourage, non hanno più volte scritto che i patti si osservano se giovano, e si violano se cessano di giovare? Questa tesi, assai cinica, fu svolta proprio nei giorni che veniva pubblicata l'enciclica Mit brennender Sorge sulle violazioni del concordato in Germania. Del resto non è tesi nuova, è vecchia quanto la frase del pezzo di carta di Bethmann Hollweg, a proposito della violazione della neutralità del Belgio. Non neghiamo che si debbano avere contatti con la Germania e anche stipulare dei patti, ma con la precauzione che i contatti potranno tornare a male e i patti potranno non .essere osserva ti. Neanche questa posizione è nuova; storicamente si ripete tutte le volte che a capo di uno stato vi è un potere illimitato e personale, che misconosce gli obblighi assunti da sè o dai suoi predecessori; ovvero vi è la rottura del sistema internazionale vigente. Ciò avvenne, in Europa, per la rivoluzìone
francese e le guerre napoleoniche, ciò avviene anche oggi, dopo la grande guerra. Si credeva che i trattati di pace, la Società delle nazioni, Locarno, il patto Kellogg avessero gettato le basi del nuovo edificio internazionale. Oggi tutto è rimesso in discussione o va crollando. Coloro che hanno l'interesse di distruggerlo hanno costruito un nuovo edificio, i l triangolo Roma-Berlino-Tokio (l), con idee opposte, con carattere militare, con programma di forza, di rivincita, dì conquista. Le potenze occidentali a regime democratico si rifiutano ad un duello a base di pseudo-ideologie e di prevalenza militare, perchè si rifiutano a riportare il mondo in una guerra generale del triangolo dei dittatori, il loro metodo di forza (all'interno e all'esterno), le loro ideologie, e l e loro guerre: ieri in Manciuria e in Abissinia, oggi nella Cina. Ogni iniziativa è nelle mani delle potenze del triangolo; ed è sul piano offensivo: contro la Società delle nazioni, contro l'attuale ordine internazionale, contro gli interessi della Gran Bretagna e della Francia, contro gli stati piccoli e medi loro alleati. Due metodi si presentano alIe potenze che appelliamo pacifiche » di fronte a quelle che appelliamo bellicose D. Quello analitico: risolvere i problemi uno per uno, isolatamente presi, con la espressa volontà di evitare ogni motivo di allargare i l conflitto; ovvero quello complessivo; affrontare il problema dell'ordine internazionale nel suo insieme. La scelta fra i due metodi è comandata da diversi motivi di fatto, sì che non riesce possibile seguire uno o l'altro a volontà. Invero, per scegliere il secondo e affrontare tutto l'insieme dei problemi internazionali ci vuole (fra l'altro) una fidu-
( l ) Dopo la firma dell'Asse Roma-Berlino, i rapporti tra Italia e Germania si fecero più stretti. Nel settembre 1937 Mussolini venne ricevuto con grandi onori a Berlino. Questa visita ebbe come seguito l'adesione, i l 6 settembre 1937, dell'Italia al patto anticomintem firmato nel 1936 tra Germania e Giappoiie. L'Asse Roma-Berlino si trasformava, quindi, in triangolo Roma-Berlino-Tokyo.
cia reciproca sì che la ricerca del nuovo ordine faccia convergere i piani e le volontà di tutti gli interessati. A parte che ci sono problemi di già maturi; e altri non ancora maturi, e che ogni discussione d'insieme porterebbe a contrasti insanabili, si può dire oggi che vi sia fra le parti una fiducia reciproca la possibilità di trovare un piano di convergenza? I1 sistema internazionale attuale sulla base della Società delle nazioni è attaccato ferocemente da un lato, e difeso debolmente dall'altro; si vorrebbe dare come olocausto non la Società delle nazioni in sè, ma.la sua struttura, cioè il legame con il trattato di Versailles, l'articolo 16 del Convenant con le sanzioni economiche e militari, la eguaglianza teorica fra gli stati, il sistema del mandato coloniale. Che cosa resterà in piedi? Ritorneranno alle posizioni di anteguerra, dell'equilibrio fra l e potenze; il riarmo senza altri limiti che le possibilità economiche; le zone d'influenza, la gravitazione dei piccoli stati sui grandi? Ma per arrivare a ciò mancano alcuni elementi di stabilità come le monarchie degli imperi centrali, una Russia governata dagli zar e così via. La storia non si ripete. L'avvenire, come oggi ci si presenta, è assai fosco; la porta aperta da Halifax non ci porta altro che nebbia, e non ci fa vedere la realtà. Non si tratta di mettere in dubbio la buona fede d i Hitler, si tratta di constatare in quale cerchio obbligato si volge la politica di Hitler, sì che tutto quel ch'egli possa promettere di fare fuori d i questo cerchio, non riesca (volente o nolente) una promessa vana, che i fatti smentiranno. Francia e Gran Bretagna non potranno fare a meno di riconoscere che esiste il triangolo fuori del sistema internazionale attuale. Riportarlo, come tale, dentro il nostro sistema, sarebbe un tentativo vano; owero sarebbe la fine del sistema, quello fondato sulla Società delle nazioni. Questa è la scelta tragica del momento. Faute de mieux, si finirà per riprendere i problemi attuali uno a d uno e trattarli nella loro individuale portata; si prolungherà l'attuale incertezza, si correranno dei rischi, si avran-
no dei ricatti. Solo con una politica saggia, ferma e decisa si potrà superare questo periodo equivoco e pericoloso. Quel che si teme si è che i dittatori, frustrati nei loro desideri di fare in fretta e di ottenere i maggiori vantaggi, si buttino alla ventura in una guerra generale. La Gran B r e t a p a e l a Francia, con l'America e con l e altre nazioni pacifiche, potranno evitare la terribile avventura, solo che si mostrino decisì a non subire alcun ricatto e a non cedere ad alcuna intimidazione; e nello stesso tempo a mantenersi calmi e sereni e preparati a tutto. I1 tempo lavora per l'ordine, non per il disordine. (Popolo e libertà, Bellinzona, 30 novembre 1937). Arch. 11 A. 19.
VIAGGIATORI IN SPAGNA Un altro dei viaggiatori i n Spagna che h a fatto rumore è stato il maggiore Attlee (l), capo dell'opposizione d i S. Maestà Britannica alla camera dei comuni. Secondo certi reportages di giornali sembra che egli a Madrid abbia detto su per giù: a Resistete fino alle prossime elezioni inglesi (che saranno vinte certamente dal partito laburista); allora avrete tntto l'appoggio del nuovo governo n. I n Sicilia si risponderebbe a simile boutade: « Campa cavallo, che l'erba cresce! (cioè se i l cavallo arriverà con tutti gli stenti a primavera, allora vi sarà l'erba per sfamarsi; ma adesso c'è il pericolo di morire. dì fame). Non è per criticare i l maggiore Attlee nè per insegnargli quel che potrebbe fare ora il partito laburista per la Spagna (senza aspettare la sua ipotetica vittoria del 1939 o 1940), che
( l ) Clement Attlee (1883-1967) era il leader del partito l a b ~ s t a .Fu primo ministro nell'immediato secondo dopoguerra, dal 1945 al 1951.
scriviamo queste righe; ma per mettere in evidenza l'enorme errore di quei capi di partiti politici, di quegli uomini di cultura ed ecclesiastici, dei paesi europei e americani, che si sono messi di qua o di l à a parteggiare per Madrid e Barcellona o per Salamanca e Burgos, creando l'atmosfera di parte a l di là delle frontiere spagnole, e rendendo sempre più difficile l'idea di una pace. Ultimamente la Left Review di Londra ha promosso un referendum fra gli scrittori inglesi più conosciuti, domandando loro: « Siete voi pro o contro il governo legale di Spagna e il popolo repubblicano? Siete voi, pro o contro Franco e il fascismo? ».La domanda era redatta in forma tendenziosa: ciò non ostante finora 125 scrittori si sono dichiarati per la repubblica, fra i quali i più noti Aldous Huxley (l), Rosamond Lehman, Rose Macauley; e contro il più significativo Bernard Shaw. Se il cattolico The Univers facesse simile inchiesta, con una domanda formulata secondo le proprie convinzioni, forse troverebbe altri 125 scrittori pro Franco (fra i quali il più celebre Hilaire Belloc) (3 e più di cinque contro, compreso qualche ecclesiastico. La guerra di Spagna mi fa l'impressione di un immenso circo, dove si gioca una corrida sanguinosa e spasmodica; tutti i paesi civili (civili per modo di dire) formano un anfiteatro quanto metà del mondo, ad' applaudire, a strepitare, a incitare, a parteggiare, senza che si senta più nè orrore, nè disgusto del sangue fumante che sale agli occhi e alla testa. Ci fu una volta u n frate, u n santo, che scese nell'arena dei gladiatori a impedire che proseguisse la frenetica lotta a morte, dove spesso il vincitore applaudito dalle folle, cadeva esangue vicino a l vinto già colpito a morte? Mi pare d i averne letto di simili scene, in belle storie di santi o visto in qualche pittura, o forse in sogno. Oggi l'umanità pacifica, idilliaca, georgica si vede in soAldoua Leonard Hudey (n. 1894), narratore, saggista e filosofo inglese. Hilaire Belloc (1870-1935), noto storico, romanziere, saggista, cattolico, inglese di origine francese. Tra le sue opere più significative Lo strada di Roma e Rrere storia dell'lnghilterro. (l)
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gno, o si sogna quando si sente la Sesta di Beethoven. Ma l'umanità vivente è divenuta e va ancor più divenendo una belva incosciente, un gregge votato alla disperazione e alla morte. Spagnoli di qua e di l à dicono che la guerra civile dura e durerà ancora molto. Previsioni: due, tre, cinque anni. È vero che Franco si prepara alla grande offensiva, che per lui sarà Espagna » del 5 dicembre, sono decisiva. Secondo l'agenzia stati sbarcati a Cadice circa mille cannoni. L'aiuto degli alleati di Franco non manca, ed è considerevole; meno importante e meno facile è l'aiuto della Russia e quello clandestino attribuito alla Francia a favore del governo. Questo è sicuro di potere resistere ancora a lungo. I1 maggiore Attlee ha dichiarato: È indisciitibile clie il governo spagnolo vincerà la guerra ... ». È difficile dire su quali basi possono emettersi affermazioni così recise; ma è certo che i repubblicani resistono al di là di ogni umana previsione. Madrid doveva cadere nel novembre 1936, e da un anno e più resiste. Oggi nessuno più pensa che Madrid potrà cadere. E se cadrà, sarà contro ogni aspettativa, e sarà un'ecatombe inaudita. Timidamente si avanza l'idea di una tregua per Natale. I1 comitato francese per la pace civile e religiosa in Spagna, se n'é fatto promotore. Esso proporrà anche l a ' sospensione dei bombardamenti aerei nel periodo che le commissioni internazionali andranno sul posto per l'accertamento dei volontari. Ma lo scopo a cui si tende è quello di arrivare ad un armistizio. Leggiamo con piacere che il Bureau international de la paix ha emesso un voto che vale la pena di riprodurre: « Le conseil du Bureau international de la paix, réuni en session a Paris, souligne I'importance de cette tendance à l'apaisement et de cette initiative dans le sens de la médiation. Invite l'opinion publique, dans I'intéret de l'Espagne, à favoriser cette tendance et cette initiative et à préparer la conclusion d'un armistice entre les partis hostiles, ainsi que le retrait des forces étrangères intervenues dans la guerre civile. Se prononce, dans cet esprit, en faveur de la treve de NoZl.
Et. en meme temps qu'il réprouve toute ingérence étrangère dans la direction dea affaires intérieures de l'Espagne, rappelle au peuple espagnol que la condition d'un apaisement durable consiste dans l'accomplissement d'une libre consultation populaire, organisée, si besoin est, avec le concours et sous l e contr6le de la Société des nations ou de puissances neutres agrées p a r les parties N. Quanti sono di questo parere? Quanti nei paesi civili tesseranno di essere di qua o di 1,à, nonostante le loro preferenze e simpatie, e cesseranno d'incoraggiare la prosecuzione della guerra civile? Coloro che non fanno che rappresentarsi gli orrori delle folle esasperate o quelli dei generali vincitori, hanno un torto: non voler comprendere che né tutto il male è di là né tutto il bene è di qua, Hanno ancora un altro torto: quello di dimenticare che vi è un sacrificato su tutti, colui che non può che subire tutti i mali di oggi e d i domani, i l popolo spagnolo. Sangue versato, denaro sperperato, città devastate, miserie, fami, malattie, odii, rancori, vendette ora basta! Se la Spagna non è preparata ancora a cessare la guerra, spetta a noi di cominciare a gridare l a pace. Non come i facili viaggiatori che vanno sui due fronti a dichiarare che la parte che visitano è sicura di vincere e incoraggiarla a continuare; non come tutti i terribili idealisti che vogliono assolutamente la vittoria della repubblica in nome del socialismo, comunismo o democrazia, secondo i gusti; ovvero la vittoria di Franco, in nome del fascismo, del nazionalismo o della religione cattolica. Non si può distruggere una metà della Spagna per dare la vittoria all'altra metà. E quale vittoria? Quella della tirannia: sia di destra, sia d i sinistra: perché la vittoria, nelle attuali circostanze, con lo schiacciamento di una parte, sarà sempre una tirannia. P e r l a Spagna, per il suo avvenire civile morale sociale e religioso domandiamo non la vittoria di una parte, ma l a pace di conciliazione tra i fratelli.
...
Londra, Awento 1937. (L'Aube, Peris, 19 e 20 dicembre 1937).
Arch. 10 A, 16.
LE SPESE MILITARI MONDIALI Tutti sanno che siamo i n periodo folle, nel quale le spese militari vanno sempre più aumentando, nonostante le crisi economiche e le miserie diffuse sia presso i paesi vinti, sia anche presso i vincitori della grande guerra, che doveva essere l'ultima. Ma non tutti ne sanno le cifre, né, pur sapendole, possono valutare le ripercussioni nella situazione generale. L'annuario militare, che la sezione N disarmo n della Società delle nazioni pubblica ogni anno, ci permette di seguire questa corsa vertiginosa. Nel 1932, anno in cui si apriva la sfortunata conferenza del disarmo, le spese militari mondiali, calcolate in dollari-oro ( d i prima della svalutazione) erano d i circa 4 miliardi e 300 milioni. Nel 1937 sono salite a 7 miliardi e 100 milioni. ( I n dollari attuali sarebbero 12 miliardi, in lire sterline 2 miliardi e 400 milioni, in franchi francesi 360 miliardi un miliardo al giorno). Sono queste l e cifre reali? C'è da dubitarne; queste sono le cifre iscritte nei bilanci dell'esercito, marina, aviazione di 64 stati come spese militari in tempo di pace. Non vi sono calcolate tutte le spese messe a carico di altri bilanci, tutte le cifre nascoste nelle pieghe dei bilanci, quelle per costruzioni di strade strategiche, quelle di educacazione e preparazione militare della gioventù e così via. Né vi sono le spese delle guerre in corso, quali le guerre cino-giapponesi, quelle sud-americane, l'italo-etiopica e la spagnola. L'Europa da sola spende il 65 per cento (circa) della intera cifra di 7 miliardi e 100 milioni di dollari-oro; e dal 1932 al 1937 essa ha aumentato le spese de11'80 per cento. Il riarmo della Germania fa traboccare l a bilancia. Ma era possibile, era giusta la pretesa dei paesi vincitori di obbligare la Germania a restare disarmata, mentre essi continuavano a tenersi armati fino ai denti? La mancanza di un'intesa per la conferenza del disarmo, i1 rinvio fino al 1932 e poi tutte le tergiversazioni tecniche e politiche, per non adempiere all'impegno assunto con l'art. 8 del
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patto della Società delle nazioni, furono u n tradimento all'umanità, e u n danno anche per i paesi vincitori. Non si è avuto nella storia un rovescio politico simile a quello che oggi costatiamo nei rapporti fra la Germania e la Francia. Questa vittoriosa, divenne subito i l paese egemonico del continente, tenne ai suoi piedi la Germania, si affiancò agli alleati, rafforzò le sue posizioni militari ..., pareva dover dire: hic manebimus optime. Oggi ha di fronte il tedesco, l'antico avversario che ha rigettato il trattato di Versailles, ha rioccupato l a zona demilitarizzata del Reno, ha rifatto il suo esercito, ha fortificato le sue frontiere e si prepara alla rivincita; dopo aver trovato amici, protezioni, favori anche presso i nemici di ieri, sì che ha ripreso i l suo posto egemonico che nessuno oggi gli può contendere. La politica del disarmo c'entra per qualche cosa. La Francia, per paura della revanche, rifiutò sempre di ridurre i suoi armamenti e di consentire alla Germania u n aumento di forze militari e. la modifica delle clausole militari del trattato di Versailles. Ed ecco che gli avvenimenti han sorpassato quegli stessi limiti dei quali allora si contentava i l governo del Reich e che, senza l'opposizione della Francia, le altre potenze avrebbero finito con l'accordare. La Francia dava per motivo legittimo la sicurezza collettiva, ed essa aveva ragione di garantirsela; ma i mezzi impiegati, dall'occupazione della Ruhr fino alla conferenza del disarmo, non le conciliarono l'adesione né del131nghilterra né degli Stati Uniti, né dell'Italia, e invece le destarono il risentimento della Germania, che portò all'avventura di Hitler. Quest'avventura era stata prevista e scontata; ma in Francia nessuno credeva o prevedeva che si sarebbe arrivati al rovescio della medaglia. I pochi che manifestavano dei timori (come gli italiani, che avevano l'esperienza della crisi) non erano ascoltati né di qua, né di l à dal Reno. Ricordo che nel gennaio 1931 il buon amico Francesco Ferrari in una riunione internazionale ebbe a prospettare e quasi a profetizzare quel che sarebbe avvenuto. Allora u n tedesco suo amico (che poi assaggiò il carcere hitleriano) gli disse: u Caro Ferrari, noi non siamo italiani n ; e un francese gli rispose:
Anche se Hitler arrivasse al potere, la situazione europea non cambierà per questo 1). Francesco Ferrari non vide realizzate le sue parole che per metà; egli morì poco dopo l'arrivo di Hitler al potere, mentre il Reichstag veniva incendiato, come a canceliarne tutto il passato storico ( l ) . Oggi l e guerre accese alle estremità dell'est e dell'ovest ci danno un primo saggio di quel che sarebbe una nuova guerra generale. La mobilitazione del mondo sarebbe totale, la corsa alla distruzione, pari alla voluttà di distruggere; perché non ci sarebbero più limiti allo sforzo di vincere o annichilirsi. Non limiti morali, non limiti materiali. Non le chiese, non le popolazioni hanno voce oggi negli stati titanici detti totalitari, che elevano la guerra ad un valore finalistico. Le democrazie hanno tradito il loro stesso carattere, per un nazionalismo esasperato ovvero per un socialismo economico e di classe, che (l'uno e l'altro) hanno accentuato le divisioni interne e orientato verso le dittature di destra (fascismo) e di sinistra (bolscevismo). Oggi si parla della guerra futura come dì una necessità, di una fatalità. Un paese pacifico, come l'Inghilterra, è costretto a ricorrere ad un riarmo massiccio e affrettato. Anche 1'America si muove sulla via del riarmo. Anche i piccoli paesi, anche i neutri come la Svizzera sono costretti ad avere un esercito. Perché il mondo è divenuto così pazzo? Così incosciente? E corre verso l'abisso? Una colpa tira l'altra. Si lasciò libero il Giappone una prima volta ( e si poteva impedire); oggi si subisce una guerra di più larghe proporzioni, senza poterla impedire. Si lasciò libera l'Italia in Abissinia ( e si poteva impedire meglio che con i discorsi di Ginevra e le pseudo-sanzioni); oggi (C
( l ) Sul popolare Francesco Luigi Ferrari esule in Belgio, si veda i1 necrologio scritto d a Sturzo in occasione della morte su Res Publica, febbraio-mano 1933, ora in Miscellanea londinese, I , pp. 170-178. Sull'episodio ricordato da Sturzo cfr. anche C . SFORZA, L'Italia dal 1914 al 1944 quale io la vidi, Milano 1943, p. 159. Una biografia di Ferrari in M . G. ROSSI, F. L. Ferrari dulle leghe bianche al partito popolare, Roma 1965.
si ha l'intervento italiano in Spagna (insieme alla Germania), e non si riesce a farle tornare indietro. Si svalutò la So'cietà delle nazioni, e oggi si ha il triangolo Berlino-Tokio-Roma. Sarebbe possibile, riprendere le trattative per una limitazione di armamenti? Per un sistema internazionale di pace? Per un'intesa fra i popoli? Quel che sembra impossibile diviene reale se si ha fede nei valori morali e nella bontà della causa che ci muove. I popoli vogliono la pace, hanno bisogno di pace, domandano ai loro capi la pace. Ma la pace non si potrà mai combinare con la corsa agli armamenti. Occorre avere il coraggio di fare una prima sosta, di fermare questo enorme aumento d i spese militari. Non solo per l'effetto dell'impoverimento delle nazioni, delle pretese autarchie economiche, delle tariffe protettive, e d i tutte le altre cause di crisi che vengono aggravate da tali spese; ma anche per l'effetto psicologico inevitabile che porta alla guerr a d i suicidio quando non si trova più la via di uscita al fallimento morale ed economico. Ecco perché Dio nel suo venire al mondo come uomo, h a fatto portare dagli angeli la pace agli uomini di buona volontà. Non agli altri, non a quelli di cattiva volontà. (Popolo e libertà, Bellinzona, 27 dicembre 1937). Arch. 12 A, 7.
I BOMBARDATORI DI SPAGNA Quando fu affermato che Guernica era stata bombardata da aerei tedeschi, ausiliari dell'esercito di Franco, fu una campagna di smentite sdegnose e di vituperi per coloro che avevano avanzato un'accusa così indegna, che macchiava l'onore, la dignità e la morale del Caudillo. I testimoni non valevano o si svalutavano ; il corrispondente del Times,colui che lanciò l'accusa con testimonianze di prima
mano, fu, da certa stampa, squalificato. Sul canonico Onaindia, anch'egli testimonio autorevole, si volle gettar l'ombra di u n conflitto ecclesiastico con il capitolo di Valladolid, che di fatto non esisteva essendo egli in regola con le leggi canoniche (l). E così via, con un'acredine e un partito preso da far meraviglia. Ora i « pro-franchisti » sono muti di fronte al giornaliero massacro di gente inerme, di donne e bambini di Barcellona o di Valenza, fatto con un piano premeditato e distruttivo di quelle città. Quel che per Guernica era un'accusa atroce, indegna dei « cattolici e nazionali » che combattono per la Spagna « nazionale e cattolica D ; è forse un'azione morale, un atto di diritto di guerra, un procedere degno e onorevole, sol perché si tratta di Barcellona o di Valenza? I governativi han bombardato Salamanca, è vero. Una volta sola, per rappresaglia, per dimostrare che anch'essi possono ricorrere a tale metodo barbaro. I1 governo repubblicano ne fece un chiaro comunicato. Ora, per bocca del ministro della difesa, senor Prieto (=), il governo repubblicano si dichiara pronto a cessare ogni bombardamento sulle città e sulle popolazioni non combattenti, se dall'altro lato si prende lo stesso impegno. Noi speriamo che Franco risponda subito affermativamente, nonostante che finora la superiorità enorme di tale metodo terroriatico sia proprio dalla sua parte. Ma se per caso, quelli di Salamanca e di Burgos, e i loro consiglieri, fascisti e nazisti, esitano a prendere un tale impegno; noi facciamo appello a quanti in Europa e in America hanno sostenuto il generale Franco, e gli han dato aiuti morali e soccorsi materiali, e li preghiamo di rivolgere la loro parola per persuaderlo ad accettare l'offerta. Un coro di sollecitazioni che va da Londra a Parigi, da Bm-
(l)
Cfr. l'articolo n. 15, Sul canonim Onaindia, pp. 53.
Indalecio Pneto, ministro della difesa nazionale nel governo repubblicano. Militante del partito socialista era considerato tra gli esponenti più moderati del gabinetto repubblicano. (2)
xelles a Amsterdam a New York, da Berna a Buenoe Aires, da Vienna e Praga a Oslo e Stoccolma, sarà per Franco un ammonimento. Se egli è un cristiano e uomo d'onore dovrà sentire i l rimorso di tanti omicidi, che nessuna legge di guerra riconosce come necessari e morali. Forse a questa proposta i neo-franchisti d'Europa e d'America non presteranno attenzione: proprio perché i bombardamenti non sono né su Parigi né su Londra, né su Bruxelles, né su Roma, né su New York o Buenos Aires. Ma potrà venire il momento, quando costoro si accorgeranno che i bombardatori di Spagna sono là per volare sui cieli di Francia o d'Inghilterra e anche sui neutri, e gettare dall'alto tonnellate di bombe incendiarie e involgere di fuoco le case, le scuole, e gli orfanotrofi e i ricoveri per i vecchi, le chiese e gli uffici. Allora ricorderanno quel ch'essi non fecero per i loro fratelli e grideranno al cielo e agli uomini che cessi il tormento, lo stesso di quello che essi non impedirono a danno degli altri, questi altri non erano per loro fratelli ... erano soltanto « i rossi »!
...
.. ...
(Popolo e libertà, Bellinzona, 5 febbraio 1938).
32. DISCORSI DI PACE
E
PREPARATIVI DI
GUERRA
Se la pace è la tranquillità nell'ordine oggi non possiamo dire di aver la pace: mancano sia l'ordine, sia la tranquillità. Si credette avere trovato un ordine internazionale con i trattati di pace e con l'organizzazione della Società delle nazioni; ne1 fatto, u n vero ordine degno del nome non fu trovato. L'ordine stabilito doveva essere assicurato con il consenso di tutti gli stati sotto l'insegna della sicurezza collettiva, ma tale sicurezza non fu mai raggiunta. Gli stati totalitari più importanti, Germania prima, Italia dopo, si sono distaccati da Ginevra; i piccoli stati dividono le simpatie e l e paure fra Berlino e Roma da u n lato, Parigi e Londra dall'altro. La Russia stalinista pesa come un'ombra gigantesca su tutto il mondo.
La « centesima » sessione del consiglio della Società delle nazioni, nonostante i discorsi, ha segnato il momento più critico dell'istituzione, che doveva assicurare la pace nel mondo e regolare i conflitti fra gli stati senza più ricorso alla guerra. Intanto si combatte i n Spagna, dove la guerra civile è divenuta un saggio di guerra internazionale. I1 Giappone ha invaso la Cina (l). Per lo studio della storia è facile vedere le guerre i n serie; un legame logico l e unisce, l e une con le altre. La società dei popoli è sempre in equilibrio transitorio, formatosi attorno ad alcuni centri dominatori che attirano i centri secondari per affinità, cointeresse, vincoli tradizionali. Basta una prima falla che altera tali delicati equilibri, e la serie di guerre s'inizia, da un piano limitato al piano generale. L'ultima serie può esser e stabilita così: guerra italo-turca per la Libia (1911); prima guerra balcanica (1912); seconda guerra balcanica (1913); guerra austro-serba (1914); grande guerra (1914-18). Un nuovo ciclo di guerre è stato aperto in Europa con la guerra italo-abissina. I risentimenti sono stati gravi da parte dell'Italia, che guadagnando la partita al di là delle sue speranze, si è trovata con molti problemi da risolvere, il più immediato e grave quello delle comunicazioni con il nuovo impero, che l'Inghilterra e la Francia, o le due insieme, ad un momento dato, potrebbero turbare e persino interrompere. Così il problema del Mediterraneo è venuto in primo piano; la Spagna, per un secolo inerte nel suo angolo estremo di Europa, neutra durante la grande guerra, è ridivenuta così un importante valore dell'equilibrio europeo. La guerra mossa dal Giappone alla Cina ha una connessione occasionale con quella della Spagna. Inghilterra e Francia sono talmente obbligate a guardare il Mediterraneo, da non poter
(1) Dopo la firma del patto anticomintern i l Giappone aveva ripreso le ostilità contro l a Cina (1937). Alla fine del 1937 Pechino e Sciangai erano in mani giapponesi. Nel 1938 i giapponesi occuparono Canton e Tonkow. La guerra condotta dal Giappone contro la Cina provocò vivaci proteste da parte del governo sovietico, che temeva di essere coinvolto in ostilità in Estremo Oriente.
distrarre le forze navali per difendere i loro interessi in Cina né prendere una netta posizione contro il Giappone. I1 triangolo Berlino-Tokio-Roma si è perfezionato in questa occasione; il tema è l'anti bolscevismo, ma la sostanza è quella di tenere immobilizzati Londra e Parigi. Intanto la corsa agli armamenti è ogni giorno più rapida. L'annuario militare, che la sezione u disarmo della Società delle nazioni pubblica ogni anno. ci fa sapere che dal 1932 (anno in cui si apriva la conferenza del disarmo) le spese militari mondiali da circa 4 miliardi e 300 milioni di dollari-oro, sono saliti, nel 1937, a 7 miliardi e 100 milioni (sempre di dollarioro). Queste le spese di tempo di pace, segnate nei bilanci militari, senza contare le spese nascoste negli altri bilanci sotto titoli diversi, né quelle delle guerre in Etiopia, in Spagna, in Cina. Per quanto occorre mantenere la calma e guardare i problemi politici con serenità e obiettività, non può disconoscersi che oggi in Europa vi è un'inquietudine e una preoccupazione sempre crescenti. E come Francia e Inghilterra sembrano ~aralizeate e incerte, così Germania e Italia danno l'impressione di volere precipitare gli eventi. I n questo stato d'animo, l'articolo del direttore dell'osservatore Romano del 22 gennaio (giorno anniversario della morte di Benedetto XV, il papa della pace) è stato come un richiamo alla realtà e alla responsabilità, e come un'affermazione di morale cristiana: a La guerra non è fatale; la guerra non è umana n. La guerra è sempre volontaria dal lato dell'aggressore; è sempre consentita (almeno nelle cause e nelle responsabilità) dal lato dell'aggredito. Per questa ragione, la guerra non è fatale. Però una volta che la guerra amva, porta con sé Ie cause di nuove e più generali guerre. Ma gli uomini, volendo, possono arrestare la guerra; possono rompere la serie di guerre, Sì, volendo. Due forze ci h a dato Dio perché ne usiamo a bene; la forza materiale e quella morale. E' celebre la frase di Pascal: Le juste doit ;tre fort et le fort doit 2tre juste n ; tale frase può essere presa come l'ideale di pace in un sistema collettivo. Ma quando le due forze, la materiale e la morale sono divise e op-
poste, occorre schierarsi dal lato della forza morale anche contro quella materiale. A lungo andare, per le vie provvidenziali che noi non conosciamo, la morale arriverà a trionfare anche della forza materiale. L'appello che oggi si fa contro la guerra, può sembrare un vaniloquio, mentre tutto congiura a portarci alla guerra, mentre la sentiamo battere alle nostre porte, e vediamo che i preparativi sono tali da farci dubitare che presto saremo preda delle fiamme. Ma è questo il momento di denunziare tutte le false teorie della guerra, di levare. una voce chiara, in nome del cristianesimo, ch'è religione di amore, contro tutti gli odi di razze, di popoli, di classi, di fare appello ai fratelli di tutto il mondo, perché premano sui governi e sull'opinione pubblica affinché pacificamente vengano risolti i vari problemi sorti dopo la guerra e riacutizzati dalle nuove guerre. Bisogna esser convinti che la guerra non risolve alcun problema concreto, aggrava tutte le situazioni e crea nuovi e più gravi problemi internazionali. Chi ha guadagnato nella grande guerra? Si credeva che avessero vinto gli stati dell'Intesa; eccoli già sotto la minaccia di altra guerra, rovinati economicamente, divisi politicamente, sconvolti moralmente. Tl vinto d i ieri si leva, come il gigante che ha toccato la terra, per esigere la contropartita. I1 direttore dell'Osservatore Romano (l) ha chiamato la guerra la grande utopia; perché alla guerra si affidano le soluzioni che la guerra non può mai dare. Ma essa è anche il gran delitto contro l'umanità, specialmente oggi che i mezzi di distruzione sono divenuti scientifici, si sono moltiplicati senza limiti, ed hanno invaso tutti i campi. Oggi che la guerra non è più una mischia di eserciti, secondo le regole di un codice speciale, come una partita di scacchi; ma la mobilitazione di intiere popolazioni, senza distinzioni fra militari e civili, fra combattenti e non combattenti, tutti precipitati nella fornace di fiamme accese dall'odio, dalla superbia e della stupidità umana.
(l)
Torre.
Direttore dell'u Osservatore Romano B era il conte Giuseppe Dalla
Di fronte ai pericoli che minacciano l'umanità, più che cercare nelle pieghe dell'etica della guerra, le ragioni che militano caso per caso a giustificarla - di fronte alla coscienza cristiana - come necessaria anche se preventiva; come unica risorsa di difesa, anche se rivoltosa; come mossa da ideali religiosi, anche se combattuta con eretici e con pagani; bisogna far fronte alla marea che monta, e avere il coraggio delle proprie convinzioni. Tutti dicono d i volere la pace ; tutti proclamano il bene della pace; ma quanti lavorano veramente per essa? La pace fra i popoli non pu3 venire che da una concezione etica internazionale, quale quella proclamata da Benedetto XV nella sua esortazione ai capi degli stati belligeranti dal lo agoto 1917: « Tout d'abord le point fondamenta1 doit ;tre qu'à la force materielle des armes soit substituée la force morale du droit D. Non può venire che da un'organizzazione internazionale permanente basata sulla morale e sul diritto. Ma più che altro si deve fondare la pace sulle anime dei cristiani, ai quali incombe oggi il dovere di portare nel campo internazionale tutto il soffio della carità di Cristo, tutto lo slancio rigeneratore delle grandi crociate di bene, quali quelle spirituali francescane del medioevo insanguinato di lotte e oggi (nel campo etico-sociale) quella della gioventù jociste. Per ciò occorre cominciare con la preghiera. L'appello de 1'Aetion des Jeunes catholiques pour la paix (la 1C.J.V.A.) che ha sede a Hilversum in Olanda e ad Anvenia nel Belgio, per una settimana di preghiere per la pace, lanciata nel novembre scorso, ha avuto un'eco limitata e intima, ma ha destato tante simpatie e tante speranze. Pregare il Padre che ci dia la pace, ci liberi dalla guerra, ci faccia rivivere nell'amore fraterno, ci faccia sentire questo amore. attraverso tutte le opposizioni nazionali, le diversità di razze e di classe, i risentimenti, le ingiustizie, i desideri di vendetta e di predominio che ci agitano. Portare questo amore nella vita internazionale; sfondare le barriere di egoismo che ci oppongono gli uni agli altri, trovare nell'aiuto reciproco, senza pretese e senza iattanza, il più sincero affratellamento, quale ideale! E chi può realizzarlo senza la preghiera?
La vera preghiera non è che un frutto di fede e carità; ma quando si ha la fede e la carità non si medita una guerra di aggressione, non si compie un'ingiustizia, non si dà causa a che altri ci aggredisca, non si odia il popolo vicino, non se ne desidera il male, non si opprime; non si gode della guerra e delle stragi altrui, non si partecipa moralmente alla guerra plaudendo ai combattenti d i qua e di là. La preghiera non è un momento solo in cui si recita con le labbra un'orazione; è tutta la vita consacrata a Dio e ai fratelli. I n questa vita inserire anche il grido: dona nobis pacem è un lavorare per essa, come se il dono fosse già stato dato, all'interno del nostro spirito, che s'irradia all'esterno in opere di pace. ( L a V i e intellectuelle; Paria, 10 febbraio 1938). Arch. l1 A, 9,.
INCURSIONI AEREE IN SPAGNA (*) Signor Direttore, L'articolo « La guerra in Spagna n, sul vostro numero del 4 febbraio, trattando delle incursioni aeree su Barcellona può dar l'impressione che 1'Uniuerse approvi il sistema di bombardare città quale misura bellica. Ora secondo il diritto internazionale sono vietati i bombardamenti al di fuori (C dell'effettivo ed attuale teatro delle operazioni belliche n, e entro tali limiti è permesso bombardare soltanto posizioni difese. u E' vietato assolutamente bombardare qualunque villaggio, città, abitaz'ioni o edifici che non siano difesi n (vedi Karl Strupp, famosa autorità tedesca nel campo del diritto internazionale, nel suo u Droit International Public Universel n, Paris, 1927, p. 398). E' stato detto che le incursioni su Barcellona e Valencia ave-
(*) Lettera al direttore di The Unirerse.
vano di mira solo obiettivi militari (Sunday Times, 6 febbraio). Invece d i fatto, non solo non hanno attaccato fabbriche di armi o depositi di petrolio, bensì gli abitanti, causando migliaia di vittime, ma sono state anche compiute al di fuori dell'attuale teatro di guerra. I1 governo del gen. Franco può essere considerato legittimo o ribelle. Nel primo caso, esso è obbligato ad osservare gli accordi e i trattati internazionali che vincolano l a Spagna. Nel secondo caso, tutti i suoi atti di guerra sono illegittimi. Questi principi sono basati sulla teologia morale cattolica. Resta la teoria delle rappresaglie, contro popolazioni inermi. Ma questa teoria non è cristiana, bensì pagana. I n ogni caso, oggi anche i l pretesto delle rappresaglie non ha più fondamento di fronte all'offerta fatta dal ministro della difesa del governo republicano, Prieto (vedi Timos, 31 gennaio), e alla sua azione unilaterale di ordinare la cessazione di tutte l e incursioni aeree al di fuori dell'attuale teatro d i guerra ( i n conformità con i principi del diritto internazionale che abbiamo citato), essendo in corso i negoziati avviati dai governi francese e inglese. Perciò, in nome del cristianesimo e dei principi fondamentali del diritto naturale, c'è da sperare che i l generale Franco accetterà le proposte d i tali governi e cesserà di bombardare città e villaggi dalla parte opposta - non voglio dire nemica. (The Uniuerse, London, 11 febbraio 1938).
AIR RAIDS IN SPAIN Sir, The article a The War in Spain D in your issue of February 4, in dealing with the air-raids on Barcelona might give the impreasion that the Universe approved of the system o£ bombarding towns ae a war measure. Now by international law bombardements are forbidden outside the u effective and actual theatre o£ war operations~, and withii these limita it ia permitted to bombard only defend poste.. u I t is forbidden to bombard in any manner whatsoever t o m , viilagea, dwellings or buildings that are not defend B (See Karl Strupp, the famous German authority on international l a ~ in , his Droit lnternationol Public UniverseZ, Paris, 1927, p. 398).
It has been said that the air-raids on Barcelona and Valencia aimed only at military objectives (Sunday Times, february 6). But not only in actual fact did they attack not arms factories or petrol tanks but the inhabitants, eausing a thousand deaths, but they were camed ont ontside the actual theatre of war. General Franco's Govemment cau be considered either as legitimate or rebel. I n the first case, it is obliged to obseme the intemational agreementa and treaties by which Spain is bound. In the second, all its acts o£ war are illegitimate. These principles are based on Catholic mora1 theology. Remains the theory of reprisals, against unarmed populations. This theory is not Christian, but pagan. In any case, to-day even the pretext o£ reprisals falle to the ground in view o£ the offer made by the Defence Minister in the Republican Governement, seiior Prieto (see Times, January 31), and is unilateral action in ordering the cessation o£ all-raids outside the actual theatre of war (in conformity with the principles of intemational law that we have qaoted), pending the negotiations set on foot by the French and British Govemements. Therefore, i n the name o£ Christianity and of the fundamental principles of natura1 law, it is to be hoped that General Franco will accept the proposals of these govemments, and cease to bombard towns and d l a g e s on the opposing - I will not say enemy - side. Luigi Sturzo
33 bis INCURSIONI AEREE IN SPAGNA (*) Signor direttore, sono costretto dal tono assolutamente ingiusto del Rev. M. A. Noval nei miei riguardi (nella sua lettera pubblicata dall'Universe), a fare la seguente messa a punto: 1) Sul Times del 6 novembre 1937, pubblicai una lettera (riprodotta su The Times,edizione settimanale dell'll novembre), in cui scrivevo: non è venuto il momento di sollecitare la proposta che - mentre le commissioni internazionali sono in Spa-
(*) Lettera al direttore de The Unirerse.
gna u per stabilire il numero di ausiliari stranieri i n servizio sui due campi - le autorità spagnole delle due parti vengano richieste di sospendere tutti i bombardamenti aerei? n. Inviavo una proposta simile a Parigi, ai comitati per la pace in Spagna (composti da cattolici), ed essa veniva presentata al comitato di non-intervento verso la metà del dicembre scorso, cioè prima che l'opinione pubblica fosse messa in moto dai recenti bombardamenti di Barcellona. 2) Anche prima di esprimere questa proposta concreta, fin dal momento in cui era scoppiata la guerra civile spagnola, avevo scritto in vari articoli (pubblicati dai giornali cattolici del continente) contro i bombardamenti aerei, da qualunque parte venissero, e mi ero associato alle proteste fatte per quelli contro il paese basco. 3) Per quale ragione vengo fatto oggetto di una lettera satirica e insultante - non sono un « legalista » e un a umanitario n nel senso delle parole di Fr. Noval - quando nello stesso momento il cardinale Hinsley non ha trovato difficoltà a firmare l'appello promosso dal lord Cecil (Times,10 febbraio) per implorare i capi della Spagna repubblicana e nazionalista, per la salvezza del popolo spagnolo e iiell'interesse dell'umanità, di abbandonare per esplicito accordo i bombardamenti deliberati d i popolazioni civili » ? Lo scopo di tale appello era esattamente lo stesso del mio, quello cioè di porre fine a tutti quei bomhardamenti aerei. LUIGIS ~ u a z o (The Universe, London, 25 febbraio 1938).
AIR RAIDS IN SPAIN Sir,
I am obliged by the wholly injust tone of the Rev. M. A. Noval towards myself (in his letter published in the Uniuerse), to make the following mise au point: 1) In The Times of November 6, 1937, I pubiished a letter (reproduced in The Tirnes Weekly Edition of November Il), in which I wrote: (i. Has not the moment come to urge the proposal that, while the Intemational
Comrni.~sionsare in Spain « to establish the numbers of foreign auxiliaries serving on each side n, the Spanish authoritiea on both sides should be asked to suspend al1 bombardamente by air? u. I sent a similar proposal to Paris, to the Committee for Peace in Spain (composed of Catholics), and it was presented to the Non-Intervention Committee about tlie middle of last December, that is, before puhlic opinion was stirred by the recent bombardements of Barcelona. 2) Even before putting forward this concrete proposal, from the time the Spanish civil war broke out, I have wntten in various articles (published by Catholic papers on the Continent) against the aenal bombardments, from whichever side they came, and I associated myself with the protests made in respect of those against tlie Basque country. 3) For what reason am I made the object of a satirica1 and insulting letter - I am not a a legist » and a humanitarian u in Fr. Noval's sense of the words - when at the samc time Cardinal Hinsley found no difficulty i n signing the appeal promoted hy lord Cecil (Times, February 10) « to implore the leaders of Republican and Nationalist Spain, for the sake of the Spanish people an in the interest o£ humanity, to abandon by express agreement the deliberate bombing of civilian populations D ? The aim of this appeal was precisely the same as mine, that of putting an end to al1 siich aenal bombardments. Luigi Sturzo
LO SPETTRO DI UNDICI MILIONI DI MORTI Un amico mi diceva, discutendo di guerra nei rapidi cambiamenti del mondo hitleriano: « l'inglese è tardo a rendersene conto, va sempre a tentoni come all'oscuro, finché il pericolo non è presente. Al momento dato, prende tutte le sue energie e s'ingaggia a fondo. E' sua l'ultima parola D. Sarà lusinghiero, forse, per l'inglese, pensare ch'egli h a tanta costanza nel durare una guerra anche nelle sconfitte, finché spossato il nemico, arriva alla vittoria finale, perché ha nervi saldi, giovani allenati e denaro sufficiente; ma non è allegro pensare che non si sia altro da fare in questo modo che prepararsi ad una guerra, nella sicurezza di vincerla, per poi prepararsi ad una seconda e ad una terza.
Oggi il leone britannico ha l'aria di essere sonnolento e impotente. E' lì in mezzo a tanti altri animali che si divertono chi a tirargli la coda, chi a dargli un calcio al ventre, altri a morsicargli un'orecchia, o a punger10 con uno spillo nella coscia. E chi l'osserva, a dire: ora vedrete come affila i denti (cioè si riarma); quando si alzerà, vedrete tutti come tutti questi animali tremeranno ! Sarebbe assai meglio non trovarsi in questa incomoda posizione, non aver dato ansa a coloro che l'oltraggiano o lo punzecchiano, non aver messo a posto i più audaci quando ciò non costava che un semplice ruggito! E pensare che tra agosto e settembre 1936 l'Inghilterra (invece di impegnarsi col comitato di non intervento) poteva con niente liquidare la guerra in Spagna e impedirvi l'intervento straniero; oggi dopo un anno e mezzo, essa è immobilizzata nel Mediterraneo e assiste impotente allo sviluppo dell'invasione del Giappone nella Cina. Saranno occupate anche Iiong Kong e la costa di Canton? Sarà occupato Singapore? Oserà il Giappone sfidare 1'Inghilterra? E questa sarà aiutata dagli Stati Uniti se si decide a resistere al Giappone con le armi? E' il Giappone d'intesa con la Germania e l'Italia per un passo così grave? Secondo quanto Jacques Bardoux scrive sul Temps, il patto segreto fra Berlino e Tokio porta la divisione delle Indie Olandesi, che sarà l'ulteriore obiettivo giapponese. Quali promesse h a ricevuto l'Italia? Siamo nel mondo delle favole non in quello della realtà. E pure oggi l'iniziativa della trasformazione internazionale è lasciata al triangolo Berlino-Roma-Tokio, nonostante le loro debolezze in fatto di denaro e di materie prime; mentre i tre grossi paesi capitalisti (Inghilterra, Francia e America) subiscono i contraccolpi senza né saper prevedere né saper resistere. Le popolazioni sono inquiete per la possibilità di una guerra mondiale, sono diffidenti verso i loro governi, che pensano al riarmo come allhnico mezzo disperato, quando ci sarebbero altri mezzi, fra i quali un'intesa larga e confidente fra tutti coloro che vogliono impedire la guerra. Questa intesa non può essere negativa, deve essere positiva, cioè portare alla soluzione dei
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problemi oggi acuti o acutizzati e degli altri che vi sono connessi. E' questo il momento di tentare uno sforzo supremo verso la pace. I1 primo e più urgente passo dovrà essere quello di disincagliare le forze europee dal Mediterraneo col porre fine alla guerra di Spagna, punto nevralgico della situazione internazionale. La vittoria dell'una o dell'altra parte avrà gravissime ripercussioni politiche in tutta Europa e fuori d'Europa. La guerra di Spagna potrà essere riguardata come il prologo di una nuova conflagrazione internazionale ovvero come la chiusa di un periodo torbido e preoccupante, secondo se finisce con una pace imposta ovvero con una pace di conciliazione (l). Ciò dipende da quel che sapranno fare Londra e Parigi, e da quel che esse sapranno dare e domandare a Washington, ai piccoli paesi inquieti per la loro sicurezza e alla Società della nazioni, ch'esse hanno inconsciamente svalutato. Che non ci dicano che la Francia è forte e che l'Inghilterra è armata fino ai denti ed è sicura (come sempre) che l'ultima battaglia segnerà la vittoria. Undici milioni di morti della grande guerra sono là a protestare contro le incertezze di Londra se doveva o no entrare in guerra nel luglio 1914. Se un mese prima - solo un mese prima - di fronte al-
(l) Attivissima fu nei primi mesi del 1938 l'attività di Sturzo a favore di una mediazione pacificatrice in Ispagna promossa dalle potenze europee. Presupposto doveva essere secondo Stuno la creazione di appositi comitati che creassero le condizioni adatte alla mediazione, mediante opera di propaganda presso l'opinione pubblica. Favorì, a tal fine, la nasciti a Parigi di due comitati u pour la paix civile et religieuse en Espagne B, il primo composto esclusivamente da spagnoli e presieduto da Mendizabal, l'altro composto da francesi e presieduto da Maritain e Beaupin. A Londra Sturzo fondò, 111 gennaio 1938, il a British committee for civil and religious peace in Spain n sotto la presidenza di Wickham Steed e con Barbara Barclay Carter segretaria (cfr. l'articolo n. 11, pp. 172). Su questa attività di Sturzo cfr. F. PIVA F. M A L G ~ op., ci:., pp. 368-70. Sui tentativi di mediazione delle potenze per la pace in Spagna cfr. H. THOMAS, Storia &IZa guerra civile spagnola, Torino 1963, pp. 521.522 e GEORCES-Roux, La guerra civile di Spagna, Firenze 1966, pp. 28189.
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l'ultimatum di Vienna contro Belgrado, il governo inglese fosse intervenuto a favore della Serbia, non con i cannoni, ma con u n gesto generoso e previdente, la guerra del 1914 non sarebbe scoppiata; undici milioni di giovani non avrebbero trovato la morte sui campi di battaglia e nelle trincee. Che importa vincere l'ultima battaglia quando poi si perdono i frutti della vittoria? Quando si mettono i germi di nuove guerre? E quando si fa l a politica dei ciechi e dei sordi? Domani, in una nuova guerra mondiale, non saranno solo undici milioni di morti, ma venti, trenta o cinquanta ; vi saranno le città in fiamme, Londra, Parigi, Berlino e Roma, vittime in olocausto alla barbarie e alla stupidità umana. Londra, febbraio 1937. (Popolo e libertà, Bellinzona, 12 febbraio 1938).
I L RECORD DELL'ITALIA (*) Signor direttore, non intendo difender tutta la politica estera del mio paese, dal 1848 a l 1922; non posso però lasciar passare una condanna così generale e così categorica, come quella espressa, lunedì 21 febbraio, dall'on. Nicolson, alla camera dei comuni, allorché affermò: «Eyperfettamente provato che ogni vitale e importante trattato politico concluso e firmato dall'Italia è stato sempre violato D. Egli proseguì accusando tutta la politica estera italiana di « tradimento e duplicità ».Nessuno a mio avviso potrebbe muovere questa accusa ad uomini di stato come Cavour, Visconti Venosta e Sforza ( p e r parlare dei piu grandi), come nessuno potrebbe assolutamente muoverla a Gladstone. Diversamente la
(*) Lettera al direttore del Manrltester Grtardian.
diplomazia di tutti i paesi e di tutte le epoche dovrebbe essere accusata di « tradimento e duplicità ».Non è l'Inghilterra chiamata la perfida Albione? Qualche volta solo in apparenza, qualche volta in realtà. Allusione è stata fatta in merito alla rottura del trattato della Triplice alleanza da parte dell'ltalia, nel 1914. Questa rottura era un diritto dell'Italia, basato sull'art. 7, perché i l trattato della Triplice era un trattato difensivo e perché la guerra contro la Serbia era ingiusta ed essa fu dichiarata, in ciò che concerne l'Italia, senza un'intesa preventiva (l). Spesso si sente ripetere - in buona o in mala fede - questa accusa contro l'Italia da parte dei tedeschi e degli austriaci, ma non si può concepire che sia ripetuta dagli inglesi. (Manchester Guardian, Manchester, 26 febbraio 1938).
Tlie record o£ Italy Sir, It is not my intention to defend the whole of the foreign policy of my conntry from 1848 to 1922, but I cannot let pass unchallenged so genera1 and peremptory a condemnation as that made on February 21 in the House of Commons by Mr. Harold Nicolson when he said: « It is literally trne that no vitally important politica1 treaty has ever been signed by Italy that she has not broken n. He went on the accuse the whole foreign policy of Italy from the beginning as a « record o£ treachery and duplicity n. No one, to my belief, could bring sueh accusation against men like Cavour, Visconti Venosta, or Sforza (t0 mention only the greatest names), any more than they could do so against Gladstone. Otherwise the diplomacy of al1 countnes and of al1 periods could be charged with u treachery and duplicity n. Has not Great Britain been called u perfìdious Albion n ? Often unjnstly, indeed, but at other time? the League of Nations might have something to say on the matter. Alliision was made especially t9 a supposed breach of the Treaty of the Triple Alliance on the part of Italy in 1914. In breaking away from
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(1) Sull'uscita dell'ltalia daUa Triplice Alleanza cfr. G. VOLPE,L'Italia nella Triplice Alleanza, Milano 1941, pp. 296 e ss.
that alliance Italy was acting within her rights, as defined hp articla 7 of the treaty, since the Triple Alliance was defemive and not offensive, and the war against Serbia waa an unjust war, and wae entered upon without any previous understating with Italy. T h i aocusation has often been made against Italy by Germans and Austrians, whether in good faith or otherwise, but it i9 inconceivable that it should be repeated by Englishmen. Yours Luigi Sturzo
IL GESTO DI TOSCANINI Appena conosciuta la nazificazione dell'Austria, Arturo Toscanini ha telegrafato a Salzburg rinunziando all'impegno di dirigere musica da opera e da concerto al festival, come negli anni scorsi (l). Così egli fece, quando i nazi nel 1933 arrivarono al potere in Germania: rinunziò agli impegni di dirigere opere di Wagner alla stagione di Bayreuth. Prima di allora, aveva già da anni rinunziato a dirigere musica in Italia, dove mai volle consentire nei suoi concerti all'esecuz'ione dell'inno fascista. F u nel 1931 il grave incidente di Bologna, quando, cedendo all'invito di dirigere un concerto di beneficienza, fu aggredito da fascisti e del passaporto. Le porteste generali valsero ad impedire ulteriori rappresaglie. Toscanini è divenuto cittadino del mondo. Non è facile trovare nella storia dei geni (com'è d i sicuro Toscanini) che non si siano inchinati al più forte e che abbiano mostrato u n carattere adamantino in ogni circostanza della vita. (l) Artnro Toscanini (1867-1957), il noto direttore d'orchestra italiano, tenace antifaecieta, appreso che l'esponente filonazista Seyss-Inquart era entrato P far parte del gabinetto austriaco e comprendendo che ciò significava la prosriima annessione dell'Austria alla Germania naeista, telegrafò il 17 febbraio 1938 agli organizzatori del Festiva1 di Salisbnrgo, informandoli che d'allora in poi non avrebbe più partecipato aila manifwtazione né sarebbe intervenuto ad altre ove fossero presenti nazisti. (Sull'episodio cfr. D. Ewm, Sto& di Arairo Toscanini, Bari 1951, pp. 105-108).
Si segnalano i pochi giganti come un'eccezione. Non parliamo dei combattenti politici come Dante, Savonarola, Victor Hugo, ma dei geni, che vissero della loro arte, esclusivamente, come Beethriven, Manzorii, Goethe; fra costoro Toscanini ha il suo posto eminente, sdegnoso di mostrarsi non dico servile o debole, ma solo condiscendente, contro la propria convinzione e i propri ideali. Egli non concepisce gli ideali etico-politici come un campo separato, fuori dell'influsso dell'arte; egli concepisce l'arte come un fiore della vita, di tutta la vita presa nella sua sintesi, sentita con convinzione e con amore. L'arte non è per lui il passatempo, la distrazione, il conforto anche delle amarezze della vita, è lo sbocciare delle facoltà superiori dell'uomo, dove gli ideali morali e le virtù politiche trovano una superiore pacificazione e integrazione. L'idea bremondiana di poesia come quasi uno stato mistico, una preghiera non ancora formulata, ci può far comprendere lo stato d'animo di un artista come Toscanini. Si può immaginare quale ripugnanza sarebbe per lui trovare nel suo ~ u b b l i c ogente - come i nazi e i fascisti - che traducono i dissensi politici in rancori, istinto di dominio, intolleranze,. odii, che dalle persone arrivano all'arte stessa e ne turbano la serenità. Toscanini ha il genio di creare un'unità di atmosfera fra lui e il pubblico, un'unità non solo di simpatie personali e di consensi artistici, ma di rapimento magnetico, in cui tutto concilia alla funzione degli animi. Sarebbe ciò possibile quando ci fosse, in quelle sale, un nucleo solo, un nucleo di filistei, pervasi da uno spirito di ostilità politica che persiste anche durante il concerto, come un'onda malefica che contrasta l'unificazione spirituale di coloro che ascoltando divengono come creatori interni di quella stessa opera d'arte? E che dire, se quest'ondata pervade un intero paese? Così Toscanini rifiuta di prestarsi a profanare la sua arte per coloro che hanno messo al disopra dei valori morali e spirituali, la forza, l'orgoglio e la violenza. (L'Aube, Paris, 4 mano 1938). Arch. 9 A, 19.
DUE T I P I DI CORPORATIVISMO (*) Sir, Mi permetta due rettifiche a quanto su di me è stato stampato nel Catholic Herald del 4 marzo. 1) Nel titolo della cronaca del mio discorso è detto: Antifuscist favours corporatism. Un tale titolo può dare l'idea che io mi sia convertito adesso a l corporativismo. Vorrei perciò farle notare che il mio corporativismo deriva dall'enciclica Rerum Novarum e dalla scuola della democrazia cristiana, alla quale appartenni fin dal 1895. Il mio primo libro, pubblicato i n R o m ~ . nel 1901, fu sul corporativismo: i l titolo era: L'organizzazione di classe e le unioni professionali. Nel programma del partito popolare italiano (1919) si sosteneva l'organizzazione di classe. Non parlo di tutte le altre pubblicazioni fatte, ma il Catholic Herald può riscontrare una serie di sei miei articoli su Tlte corporative order pubblicati fra il 14 aprile e i l 23 giugno 1934. 2) Nel leading urticle si afferma che io « outlined the nature of a Christian corporate system, which bears a much closer analogy to what is happening to day in Portugal o r what might happen under the British Union (of Fascist) than to our present system n. La inesattezza di questo giudizio avrà potuto essere causata dal riassunto della mia conferenza quale fu pubblicata dal Catholic Herald, dove c'è il titolo dei Three Stages a proposito della riforma del sistema economico da me proposto, ma viene esposto solo i l primo stadio: quello dell'unità dell'impresa nelle sue tre forme diverse. I1 secondo stadio sono le attuali Trade Unions e associazioni di padroni, sotto il principio fondamentale di sindacato libero, iscrizione obbligatoria. Il terzo stadio è formato dai consigli corporativi, di classe, di contea o e nazionale ( e col tempo internazionale); corpi elettivi e rappre-
(*) Lettera al direttore del Catholic Herald.
sentativi di tutti gli interessi della produzione e del consumo. Tutto ciò nulla ha a che vedere con il corporativismo del Portogallo. Questo è detto dal domenicano G. R. Renard (già profefisore di diritto a117università di Nancy), corporatisme d'état, e che noi correntemente chiamiamo stato corporativo. Contro tale pseudo-corporativismo io ho parlato nella mia conferenza del 22 febbraio; e da più anni ne vado scrivendo in libri, riviste e articoli di giornali. Sul Catholic Herald del 23 giugno 1934 c'è un mio articolo contro lo stato corporativo, con riferimenti all'Italia e al17Austria. Non mi occupo del fascismo inglese; quando arriverà ... a costituire uno stato fascista nella Gran Bretagna, se applicherà il corporativismo portoghese, non farà che un falso corporativismo, senza spirito di comunità, senza responsabilità e senza libertà. che sono le note fondamentali del sistema corporativo cristiano, oggi e quarant'anni fa. Un rilievo personale: il titolo di antifascista mi sembra una qualifica di combattimento, nel suo giornale e nell'occasione assai fuori tono; io sono prete cattolico e rendo testimonianza alla verità; io sono democratico cristiano non da ora ma dall'epoca leoniana. Le posizioni di combattimento hanno valore in funzione di quello per cui si combatte, non per quello che si combatte. (Catholic Heralfl, London, 11 marzo 1938). Arrh. Cart. Articoli Aiitografi 1929-34.
L'OPINIONE INGLESE E LA GUERRA DI SPAGNA In Inghilterra, come altrove, fin da117inizio della guerra civile, l'opinione pubblica si divise. Gli orrori della reazione popolare alla rivolta fecero pendere molti dal lato di Franco; mentre i laburisti (dei quali una frazione cattolica), le comunità metodiste e non conformiste, non pochi ministri e vescovi anglicani furono dal lato del governo di Madrid, o per simpatia
d i classe, o per pregiudizi anticattolici, o per preoccupazioni politiche che avevano al fondo delle reazioni antifasciste. I settimanali cattolici sono stati per Franco fin dal primo momento, e menano una campagna a fondo, identificando la causa di Franco con quella della chiesa; solo una minoranza di cattolici inglesi è contraria a tale campagna, alcuni di costoro sono per il governo, altri sono solamente per l a pace, senza parteggiare o per gli uni o per gli altri. La City (cioè il mondo degli affari) è stata in fondo a favore di Franco, un po' per una certa germanofilia di quell'ambiente, u n po' per l'istinto anti-bolscevico del capitalismo, u n po' per un certo rispetto (tutto impregnato del senso di ricerca di sicorezza negli affad) verso un cattolicesimo spagnolo sentito come ordine, disciplina, autorità. L'esistenza di un popolo basco come caratteristicamente distinto dallo spagnolo, di cattolici che combattevano contro Franco senza essere rossi, bolscevici, anarchici, apparve una novità all'inglese medio e anche all'inglese colto. L'aiuto ai profughi di Bilbao, Santander, Gijon, l'assistenza generosa ai bambini baschi trasportati in Inghilterra fu fatta con slancio e simpatia (nonostante la propaganda assurda di lasciare i bambini a Franco; veri ostaggi volontari di guerra, nella quale propaganda caddero anche i settimanali cattolici). L'Inghilterra in tutte le fasi della guerra sul suolo di Biscaglia, ha dato i l significato non dubbio del suo appoggio morale per questo popolo eroico. Tutto ciò è però in margine al problema centrale per il governo inglese e l'opinione pubblica, quello del Mediterraneo. I1 giorno che sottomarini ignoti cominciarono ad attaccare e affondare navi mercantili, l'inglese si svegliò come da u n letargo, intuì il pericolo, affrettò la conferenza di Nyon. L'azione fu così rapida che quasi si ebbe paura del successo; onde molti in Inghilterra accolsero con soddisfazione l'accesso dell'Italia alla alla funzione di gendarmeria del mare. Strana gente questi inglesi! Credettero in quel momento d i poter mettere il governo fascista con l e spalle al muro e domandarono una rapida conferenza a tre (con la Francia) per il ritiro dei volontari. Non c'era tempo da perdere: tutti credevano ad un'altra Nyon. E dopo che Mwsolini rispose con un rifiuto
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e rimandò l'affare al comitato di non intervento di Londra, sono passati i mesi ( d a ottobre ad oggi) senza che nessun giornale mostri più alcun reale interesse come per una causa perduta. Non c'è persona nel campo laburista e liberale che non metta in ridicolo il comitato di non intervento, con le sue discussioni e i suoi rinvii. I1 prestigio del governo inglese, presso gli stessi suoi difensori e partigiani, ne è stato compromesso. Quando qualche creatore ufficiale, anche lo stesso ministro Eden, affermano che il non intervento, così praticato, ha evitato che la guerra di Spagna divenisse europea, i consensi sono deboli e di prammatica, ma senza convinzione. Per il più, il comitato di non intervento è servito a mascherare l'appoggio indiretto dato dal governo inglese agli insorti. Fin da principio nelle sfere governative si credeva nella facile vittoria di Franco. La resistenza di Madrid fu una sorpresa; Guadalajara passò per una sconfitta senza conseguenze. La caduta di Bilbao, Santander, Oviedo fecero credere che ormai la guerra dovesse finire presto. E la conseguenza ne fu l'invio dei rappresentanti inglesi presso il governo di Burgos. Dopo Teruel ( l ) , la City e certe zone della politica conservatrice (che avevano spinto il governo a tale passo) han cominciato a dubitare che Franco sia proprio il miglior cavallo su cui puntare. La stranezza di queste oscillazioni continue nell'opinione inglese dipende da due elementi: il primo che nessuno ha voluto credere ad una guerra lunga e di usura, come l'attuale che si combatte in Spagna; secondo che si è avuto sempre l'idea di poter arrivare ad un'intesa con i governi di Roma e Berlino combinando il ritiro di volontari con il riconoscimento del diritto di belligeranza. In questa atmosfera di esitazione e di dubbi, si va forman-
( l ) La piccola città spagnola di Teruel fu tra il gennaio e il febbraio 1938 al centro di aspri combattimenti tra le forze governative e nazionaliste. Conquistata 1'8 gennaio dai repubblicani dopo ventiquattro giorni di duro assedio, fu oggetto di un contrattacco sferrato dai franchisti che la riconquietarono il 21 febbraio. La battaglia di Temei durò 67 giorni e costò 30.000 morti, di cui 10.000 nazionalisti e 20.000 repubblicani. (Cfr. GEORGESROUX.op. cit., pp. 269-80).
do una nuova corrente per la pace di conciliazione in Spagna. Questa idea girò sui giornali un anno fa, sotto la proposta di mediazione; ma cadde subito, sia perché il paese era diviso quasi fanaticamente per gli uni e per gli altri, sia perché si credeva ad una fine prossima della guerra. Oggi è ritornata non più come mediazione, ma come preparazione psicologica dell'opinione mondiale, che dovrebbe cessare dal parteggiare e dovrebbe cooperare alla pacificazione degli spiriti. Un comitato per la pace in Spagna si è qui formato, presieduto da Wickham Steed (') (ben noto nel comitato europeo e negli Stati Uniti) con l'adesione di lord Cecil, del prof. Gilbert Murray, del deputato Nicolson, del prof. Grooch (direttore della Contemporary Review) ed altri. Essi han pubblicato sul Times (11 febbraio) un appello insistendo che solo la pace di conciliazione potrà risolvere il problema della Spagna e contribuire alla tra6quillità dell'Europa. Molte le rispose favorevoli da ambienti diversi sia politici che religiosi. E' un nuovo orientamento che si determina. I n questo comitato vi sono diversi cattolici democratici, che han formato un'associazione (People and Freedom Group) con lo scopo di affermare i principi morali nella vita politica nazionale e internazionale. A tale gruppo si deve la spinta alla corrente della pace di conciliazione in Spagna. Le dimissioni del ministro degli esteri, Anthony Eden, hanno avuto, come ultima spinta, proprio la questione spagnola. Egli non si rifiutava a riprendere le conversazioni con l'Italia, per arrivare ad una pacificazione, ma esigeva che l'Italia mostrasse la sua disposizione ad adempiere le promesse e gli impegni,accettando il piano britannico del ritiro dei volontari ed effettuandolo nel più breve tempo. Dopo di che si sarebbe arrivati più facilmente ad un'intesa anglo-italiana. Mussolini, che conosce bene la psicologia inglese (mentre né Eden, né Chamberlain conoscono bene la psicologia fascista) trovò buono i l momento di riprendere l e conversazioni con Londra in una forma clamorosa proprio nel momento in cui la sua politica estera si svalutava di fronte a tutti gli italiani, fa-
(2) Cfr. la nota 1 dell'articolo n. 34, p. 113. 122
scisti o no. Egli fece quindi arrivare a Londra il suo « ora o mai D, mentre nei circoli italiani e filo-italiani di Londra si parlava di una rottura e perfino di una guerra. Nel duello Eden-Chamberlain, il secondo era in posizione debole di fronte alle accuse di malafede che faceva Eden alla politica italiana in Spagna; così Mussolini bruciò le tappe e fece arrivare a Chamberlain ( p e r via diplomatica) l'impegno d i accettare il piano inglese per il ritiro dei volontari di Spagna. Chamberlain vinse la partita. La pubblica opinione inglese, anche oggi, resta divisa. I laburisti ne han fatto una questione di partito e conducono un'agitazione nel paese, sostenendo che il gabinetto ha cambiato politica, tradito la Spagna, la Società delle nazioni, l'amicizia della Francia e la pace internazionale. Per reazione, i conservatori negano che si sia cambiato politica, esaltano il realismo di Chamberlain, anche se destinato all'insuccesso. Fuori di queste due opinioni estreme e passionali, e lasciando da parte le discussioni personali sulla correttezza di Chamberlain e sull'opportunità delle dimissioni di Eden, quel che qui si risente, nei circoli responsabili, si è che il danno fatto dal gabinetto è evidente e il vantaggio è ipotetico. Mi diceva ieri un eminente personaggio che la cessazione della propaganda antibritannica presso gli arabi della radio Bari è stata largamente compensata dalla propaganda antibritannica fatta dallo stesso Chamberlain, nel cedere all'intimazione di Mussolini. Un altro autorevole uomo politico mi commentava aspramente la notizia data da News Chronicle del 24 febbraio, circa la risposta agli Stati Uniti, che Chamberlain ( a d insaputa d i Eden assente a Grasse) diede il l 4 gennaio, dicendo che « il momento era inopportuno » per una protesta al Giappone fatta collettivamente dagli Stati Uniti, Francia e Gran Bretagna. Secondo lui, Neville Chamberlain è un onesto uomo, ma incompetente in politica estera; va come all'oscuro, tentando e provando, ma con l'arroganza del business-mon che crede d i conoscere il mondo. Chamberlain crede di aver fatto fare un gran passo alla questione spagnola per il fatto che prima Mussolini e poi Hitler hanno accettato il piano inglese per il ritiro dei volontari. Questo piano non è ancora definitivamente fissato, ma solo per linee
generali e ipotetiche; esso dovrà essere accettato dalla Francia e dalla Russia, e poi dai due governi di Spagna. Quindi dovranno nominarsi le commissioni per l'accertamento dei volontari e così di seguito, per lunghi mesi. Hitler e Mussolini sperano intanto di guadagnare la partita, facendo passare i mesi senza cessare il loro aiuto militare a Franco. I1 Times del 25 febbraio aveva un articolo sulla Spagna, che sembrava diretto a scoraggiare coloro che pensano alla mediazione. Metteva in evidenza che gli estremisti irresponsabili sono quelli che pesano nelle decisioni delle due parti in lotta: di qua comunisti, di là falangisti; sicché la guerra civile andrà a perpetuarsi, non essendovi dal lato repubblicano alcun segno che indebolisca la volontà di resistere. I1 Manchester Guardian dal canto suo, in un altro articolo sulla caduta di Teruel, ha sostenuto che la posizione governativa rimane forte, e che Franco ha sciupato molte delle sue forze, sì che senza l'aiuto italiano e tedesco non potrebbe superare la partita. L'atteggiamento del gabinetto inglese (dopo l'uscita di Eden) non influirà solo sulla guerra di Spagna, ma su tutta la situazione internazionale; ma la guerra di Spagna rimane oggi il punto nevralgico più delicato, e quello che per diverse ragioni appassiona di più il pubblico inglese. Londra, febbraio 1938.
(Nouveaux Cahiers, Paria, 15 marzo 19,W)
Arch. 10 A, 5.
ANCORA I N TEMPO PER UNA PACE ATTRAVERSO LA CONCILIAZIONE (*) Signor direttore, I1 suo articolo di fondo odierno è un grido di allarme, che (*) Lettera al direttore del Manchster Guardian.
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può ancora essere tempestivo, sulla situazione della Spagna, e un appello al vostro governo per una azione più chiara e più decisa. A mio avviso l'errore fondamentale del comitato di non intervento è stato quello di fermarsi alla questione della eliminazione dei volontari. Per un anno si è trattato questo tema senza riuscire a fare un solo passo avanti, per le insuperabili difficoltà tecniche e politiche che son servite, e continuano a servire, agli stati interventisti come mezzo per affrettare una soluzione con le armi prima che possa venir raggiunto un decisivo accordo. Oggi, e ancora per poco, ci sono soltanto due soluzioni spicciative. La prima è quella di un aperto intervento a fianco del governo di Barcellona, corrispondente a quello a fianco di Franco: ma ciò vorrebbe dire la guerra. La seconda è quella della mediazione per provocare un armistizio come preludio alla pace attraverso la conciliazione. Per questa soluzione sarebbe necessario raggiungere un accordo con l'asse Roma-Berlino, e ciò può essere una delle condizioni dei negoziati in corso con l'Italia e dei possibili colloqui con la Germania. Se lasciamo passare questo momento la questione spagnola può diventare un altro elemento di disturbo dell'equilibrio politico europeo, come il fatto e il fato dell'Austria. La Francia sarà tremendamente scossa, ma anche la Gran Bretagna risentirà gli effetti nell'intero complesso sistema del suo impero. Non più tardi del maggio scorso, in una lettera indirizzata al Times (23 maggio), proponevo che venisse promossa una tregua in vista di una pace attraverso la conciliazione. Disgraziatamente ciò è ancora materia di grande difficoltà, specialmente quando popoli civili estranei al conflitto, e tuttavia non indifferenti ad esso (come quelli della Gran Bretagna e della Francia), hanno tali simpatie appassionate per l'una o l'altra parte da parlare da un lato di « guerra santa D, dall'altro di « guerra del popolo n. Io sostengo che la guerra civile non è altro che una guerra di passioni e di interessi politici e economici, con interventi stranieri determinati dai fini di egemonia. L'opinione pubblica dev'essere formata e guidata a sostenere una pace attraverso la conciliazione. I1 comitato spagnolo per la pace civile e i comitati francese e inglese per la pace civile e religiosa in Spagna stanno lavorando a tal fine. La pace civile
e religiosa, poiché non vi sarà vera pace senza il ritorno a l rico-
noscimento della libertà dei cattolici anche nella Spagna repubblicana. Lo scorso agosto questi comitati inviarono a lord Plymouth, attraverso Wickham Steed, presidente del comitato britannico, u n appello per una mediazione, ed ora il comitato britannico ha presentato un piano particolare per i passi preliminari verso la pace. Probabilmente l'opinione pubblica non è ancora pronta a ricevere questa idea, ma gli interventi di questi ultimi giorni i n Austria e in Spagna devono rendere consapevoli del momento e della necessità di una rapida soluzione. vostro LUIGI STURZO Londra, 16 marzo 1937.
(The Manchester Cuardian, Manchester, 18 marzo 1938). STILL TIME FOR A PEACE BY CONCILIATION Sir. Your leading article to-day is a cry of alarm, which may yet be in time, on the Spanish situation and an appeal to your Govemment for a clearer and more decided policy. To my mind the capita1 error of the Non-lntervention Committee has been that of stopping short at the question of the withdrawal of the volunteers. F o r a year it has been going over and over this theme without being able to make a single step forward, the reason being the insuperable tchnical and politica1 difficulties, which have served, and s t a continue to serve, the interventionist States as a mean for hastening a solution by arms before a decisive agreement can be reached. To-day, and for a short while yet there are o d y two speedy solutions. The firts is that of open intervention on the side of the Barcelona Government, corresponding to the open intervention on the side of Franco, but this would lead to war. The second is that of mediation to provoke an armistice as a prelude to peace by conciliation. To achieve this it would be necessary to reach an agreement with the Rome-Berlin axis, and thia might be one of the conditions of the negotiations in course with Italy and of the possible t a l b with Germany. If this moment is let slip the Spanish question can become yet another disturbante of the balance of European politic., like the fact and fate of Austria. France wiil be tembly weakened, but Great Britain, too, will feel the effects through the whole complex system.
As longs as last May, in a letter addressed to the Times (May 23),
I proposed that a truce should be promoted with a view to peace by conciliation. Unhappily is still a matter of great difficulty, especially when civilised peoples extraneous to the conflict, though not indifferent to it (likes those of Great Biitain and France), have such passionate sympathies with one side or the other as to peak on the one hand of a a only war D, on the other of a people's war a. I hoid that the civil war is neither, but a war of passions and of politica1 and economic interests. with foreign intervention determined by aims of hegemony. Public opinion must be formed and giiided i n support of peace hy conciliation. The Spanish Committee £or Civil Peace and the French and British Committees for Civil and Religious Peace in Spain are working to this end. Civil and religious peace, for there will be no true peace without the return o£ freedom of Catholic worship even in Republican Spain. East August these committees sent to lord Plymouth, through MI. Wickham Steed, chairman o£ the British committee, an appeal for mediation, and now the Bntish committee has presented a draft plan for the preliminary steps towards peace. Maybe pnblic opinion is not yet ready to receive this idea, but the events o£ the last few days in Austria and Spain must bring understanding of the perils of the moment and of the necessity of a speedy solution. Yours LUIGI STURZO
I CATTOLICI E IL PACIFISMO (*) Signor direttore, Ai critici dei miei scritti non rispondo mai perché tengo in rispetto la critica. Ma se qualcuno presenta il mio pensiero deformandolo o se ne serve per argomentare contro, sento il dovere di rimettere un po' le cose a posto. Questa volta però scrivo non come autore, ma come teologo (Doctor Divinitatis); perciò non mi interesso delle critiche dirette ai miei ideali democratici ( p e r errore detti liberali) né degli attacchi alla Società delle
(*) Lettera al direttore di The Tablet.
nazioni, ma di T. S. Gregory il quale afferma che u it is impossible to accuse a nation of immorality n perché, secondo lui, si darebbe la personalità alla nazione e si toglierebbe agli individui. Ma questo è proprio il tentativo del nazismo, del fascismo e del bokcevismo, che tentano di creare la nretafisica della razza o della nazione o della classe, a cui sacrificano le persone individue; mentre il cristianesimo liberò la persona umana da ogni vincolo religioso o pseudo-religioso che la legava alla famiglia, città, classe, impero, e la pose di fronte al dovere della sua coscienza d i ubbidire a Dio più che agli uomini, cioè d i fare il bene, essere morale, nel senso cristiano e completo della parola : C Seguire Gesù Cristo D. Questa legge di bene obbliga in coscienza tutti gli uomini, anche i non cristiani, e tutti siamo chiamati a seguirla ( e ne abbiamo da Dio i mezzi, anche i non-cristiani) sia che agiamo per conto nostro personale, sia che agiamo per conto di altri. perché investiti di un compito di fiducia e di autorità. Così il capo della famiglia o del clan o della tribù non può volere né commettere il male che giova alla famiglia o alla tribù, se questo è male ; il capo dell'azienda della fabbrica, della compagnia commerciale, non può volere la frode, l'ingiustizia e l'inganno, sol perché utile. I1 capo del governo, i ministri, i deputati non possono volere un'ingiustizia sol perché giovi al paese. Ma le responsabilità al popolo? La teologia morale cattolica è basata sul detto di Ezechiele: Vivo io, dice il Signore; ecco che tutte le anime sono une, come l'anima del padre così l'anima del figlio è una: l'anima che avrà peccato, quella morirà n (18, 3-4). E pure san Pietro, parlando alla folla degli ebrei di Gerusalemme dopo la pentecoste, li accusa rei della morte di Gesù; egli li apostrofa: u Voi metteste Gesù in mano di Pilato e lo rinnegaste i n faccia a lui mentre egli aveva deciso di liberarlo. Sì, voi rinnegaste il santo e il giusto, e chiedeste vi fosse graziato u n omicida. Voi uccideste l'autore della vita n (Atti, 3, 13-15). Fra quegli uditori non vi erano né Caifa né i sacerdoti, ve n'erano di quelli che non erano stati a gridare cnrcifige avanti a Pilato: ma san Pietro sapeva bene che alla responsabilità delle colpe dei capi si aggiunge sempre quella dei sudditi che non hanno il coraggio di resistere, di coloro che
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per viltà applaudono, di coloro che ~ o t e n d onon si oppongono, di coloro che non potendo opporsi, non cercano almen di salvare la propria anima manifestando il dissenso della propria coscienza. L'errore di credere alla fatalità della guerra, alla fatalità delle ingiustizie internazionali, alla fatalità della catena delle ingiustizie internazionali e ad ogni altra fatalità unti1 metaphysic recovers a pratica1 authority n, è credere ad un determinismo che nega la metafisica e la morale. Per noi cristiani cattolici non c'è che una metafisica e una morale, quella del Vangelo, e dessa è per tutti gli uomini in tutte le circostanze, in tutti i domini, compresa l'economia, la politica interna e la internazionale, oggi e sempre, anche quando la metafisica è misconosciuta e la scienza fisica esaltata. T. S. Gregory cita un mio passaggio ( a The more genera1 the advantage sought, the greater the morality of politics n) come atto a a justi£y every crime committeed in the name o£ idealism n. Da quello che h o scritto sopra egli potrà accorgersi come la mia affermazione vada presa nel suo senso e non tirata ad un senso che non può avere: cioè che in politica l'allargamento &l campo dei vantaggi diminuisce le cause di egoismo particolarista. Non sono forse prossimo nostro tutti gli uomini e non sono tutti (nessuno escluso) figli di Dio? LUIGI STURZO (The Tabkt, London, 9 aprile 1938). Arch. Cart. Articoli Autografi, 1929-1934.
ANCORA SUI CATTOLICI E IL PACIFISMO (*) Signor direttore, Mi dispiace doverle domandare di nuovo ospitalità, ma vi
(*) Lettera al direttore di The Tablet.
sono costretto dalla lettera di T. S. Gregory, del 9 aprile, che altera sensibilmente ( e io credo senza ragione) il mio pensiero. 1) L'uso di parlare d'Italia o Spagna o Francia o Inghilterra, invece del governo o dei cittadini, nell'opinione corrente, non ha nulla a che vedere con la concezione di una persona e un'anima collettiva immortale delle nazioni. Invece significa ora il governo (se si tratta di politica pratica); ora l'opinione pubblica e così via. In generale significa la nazione, presa come comunità, nel senso vero e cristiano della parola. L'amore del prossimo implica non solo l'amore della persona ma anche l'amore della comunità. San Paolo desiderava di essere anatema per i suoi fratelli giudei. Gesù pianse su Gerusalemme. I missionari che vanno in Afiica o in India amano quelle comunità e per esse si sacrificano. 2) Niente pensiero luterano; il mio è interamente e perfettamente cattolico. T. S. Gregory può informarsene da qualsiasi teologo cattolico che abita a Londra o fuori Londra. I1 capo ha la responsabilità di capo; il suddito quella di suddito; il cittadino quella di cittadino; il giornalista quella di giornalista e così via. Actiones sunt suppositorum : tutta la teologia morale cattolica è basata su questo principio. Le persone sono non esseri astratti, ma quelle poste in date condizioni e con date responsabilità. Mr. Chamberlain se fa un'ingiustizia come primo ministro è lo stesso mr. Chamberlain se fa una ingiustizia nel trattare con la sua cameriera. Se domani in Inghilterra si iniziasse la persecuzione ai giudei (ch'è un atto contrario al precetto dell'amore del prossimo), i primi responsabili sarebbero i ministri che la pongono; poi i deputati che votano la legge, quindi il re che la firma. Ma sarebbero anche responsabili quei giornalisti che l'avranno sostenuta e difesa, quei cittadini che avranno incoraggiato, quegli altri che non vi si saranno opposti e così via... Se, in questo caso, io scrivessi un articolo dicendo che l'Inghilterra (cioè la comunità inglese) ha commesso un'ingiustizia, sarei forse per questo un seguace di Lutero? 3) T. S. Gregory vuole attenuare le responsabilità di una comunità con il dire che certe situazioni arrivano impercetti-
bilmente dove il veleno è coperto con i benefici. Ma in ogni tempo vi sono i pastori vigilanti, i santi, le persone d'ingegno e di cuore che ~ a r l a n oe scrivono e ammoniscono anche quando non sono ascoltati. Forse Leone XIII non parlò nel 1891 sulla questione operaia? ( l ) E forse Pio XI non parlò nel 1922 contro i nazionalismi esagerati? (a) Coloro che non hanno ascoltato quelle voci ammonitrici e nulla hanno fatto per impedire che il male si diffondesse e il bene non fosse ostacolato, non debbono essere in coscienza responsabili almeno della colpa di omissione? 4) T. S. Gregory dice che un uomo ~ o l i t i c odeve spesso scegliere fra due ingiustizie. Ciò non è esatto. Secondo la morale cattolica la scelta può darsi solo fra due doveri, quando sono in contrasto sullo stesso oggetto e nella stessa persona. L'esecuzione di un dovere non è mai un'ingiustizia; nei conflitti dei doveri, la scelta deve cadere su quello che è giudicato come dovere prevalente. 5) Io non riconosco alcuno stato cattolico, anzi mi rifiuto a questa definizione anche per il Belgio: non parliamo della Spagna. I1 Vaticano non è uno stato politico, ma solo giuridico e simbolico. Forse per questo negheremo il rispetto della morale nella politica? La morale è una legge divina, precedente al cristianesimo storico, precedente ai dieci comandamenti mosaici. Tutti gli uomini vi sono obbligati. Perché eccettuarvi Chamberlain o Roosevelt, Schuschnigg, o Léon Blum, o Hitler o Mussolini? Quando Dio li giudicherà (anche se essi non hanno creduto in Lui) peserà le loro azioni morali ( e solo quelle) siano esse state compiute come persone private o come capi di stato o di governi. Chi dice che essi non credano in Dio? E come si può asserire che tutti gli uomini politici non credono i n Dio, nono materialisti, « non hanno metafisica n, secondo il fraseggio di T. S. Gregory? Anche se così fosse, poiché la legge morale è segnata nei no-
(') Si tratta dell'enciclica Rerum Noaannn. (a) Si tratta dell'enciclica di Pio XI, Ubi arcano Dei del 23 dicembre 1922.
stri cuori e l'anima umana è naturalmente cristiana, non cessa in nessuno l'obbligo di seguire i precetti morali; e in noi, più che negli altri, di predicarli, di professarli, d'insegnarli e di darne l'esempio. 6) Infine: io non sono stato mai e non sono un pacifista nel senso corrente. Non c'è una parola di ciò in tutte le mie pubblicazioni. Io sono per l'eliminazione della guerra dai mezzi legittimi d i difesa del diritto, perché vi sono altri mezzi di tutela del diritto, come la comunità delle nazioni, l'arbitrato e il disarmo. In ciò sono in ottima compagnia con Benedetto XV. Sarà bene di tanto in tanto rileggere la sua Esortazione alla pace del lo agosto 1917 ( l ) , e penetrarne lo spirito, al di là dei fatti del momento.
LUIGISTURZO (The Tablet, London, 16 aprile 1938). Arch. Cart. Art. Autogr. 1929-34.
LETTERA A GEORGES BIDAULT ( l ) I1 vostro articolo di ieri (29 marzo), L'efiondrement du catholicisme autrichien, mi spinge a scrivervi, come per riconfortarci a vicenda. E mi sembra di averne un certo titolo, se penso al mio passato e alla sorte dei miei amici popolari italiani. Ma ( l ) Si tratta della nota inviata da Benedetto XV ai capi delie potenze belligeranti, con la quale il papa auspicò una pace immediata con il ritorno delle varie potenze belligeranti ai confini precedenti la guerra. In questa nota Benedetto XV condannò la guerra come «inutile strage ». Cfr. A. MAX. TINI, La nota d i Benedetto XV alle potenze belligeranti nell'agosto 1917, in AA.VV., Benedetto XV, i cattolici e la prima guerra mondiale, atti del convegno di Spoleto, 7-9 settembre 1962, Roma 1963, pp. 361-386. (2) Georges Bidault (n. 1899), illustre esponente del movimento democratico cristiaiio francese, fu fra i più attivi collaboratori delllAube, ove scriveva gli editoriali di politica estera. F u anche il capo della resistenza interna in Francia, più volte primo ministro e ministro degli esteri nel secondo dopoguerra.
forse la sorte dei cattolici del Centro germanico è stata migliore? E il Centro aveva su tutti noi una anzianità storica e i meriti di una lotta gigantesca contro il K u l t u r k a m ~ f di Bismarck, un'organizzazione sociale di prim'ordine, la tutela del cattolicesimo nel dopoguerra - quando il socialismo di tradizione marxista e hegeliano prese il potere in mano - da Weimar in poi. Oggi nominare il Centro in Germania sarebbe per i cattolici e per il clero una colpa di lesa patria, così come in Italia è una colpa nominare il partito popolare. Molti scritti e biografie si sono pubblicate su Ludovico Necchi, morto in fama di santità, il cui primo processo informativo è iniziato di recente. Ma nessuno osa dire in pubblico che Necchi ( l ) fu iscritto al partito popolare e ne fu candidato politico. Si parla di Pier Giorgio Frassati (2), come di un fiore della nostra gioventù cattolica italiana, e al suo sepolcro vanno spesso i pellegrinaggi dei giovani cattolici piemontesi. Ma non si dice ch'egli era uno dei più.ferventi ed entusiasti popolari di Torino. Quando or son due anni morì, in fama di virtù cristiane, il prof. Ubaldo Ferrari di Cremona (3), una delle speranze del laicato cattolico italiano della scienza giuridica, l'articolista dell'Osservatore Romano che ne tesseva l'elogio (21 marzo 1936) scriveva: amò gli umili e i poveri, ebbe fede nella loro elevazione e lavorò per essi nelle forme allora consentite e repzctate (1) Ludovico Necchi (1876-1930), presidente dell'unione popolare cattolica dal 1910 al 1912, si interessò particolarmente di problemi sociali, dando notevole impulso alle settimane sociali dei cattolici ed alla nascita del sindacalismo ad ispirazione cristiana. Militò nel partito popolare. (1) Pier Giorgio Frassati, figlio del senatore liberale giolittiano Aiiredo Frassati (ambasciatore a Berlino, proprietario e direttore della Stampa), fu attivo propagandista dellSAzione cattolica e del P.P.I.. Morì a 24 anni, in concetto di santità. Proclamato a servo di Dio n, è in corso il processo di beatificazione. (3) Ubaldo Ferrari, professore, ebbe parte di rilievo nel movimento contadini d'ispirazione cristiana particolarmente attivo nel cremonese. Collaborò con Miglioli, Cappi, Speranzini, Cocchi e Banderali al periodico L'Azione di Cremona. Fu, inoltre, tra i protagonisti deiie vicende che portarono alla stipulazione del Lodo Bianchi nel 1921, per una nuova regolamentazione dei rapporti di lavoro tra contadini e proprietari temeri.
come mezzo di difesa e di conquista, anche a costo di sacrifici, di lotte, di dolori, d'incomprensioni e d'ingiustizie che soffrì perdonando n. Queste parole oscure significano che Ubaldo Ferrari fu uno dei più caldi sostenitori del sindacalismo cristirino e del popolarismo e lottò con Miglioli (quando questi non cra stato espulso ancora dal partito popolare) nelle celebri agitazioni agrarie di Cremona e di Soresina. Quando morì Augusto Ciriaci ( l ) , presidente generale della azione cattolica, fu taciuto che egli era stato segretario della provincia di Roma del partito popolare e suo candidato politico. I1 capitano Giuseppe Pagani, altro giovane morto due anni o r sono in fama di santità, fu anche lui popolare ardente: neppure un motto di ciò. La lista è ancora lunga: vale la pena troncarla. Perché ne parlo? Non per rammaricarmi. non per dire che dei nostri amici Francesco Ferrari e Giuseppe Donati morti a Parigi in esilio per i loro ideali di cattolici e di democratici, nessuno in Italia ha potuto mai parlare, nessuno dei loro compagni e commilitoni, nessuno di coloro che si giovarono delIa loro attività e dei loro sacrifici. Ma che perciò? Forse che il premio ai lavori e ai sacrifici ci è dato dagli uomini o lo attendiamo dagli uomini? Non è questo quel che ci fa gemere, caro Bidault; ma quel che le piccole e l e grandi viltà contengono di negazione della verità. Dal giorno della negazione di san Pietro davanti a una serva la catena è lunga; e nessuno può dire di esserne immune. Voi francesi potrete ricordare il processo dei Templari e il raschiamento della bolla di Bonifazio VI11 Unam Sanctam (che doveva essere riconosciuta come dogmatica nella ~conclusione) dal registro delle bolle pontificiali, per far piacere a Filippo il Bello. Ma in tempi più recenti e più nostri di spirito, voi potete ricordare le compiacenze fino allo scisma dei vescovi dell'impero francese di Bonaparte, mentre il papa Pio VI1 era tenuto prigioniero a Savona. ( l ) Augusto Ciriaci (1889-1936). Tipografo, autodidatta, segretarin generale della gioventù cattolica nel 1913. Militò nel partito popolare sin dalla fondazione. Presidente delia federazione degli uomini cattnlici nel 1923 e presidente generale dell'azione cattolica nel 1929.
E' piii facile resistere al persecutore aperto e franco, che al subdolo e insidioso; anche ai tempi delle persecuzioni romane yi furono papi e vescovi accusati di compiacenze e di debolezze. Quando Clemente XIV sciolse l'ordine dei Gesuiti, cedendo alle pressioni dei monarchi di allora ( e non erano certo pari ai dittatori di oggi) fu detto dagli zelanti ch'egli era venuto meno al suo dovere di resistere e difendere i diritti della chiesa e dell'ordine pii1 fedele e pii1 combattivo. Difatti, fu quello un atto di debolezza. Pensando a tutto ciò non ho, a mio conforto, che due idee fondamentali che mi d à il Vangelo; la prima cc chi vuol venire dietro di me prenda la sua croce ».La propria croce è insieme una vocazione e una mortificazione, una missione e una umiliazione. Ciascuno la propria. Noi che crediamo al dovere dei cattolici nei tempi presenti, nel testimoniare la nostra fede, nel difenderla in tutti i campi, nell'affermarla anche nella vita sociale, politica, giornalistica, anche di fronte ai dittatori di oggi e di domani, abbiamo questa ch'è nostra vocazione, nostra missione e nostra scelta. E quando avremo fatto quanto la coscienza di cristiani ci avrà comandato, non abbiamo che ripetere quel che c'insegna Gesù Cristo stesso: C Siamo servi inutili >I! Ma l'altro pensiero è ancora più alto e più infinitamente confortevole per il credente; e ci è dato dal Vangelo di oggi, in san Giovanni capo XI. Quando Gesù si appresta a sanare il cieco nato, i discepoli gli domandano: « Maestro, chi peccò, costui o i suoi parenti, perché egli nascesse cieco? » Rispose Gesù: « Né costiii né i parenti di lui; ma perché siano manifestate in lui le opere di Dio D. Se guardiamo la storia della chiesa, vedremo che tutti gli sforzi umani dei grandi e dei piccoli, dei papi, dei vescovi e dei fedeli, Eono periti; ma per mezzo loro, come per mezzo d i un cieco nato, per gli uomini di fede (non per i farisei) si manifestano sempre le opere di Dio.
LUIGISTURZO Londra, 30 marzo 1938'.
(L'Aube, Paris, 3 aprile 1938). Arch. Cart. Art. Aut. 1929-34.
I NON COMBATTENTI A BARCELLONA (*) Signor direttore, Se Barcellona è circondata dalle truppe di Franco ed è tagliata fuori dalle comunicazioni con l a Francia eccetto che per mare, i l destino della popolazione civile in un assedio con resistenza disperata, sarà tremendo. Dovrebbe essere dovere di umanità per il governo britannico, d'accordo con quello francese, prendere l'iniziativa per evacuare tale popolazione civile - sarebbe uno stupendo compito - e trasportarla i n Francia prima che sia troppo tardi. In quest'azione di pietà l'aiuto finanziario, sia pubblico che privato, dovrebbe provenire da tutti i paesi civili, che non possono mancare di rispondere ad un simile appello. Chiedere. a l generale Franco una tregua di quindici giorni al fine di effettuare tranquillamente l'evacuazione, sarebbe forse chiedergli più di quanto egli voglia concedere in un momento in cui l a vittoria sembra essergli a portata di mano. Ma egli non potrebbe rifiutare di sospendere i bombardamenti di quell'infelice popolo e di lasciargli compiere indisturbato il suo esodo verso la Francia, finché l'evacuazione fosse completata. Non voglio credere che l'Italia rifiuterebbe di appoggiare un'iniziativa di questo genere, che in nessun modo è politica ma puramente ispirata ai principi della carità cristiana. Una simile azione mi appare urgente anche per un'altra considerazione : il timore che, nell'ultima fase della resistenza d i Barcellona prima della resa - se alla resa si arriverà - e il passaggio dell'autorità dai vinti ai vincitori, elementi anarchici ed irresponsabili possono compiere atti disperati che porterebbero orrore e rovina al di 1.à di ogni precedente. La popolazione di Barcellona e del suo circondario, aumentata dai profughi, è ora calcolata a circa un milione e mezzo.
(*) Lettera al direttore del Manchester Guardian.
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Forse questo timore è privo di fondamento. Lo prospetto semplicemente come un motivo di preoccupazione e per richiamare l'atenzione dell'opinione pubblica sulla gravità del problema. Vostro
LUIGISTURZO Londra, 5 aprile 1937. (The fifanchester Guardian, Manchester, 9 aprile 1938).
NON-COMBATANTS IN BARCELONA Sir, If Barcelona is encircled by Franco's armies so as to be cut off from communication with France except by aea the fate o£ the civilian populatinn in a siege with desperate resistence will be a temble one. I t would be a duty O£ humanity for the British Government, in ageement with the French government, to take the initiative in evacuating this civilian population, stupendous task though it be, and carrying it to France before it is too late. In this work of mercy financial aid, both public and private, should be forthcoming from al1 civilised cnuntries, who cannot fai1 to respond such an urgent call. To ask Genera1 Franco for a fortnight's truce in order that the evacuation may be effected in tranquillity would be, perhaps, to ask more than he would give at a moment when victory seems to him within his grasp. But he could not refuse to wsped the bombardements o£ these unhappy people and to let them make their exodus to France undismrbed ti11 the evaciiation has beeu completed. I will not believe that Italy would refuse support to an initiative of this nature, wich is in no wise politica1 but purely inspired by principles of Christian chanty. Such action seems to me urgent also from another consideration: the fear lest, in the last phase of Barcelona's resistance between the sunender - if it should come to that - and the pasage of authority from the vanquished to the victors, anarchic and inesponsible elements may be moved to gwtures o£ dwpair which wonld bring horror and ruin beyond anything that can be foreseen. The population of Barcelona aud its surroundings, swollen by refugees, M now estimated at nearly a million and a half. Perhaps this fear is groundlws. I put it fonvard simply as a motive of preoccupation and to call the attention of pnblic opinion to the gavity of the problem. Yours Luigi Sturzo
GUARDARE ALLE
SVOLTE
Ci sono nella vita personale, come nella vita dei popoli, certi momenti decisivi; un passo avanti o un passo indietro impegna l'avvenire. Luglio 1922 i n Italia: sul finire della conferenza d i Genova (che aveva segnato una mezza tregua fra i partiti) viene ripresa l'offensiva delle squadre fasciste contro socialisti ie popolari. Questa arriva allo stadio acuto a metà luglio: il gabinetto Facta è rovesciato con 288 voti contro 103, proprio sulla questione dell'ordine pubblico. E' il momento che. si pensa ad un ministero di unione nazionale, compresi i socialisti. Questi prima tentennano, poi, cedendo agli estremisti, rifiutano la collaborazione. Ma la crisi dura, i fascisti sono minacciosi, serpeggia il movimento di malumore fra le organizzazioni socialiste, sindacaliste e comuniste. Invano V. E. Orlando cerca di combinare u n ministero d'intesa fra centro e destra, con la tolleranza dei socialisti. Egli andava ripetendo agli amici dei socialisti i l celebre motto: nec cum te nec sine te vivere v a h o ; almeno la tolleranza. Niente : l a risorsa delle organizzaioni operaie fu lo sciopero generale. La notte del 31 luglio il paese è buttato in uno sciopero generale, proposto dalle due camere del lavoro di Roma (la socialista e l'anarchica) al comitato dell'alleanza del lavoro. Questa lancia l'appello al paese, costituendo un comitato segreto per dirigere l'agitazione. I1 partito socialista (senza averne né la responsabilità né la direzione) accetta un tale sciopero che non aveva nessuno scopo pratico, tranne quello di protestare contro un gabinetto dimissionario, contro un altro gabinetto che non si poteva formare proprio per colpa dei socialisti, per protestare contro ì hscisti che non erano nel governo. Un cumulo di incongruenze politiche, dovute alla doppia anima del partito socialista: parlamentare e rivoluzionaria allo stesso tempo. L'epilogo fu la sconfitta degli operai. I popolari non aderi-
rono allo sciopero politico, sia per principio sia per timore delle gravi conseguenze a cui si andava incontro. Infatti, i fascisti ebbero la favorevole occasione di lanciare la controffensiva sulle masse scioperanti, in nome della difesa dell'ordine; e la pressione fu tale, che il comitato segreto dovette dare l'ordine di cessare lo sciopero. Le squadre armate si fecero valere in molte parti dell'alta e media Italia specialmente a Parma ; dove, nel quartiere dell'oltre torrente, vi fu un piccolo ma vivace saggio di guerra civile. La vittoria dei fascisti fu tale, che (lo confessò il segretario Michele Bianchi) presero il coraggio di tentare la scalata al potere. La marcia su Roma del 28 non sarebbe arrivata senza lo sciopero generale del luglio-agosto. Ma perché il ricorso allo sciopero? Una prima causa era data dal clima del dopoguerra: si ricorreva allo sciopero politico o per significare una protesta o per forzare la borghesia a cedere al proletariato rosso. Ogni volta che il governo italiano cedeva, creava il senso di forza delle masse e di confidenza in tale mezzo. Quindi, le masse vessate dai fascisti, non sentendosi né pronte né inclini alla guerra civile (gli episodi sporadici mostravano l a superiorità della organizzazione fascista), pensavano che solo con lo sciopera generale si sarebbe mostrata la forza del loro partito. Ma dopo tre anni di tali esperimenti, l'arma era spuntata; per di più il carattere aggressivo del fascismo era una speranza per la borghesia di tenere a posto finalmente le masse padrone delle strade e delle officine. C'è chi crede (chi scrive è di questo avviso) che nel luglio 1922 agenti provocatori della borghesia e della polizia abbiano saputo sfruttare il malcontento delle masse, orientandole verso lo sciopero generale; e che tra gli anarchici della camera del lavoro di Roma (elemento decisivo per lo sciopero) vi fossero agenti provocatori; che la decisione di un comitato segreto di agitazione fosse u n trucco per trascinare nella trappola i socialisti titubanti. I fascisti seppero tutto in tempo e poterono prepararsi in modo che all'inizio dello sciopero essi avevano tutto previsto per l'offensiva, pronti dappertutto, d'accordo con l e associazioni padronali e con la polizia.
Un episodio che pochi seppero. Nonostante il rifiuto dei socialisti, Orlando continuava gli sforzi per comporre un ministero a larga base: ostavano i giolittiani, che si mantenevano in contatto con i fascisti e con il ministero dimissionario. Al momento che Orlando crede di riprendere il mandato che gli aveva dato il r e e presentare la lista del gabinetto, apprende che, senza attendere la sua risposta, il re aveva incaricato di nuovo Facta, data la situazione peRcoIosa. E proprio per questo, tanto i miei amici popolari quanto i democratici di sinistra ( i deputati Amendola e Paratore), accettarono di collaborare con Facta. Fu la fine dell'Italia costituzionale. Questo episodio può servire a coloro che credono che la storia del passato valga a far capire le situazioni presenti: guardarsi dagli agenti provocatori; aver poca fiducia nell'efficacia degli scioperi generali a colore politico. Lo sciopero economico si comprende come mezzo estremo di pressione del lavoratore sull'imprenditore; che anche questo sia veramente un mezzo estremo è raro: l'abuso ne toglie il valore. Ma lo sciopero generale politico è sempre un errore, ed è spesso iniziato o deviato da agenti provocatori e preso in mano da elementi estremi e irresponsabili. Esso manca di logica, perché sostituisce ai mezzi legali parlamentari un mezzo rivoluzionario per poter arrivare ad una soluzione legale e costituzionale. Se la mia piccola esperienza vale qualche cosa anche per gli operai francesi, avrò adempiuto al mio dovere col dire di opporsi sempre agli scioperi generali politici. I1 primo a soffrirne è il proletariato, e più che altri, il paese.
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(L'Aube, Paris, 10-11 aprile 1938). Arch. 11 A, 6 .
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I L PARTITO POPOLARE ITALIANO (*) Signor direttore, Ho appena visto, sul The Church Tìmes de11'8 aprile, il passo che mi riguarda, dove è detto, en passant, che il Vaticano « appoggiò almeno moderatamente il partito popolare di don Sturzo in Italia, finché Mussolini non lo sciolse ». Ciò è del tutto inesatto. I1 Vaticano non prese mai il partito popolare sotto il suo patronato, e mai il partito popolare cercò il patronato del Vaticano. I1 Vaticano non ha mai fatta sua l'azione del partito popolare, e il partito popolare non fu mai uno strumento della politica vaticana. Fin dal principio, il partito popolare si dichiarò u n partito social democratico di ispirazione cristiana, basato su principi di moralità, su libertà costituzionali, civili e politiche, e presentandosi come non-confessionale. Il mio solo contatto con il Vaticano prima della formazione del partito fu con il cardinal Gasparri, segretario di stato, nel novembre e dicembre 1918 (subito dopo l'armistizio), al fine di ottenere la cancellazione del nQn expedit, che era ancora i n vigore (benché attenuato da Pio X), e che proibiva ai cattolici di prender parte alle elezioni politiche, sia come candidati che come elettori, in segno del loro rifiuto di approvare l'occupazione dello Stato Pontificio da parte della nuova Italia. I1 cardinal Gasparri mi assicurò che il non erpedit sarebbe stato tolto, e che se io pensavo di fondare un partito politico, avrei dovuto farlo sotto la mia personale responsabilità (l). I1 partito popolare venne fondato il 18 gennaio 1919; il non expedit fu tolto per ordine di Benedetto XV, i l 10 novembre 1919. pochi giorni prima delle elezioni generali di quell'anno. Ho
(*) Lertera al direttore del Church Times. ( l ) Su questo episodio cfr. G . DE ROSA, Storia del movimento cattolico i n Italia, 11: I l partito popolare italiano, Bari, pp. 3945. Cfr. anche C . SFORZA,o p . cit., p. 77.
scritto di ciò nel mio libro Italia e fascismo e in un articolo pubblicato da E1 Mati del 29 dicembre 1934 (l). So che socialisti, fascisti, e alcuni vecchi democratici liberali italiani, parlando del partito popolare anche oggi lo definiscono una longa manus del Vaticano. Ciò faceva parte della loro tattica polemica nella lotta contro il partito popolare, dal momento in cui nacque fino a quando venne sciolto.
LUZGISTURZO (The Church Times, London, 29 aprile 19.18).
THE ITALIAN POPULAR PARTY Sir.
I have only just seen, in The Church Times o£ Apri1 8, the passage concerning me, where it is said, en passant, that the Vatican u at least mildllpatronized Dom Sturzo's Popular Party in Italy, unti1 Signor MussoIini destroyed it D. This is quite incorrect. The Vatican never took the popular Party under its patronoge, and never did the Popular Party seek the patronage of the Vatican. The Vatican never made the policy o£ the Popular Party its own, and the Popular Party nas never an instrument o£ Vatican policy. Right from the first, the Popular Party declared itseif a social democratic party o£ Christian inspiration, taking its stand on principles o£ ixorality, on constitutional liberties, civil and political, and presenting itself as non-confessional. My only contact with the Vatican before the formation o£ the party was with Cardinal Gasparri, the Secretary of State, in November and December, 1918 (just after the Armistice), in order to obtain the withdrawal o£ the non expedit, wich was still in force (thought attenuated by Pius X), and which forbade Catholics to take part in political elections, either as candidata or electors, in sign o£ their refusal to approve the occupation o£ the Papa1 States by the new Italy. Cardinal Gasparri assured me that the non expedit would be withdrawn, and that if I thought fit to form a political party, I could do sa on my own personal responsability. The Popular Party was founded on January 18, 1919; the non expeclit
(l) v. L. Sturzo, Italia e Fascismo, Bologna, 1965, pp. 84-85 e Miscellanea Londinae, vol. 111, Bologna 1969,' pp. 110-114.
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was withdrawn by order of Benedict XV, on November 10, 1919, a few days before the genera1 elections of that year. O£ this I wrote in my a Italy and Fascismo N (Faber and Gwyer, 1926), pp. 94-96, and in an article published by the Catholic Rerald on January 12, 1934. I know that Socialists, and some old Democratic Liberals o£ Italy, in spcaking of the Popular Party even to-day, classify i t ae a longa manus o£ the Vatican. This was part of their polemica1 tactis in their stmggle against the Popular Party, from the time it was born, and even since i t has disappeared. Luigi Sturzo
L'ORDINE INTERNAZIONALE (PACTA SUNT SERVANDA) La base dell'ordine internazionale fu ribadita da Benedetto XV nella celebre Enhortation à la paix del lo agosto 1971 (l), quando disse « Tout d'abord l e point fondamenta1 doit Etre qu'à la force materielle des armes soit substituée la force morale du droit )). Tutta la spinta della civiltà (quella antica e quella cristiana) per la vita sociale di ogni singolo stato e della comunità degli stati, è data da questo principio. Ogni volta che esso è abbandonato, si cade nel disordine e nella barbarie, tutte le volte ch'è violato, si commette una ingiustizia. E' impossibile costruire una società cristiana, senza l'osservanza di questo principio. E' impossibile creare un ordine stabile e ottenere un progresso sicuro, senza questo principio. Oggi: al contrario di quel che si aspettava dopo la grande guerra, siamo in un momento tragico del17Europa e del mondo, perché il principio opposto è quello che va prevalendo presso popoli civili e cristiani: la forza è un diritto, la violenza è legge. Quale difesa hanno i deboli contro i forti, se i l diritto non è
(I)
Cfr. la nota all'articolo n. 41, p. 132.
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più rispettatoa? Quale ordine è possibile in una società dove la violenza delle armi ha l'ultima parola? I piccoli stati oggi si armano anch'essi, togliendo milioni e miliardi ai miglioramenti civili, culturali ed economici del paese, perché pensano che potranno anch'essi divenire preda dei più forti; almeno combattendo rivendicheranno il diritto all'esistenza. Così il Belgio, l'Olanda, la Svizzera, la Danimarca, la Svezia e la Norvegia e gli stati baltici. Le speranze poste nella Società delle nazioni e nel patto Kellog Briand sono cadute, per colpa di tutti gli stati grandi e piccoli. Essi non ebbero fede nel valore del diritto, nella solidarietà internazionale basata sul diritto anche con proprio sacrificio, e sono ricaduti nella corsa agli armamenti, ch'è la rivalutazione della forza. Tutta la costruzione internazionale dipendeva dal disarmo, che lo stesso Benedetto XV aveva posto al secondo luogo della sua ricostruzione mondiale: « d'où un juste accord de tous pour la diminution simultanée et réciproque des armements selon des règles et des garanties à établir, dans la mesure nécessarie et suffisante au maintien de I'ordre puhlic en chaque état D. Come avere fiducia nel diritto e allo stesso tempo, da un lato, armarsi fino ai denti, e dall'altro, pretendere che i paesi presunti nemici fossero disarmati? Così fece la Francia alla conferenza del disarmo nel 1932, quando volle mantenere intatte le clausole militari del trattato di Versailles a danno della Germania e perpetuare, con il pretesto del disarmo, uno squilibrio permanente fra gli stati europei. La situazione fu rovesciata; e la denunzia unilaterale delle dette clausole militari del trattato d i Versailles ne fu la conseguenza logica. Ora tutto il mondo si riarma febbrilmente e costruisce fortificazioni e prepara la distruzione del mondo civile per la prossima guerra. L'Inghilterra, che aveva disarmato in parte e unilateralmente, da due anni non fa che recuperare il tempo perduto e. fabbricare armi, buttandovi miliardi di sterline, come in un abisso. Si paga caro l'abbandono del diritto! a Pacta sunt servanda »: è questo il motto della sapienza antica. ALlora i patti si stipulavano per darvi un carattere sacro
e inviolabile. 1 violatori dei patti erano empi, perché mancavano di rispetto alla divinità che avevano chiamato a testimoniare e sanzionare i patti. Oggi i patti sono pezzi di corta. Chi non ricorda lo scandalo internazionale, quando Bethmann Hollweg nel 1914 pronunziò la celebre frase a proposito dell'invasione del Belgio, la cui neutralità era garantita dalla Germania? Ora si può violare qualunque patto e nessuno più protesta, e tutti si accomodano facilmente al fatto compiuto. Ma insegnava Pio IX: [E' falso che] nell'ordine politico i fatti consumati, per ciò stesso che sono consumati, abbiano vigore di diritto n (Quanta cura, 8 dicembre 1864). Per trovare un esempio classico del rispetto del diritto contro i l fatto compiuto, bisogna ricorrere ad una potenza mussulmana, quando il sultano di Costantinopoli non volle riconoscere la spartizione della Polonia. E' bella la scena che si ripeteva per anni, al ricevimento degli ambasciatori accreditati presso la Sublime Porta: l'usciere chiamava ad uno ad uno gli ambasciatori : Ambasciatore della Polonia!, e dopo un silenzio aggiungeva : assente. Non voglio dire che il sultano di Costantinopoli avesse proprio la cura di tutelare il diritto meglio che il re d'Inghilterra o quello di Francia ; ma quando una voce si leva (anche se mossa da ragioni secondarie) a favore del diritto conculcato, essa risponde al bisogno di giustizia, di cui ha sete l'anima umana, naturalmente cristiana. « Beati quelli che han fame e sete della giustizia, perché saranno saziati D. Così nel Vangelo di san Giovanni. La promessa di Gesù non viene meno. Ma bisogna sentirla questa fame e sete di giustizia, nella vita privata e nella pubblica, nel proprio intimo e nei rapporti con il prossimo; altrimenti come poter essere saziati ? L'osservanza dei patti è fondamentale nella vita dei popoli. Scriveva Pio X: « Tous les traités que les états concluent entre eux sont des contrats bilatéraux qui obligent de deux cotés; et la règle de ces contrats c'est qu'ils ne peuvent en aucume manière +tre annulés par le fait de l'une de deux parties ayant contracté. Pour la sécurité réciproque de leurs rapports mutuels, rien n'in-
teresse autant les nations qu'une fidélité morale dans le respect sacré des traités » (11 febbraio 1906). Non è detto clie i trattati non possano rivedersi. migliorarsi, riformarsi. E' nella natura delle cose umane questo adattamento alle situazioni cambiate. Ma come è per la volontà delle parti che un trattato viene stipulato, così per la stessa volontà dorrà essere modificato. Non è lecito all'una parte rompere il patto, sol perché non le giova in un dato momento. Recentemente, abbiamo con piacere appreso la modifica pacifica fatta da tutti gli interessati al regime dei Dardanelli e alle capitolazioni in Egitto. Purtroppo quel che vi è da lodare di tali stati a popolazione mussulmana ( i n grande maggioranza) non v'è da lodare in altri stati a popolazione in maggioranza cristiana. Perché oggi il ricorso alla guerra? I1 patto della Società delIe nazioni e il patto Kellogg-Briand, se osservati, avrebbero eliminato il 99 per cento di casi di guerra. La colpa è proprio nella non osservanza di tali patti. C'è una specie di voluttà, in certe sfere dell'opinione politica mondiale, a denigrare Ginevra, a svalutarne i l patto, a esaltarne le violazioni, ad abolire ogni idea di comunità internazionale. Eppure, presto o tardi, vi si deve ritornare, se non si vorrà cadere nell'abisso di una nuova guerra mondiale. Si devono rivalutare il diritto, come espressione concreta della morale pubblica ; i patti come mezzi di un ordine politico internazionale stabile; la comunità degli stati come solidarietà dei popoli nella legge naturaIe e nello spirito cristiano.
LA RISPOSTA DI FRANCO La Reuter del 9 maggio pubblicava un comunicato ufficiale di Burgos dove è detto: u noi non accetteremo mai alcuna soluzione della guerra civile che non sia la resa incondizionata >).
Sicurezza della vittoria? Fiducia nella propria causa? Nuove e ripetute assicurazioni da Roma durante la visita di Hitler? Mezzo per screditare l'avversario, facendo credere ch'egli solleciti u n armistizio? La cosa più probabile è che volendo ignorare la recente conferenza tenuta a Parigi dai tre comitati per la pace in Spagna ( i l comitato spagnolo, quello francese e quello britannico), e l'appello fatto per la mediazione e l'armistizio ai governi francesi e inglesi, il comunicato di Burgos fa stato di oscure manovre del governo repubblicano di Spagna a Ginevra, manovre fin oggi rimaste sconosciute al gran pubblico, e forse del tutto inesistenti. Ad ogni modo, o per la conferenza di Parigi o per le « manovre r> di Ginevra, il problema dell'armistizio i oggi posto di nuovo davanti l'opinione pubblica, in una maniera più precisa e più pressante. Le lettere pubblicate dal Times, quella di Jacques Maritain il 7 maggio e il 9 maggio quella del vescovo anglicano di Gibilterra (Harold Buxton), hanno ridestato l'interesse politico degli ambienti inglesi. La ragione ne è chiara. Con l'accordo anglo-italiano, Neville Chamberlain, non volendo scostarsi dalla politica del non intervento, ha insistito con l'Italia per il ritiro dei volontari. Ma purtroppo questa iniziativa (vecchia di più di iin anno) non potrà essere realizzata per difficoltà di ordine politico, psicologico e tecnico. Perciò Chamberlain ha voluto farsi ripetere dal governo fascista la promessa che, in ogni caso, il ritiro delle truppe avverrà a guerra finita. Per quanto Chamberlain voglia passare per « realista D, non può fare a meno di sentire la pressione dell'opinione pubblica, sempre più contraria a lasciare la Spagna sotto l'impresa di Roma e Berlino. Che fare? I1 ritiro dei volontari e delle munizioni, fin che dura la guerra non sembra realizzabile. La vittoria di Franco fra quindici giorni (come credevano gli « ottimisti » ai primi di aprile) è cosa assolutamente senza base. Lo stesso Times, appena firmati gli accordi anglo-italiani, ha fatto sapere ai suoi lettori che Franco non potrà porre fine alla guerra prima dell'estate e forse anche all'autunno venturo. Se gli Stati Uniti tolgono l'embargo alle armi, il colpo mo-
rale e politico va risentito in Inghilterra più che in Francia. C'è chi prevede una guerilla, che va già organizzandosi, e che prolungherà in Spagna lo stato di guerra, anclie dopo clie Franco controllerà (se ci arriva) tutte le provincie spagnole. In tal caso, Italia e Germania avranno buon gioco per non ritirare l e loro truppe e inviare nuove munizioni. E la Russia farà lo stesso dall'altro lato, mentre non vi mancherà un contrabbando attivo (come in ogni guerra). Tutto sommato, la Spagna è là con le sue incognite, ad alterare la vita europea, a creare motivi di agitazioni e di preoccupazioni, e turbare l'equilibrio delle forze nel Mediterraneo. Perché le potenze interessate, Francia e Gran Bretagna, rifiuteranno u n passo di conciliazione? Perché rifiuteranno di offrire la mediazione fra i combattenti? Si dice : Franco rifiuterà ; Barcellona rifiuterà Adagio : se Roma e Berlino troveranno conveniente mettere fine alla guerra spagnola, Franco ceder,&;se la Russia sarà persuasa che la resistenza del governo spagnolo non potrà durare più di sei mesi, non si opporrà ad un armistizio, anche se non del tutto soddisfacente. Quel che deve preoccupare governi e ceti dirigenti è che so10 una conciliazione potrà portare la pace al popolo spagnolo, e rifare l'equilibrio internazionale. Ogni altra soluzione (compresa l a vittoria di Franco) non sarà che una illusione di pace e d i accordi; porterà in sé la tragedia di tutte le paci per vittorie schiaccianti, che contengono il germe amaro della disfatta. Cosa che oggi sanno per prova Inghilterra e Francia, vittoriose nel 1918. Se esse accettavano le proposte di Benedetto XV, avrebbero salvato l'Europa. Dopo fu troppo tardi.
...
(Popolo e libertà, Bellinzona, 30 aprile 1938).
48. LA GUERRA E' FATALE?
La guerra è sempre volontaria da parte dell'aggressore, ed 148
è sempre consentita (almeno nelle cause e nella responsabilità)
da parte dell'attaccato. Per questa ragione, la guerra non è fatale. Pertanto, una volta che essa scoppia, porta con sé le cause di nuove guerre. Ma gli uomini, se vogliono, possono fermare la guerra, possono interrompere la serie delle guerre. Certo, se lo vogliono. I1 difficile è fermare una guerra i n corso, allontanare una guerra che sta per scoppiare, interrompere la catena di guerre che si susseguono o si accavallano. Bisogna fermare la psicologia della pace, che ha l a meglio sulla psicologia della vittoria o sulla psicologia della rivincita. Dio ci ha dato due forze perché ne usiamo bene: la forza morale dev'essere anch'essa appoggiata dalla forza materiale e quella morale. La prima non può essere scompagnata dalla seconda senza perdere ogni valore umano. Ma la forza morale deve essere anch'essa appoggiata dalla forza materiale, in modo subordinato e condizionato, per arrivare al suo scopo. E' famosa la frase di Pascal: « I1 giusto dev'essere forte e il forte dev'essere giusto D. Essa può esser presa come l'ideale di pace in un sistema collettivo. Ma quando queste due forze, la materiale e la morale, sono divise ed opposte, bisogna schierarsi dalla parte della forza morale, anche contro la forza materiale. Talvolta con lunghe deviazioni, per vie provvidenziali che non conosciamo, la morale finirà per trionfare sulla forza materiale. I1 sacrificio della persona che soffre e s'immola per un bene collettivo (per i fratelli, come dice il Vangelo) è una forza morale tale da vincere il mondo. I1 sacrificio, come olocausto al bene, è e non può essere che un olocauqsto a Dio, il sommo bene. Ne deriva un valore superiore ai valori umani - d'ordine fisico e d'ordine razionale - per arrivare ai valori mistici. I1 sacrificio per il bene ha un valore mistico, valore tanto più grande quanto più è vicino alla fonte di ogni bene. L'appello contro la guerra che viene lanciato oggi può sembrare un discorso vano, mentre tutto congiura per portare alla guerra, mentre la sentiamo battere alla porta, e vediamo che i preparativi sono tali da farci chiedere se, fra qualche giorno.
non saremo preda delle fiamme. Ma è il momento di denunciare tutte le false teorie della guerra, di alzare una voce chiara, in nome del cristianesimo, religione d'amore, contro tutti gli odi di razza, di popoli, di classi; d i fare appello a i fratelli di tutto il mondo, perché tale religione domini i governi e l'opinione pubblica, affinché vengano risolti pacificamente i vari problemi risultanti dalla guerra e acuiti da nuove guerre. Oggi in tutti i paesi l'opinione pubblica è divisa a favore di questa o quella parte dei combattenti di Spagna, per ideologia, interesse, simpatia. Ciò basta a introdurre negli animi una rivalutazione della guerra, dei suoi fini, dei suoi pretesi vantaggi, ed a prepararci alle peggiori avventure. Bisogna essere convinti che l a guerra non risolve alcun problema concreto, che aggrava tutte le situazioni e che crea nuovi e più gravi problemi internazionali. Chi ha vinto l a grande guerra ? Gli stati dell'Intesa hanno creduto di essere vittoriosi: eccoli già sotto l a minaccia di una nuova guerra, rovinati economicamente, sconvolti moralmente. I1 vinto di ieri si leva, come il gigante che ha toccato l a terra, per esigere la r i f ncita. Davanti ai pericoli che minacciano l'umanità, piuttosto che cercare nelle pieghe dell'etica di guerra le ragioni che militano p e r ogni caso (come oggi in Spagna), per giustificarla come necessaria, anche se è una guerra preventiva; come unica risorsa di difesa, anche se è una guerra di rivolta; come mossa da un ideale religioso, anche se viene combattuta a fianco di eretici e pagani; bisogna affrontare la marea che sale, ed avere il coraggio delle proprie conviniioni. Tutti dicono di volere l a pace ; ognuno proclama il bene della pace; ma come lavorare veramente per l a pace? La pace non può essere che il frutto di un consenso, di una cooperazione sincera, di un amore della verità, di u n rispetto della giustizia. La pace, nei paesi di civiltà cristiana, non può essere che una pace cristiana; pace che deriva dal duplice precetto fondamentale della vita cristiana: l'amore di Dio e l'amore del prossimo. La pace fra i popoli non può venire che da una concezione etica internazionale, quale quella proclamata da Benedetto XV
nella sua esortazione ai capi degli stati belligeranti, del loagosto 1917: « Anzitutto, il punto fondamentale dev'essere che alla forza materiale 'delle armi venga sostituita la forza morale del diritto n. Coloro che, oggi, impiegano tutti i mezzi per rovinare la Società delle nazioni - debole, ma tuttavia piena di promesse coloro che approvarono le guerre di Abissinia e di Spagna, avranno una pesante responsabilità davanti a Dio e davanti agli uomini. Gli altri, i convinti come noi, dovranno fare di tutto per cooperare alla rinascita dello spirito cristiano di pace, poichè la guerra non è mai fatale. (Acant Garde, Bruxelles, 27 maggio 1938).
LA GUERRE EST-ELLE FATALE? La guerre est toujours uolontaire du c6té de l'agressctir; elle est toujours consentie (au moins dans les caiises et dans la responsabilité) du c6té de I'attaqué. Pour cette raison, la guerre n'est pas fatale. Pourtant une fois qiie la guerre arrive, elle porte avec elle les causes de nouvelles guerres. Mais les hommes, s'ils le veulent, peuvent arreter la guerre; ils peuvent rompre la série des guerres. Oui, s'ils le veulent. Ce qui est difficile, c'est d'arreter une guerre en. cours; d'eloigner une guerre qui est sur le point d'arriver; de rompre la chaine des guerres qui se suivent ou se chevauchent. I1 importe de former la psychologie de la paix, qui prime la psychologie de la victoire ou la psychologie de la revanche. Dieu nous a donné deux forces pour que nous en usions bien; la force matérielle et la force morale. La première ne peut &tre pas accompagnée de la seconde sans perdre toute vaieur humaine. Mais la force morale doit Gtre, elle aussi, appuyée par la force matérielle, de manière suhortlonnée et conditionnelle, pour arriver à sa fin. Cette phrase de Pasca1 est célèbre: i1 I,e jiiste droit etre fort et le fort doit ;tre juste ». Une telle phrase peut Gtre prise comme l'idéal de paix dan un système collectif. Mais quaud ces deux forces, la matérielle et la morale, eont divisées et opposées, il fant se ranger du c6té de la force morale, meme contre la force maténelle. Avec de longs détours parfois, par le voies providentielles &e nous ne connaissons pas, la morale finira par triompher de la fnrre matérielle. Le sacrifice de la personne qui souffre et s'immole pour un bien collectif (pour les frères. comme dit lmEvangile)est une force morale telle qu'elle vainc le mondr.
Le sacrifice, comme holocauste au bien, est et ne peut &tre q u h n holocauste à Dieu le souverain bien. Il en découle une valeur supéneure aux valeurs humaines - d'ordre physique et d'ordre rationnel - pour arriver aux valeura mystiqua. Le sacrifice pour le bien a une valeur mystique, valeur d'autant plus grande qu'elle se rapproche de l a source de tout bien. L'appel contre la guerre qu'on lame aujourd'hui peut sembler un vain discours, tandis que tout conjure à porter à la guerre, tandis que nous la sentons battre à notre porte, et quc nous voyons que les préparations sont tellea que nous demandom si nous ne serone pas, dam quelques joura, la proie dea flammes. Mais C' est l e moment de dénoncer toutea lea faussea théories de la guerre, d'élever une voix claire, au nom du Christianisrne, religion d'amour, contre toutes les haines de races, de peuples, de classes; de faire appel aux frères de tout le monde, pour qu'elle domine lea gouvemements et l'opinion publique, afin que soient iésolus pacifiquement l e . divers problèmes résultant de Ia guerre et rendua plus aigus par de nouvelles guerres. Aujourd'hui, dans tous les pays, l'opinion se partage en faveur de l'une ou de l'autre partie dea combattants dxspagne, par idéologie, intéret, sympathie. Cela s u 6 t à mettre dans les esprit une revalorisation de la guerre, de aes fins, de serr prétendus avantages, et à nous préparer aux pires avventures. I1 faut &tre convaincu que la guerre ne réssout aucun problème concret, qu'elle aggrave toutes la situations et qu'elle crée de nouveaux et plus graves problèmes internationaux. Qui a gagné la Grande Guerre? Les Etats de l'Entente ont c m &tre victorieur: la voilà, dejà, sous la menace d'une nouvelle guerre, ruinés économiquement, bouleversées moralement. Le vaincu d'hier se lève, comme le géant qui a touché la terre, pour exiger la contre-partie. Devant les périls qui menacent l'humanité, plutot que de chercher dans lea plis de l'éthique de la guerre les raisons qui militent pour chaque cas (comme anjourd'hui en Espagne), afin de la justifier comme nécessaire, meme si c'est une guerre préventive; comme unique ressource de défense, méme si c'est une guerre de révolte; comme mue par un idéal religeux, mème si elle est combattue avec des hérétiquea et des paiens; il faut faire face à la maré qui monte, et avoir le courage de ses proprea convictions. Tout le monde dit vouloir la paix; chacun proclame le bien de la paix; mais combicn travaillent vraiment pour la paix? La paix ne peut &tre que le fruit d'un consentement, d'une coopération sincére, d'un amour de la vénté, d'un respect de la justice. La paix, dans lea pays de civilisation chrétienne, ne peut ètre qu'une paix chrétienne; paix qui dénve du doul>le précepte fondamenta1 de la vie chrétienne: L'amour de Dieu et l'amorir du prochain. La paix entre la peuples ne peut venir que d'une conception éthique internationale, telle celle ~roclaméepar Benoit XV dans son exhortation
a8x che& des états belligerants, du le' aoiìt 1917: u Tout d'abord, l e point fondamenta1 doit ;tre qu'à la force matérielle des armw soit substituée la force morale du droit D. Ceux qui, aujourd'hui, emploient tous les moyene pour ruiner la Société des Nations - faible, mais pourtant pleine de promesses - ceua qui approuvèrent les guerres d'Abyssinie et d'Espagne, auroùt une lourde responsabilité devant Dieu et devant les hommes. Les autres, les convaincue comme nous, devront tout faire pour coopérer à la renaissance de l'espnt chrétien de paix, car la guerre n'est jamain fatale.
VENTIDUE MESI DI GUERRA IN SPAGNA
E' assai difficile fare il conto delle perdite di guerra, quando le due parti hanno solo interesse di far della propaganda all'estero, per guadagnare simpatie dal proprio lato e, per compenso, ostilità o almeno diffidenza per il lato opposto. F r a tutti i dati che ho letto, quelli della United Press pubblicati in questi giorni mi sembrano i più attendibili. In ventidue mesi di guerra: morti civili e militari dai due lati circa 4$80 mila, diminuzione della riserva aurea e distruzione di beni, per un totale di 50 miliardi di pesetas-oro. Da aggiungere una emigrazione all'estero o dispersione di popolazione fra le provincie spagnole, più di 400 mila e almeno 400 mila nelle prigioni. Un anno fa, il cardinale di Toledo parlava di mezzo milione di vittime; e il Daily Telegraph, pure un anno fa, portava i morti a P00 mila. Alcuni spagnoli mi hanno parlato di u n milione di morti: ma credo che esagerassero. Anche alla cifra di 480 mila della United Press farei qualche riduzione. Ma 400 mila o 500 mila morti, suona pressochè lo stesso. Si tratta di cifre enormi, che sono indice di tutte le altre sofferenze e atrocità della guerra, addirittura impensabili. Quanti i feriti? Quanti i feriti non curati o non curati bene? Quante le famiglie rovinate? Le miserie? Le fami? Le malattie? Strana guerra! ad ogni periodo si è creduto che Franco fosse
alla vigilia della vittoria definitiva, o quasi; e dopo poco si è avuta l'impressione che la guerra si prolungasse indefinitamente. Così nel 1936: agosto a Toledo, novembre sotto Madrid; nel 1937: febbraio a Malaga, marzo di nuovo a Madrid (Guadalajara); giugno a Bilbao, luglio a Santander; ottobre a Gijon, novembre a Oviedo; nel 1938: gennaio a Teruel, aprile a Barcellona. Lo stesso Times pochi giorni fa confessava che ai primi di aprile (durante le trattative anglo-italiane) si credeva che fra sei settimane la guerra sarebbe finita ; ma oggi pensa che si arriverà a ottobre o forse anche più in là. Questa specie di supplizio di Tantalo, cli'è dato non solo a Franco ( i l quale si crede sicuro della vittoria finale), ma a tutti quelli che in Inghilterra e altrove vorrebbero averla finita con la guerra di Spagna; questa pena di supplizio di Tantalo che allontana la vittoria come più si crede vicina, è una delle cause psicologiche del prolungamento della guerra. Dicono i franchisti: ecco, poche settimane ancora, e tutto è finito; inutile il ritiro delle truppe, inutile la mediazione; la vittoria arriverà prima che lord Plymouth metta d'accordo le potenze del comitato di non intervento; o che un mediatore possa tentare l'accordo tra Burgos e Barcellona. Dicono i governativi: - No pasaran! » avete visto Madrid? vedetc ora Barcellona? Di 1.à ci sono italiani, tedeschi, mori. carlisti, falangisti; di qua c'è il popolo spagnolo: sei o diecimila volontari stranieri non contano di fronte a ottanta o centomila stranieri dall'altro lato. Eppure? Dov'è la vittoria di Franco ? Uno spagnolo intelligente, colto, e molto bene informato da parte del governo repubblicano, mi diceva l'anno scorso, quando io scrissi la prima lettera al Times per una tregua (25 maggio 1937); « La guerra civile durerà almeno tre anni D. Del resto, chi credeva nel 1915 che la grande guerra sarebbe durata quattro anni e tre mesi? Così, i l conto delle perdite dei primi ventidue mesi, fatto dalla United Press, arriverà forse a N un milione di morti, 100 miliardi di pesetas-oro di perdita, un milione di déracinés e - perchè no? - un milione di prigionieri a ?
Quale, dopo ciò, il vantaggio che potrà cavarne l a Spagna? Prima ipotesi: vittoria d i Franco. Perchè egli possa dominare la parte vinta, dopo tanto sangue sparso, dovrà ricorrere alla dittatura. Chi sa cosa sia una dittatura oggi, quale in Italia, in Germania, in Austria, comprenderà che anche la Spagna diventerà uno stato, come si dice oggi, totalitario. I vescovi spagnoli, nella loro lettera collettiva del luglio scorso, dicevano di confidare nella prudenza degli uomini a capo del governo detto « nazionale », « qui ne voudriient pas accepter de moule étranger pour I'état espagnol futur ». Ma recentemente. La Croix di Parigi scriveva: « les sympathies d u général Franco pour I'Allemagne sont particulièrement vives; l e chef nationaliste espagnol ne l e cache pas. Elles s'expliquent par la situation politique. Mais les catholiques se préoccupent, à juste titre, des rapprochements culturels entre franquistes et hitlériens 1). Appena Franco ha posto piede in Catalogna, si è affrettato a far decretare dal suo governo l'abolizione dello statuto regionale catalano, come ha già £atto per lo statuto del popolo basco. Si crede che baschi e catalani non tenteranno la rivincita al primo momento? E perciò Franco metterà baschi e catalani allo stesso livello cui Hitler in Austria mette ebrei e cattolici. Seconda ipotesi : vittoria dei repubblicani. I1 presidente Négrin (l) nel suo comunicato del 2 maggio ha fissato le condizioni di una futura Spagna repubbl'icana : a un plebiscito nazionale con le più piene garanzie di libertà; tutti i diritti civili e sociali ai cittadini, con libertà di coscienza e di religione; l e libertà regionali attuali senza diminuizioni; garanzie p e r il diritto di proprietà; l e riforme agrarie; completa amnistia a tutti gli spagnoli, che vorranno cooperare alla ricostruzione del paese D.
(l) Jnan Negrin (n. 1887), uomo politico spagnolo, socialista, fu nel 1936 ministro delle finanze nel governo di Largo Caballero e l'anno dopo guidò il governo repubblicano di Valenza. Esule a Parigi e Londra nel 1939, fu a capo del governo spagnolo in esilio.
Per quanto non voglia mettere in dubbio la parola del presidente Negrin, pure non tutte le promesse del tempo di guerra sono mantenute in tempo di pace. Si potrà anche supporre che se vincesse il governo repubblicano vi sarebbe in Spagna o dittatura o anarchia, almeno per un certo tempo. Nè è a credere che generali, ricchi proprietari e preti sarebbero risparmiati. Al punto in cui siamo, la guerra all'interno continua e continuerà fino all'esaurimento, non perchè la Spagna se ne potrà avvantaggiare moralmente o politicamente, ma perchè le due parti in lotta, e i loro capi, temono la vittoria dell'avversario e la propria disfatta che sarebbe il proprio annichilimento personale e politico. Non resta che la terza ipotesi: una pace di coneiliaziono, per la mediazione delle potenze. Tutti dicono: è impossibile. I1 governo di .Franco ha dichiarato: « Non accetteremo alcuna soluzione della guerra civile che non sia resa incondizionata » (Burgos, 9 maggio). I1 governo di Negrin perderebbe ogni potere se dicesse di accettare una mediazione. Aspettare una adesione preventiva o l'espressione di un desiderio di mediazione dai combattenti, sarebbe un non senso. I1 combattente deve credere alla vittoria, o almeno all'utilità del suo sacrificio, fino all'ultimo minuto e fino all'ultima cartuccia. Sono le potenze quelle che dovranno preparare la mediazione. E forse i l momento è venuto. Mussolini non ne può più della Spagna che gli costa vite e denari; la guerra spagnola non è popolare per l'Italia, e le truppe italiane non sono popolari in Spagna. Egli vorrebbe una vittoria di Franco sollecita e definitiva e se la prende con la Francia. Questa ha i suoi interessi da salvaguardare sui Pirenei e nel Mediterraneo. La soluzione di una pace di conciliazione, che eviti i bolscevichi a Barcellona e i tedeschi a Bilbao, non sarebbe utile alla Italia e alla Francia? E non sarebbe ideale per la Spagna? E' da sciocco nascondere tutte le difficoltà di tale soluzione; ma dopo u n anno di inutili tentativi per i l ritiro dei volontari, è certo arrivato il momento del tentativo di una mediazione, oggi che l'idea di una rapida vittoria sembra di già scontata. Tanto più, che con il ritiro dei volontari, l e potenze interessate non
vogliono compromettere le loro posizioni pro o contro i due combattenti; mentre con il tentativo di mediazione sì saprà a priori dove si vorrà arrivare. Psicologicamente e politicamente l'orizzonte ne sarebbe chiarito. E questo sarà gran vantaggio per il futuro della Spagna e dell'Europa. Londra, 28 maggio 1937.
(Popolo e libertà, Bellinzona, 30 maggio 1938).
L'INGHILTERRA E IL RIARMO La Francia, si sa, non ha mai diearmato e dalla guerra in poi ha sempre mantenuto e migliorato il suo esercito per paura della Germania. Ma l'Inghilterra, perchè essa riarma così d'avere in un anno speso più di mille milioni di sterline? Non certo per paura della Francia: Mac Donald, Baldwin, Chamberlain hanno ripetuto ad ogni momento che solo per difendere la Francia e il Belgio l'Inghilterra entrerà in guerra. Difenderla da chi? Dagli Stati Uniti d'America? ... dalla Grecia? dalla Turchia ? Capperi! Difenderla dalla Germania, si capisce. L'Inghilterra si riarma in previsione di una guerra provocata dalla Germania. Non basta. L'Inghilterra ha i suoi interessi. Chi turba o può turbare oggi o domani gli interessi dell'rnghilterra? Non più l'Olanda del secolo XVI, non la Spagna del secolo XVII, non la Francia del secolo XVIII. Capperi! È l'Italia nel Mediterraneo o nel mar Rosso; è il Giappone nel Pacifico che possono dare noia all'hghilterra. « Pss! non parliamo del triangolo Berlino-Tokio-Roma ( l ) ;
...
(l)
Si riferisce all'alleanza italo-tedesca-nipponica sottoscritta nel 1937
(cfr. nota all'artieoln n. 28, p. 91).
noi non vogliamo dividere il mondo su delle ideologie. Noi vogliamo la pace con tutti; però armiamo: che ci assalirà saprà che noi resisteremo fino in fondo ».Così l'inglese medio, l'inglese rispettabile, l'inglese tradizionale. Purtroppo, l'eventuale nemico dell'hghilterra è dalla parte del triangolo: occorre prepararsi a trattare. Politica saggia: trattare e prepararsi D. Però, se l'eventuale nemico è d i là, sarebbe saggio non rafforzarlo, non incoraggiarlo, non fargli fare dei guadagni pregiudizievoli per la futura guerra. ,Vediamo un poco : la Germania dall'unione con l'Austria ha guadagnato posizioni strategiche, vantaggi economici a almeno 800 mila soldati ('). Quando la Germania arriverà a superare la partita diplomatica che si gioca attualmente, e annettersi i tre milioni di sudeti, saranno altri 500 mila soldati e altri vantaggi economici e strategici. Quando l'Ungheria e la Rumenia saranno definitivamente sotto la sua influenza, essa avrà grano e petrolio che le mancano e avrà lo sbocco sul Mar Nero e la gravitazione su Berlino di tutti gli stati balcanici. Quando l'Italia e la Germania avranno guadagnato l a partita in Spagna, si troveranno un alleato militare sicuro per il caso di guerra, che metterà a loro disposizione i porti di Spagna, del Marocco, delle Baleari, delle Canarie, e ostacolerà le truppe francesi sui Pirenei. Se il Giappone arriverà a stabilirsi- in Cina e avrà alterato l'equilibrio del Pacifico, minaccerà i possedimenti inglesi, così come quelli francesi e olandesi. I n tali condizioni, nel caso di un conflitto, lo sforzo militare, politico ed economico dell'hghilterra e della Francia dovrà raddoppiarsi o triplicarsi. Allora, Inghilterra e Francia invocheranno l'aiuto dei piccoli stati, in nome della sicurezza collettiva;
( a ) I1 13 marzo 1938 le truppe naziste entrarono in Austria, che cessava di vivere come stato indipendente e veniva annessa aila Germania (Awehlws) diventandone una provincia con il nome di Ostmarck. Un plebiscito, il 10 aprile 1938, avallò l'annessione con il 99% dei voti a favore.
ma i piccoli stati risponderanno che la sicurezza collettiva fu abbandonata. Allora, Inghilterra e Francia si ricorderanno che a Ginevra esiste una Società delle nazioni per proclamare la giustizia della loro guerra; ma la Società delle nazioni sarà sparita insieme alla giustizia internazionale, l'una e l'altra tradite. Allora Inghilterra e Francia invocheranno i principi morali e cristiani della vita internazionale; ma troveranno i propri cittadini divisi sui principi e sulle applicazioni, trascinati ad una guerra senza ideali, che non sarebbe più l'ultima guerra dei sogni passati, ma una guerra di distruzione per i vincitori e per i vinti. Sarà questo il prezzo del tradimento della morale internazionale. Londra, 17 giugno 1937. (Popolo e libertà, Bellinzona, 18 giugno 1938).
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I RIFUGIATI POLITICI
( A proposito della conferenza di Evian) I1 problema dell'emigrazione politica si è posto dopo la grande guerra in una maniera inattesa straordinaria e tragica. La prima fase fu quella che chiameremo di nazionalità: caratteristica del medio oriente, quando greci, bulgari, turchi, armeni, assiri, furono costretti da un'insensata politica nazionale a lasciare i propri focolari, per raggiungere il territorio dello stato della stessa nazionalità, o centri affini di stati amici, operando quello scambio di popolazioni, sotto gli occhi delle nazioni dette civili dell'Intesa, che fu uno dei più grandi scandali del dopoguerra. Chi ricorda, ora, le sofferenze degli elleni asiatici accampati vicino ad Atene per lasciare libera la Turchia a foggiarsi nella sila nuova struttura? Tutto ciò sembra di un'epoca lontana.
L'altra fase delle migrazioni politiche del dopoguerra, cominciò subito con l'avvento del bolscevismo totalitario russo: la borghesia, all'estero, domandava rifugio, aiuto, protezione, benevolenza per le sue miserie. L'opera di Nansen resterà nella storia ( l ) . La Società delle nazioni rispose all'appello ; l'Europa e l'America non mancarono al loro compito; ma furono impari a i nuovi bisogni. Si credeva che so10 dal Levante potesse venire questa piaga; a s s i o assiri, armeni o greci. Ma no: dopo vi è stata I'emigrazione politica italiana, che mai fu riconosciuta come tale, n6 dalla Società delle nazioni nè dagli stati, nè dai comitati ufficiali. Era la prima dell'oceidente u civile », di uno stato che faceva parte della Società delle nazioni; non era possibile, senza crear e per lo meno u un incidente sgradevole D riconoscere che vi fosse un'emigrazione politica italiana. Invece, l'ondata di persecuzione tedesca contro gli ebrei e contro tutti i non ariani e i non conformisti - cattolici e protestanti - scosse, per un certo tempo, i paesi democratici. In cinque anni (dall'infausto 1933)' bisogna riconoscere che qualche cosa si è fatto per questi infelici, che portano con loro la disgrazia di non essere nazi e eriani come uno stigma di condanna. La guerra spagnola ha gettato altri rifugiati politici, tanto ribelli che repubblicani; e quando uno dei due avrà la vittoria definitiva vedremo quanti altri (che saranno scampati alla morte) si riverseranno nei paesi di rifugio. Non parliamo di lituani, finlandesi, polacchi, portoghesi, rumeni, greci, bulgari, ungheresi e croati; piccoli nuclei di politici rigettati fuori dai confini, quando non sono finiti in prigione e nei campi di concentramento (gentile invenzione per far morire di morte lenta i propri avversari). Ultimi e più infelici gli
(l) La grave criei agricola e la terribile carestia che colpì la Russia nel 1921 ebbe vasta eco in Europa e negli Stati Uniti. Non mancarono iniziative assistenziali, tra le quali ebbe m articolare risonanza quella promowa dall'esploratore filantropo norvegese Fridtjof Nansen, che nell'agosto 1921 girò per l'Europa raccogliendo aiuti per eoccorrere le popolazioni m e affamate.
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austriaci, che nella loro straordinaria imprevidenza, si sono lasciati mettere i l giogo nazista da un loro proprio connazionale. Anche il nome di Austria deve essere cancellato; da oggi non è che Ostmnrk, una provincia dell'est, e niente altro. Ebrei e cattolici indesiderabili, buttati in prigione, cacciati dalle terre ~ o s s e d u t eda millenni (come i giudei contadini del Burgenland), spossessati dei loro beni, maltrattati nelle case, per l e strade, obbligati ai peggiori travagli, seviziati a morte... E' impossibile guardare i giornali o sentire i racconti di questi infelici o leggere delle lettere private, senza fremere di indignazione. I n periodi tranquilli e in paesi civili, il complesso problema della differenza di nazionalità o di razza si cercava di risolverlo con un compromesso più o meno riuscito che poteva dar luogo ad oppressioni politiche od economiche, ma non certo alle persecuzioni alle quali oggi assistiamo. La tendenza civile prevalente, e che oggi regola ancora i paesi democratici, non è quella della omogeneità degli stati, ma quella umana della convivenza per mezzo della eguaglianza dei diritti e la tolleranza, anzi il rispetto, delle diversità di raxza, religione, partito. Invece gli stati totalitari sono basati sopra l'idea di una omogeneità politica e civile che è arrivata con Hitler all'omogeneità di razza, anzi purezza di razza, sì da creare tutto un sistema artificiale e brutale, nel vero senso della parola, per questa che non è che un'ossessione dell'omogeneità, assolutamente irragiungibile sia sul piano umano che su quello animale. Onde paesi civili, cioè i democratici, che ammettono un minimo di rispetto all'uomo come tale, sono obbligati, in nome dei propri principi, ad accogliere questo « rifiuto D dei paesi totalitari ( o semi-totalitari), e fare come il buon samaritano, metterlo sulla propria giumenta, fasciare le ferite e dargli alloggio. Sì, i paesi democratici hanno il dovere delle proprie convinzioni; in primo luogo quella Società delle nazioni, che ha gi,à a suo attivo un buon lavoro per i rifugiati politici e che. oggi, certi Chamberlain e Flandin di questo mondo vorrebbero lasciare in disparte ridotta come la Cenerentola, o peggio farla m o s r e d'inazione.
La conferenza di Evian, promossa dal presidente Roosevelt, tratterà esclusivamente il problema dei rifugiati austriaci e tedeschi. Vi hanno aderito 27 stati, eccetto Germania e Italia. Che non vi abbia aderito la Germania è spiegabile: è quella che porta la responsabilità dei mali ai quali si vuol provvedere. Che non vi abbia aderito l'Italia non si spiegherebbe, se il governo fascista non fosse spinto ogni giorno di più, dalla sua politica, a solidalizzare con Hitler e ad accettarne le teorie. Niente da meravigliarsi. La Stampa di Torino in questi giorni approvava pienamente la persecuzione antisemitica del I11 Reich. Evian non risolverà certo i l problema postosi, così grave e complesso; occorre che si ravvivi la S0ciet.à delle nazioni, che la cooperazione degli stati democratici sia completa, che si tracci un piano largo e a lunga portata di carattere economico-sociale e politico; che vi siano compresi tutti i rifugiati politici (nessun paese escluso). Quando si arriverà a comprendere che oggi è una rivoluzione che si compie e che il flusso di tante popolazioni iidotte allo stremo porterà un contributo notevole ai paesi di rifugio (come è avvenuto in periodi consimili della riforma e controriforma), si vedrà la necessità di trattare il problema con quella larghezza di mezzi, di risorse e di cuore ch'è assolutamente necessaria e urgente. (Popolo e libertà, Bellinzona, 5 luglio 1938).
CHAMBERLAIN I N UN VICOLO CIECO
In questi giorni, alla camera dei comuni, Chamberlain si è trovato più volte in una incomoda situazione. Alla domanda dell'opposizione, perché non protesta presso Roma per i bombardamenti alle navi mercantili, egli rispose che per lui è solo Franco i l responsabile. Ma richiesto da Lloyd George di far la rap-
presaglia con il bombardamento della base d'aviazione di Maiorca, egli rifiutò dicendo di non voler provocare una guerra generale. Così egli, nello stesso giorno e nella stessa discussione, ammise implicitamente che i velivoli e gli aviatori che hanno bombardato le navi inglesi erano italiani, ma che gli conveniva ritenere responsabile solo il generale Franco; ma d'altro lato non voleva rendere nessun provvedimento contro Franco per non eccitare la ritorsione italiana. I n questa situazione, cosa valga l'accordo raggiunto a Londra circa il ritiro dei volontari, si può facilmente intuire: quell'accordo è della stessa qualità della sopradescritta posizione di Chamberlain alla camera dei comuni; un equivoco o meglio una via senza uscita, un cul-de-sac. Ciascuna potenza, che ha dato il suo voto favorevole alla proposta britannica (che da un anno si maneggia e si rimaneggia), ha il suo arrière pensée: sa dove vuole arrivare. Si, se oggi il punto di partenza (proposta britannica) è identica per tutti nella lettera, non è identica nello spirito, né per tutti avrà la medesima attuazione. AI primo intoppo, si comincexà a questionare della interpretazione; sorgeranno nuovi fatti che faranno cambiar rotta; e si sarà obbligati a ripetere le riunioni del comitato o del sottocomitato all'infinito. La cosa è evidente: Italia e Germania non rinunziano al piano di far vincere Franco ; non consentiranno mai ad indebolirlo. I1 ritiro parziale delle truppe italiane e degli aviatori e tecnici tedeschi o sarà compensato dal vantaggio del diritto di belligeranza e dalla chiusura completa dei Pirenei, sì da potersi costituire un blocco a danno del governo, o non sarà mai eseguito; non mancheranno mezzi dilatori, né modi opportuni per addebitare la colpa della dilazione alla Russia o alla Francia o a Barcellona. Chamberla'in sarà richiesto di dare esecuzione al patto angloitaliano o all'invito delle commissioni in Spagna ; o al ritiro delle prime truppe. Che farà Chamberlain? Egli vi sarà costretto dalla sua stessa politica, e raccoglierà il frutto della sua speciale fatica. Si dice in Francia, dai soliti circoli ottimisti, che Chamberlain
non darà esecuzione al patto anglo-italiano ( l ) , se non si sarà arrivati ad un patto franco-italiano, per il quale il governo di Daladier è disposto a cedere parecchio, anche per far piacere al governo inglese. Ma - a parte la voce che corre che è stato Hitler a sconsigliare Mussolini a legarsi con la Francia ( e Mussolini non può non ascoltare tali consigli, vengano da Berlino o da Berchtesgaden) - bisogna convenire che il governo italiano non ha nessun interesse ad affrettare l'accordo con la Francia: tanto più che la Francia non può avere le stesse mire del171talia nel17attuale guerra spagnola. Per giunta, tutta la procedura che si segue dalle potenze nell'affare spagnolo è proprio quella che agevola i l piano di Mussolini di ottenere la messa in vigore del patto con l'Inghilterra e i l riconoscimento dell'impero etiopico, e la vittoria di Franco. L'unica noia che Mussolini può avere da tutto ciò è la lentezza, l a perdita di tempo; perciò i bombardamenti delle navi mercantili inglesi. Destare in Chamberlain lo stesso interesse di far presto per quel che si deve fare; l a vittoria di Franco e il riconoscimento dell'impero abissino, si che la Francia si trovi obbligata ad accettare il fatto compiuto e fare buon viso a cat- . tivo gioco. Uscire da questa linea, per Chamberlain, è assai difficile, proprio perchè egli non ha via di uscita, nè da parte della Francia, nè da parte dell'Italia. Churchill gli cons'igliò alla camera di
( l ) All'inizio del 1938 presero il via nuovi negoziati anglo-italiani dopo i deludenti risultati del u Gentlemen's agreement D del gennaio 1937 (cfr. nota 1 all'articolo n. l). Da parte italiana si mirò al riconoscimento inglese della conquista dell'Etiopia. La liquidazione della guerra di Spagna era invece tra gli obiettivi inglesi. Nel mese di luglio la delegazione italiana acconsenti alla proposta britannica per l'evacuazione dei a volontari B italiani dalla Spagna, a cui aderì anche la Germania. La Gran Bretagna riconobbe, da parte ma, la conquista italiana deli9Abiasinia. Nel corso dei negoziati si ebbero attriti tra il primo ministro inglese, Chamberlain ed il ministro degli esteri Eden, più intransigente di fronte alle richieste avanzate continuamente dai paesi totalitari. Questo dissidio sfociò nelle dimiesione di Eden e provocò una maggiore fiducia e sicurezza da parte di MUSsolini.
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« domandare al suo collega signor Mussolini di non lasciare nessuna pietra non rimossa (nessun mezzo intentato) per prevenire il ritorno di simile offesa quale i l bombardamento aereo, e di domandare ch'egli metta in chiaro ciò ch'egli ha fatto e quanto sarà in suo potere per finirla n. Se il generale Franco ancora rifiuta di mitigare la sua ira, gli si potrà dire: una nuova incursione e noi c'impadroniremo delle vostre navi da guerra n... Cosa poteva rispondere il povero Chamberlain, a questo discorso fatto di buon senso e d'ironia? Egli tacque, e fece dire al sottosegretario agli esteri, Butler, che il comitato di non intervento aveva felicemente trovato l'accordo ! Londra, luglio 1937. (Popolo e liberi?&, Bellinzona, 9 luglio 1938).
I L REFERENDUM SVIZZERO PER I L CODICE PENALE UNICO I n un momento di gravi preoccupazioni internazionali, quali quelle della Spagna, della Cecoslovacchia, della Cina, della Palestina, delle persecuzioni in Austria, dell'antisemitismo scatenato nel mondo, l a consultazione legale e tranquilla del popolo svizzero per un codice penale nuovo che interesse poteva destare fuori delle proprie frontiere? Eppure per coloro che considerano, taciti e pensosi, le sorti umane e l'orientamento per l'avvenire, il referendum del 3 luglio prendeva un posto a parte e un'importanza tutta speciale. Di fronte ai plebisciti totalitari, fatti con un enorme apparato scenico, ottenuti con i mezzi brutali della forza, esaltati per le percentuali altissime e per le unanimità, tanto calorose quanto m e n o libere, questo referendum silenzioso di cittadini indipendenti, che vanno a posare l a loro scheda elettorale con il gesto spontaneo di persone educate e abituate a essere padrone in casa loro, è qualche cosa di seducente, quanto le belle vallate
silenziose delle alpi svizzere dove i rudi montanari si devono sentire padroni in casa loro. Ci dispiace notare che solo il 55 per cento degli elettori vi abbia preso parte. Noi che non amiamo il 95, e peggio, i 99 per cento delle votazioni naziste e fasciste (che danno il senso della reggimentazione), neppure amiamo (benchè fra l e due la preferiamo) la bassa percentuale di questo referendum. Vi saranno stati un venti per cento (non più) di astensioni per disinteresse politico o per incomprensione del problema che si agitava. Questo era l'unificazione del codice penale. Invece d i avere 22 codici penali, i consessi federali ne avevano compilato uno per tutti i cantoni, che vien detto più moderno, da essere accettato dal popolo svizzero con la votazione del referendum. Tale votazione è basata sul metodo individualista dell'elettore e non su quello organico del cantone, perchè non si trattava di cambiamento costituzionale, ma solo di legislazione normale. Ciò nonostante l'esito avuto, a lieve maggioranza a favore dell'unificazione ( i n cifra tonda 359 mila contro 312 mila) ha dimostrato una profonda divisione non tanto sul criterio legislativo del nuovo codice quanto sulle implicazioni costituzionali che sono venute alla luce. Il fatto più significativo si è che la maggioranza dei cantoni (14 contro 11) è stata contraria all'unificazione; non solo tutti i cantoni di lingue latine (italiana, francese e romancia), ma anche un certo numero di cantoni di lingua tedesca. Essi han compreso che sono i cantoni v e l l i che perdono il diritto d'iniziativa e di riforma delle leggi penali, che così passa alle autorità centrali. Onde si ritorna a discutere se, nel corso dei referendum, le leggi federali dovessero o no entrare in vigore quando non avessero ottenuto la doppia maggioranza dei cittadini e dei cantoni. Tutto ciò esula da una meccanica legislativa, e mette in luce le due tendenze dei partiti svizzeri; la federalista e la centrali7zatrice. Sono federalisti i cattolici, i tradizionali, una certa borghesia conservatrice, i contadini, gli artigiani, sono centralizzatori i socialisti, parte dei radicali, gli industriali, i commercianti, gli operai delle industrie. Quel che più interessa notare si è che han votato a favore
della proposta del consiglio federale i socialisti che sono all'opposizione, e han votato contro i cattolici che formano parte della maggioranza. I1 caso non è strano se si considera che per lo più i membri dei parlamenti tendono alla centralizzazione o almeno ad allargare l'influenza sugli affari del paese: è naturale che sia così anche i n Svizzera, per i membri del consiglio federale. Noi che assistiamo dal di fuori non possiamo ben valutare se l'esito del referendum del 3 luglio contribuirà a rendere più vivo lo spirito federalista della Svizzera o se segna invece u n passo in avanti nella tendenza centralizzatrice. Per i miei ideali ( i o penso che le piccole federazioni dovrebbero essere alla base delle grandi federazioni fino a quella europea) auguro che la Svizzera non solo mantenga intatto il suo federalismo e l'autonomia politica dei cantoni, ma che ne sappia difendere l e ragioni e lo spirito contro la contaminazione forestiera, sia razzista che bolscevica, o di vecchia marca radicale e centralizzatrice alla francese. Ma quali esse siano le ripercussioni interne, la lezione che ci dà la Svizzera è di primaria importanza. Quando nei paesi totalitari tutte le leggi scendono dall'alto, come doni delle divinità, i n Svizzera è il popolo che si fa la sua legge, se la discute. e se la vota. E mentre in certi paesi, dopo fatta la legge, tutti sono costretti a d i r bene e ad inneggiare alla sapienza che l'ha ideata e scritta, in Svizzera, a legge fatta, si può continuare a discuterne l e buone e cattive qualità. E mentre in paesi come la Francia, la povera Alsazia deve difendersi dalle insidie dei centralizzatori, col mostrarsi disposta anche alla resistenza passiva (se non attiva) per salvare almeno il suo concordato e le sue leggi scolastiche, i n Svizzera tutto ciò è acquisito allo spirito tradizionale del popolo e alle sue più profonde caratteristiche nazionali. E mentre i n Spagna le rivolte si sono alternate con l e guerre, per questioni d i razza e di lingua, la Svizzera si dà il lusso d i riconoscere una quarta lingua nazionale ( l a romancia), pari alle altre tre storicamente riconosciute. E mentre la Cecoslovacchia si dibatte tra le minacce di p e r ra, la slealtà dei propri cittadini che mettono in pericolo lo
stato, e la incomprensione delle varie razze, che non sanno adattarsi a mantenere, nello stesso stato, una convivenza da eguali, la Svizzera mailtiene insieme l'unità dello stato e la federalità dei cantoni nell'amore e nella lealtà del popolo per il proprio paese. A questa Svizzera, unione vigorosa dello spirito comunitario e corporativo del medioevo e della personalità cittadina e della tolleranza civile dell'epoca moderna, non domanderemo quel che potrebbe metterne in pericolo un'esistenza così preziosa. Nel mondo internazionale, certo, vi è un ripiegamento, ma solo per i l bene dell'Europa auguriamo sia del wtto temporaneo. Mentre ai paesi agitati da lotte di razza e da contrasti di minoranze e di nazionalità, a quelli afflitti dal centralismo e a quelli soffocati dal totalitarismo, additiamo la Svizzera una e varia, federale e nazionale, libera e disciplinata. Nota della redazione - Questo articolo dell'autorevolissimo nostro corrispondente è pubblicato su diversi giornali della Francia, del Belgio. dell'lnghilterra e di altri paesi. Ringraziamo l'illustre scrittore per i suoi ecellenti sentimenti verso la nostra patria e per averli espressi su parecchi organi dell'opinionc internazionale. (Popolo e libertà, Bellinzona, 16 luglio 1938).
I LAVORI PUBBLICI IN ITALIA Non c'è dubbio che in Italia i lavori pubblici sono stati proseguiti dal governo fascista con un moto accelerato e con molta pubblicità; cosa che fa gran piacere ai suoi partigiani ed amici, anche all'estero. La politica dei lavori pubblici in Italia è una tradizione assai antica, da quando fare lavori pubblici non era politica. Papi e principi abbellirono l e cr cento n città d'Italia (che sono più di cento: ma tale frase comporta il senso della totalità). A stare a i tempi moderni, Pio VI1 aveva tentato il prosciugamento delle
famose paludi pontine, come faceva Leopoldo granduca di Toscana, che (secondo il poeta Giuseppe Giusti)) « per la smania di eteAarsi asciuga tasche e maremme 1) (le celebri maremme toscane piene di malaria). L'Italia liberale fece anch'essa una politica di lavori pubblici, e che politica; tutte le strade ferrate d'Italia (meno alcuni piccoli tronchi fatti dai sovrani spodestati) furono suo merito; così come il rifacimento dei p a n d i porti, il prosciugamento delle paludi del Veneto e delle Romagne, i bacini montani, l'acquedotto pugliese, gli scavi, i palazzi e i monumenti, sì che l'Italia aveva una statua ad ogni crocevia, di eroi a cavallo o di gentiluomini in redingote. Un intiero quartiere di Roma fu abbattuto per edificare il monumento a Vittorio Emanuele, di un gusto discutibilissimo. Ad un inglese che domandava con interesse il mio parere sulle opere pubbliche del periodo mussolinìano, mostrai la mia ingenuità nel richieder da quale punto di vista egli se ne interessasse, se dal punto di vista estetico o di quello del costo e del rendimento, o di quello della disoccupazione. Egli voleva solo delle informazioni per poter dire quanto bene avesse fatto il governo fascista all'Italia. La mia risposta fu un po' brusca : Forse, se facciamo I'elenco delle opere pubbliche dei soviets, canali e strade, officine e case popolari, voi per questo direte che Stalin è un benefattore della Russia ? 1). La verità è che per i filo-fascisti, l'argomento dei lavori pubblici vale l'altro « treni che arrivano in orario »,e l'altro della disciplina, dell'ordine nelle strade e così via; per gli antifascisti, questi fatti sono motivo perfino di biasimo, e la critica è facile: sperpero, megalomania, inutilità. Sgombriamo i l terreno dalla polemica, e riduciamo tutto alle proporzioni reali e umane: molti lavori pubblici eseguiti prima della guerra contro I'Abissinia e prima dell'intervento in Spagna, furono in buon numero utili e necessari, altri di lusso, altri per prestigio, e un certo numero inutili. Mettiamo fuori riga quelli che il fascismo, per ragioni di propaganda, si è appropriati senza averne alcun merito. P e r esempio : l'acquedotto pugliese : opera colossale, iniziata prima
della grande guerra e in parte allora compiuta, ripresa dopo la guerra e portata a compimento nel 1922; essa dà l'acqua alla Puglia, un'intera regione che ne mancava. I1 fascismo arriva e ne fa un'inaugurazione solenne, appropriandosi un lavoro di quasi trent'anni. L'elettrifìcazione delle ferrovie: decisa e iniziata prima della guerra, in parte compiuta, in parte in costruzione, il fascismo h a continuato lo stesso piano e ne ha affrettato l'esecuzione. Bonifiche e bacini montani: rimonta a mezzo secolo fa la spinta alle bonifiche delle zone paludose. L'attuale agro ferrarese e quello ravennate sono dovuti a leggi e a lavori anteriori al fascismo. I1 celebre ministro Luigi Luzzati ne fu il più fervido sostenitore. Si deve al ministro Nitti il lago artificiale di Muro Lucano. I bacini del fiume Tirsi in Sardegna sono della mia epoca. I1 progetto della bonifica della piana di Catania (zona di Simeto) fu fatto per mia spinta. La celebre bonifica delle paludi pontine fu iniziata nel 1920 da un gruppo privato che si appoggiava al Banco di Roma. Fu allora che il governo fascista la prese in mano. I1 Banco di Roma passò sotto il controllo dello stato; e l'impresa delle paludi pontine divenne statale. I promotori furono perseguiti in tribunale per cattiva amministrazione (non sono in grado di giudicare se ciò fu per reale loro colpa). I1 regime ne fece un'opera di primo interesse e vi ha piantato nuovi centri di abitazione. Dal punto di vista del Gsanamento igienico, tale spesa è certo assai più utile che quella di una guerra in Africa; dal punto di vista del reddito agrario la proporzione può essere valutata forse del 5 per mille, invece del 5 per cento. E' un indebitamento dello stato, non solo per la natura dell'impresa (che poteva essere fatta con meno della metà della spesa, in un tempo più lungo e con più matura esperienza), quanto per il carattere datovi di opera del regime. Le autostrade sono nuove e fatte nel periodo fascista. L'autostrada è una delle necessità imposte dall'uso dell'automobile sempre in incremento, da ragioni strategiche o da esigenze turistiche. In Italia la circolazione automobilistica è inferiore di molto a quella della Francia, dell'Inghilterra o della Germania ( e in proporzione anche a quella della Svizzera o del Belgio);
ma le esigenze turistiche sono assai sentite e quelle strategiche sono imposte dall'orientamento della politica fascista. Chi va a Roma per la prima volta, senza una discreta cultura del passato, può credere che, a parte le chiese (che non cadono negli scopi del fascismo), tutto quello che esiste sia stato fatto nei sedici anni dalla marcia su Roma. Ma, se poi rifletterà un poco, troverà che i meriti dell'impulso edilizio di Roma, all'attivo del fascismo, sono la via dell'Impero, il Foro Mussolini, la via della Conciliazione, i quartieri edilizi nuovi, certi sventramenti utili, altri inutili e dannosi al tipo della città. Gli scavi della Roma antica, imperiale e repubblicana, sono stati portati avanti con larghezza di mezzi e con buoni criteri. Non tutto quello che si vede appartiene agli ultimi sedici anni; molto era stato fatto i n antecedenza e dai papi e dai governi liberali; ma, al solito, il molto del passato scompare di fronte alla pubblicità di quel che si va facendo oggi. Un po' di discrezione e un po' di modestia, gioverebbero anche all'indirizzo dei lavori. Quel ch'è detto per Roma, vale per tutte le altre città, dove si demolisce e si fabbrica. Ma in quale città del mondo non si demolisce e non si fabbrica? Anche delle cose inutili si fabbricano per vanità, quali certe stazioni ferroviarie come quelle di Milano o di Forli. Badate, non accuso il fascismo: questo l'ha eseguita, forse vi ha aggiunto un po' più senso dei parvenus; ma anche i liberali erano dei parvenus, però più misurati nello spendere, ecco la differenza. A proposito della stazione di Milano, un piccolo aneddoto americano. Una signora e un suo figlio sono scesi a Milano. T1 ragazzo ammira la sontuosità di quella stazione: i muri, l'immensa navata; egli è incantato... Poi a Roma, a san Pietro: altra meraviglia, altro incanto del ragazzo. A un certo punto domanda alla mamma : « Quando arriva il treno? D. E' così, l'inversione dell'arte, l'inversione dell'economia e l'inversione della politica sono il frutto di questo sforzo enorme del fascismo, che persegue una politica al di fuori della comune misura e dei vantaggi possibili. Le spese enormi di lusso, di prestigio e di guerra, han portato alla miseria. Dicono che dei lavori pubblici fatti, ci sono da pagare somme favolose che il tesoro non ha, e che deve rimandare di anno in anno.
I lavori pubblici in Italia sono sempre serviti a far fronte alla disoccupazione operaia: oggi come ieri. Ricordo che quand'ero bambino, mezzo secolo fa, gli operai del mio paese ogni inverno facevano delle dimostrazioni di piazza, con gli strumenti sulle spalle, gridando: pane e lavoro! Purtroppo, alla politica dei lavori pubblici si è sostituita in Italia quella delle fabbriche di armamenti, sia per la guerra abissina, sia per quella di Spagna, sia per la guerra europea che si teme da un momento all'altro. Quando l e bombe pioveranno sull'Italia (come sopra ogni altro paese in guerra) saranno distrutti non solo il foro Mussolini e le statue del duce, ma quel che più importa, i veri monumenti della grande arte antica, e più che questi, i villaggi, le città, le vite umane, la civilt,à... Allora i fascisti e i filo fascisti dovranno sentire quanto grande sia stato la loro responsabilità nella storia di questi anni. (Popolo e libertà, Bellinzona, 23 agosto 1938).
FRANCO, LA MEDIAZIONE E NOI Che Franco non voglia la mediazione è naturale. Ogni buon capitano, anche quando le cose vanno male, non si azzarda a far parola di mediazione, per non scoraggiare i soldati e indebolirne l a resistenza fino all'ultimo, e preferisce la morte o la resa con l e armi in mano, a qualsiasi atto di debolezza. Figurarsi poi se egli si crede sicuro della vittoria. Le potenze 'in guerra nel 1917 non vollero ascoltare l'appello di Benedetto XV alla pace, perchè da una parte e dall'altra si aveva fede nella vittoria finale. In tale stato d'animo re vale quasi sempre il partito degli « jusqu'aubutisti D. Non è per persuadere Franco o Negrin a far buon viso all'idea di mediazione, che scrivo questo articolo, ma per rilevare due grossolani errori del generale Franco nelle sue recenti dichia-
razioni fatte al rappresentante dell'agenzia Havas a proposito della mediazione. Riporto le frasi del testo della Stefani che ritengo, et pour cause, molto accurate : Prima aflerrnazions: Coloro che desiderano una mediazione servono coscientemente o incoscientemente i rossi e i nemici della Spagna nel processo storico della lotta tra la patria e gli elementi dissolventi, fra l'unità e la disgregazione, fra la morale e il delitto, tra ciò che è spirituale e il materialismo; mentre non c'è altra soluzione che il trionfo dei principi puri ed eterni su quelli bastardi ed antispagnoli ». I combattenti idealizzano sempre i motivi che l i han mossi a fare la guerra o a resistere all'aggressione: ciò è psicologicamente umano, anche quando essi esagerano. Così nella grande guerra troviamo che perfino i vescovi tedeschi giustificarono Guglielmo 11, come in quella d'Etiopia cattolici e clero in Italia fecero valere, come giustificazione, i motivi di civilizzazione e d i cristianesimo. Passiamo oltre: noi siamo convinti che nessuna guerra risolve i problemi ch'essa pone dal punto di vista sociologico e spirituale; e che, al contrario, tutte le guerre contengono più male che bene e portano più disastri di quelli che con essa si volevano evitare. E' per ciò che l'argomento di Franco non ha per noi alcun peso, per poter accettare l'idea di un prolungamento qualsiasi della guerra spagnola. Se per il trionfo dei principi cristiani la guerra poteva essere un mezzo idoneo, Gesù Cristo ce l'avrebbe indicata così come fece Maometto. L'errore di Franco è troppo grossolano: egli confonde gli errori con gli erranti; egli vede il male incarnato nei disgraziati spagnoli che combattono dal lato del governo, sia perchè costrettivi dalle circostanze, sia per convinzione di difendere la legalità, sia anche per una scelta disgraziata, quella di preferire oggi la resistenza per non cadere nelle mani dei fratelli nemici. Che il bene, tutto il bene, sia dall'altro lato, dal lato di Franco, incarnato nelle sue falangi, nei suoi mori del Marocco, nei suoi alleati fascisti e nazisti, ciò è veramente un'assai presuntuosa credenza.
All'orientamento maniche0 della divisione del bene dal male in modo assoluto, è aggiunta (cosa naturale data la premessa) la disincaniazione da ogni umanità: sicchè non si vede più il prossimo in carne ed ossa, ma si vedono delle idee e degli spiriti: l'immagine del diavolo o quella dell'angelo. I1 combattimento così ora posto fuori del mondo reale, è un combattimento senza attenuazioni finchè il diavolo sarà cacciato all'inferno: allora i trionfatori vedranno i loro nemici incatenati, impotenti, infelici. No; tutto ciò non- è di questa vita; non è nè umano nè cristiano. Franco non è un giudice infallibile: egli non ha il diritto di giudicare: egli stesso (come ciascuno d i noi) non sa se appartiene ai buoni o ai cattivi: Dio solo legge nei nostri cuori. I1 problema è mal posto: la Spagna è una nazione oggi divisa e in guerra: gli spagnoli sono tutti figli della stessa madre, tutti fratelli. Perchè non deve essere possibile una conciliazione? Forse uno o due milioni di vittime serviranno ai vincitori come sgabello al trono di gloria di Franco? Forse un altro inverno di sofferenze aggiunge& motivo di riconoscenza del paese intiero verso il vincitore? Forse il pericolo di un'estensione europea della guerra spagnola - nella quale gli stranieri partecipano, anche a titolo autorizzato e con l'aiuto dei loro governi - sarà un motivo di gioia e di conforto per « la Spagna dei buoni N ? Portiamo la questione ai suoi termini reali: una conciliazione deve essere anzitutto per la pacifica convivenza degli spagnol i ; essa importa l'eliminazione dei motivi principali di lotta, che sono quattro. Primo motivo : comunismo di qua, fascismo o nazismo di là ; in sostanza totalitarismo. Le dichiarazioni di Negrin e dello stesso Franco sono state fin oggi contro l'avvento del totalitarismo in Spagna. La lettera dei vescovi l'ha sottolineato. Secondo motivo: la libertà religiosa. Franco la sostiene nel senso cattolico. Negrin l'ha promossa nel senso di tolleranza. Non sarà possibile trovare una via che dia ai cattolici spagnoli quel che non hanno i cattolici di Germania e quel che hanno i cattolici di Francia e quelli d'Italia ( u n po' meno) con la protezione ? Terzo motivo: la questione sociale e le riforme agrarie. Di
qua e di là si fanno proposte di legge, sindacati, corporazioni, e si tende alla formazione della piccola proprietà in cui trasformare i latifondi. Un accordo non sarà impossibile. Quarto motivo: le autonomie regionali: catalani e baschi combattono per la loro autonomia; Franco ha recisamente negata ogni concessione. Ma è proprio questo un motivo per prolungare la guerra? Se Franco volesse prendere qualche informazione da Hitler, saprebbe che questi è capace di minacciare l a guerra europea per difendere l'autonomia degli alemanni dei sudeti. (Strani questi dittatori: la verità in Germania è menzogna in Spagna!). Franco non ha bisogno di minacciare la guerra perchè la f a : ma sarebbe i l caso di finirla, concedendo ai disgraziati catalani e baschi qualche cosa di meno, forse molto meno di quel che Henlein ha rifiutato di accettare da Benes. Del resto l'Inghilterra è l à ; essa sarà felice di spedire u n altro Runciman a Burgos per trovare una buona soluzione alla questione catalana e hasca. Perchè no? Allora, accettando i termini di una mediazione per i quattro punti suesposti, i diavoli rossi potranno divenire ( o ritornare ad essere) dei cittadini spagnoli proprio dello stesso rango degli angeli di Franco. Nella seconda affermazione C( Franco esclude che la campagna estera a favore di una mediazione sia dettata da sentimenti umanitari, che snlamelite fioriscono oegli spiriti eletti animati dalla fede. Nella politica invece essi costituiscono generalmente maschere e nascondono interessi ed egoismi ». Così la Stefani. Nonostante l'affermazione di Franco e i grossolani attacchi del ministro della propaganda (genero di Franco), nessuno crede che Maritain, presidente del (C Comité franqais pour la paix religieuse e t civile en Espagne », non sia uno spirito eletto animato dalla fede »; e ancora di più nessuno dirà che egli « nasconda interessi ed egoismi n. Lo stesso si deve dire dei due eminenti cattolici francesi (accademici, se vi piace) F. Mauriac e L. Gillet, che fan parte del comitato. Potrei citare altri nomi meno conosciuti fuori della Francia, cattolici di una onestà, di un carattere, di una fede superiore ad ogni elogio. Vi sono anche dei non cattolici; specialmente nel K British Committee for civil and re-
ligious peace in Spain n (del quale mi onoro di far parte), eminenti per dirittura di coscienza e per amore di pace, quali W. Steed (presidente), lord Cecil, prof. Gilbert Murray, mrs. Corbett Ashby, non voglio dimenticare mrs. Virginia Crawford, cattolica che. ha passato tutta la sua lunga vita lavorando per gli ideali sociali cristiani e che oggi è presidente del a People and Freedom Group » di Londra. Questi due comitati sono in stretta collaborazione con il comitato spagnolo « La Paix civile (titolo contrapposto a « La Guerre civile D), d i cui è anima il prof. Alfred Mendizabal dell'università di Oviedo, che ha avuto l'onore di essere deposto dalla sua cattedra con due decreti: uno del governo repubblicano e l'altro di Franco. Presidente d'onore ne è l'exambasciatore spagnolo Madariaga, che fin dal primo momento prese partito solo per la conciliazione e. la pace. Ebbene: tutti costori costituiscono maschere », come dice Franco, o nascondono « interessi ed egoismi a ? Essi sono la voce di quelli che in Spagna soffrono dall'uno e dall'altro lato senza poter esprimere la loro sofferenza, della massa del popolo spagnolo che è stanca di tanta inutile strage ( p e r dirla con Benedetto XV). E noialtri, i non spagnoli, che non abbiamo preso partito nè per il governo nè per Franco, fin dal luglio 1936, ma solo e unicamente per la pace, noi lavoriamo in un ambiente che ancora non ci comprende e che ancora segue passionalmente gli uni o gli altri, mescolando ai malori di un popolo grande e infelice gli idealismi, i miti e gli odi che oggi dividono il mondo anche sul terreno internazionale. Ma noi sorregge la parola d i san Paolo dove egli scrive: a Caritas... non cogitat malum, non gaudet super iniquitate, congaudet autem veritati: omnia sperat ».
...
(Popolo e libertà, Bellinzona, 13 settembre 1938).
LA CRISI DEI CATTOLICI TEDESCHI-SUDETI Dal giorno della caduta dellYAustrianelle mani di Hitler, i cattolici tedeschi-sudeti furono presi da panico, credettero immediato il loro fato, subire a breve scadenza la stessa sorte dei cattolici austriaci, e divennero, contro voglia, nazisti anch'essi. Molti votarono per le liste di Henlein (l), altri si tennero in silenzio, il clero fu diviso, la questione nazionale prese il sopravvento, i ministri tedeschi del gabinetto Hodza si dimisero, i cristiano-sociali cessarono di far parte della maggioranza governativa : fu lo sbandamento. Qualcuno disse : dobbiamo forse essere più cattolici del cardinale Innitzer? (=)( i l quale fra parentesi è un tedesco-sudeto). Così fino ad oggi il solo partito di Henlein ha avuto voce ed ha rappresentato gli interessi, le aspirazioni, le domande dei tedeschi-sudeti nelle trattative col governo cecoslovacco e con lord Runciman (9. I cattolici organizzati nel partito cristianosociale (quasi un terzo della popolazione tedesca della Cecoslovacchia) sono stati nell'ombra a subire o accettare una tattica che li portava verso il Reich di Hitler.
( l ) Konrad Henlein (1898-1945). Capo del Fronte patriottico dei tedeschi del territorio dei sudeti. Filonazista, chiese al governo cecoslovaeco, nel febbraio 1937, l'autonomia della regione. Dopo l'annessione alla Germania, nel 1938, venne nominato Gauleiter der Sutenland ed in seguito, dopo la creazione del protettorato di Boemia e Moravia, ebbe la carica di Reichstatthalter. Si suicidò dopo la sconfitta della Germania nel 1945. (a) Theodor Innitzer (1857-1955). Arcivescovo di Vienna dal 1932, cardinale nel 1933, fu tenace oppositore del regime nazista, subendo persecuzioni ed offese, specialmente dopo l'annessione del19Austria alla Germania. (3) Walter Runciman (1870-1949). Uomo politico inglese, liberale, fu inviato da Chamberlain nel 1937 in Cecoslovacchia come mediatore per la questione dei mdeti. Propose al governo ceco l'applicazione del principio dell'autodecisione delle minoranze etniche. Personalmente era favorevole alla cessione alla Germania del temtorio dei sudeti. Fu lord presidente del consiglio dal 1938 al 1939.
Come è stato possibile ciò, quando essi avevano avanti agli occhi gli esempi della Sarre e dell'Austria? I cattolici della Sarre, una maggioranza compatta, uniti ai del gennaio 1935, risocialisti, avrebbero potuto nel spondere no, domandando invece il rinvio per dieci anni dell'incorporazione al Reich. Essi subirono la propaganda nazista e non ascoltarono o non compresero il telegramma del Vaticano che lasciava i cattolici liberi in coscienza di votare, secondo gli interessi religiosi e morali. Oggi i cattolici della Sarre non hanno più i loro sindacati, l e loro cooperative, la loro stampa; non hanno le scuole libere. Invece di ciò, vi è la propaganda anti-cristiana della razza, vi sono le persecuzioni anti-cattoliche; e nessuno può reagire: tutti debbono tacere o applaudire. Ma se i l torto dei cattolici della Sarre è per cinquanta, quello dei cattolici dell'Austria è per novanta. Nulla giustificava il loro filonazismo. Essi credettero liberarsi del socialismo e sono caduti nelle mani d i Hitler. Dopo questi due esempi, è possibile che i cattolici sudeti non sentano che non hanno alcuna scusa, se lasciano arrivare il momento fatale di essere distaccati dalla Cecoslovacchia?~Oggi essi hanno giornali, scuole, deputati, libertà, possibilità di ottenere quell'autonomia e quella parità di diritti, che hanno domandato da venti anni. Perchè cadere sotto la tirannia nazista, che l i assoggetterà alla persecuzione anti-cristiana come i loro fratelli infelici della Sarre e dell'Austria? I cattolici belgi, per salvare i loro diritti scolastici, hanno fatto battaglie politiche che sono durate mezzo secolo. I cattolici francesi continuano da quasi un secolo a mantenere l e loro scuole, e a difenderne l'esistenza. E i cattolici ne fanno baratto per un falso nazionalismo, nel quale affondare libertà e religione? Mentre scrivo questo articolo arriva la notizia che i tedescoliberali, hanno formato un sudeti, cattolici, socialisti, agrari nuovo partito, il u partito tedesco boemo »,il quale, accettando di trattare col governo cecoslovacco sulla base delle ultime proposte per l'autonomia delle minoranze, rifiuta il distacco, voluto da Henlein, per la unione con il Reich germanico.
E' questo u n atto di un'importanza morale eccezionale. N. d. R. - Questa corrispondenza non è afiatto superata dagli wvenimenti perché riflette una questione della quale si nparlerà. Cosa avverrà dei cattolici sudeti? (Popolo e libertà, Bellinzona, 21 settembre 1938).
COS'E' ACCADUTO? (Piccole note per la storia) Rientrato i n Inghilterra la sera del 5 settembre, vidi dopo due giorni un amico che mi disse: « Tutto è vano; la Francia non interverrà in favore della Cecoslovacchia »(l). Gli feci notare che Daladier aveva più volte affermato che la Francia avrebbe mantenuto i suoi impegni nei confronti di Praga, e il mio amico mi ribattè: « La Francia non può farlo, perchè la sua aviazione è debole. E' l'opinione dei circoli italiani 1). Mi sono allora ricordato che un altro amico di Parigi, bene informato delle opinioni del Quai d'Oreay, mi aveva detto alla fine di luglio esattamente le stesse cose.
(l) I1 12 settembre 1938 Hitler pronunciò a Norimberga un violento discorso, annunciando che la Germania avrebbe proweduto a proteggere i sudeti tedeschi dall'oppressione cecoslovacca. Chamberlain, di fronte alla evidente minaccia nazista, si precipitò in aereo in Germania, incontrando Hitler il 15 settembre a Berchtesgaden. Di fronte all'intransigenea di Hitler, che propose l'immediata annessione del temtorio dei sudeti alla Germania, il premier britannico fu costretto a cedere, con la riserva che anche la Francia esprimesse parere favorevole. Si ebbe a Londra un incontro anglo-francese, ove prevalse la tesi conciliante di Chamberlain. Alle proteste cecoslovacche Londra e Parigi risposero che se i cechi non aveaaero ceduto sarebbero stati, in futuro, lasciati da soli a fronteggiare le pretese tedesche. I1 22 settembre la Cecoslovacchia si vide costretta ad accettare la perdita dei mdeti. Il 23 settembre Chamberlain si recò di nuovo in Germania, ed in nn incontro a Godesberg comunicò ad Hitler la decisione anglo-francese.
In questi giorni, sui giornali inglesi si discute aspramente per sapere se la Gran Bretagna ha o no tradito la Cecoslovacchia, e se ha o no subito il ricatto di Hitler. Naturalmente ciò è argomento delle più animate discussioni. I1 T i m a si irrita quando si parla di tradimento. Un signore inglese in contatto con il mondo politico mi diceva: « I1 governo inglese avrà i suoi torti, ma nessun francese avrà il diritto d i ricordarglielo. Chamberlain e Halifax hanno un dossier pieno d i lettere e di telegrammi provenienti dal ministro francese per dimostrare che non soltanto l'iniziativa delle conversazioni con Hitler viene da Parigi, ma che le concessioni proposte venivano tutte dal Quai d'Orsay D.
Benchè il mio interlocutore sia sempre stato francofilo, questa volta non nascondeva, nei riguardi della Francia, un'amarema mal contenuta. Ma questo nuovo progetto Laval-Hoare potrebbe chiamarsi progetto Boqnet-Chemberlain, o, secondo altri, fra cui io, Chamherlain-Bonnet. I1 famoso articolo del Times che propose per primo la secessione delle zone dei cantoni tedeschi, ricevette subito una smentita dal Foreign Office e l'aperto biasimo d i molti giornali, ivi compreso il Daily Telegraplz. Ma un attento osservatore fiuterebbe da lontano il « ballon d'essai n. E' allora che dissi a un eminente amico che vi era in ciò la mano di Chamberlain; mi fece notare che non dovevo fare quello che i moralisti chiamano un giudizio temerario. E' possibile, dopo tutto, che la mano di Chamberlain non ci sia nella faccenda, ma quella di Dawson, direttore del Times. vi è certamente, e il suo intervento fu decisivo.
Chamberlain, partito in aereo per Berchtesgaden, aveva indubbiamente un piano. Quale? Forse solo quello di guadagnare tempo ed evitare un conflitto. E' noto che venne ammesso solo, senza alcuna persona del seguito, al colloquio con il Fuhrer;
il suo interprete, che conosce perfettamente il tedesco e che poteva cogliere tutte le sfumature della conversazione dei quattro tedeschi presenti, venne lasciato fuori, e fu un impiegato di Hitler che fece il traduttore. Fu fedele? Non facciamo qui giudiz i temerari. Ma da quanto so, sembra che il punto centrale della convereazione sia stato il seguente: Hitler: - Voi ammettete l'autodeterminazione di un popolo, non è vero? Chamberlain: - Si, come regola generale. Ma dipende. Hitler: - L'Inghilterra, per la pace dell'Europa, deve consentire a una forma di autodecisione dei tedeschi sudeti, che non possono continuare a vivere sotto il giogo dei cechi. Qui Chamberlain vede le difficoltà, i l pericolo. Bisogna mettersi d'accordo con la Francia, e Hitler conclude: C( Bisogna arrivare al più presto all'incorporazione dei tedeschi della Cecoslovacchia nel Reich; e ciò per mercoledì al più tardi » ( 2 1 settembre). Chamberlain avanza qualche obiezione: occorre i l tempo necessario. I1 Fuhrer proroga amabilmente di un altro giorno il suo ultimatum. Ieri, giovedì 22 settembre, Chamberlain era a Godesberg con l'accordo « anglo-franco-cecoslovacco D.
L'opinione pubblica britannica è in effervescenza. Eden e Churchill, che fanno parte della maggioranza, hanno manifestato, in forma misurata, la loro disapprovazione. Laburisti, liberali, trade-unionisti e massa popolare criticano apertamente; hanno luogo manifestazioni. L9Evening Stanchrd scrive: a Ricordatevi dell'Abissinia. Non si è voluto il piano Laval-Hoare, e in seguito si è lasciato che l'Italia prendesse tutta 1'Abissinia n. I1 Times aggiunge: « Se si salva la Cecoslovacchia, sia pure con una amputazione, sarà un merito della Gran Bretagna che dà la sua garanzia nell'Europa centrale n. Questa volta, laburisti e liberali non arriveranno a far vacillare i l governo come nel dicembre 1935; esso è fermamente te-
nuto da Chamberlain, Samuel Hoare e John Simon, i veri responsabili della situazione (Halifax non conta niente), e l'op posizione di Churchill e Eden non è suscettibile, per il momento, di far breccia nella maggioranza. Ma cosa ci riserva Hitler oggi? Farà causa comune con Varsavia e con Budapest?
Quando si credeva che Francia e Gran Bretagna insieme avrebbero opposto un rifiuto ad uno smembramento della Cecoslovacchia e. avrebbero insistito solo per un largo sistema di autonomia, sul tipo svizzero, la Polonia faceva sapere che, pur desiderando la autonomia per la minoranza polacca, avrebbe seguito la politica della Gran Bretagna. Quanto all'ungheria, manteneva un atteggiamento riservato. Ciano, il ministro-genero (che doveva conoscere gli timori del suocero, presidente e duce), dichiarava non essere il caso di parlare di plebiscito, e che l'unità cecoslovacca non poteva essere messa in discussione. Appena conosciuto il viaggio di Chamberlain a Berchtesgaden, il duce si dichiarava per il plebiscito e per una soluzione radicale e affermava che in ogni caso egli era pronto ad affrontare i rischi di una guerra ; la Polonia e l'Ungheria chiedono la loro parte di territorio. Che dirà Chamberlain al Fuhrer oggi, se questi si dichiara solidale con Varsavia e con Budapest? Londra, 23 settembre 1938. (Avant Garde, Bruxelles, 24 settembre 1938).
QUE S'EST-IL PASSE'? Rentré en Engleterre le soir du 5 septembre, je vis, après deux joura, est vain; la France n'interviendra pas en favenr de la Tchécoslovaquie m. Je lui fie remarquer que M. Daladier avait, à plusieum repriacs, affirmé que la France maintiendrait sui engagementa à I'égard de Prague, et mon ami de rétorquer: C La France ne le peut pas parce que son aviation est faible. C'est l'opinion dea cerclea italiem B. l e me suis alors rappelé qu'un autre ami, de Paria, excellement in-
m ami qui me dit: a Tout
formé de I'opinion du Quai d'Orsay, mkvait dit à la fin de juillet, exactement la meme chose.
Ces jours-ci, dans les journaux anglais, on discute aprement pour savoir si la Grande-Bretagne avait oui ou non, trahi la Tchécoslovaquie, et si oui ou non, elle a subi le chantage de Hitler. Naturellement, ceci est l e thème des conversations les plus animées. Le Times s'imte quand on parle de trahison. Un gentilhomme anglais (in contact avec le monde politique me disait: « L e gouvernement anglais anra ses torte, mais pas un francais n'aura le droit de les lui rnppeler. Chamberlain et Halifax ont un dossier rcmpli de lettres et de télégrammes émanant du ministre francais pour démontrer que, non seulement l'initiative des entretiens avec Hitler vient de Paris, mais que les concessiona proposées venaient bel et bien du Quai d'0rsay n.
Bien que mon interlocuteur ait toujours été francophile, cette fois-ci, il ne cachait pas, à l'adresse de la France, une amertnme mal contenue. Mais ce nouveau projet Laval-Hoare pourrait s'appeler projet Bonnet-Chamberlain on, d'après d'autres, et j'en suis, Chamberlain-Bonnet. Le fameux article du Times qui propose le premier la sécession des zones des cantone allemande, recut d'emblée un démenti du Foreign Office et le blirne ouvert de plnsienrs journaux, le conservateur Daily Telegraph compris. Mais un observateur attenti£ flairait de loin l e ballon d'essai. C'est alors, que je dis à un éminent ami, qu'il y avait là, la main de M. Chamberlain. I1 me fit iemarquer qus je ne devais pas faire ce que les moralistes appellent un jugement témérair. C'est possible, aprés tout, que la main de M. Chamberlain ne soit pas dans l'affaire, mais celle de Dawson, directeur du Times y est certainernent et son intervention fut décisive.
Chamberlain, parti en avion pour Berchtesgaden, avait sana donte un plan. Lequel? Peut-:tre n'avait-il que le plan de gagner du temps et éviter un conflit. On sait qu'il fut admis seul, sans aucune des personnne de sa suite a l'audience du Fuhrer. Son interprète qui connai excellerurnent I'nllemand et qui pouvait cueillir toutes les nnances de la convemation des quatre allemands présents, fut laissé dehors. Ce fut un employé de Hitler qui fut le traducteur. Fut-il fidèle? Ne faisons pas ici de jugement témeraire. Mais d'après ce que j'ai appris, il semble qne le centre de la conversation ait été l e suivant: Hitler: Vous admettez l a self-determination d'un peuple, n'est-rr pas? Chamberlain: Oni, en r+gle générale. Cela d6pend aussi.
Hitier: L'Angleterre, pour la paix de l'Europe, doit consentir à une forme d'autodécision dea allemands dea sudètes qui ne peuvent pas continuer à vivre sous l e joug des tchéques. Ici Chamberlain, voit les difficultés, le danger. I1 faut s'accorder aveo la France, et Hitler conclut: Il faut arriver tout de suite à l'incorporation des allemands de Tchécoslovaquie au Reich; et ceci pour mercredi au p l w tard (21 septembre). Chamberlain avance tpelquea remarques. I1 faut le temps nécessaire. Le Fiihrer proroge aimablement à un autre jour, son ultimatum. Hier, jeudi 22 septembre, Chamberlain était là, à Godesberg, apportant l'accord Anglo-Franco-Tchéque. L'opinion publique britannique est en effervescente. Eden et Churchill, qui font partie de la majorité, ont manifesté, sous une forme mesnrée, leur déaapprobation. Travaillistes, libéraux, trade-unionistee et maase populaire critiquent ouvertment; dea manifestations ont lieu. L'Evening Siandard ecrit: a Souvenez-vous de 1'Abyssinie. On n'a pas voulu l e plan Laval-Hoare, et aprèa, on a laissé 1'Italie prendre toute 1'Abyssinie m. Le Times ajoute: a Si l'on sauve la Tchécoslovaquie, fiìtce avec une amputation, ce sera là un mérite de la Grande-Bretagne qui donne sa garantie en Europe centrale n. Cette fois-ci, travaillistes et libéraux ne parviendront plus a faire bouger l e gouvemement comme en décembre 1935. I1 est fermement tenn par Chamberlain, Samuel Hoare e John Simon, le vrais responsables de la situation (Halifax ne compte guère), et l'opposition de Churchill et Eden n'est pas susceptible, pour le moment, de faire une brèche dans la majorité. Mais que noua réserve Hitler aujourd'hui? Fera-t-il cause commune avec Varsovie et Budapest ?
***
Quand on croyait que France et Grande-Bretagne ensemble auraient opposé un refus à un demembrement de la Tchécoslovaquie et aurait insisté seulement pour un large systéme d'autonomie, type suisse, la Pologne faisait alors savoir que, bien que désiant l'autonomie pour la minorité polonaise, elle suivrait la politique de la Grande-Bretagne. Quant à la Hongrie, elle gardait une attitude réservée. Ciano, le ministre-gendre, (qui devait connaitre les humeurs du beau-père, président et duce), déclarait que ce n'était pas le cas de parler de plébiscite et que l'unité tchécoslovaque ne pouvait ;tre mise en discussione. A peine apprirent'ils le voyage de Chamberlain, nouveau Schuschnigg, à Berchtesgaden, l e Duce se déclarait pour le plébiscite et pour une solution radicale et a h a i t qu'en tous cas, il était prct à affronter les risques d'une guerre; la Pologne et la Hongrie demandant leur part de temtoire. Que dira-t-il Chamberlain au Fuhrer aujourd'hui, si celuici se declare iolidaire avec Vanovie et Budapest? Londra, 30 settembre 1938.
IL GIOCO DELLA PAURA DI GUERRA La minaccia di guerra c'è stata sul seno ovvero si è trattato d i una triste commedia abilmente montata? Ecco il dubbio che m i h a assalito d a due settimane, e che mano mano si è reso più forte fino alla « notte di Monaco n (29-30 settembre) (l). Supponiamo che sia stata una grande montatura, e cerchìamo d i analizzarne il gioco. Chamberlain ha detto nel suo discorso del 28 settembre al parlamento britannico che Hitler era deciso ad invadere la Cecoslovacchia fin dal 15 settembre quando egli si precipitò a Berchtesgaden; e che solo la sua visita ne impedì la realizzazione. Non ho difficoltà a credergli: le mosse rapide e i fatti compiuti, prima che altri a m v i ad impedirli, hanno spesso ( m a non sempre) un valore definitivo. Se Hitler avesse tentato l'avventura, avrebbe trovato la resistenza armata dei cechi, e con tutta probabilità (date le assicurazioni di Parigi, ripetute pubblicamente in quei giorni), l'intervento francese e russo, e infine anche quello inglese. ( l ) Chamberlain, portando ad Hitler, nell'incontro di Godesberg, l'accettazione franco-inglese all'annessione del territorio dei sudeti da parte della Germania (cfr. nota 1 all'articolo 57), pensava di avere se non risolto certo tamponato i pericoli di conflitti in Europa. Ma pochi giorni dopo, il 26 settembre 1938, Hitler, in un nuovo violento discorso avanzò altri pesanti richieste accompagnate da minacciosi propositi, tanto da costringere Cecoslovacchia, Inghilterra e Francia alla mobilitazione generale. Quale ultimo tentativo, il 28 settembre, Chamberlain propose a Mussolini di farsi promotore di un incontro tra i capi di governo italiano, tedesco, francese, inglese e cecoslovacco. Hitler accettò la proposta ma impose l'esclusione dei cecoslovacchi d d e conversazioni. Mussolini, Hitler, Daladier e Chamberlain si riunirono a Monaco il 29 e 30 settembre 1938. La pace, a Monaco, fu salvata a caro prezzo cedendo alle pressioni e alle pretese di Hitler, sacrificando gli interessi della Cecoslovacchia. Sulla conferenza di Monaco cfr. J.W. WHEELEII-BENNET, I l patto di Monaco. Prologo aila tragedia, Milano 1968 e R. MOW, L'Europa verso la catastrofe, Milano 1965.
Era un rischio che Hitler non aveva ragione di correre, se riusciva o a dividere l'Inghilterra dalla Francia, ovvero ad assicurarsi il non intervento di entrambe. A far ciò non c'era altro mezzo che il mostrarsi pronto a subire il fato di una guerra generale. Così, egli ebbe subito partita vinta: i due governi, l'inglese e il francese, si misero d'accordo sul piano di smembramento della Cecoslovacchia, e lo imposero a Praga il 19 settembre. Vittoria più rapida non poteva ottenersi con l'invasione armata. Ma perchè Hitler non si contenta della prima vittoria, e ne esige una seconda, quando Chamberlain ritorna in Germania e porta a Bad Godesberg il cadem della zona dei Sudeti? È allora che Hitler gioca non più sulla minaccia di una guerra di invasione alla Cecoslovacchia, nè solo con l a possibilità di u n intervento isolato della Francia e della Russia (come poteva essere nel primo caso), ma sulla possibilità di una guerra di coalizione della Francia, Gran Bretagna e Russia, con l'appoggio morale ed economico degli Stati Uniti, per non parlare della che avrebbero presa Polonia, Ungheria, Jugoslavia, Romania ed altri stati europei. Era veramente Hitler in posizione di sfidare i l mondo, per ottenere in una settimana quello che già avrebbe avuto consegnato in uno o due mesi? Ottenere qualche città di più, qualche zona dimenticata, qualche montagna non segnata sulla carta geografica, qualche migliaio di più di ex-austriaci? Ebbene, Hitler non era in queste condizioni, nè morali, nè politiche, nè economiche, nè militari. Ma Hitler aveva una carta nel suo gioco, che non avevano gli altri. Aveva Mussolini, che al momento opportuno avrebbe fatto da paciere. Perciò Hitler giocava sicuro. Se il suo fosse stato un guadagno del venti, del cinquanta o del cento per cento. era la posta del gioco; ciò dipendeva, non dai suoi nervi e da quelli del popolo tedesco, ma dai nervi e dalla resistenza dei governi e del popolo d'Inghilterra e di Francia e anche del resto del mondo. Che fosse così, non può esser messo in dubbio. L'Italia non si è mossa: non ha avuto un solo momento di panico. Trancyuillo i l popolo, tranquilla la borsa, tranquille le banche. L'esercito,
l'armata, l'aviazione al loro posto: ridotta mobilitazione. I1 duce solo ha fatto dei discorsi: essi servivano a dare l'impressione dell'intesa stretta fra l'Italia e l a Germania; a f a r capire, senza dirlo, che l'Italia marciava con Hitler. Marciare contro chi? non c'è stato un motto reale di guerra. Del resto, per chi conosce le attuali condizioni del171talia, dopo due guerre, quella di Abissinia e quella di Spagna, sia dal punto di vista finanziario, sia da quello della produzione d i guerra per insufficienza di materie prime, sia da quello dei rifornimenti militari e di alimentazione del paese, può dire che una guerra generale non poteva oggi essere affrontata dall'Italia. Mussolini ha ben servito Hitler a guadagnare la partita a l cento per cento, alla data fissa, con aumento di prestigio dì fronte a tutti i piccoli stati d'Europa; e con l'umiliazione delle grandi democrazie; ed ha l'onore di aver salvato l a pace, onore che, se vuole, potrà dividere con Chamberlain. Dal Iato loro Francia e Inghilterra non avevano la valvola d i sicurezza italiana ch'era nelle mani di Hitler. Francia e Inghilterra correvano un rischio ( i o credo piccolo rischio): quell o di mostrare di credere sul serio alla guerra e di poterci cadere se il gioco diventava aspro per un incidente imprevedibile. Ma dopo essersi indeboliti con la missione Runciman e con la gita di Chamberlain a Berchtesgaden, non credevano che valesse la pena affrontare questo piccolo rischio per opporsi alle ultime richieste di Hitler. Non giudico : analizzo. Vorrei ingannarmi per l'onore dell'Europa. (Popolo e libertà, Bellinzona, 5 ottobre 1938) Londra. 30 settembre 1938.
59. a
...WHILE
TIME REMAINS
(mentre c'è ancora tempo) I1 discorso radiofonico di Winston Churchill agli americani, resterà negli annali storici come un primo raddrizzamento del-
l'opinione pubblica inglese, se troverà eco di qua e di là dell'oceano. Se invece cadrà nel vuoto, resterà sempre come la testimonianza di uno degli uomini politici inglesi più antiveggenti e perchè tale messo in disparte. Per fortuna, la voga di Chamberlain, arcangelo della pace volante sulle nubi tra lYAnglia e la Sassonia, va diminuendo: Berchtesgaden, Godesberg, Munich ( l ) non sono più, per molti, le sue tappe trionfali. Lasciamolo là: e lasciamo coloro che si sono affrettati, in Francia, a intitolare subito con il nome d i Neville Chamberlain qualche rue che aveva il suo bel nome storico toccante la fantasia meglio di questo piccolo uomo di affari di Birmingham. Quel che del discorso di Churchill bisogna ritenere sono due idee fondamentali, che formano la struttura solida del suo discorso. 1) Che se Inghilterra, Francia e Russia avessero avvertito in tempo Hitler che un atto di aggressione contro la Cecoslovacchia le avrebbe trovate unite a resistere con le armi, facendo appello anche alle altre nazioni interessate, Polonia, Romania e Jugoslavia, non si sarebbe avuto nè la guerra, nè la minaccia di guerra, nè lo smembramento della Cecoslovacchia. 2) Che la libertà, oggi gravemente compromessa, ha, non ontante gli avvenimenti, un potere di riprendersi, una virtù propria interiore, sì che la stessa disfatta le ridà maggior forza e speranza. I n sostanza, il discorso di Churchill è la risposta a coloro che non hanno voluto vedere nel totalitarismo nazista O fascista un problema ideologico, e si sono rifiutati di volervi contrapporre la nostra ideologia civile e cristiana. Le idee hanno più importanza dei fatti, perchè i fatti senza idee non hanno significato. La caduta della Cecoslovacchia fa dispiacere a coloro che si erano affezionati a un tale piccolo stato libero e democratico, e a tutti coloro che vedono soffrire tanta gente a causa di una soperchieria. Ma non è qui la tragedia: essa consiste nella perdita di valori morali. Un patto d i
(l)
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Cfr. la nota n. 1 agli articoli 57 e 58.
alleanza è stato lacerato senza tentarne l'esecuzione, non ostante le ripetute affermazioni di volerlo osservare; senza neppure cercare di ottenere dall'altra parte la leale rescissione per impossibilità di osservanza: quel che avrebbe reso meno ripugnante il fallimento di un legame così stretto. Perchè il mondo si risentì dell'invasione del Belgio nel 1914? forse non c'erano state altre invasioni in precedenza? e non ce ne sono state dopo? Ma c'era un patto: un patto di garanzia che veniva violato. Un valore morale che veniva disprezzato. Dippiù, tutti hanno presente che se il debole, il piccolo può essere abbandonato per una minaccia di guerra, nulla più resiste nell'ordine internazionale. Ciò fu chiaro per l'affare del1'Abissinia; ma per molti 1'Abissinia era troppo lontana, era di un altro continente, di un'altra razza, per averne un interesse immediato. Errore di visuale e mancanza di senso morale. Ma quando è venuto il turno della Cecoslovacchia, anche coloro che ne hanno voluto o permesso la caduta, ora ne sono sgomenti. La società umana a civilizzazione cristiana va in brandelli; la libertà perduta negli stati totalitari, si va oscurando anche negli altri stati, per un processo di assimilazione o per un bisogno di impedire le critiche troppo sensibili. È perciò che Churchill pateticamente dice agli americani: parliamoci alla radio liberamente, oggi, while time remains, prima che anche questo ci sia impedito in nome dei poteri totalitari che invadono il mondo. Ma no: uomini che hanno fede nella civiltà cristiana riconoscono che la libertà ha il potere di riaversi e di far fronte alle potenze delle tenebre, che vogliono imporsi in tutto il mondo. Le idee non muoiono, quando esse hanno per base la verità. È perciò che occorre finirla con la politica senza idee, quella del compromesso pratico, quella di Berchtesgaden o di Munich, dove, di fronte all'idea totalitaria, i Chamberlain e i Daladier non ebbero una parola ( e non potevano averla) per difendere il buon diritto e la morale internazionale offesa. Così come non l'ehbero quando Inghilterra e Francia cercarono, nel comitato di non intervento, il loro alibi per non portare il pro-
blema spagnolo a Ginevra e giudicarlo quale esso era, la ribellione ad un governo legale ma debole, sia dei militari sia delle folle anarchiche. Così come non l'ebbero quando il fascismo richiese ai paesi u sanzionisti n l'umiliazione del riconoscimento de jure dell'impero acquistato con l'aggressione. Churchill ha domandato agli americani la cooperazione per far fronte non solo ad una aggressione armata, ma all'aggressione morale. Ed ha ragione: l'aggressione morale è quotidiana, insinuante, con tutti i mezzi della propaganda, dello spionaggio, della minaccia, dell'utilizzazione dei sentimenti più nobili e di quelli più vili, in Europa, in Asia, in America dappertutto Quanta parte di quest'aggresiione morale non era i n Francia ed in Inghilterra prima che Hitler mobilitasse il suo esercito e minacciasse la Cecoslovacchia? La partita era stata vinta i n marzo quando, dopo la caduta dell'Austria, il Times iniziò la pubblicazione di lettere autorevoli, che già suggerivano il passaggio della zona dei sudeti alla Germania. E f u da allora che la borghesia nazionalista francese faceva capire che non si sarebbe battuta per la Cecoslovacchia. Quale oggi è la linea di resistenza morale alla marcia del totalitarismo nel mondo? E sarà possibile la collaborazione americana? e fino a qual punto? Vorremmo che voci responsabili, come quella di W. Churchill, si levassero in Francia e altrove; mentre constatiamo che l'America di Roosevelt ha fatto quanto poteva per mettere i n guardia inglesi e francesi; ma ogni volta che ha fatto una proposta concreta, (dal caso della Manciuria ad oggi) h a trovato i cugini inglesi purtroppo senza né coraggio né ideali. Eppure bisogna sperare nell'awenire e lottare.
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Londra, 17 ottobre 1938 ( A v m t Ganle, Bruxelles, 21 ottobre 1938).
Arch. 12 A, 3.
LE VOSTRE RESPONSABILITA' ( *) L'età, l'esperienza, l'amicizia mi danno un certo diritto a parlare delle vostre responsabilità: voi me lo permettete. Un non francese, democratico e cattolico, guarda oggi alla Francia come al paese in cui cattolicesimo e democrazia possono coesistere, essere amici; cosa strana a dirsi, arriva persino a pensare che l a loro intesa potrebbe essere salutare alla causa del cattolicesimo e a quella della democrazia. Intendiamoci: il cattolicesimo non è nè legato, nè subordinato alle forme politiche; in fin dei conti, per sè non chiede che la libertà, o semplicemente la tolleranza, secondo i casi, perchè esso trascende tutte le forme politiche attraverso un ordine etico-religioso soprannaturale. Ma il cattolicesimo compie la sua opera nella storia, sia collaborando con le forme sociali che ci offre la storia, sia opponendovisi. La democrazia francese ha conosciuto l e lotte anticattoliche condotte dai suoi dirigenti, ha conosciuto I'anticlericalismo, il positivismo delle sue scuole. Potrà conoscere ora un cristianesimo vivificante, il cristianesimo cattolico, con il quale possa riconciliarsi, non dico nella sua vecchiaia e prima di morire, ma nella sua crisi (poichè la democrazia subisce oggi una grave crisi), crisi che fa vedere gli errori del passato e lo smarrimento dell'ora presente? Questo è il problema cui gli amici dell'dube ( l ) , democratici e cattolici, hanno il dovere di rispondere, non a parole, ma con i fatti; o meglio, sia con la parola (poichè 1'Aube è u n giornale che parla e che non resta muto, grazie a Dio), sia con l'azione. Oggi, i cattolici democratici di Germania sono ridotti al silenzio (dov'è oggi il centro, dove sono i loro giornali, i loro
(*) Messaggio per il secondo congresso nazionale degli Amici dell'llube. ( l ) Sul secondo congresso degli a Amici de E'Aube D cfr. F. MAYEUR,op. cit., pp. 335 e ss.
sindacati?), come prima furono ridotti a l silenzio i cattolici democratici italiani con i loro centosette deputati popolari, i loro giornali, l a loro confederazione operaia che contava più di un milione di membri. La Sarre non ha più voce cristianosociale, nè l'Austria, e la Cecoslovacchia ha perduto la sua. Rimane il Belgio, ardente, ma minacciato dal nazionalismo fiammingo; rimangono l'Olanda e la Svizzera, dove i nostri amici stanno attenti a non varcare i limiti del loro dominio e osservano la prudenza di chi ha un tesoro da conservare. L'America è lontana. I cattolici inglesi sono solo una piccola minoranza, senza un giornale quotidiano; a parte il People a d Freedom Group, essi non fanno nè vogliono fare politica (la difesa di Franco non è per essi politica, ma sentimentalismo religioso). Rimane la Francia. Prima della guerra, quando i democratici laici erano liberali, umanitaristi, internazionalisti e, in quanto tali, dirigevano l'opinione mondiale, i cattolici (mettendo da parte la loro espansione religiosa e missionaria) erano politicamente dei nazionalisti, dei reazionari, persino degli antisemiti (con l'affare Dreyfus): i gruppi democratici si tenevano fuori della politica attiva, confinati nelle piccole- organizzazioni di propaganda economica. Oggi, i cattolici democratici francesi hanno la loro parola da dire, anche fuori del loro paese, poichè hanno la loro parola da dire nella politica .del loro paese.
Nel secolo scorso, fu un torto dei cattolici sociali il non avere dottrina, filosofia politica che potesse venir affermata, sviluppata, imposta alla considerazione dei non-cattolici, e che potesse venir esportata attraverso il mondo. La loro concezione sociale f u inizialmente economica ed etica, fatta per essere contrapposta alle teorie socialiste, e fu anche una critica a l liberalismo, senza elementi costruttivi, d i modo che, politicamente, essi furono confusi con la reazione antiparlamentare e, socialmente, respinti come cristiani u rossi n. È soltanto dopo l a guerra che con la nascita del popolarismo democratico e con le esperienze di partecipazione a1 go-
vemo fatte in Germania, Italia, Austria, Belgio, Cecoslovacchia, Olanda, Svizzera e altrove, si forma una teoria politica fondata sulla personalità umana e sull'organicismo sociale. Quelle esperienze furono arrestate dalle rivoluzioni fascista e nazista. Fece la sua apparizione uno pseudo-corporativismo di stato, come pure una Weltanschauung nazionalista, che trascinarono numerosi cattolici dell'ala antidemocratica o li spinsero a ritirarsi nelle trincee dell'azione cattolica, che è apolitica per definizione. In quell'ora tragica nacque a Parigi L'Aube ('), giornale politico, democratico, d'ispirazione cristiana. Non ho a.ffatto l'intenzione d i esagerare la funzione del1'Aube. Esso non è un partito e non ne usurpa le funzioni, non intende parlare a nome di tutti i cattolici francesi e non è questo il suo compito; non intende affatto monopolizzame la politica, poiché concepisce la politica come una libera scelta e una libera adesione. L'Aube è una voce che vuol farsi ascoltare da amici ed avversari; una bandiera dei democratici d'ispirazione cristiana, aperta al vento ed esposta alle lotte. L'Aube è l'amico delle classi lavoratrici di cui difende gli interessi sani e veri; propaga le teorie del cattolicesimo sociale. L'Aube presenta un interessante punto di vista politico della Francia democratica, parlamentare, grande nazione e grande potenza. L'Aube prende partito per la sicurezza collettiva, per la Società delle nazioni, per la pace nella collaborazione internazionale. È per questo che L'Aube è amato e odiato; il che è necessario per avere un posto nella politica del suo paese e nell'opinione pubblica. Ma la Francia, grazie a Dio, non ha rinunciato fino ad oggi ad essere un centro di irradiazione mondiale delle idee d i libertà, di democrazia, di cristianesimo. Oggi che la lotta dei grandi ideali politici si svolge attorno a queste tre posizioni,
(2)
I1 primo numero dell'dube uscì il 20 gennaio 1931 ma solo come
a numero di propaganda a. La pubblicazione effettiva cominciò il 1 marzo
1932 cfr. F. MAYEUR,OP. cit., pp. 43 e m.).
- la Francia tradirebbe la sua missione civilizzatrice se rinunciasse, anch'essa, ai grandi valori umani e religiosi che comportano tali parole. Essa ha, da un certo tempo, perduto la nozione del valore dell'influenza religiosa nella vita pubblica, ma ha conservato la tradizione della morale del diritto nella libert,à e nella democrazia. Oggi tuttavia le esperienze totalitarie mostrano con evidenza dove si può arrivare nell'abbandono di ogni libertà; la morale decade, si calpesta sotto i piedi la personalità umana e si perseguita i l cristianesimo. È il momento, per la Francia, di risalire il cammino che, dalla libertà democratica e dal valore laico, conduce ai valori cristiani della nostra civiltà. L'Aube e i suoi amici, posti sul terreno politico che è loro proprio, devono radunare attorno a sè tutti coloro che, i n Francia e fuori di Francia, uniscono all'ideale di libertà e di democrazia la difesa dei valori morali resi efficienti dal cristianesimo. Questo è il vostro compito, amici; esso comporta gravi responsabilità che dovete affrontare con £edelt,à, con coraggio, con spirito di sacrificio davanti ai democratici cattolici di Francia e di tutta Europa, nell'ora più tragica della storia. (L'Aube, Paris, 25 ottobre 1938).
VOS RESPONSABILITÉS L'ige, l'expérience, l'amitié me donnent un certain droit à parler de zos responsabilités: vous le permettez.
Un non-francais, démocrate et catholique, regarde aujord'hui la France comme le pays où catholicisme et dérnocratie peuvent coexister, peuvent &tre amis; chose étrange à dire, il en arrive meme à penser que leur entente pourrait 6tre salutaire à la cause du catholicisme et à celle de la démocratie. Entendons-nuus: le catholicisme n'est ni lié, ni subordonné aux f o r m a politiques; en fin de compte, il ne demande pour lui-meme que la liberté, ou méme simplement la tolérance, selon les cas, parce qui'il trascende toutes les formea politiques par un ordre éthico-religieux surnaturel. Mais le catholicisme acaomplit son oeuvre dans l'histoire, tantot en collaborant avec les formes sociales que nous offre l'histoire, tanti% en s'y opposant. La démocratie francaise a connu les luttes anticatholiques menées par ses dirigeants, elle a connu l'anticléricaliame, le positivisme de s a écoles. Pourra-t-elle connaitre maintenant un christianisme vivifiant, le christia-
nisme catholique, avec lequel elle puisse se réconcilier, je ne dis pas dans sa veiliesse et avant de mourir, mais dans sa crise (puisque la démocratie subit une grave crise actuellement), crise qui fait voir les erreura du passé et le désarroi de l'heure présente? Te1 est le problème auquel les amis de L'Aube, démocrates et catholiques, ont le devoir de répondre, non par deri paroles, mais par des actes; ou mieux, soit par la parole (puisque Z'Aube est un joumal qui parle et qui ne reste pas muet, grices à Dieu), soit par l'action. Aujourd'hui, les catholiques démocrates d9Allemagne sont réduits an silence (où est maintenant le Centre, où sont leurs joiimaux, leurs syndicats?), comme avant eux furent réduits au silence les catholiques démocrateri italiena avec leurs cent sept députés populaires, avec leurs journaux, avec leur confederation ouvrière qui comptait plus d'un million de membres. La Sarre n'a plus de voix chrétienne sociale. ni l'Autriche, et la Tchécoslovaquie a perdu les siennes. Reste la Belgique, ardente, mais menacée par le nationalisme flamingant: restent la Hollande et la Suisse, où nos amis prennent soin de ne pas franchir les limites de leur domaine et ob. servent la pmdence de celui qui a un trésor à conserver. L'Amérique est lointaine. Les catholiques anglais ne forment qu'une petite minonté, sans journal quotidien; à part le People and Freedom Group, ils ne font ni ne veulent faire de politique (la défense de Franco n'est pas pour eux de la politique, c'est un sentimentalisme religieux). Reste la France. Avant la guerre, quand les démocrates laiques étaient liberaux, humanitaristes, internationalistes et, comme tels, dirigeaient l'opinion mondiale, les catholiques (mise à part leur expansion religeuse et rnissionaire) étaient politiquement des nationalistes, des réactionnaires, meme des antisémites (avec l'affaire Dreyfus): les groupes démocrates se tenaient hors de la politique active, confinés dans les petites organisations de propagande économique. Aujourd'hui, les catholiques démocrates francais ont leur rnot à dire, à l'extérieur meme de leur pays, parce qu'ils ont leur mot à dire dans la politique de leur pays.
Ce fut, au siècle passé, un tort des catholiques sociaux de n'avoir point de dottrine, de philosophie politique que l'on piìt a r m e r , développer, imposer à la considération des noncatholiques et qui pfit ;tre exportée à travers le monde. Leur conception sociale fut initialement économique et éthique, faite pour 6tre opposée aux théories socialistes, et ce fut aussi une critique du libéralisme, sans éléments constmctif, de sorte que, politiquement, ils furent confondus avec la réaction antiparlementaire et, socialment, rejetés comme chrétiens a rouges .a. C'est aprés la guerre seulement qu'avec la naissance du popolorisme démocratique et avec les expériences de participation au gouvemement faites en Allemagne, Italie, Autriche, Belgique, Tchécoslovaquie, Hollande, Suisse et ailleurs, se forme une théorie de politique fondée sur la person-
nalité humaine et sur i'organicisme social. Ces expériences furent anetéw par les révolutions fasciste et naziste. Un pseudo-corporatisme d'état fit son apparition, ainsi qu'une Welta~schauungnationaliste, qui entrainèrent de nombreux catholiques de i'aile antidémocratique ou les poussèrent à se ritirer dans les tranchées de I'Action catholique, qui est apolitique par définition. A cette heure tragique naquit à Paris L'Aube, journal politique, démocratique, d'inspiration chrétienne. J e n'ai nullement l'intention d'exagérer le r6le de L'Aube. Elle n'est pas un parti et n'en usurpe pas les fonctions, elle n'entend pas parler au nom de tous les catholiques francais et ce n'est point là sa t&che; elle n'entend point en monopoliser la politique, puisqu'elle concoit la politique comme un libre choix et une libre adhésion. L'Aube est une voix qui veut se faire entendre des amis et des adversaires; un drapeau dea démocrates d'inspiration chrétienne, déployé au vent et exposé aux luttes. L'Aube est l'arnie dea classes lahorieuses dont elle défend les intérets sains et véritables; elle propage les théories du catholicisme social. L'Aube présente un intéressant point de Mie politique de la France démocratique, parlamentaire, grande nation et grande puissance. L'Aube prend parti pour la securité collective, pour la Société des nations, pour la paix dans la collaboration intemationale. C'est pourquoi L'Aube est aimée et haie: ce qui est nécessarie pour avoir une place dans la politique de son pays et dans l'opinion publique. Mais la France, grices à Dieu, n'a pas renoncé jusqu'à ce jour à ;tre un centre d'irradiation mondial des idées de liberté, de démocratie, de christianisme. Aujourd'hui que la lutte des grands idéaux politiques se mène autour de ces trois positions, la France trahirait sa missiou civilisatrice si elle renonqait, elle aussi, aux grandes valeurs humaines et religieuses que comportent ces mots. Elle a, depuis un certain temps, perdu la notion de la valeur de l'influente religieuse dans la vie publique, mais elle a conservé la tradition de la morale du droit dans la liberté et dans la démocratie. Aujourd'hui cependant les expériences totalitaires montrent à l'évidence où on peut en arriver dans l'abandon de toute liberté; la morale tombe par terre, on foule aux pieds la personnalité humaine et on persécute le christianisme. C'est le moment, pour la France, de remonter le chemin qui, de la liberté democratique et la valeur laique, mène aux valeurs chrétiennes de notre civilisation. L'Aube et ses amis, placés sur le terrain politique qui est le leur, doivent rassembler autour d'eux tous ceux qui, en France et hors de France, unissent à l'idéal de libérté et de démocratie la défense des valeurs morales rendues efììcientes par le christianisme. Telie est votre tàche, arnia; elle comporte de grnves respomabilités que vous devez affronter avec fidélité, avec courage, avec esprit de sacrifice devant les démocrates catholiques de France et de toute Europe, à l'heure la plus tragique de I'histoire.
I L PREMIO PER LA PACE A BENES (*) Egregia redazione, Anche se la mia voce non ha ancora oggi possibilità di essere udita, voglio con piacere affiancarmi alla vostra azione che chiede il premio Nobel per la pace per il presidente Benes (l). Per noi egli l'ha servita più di coloro che a Berchtesgaden, Londra o Monaco hanno deciso il destino della Cecoslovacchia; infatti egli non ha tramato nulla per la guerra, per ottenere il bottino senza lotta, né ha violato un'alleanza o lo statuto delle relazioni dei popoli per assicurarsi una pace senza onore. Insieme con il suo popolo, in dignità ha accettato il sacrificio di sé, che in nome della pace gli è stato imposto. (Die
Zukunft, Paris, 28
ottobre 1938).
DER FREIDENSNOBELPREIS FUER BENESH Sehr geehrte Redaktion! Wenn meine Stimme heute noch Aussicht hat, gehort zu werden, so will ich mich mit Freuden Ihrer Aktion anschliemen, die den Friedensnobelpreis fiir den Prasident Benesh fordert. E r hat es um uns verdient, mehr als die, die in Berchtesgaden, London und Miinchen uber das Schiksal der Tschechosliwakei entschieden haben; denn er hat nicht mit dem Kriege gedroht, um die Bente kampflos zu erlangen, noch hat e r ein Bundnis oder das Statut des Volkerbundes verlezt, um einen Frieden ohne Ehre zu sichern. E r hat gemeinsam mit seinem Volk in Wurde das Opfer auf sich genommen, das ihnen im Namen des Friedens auferlegt worden ist. Luigi S t u n o
(*) Lettera a Die Zukunft. (l) Eduard Benes (18841948). Presidente della repubblica cecoslovacca, dopo il patto di Monaco si dimise dalla presidenza, recandosi esule in esilio negli Stati Uniti, ove, nel 1940 costituì un governo cecoslovacco in esilio. Si dimise nel 1948, dopo il colpo di stato di Gottwald.
DIFESA D I « PEOPLE AND FREEDOM GROUP n ( f ) Signor direttore, Durante i quarant'anni della mia vita politica ho sempre fermamente ritenuto che non esiste una « azione politica cattolica n, ma solo cattolici che si impegnano nell'azione politica sia come individui membri di gruppi non cattolici, o come gruppi costituiti da cattolici. Nel secondo caso la loro azione politica non viene intrapresa in nome del cattolicesimo (che è una religione universale), ma in nome del loro particolare programma e sistema politico. Perché allora mi attribuite idee che non ho mai espresso, dicendo ( n e l vostro editoriale in risposta alla lettera di Anthony Heron) che io ho descritto il « People and Freedom Group u ( l ) u quale rappresentativo di un'azione politica cattolica n? Non ho mai pensato questo. Questo travisamento mi dà la chiave del risentimento del Catholic Herald alla mia innocua frase nell'articolo pubblicato su L'Aube. Voi ed io parliamo secondo due diversi ordini d i idee; una comprensione reciproca è perciò difficile. Lei ritiene che il Catholic Herald persegua una azione politica cattolica, e ciò io contesto. In nome di chi il Catholic Herald approva i l riconosiimento de jure dell'impero abissino? I n nome dei cattolici inglesi? No, perchè vi sono cattolici che disapprovano tale riconoscimento. I n nome di chi il Catholic Herald approva i bombardamenti di Barcellona? I n nome dei cattolici inglesi? Ma anche qui vi sono cattolici che approvano e cattolici che disapprovano.
(*) Lettera al Catholic Herald. il People and Freedom Group era un movimento ad ispirazione democratica cristiana. Ne era presidente Virginia Crawford e segretaria Barbara Barclay Carter. Stuno appoggiò e sostenne questo movimento e collaborò attivamente alla rivista People md Freedom, che ne era l'organo. -C&. anche l'articolo n. 80. (l)
Su tutti i punti di politica interna e internazionale le opinioni sono così diverse che i cattolici inglesi, i quali sono membri d i partiti non-cattolici, non hanno certo la stessa politica. I1 vostro giornale si definisce cattolico non in virtù della sua politica ma in virtù dei principi religiosi che difende. Qualsiasi cosa è semplicemente l'opinione degli editori, dei collaboratori, dei direttori. Essi non rappresentano alcuno vero gruppo politico, in ogni caso non attualmente, per quanto ne sappia, secondo i criteri degli uomini politici del continente. I1 n People and Freedom Group », se disapprova e lotta contro il riconoscimento de jure della conquista del17Abissinia (vedi la sua corrispondenza con lord Halifax) e contro i l bombardamento di città, lo fa in nome dei suoi membri che lo autorizzano a parlare per loro delega. Esiste anche un altro gruppo di cattolici in Inghilterra che lavora su una piattaforma politica (con un carattere particolare femminista), ed è l a « St. Joan7s Social and Political Alliance D ; esso parla in nome proprio, non a nome dei cattolici, i quali in politica possono essere femministi o anti-femministi. Ciò mi porta a un'altra differenza: quella del contenuto politico, sia esso un programma pratico o un sistema di idee. I1 K People and Freedom Group è orientato verso una democrazia di ispirazione cristiana, come i gruppi simili in Francia (L'Aube, i democratici popolari, la Jeune République), in Belgio ( i democratici cristiani) e in Svizzera ( i conservatori democratici). È stato da un organo di questi ultimi, Popolo e Libertà del.Ticino, che il gruppo ha preso il suo nome. Quale sistema di idee o programma rappresenta il Catholic Herald? Ora appare democratico, ora conservatore, ora filo-fascista. Se mi si dice che è cattolico, rispondo che il cattolicesimo è una religione, non un sistema politico, e che la chiesa ammette ogni forma politica, dalla monarchia assoluta alla democrazia; l'azione cattolica promossa dalla chiesa è fuori della politica, come viene esplicitamente ripetuto dal cardinal Pizzardo nelle osservazioni che servono da introduzione allo schema per l'azione cattolica della diocesi di Westminster. « L'azione cattolica n - egli dice - « è per sua natura indipendente da ogni affiliazione politica n.
Ciò non significa che i cattolici come tali debbano astenersi dalla vita politica, o che non debbano difendere gli interessi religiosi che possono essere pregiudicati dalla politica, ma che ciò facendo essi prendono posizione non su una base politica ma solo religiosa. Questo argomento ho trattato a fondo nel mio studio Politique et théologie morale, pubblicato l'ottobre scorso sulla Nouvelle Revue Théologique dei Gesuiti di Lovanio. Chiunque voglia approfondire i l tema può leggere il mio libro di prossima pubblicazione presso Burns e Oates, Politics and Morality (l). Infine, il fatto che il « People and Freedom Group può essere piccolo, ai suoi inizi, e non ben conosciuto, non è una ragione per non attribuirgli il suo carattere politico. Non è necessario presentare candidati al parlamento per essere un gruppo politico. Gli a Amici dell'dube » come tali non sono un partito elettorale, ma sono un gruppo politico. Ogni inizio è fatto da pochi. Se i pochi trovano una risposta alle loro idee e metodi, significa che hanno toccato veri sentimenti nell'ambiente in cui operano. I1 « People and Freedom Group W può incontrare indifferenza, opposizione, aiuto; quel poco che posso fare sarà nella terza categoria.
LUIGISTURZO (Catholic Herald, London, 11 novembre 1938).
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PEOPLE AND FREEDOM GROUPE 3 Don Sturzo's Defence
During my forty years of politica1 life I have always consistently maintained that there is no such thing as e Catholic political action n, but only Catholics who engage in political action either as individua1 membere of non-Catholic groups or as groups made u p of Catholics. I n the latter case their political action M not camed on in the name of Catholicism (which
( l ) L. STURZO, Politicr ami morality, Londra 1938, tr. di B. Barclay Carter; edizione it. Politica e morale, Bologna, 1972.
is a iiniversal religion), but in the name of their particular programrne and political system. Why, then, do you attribute to me ideas I have never expressed, saying (in your editorial note to Mr. Anthony Heron's letter) that I described the People and Freedom Group a as representative of Catholic politica1 action n ? This idea was never mine. This misunderstanding gives me the key to the Catholic Herald's resent. ment at my innocuous phrase in my article in L'Aube. You and I speak two different sets o£ ideas; mutua1 comprehension is therefore difiicult. You assume that the Catholic Herald pursues a Catholic political policy. This I contest. In whose name does the Catholic Herald approve the de jure recognition o£ the Abyssinian Empire? In the name of English Catholics? No, for there are Catholics who disapprove it. In whose name does the Catholic Herald approve the bombardments on Barcelona? In the name o£ the English Catholics? But here again there are Catholics who approve and Catholics who disapprove. On al1 points o£ intemational politics opinions are so diverse that the English Catholics, who are members of the non-Catholic parties, certainly have not the same politics. Your paper calls itseif Catholic not in virtue of its politics but in virtue of the religious principles it defends. Anything else is simply the opinion of editors, contributors, directors. They do not represent any true politica1 g o u p , at any rate iip to the present, as far as I know, according to the criteria of politica1 men o£ the Continent. The People and Freedom Group, if it disapproves and fights against the de jure recognition of the Abyasinian conquest (see its correspondence with lord Halifax) and against the bombardament of towns, does so in thc name of its members who authorise it to speak on their hehalf. There is also another group o£ Catholics in England working on a politica1 platform (with a specialised character feminism), and that is the St. Joan's Social and Political Alliance; it speaks in its own name, not in the name of Catholics, who in politics can be feminist or anti-feminist. This brings me to another difference: that of politica1 content, whether this be a practical prograinme or a system of ideas. The People and Freedom Group is oriented towards a democracy of Christian inspiration, like the similar groups in France (L'Aube, the Popular Democrats, the Jeune République), in Belgium (the Christian Democrats) and in Switzerland (the Democratic Conservativa). It was from an organ of these last, the Popolo e libertà of the Ticino, that the Group took its name of People and Freedom. What system or programme doea the Catholic Herald represent? Now it appears democratic, now coneervative, now philo-Fascist. If I am told that it is Catholic I answer that Catholicism is a religion, not a political system, and that the Church admits of every politica1 form, from the absolute monarchy to the democracy; the Catholic Action promoted by the Church is
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outiiide politica, as is explicitly repea~edby Cardinal Pizzardo in the observations that serve as introduction to the Scheme for Catholic Action for the Archdiocese of Westminster. a Catholic Action n he says, a is by its nature independent o£ al1 politica1 aniliations n. This does not mean that Catholics as such must abstain from politica1 life, or that they should not defend the religious interests that might be prejudieed by politics, but that in doing so &ey take their stand not on a politica1 platform but on a religious one. This I have fully treated in my study La Politique et la Théologie Morale, published this October in the Nouvelle Revue Théologique of the Jesuits Fathers of Louvain. Anyone wishing to pursue the subject further can read my forth coming book with Burns and Oates, Politics and Illorality. Finally, &e fact that the People and Freedom Group may be small, at its beginnings, and not well known, is not reason not to attribate to it its politica1 character. It is not necessary to run parliamentary candidate5 in order to be a politica1 group. The Friends of L'Aube as such are not an electoral party, but they are a politica1 group. Every beginning is made by few. If the few find a response to their ideas and methods, it means that they have touched rea1 feelings in the environment in which they work. The People and Freedom Group may encounter indifierence, opposition, help; what little I can do will fa11 in the third category.
LUIGISTURZO
BISOGNA NAZIFICARSI Leggiamo su La Terre Wallonne; di Liegi: a Ciò che non sarà imposto dalla propaganda lo sarà dalla minaccia; là dove non si arriverà con lo spionaggio, si amverà con la polizia o la sedizione, ci si arriverà con l'occupazione e la guerra. Così la Sarre è stata conquistata al nazismo; l'Austria è completamente nazificata ; la Polonia, la Romania e l'Ungheria sono sotto l'influenza del nazismo; la Cecoslovacchia si dà già u n governo filo-nazista. I n Belgio, c'è il rexismo che diffonde il verbo nazista, come fu Mussert in Olanda, e come altri fanno in Alsazia, in Svizzera, in Spagna e in Portogallo. L'Italia, sotto il giogo del fascismo dal 1922, subisce ora un massaggio nazista, con la teoria della razza, con l'influenza dell'asse Berlino-Roma, ivi compreso il passo del-
Con Hitler sul Brennero, c'è poco da star allegri: « bisogna nazificarsi n. La rivoluzione che si compirà in Europa è al tempo stesso anticivile e anticristiana. Essa è basata sulla rinuncia ai valori morali acquisiti in regime di libertà, al rispetto della personalità umana e dei suoi diritti, alla cultura senza re giudizio di razza e senza « bene dello stato », alla discussione franca, alla fraternità dei popoli, all'elevazione delle classi umili e lavoratrici. Ma più ancora, è la rinuncia alla libertà cristiana, alle virtù fondamentali della nostra religione: l'amore del prossimo, l'umiltà, la mansuetudine, la bontà, la pazienza; è la rinuncia alle scuole confessionali, all'educazione religiosa della gioventù, al rispetto del matrimonio cristiano, al significato mistico di questo grande sacramento. Per questi valori, i cattolici e la chiesa hanno combattuto contro la rivoluzione liberale del XIX secolo, che si era opposta al cristianesimo, finché venisse loro consentito un regime di libertà, ed essi potessero affermarsi, vivere e svilupparsi con opere, associazioni, iniziative, con la parola, il libro, il sindacato e il partito. Oggi, la nostra lotta è nuovamente una lotta contro lo spirito di schiavitù e per lo spirito della vera libertà che è data ai figli di Dio. Come cattolici, non vogliamo prendere partito per l'egemonia della Francia contro la Germania, o per il dominio mediterraneo dell'Inghilterra contro l'Italia. Ognuno ha la sua politica. Ma siamo contro la marea crescente della guerra, che tende a creare l a paura permanente, se ciò è per far subire all'Europa l a duplice dominazione politica e morale del nazismo. E per questo che deploriamo che la Francia e l'Inghilterra (prese come complesso politico-etico) non abbiano oggi una sola parola autorizzata che rivendichi i valori morali della civiltà presente; deploriamo l'assenza di tutti coloro che sono i depositari più qualificati d i tali valori e che lasciano i piccoli stati sotto l'influenza nazista, perdendo così non una battaglia politica o militare, ma una battaglia civile e morale. Le masse francesi e inglesi ~ o t r e b b e r oormai pensare che, in fin dei conti, non va1 la pena di battersi, anche se Hitler dovesse venire a Parigi o a Londra. Z'oca.
Questa frase, triste frase, mi è stata riportata a Londra in questi giorni d i panico; è stata pronunciata da un vecchio professore e scrittore esperto in economia. In queste ore oscure, sono una luce che ci viene dal Vaticano le parole del messaggio di Pio XI ai cattolici francesi, riuniti alla settimana sociale di Rouen, nel luglio scorso: « Non ci si meraviglierà che essa (la chiesa) sia restata il solo e il più grande difensore della vera libertà ». "
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(Euxko Deya, Paris, 20 novembre 1938).
IL FAUT SE NAZIFIER Nous lisons dans La Terre Wallonne, de Liège: « Ce qui ne sera imposé par la propagande le sera par la menace; là où l'on n'arrivera pas par l'espionnage. on y pamiendra par la police ou la sédition, on y arrivera par l'occupation et par la guerre. Ainsi la Sarre a-t-elle été acquise au nazisme; 19Autriche est-elie complètement nazifiée; la Pologne, la Roumanie et la Hongrie sont sous l'influence du nazisme; la Tchécoslovaquie se donne déjà un gouvernement philo-naziste. En Belgique, il y a le rexisme qui répand la parole nazi, comme le fait hfussert en Hollande, et comme d'autres le font en Alsace, en Suisse, en Espagne et au Portugal. L'Italie, sous le joug du fascisme depuis 1922, subit maintenant un massage naziste, avec la théorie de la race, avec l'influence de l'axe Berlin-Rome, y compris le par de Z'oie. Avec Hitler sur le Brenner, il n'y a pas de qiioi ètre hereux: il faut se nazifier n. La revolution qui va s'accomplir en Europe est en meme temps anticivile et antichrétienne. Elle est basée sur la renonciation aux valeurs morales acquises en régime de liberté, au respect de la personnalité humaine et des ses droits, à la culture sans préjudice de race et sana bien d'Etat, à la discussion franche, à la fraternité dea peuples, à l'élévation des classes humbles et laborieuses. Mais ~ l u eneore, s elle est la renonciation à la liberté chrétienne, aux vertus les plus fondamentales de notre religion: l'amour du prochain, l'humilité, la mansuétude, la bonté, la patience; elle est la renonciation aux écoles eonfessionelles, à I'education religieuse de la jeunesse, au respect du mariage chrétien, à la signification mystique de ce grand sacrement. Pour ces valeurs, les catholiques et l'église ont combattu contre la révolution libérale du X I X h siécle, qui s'était opposée au Christianisme, jusqu'à ce qu'un régime de liberté leur soit consenti, et qu'ils puissent s'affirmer, vivre et se déveloper par des oeuvra, dea aesociations, des initiatives, par la parole. le Iivre, le syndicat et le parti. Aujourd'hui, notre lutte est
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à nouveau une lutte coiitre Yesprit de servitude et pour l'esprit de la vraie liberté qui est donnée aux enfants de Dieu. Comme catholiques, nous ne voulons pas prendre parti pour l'hégé. monie de la France contre l'Allemagne, o11 pour la domination méditerranéenne de l'hgleterre contre 1'Italie. Chacun a sa politiva. Mais nous sommes contre la montée grandissante de la guerre, qui tend à créer la peur permanente, si c'est pour faire subir à I'Europe la double domination politique et morale du nazisme. C'est pourquoi nous déplorons que la France et l'hgleterre (prises comme complexe politico-éthique), n'aient pas aujourd'hui une seule parole autorisée qui revendique les valeurs morales de la civilisation prbente; nous déplorons I'absence de tous ceux qui sont les dépm,itaires les plus qualifiée de ces valeurs et qui laissent les petits états sous l'influence naziste, perdant ainsi, non une bataille politique ou militaire, mais une bataille civile et morale. Les masses franpaises et anglaises pourraient désormais penser c~u'en fin de compte, il ne vaut pas la peine de se hattre, meme si Hitler devait venire à Paris ou à Londres. Cette phrase, triste phrase, m'a été rapportée à Londres en ces jours de panique; elle à été prononcée par un ancien professeur et écrivain auto. risé en matière d'économie. En ces heures sombres, n'eat-ce pas une lumière qui nous vient du Vatican quand on lit les paroles du message de Pie X I aiix catholiques de France, - réunis à la semaine sociale de Rouen, en juillet dernier: a On ne s'étonnera pas qu'elle (lYEglise) soit restée le seul et l e plus grand défenseur de la v ~ a i eliberté D ?
I L PARLAMENTO ITALIANO (*) Signor direttore, Quale fondatore del partito popolare italiano e uno dei principali sostenitori della rappresentanza proporzionale nelle elezioni parlamentari, mi sento obbligato a rettificare quanto ha scritto il vostro corrispondente italiano sulla questione nell'articolo « Morte rli un parlamento n. del 15 dicembre.
(*) Lettera al direttore del Times.
Egli ripete un'accusa che veniva abitualmente fatta dai giornali liberali in Italia, cioè che la rappresentanza proporzionale era una delle cause principali dell'instabilità governativa fra il 1919 e il 1922. Che tale accusa non abbia un fondamento reale è provato dalla stessa osservazione del vostro corrispondente, che fra il 1870 e il 1922 ci sono stati 32 mutamenti di governo in Italia. Di questi 32 ce ne sono stati quattro nel periodo 1919-1922: Giolitti, Bonomi e il primo e secondo governo Facta. (Non conto il governo Nitti perchè nato morto). La colpa, se colpa ci fu, di tali crisi non può venir addebitata alla rappresentanza proporzionale. Giolitti voleva sciogliere la camera nel 1921 senza alcuna ragione politica o costituzionale. Dopo le elezioni egli ebbe un voto di fiducia, ma non ne fu soddisfatto e diede le dimissioni. I1 vecchio uomo politico nutriva un forte risentimento contro il partito popolare, che disturbava il suo venerando gioco parlamentare. Si disse che alla sua età voleva passare in pace le sue vacanze fra Bardonecchia e Vichy (si era di luglio). Gli succedette Bonomi. Non andava troppo male, ma dopo sette mesi di governo il gruppo giolittiano, che aveva i suoi ministri nel gabinetto, decise di andarsene e di provocare una crisi che avrebbe dovuto riportare il loro capo al potere. Bonomi rassegnò le dimissioni senza un voto della camera. Un voto venne dato, dopo le dimissioni, per volere del re. Nella storia del parlamento italiano, cui si riferisce il vostro corrispondente, vi sono stati anni, soprattutto i primi, in cui le crisi governative erano continue. E a quell'epoca non c'era nè suffragio universale nè rappresentanza proporzionale. In ogni caso, si faccia il confronto con la Francia. La Terza Repubblica in meno di 70 anni h a raggiunto il suo centounesimo gabinetto. Senza aver avuto la rappresentanza proporzionale essa detiene il record nel numero dei governi. E malgrado ciò, la Francia, dal 1871 in poi, è stata capace di creare un impero coloniale, di vincere una grande guerra, di riguadagnare le province perdute sotto Napoleone III. Se oggi la Francia sta attraversando una grave crisi nella sua politica interna ed estera, ciò non è colpa della rappresentanza proporzionale, che essa non ha sperimentato. Il vero sostrato
della crisi italiana dal 1919 al 2922 era di carattere sociale. La borghesia abbandonò il metodo liberale e favorÏ il fascismo perchè le masse dei lavoratori e contadini erano state organizzate i n due forti partiti, il socialista e il popolare, al fine di avere il loro peso nella vita pubblica. Qualcosa del genere sta oggi accadendo in Francia.
LUIGISTURZO Londra, 16 dicembre 1938.
(The Timw, London, 20 dicembre 1938).
ITALIAN PARLIAMENT Sir. As founder and leader of the Italian Popular Party and one of the chief supporters of Proportional Representation in the Parliamentary elections, I feel obliged to rectify what your Italian Correspondent wrote on this question in the article (( The Death of a Parliament r> of December 15. Xe repeats the charge, which used to be made by the Libera1 papers in Italy, that P.R. was the main caiise of Cabinet instability between 1919 and 1922. That this charge has no rea1 foundation is proved by your Correspondents own statement, that between 1870 and 1922 there were 32 changes of Government in Italy. Of these 32 there were four in the period between 1919 and 1922: Giolitti, Bonorni, and the first and second Facta Govemments. (I do not count the second Nitti Government because it was stillborn). The fault, if fault there was, of these crises cannot be laid at the doors of P.R. Giolitti whished to dissolve the Chamber in 1921 without any political or constitutional reason. After the elections he received a vote of confidence, but he as not satisfied with it and resigned. The old politician noiirished a strong resentment against the Popular Party, which disturbed his time-honoured Parliamentary game. The saying went that at his age he wanted to pass his holidays in peace between Bardonecchia and Vichy (the tirne beinp July). Bonomi sueceeded hiin. He was not doing too badly, biit after seven months of Government the Giolitti g o u p , which had its Ministers in the Cabinet, decided to withdraw and to provoke a crisis that woiild bnng their own leader back to power. Bonomi resigned without a vote in the Chamber. A vote was taken, after the resignations, by the King's wish. In the history of the Italian Parliament, to which your Correspondent referred. there were years, especially the first years, when Government crises were continous. And at that time there was neither universal sufirage nor
P.R.
I n any case, compare France. The Third Republic in lese than 70 years has reached ita one hundredth Cabinet. Without ever having had P.R. it holds the record in the number of Govemments. And in spite of this, France, from 1871 onwards, h a been able to create a colonia1 empire, to win a great war, to regain the provinces lost under Napoleon 111. If to-day France Y passing through a grave crisis in her domeatic and foreign politics, this is not the fault of P.R., which she has uot tried. The true substratum of the Italian crisis from 1919 to 1922 was of a social character. The bourgeoisie forsook the liberal method and favoured Fascism because the masses of the working-classes were organized in two strong parties, the Socialist and the Popular, in ordere to have their share in puhlic life. Somcthing o£ same k i i d is to-day happening in France. 1 am, Luigi S t u n o
VERSO UNA NUOVA SCHIAVITU' I1 signor Cordell Hull ( l ) , nella conferenza panamericana tenuta a Lima, nel Perii, ha ripetuto il suo ammonimento al mondo: « L'umanità è tragicamente messa un'altra volta al bivio tra la libertà o la schiavitù, l'ordine o l'anarchia, il progresso o il regresso, la civiltà o la barbarie. L'alternativa è reale e concreta n. Non tutti vedono il pericolo: molti non comprendono la gravità della tragedia ; non si rendono conto come e perchè noi parliamo d i schiavitù o di barbarie. Il fenomeno della schiavitù può essere guardato dal punto di vista personale e da quello sociale; eotto il primo è la privazione della libertà individuale, il divenire mancipio di un altro e per conseguenza perdere anche ogni diritto familiare economico, civile e politico. Sotto il secondo punto di vista, è la formazione d i
( 1 ) Cordell Hull (1871-1955) era il segretario di stato americano con Roosvelt dal 1933 al 1944. Nel 1945 ottenne il premio Nobel per la pace.
una categoria inferiore di uomini, destinati ai lavori più pesanti, di massa e di sfruttamento. Questo secondo aspetto della schiavitù è il prevalente nelle società a tipo primitivo, nelle quali mancano mezzi di trasporto meccanizzati o resi facili da strade rotabili; non si hanno sufficienti mezzi finanziari per imprese che esigono il grande lavoro di masse; è difficile o impossibile o insufficiente il lavoro libero. La schiavitù non è un fenomeno semplicemente domestico o personale ; è un fenomeno sociale di grande portata, in cui vengono impegnate le masse umane rese mancipie di una minoranza che le ha assoggettate e le mantiene in stato di assoluta inferiorità, come se fossero greggi o armenti di buoi o di cavalli. Può dirsi questo il caso moderno? o la frase neo-schiavitù è una figura retorica usata per esprimere solo la perdita delle libertà politiche acquisite nello stato moderno libero e democratico? Secondo noi, si va verso una schiavitù di nuovo tipo, ma reale e basata, come l'antica, su elementi strutturali della società che si va formando. Un primo elemento è dato dalla militarizzazione generale dei paesi totalitari. Questa deriva, è vero, dalla coscrizione obbligatoria degli stati dell'Europa continentale. Ma essa sorse, in Francia, insieme al suffragio universale e al principio della sovranità popolare: erano queste le due facce dello stato moderno democratico e nazionale: l'uno compensava l'altro, per formare un'unità morale, dare la base alla società degli stati, mentre la militarizzazione nazionale doveva ridursi a una semplice garanzia di difesa. Ma, soppresso l'elemento democratico, estesa la militarizzazione permanente, p e h n o all'infanzia e alla tarda virilità, si arriva ad una inversione di caratteri e di scopi: la nazione, unità di cultura e coesione di popolo, diventa un impero egemonico, dominatore, totalitario, che vive di guerre e di minaccia di guerre. Ne deriva che la popolazione deve essere subordinata a questo scopo: economia, cultura, religione, tutto per la grandezza della nazione totalitaria. La popolazione subisce una destinazione senza possibilità di discussione, nè di scelta, nè di rifiuto.
Ciascun uomo nasce per la nazione, vive per essa, muore per essa. La personalità umana diviene mancipia di questo organismo totalitario, dal quale non può uscire che con la morte. I1 secondo elemento della schiavitù moderna è dato dal passaggio dell'economia personale a quella di gruppo e all'economia nazionalizzata. La libertà politica avvantaggiò la borghesia ed estese la proprietà personale ad un numero più largo di cittadini, dandone loro una maggiore disponibilità. Ma questa libertà, utilissima nel suo fondamento etico e personale, doveva essere socialmente corretta, per arrivare a far divenire piccoli proprietari un buon numero delle altre classi medie e lavoratrici. 11 capitalismo assorbente e la proletarizzazione delle masse hanno aperto la strada all'economia di stato. Ed ecco che lo stato totalitario utilizza questo sbocco dell'economia attuale per prenderla in mano e dirigerla ai suoi fini. Gli armamenti sono il mezzo necessario per la militarizzazione. Le spese degii armamenti aumentano sempre più e assorbono in certi paesi quasi la metà dei bilanci statali. È l'impoverimento progressivo, è il lavoro obbligatorio per soddisfare ai bisogni del monstrunr. collettivo, del nuovo Leviathan; è la schiavitù economica che fa seguito alla militarizzazione e alla perdita dei diritti politici. Come impedire che si ribelli un popolo, che va diritto verso la schiavitù? Una polizia e uno spionaggio organizzati nel modo più completo, tengono il posto degli antichi sorveglianti degli schiavi. LA eliminazione degli elementi indesiderabili, per mezzo dei progroms contro gli ebrei, dei campi di concentramento, dei bandi, delle prigioni, delle esecuzioni, te~igono il posto dell'uccisione in massa degli schiavi inabili, ammalati o ribelli, com'era uso della società antica. Ma quel che allora non c'era, oggi c'è: la persecuzione o la manomissione della cultura, e dove è possibile anche della religione, per la formazione dei nuovi schiavi spirituali dello stato totalitario, esaltandone i sentimenti e gli istinti elementari, l'orgoglio, il fanatismo, l'isterismo collettivo, l'odio verso gli altri, sì che la mancipazione non è solo del corpo e del lavoro fisico, è dell'intelletto e della volontà.
Sì: oggi la scelta è fra la libert,à e la schiavitù; ma solo per coloro che sono ancora liberi e fino a un certo punto!
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Londra, dicembre 1938. (Popolo e libertà, Bellinzona, 21 dicembre 1938).
L'ABATE DI BUCICFAST Ci conoscevamo per nome, ma solo nel maggio del 1927, alla mia prima visita all'abbazia di Buckfast, ebbi la fortuna di incontrare Dom Anscar Vonier (') e di essere suo ospite. Tale piacere si ripetè molte volte durante gli undici anni seguenti. La sua semplice e affascinante bontà, la sua ampia comprensione dei problemi presenti che tormentano il mondo, la sua profonda e genuina spiritualità, lo resero un amico e un padre per me. Ed era per me una consolazione potergli aprire il mio cuore. La sua morte è una perdita per molti e anche per me. (The Times, London, 31 dicembre 1938). THE ABBOT OF BUCKFAST We knew each other by name, but it was only in May, 1927, on my first visit to Buckfast Abbey, that I had the fortune of meeting Dom Anscar Vonier and being his guest. That pleasure was severa1 times repeated during the 11 years that have since passed. His simple and charming goodness, his wide understaning of the present problems that are tormenting the world, his profound and unaffected spirituality, made him a friend and a father to me. And it was for me a consolation to be able to open my heart to him. His death is a 109s €or many and also for me. Luigi Sturzo
( l ) Anecar Vonier (1875-1938). Abate benedettino, pensatore, scrittore e predicatore, esercitò un grande influsso spirituale su laicato e clero tedesco. I suoi scritti e discorsi sono raccolti in sedici volumi. Su di lui eh. B. BORGHINI, U n grande scrittore e un grande abate: don Anscario vonier, in u Vita Cristiana D, 1950, pp. 34-45, 224-31.
PRECISAZIONI (*) Signor direttore, La parola partigiano » ha lo stesso significato in inglese e iii italiano: N colui che preferisce gli interessi (del suo partito) alla verità e alla giustizia n, dice il vostro Oxford Dictionary. Essere partigiano è una squalifica. Ma dire che a don Luigi Sturzo è un valido commentatore con un punto di vista partigiano » (come fa il vostro recensore parlando del mio nuovo libro Politics and Morality) significa fare molto peggio; ciò implica che io faccio uso delle inespugnabili premesse cattoliche » in un senso partigiano, cioè distorcendo verità e giustizia. Non vi può essere peggiore accusa contro un sacerdote, uno scrittore e un uomo politico che ha dedicato 40 anni della sua vita per difendere i diritti della moralità nella vita pubblica e far risaltare i valori morali nell'attività politica. I1 vostro recensore dice che le mie (< particolari conclusioni riguardo all'esistenza dello stato totalitario, la Lega delle nazioni, l'obiezione di coscienza e il diritto di ribellione, non possono essere accettate senza riserve ». Egli non dice quali sono tali riserve; questo è un sistema comodo ma non troppo serio. Riguardo allo stato totalitario, quanto dico in Politics and Morality è lo stesso di quanto ho scritto su riviste cattoIiche quali la Nouvelle Revue Théologique dei Gesuiti di Lovanio, Lu Vie Zntellectuelle dei Domenicani di Parigi, e su altri (compresa la Dublin ~ e v i e w ) , ' enessun editore ha fatto alcuna riserva, nè sui principi nè sulle conclusioni. Ho ancor più approfondito la questione nei miei ultimi due libri, pubblicati in Francia (con l'imprimatur): Socìdogical Essay (1935) e Chnrch and State (1937) ( l ) . Ecco quanto re-
(*) Lettera al direttore di Tlle Universe. ( l ) L. STUIUO, Easai & Sociologie, Paris, Bloud et Gay, 1935; e L'Eglise et l'Etot, Paris, Les Editiona internationales. 1937; edizioni italiane: La società suu natura e leggi, Bologna, 1960; Chiesa e Stato: Bologna 2958-59, voll. 2 .
centemente ha scritto La Civiltà Cattolica dei Gesuiti di Roma sulla mia critica allo stato totalitario ( u n problema che essi sono in posizione migliore dei cattolici di Londra per capire): « L'autore, con una sicurezza e penetrazione tutte proprie, esamina l'immen'so panorama di venti secoli, ponendo in rilievo l e interferenza dei due supremi poteri, le lotte, gli accordi, i compromessi il predominio che la chiesa ha sullo stato e i l rovesciamento di tale rapporto, che assume diverse forme fino a quella degli stati totalitari. Di fronte a tutto questo, la chiesa ha grandi di5coltà ad opporre argini morali e religiosi nè può impedire l a corsa agli armamenti, o la preparazione spirituale alla guerra (Civiltà Cattolica, 19 febbraio 1938). Chiedo al recensore de The Universe se io ho detto più di quanto ha detto lo scrittore su Civiltà Cattolica in modo così magistrale. A proposito della Lega delle nazioni, ho preso in considerazione tutti i pronunciamenti dei papi, dei vescovi e di eminenti cattolici degli ultimi 21 anni. Naturalmente fra questi non includo il conte Saint-Aulaire, mentre includo Fr. Yves de la Brière, S.J., monsignor Beaupin, Fr. Muller, S. J., di Anversa, e mons. Eppstein, che sono tutti specialisti in materia. A proposito dell'obiezione di coscienza, spero che il recensore non abbia preso alla lettera le mie osservazioni, che erano fatte en passant, e mi abbia preso per un sostenitore di quest'idea; ma ciò non ha importanza. Sul diritto di ribellione, sfido il recensore a trovare un solo testo di un'enciclica o di un'istruzione pontificia, dei padri O dei grandi teologi, che contraddica le mie premesse, o i miei commenti, o le mie conclusioni. I1 mio libro è una campagna per la verità e la giustizia. Non ho interessi d i parte da rivendicare, nè qui nè altrove, e non ho risentimenti per quanto possa soffrire per le mie idee. Combatto infatti, ma solo contro la politica immorale per la politica morale, contro la politica pagana per la ~ o l i t i c acristiana. Questo è tutto.
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(Thr Universe. London, 31 dicembre 1938).
Sir, The word a partisan B has the same meaning in English as in Italian: u one who prefers (his party's) interests to tmth or justice W, says your Oxford Dictionary. To be partisan is a disqualification. But to say that n Don Luigi is a valuable commentator with a partisan point o£ view n (as does your reviewer in speaking of my new book Politics and nlorality) is to make bad worse; it implies that I use the a impregnable Catholic premisses W in a partisan sense, that is, distorting tmth and justice. There could be no worse charge against a priest, writer and man of politica who has dedicated M years of his life to maintaining the rights of morality in public life and to bringing out the moral values in politica1 activity. Your reviewer says that my <I particular conclusions with regard to the existing Totalitarian State, the League of Nations, the conscientious objection and the right of rebel cannot be accepted without resemations W. He does not say what his reservations are; that is a convenient system but hardly serious. In regard to the Totalitarian State, what I have written in Catholics Reviews such as the Nouvelle Revue Théologique of the Jesuits o£ Louvain, La Vie Zntellectuelle of the Dotninicans of Paris, and in others (including the Dublin Review) aiid no editor has made any resemations, neither on the principlea nor on the conclusions. I have gone more deeply into the question in my two last books, published in French (with the impnmatur): Sociological Essay (1935) and Church and State (1937). Here is what the Civiltà cattolica of the Jesuits of Rome recently wrote on my criticism of the totalitarian State ( a problem they are in a better position to understand than the Catholics of London): The anthor, with a surety and penetration all his own, views the immense panorama of twenty centuries, throwing into relief the interference of the two supreme potentates, the struggles, the attractions, the comprom ises... the predominance that the Church has over the State and the inversion of this relationship, which assumes diverse formu up to that o£ the totalitarian States. Faced with these, the Church has great diiculty in opposing moral and religious dykes nor could she hinder the armaments race, or the spiritual preparation for war n (Civiltà Cattolica, February 19, 1938). I ask the reviewer i n the Universe if I have said more than what the wnter in Civiltà Cattolica has said in so masterly a manner. In regard to the L e a p e of Nations, I have taken into consideration ali the pronouncements of the Popes, bishops and eminent Catholics for the last 21 years. I t goes without saying that among these I do not include Count Saint-Aulaire, but I include Fr. Yves de la Brière, S.J., Mgr Beaupin, Fr. Mulìer, S.J., of Anverce, and MI. Eppstein, who have all specialised in the subject. In regard to the conscientious objection, I believe t h a i t h e reviewer has
not fully grasped my remarks, which were made en possant, and has taken me for a supporter of this idea; but this has no importance. On the right of revolt, I challenge the reviewer to find a single text of an encyclical or papa1 instmction, of the Fathers or of the great theologians, that contradicts my premisses, or my comments, or my conclusions. My book is a campaign for truth and justice. I have no partisan interest to vindicate, either here or elsewhere, and no resentment at what I may suffer for my ideas. I am fighting indeed, but only against immoral politics for mora1 politics, against pagan politics for Christian politics. That is all..
VENTI ANNI FA Nel settembre 1918, pochi giorni prima della morte del prof. Toniolo (maestro e precursore della democrazia cristiana) amici e organizzatori delle classi operaie cattoliche, ci riunivamo a Roma per la costituzione d s n i t i v a della confederazione italiana dei lavoratori. Fra gli intervenuti, che oggi sono a l premio, cito i nomi del conte Zucchini, allora presidente dell'unione economica sociale e come tale facente parte della giunta dell'azione cattolica, e I'on. Angelo Mauri, caldo amico e consigliere autorevole del nostro movimento sociale, e presidente (credo che allora fosse) della federazione delle casse rurali (l). Grandi erano state le difficoltà di varia natura, per dare ai sindacati cristiani operai l'unificazione nazionale, tanto necessaria sul terreno organizzativo e legislativo; la più grave era quella del pregiudizio dell'unità sindacale che in fatto era divenuta monopolio socialista. Non mancavano preoccupazioni
( l ) La Confederazione italiana dei lavoratori (C.I.L.) nacque, in realtà, n Roma nel corso di una riunione promossa dall'unione economico-sociale, nei giorni 16-18 marzo 1918. Primo segretario del sindacato fu Giambattista Valente, mii seguirono Giovanni Gronchi e Achille Grandi. Sulla storia della C.I.L. cfr. G. VALERTE, Aspetti e momenti dell'azione sorialc dei cattolici in Italia, a cura di F. Malgeri, Roma 1968; e L. RIVASANSEVERINO, L I morimento sindacale cristiano dal 18.50 01 1939, Bologna 1950.
dal lato ecclesiastico, dove c'erano ancora coloro che volevano mantenere i sindacati nel quadro diocesano. Ma tutto fu vinto per la volant; dei dirigenti, e la confederazione bianca divenne una realtà. Più di un milione d'iscritti: i nostri segretari generali furono Giovanni Valente prima, poi Giovanni Gronchi, infine Achille Grandi (l). Nei nove anni di esistenza essa ebbe tutte le prove d i una grande impresa. Negli scioperi generali imposti al paese dai socialisti e comunisti, essa negò il suo appoggio a quelli politici e lo diede a quelli economici. I suoi postelegrafonici e ferrovieri fronteggiarono abilmente quelli socialisti negli scioperi del gennaio 1920. In occasione dell'occupazione delle fabbriche dell'agosto 1920, alla quale la confederazione bianca fu estranea, propose il progetto dell'azionariato operaio che venne alla camera in opposizione a quello socialista (fatto proprio da Giolitti) del controllo delle fabbriche. L'occupazione delle terre fu promossa, nel sud e centro Italia, da cooperative e leghe contadine cattoliche; la confederazione bianca la regolò, spesso con amichevole accordo tra proprietari e coloni, e contribuì alla elaborazione dei progetti di legge sui patti agrari C la colonizzazione interna, che a nome della popolazione il ministro Micheli fece approvare dalla camera tra il '21 e il '22 (=). Superfluo enumerare i fatti salienti dell'agitata vita di tali nove anni finchè la confederazione fu sciolta, dando luogo ai sindacati unici del nuovo regime. Pochi mesi dopo la costituzione della confederazione, sorse il partito popolare (18 gennaio 19191, proprio vent'anni f a ; e f u stabilito un contatto permanente fra i due organismi: appoggio reciproco, pur nella autonomia dei propri organismi.
( l ) Su Valente cfr. G. VALENTE,OP. C&.; SU Gronchi. L. BEDESCHI, Un cattolico al Quirinale, Roma 1958; su Grandi, G. P~ISTORE, Achille Grondi e il movimento sindacale ituliano nel primo dopoguerra, Roma 1960 e L. BELU)~ Achille , Grandi, Roma 1966. (3 Giuseppe Micheli (1876.1948). Esponente del movimento cattolico fu ininterrottamente deputato dal 1906 ai 1926. Nel II ministero Nitti e nell'ultimo ministero Giolitti fu ministro dell'agricoltara.
Ma la caduta della democrazia, la soppressione d i ogni libertà politica ed organizzativa, doveva portare al regime totalitario, nel quale non c'è posto per un movimento sindacale operaio libero, nè c'è posto per l'attuazione di un programma cristiano sociale, promosso per convinzione morale e religiosa. L'azione cattolica italiana cercò di riparare al vuoto lasciato dalla soppressione della nostra confederazione, creando un istituto sociale professionale di carattere culturale. Ma neppure quello fu benviso e dovette essere eliminato. Gli operai cattolici italiani sono oggi nei sindacati fascisti ridotti a non poter esprimere le loro idee sociali e le loro esigenze professionali tranne che nel coro anonimo dei tesserati. Non per questo la scuola cristiano-sociale verrà meno in Italia. All'enciclica Rerum Novarum si è aggiunta la luminosa enciclica Quadragesimo Anno. Quali i nomi nuovi che han preso il posto di Toniolo, di Zucchini (l), di Angelo Mauri (per non citare gli altri)? Ce ne sono fra i giovani e gli anziani. Per ora la bandiera della democrazia cristiana è ripiegata in Italia e altrove. V e n 5 il momento di inalberarla: e sarà merito degli operai cristiani.
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( I l Lavoro, Lugano, 14 gennaio 1939).
I L PARTITO POPOLARE ITALIANO DOPO VENT'ANNI
I lettori di Popolo e Libertà mi perdonino se ricordo una data a me cara: il 18 gennaio 1919. I n quel giorno fu lanciato l'appello a A i liberi e forti e il partito popolare italiano fu costituito. ( l ) Carlo Zucchini (1862-1928), discepolo di Toniolo, segretario della Unione economico-eociale, fn tra i fondatori del quotidiano bolognese L'avvenire d'ltulia. Sensibile alle esigenze del mondo del lavoro, favorì lo sviluppo del sindacalismo ad ispirazione crietiana e nel 1918 la naacita della C.I.L. Su di lui cfr. G . VALENTE,OP. cit., pp. 145-61.
Sorte brillante! I n poco tempo un milione e duecentomila elettori e novantanove deputati al parlamento! Momenti difficili; battaglie vivaci; trionfi inaspettati. Poi la crisi politica italiana, la resistenza al nuovo regime, la fine per decreto del governo fascista nel novembre 1926. Ora i l P.P.I. è un ricordo intimo di quanti vissero quei sette anni e dieci mesi, con convinzione e coraggio. Impossibile i n Italia scriverne o parlarne, tranne che per deplorare quell'avventura, per coprire di ingiurie gli uomini di quel tempo, sprezzare le idee, conculcare i principi sui quali era basata la nostra esperienza politica. Sono i giornali fascisti che s'incaricano di ricordare il fu partito popolare. Più volte l'on. Farinacci, ministro di stato, accusa a destra o a sinistra gli uomini dell'azione cattolica di essere infetti di popolarismo ».A fine dicembre scorso ritornava a scrivere contro il cardinal Pizzardo ( l ) , questo u tristissimo sire del defunto partito popolare n, cosa che non risponde al vero: mai mons. Pizzardo fece parte, nè si occupò del partito popolare. Non so neppure se le sue simpatie personali erano per noi. I n fondo, questi reiterati attacchi, anche oggi, dopo dodici anni e due mesi dalla data dello scioglimento del partito e da1 silenzio imposto a tutti di non fare più propaganda, sotto pene rigorose ( d a 5 a 15 anni di prigione), indicano che il popolarismo ( o democrazia popolare) come idea sociale e politica non è morto; che è il popolarismo quel che le dittature fasciste odiano di più, poichè impregnato di spirito cristiano. Un recente articolo di Xavier M. de Bedoya, falangista e segretario generale dell'Auxilio social di Spagna, pubblicato in Germania sull'organo della gioventù hitleriana Wille und Macht, ci dà la chiave di questo odio. De Bedoya scrive: La nostra mentalità cattolica e le nostre tradizioni non pos-
(l) Giuseppe Pizzardo era stato segretario di nunziatura a Monaco di Baviera e dal 1919 sottosegretario della S. Congregazione degli affari ecclesiastici. Cardinale nel 1937 ricopri numerose cariche ecclesiastiche, tra cui quella di vescovo di Albano c di segretario della congregazione del S. Ufhio.
sono condurre a confusioni. Così, per prevenire ogni interpretazione cattiva, è bene si abbia ad osservare una volta per tutte, su questo punto, che noi non abbiamo niente in comune coi paesi nei quali u n partito popolare o una democrazia cristiana tengono l e redini del potere. Consideriamo la vita spirituale e le differenze logiche che possono esistere tra la politica della chiesa e quella della Spagna con lo stesso spirito realista e risoluto del nostro re Ferdinando il Cattolico e del nostro imperatore Carlo Quinto. « Non saremo infedeli mai alle nostre verità tradizionali e ai nostri principi essenziali e fondamentali, ma tutti i nostri atti saranno determinati esclusivamente dalle regole dello stato nazional-sindacalista senza che possiamo accettare un legame obbligatorio con quei valori spirituali dei quali ci assumiamo la difesa D. Ecco il punto sostanziale che ci divide. Essi: fascisti, falangisti, nazisti, quando ai affermano cattolici non accettano u n legame obbligatorio con i valori spirituali dei quali essi s i mitmono la difesa c (rex S O ~ U ~ UuS lege Dei!). Noi l'accettiamo questo legame, santo legame, che ci obbliga a vivere da cristiani anche nella politica. L'amore del prossimo, il rispetto dei diritti della persona umana, l'osservanza dei nostri doveri, non sono per noi parole vuote, ma realtà morali, da attuarsi tanto nella vita privata che nella vita pubblica. Certo, lo sforzo di trasportare la morale cristiana nella politica militante, di trasportarla in lotta col capitalismo amorale, e in lotta con il socialismo areligioso, fu per il partito popolare italiano una difficile esperienza. Chi negherà difetti e sbagli? Chi avrà la pretesa di credersi perfetto? Ma quel che si affermava nella breve esperienza di sette anni, erano idee che non muoiono, anche se sono bandite (la tutti gli scritti e da tutti i discorsi e per un non breve periodo di tempo. I cattolici italiani dovrebbero piegarsi all'ingiunzione: reputare inesistente quel partito e più che altro dimenticare quelle idee di democrazia, di autonomia municipale, libertà sindatale, scolastica, politica, che informarono per mezzo secolo la nostra battaglia quotidiana nell'Ital'ia di ieri. Di più: essi dovrebbero mostrarsi all'unisono col regime e -
con le idee fasciste. Onde oggi che il papa ha preso posizione netta contro il razzismo, l'antisemitismo, il nazionalismo esagerato ( e i vescovi riprendono la parola del papa per diffonderla tra i fedeli), i cattolici sono guardati di nuovo come gente infedele al regime e infetta di « popolarismo ». In tale situazione non mancano coloro che per evitare tale accusa, abbondano con le manifestazioni « patriottiche » e « guerraiole » : ieri Abissinia ; oggi Corsica e Tunisi ! Così costoro fanno in pratica quel che dice in teoria Xavier de Bedoya: « non accettano il legame obbligatorio con i valori spirituali che difendono N. Si dimenticano della giustizia che viene calpestata con le guerre di aggressione, dell'amore che deve legare i popoli fra di loro, nell'osservanza dei patti e nel rispetto del diritto; condannano il nazionalismo esagerato in idea, perché è condannato dal papa, ma in pratica anch'essi peccano di nazionalismo esagerato. Un'attenuazione alla colpa di costoro è data dalla maucanza di una visione esatta dei problemi internazionali in un ambiente in cui è proibita ogni discussione e ogni intesa particolare di gruppi, di studiosi. La funzione del partito popolare era quella di portare i cattolici a studiare i problemi politici al lume dei principi morali e della scuola cristiano-sociale, e a realizzarli in regime democratico. I1 popolarismo vive ancora nel cuore di molti; e quando il mondo sarà stanco di dittature, ricorderà le parole di Roosevelt che ha detto : a Tre cose sono indispensabili (agli americani) : la religione, la democrazia, la buona fede internazionale ».AIlora il popolarismo risorgerà dalle ceneri. (Popolo e libertà, Bellinzona, 19 gennaio 1939).
L'AMBIENTE PER L'AZIONE SOCIALE DEI CATTOLICI « Dovremo auere, oggi, dei cattolici sociali delle catacombe? D Dopo la caduta delle organizzazioni sindacali, professionali, cooperative, mutualiste, in una parola « sociali » dei cattolici d'Italia, Germania (Sarre compresa), Austria e ultimamente della zona tedesca e ceca dei sudeti annessi alla Germania, occorre ristudiare il problema adatto alla creazione e sviluppo della azione sociale dei cattolici. Dal punto di vista storico, questa è nata in regimi di libertà costituzionali, e in opposizione o in concorrenza, secondo i casi, con l'azione sociale dei partiti estremi. E mentre i socialisti, venuti dai movimenti sociali rivoluzionari, passarono all'azione legale e costruttiva con movimenti paralleli o successivi, secondo i paesi e secondo gli uomini; i cattolici venuti più tardi all'azione pratica, per sentimento di difesa o per spirito di carità, non ebbero che un'insufficiente preparazione teorica e zieosuna esperienza rivoluzionaria, ch'era fuori del loro orizzonte politico e religioso. L'origine del movimento sociale cattolico si può far rimontare alla metà del secolo XIX; ma solo nella enciclica Rerum Novarum (1892) può trovarsi una data di orientamento definitivo. Siamo perciò in pieno periodo costituzionale, in regime di libertà di associazione, stampa C parola, all'inizio dell'intervento legislativo e statale nella struttura economico-sociale. 1 cattolici sociali, benché poco organizzati e non molto ben rappresentati politicamente (anche nei paesi come il Belgio dove i cattolici avevano il potere in mano in quanto borghesia capitalista di destra) pure poterono approfittare dell'ambiente e portare avanti le opere sociali. Germania e Italia erano allora alla testa del movimento sul terreno delle realizzazioni. I n Italia si ebbe un'esperienza tutta particolare: i cattolici, fino al 1918 compreso, erano impediti dal non expedit pontificio a partecipare alla vita politica: la loro attività era ristretta alla vita municipale e provinciale. Ciò non ostante si erano dati fervidamente all'organizzazione sociale (specialmente coopera-
tiva): più di tremila casse rurali; un migliaio di cooperative d i consumo e produzione, molte affittanze collettive; trecento e più banche popolari; e un buon numero di leghe professionali. Mentre esistevano federazioni regionali delle casse e delle cooperative, mancava un'organismo sindacale nazionale e nel settembre 1918 fu creata la confederazione italiana dei lavoratoti che in breve raggiunse un milione di iscritti. Fu solo nel gennaio 1919 che, fu costituito il partito popolare italiano che portò queste forze sul terreno politico e tentò di togliere ai so. cialisti il monopolio ch'essi esercitavano nei consigli nazionali di carattere sociale ed economico presso i ministeri e nel parlamento. I1 centro, in Germania, anch'esso si appoggiava sui sindacati cristiani, ma con minore intimità, date le sue tradizioni politiche. Concludendo questa vista prospettica del passato, si può affermare che il nostro movimento sociale fino all'avvento degli stati totalitari è vissuto nell'ambiente di libertà e si è sviluppato al contatto della vita politica con partiti affini, di formazione cattolico-sociale o democratico-cristiana. Si credette per un momento che la nostra azione potesse continuare sotto le dittature benevole o le mezze dittature filocattoliche. In Italia la illusione cadde subito, quando fu stabilito per legge il monopolio sindacale fascista, e quando fu fatto abortire l'istituto di cultura professionale-sociale promosso dall'azione cattolica dopo lo scioglimento della confederazione italiana dei lavoratori. Casse, banche e cooperative cattoliche furono o fatte fallire o £atte passare al controllo fascista, perdendo autonomia e carattere, ovvero sono rimaste isolate é confinate ad una funzione strettamente tecnica. Presto in Germania i sindacati rolliés a Hitler compresero la loro sorte. Tutto è finito nell'organizzazione nazista del lavoro. L'Austria di Dolfuss e di Schuschnigg disciolse l'organizzazione cristiano-sociale (che non era allora molto florida) per far passare gli operai cristiani nelle corporazioni ufficiali. 1 quadri nuovi non ebbero nè carattere libero nè efficacia pratica, e caddero insieme alla caduta dell'indipendenza austriaca. L'esperienza corporativa del Portogallo è d'iniziativa statale,
non ha carattere esclusivamente cattolico, nè può averlo; è all'ombra di una dittatura benevola, ma personale e come tale non stabile come tutte l e dittature. Occorre attendere il seguito, Ed ecco i problemi dell'oggi: a) in quale misura e sotto quale aspetto in regime di dittatura è possibile un'azione sociale dei cattolici? b) in regime di libertà, è possibile mantenere i l movimento sociale dei cattolici fuori dell'ambiente politico? C) nei due casi, è possibile un reale movimento cristianosociale senza una dottrina politica propria? Senza voler dare soluzioni definitive, crediamo necessario formulare i quesiti e invitare i cattolici a rendersi conto della gravità dei problemi e delle loro conseguenze in un prossime futuro. Coloro che lottano sul terreno della difesa religiosa, come in Germania, sanno bene che movimento sociale non può essere concepito che come un'estensione timida e dissimulata dell'azione cattolica. Sanno pure che debbono evitare qualsiasi accentuazione politica, e fare in politica atto di conformismo non solo sul terreno pratico ma anche purtroppo su quello delle idee ( i l che è una concessione pericolosa e può essere anche immorale). I n sostanza si rinnova, sul terreno sociale, il fenomeno dei criptocattolici del periodo della riforma; oggi avremo dei cattolici cripto-sociali. Sarà possibile? e quale estensione può avere un simile fenomeno? I n Italia, le istruzioni dall'alto diedero ai cattolici la dirertiva di entrare nei sindacati fascisti, prendere anche. posti di comando, cercare di portarvi un pensiero proprio. Non mancano teorie corporative nel campo cattolico, e credo completamente convinte del nuovo sistema economico-sociale (autarchia compresa; monopolio dei cambi compreso; sindacalismo fascista e unico compreso). Quale presa possa avere la dottrina cristiano-sociale in questo ambiente e che cosa possa rimanere in piedi della dottrina stessa, non si può giudicare a priori. L'esperienza (del resto forzata) ci dirà quel che sarà di tale residuo di iin passato glorioso e perduto.
Infine, in paesi ancora liberi, il movimento sociale professionale ed economico, e i movimenti sociali religiosi d i azione cattolica (quali la Joc (l) O la Loc) rimangono al di fuori di ogni preoccupazione e di ogni sistema preconcetto di politica, intesa sia come dottrina sia come orientamento, sia come pratica. Nelle due ipotesi: o di un proletariato socialista al potere, o di un capitalismo borghese al potere, che cosa potrà avvenire delle opere cattolico-sociali? Quale sarà il loro contributo pratico nei pericoli di bolscevizzazione o di fascistizzazione della vita di u n paese ancora libero? Così oggi, nel 1939, i cattolici sono portati a riflettere sul presente e sull'avvenire della loro azione sociale e a optare ( i n ciascun paese) per una soluzione che avrà o come premessa o come conseguenza, un'orientamento politico integrale. Londra, gennaio 1939. (Avant Corde, Bruxelles, 2 febbraio 1939). Arch. 13 A, 10.
SINDACALISMO CRISTIANO Quando mezzo secolo fa cominciò a parlarsi di sindacati cristiani, non mancarono pregiudizi e preoccupazioni a farvi ostacolo e a ritardarne per anni e anni la realizzazione. I pregiudizi, quelli in buona fede, caddero di fronte ai fatti; le preoccupazioni, presso certe zone, restano allo stato latente, e di tanto in tanto si riaffermano; specialmente quando i sindacati cristiani sono portati a difendere i diritti dei lavoratori palmo a palmo, nel continuo contrasto con i gruppi padronali,
( l ) Sigla della Jeunesse ouvrière chrétienne, organizzazione di lavoratori cattolici dei paesi di lingua francese, fondata ,nel 1925.
o quando sostengono certi miglioramenti di classe che a prima vista e senza la dovuta conoscenza della materia, sembrano eccessivi. In ogni caso, è così facile oggi gridare al bolscevismo, come quarant'anni fa gridare al socialismo. La preoccupazione principale è quella che i sindacati cristiani possano creare uno spirito di classe chiuso, stretto, egois t i ~ che ~ , alimentando i contrasti tra padroni e operai, potrebbe far degenerare nella pratica in quella lotta di classe ch'essi negano in teoria; portando così a separare la famiglia della produzione economica col rifare dei due (patronato e lavoro) degli antagonisti anzichè dei cooperatori. A tale preoccupazione, che non è senza qualche fondamento, si risponde in due modi. I1 primo sul piano della morale cristiana. Nulla domandare ed esigere a nome dei nostri sindacati, che non sia allo stesso tempo giusto e d equo; dovuto e proporzionato; importante ed opportuno. A ciò deve mirare l'educazione cristiana dei membri del sindacato e la prudente fermezza e accortezza dei capi e consiglieri. Perché essi si chiamano cristiani. Sul piano poi organizzativo (sociale e politico) il nostro sindacalismo deve tendere a integrarsi nella corporazione. 11 nostro motto è: sindacati liberi nella corporazione istituzionale. La corporazione che noi vogliamo non è quella statale, fatta d'autorità, come una burocrazia politica. La nostra sarà una corporazione autonoma, riconosciuta per legge con quelle facoltà e quelle responsabilità che la rendano efficace al suo compito e utile alla comunità. Come ci potrà essere un egoismo sindacale (sia dei padroni che degli operai), ci potrà anche essere un egoismo corporativo, che vada contro gli interessi legittimi del consumatore o della intera comunità. Poichè l'egoismo non è mai cristiano, noi che vogliamo un ordinamento cristiano dell'economia, dobbiamo cercare di eliminare le cause di tale egoismo. Oggi, che siamo sul piano sindacale solamente, ci sforzeremo di evitare che l'egoismo penetri nei nostri sindacati, come faremo domani quando saremo anche sul piano corporativo; e continueremo sempre lo sforzo
d i cristianizzare i lavoratori e di influire sulla concexioiie del lavoro. Che gli altri facciano lo stesso. ( I l Lavoro, Lugano, 11 febbraio 1939).
QUADRAGESIMO ANNO (1931)
E DIVINI REDEMPTORIS (1937) Sono queste due encicliche sociali di Pio X I che resteranno storiche negli annali del papato e in quelli delle rivendicazioni operaie. La prima è legata intimamente alla Rerum Novarum di Leone XIII. Così le tre fanno quasi mezzo secolo di storia. I n questi momenti in cui la rapida scomparsa di Pio X I ha lasciato in tutti i l vuoto della sua paterna presenza, gli operai cristiano-sociali non possono far meglio, per commemorarlo degnamente, che ricordare le due encicliche e confortare così la loro volontà di applicarne gli insegnamenti e attuarne le proposte. Ahimè! dal 1931 ad oggi ho sentito tante volte parlare della Quadragesimo Anno ( e leggerne articoli) e ultimamente della Divini Redemptoris ( l ) ; ma... per avere motivo di prendersela con u i roesi n, di gridare contro u i l comunismo ateo N, e i l I( bolscevismo russo D, che si è infiltrato anche in Cina D ; per esaltare (perfino) l'esercito giapponese che metterà fine al « comunismo cinese n. A non parlare, s'intende, dei « rossi » d i Barcellona e di Madrid. Non mi pare esigere troppo che a fianco della giusta critica e autorevole condanna del socialismo marxista e del comunismo ateo, si parlasse anche un po' del capitalismo anonimo e sfruttatore.
(l) Enciclica emanata il 19 mano 1937 da Pio danna il comunismo ateo.
XI. Nell'enciclica
si con-
Ma, secondo me, mentre è un dovere mettere in guardia gli operai, per non correre dietro a teorie pericolose e condannate dalla ragione naturale e dalla morale cristiana ; è un più pressante dovere attuare quel che le encicliche sociali dei papi suggeriscono o comandano, per il bene della classe operaia, i n nome della giustizia e della carità. Se dal lato dei padroni ci fosse un po' più di giustizia ( o un po' meno d'ingiustizia); se dal lato dei governi ci fosse più premura a sviluppare il lato sociale degli organismi professionali e corporativi, a migliorare la legislazione assicurativa; a rendere meno acuta la crisi di disoccupazione; a diminuire l e spese militari improduttive (imposte oggi da una politica di abbandono della sicurezza collettiva), per migliorare la produzione e i commerci, allora ci sarebbero meno motivi per gli agitatori socialisti e comunisti a eccitare le masse e a monopolizzarne le rivendicazioni. Le due encicliche di Pio XI hanno i due aspetti: critica e costruzione ; insegnamenti e pratica ; condanne e esortazioni. Non bisogna pigliare solo quello che ci piace: i padroni prendono la condanna del socialismo e del comunismo, e gli opera'! prendono le proposte pratiche sui salari, il giusto prezzo, le unioni professionali e così via. Solo nella integrità dottrinale e nella esecuzione pratica, si onorerà la memoria di Pio X I e si creerà tra i cattolici l o spin t o e la realtà cristiano-sociale. Londra, 5 marzo 1939.
(Il Lavoro, Lugano, 18 m a n o 1939).
LA SICUREZZA COLLETTIVA MANCANZA DI PSICOLOGIA
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Quando Chamberlain, appena da poco tempo primo ministro del Regno Unito, interrompendo alla camera dei comuni un oratore socialista, esclamò: Lega delle nazioni, sicurezza
collettiva. gridi da pappagallo! N, pochi si accorsero della crisi psicologica che attraversavano il governo inglese e gran parte del partito conservatore con a capo il Times. Allora era la vigilia di Nyon (settembre 1937); e proprio f u Nyon che dette l'ultimo guizzo della Lega (benchè Nyon non fosse Ginevra) e della sicurezza collettiva (benchè a Nyon non vi fossero nè Italia nè Germania) (l). Ma Chamberlain e i suoi fidi ebbero paura di Nyon e di quel che Eden voleva dopo Nyon: costringere l'Italia a decidersi entro quindici giorni a ritirare le truppe dalla Spagna. Fu perduto del tempo. Eden fu costretto a dare le dimissioni, di fronte all'ora o mai di Mussolini. Che cosa era avvenuto? un rapido cambiamento di politica: dare fiducia ai dittatori per un'intesa diretta, e lasciar cadere Ginevra e le ultime speranze di una sicurezza collettiva; così piacque a Londra, e così anche non dispiacque a Parigi. Ne seguirono subito l'occupazione dell'Austria (marzo); l'accordo anglo-italiano (aprile); la prima avvisaglia contro la Cecoslovacchia (maggio), sino alle giornate di Berchtesgaden, Godesberg e Monaco (settembre); completa tolleranza per l'annessione alla Germania di quasi un milione di cechi, e perché essa solo regolasse d'accordo con l'Italia le pretese della Polonia e dell'ungheria (ottobre); l'accordo fianco-germanico firmato a Parigi (dicembre); il riconoscimento de jure del governo di Franco (febbraio) ; le missioni commerciali con la Germania da parte inglese e francese (marzo); quando arriva il marzo fatale il colpo rapido è fatto: la Cecoslovacchia non esiste più. I1 risveglio è stato subitaneo: l'allarme forte; le mosse ra-
(l) Durante l'estate 1937, la presenza di sottomarini pirati nel Mediterraneo, sospettati di essere italiani, causò una vigorosa reazione in Inghilterra. L'ammiraglio britannico ordinò alle navi inglesi di rispondere con il fuoco a qualsiasi tentativo di attacco. Una proposta fran~eseebbe come conseguenza un incontro a Nyon dove, assenti Italia e Germania, fu raggiunto un accordo per il pattugliamento navale del Mediterraneo da parte della flotta inglese e francese. Un successivo accordo firmato con l'Italia & d l a questa il controllo del Mediterraneo centrale e del Dodecameso. Da allora non si ebbero altri episodi di sommergibili pirati.
pide di Hitler disturbanti; le pretese dell'Italia più serie che non si credessero: in questo clima ritornarono alla mente di Chamberlain i gridi del pappagallo : Lega delle nazioni, sicurezza collettiva. Ma il passato non torna: impossibile far rivivere Ginevra, con un soffio. Ci vuole la fiducia e ci vuole la forza. Solo i paesi interessati possono rispondere alla chiamata di Londra. La Fran- . cia è pronta, vuole qualche cosa d i scritto: è la sua psicologia da contadino assommata a quella del legista. La Polonia domanda impegni militari: impossibile fare diversamente, quando è minacciata la Lituania (Bitler, se gli conviene, può invadere la Polonia). La Russia vuole la conferenza. C'è insieme l'audacia burocratica e formalista del socialista e la diffidenza nel trattare con le democrazie occidentali. Che è successo? Poco o niente: Londra e Parigi si servirono dei piccoli paesi a Ginevra per lanciare le sanzioni contro 1'Italia; e poi, senza consultarli, cedettero sia nell'applicazione e sia nel ritiro senza garanzie. Mancanza di psicologia allora, mancanza di psicologia ~ g g i . Ora occorre un gesto forte e deciso per riacquistare la fiducia. Non si può discutere troppo senza compromettere la situazione; nè misurare gli impegni quando c'è in gioco tutta la sicurezza europea. Lituania minacciata ( e forse tra poco occupata) e messa sotto il controllo tedesco; Danimarca malsicura; Romania obbligata a trattare sotto minaccia. Si pensa ancora che la Spagna di Franco sarà neutra in u n possibile conflitto, come fu detto dai franchisti esteri nel settembre scorso? Un telegramma di congratulazioni a Hitler, allo stesso tempo che Franco mostra d i non avere fretta di ricevere il maresciallo Pétain, ambasciatore di Francia. Piccole cose, ma da notare. Si pensa che l'Italia si distaccherà dall'asse per far piacere a Londra? La risposta del gran consiglio fascista è là, per coloro che si illudono ancora o si sono illusi fino ad oggi. Speriamo, nell'interesse della pace mondiale, che quando sarà pubblicato questo articolo, tutti i timori di oggi siano dissipati; e che si sia già fatta una prima diga ferma ( e non prov-
visoria come quella attuale) alla marea che sale e che minaccia di sommergere l'Europa. Bisogna comprendere che purtroppo l'Europa è divisa in due campi. È necessario che ciascun campo sappia quale linea opposta è ferma e resistente, non tanto per le armi e pel valore dei soldati, assai forte dall'una e dall'altra parte, ma pel valore morale dei principi che vanno messi a base di un ordine internazionale. Sicurezza collettiva non è solo un'intesa militare per la difesa dall'aggressore; è una somma di valori che vanno dal rispetto dei trattati e dalla inviolabilità del diritto, fino alla radice che risiede nella persona umana. Oggi il soggetto della persona umana non esiste più presso i paesi totalitari, ma neppure è molto considerato presso altri paesi. Occorre farlo rivivere. Gli avvenimenti s'incaricano di rimetterlo in vita, ma spetta a noi cristiani d i predicarlo sui tetti. La sicurezza collettiva oltre che intesa militare e oltre che somma di valori morali, è anche stato psicologico. Se essa arriva a ricreare la fiducia, tornerà un periodo di calma e si troverà, forse, la possibilità di riprendere un contatto pacifico con i dittatori. Nel caso che p e s t i vogliano la guerra, si ricostituirà lo spirito di resistenza (fin oggi caduto) per combatterla con piena responsabilità, quando nulla fu trascurato per evitarla. Ma lasciare i piccoli paesi esposti alle minaccie e agli ultimatum, con dietro aeroplani da bombardamento e carri d'assalto, sarebbe la disgregazione morale e. psicologica dell'Europa civile, prima della sua inevitabile distmzione materiale. Londra, 28 m a n o 1939. (Popolo e libertà, Bellinzona, 31 marzo 1939).
u ELITES n E u MASSE » I N POLITICA (SETTEMBRE 1938. MARZO-APRILE 1939)
L'Evening Standard, uno dei giornali più a isolazionisti y> di Londra, nell'articolo di fondo del 10 di questo mese scriveva:
« La situazione ( d i oggi) contrasta stranamente con quella del
passato settembre ( l ) . Allora vi era stizza di andare in guerra e, in certa sezione del paese, fretta di andarvi; nello stesso tempo la collera era mescolata a manifestazioni di panico. Oggi vi è un cambiamento notevole. I1 sentimento dell'oltraggio è più diffuso, ma nessun segno di panico si nota in qualsiasi punto. Iuvece vi è confidenza e volontà di affrontare con fermo cuore qualsiasi evento possa arrivare D. Lo stato d'animo inglese di settembre, e di oggi è ben descritto in queste parole; ma uno spirito pensoso se ne domanda la ragione. Forse che in settembre non fu fatto peggio che in marzo-aprile? Si, ma in settembre fu fatto con l'aiuto e la connivenza dei governi di Londra e d i Parigi e in marzo-aprile fatto di sorpresa e senza la loro volontà. In settembre la stampa preparò una parte dell'opinione pubblica alla cessione e ora i colpi arrivano impreparati. In settembre si credeva (dagli illusi in alto e in basso, ed erano molti) che bastasse concedere questa nuova soddisfazione a Hitler per avere la pace; oggi si vede che nulla basta nè per Hitler nè per Muooelini fin che Inghilterra e Francia non saranno rese impotenti. In settembre non si credeva che il duello fosse tra l'asse Berlino-Roma e l'intesa Londra-Parigi, e oggi finalmente ciò appare evidente. Diremo perciò che a settembre ebbero ragione Chamberlain e Bonnet e i loro cooperatori? e che i sentimenti del popolo furono genuini e non potevano essere diversi? e che il panico diffuso fu vero panico? Ecco il punto che noi vogliamo illuminare. Noi affermiamo che se le élites politiche di Parigi e Londra fossero state meglio orientate, e avessero ben realizzato il pericolo a cui si esponevano, il popolo avrebbe risposto, i n set'iembre, come risponde oggi in aprile, senza segni di panico, nè istensmi. Tutti poterono constatare in Francia con quanta serietà, calma e fiducia rispose il popolo alla parziale mobilitazione ordi-
( l ) Nel settembre 1938 ai ebbero le vicende che condussero al patto di Monaco. Cfr. nota 1 ali'articolo n. 57 e n. 58.
nata. E se al ritorno da Monaco il popolo coprì di fiori Daladier, fu perchè credette ad una pace reale, quale sembrava a coloro che ne portavano il dono. In Inghilterra l'entusiaemo per Chamberlain fu maggiore alla camera dei comuni (che si lasciò prendere la mano da una speranza irriflessa ed eccessiva) e nella borghesia che nelle masse operaie. Comunque, i due fenomeni di Londra e Parigi ebbero gli stessi motivi psicologici e lo stesso carattere insieme spontaneo e artificioso. L'artificio veniva dalla valutazione fuori proporzione di due fatti: la garanzia collettiva data alla nuova Cecoslovacchia per i suoi confini e la sua indipendenza; e il patto di pace segnato fra Hitler e Chamberlain e promesso alla Francia ( e poi firmato a Parigi). Le folle non potevano apprezzare quanto fragili foseero questi due pegni di pace: erano i governi di Londra e Parigi, che sotto la minaccia di un'invasione della Cecoslovacchia a data fissa, fecero mercato del diritto altrui, contentandosi di pegni senza valore. L'artificio consisteva nel far credere che veramente tali pegni fossero validi. E se Chamberlain e Daladier erano in buona fede, come è a credere, ciò depone poco a favore della loro abilità diplomatica, a non dire altro. Facciamo l'ipotesi inversa, che i governi di Londra e Parigi fin dal maggio scorso (quando la Cecoslovacchia con la mossa rapida della mobilitazione allontanò il primo tentativo hitleriano) avessero realizzato bene il significato politico e militare di Praga nell'insieme del sistema europeo e avessero detto: ogni attentato all'integrità della Cecoslovacchia porterà l'intervento della Inghilterra? della Francia e della Russia. Praga sarebhe ancora libera e la guerra non sarebbe avvenuta. E il popolo? Nel caEo di una seria minaccia, di una messa in scena di forze avverse come in settembre o come oggi, il popolo inglese e francese sarebbe stato serio, calmo, senza panico e senza isterismi nè pro, nè contro. Perchè esso avrebbe compreso allora quel che comprende oggi ( e in settembre non man- c ò d i comprenderlo in gran parte), che la debolezza di qua fa la forza di l à ; non tanto la debolezza materiale. ch'è la meno che conta, ma la debolezza psicologica e morale. Si dirà allora che il popolo non ha volontà in politica e che
le élites lo portano dove vogliono? No: le élites, in democrazia, non sono estranee al popolo come presso le dittature e nei regimi autoritari; le élites sono a contatto con il popolo e quindi ne riflettono i sentimenti. Ma le élites di governo hanno conoscenza, più mezzi di farsi valere, più responsabilità; esse quindi, se da u n lato riflettono i sentimenti istintivi del popolo (chi non vuole la pace?) dall'altro influiscono a ridestare il senso del dovere e dell'onore. Infatti in settembre si diceva: pace con onore; oggi si dice pace con sicztrezza. E d eccoci, per colpa delle élites insufficienti a realizzare questi tre dati (pace, onore e sicurezza), siamo purtroppo senza pace, senza onore e senza sicurezza. I1 popolo inglese oggi è unanime e si riprende: le oscillazioni sono state troppe. L'uomo che porta il peso di questa politica, si è rimesso in sella e vuol guidare per altra strada il paese. Si dice che l'inglese è lento a capire l e situazioni specialmente estere; ma è deciso quando ha compreso che la sua posizione o i l suo onore sono in gioco. Oggi ha compreso: secondo me avrebbe acche compreso in settembre, anzi aveva compreso, ma sperava che il sacrificio degli altri (cattiva speranza) servisse ad allontanare il sacrificio proprio. Gli egoismi dell'alto che arrivano al basso e le incertezze del basso che si ripercuotono nell'alto: ecco uno dei movimenti sociologici più usuali delle élites e delle masse in politica. (Popolo e libertà, Bellinzona, 18 aprile 1939).
VECCHIA BOEMIA Pensando al fato della Cecoslovacchia, dopo venti anni di esistenza, io ritorno col pensiero all'antica Boemia, ai suoi castelli, alle piane coltivate, alle sue foreste, al suo popolo forte, alla sua università umanistica, all'imperatore Carlo IX. a Gio-
vanni Hus (non come eretico ma come patriota), a san Wenceslao. Ma tale storia sarebbe per noi un ricordo letterario: per i boemi è una vita vissuta, è la loro stona, la loro personalità, il loro futuro. Si deve disperare del loro futuro, come personalità nazionale, solo perchè Hitler li ha sottoposti brutalmente al suo dominio? Così nel passato si sarebbe dovuto disperare della resurrezione della nazione irlandese o della nazione polacca. Quando vi è una lingua, una storia, un'esperienza politica, sarà impossibile spegnere l'anima nazionale. Gli imperi egemonici anche meglio costruiti cadono prima che le nazionalità si perdano. Che dire poi di queste improvvisazioni a tipo napoleonico, che costruiscono imperi in un giorno coi1 le armi o con l'inganno, assorbendo le piccole nazioni e sottoponendole a regimi di forza? I1 problema della piccola nazionalità e dei piccoli stati autonomi è, in politica internazionale, un problema perenne, che sta alla base della struttura della stessa società. Non c'è società umana senza diseguaglianza; non ci sarebbe più dinamismo. La natura ce ne dà la prova nelle famiglie: diversità di sesso, di età, di funzioni e di psicologia; eppure unità fondamentale. Così nelle professioni, nelle città, negli stati e fra gli stessi stati per formare una c0munit.à internazionale. Si domanda: ~ e r c h èl'Inghilterra deve controllare il quinto della popolazione del globo? perchè la Francia ha un impero coloniale? perchè gli Stati Uniti hanno gli affari del mondo nelle loro mani? Facciamo una revisione totale di tutto e cominciamo da capo. E dopo? Ci saranno altre Francie, altri Stati Uniti, altre Inghilterre, così come ci son Belgio: Olancta, Svizzera e Danimarca. I1 problema va posto in altro modo: come i piccoli stati potranno vivere e prosperare in libertà ed indipendenza, in ordine e in pace, i n mezzo ai grandi stati, gli uni e gli altri formatisi per ragioni geografiche, storiche, psicologiche ed economiche, e creanti delle proprie personalità nazionali. È perciò che oggi senza fare nè profezie, nè declamazioni fuori tono, possiamo non solo augurare ma prospettarci un avve-
nire in cui sotto una o un'altra maniera, la vecchia Boemia più o meno larga con i recenti o con altri confini, sotto un nome o un altro - tornerà ad essere libera e indipendente. Ciò dipende~àdalla volontà e dal valore dei suoi figli di dentro e di fuori i confini; volontà ferma, che alimenta la coscienza della propria personalità e che nutre le speranze dell'avvenire. Benes dallYAmericaha fatto sentire il suo appello ai cechi e agli slovacchi quando ha detto: (C The struggle for the £reedom has always won out in the long run against brute force and oppression D. I1 parlamento di Parigi, su proposta del democratico cattolico on. Peset, f u unanime a votare un messaggio di fiducia che conclude: Le peuple de Bohème et de Moravia ne perira pas. L'injustice et la violence n'ont qu'un temps D. Lord Davies ha proposto alla House of Lords una mozione ove è detto di cooperare (C for the restoration to Czecho-Slovakia of her freedom and independence 1). Questo resta nella coscienza del mondo civile come una riparazione che prima o poi deve arrivare. (People and Freedorn, London, aprile-giugno 1939). Arch. 12 A, 11.
SALUTO A
(C
POPOLO E LIBERTA'
1)
(*)
Sono con voi in spirito e mi sento presente nella comune volontà d i formare una cristiana coscienza democratica nei cattolici inglesi e in coloro che, in altri paesi, appartengono al vostro gruppo. Non pensiamo che sia un compito troppo grande per un gruppo ancora piccolo come numero di membri e con solo due anni di esperienza Le idee profondamente sen-
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(*) Messaggio inviato al raduno generale dei membri di a People and Freedom Group D.
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tite e che sono divenute valori interiori sono più importanti ed efficaci del numero di coloro che l e professano. Avviene come in un edificio, nel quale non sono soltanto necessarie l e pietre grosse, ma anche le piccole ... I n un momento in cui i valori morali in politica son messi sotto i piedi dall'oppressione totalitaria e vengono minimizxati dall'ipocrisia democratica, è nostro dovere riaffermarli di fronte ad entrambe, rendendo testimonianza alla verità. (People and Freedom, London, aprile-giugno 1939).
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K I am with you in spirit and feel myself present in the common will to fonn a Christian democratic conscience among English Catholics and among those from other countries who belong to our Group. Do not think i t an excessive task for a Group still small in numbers and with only two years of experience Ideas strongly felt and which have values of conscience are more important and effectual than the numbers of those who profess them. It is just as in a building, in which not only the big stones are necessary, but also the little ones... In a moment when mora1 values in politics are trodden under foot by totalitarian oppression and are minimised by democratic hypocrisy, it is our duty to reassert them in the face of both, bearing witness to truth.
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PER I FESTEGGIAMENTI A VAN ZEELAND (*) Caro amico, sarò con voi e con gli amici dell'dube - valide ed entusiaste n Nouvelles Equipes Francaises » - domani sera, quando festeggerete Paul van Zeeland! ( l )
(*) Lettera inviata al direttore del19Aube, in occasione del banchetto offerto in onore di Van Zeeland dagli u amici dell'dube n. ( l ) Paul van Zeeland, professore di economia all'università di Lovanio, fu tra i maggiori esponenti del partito cristiano sociale del Belgio. Presidente del consiglio dal 1935 al 1937 con due gabinetti tripartiti formati da cattolici, socialisti e liberali.
L'ex-primo ministro belga è un simbolo al tempo stesso che un realizzatore. Non è soltanto un tecnico, ma un cristiano, un uomo politico, un democratico di valore internazionale. Spirito di libertà, di democrazia, di pace, ecco il clamoroso significato della vostra manifestazione, in mezzo allo smarrimento e al disfattismo odierni. Non è soltanto la Francia che voi rappresenterete domani sera, ma tutti i nostri amici degli altri paesi che (dopo la caduta del centro tedesco e del partito popolare italiano che avevano posizioni politiche di prim'ordine) chiedono ai democratici cristiani francesi di assumere la leadership della ricostnizione della società moderna nella libertà, la democrazia e la pace. Voglia gradire, caro signor Gay, i miei voti calorosi e i miei cordialissimi saluti.
Londra: 23 aprile 1939.
(L'Aube, Paris, 27 aprile 1939).
Mon cher ami, je serai avec vous et les amis de L'Aube - vaillantes et enthousiastes Nouvelles Equipes Francaises -- demain soir, à l'beure oh vous £etere2 hl. Paul van Zeeland. L'ancien premier ministre blege est un symbole en meme temps q u b n réalisateur. I1 n'est pas seulement un technicien, mais un chrétien, un homme politique, un démocrate d'une valeur internationale. Esprit de liberté, de démocratie, de paix, voila la signification éclatante de votre manifestation, au milieu du désarroi et du défaitisme d'aujourd'hui. Ce n'e2t pas seulement la France que vous représenterez demain soir, mais tous nos amis des autres pays qui (apres la chute du centre allemand et du parti populaire italien qui avaient des positions poliques de premier ordre) demandent aux démocrates chrétiens francais de prendre la leadership de la reconstmction de la société moderne dans la liberté, la démocratie et la paix. Veuillez agréer, cher monsieur Gay, mes voeux chaleureux et mes salutations très cordiales. Luigi S t u n o
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UTILE RICORDARE CHE ...
Gli uomini e le situazioni cambiano; i sentimenti, i risentimenti, gli interessi, gli odi, l'amore non cambiano. Nel 1922 i socialisti italiani, dopo molte esitazioni, rifiutarono la collaborazione con i popolari e i democratici liberali, e lasciarono via libera alla reazione plutocratica e a l fascismo (l). L'ala estrema fu trascinata dalla convinzione che i l socialismo rivoluzionario, per mezzo di scioperi e di agitazioni, avrebbe stabilito la dittatura del proletariato (come si diceva allora). I riformisti, a l contrario, furono trascinati dalla convinzione che la borghesia fosse inabile a resistere a i movimenti di masse (socialiste, popolari e fasciste), e che l'azione parlamentare fosse una tappa che sarebbe stata superata rapidamente. La collaborazione, al contrario, avrebbe rafforzato la borghesia con l'appoggio dei popolari, i quali, per i socialisti, non erano che clericali camuffati. In fondo i socialisti non volevano impegnarsi in una posizione di governo che li avrebbe obbligati ad assumersi responsabilità impopolari in materia finanziaria ed economica, a intraprendere la repressione dei movimenti illegali delle masse, e a favorire le leggi agrarie dei popolari per la piccola proprietà e la bon'ifica integrale. La borghesia agraria e industriale che temeva un governo popolare-democratico-socialista, e che odiava le leggi agrarie proposte dai popolari, fu felice di darsi alla destra nazionalista e di favorire il fascismo con tutti i mezzi, ivi compreso quello della violenza di piazza. Il resto della storia è noto: l a marcia su Roma, nell'ottobre 1922; il denaro che ebbero i fascisti non discese dal cielo. Quale fu l a crisi interna del governo Briining in Germania?
(l) Sui tentativi di accordo per un governo di coalizione con la partecipazione dei popolari e dei socialisti, cfr. G. DE ROSA,op. cit., vol. I1 pp. 246
e 8s.
Con posizioni diverse, fu la stessa cosa. I socialisti, che avevano collaborato con il centro e che avevano, in Prussia, il governo in mano, rifiutarono a Briining (l) l'appoggio per le misure economiche e finanziarie necessarie a far fronte ad una situazione che - per colpa della Francia e dell'hghilterra - si era considerevolmente aggravata. Briining affrontò la situazione finanziaria e il problema agrario, e fu abbandonato dai socialisti, dai nazionalisti di Hugenberg, e buttato a mare da Hindenburg, che risentiva personalmente le proteste dei grandi proprietari terrieri della Prussia orientale, toccati sul vivo dai decreti proposti da Bruning. In un caso come nell'altro, i cattolici democratici furono traditi ( l a parola è forte, ma il senso è reale) dai cattolici conservatori: Cavazzoni (') in Italia e von Papen (3) in Germania furono i cavalli di Troia all'intemo dei due partiti: il partito popolare e il centro. L'uno e l'altro arrivarono al governo. Cavazzoni, ministro di Mussolini, nominato poi senatore; von Papen, primo cancelliere del Reich, poi sostenitore di Hitler, infine, suo agente fedele nei centri cattolici all'estero, presso il Vaticano per i l concordato, in Austria per l'incorporazione. Storie vissute queste, che forse non dicono nulla agli amici
( I ) Heinrich Bruning, uomo politico tedesco, tra i maggiori esponenti del centro cattolico, fu eletto cancelliere nel marzo 1930 ma fu rovesciato dall'avvento del nazismo. (2) Stefano Cavazzoni (1881-1951), deputato popolare nel 1919 e 1921; partecipò come ministro del lavoro nel primo gabinetto Mussolini. Fu espulso dal partito nel 1923 p e r aver votato a favore della legge elettorale Acerbo, contravvenendo alle decisioni del gruppo parlamentare che si era dichiarato per l'astensione. Aderì quindi a l movimento filofascista noto col nome d i Centro nazionale italiano. N e l 1924 fu eletto deputato nelle liste fasciste. (3) Franz von Papen, esponente dell'ala conservatrice del centro cattolico tedesco, nel 1932 fu nominato cancelliere e preparò il definitivo avvento d i Hitler. Ambasciatore a Vienna nel 19M, si adoperò per preparare 1'Anchluss; dal 1939 al 1940 fu ambasciatore ad Anlcara. Venne assolto dal tribunale di Korimberga. ma condannato <la un tribunale tedesco; venne amnistiato nel 1949.
belgi che possono ripetere: u Situazioni piuttosto diverse; mentalità opposte; pericoli inesistenti n, e così di seguito. Anche gli amici del centro dicevauo, a noi italiani, che non temevano Hitler, che Hitler non era Mussolini; coloro che partecipavano al segretariato internazionale dei partiti democratici d'ispirazione cristiana, a fianco degli amici del centro Joos, Weber e altri, avevano una volta visto anche von Papen i n persona. Era allora veramente fedele al centro e alle sue direttive democratiche ? In Francia, in Belgio e altrove, i socialisti, con la loro ipersensibilità di partito, e i cattolici con cavalli di Troia nel loro seno, potrebbero produrre quelle situazioni antiparlamentari che furono alla base delle crisi italiana e tedesca. Non si mette in dubbio la dirittura costituzionale dei capi di stato; non si possono fare paralleli con il re d'Italia e con Hindenburg. Devo dire, per mio conto, che, fino al mattino del 28 ottobre 1922, non avevo mai pensato che Vittorio Emanuele 111 avrehbe potuto essere u n poco rigido osservante della costituzione. Di Hindenburg si diceva che egli era soprattutto un soldato fedele al giuramento. Ciò che so per esperienza, 6 clie le borghesie ricche si credono al di sopra delle costituzioni, al di fuori delle leggi morali, e credono di rappresentare esse s ~ l t a n t ogli interessi del loro paese. Così, nel momento in cui vedono le forze avverse vacillanti, divise e senza orientamento preciso, non mancano mai di dare duri colpi per riguadagnare le posizioni perdute e poter dominare. Questo articolo è destinato ai democratici-cristiani e anche ai socialisti del Belgio, con i l dovere di vigilanza: Meminisse
juvabit! (Auant Garde, Bruxelles, 28 aprile 1939).
IL EST UTILE DE RAPPELER ...
h hommes et les situations changent; l w sentiments, les ressentiments. les intéréts, lea hainea, I'amour ne changent pas. En 1922, les socialistes italiens, après beaucoup d'hésitations. refusèrent la collaboration avec lea populaires et lea démocrater, libéraux, et laisserènt la voi libre à la réaction ploutocratique et au fasciame.
L'aile extreme fat entrainée par la croyance que le socialisme révolutionnaire, au moyen de grèves et d'agitations, aurait établi la dittature du prolétariat (comme on diaait alors). Les réformistes, au contraire, l e furent par la conviction que la bourgeoisie était inhable à résister aux mouvements de masses (socialistes, populaires et fascistes) et que l'action parlementaire était une étape qui serait rapidement dépassée. La collaboration, au contraire, aurait renforcé la bourgeoisie avec l'appui des populaires, qui, pour lea socialistes. n'étaient que des cléricaiix camouflés. Dans le fond. les socialistes ne voulaient pas s'engager dans une positiou de gouvernement, qui les aurait obligés à prendre des responsabilités impopulaires en matière financière et économique, à entreprendre la répression des mouvements iilégaux des masses, et à favoriser les lois agraires dea populairw pour la petite propriété et la bonification intégrale. La bourgeoisie agrarie et industrielle qui craignait un gouvernement populaire-démocratique-socialiste, et qui haissait 1es lois agaires proposées par les populaires, fut heureuse de se donuer à la droite nationaliste et de favoriser le fascisme par tous les moyens, y compris ceiui de la violence dans la rue. Le reste de l'histoire est connu: la marche sur Rome, en ottobre 1922; I'argent qu'eurent les fascistes ne descendit pas du ciel. Que fut la crise interne du govemement de Briining en Allemagne? Les positions changées, ce fut la meme chose. Le socialistes, qui araient collaboré avec le Centre et qui avaient, en Prusse, le gouvernement en main, refusèrent à B ~ n i n gl'appui pour les mesures économiques et financières néceasairea pour faire face à une situation qui - par la faute de la France et de llAngleterre - s'était considerablement aggravée. Bruuing affronta la situation financière et le problème agraire, et il fut abandonné par les socialistes, par les nationaliste. de Hugenberg, et jeté à la mer par Hindenburg, qui ressentait personnellement les protestations des . gros propriétaires agraires de la Pmsse de l'Est, touchés au vif par les décrets proposés par Bruning. Dans un cas comme dans l'autre, les catholiques démocrates furent trahis (le mot est fort, mais le sens est réel) par les catholiques conservateurs: Cavazzoni en Italie et von Papen en Allemagne furent les chevaux de Troye an milieu des deux partis: le parti populaire et le Centre. L'un et I'autre parvinrent an gouvernement. Cavazzoni, ministre de Mussolini, nommé sénateur ensuite; von Papen, premier chancelier du Reich, puis favorisateur de Hitler, enfin, son agent fidèle dans les centres catholiques extérieurs, près du Vatican pour le concordat, en Autriche pour l'incorporation. Histoires vécues cellesci, qui peut-;tre ne disent rien aux amis belges qui peuvent répéter: a Situations assez différentes; mentalités opposées; dangers inexistants D, et ainsi de suite. Meme lea amis du Centre nous disaient, à nous italiens, qu'ils ne craignaient pae Hitler, qu'Hitler n'était pas Mussolini; ceux qui participaient au Secrétariat international dea partis democratiques d'inspiration chrétienne, près des amis du Centre Joos, Weber et autres avaient une fois vu
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aussi von Papen en personne. Etail-il alors vraiment fidèle au Centre et démocratiques? En France, en Belgique et ailleurs, les socialistes, avec leurs 11)-persensibilités de parti, et les catholiques avec des chevaux de Troye dans leur sein, pourraient produire ces situations antiparlementairea, qui furent à la base dea crises italiennes et alìemandes. On ne met pas en doute la droiture constitutionnelle des che& d'états; on ne peut faire de parall6les avrc le roi d'Italie et avec Hindenburg. Je dois dire, pour mon compte, que, jusqu'au matin d a 28 octobre 1922, je n'avais jamais pensé que Victor-Emmanuel I11 pourrait ;tre un o b s e ~ a t e u rpeu rigide de la constitution. De Hindenburg on disait qu'il était surtout un soldat fidèle à son serment. Ce que je sais par expénence, c'est que les bourgeoisies riches se croient au-dessus des constitutions, en dehora dea lois morales, et que seules elles reprénentent les intérets de leurs pays. Aussi, au moment où elles voieut les forces adverses vaciiiantes, diviséea et sans orientations précises, elles ne manquent jamais de donner des coups durs pour gagner les positions perdues et pouvoir dominer. Cet article est destiné aux démocrates-chrétiens et aussi aux socialistes de Belgique, avec le devoir de vigilance: Afeminisse juvabit! ~ e directives s
PRIJfO E QUINDICI MAGGIO ( l ) Siamo nel 1891: quarant'otto anni fa. Io ero già studente di teologia nel gran seminario di Caltagirone in Sicilia. Si aspettava i l 1" maggio con una certa ansia; si temeva la nvoluzione sociale. L'anno antecedente, nel 1890, si era tentata per la prima volta la grande manifestazione del lavoro, i socialisti ne
(l) Sull'attività sociale svolta da Stuno tra la fine del '900 e i primi anni del secolo, ck. G. DE ROSA,Introduzione a L. STURZO, La Croce d i Costantino, Roma 1958 e F. Prva-F. MALGERI,OP. cit.. pp. 17-15?. L'episodio relativo ali'awocato Mangano, cui accenna Stuno, avvenne nel 1901 anziché nel 1895 (ch. La Croce di Costantino, 22 maggio 1901). Sull'avv. Vincenzo Mangano, organizzatore cattolico palermitano ed esponente del partito poVincenzo Mangano, Roma 1968 e G. DE ROSA, polare, cfr. G. INTERSIMONE, Vincenzo Mangano, in Rassegna d i politica e di storia. aprile 1962.
avevano il monopolio. I giornali avevano dato le notizie di quel che accadeva in Francia, nel Belgio, e altrove. Le organizzazioni operaie italiane, guidate dai socialisti, avevano scelto anch'esse la data del lo maggio, come festa del lavoro; le condizioni del lavoro erano assolutamente insufficienti e anche degradanti. Si era nell'attesa di tragici avvenimenti, che arrivarono qualche anno dopo. I n tale atmosÂŁera, che fortemente influiva sulla nostra immaginazione giovanile come quella del crollo sociale, il 15 maggio 1891 arriva l'enciclica Rerum Novarum di Leone XIII come un appello, una speranza, un raggio di luce. Ricordo che in seminario fu letta la notizia con una certa meraviglia e poi con qualche scetticismo da quelli che ne sapevano di piĂš ed avevano esperienza di vita. Noi giovani che amavamo Leone XIII per quel che egli ci sembrava, il vecchio che ringiovaniva, il rinnovatore del pensiero cattolico, il paciere fra i popoli, il papa del rosario; noi che nel suo giubileo sacerdotale del 1888 avevamo fatta una gran Iesta; e nel 1891 ci preparavamo alla festa dell'altro giubileo - quello episcopale del febbraio 1893 - con una grande accademia poeticomusicale e pellegrinaggi e doni, noi accogliemmo la parola del papa e lo chiamammo: il papa degli operai! Ma che fare per gli operai? Non ne sapevamo nulla. Cercavamo di leggere libri che ci illuminassero, ma non n6 avevamo. Un certo manuale dell'opera dei congressi e comitati cattolici in Italia trovato a caso fra i libri di mio padre, mi diede delle idee che comunicai ai miei compagni di studio. L'opuscolo di un ingegnere cattolico ci spinse verso la creazione di casse rurali di prestito ai contadini per combattere l'usura. L'idea delle corporazioni o leghe professionali di artigiani fu la prima a nascere: l'esperienza delle mutuo soccorso laiche e mazziniane, ci fece tentarne di simili con nome e professione di cattolici. Ma i cattolici operai o contadini erano pochi a darci fiducia in tale campo. Eravamo in piena rivolta; fasci siciliani si preparavano nelle campagne (non erano fasci fascisti, ma fasci socialisti o semplicemente detti fasci dei lavoratori). La repressione di un tale movimento fu sanguinosa: i capi furono arrestati; la Sicilia fu messa fuori legge con un commissario -
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speciale. I processi e le sentenze gravissime; per qualche anno regnò il terrore. Bisognava attendere per iniziare sul serio il nostro movimento. Si cercava una parola d'ordine, una parola magica, che attirasse le folle verso di noi: la parola fu democrazia cristiana, arrivataci dal Belgio e la data fu il 15 maggio (data dell'enciclica Rerum JVovarurn) che noi d'allora chiamavamo: « festa cristiana del lavoro >>, Nel 1895 sono le prime leghe operaie e contadine in Caltagirone; nel 1896, 15 maggio, data la prima manifestazione pubblica. Una lunga processione interminabile dalla chiesa antica Matrice, dove si venerava l'immagine di Maria de coena Domini, fino al centro della città, al teatro comunale, dove doveva tenersi la conferenza sulla democrazia cristiana da un oratore (l'avvocato Vincenzo Mangano) venuto da Palermo. Ma i liberali ( p e r modo di dire) erano furiosi contro il sindaco che ci aveva concesso il teatro. Invasero la sala e fecero tanto disturbo (sotto gli occhi della polizia compiacente) che si dovette sospendere la conferenza. Ciò si fece con un ordine esemplare: si andò nella vicina chiesa del Collegio. I1 Santo Sacramento fii portato nella sacrestia; e si completò la festa con la conferenza dell'avvocato Mangano sulla democrazia cristiana. La gente borghese, i signori, i latifondisti, che in Sicilia temevano i disordini (come negli anni precedenti) ne furono disillusi. Ma essi presero ad odiare la democrazia cristiana, perchè disciplinava le masse e ne tentava l'elevazione morale e materiale. La frase inventata in quegli anni e ripetuta in Italia (fin all'avvento fascista) fu sempre la stessa: nteglio i rossi ( i socialisti) che i bianchi ( i democratici cristiani); e durò dal 1891 al 1927 quando furono sciolte tutte le leghe democratiche cristiane o cristiano-sociali, con a capo la confederazione italiana dei lavoratori, che aveva più di un milione di soci. Ora essi hanno i neri (le camice nere) e ne szranno contenti! ! ! Londra, lo maggio 1939.
(Il Lacoro, 1,iigano. 6 rnaggin
1939).
GLI IDEALI DI LIBERTA' E DEMOCRAZIA DEL « PEOPLE AND FREEDOM GROUP » DI LONDRA Quando un piccolo gruppo di cattolici democratici, sotto la presidenza di mrs. Virginia Crawford (nota qui e all'estero come. una leader della democrazia cristiana) fondarono in Londra il « People and Freedom Group », non si pensava che potesse avere quella vitalità così intensa e larga, che ha mostrato in due anni. La prima relazione generale fatta dalla segretaria miss Barclay Carter è riuscita, anche per certi soci, una rivelazione. In un periodo assai difficile per gli ideali di libertà e di democrazia nell'ambiente cattolico inglese, data l'infiltrazione filo-fascista e la propaganda anti-francese, poter formare un nucleo deciso ad affermare le proprie convinzioni e simpatie pubblicamente, poteva sembrare troppo ambizioso. Tanto più che si doveva ricorrere all'ospitalità o di giornali politici quali il Manchster Guardian, o dei settimanali cattolici non molto favorevoli al gruppo. L'uscita di un foglio proprio si imponeva; ma con i mezzi limitati di cui può disporre un gruppo nascente, il Naus Sheet (che portava il titolo del gruppo) è stato limitato, per un primo tempo, ad essere trimestrale e a circolare fra un migliaio di abbonati e di amici. Chi lo legge respira un'aria di freschezza, sincerità, convinzione, senza pretese ma senza sofisticazione. & della gente che sente la politica e la vuole affermare; ma una politica impregnata di valori morali; decisa (come quella dei giovani) ma anche prudente. Vuole che i cattolici escano dall'equivoco, che li fa ambigui fra le tradizioni libere dell'Inghilterra e un fascismo e autoritarismo preteso cattolico. Si suppone che l'antisemitismo batta alle porte dei cattolici inglesi? « People and Freedom Group D, nella sua assemblea generale h a emesso un voto contro l'antisemitismo, ricordando fra l'altro che fu condannato dalla congregazione del Sant'Uffizio nel marzo 1928. La sua pubblicazione ha suscitato
una lettera del comitato centrale degli ebrei, ringraziando come d i una cosa assai rara. Sembrerebbe strano, dopo sei anni d i persecuzione anti-ebraica in Germania, doverne constatare oggi la recrudescenza (come fa il u People and Freedom g o u p u) « in Italia e in altri paesi di popolazione a grande maggioranza cattolica D. L'allusione è all'ungheria, Slovacchia, Polonia. È ben conosciuta l'azione del gruppo per la pace in Spagna; fu il gruppo a promuovere qui la costituzione di un comitato misto d i protestanti e cattolici per la pace civile e religiosa in rapporto con il prof. Mendizabal, membro corrispondente quasi fin dalla fondazione, e il prof. Maritain, altro membro corrispondente che ci fa tanto onore. I ripetuti voti per la pace, contro i bombardamenti aerei, l'interessamento diretto (nel Joint Committee for Spanish Relief) per i bambini baschi; i rapporti stretti con i cattolici baschi e catalani per ogni buona opera di assistenza morale e politica (sempre per la pace e per il bene), hanno dato la prova dell'utilità di questo giovane gruPP0. Per non dire come il disimpegno da una politica legata alle sorti del generale Franco o a quelle della repubblica, ha reso possibile un revirement in certe sfere della opinione inglese protestante, che (concependo la politica spagnola in termini di disciplina ecclesiastica) arrivava a pensare che non si poteva essere buoni cattolici senza essere franquisti, e senza credere che Guernica era stata incendiata dai rossi (una specie di aggiunta a1 Credo!). Nel campo internazionale troviamo nette e franche affermazioni per l'Austria, per la Cecoslovacchia, per 1'Abissinia. F u pubblicata a suo tempo dai giornali un'interessante corrispondenza fra il « People and Freedom Group » e il Foreign Office a proposito del riconoscimento de jure della conquista abissina. Sono documenti che segnano una data. Una felice iniziativa oggi è stata presa dal gruppo. La pubblicazione di un libro dal titolo Difesa della democrazia. Sarà una raccolta d i studi secondo un piano re stabilito, sicchè formeranno un libro unico. Gli scrittori sono tutti membri del gruppo. I lettori dell'dube, dell'Avant Garde, del Popolo e libertà vi troveranno tra i nomi noti don Sturzo, il prof. Men-
dizabal, i l prof. Vaussard, L. Terrenoire, mrs. Crawford, miss Barclay Carter: altri non sono loro noti, ma lo sono in Inghilterra e America, come lo storico Joseph Clayton, e il direttore del Sower fr. Gosling; altri lo saranno, giovani che vengono su nello spirito e nell'ideale della libertà e democrazia. E sarà una noviti: la democrazia del gruppo non è quella individualista, impregnata di un liberalismo economico senza ideali o di un laburismo burocratizzato; ma impregnata di valori morali datici dal cristianesimo, e rinnovata per un contenuto spirituale e in una vitalità organica, quale è affermata oggi dalle correnti democratiche cristiane. Per questo lato, il gruppo favorisce la diffusione dell'dube e ne apprezza gli sforzi di superare la crisi francese. I1 marchese d'Aragon (nostro membro corrispondente) che è del centro nazionale delle NEF (l), ha tenuto qui una conferenza sul movimento dei cattolici francesi che ci ha fatto bene. Dopo aver letto tanti attacchi nella stampa cattolica di qui contro i leftists cattolici di Francia e anche contro tutto il cattolicesimo francese, il discorso d'Aragon non poteva essere più opportuno. E il contatto di un uomo di fede nella funzione moralizzatrice e rinnovellatrice del cristianesimo cattolico nella vita pubblica francese, è stato riconfortante. Così il gruppo ha annoverato fra i suoi corrispondenti M.P. Seigneur, direttore dell'Avant Garde, perchè la difesa della democrazia e della libertà di quel magnifico quotidiano di Bruxelles è una promessa per il raddrizzamento del Belgio che tanto si ama. Fra i visitatori esteri che han parlato al nostro piccolo gruppo, dobbiamo mettere l'ex-vice borgomastro di Vienna il dr. Winter (allora non si pensava alla triste fine dell'austria),
(l) Lc Nouvelles équipes francaises (NEF)furono un movimento ad ispirazione democratico-cristiana sorto in Francia alla fine del 1938 a fianco del giornale L'Aube. Francisque Gay e Georges Bidanlt furono i maggiori artefici dell'organizzazione, a cui aderirono Louis Terrenoire, Etienne Borne, Georges Hoog, Marc Sangnier, Jacques nfadaule ed altri. Su questo movi, cit., pp. 332 e S. mento cfr. F. M A ~ U Rop.
e il rev. Reichenberg. Dei non cattolici Wickham Steed, professor Seton Watson, Dr. Borkenau. I1 contributo attivo dei nostri soci sui problemi dell'ora è stato notevole: dr. Roper Power sul problema della popolazione, Anthony Moore sul centro Europa, don Sturzo e mrs. Crawford sul corporativismo cristiano, miss Scott Stokes sul sistema parlamentare inglese, Jean Frédéric Neurohr sugli stati autoritari e la chiesa, mentre miss Collier ha fatto a due riprese le relazioni dei suoi viaggi di soccorso in Catalogna. L'assemblea mostra apertamente la sua riconoscenza speciale al presidente mrs. Crawford e alla segretaria miss Barclay Carter (che insieme dirigono il News Sheet) per la loro costante attività e intelligente guida alla formazione di un'élite politica democratica fra i cattolici inglesi e ad allacciare e rendere vivi e attivi i rapporti con i cattolici di sentimenti liberi e democratici di altri paesi. E per un inizio non è poco. Un voto speciale dell'assemblea è stato fatto per il discorso di capodanno del presidente Roosevelt: « The People and Freedoin Group quale gruppo di cattolici fedeli alla supremazia della morale nella vita politica, alle necessità delle libertà civili e politiche e ad un'unione fra gli stati sulla base della morale per la formazione progressiva di un diritto internazionale, tiene ad esprimere il suo piacere e la sua soddisfazione per i principi annunciati dal presidente degli Stati Uniti nel suo discorso di capodanno al congresso e soprattutto alla sua insistenza sulla libertà di culto, sulla democrazia e sulla buona fede internazionale come la sola base di una feconda cooperazione internazionale ». Questo voto è stato comunicato aU9ambasciatore americano, che lo ha molto gradito, come espressione di simpatia e di adesione di un gruppo cattolico. (Popolo e libertà, Beilinzona, 11 maggio 1939).