4 miscellanea londinese (1937 1940) pag 249 458

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L A SOLIDITA' DELL'ASSE L'articolo che segue è stato scritto il 5 maggio, alla vigilia del convegno d i Milano, quando i giornali bene informati d i qua e d i là della Manica, davano la notizia delle differenze d i vedute tra Hitler e Mussolini, il precipitoso viaggio d i Ribbentrop, la mediazione del duce per Danzica e altre del genere. Ora tutti sanno che si trattava d i arrivare ad una vera alleanza militare per assicurare la pace all'Europa. Crediamo che non mancheranno giornali e uomini politici a ripetere, anche dopo la stipula dell'alleanza, che Mussolini è disposto a intendersi con l'Inghilterra e con la Francia e a trovare dei motivi legittimi per limitare l'influsso d i Berlino e così su questo tono ad ogni nuova fase degli avvenimenti i n corso. È perciò che l'articolo seguente resta d i attualità anche dopo il convegno d i Milano. Londra, 9 maggio 1939.

proprio u n anno che Hitler fece visita a Mussolini e che la croce gammata prese possesso di Roma, caput mundi ( l ) . Allora si parlò d i consolidamento dell'asse. U n consolidamento necessario. a due mesi di distanza dalla sparizione dell'rlustria, occupata ( n o n simbolicamente) dalla croce gammata. I fiorentini (sempre vivaci nei motti) dissero che si era troÈ

( l ) La visita di Hitler a Roma si svolse dal 3 a11'8 maggio 1938. I1 4 maggio il Fiihrer venne ricevuto in Quirinale, il 5 si tenne una grande rivista navale a Napoli, il 7 vi f u un pranzo a palazzo Venezia, ove Hitler e Mussolini accentuarono la solidarietà spirituale fra i due regimi. I1 9 maggio Hitler fu a Firenze, dove ripartì per la Germania. Significativo il fatto che fin dal 30 aprile Pio XI aveva lasciato Roma per Castelgandolfo, ed il 4 maggio, ricevendo in udienza un gruppo di fedeli affermò che tra le cose tristi che avvenivano in quei giorni era l'inalberamento a Roma, il giorno della festa della croce, « di un'altra croce che non è la rroce di Cristo D.


vato l'asse rotto, metà in via dei Servi e metà in via dei Malcontenti (Via dei Servi e via dei Malcontenti sono due strade di Firenze: i l significato è evidente). Comunque, l'asse fu consolidato e oggi è ben solido. Questo dovrebbe ben comprendersi da coloro clie pensano non secondo la realtà, ma secondo i loro desideri e credono che sia possibile ( e anche facile) che Mussolini si distacchi da Hitler. Questa credenza sussiste anche oggi, non ostante un anno di prove in contrario di Mussolini stesso. Sussiste in Francia e in Inghilterra presso coloro che fino ieri sono stati ammiratori di Mussolini, e in contatto con certi ambienti italiani della borghesia degli affari o della nobiltà da salotto. Non manca la propaganda, che descrive a vivi colori il seiitimento antitedesca degli italiani al punto da far credere che gli stessi dirigenti fascisti ne sono preoccupatissimi, o dall'altro lato dà per certo che se Mussolini ottenesse qualche soddisfazione sostanziale, da salvare la faccia, troverebbe modo di giocare Hitler, ostacolandolo nelle sue intraprese. Non mancano giornali, in Francia e anche in Inghilterra, a far valere ( a tempo e a luogo) questi punti di vista e a insinuarli nella polemica quotidiana. Tutto ciò può essere fatto e detto con la piii grande buona fede e convinzione, ma anche può divenire (consciamente o no) una manovra bella e buona dell'offensiva fascista. I dittatori contano sulla opinione pubblica. Quella del proprio paese è manipolata a piacere, dato che tutti i mezzi per dirigerla sono nelle mani del governo; quella dei paesi liberi deve essere formata con la propaganda più sottile e insinuante e con le risorse locali bene utilizzate. È per questo che la credenza che l'asse Roma-Berlino potrà infine essere rotto, reso meno solido, con dei compensi ora all'uno ora all'altro dei due soci, è ancora molto diffusa. Sarà bene che il pubblico dei paesi democratici si disilluda una volta per sempre, e cominci a persuadersi che Mussolini è sincero quando dice che l'asse è solidissimo e quando fa capire ch'egli è unito a Hitler per la vita e per la morte. Le fasi della politica dell'asse (anche prima che questo nome entrasse nel linguaggio comune) sono state fin oggi due. La prima fase ascendente, quella dei facili risultati; la seconda


fase, l'attuale, quella del fronte di resistenza all'eventuale aggressione e delle manovre diplomatiche e delle minacce coperte. Resta la terza che dovrebbe essere la risolutiva. La prima fase h a una serie di nomi che non bisogna dimenticare : 1. Abissinia e sanzioni ; 2. rimilitarizzazione del Reno ; 3. crisi della Società delle nazioni; 4. Spagna e non-intervento; 5. Giappone in Cina ; 6. Austria; 7. Cecoslovacchia e Monaco; 8. vittoria di Franco in Spagna; 9. invasione della Boemia e Moravia (l); 10. Memel (=); 11. Albania (3). Che lista di vittorie ottenute in tre anni e che si possono assegnare tanto all'abilità di Roma e Berlino quanto alla stupidità di Parigi e Londra! Ma la nona tappa è stata fatale per Hitler: l'invasione della Boemia e Moravia fu per il governo inglese la prova della malafede di Hitler, fu la sconfessione degli impegni di Monaco. Chamberlain ha toccato con mano il pericolo ( u n po' tardi per un capo di governo) ed ha cambiato rotta. Di qui la seconda fase de117asse; l'attuale del marzo 1939 in poi. Alcuni pensano retrodatarla al 30 novembre 1938, giorno in cui alla camera italiana fu iniziata la campagna per Tunisi, Suez, Gibuti, Corsica e Nizza. Ma dopo di allora ci fu la visita di Chamberlain e Halifax a Roma. I1 governo inglese pensava che dopo tutto un'intesa tra la Francia e l'Italia non fosse impossibjle, dato che si poteva supporre che l'Italia domandasse cento ma si sarebbe contentata di dieci. Non si sa

(l) In Cecoslovacchia, nel marzo 1938, una divergenza interna con la Slovacchia provocò un appello di mons. Joseph Tiso, primo ministro slovacco, ad Hitler. I1 presidente ceco Hacha, convocato a Berlino, fu costretto, sotto la minaccia della distmzione aerea di Praga, a firmare il protettorato tedesco sulla Boemia e Moravia. Praga venne subito occupata dai tedeschi, la Slovacchia ottenne la piena indipendenza ed una occupazione ungherese della Rutenia suhcarpatica stabili un diretto contatto temtoriale tra la Polonia e l'Ungheria. ( a ) Nello stesso periodo la Germania costrinse la Lituania, con un ultimatum, a restituire il temtorio di Memel, occupato dai Lituani nel 1923. (3) I1 7 aprile 1939 le truppe italiane sbarcarono in Albania. Il re d'Albania Zog fuggì e Vittorio Emanuele 111 aggiunse la corona d'Albania al titolo di re d'Italia e imperatore d'Etiopia.


perchè sia anche oggi diffusa in Inghilterra una simile idea, che sembra quella di un mercante levantino o di un venditore di tappeti persiani. Noi pensiamo che Mussolini voglia non il 10 per cento delle sue domande, ma una reale partecipazione alla sovranit,à di Tunisi e Gibuti, la demilitarizzazione della Corsica e un effettivo cointeresse a Suez. Nizza ci sembra buttata lì per avere qualche punto su cui cedere. L'atteggiamento duro e sicuro della Francia (non ostante certa stampa. detta nazionale o nazionalista), ma più che altro la decisione dell'hghilterra a impegnarsi con la Polonia, la Romania e la Grecia (in casi necessari), per aiutare spontaneamente l'Olanda, la Danimarca, la Svizzera anche; e quindi; come conseguenza necessaria di tale politica, a deliberare la coscrizione immediata e a cercare l'intesa con la Russia, hanno modificato tutto l'ambiente. L'intervento di Roosevelt, non ostante le risposte di Hitler e Mussolini, ha cambiato la situazione europea. I1 problema del momento non è più il Mediterraneo (non ostante che Franco abbia dato la sua adesione al patto antibolscevico, favorisca le insidie di Hitler e Mussolini attorno a Tangeri); ma quello della Polonia. Danzica è la porta per ora. I1 ministro Beck autore della politica filo-tedesca della Polonia, è stato obbligato a ritornare sui suoi passi, per difendere in tutti i modi lo sbocco al mare e la sicurezza della Vistola. I1 gioco diplomatico e i movimenti militari sono sincroni. L'asse si difende a tutta forza, per non perdere le posizioni di vantaggio già acquisite e per poter infliggere qualche scacco morale, diplomatico o di prestigio alla coalizione dell'rnghilterra con la Francia. Mussolini è obbligato a seguire la politica di Berlino, e ogni tentativo di fare una politica autonoma con la Jugoslavia, l'Ungheria e la Polonia, è destinato a fallire; egli è legato all'asse, lo voglia o non lo voglia, ecco la situazione dell'oggi. Domani? Due ipotesi, che forse si realizzeranno presto ovvero resteranno per un tempo imprecisabile semplici ipotesi: o 1'Inghilterra e la Francia arriveranno a consolidare la loro politica di intese, di garanzie e di patti allyest, fino con la Russia e la

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Turchia ( a parte la collaborazione degli Stati Uniti d'America nella resistenza morale ed economica all'aggressione); ovvero Berlino e Roma arriveranno a impedirne la realizzazione, ottenendo qualche altro successo a buon mercato (come quello dell'Albania) per creare il panico nei piccoli paesi. Nei due casi, la guerra deprecata non verrebbe; ma l'asse Berlino-Roma resterebbe in piedi. La differenza del risultato sarebbe solo politico. Nel primo caso (consolidameAto della politica franco-inglese), si aprirebbe la via per una sosta che farebbe riflettere i dittatori e li rimetterebbe sul terreno umano, lasciando la posa di semidei; ciò che darebbe la possibilità di una conferenza internazionale. Ma se oggi la Francia e l'Inghilterra non guadagnano la partita acquistando la fiducia politica, militare ed conomica, dagli altri paesi piccoli e grandi, avremo un periodo di ansie, di aspettative, di minacce, d i agitazioni, fino a che arriverà la messa in scena di un'altra Monaco. Nelle due ipotesi, Mussolini non ha ragione di cambiare politica. Egli sa che nella prima ipotesi (consolidamento francoinglese) potrà ottenere quello che potrebbe ottenere oggi con un cambiamento di politica; nè più nè meno. Ma nella seconda ipotesi, egli potrà guadagnare dippiù, se arriverà un'altra MOnaco più spettacolosa. Egli gioca con la guerra, si dice: ed è vero; ma la guerra, la vera guerra, la guerra generale non la vogliono nè Hitler nè Mussolini, perchè sanno che non ostante i vantaggi della situazione momentanea, il loro destino sarebbe segnato. (Avant Garde, Bmxeìles, 11 maggio 1939). Arch. 12 A, 13.

GLI OPERAI E LA POLITICA INTERNAZIONALE

Ci fu un tempo, prima della grande guerra, che i partiti operai - allora in gran parte in mano a socialisti - non si preoccupavano della politica internazionale, ritenendola estra-


nea agli interessi economici d i classe. La politica estera sembrava piuttosto combinazione di governi borghesi, influenzata dalle corti, 1.à dove c'erano dei re e degli imperatori. Alla seconda internazionale, che allora rappresentava tutti gli operai organizzati dai socialisti ( i cristiano-sociali allora non avevano un organismo internazionale), bastava l'impegno che in caso di guerra gli operai non avrebbero preso le armi e si sarebbero rifiutati di battersi. Scoppiata la guerra, per primi i socialisti tedeschi dimenticarono l'impegno con la seconda internazionale e marciarono a passo dell'oca - come i loro fratelli austriaci - verso le trincee. I socialisti francesi C belgi potevano forse lasciare invadere i loro paesi dalle armate tedesche? Anch'essi rinunciarono ai pregiudizi antiborghesi e corsero alle armi. I laburisti inglesi fecero della casuistica, ma alla fine l'evidenza degli interessi della Gran Bretagna e della morale internazionale, uniti insieme, furono più forti del loro pacifismo ( l ) . I più coerenti restarono i socialisti italiani, neutralisti anche quando l'Italia entrò in guerra, meno i seguaci di Mussolini che passarono all'interventismo. F u da allora che gli operai europei, per convinzione o per sentimento, cominciarono ad occuparsi di politica internazionale. Creata la Società delle nazioni e l'ufficio internazionale del lavoro, ebbero u n facile punto di orientamento nella politica del dopoguerra, fino a che Ginevra rimase in piedi. Ora che la crisi internazionale h a reso. ineflicienti quelle istituzioni e che i n mezza Europa i partiti operai non hanno più voce nè esistenza, la politica internazionale dei partiti operai socialisti si può qualificare come politica antifascista e filo-russa.

( l ) I socialdemocratici tedeschi, il 4 agosto 1914 votarono la fiducia al governo, aderendo alla cosidetta u unione sacra n nazionale di fronte al paese in guerra. Solo 14 deputati si opposero, tra cui Rosa Luxemburg e Kad Liebknecht. Anche in Francia i socialisti aderirono aila guerra, partecipando allo spinto di solidarietà nazionale, nonostante l'ambiente fosse stato turbato dall'assaasinio di Jean Jaurès, awenuto il 31 luglio 1914. Più debole fu invece l'adesione dei laburisti inglesi.


Questo per i l colore della superficie; in fondo gli operai vogliono una politica di pace, di tranquillità, di lavoro: odiano le guerre, le avventure, le crisi violente. È per questo che gli operai organizzati debbono interessarsi alla politica internazionale, agli orientamenti morali di tale politica, alle ripercussioni che potrà avere nel proprio paese. Essi, come membri di organismi economici o come membri di di dirigere la politica estera; partiti politici, non ma essi concorreranno a formare quella opinione pubblica sana, bene orientata, preparata ai sacrifici necessari e non estranea alla critica prudente, per evitare motivi di guerra e per preparare lo spirito di resistenza. Oggi è attaccata a fondo la libertà e indipendenza dei piccoli paesi. La Svizzera ha una storia di libertà e di indipendenza alla quale essa non può rinunziare e che è un grande esempio per l'Europa e per il mondo. Si sarebbe mai potuta avere una tale storia, senza la cooperazione e il sacrificio delle classi lavoratrici svizzere, agricole e operaie? Senza lo spirito cristiano del quale è plasmata l'anima svizzera? Siano questi i grandi motivi della politica internazionale dei cristiano-sociali svizzeri. Londra, giugno 1939.

( I l Lavoro, Lugano, 10 giugno 1939).

« L'IMPERO

Dunque, un altro impero! Franco, il Caudillo di Spagna, l'ha proclamato dicendo: « Quando noi ci riferiamo al nostro impero noi intendiamo veramente impero. Esso noii è una frase vuota. Noi tendiamo ad avere un impero 1) (Così il Daily Telegraph del 22 maggio). Non contestiamo nè la sua concezione imperiale nè la sua volontà di avere un impero. Vogliamo solo precisare i l senso che ha oggi la parola impero nella mente dei contemporanei.


Lasciamo da parte i ricordi della storia antica e medievale: impero romano ( i l nome nacque l i ) e poi impero d i occidente e impero d'oriente. Nel medio evo impero bizantino, impero carolingio, impero romano-germanico o sacro romano impero fino a Carlo Quinto: sono storia troppo lontana per dare una idea chiara d i quel che fosse un impero oggi. Noi dobbiamo rifarci all'epoca moderna. Austria e Germania : impero degli Asburgo ; Russia, impero dei Romanoff, impéro turco del Califfo maomettano; erano le case regnanti che univano in sè molti popoli diversi ma contigui, in una specie d i unità geografica che costituiva l'impero. Nè la Spagna, nè la Francia, nè l'Inghilterra dal XVI al XVIII secolo, benchè stati egemonici e con possedimenti coloniali, ebbero mai il titolo e la figura di impero. L'impero napoleonico fu una meteora; il secondo impero un'imitazione. L'impero del Brasile e quello del Messico, improvvisazioni di dinastie europee trasportate nell'Ameiica latina. Finalmente un altro impero, il quarto d'Europa, quello germanico, distaccato dall'Austria e posto sotto i re di Prussia della casa Hohenzollern: concezione e realizzazione di Bismarck a spese di Vienna e a danno dei piccoli principati germanici. La grande guerra spazzò via questi quattro imperi: la Russia divenne comunista, la Turchia repubblica dittatoriale, la Germania repubblica democratica e l'Austria-Ungheria ridotta a pezzi. Rimaneva un impero, quello delle Indie, creato da Disraeli (') come titolo della regina Vittoria, per indicare la vecchia idea, mezzo romana e mezzo medievale, di un principeruler superiore a tutti i principi degli stati che formano una riunione geografica, storica e etnografica. Il re inglese è così

(l) Al nome dello statista inglese Benjamin Disraeli (1804-1881) è l e gata la politica di prestigio e di espansione svolta dall'Inghiterra nella s e conda metà del XIX secolo. Disraeli, tra l'altro, acquistò dal Kedivé d'Egitto l e azioni della Compagnia del canale di Suez, assicurando d'Inghilterra quella fondamentale via di comunicazione; ottenne dalla Turchia la cessione di Cipro e si oppose all'espansione rnssa nel Levante.


una specie di imperatore in partibus di un q a n d e continente che deve vivere con i suoi costumi e le sue leggi sotto un'unificazione morale e politica regolatrice. Tutte le altre antiche colonie inglesi intanto vennero a distinguersi in due categorie: quella dei dominions, che acquistando ciascuno una propria personalità politica sono riusciti con la madre patria a formare una comunità (Commonwealth); e le colonie d i popoli indigeni, ciascuna regolata da proprio sistema amministrativo, sotto la corona inglese. La figura modernissima del mandato coloniale sotto l a sorveglianza della Società delle nazioni, e una migliore concezione della funzione coloniale degli stati metropolitani, portavano a concepire le colonie non più come campo di sfruttamento economico e, ancora meno, come mezzo di dominio politico; ma piuttosto come funzione civilizzatrice e come mezzo di attività e scambi di servizi. I n questo ambiente nuovo, l'idea di impero che i fascisti d'Italia proclamarono, poco dopo il loro avvento al potere, sembrò a prima vista un fatto retorico, il ricordo della vecchia Roma, i cui ruderi rendono sempre il cattivo servizio delle sacre memorie, da Cola di Rienzo in poi. Ma no: i fascisti avevano alterato il significato di dittatura preso dai romani antichi e hanno alterato i l significato d'impero di virgiliana memoria. La dittatura per essi non è più un potere discrezionale temporaneo (come era per gli antichi romani) ma iin potere permanente e totale (essi hanno inventato l a parola totalitario perchè fosse più efficace). Così l'impero per essi non è più il dominio regolatore sopra gli altri popoli riuniti attorno la metropoli in un sistema geografico; è invece la raccolta di tre o quattro colonie lontane, d i discutibile utilità, governate direttamente, i n un completo assoggettamento politico ed economico, anzi in una specie di servitù. Accanto a questo impero c'è il sognato impero romano, dominio di popoli e di mari in una convergenza d'interessi, in un moto di espansione, oggi descritto come a spazio vitale ».Ma dal dire al fare c'è di mezzo... la guerra. Perchè in Francia oggi molti han ripreso il nome d'impero? I1 loro non è n& un impero alla Disraeli (quello delle Indie), nè un impero totalitario (quello d'Etiopia e zone annesse). Nè


il presidente della repubblica potrà mai chiamarsi imperatore dell'Indocina o dell'dfrica del nord o dell'ovest, o del Madagascar... La Francia imperatrice? Sarebbe una personificazione retorica che non si gusta. La Francia di oggi è la Francia democratica e umanitaria; meglio la Francia della cultura e delle missioni cattoliche; dovrà tornare ad essere la Francia della libertà, della Società delle nazioni e della fede cristiana. Oggi una Francia imperiale suona falso. Le colonie francesi d'oltre mare fanno, non un impero alla romana, ma un Commonwealth all'inglese, una comunità, « la grande Francia D. Lasciamo che la parola impero, come quella di dittatura, sia monopolio fascista; e che Franco ne faccia un'imitazione spagnola o castigliana, se egli vuole un suo impero per uso dei falangisti. L'impero « spazio vitale » è anche un'altra invenzione, hitleriana questa, che cerca di asservire mezza Europa e mettere le democrazie occidentali nella necessità di affrontare una guerra generale. No: oggi non abbiamo bisogno d'imperi ma di comunità; oggi si deve tornare a rifare la c0munit.à dei popoli liberi, una nuova e migliore società delle nazioni. Londra, 16 giugno 1939.

(Popolo e libertà, Bellinzona, 20 giugno 1939).

UN FATTO STORICO Jacques Boulenger concludeva così una recente cronaca del Temps sulla « Scoperta del continente nero n: Non si possono elencare tutti gli eroici viaggiatori, missionari e soldati la cui emulazione ha valso al mondo la conoscenza del continente nero. Ma è da notare che, se vi è una nazione, fra le grandi potenze europee, che non abbia fatto nulla per la scoperta dell'Africa, almeno in tempi moderni, è 1'Italia. Ecco forse una delle ragioni per le quali essa si ritiene


chiaramente designata a tale conoscenza per il fatto di possederne una parte n. Che fa dunque Boulenger dell'opera del cardinal Massaia ( l ) e del suo contributo alla geografia e all'etnografia dell'Africa orientale? di quella di Giustino De Jacobis (') che è stato da poco beatificato: due italiani del XIXO secolo? L'opera dei missionari non è, nè per l'Italia nè per la Francia, un titolo per avere colonie in Africa o altrove, ma titolo di gloria per la chiesa e la cristianità, e anche per ogni paese. (Avant Garde, Bmxelles, 4 luglio 1939).

UN POINT D'HISTOIRE

M. Jacques Boulenger concluait ainsi une récente chronique du Temps 1,a découverte du continent noir n: « On ne peut dénombrer tous les héroiquea voyageurs, missionaires et soldats dont l'émulation a valu au monde la counaissance du continent noir. Mais il est à remarquer que, a'il est une nation, parmi lea grandes puissances européenues, qui n'ait rien fait pour la découverte de l'Afrique, du moins aux temps modemes, c'eat l'ltalie. Voilà peut-;tre une des raisons pour lesquelles elle se juge nettement désigné a cette connaissance pour en posseder une partie D. Que fait donc M. Bouleuger de l'oeuvre du cardinal Massaja et de sa sur

(l) Guglielmo Massaja (1809-1889). Cardinale, cappuccino, fu vicario apostolico dei Galla (Etiopia meridionale) nel 1846, primo vescovo cattolico dei tempi moderni in quella regione. Riorganizzò la gerarchia cattolica nel paese, consacrandovi tre vescovi. Perseguitato dal vescovo eretico Salama, divenne popolare con il nome di Abuna Messias, proseguendo tra mille difficoltà l'opera missionaria, fondando numerosi centri e svolgendo anche opera sanitaria presso le popolazioni etiopiche. Amico di Menelik fu osteggiato dal Negus Giovanni. Esiliato nel 1879 fn costretto a tornare in Italia, ove nel 1884 Leone XIII lo nominò cardinale. Si vedano le sue memorie: I miei trentacinque anni di missione nell'alta Etiopia, Roma-Milano 1885-95, Vita di Guglielmo Massaja, Firenze 1 9 4 3 4 , 2 voll. 12 voli. e E. COZZANI, (a) Giustino De Jacobis (1800-1860). Vescovo titolare di Nilapoli dal 1847 e primo vicario apostolico dell9Abissinia. Svolse in quel paese azione missionaria per 21 anni. dal 1839 al 1860. Eresse il primo istituto per la formazione del clero indigeno (collegio dell'Immacolata) e fu oggetto di numerose persecuzioni soprattutto ad opera del Salama. Cfr. S. ARATA,Vita del beato Gitutino De 1acobis.-


contribution à la géographie et à l'ethnographie de 1'Afrique Orientale? de celle de Juritin de Jacobis qui vient d'&tre béatifié: deux italiens du XIXème sii.clc? L'oeuvre des missionaires n'est pas plus pour 1'Italie que pour la France, un titre pour avoir des colonies en Afriques ou ailleurs, mais titre de gloire pour l'église et la chrétienté, elle en est un aussi pour chaque pays.

L'AGGRESSIONE DALL'INTERNO Mosca h a sollevato un gravissimo problema nel domandare ai governi di Londra e di Parigi che nel patto di difesa ( l ) venga considerato i l caso dell'aggressione dall'interno, negli stati limitrofi, quando .questa potrà costituire una minaccia alla sicurezza degli stati contraenti. Molotov pensa, s'intende, agli stati baltici. I1 caso intravveduto non è nuovo nella storia; e i l rifiuto d i discutere tale caso (come può sembrare almeno a leggere la stampa conservatrice di Londra) dimostra una vera C mancanza di immaginazione », cosa che spesso accade agli inglesi. (Sono essi che lianno in bocca la frase lack of imaginat'ion proprio per significare che il non comprendere dipende dal non formarsi nella mente immagini atte a concretizzare l'idea). Qual'è stato il caso dell'Austria? Un nazismo trapiantato lì dentro con il consenso o la tolleranza del governo sotto aspetti di « legalità democratica ». Poi, un bel giorno, si sopprimono

( l ) Trattative fra Inghilterra, Francia e Russia si ebbero tra il giugno e l'agosto 1939 per addivenire ad una convenzione militare. Diflicoltà sorsero per la richiesta mirante ad ottenere il formale consenso della Polonia al passaggio di truppe sovietiche sul suo territorio. Nonostante le pressioni esercitate dalla Francia, la Polonia fu intransigente nel respingere la nchiesta russa. Il 21 agosto la Russia interruppe l e trattative. Analoghi negoziati l'unione Sovietica aveva già avviato con la Germania, che porteranno il 23 agosto alla firma del patto nazi-sovietico.


gli altri partiti (con i decreti e la forza); si chiudono i parlamenti e si sospendono le elezioni; invece della « legalità democratica » si ha la vacanza democratica ».Così che vengono meno quelle energie interiori di regime che avrebbero potuto eliminare o attenuare l'infezione nazista (come è avvenuto nel Belgio per il rexismo). È allora che basta un colpo di forza: un primo, e Dollfuss è ucciso; un secondo, e Schuschnigg è in prigione. L'Austria diviene nazi con un bel plebiscito al cento per cento. E il caso della Cecoslovacchia? Fino a due o tre anni fa quasi tutti gli inglesi di media cultura e forse il 90 per cento dei lords e dei membri del parlamento ignoravano che esistesse una questione sudeta, ignoravano perfino il nome di sudeti. Scommetto che anche Chamberlain non ne sapeva nulla e non l'aveva mai sentito dire, nè alla City nè a Birmingham. È bastato un Henlein a creare un focolaio nazista d'accordo con Berlino, non più per l'autonomia dei germani dei sudeti, nel quadro dello stato cecoslovacco, ma per il passaggio al Reich, del quale mai i sudeti avevano fatto parte. Così l'antefatto di Monaco venne creato con l'aiuto del171nghilterra che vi mandò, come paciere ( t r a lo stato e un partito ribelle) quel lord Runciman che finì col costruire a Praga il cavallo di Troia. « L'aggressione dall'interno quale definita da Mosca fu proprio il caso della Cecoslovacchia, dilaniata e fatta a pezzi. Tale aggressione continuò dopo Monaco, facendo cambiare governi, staccando la Slovacchia, facendo occupare altri territori da stati confinanti e infine riducendo la Moravia e Boemia a un protettorato germanico. I « memelisti » vogliono tornare al Reich? non c'è che un bel movimento interno combinato con una pressione esterna. Che poteva fare la Lituania? Non erano mancati appelli di albanesi perchè Mussolini intervenisse a liberarli dall'oppressione di re Zogu. E così potrà accadere per Danzica o per Eupen o Malmedy. E che cosa è stata la guerra civile di Spagna? Oramai nè Hitler nè Mussolini nascondono che il loro aiuto in luglio-agosto 1936 al generale Franco era stato combinato ... prima della rivolta. Del resto, a credere ai difensori di Franco, anche l a Rus-


sia aveva inviato in Spagna armi, tecnici, propagandisti e stampa per fare insorgere il popolo contro... il governo repubblicano. L'aggressione dall'interno è mestiere conosciuto anche in Russia, benchè finora non usato da essa per acquistare nuovi territori come fa la Germania. Sotto nomi diversi la storia si ripete. Che cosa fecero la rivoluzione francese e Napoleone? Proprio lo stesso: trovare un motivo d'intervento nelle agitazioni interne per la libertà e contro le tirannie dei vecchi sovrani. Napoleone non ebbe limiti, finchè trovò di fronte la coalizione di Londra, Vienna, Berlino e Pietroburgo, i grossi che presero la difesa dell'Europa, divenuta campo di « aggressioni interne » e di guerre « civili u. La santa alleanza, in nome del legittimismo, volle difendere il nuovo ordine europeo, ammettendo il principio dell'intervento. E quando il liberalismo poggiò sul principio del nonintervento, Pio IX lo condannò in nome della morale cattolica. Tutto ciò è bene tenere presente, non per difendere le probabili mire messe sugli stati baltici (la cui esistenza non dovrebbe essere messa in discussione e la cui neutralità dovrebbe essere garantita); ma per evitare che si ripeta il gioco dell'aggressione dall'interno, come in Austria o in Cecoslovacchia. Facciamo un'ipotesi, che nel Belgio il movimento rexista (') (con l'aiuto di Berlino e di Roma) guadagnasse il potere, istaurasse una dittatura. La Francia e l'Inghilterra non lo considererebbero come una aggressione dall'interno tale da pregiudicare la loro sicurezza? È qui che il problema si allarga. Fino a che in un paeee confinante e d'interesse strategico, vige una democrazia che può superare per sua virtù le malattie politiche del popolo e quindi neutralizzare i movimenti dittatoriali, le grandi democrazie limitrofe troveranno nel sistema la garanzia e la tranquillità per la loro stessa esistenza. Ma quando non funziona più la valvola di sicurezza che è la libertà politica, allora subentra il gioco delle forze contrastanti. I piccoli paesi saranno asser-

(l) Movimento politico belga ad ispirazione fascista, fo~idato da L. Degrelle nel 1935.


forte, e formeranno non più centri neutrali, ma stati viti al subordinati e sottoprotettorato, com'erano un tempo i Balcani sotto la triplice influenza di Vienna, Costantinopoli e Pietroburgo. I1 non Intervento è una finzione o una chimera; la garanzia della neutralità è intervento ; l'appoggio finanziario è intervent o ; l'intesa politica è intervento; il trattato di difesa è intervento. Quel che costituisce la vera base di indipendenza, in tutti i casi di intervento, è solo la libertà politica. È perciò che bisogna uscire dalle idee fatte, e trovare le linee sicure di una politica internazionale, nella libertà politica. La sicurezza collettiva, la riduzione degli armamenti, la collaborazione ecoiiomica, gli scambi culturali, la società delle nazioni, non possono avere per presupposto che l'indipendenza e la libertà. Oggi sorge altra società tra gli stati, purtroppo, la società della difesa armata. E allora, come garantire i paesi neutri senza l'intervento? Ma come garantirsi dai paesi falsi-neutri senza l'intervento? Londra, 8 luglio 1939. .

(Popolo e libertà, Bellineona, 13 luglio 1939).

GUERRA BIANCA AD ARMI DISEGUALI Bisogna convincersi una buona volta che l'attuale periodo è un periodo di « guerra bianca »; cioè « guerra in tempo di pace », come era il titolo di una vecchia commedia. Alcuni po-

trebbero pensare che era lo stesso prima del fatale giugno-luglio 1914 come preludio di una guerra generale. Ma oggi c'è di più; al gioco delle diplomazie e dei gabinetti si è sostituito quello delle folle e degli eserciti; alle parole minacciose, i fatti folgoranti; alle pretese di lunga data sullo scacchiere diplomatico, l'occupazione manu militari di regioni e di stati; e infine, allora le cc armi » o « mezzi » in uso fra gli stati erano uguali, oggi sono diseguali.


Clii non ricorda il famoso colloquio di Cliamberlain con IIitler a Berchtesgaden nel settembre del 1938, quando questi gli domandò le zone dei germani sudeti a nome dell'auto-decisione dei popoli? Ne avevano tante volte parlato i giornali inglesi dei sudeti tedeschi e del loro diritto a disporre di sè e di riunirsi al Reich, che Chamberlain non potè negare il valore dell'argomento. Accettò il plebiscito ... Ma che plebiscito! neppure per le zone inferiori del 50 per cento di tedeschi tutte al Reich, compresi quasi un milione di cechi! Così la tesi dell'autodecisione divenne un'arma nelle mani di Hitler prima per prendere la zona sudeta, poi per disintegrare lo stato cecoslovacco e infine per farne una provincia soggetta, sotto il titolo di protettorato. E chi seppe mai resistere alla tesi dell'Anschluss per l'Austria? Non ci furono proteste per l'atto di violenza di Hitler. I1 Times si lagnò solo della maniera, cioè della calata a Vienna con le armi; ma era già scontato che l'Austria dovesse riunirsi alla Germania. Oggi è il turno di Danzica (l); quante volte non sentiamo dire o non leggiamo sui giornali che la maggioranza della popolazione di Danzica è tedesca? Ma sì che lo sappiamo, e che perciò? Forse erano italiani gli abitanti del sud-Tirolo (oggi Alto Adige)? e la conferenza della pace lo assegnò all'Italia senza nè plebisciti nè altra forma di autodecisione. Forse erano italiani gli abitanti dell'Istria (quasi 500.000 slavi)? Anch'essi senza plebiscito furono passati allYItalia. Così Danzica fu lasciata città libera con uno statuto proprio. Ma il giorno che fu tollerato l'oltraggio pubblico all'aseem-

...

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( l ) Tra la fine di luglio e i primi di agosto 1939 la controversia per Danzica tra la Germania e la Polonia raggiunse la fase acuta. Un prinio scontro si ebbe tra il 4 e il 9 agosto per l'invito rivolto dal governo polacco a quello della città libera di Danzica di non violare gli accordi esistenti, estromettendo dagli u8ici doganali gli agenti di nazionalità polacca. I1 10 agosto Varsavia riaflermava la sua decisione di opporsi ad ogni tentativo tedesco contro i diritti e gli interessi della Polonia a Danzica e avrebbe considerato questi interventi come u azione aggressiva n. In questa atmosfera. eccitata da continui incidenti, gli sforzi francesi e inglesi per salvare la pace attraverao un negoziato tedesco-polacco diventavano sempre più difficili.


blea della Società delle nazioni, fatto dal rappresentante nazi di Danzica (quando questi fece i l gesto di distendere le dita delle mani poggiate sulla punta del naso), allora fu ferito a morte lo statuto internazionale. L'accordo germano-polacco non poteva resistere a lungo ed è caduto prima della scadenza. Danzica è oggi un pericolo europeo. Quale differenza fra la questione di Tangeri di prima della guerra e quella di Danzica oggi? Allora gli stati europei seppero tener testa a Guglielmo, mentre la Società delle nazioni non ha saputo tener testa a Hitler. È là il punto serio dell'attuale guerra bianca: la Società delle nazioni era, bene o male, un ordine internazionale da difendere. Oggi, mancata la Società, caduto l'ordine intemazionale, si è inabili a ricostruirne un altro senza una guerra. Se il pericolo di guerra si evita, rinasce domani. Quando Chamberlain.torn0 da Monaco col pezzo di carta firmato da Hitler di amicizia e pace tra Germania e Gran Bretagna, nessuno si sentì tranquillo che la pace era assicurata per l'avvenire; nemmeno lo stesso Chamberlain, che appena ebarcato dall'areoplano reclamò la necessità di intensificare il riarmo. Non era quella di Chamberlain la pace armata di trent'anni f a ; era il senso del pericolo che la guerra arrivasse prima che l'Inghilterra fosse pronta. Giorni fa tanto Hitler che Mussolini hanno esaltato l'intervento della Germania e dell'Italia in Spagna fin dai primi momenti della rivolta, hanno esaltato non solo i gloriosi areoplani da bombardamento ma anche le marine che han preso parte alla guerra civile. Chi si ricorda dei sottomarini « sconosciuti D ? guai allora a insinuare che potevano essere italiani o tedeschi ... Oggi è proclamato alla luce del sole, come alla luce del sole erano gli areoplani tedeschi che distrussero Guernica. Furono quelle fasi di « guerra bianca D nei riguardi della Francia e dell'Inghilterra, e ad armi diseguali. Perchè nè l'Inghilterra nè la Francia, anche quando presero l'iniziativa della conferenza di Nyon contro la pirateria nel Mediterraneo, non ebbero mai il coraggio di denunciare i pirati; anzi accolsero lietissime la firma dell'Italia al protocollo di Parigi per la collaborazione nel Mediterraneo contro... i pirati!


Fu allora che Eden credette poter mettere con le spalle al muro Mussolini, e far ritirare i u volontari D italiani dalla Spagna in quindici giorni. Ma Eden doveva essere sbalzato di sella proprio da una di quelle armi di u guerra bianca » che fece di Chamberlain l'avvocato del governo fascista alla camera dei comuni. Quanti patti, trattati, dichiarazioni reciproche in questo periodo di guerra bianca. L'Inghilterra mette fra le sue collezioni il Gentlemen agreement del gennaio 1937 e l'accordo dell'aprile 1938 con l'Italia; l'accordo navale del 1936 e la dichiaraz'ione di Monaco del 1938 con Hitler. La Francia non ha forse il patto firmato da Ribbentrop e Bonnet nel novembre scorso? ( l ) Non ebbe anche il patto Mussolini-Lava1 del gennaio 1935? Oggi non solo non esiste più perchè denunziato unilateralmente, ma si petendono per giunta concessioni e cessioni definiti come spazio vitale. Così non reggono più nè i patti, nè le dichiarazioni, nè gli accordi. Francia' e Inghilterra non possono gareggiare in « mala fede n nè rispondere (C a galeotto galeotto e mezzo », senza liquidare il patrimonio morale della civiltà che pretendono di difendere. Quindi le armi sono e restano disuguali. Quel che interessa notare è che si prenda coscienza: a) che si tratta di una guerra bianca; e, b) che le armi sono disuguali. Ecco tutto. Così non si cadrà più nelle imboscate. Niente accordi di non-intervento per poi essere obbligati a tollerare l'intervento; niente discussione sul diritto di autodecisione per poi tollerare l'oppressione di popoli liberi; niente discussione su Danzica per poi tollerare che Danzica passi a Hitler; niente accordi bancari, per poi tollerare che l'oro della Cecoslovacchia passi alla Germania. Ma, si dirà: allora è la guerra, la vera guerra? Non ancora.

( l ) I1 6 dicembre 1938 era stato firmato dal ministro degli esteri tedesco. von Ribhentrop, e francese, Bonnet, una dichiarazione franco-tedesca, nella quale si affermava come definitiva e indiscutibile la frontiera fra i due paesi.


Oggi siamo nel sistema della « balance of power D, dell'equilibrio di forze. Questo equilibrio è quadruplice: economico, militare, politico e psicologico. Mentre le democrazie di Londra e Parigi hanno oggi, sulle dittature totalitarie di Berlino a Roma, superiorità economica e quasi parità militare, hanno perduto l'iniziativa politica e non hanno parità psicologica. Quest'ultima, la psicologia, è la più delicata e può essere decisiva. I paesi totalitari hanno a loro favore la mistica del potere e la costrizione per la forza. I paesi democratici hanno per sé l'autodisciplina e il senso del diritto e della gizcstizia. Ma che l'autodisciplina sia vera disciplina, e che il senso del diritto e della giustizia sia vero diritto ( e non falso ed equivoco) e la giustizia sia giustizia per sè e per gli avversari. Solo allora si potrà arrivare all'acme, cioè alla preponderanza totale: economica, militare, politica e psicologica; allora la guerra non verrà, perchè i dittatori non amano suicidarsi. Ma è proprio allora che, voltando la ruota, potrà finire la guerra bianca, p0tr.à cessare l'uso delle armi sleali, e potrà cominciare a discutersi un nuovo ordine internazionale. Prima, sarà tentativo destinato al fallimento; anzi sarà peggio: cambiare la guerra bianca in guerra rossa e catastrofica. Londra, 20 luglio 1939. (Popolo e libertà, Bellinzona, 22 luglio 1939).

87. IL LATIFONDO SICILIANO E IL PARTITO POPOLARE Vale la pena di raccontare un episodio che oggi più neesuno ricorda. Siamo nel luglio 1922, proprio diciassette anni fa. I1 caldo a Roma era enorme e la camera dei deputati procedeva lentamente e di malavoglia nella discussione della legge agraria presentata dal ministro popolare on. Micheli, e poscia sostenuta


dal suo successore on. Bertini (l). I popolari quella volta erano appoggiati dai socialisti, benchè con certe riserve e critiche che, anche quelle, facevano prolungare la discussione. Finalmente la legge va in porto: la camera l'approva. Essa conteneva provvedimenti radicali per la bonifica del latifondo, i l suo spezzettamento dove possibile, l'esproprio legale con eque indennità ai proprietari, disposizioni circa i patti agrari e circa l a formazione della piccola proprietà, e così via: u n vero piano di riforme agrarie che d a due anni si agitavano i n tutta l'Italia, e sulle quali il ceto contadino del nord e del sud aveva messo l e sue speranze. I1 testo così approvato fu inviato al senato per ottenere il consenso e divenire legge dello stato. Sopravvengono l e vacanze e i l senato rimette l'affare a novembre. Quando Mussolini, dopo la fortunata marcia su Roma, prende il potere, uno dei suoi primi gesti fu quello di ritirare il progetto agrario, in odium auctoris. L'autore era l'odiato partito popolare e personalmente il suo capo, che ne era stato l'ispiratore e il sostenitore infaticabile. Così tutti i provvedimenti preparati per i l latifondo siciliano meridionale e per la piccola proprietà e i patti agrari caddero nel vuoto. Gli agrari e i latifondisti, che avevano sostenuto il fascismo al suo nascere e lo avevano finanziato, trionfavano sul partito popolare. Se Mussolini, dopo diciassette anni, ritorna sui provvedimenti proposti allora e cerca di attuarli con gli stessi criteri economici, tecnici e sociali, nessuno potrà gioirne più di me, che per più di quarant'anni mi sono interessato a tali problemi, specialmente nella mia Sicilia. Non posso, dai semplici accenni giornalistici, rendermi conto della portata pratica delle proposte mussoliniane. Naturalmente viene da ridere quando i giornali scrivono a abolizione del laiifondo » come se quello fosse un fenomeno così superficiale che

(l)

Cfr. E. PBAITHOWARD, Il partito popoiare italiano, Firenze, 1957,

pp. 354 e ss.

Cfr. anche l'articolo

sepente.


bastino ventimila case (che non s'improvvisano) per arrivare a così felice risultato. I1 problema è complesso, di difficile soluzione e di lunga portata. Occorrono strade, corsi d'acqua, abitazioni, risanamento malarico, rimboschimento delle zone montagnose, per ottenere una bonifica integrale ed elevare il reddito agrario del latifondo. Diciassette anni perduti non si guadagnano con u n decreto. E ci vogliono i capitali. Nel 1922 l'Italia non aveva sperperato i miliardi in Abissinia e in Spagna, poteva affrontare il problema del risanamento agrario del Lazio, del Mezzogiorno, Sicilia e Sardegna, con sicurezza di riuscire, in un ventennio, a rifare le condizioni necessarie per una rinascita agraria di lunga portata. Perchè il progetto di legge dei popolari era solo un primo inizio sperimentale e solo una base per ulteriori riforme. La questione sociale dei contadini coltivatori diretti era guardata con cura e senza demagogia. Si voleva arrivare gradatamente a fare dei contadini e coltivatori, piccoli proprietari, non buttarli allo sbaraglio sopra una terra in condizioni difficili di produzione e messi là senza capitali sufficienti, ma bene attrezzati per una battaglia da vincere. Ecco il piano del 1922. I1 partito popolare ne ebbe l'iniziativa e il merito: era doveroso ricordarlo oggi (*). Londra, 10 agosto 1939. (Popolo e libertà, Bellinzona, 12 agosto 1939)

I CATTOLICI ITALIANI E I L LATIFONDO Penso che i cristiano-sociali del Ticino ameranno sapere che cosa avevano fatto i cattolici italiani per risolvere i l problema del latifondo, dato che oggi i giornali ne parlano quasi come di una novità, esaltando i provvedimenti del governo fascista. (*) I1 testo, in forma d'intervista, era stato pubblicato anche su Avmt Garde del 4 agosto.


Veramente, non c'è un problema del latifondo, ma ci sono i problemi del latifondo, e questo non è solo siciliano, ma meridionale e laziale. Si tratta di enormi distese di terreno per lo più a cultura di frumento e a pascoli, con poche strade e pochi corsi d'acqua, senza case di abitazione, dove i contadini vanno a lavorare come giornalieri salariati, o come subaffittuari di parcelle di terreno date a sfruttamento. Fin dal movimento democratico cristiano o cristiano-sociale dei tempi della Rerum Novarum, i cattolici iniziarono la campagna contro l'usura agricola fondando casse rurali, e per le affittanze collettive fondando cooperative agricole. Le casse e l e cooperative si appoggiavano a vicenda. Le prime arrivarono a quasi tremila, e le altre a circa quattrocento. I n certi posti era la cassa stessa che prendeva in affitto uno o più latifondi. La coltivazione di questi si faceva o per parcella a ciascun capofamiglia o collettivamente o in forma mista, secondo le condizioni dell'impresa agricola. Venuta la guerra, prese sviluppo la campagna della terra ai contadini, promessa dal governo Salandra. Primo provvedimento fu la concessione di terre pubbliche all'opera dei combattenti, dove entrarono un certo numero di cattolici. Ma tardando la legge promessa, cominciò l'agitazione deil'occupazione delle terre. Cooperative combattenti, cooperative cattoliche e leghe socialiste, usarono di questo mezzo illegale per forzare le concessioni, che si facevano sotto le norme del decreto Visocchi del 1919. Finalmente il popolare ministro Micheli, succeduto al Visocchi, presentò alla camera un disegno d i legge per la riforma agraria, la bonifica del latifondo e le norme dei patti agrari, riunendo insieme provvedimenti tecnici, economici e sociali. I1 progetto Micheli fu ripreso dal suo successore, il popolare on. Bertini e fu fatto approvare nel luglio 1922 dalla camera dei deputati. Doveva essere approvato dal senato quando, avvenuta la marcia su Roma il 22 ottobre 1922, il nuovo governo d i Mussolini ritirò la legge Micheli dal senato, abolì il decreto Visocchi e sospese ogni provvedimento agrario. Sotto la pressione fascista le cooperative cattoliche furono liquidate o passarono i n altre mani. Il nuovo movimento sociale cattolico fu fermato, la


federazione nazionale di casse e cooperative cattoliche cessò di esistere. Così circa trenta anni di lavoro e di sacrifici poterono dirsi perduti. Sarà ripreso adesso, sotto l'iniziativa del governo fascista? Non credo che l'azione cattolica di oggi possa avere i mezzi e l'attività di un tempo e affrontare problemi economici, sociali e politici come quello del latifondo e dei patti agrari, senza trovare l'opposizione decisa del fascismo dominante. (Il Lavoro, Lugano, 12 agosto 1939).

GUERRA DI IDEOLOGIE Quando si è in pace, nessun uomo sensato pensa che i popoli si debbano fare la guerra a causa delle loro idee direttive, dei loro principi e sistemi politici e delle varie fedi religiose. Quante volte non abbiamo sentito deplorare le guerre di religione ? Ma quando la guerra è scoppiata ( l ) ci accorgiamo che spesso essa è il terribile segno di un contrasto ideale, irriducibile, superiore agli interessi particolari di un popolo contro l'altro. È ciò tanto più evidente quanto più le civiltà sono antiche e basate su concezioni morali e sui principi di diritto. Le guerre fra cristianit.à e islamismo, i conflitti e le guerre tra il papato e l'impero e le guerre di religione per la riforma, coprono quasi un millennio: dall'invasione araba in Spagna nel 712 alla pace di Westfalia nel 1628. (l) 11 1 settembre 1939 forze armate tedesche attraversarono la frontiera polacca, mentre Danzica veniva annessa alla Germania. I1 3 settembre la Gran Bretagna e la Francia inviarono un ultimatum con il quale si invitavano i tedesehi a ritirarsi dai confini polacchi entro l e ore 11 del 4 settembre. Il rifiuto tedesco determinò automaticamente la dichiarazione di guerra. L'8 settembre i tedeschi erano a Varsavia, mcntre la Russia rifiutava aiuti alla Polonia.


Le guerre che seguirono in Europa per quasì un secolo furono guerre d i successioni e di egemonia, e guerre col turco di già al declino; si sperava di eliminarlo con l'intervento della u nazione n negli affari dinastici, ma le ideologie dominavano; le battaglie del secolo XVIII furono con la penna ( e furono di idee) finchè fomentarono le rivoluzioni francese e americana; tutto il mondo si armò in guerre di ideologia: libertà, indipendenza, democrazia. La rivoluzione e Napoleone dimostrarono che si può muovere il mondo con le ideologie, ma una volta le armi in mano, anche il genio diviene tiranno. E le guerre del secolo XIX? quasi tutte guerre di nazionalità e di libertà: Grecia la prima, poi Italia ; rivolte polacche e irlandesi; guerre navali di Spagna; guerra contro la schiavitù negli Stati Uniti, guerre nei paesi balcani. La Germania riunita in impero, ultimo passo dell'ideale di nazione sotto unico regime. Nel 1914 mancò ogni sano ideale nei promotori della guerra, ma ci fu presso gli aggrediti: il diritto internazionale offeso con l'invasione del Belgio e con l'offensiva alla Francia. Di fronte alla mostruosa ideologia della forza prevalente sul diritto, si levò quella del diritto contro la forza. E il diritto vinse dopo quattro anni e mezzo di guerra, con I'olocausto di dieci milioni di morti. Venuta la pace, le ideologie furono lasciate patrimonio del popolo, che credette all'ultima guerra, alla Società delle nazioni, alla sicurezza collettiva, al principio democratico, al progresso civile e morale. Oggi tutto questo ritorna avanti agli occhi e domanda una difesa coraggiosa e a fondo, una difesa con le armi alla mano, perchè patrimonio di civiltà, vita di popoli liberi, meriti di virtii cristiane, retaggio dell'umanità. Durante le paci non si deve mai riporre la fiaccola degli ideali per i quali si è combattuto. Durante le guerre, quella fiaccola deve splendere luminosa sul nostro capo. (Popolo e libertà, Beìlinzona, 21 settembre 1939).


I CATTOLICI INGLESI E LA GUERRA Una dichiarazione fatta da lord Fitz Alan of Derwent, come presidente;e da lord Denbigh, come tesoriere del consiglio dell'unione cattolica della Gran Bretagna, ribadendo la piena lealtà dei cattolici, è stata sottolineata favorevolmente nel campo politico. Nessuno aveva messo in dubbio la lealtà dei cattolici nè il loro .attaccamento alle grandi tradizioni inglesi. La fronda filo-tedesca, e se si vuole anche filo-hitleriana, di certi giornalisti superficiali e di certi cattolici filofascisti (del fascismo di un Mosley e di un Mussolini), e infine il colore antisemita di taluni periodici, erano superficiali e non andavano in profondo. La dichiarazione del consiglio dell'unione cattolica è per lo appoggio senza riserve al governo, per una guerra intrapresa « in difesa dei priacipi di giustizia naturale e di morale cristiana ».E continua: <r In questa lotta, siamo certi che i cattolici sudditi del re (qui si dice sudditi piuttosto che cittadini, ma il termine non ha lo stesso significato che sul continente) faranno tutto il loro dovere. Noi non abbiamo alcun odio contro il popolo tedesco così a lungo e così deliberatamente tenuto nella ignoranza; ma comprendiamo che alla politica dei suoi capi, politica di rapacità, di violenza e di menzogna, tutti coloro che credono nell'immortale legge di Dio, devono opporre la resistenza per farla finita ». La dichiarazione si chiude con parole di simpatia e di ammirazione per il popolo della Polonia cristiana )I. L'appello collettivo dei vescovi d'Inghilterra e del Galles è ancor più autorevole e interessante. Essi dicono: N Abbiamo una profonda convinzione nella giustizia della nostra causa ».E aggiungono una frase che ci è cara, a noi democratici-cristiani: « La nostra nazione, in questo conflitto, è per l'indipendenza e la libertà dello individuo e dello stato D. È bene sottolineare questa frase per .coloro che in questa guerra non vedono altro che lo scontro di due forze materiali, e per coloro che non tengono conto della libertà individuale e nazionale nella loro ammirazione dei fascismi e falangismi autoritari e totalitari.


I vescovi invitano infine i cattolici a pregare u per i l successo della nostra causa e di quella degli alleati, Francia e Polonia D.

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L'evacuazione dei bambini dei due sessi dalle grandi città ha creato per i cattolici un problema di grande interesse: l'organizzazione del culto e dell'educazione. Attualmente, si celebra la messa in taluni centri e villaggi dove, dopo l a riforma, non si era più avuto culto cattolico. Tuttavia le difficoltà per creare un ambiente adatto ai bambini cattolici isolati sono veramente enormi. Per fortuna, nei protestanti vi è un senso di tolleranza e di rispetto per la fede individuale (dei cattolici in particolare) che rende la situazione meno preoccupante, ma vi è lo stesso molto da fare. Col tempo alcuni di questi ostacoli saranno superati. Lo zelo del clero e dei laici, uomini e donne, è veramente degno di ammirazione. I1 clero, gli ordini religiosi hanno un grande dovere da compiere durante la guerra. Essi vi sono preparati da una lunga tradizione di apostolato (*). (La Cité Noucelle, Bruxelles, 23 settembre 1939). LES CATHOLIQUES ANGLAIS ET LA GUERRE Une déclaration faite par lord Fitz Alan of Derwent, comme président, et par lord Denbigh, comme trésorier du conseil de l'union catholique de la Grande Brétagne, soulignant la pleine loyauté des catholiques, a été soulignée favorablement dans le domaine politique. Personne n'avait mis en doute la loyauté des catholiques ni leur attachement aux grandes traditions anglaises. La fronde pro-allémande, meme si l'on veut pro-hitlérienne, de certains journalistes superficiels et de certains catholiquea philofascistes (du fascisme d'un Mosley ou d'un Mussolini) et enfin la teinte antisémite de certains hebdomadaires, étaient en surface et non en profondeur. La déclaration du comeil de l'union catholique est pour l'appui sans réserve au gouvemement, pour la guerre entreprise u pour la défeme des principea de justice naturelle et de morale chrétienne D. Et elle continue: C< Dans cene lutte, nous somme certains que l a catholiques sujets du roi (ici on dit sujets plutot que citoyens, mais ce mot n'a pas le meme seno

(*) L'articolo era firinato Chr. Spring.

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s w l e continent) feront tout leur devoir (a will war &ily play their part n). Nous n'avons aucune haine contre le peuple allemand si longtemps et si délibérément tenu dans l'ignorante; mais nous comprenons qu'à la politique de s a chefs, politique de rapacité, de violence et de mensonge, tous ceux qui croieut dans l'immortelle loi de Dieu. doivent opposer la résistance pour en finir n. La déclaration se termine par des paroles de s ~ m p a t h i eet d'admiration pour le peuple « de la chrétienne Pologne 1). L'appel collectif des éveques d'Angleterre et du Pays de Galles est plus autorisé et plus intéressant encore. 11s disent: a Nous avons une profonde conviction de la justice de notre cause n. Et ils ajoutent une phrase qui nous est chère, à nous démocrates-chrétiens: a Notre nation, dans ce conflit, est pour l'indépendance et la liberté de l'individu et de l'état n. I1 est bon de souligner cette phrase devant ceux qui ne voient dans cette guerre que le choc de deux forces matérielles, et devant ceux qui ne tiennent pas compte de la liberté individuelle et nationale dans leur admiration des fascismes et phalangismes autoritaires et totalitaires. Lea éveques invitent enfin les catholiques à prier « pour l e succès de notre cause et de celle des alliés, la France et la Pologne D.

L'évacuation des enfants des deux sexes des grandes villes a crée pour la catholiquea un problème de grand intéret: l'organisation du culte et de l'éducation. Actuellement, on célèbre la messe dans certains centres et villagea oh, depuis la réforme, il n'y avait plus eu de culte catholique. Néanmoins, les difficultéa pour créer un milieu adnpté aux enfants catholiques isolés sont vraiment énormes. Heureusement, il y a chez les protestante un sens de tolérance et de respect pour la foi individaelle (des catholiquea en particulier) qui rend la situation moins préoccupante, mais il y a tout de meme beaucoup à faire. Avec le temps, on surmontera certains de ces obstacles. Le zèle du clergé et des laics, hommes ou femmes, est vraiment digne d'admiration. Le clergé, les ordres religieux ont un gran devoir à remplir pendant la guerre. 11s y snnt pkparés par une longue tradition d'apostolat.

LA NUOVA GUERRA (1939 ...) QUANTO DURERA'? Quella del 1914 fu chiamata l a grande guerra: impegnò quasi tutto il mondo organizzato e durò quattro anni e tre mesi. I1 Kaiser aveva creduto di potere arrivare in quindici giorni a Parigi: il Belgio fu il primo ostacolo, e la battaglia della Mama


cambiò le sorti della guerra. All'entrata dell'Italia a fianco dell'intesa nel maggio del 1915, si pensava a tre mesi ancora d i guerra, ma questa durò più d i altri tre anni. Le previsioni umane non hanno alcuna sicurezza. I1 gabinetto inglese, col suo comunicato del 9 settembre, ci fa sapere che ha previsto un piano di guerra per tre anni e più; mentre si sa che la Germania conta, o contava, sopra una guerra rapida e decisiva. Molto è affidato alle iniziative militari e politiche dei due campi in lotta, molto agli avvenimenti inattesi e all'imprevisto e imprevedibile. Nessuno oggi può dire quanto durerà la guerra iniziata dalla Germania il 1" settembre. Per orientarci un poco, bisogna esaminare anzitutto la psicologia dei belligeranti. Dal lato della Germania non c'era affatto la volontà di affrontare militarmente l'Inghilterra e. la Francia, ma quello di ottenere un immediato vantaggio: la presa di Danzica e se vuolsi del corridoio, o anche dell'Alta Slesia, per affermare ancora di più la reintegrazione dell'antico Reich e la dominazione sull'est. Come primo effetto si sarebbe avuto il vassallaggio della Polonia e per contraccolpo quello dell'Ungheria e della Romania. Il duello con l'Inghilterra e la Francia, se inevitabile, sarebbe tardato fino al consolidamento delle nuove posizioci con l'aumento del prestigio che Hitler avrebbe indubbiamente acquistato. Allora anche l'Italia sarebbe stata con Hitler. L'entrata in guerra, il 3 settembre, della Gran Bretagna e della Francia ha alterato questo piano ed ha reso fatale la lotta. È per questo che il gabinetto inglese si prepara ad una guerra lunga di tre anni e più. Ma perchè un duello a morte fra la Germania da un lato e Francia e Gran Bretagna dall'altro? Le democrazie han detto ch'esse n d l a avevano contro il popolo germanico e che avrebbero amato vivere in pace con esso; che non pensavano ad interferire sul SUO regime (il nazismo totalitario), come sugli altri regimi esistenti o futuri; che le questioni economiche e anche le politiche potevano risolversi senza armi, discutendo attorno a d un tavolo verde; e che infine la guerra, qualsiasi guerra, non avrebbe risolto alcun -problema reale, ne avrebbe creato dei nuovi pressochè insolubili e lasciato una serie di mali, miserie e danni incalcolabili.


Tutto ciò è la verità, è quella che Hitler ha misconosciuto e disprezzato il lo settembre, quando ha iniziato le ostilità. È l'irreparabile che si è fatto: un fossato aperto che è un abisso. Si parla di nuovo di mediazioni e di appelli alla pace. Sarà Hitler disposto a lasciare 'il suolo polacco, liberandolo dalle sue truppe? Come sarà possibile discutere quando la vittima è stata strangolata dall'aggressore? Ecco perchè dicevamo che l'irreparabile è fatto, non perchè non sia umanamente riparabile, ma perchè c'è una volontà, quella sola volontà che ha scatenato la guerra, che si negherebbe alla riparazione. Gli areoplani inglesi hanno sparso dal cielo tedesco a milioni e milioni fogli e appelli spiegando i motivi della guerra e designandone i l responsabile. Potrà il popolo tedesco rinnegare il suo capo, darsi un altro capo e provvedere alla salvezza di sè e dell'Europa? Goering ha mostrato di ridere dei fogli inglesi, che secondo lui non cambieranno di una linea la decisione tedesca. Essa è ora fissa per la guerra. La pace che vorrebbe Berlino dopo poche settimane di guerra, non sarebbe che il trionfo del suo crimine, nell'avere invasa la Polonia. Così, purtroppo, siamo portati alla posizione di un duello. L'Inghilterra e la Francia si sono legate alla Polonia per aiutarla e difenderla, esse si sono obbligate a non fare pace separata, esse intendono difendere la loro libertà, le loro istituzioni, il loro avvenire. Una vittoria della Germania nazista comprometterebbe tutto il sistema internazionale, inaugurerebbe un'era di tirannia mondiale. Il crollo della Francia e della Gran Bretagna porterebbe il crollo dei loro imperi e il cambiamento dell'influsso europeo in Asia e in America. Si è stati lenti a vedere tutto quello che si vede oggi; il primo colpo di cannone ha svegliato il mondo; non vi è dubbio che la nuova guerra può aprire una nuova era, in Europa e nel mondo, di una incalcolabile portata. Così, oggi siamo ai primi passi di un orientamento politico di tutti i paesi non belligeranti. Le iniziali fasi di guerra diplomatica e militare ci diranno quel che potrà avvenire in un prossimo futuro. Le grandi incognite sono gli Stati Uniti e la Russia. È stato il loro atteggiamento che ha influito sulle decisioni


di Hitler. Da un lato, il rifiuto di rivedere il Neutrality Act da parte del congresso degli Stati Uniti, dall'altro lato il patto di neutralità tra Berlino e Mosca han fatto credere ad Hitler che era questo il momento buono per sconcertare l'Inghilterra e distaccarla dalla Francia ( o forse tutte due dalla Polonia), sì da potere impunemente ripetere il colpo dell'anno scorso su Praga, questa volta su Danzica e il corridoio. . L'orientamento di Washington e di Mosca avrà effetti notevoli sul prolungamento e sulle sorti della guerra. Mettiamo come presupposto che nè gli Stati Uniti nè la Russia parteciperanno alla guerra con i loro eserciti e le loro armate. Però è chiaro che nè gli uni nè l'altra potranno restare indifferenti alle fasi e all'esito della nuova guerra. Gli Stati Uniti hanno problemi di un'evidenza palmare per non desiderare lo schiacciamento dell'hghilterra e della Francia. Essi sono confinanti col Canada; in nessuna maniera permetterebbero che questo divenga dominio tedesco : una specie di protettorato boemo-moravo come è oggi quello di Praga. Dippiù, l'influsso tedesco nell'America latina diverrebbe insopportabile agli americani del nord. Dal suo lato, la Russia non avrebbe gran desiderio di vedere una Germania su! Mar Nero, dominatrice nei Balcani e nell'India. La Germania potrii darle quella molestia che mai l'Inghilterra le ha dato. A parte una visione così catastrofica, che è comandata dalla concezione che la nuova guerra è un duello a morte, certo è che gli spostamenti di interessi e di influssi dall'occidente al centro Europa sarebbero tali che equivarrebbero ad una rivoluzione mondiale; mentre l'esito della guerra del '14 non spostò che pochi interessi, lasciando la struttura politica ed economica del mondo nel suo complesso quasi identica. Gli altri paesi, piccoli e medi, si vanno già classificando fra neutrali ad ogni costo, benevoli di qua e d i là, incerti, o favorevoli alle democrazie. Questo primo schieramento non è che provvisorio; ne avremo dei successivi durante l e fasi della guerra, sia per influsso politico dei belligeranti, sia per interessi immediati degli stessi paesi, sia infine per utilità futura, contando sui vantaggi di un'eventuale vittoria. P e r valutare quanto potranno influenzare sulla guerra i paesi


oggi neutrali, bisogna vedere quali sono le attuali condizioni dei belligeranti e le esigenze di un lungo duello. Gli uni e gli altri hanno bisogno di armi e munizioni: le attuali forniture non saranno sufficienti. Se si calcola che per ogni uomo al fronte c'è bisogno di almeno sei o sette uomini nelle officine, si vedrà facilmente che tutti i belligeranti dovranno ricorrere all'estero per manufatti di guerra, oltre che per materie prime. Francia e Inghilterra hanno denaro per gli acquisti; la Germania non ha denaro. Allora la Germania dovrà ricorrere a scambiare manufatti per avere armi e materie prime; il che distrarrebbe lavoratori e materiali dai bisogni di guerra e impoverirebbe a lungo andare le provvigioni necessarie. Dippiù, coloro che vendono dovrebbero accontentarsi non di moneta-oro, ma di macchine agricole o di prodotti farmaceutici e simili, il che potrà essere in misura assai limitata, a meno che i paesi venditori (che per la Germania sarebbero principalmente la Svezia, l'Ungheria e la Romania) noli vi fossero costretti dalle minacce di violare la loro neutralità. Questo problema diverrà per la Germania ancora più grave per l'alimentazione delle truppe e del paese. I n un primo tempo essa sfrutterà le zone occupate della Polonia, come ha sfruttato la Cecoslovacchia; ma le esigenze aumenteranno, e così aumenterà la pressione sui paesi limitrofi, fino a portare loro la guerra o ad obbligarli a cedere. Quale potrà essere l'aiuto che darà la Russia alla Germania, per materiale bellico e per alimenti, non è possibile dire. Non ci sono tali comunicazioni fra di esse per sviluppare un grande traffico, e ci vorranno dei mesi e degli anni, forse, a organizzarlo. Dipenderà dalle flotte francesi e inglesi se vi sarà possibilità di commercio per via di mare, sia diretto che indiretto. Su questo punto è bene credere che il filtraggio sarà quasi nullo. Dall'altro lato, sarà assai migliorata la posizione delle democrazie occidentali, se gli Stati Uniti modificheranno la loro legge di neutralità e permetteranno la vendita delle armi e munizioni. Ciò influirà anche ad orientare quei paesi che sotto la pressione delle due parti non potranno a lungo restare neutrali. Gli esperti militari ci diranno quale sarà la natura della


nuova guerra. Certamente molto della tecnica di guerra sarà cambiato, sia per il perfezionamento dell'aviazione, sia per le posizioni prese. Forse avremo meno morti che nella precedente ( e d è da augurarlo) e meno estensione d i fronti. La funzione delle flotte e dei sottomarini resta identica, e sarà quella che dirà la sua parola d i potenza nella fase decisiva. Quel che si può prevedere si è che dal lato degli alleati la tattica che prevarrà sarà quella, direi, a dell'asfissia D: costringere la Germania ad esaurirsi tecnicamente, politicamente ed economicamente, non ostante gli aiuti che si potrà procurare nel corso della guerra. Mentre dal lato della Germania lo sforzo ear,à quello di costringere la Francia a piegare, perchè geograficamente potrebbe subire la maggiore pressione, se si apriranno altri fronti. Ma la vittoria e la sconfitta non sono mai l'ultima parola delle forze militari, sono invece l'ultima e la coincidente parola della psicologia di resistenza. Quando un'armata non si sente più sostenuta dall'interno nè politicamente nè moralmente, è allora che si dichiara sconfitta. Ma se questo momento psicologico non coincide con quello dell'altro fronte, il quale allo stesso tempo si dovrebbe sentire vittorioso non solo militarmente, ma politicamente e moralmente, in tal caso la sconfitta del primo non è mai finale. È perciò che le due resistenze, quella militare e quella civile, hanno quasi l'identico valore. È perciò che i fattori politici sono della stessa importanza di quelli tecnici. Ma è perciò, ancora di più, che i fattori morali divengono decisivi. La psicologia della vittoria da un lato si determina per una coincidenza, qualche volta anche inaspettata, con la psicologia della sconfitta dall'altro lato. È perciò che fatti come quelli della passata guerra, quali la invasione totale del Belgio e della Serbia, non costituirono per i belgi e per i serbi che un episodio, mai diedero loro il senso della sconfitta. Così sarà della Polonia, anche se la sua occupazione durerà per anni;-non ci sarà di qua il senso della sconfitta come non ci sarà per i tedeschi il senso della vittoria. Del resto, la guerra del '14 insegnò che le occupazioni militari del Belgio, della Francia e delltItalia non furono un reale vantag-


gio per l'esercito austro-germanico e furono, invece, un coefficiente morale della vittoria dell'Intesa. 11 ~ r o b l e m amorale della guerra è il primo e il più importante dei problemi. Gli alleati sono già in una posizione di gran lunga superiore all'avversario. La Germania è lo stato aggressore, la Polonia l'aggredita, la Gran Bretagna e la Francia, le alleate della Polonia. Queste hanno avvisato Hitler fino all'ultimo momento delle conseguenze dell'aggressione, si sono dichiarate pronte a discutere e pronte a risolvere i problemi senza ledere i diritti del terzo. Gli alleati sono dal lato della ragione e la Germania è dal lato del torto. Questo punto è indiscutibile di fronte alle coscienze di tutti i popoli. Si potrà tergiversare, si tenterA di discolpare Hitler, ma il crimine è là e sarà là per generaiioni e generazioni. Non basta: è necessario che la guerra sia condotta con giustizia e osservando gli impegni internazionali. Ed ecco che il primo atto della Germania è l'affondamento dell'Athenia (nave da pa~seggerie senza armamento) silurata senza preavviso alcuno. I1 crimine è così evidente che la Germania lo h a negato. Ancora: è necessario affermare chiaramente gli scopi di guerra, scopi difensivi del diritto, dell'ordine, della civiltà, della pacifica convivenza dei popoli, senza prepotenze o egemonie, per ricondurre tutti ad un tenore di vita degno di uomini e di cristiani. L'idea cristiana deve riapparire nella società internazionale come basilare del futuro dopoguerra. Di fronte a chi h a calpestato il nome cristiano, ha perseguitato tutto quel che di più sacro vi è nel mondo - la Bibbia, il culto a Gesù Cristo, l'educazione cristiana, l'amore del prossimo - che ha eretto l'odio antisemita e anticristiano a insegna di un gran popolo quale il tedesco, non si può esitare un istante a far rinascere nei popoli la fiducia nei principi cristiani che debbono reggere il mondo. L'idea di libertà deve essere unita a quella di giustizia e di amore: solo le grandi idee potranno sostenere lo sforzo di una simile guerra e alimentare negli amici la fede nella vittoria. Questa fede è certo basata sulla struttura forte e solida d i stati come la Gran Bretagna e la Francia, sul valore tradizionale degli eserciti e delle flotte, sulla volontà indomita di non


piegare; ma soprattutto nasce dal valore morale della causa che si difende e dagli scopi per i quali il grande sacrificio è degno di essere compiuto fino all'esito vittorioso. Londra, 12 settembre 1939.

( I l Mondo. New York, ottobre 1939).

LA GUERRA E LA DEMOCRAZIA « Perchè dire che stiamo combattendo per la democrazia? C'era democrazia in Polonia, la cui difesa è stata intrapresa dalla Gran Bretagna e dalla Francia? C'è democrazia in Turchia e Grecia, nostri probabili alleati? C'è democrazia negli stati neutrali che speriamo siano dalla nostra parte, quali l'Italia e la Spagna? n. Questo, più o meno, è quanto argomenta un certo numero di persone, e l'eco di tale strano ragionamento si ritrova in un ben noto settimanale cattolico, solo in parte, poichè esso ostenta un certo disprezzo per la democrazia. Ognuno ha i suoi gusti! Ma se guardiamo più a fondo, ci dev'essere una specie di nebbia attorno all'immagine della democrazia per coloro che non riescono a capire che la guerra oggi è proprio una guerra per la democrazia. Per amor di Dio, non pensiamo che la guerra vien combattuta per sostenere il « governo dei colonnelli » in Polonia, o la spada del pilsudskismo che causò l'occupazione di Vilno (che apparteneva e deve tornare alla Lituania), nè della Polonia che ha oppresso le minoranze e tentato di soffocare i riti della chiesa greca, sia cattolica che ortodossa. Se la guerra significa ciò, dobbiamo tutti essere contro di essa. No. La guerra è per l'indipendenza della Polonia dall'oppressione nazista, e adesso anche dall'oppressione bolscevica. Indipendenza, un primo passo verso la democrazia, poichè ogni schiavitù è anti-democratica. Ancora: i vescovi d'Inghilterra e del Galles nella loro dichia-


razione dissero che la Gran Bretagna in questo conflitto prende posizione « per l'indipendenza e la libertà dell'individuo e dello stato D. Senza libertà individuale non vi è democrazia. Dove lo stato non è libero, non vi è democrazia. L'unione cattolica della Gran Bretagna dichiara che la guerra è stata intrapresa « per la difesa dei principi di giustizia naturale e della morale cristiana ».Bene, senza giustizia naturale non vi è democrazia, e senza morale cristiana non vi è democrazia nei paesi di religione e cultura cristiana. Per capire cos'è la democrazia, dobbiamo guardarla contro luce. Cos'è la « non-democrazia D? Un governo in mano di pochi: se essi sono corrotti viene chiamato oligarchia; se sono nobili, aristocrazia; se sono il clero, teocrazia, se sono la ricchezza, plutocrazia. Se il governo è unicamente nelle mani di un re, è una monarchia assoluta. I1 governo di un partito come i nazisti, i fascisti, i falangisti, i comunisti, è una dittatura di partito, e se ciò assume una forma personale abbiamo uno Stalin, un Hitler, u n Mussolini, un Franco. I nostri amici antidemocratici hanno da scegliere. Per noi, la vera organizzazione sociale è quella della vecchia formula: governo del popolo, tramite il popolo, per il popolo. I1 professor Toniolo, uno dei pionieri della democrazia cristiana, il cui processo di beatificazione è ora in corso, l'ha fatta sua, sostituendo la parola governo con il termine tutto, che le dà un significato più profondamente democratico. Questa formula, sempre nuova anche se vecchia, ci è giunta dall'America e non è stata ancora mai realizzata completamente, perchè uno o l'altro dei sistemi anti-democratici che abbiamo enumerato vi si è opposto con tutte le sue forze. Oggi è il totalitarismo anti-umano e anti-cristiano che ci sta contro e che ha portato la guerra all'Europa. Dovrà essere bandito dai paesi civili. I n nome di chi? Non diciamo « della chiesa », perchè la chiesa non si impegna nella politica e non fa la guerra. E allora in nome di chi? Dell'aristocrazia? della monarchia assoluta? della plutocrazia? No. In nome della libertà e della democrazia. (People a d Freedom, London, ottobre-dicembre 1939).


THE WAR AND DEMOCRACY r Why say that we are fighting £or democracy? Was there a democracy in Poland, whose defence has been undertaken by Great Britain and France? Ie there democracy in Turkey and Greece, our probable allies? 1s there democracy in the neutra1 States, whom we hope are friendly to us, such as Italy and Spain? n. This, more or less, is how a number o£ people argue, and the echo o£ their strange reasoning has been found in a well-known Catholic weekly, partly because is affects a certain disdain £or democracy. Each to hii taste! But, is we look deeply, there must he a kind of fog round the figure o£ democracy £or those who fai1 to understand that the war to-day is precisely a war for democracy. For goodness'sake, let them not think that the war is being fought to uphold the u colonels' govemments D in Poland, or the brand o£ Pilsudskyism that caused the ocupation o£ Vilno (wich belonged and should return to Lithuania), nor o£ the Poland that oppressed the minorities and sought to strangle the ntes o£ the Greek Church, both Catholic and Orthodox. I£ the war meant this, we should all be against it. No. The war is for the independence of Poland from Nazi oppreseion, and now a b o from Bolshevik oppression. Independence, a first step towards democracy, £or al1 sewitude is anti-democratic. Again, the Bishops o£ England and Walea in their declaration stated that Great Bntain in this conflit stands u £or freedom and liberty o£ the individua1 and of the State n. Without individud freedom there is no democracy. Where the State is not free, there is no democracy. The Catholic Union of Great Britain declares the war haa been undertaken u £or the defence o£ the principles o£ natural justice and o£ Christian morality n. Well, without natural justice there is no democracy, and without Christian morality there is no democracy in countnes o£ Christian religion and culture. To understand what democracy is, we must see it against the liiht. What is u non-democracy n ? A govemment in the hands o£ a few: if they are corrupt it is called oligarchy; i£ they are noblea, aristocracy; i£ they are the clergy, theocracy; i£ they are the wealthy, phtocracy. I£ it is in the sole hand o£ a king, it is absobte monarchy. The govemment of a party like the Nazis, Faecists, Phalangists, Communists, is a party dictatorship, and if this takes persona1 form we have a Stalin, a Hitler, a Mussolini, a Franco. Our anti-democratic friends have plenty o£ choice. For us, the true social organisation is that of the old formula: government of the people, by the ~ e o p l e for , the people. Professar Toniolo, one o£ the pioniera o£ Christian democracy, whose proceas o£ beatification is now in course, made it his own, replacing the word gocernment by the word everything, which givea it a still wider democratic sense. This formula, ever old yet ever new, came to us from America an has stiI1 never been


completely realised, for one o r the other of the anti-democratic systeni we have enumerated has opposed it with al1 its forces. To-day it is totalitarianism, anti-human, anti-christian, that opposes us and which has brought war to Europe. I t will have to be banished from civilised countries. In whose name? Do not say u of the Church D, for the Church does not engage in politics nor make war. Then in whose nome? Of aristocracy? Of absolute monarchy? Of plutocracy? No. I n the name of liherty and of democracy.

I FINI DELLA GUERRA I . La caduta del nazismo I1 discorso di Chamberlain del 12 ottobre, come quello di Daladier del 10, han messo un punto alle discussioni sui fini della guerra anglo-francese. Ora si può ricominciare a discutere con dati più sicuri. La discussione è necessaria, ~ e r c h ènon tutto è chiaro, nè su tutto si concorda. Eden, nel suo discorso di settembre, diceva: « Non ci potrà essere una pace durevole finchè il nazismo e tutto ciò che esso rappresenta in termini di oppressione, crudeltà e spergiuro, non saranno scomparsi dal mondo D. Questo, che a noi sembra chiaro, non lo è per molti che credono che il nazional-socialismo sia una vera convinzione, una fede, un sistema politico al quale i tedeschi sono attaccati, e per il quale essi combattono. Non mancano quelli che mettono su uno stesso piano libertà e democrazia da un lato e nazismo dall'altro, affermando che nessuno dei due può essere vinto con i cannoni. Ma la parità non c'è fra i due, perchè il nazismo che si vuol combattere e distruggere non è un sistema politico costruttivo, è invece la violazione sistematica del diritto dei popoli deboli, da parte di una nazione numerosa, forte e armata fino ai denti, allo scopo di assoggettare l'Europa alla sua tirannia. E poichè questa azione internazionale è basata sopra falsi principi di politica nazionale, che nessun popolo può elevare a sistema, così la lotta armata che Hitler ha imposto alle democrazie è diretta contro il suo falso sistema.


Lo stesso accadde con un uomo di ben altra statura di Hitler, Napoleone Bonaparte, quando questi, con i suoi eserciti e il suo genio, sottomise tutta l'Europa e agitò il mondo per più di un decennio. Non si combattevano le idee di u eguaglianza, fratellanza e libertà » che la rivoluzione francese aveva riverniciato e che Napoleone usava a suo agio nell'agitare i popoli dove arrivava con i suoi agenti e i suoi soldati; ma quel potere personale, autoritario, tirannico, appoggiato dalle armi, che metteva a soqquadro l'Europa. Oggi chi ha in mano la doppia arma della potenza senza scrupoli e del miraggio di benessere economico fra le masse, è Stalin, non più IIitler. I1 moscovita propaga il comunismo, occupando gli stati limitrofi e spossessando i grossi proprietari delle loro terre e dei loro palazzi. Hitler fa la figura dell'« aprenti sorcier n, che ha saputo sprigionare le acque sotterranee, che salgono e salgono per sommergerlo; ma non conosce la parola magica per comandare alle stesse acque di ritornare nel loro letto. È stato affacciato in un giornale svedese, Svenska Dagbladet, dal suo corrispondente da Berlino, che Hitler, chiamando l'intervento di Mosca negli affari europei, ha inteso giocare una carta importante nell'offensiva della pace. Le grandi democrazie e gli stati neutrali, impauriti dall'avanzare del comunismo sovietico dal Baltico verso gli stati scandinavi e dalla Polonia verso i Balcani, si affretteranno a conchiudere la pace e porre così una diga al bolscevismo. Non sappiamo se veramente Hitler abbia pensato a ciò prima di vedere i centomila tedeschi degli stati baltici lasciare l e loro case e rifugiarsi in Germania, ovvero dopo il fatto, quando oramai è incapace di opporre alcun rifiuto alle sempre crescenti richieste di Mosca. Ciò che importa si è che Hitler, da questo lato, ha perduto gran parte degli scopi della sua guerra. Non l'ucraina, non la Romania, non il Mar Nero. La sua pressione sull'ungheria e sulla Jugoslavia oggi non varrebbero più quel che potevano valere in agosto. La stessa Italia, benchè cerchi di non modificare i rapporti dell'asse, comincia a sentirsi meno impacciata da Berlino. Certe febbri, come il nazismo, non possono durare più in là


della malattia che le ha prodotte. Questa malattia era di carattere internazionale: dare alla Germania la padronanza dell'Europa. Quando la Germania è messa al bivio, e dovrà mettere in conto una seconda sconfitta peggiore di quella del 1919 - per il fatto di essere stata essa a scatenare la seconda guerra, senza alcuna reale giustificazione e in condizioni morali ed economiche peggiori di allora - è per ciò stesso costretta a fare la revisione dei motivi politici e psicologici clie l'hanno portata a questo nuovo immenso sacrificio. Da qui comincia la crisi morale del nazismo. Anzi, è per questo che il nazismo sarà condannato dallo stesso popolo tedesco. I1 nazismo ha vissuto. Dalla stampa italiana e dai discorsi di Mussolini viene fatta l'osservazione che non avendo fin oggi Francia e Inghilterra esteso la guerra alla Russia (che ha ben occupato quasi la metà della Polonia) e invece mantenendo la guerra contro la Germania, dimostrano che non la questione polacca, ma la Germania hitleriana è la ragione della guerra. Certo il contegno anglo-francese verso la Russia solleva delle obiezioni; ma l'errore della stampa italiana è nel non vedere che la questione polacca non era e non è scindibile dalla sicurezza europea, e proprio questa è stata minacciata dal nazismo. Sicchè il primo scopo della guerra è quello di togliere il focolaio d'infezione che minaccia la compagine europea. I1 fine principale della guerra è la caduta del nazismo. Chamberlain non poteva dire questa parola decisiva nel suo discorso del 12 ottobre. Egli ha però messo due condizioni che implicano tale caduta e ne designano i motivi morali: a) la reintegrazione della Polonia e della Cecoslovacchia perchè « n o n possono accettarsi le condizioni di pace che comincino col condonare l'aggressione n ; b) il cambiamento di direzione, perchè la passata esperienza ha mostrato C( che non si può più riporre alcuna fiducia nell'attuale governo tedesco D. Chamberlain non dice chiaramente che il governo debba essere cambiato, ma secondo lo stile parlamentare, specialmente inglese, lo fa capire quando afferma che gli alleati si regoleranno secondo gli atti e non secondo le parole solamente D. Come ~ o t r e b b eHitler cominciare col mea culpa e reintegrare Polonia e Cecoslovacchia nei loro diritti, quali stati liberi


e indipendenti? E quali garanzie potrebbe dare di non invaderle una seconda volta, se ciò fosse nell'interesse della sua politica? È impossibile che l'Europa resti sotto una minaccia permanente, e ora le minacce sono due, perchè la Russia ha già, si può dire, ripreso con il suo intervento Estonia, Lettonia e Lituania e d è già per intendersi » con la Finlandia, proprio come il lupo s'intende con l'agnello. Hitler ha fatto scuola. ZZ. L'ordine europeo

Dopo la caduta della Società delle nazioni (colpa di tutti) non c'è stato più un ordine europeo. Qualsiasi ordine intemazionale è basato sopra una struttura politica e giuridica accettata da tutti, non ostante le differenze che potessero sorgere fra gli stati; tale ordine è assicurato da quelle grandi potenze, che accettandolo, hanno la volontà e l'interesse di farlo rispettare dagli altri. Dopo la passata guerra fu creduto che l'ordine stabilito con i trattati di pace, accentrato nella Società delle nazioni come istituto collettivo, potesse essere assicurato con le conferenze e le discussioni, con le concessioni e le mezze misure, senza tener conto effettivo dei principi di diritto sui quali si era creato l'ordine, nè della necessità di rispettarlo e di farlo rispettare, anche con la forza. I1 primo caso d'inosservanza fu proprio di quella Polonia, che oggi doveva dare occasione alla seconda guerra. I1 colpo di mano di Pilsudsky su Vilno fu tollerato sia dalle grandi potenze sia dalla Società delle nazioni, che non arrivò mai a dare una sua decisione definitiva. E mentre l'Italia liberal-democratica riuscì a far evacuare la città di Fiume, che D'Annunzio aveva occupata, la Polonia non ebbe il coraggio di sconfessare Pilsudsky, nè l'avrebbe potuto senza l'intervento decisivo della conferenza degli ambasciatori delle grandi potenze dell'Intesa. Così comincia quella lunga serie di mancamenti, che portarono alle guerre del Giappone in Cina e dell'Italia in Abissinia, all'intervento italo-tedesco e russo in Spagna, all'occupazione tedesca dell'Austria, della Cecoslovacchia, a quella italiana dell'Albania e oggi alla russo-tedesca della Polonia e finalmente


a l l ' i n t e ~ e n t orusso nel Baltico. Tutto il sistema di Versailles è crollato. È naturale che questa guerra dovrà avere per scopo principale quello di creare un nuovo ordine europeo. Non si devono inventare nuovi principi di diritto internazionali, si devono applicare i principi del vero diritto naturale, dei veri diritti storici dei popoli, nello spirito di una pace reale e cristiana. La difficoltà sta nell'applicazione di tali principi alla realtà concreta. Nessuno mette in dubbio che la Polonia debba essere ricostituita in stato libero e indipendente. I1 problema non sarà posto dal lato tedesco, ammessa la vittoria degli alleati, solo mezzo di restaurare l'ordine europeo, ma dal lato russo. Quale sarà il contegno degli alleati verso la Russia non è facile dire. Ma quel che non potrà affatto ammettersi, fin da ora, è una specie di mano libera alla Russia, per assicurarsi la Polonia orientale e gli stati baltici. Se il problema è rinviato o per il momento tollerato, non è nè può essere risolto come un lasciapassare per l'avvenire. L'intervento del presidente Roosevelt per la Finlandia è stato un primo e serio avvertimento. Quel che interessa oggi è di avere chiare idee intorno al problema russo. Noi non possiamo che deplorare l'articolo di H. N. Brailsford ( u n socialista intelligente), che a parte la sua ingenuità politica di domandare, a fine settembre, l'invio di Herriot O di Eden a Mosca, affermava che fin da ora doveva riconoscersi legittima l'occupazione russa in Polonia. Ebbene, h o l'impressione che questa magnifica idea non sia solo di Brailsford nè solo dei socialisti indulgenti verso Mosca! L'affare della Cecoslovacchia sembra fissato dall'affermazione di Chamberlain. Ma, purtroppo, egli non poteva precisare di quale Cecoslovacchia si tratta, perchè l'accordo di Monaco è ancora vivente e non è stato mai denunziato, cosa che doveva farsi, perchè non mai osservato da Berlino. Se oggi si domandasse agli sventurati tedeschi dei sudeti ( e a quegli altri cechi che vi furono conglobati nella bellezza di un milione) se essi desiderano restare con il futuro Reich, vi direbbero di sicuro un no in grandissima maggioranza. Le attuali agitazioni ne sono una prova. E l'Austria? Ha fatto bene il leader dei liberali, sir Archi-'


bald Sinclair, a farne un cenno nella sua dichiarazione in seguito al discorso di Chamberlain, il quale non ne aveva parlato. Circa il plebiscito proposto da Sinclair c'è da fare qualche riserva, ma l'Austria deve risorgere. Si dirà: voi volete ritornare al passato. Russia e Italia nei loro giornali, che si sa sono in mano ai governi, hanno affermato che non solo certe costruzioni di Versailles non possono resister e (parlando di Polonia e di Cecoslovacchia), ma che tutta 1'Europa dovrà essere rifatta con un senso più realistico delle necessità geografiche, storiche e politiche. Questa visione di un rifacimento a fondo dell'Europa è giusta e infantile allo stesso tempo. Giusta l'idea di procedere per accordi fra gli interessati e di temperare le cupidigie nazionaliste, alle quali è facile indulgere dopo una vittoria. Quel che però è necessario affermare fin da ora, è che le violazioni commesse debbono essere riparate. L'Austria non ha mai domandato di passare sotto Berlino; i nazi austriaci erano una minoranza come i nazi dei Sudeti. I1 governo regolare aveva indetto un plebiscito che doveva liberamente lasciarsi svolgere. Invece arrivarono a Vienna, non uomini pacifici per trattare, ma eserciti e cannoni per soggiogare. Se allora Francia e Gran Bretegna commisero l'errore e la colpa di non intervenire e la Società delle ntìzioni fu paralizzata dalla politica delle grandi potenze, ciò non ha nulla a che vedere con la risurrezione dell'Austria alla quale gli austriaci hanno diritto. Ci fermiamo qui, perchè non è il momento d'esaminare altri punti discutibili dell'attuale disordine europeo. Quel che interessa, come fine della guerra degli alleati, è di arrestare il sistema inaugurato da Hitler e seguito dai suoi amici e alleati, d i prendere interi stati e annetterli o sottoporli a protettorati tirannici, con l'uso di una forza armata, alla quale i piccoli stati non potranno mai resistere. È questo un problema di libertà e di indipendenza dei popoli, di eguaglianza di tutti gli stati, grandi o piccoli, di fronte al diritto internazionale, è questione di sicurezza e di civiltà. Ritornano quindi i problemi della sicurezza collettiva, del disarmo, dell'arbitrato obbligatorio e della polizia internazionale. Si dirà: è la Società delle nazioni che ritorna; dopo il pri-


mo fallimento ci si vuole ritornare per portarci ad un secondo fallimento. Chamberlain e Daladier si sono ben guardati di f a m e un cenno. Bisogna essere prudenti. Ebbene, qui bisogna essere anche franchi, oltre che p m denti. La Società delle nazioni, come fu quella che ancora esiste nell'ombra, ebbe molti difetti. Ma l'idea e gli scopi erano e sono ottimi e da doversi riprendere sopra un piano più solido e con maggiore fiducia. Su queso punto è necessario formare in tempo un'opinione pubblica favorevole. La guerra non è combattuta solo con le armi, ma anche con la forza morale. Gli scopi della guerra debbono essere chiari. E soprattutto deve essere chiaro che noi andiamo verso la federazione europea, se non vogliamo u n caos peggiore di quello di oggi e peggiore di quello che si ebbe dopo la caduta dell'impero romano. (Il Mondo, New York, novembre 1939).

L'ILLOGICITA' DEI COMUNISTI Dico « il1ogicit.à » non dico r mala fede » perchè tanti operai che si dicono comunisti hanno avuto ispirato così cieca fede in Mosca, che non possono immaginare che quel che vien fatto al Cremlino non sia per il bene dell'umanità e specialmente p e r il bene della classe operaia. Sicché, quando si credeva che Mosca si sarebbe intesa con Londra e Parigi, i comunisti erano avanti a tutti nel volere l a guerra a fondo contro la Germania, nazista, tiranna, totalitaria. Quando invece Mosca, mettendo alla porta i delegati delle due grandi democrazie, s'intese con Berlino, allora tutti i comunisti, non solo dei paesi neutri quali Belgio, Olanda, Svizzera, furono lì ad applaudire alla sapienza di Mosca che così impediva la guerra, ma anche i quattro comunisti inglesi (chè non sono più di quattro) e quel che conta, quasi tutti i comunisti francesi, che hanno ( o avevano) ben settanta deputati alla camera.


Ma ciò è nulla. La Russia invade la Polonia ( l ) , e i comunisti (non tutti, ma molti) a riconoscere che la Russia non faceva altro che riprendersi il suo. La linea di Curzon del 1919 non era quasi l à ? E fu Pilsudsky a prendersi quel territorio con le armi. Vi fu il trattato di Riga con Lenin, il quale riconobbe il diritto polacco; ma questo piccolo particolare è ignorato dai comunisti fedeli a Mosca. E che dire dell'occupazione militare e politica degli stati baltici da parte della Russia? Non fu Lenin che rinunziò a ogni pretesa imperialista? Non è questo un programma da zar? Stalin non fa che imitare Hitler: occupare territori estesi di popoli piccoli e deboli con la sola minaccia dell'invaeione e della guerra. Addio ideali pacifici, giustizia e pace! La Russia è come tutti gli altri stati borghesi e imperialistic'i. Questo deve essere riconosciuto dagli operai, anche dai comunisti. È venuto il momento di rompere ogni legame con Mosca, non solo per il suo ateismo e la persecuzione religiosa (cosa che ben sanno i cattolici), ma anche per il cinismo politico che ha affrettata la guerra e rovinati Polonia e stati baltici. ( l ì I ~ v u r o Lugano, , 26 novembre 1939).

(l) Le truppe sovietiche penetrarono in Polonia il 17 settembre 1939 con il pretesto di persecuzioni del governo polacco contro la minoranza etnica dell'est. I1 28 settembre venne sottoscritto un nuovo trattato russo-tedesco che fissava la linea di demarcazione tra Germania e URSS in Polonia. Alla Germania andava una vasta zona polacca occidentale; ai mi l'altra parte assieme alla Lituania. Un protocollo segreto ribadì la reciproca libertà d'immigrazione di sudditi di entrambi i paesi che si iossero trovati nella zona opposta.


GLI SCOPI DELLA PACE (*)

- Come stabilire

gli scopi della guerra i n modo che si arrivi

a d una vera pace?

- È il problema

più grave; esso comincia a dividere gli animi e in Francia e in Inghilterra. Potremo meglio stabilirne i termini chiedendoci perchè gli scopi dell'ultima pace non sono stati raggiunti. Bisogna penetrare in fondo ai sentimenti, poichè i sentimenti muovono gli uomini più delle idee. La Francia del dopoguerra era dominata dalla paura della Germania, e poichè l'Inghilterra non condivideva tale sentimento, ne Gsultarono orientamenti diversi e contraddittori nella politica dei due paesi. L'Inghilterra vide nella Germania un campo di affari dove i celebri frozen credits n (crediti congelati). Ne derivò una crescente divergenza fra la politica francese e inglese che finì con l'indebolire la loro resistenza al rinnovamento militare della Germania e agì in favore del nazismo. Ma un sentimento ancora più profondo fu la paura del bolscevismo. I1 capitalismo francese e inglese credette prima di trovare una difesa nel fascismo e nel nazismo, tanto che gli inglesi perdonarono la perdita dei (i frozen credits » e i nazionalisti francesi dimenticarono il loro odio per il boche D ; entrambi si riconciliarono con la Germania nazista al punto di accordare ad Hitler ciò che avevano rifiutato a Stresemann e a Briining. Così, essi lasciarono frantumarsi tutti i principi che erano alla base della pace - disarmo, sicurezza collettiva, Società delle nazioni, ecc. -, facilitarono l'annessione del19Austria e della Cecoslovacchia, ed erano quasi disposti a transigere su Danzica.. Contemporaneamente l'antibolscevismo capitalista divideva le classi sociali in Francia e in Inghilterra sia nei confronti della economia interna che nei confronti della politica estera. Donde crisi dopo crisi, fino alla guerra attuale.

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b

(*) Intervista fatta da miss Barbara Barclay Carter.


La guerra ha riunito Francia e Inghilterra; ha fatto rinascere l'unità patriottica dei partiti (salvo il partito comunista in Francia, che è stato sciolto), ma non ha ancora unificato Ia politica internazionale dei partiti poichè, in fondo, essi rimangono ancora divisi dalle questioni sociali. E tuttavia la posizione è oggi rovesciata. Per schiacciare l'Inghilterra, Hitler non teme di bolscevizzare l'Europa, Germania compresa. Ma ahimè, ci sono ancora troppe persone le quali pensano che Mussolini verrà in aiuto alle democrazie e che Hitler sarà disposto ad un patto contro la Russia. Queste illusioni nascono da una incomprensione dei problemi sociali e dall'ostinazione di un capitalismo cieco che non vede come ci si incammini verso grandi riforme economiche e sociali, sia durante che dopo la guerra. Se non si considerano gli scopi della guerra sotto questo aspetto, si rischierà di vincere la guerra e di perdere la pace, o anche di perdere e la guerra e la pace... (Cité Nouuelle, Bruxelles, 30 dicembre 1939).

LES BUTS DE LA PAIX - Comnient établir les buts de la guerre de manière à ce qu'ila aboutissent à une vraie paix? - C'est là le problème le plus grave; il commence a diviser les esprits et en France et en Angleterre. Nous pourrons mieux en établir lea termes en nous demandant pourquoi les buts de la dernière paix ont été manqués. Il faut pénétrer jusqu'au fond des sentiments, car les sentimenta font marcher les hommes davantages que les idées. Or, la France d'après-guerre était dominée par la peur de 19Allemagne, et comme 1'Angleterre ne partageait pas ce sentiment, il en resulta des orientations diverses et contradio toires dans la politique des deux pays. L'Angleterre vit dans 1'Allemagne un champ d'affaires oii placer les célèbres u frozen credits D. I1 s'en suivit une divergence croissante entre la politique francaise et anglaise qui affaiblit en fin de compte leur résistance au renouveau militaire de 1'Allemagne et agit en faveur du nazisme. Mais un sentiment plus profond encore fut la peur du bolachevisme. Le capitalisme francais et anglais criit d'abord trouver une défense dans le fascisme et le nazisme, de sorte que les anglais pardonnèrent la perte des a frozen credits n et les nationalistes francais oublièrent leur haine du a boche n; tous les deux 6e réconcilièrent avec 1'Allemagne nazie au point


d'accorder à Hitler ce qu'ils avaient réfusé à Stresemann et à Briining. De la sorte, ils laissèrent se déchiqueter tous les principes qui étaient à la base de la paix - désarmement, sécurité collettive, S. d. N. etc. -, ils facilitèrent l'annexion de 1'Autriche et de la Tchécoslovaquie, et ne furent meme pas indispoaés à transiger SUI Danzig En meme temps l'antibolchévisme capitaliste divisait les classes sociales in France et en Angleterre tant à l'égard de l'économie intérieure que de la politique étrangère. D'oii, erise après crise, jiisqu'à la guerre actuelle. La guerre a réuni la France et 1'Angleterre; elle fait renaitre l'unité patriotique des partis (sauf le parti communiste en France, qui a été dissous), mais elle n'a pas encore unifié la politique internationale des partis parce qiie, au fond, iln restent encore divisés par les questions sociales. Et cependant la position est aujourd'hui renversée. Pour écraser 1'Angleterre, Hitler ne craint pas de bolchéviser l'Europe, 1'Allemagne y compris. Mais bélas, il se trouve encore trop d'hommes qui songent que Mussolini viendra en aide aux démocraties et que Hitler se pretera à un pacte contre la Russie. Ces illusions sortent d'une incompréhension des problèmes sociaux et dr l'nbstination d'un capitalisme aveugle qui ne voit pas qu'on s'achemine vers de gandes reformes économiques et sociales, soit pendant la guerre, snit après. Si l'on n'envisage pas les buts de la guerre sous cet aspect, l'on risquera de gagner la guerre et de perdre la paix, ou meme de perdre et la guerre et la paia ...

...

L'ITALIA E LA GUERRA I. La dichiarazione di neutralità fatta dal governo fascista, appena scoppiata la guerra, quali ne possano essere state le interpretazioni, fu appresa con viva soddisfazione in Italia e fuori ( l ) . La neutralità di uno stato in tempo di guerra è anzitutto

( l ) Sin dal momento dell'occupazione nazista della Polonia (1 settembre 1939) il governo italiano aveva dichiarato ufficialmente la non belligeranza dell'Italia. In Europa, soprattutto in Inghilterra, si guardò nei primi giorni di settembre all'Italia con fiducia. La non belligeranza italiana appariva un concreto appiglio per una soluzione della grave crisi che aveva in\ estito l'Europa.


precisata dallo stato stesso che la dichiara e può comportare diversi gradi e molti sottintesi. Quel che importa è che lo stato neutro non partecipi direttamente alla guerra con le sue forze militari, nè col suo denaro, nè con le fomiture di armi e munizioni. Circa i favori politici e gli aiuti indiretti ad uno dei belligeranti o anche ad ambedue in diversa misura, non è facile definire i limiti della neutralità; ciò può dare luogo a conflitti tra belligeranti e neutri. La neutralità italiana è soggetta, come le altre, a questa prova di consensi o di tolleranze da parte degli stati in guerra. Si vedrà dai fatti se la condotta del governo fascista potrà essere criticabile o apprezzabile dagli alleati. I1 primo periodo di guerra non ha dato luogo a osservazioni, e se il tono della stampa italiana è più £avorevole alla Germania, se ne comprendono i motivi. Nel fondo quel che interessa non sono i piccoli fatti di una neutralità più o meno equidistante fra gli anglo-francesi e i tedeschi, ma è la ulteriore decisione di entrare o no in guerra e da quale lato, ovvero di restare neutra sino alla fine del presente conflitto. Appena pochi giorni dopo scoppiata la guerra, scriveva Reg i m e Fwcista, uno dei giornali estremi favorevoli alla Germania : « L'Italia terrà fede ai suoi impegni, naturalmente, nella misura dei suoi interessi, che sono al disopra di qualsiasi altra considerazione e ai quali i l governo tiene gli occhi fissi come ad una stella polare, e verso i quali tiene saldamente i l timone della nave nazionale ». Quest'affermazione, ripetuta più volte dalla stampa e dai portavoce del regime, fu riconfermata da Mussolini stesso nel discorso del 23 settembre, quando disse: La nostra politica è stata fissata nella dichiarazione del primo settembre e non v'è motivo di cambiarla. Essa risponde ai nostri interessi nazionali, ai nostri accordi e patti politici e al desiderio di tutti i popoli, compreso il germanico, che è quella di localizzare almeno il conflitto D ; e fu riconfermata ultimamente, nel discorso del 28 ottobre, destinato ad esaltare i l significato a imperiale n della neutralità, ch'egli stesso ha voluto. Se l'Italia è pertanto neutra e non intende, almeno a per ora » intervenire in guerra, non per questo siamo oggi alla stessa posizione dell'rtalia del 1914 e del « sacro egoismo » di Sa-


landra. Allora il governo italiano trattava con Vienna circa i territori irredenti offrendo la continuazione della neutralità, e allo stesso tempo trattava con Londra offrendo l'entrata in guerra. Ciò era possibile, perchè l'Italia aveva dichiarato che i l trattato della Triplice alleanza l'obbligava a entrare solo in una guerra difensiva, e non mai in una guerra offensiva, qual'era quella del19Austria contro la Serbia. Oggi la posizione dell'Italia è ben diversa: il patto di Milano non è stato denunziato e la sua neutralità è stata richiesta ( o consentita) da Berlino prima ch'essa fosse dichiarata da Roma. Se c'è un senso della neutralità del 1939 è l'opposto di quello della neutralità del 1914; allora era una neutralità che liberava l'Italia, oggi ancora la tiene legata; allora la neutralità era favorevole all'Intesa, e tale sarebbe rimasta anche se si arrivava all'accordo con Vienna circa le provincie di Trento e di Trieste; mentre oggi la neutralità nei riguardi degli alleati è temporanea e a un dato momento potrebbe cessare a loro danno. Per giunta, oggi l'Italia è in condizioni tali da far pesare o i l suo intervento o le sue richieste in modo assai più sensibile che non fosse l'Italia del 1915. Questo è il senso della frase che « gli interessi italiani sono al disopra di qualsiasi altra considerazione n. Come non piacque allora (all'autore di questo articolo) la frase del a sacro egoismo D, così ora non piace quella degli interessi a l disopra d i qualsiasi altra considerazione n, Certi valori nella vita di un uomo, come nella vita di un popolo, sono superiori agli egoismi e agli interessi: la giustizia, la libertà, la pace (invocate dal papa) sono sempre da preferire, perchè valori morali permanenti. Non approviamo coloro che le disprezzano e l e minimizzano, e smascheriamo quegli altri che si servono di così nobili ideali per nascondere egoismi e interessi. Anzi, fra i due preferiamo la sincerità dei primi all'ipocrisia dei secondi. Allo stesso tempo non vogliamo rifiutarci di guardare i problemi pratici degli interessi reali di stati e popoli: sono anch'essi degni di considerazione e di salvaguardia quando sono legittimi e si possono conciliare con i principi superiori che devono reggere l'umanità e specialmente i popoli di civiltà cristiana.


Senza volerci nè opporre, nè sovrapporre al governo responsabile, guardiamo, a titolo di studio, quali possano essere gli interessi reali dell'Italia nella presente situazione. Questa guerra, come ogni guerra, avrà presto o tardi l a sua conclusione: o tutta favorevole agli alleati (come speriamo) o tutta favorevole alla Germania; ovvero sarà risolta per esaurimento e. compromesso. Sbarazziamoci di questa terza ipotesi, la quale in tanto potrebbe reggere in quanto l'Italia restasse neutrale, in attesa di quegli aggiustamenti che potrebbe cercare dagli uni e dagli altri, per reciproco vantaggio, facendo pesare la sua intatta posizione militare. L'ipotesi non ci sembra probabile, solo lumeggia una posizione di attesa che l'Italia potrebbe assumere, cercando un compromesso fra i patti dell'asse, gli -interessi propri e la giustizia della causa degli alleati. La parola « giustizia M, messa là, può seccare coloro che non credono alla giustizia di nessuna causa, meno ancora a quella degli alleati, ovvero che credono non valga la pena interessarsi alla « giustizia ». Ma noi non possiamo fare a meno di parlarne, data l'aggressione proditoria alla Polonia e la sua occupazione da parte di truppe nemiche, tedesche e russe. cl;i può pensare chc l'Italia, che fra le sue più nohili ed antiche tradizioni ha quella dell'amore per la Polonia, oggi che questa è occupata dopo eroics resistenza, si presti a sanzionarne una nuova scomparsa dalla carta politica ed a trarre profitto da un tale crimine? Mussolini, nel suo discorso del 23 settembre, ha avuto una frase infelice: « liquidata la Polonia ». No, non è liquidata e gli italiani non si potranno prestare ad una vera liquidazione della Polonia e alla sua scomparsa. L'altra ipotesi è ancora più grave: quella di un'Italia a lato della Germania ( e perfino della Russia) contro gli alleati. Il governo fascista non farebbe questo passo che con la certezza di una vittoria completa delle tre dittature totalitarie sulle democrazie occidentali. Ma; per quanto l'Italia avrebbe, in tal caso. la sua parte di bottino nel Mediterraneo e nelle colonie, essa non potrebbe competere con la Germania nè con la Russia. La prima diverrebbe la vera e sola potenza egemonica in Europa e fuori; la Russia avrebbe i suoi vantaggi in Asia e nei Balcani (oItre che nel Baltico già occupato); all'Italia reste-


rebbe il ruolo di bel secondo, asservita al carro del trionfatore tedesco nella sua politica estera, interna, coloniale, finanziaria e culturale. Chi può pensare che non sia così? Se vi è, egli sarà un ignorante o un illuso; non mai un antiveggente, nemmeno una persona seria. Se poi vi è persona a cui tale prospettiva piace, allora si presenta un altro problema alla nostra mente: quello di una servitù voluta e accettata; proprio l'opposto del caso della Polonia e di altri popoli vinti, ai quali la servitù è imposta. Solo questa terribile servitù può maturare le grandi e generose rivolte e rifare i paesi liberi e indipendenti; l'altra servitù (quella voluta e accettata) non sarebbe che un avvilimento dello spirito e un tradimento dei veri interessi del paese. È per questo che noi ci rifiutiamo di pensare che gli uomini responsabili potranno accettare questa prospettiva come favorevole al171talia. 11. Vi è l'altra ipotesi, per noi assai più probabile: la vittona della Francia e della Gran Bretagna. L'Italia potrà scegliere o un'amicizia rinsaldata dalla sua condotta durante la guerra, ovvero la diffidenza che nasce da un contegno equivoco, raddoppiata da un sistema politico opposto a quello delle potenze vincitr'ici. Questo dilemma è connesso con una visione del dopoguerra, che non può precisarsi fin da ora, ma che - in linee generali deve intravvedersi, deve entrare nei piani di guerra e deve essere messa sulla bilancia dell'avvenire. Non si illudano coloro che pensano alle sorti dei popoli su minimizzando il peso dei valori morali. Sono questi, in fin dei conti, i decisivi. La potenza materiale è pesante a muoversi ed è più pesante a muovere: ci vuole sempre la spinta spirituale. Se questa è basata sulla falsità, si vedrà alla prova; se è basata sulla verità, otterrà i suoi effetti. Oggi due tragiche esperienze del totalitarismo in guerra incombono sui popoli: quello nazista e quello bolscevico. È stata un'illusione quella di molti nel concepire il nazismo quale parafulmine del bolscevismo. L'uno vale l'altro nell'oppressione dei diritti individuali, delle libertà dei popoli, della fede cristiana e nell'asservimento di tutte le attività umane ai fini del Moloch statale. Oggi si è visto cosa valesse il patto anti-komin-


tern e la campagna mondiale antibolscevica. Ma anche se la Russia e la Germania non avessero stipulato il pactum sceleris, risultava evidente da un'esperienza di venti e più anni quali gli scopi e i metodi di Mosca e quale la somiglianza con il nazismo. La idea di un bolscevismo paradiso del lavoro è tanto falsa quanto quella di un nazismo garanzia del capitale. Le democrazie occidentali sono cadute in questo errore ed oggi la pagano cara. Ma è per questo che i più antiveggenti sentono la necessità urgente di accompagnare la guerra delle armi con quella delle ideologie, e fissare bene che la guerra è combattuta non per un predominio materiale nel dopoguerra, ma per dei valori morali da salvaguardare e da realizzare nel dopoguerra; il rispetto della personalità umana, individuale e collettiva, la difesa della libertà, la garanzia dell'indipendenza degli stati piccoli e deboli o esposti alle prepotenze degli altri, la tutela del lavoro e del suo valore sociale, contro tutti gli sfruttamenti economici e politici. I1 proposito di rifare l'unità europea su basi di giustizia e pace, con un'organizzazione forte e permanente, deve essere superiore agli egoismi che hanno tradito l'Europa degli ultimi vent'anni. Nel 1914 si disse che si combatteva per l'ultima guerra: oggi si deve dire che si combatte per la federazione europea. I1 problema internazionale dell'Europa è la posta di questa guerra: o la federazione o l'egemonia del nazismo alleato al bolscevismo. Sarà l'Italia quella che dopo la vittoria degli alleati potrà opporre un rifiuto alla ricostruzione europea in base ai principi di libertà e di giustizia? Potrà, forse, fare essa ostacolo ad una ripresa dei valori morali e politici della migliore tradiiione europea e cristiana? Certo che no; se essa non sarà implicata con Hitler (come speriamo), dovrebbe concorrere alla restaurazione europea con tutta la sua efficienza. Quali saranno allora le posizioni italiane è impossibile dire fin d'ora; ma non c'è da illudersi: la ripercussione di una vittoria degli alleati sarà grande nel mondo intero, e l'Italia non potrà sottrarsi al fascino di tale avvenimento. Da tutti i campi di battaglia emergeranno le forze colossali dell'umanità dolorante per lunga guerra, e saranno proclamati da tutti gli angoli



litica d'intesa e di amicizia con i cointeressati, altra è la politica di lotta con i più potenti di essi. Un'egemonia nel Mediterraneo può essere voluta quando si hanno posizioni coloniali ed economiche prevalenti su tutti gli altri stati presi insieme sia in Asia che in Africa; perchè l'Italia arrivi a questa posizione non solo dovranno essere debellate Inghilterra e Francia, ma anche ridotte nelle loro pretese mondiali Germania e Russia. Tutto ciò non potrà aversi nemmeno nel caso di una vittoria di Hitler. La ricostruzione del dopoguerra non può essere in funzione di una altra guerra, ma dovrà essere in funzione di una lunga pace. L'Italia dovrà riuscire a garantire la sua posizione mediterranea e le sue colonie con patti e intese che mirino alla pace non alla guerra, nè alle minacce di guerra per strappare concessioni precarie e di dubbia utilità. Ed eccoci arrivati al punto cruciale. Ebbene, che farà 1'Italia oggi o domani, durante la guerra? Si deciderà per la Francia e l'Inghilterra, nella prospettiva di una pace, nella quale essa avrà la sua parte, ovvero per la Germania e al lato della Russia, per mettere a soqquadro il mondo? Per ora la sua posizione di neutralità le d.à il tempo di considerare i problemi dell'oggi e del domani, con calma, serenità e oculatezza. Auguriamo ch'essa non fallisca al suo grande destino d ì civiltà e di pace. Londra, novembre 1939.

(Il Mordo, New York, dicembre 1939).

PIO XII AL QUIRINALE La visita di Sua Santità al re d'Italia, il 28 dicembre, nel vecchio palazzo apostolico del Quirinale, è un evento di eccezionale importanza (l). Senza doverne cercare la ragione in inter( l ) I1 28 dicembre 1939, Pio XII restituiva la visita ai sovrani d'Italia, recandosi al palazzo del Quirinale, antica sede dei pontefici prima del 1870.


pretazioni giornalistiche, noi la troviamo nelle parole stesse del papa; in primo luogo egli desiderava confermare la conciliazione fatta dieci anni prima da Pio XI con il trattato del Laterano. « Le onde del Tevere » egli ha detto, alludendo alla ostilità fra la corona d'Italia e la Santa Sede, dopo il 1870, « hanno portato via e sepolto l e memorie del passato e hanno fatto spuntare rami d'olivo sulle loro sponde D. I1 secondo scopo era quello di riaffermare ancora una volta la sua volontà di contribuire alla pace in Europa, ponendo in rilievo la posizione dell'Italia fuori del conflitto, e confermandola moralmente in tale posizione. Quale reale contributo l'Italia possa portare alla pace, non siamo ancora in grado di dire, poichè la politica di Mussolini non è ancora chiara. La stampa fascista riflette le due correnti esistenti in Italia - anche troppo chiaramente, per cui si può pensare che ciò faccia parte del gioco di Mussolini. I n generale, la stampa italiana è favorevole alla Germania, e ostile nei confronti degli alleati. Per quanto riguarda la Russia, è divisa. Farinacci si esprime satiricamente circa i pericoli del bolscevismo in Germania, dicendo che esso esiste solo nell'immaginazione e negli interessi della Gran Bretagna e della Francia. D'altro lato, l'Italia invia aviatori in Finlandia (volontari, naturalmente, come quelli in Spagna). Nei Balcani si teme che l'Italia possa concedere più di quanto debba alla Russia e alla Germania. I n breve, la volont,à di pace di Mussolini è mista ad intrigo e condiscendenza. Sarà il re in grado di fargli prendere una linea diritta? Sarà il papa in grado di ottenere la cooperazione italiana per una pace reale e cristiana? Mussolini fra breve farà visita in Vaticano. Al tempo stesso, le relazioni fra i l Vaticano e gli Stati Uniti hanno un andamento più amichevole. (People unri Freedom, London. gennaio 1940).

Negli ambienti fascisti la visita fu visti con un certo rnaliimore. non avendo il

fatto visita a Mussolini.


PIUS XII AT TIIE QUIRINAL The visit o£ His Holiness to the King of Italy on December 28, in the old apostolic palace o£ the Quirinal, is an event of exceptional importance. Without having to seek the reason in journalistic explanation, we find it in the Pope's own words; in the first place he wished to confirm the conciliation made ten years ago by Pius XI, in the Lateran Treaty. a The wawes o£ the Tiber n he said, alluding to the hostility between the Crown o£ Italy and the Holy See, after 1870, u have carried away and buried the memories of the past and made the olive branches flower on ita banks n. His second purpose was to reafirm yet again his will to contribute to peace in Europe, bringing into relief Italy's position outside the atruggle, and conferming her morally in this position. What rea1 contribution Italy may bring to peace we cannot as yet tell, £or Muesolini's policy is not yet clear. The Fascist Press refleets the two currents which exist in Italy rather too clearly, for it might be argued that this is part of Mussolini's game. In general, the Italian Press favours Germany, and is hostile towards the Allies. Over Russia. it is divided. Farinacci is satirica1 about the dangera of Bolshevism in Germany, saying that this exist only in the imaginations and in the interest of Great Britain and France. On the ather hand. Italy is sending airmen to Finland (volunteers, o£ course. like those in Spain). In the Balkans it is feared that Italy may concede more than she should to Russia and Germany. In short, Mussolini's will £or peace is mixed with intrigue 2nd condescension. Will the King be ablc to make him a straight line? Will the Pope be able to obtain Italian co-operation for a rea1 and Christian paaoe? Mussolini is shortly to pay a visit to the Vatican. Meanwhile, the relations between the Vatican and the United States have a more confident ring.

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UN'ALTERNATIVA In un articolo su u For Democracy in uno dei nostri periodici cattolici, gli autori sono stati rimproverati per aver omesso C di affrontare apertamente la grande alternativa alla democrazia cristiana, che è la monarchia cristiana N. No, non l'abbiamo affrontata. Per dir la verità, non sapevamo che esistesse. E prima di affrontarla, dovremmo scoprire se e dove essa esiste.


I n questa ricerca, abbiamo cominciato dal nord. Scandinavia: tre sovrani, cristiani io credo, reggenti tre democrazie. Fra monarchia e democrazia non vi erano alternative. Abbiamo provato in Olanda e Belgio. Che la regina Guglielmina sia cristiana, nessuno può dubitarlo per un istante, se ha letto il suo commovente messaggio natalizio. La monarchia belga è per di più cattolica. Ed entrambe sono tradizionalmente e fondamentalmente democratiche. Anche qui, nessuna alternativa. I n Inghilterra, analoga posizione. La monarchia di sua maestà Giorgio VI sarebbe più cristiana con la soppressione della democrazia, ossia del parlamento e del suffragio universale? perchè ? Per esplorare ogni strada (anche se le strade offrono piuttosto povere possibilità di esplorazione) siano passati nei Balcani. Quattro monarchie, ondeggianti tra forme di democrazia e forme di dittatura, con di quando in quando una rivoluzione o un aseassinio. Non inolto illuminanti al nostro scopo. Infine, l'Italia. Ma qui la dittatura ha eclissato la monarchia, e prima di Mussolini la monarchia non mostrava alcun segno di incompatibilità con la democrazia. E ancora abbiamo guardato la carta geografica. Gli Stati Uniti non mostrano alcun segno di desiderare un re, e neinmeno la Svizzera. Così per la Francia, dopo ottant'anni di repubblica, il Sant'Uffizio h a formalmente condannato il legittimismo francese, e il duca di Guisa si è affrettato a Roma per dissociarsi dai suoi imprudenti sostenitori. La verità è che l'alternativa oggi non è fra democrazia e monarchia, ma fra democrazia e totalitarismo, un problema al quale la guerra ha dato una generale e tragica relazione. (People and Freedom, London, gennaio 1940).

AN ALTERNATIVE In an article on For Democracy in one o£ our Catholic periodicala, the authom were rebuked £or their failure a to face squarely the main alternative to Christian Democracy, which is Christian Kingship W . No, we had


not faced it. Truth to tell, we did not Lnow it existed. And before facinj it, we should have to find out if and where it existed. In this menta1 quest, we started with the North. Scandinavia. Three Kings, Christian we believe, mling three dcniocracies. Between Kingship and democracy there was no alternative. We tried Holand and Belgium. That Queen Wilhelmina is Christian no-one who read her moving Christmas message could doubt for an instant. The Belgian monarchy is moreover Catholic. And both are traditionally and fundamentaliy democratic. Again, no alternative. In England, the same position. Would the kingship of His majesty George VI, be any more Christian with the suppression of democracy, that is, of Parliament and universal suffrage? Why? In order to explore every avenue (though avenues offer rather poor opportunities for exploring) we passed to the Balkans. Four kingships. wavering between forms of democracy and forms o£ dictatorship, with now and then a revolution or an assassination. Not very illuminating for our purpose. Finally, Italy. But here dictatorship has eclipsed kingship, and before Mussolini kingship showed no signs of incompatibility with democracy. And still we looked round the map. The United States show no sigm o€ wanting to take to themselves a king. Neither does Switzerland. As for France, after eighty years of a repnblic, Holy Office has formally condemned French legitimism, and the Duc de Guise has hastened to Rome to dissociate himself from his imprudent supporters. I'he truth is that the alternative io-day is not between democracy and kingship, but between democracy and totalitarianism, a problem to which the \far has given a geiieral aud tragic learing.

LA DEMOCRAZIA CRISTIANA IN INGHILTERRA Ultimamente il Manchester Guardian, pubblicando il resoconto di un libro di lord Lloyd, notava che la concezione del u corporativismo presentata dall'autore, era del tutto opposta a K quella dei democratici cattolici D. Che in Inghilterra si capisca che vi è una corrente di democrazia politica fra i cattolici, con un patrimonio di idee proprie. è già una novità; è il primo frutto dell'azione del People and Freedom Group, il quale, come gruppo politico fondato tre anni fa. cerca di divulgare e


di realizzare i postulati della democrazia cristiana nella vita del paese. All'ultima riunione del gruppo, la segretaria, miss Barclay Carter, fece iin'esposizione su ciò che rappresenta « la nostra democrazia 1). Tutti sono d'accordo - ella dice - sul punto seguente: la guerra presente si fa in difesa della civiltà cristiana, ma bisogna che i principi cristiani siano riaffermati nella vita politica. La forza dei democratici cristiani nasce da una visione più giusta dell'uomo e della storia; più realisti di altri, essi non trasportano il relativo nell'assoluto, e vedono nella democrazia un mezzo, il migliore, per la realizzazione di scopi sociali ben definiti. Al tempo stesso essi vedono nell'uomo non l'uomo economico, ma l'uomo senza aggettivi, con le sue duplici esigenze, spirituali e materiali. E se la democrazia cristiana si basa sul riconoscimento della dignità umana e del valore educativo di un sistema che dà ad ogni membro della comunità la sua parte di responsabilità per il bene comune, essa riconosce pure che lo stesso giudizio dei migliori è spesso falsato dall'interesse, e che la giustizia sociale esige che tutte le classi abbiano il potere di rivendicare i loro propri diritti. La democrazia cristiana, prosegui la conferenziera, è la vera democrazia, quale l'ha definita Lincoln nella sua famosa formula, ripresa da Toniolo, « tutto del popolo, per il popolo, tramite il popolo », ciò che implica l'idea del bene comune ricercato insieme. Basandosi su una coscienza collettiva, essa garantirà che il governo di maggioranza non agirà esclusivamente nell'interesse della maggioranza, ma nell'interesse dell'intero popolo. Perchè la democrazia funzioni, occorre un regime di libertà, quelle libertà costituzionali la cui rivendicazione è merito del liberalismo. Al tempo stesso essa si distingue tuttavia dal liberalismo non facendo della libertà un'astrazione, e cerca il giusto equilibrio fra la libertà e l'autorità, autorità alla quale ogni cittadino partecipa. L'individualismo atomistico del liberalismo, che isolava l'individuo dallo stato, preparava in effetti la via al totalitarismo, mentre la democrazia cristiana mira allo stato organico, dove tutte le forze associative sono messe in valore. Miss Barclay Carter spiega qui come la democrazia cristia-


na si distingue nettamente dal socialismo , per la sua ingstenza sulla organizzazione professionale, e per il suo rifiuto a preconizzare una società senza classi. Le diversità naturali devono rispondere a una diversità d i hnzioni, quali ogni società esige. La democrazia non aspira ad un livellamento, ma alla formazione, più libera possibile, delle élites politiche, secondo la vecchia formula enunciata a Firenze nel 1530: « lo stato veramente democratico e libero è quello nel quale tutti i cittadini senza distinzione abbiano accesso a tutti gli uffici: non è per la loro nascita o per le loro ricchezze, ma per le loro qualità, cioè per il loro valore morale, che bisogna valutare gli uomini ». Miss Barclay Carter concluse dicendo che l'Inghilterra, dato i l suo rispetto della libertà e la sua larga costituzione, offriva un terreno particolarmente propizio per la realizzazione d i un simile programma. Qui, come in altri paesi, la democrazia cristiana riuscirà a far rientrare i cattolici nella corrente della vita nazionale. La presidente, mrs. Crawford (che nella sua giovinezza non solo fu discepola del grande cardinal Manning ma lavorò pure con l'abate Pottier e altri pionieri, costituendo così il trait d'union fra il movimento cattolico sociale e il movimento di democrazia politica) riassunse la seduta dicendo che l'insieme deil'organismo economico e sociale sarebbe da rivedere e che tocca al People and Freedom Group in quanto democratici cristiani, di esserne i l lievito. L'affermazione più interessante del gruppo, a parte il suo organo di stampa, che quest'anno è divenuto mensile, è stata la pubblicazione del libro For Democracy, che ha avuto un bel successo anche al di fuori dell'ambiente cattolico. ( L a cité nouvelle, Bruxelles, 12 febbraio 1940).

LA DEMOCRATIE CHRETIENNE EN ANGLETERRE Tout dernièrement le &fa~~~hesteì Guardian, en publiant le compte rendu d'un livre de Lord Lloyd, notait que la conception que faisait I'auteur du a corporatism R était tout oppoeée à u ceUe des démocrates catholiques R. Que l'on comprenne en Angleterre qu'il y a un courant de démocratie politique entre les catholiques, avec un pairimoiiie d'idées qui lui sont propres,


est déjà une noiiveaiité; c'est le premier fruit de l'action du People ond Freedom Grozip qui, comme groupe politique fondé il y a trois ans, cherche à divulguer et à réaliser les postulats de la démocratie chrétienne dans la vie du pays. A la dernière réunion ctu Groupe, la secrétaire, Miss Barclay Carter, fit un exposé de ce que représente « notre démocratie n. Tout le monde, dit-elle, est d'accord sur le point suivant: la présente guerre se fait en défense de la civilisation chrétienne, mais il faut que les principes chrétiens soient réaffirméa dans la vie politique. La force des démocrates chrétiens nait d'une vision plus juste de l'homme et de l'histoire; pliis réalistes que d'autres ils ne transportent pas le relatif dans l'absolu, voyant dans la démocratie un moyen, le meilleur moyen, pour la réalisation de buts sociaux bien définis. En meme temps ils voient dans l'homme non l'homme économique, mais l'homme tout court, avec ses doubles exigences, spintuelles et matérielles. Et si la démocratie chrétienne se base sur la réconnaissance de la dignité humaine et de la valenr éducatrice d'un système qui donne à chaciin memhre de la communauté sa part de responsabilité pour le bien commun, elle reconnait également que le jugement meme des meilleiir~ est fréquemment faussé par l9intér6t, et que la justice sociale exige que toutes les classes aient le pouvoir de revendiquer leurs propres droits. La démocratie chrétienne, poursuivit la conférencière, est la démocratie véntable, telle que l'a définie Lincoln dans sa fameuse formule, reprise par Toniolo, Tout du peuple, pour le peiiple, par le peuple n, ce qui implique l'idée du bien commun recherché en commun. Reposant sur une conscience collective, elle assurera que le goiivernement de majorité n'agira pas exlusivement dans l'intér2t'de la majorité, mais dans l'intéret du peuple entier. Pour que la démocratie fonctionne, il faiit un régime dc liberté, ces libertés constitutionelles dont la revendication est le mérite dii liheraliame. En meme temps elle se sépare cependant du libéralisme en ne faisant pas de la liberté une abstraction, et cherche le juste équilibre entre la liberté et l'autorité, autorité à laquelle chaque citoyen participe. L'individualisme atomique du libéralisme, qui isolait l'individu de l'état, préparait en effet la voie au totalitarisme, tandis que la démocratie chrétienne vise à l'état organique, où toutes les forces associatives sont mises en valeur. Miss Barrlay Carter explique ici comment la démocratie chrétienne se distingue nettement du socialisme, par son insistance sur l'organisation professionelie, et par son refus à préconiser une société sans classes. Lee diversités naturellea doivent répondre à une diversité de fonctions, tellee que toute société les exige. La démocratie n'aspire pas à un nivellement, mais à la formation, la plus libre possihle, des élites politiques, selon la vieille formule énoncée à Florence en 1530: (1 l'état vraiment démocratique et libre est celui dans lequel tous les citoyens sans distinctions aient accés à tous les offices: ce n'est pas par leur naissance ou par leur richesse, mais par leur qualités. c'e~t-i-dire, par leur raleur morale. qn'il faut évaluer les hommes n.


Miss Barclay Carter conclut en disant que 19Angleterre, étant donné son respect de la liberté et sa constitution large, offrait un terrain particulièrement propice pour la réalisation d'un te1 programme. Ici, comme en d'autres pays, la démocratie chrétienne réussira à faire rentrer les catboliques dans le courant de la vie nationale. La présidente, mrs Crawford (qui dans son jeune ige non seiilement fiit disciple du grand cardinal Manning mais travaillait également avec l'abbé Pottier et d'autres pionniers, constituant ainsi le trait d'union entre le mouvement catholique social et le mouvement de démocratie politique) résuma la séance en disant que l'ensemble de l'organisme économique et social serait à reviser et que c'est au People and Freedom Group comme dbinocrates chrétiens, d'en ;tre le lévain. L'affirmation la plus intéressante du Groupe, à part son organe, qui est devenu mensuel cette année, a été la publication de son livre For Democracy, qui a eu un beau succés meme en dehors du milieu catholique

PER LA DEMOCRAZIA

E PER LA DEMOCRAZIA CRISTIANA Ci sembra bene non ignorare la questione che The Month ci pone di fronte alla fine di un'amichevole recensione del nostro Gli apologisti della democrazia si libro For Democracy: devono ancora chiedere se il bene comune non si possa probabilmente raggiungere in qualche altro sistema il quale sottolinei maggiormente l a tradizione e la preparazione che sono altamente desiderabili nel delicato compito dell'amministrazione politica D. Da ciò derivano due distinti problemi: uno tecnico, quello che i sociologi chiamano le classi dirigenti, e uno politico, se tali élites devono essere tratte da ogni categoria sociale, senza eccezione, o debbano essere limitate a talune categorie. Entrambi questi problemi sono trattati ampiamente in For Democracy. La formazione delle classi dirigenti, sia amministrative che politiche, è una delle condizioni essenziali per una democrazia vitale e vera; e questo punto è particolarmente sottolineato nell'introduzione e nella conclusione del libro. In pratica poi-


chè la democrazia moderna ha dietro di sè non più di un secolo e mezzo ( e quali difficoltà ha avuto da superare in questo periodo!), la tradizione del potere favorisce le classi colte e ricche, aristocratiche o borghesi, e nello spirito più conservatrici o liberali che democratiche. Le organizzazioni dei lavoratori hanno conosciuto solo mezzo secolo di vita politica ; il voto alle donne non ha ancora un quarto di secolo (salvo in Finlandia), e non è ancora universale. Dobbiamo perciò dire che i lavoratori e le donne devono essere esclusi dalla formazione delle K classi dirigenti 1) ? I1 secolo diciannovesimo vide l'avvento al potere della borghesia come classe politica. Questa unì le forze con l'aristocrazia e la eclissò, come in Inghilterra, oppure la soppiantò del tutto, come in Francia e in Italia. Con il secolo ventesimo la piccola borghesia e le classi lavoratrici cominciarono la loro esperienza politica, in collaborazione o in contestazione con le classi medie capitaliste le quali direttamente o indirettamente controllano la macchina dello stato. I1 suffragio universale portò in politica un influsso della classe lavoratrice; tuttavia questo era stato solo un risultato iniziale, e negli stati liberali democratici, come in Inghilterra, ha prodotto solo il primo tentativo sperimentale di collaborazione nel potere. Ciò è stato sufficiente a mostrare che tutte le classi (e, possiamo aggiungere, anche le donne) possono produrre classi dirigenti dai loro ranghi, se hanno la possibilità e la preparazione. MacDonald, Henderson, senza essere grandi statisti ( e si può dire la stessa cosa di un Baldwin o di un Austen Chamberlain), furono uomini d i stato di primo rango. Nella Germania la repubblica di Weimar può mostrare fra i nomi da ricordare i cattolici Stegerwald, un tipografo che divenne ministro dell'economia, il cancelliere Wirth, che era stato un insegnante di matematica, il cancelliere Bruning, segretario delle unioni sindacali cristiane, mentre i socialisti ebbero una non meno interessante serie di cancellieri e ministri provenienti dalle classi lavoratrici. Nell'Italia pre-fascista il cattolico Filippo Meda, un ministro delle finanze di prim'ordine, veniva dalla piccola borghesia rurale, come in Svizzera &lotta. cinque volte presidente della confederazione.


Ma il problema fondamentale è politico. Chi oggi nei paesi democratici potrebbe proporre di abolire il suffragio universale e il voto alle donne, e restringere artificiosamente il diritto di sedere in parlamento e nel governo a certe determinate classi o categorie? Chi oggi potrebbe abolire il partito laburista e privare le Trade Unione del loro statuto legale, sociale e politico? Solo un dittatore. Una dittatura con la violenza armata o sotto un impulso rivoluzionario si impossessa del potere, costringe le classi spossessats a sottomettersi o ad andarsene all'estero, stabilisce un partito unico come sua espressione militare-politica, il quale partecipa al suo potere finchè serve i suoi voleri. Non vi è poi alcuna educazione e preparazione di élites politiche liberamente formate in ogni classe. I1 partito unico (fascista, nazista, bolscevico, fronte patriottico, falangista o simili) fornisce i capi locali e centrali su scelta non degli elettori ma del dittatore, al quale appartiene il potere ultimo di nomina e deposizione, e, in realtà, di vita e di morte. Questa la prospettiva che ci sta di fronte: o democrazia o totalitarismo. Non vi è altra scelta. Forme ibride, intermedie saranno solo fasi preliminari per l'una o l'altra soluzione, verso le quali evolvono rapidamente nei paesi dove le classi politiche sono di recente formazione e le loro élites e governi senza reale consistenza. Nessuno che rifletta può oggi pensare ad un ritorno allo ancient régime precedente alla rivoluzione francese, o alla blanda epoca vittoriana. La storia è irreversibile. Come potrebbero i movimenti socialista, comunista e nazionalista essere cancellati dalla storia recente? Come si potrebbe far indietreggiare la democrazia? Sarebbe come pensare ad un mondo in cui l'aviazione non esistesse ancora, l'automobile non fosse stata inventata, e i treni marciassero a dieci miglia all'ora. L'esperimento totalitario è durato ventitre anni dalla rivoluzione bolscevica, diciotto da quella fascista, e solo sette anni dal nazismo. Possiamo trovarne tracce nel periodo del terrore e in quello napoleonico, e in realtà nel terzo impero. La democrazia di oggi è perciò più anziana, con un secolo e mezzo di esistenza, contando dalla dichiarazione americana di indipendenza. Oggi è la democrazia che, di fronte ai nuovi venuti


totalitari, prende posizione per la tradizione, per quanto la tradizione civile e cristiana in Europa e in America ha portato di buono nella vita politica. E ancora: la democrazia com'è oggi non può soddisfarci. È troppo tinta di egoismo capitalista, di individualismo borghese, di indifferenza religiosa. Ed è per questo che noi vogliamo, come disse Leone XIII, ricostituire la democrazia cristiana.

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(People and Freedom, London, febbraio 1940).

POR DEMOCRACY AND FOR CHRISTIAN DEMOCRACY

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It seems well that we should not ignore the question which the Month p u bcfore ~ us at the end of a friendly review of our book For democracy: « Yet the apologists of democracy must ask themselves whether the common good is not just as likely to be achieved in some other system that lays greater emphasis upon the tradition and training that are highly desirable in the delicate task of politica1 administratiou n. Thie raises two distinct problems: a technical one, that o£ what sociologists cali the governing eiites, and a politica1 one, whether such élites are to be drawn from every social category, without exception, or should be confined to certain categories. Both theae prublems are fully dealt mith in Por Democracy. The formation of governing élites, both municipal and political, is one of the essential conditions for a living and t m e democracy; and this point is particularly stressed in the introduction and conclusion of the book. In practice, since modern democracy has but a century and a half behind it (ond what difficulties it has had to overcome in this period!), the tradition of power favours the cultured and wealthy classes, aristocrats or bourgeois, and conservative or libera1 in spirit rather than democratic. Organised labour has knotvn but half a century of politica1 life; women suff ~ a g eis still not a quarter of a century old (save in Finland), and is still not univemal. Should we therefore say that the workers and women should be excluded from the formation of the a governing classes n ? The nineteenth century saw the advent to power of the bourgeoisie as a political class. They either joined forces with the aristocracy and overshadowed it. as in England, or wholly supplanted it, as in France and Italy. With the twentieth century the petty bourgeois and working classes begin their political experience, in collaboration or contest with the capit a l i s t i ~middle class which directly or indirectly controls the machinery of the State. Universal suffrage brought a working class influx into politics; so far thia has had only initial resnlts, an in the libera1 democratic States, such as England, has produced but the first tentative experiments of colIdhoration in power.


This has been enough to show that al1 classes (and, we may add, women too) can produce governing élites from their ranks, i£ they have the opportunity and training. MacDonald, Henderson, without being great statesmen (as might be said equally of a Baldwin or an Austen Chamberlain), were statesmen of the first rank. In Germany the Weimar republic can show among its notable names the Catholics Stegerwald, a printer who became Minister o£ Economy, Chancellor Wirth, who had been a teacher of arithmetic, Chancellor Briining, secretary of the Christian Trade Unions, wbile the Socialists had a no less interesting series of working-cla~s Chancellors and Ministers. In pre-Fascist Italy the Catholic Filippo Meda, a Minister of Finance o£ the highest order, came from the rural petty bourgeoisie, as, in Switzerland, did Motta, five times President of the Confederation. But the fundamental problem is political. Who to-day in the democratic countries could set out to abolish universal suffrage and women suffrage, and artificially restrict the right to sit in Parliament and in the Cabinet to certain given classes or categoriw? Who to-day could aholish the Labour Party and deprive the Trade Unions of their legal, social and politica1 status? Only a dictator. A dictatorsbip by armed violence or under a revolutionary impulse seizes power, forces the dispossessed classes to submit or to flee abroad, establishes a single party as its military-politica1 expres~ion, to ahare in its power while seming its wiU. There is then no education and training of politica1 élites freely formed in every class. The single party (Ftiscist, Nazi, Bolshevist, Falangist Patriotic Front, or the like) fiirnishes the Iocal and centra1 leaders at the choice not of the electors but of the dictator, who holda the ultimate power of appointment and dismkal, and indeed, of lile und death. Here is the prospect facing us to-day. Either democracy or totalitarianism. There is no other choice. Hybrid, intermediate forms will be merely preliminary phases to one or the other solution, towards which they rapidly evolve in countries where the political classes are of recent formation and their élites and governments witbout rea1 consistency. No one who reflects can to-day envisage a return to ancient régime of before the French Revolution, or to the bland Victorian epoch. History is irreversible. How could the Socialist, Commnnist, Nationalist movements be struck out from recent history? How could democracy be made to move backwards? One might as usefully look for a world in which aviation did not yet exit, the motor car had not heen invented, and trains iravelled at ten miles an hour. The totalitarian experiment has lasted twenty-three years, from the Bolshevist revolution, eighteen years from the Faseist, and only seven years &om the Nazi. We can find traces o£ ii in the Terror and in the Napoleonic penod, and indeed in the Third Empire. The democracy of to-day is therefore the older, with a century and a half of existence, coun-


ting from the American Declaration on Independence. To-day it is democracy that, in the face of the totalitarian newcomers, stands for tradition, for what civilised and Christian tradition in Europe and America has carried fonvard as good in politica1 life. And yet, democracy as i t is to-day cannot satisfy us. I t is too much tainted by capitalistic egotism, bourgeois individualism, religious indifference. And that is why we wish, as Leo XIII said, to remake democracy Christian.

LA QUESTIONE SOCIALE OGGI E DOMANI La guerra attuale, che si prevede assai lunga, pone fin d'ora gravi problemi sociali, che avranno sviluppo di una larghezza e importanza straordinari, non solo per i paesi belligeranti, ma anche per i neutri. Basta considerare la perdita in uomini, denaro e materie prime, il logorio di macchinari e impianti, la distruzione di centri industriali, lo spostamento degli sbocchi commerciali, l'alterazione dell'equilibrio economico, la depauperazione, la disoccupazione che seguirà le grandi smobilitazioni. Nei momenti di crisi e di scoraggiamento le popolazioni, non afferrando la realtà, nè vedendo pronti rimedi ai mali, si fanno trascinare dai demagoghi. Vedremo i l rinascere dell'urto comunista o altro simile con i tentativi di rivolte per prendere il potere, facendo leva sulla lotta di classe e credendo così di risolvere i gravi problemi del momento che di fatto ne saranno aggravati. Dall'altro lato, coloro che saranno allora gli arricchiti di guerra, i detentori della ricchezza, i capitalisti delle grandi fortune, cercheranno di difendersi, o facendo concessioni ai più facinorosi o sostenendosi con le repressioni. La classe operaia dovrebbe avere già fatto una ben sicura esperienza, nella vita organizzativa dell'ultimo mezzo secolo, per esporsi ai due pericoli della demagogia proletaria e della repressione capitalista.


Quel che oggi sembra necessario e urgente si è che gli operai organizzati, quelli che sono ancora oggi liberi di organizzarsi in paesi democratici, rafforzino i propri sindacati, mantengano vive e solide le loro organizzazioni internazionali ( p e r i cristiano-sociali quella nostra di Utrecht), e concentrino tutte le energie attorno all'ufficio internazionale del lavoro. Lo scopo deve essere duplice: quello di adattare l'economia del tempo di guerra alle esigenze attuali e quello di preparare le vie migliori per il dopoguerra. I n modo che durante la guerra la classe operaia non sia la sacrificata su tutte le altre, ma partecipi egualmente ai sacrifici di tutti; e che dopo la guerra essa abbia la sua parola da dire nella ricostruzione economica futura. Questa non sarà nè potrà essere nè capitalista nè comunista nel senso assoluto della parola. Molti fattori durante la guerra altereranno l'assetto presente. È per ciò che noi ci dobbiamo ben preparare, perchè noi dobbiamo contribuire a stabilire nel mondo una nuova economia sociale e cristiana. Senza di questa non ci sarà nemmeno una vera pace. ( I l Lavoro, Lugano, 23 febbraio 1940).

I L CASO DELLA FINLANDIA Mentre la Finlandia ha destato le simpatie del mondo intero e il suo eroismo sta diventando leggendario, gli aiuti invocati e ottenuti, promessi e realizzati, sono ancora insufficienti alla situazione ( l ) . La pressione russa aumenta di giorno

(l) Dopo il patto msso-tedeeeo dell'agosto 1939 (cfr. nota I all'articoio n. 86) la Russia si era assicurata basi navali in Estonia, Lettonia e Lituania, con la facoltà di mantenere truppe in quei temton. Simili richieste I'URSS avanz6 in Finlandia. Ottenuta risposta negativa, il 30 novembre i mi attaccarono la Finlandia, che, appellatasi alla Società delle nazioni, provocò l'espulsione Jell'URSS (14 dicembre 1939). I paesi occidentali cercarono di


in giorno: l'aviazione lussa incrudelisce contro la popolazione civile. Se la Finlandia resiste e dà prova di coraggio e di abilità straordinarie, non potrà resistere in indefinito contro un nemico numericamente superiore e deciso a farsi valere, costi quel che costi, tanto più che per la Russia il materiale umano è quel che conta meno. Se la Finlandia cadesse, il suo caso potrebbe essere peggiore di quello dell'infelice Polonia, che oggi subisce la tirannia di una schiavitù senza nome. I1 mondo civile non dovrebbe permettere che si ripetesse a sangue freddo quello che non potè nè prevedersi nè impedirsi per la Polonia. Urge un intervento sicuro, compatto e rapido, più di quello che è stato fino ad oggi. Gli stati neutri e piccoli dell'Europa dovrebbero in modo speciale favorire la Finlandia: si tratta della loro sorte. Quale sarebbe per essi la ripercussione morale e politica della caduta della Finlandia è troppo facile immaginare. La Norvegia sarà la prima ad essere minacciata, e la Svezia non avrà che la scelta o di accettare la protezione interessata e pesante della Germania, o far fronte unico con la Norvegia. D'altro lato, quale la posizione della Danimarca, dell'olanda e del Belgio dopo la caduta degli scandinavi? Ma il problema finlandese è sempre più interessante per gli alleati, Francia e Inghilterra. Sarebbe errore colossale, per gli alleati, lasciar cadere la Finlandia, sia dal punto di vista psicologico e politico, sia anche da quello della condotta della guerra, benchè non strettamente militare. Tutti, chi più chi meno, ne sono convinti, ma non tutti hanno chiari i problemi che vi sono connessi, e non pochi hanno in proposito idee e pregiudizi insormontabili.

mandare aiuti in Finlandia, ove era stata organizzata la resistenza contro l'attacco sovietico, ma ostacoli sorsero per il rifiuto degli altri paesi scandinavi di far passare forze armate nei propri territori. Il 1 dicembre, i rnssi proclamarono la nascita della Repubblica popolare finnica. La pace tra i due paesi veniva firmata il 12 mano 1940, con la cessione da parte h l a n dese dell'istmo di Karelia con Viborg, ed un accordo trentennale per l'installazione di una base navale russa nella penisola di Hangol.


Vediamo d i sgombrare il terreno. Un intervento diretto degli alleati in Finlandia, senza la cooperazione degli stati scandinavi, non sembra facilmente realizzabile. Dall'altro lato aiuti saltuari e non coordinati, per quanto utili per un certo tempo, a lungo andare si riveleranno insufficienti. Non bastano i volontari (come già è stato permesso in Inghilterra), ci vogliono gli eserciti. Ma lasciamo questo problema ai poteri responsabili. Quel che preme per l'opinione pubblica inglese è soprattutto poter eliminare la preoccupazione di certe zone laburiste che sono contrarie a combattere contro la Russia, non per una valutazione di forza (il che è compito dei capi militari e dei governi), ma per sentimentalità o pregiudizio. Per tali laburisti, la Russia, tutto sommato, ha fatto del bene alla classe operaia, e se Stalin ha aggredito la Polonia e la Finlandia con le armi, è sua colpa, non degli operai. Così posto il problema, la povera Finlandia sarebbe consacrata ad essere vittima dell'aggressione s dello schiacciamento. La commissione laburista inglese, che è tornata dalla Finlandia in questi giorni, non ha che elogi per quel popolo. La relazione che essa ha fatto è tutta a favore dell'invio di armi e munizioni; così sir Walter Citrine che ne è stato il capo, ha riparato alla sua frase infelice che i laburisti non combatteranno contro la Russia. Per certi laburisti il mito di una Russia « falce e martello », u operaia e contadina a, paradiso 1) della classe lavoratrice, sede del nuovo ordine del lavoro, resiste a tutte le verità sia per odio anti-capitalista, sia per incomprensione della realtà democratica. Avviene che -molti laburisti sono ancora filo-sovietici perehè hanno identificato la causa del lavoro umano e civile con quella dei Soviets. Ora essi non sono capaci di ricredersi, e quindi resistono all'evidenza della verità. Non per questo si deve muovere in guerra contro la Russia, ma per difendere la Finlandia deve mettersi in esame anche la possibilità di una guerra diretta alla Russia, senza che il pregiudizio filo-sovietico vi faccia ostacolo. Ecco tutto. Ma c'è un altro pericolo da superare, anch'esso ideologico e irrazionale: quello di una pace affrettata con la Germania per attaccare la Russia. La crociata anti-bolscevica di certi cir-


coli francesi e inglesi di tinta filo-hitleriana e capitalistica, fa pendant alla mentalità filo-sovietica di certe zone laburiste. È il mondo dell'anteguerra che deve essere liquidato al più presto, per avere il terreno libero per una mentalità e psicologia di guerra che oggi s'impone a tutti. I1 giornalista inglese signor Del1 dopo un soggiorno nell'America, ha attribuito la mira di un fronte unico anti-bolscevico a Bruning, a Roosevelt, al papa. Errore di visuale e di criterio. Queste non sono mire di neutrali ( e fuori di ogni altro del papa), questi sono stati d'animo disfattisti di gente inconscia che sogna ad occhi aperti e che si immagina una realtà che non esiste e non può esistere. Basta il martirio della Polonia e della Cecoslovacchia per escludere qualsiasi pace con la Germania che non sia di piena riparazione per questi due popoli, e di sicurezza per l'avvenire. Ma oggi preme il problema della Finlandia. Salvarla è opera di civiltà e dovere di gratitudine di tutto il mondo; specialmente degli alleati, che, senza loro volontà, hanno acquistato nel gioco della guerra la carta della Finlandia, carta di un gran valore psicologico e politico. Questa carta potrebbe avere anche, ci sembra, un valore strategico, se taluni fronti secondari cominciano ad essere considerati come realmente vulnerabili per il nemico di fronte, e per chi si tiene dietro: la Germania e la Russia. (Popolo e libertà. Bellinzona. 25-26 fehbriiio 1940).

I SOCIALISTI E NOI Nell'appello lanciato di recente dal comitato esecutivo del partito laburista sui fini della guerra, fra le molte cose che possono essere accettate anche da noi, vi è un'affermazione fondamentale per essi, e contraddittoria per noi, che la pace futura può essere solo assicurata dal socialismo.


I laburisti inglesi, attraverso le Trade Unions, si sono messi in contatto con la confederazione dei lavoratori in Francia, per un'intesa permanente durante e dopo la guerra. Il comunicato dell'ultima riunione, tenuta a Parigi, delle due grandi organizzazioni operaie francese e inglese, è più cauto ed evita qualsiasi affermazione di carattere socialista. Dato l'ambiente attuale in Francia è stato questo un atto d i prudenza, ma in fondo è naturale che i socialisti credano che solo il socialismo porterà la vera pace. Essi, però, non rifiutano oggi di collaborare con le altre classi, sia sul piano economico, sia (con delle riserve) anche sul piano politico. Quel che fa la loro forza, ed ha presa sull'animo degli operai, si è che i socialisti possono unire insieme economia e politica; essi in economia si presentano come confederazione d i lavoratori (Francia) e Trade Unions (Inghilterra) e in politica come partito socialista (Francia) e partito laburista (Inghilterra). I sindacati operai cattolici o non hanno un partito che sia loro espressione politica, ovvero si trovano ad avere, sotto la bandiera dei partiti cattolici, o simili, non pochi avversari del sindacalismo cristiano sociale, benchè tutti celebrino le encicliche e lettere sociali dei papi da Leone XIII a Pio XII. Un doloroso esempio di questo stato di cose è quel che avviene nel Belgio, dove il sindacalismo cattolico è fiorente e d ha un organo quotidiano molto ben fatto: La Cité Nouvelle. M; purtroppo il partito cattolico belga ha due ali, la democratica e la conservatrice. La prima appoggia i nostri sindacati e la seconda ne h a gran diffidenza. I1 giornale cattolico conservatore La Libre Belgique ostacola quanto può le nostre rivendicazioni operaie. I1 caso non è solo del Belgio. La guerra lunga e il dopoguerra con le sue paurose incognite troveranno la maggior parte degli operai uniti sotto la bandiera del socialismo; e i nostri nuclei resteranno isolati, se mancherà loro, in ogni paese, l'organismo politico sul quale appoggiarsi. La nostra internazionale operaia di Utrecht dovrebbe farsi iniziatrice dell'intesa con i partiti politici che sostengono una soluiione cristiana della crisi della guerra e del dopoguerra,


e spingere avanti l'organizzazione operaia cristiana in tutti i paesi liberi. Noi sappiamo quanto bene fa la confederazione internazionale di Utrecht, ma ne ~ a r l i a m operchè molte speranze si appuntano proprio sulle iniziative di Utrecht. (12 Lavoro, Lugano, 23 marzo 1940).

FIDUCIA E PAURA I1 caso dei paesi scandinavi, dopo la « pace di Mosca tra Russia e Finlandia (l), dà molto da pensare. Ora che è passato il momento delle accuse e della difesa sulla condotta della Svezia e della Norvegia, si può meglio ricostruire la psicologia che ha condotto al loro imbottigliamento n. Chamberlain non h a torto ad avvertire i neutri che non è materia indifferente anche per loro « se la guerra finisce con la vittoria della Germania o con la vittoria degli alleati ».Secondo lui, la Svezia e la Norvegia, « furono paralizzate dalla loro dottrina di neutralità, certe com'erano che nulla v'è di meglio per un piccolo paese che il non essere coinvolto nella guerra D. La critica chamberlainiana è giusta, ma la sua diagnosi non va a fondo. Quali i sentimenti che possono premere sopra un paese neutro e piccolo per una scelta che comporta dei sacrifici? Oltre quelli dell'interesse e dell'onore, che sono da lasciare al giudizio degli interessati, non vi sono che la fiducia o la paura: è di esse che possono giovarsi i belligeranti. Ora è certo che gli alleati non possono far paura ai piccoli stati neutri fino a che essi mantengono impeccabile la loro neutralità, perchè essendo paesi democratici, basati sul rispetto del diritto altrui, non sono in condizione di minacciarli a torto

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Cfr. nota 1 all'articolo n. 103.


e di violentarli contro la loro volontà. I n una parola, Francia e Inghilterra non fanno paura, ed è un onore per loro, ai piccoli paesi neutri, siano armati come il Belgio e l'Olanda, siano disarmati come la Svezia e la Norvegia. Invece è la Russia e la Germania che fanno paura. I fatti sono là: la Russia in sei mesi ha preso metà della Polonia, ha sottoposto al suo controllo gli stati baltici, Estonia, Lituania e Lettonia, e dopo una guerra di tre mesi e mezzo ( e per essa non gloriosa) ha imposto alla Finlandia il diktat di Mosca. La grande Germania ha al suo attivo ( o meglio al suo passivo) l'Austria, la Cecoslovacchia, Memel, la Polonia. Essa è stata la complice necessaria della Russia col minacciare gli scandinavi di un suo intervento (prima che arrivassero gli alleati) se non cessava la guerra in Finlandia. Dall'altro lato, non potendo gli alleati far paura, essi, per poter continuare la guerra senza una serie di casi come quello della Finlandia, dovranno saper destare nei paesi neutri, grandi e piccoli, maggiore fiducia. Non diciamo che manchi del tutto l a fiducia: manca la sensazione che una tale fiducia sia aperta, larga ed e5cace; in una parola manca quella fiducia che caccia la paura. I1 liberale News Chronicle, in un suo articolo di fondo si domanda: N Ora i nazi sono indaffarati a farcela nei Balcani. Perchè lasciarli fare? Bisogna agire fermi e svelti. Perchè lasciare che Ribbentrop e compagnia conducano una pubblicità da abbagliare, mentre la nostra diplomazia resta nelle nuvole? Perchè non mandare Churchill a Roma per parlare dell'armata britannica e Eden a Bucarest e poi a Mosca? Non hanno i ministri inglesi nessun treno speciale e nessun areoplano? » (20 marzo). Tutte belle idee o inutili secondo i casi. Possono i Churchill e gli Eden destare fiducia, non potendo incutere paura? Ecco il problema nella sua nuda semplicità. Ed è il problema che si pongono oggi i Balcani, presi come sono tra la Germania e la Russia, e nel timore che l'Italia un giorno o l'altro si decida per un'influenza balcanica tnpartita. Lasciamo il passato. Chamberlain e Daladier, per il fatto di aver deciso la guerra per difendere la libertà personale e poli-


tica dei piccoli e dei grandi stati d'Europa scontarono subito le debolezze e le mancanze dei loro paesi dall'occupazione della zona renana a Monaco (parecchi anni di disfatte). Ma la loro garanzia 'data alla Polonia fu tardiva e insufficiente: la Polonia cadde. I1 loro contegno verso la Russia che occupò la Polonia e poi gli stati baltici non dava fiducia che si volesse assumere una posizione a fondo: l'affare della Finlandia non è stato tale da aumentare la fiducia verso gli alleati, È oggi il turno dei Balcani. Essi sono già sottoposti ad una pressione enorme fin dall'inizio della guerra. La loro posizione è debole. Gli interessi contrastanti fra i singoli stati, per il momento assopiti, possono ridestarsi e divenire decisivi. La Germania e la Russia possono permettersi il lusso di qualsiasi minaccia e di qualsiasi promessa. L'Italia è, oggi, fra due egualmente forti attrazioni e tentazioni. La Turchia deve mantenersi fedele con gli alleati e corretta con la Russia. Ora, se gli alleati, in questo intrico, non riusciranno a destare fiducia nei Balcani, avranno perduto (non la guerra), ma un'altra posizione interessante, per portare avanti questa guerra di logorio. La posizione più dubbia e intanto di grande importanza per i Balcani è quella dell'ltalia. Essa ha fiducia mista a timore verso la Germania; h a paura e non fiducia verso la Russia; ma verso gli alleati non ha nè paura nè fiducia. (Popolo e libertà, Bellinzona, 29 marzo 1940).

MISTICA FASCISTA

P

Un «. congresso di mistica è stato tenuto a Milano il 2 1 febbraio. La mistica di cui si trattava non era quella cristiana, ma quella fascista. Nella relazione inaugurale pubblicata sulla stampa italiana troviamo 'questo passaggio : La mistica fascista è un fine cui tutti i fascisti possono e devono mirare. Esso ci entusiasma alla luce dell'eterna verità


che il duce ci ha rivelato, e che Arnaldo, il più mistico dei fascisti, nostro incomparabile maestro, è stato capace di mostrarci n. E così via, al punto che ci si meraviglia se non si tratta piuttosto di una... mistificazione. L'Osservatore Romano naturalmente ha protestato, tirandosi addosso un violento attacco di Regime Fascista, che ha accusato il giornale, il suo direttore conte Della Torre e i suoi collaboratori di slealtà spirituale e di ostinato anti-fascismo. I nostri filo-fascisti di qui hanno qualcosa da imparare. Peccato che così pochi conoscano l'italiano! (People a d Freedom, London, marzo 1940).

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Fascist Mysticism n.

A a Congess of Mysticism n has been held at Milan on Febmary 21. The mysticism with which it w a ~concerned was not Christian mysticism, but Fascist. In the Inaugura1 Report pubblished in the Italian Press we find the following passage : a Fascist mysticism is a goal to wich all Fascista can and should aspire. I t warms us at the light of the eterna1 truth which the Duce has revealed to W, and which Amaldo, the most myetical of Fascists, our incomparable master, was able to s h o r us n. And so on and so forth, ti11 one wonders if it is not rather a... mystification. The Osservatore Romano naturally protested, drawing upon itself a violent attack from the Regime Fascista, which accused the paper, its editor, Count Della Torre and his colleagues of spiritual dishonesty and obstinate anti-Fascism. Our pro-Fascists here have something to learn. What a pity so few of them know Italian!

LEGGI DELL'ORGANIZZAZIONE DEL LAVORO UN'INIZIATIVA BELGA Un gruppo di deputati cattolici-sociali belgi con a capo l'ex ministro Henri Heyman (presidente della lega della democrazia cristiana) ha presentato alla camera dei rappresentanti ,due


progetti d i legge, uno sul riconoscimento legale dei sindacati, l'altro sullo CI statuto legale » delle commissioni paritarie, delle convenzioni collettive e dei regolamenti professionali. Fu nel 1934 che l'on. Heyman prese una simile iniziativa e la rinnovò nel 1936; ma la camera dei rappresentanti un po' per altre preoccupazioni (specialmente di politica estera e finanziaria), un po' per incomprensione dell'importanza di tali leggi, oppure di diffidenza verso il movimento sindacale, mai ebbe il tempo di discutere i progetti Heyman. Ora questi sono stati migliorati nella redazione e presentati con un appoggio di firme tali, che i cattolici conservatori non dovrebbero sabotarli, con il sistema delle lungaggini e dei rinvii. L'atteggiamento dei socialisti è freddo, ed è naturale, ma non arriveranno ad opporsi all'approvazione. I1 primo progetto mira a dare ai sindacati, siano di operai siano di datori di lavoro, una personalità giuridica, senza troppe formalità e spese. Oggi i sindacati sono associazioni di fatto, domani diverranno enti riconosciuti. I1 principio che ne è alla base è che i sindacati sono liberi di formarsi, secondo i propri principi ed affinità; ma che per godere dei diritti legali occorre essere i n regola con le prèscrizioni stabilite. Col tempo si dovrà arrivare alla iscrizione obbligatoria in uno dei sindacati liberi, ma legalmente riconosciuti. Nel fatto, il Belgio è uno di quei paesi dove la vita sindacale è intensa e dove i margini di disinteressamento o con l'operaio o con i l padrone di officina, sono minimi. Vi sono però le zone delle classi medie e dell'artigianato che soffrono della mancanza di organizzazione, anche perchè non si riesce a trovare il modo più utile come organizzarle. La legge potrà forse servire loro di spinta. L'altro progetto è più importante. Nel Belgio esistono di fatto l e commissioni paritarie tra datori di lavoro e operai, quasi sempre rispettate; inoltre l'anno scorso fu convocata una conferenza nazionale del lavoro per proporre dei sani e pratici provvedimenti. Queste iniziative. o prese o appoggiate dal ministero del lavoro, non sono ufficiali, non hanno statuto legale, sono sorte secondo i bisogni e per l a volontà reciproca delle organizzazioni e del governo.


Dopo varie esperienze il momento è venuto che se ne fissi la legge. I n generale, è sempre meglio che l a legge segua l'esperienza e l'iniziativa, e non al contrario; ma per fare ciò occorre un forte impulso dal basso all'alto. Quando però il tempo è venuto, è la legge che sanziona il fatto e che dà valore, universalità e continuità. È quel che auguriamo ai cristiano-sociali del Belgio. ( I l Lavoro, Lugano, 13 aprile 1940).

ANNIVERSARI

I. GUERNZCA, 27 aprile 1937 I1 nome di Guernica è segno di contraddizione. Anche oggi vi sono di quelli che credono che la venerata città dei baschi sia stata distrutta dagli incendiari rossi. Hilaire Belloc è arrivato a l punto di scrivere un articolo per screditare il C mito di Guernica; e il mito per lui è la distruzione della città per mezzo delle bombe incendiarie sganciate dagli aviatori tedeschi al servizio di Franco. Per coloro che sono di questa opinione, la relazione inviata dal clero basco a l papa dopo il bombardamento non ha valore. I1 resoconto dell'incursione da parte di un giornalista fascista al seguito delle truppe del generale Franco, pubblicato sul Messaggero di Roma il 28 aprile, che parla della « massa di esplosivo » sganciato dalle C( forze aeree nazionali n, viene d i conseguenza ignorato. E così i resoconti di stimabili testimoni . oculari. Alcuni membri del People and Freedom Group hanno avuto resoconti di prima mano da due di tali testimoni, il signor de Mardones, i l segretario dei sindacati cristiani baschi, la cui casa a Guernica è stata ridotta in rovine, e frate1 de Urrutia, il quale, da un villaggio delle vicinanze, osservò gli incursori.


La parte avuta dalla aviazione tedesca, la famosa legione Condor, nella guerra contro i baschi, è stata per qualche tempo apertamente riconosciuta. Il suo comandante, generale Sperrle, ora capo dell'aviazione tedesca sul fronte occidentale, l'ha esaltata su Die Wehrmacht (30 maggio 1939), dicendo che: « tutte le proposte della legione Condor venivano accolte con benevolenza e obbedite D. Oggi, ricordando il fato di Guernica, vorremmo esprimere la speranza che il popolo basco possa riconquistare le sue tradizionali libert,à, come parte di una libera Spagna federata.

11. ALBANIA, 12 aprile 1939 I1 venerdì santo dell'anno scorso le navi da guerra e l'aviazione italiane annunziarono l'occupazione dell'Albania. Quindici giorni più tardi 'il re d'Italia nel suo discorso alla camera delle corporazioni faceva esplicito riferimento all'amicizia che legava Italia e Albania. Ciò non ha impedito che l'Albania divenisse una provincia italiana, perdendo la sua indipendenza. Oggi, quando abbiamo veduto la Finlandia cedere una parte del suo territorio alla Russia e perdere la sua sicurezza, non possiamo non ricordare la conquista dell'Albania. La dittatura non ha scrupoli quando si tratta di piccoli stati. E Francia e Inghilterra si sono assunte una pesante responsabilità permettendo alle dittature di fare quello che vogliono. Anche per l'Albania, il giorno della libertà deve venire. People and Freedorn, London, aprile 1940).

ANNIVERSARIES I. Guernira, Apri1 26, 1937. Tbe name of Guernica is a sign of contradirtion. Even to-day there are those who believe that the venerated city of the Basqiies was destroyed t))Red incendiarism. Mr. Hilaire Belloc went so far as to write an article to explode the u myth r of Guernica, the myth for him being the destmction of the city by the incendiary bombs dropped by German airmen in Franco's service. For those o£ this mind the raport sent to the Pope hy the Basqiie clergy aftrr the bombardment is without value. The account of the raid, by


a Fascist journalist with General Franco's forces, published in the Messaggero of Rome on Aprile 28, and speaking of the a masses of explosives n dropped by a national aircraft R, is consistently ignored. So are the accounts of reputable eye-witnemea. Membres of the People and Freedom Group have had first-liand accounts from two such eye-witnesses - sei501 de Mardones, the secretary o£ the Basque Christian Trade Unions, whose own house in Guernica wae reduced to ruins, and Father de Urrutia, who, hom a neighbouring hill village, watched the raiders. The part played by German aviation, the celebrated Condor Legion, in the war on the Basques, has for some time been openly avowed. Its commander, General Sperrle, now head of the German Air Force on the Western Front, boasted o£ it in Die Wehrmacht (May 30, 1939), sayng that: a ali the proposals of the Condor Legion were gaciously accepted and obeyed a. To-day, in remembering the fate of Guernica, we would exprese our hope that the Basque people may regain their traditional liberties. as palt of a free and federa1 Spain.

11. Albania (Apnl 12, 1939). On Good Friday of last year Italian warship and aircraft heralden the occupation of Albania. A fortnight earlier the King of Italy in hia apeech to the Chamber of Corporations had made explicit reference to the friendship binding Italy and Albania. This did not prevent Albania from becoming an Itaiian province, losing her independence. Toy-day when we have seen Finland yield a part of her temtory to Russia and lose her security, we cannot but reca11 the seizure o£ Albania. The dictatorship have no scrupules where the smali States are concerned. And France and England have incurred a heavy responsability in allowing the dictatorship to do what they will. For Albania too, the day o£ freedom must come.

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L'IMPERO BRITANNICO (*) Signor direttore, nei quindici anni che ho trascorso in Inghilterra non ho (*) Lettera al Manehter Guamlion, con il sottotitolo a Risposta alle accuse naziste B.


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mai smesso di insistere che la frase « avere o non avere le torri », nell'attuale situazione internazionale, è non un senso, che serve gli scopi di coloro che intendono attaccare anzitutto la Gran Bretagna e il suo « impero P. I n verità la parola « impero D non è molto adatta ad indicare sia il Commonwealth britannico o l'India e le colonie oltremare, ma è un termine comprensivo e comodo. Con altro significato era stato adottato dall'Italia fascista, anche prima della conquista dell'Abissinia; con un significato ancora diverso viene oggi esteso allo « spazio vitale » reclamato dal Terzo Reich. Anche la Spagna ha oggi ripristinato il termine a impero ». Per i paesi totalitari l'« impero » è un emblema di conquista o di espansione nazionalista, mentre per l'Inghilterra esso diventa un'accusa dalla quale essa deve difendersi. La guerra che la Germania sta combattendo è per lo spazio vitale di un popolo soffocato, mentre quella degli alleati è (orribile a dirsi) u una guerra imperialistica n! In una recensione di For Democracy, edito dal People and Freedom Group, ( a l quale ho collaborato), un periodico irlandese accusa il gruppo di inconsistenza poichè « appoggia l'attuale stupido e criminale conflitto imperialistico », mentre esso ha nel suo programma l'arbitrato obbligatorio fra gli stati. Tutti gli anti-imperialisti di qui non si rendono conto che, fra tutti gli imperi che la storia ci ha mostrato, i due imperi attuali, quelli della Gran Bretagna e della Francia, sono i meno caratterizzati da sfruttamento, e i più civili. Ciò non significa negare che ci possano esser stati nel passato fatti riprovevoli o che non ci possano essere cose da correggere nel presente, ma quella che possiamo chiamare politica imperiale si è sviluppata su linee di mutua comprensione e collaborazione fra i popoli e con una disciplina largamente accettata e fondata sul consenso. Si può dire ciò dei sistemi che oggi vengono applicati in Austria, Cecoslovacchia e Polonia? suo LUIGI STURZO Londra, 12 aprile 1970. (nlanchester Guartlian, Manchester, 17 aprile 1940).


BRITAIN EMPIRE Sir, In the 6fteen years I have been in England I have never ceased to insist that the pbrase a have and have-not Towers n, in the present intrrnational conditions, was nonsensical, serving the purposes of those who wished to attack above ali Great Britain .and her u Empire n. Indeed, the word u empire » is none too apt to indicate eitlier the British Commonwealth or India and the colonies overseas, but it is comprehensive and convenient. With another meaning it was adopted by Fascist Italy, even before the conquest of Abyasinia; with yet another meaning still it is to-day extended to « the vita1 space » claimed by the Third Reich. Spain .t00 has now revived the word u empire n. For the totalitanan countries the a empire » is an emblem o£ conquest or of natibnalist expansion, whilst for England it becomes an indictment against which she must defend herself. The war wbicb Germany is fighting is for the vita1 space of a suffocated people, wbilst that of the Allies is (horrible to say) e imperialistic war n! In a review of u For democracy D, edited by the People and Freedom Group (in which I collaborated), an Irish magazine accused the group O£ inconsistency because it a supports the present stupid and criminal impenalistic conflict n, while it as in its progamme compulsory arbitration between States. Al1 these anti-impenalists here do not realise that, amog al1 the empires which history has shown us, the two empires to-day, those of Great Britain and France, are the least tainted by exploitation and the most civilised. This is not to deny that there may have been regrettable dee& in the past or that there may be things to be rectified in the present, but what we may call impenal policy has worked on lines of mutua1 comprehension and collaboration amog the people and with a discipline largely accepted and founded on consent. Can this be said of the system wicb to-day are applied in Austria, Czecho-Slovakia, and Poland? Yours, Luigi Sturzo

109.

PROBLEMI DELL'EUROPA FUTURA La nuova Germania

I1 comitato esecutivo del Labour Party ha posto bene i ter-

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mini della questione quando ha precisato il compito dell7Inghilterra nella costruzione della pace, riguardo sia alla Germania che alla Francia. Per la Francia, dovrà l'Inghilterra esser garante della sua sicurezza in caso di attacco da parte della Germania; e per questa, deve essere garante della sua integrità ed eguaglianza di diritti con gli stati vincitori. C'è, però, un'incognita; messa sullo stesso piede della Francia e dell'hghilterra non preparerà la Germania una terza guerra? I laburisti domandano come condizioni che i l nazismo sia abbattuto e che venga stabilito in Germania un sistema politico i cui fini e i cui bisogni siano sullo stesso piano dei nostri n. Escludiamo che ciò venga imposto dall'esterno, essi pensano che a ciò si arriverà per un'evoluzione interna. Psicologicamente hanno ragione, ma chi garantisce dello spirito di rivincita dei tedeschi da qui ad altri vent'anni? Forse non si ebbe nel 1919 la repubblica di Weimar? Noi non vogliamo dare la colpa della nascita e del trionfo del nazismo solo ai tedeschi; gli alleati ci sono per qualche cosa: per incomprensione, per dissensi fra Inghilterra e Francia, per paura del bolscevismo, per pressione capitalista, per simpatie a l fascismo e al nazismo stesso. Ma detto questo, non possiamo non riconoscere come lo spirito prussiano non era assente dalla repubblica di Weimar, che lo stesso spirito h quello che propagò il nazismo e che, purtroppo, non sarà estinto con l a nuova sconfitta. Gli avvenimenti di oggi ci debbono mettere in guardia. La disintegrazione della Cecoslovacchia e la tragedia della Polonia sono l à a testimonio: deportazione di popolazioni come ai tempi degli assiri e dei persiani della Bibbia; provincie intere ridotte a campi di concentramento di milioni di ebrei e di polacchi; trapianto forzato e accelerato di tedeschi in Posnania, Pomerania e Slesia; sterminio per fame, rappresaglie e uccisioni in massa. Tutto ciò è fatto col consenso di milioni di tedeschi, perchè non è estraneo alla mentalità prussiana, quale forgiata dai cavalieri teutonici, dai Brandeburgo, dagli Hohenzollern, da Bismarck e dai teorici nazionalisti von Bernhardt e von Treischke. Occorre una grande purificazione morale e psicologica della


Germania avvelenata, il che non può avvenire che attraverso nuove classi dirigenti che, per un processo progressivo arrivino a dare alla Germania completa coscienza del suo ruolo in una Europa civile e affrancata dallo spettro della guerra ricorrente. P e r ottenere ciò è necessario che gli alleati, sia durante la guerra, sia nei preliminari e nei trattati di pace, sia nell'esecuzione del piano di assestamento, appoggino apertamente quelle correnti germaniche che siano con sincerità per il nuovo ordine europeo, per la libertà, la democrazia, le riforme sociali ed economiche, la morale internazionale, la Società degli stati a tendenza federale e basata sui principi della civiltà cristiana. Una società delle nazioni dove potevano stare insieme democratici e fascisti, nazisti e bolscevichi fu l'errore che oggi si paga; allo stesso modo che oggi si paga la teoria del così detto « non intervento » negli affari degli altri paesi, anche se questi affari preparavano la guerra. I1 principio federativo crea il diritto di un certo intervento, perchè stabilisce il cointeresse e la cooperazione fra gli stati: per quanto limitato, tale intervento deve essere efficace. Se Francia e Inghilterra formeranno (come è da credere) il nucleo della federazione futura, avranno il diritto di esigere che gli altri stati che vorranno confederarsi abbiano principi etici e ,politici della stessa natura. Una Germania da federarsi con gli alleati d i oggi non potrà essere libera di avere quel governo che imporranno i suoi leaders del momento per prepararne poi una dittatura di sinistra o di destra. Si suole parlare della Germania come stato unitario; ma se domani gli antichi stati del secondo Reich o della repubblica di Weimar vorranno riavere la loro personalità, perchè non agevolarli? Chi dei veri bavaresi volle mai la distruzione della più volte secolare Baviera? ( e qui non intendiamo parlare dell'Austria che è un problema a parte). E se la Renania vorrà riavere la sua autonomia, e non essere legata al carro prussiano, forse dovrà ciò impedirsi? in nome di quale principio? Una confederazione germanica non corrisponde forse alla vera natura d i quel popolo e ai suoi interessi culturali e politici e al bene dell'Europa? Nessuno domanda che ciò sia imposto con la forza, ma con la persuasione e l'aiuto, perchè l'importante


per tutti, tedeschi e non tedeschi, si è che prevalgano, anche in Germania, le correnti cristiane, democratiche e federali per poter continuare la nuova Europa. Oltre l'orientamento e l'aiuto per tali correnti, da parte degli alleati, c'è chi domanda delle garanzie materiali prima di concedere alla Germania la parità completa. I1 problema è serio e degno di studio. Quel che importa si è che i nuovi gruppi dirigenti tedeschi abbiano piena sicurezza che dopo un periodo fissato d'accordo e adempiute tutte le condizioni, stabilite anch'esse d'accordo, la Germania ottenga la parit,à necessaria a far parte del nuovo ordine politico, economico e internazionale.

La ricostituzione dell'dustria Tra i fini della guerra è stato posto quello della ricostituzione dell'Austria. I1 problema merita un esame e un dibattito al quale gli stessi austriaci dovrebbero prendere parte. Esso non è solamente austriaco; è un problema internazionale di primo ordine e sul quale l'Italia avrebbe da dire la sua parola, quando essa avrà chiarito meglio la sua politica vis-à-vis degli alleati e dei fini della presente guerra. I laburisti, nel loro appello, ammettono un plebiscito austriaco per decidere se restare con la Germania o divenire stato indipendente. È questa, per me, una visione erronea e pericolosa. L'Austria (dopo la vittoria degli alleati) non può restare una provincia della futura Germania, ma deve riavere la sua personal'ità di stato. Anche è prematuro dire se la Germania resterà uno stato unitario o diverrà uno stato federale. Ciò dipenderà in parte dagli stessi tedeschi e in parte dagli alleati, che dovranno agevolare e favorire quelle correnti, che aiuteranno a risolvere i problemi tedeschi nel quadro internazionale, come abbiamo più sopra chiarito. Ma anche in una Germania federale, l'Austria dovr,à avere un posto a sè, perchè la Austria appartiene al sistema danubiano del centro-est-Europa. Il suo principale problema 6 geografico ed economico: la politica non può non subirne le leggi.


Per arrivare a questa conclusione bisogna modificare la rigida concezione nazionalistica della lingua, della razza e della maggioranza dominante, e occorre passare a quella della coesistenza dei vari popoli in stati e gruppi di stati costituiti in base alla geografia e all'economia. Bisogna passare dalla concezione dello stato politicamente autoritario e militarizzato, a quello economico-produttivo. Questo punto di vista è più largo del semplice problema austriaco, ma ne è una premessa necessaria. L'errore del 1919 fu di non promuovere la federazione degli stati successori. L'Austria e l'Ungheria furono guardate come paesi vinti, di fronte alla Jugoslavia, Cecoslovacchia e Romania che passarono come partecipanti alla vittoria. Lo stesso errore che fece classificare la Bulgaria di là e la Grecia di qua, mentre la Turchia seppe rivendicare la sua posizione equidistante. Alla fine della nuova guerra vincitori e vinti dovranno convenire in congresso sul medesimo piano morale per rifare 1'Europa d'accordo, in uno spirito di larga comprensione e cooperazione. L'Austria dovrà rivivere come stato: non la repubblica dal 1919 n è l'Austria nazionalista di Dollfuss del 1934, nè l'Austria asburgica, « dualista o trialista », ma l'Austria federata con la Cecoslovacchia, l'Ungheria e la Romania: la federazione danubiana. Per il loro sbocco sull'Adriatico e il Mediterraneo occorreranno speciali accordi con l'Italia da un lato e con gli stati balcanici dall'altro. ( I n questa visione una vera federazione balcanica sarà anch'essa una necessità internazionale). L'Italia avrà tutto l'interesse di dare il suo appoggio politico ed economico alla federazione danubiana (come alla federazione balcanica). Il sistema meridionale dell'Europa non potrebbe avere consistenza senza l'Italia in una funzione d i baluardo verso l'est e di ponte verso l'ovest. È evidente che anche l'Italia dovrà modificare le sue vedute nazionalistiche e i suoi sogni imperiali di un Mediterraneo u mare nostrum 11. Ma questo è un altro problema, che in tanto si collega a quello danubiano, in quanto l'Italia di Trieste e di Fiume dovrà pensare che il suo hinterland economico è al nordest ed est e che il suo sistema futuro non potrà essere d i dipendenza verso la Germania e di lotta verso la Francia, ma in coo-


perazione con l'economia francese, per gli scambi verso i paesi del centro e dell'est dellYEuropa. Chi non vede così i problemi futuri, continua a pensare ad un'Europa ancora militarizzata e a porre le premesse per una terza guerra. ( I l Mondo, New York, aprile 1940).

PAGINE DI STORIA DEL SINDACALISMO CRISTIANO Al principio del secolo XIX fu instaurato in vari paesi il regime di libertà politica (esteso in seguito a tutta l'Europa e alle Americhe), ma la classe operaia non vi aveva diritto di organizzarsi. La borghesia dominante aveva paura degli operai; però le agitazioni operaie furono tali che la borghesia dovette cedere. Prima della grande guerra i sindacati operai erano diffusi in tutto il mondo civile. Essi furono dapprima tollerati, poi consentiti e infine più o meno riconosciuti. L'istituzione dell'ufficio internazionale del lavoro (1919) ne consacrò l'esistenza anche nel campo internazionale. Nell'Italia del dopoguerra (1919-1921) i sindacati vi erano consentiti e riconosciuti, benchè non avessero lo stato giuridico che i popolari avevano proposto alla camera dei deputati. Vi erano, nel primo dopoguerra, i sindacati socialisti con la confederaziane del lavoro (1.500.000 iscritti); i sindacati cristianosociali con la confederazione italiana dei lavoratori (1.200.000 iscritti); la confederazione sindacalista (300.000 iscritti). Ultimi i sindacati fascisti che nel 1921 acquistavano il monopolio legale, ma da principio non avevano neppure 50.000 iscritti. F u nel 1921 che i fascisti sferrarono l'offensiva contro i sindacati e le cooperative socialiste, attaccate a mano armata e con gli incendi delle case del popolo. Presto l'attacco si estese alle leghe e cooperative cristiano-sociali, o più comunemte dette, in Italia, democratico-cristiane.


I1 Veneto subì la pressione nel 1921, in Toscana infierì la lotta nel 1922 e si estese in Emilia; nel 1923 nelle Romagne e i n Lombardia, nel 1924 in Sicilia e altrove. Chi non ricorda il gesto di Pio XI che mandò l'offerta di mezzo milione ai circoli e leghe della Brianza (Monza) danneggiate nell'aprile 1924 dalla furia fascista? Ma tutti resistevano brillantemente, appoggiati al partito popolare che conduceva allora la campagna per la libertà in Italia. Fu tra la fine del 1924 e il 1925 che si tentò di scindere la solidarietà di resistenza tra partito e confederazioni di sindacati e cooperative. I capi dell'azione cattolica, in perfetta buona fede, per salvare il movimento cristiano-sociale, lo posero sotto la propria egida con il motto: a l di fuori e a l di sopra della politica. Certi dirigenti noti per il colore popolare si dimisero o furono invitati a dimettersi dalle cariche che occupavano; furono date assicurazioni al governo fascista in tal senso. Si credette che il salvataggio fosse riuscito. Infatti, nel novembre 1926, venne sciolto per decreto reale il partito popolare (oosì come il socialista); ma già i primi provvedimenti sindacali avevano fatto capire che c'era poco da sperare anche per la confederazione. Pochi mesi dopo fu assicurato il monopolio sindacale ai fascisti, le confederazioni furono sciolte, le leghe locali ridotte a ombra senza realtà caddero nel discredito e infine furono disperse come ingombro gi,à cadaverico. L'azione cattolica volle tentare un ultimo ripiego; fondò nel suo seno l'istituto sociale e cercò di fare una specie di anagrafe per classi. Anche di ciò s'insospettivano e si irritavano i fascisti. Breve: l'azione cattolica fu costretta a non parlare più nè di anagrafe nè di istituto sociale. Come ciò non bastasse, a poco a poco furono fatte cadere la federazione delle banche cattoliche ( e molte banche furono prese dai fascisti o furono fatte fallire); la federazione nazionale delle casse rurali (con sorte simile alle banche) e le altre cooperative, mutue, affittanze collettive, in tutto circa cinquemila. Così il movimento sociale cristiano d'Italia - i cui timidi e incerti inizi rimontano a poco dopo la conquista della libertà


politica ( i l primo congresso cattolico fu del 1874), e il cui sviluppo si deve alla Rerum Nwarum di Leone XIII - cadde nel nulla appena fu proclamato lo stato totalitario ed eliminato il partito popolare che aveva dato al movimento sociale cristiano slancio e spirito d i conquista. Da questa storia derivano due constatazioni inoppugnabili: 1) i sindacati operai non possono sorgere che in regime di libertà politica e tale libertà deve essere conquistata e salvaguardata dalla stessa classe operaia contro ogni tentativo d i manomissione ; 2) i sindacati operai non potranno ottenere le leggi necessarie alla loro esistenza e sviluppo e alla tutela delle classi lavoratrici se non hanno a diretto o indiretto » influsso nella vita politica del paese. ( I l Lovoro, Lugano, 4 maggio 1940).

ECONOMIA DEL DOPOGUERRA I1 partito laburista, nel suo manifesto sugli scopi della guerra, guarda al socialismo per fornire una base all'ordine sociale ed economico del dopoguerra. Ma finchè il significato del socialismo e dell'economia socialista rimane vago, variamente interpretato com'è, sia in Inghilterra che nel continente, v e s t a dichiarazione ha semplicemente un carattere generale e politico. I n ogni caso è così difficile prevedere le ripercussioni della guerra sull'economia mondiale che è impossibile stabilire non un sistema ideale, ma un sistema che voglia essere realmente attuabile. Ben poco può essere fissato durante la guerra come scopo definitivo d i ricerca e di realizzazione, poichè le esigenze della guerra si sovrappongono a tutte le altre. Ma quel poco dev'essere stabilito e studiato. Se questo programma minimo viene a coincidere con le idee socialiste o liberali o cristiano-sociali, ciò

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può portare una certa soddisfazione politica e morale a coloro che sostengono tali idee. Ma ciò può essere soltanto cammin facendo; quel che dobbiamo fare è cercare senza pregiudizi la maniera migliore di superare la crisi. Limitiamoci per il momento a taluni punti fondamentali sui quali è necessario raggiungere un'intesa preliminare.

I. L'economia del dopoguerra dovrà essere caratterizzata da vaste imprese al fine di far fronte alle ristrettezza di tutti, e necessiterà di immensi capitali. L'economia del dopoguerra, cume quella precedente alla guerra, sarà ancora basata sul capitale; non può essere concepita in termini di soppressione di ogni capitale. L'alternativa non sarà, come qualcuno crede, fra la persistenza o la soppressione del capitale, ma fra i privati e lo stato quali produttori e distributori d i capitale. Gli stati totalitari hanno fatto vari esperimenti nel campo del capitalismo di stato, dal 1917 in poi. Sfortunatamente una larga parte della loro economia ha coinciso con il vasto incremento della produzione bellica, con l a diminuzione della produzione totale, con la soppressione della libertà di commercio, per non parlare delle libertà politiche e sindacali che hanno il loro valore nella vita economica. Ciò che bisogna tener bene presente, è che lo stato capitalista ha da essere uno stato autarchico, chiuso da barriere economiche e politiche: esso è per definizione restio ad ogni forma di federazione internazionale. 11. 11 che ci porta al secondo punto: un'economia non può più essere ancora strettamente nazionale ma dev'essere internazionale. La federazione richiede un'economia aperta e non chiusa. L'autarchia è per definizione anti-federativa; ma bisogna rendersi conto che essa è anche anti-economica. Incrementa lavoro e costi di produzione per una distribuzione inadeguata spesso accompagnata da un deterioramento di qualità. L'economia del dopoguerra dovrà essere federativa. Ogni unità federativa dev'essere in grado di formare, per quanto è possibile, iina unità economica. Ma esse non saranno mai autosufficienti; ogni unità federativa deve aver parte nell'economia


interfederativa. I1 problema monetario dovrà essere riesaminato a questo scopo.

111. I due problemi principali che dovranno essere affrontati non appena finita la guerra saranno la smobilitazione delle forze armate e quella delle industrie belliche. Bisognerà trovare lavoro a milioni e milioni di uomini, in ogni paese, inclusi quelli neutrali e non-belligeranti. Le fabbriche dovranno essere trasformate e nuovi impianti installati, e ciò richiederà capitali sufficienti e provvedimenti tempestivi e adeguati. Gli Stati Uniti sono coinvolti in questo problema, come mostra la lettera di Welles a Reynaud; ma questo è stato tutto. Progetti tecnici sia per grandi lavori pubblici di interesse internazionale sia per lavori di ricostruzione interna, u n piano finanziario, un inizio di collaborazione internazionale, tutto ciò dev'essere subito messo in piedi. La guerra può durare un anno o tre, ma non aver nulla di pronto quando verrà il momento sarebbe un grave errore con conseguenze terribili. IV. E il capitale necessario? I governi devono rendersi conto adesso che l'economia di guerra non può finire con l'armistizio ma dovrà essere continuata con altri scopi per tutto il tempo necessario per raggiungere un trapasso ordinato e naturale ad una economia di pace. Perciò, così come per la guerra tutti i mezzi possibili vengono impiegati per mettere in grado le tesorerie di venir incontro alla domanda sulle necessità d i guerra, così per il primo periodo dopoguerra le tesorerie dei diversi stati dovranno essere in grado di far fronte alle nuove esigenze. Tutto ciò non esaurisce il tema del sistema economico del dopoguerra; per questo ritorneremo sull'argomento il prossimo mese, (People and Freedom, London, maggio 1940).

POST WAR ECONOMY The Labour Party in its manifesto on war aims looks to Socialism to provide a basis for the post-war social and economic order. Bnt so long as the meaning of Socialism and o£ Socialist economy remains vague, va-


riously interpreted as is both in England and on the Continent, this declaration has simply a genera1 and politica1 character. In any case it is so ditlìcult to forsee the repercussions o£ the war on world economics as to make it impossible to establish, not an idea1 system, but a system that will be really workable. Little can be fixed during the war as definite aim of research and realisation, since the requirements o£ the war overshadow al1 others. But that little should be established and studied. I£ this minimum programme happens to co-incide with Socialist or Libera1 or Christian-Social ideas. this may bring a certain politica1 and mora1 satisfaction to those upholding them. But that can only be by the way; what we must do is to enquire without prejudice into the best manner of overcoming the crisis. Let us confine ourselves for the momeut to certain fundamental poinis on which it is necessary to reach a preliminary agreement.

I. The post-war economy will have to be one vast enterprises in order to cope with the distress o£ al1 peoples, and it will need immense capital. The post-war economy like the pre-war economy will stiU Le based on capital; it cannot be conceived in terms of the suppression of al1 capital. The alternative will not as some believe between the persistente or suppression of capital, but between the pnvat individua1 and the State as producer and distributor of capital. The totalitarian States have made various experimenta in State-capitalism from 1917 onwards. Unfortunately a large part of their economy has coincided with the vast increase of war production, with the decrease of total production, with the suppresaion of liberty of trade, not to speak of the politica1 and trade union liberties which have their own value in economic life. What must be bome in mind is that the capitalist State has to be a self-contained State, shut it by economic and politica1 barriera. It is by definition recalcitrant to any form of international federation. 11. This bringe us to the second point: that an economy can no longer be strictly national but must be international. Federation requires an open and not a closed economy. Autarky is by definition anti-federative. But it should be realised that autarky is also anti-econornic. It increase labour and productioncosts for an inadequate distribution often accompanied by deterioration o£ quality. The post-war economy will have to he federative. Each federative unit should be able to form. in so far as possible, an economic unit. But theae will never be self-su5cient; each federative unit must share in the interfederative economy. The monetary problem will have to be re-examined to this end.

111. The two overhelming problems that will have to be faced as sooa as the war is nver wiii be the demobilisation of the F o r c a and the demobilisation o£ war industriea. Work will need to be found for millions and millions of men in al1 countries, including the neutrals and non-belli-


gerants. The factones will have be transformed and new plant installed, and this will call for sufficient capita1 and speedy and adequate provisions. The United States are cnncerned over this problem, as the letter from Mr. Welles to M. Reynaud showed. But that has been all. Technical projects both for big public works o€ international interest and for interna1 reconstruction-work, a financial plan, a beginning o£ intemational collaboration, al1 this should be set on foot at once. The war may last a year or three years, but to have notbing ready when the moment comes whould be a very grave error with terrible consequences. IV. And the capital required? The govemments must realise nou: that the war economy cannot end with the armistice but will have to be continued with other aims for as long as may be necessary to achieve an orderly and natura1 transition to a peace-time economy. Thus, just as for the war al1 possible means are employed to enable the Treasunes to meet the demands on them, so for the first poet-war period the Treasuries v£ the vanous States must be enabled to face the new requirements. Al1 this does nnt exhaust the theme of the post-war econnmic system, so we shall retum to the subject next month.

LA TRAGEDIA DEL BELGIO Essere invaso due volte in venticinque anni solo perchè è geograficamente posto tra le frontiere di due grandi stati, è certamente una tragedia per un paese pacifico, industrioso e progressista come il Belgio ('). Ma nella sua prima disgrazia esso toccò la grandezza per il suo valore militare, la sua tenace resistenza all'invasore, e tre grandi figure fra molte altre si levarono allora a rappresentarlo: re Alberto I, il cardinal Mercier, e il borgomastro Max di Bruxelles.

( l ) All'alba del 10 maggio 1940 le forze corazzate tedesche invasero Olanda e Belgio. I tedeschi, adottando il piano del gen. Manstein. concentrarono un formidabile attacco nelle Ardenne (15 maggio), aggirando la linea Maginot che i francesi ritenevano insuperabile. Tagliate fuori, le armate inglesi e francesi, concentrate in Belgio, furono costrette a ripiegare su Dunkerque e ad attraversare la Manica per riparare in Inghilterra. I1 5 giugno


Oggi un Belgio glorioso nella resistenza dei suoi soldati è stato umiliato dall'atto di Leopoldo 111, il quale, tradendo Francia e Gran Bretagna, che avevano dato immediata risposta alla richiesta di aiuto di questo paese, ordinò una resa nel corso di una battaglia, e si consegnò al nemico. La decisione di re Leopoldo non è solo stata vergognosa dal punto di vista militare e internazionale, ma significa una violazione del suo giuramento costituzionale al popolo. Perciò nessun ministro h a messo la sua firma alla decisione del re nè si è assunto la responsabilità di ciò come richiede la costituzione, nè il parlamento è stato convocato. È bene ricordare come nel 1914 re Alberto, prima di assumere il comando dell'esercito, venne egli stesso in parlamento a d affermare la sua volontà di resistere. d'accordo con i rappresentanti della nazione. Leopoldo, al contrario, benchè supplicato dai suoi ministri, rifiutò questo atto di lealtà. E quando al gran quartier generale i ministri lo pregarono di accompagnarli se diventava necessario abbandonare il paese, e lasciare a d altri il comando delle truppe d'accordo con gli alleati, egli rifiutò. Infine, quando egli propose la capitolazione, non uno dei ministri l'accettò, e quando il generale Denis gli ricordò che la capitolazione durante una battaglia in corso era contro le regole militari dello stato, si scontrò con il freddo, premeditato proposito del re. E Leopoldo sapeva che il paese non era con lui, salvo i filo-tedeschi rexisti, mentre i conservatori cattolici, i democratici cristiani, i liberali e i socialisti anche prima della aggressione avevano dimostrato chiaramente che l e loro simpatie erano per gli alleati. È bene per il Belgio che il governo d i Pierlot - un gabinetto di coalizione di cattolici, socialisti e liberali, fatto di uomini semplici i quali, pur senza personalità preminenti, erano

incominciò la battaglia di Francia ed il 14 i tedeschi entravano a Parigi. Dal canto SUO il re del Belgio, Leopoldo 111, sin dal 28 maggio aveva ordinato al suo esercito di deporre le armi, attirandosi aspre critiche da parte dell'opinione pubblica delle potenze occidentali e soprattutto del primo ministro francese Paul Reynaud.


tuttavia uomini di carattere onesti e sensibili - è stato in grado di resistere al re e di tirar fuori il paese dalla vergogna di cui il re l'aveva coperto. I cinquantnquattro senatori (su centoventi) e gli' ottantanove deputati (su duecento) fuggiti in Francia, si incontrarono a Limoges e approvarono l'atteggiamento del governo. I1 governo ha decretato che quell'esercito che si può ricostituire continuerà a combattere a fianco degli alleati, e che tutte le risorse del Congo saranno poste a disposizione della causa comune. I rappresentanti dei sindacati cristiani e socialisti, che radunano tutti i lavoratori del Belgio, hanno dichiarato la loro solidarietà con il governo. Sono segni di una vigorosa coscienza nazionale. Ciò che ci preoccupa, di fronte a tanto coraggio, è la divisione che deve avvenire in Belgio tra i sostenitori del re e quelli del parlamento. Non sarebbe molto grave se, dopo la vittoria degli alleati, il parlamento e il popolo belga, nell'esercizio del loro diritto, si sbarazzassero di un re che, d'ora innanzi (com'è stato dichiarato a Limoges), (C non è più in condizione morale e giuridica per regnare D. Ma in Belgio esiste un'altra divisione, la diversità di lingua tra fiamminghi e valloni, che può venir polarizzata attorno al re e al parlamento e rendere così impossibile la restaurazione dello stato belga. Sia i belgi emigrati che gli alleati devono pensare adesso a questo, in modo da evitare un prolungamento della causa di Leopoldo dopo la guerra. E poichè re Leopoldo è oggi nelle mani del nemico e i suoi atti non sono più liberi, sarebbe bene se egli venisse formalmente deposto e venisse nominato un reggente in nome del figlio Baldovino I. Un Belgio ricomposto ad unità come stato deve continuare ad esistere. Non ci dev'essere alcun tentativo di dividerlo in due, facendo della Fiandra e della Vallonia due monconi da unire all'olanda e alla Francia. Domani, nella federazione europea che certamente deve e sarii raggiunta, il Belgio deve avere un posto d'onore poichè il suo onore è stato salvato dal suo governo, dal suo parlamento, dal suo esercito, nel momento più tragico della sua storia. (People ond Freedom, London, giugno 1940).


THE TRAGEDY OF BELGIUM To be twice invaded in 25 years simply because she is geogaphically situated between &e frontiera of two great States, M assurediy a tragedy for a peaceful, industrions and progressive country like Belgium. But in her first misfortune she rose io geatness by her military valour, her tenacious resistance to the invader, and three grand figura, among many others, then stood out to represent her - King Albert I, Cardinal Mercier, and Burgomaster Max of Bruxelles. To-day a Belgium glorioua in the resistance of her soldiera has been humiliated by the act of Leopold 111, who, betraying France and Great Britain, which had given immediate reuponse to his country's plea for aid, commanded a surrender in the middie of a campaign and grave himself up to the enemy. King Leopold'5 decision was not only shameful from the military and international point of view, but meant a violation of his constitutional oath to his own people. For no Miniiter would give hia signature to the King's decision and assume responsability for it as the Constitution demanded, nor was Parliament summonded. It is well to remember how in 1914 King Albert, before taking command of the Army, went himself to Parliament to &rm his will to resist in accord witb the representatives of the nation. Leopold, on the contrary, though besought by his Ministers, refused such an act of loyalty. And when at G. H. Q. the Minister begged him to accompany them if it became necessary to leave the country, and to hand over to others the command of the troops ir; agreement with the Allies, again he refused. Finally, when he proposed the capitulation, not one of his Ministers accepted it, and when Genera1 Denir reminded him that capitulation in a campaign in course was against the military regulations of the State, he was met by the cold, premeditated purpose of the King. And Leopold knew that the country was not with him, except for the pro-German Rexists, whereas Catholic Conservat i v a , Christian Democrate, Liberal and Socialist even before aggession had shown clear that their sympathiea were with the Allies. I t is good for Belgium that M. Pierlot's Government - a Coalition Cabinet of Catholics, Socialiste and Liherals, made up of simple men who, none of them outstanding were yet honest and sensible men of character -was able to resist the king and raise their country out of the shame with which he had covered it. The 54 Senators (out of 120) and the 89 Deputies (out of 200) who fled to France met at Limoges and endorsed the Government's attitude. The Governmcnt has decreed that such an army as they can raise shall continue to fight side by side with the Aliies, and that al1 the reuources of the Congo shall be placed at the disposal of the common cause, The representative of the Christian and Socialist Trade Unions, which embrace ali the workers of Belgium, have deciared their solidarity with the Government. Here are signs of a vigorous national conscience.

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What make us anrious, in the face of so much courage, is the split that must come about in Belgium between the supporters o£ the King, and those o£ Parliament. It would be no harm if, on the victory o£ the Allies, the Parlament and the People should, in the excercise o£ their right, rid themselves of a King who, henceforth (as was declared at Limoges), is no longer in a mora1 and juridical condition to reign n. But in Belgium there exists another division, the language split between Flemings and Walloons, which may be polarised round King and Parliaments so as to render impossible the restoration o£ the Belgium State. Both the Belgian emigrés and the Allies must take thought for this now, MI as to avoid a prolongation o£ Leopold's cause after the war. And since King Leopold is to-day in the enemy's hands and his acts are no longer £ree, it would be well if he were formally deposed, and a regency apointed on behalf of his son Baldwin I. . A Belgium restored to unity as a State must continue to exist. There musf be no attempt to tear it asunder, making o£ Flanders and the Wailoon Land two stumps to accrue to Holland and France. To-morrow, h the European Federation which assuredly must and will be attained, Belgium must have a place of honour because her honour has been saved by her Government, her Parliament, her Anny, at the most tragic moment o£ her history.

AGRICOLTURA DI GUERRA E DOPOGUERRA Oggi la Gran Bretagna prosegue da sola la guerra. E il problema dell'agricoltura è perciò diventato per lei di eccezionale importanza. Ma è anche i l problema dell'intera Europa, sia per i paesi in guerra, sia per quelli occupati dai tedeschi, sia per i nonbelligeranti che hanno mobilitato gli interi eserciti e stanno pronti ad intervenire. Rendersi conto che oggi vi sono in Europa circa 20 milioni di uomini sotto l e armi, mentre un vasto numero sono prigionieri, rifugiati, internati in campi di concentramento, e un gran numero ancora lavora nelle industrie belliche, significa rendersi conto che i campi sono abbandonati e la mano d'opera sostitutiva è fornita non da giovani ma da persone di media età, da


vecchi, da donne e da un numero di contadini improvvisati dei due sessi. Ma questo non è tutto. Nelle regioni che hanno sofferto bombardamenti, dove sono passate le truppe, dove gli abitanti sono fuggiti, i raccolti di quest'anno sono stati rovinati o distrutti. E infine, il commercio con l'estero è divenuto difficile o impossibile, sia a causa del blocco, o della continua perdita di naviglio mercantile, o della priorità data al materiale bellico e alle truppe, sia semplicemente a , causa della disorganizzazione. I1 secondo inverno di guerra sarà un temibile tempo di prova per l'Europa. La Gran Bretagna è ancora in una posizione discretamente buona, per quanto le prospettive di un assedio siano veramente serie. Non dobbiamo farci illusioni. Anche supponendo che la guerra possa finire nel 1941, la produzione agricola dell'Europa non sarà in grado di riguadagnare il livello del 1939 in un anno o due. Per questo è essenziale che ogni paese faccia un piano almeno quadriennale per la sua agricoltura. La Gran Bretagna deve fare un piano preventivo per un periodo anche più lungo. Essa ha necessità di ricostruire una struttura agricola quale mai essa ha pensato di avere dall'epoca in cui incominciò ad eeeere così intensamente industrializzata. È vero che questo paese non sarà mai in grado di essere autosufficiente ( e ciò è una buona cosa, non cattiva). È vero che i prezzi agricoli non danno grandi profitti ( e questo sarà il caso non soltanto dell'agricoltura, nell'inevitabile periodo d i crisi post-bellica). Ma è ancora più vero che un'economia agricola su vaste basi renderà più facile affrontare le eventuali crisi della produzione, e dar4 alle classi lavoratrici i mezzi di alimentarsi e sopravvivere, che altrimenti non avrebbero. È sufficiente dare indennità per la terra destinata all'agricoltura, assicurare una colonizzazione su vasta scala delle grandi estensioni d i terra per le. quali si era dato il permesso di lasciarle incolte e che non sono richieste per il pascolo? Non è possibile aumentare la prodiizione sulle aree troppo ampie riservate a campi da gioco per i ricchi? Non può un'imgazione potenziata portare un aumento nella crescita dei vegetali? Non


possono le famiglie dei contadini avere un interesse alla terra attraverso la proprietà di piccoli poderi? Non può essere aumentato il numero di scuole agrarie sia per uomini che per donne ? I problemi dell'agricoltura sono ~ r o b l e m ibellici di prim'ordine. E oggi impossibile mantenere lo stretto rapporto fra costi di produzione e profitti normali; il nuovo rapporto dev'essere fra l e necessità urgenti e crescenti e il loro soddisfacimento collettivo. P e r stornare il s eri colo di statalizzazione e controllo burocratico, bisognerebbe creare uno speciale corpo per l'agricoltura, finanziato dallo stato, dalle amministrazioni locali e dai privati, per incrementare la coltivazione e la riforma terriera, per provvedere al credito rurale (una necessità veramente reale) con speciali banche rurali, per sviluppare le cooperative agricole fra i coltivatori, per dare un potente impulso ad ogni forma di allevamento e garantire la necessaria fornitura di mangime, per stimolare l'amore dell'agricoltura, dell'orticoltura, dell'apicoltura, specialmente fra le donne, come forma di spartizione del lavoro di resistenza. Questa dovrebbe essere l'idea centrale. L'agricoltura è una arma di difesa bellica essenziale. Ma a differenza delle altre industrie di guerra, la sua importanza non finirà con l a guerra. Quanto fatto adesso dovrebbe essere la base per una nuova e più vasta politica agricola e morale quando vemà la pace. (People and Freedom, London, luglio 194Q).

AGRICULTURE WAR AND POST WAR To-day Great Britain cames on the war alone. and the problcm of agriculture has thus become for ber one of exceptional importante. But it is also the problem of the whole of Europe, whether o£ countries at war, or countries occupied by the Germans, or non-beìligerants that have mobilised whole armies and stand ready to intemene. To realise that to-day in Europe there are about 20.000.000 men nnder arms, while a vast number are prisoners, rehgees, interned in concentratioa camps, ad a vast number again are working in war indnstries, ia to rea-


lise that the fields are forsaken and substitute labour is being provided not by young men but by the middle-aged, by the old, by women and by a number of improvised labourers of both sexes. But that is not all. In regions that have suffered bombnrdements, where the inhabitants have fled, this year's haneets have been spoiled or dmtroyed. And finally, foreign trade has become difIicult or impossible, either through the blockade, or the continua1 loss of merchant shipping, or the priority of war materia1 and troops, or simply throug disorganisation. The second winter oi war will be a fearful testing-time for Europe. Great Britain is still in a fairly good position, though the proapects o£ a siege are very serious.' We must ha;e no illusion. Even on the supposition that the war might end in 1941, the agricultural production of Europe will not be able to regain the 1939 leve1 either in a year or in two years. That is why it is essential that every couniry should make at least a four years' plan its agriculture. Great Britain ought to plan ahead £01a stili longer period. She needs to rebuild an agicultural structure such as she never thought to possess from the time that she became so intenselp industnalised. It is true tbat this country will never be able to be self-m5cient (and that is a good thing, not a bad one). It is true that agricultural prices do not give big profita (and that wilì be the case not only for agneulture, in the iaevitabfs period of posi-wnr crisis). Eu; i; is still more tme 'that an agricultural economy on a broad basis will make it easier to meet the eventual crisis in production, and will give tbe working classes the means of food and livelihood that othenvise would not be theirs. 1s it enough to give bonuses €or land brought under the plough, to ensure a large-scale colonisation of the vast stretches o£ land that are allotved to Iie failow and are not required £or pasture? Cannot stock-raisinp be increased on the too wide areas reserved as playgrounds o£ the wealthy? Cannot increased irrigation bring an expansion of vegetable growing? Cannot labourers' families be given an interest in the Iand by ownership of small holdings? Cannot the number of agricultural schools for both men and women he increased? Agricultural problems are war problems of the firts order. It is impossible to-day to maintain the strict ratio between productioniosta and norma1 profits; the new ratio must be between urgent and gowing needs and their collective satisfaction. To ward off the danger of statalisation and bureaucratic wntrol. a special public body for agriculture should be created, financed by the State as well as by local government bodies and private individuals, to increase cultivatioii and land reclamation, to provide for rural credit ( a very rea1 need) hy special land-banlrs, to develop agricultural co-operativa imong the farmers, to give a potent impetus to every form of stock-breeding and ensure the necessary supply of foodstuffs. to stimnlate tbe love of agricul-


ture, horticulture, bee-keeping, especially abmong women, as a means of sharing in the work of resistance. This should be the centra1 idea. Agriculture is an essential war weapon. But unlike other war industries, its irnportance will not end with the war. What is done now should be the basis for a new and bigger agricultural and mora1 policy when peace comes.

GUERRA E PACE: DUE CASI TIPICI Thyssen e la nuova Germania In una lettera pubblicata nell'drgentinische Tageblatt d i Buenos Aires, giornale dei tedeschi repubblicani colà residenti, Fritz Thyssen scrisse : C( Noi non vogliamo più dittature, nè d'un partito, nè dell'esercito, nè di un uomo, nè della gioventù in uniforme. La forza non deve affatto rimpiazzare la gioia. Mai più S.S., S.A., nè Gestapo; non più pogroms, nè campi di concentramento, nè torture; e che non ci siano più dei professori che rispondano si per ogni delitto contro lo spirito europeo e la civiltà cristiana e soprattutto, giammai più alleanza con il bolscevismo. In cambio, noi vogliamo una Germania federativa come la Svizzera. Noi desideriamo il disarmo dell'Europa senza arrière-pensée di vendetta e di vittoria. Noi non abbiamo vinto i polacchi e i cechi. Noi possiamo solo opprimerli momentaneamente... n. Per chi non lo ricorda, Fritz Thyssen è ( o era) un magnate dell'industria siderurgica, cattolico fervente, e per un certo tempo filo-nazista e sostenitore di Hitler. Egli fu contrario alla guerra alla Polonia, e fu l'unico dei deputati del Reichstag che non andò a votare per la guerra, fuggendo in Svizzera. Ora ha perduto la cittadinanza ed ha avuto sequestrati i suoi enormi capitali e le sue officine. Un ricordo personale: nel settembre 1921 fui in Germania


con una commissione del partito popolare italiano, per promuovere un'intesa con il partito popolare bavarese, con il centro e con i sindacati cristiano-sociali. Allora era cancelliere il prof. Wirth, ministro dell'economia Stegerwald, ministro del lavoro mgr. Braun, tutti tre del centro cattolico (l). L'incontro con mgr. Braun fu a Duisburg a d un pranzo e ricevimento in suo onore, e fra gli invitati vi era un Thyssen, il capo delle officine Thyssen. Egli era stato in cattivi rapporti con i sindacati cristiani; e il ministro del lavoro tentava di metterli d'accordo e d i portare avanti, insieme ad una buona legislazione sociale, la cooperazione fra capitalisti e lavoratori. I Thyssen, come tutti gli altri magnati dell'industria tedesca, erano malcontenti del centro, perchè esso collaborava con i socialisti, e sosteneva troppo le pretese dei sindacati. Gli industriali vi sentivano l'odore d i Mosca e tremavano del pericolo bolscevico. Furono essi, Thyssen compreso, che favorirono Hitler, che sostennero von Papen nel suo tradimento a Briining, e che spesero fior di denari per consolidare il nuovo ordine. Un po' tardi Fritz Thyeeen s'è accorto che aveva torto; è suo merito avere avuto il coraggio di opporsi alla guerra contro la Polonia; ora all'estero è libero d i poter parlare e la sua testimonianza ha un valore non disprezzabile. Ne prendiamo atto. Egli è di coloro (finalmente) che vogliono una Germania libera, una Germania federale, come la Svizzera (sono sue parole), una Germania che ridia libertà e indipendenza ai paesi da essa occupati e che abbandoni ogni alleanza con il bolscevismo. Noi non possiamo che compiacercene, e mettere questa lettera all'attivo di quel che fanno all'estero i rifugiati tedeschi, per appoggiare gli scopi di guerra degli alleati e preparare la futura Germania del dopoguerra. Ma poichè Fritz Thyssen - e non è il solo - ha un passato a proposito del bolscevismo, sarà bene dissipare ogni equivoco. Dal 1921 in poi, specialmente dopo i1 patto di Rapa110 tra la

(l) Sull'episodio cfr. G. DE ROSA, Rufo Ruffo dello Scalettu e Luigi Sturto, Roma 1961, p. 17. 350


Germania e i Soviets (1922), la paura del bolscevismo fece passare la grande industria e la grande finanza tedesca dal lato della reazione, a favorire il movimento hitleriano e a preparare la dittatura. L'hanno pagata cara tutti, ma non sappiamo se l'esperienza sarà sufficiente a premunire per l'avvenire industriali, capitalisti e banchieri. Dopo l'attuale guerra la crisi economica sarà enorme in tutto il mondo, specialmente in Germania dove oggi si gioca il tutto per tutto. La tentazione del capitalismo allora sarà grande, tanto più che non sarà possibile impiantare in un giorno una nuova economia, verso la quale bisogna andare con coraggio. I1 conflitto tra il capitale e il lavoro sarà assai più difficile, per la disoccupazione prodotta dalla smobilitazione e dalla cessazione dell'industria di guerra. Ebbene, allora tornerà la parola « bolscevismo » per qualificare ogni sano movimento operaio e ogni sua legittima rivendicazione. I n quel periodo i Thyssen di ogni paese dovrebbero mettere tutta la loro cooperazione a salvare il mondo dal caos, senza sognare « nè dittature di un partito, nè dell'esercito, nè di un uomo, nè della gioventù in uniforme (come Fritz Thysszn si esprime nella citata lettera); che non torni lo spauracchio del bolscevismo a dominare la politica e l'economia. Ciò diciamo anche per gli altri paesi, Inghilterra e Francia comprese, dove la lettera di Zinoviev (1924) o il 6 febbraio (1934) fecero le spese di quella politica che ci doveva portare alla seconda guerra. Dall'altro lato gli operai debbono prepararsi al difficile dopoguerra col rafforzare i loro sindacati, con l'assumere le responsabilità del potere, e col superare le tentazioni degli scioperi generali, delle agitazioni sterili e delle illusioni russobolsceviche, che dovrebbero essere già cadute per sempre. I1 bolscevismo si domina con lo stabilire una sana economia e una vera cooperazione fra le classi sociali e una morale pubblica superiore. Quisling : neologismo inglese Chi si ricorda oggi, dopo sessant'anni, del capitano irlan-


dese Charles Cunningham Boycott? ( l ) Eppure, tutti usiamo la parola u boicottare D, entrata nei dizionari correnti, non solo inglesi, ma anche francesi, tedeschi, italiani e russi. Bastò che il caso del capitano Boycott facesse impressione per la sua novità, ed ecco ad esprimere casi analoghi nacque la parola; da allora u boicottare » significò: impedire per tutti i mezzi che una persona o un ente esercitasse i suoi diritti economici, sociali o giuridici il cui primo esempio clamoroso (nei conflitti economici moderni) fu quando l'infelice agente del conte di Erne, in Irlanda, si rifiutò di accettare gli affitti dei terreni nella misura offerta dai coltivatori. Egli perciò fu oggetto d i una pressione collettiva esercitata per mezzo del (come dire) .u boicottaggio » di ogni servizio, perfino delle lettere postali e dei cibi.. Lasciamo là il capitano irlandese Bopcott; oggi è la voga del colonnello norvegese Quialing. Ma che forse non c'erano stati altri traditori di paesi deboli a favore dei totalitari? Forse non c'erano stati altri capi di governi fantocci? Altri condottieri d i quinta colonna? Dall'affare della Manciuria ad oggi in nove anni la lista è lunga. Rfettiamo da parte l'estremo orientz? troppo lontano, non sappiamo bene il ruolo (forse minimo) dei Quisling di laggiù, fino all'ultimo Wang Ching-wei, già perduto nelle nebhie di quell'immensa avventura giapponese. E poi come farne un neologismo di nomi così complicati? Mettiamo da parte anche Queipo de Llano e altri generali spagnoli mandati dal governo di Madrid a reprimere l a rivolta ch'essi i n segreto avevano fomentata; quelli appartengono alla storia dei a pronunciamientoe », benchè siano infine caduti nel totalitarismo. I1 primo tipo classico che incontriamo nella storia di questi anni è quel Seyss-Inquart, che combinò l'occupazione dell'Austria da parte dei nazi in barba all'infelice Schuschnigg,

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( 1 ) I1 Boycott era amministratore dei beni di b r d Emne in Irlanda. A causa dei suoi metodi inumani, i coloni troncarono con lui ogni rapporto

nel 1880.


di cui era divenuto ministro dell'intemo e polizia; una vera operazione elegante. Ma come potrebbe divenire un verbo corrente tale nome duro e urtante? E poi, chi non ricorda che i governi di Londra e Parigi avevano già scontato l'occupazione dell'Austria, come un mezzo per contentare Hitler e così arrivare ad un'intesa per gli altri problemi? I1 Times protestò solo per il modo dell'occupazione, fatta manu militari, ma nella sostanza Seyss-Inquart servì anche i governi di Londra e Parigi. Passiamo oltre! Lo stesso è da dire di Heinlein, che fu in contatto continuo con Lord Runciman, e che preparò così bene Monaco e la politica monachese; Heinlein entrò nel disegno occidentale 1) di contentare un'altra volta Hitler, dato che i sudeti (poverìni!) erano tedeschi. In Polonia ci saranno stati dei filo-nazisti e dei filo-sovietici e anche forse dei traditori; ma nessun tipo è venuto i n luce nei giorni tragici della sconfitta polacca per potere passare.. alla storia. Kusineen fu una figura sbiadita, pressochè ridicola, di fronte all'eroismo dei Finni e al sacrificio di più di centomila soldati russi. Ma ecco venire a galla il caso norvegese: Quisling, capo del partito nazista, sostenuto col denaro di Berlino. I n paese democratico, c'è posto anche per questi tipi che, per quanto spregiati, e perchè pagati dall'estero e per la loro inconsistenza, sanno farsi delle reclute. Caso strano, in un paese dove i cattolici sono così sparuta minoranza, non mancavano fra di loro dei filonazisti e dei filo-fascisti per amore del principio di autorità (dove va a infilarsi il di autorità!). Il Times ci ricorda che Quisling è un mancato suicida. Come egli sia riuscito nel tradimento facendo aprire i fiordi di Oslo e altrove al nemico, con la complicità inconscia o cosciente di ufficiali militari e civili, è cosa che deve meravigliare solo coloro che sconoscono l'esistenza della quinta colonna camuffata in partito ritenuto legittimo in un regime democratico. Ecco il tipo nuovo, moderno, per cui occorreva una parola come quella di Boycott. Da oggi in poi si dirà Quislingiare o meglio Quislineggiare. I n inglese suona benissimo: la desinenza in ing è quella del participio presente che è usato anche come sostantivo agente. I n te-

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...


desco (quando la Germania tornerà democratica) si potrà ricordare, con più diritto che negli altri paesi, il fatto di Quisling e si dirà Quislingen. In Italia tale parola attaccherà meno per via del suono; ma se il nuovo verbo sarà generalizzato in Europa, anche là, non essendovi nomi « gloriosi da ricordare, nè d i Abissini (dove il regime feudale permetteva qualsiasi tradimento senza diventare tipico), nè in Albania (dove tutto passò in poche ore), la parola Quisling (quislineggiare) avrà il suo posto nel dizionario italiano. ( I l Mondo, New York, luglio 1940).

IL CAPITALISMO ANONIMO E LA FRANCIA Padre Rutten, il ben noto domenicano democratico cristiano, alcuni anni or sono apriva una finestra sull'argomento del capitalismo anonimo quando, in un discorso al senato belga, egli rivelava il fatto che nell'ultima guerra opere di fortificazione sulla frontiera tedesca non erano state bombardate perchè fatte con materiale francese. La grande industria che direttamente o indirettamente traffica con gli armamenti è per la maggior parte internazionale. È ovvio che i suoi capi e finanziatori vedono i loro affari in una prospettiva che va oltre gli interessi di un singolo paese. Essi sono sopra e al di fuori della politica, o, meglio, inconsciamente o deliberatamente, essi hanno la loro politica personale. È avventato dire che fu a causa di queste più alte N politiche se la conferenza del disarmo è fallita? È pure awentato attribuire a queste politiche l'avvento di Hitler al potere e le simpatie da lui incontrate fra le classi dirigenti di Francia e d i altri paesi? Non vogliamo fare del capitalismo anonimo il capro espiatorio di tutte le colpe della politica europea degli ultimi ventidue anni, ma non possiamo chiudere gli occhi di fronte al fatto che esso ha a che fare con tali colpe. È certo che senza le guerre tra Giappone e Cina molte in-


dustrie europee e americane non avrebbero fatto gli ottimi affari che hanno fatto. I1 Giappone si sta dissanguando, la Cina è disorganizzata, ma essi stanno comprando milioni e milioni di sterline di materie prime e munizioni, e l'oro circola nel mondo. Si può dire: non è l'industria che causa l a guerra, essa la serve. E si può anche dire il contrario. I1 riarmo è l'anticamera della guerra. Gli industriali, anche i più corretti fra loro, mentre possono non desiderare una guerra in casa, trovano che una guerra lontana si adatta mirabilmente ai loro bilanci. Se essa degenera i n una guerra generale, non è colpa loro, ma dei politici e dei soldati. Torniamo alla Francia. a) Non vi sono dubbi che il governo francese era a conoscenza da anni che Hitler stava preparando la guerra, fabbricando carri armati e areoplani per superare gli armamenti di tutta l'Europa. Perchè la Francia non ha fatto la stessa cosa? ~ e r c h èessa ha continuato a fornire alla Germania materiale bellico e brevetti? È stato detto che i francesi erano sicuri della linea Maginot. Ma erano anche così sicuri che gli aerei tedeschi non potessero volare sopra di essa? b) È stato dato come certo che durante i due grossi attacchi tedeschi alle linee francesi, il commissariato e i servizi di trasporti furono distrutti e c'era persino (sembra incredibile) mancanza di munizioni. Mentre i soldati erano magnifici, l'organizzazione era deplorevole. Non si era parlato di guerra lampo? Coloro che vengono dalla Francia raccontano che durante tutta la guerra i n certi circoli della ricca borghesia e in quelli politicamente attivi, si parlava di un'intesa con Hitler, di una pace di compromesso da raggiungersi attraverso l a mediazione del generale Franco. La quinta colonna era al lavoro nei salotti. Ora è apparso chiaro che Lava1 conduceva il gioco dietro le quinte, e che Baudouin trovava la sua strada nel gabinetto di Reynaud attraverso influenze femminili, al fine di minarlo. Non era il senso della disfatta a creare tale stato d'animo; era questo stato d'animo che creava il senso della disfatta. Oggi noi parliamo di petainismo (ci dispiace per l'eroe dell'ultima guerra), ma una gran parte dell'industria francese soffriva d i


petainismo o meglio di lavallismo dall'inizio della guerra. Il tentativo del governo del settembre 1939 è significativo. Tutto considerato, cosa sarebbe stato più utile per certo capitalismo internazionale ed anonimo, il collasso della Francia o la sua resistenza? La completa vittoria degli ideali di libertà, disarmo, pacificazione dei popoli, o un compromesso, quasi una specie di tregua armata fra una guerra e la prossima? Una cosa è certa; il riarmo massiccio degli Stati Uniti è.. limitato dallo stato d'animo creato dal collasso della Francia. Gli affari sono affari. Quando parliamo di capitalismo anonimo, non intendiamo escludere la Russia quasi £osse paese senza capitalismo. I lavoratori del mondo non devono essere ingannati: la Russia è un paese capitalista. È vero che il suo capitale è nelle mani dello stato, ma ciò fa una piccola differenza sia per il riarmo massiccio sia per le conquiste territoriali. La guerra presente è stata decisa a Mosca prima che a Berlino. Londra e Parigi sono state trascinate dagli eventi. Finora tutti i veri guadagni sono stati fatti dalla Russia. I1 problema della pace che deve seguire questa gucrra sasà un problema di organizzazione economica sul piano internazionale, o non vi sarà pace. I1 capitale e il lavoro dovranno collaborare a trovare una giusta soluzione, abolendo il capitale anonimo e irresponsabile e dirigendo la produzione e il lavoro a grandi lavori di ricostruzione per il benessere generale. (People and Freedom, London, agosto 1940).

ANONYMOUS CAPITALISM AND FRANCE Father Rutten, the well-known Dominican Christian Democrat, some years ago opened a window on the subject of anonymous capitalim when in a speech in the Belgian Senate, he revealed the fact that iu the last war certain munition works on the German frontier had not been bombarded because they were supplied with French material. The big industry that directly or indirectly deals with armaments is mainly intemational. It is obvious that its boss= and financiers see their business in a setting that espande beyond the interat of a single country. They are above and outeide politica, or better, unconsciously or deliberately, they have their own politics.


1s it rash to say that it was in part due to these a higher n politics that the Disarmament Conferenee failed? 1s it also rash to attribute to these politics the advent of Hitler to power and the sympathies he encountered among the mling classes of France and eliewhere? We do not wish to make anonymous capitalism the scapegoat of al1 the sins of European politics for the last twenty-two years, but we cannot be blind to the fact that is has something to do with them. It is certain that without the wars between Japan and China many European and American industries would not have done the good business that they have done. Japan is bleeding herself white, China is disorganised, but they are buyng millions and millions of pounds worth of raw materials and miinitions, and gold is circulating the world. It may be said: it is not industry that caused the war, industry serves it. And it might also be put the other way round. Rearmament is the anti-chamber of war. The industrialists, even the most correct of them, while they may not want a war at home, find that a distant war suits their book admirably. If this degenerates into a genera1 war, it is not their fault, but the fault of the politicians and soldiers. Let us return to France. a) It is not to be doubted that the French Government knew for years that Hitler was preparing for war, manufacturing tanks and aeroplanes to exceed the armaments of ali Europe. Why did the French not do the same? %hy did they continue to supplp Germany with war materials and patents? It was said that the French were sure of the Maginot Line. But were so sure that German aeroplanes could not fly over i t ? b) It is declared as certain that during the two big German a t t a c h on the French lines, the commisariat and transport services broke down, and there was even (incredible as it seems) a lack of munitions. While the soldiers were magnificent, the organisation was lamentable. Yet had there not long been tal% of the Blitzkrieg? Those coming from France tell us that during the whole of the war in certain circles of the rich bourgeoisie ad those politically active, there was talk oÂŁ an understanding with Hitler, of a compromise peace to be attained through the mediation of Generai Franco. The Fifth Column was at work in the drawing rooms. Now it has become clear that Lava1 was leading the game behind the scenes, and that Baudouin found his way into the Reynaud Cabinet through feminine influences, in order to undermine it. It was not the sense of defeat that created this state oÂŁ mind; it was this state of mind that created the sense of defeat. We to-day talk of French industry was afflicted with Petainism, or rather of Lavallism, from the beginning of the war. The trial of the Government of September, 1939, is significant. Al1 things considered, which would be most useful for a certain international and anonymous capitalism, the collapse of France or her resi-


stence? The complete victory o£ the ideala o£ heedom, disarmament, pacification o£ peoples, or a compromise as a kind o£ armed truce between one war and the next? One thing is certain: the massive rearmament o£ the United S t a t a is... limited by the state o£ mind created by the collapse of France. Businesa is business. When we speak o£ anonymous capitalism, we do not mean to exlude Russia as a country without capitalism. The workers of the world must not be deceived: Russia is a capitalist country. It is true that its capitiil is in the hands of the State, but this makes little differente either to maseive rearmament or territorial conquests. The present war was decided in Moscow before in Berlin. London and Paris were dragged at the heel o£ events. Up ti11 now al1 the rea1 gains have been made by Russia. The problem o£ the peace that must follow this war will be a problem of economic organisation on the international plane, or there will he no peace. Capita1 and Labour will have to combine to find an eqiiitable solution, abolishing anonymous and irresponsible capita1 and directing production and labour to great works of reconstmction £or the genera1 welfare.

NAZISMO E FASCISMO Quasi tutti dicono che stiamo combattendo contro il naziamo e pochi che stiamo combattendo contro il fascismo. C'è una differenza sostanziale fra i due? Entrambi sono regimi totalitari che negano la personalità umana, la libertà, la democrazia, su cui il sistema britannico e la civiltà moderna sono fondati. Entrambi hanno gioventù organizzata in squadre armate. Entrambi hanno basato il loro sistema politico interno sullo spionaggio e la funzione arbitraria della polizia (1'Ovra in Italia, la Gestapo in Germania), sui campi di concentramento e sulla persecuzione politica degli oppositori. Entrambi hanno suscitato odio e persecuzione contro gli ebrei, privandoli dei loro diritti per quanto riguarda Professione, lavoro, educazione, cittadinanza. Nel campo internazionale entrambi sono stati nemici della


Società delle nazioni, preparando la guerra con grandi riarmi, usando il ricatto contro le democrazie che non la volevano. L'Italia fascista preparò la guerra abissina fin dal 1932 e l a dichiarò nel 1935 malgrado le favorevoli offerte della commissione dei cinque della Lega. La Germania nazista ha militarizzato il Reno nel 1936. Entrambi sono intervenuti in Spagna con uomini, aerei e carri armati dal 1936 al 1938. Nel 1938 la Germania nazista occupava l'Austria e l'Italia fascista occupava l'Albania. La Germania nazista occupava Meme1 e parte della Cecoslovacchia, occupandola tutta nel 1939. Infine, l'Italia fascista è entrata in guerra a fianco della Germania nazista. Certi cattolici fanno questa distinzione: Hitler perseguita le chiese cristiane, specialmente quella cattolica, mentre Mussolini è stato quasi sempre in buoni rapporti con il Vaticano. Ma a costoro possiamo rispondere con le parole del Vangelo: « Dai loro frutti li conoscerete ». I1 fascismo, sebbene raggiunga un minor grado di brutalità e sia temperato nelle sue azioni con le tradizioni più umane e cristiane del popolo italiano, è anti-cristiano proprio come il nazismo, sia in teoria che in pratica. Se nel sud è più proficuo mantenere buone relazioni con la chiesa e nel nord perseguitarla, è una questione di metodo di governo, non di teorie o di convinzione. (People and Freedom, Lnndon, agosto 1940).

NAZISM AND FASCISM I t is said almost by al1 that are fighting against Nazism and by few that we are fighting against Fascism. Yet is there substantial differente between the two? Both are totalitarian regimes denying human personality, freedom, demucracy, on which the Bntish system and modem civilisation are founded. Both have organised youth in armed squads. Both have based their dnmestic political aystem on espionage and arbitrary police mle (the OVRA in Italy, the GESTAPO in Germany), on concentration camps and the political persecution of opponents. Both have stirred up hate and persecution against the Jews, robbing them ol their rights as regards profession, work, education, citizenship.


I n the international field both have been enemiea o£ the League of Nations, p r e p a ~ gfor war by vast rearmament, uning b l a c b a i l agtlinat the democraties that did not want war. Fasciet Italy prepared the Abyssinian war as early as 1932 and deilared it in 1935, in spite o£ the favourable offers o£ the Commission o£ Five o£ the League. Nazi Germany militariaed the Rhine in 1936. Both intervened in Spain with men, aeroplanea and t a h from 1936 to 1938. In 1938 Nazi Germany occupied Austria and Fascist Italy occupied Albania. Then Nazi Germany occupied Memel and part of Cxechoslorakia. taking the whole in 1939. Finally, Fascist Italy entered the war side by side with Nazi Germany. Certain Catholics draw this distinction: Hitler persecutes the Christian Churches, especially the Catholic Church, whereas Mussolini has nearly always been on good terma with the Vatican. Bnt to these we may reply the words of the Gospel: a By their fruits ye shall know them n. Fasciam, though reaching a leaser degree of bmtality and tempered in ita workings by the more humane and Christian traditiom o£ the Italian People, is anti-Christian just 8s Nazism h, in both theory and pratice. If in the South it is more profitable to seek good relations with the Church and in the North persecution pays, this is a question of methoda of governrnent. not o£ theories or convictions. Our war is a war against Fascism as against Nazism.


APPENDICE

I

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Articoli non pubblicati e non datati



PENSIERI E APPUNTI

I1 primo ministro d'Inghilterra Baldwin, nel suo discorso di ieri, nel 20" anniversario della Junior Imperial League, parlando di tirannide ha detto che se uno stato non si evolve verso una sana democrazia, si può cadere o nella tirannide comunista O in quella dell'altro lato. È chiaro che l'altro lato significa quello della reazione conservatrice, nazionalista, fascista. Ma Baldwin non l'ha nominata, ha indicato solo l'altro lato, che sarebbe il lato opposto. Anche Pio XI, a proposito delle nuove leggi corporative di Italia, quando rivendicò alla chiesa cattolica il compito di difendere le libertà personali, accennò ai mali prodotti dal socialismo e dal liberalismo, e a quelli che potrebbe produrre una esagerata concezione dello stato nazionale, ma non pronunziò, in contrapposto, le parole sottintese di fascismo o nazionalismo o reazione conservatrice. L'uno e l'altro sono guidati da motivi di prudenza, per i posti di responsabilità che essi occupano. Ma è bene ciò? Un dubbio mi tormenta. che in mesto silenzio voluto ci sia qualche cosa di tollerato, di concessivo, che ripugna ad una chiara affermazione della verità: che Dure risaonde al loro sostanziale pensiero. È un legame politico in Baldwin, religioso in Pio XI, con l e classi conservatrici, che oggi svolgono la loro politica di oppressione e di prevalenza, attraverso le dittature, le violenze e i monopoli di potere. Questi effetti non sono voluti e sono biasimati dall'uno e dall'altro: ma c'è in fondo una preferenza: tra i due mali scelgono il minore; o meglio tra i due mali si oppongono al male maggiore. Ancora un dubbio: è vera, è buona la teoria: tra i due mali scegliere il minore? E non c'è modo di reagire ai due mali? Parigi, 20 giugno 1926.


Leggo in un giornale conservatore francese un attacco violento ad Herriot, che fra l'altro è accusato di avere, con la sua politica demagogica di sinistra, causata la caduta del franco. Al suo avvento nel 1914 il franco era a 8 5 ; oggi il franco supera i 200 in confronto alla sterlina. Seguendo questo ragionamento si potrebbe dire : nell'ottobre 1922, prima della marcia sii Roma, la lira era a 8 5 ; oggi, dopo circa quattro anni di governo fascista, è a 148 per ogni lira sterlina: la colpa è di Mussolini con la sua politica reazionaria di destra. L'argomento verrebbe completato con quest'altro: il franco belga, sotto il ministero di sinistra del barone Poullet era a 145 una sterlina; ora sotto i l ministero di unione nazionale, è a più di 200: la colpa è dell'unione nazionale. Questi ragionamenti di politica passionale, che si fanno tutti i giorni, mostrano una profonda ignoranza delle leggi economiche, e della crisi delle monete svalutate, che potrebbero dirsi monete false. I1 problema pauroso di questi tre stati è quello della rivalutazione della moneta e della stabilizzazione. Ma per far ciò ci vorrebbe un tale sacrificio da parte di tutti, e quindi tale condizione psicologica adatta, che nessuno ha il coraggio di richiederlo e di sostenerlo. E allora, magra consolazione, occorre che ci sia un partito, un uomo, una classe a cui dare la colpa del danno comune. Parigi, 28 luglio 1926.

A proposito di una polemica in Italia sull'invio di operai di tutti i colori in Russia per un'inchiesta proposta dai comunisti, i giornali cattolici, e specialmente L'Italia di Milano, nel contestare la possibilità di una unità sindacale, ha scritto che « auest'ultima urta e dottrina e morale cattolica D. La frase, troppo recisa, ripete un pensiero dominante fra i cattolici ita1ian.i. Che l'unità sindacale in Italia sia contrastata dai cattolici per motivi estrisiseci e contingenti, è un fatto indiscutibile; che però essa in principio urti con la dottrina e morale cattolica, è un'affermazione che sembra per lo meno esagerata, e fa dubitare assai della sua esattezza. In Inghilterra e in America esistono solamente organizzazione sindacali uniche: le Trade Unions; e i cattolici operai, se


non vogliono privarsi della difesa dei loro interessi economici, vi devono far parte, come difatti avviene. La chiesa in quei paesi non ha impedito ciò, nè lo impedisce. Solo appoggia ( e non tutti i vescovi sono in ciò consenzienti) certe istituzioni morali e sociali promosse da cattolici e da preti, che fiancheggiano i movimenti operai, come sono i l Social Catholic Guild d'Inghilterra, e la National Catholic Welfare Conference degli Stati Uniti. Questa stessa posizione ha preso l'azione cattolica italiana con il suo recente istituto sociale » e con il consiglio dato ai " cattolici di far parte delle corporazioni fasciste o nazionali che dir si voglia. Se tutti gli operai italiani, cattolici o no, entrassero a far parte delle corporazioni, avrebbero realizzato l'unità sindacale. I n questo caso, con tutte le riserve del caso contingente, l'azione cattolica (che segue la dottrina e la morale cattolica) avrebbe non impedito ma cooperato all'unità sindacale. Qualcuno dice che mentre si può realizzare l'unità sindacale con i fascisti che non ammettono la lotta di classe, non la si ~ u realizzare ò con i socialisti che ammettono la lotta di classe. Ora qui occorre fare una considerazione molto semplice: nessuno pensa che i cattolici entrando nelle corporazioni fasciste debbano aderire alle dottrine fasciste, quali per esempio la supremazia assoluta dello stato e la soppressione della libertà anche di organizzazione; e lo stesso deve .dirsi dei cattolici che si trovassero insieme con i socialisti, come avviene in Inghilterra. Nessuno pensa che essi ammettono la lotta di classe come la vuole Cook, il famoso segretario dei minatori; e tra i minatori i cattolici sono a migliaia. Se un giorno si arriverà ( e non è improbabile) al riconoscimento giuridico della classe come ente a sè, gli incorporati in essa faranno un tutto, come oggi è il comune o la provincia; e nella difesa della loro classe potranno essere concordi e uniti, Dur essendo nell'interno della classe discordi e contrastanti. Quel che fa meraviglia, a pensarci, si è che i cattolici non sollevano mai eccezioni di dottrina e di moralità quando sono le classi o le categorie borghesi a unirsi insieme e solidarmente per difendere gli interessi della loro classe e categoria. Nella vecchia confederazione degli agricoltori presieduta allora dal comm. Bartoli (che è un cattolico) vi erano molti cattolici: e fecero il fronte unico (bene o male realizzato) in difesa dei loro interessi. Nella confederazione delle societ,à per azioni, vi erano molte banche e società cattoliche. con a cawo allora i cattolici dirigenti del Banco di Roma conte Grosoli e conte Santucci: e difendevano e come i loro interessi di classe e di categoria. E così via.


Quando mai fu sollev'ata per essi la questione dottrinale e morale del cattolicesimo? Vi sono allora due pesi e due misure, per i borghesi e per i lavoratori? A me sembra che la mentalità borghese e la concezione dell'ordine economico stabile mettono questi cattolici contro una azione collegata dei lavoratori, che temono risulterebbe sovvertitrice. I n questo caso, è più logico e più sicuro fare appello a ragioni politiche ed economiche, che non a quelle religiose. Parigi, 29 luglio 1926.

(Arch. 1 A, 7).

MESSICO E ITALIA I n questo momento vi sono in paesi cattolici due dittature tipiche, o meglio due tirannie, quella di Calles nel Messico e quella di Mussolini in Italia ; però i loro rapporti con la chiesa cattolica sono opposti: Calles la perseguita, Mussolini la favorisce. È superfluo dire che ogni persecuzione religiosa, anche quando sembra disperdere il gregge, contribuisce a purificare la chiesa, a selezionarne le' forze e a darle nuovo vigore. Non perciò noi approveremo le persecuzioni, nè le provocheremo; ma dovremo sostenerne l'urto nella forza della fede. Così speriamo che il Messico verrà rinvigorito dal sangue dei martiri, che già vi scorre, e avanti al quale ci inchiniamo commossi. Di fronte alla persecuzione di Calles, clero e laicato cattolico hanno affermato i diritti della chiesa in nome della libertà civica e politica. Infatti i diritti della chiesa e i diritti del cittadino hanno nella libertà un punto di convergenza. I1 civis romanus sum di san Paolo può esser ripetuto da coloro che oggi sono. trattati, non più come cittadini, ma come nemici del Messico. Dall'altro lato, cioè in Italia, la chiesa è favorita: questa è l'opinione comune. Ma il fatto vero è che verso la chiesa 1'Italia fiscista usa insieme larghezze e restrizioni. rispetto e ingerenze, favori e persecuzioni; però le restrizioni, le ingerenze e le persecuzioni hanno luogo quando il regime o i suoi satelliti vogliono far valere il loro dominio o il loro odio politico. P e r questi fatti, basta ricordare l'allocuzione del papa del 20 di-


cembre 1926 e la lettera del papa sui boys scouts cattolici del gennaio scorso da u n lato; l'assalto ai circoli e alle cooperative cattoliche della Brianza dell'aprile 1924 e l'assassinio impunito di don Minzoni parroco d i Argenta nell'agosto 1923 dall'altro. Però, mentre l a voce del papa si è fatta sentire o direttamente, come nei primi t r e casi, o indirettamente a mezzo dell'Osservatore Romano come nel caso del processo giudiziario per l'assassinio d i don Minzoni, finito con I'assoluzione dei rei, e Der altri casi ben noti. i cattolici italiani non hanno avuto l a libertà d i protestare, nè d i far eco alle parole del papa, nè d i ottenere giustizia. E benchè non manchino in Italia cattolici che per la libertà oggi sono in prigione, o a domicilio coatto o i n esilio, ai cattolici d'Italia, come a quelli del Messico, manca la libertà e anch'essi non possono ripetere i l civis romanus sum, quando si trovano di fronte all'ingiustizia o alla violenza di un regime, che p u r mostra di favorirli. Tutta l a storia della chiesa, nei rapporti con i l potere civile, è fra questi due poli; la persecuzione aperta negante la libertà a cui essa h a diritto: e i l tentativo subdolo di asservirla legandola agli interessi delle classi dominanti, con favori e minacce. E l a chiesa è uscita sempre vittoriosa dalle persecuzioni, ed h a superato sempre l e insidie del potere politico, proprio i n nome della libertà e autonomia della sua missione divina. Ma come nel periodo delle persecuzioni non sono mai mancati e non mancano oggi i deboli che cedono, i prudenti che tentano di sfibrare coloro che combattono, così nell'altro periodo non mancano coloro che nell'accettare i favori si uniscono alle classi dominanti, e presentano la chiesa come legata a quel sistema politico; e quindi anche come corresponsabile degli errori e degli orrori delle dittature. Capovolgiamo l e situazioni: se nel Messico i rivoltosi vincono Calles, i cattolici che hanno invocato la libertà per loro, non potranno poi negarla ai loro avversari sconfitti. Così come se nell'Italia gli antifascisti si affermeranno contro l'attuale regime i n nome della libertà, non potranno poi negarla agli altri e quindi neppure a quei cattolici che la invocheranno per loro. Ma perchè i cattolici italiani possano logicamente invocare l a libertà domani, non debbono oggi confondersi con coloro che la negano in nome dello stato totalitario. Le posizioni nette sono sempre le migliori; ma non tutti la pensano così. Un altro problema si presenta egualmente e nell'Italia e nel Messico, quasi sopra gli stessi termini: il problema della violenza appoggiata dai pubblici poteri ed esercitata ed esaltata i n nome del regime, e il problema ancora più grave; quello della ingiustizia giudiziaria. Nell'uno e nell'altro paese, con intensità


diversa, ma sostanzialmente con lo stesso principio, squadre private e privati cittadini, sol perchè parteggianti a favore della dittatura, assaltano, feriscono, incendiano e uccidono. E i tribunali mentre condannano a forti pene, e nel Messico con la morte, gli avversari del regime, quasi sempre ne assolvono gli amici e seguaci. La giustizia e il rispetto alla ~ersonalitàumana sono scomparse in Italia e nel Messico. Viene affermato un principio falso, che scopo dei cittadini è lo stato; e che a questa nuova deità si può impunemente sacrificare la giustizia pubblica e la vita dei cittadini. Altro punto di contatto fra le due dittature è lo spirito di ipocrisia, intrigo e cortigianeria che si sviluppa fra i propri seguaci; e lo spirito di rivolta e turbolenza che si sviluppa fra gli avversari. È naturale che sia così: ma ciò determina nel popolo una gravissima deformazione spirituale in vera opposizione allo spirito cristiano. In Italia per avere un posto, per poter esercitare una libera professione, come quella di avvocato, per poter lavorare nelle fabbriche o nei campi, bisogna fingersi fascista, quando uno non lo è. Lo stesso commercio privato, la stessa vita privata è resa impossibile a chi non ha la fortuna di credere nel fascismo. E il popolo tace, finge, si piega, in una quotidiana costrizione spirituale. D'altro lato non c'è più stampa che non inneggi al fascismo, non c'è pubblica manifestazione che non finisca con una esaltazione del fascismo tanto più sonori1 quanto meno sincera. I1 « duce n è divenuto l'onni-presente, l'orini-faciente, l'infallibile. Un ingenuo francescano, in un recente libro ha trovato modo di intessere insieme le lodi di san Francesco di Assisi e quelle di Musssolini, e non sono rari quelli che parlano d i lui come dell'uomo inviato dalla Provvidenza. D'altro lato nel Messico i cattolici più coraggiosi capeggiano la rivolta armata, che è secondata da una parte del clero, benchè i vescovi abbiano dichiarato che essi ne sono estranei, e che nel fatto non riconoscano gli estremi della legittima ribellione. È quella una tragica situazione, che tormenta le coscienze di coloro che credono loro dovere usare mezzi violenti, comprese uccisioni e saccheggi, per uscire da uno stato di violenza materiale e morale quale è la dittatura di Calles. P u r rispettando i sentimenti coraggiosi di tanti cattolici messicani, a me sembra doversi preferire, in una persecuzione religiosa, il metodo dei primi cristiani, che vinsero Roma non con la ribellione, ma col martirio. E oggi non mancano martiri nel Messico, al di fuori del campo dei ribelli. Questi i principali punti di contatto che io noto nel Messico e nell'Italia, dal punto di vista religioso. Essi danno luogo a


meditare sia sull'avvenire dei due paesi, sia sui metodi opportuni per evitarne l e più dannose conseguenze. Molti socialisti europei sono illogici: mentre condannano la dittatura fascista dell'Italia, e ne descrivono gli orrori nei loro giornali, approvano Calles, che secondo loro libera i l Messico dall'oppressione dei latifondisti e della chiesa. Per i socialisti vi sono adunque due libertà, due moralità, due giustizie. Lo stesso è da dire di quegli altri che non hanno che lodi per Mussolini e biasimi per Calles. C'è nel fatto una enorme differenza tra l'uno e l'altro dal punto di vista religioso; ma il sistema è lo stesso; la teoria dello stato è identica; il dispregio della libertà e del rispetto della personalità umana e dei principi di giustizia sono della stessa natura. Se le posizioni dell'Italia e del Messico sono diverse, ciò dipende dal fatto che le cause politiche ed economiche che hanno prodotto le due dittature sono diverse. Quanta ne è la responsabilità delle varie correnti politiche dei cattolici italiani e messicani? È mesto un esame che non può esser fatto che dagli storici, quando il suono dei nomi dei principali attori dei. due drammi sarà disperso, e gli effetti morali e politici di questi fenomeni daranno gli elementi di un giudizio spassionato. 1927.

(Arch. 13 A, 15).

BATTUTE DI CONVERSAZIONE Una distinta signora inglese che ama l'Italia e va spesso in riviera e a Firenze, mi diceva: « Gli antifascjsti debbono riconoscere che molto bene ha fatto Mussolini all'Italia: l'inglese che va là en touriste lo sente: ordine, puntualità nei treni, pulizia, rispetto, benessere; non vi sono più accattoni avanti le chiese n. Posso ammetterlo. madama : dubito del benessere economico, e certo non vi è benessere morale; ma posso ammettere i l resto. Ma crede il viaggiatore inglese che sia necessaria l a dittatura perchè i treni vadano in orario e non vi siano più accattoni ? Oh! si che lo crede, mi risponde la esimia dama; l'Italia stava per cadere nel bolscevismo, se non era per Mussolini.


Purtroppo, replico io, questo per non pochi inglesi è un dogma indiscutibile. Ed è perfettamente inutile per costoro ricostruire la storia, come ho tentato di fare io nel mio recente libro Z t d y and fascismo; e ricordare gli atteggiamenti di Mussolini a favore dell'occu~azione delle fabbriche. delle ferrovie e delle terre; e il suo programma demagogico estremista del 1919; e il suo atteggiamento rivoluzionario del 1920. Lo spirito medio conservatore, che odia il mito bolscevico, h a bisogno del mito fascista, come antidoto: è una forma mentale, è uno stato d'animo, che diviene verità oggettiva. E I'antifascista che parla, sia esso inglese o italiano, non ha la fortuna d i destare il dubbio salutare e ~ r u d e n t enel suo interlocutore, che ripeterii e sentirà ripetere molte volte ancora che Mussolini ha salvato l'Italia dal bolscevismo. La conversazione continua. La esimia dama si sforza di essere oggettiva, e d i temperare le sue impressioni con un senso di urbanità che è ammirevole. Mi dica, Lei però non può dubitare che almeno oggi c'è ordine in Italia e che il principio di autorità è rispettato da tutti; non vi sono più scioperi, e nessuno può far propaganda contro lo stato. Sono assai dolente di contraddire la gentile interlocutrice; io ho un'idea dell'ordine forse un PO' diversa. Non so chiamare ordine nè morale n& materiale quello nel quale vi possono essere assassini o violenze alle persone e ai domicili delle famiglie, che non sono mai o quasi mai puniti, ma anche esaltati come fatti per fini nazionali. Un'ombra vela la faccia della onesta dama; ma non risponde: forse ricorda i nomi di Matteotti e don Minzoni, ed avrà sentito parlare dei fatti di Torino del 1923, quando in una notte furono ammazzati ventidue operai, e quelli più recenti di Firenze nel 1925. Ma ella ha letto l'ultima circolare di Mussolini ai prefetti; e quindi crede che: le violenze, purtroppo fatali e necessarie in un periodo rivoluzionario, dovranno ormai cessare. Rimarco la parola: periodo rivoluzionario. I n Inghilterra si pensa da alcuni con terrore ad una possibile rivoluzione; e ricordo la pungente beffa fatta da Fh. R. Knox a mezzo della radio. In Italia sono quattro anni che si dice: sia avvenuta una rivoluzione; e molti viaggiatori inglesi sono incantati dall'ordine che regna in questo paese rivoluzionario. Sarebbe bene fame la prova anche qui. Sono io che domando alla dama: - Supponga che un bel giorno Churchill, che se fosse italiano sarebbe fasciata, potesse fare una bella marcia su Westminster con 30 mila armati, come se fossero camice nere inglesi. La stampa, o fascista o niente, e


quella fascista controllata dal suo gabinetto; niente più riunioni; i partiti avversi e -diversi tutti disciolti; le trade-unions sciolte e create invece l e corporazioni fasciste obbligatorie; sciolti i consigli dei comuni e delle contee, e messivi dei podestà. Tutti gli avversari come Lloyd George e MacDonald costretti a fuggire all'estero; altri più vivaci come Cook e Wegdwood mandati a domicilio coatto, a vivere insieme a ubriachi abituali e a gente viziosa e brutale. Nessuna associazione giovanile educativa consentita. tranne auelle del fascio. I nemici (così chiamati anche in documenti ufficiali) perseguitati finchè tutta l'Inghilterra, con Scozia e Galles, sia divenuta di un solo di un solo sentire: il fascista. pensiero Una risata chiude il mio dire: l'immagine di Churchill divenuto Mussolini a capo di camice nere, e forse con quel tipo vario di uniformi e permacchi da generale a cavallo, che usa Mussolini in tutte le pose, è quanto mai grottesca per un inglese: buona per una delle più fantastiche riviste da teatro. La conversazione potrebbe continuare; ma c'è un senso di disagio, che fa cercare altri argomenti. Perchè un inglese trova inconcepibile per l'Inghilterra perdere la libertà e violare i suoi ordinamenti e rcmpere la sua tradizione, e accettare per. essa la legge della dittatura che diviene tirannica; e trova tutto ciò vantaggioso e approvabile per l'Italia? Una volta vi f u un grande inglese che denunziò il governo dei Borboni di Napoli, come la negazione di Dio; che direbbe Gladstone del governo di Mussolini?

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(databile intorno al 1932). (Arch. 13 A, 13).

GLI SFORZI PER LA PACE È già scomparsa l'eco del discorso di Tannenburg e delle risposte forti e sdegnose di Barthou e di Jaspar, ma non è detto che ad altra occasione, a breve o a lunga distanza, non si rinnovi la stessa ondata di sentimenti e di risentimenti al di 1,à e al di qua del Reno. Però sarebbe errore grossolano il credere che tali manifestazioni, naturali e dall'una e dall'altra parte, possano turbare sul serio la pace europea; esse riescono solo a


increspare l'aria degli ambienti, ove si studiano i mezzi per ottenere una pace meno precaria e più valida. E se vogliamo dire che tali discorsi manifestino un malessere dei popoli già in conflitto, non diremmo altro se non che gli effetti morali di una grande guerra durano ancora; il che è ben naturale, essendo questa proprio la generazione che ha £atto la guerra. E non c'è dubbio che tutte le commemorazioni dei fatti d i guerra sono occasioni adatte a rinnovare quei sentimenti, che già furono realtà: e che lo sono ancora ma un ~ o c omeno di ieri. e che solo col tempo - -potranno sempre -più sviotarsi di contenuto. Ecco perchè l'opera di Ginevra può continuare indisturbata, non ostante i discorsi di Hindenburg o di Barthou o di Jaspar, fin tanto che la parte sostanziale di una pace di compromesso può essere efficacemente mantenuta. Diciamo pace di compromesso, perchè una formula assoluta di pace non si è trovata, nè è possibile trovare nelle condizioni di oggi. L'idea di una pace assoluta basata sulla forza, cioè sulla soggezione militare ed economica della Germania alle potenze dell'Intesa, è rigettata da tutta la politica seguita dalla occupazione della Ruhr in qua, e del resto non sarebbe nè voluta dall'Inghilterra nè tollerata dalla Germania. Dall'altro lato. l'idea di una Dace assoluta. basata sopra un definito ordinamento internazionale, per esempio il protocollo di Ginevra, trova recise opposizioni da parte dell'hghilterra, ma trova anche duhhi e diffidenze notevoli da parte della Francia e della Germania. Che tali opposizioni e diffidenze possano vincersi in un periodo più o meno lungo di tempo, oggi non si può dire; che tali opposizioni e diffidenze possano essere attenuate ovvero possano aumentare, dipende sia dal tatto politico delle potenze interessate, sia dagli sforzi che farà la Società delle nazioni; ma più che da altro dipende dalla possibilità di creare uno stato d'animo dei popoli e dei governanti d'Europa veramente contrario al ricorso alle armi. Ma r>er creare un tale stato d'animo occorrerebbe anzitutto poter eliminare il sentimento di paura, che è sempre un cattivo consigliere. Non vi è dubbio che la paura contribuì più di ogni altro sentimento alla decisione delle affrettate mobilitazioni del luglio 1914, e queste precipitarono la guerra. E oggi quel che tiene l'Europa in sospetto è proprio la paura che ha la Francia che la Germania, quando sarà in condizioni di farlo, dall'asmediti una reuanche. E ciò che trattiene 1'Lnnhilterra " sumere responsabilità e impegni per le varie frontiere dell'estEuropa è anche la paura che di-là possa partire, come nel 1924, la scintilla che dia fuoco alle polveri. Queste paure non sono del tutto ingiustificate; per cui è savia politica creare un sistema di sicurezza che ne elimini o ne

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riduca al minimo le probabilità. Si è cominciato con Locarno, e questo dovrebbe aver creato nella Francia il sentimento di sicurezza, perché in ogni caso la Francia aggredita sarebbe aiutata dall'hghilterra e dall'Italia come garanti del patto, oltre che dall'apporto morale e dalle sanzioni economiche previste dall'art. 16 del patto della Società delle nazioni. Ma la Francia, o almeno una notevole corrente dell'opinione pubblica francese, nemmeno con Locarno si sente sicura, sia perchè il giudizio sull'aggressione sarà sempre un'opinione di terzi e quindi può far sorgere una discussione dannosa in momenti tragici; sia perchè la frontiera dell'est non è garantita. E non si tratta solo della Francia. I1 centro-est Europa, dalla Polonia all'ungheria, ai Balcani, ha una situazione di incertezza, perchè la sistemazione fattane dalla conferenza di Parigi non poteva essere talmente ragionevole da non ammettere nemmeno il dubbio, e quindi la paura o la speranza degli interessati, che non si debba modificare, quando i problemi posti dai trattati arrivino H maturazione. Lo sforzo, adunque, della Società delle nazioni e dei vari gabinetti dovrebbe essere doppio: dare alla sistemazione attuale dell'Europa il valore di una cosa definitiva in quanto convenuta e concordata, e perciò garantirla contro eventuali guerr e ; ma ammettere insieme che i problemi che sorgono da questa sistemazione debbano essere affrontati e risolti. Lo staticismo senza dinamismo anche in ~ o l i t i c ainternazionale porta alla fissità irrazionale che per sè non si regge e perciò viene rotta violentemente : mentre un movimento dinamico senza lunghi periodi di sistemazione stabilizzata getterebbe i popoli nel caos. L'errore dei versaillisti, è quello di credere all'assoluta staticiti di auel trattato fino alla fine dei secoli: Versailles per essi è un dogma. Ma nel fatto non è così, molte cose vi sono caduche e parecchie già sono cadute, e il riconoscerlo è savia politica ; allo stesso modo che è savia politica f a r valere quelle clausole che sono tuttora vive e che realmente rispondono alle esigenze della tranquillità e della pace d'Europa. Non si deve dimenticare che l'Intesa uscita dalla conferenza di Parigi fu costretto a rifare il trattato di pace con la Turchia: non Neuilly ma Losanna fa testo. Così anche il piano Dawes non è Versailles, e il Kaiser non è stato processato. Pertanto, a inipedire che si moltiplichino i ~ r o b l e m iinsoluti e che di qui a pochi anni si rendano più difficili le condizioni di una Europa legata con la camicia di Nesso dei trattati, occorre che tali prohlemi vengano risolti mano mano che arrivano a maturarsi. A questo scopo è necessario che la Società delle nazioni non abhia paura di dare le sue soluzioni, con pru-


denza certo, ma senza abusare del sistema del rinvio da un anno all'altro. Sarà anche giovevole spingere i governi a concordare intese locali e trattati di arbitrato e ogni altro mezzo che agevoli la discussione e risoluzione amichevole o giuridica delle vertenze. I Locarno locali possono essere efficaci a impedire il formarsi di focolari di infezione nel corpo malato dell'Europa del dopoguerra; ma non si deve per essi perdere di vista il fatto che la pace dell'Europa per molti anni ancora dipenderà dal triangolo Londra-Parigi-Berlino, attorno al quale gravitano tutti gli altri stati. Quindi le maggiori responsabilità per la pace gravano sui tre governi, e il problema centrale è quello di adottare garanzie sufficienti per creare un vero stato di sicurezza fra Londra Parigi Berlino non solamente per i confini occidentali (Reno) ma per tutta l'attuale situazione europea. Questo non significa affatto diminuire la portata della Società delle nazioni, nè mettere in condizione di inferiorità gli altri stati, significa solo essere realisti. Purtroppo per arrivare a tanto la via è abbastanza lunga. Infatti occorre: 1) persuadere gli interessati diretti e i firmatari dei trattati di pace che non si può fissare in indefinito una carta geografico-politica, e che la revisione dei trattati è una valvola di sicurezza prevista dallo stesso patto della Società della nazioni; 2) persuadere la Francia che una Germania disarmata non può fare la guerra, e persuadere la Germania a non creare situazioni pericolose col favorire le correnti nazionaliste e dare alla gioventù un'educazione militarista; 3) persuadere l'Inghilterra ( e quindi anche i Dominions) che essa è uno stato europeo, che non può più ricorrere alla politica dello splendido isolamento, e che in ogni caso essa avrà sempre i danni di una politica europea che sbocchi in una guerra. Nel periodo, non certo breve, nel quale,si formerà una tale coscienza pubblica, la Società delle nazioni prenderà le iniziative varie e importanti della riduzione degli armamenti, dei Locarno locali o regionali, delle dichiarazioni contro ogni guerra ( e non solo quelle di aggressione), degli accordi economici e così via. E non si deve essere nervosi nè melanconici se nell'assemblea o consigli o comitato della Società delle nazioni si rifanno molte discussioni e molti discorsi senza arrivare al punto cruciale e difficile. Perchè tante volte in politica si invertono i termini, e occorre il massimo sforzo Der il minimo risultato. Ma è questa, e solo questa la via per arrivare al trinomio: disarmo, sicurezza, arbitrato. Quale sarà il primo o il secondo o il terzo? Io credo che i tre non possono essere che simultanei nell'effetto concreto, e

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preparati passo passo dalla volontà costruttiva di coloro che amano davvero la pace, sostenuti e incoraggiati dalla pubblica opinione. (databile intorno al 1933). (Arch. 9 A, 16).

CONFERENZA ALL'« ITALIAN REFUGEES RELIEF COMMITTEE Mr. Chairman, Ladies and Gentlemen, Non è poco conforto per me e per molti italiani che viviamo lontano dalla nostra patria, trovare all'estero persone di intelligenza e di sentimento, che si interessano per quanti soffrono delle tristi conseguenze dell'attuale regime fascista. Non sempre nè dappertutto sono note l e sofferenze e le miserie dei rifugiati italiani: noi stessi che ce ne occupiamo come un dovere di fratellanza, non conosciamo che molto poco. È difficile creare in poco tempo una rete di rapporti fra tanta gente dispersa per il mondo, in cerca di un rifugio dalle persecuzioni, spesso atroci ed inaudite, e di un lavoro che dia un pane onorato e un mezzo di sostegno alle loro famiglie. Parigi è il centro più numeroso e meglio conosciuto, ma non è il solo. Nella Francia vi sono moltissimi italiani, dei quali un certo numero ancora non precisato è di rifugiati politici. Ma ve ne sono in Germania, in Austria, nel Belgio, nella Svizzera e altrove. I1 comitato di soccorso sorto a Parigi, ha anche il compito di farsi centro di relazioni per raccogliere tutte le informazioni necessarie e promuovere altri centri locali; ma il lavoro è difficile e costoso. Certi stati d'animo si oppongono ad un rapido sviluppo di questa opera di carità e di bene, che è il soccorso ai rifugiati politici. Anzitutto la difficoltà di discernere il vero dal falso rifugiato politico; e colui che ha bisogno di soccorso da chi non ne ha. Ciò rende diffidente lo straniero e anche lo stesso italiano, che, dati i metodi del regime, può sospettare perfino di trovarsi a contatto con una spia. Altro stato d'animo, che rende difficile un lavoro metodico e di lunga portata, è quello di molti, che credono o sperano che l'attuale regime vada a cadere ovvero che si possa arrivare alla


normalizzazione. Questa parola fu coniata in Italia fin dal 1923 per indicare la fine delle violenze e il ritorno dell'impero della legge uguale per tutti. Infine c'è uno stato d'animo ancora più pericoloso, quello della preoccupazione politica, che inclina molti a vedere nel regime fascista un regime di risanamento dell'Italia e di un vi" goroso colpo a destra contro la propaganda bolscevica. Coloro che sentono così temono che anche il rifugiato politico sia una invenzione o un'esagerazione della propaganda antifascista. Questi stati d'animo fortunatamente furono superati dal gruppo in glese che ha formato in Londra l'ltalian Refugees Relief Committee, e che ha trovati adesioni e simpatie in una cerchia di persone, non ancora larga, ma che si va allargando, al di fuori di un circolo chiuso di parte. Ogni principio è piccolo e limitato, ma se esso risponde a un vasto interesse morale e sociale, trova la forza di svilupparsi allargando la cerchia degli aderenti e aumentando la propria attivi&. Così avvi-ene oggi dei comitati di soccorso ai rifugiati politici d'Italia. È però necessario, che come il primo e limitato gruppo di benemeriti iniziatori ha superato le difficoltà di ordine psicologico o politico, così insista nella propaganda perchè queste difficoltà siano siiperate sempre più da iin nnmero maggiore di persone. È vero che qualche volta riesce difficile discernere il rifugiato politico reale dal fittizio, e colui che ha bisogno di soccorso da chi non ne ha. Però, quando i comitati di soccorso, come quello di Parigi, mettono in opera tutta l'attività possibile ( e due persone sono da segnalare su le altre per il loro zelo, m.me Lavreville e il signor Struglino) l'inconveniente si riduce al minimo, ed è l'inconveniente di tutti i comitati di soccorso e di tutte le beneficienze. Non diremo per questo di dover sospendere nel mondo tutte le opere di carità; solo bisogna mettervi quanta più oculatezza è possibile. Forse è più difficile per gli stranieri rendersi conto che lo stato attuale d'Italia rende a un gran numero di cittadini difficile o addirittura impossibile la vita quotidiana e tiene in pericolo la vita stessa o la libertà; e che molti sono in prigione, altri nelle isole a domicilio coatto; e che è pericoloso fuggire all'estero e non riesce a tutti, E perchè questi fatti sono accertabili e spesso segnalati dai giornali o da riviste, con notevoli attenuazioni e reticenze, sarà utile che i comitati stessi procurino tutta la dociimentazione che è possibile, per rendersi conto della graviti del fenomeno e della sua estensione. Ma ci vuole il metodo in tutto questo; e il metodo non si L

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attua, se non si è convinti che il regime attuale d'Italia può durare a lungo; ma che per durare non può affatto omettere di perseguitare i suoi oppositori. Cioè la tirannide, se vuole esistere, non può cessare di essere tirannide. E allora: vittime ci sono oggi e vittime ci saranno domani. E purtroppo i comitati di soccorso oggi cominciano l a loro opera che non si sa quando potrà terminare. Io auguro e desidero che la loro opera termini presto, perchè ciò significa che sarà terminato presto l'attuale regime in Italia; ma io credo che sia insieme dovere mio ( e degli altri) di operare come se il regime fascista dovesse avere ancora molto tempo di vita. È triste, ma è doveroso. Permettetemi che io ringrazi in modo speciale l a distinta ospite che ci invita e che è zelante presidente del nostro comitato, Lady Slesser, e tutti coloro che nel comitato lavorano per un ideale di fratellanza cristiana, che non conosce limiti di nazionalità e confini di stato, ma solo l'amore del fratello che soffre, e che per giunta soffre per un grande ideale di libertà.

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(Conferenza tenuta il 14 luglio in' casa di lady Slesser, presidente del « Italian Refiigees Relief Committee D).

(Arch. 13 A, 14).

LETTERA AL DIRETTORE DEL NEW STATESMAN Signor direttore, Mr. Goad ha fatto una confusione di fatti che occorre mettere in chiaro. Nel settembre 1918 i cattolici democratici d'halia, fra i quali lo scrivente, fondarono la confederazione italiana dei lavoratori, che raggruppò tutti i sindacati cristiani; altri ne fondò, e appoggiata direttamente dal partito popolare italiano e indirettamente dall'azione cattolica, arrivò ad avere un milione e 35 mila aderenti, propri rappresentanti nei comitati ministeriali, propri esperti nelle assemblee del B.I.T., e aderì all'internazionale dei sindacati cristiani di Utrecht. Questi sindacati e la loro confederazione italiana dei lavoratori (che faceva pendunt alla confederazione generale del lavoro, socialista) furono sciolti in seguito alla legge del 3 aprile


1926 (vedi The Conternporary Review aprile 1932, pag. 499). In seguito a ciò, tra il 1927 e il 1928 l'azione cattolica (posta sotto la diretta dipendenza della Santa Sede) pensò di rimediare alla mancanza della confederazione dei sindacati cristiani, e approvò la creazione di un istituto sociale, il quale si occupava solo di istmzione religiosa sociale e tecnica dei propri soci, tentava di divenire una specie di Catholic Social Guild d'Inghilterra, la quale non è affatto una organizzazione sindacale e non ha proprie Trade Unions. Per questo istituto sociale così innocuo vi furono degli urti fra l'azione cattolica e il fascismo, urti che divennero ancora più seri nel maggio 1931 quando fu promossa la commemorazione del 40" anno della enciclica papale Rerum Novarum per la quale convennero a Roma le rappresentanze estere del movimento sociale cristiano. Fu allora l'urto forte fra il fascismo e il Vaticano a proposito dell'azione cattolica quando il papa ( i l 29 giugno 1931) pubblicò I'enciclica Non abbiamo bisogno, dove il papa condannò le teorie fasciste e l'obbligo del giuramento. Fatta la pace nel settembre 1931 fra il Vaticano e Mussolini, sulla base di mutue concessioni, cadde l'istituto sociale, come organismo particolare, pur rimanendo all'azione cattolica il compito della educazione relgiosa e sociale degli operai iscritti nelle proprie associazioni delle quali nessuna è stata mai o è oggi un sindacato operaio.

LETTERA AL DIRETTORE DEL TIMES Sir, vorrei ricordare ai molti che l'han dimenticato che uno degli ideatori di una società di nazioni, non campata in aria ma perfettamente realizzabile, fu il papa Benedetto XV. Egli nella lettera ai Capi dei popoli belligeranti del 1" agosto 1917 (cinque mesi prima del messaggio di Wilson de11'8 gennaio 1918, comunemente detto I quattordici punti) fissava con mano sicura i principi mi quali basare u la future réorganisation des peuples ». Egli scriveva: « 1: Le point fondamenta1 doit &tre qu'à la force materielle des armes soit substituée la force morale du droit D. u 2. Un juste accord de tous pour la diminution simultanee et


réciproque des armaments, selon des règles et des garanties à établir, dans la mesure nécessaire et suffisante au maniien de l'ordre public de chaque état D. « 3. En substitution des armées, l'institution de l'arbitrage, avec sa haute fonction pacificatrice selon dee normes à concréter et des sanctions à déterminer contre l'état qui refuserait soit de soumettre les questiona internationales à l'arbitrage, soit d'en accepter les decisions D. Si dovrebbero citare molti altri passi del famoso documento per completare i1 quadro. Dopo tante esperienze si vedono in una luce più giusta quelle proposte che durante la guerra furono rigettate dai belligeranti delle due parti. Benedetto XV non fu contento del modo come fu costituita la Società delle nazioni, come non fu contento dei trattati di pace; secondo lui mancò lo spirito di conciliazione fra vincitori e vinti. Egli vide lotano: ma fu accusato di tedescofilia. È bene qui ricordare a suo onore un fatto poco noto. Nella wrimavera del 1921. al delinearsi della ~ r i r n avertenza fra la Germania e l'Intesa, Benedetto XV fece un passo diplomatico per ottenere la mediazione del presidente degli Stati Uniti, al quale faceva avere le proposte tedesche per la sistemazione definitiva delle riparazioni. Ma il governo di Parigi fece sapere a Washington che riteneva il passo del papa come non amichevole. Poco più di un anno, e per questioni di riparazioni si a m v ò all'occupazione della Ruhr, l'inizio di tutti i mali.

IL CATTOLICESIMO IN FRANCIA Dal giorno degli accordi amichevoli fra il Vaticano e il governo francese sulle associazioni di culto (opera del nunzio Cerretti e del ministro Briand), e dal giorno della condanna del1'Action Francaise fatta da Pio XI. il cattolicesimo francese ha conosciuto dieci anni di pace, di sviluppo e di floridezza (non ostante che ancora siano vigenti le leggi contro le congregazioni), simili al periodo dal concordato napoleonico (1801) ad oggi. L'accoglienza trionfale fatta al cardinal Pacelli legato papale a Lisieux, e il suo discorso a Notre-Dame l'anno scorso, <


furono i l segno tangibile di una pace non tanto ufficiale tra autorità ecclesiastiche e laiche, quanto di una rinascita di sentimento religioso e di un declino del tradizionale anticlericalismo politico. Quest'ultimo fatto, assai notevole per la Francia repubblicana, è dovuto al chiaro distacco di un'ala importante dei cattolici militanti, dalla destra. L'inizio fu dato dalla costituzione del partito popolare democratico (novembre 1924) che volle rivendicare la propria personalità politica con l'adesione netta alla repubblica e alla democrazia, non laicieta nè clericale ma d'ispirazione cristiana. I1 capo Champetier de Robet, è stato due volte ministro. La Jeune Republique N, staccandosi da Marc Sangnier, volle anch'essa mettersi sul piano politico e arrivare ancora più avanti, aderendo al Fronte Popolare, dove ha avuto quasi sempre un membro nel ministero con Philippe Serre. Ma l'opinione pubblica è stata conquistata decisamente da L'Aube, giornale quotidiano d'opinione, francamente democratico, dove u n ' é q u i ~ e di cattolici di primo ordine ogni giorno combatte per la libertà, per la democrazia, per i valori morali e religiosi cattolici nella vita pubblica. I nomi di Gay, Tessier ( i due condirettori) di Georges Bidault, L. Terrenoire, m.lle Brillant. m.me Aucete-Hustace. Paul Archambault. Claude Lebloud, e molti altri sono al primo piano della vita politica e sociale dei cattolici francesi. L'élite intellettuale è attorno alle due riviste, La Vie IntelZectuelle dei padri domenicani e Politique dei democratici popolari, nientre il campo sociale è tenuto da oltre trent'anni dall'dction Populaire dei padri Gesuiti di Vauvey. I nomi più conosciuti all'estero sono il filosofo Maritain, l'accademico romanziere Mauriac, lo scrittore Stanislay Fumet e il vivace e penetrante J. Folliet, che oggi sono gli scrittori di Les Temns .,Dresents. Ma non bisogna dimenticare le Settimane sociali, e il suo leader, il prof. Douthoit, che da quasi quarant'anni forma il pensiero sociale dei cattolici francesi. Quel che ancora fa difetto è un'organizzazione professionale operaia e agricola diffusa in tutta la Francia. La confederazione degli operai cristiani (con a capo Gaston Tessier) raccoglie quasi mezzo milione d'iscritti, contro Ire milioni e mezzo della C.G.F. socialista. L'organizzazione dei Jocisti (gioventù operaia) ha quasi centomila soci e che spirito, che apostolato. L'appello di Natale dei cardinali Verdier e Lienart e dei vescovi che furono a Roma, fatto a nome del papa, agli operai L


comunisti e a tutti gli operai in risposta della celebre mano tesa ai cattolici per un ritorno a Gesù Cristo e alla chiesa in nome del Misereor super turbam, è una speranza per l'avvenire ... Ed è questa speranza viva oggi, non ostante la politica francese così turbata oggi da passioni, da interessi e da debolezze. (databile intorno al 1936).

(Arch. 8 A, 16).

L'INGHILTERRA E LA MORALE INTERNAZIONALE La Francia, si sa, non ha mai disarmato (dalla grande guerra in ~ o i ed ) ha sempre aumentato i suoi eserciti, per paura della Germania. Ma perchè l'Inghilterra riarma in modo tale d'avere finora speso più di mille milioni di sterline? Non è certo per paura della Francia: MacDonald, Baldwin, Chamberlain, han ripetuto che sol per difendere la Francia l'Inghilterra si batterà. Difenderla da chi? dagli Stati Uniti d'America ?...dalla Grecia ?... dal Portogallo? Difenderla dalla Germania, s'intende. L'Inghilterra si riarma in previsione di una guerra provocata dalla Germania. Ma L'Inghilterra ha anche i suoi interessi. Chi turba gli interessi dell'hghilterra? Non pii1 l'Olanda del secolo XV; non più la Spagna del secolo XVI; non più la Francia del secolo XVII e di Napoleone. È l'Italia nel Mediterraneo che turba gli interessi dell'hghilterra e anche il Giappone nel Pacifico. Pss ! Non parliamo del triangolo Berlino-Tokio-Roma ; noi non vogliamo dividere il mondo sulle ideologie. Noi vogliamo la pace con tutti; perciò armiamo; chi ci assalirà, saprà che noi resistiamo. Così l'inglese medio; l'inglese rispettabile, l'inglese tradizionale. Purtroppo, l'eventuale nemico dellYInghilterra è dalla parte del triangolo. Occorre prepararsi e trattare. Politica saggia : prepararsi e trattare. Però, se l'eventuale nemico dell'hghilterra è di là, sarebbe saggio non rafforzarlo, non incoraggiarlo, non fargli fare dei guadagni pregiudizievoli per la futura guerra. Vediamo un poco: la Germania unita a117Austria ha guadagnato altri 800.001) soldati. Quando la Germania potrà superare le opposizioni diplomatiche e annettersi i tre milioni di tede-


schi sudeti della Cecoslovacchia, saranno altri 500.000 soldati. Quando la Germania s'intenderà con l'Ungheria e la Romania, avrà grano e petrolio; avrà lo sbocco nel Mar Rosso, avrà influenza su tutti i Balcani fino al Mare Egeo. Quando l'Italia e la Germania avranno guadagnato la partita in Spagna, avranno un alleato militare per il caso di guerra, che creerà loro vantaggi nel Mediterraneo ( a danno della Francia e del191nghilterra) e impegnerà le truppe francesi sui Pirenei, diminuendo l'efficienza francese al fronte del nord. Quando il Giappone dominerà in Cina, avrà alterato l'equilibrio del Pacifico, confischerà le dogane e le concessioni europee, rafforzerà la sua flotta e rninacce~ài possessi inglesi e francesi. Lo sforzo militare e politico dell'Inghiltarra e della Francia dovrà dunque essere raddoppiato, per il caso di un conflitto. Allora Francia e Inghilterra invocheranno l'aiuto di piccoli stati in nome della sicurezza collettiva; ma costoro diranno che la sicurezza, collettiva è stata tradita. Allora Francia e Inghilterra si ricorderanno che a Ginevra esiste una Società delle nazioni per proclamare la giustizia della loro guerra; ma la Società delle nazioni sarà sparita insieme alla giustizia internazionale, l'una e l'altra tradite. Allora Francia e Ingliilterra invocheranno i principi morali cristiani della vita internazionale e troveranno gli stessi propri cittadini divisi sui principì e sulle applicazioni, trascinati ad una guerra senza ideali, che non sarebbe più l'ultima guerra dei sogni passati. Sarà questo il prezzo del tradimento della morale internazionale ? (databile verso il settembre del 1938). (Arch. 13 A, 6).

LA POLITICA BRITANNICA

Il prof. Arnold Toynbee nel suo ultimo articolo su Internotional Aflairs, facendo una penetrante analisi della situazione dopo Monaco, è d'opinione che l'Inghilterra ha abdicato al suo manifesto destino e ha accumulato errori sopra errori. Questa opinione è divisa da molti del nostro paese e dei Dominions,


non per politica di parte, ma per una convinzione oggettiva, che gli avvenimenti vanno sempre piÚ confermando. Ma dall'altra parte, molti sono d'avviso che Chamberlain non poteva fare altra politica per evitare la guerra, e anche non pochi laburisti, a parte dissensi particolari, pensano in questo modo; o per lo meno dubitano che tra la politica attuale e la guerra europea l'alternativa sia vera e seria. Quando nei primi mesi della sua nomina a primo ministro, interrompendo un oratore della camera, Chamberlain esclamÏ, seccato : League ! league, collective securitj- sono parole di ~ a ~ p a g a l l o !si ebbe da molti un brivido, si capi ch'egli (non ostante le sue stesse affermazioni in contrario) in quel momento, cedendo a un moto sincero, svelava la sua politica di abbandono di Ginevra. Egli di fatto si trovava di faccia ai due dittatori, che dopo aver lasciato la Lega, la colmavano di dileggi. Non vi erano allora che (manca una pagina del manoscritto) Cioè: la guerra in Spagna, la guerra in Cina. Unico tentativo serio di raddrizzamento, il trattato di Nyon (settembre 1937), per colpire la pirateria nel Mediterraneo. Ma dopo vennero le tappe dell'abdicazione in seguito alla uscita di Eden dal gabinetto. I.) Caduta dell'Austria (marzo 1938) 2) Agreement con l'Italia (aprile 1938)

3) Accordo per il ritiro dei volontari dalla Spagna entro 40 giorni (luglio 1938). Missione Runciman in Cecoslovacchia (agosto 1938) 4) Chamberlain a Berschtesgaden, a Godesberg, a Monaco (settembre 1938)

5) Smembramento della Cecoslovacchia anche da parte della Polonia e Ungheria (ottobre 1938) 6) Riconoscimento dell'impero abissino all'Italia, sul semplice ritiro di 10 mila veterani dalla Spagna, mentre si faceva l'invio di armi, munizioni e tecnici (novembre 1938)

7) Agitazione italiana per Tunisi, Corsica, Gibuti, contro la Francia (dicembre 1938)


8) Offensiva in Catalogna con quattro divisioni italiane (vigilia di Natale)

9) Viaggio di Chamberlain e Halifax a Roma, davanti tale offensiva e agitazioni antifrancesi (gennaio 1939). I1 quadro di un anno dalle dimissioni di Eden ad oggi è triste, la situazione più precaria che mai, a i teme che a primavera avremo la guerra, non ostante la dichiarazione di Monaco fra la Germania e la Gran Bretaena. " , e la dichiarazione di Parigi, fra la Germania e la Francia. È da sperare che no, ma l'atmosfera di attesa di una guerra prossima oggi è più asfissiante che non nel gennaio 1938, perchè oggi i dittatori sono più forti, e tengono l'iniziativa in loro mano, mentre il consiglio della lega si riunisce in sordina e i giornali pare che non se ne accorgano più; e la Francia e la Gran Bretagna non hanno trovato insieme una linea comune di resistenza morale e politica alle sempre più ardite pretese dei dittatori. (databile all'inizio del 1939).

(Arch. 1 3 A, 8).

NOTE SOCIOLOGICHE SULLA GUERRA

I l naso di Cleopatra Ho letto credo una ventina di articoli sulle cause della caduta della Francia: ora basta, non ne leggo più. Ho visto fra le cause - è il Temps che lo scrive - l'abuso del vino: per la Francia vinicola questo è il colmo. I1 governo Pétain-Lava1 si è affrettato a proibire (non il vino) ma qualche bicchierino di amaro: vada anche questo per la bonifica igienica della nuova Francia. Ma se, per caso, si trovava fra i generali francesi uno che avesse previsto in tempo l'errore di aver guarnito il fronte belga al momento dell'invasione dei Paesi Bassi, e l'altro errore di aver disseminato i carri armati fra le varie divisioni e di non averli concentrati sul fronte più debole, la Francia avrebbe resistito per lungo tempo al primo attacco come alla Marne, e le sorti delle battaglie successive sarebbero state assai differenti. Allora tutte le teorie della decadenza morale e politica del-


la Francia, della diminuzione delle nascite, della debolezza della democrazia, dell'abuso dei liquori da parte dei soldati, e altre cause determinanti, non avrebbero avuto l'effetto della miserevole caduta del giugno 1940. Non intendo con ciò negare i mali che hanno afflitto la Francia dal 1919 al 1940 (qual'è il paese che non è afflitto da mali?), ma mi sembra doveroso reagire contro le persistenti teorie di un determinismo sociologico, che arrivano sempre a provare che quel che è successo doveva succedere perchè e qui una filza di cause, che non sono vere cause, ma elementi permanenti al misto di bene e di male che è il nostro mondo. A tale diagnosi si risponde è vero con dei se... ( e la storia non si fa con dei se...). Ma la sociologia s ì ha i l diritto delle sue ipotesi, per dirci chiaramente che se l'umanità è fatta di uomini in società, basta certe volte un uomo per cambiare le sorti di un paese. La Francia del 1914-18 era forse migliore di quella del 1939-40? O non era la stessa, più o meno, politicamente divisa, minata dalla diminuzione delle nascite, impreparata militarmente e così via? Ma allora vi furono Joffre e Foch da un lato, Viviani e Clemenceau dall'altro; il re Alberto del Belgio, e l'Italia di Sangiuliano amichevolmente neutrale. Lasciamo tutti gli altri fattori; ma non credete che Sangiuliano del 1914 - ammalato e quasi morente - possa dirsi il naso d i Cleopatra? Se allora ci fossero stati solo duecentomila italiani al confine francese, la vittoria della Marna del 12 settembre 1914 sarebbe forse avvenuta?

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Il « Maginottismo

)I

La differenza fra allora e oggi è dipesa da quello che si può chiamare maginottismo ».'La linea Maginot diede tale sentimento di sicurezza che la Francia non sarebbe stata più invasa, che si perdette la visione della realtà. Non è a credere che la vittoria sia un semplice fatto di superiorità militare; questa vi contribuisce, ma fino a che uno dei due non si sente sconfitto, l'altro non si sentirà vittorioso. Quel ch'è avvenuto alla Francia è stato anzitutto un fatto psicologico; passare bruscamente dallo stato di sicurezza della impossibilità dell'invasione alla constatazione di una invasione rapidissima e con mezzi impreveduti. È l'improvvisa rottura di una diga di fiume che si credeva solidissima. Capi, soldati, folle di abitanti in fuga: il panico si comunica a tutto il paese. Si vede subito che la linea Maginot immobilizza un intero eser-


cito che non può più nè tentare l'offensiva, nè abbandonare il posto, nè impedire l'accerchiamento. Quel ch'era motivo di sicurezza e che aveva fatto perdere nell'immobilità otto mesi d i guerra, divenne motivo di preoccupazioni peggiori della stessa invasione, che si sviluppava in molte zone all'avventura. F u questa che persuase governo, stato maggiore e paese che la Francia era sconfitta. Pétain

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I vecchi generali

Non sappiamo bene le ragioni per cui Reynaud, nel rimpastare il suo ministero dopo la battaglia della Mosa, prese dentro u n certo numero di disfattisti, fra i quali il generale Weygand, che fin dal gennaio (come vien detto ora da giornali inglesi) aveva scritto che non si poteva condurre a lungo tale guerra e che egli consigliava di trovare le vie di una pace di compromesso. Non dico che Weygand avesse torto (non sono u n giudice competente); dico che Reynaud aveva torto di volere continuare la lotta con gli uomini che non avevano fede nella vittoria. Fra costoro tipici Pétain, di 84 anni - a meno di un miracolo a quellyetà non si è capaci di condurre una lotta impari e pericolosa - e Baduin che si sapeva in contatto con i circoli fascisti di Italia (chiamiamoli così). I1 suo combinazionismo u perdette Reynaud. L'unica via di salvezza della Francia, dopo l'invasione, era di accettare la proposta di Chiirchill, di un'unione con la Gran Bretagna, portare il governo e parte dell'esercito a Londra, altra parte nellYAfrica del nord e continuare la lotta. Chi impedì ciò? due fatti. I1 primo psicologico: con la caduta della Francia si credette che ad un mese di distanza sarebbe caduta la Gran Bretagna; così si formò nella maggior parte dei dirigenti francesi la psicologia della sconfitta. I1 secondo fatto politico a tinta lavalliana. Cogliere i l momento per finirla col parlamentarismo democratico e i l sindacalismo operaio, e fare una Francia a mezza strada tra fascismo italiano e falangismo spagnolo. Pétain, capo del nuovo stato, deve conciliare le glorie militari del passato con la sconfitta dell'oggi. Un « Cartoon » di Low Nei giorni del disastro francese Low disegnò per 1'Evening Standard e il Manchester Guardiari. uno dei suoi cartoons di stile eroico (Low è per me il primo cartoonista d'Europa): un soldato inglese, sopra una « cliff D, che brandisce un fucile: men-


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tre tutto l'orizzonte è in fiamme: l'Inghilterra sola a difendere la libertà europea. È così: oggi è solo l'Inghilterra di fronte al continente europeo, che può dirsi tutto soggetto a Hitler. Per alcuni è la lotta di due imperialismi; per altri, lotta fra civiltà e barbarie; ovvero solo l'estrema difesa di un paese che ha cessato di essere un'isola. Se, p.er ipotesi, Hitler a metà giugno, invece di proseguire su Parigi avesse tentato l'invasione della Gran Bretagna, e fosse riuscito, non dico a tutta, ma a installarsi a Londra ( e fare allora l'impresa non era così difficile), avremmo letto su giornali e periodici le ragioni morali, olit ti che, economiche, militari, per le quali l'Inghilterra doveva cadere. Si sarebbero evocati le debolezze di Baldwin, le incomprensioni di Chamberlain, le responsabilità del Labour Party, o della City, le fisime dei pacifisti, la propaganda di tutti i filofascisti e filofranchisti inglesi. Non nego che tutto ciò fa un bel quadro delle debolezze inglesi, ma non rappresentano una « causalità », nè sociologica nè storica, per una disfatta di guerra. Anche se l'occupazione fosse avvenuta, l'inglese medio avrebbe accettato l'idea di portare i suoi « penati )) in Canada e continuare la lotta. La flotta inglese e la francese Uno dei motivi Der cui l'o~inione francese non credette seria l'affermazione di Reynaud di trasportare, se occorreva, il governo francese in Africa, mentre l'opinione inglese non dubitò un momento dell'analoga dichiarazione di Churchill, sta in questo, che l'inglese concepisce il mare come proprio elemento, quasi una continuazione dell'impero, anzi un po' troppo suo dominio; il francese no: ottima flotta, magnifici marinai i francesi, ma reparto tecnico e di secondo rango: per il francese non c'è che il suo esercito, i suoi confini, la sua casa. Fuori, anche sul mare di costa, si sente spaesato. Reynaud in Africa, non sarebbe stata più la Francia; Churchi11 in Canada sarebbe ancora Inghilterra. Questo fa una forza di primo ordine per non sentirsi sconfitti, se Londra fosse occupata.

Il tempo è con l'Inghilterra? Forse che sì forse che no ». La difesa interna della Gran Bretagna è molto migliorata dalla metà di giugno ad oggi, e se non dà ancora una sicurezza tranquilla, dà per lo meno fi-


ducia e coraggio. L'aver ridotto impotente la flotta francese, comunque si giudichi la impresa, è stato u n gran vantaggio dell'Inghilterra. Se essa arriva a mettere a sesto gli affari dell'India, ne risentirà presto i l beneficio. Intanto la produzione di guerra dell'impero aumenta e le forniture americane arrivano con ritmo accelerato. Infine l'utilizzazione delle forze ( p e r quanto ridottissime) dei polacchi, cecoslovacchi, olandesi, norvegesi, belgi e francesi d i De Gaulle, dà i l vantaggio morale di non sentirsi isolata, di parlare a nome di popolazioni che ancora hanno fiducia nell'Inghilterra. Di contro: le spese di guerra enormi (almeno dieci volte più di quelle della Germania) pesano di già assai da questo lato; e il tempo le fa aumentare. L'inverno che viene, con la prospettiva della fame in Europa - paesi occupati e neutri o pseudo-neutri compreii farà pesare sull'Inghilterra una responsabilità che dovrebbe ricadere su Hitler. Coscienza o psicologia I l ~ r o b l e m a fondamentale che deriva da tutte le osservazioni prese dal vivo, è questo: « Quando e come si arriverà in Inghilterra a formarsi una coscienza o psicologia della disfatt a ? a. I1 giorno e l'ora in cui ciò avverrà, Hitler avrà guadagnato la partita. Fino a che ciò non sarà in vista, la guerra durerà, con le sue fasi aspre e i suoi pericoli, ma Hitler non guadagnerà la partita. Per il nemico, il punto principale è penetrare nel vivo della coscienza inglese, insinuarsi per turbarla nella sua decisione e fermezza, sia con la prospettiva di una pace di compromesso, sia con la visione di una terribile crisi economica del donoguerra, sia con le possibilità di disgregazione dell'Asse. Strano: Gest'ultima idea si è fatta strada presso una certa minoranza anglicana, cattolica, con l'idea di un blocco latino: Italia - Francia - Spagna e Portogallo, da disimpegnarsi da Berlino e da fare contrappeso all'impero germanico e stati vassalli. L'Inghilterra bilancerebbe le forze. È un'idea come un'altra, nulla sapendosi del futuro europeo. Ma auel rifiuto a ben delineare i valori morali e aolitici fra l'una e l'altra parte in lotta, e tutto risolvere in un balance of power; e peggio canonizzare sotto l'idea di blocco latino una specie di clerico-fascismo insopportabile, e più che altro credere che Hitler voglia lasciare intatta la Gran Bretagna e il suo impero, è cadere nella propaganda avversaria.


I1 problema della resistenza morale ha oggi per l'Inghilterra lo stesso valore - e forse più - che quello della resistenza militare. Se i capitalisti troveranno che la guerra costa troppo, gli umanitari che fa troppo vittime, e i realpolitici che si potaà trovare upa sistemazione europea anche con Hitler, e se tutto ciò farà oscillare la coscienza pubblica di questo paese, creerà la psicologia della pace di compromesso, che è preludio alla psicologia della disfatta. (databile intorno al 1940).

(Arch. Cart. 16, 16).



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Recensioni



L'ORGANIZZAZIONE INTERNAZIONALE DEL MONDO CONTEMPORANEO (*) I1 nome dell'autore è molto noto nel campo degli studi di politica internazionale : egli insegna diritto delle genti all'istituto cattolico di Parigi. Questo volume (che recensiamo con qualche ritardo) è una prima raccolta di articoli e studi già pubblicati, sui tentativi fatti per una organizzazione internazionale, dalla prima conferenza per la pace (1897) alla Società delle nazioni; della quale l'autore riassume i lavori delle prime quattro assemblee. Vi sono intercalate notizie e discussioni utili attorno alle varie iniziative cattoliche, principale l'Unione cattolica di studi internazionali. I1 punto di riferimento di tutto il lavoro è il papato, e la sua posizione nel mondo, il suo compito pacificatore e la possibile collaborazione con Ginevra. Come tutti i volumi fatti da studi e da articoli riuniti insieme, ha il pregio della aderenza del pensiero alla materia che sfugge e che spesso è episodica, anedottica, accidentale; ma ha il difetto della minore sistemazione di idee e inquadramento di fatti storici. I1 lavoro del prof. de la Brière resta un contributo utile, sotto certi aspetti, a caratterizzare lo stato d'animo dei cattolici, nel dopoguerra, riguardo la Società delle nazioni; e una messa in valore di alcune iniziative, come l'Unione cattolica di studi internazionali, rimasta pressocchè sconosciuta a moltissimi amici e avversari. La parte che riguarda il papato e la sila missione religiosopolitica nonchè la speciale questione della libertà e indipendenza della Santa Sede, è la meglio svolta e per precisione e per temperanza.

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(*) 1vc.n de la Brière L9organUation internationale d u monde contemporain et la Paupaté souveroine, première serie (1885-1924), Ed. Spes, Pan s , 1924.

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Non possiamo, però, a questo proposito, tacere attorno a certe frasi di sapore nazionalista francese, come quella a pag. 233 ove si dice che il potere pontificio ( q u i si intende potere temporale, o quella sistemazione di diritto pubblico del quale l'autore fa cenno) è un interesse francese di primo ordine. Che questo lo abbia detto il duca di Nemours ai suoi tempi, passi; ma che si dica ora dal prof. de la Brière, è se non altro una poco simpatica esagerazione. Tutti i cattolici, e solo come cattolici, hanno interesse a che sia sistemata la questione romana. Ma avanzare pretese francesi o tedesche o sulla chiesa o sull'Italia è una entrave politica, che rende difficile la stessa soluzione che si desidera. Altre riserve facciamo su alcune frasi che tendono ad unire, in campo missionario o di propaganda religiosa, la chiesa e la Francia. Troppi errori si sono commessi in proposito; ed è provvidenziale l'opera di Pio X I (come si rileva dalla lettera ai cinesi) nel voler disimpegnare la chiesa cattolica da protezioni nazionaliste, che possono inaridire le stesse sorgenti del cristianesimo presso i popoli pagani. Ogni tempo il suo male. Non dobbiamo essere troppo esagerati nel rivendicare tutti i cosidetti diritti storici; che per sè sono caduchi, e di fatto cadono quando non si inquadrano più nella storia che si vive. Sotto questo aspetto, avanzeremmo una timida domanda: rispondono proprio ad un principio fisso e immutabile tutti i diritti della sovranità e indipendenza di uno stato, quale si concepiva per i l passato; e non si nota piuttosto l'usura di certi diritti, e più che altro la necessità di sottoporli a revisione? Anzi, non si nota che la struttura economico-giuridica dell'attuale società e i contatti dei popoli sempre più intimi e interferentesi, non postulano una attenuazione al concetto di assolutezza nella sovranità e autonomia degli stati? Che cosa è il diritto delle genti se non una limitazione della sovranità? E mano mano che si passa da un diritto delle genti primitivo ed elementare a uno più svolto e più complesso, non aumentano i limiti alla sovranità degli stati? Si suole dire che il diritto delle genti, essendo un diritto positivo, porta delle limitazioni volontarie. Bisogna anzitutto riconoscere che questo grado di volontarietà è spesso troppo tenue, mentre fatti involontari e necessità collettive concorrono a crearlo o a darvi corpo. Ma per di più, essendo la formazione di un tale diritto un lento processo storico, il passato non è così volontario per i l presente da poterlo annullare; mentre i limiti alla sovranità permangono nei confronti internazionali. Tutto ciò rileviamo, perchè l'autore sembra troppo geloso della sovranità di ogni singolo stato, in confronto alla Società


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delle nazioni; e pare che vorrebbe negare (non c'è certo nelle sue intenzioni) quegli ulteriori sviluppi, che la possano rendere davvero efficiente. Diciamo che ciò non è nelle sue intenzioni, perchè, per esempio, abbiamo letto con piacere le sue critiche alla interpretazione data dalla 2a assemblea della Società delle nazioni, con uuattro emendamenti all'articolo 16 del trattato di Versailles. circa l'obbligazione giuridica delle nazioni associate a sospendere i rapporti economici con lo stato che rompe il patto. L'autore qua e là insiste contro le cosidette idealità wilsoniane e la propaganda fattavi attorno da pacifisti, democratici, socialisti e framassoni, per i quali la Società delle nazioni è ( o era) una nuova parola detta al mondo per lo stabilimento della nace sulla terra. L'autore invece ritiene realisticamente che « l a Société des nations est une association à base contractuelle, conc'liie entre états independants, pour viser à certains fins d'utilité commune; c'est I'organe régulateur d'une vie internationale devenue de plus en plus complexe (pag. 157). Egli avrà ragione di considerarla sotto un angolo visuale attuale, realista, limitato; ma non può negare che la spinta a questa Società è stata data da idealità più alte o più larghe o più generose; e che lo scopo della pacificazione dei popoli in un ordine complesso di rapporti interstatali, è e deve essere presente a un'opera così importante; e che, del resto, ogni inizio è difficile e limitatissimo, e lo sviluppo può essere al di là delle stesse forze iniziali. Certo che non ~ o t r a n n omai eliminarsi i mali del mondo: ma possono superarsi i mali storici, con gli sforzi della civilizzazione; come è avvenuto per i popoli civili a proposito della schiavitù, del giudizio di Dio e della cosidetta giustizia privata. Perchè non dovr,à essere così anche per la guerra? Perchè opor re come barriera la sovranità di ogni singolo stato? Non è " " forse questa idea il residuo di un passato non desiderabile? Noi vorremmo che i cattolici, nel guardare il punto di vista della guerra, cerchino nella fonte perenne di vita e di progresso, che è il cristianesimo, le ragioni vere del progresso umano, e il mezzo infallibile di sunerare i mali che nascono dalle difettose organizzazioni umane. Queste noi circondiamo d i principi filosofici e giuridici, come un fossato eterno, o come muri incrollabili; e invece questi muri crollano come quelli di Gerico e i fossati sono riempiti come quelli che una volta garantivano Ninive o Babilonia.

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(Non risulta pubblicata).


LA RESURREZIONE DELLA POLONIA (*) I1 pregevole lavoro del Tommasini, va dalla fine della grande guerra, che segnò la ricostituzione della nazione polacca a repubblica, sino alla fine della sua missione diplomatica presso il governo polacco, cioè nel settembre 1923. Quello che egli espone con precisione, sicurezza e notevoli dettagli (questi forse qua e là un po' superflui) è quanto egli stesso ha conosciuto de visu, ha sentito, ha vissuto, e come ministro d'Italia e come amico della Polonia. I1 suo contributo alla futura storia polacca ha quindi un valore notevole. Dopo un'introduzione nella quale è per sommi capi ricordata la storia dell'antica Polonia, l'autore entra a narrare gli avvenimenti dai primi mesi di libertà in poi; e quindi nei ' capitoli seguenti tratta i ' t e m i interessanti della Polonia e i problemi religiosi, la Polonia e la Russia, la Germania, la Lituania, l'ex-impero austro-ungarico, la Francia, gli altri paesi e infine l'Italia. Sarebbe improprio pretendere che i giudizi dell'autore siano tali da poter essere accetti tutti e da uomini che studiano da vari punti di vista i problemi della ricostituzione europea in genere, e polacca in specie. I1 Tommasini ha un limite ai suoi apprezzamenti e alle sue direttive che è dato dalla sua qualità di diplomatico italiano; limite serio e doveroso, che egli sa mantenere con dignità, senza venir meno alla ricerca della obiettività storica che egli si sforza di raggiungere. Ma l'autore esercita anche la critica. sia dei fatti interni della Polonia, sia degli avvenimenti europei del dopoguena. Ma in ciò egli qua e 1.à mostra certe tendenze nazionaliste e germanofobe, che la sua esperienza avrebbe dovuto ridurre al minimo, ma che purtroppo è difficile esigere che siano eliminate dall'anima retorica dei latini. La Polonia risorta ci offre un punto interessantissimo di esperimento e riprova degli errori e delle impotenze dell'Intesa, di Parigi e di VersailIes; un centro di immediata rifrazione degli interessi e delle aspirazioni della Russia sovietizzata; un crogiolo di razze e di interessi centro-europei gravitanti di fatto verso i popoli germani e slavi (verso i quali però il con-

(*) Francesco Tommasini telli Treves, 1925.

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- La risurrezione della Polonia, hlilano, Fra-


trasto nazionalista polacco è insito e permanente); una debole struttura statale, che si appoggia alla Francia, la quale d'altro lato ha interessi fortissimi a non disgustarsi la Russia. Tutto ciò dà un'importanza eccezioiiale alla storia della neo-repubblica; e l'aiitore si sforza di cogliere i motivi nella loro luce; benchè manchi la vista d'insieme laddove la storia diviene cronaca, e la critica diviene rapporto protocollare; e la logica si ferma davanti alla intangibilità dei trattati di pace. L'ultima parte, la Polonia e l'Italia, è la meno interessante, perchè potrebbe parere lo scopo stesso del libro. Nel fatto 1'Italia, mentre ha coltivato tradizionali simpatie con la Polonia vinta e asservita, sotto l'aspetto della libertà nazionale, non ha saputo conquistarsi in Polonia nè importanti mercati, (cosa del resto difficile) nè quella posizione politica che era necessaria per far gravitare verso di essa i popoli e gli stati centroorientali dell'Europa. I1 diplomatico Tommasini, quando poteva farlo, ha seguito la politica di Sforza; ha tenuto il posto con dignità. ha cercato di far rispettare l'Italia; ma egli non poteva nè creare, nè ravvivare una politica che non c'era; nè modificare quella che Torretta o Schanzer o Mussolini hanno fatto dopo Sforza. I1 libro del Tommasini serve a richiamare l'attenzione degli italiani sui problemi della Polonia. Ma gli italiani sono disposti a occuparsi sul serio di politica? e di politica estera? (Non risulta pubblicata).

LA BASILICATA (*) Stampate in fascicolo separato, queste novanta pagine di Zanotti-Bianco formano l'introduzione al primo volume della inchiesta sulle Condizioni dell'infanzia in Italia D, che si occupa della Basilicata. I1 fascicolo sta molto bene a sè; ed è un coscenzioso contributo alla migliore conoscenza del problema del mezzogiorno. La Basilicata non è che la regione più colpita dal fenomeno meridionale; ma molti dei mali che si lamentano

(*) C'mherto Zanotti-Bianco

ni, 1926.

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La Basilicata, Roma, Stab. Tip. Garro-


nella Basilicata sono, dove più dove meno, comuni a tutte l e provincie dell'ex-regno delle Due Sicilie. Sicchè si può ben dire che il problema della Basilicata si inquadra in quello meridionale; e questo in quello di tutto lo stato italiano. Le connessioni sono sì strette che si dovrebbe dire meglio che l'un problema si risolve nell'altro. Molti hanno scritto sul problema meridionale e da punti di vista particolari e parziali, o da punti di vista politici e generali; coloro che ne hanno avuto una visuale d'insieme veramente realistica sono stati Giustino Fortunato, De Viti De Marco, Nitti, Salvemini. Però nessuno ha avuto il coraggio d i affrontare il problema del regionalismo, che è basilare per poter avviare a soluzione sia il problema meridionale, sia quello dell'Italia come stato unitario. Anzi l'opinione corrente nella generazione politica meridionale che sta per tramontare è stata fermamente e rigidamente antiregionalista e per l'amministrazione di accentramento. Tra gli uomini politici meridionali di questo primo quarto di secolo, credo di essere stato quasi l'unico convinto assertore del regionalismo in funzione della questione meridionale (*). Zanotti-Bianco, che conosce assai bene il mezzogiorno, per l a sua azione indefessa e intelligente nell'opera del mezzogiorno e non solo nella letteratura politica ed economica della quesiione. ma anche nelle difficoltà wratiche d i attuazione. mostra nel suo lavoro di tentare di penetrare lo spirito delle popolazioni del mezzogiorno. Ma a me sembra, alla lettura di queste pagine, che egli, mentre mette a nudo il lato primitivo e stazionario, diffidente e individualista del popolo meridionale, non approfondisca la ricerca del lato positivo cioè dei valori morali che sono così profondi nell'anima meridionale, e che purtroppo sono misconosciuti dai meridionali stessi. La mancanza d i una vera coscienza collettiva, che non si forma senza larghe trasformazioni della vita sociale ed economica, e senza le più vive agitazioni politiche, è quella che rende il mezzogiorno quasi avulso dalle correnti del pensiero e .della vita italiana, * e che ne rende difficile la vera conoscenza intima. Il problema ha due aspetti: quello economico-sociale, cioè formare una vera classe nuova con l'elevazione dei nuclei più capaci del largo contadinato meridionale; e quello amministrativo-politico ; cioè: dare attraverso la regione un'autonomia formatrice della coscienza collettiva dei propri bisogni, delle pro-

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(*) vedi L. Sturzo Riforma statale e indirizzi politici. in I l partito popolare itoliono, vol. I, Bologna, 1956 pp. 309 sgg.


prie esigenze, della necessità del proprio progresso. Si deve distruggere l'idea che il governo può tutto, che il governo deve f a r tutto, che l'Italia meridionale deve importare dall'Italia del nord e dal centro burocratico uomini e mezzi, leggi speciali e idee. Al solito si combatte il regionalismo perchè non se ne ha fiducia: è l o stesso stato d'animo dei reazionari della Santa alleanza che negavano ai popoli l e 1ibert.à politiche per timore di abuso e per impotenza a governarsi. O sia una classe che si crede investita del potere di reggere gli altri, o sia una parte geografica di uno stato, è sempre la stessa idea dominatrice: la troppa fiducia in sè e la poca o nessuna fiducia negli altri. È la presunzione che deriva dagli egoismi e crea i distacchi nella vita sociale. L'autore tra l e cause del fallimento delle leggi per la Basilicata mette in primo piano la insincerità del decentramento promosso dalla legge del 1904. Egli h a ragione quando dice che (( il decentramento presuppone una vivace coscienza all'autonomia, alle libertà N ; ma questo tipo d i decentramento delle leggi speciali per il mezzogiorno non è neppure u n decentramento: è una faccia dell'accentramento statale, che è la vera piaga della nostra Italia, e non dellYItalia solamente. L'opuscolo di Zanotti-Bianco si legge con il più vivo interesse, e sarà utile diffonderlo largamente, perchè la nuova generazione, nel riprendere il problema del mezzogiorno, conosca bene gli sforzi e il fallimento della politica del passato, e maturi meglio gli elementi dell'avvenire. (Non risulta pubblicata).

LO STATO FASCISTA (*) Non è senza gravi difficoltà cercare d i cogliere i lati realistici ed essenziali di u n edificio in costruzione, specialmente se questo edificio è uno stato che si va rifacendo con materiali nuovi ( o almeno riverniciati) come l'Italia fascista. H W . Schneider durante il 1926-27, quando era (( a fellow

(*) Mnkirrg the Fmcist Stote, by Herhert W. Schneider, New York, Oxford University Press, 1928.


of the National Social Science Research Council n. fu in Italia a studiare il nuovo fenomeno; e ne scrisse un libro, prefiggendosi « to investigate the construction of fascist theories in terms of the varying practical situations into which the movement was forced by circumstances r. Certo che dal 1919 ad oggi le variazioni delle teorie fasciste sono state tali, che ad un osservatore estraneo deve riuscire come un dedalo, dove non si può entrare nè uscire, senza un qualsiasi filo conduttore. Questo filo conduttore non è la narrazione dei fatti; egli avverte bene il lettore, nella premessa, di non credere che il suo libro sia « more and less than a history of fascism n, ma invece « it is a laboratory study of the mind and imagination at work D. Sventuratamente il materiale da laboratorio che l'autore ebbe in mano non era di qualità; molte erano le scorie non facilmente sceverabili; gli stessi strumenti di laboratorio mancavano di precisione, e più che altro facevano difetto le direttive del lavoro. I1 libro è diviso in cinque grossi capitoli: War and Empire - Revolutions - The fascist State - Syndacalism and the Corporative State - Fascist Culture. Segue un'appendice : Selections from fascist Literature and Documents of fascist History. La bibiiografia, posta in fine, non è propria dell'autore, che sembra ignorare le più importanti pubblic~zioni in materia, ma è presa dalla Guida bibliografica di cultura fascista. Sotto il nome d i Salvemini è annotato: (C a distinguished historian at first favorable to fascism n, il che non risponde a verità. Di simili inesattezze il libro è pieno, e se ne troverebbero quasi ad ogni pagina. Il che potrebbe passarsi sotto silenzio, se ciò non fosse, come è, un indice delle informazioni superficiali e del carattere di reportage giornalistico, sulle quali l'autore si è basato nelle sue ricerche. Ma quel che principalmente disturba il lettore che conosce la materia e potrà anche ingannare il lettore che non conosce la materia, è la mancanza del senso di proporzione storica nell'esporre o accennare agli avvenimenti, e l'alterazione dei valori ideologici e politici della vita italiana. Ciò è dovuto in parte al metodo seguito dall'autore, quello di esporre idee e fatti fuori del quadro della realtà vissuta, e quindi senza la loro naturale proporzione, e in parte anche è dovuto alla mancanza d i una vera conoscenza della storia italiana. L'autore, perciò, pur cercando di essere imparziale e credendosi tale, ha assimilato lo stile dei pamphlets fascisti, che tendono a deprimere il passato per innalzare il presente, ad alterare i fatti per attribuire ad essi un significato favorevole alle proprie tesi;


a legare in un modo o in un altro uomini e idee del passato ai variabili atteggiamenti del nazionalismo e fascismo, si da creare all'attuale regime un certo titolo di nobiltà che non ha. Lo Schneider h a subito inconsapevolmente l'ambiente riscaldato, sovreccitato, pieno di passioni, che è l'ambiente di un partito vincitore, trionfatore, totalitario, senza freni nè controlli. E per quanto l'autore veda questa realtà e ne conosca le inconsistenze e le incoerenze, pure non ha il senso critico così sviluppato da fermarsi di fronte alle deformazioni ideologiche e storiche, fatte in funzione della politica del momento. Da piccole battute si può rilevare il tono. « Crispi was the first statesman of New Italy to conceive his country as a world power n (p. 1). È questa un'affermazione della storia ad usum delphini, che i fatti contraddicono. Basta citare i nomi, dopo Cavour, di Robilant e Visconti Venosta. Altro errore, di marca fascista, è attribuire a Crispi la conclusione della Triplice alleanza (pag. 2). Nella stessa pagina l'autore afferma: « The actual industria1 development of Italy was accomplislied by financiers and industrialists more than politicians »; ma egli non ricorda che furono governanti e uomini politici a iniziare il protezionismo industriale con le tariffe del 1887, senza le quali non sarebbero valsi gli sforzi di finanzieri e industriali; ma lo scopo è deprimere i passati governi e dare valore al nazionalismo, come il movimento salvatore dell'Italia. Di tale movimento l'autore a pag. 3 dice che nel 1911 « grew enormously n e che L'Idea nazionale ( i l giornale dei nazionalisti) « became a ~ o p u l a rand ~ o w e r f u lorgan of public opinion for the younger generation N. Ciò non corrisponde alla realtà. L'Idea nazionale aveva una tiratura di non più che cinquemila copie al giorno, e i nazionalisti erano un piccolo gruppo con quattro o cinque deputati nel 1913; e i giovani nazionalisti non arrivavano al migliaio. L'incremento fu così lento, che nel 1921 i nazionalisti (sorti nel 1910) avevano 17 deputati al parlamento, i fascisti (sorti nel 1919) ne avevano 35, i popolari (sorti nel 1919) ne avevano 107, e i socialisti (sorti nel 1892) ne avevano 128. A pag. 4, l'autore dice che la teoria del Tolomei sulla italianità del Sud Tirolo (detto Alto Adige) divenne subito popolare e fu generalmente accettata. La verità è diversa: la generalità degli italiani, fino a dopo la guerra non conosceva il problema del Sud Tirolo. Questo divenne italiano per ragioni di politica internazionale (come contentino dato all'ltalia dalla conferenza di Parigi invece di Fiume) mascherata da ragioni militari.

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Questi rilievi possono moltiplicarsi a volontà; bastano per rilevare i l tono. Leggendo il primo capitolo del libro dello Schneider sembra che i nazionalisti fossero i veri dominatori dello spirito pubblico prima della guerra, che essi fossero stati i protagonisti della guerra libica; tale è la deformazione dei fatti. Più grave è la sproporzione quando entra in scena Rlussolini; sembra che questi sia stato l'artefice della partecipazione dell'Italia alla guerra mondiale, il fattore della resistenza e della vittoria. I n linea logica, nazionalisti e fascisti insieme dopo la guerra da loro vinta, avrebbero messo le basi al nuovo impero dell'Italia fascista; un impero, per fortuna, solo di parole ! All'idea dell'impero lo Schneider dedica molte pagine, che non sono che citazioni di articoli retorici dei vari scrittori fascisti o dei discorsi di Mussolini. Si comprende clie in questa sorta d i impero c'entrano come fattori l'idea dell'impero romano, la chiesa cattolica, Dante, Machiavelli. Mazzini e Gioberti con il suo primato, l'espansione coloniale (perchè allora nel 1926 si parlava di espansione coloniale), il Mediterraneo mare nostro e così via. Com'è possibile riunire insieme tutte queste cose così disparate, senza una critica, cioè senza una attribuzione di valori? 'È proprio vero che i fascisti ragionano così, coine dei matti? O questi ragionamenti da matti sono in funzione dei risultati pratici che possono essere voluti da loro, e che rispondono a scopi di utilità? L'autore esamina la politica estera del fascismo e trova fuori del programma imperiale, un certo che di tortuoso (pag. 27). E d ha ragione; ma quando l'autore a pag. 37 crede che il fascismo voglia arrivare a guerre con i vicini (considerate tali guerre come esaltazione di razza e come tributo all'idea imperiale), egli si inganna, vede la realtà dove sono parole e gesti, e confonde i l volto con la maschera. Questa stessa confusione fra la maschera e il volto fa 10 Schneider quando tenta di esaminare il gioco delle teorie e dei fatti nella formazione dello stato. Come, del resto, precisare le teorie fasciste? I vari interpreti autorizzati han dato varie spiegazioni, e lo stesso duce ha anche lui giocato parecchio con l e teorie, a pigliare e lasciare. I1 cattolico inglese J. S. Barnes cercò di dimostrare che lo stato fascista fosse la realizzazione dello stato cattolico; e sembrava che il concordato del Laterano desse ragione a J. S. Barnes, ma il duce, con i suoi discorsi alla camera e al senato e


con quello del 14 settembre, ha dissipato una tale credenza: lo stato è e rimane fascista pur inverniciato di cattolicesimo. Altri han creduto che stato fascista voglia dire stato corporativo. Lo Schneider impiega circa 80 pagine su questo argomento, e fa uno sforzo non indifferente per chiarire le posizioni di pensiero fra i sindacalisti italiani di prima del fascismo ed i sindacalisti fascisti. Come al solito, gli manca l'esatta valutazione di fatti e di teorie, e quindi vi è una notevole confusione. Quando viene al tentativo fascista dello stato corporativo l'autore fa una lunga e dettagliata esposizione delle leggi fasciste-e delle varie e minute fasi di elaborazione, senza che per questo egli a m v i a penetrarne il vero significato. Egli sembra credere che lo stato fascista si fosse allargato neHo stato corporativo (pag. 206) e arriva a scrivere che « it is possible that before long both hegelian and mamian philosophers will discover that syndacalism is the middle term by which socialism and fascism have been joined in higher dialectic unity » (p. 213). Tutto ciò presuppone che vi sia un sindacalismo, e perchè questo sia reale presuppone che tale sindacalismo sia libero nella sua vita interiore e nella sua funzionalità. Questo ragionamento così elementare non si affaccia per nulla alla mente dell'autore che guarda solo le denominazioni legali e le affermazioni polemiche dei fascisti. I1 capitolo meno chiaro e meno conclusivo è il quinto: r Fascist Culture ». Nel fascismo sono penetrate tutte le correnti di cultura, senza fondersi; ed è naturale che sia così, perchè il movimento è stato ed è politico, superficiale, di tipo awenturoso. Lo sforzo di crearne una cultura, un'anima. è senza fondamento. Aveva ragione Panunzio di dire: <t Noi fascisti abbiamo bisogno d i una dottrina ben definita n, ed aveva ragione Gentile a replicare: « No, quel che abbiamo bisogno non è portare la cultura nel regno del fascismo, ma portare il fascismo nel regno della cultura n. Nel fatto i nazionalisti hanno la propria cultura, quella di Maurras e dei francesi adattata allo spirito italiano, meno logico e meno consequenziario dei francesi. I cattolici filo-fascisti si appoggiano alla cultura cattolica, accentuando la tradizione autoritaria di De Bonald e di De Maistre. I sindacalisti cercano d i adattare Marx e Sorel alle loro vedute, senza poterne fare una sintesi. I1 fascismo in mezzo al cozzo di queste correnti inassimilabili, cerca le frasi di colore, le vesti di gala, le maschere di occasione. L'autore insegue le frasi, le vesti e le maschere come tante realtà : il fascismo anti-risorgimento ; il fascismo contro-riforma, il fascismo aristocrazia; il fascismo futurismo;


libro e moschetto, fascista perfetto » ; il fascismo romanità, u vivere pericolosamente D. Non faremo i l torto a H. W. Schneider di non comnrendere lo spirito della nostra critica. Noi pensiamo che è un bene che scrittori e studiosi al di fuori delle passioni politiche italiane studino il fenomeno fascista, e ci diano i l fmtto dei loro studi. Ma noi reputiamo che mettere avanti al lettore un cumulo di materiale senza alcun criterio di valutazione e selezione, senza nessuna direttiva critica, porta al non voluto nè desiderato effetto di alterare le linee della realt,à. e di contribuire alla confusione di idee che circolano attorno alla creazione di questo tipico e straordinario stato fascista. ( Non risulta pubblicata)*.

LEONIDA BISSOLATI (**) La guerra prima e il fascismo poi hanno aperto in Italia tale abisso f r a i l passato e il presente, che la nuova generazione nulla o poco conosce di quel che furono le virtù e le debolezze della politica italiana e dei suoi uomini dal 1870 in poi. Qnesto che è un male rende però possibile lo studio obiettivo di quel periodo, come fece Croce con la sua Storia d'Italia. Su questa linea può mettersi il libro dell'ex-presidente Bonomi su Bissolati. Non è un semplice tributo di amicizia. è una lezione di coerenza, di carattere e di intelligenza politica. E gli italiani d'oggi, specialmente i socialisti che sono ancora fermi al credo di Marx, o i fascisti che s'ispirano al mito della violenza di Sorel, dovrebbero meditare sulla esperienza fatta da Bissolati, e sulle ragioni del fallimento della sua politica. P e r un lettore estraneo ai dibattiti dei socialisti italiani, la parte più importante del libro è quella che mette in vista la concezione politica che Bissolati ebbe della grande guerra e dei rapporti del171talia con i paesi dell'ex-impero austriaco. Se

(*) Una nota critica molto più breve apparve su The Reriietu o/ Reaieics, 15-8-1929; v. Miscellaneo I ~ n d i n e s e :I vol. pp. 349-352. (**) Ivanor Ronomi I.eoriida Bissoloti e il moitimento soriale in Italia, Milano, Gagliati editore, 1929.

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si-fosse seguita i n linea generale la politica di Bissolati, che fu quella propugnata i n Italia da Amendola, Salvemini, Donati e altri, e fuori d'Italia ebbe assertore validissimo Wickham Steed, certo l'Italia avrebbe risparmiato a se stessa dolori e umiliazioni, e non avrebbe avuto i tristi episodi del fiumanesimo dannunziano e del fascismo mussoliniano. (Non risulta pubblicata)

MACHIAVELLI (*) In Italia gli studi pubblicati di recente su Machiavelli abbondano, sia perchè rimesso in voga con l'avvento del fascismo, sia perchè tre anni fa cadde il suo centenario. Non tutti gli scritti hanno il medesimo valore; anzi più volte il panegirico ha preso il luogo della critica; e lo (C sfruttamento politico » del gran nome fu iniziato il giorno che il duce pensò di fare su Machiavelli la sua tesi di laurea. Veramente lo sfruttamento politico di Machiavelli non è recente; anche durante e dopo il risorgimento Machiavelli passò per un precursore dell'Italia una, cioè della idea di nazionalità. Oggi può benissimo servire a esaltare la dittatura, benchè non manchino nelle opere di Machiavelli inni alla libertà e simpatie repubblicane. Si è giunti a parlare di un Machiavelli rispettoso della religione cristiana e della morale, mentre si sa quale è il conto in cui teneva la religione il Machiavelli come mezzo utile di dominio, come esterno appannaggio della ipocrisia del principe. Contro queste falsificazioni da panegirico, contro gli sfruttamenti politici del pensiero di Machiavelli, ha scritto il prof. Carmelo Caristia dell'Istituto superiore di scienze sociali ed economia di Catania, e noto nel campo del diritto internazionale per una importante memoria accademica. Al pubblico inglese, che si interessa agli studi critici su Machiavelli, va perciò segnalato questo lavoro; che ha il pregio di mettere in evidenza il modo errato di interpretare il pensiero di Machiavelli, sia attribuendo a tutti i suoi scritti una assoluta coerenza. cioè soggettivi e obietastraendo da tutti i dati storici e ~~sicologici,

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(*) Carmelo Caristia 1923.

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I l pensiero politico di N . Marhiarelli, Catania,

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tivi che lo mossero a scrivere; sia alterandone il pensiero attribuendo al Machiavelli idee dell'oggi, come a proposito delle idee di nazione e di stato moderno; sia infine non tenendo conto della posizione antistorica del Machiavelli, come di molti del periodo umanistico, nel voler riprodotto il mondo romano nell'Italia del quattro e cinquecento, e per di più un mondo romano che era in gran parte nella immaginazione e nei sentimenti di tali scrittori come Machiavelli. Lo scritto del Caristia è uno di quelli che in brevi tocchi, e qualche volta con allusioni polemiche vivaci verso certi scrittori contemporanei, rimette un po' le cose a posto, anche se ciò valga a diminuire l'alone che il tempo crea attorno a grandi nomi e a grandi figure. (Non risulta pubblicata)

L'IMPERO FASCISTA (*) Joseph Barthélemy e B. Mirkine-Guetzévich, nel presentare il nuovo libro di Marcel Prélot L'Empire fasciste affermano che: a il ne parle pas comme ennemi mais eomme savant D. È per questo ch'esso attira l'attenzione di quanti, in Francia e fuori, s'interessano del fascismo, sia che lo desiderino come una buona soluzione, sia che lo combattano come una cattiva soluzione alla crisi politica attuale. La posizione di fascismo-antifascismo è assolutamente equivoca; perchè fascismo è preso in un significato semplicista di dittatura di destra, predominio borghese, difesa della proprietà e del capitale ; antzfascismo, nella sua negativtà ; comprende una zona assai vasta che va dalle vecchie democrazie liberali e radicali e dal popolarismo d'ispirazione cristiana, fino a l socialismo e al comunismo. Le persone responsabili, i dirigenti politici, gli scrittori e i giornalisti, che formano gran parte della pubblica opinione, dovrebbero leggere e studiare l'opera di Prélot per avere idee

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(*) Marcel Prélot L'Empire iaschte, les origines, les tendences et les institutions de Io dittature et du corporatisme italien, Lihraire du Recueil, Paris, 1936.


chiare, definizioni nette, terminologia precisa, conoscenze esatte, giudizi obiettivi circa lo stato fascista italiano, i l suo carattere, i suoi metodi, le sue finalità. Nessuno dei lettori del gran ~ u b b l i c oabbia ritegno ad acquistare un libro che dalla copertina si presenta (ed è di fatto) un lavoro scientifico. Perchè Prélot ha uno stile tale, che pur sostanziato di scienza giuridica e sociologica, si fa intendere senza difficoltà dal comune lettore mentre si fa apprezzare dallo studioso specializzato. Dall'uno e dall'altro si fa leggere con l'interesse appassionato di colui che comprende di conquistare mano mano una verità ch'egli presentiva e che ora f a propria. La materia stessa si presta a tale interessamento. La propaganda fascista da parecchi anni ha passato le frontiere. Anche i più refrattari hanno letto o sentito parlare del cadavere della libertà, della nuova civilizzazione fascista, di stato totalitario e corporativo ( e di molte altre frasi), si che il peggio che gli è potuto capitare 6 di confondere i termini vecchi con i nuovi, i significati originari con quelli aggiunti, di apprezzare i fatti italiani con la mentalità francese o inglese o belga o svizzera; nel fondo, molti non sanno che cosa sia e in che consista i l fascismo. Opere come quelle del prof. Prélot rendono un gran servizio, perchè giovano a dilatare le nubi del confusionismo, a mettere a nudo, obiettivamente e senza partito preso, la realtà sociologica e giuridica dello stato fascista. Ciascun lettore, dall'analisi prélotiana, può trarre partito per gli altri punti di vista quale il politico, I'economico, il culturale e il religioso; perchè la struttura sociologico-giuridica di uno stato è presupposto ad ogni altra attività che in esso si possa e debba svolgere. Lo stato fascista non si è creato sopra teorie precedentemente discusse e stabilite, ma è venuto delineandosi come una esperienza. I1 fascismo stesso è nato da un sentimento di reazione e da una volontà di conquista, che man mano è andato prendendo coscienza di sè, dei suoi scopi, dei mezzi per operare, della sua autonomia, delle sue possibilità e infine del suo totalitarismo. Prélot ha seguito lo svolgersi di questa esperienza, nei fatti concreti e nelle teorie improvvisate che mano mano sono state adattate agli avvenimenti, fino alle formulazioni prese come saldi principi del fascismo. Dopo di che egli rinquadra i caratteri attuali dello stato fascista e li presenta nel quadro scientifico del suo lavoro. I1 fascismo si basa sul principio de C( la primauté de l'état », sia come orientamento psicologico. sia come struttura sociologica, sia come slancio mistico; il che forma quella che può dirsi la missione storica del fascismo. Perchè ciò avvenga oc-


corre che l'individuo sia assorbito nello stato. Da ciò deriva u la négation des droits individuels et la legislation antilibérale N del fascismo. Questo porta direttamente allo stato totalitario, cioè, secondo il Prélot, l'état-famille, l'état-économie, l'état-église. La concezione étatique (statalista, diremmo noi) del fascismo si concretizza nella dittatura; questa è trattata dall'autore nella seconda parte. Gli elementi che danno il carattere proprio alla dittatura fascista (da non confondersi con altre dittature precedenti, e tanto meno con quella romana, dalla quale deriva solo il nome non il significato) sono: la statocrazia, la monocrazia, l'autocrazia (capitoli VII, VI11 e IX). Questi non sono elementi distaccati, ciascuno per sè e giustapposti nello stato fascista, sono tre caratteri connessi e conseguenti; l'uno s'innesta sull'altro e lo specifica. La statocrazia indica la sovranità dei governi in nome dello stato che in essi s'impersona, in opposizione alla sovranità del popolo delle democrazie. Questa sovranità di governo praticamente si incarna nel capo del governo e diviene monocrazia; il governo s'identifica con il suo capo. I1 processo sperimentale del fascismo poteva dare l'idea (con la creazione del Gran consiglio) che si andasse verso una monocrazia oligarcizzata, cioè corretta da un'oligarchia; ma il continuo equilibrare dei fattori diversi della costituzione italiana, serviva ad attenuare la funzione dell'oligarchia a favore del capo. Così il parlamento rimase, ma eletto i n modo che la scelta effettiva dei deputati fosse nelle mani del capo e i compiti legislativi ridotti a mere formalità. I1 gran consiglio rimase, ma la sua composizione, fra membri di diritto e membri nominati, proveniva tutta dal capo; i deliberati eonsultivi o sottoposti al consiglio dei ministri. I ministri infine a d nutum del cawo. La soluzione costituzionale. in un continuo variare di provvedimenti, è stata quella dell'autocrazia &l capo leggi del governo e duce del fascismo. come riunire a tale potere le masse popolari e i'intiero paese? La sola forza non basta. Bisowava selezionare le masse fe" deli e inquadrarle nel partito unico e privilegiato; bisognava sostituire i sindacati socialisti e cristiani con un sindacalismo fascista controllato e burocratizzato nelle corporazioni; bisognava inquadrare la gioventù e perfino l'infanzia nelle milizie; bisognava avere in mano tutti i mezzi d i cultura, d'insegnamento, di propaganda e diffusione d'idee, per la formazione di un'unità spirituale : la nazione-stato fascista. Così si definisce quel che il ~ r o f .Prélot, nel titolo del libro chiama l'Empire fasciste; quale sia il significato da lui dato alla parola impero, esso è in sostanza l'impero dello stato sul-

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L

l'uomo, sul cittadino, sulla mente, sul cuore, sull'anima dell'italiano. (L'Aube, Paris, 3-4 gennaio 1937). Arch. 7 A, 3.

L'UOMO E GLI AVVENIMENTI ( A proposito di Aventure di G. Ferrero) (*)

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I1 nuovo libro di Guglielmo Ferrero Aventure- Bonaparte en Italie (1796-1797) ha destato curiosità, critiche, polemiche. Lo storico italiano va contro l'opinione generale, che fa della campagna di Napoleone in Italia un'epopea; egli tenta di ridurla di proporzione, di darvi un senso di continuità storica e di spiegarne i punti rimasti oscuri anche oggi, arrivando alla conclusione che tra la Francia e l'Austria non ci furono nè vincitori nè vinti. Non intendo in questo articolo partecipare ad una discussione storiografica, alla quale non avrei neppure il titolo di uno specializzato « napoleonista ». Solo rilevo dal dialogo a Madelin-Ferrero-Madelin » sull'Echo ds Paris (febbraio-marzo) la conclusione dell'accademico francese: « Et c'est à ces conclusions que j'aboutis encore - à savoir que tout s'explique par Bonaparte D. Tutto si spiega con la personalità, il genio, il carattere, la volontà di Bonaparte. E no! La storia è fatta dalle grandi personalità come dalle piccole, dalla serie degli avvenimenti, come dalle condizioni pratiche della vita. È tutto un intreccio, nel quale l'individuale e il sociale, il volitivo libero e il deterministico sono mescolati in modo, che è impossibile isolarli, senza che perdano il loro significato e senza che si cada in astrazioni fantastiche e in deformazioni storiche che trascinano ad una falsificazione della realtà. Secondo Femero, Napoleone a Loeben non era (come dicono gli storici) il vincitore che teneva l'Austria per la gola e

(*) Guglielmo Ferrero

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Aventure. Bonaparte en Italie (1796-1797).


dettava i suoi patti di pace, ma uno che contrattava in condizioni tali da dover subito conchiudere; perciò egli abbandonò la richiesta del direttori0 che voleva ottenere la riva sinistra del Reno. A Campoformio, invece, nonostante che l'Austria si fosse rimessa e fosse in una migliore posizione, Napoleone ottenne la riva sinistra del Reno, ma compensò l'Austria con Venezia. Secondo Ferrero, a Loeben e a Campoformio Napoleone ha l'apparenza-di dettar legge, ma è l'Austria che abilmente manovra a suo profitto, trattando da pari'a pari. Tutto ciò può interessare gli storici; Ferrero su questo e su altri punti può sembrare ai napoleonici u n u iconoclasta D. Ma da questo e altri episodi, vengono fuori una questione di metodo nella valutazione degli eventi umani, e una questione di merito sul carattere vero della storia. I1 metodo è fra una storia personale, lirica, che riferisce all'uomo di genio, all'uomo provvidenziale o all'uomo fatale tutta la concatenazione degli avvenimenti (che il gregge umano subisce, accetta, con un fatalismo fatto insieme di adulazioni utilitarie o di sussulti epilettici); ovvero una storia che, p u r dando i l posto che ebbero alle personalità di primo piano, non trascura l'intrecciarsi delle volontà umane nel loro ambiente sociale e nella reciproca refrazione. Questa seconda maniera d i fare la storia fu un tempo trascurata per un'altra deviazione: la storia anonima, nella concatenazione deterministica dei fatti, risoluti in gran parte in dati economici e bio-psicologici. Quest'ultima non era più storia; là dove manca il fattore uomo dotato d'intelletto e di volontà, non è più storia, ma una qualsiasi successione di fenomeni incomprensibili e inesplicabili da ogni punto di vista. La questione di merito deriva da quella di metodo. La storia è realtà umana vissuta in successione di eventi; ha in sè le leggi della realtà umana; leggi non solo bio-psichiche ed economiche, ma morali, giuridiche, politiche, culturali, religiose. I1 complesso che agisce e reagisce su tali piani e con tali finalità, è realmente umano. L'umanità storica inserita nel quadro cristiano, è realmente portata a sentirne l'influsso etico e religioso in buono e in cattivo senso. Come si può astrarre da tutto ciò, come se non esistesse? ed elevare altari storici agli uomini creduti di genio isolandoli dalla folla degli altri uomini come semidei o addirittura come divinità? come volere spiegare tutto come un'assurda manipolazione di volontà prepotenti e ciniche? Certo, l'epopea risponde ad un bisogno umano del meraviglioso, ad una mitizzazione della realtà. Ma quando siamo sulla soglia dell'epopea, abbiamo bisogno d'invocare la divinità e

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farla intervenire nelle nostre gesta. Senza gli dei di Omero e di Virgilio, e senza gli angeli di Dante, di Tasso e di Milton, non si possono scrivere epopee. La storia è un'altra cosa, ha altro carattere, risponde ad altre preoccupazioni spirituali e culturali. Perciò le deformazioni storiche sono assai dannose all'educazione dei popoli. Guglielmo Ferrero, a proposito delle polemiche sul suo nuovo libro, ha scritto un articolo molto utile a leggere su « Batailles et guerres n (Journal des nations, 5 marzo 1937). L'esaltazione lirica delle battaglie vinte, che fa parte d'una tradizione di orgoglio nazionale ( F e ~ e r ol'appella tradizione romantica, ma bisognerebbe intendersi sul motto romantico) fa deviare dalla valutazione complessa di una guerra, che è non solo un insieme di battaglie vinte o perdute, ma di resistenza interna, di diplomazia, di mezzi economici e di valori morali; e peggio ancora fa deviare da quella ch'è la vera pace. Tutto ciò pesa sulla nostra educazione politica e ci rende oggi facili a tutte l e soperchierie s ~ i r i t u a l idei dittatori. Costoro non vedono che il successo del momento, e del successo stesso vedono i l lato esterno e fantastico, che magnificano con parate monstre e con altri eccitanti, per tener desta la folla plaudente. La storia umana è più seria e più tragica. Oggi manca il eenso del tragico, perchè manca i l senso religioso della storia; senza di questo va perduta ogni finalità personale nella vita individuale e collettiva. (Popolo e libertà, Bellinzona, 14 aprile ,1937).

LA CHIESA E LA QUESTIONE SOCIALE (*)

R. G. Renard, già professore di diritto all'università di Nancy e ora domenicano al Saulchoir, ha pubblicato (Editions du Cerf) un molto interessante lavoro che porta il titolo: L'Eglise et l a question sociale. I1 suo lavoro si differenzia da quello di molti altri, che si sono occupati di questo problema, per il tentativo di una espli-

(*) R. G. Renard 1938.

- L'Eglise

et la question sociale, Paris, Ed. du C e r f ,


cazione teologica (nel senso di scienza morale basata sulla rivelazione) dell'insegnamento della chiesa in materia sociale e del conseguente orientamento di una disciplina cattolica nel campo delle attivit,à economico-sociali. Ecco come l'autore, nel primo capitolo introduttivo, si pone il problema: « I1 s'agit de savoir si le catholicisme social, dont les trois encycliques forment la charte, fait partie de l'enseignement de l'église, s'il en est una partie incorporée, integrante, ou si c'est seulement une doctrine autorisée par l'église, reconnue par elle comme correcte sous le rapport de la foi et de la morale, voire recommandée par les pontifes, mais, en définitive, une doctrine libre » (pag. 13). L'opinione dell'autore è presto chiara; egli finisce il paragrafo scrivendo : « I1 faut appeler les choses par leur nom : la doctrine sociale de l'église, c'est un chapitre de notre vicille théologie; ce que nous appelons doctrine sociale, c'est une théologie sociale » (pag. 15). I1 prof. Renard spiega molto bene come la dottrina sociale cattolica, una volta posta, secondo le esigenze dei tempi, abbia giustificato l'intervento del magistero ecclesiastico. È tutta la storia della teologia, sia dogmatica che morale, che si presenta realizzata secondo le esigenze dei tempi, secondo l'orientamento dei pensiero e le realtà pratiche della società, sia nella lunghezza del tempo, sia nella diversità dei paesi e dei gruppi sociali. Ben nota l'autore che da san Paolo ad oggi la chiesa ha sempre detto la sua parola sulle questioni morali connesse con lo stato sociale; però una caratterizzazione sociale della struttura economica e il suo rilievo morale non fu data che dal secolo XIX ad oggi. È perciò che oggi si parla di questione sociale e che si costruisce una teologia - sociale. Tra parentesi, a me non piace molto il termine u teologia sociale D, allo stesso modo che, dovendo parlare del fondamento etico della società politica non userei il termine u teologia politica n, Tali rami della teologia sono semplicemente morale. In tanto la chiesa docente interviene in quanto ha il dovere di salvaguardare la morale cristiana. Non c'è morale che non sia allo stesso tempo individuale e sociale; individuale perchè gli atti morali sono atti d i ciascuna persona, guidati dalla propria coscienza e posti con propria responsabilità; sociale, dall'altro lato, perchè ciascun atto umano (anche il pensiero) crea rapporti con gli altri e ne produce effetti di vita associata. Sociale si usa, in via specifica, per indicare la struttura della società e le relazioni fra i diversi componenti, nel campo economico; ma (ed è questo un grave errore) si elimina o si sotto-


valuia l'elemento politico, ch'è primario nella struttura sociale, e si ingrandisce l'elemento economico, ch'è secondario. Ciò deriva dall'influsso della scienza economica, che nel secolo scorso si è voluta presentare come scienza autonoma, per arrivare a divenire una scienza astratta. L'errore non è della scienza in sè; si può tentare di astrarre dai fatti sociali una fisica dell'economia, a condizione che dopo il lavoro analitico si torni al piano della sintesi, e questa non può essere che eticopolitica; etica perchè atto umano, e politica perchè in un organismo fondamentalmente politico (nel senso originario della parola polis). Queste osservazioni di terminologia non sono una critica al pensiero del prof. Renard, ma una reazione al modo corrente di esprimersi, che ci porta ad equivoci che non sono mai senza dannosi effetti. Teologia morale adunque che si occupa, in modo più aderente ai bisogni presenti, dei rapporti economico-sociali del capitale e del lavoro. Un capitolo nuovo del De justitia, o meglio capitoli più studiati, più documentati, con applica60ni nuove. Altro capitolo o altre aggiunte nel De charitate; e ancora altro capitolo e altre aggiunte nel capitolo De actione catholica e così via. Lasciando le cpestioni di forma e quelle di sistema, il problema fondamentale sta nel precisare l'elemento di giustizia. I1 domenicano Faidherbe, nel suo interessante volume « La justice distributive (Recueil Sirey) arriva a due risultati che mi sembrano assai chiari: 1) mettere sotto la categoria di giustizia distributiva tutto quel che qualsiasi comunità o intrapresa deve al consocio, concittadino, collaboratore (operaio) a titolo di rapporto integrativo di equità, fuori della stretta giustizia commutativa; 2) che la giusdzia distributiva non è un elemento potenziale o derivativo dell'idea di giustizia, ma è veramente un atto di giustizia in sè completo e specifico, che riguarda rapporto di diritto o di doveri reciproci. Si posson piazzare sotto questa categoria parecchi dei provvedimenti economico-sociali che integrano la vita dell'operaio, come l'assicurazione per la vecchiaia, per gli infortuni o per la disoccupazione, l'integrazione del salario a titolo familiare e così via. Con queste premesse possiamo affrontare meglio la questione posta dal padre Renard, cioè se il cosiddetto cattolicesimo sociale n fa parte integrante dell'in~e~namento della chiesa ovvero è una dottrina autorizzata dalla chiesa e riconosciuta corretta dal punto di vista della fede e della morale.


Noi incliniamo a rispondere con un distinguo: Tutto ciò che riguarda la morale sotto le categorie di giustizia, ovvero sotto quelle di carità, nella valutazione degli atti umani che vi concernono, fa parte integrante dell'insegnamento della chiesa. Tutto ciò che riguarda provvedimenti di carattere economico-politico (detti correntemente sociali) ne sono o un condizionamento, o un adattamento, o un'applicazione, o uno sviluppo. Su questa materia l'intervento della chiesa è di doppia natura: denunziare e condannare tutto ciò che, nella struttura economico-politica lede la morale o come giustizia o come carità; mettere in guardia i fedeli onde evitarne le cause o riparame gli effetti; tutto ciò materia d'insegnamento. Ovvero d'altro lato mettere in evidenza la convenienza, l'utilità, l'opportunità di certi istituti o di certe riforme, consigli e suggerimenti in materia storica e contingente, che non entrano nell'insegnamento se non per i principi ai quali si riferiscono. Ciò diciamo a proposito del corporativismo. Secondo il nostro autore la chiesa ha una dottrina corporativa u au sense m6me où nous avons expliqué, au chapitre premier, qu'elle a une doctrine sociale: une doctrine à développer et mettre en contact avec les données positives de la sociologie, et à diversifier, en conséquence, par voie de determination 1). È da osservare che la corporazione professionale non può concepirsi come un istituto a sè stante in un regime economicopolitico, perchè nessuna costruzione isolata può reggere che non faccia parte della struttura sociale. La corporazione o è frutto di una riforma politico-statale o ne è il cominciamento. Non può essere concepita isolatamente. Questo è anche il pensiero del nostro autore. La chiesa, a mezzo delle encicliche papali, ha visto nelle corporazioni economiche un mezzo per ristabilire dei principi etici e lo ha indicato. Se questo mezzo torna male ovvero non si adatta a determinati paesi e a certe strutture, non può farsi valere la raccomandazione della chiesa, mentre si devono in altro modo far valere i principi morali di giustizia e di carità, che la chiesa proclama e impone a nome del cristianesimo. Per restare al piano moderno, occidentale, o piuttosto continentale (metto l'Inghilterra a parte per diverse ragioni che mi porterebbero molto in là), noi abbiamo due sistemi politici dentro i quali innestare le corporazioni economiche: lo stato di diritto e di opinione (detto democratico-liberale) e lo stato totalitario (nazista o fascista). L'autore innesta nei due il corporativismo, chiamando il


primo corporatisme cl'état, e il secondo corporalisme d'association. Purtroppo i l primo non è e non sarà mai corporatismo, per la semplice ragione che non c'è il corpus, la comunità che abbia una vita propria e crei rapporti etico-sociali ed economicosociali per la propria virtù interiore. E ciò non è un fatto occasionale, ma dipende dall'altro dato più importante che l o stato totalitario non è neppure un corpo, manca l'idea di comunità, c'è solo l'idea di sovranità assoluta. E ciò perché la volontà libera e collaboratrice del cittadino vi manca, non vi è neppure implicita, come nei governi paternalisti dell'ancien régime che si esplicitavano negli stati generali, nelle muriicipalità autonome, nelle corporazioni privilegiate. Nel 1931 Pio X I accennò al nascente corporativismo d'Italia come una speranza, ma le sue riserve toccavano, discretamente, i1 fondo deI problema quando disse: « Per nulla negligere in argomento di tanta importanza e in armonia con i principi generali qui sopra richiamati e con quello che subito aggiungeremo, dobbiamo pur dire che vediamo non mancare chi teme che lo stato si sostituisca alle libere attività invece di limitarsi alla necessaria e sufficiente assistenza ed aiuto, che il nuovo ordinamento sindacale e corporativo abbia carattere eccessivamente burocratico e politico, e che, non ostante gli accennati vantaggi generali, possa servire a particolari intenti politici piuttosto che allo avviamento ed inizio di un migliore assetto sociale )) (Quadragesimo anno, 38). Dopo sette anni di prove, chi vede dentro alla struttura dello stato italiano, trova facilmente che le corporazioni non sono che quadri burocratici, senza propria personalità, senza efficienza, senza prospettive di avvenire; che tutta l'economia italiana va divenendo contratta e sterile, subordinata com'essa è ai fini politici dello stato; che il bene comune è solo guardato attraverso una politica di prestigio senza basi solide nella struttura sociale, senza finanza che regga, senza elasticità di capitali; l e banche sono di diritto e di fatto in mano dello stato; il risparmio privato è passato a servire le imprese belliche. I n sostanza è cessata in Italia la reciproca limitazione del potere e delle ricchezze e si ha invece un potere illimitato con la possibilità della manomissione della economia privata, divenuta a scopo nazionale uno strumento statale. Questa critica sostanziale non impedisce di constatare alcuni miglioramenti portati alla classe operaia, di ordine materiale o di carattere sociale (come il dopo-lavoro, le opere assistenziali, la regolamentazione dei conflitti economici, eccetera), ma tutte di carattere statale e di partito, con un esercito burocra-


tic0 di impiegati di stato, scelti più per meriti politici che per una selezione specializzata. Quel che si dice per l'Italia può ripetersi per la Germania e altrove, secondo le imitazioni più o meno fedeli. Quale la conclusione di ciò? Primo: che i l problema del corporatismo economico-sociale s'inquadra nel problema della struttura dello stato. Secondo: che la struttura dello stato dipende dalla concezione etico-sociologica sia della comunità che del potere. Terzo: che la chiesa, pur riaffermando i principi etici della vita sociale-politica ed economica, lascia ai fedeli la libertà di scelta, adattamento e sviluppo delle istituzioni pubbliche. Ecco perché il corporatismo sociale da un lato è suggerito nelle encicliche papali come un rimedio, dall'altro è lasciato alle attuazioni politiche come possibilità di realizzazione, non in nome di una concezione etico-politica legittima. Perciò, mentre ci sono cattolici alla Von Papen che sostengono l a dittatura, gli stati totalitari e corporazioni di stato (fittizie), purchè non facciano ciò in nome della chiesa, dall'altro ci sono cattolici che vogliono una democrazia organica con base corporativa e con sviluppo di tale base sii1 piano economico ; ma questo complesso sociale-politico non è da attribuirsi alla chiesa (salvo nelle direttive etiche), perehè la chiesa non deve vincolarsi a un dato sistema politico; benchè, fuori di un sistema politico non ci sia possibilità di vero corporatismo. Questa nostra affermazione ci può essere contestata. Questi documenti sono anche storici e si riferiscono a determinata struttura politica, nella quale inserire le riforme. Quando Leone XIII parla d'intervento dello stato nei problemi sociali. non si era fatto l'es~erimentointerventista moderno (specialmente degli stati totalitari), ma si riferiva ad u n ambiente che era per teoria e per preoccupazione alieno dagli interventi massivi e aveva solo. timidamente incominciato a regolare le ore del lavoro e le assicurazioni operaie. Oggi, dopo gli stati totalitari, bisogna difendersi dagli interventi statali, che ieri venivano invocati. Così l'idea di politica è oggi diversa da quella di allora; perchè allora lo stato liberale (detto agnostico) lasciava libero ( i n principio) i l campo della cultura, dell'economia, della religione, dell'educazione; e le interferenze che di fatto venivano attuate, p-otevano essere criticate, combattute e intralciate. Oggi negli stati totalitari la vita dello stato somma tutta la vita, anche privata, mentre negli stessi stati democratici la concentrazione nello stato d i quasi tutti i servizi collettivi va continuamente aumentando, sì che la politica non è più semplicemente


L.

b.

l'arte di governo, è divenuta il piano di sintesi di tutta la vita sociale. Le tre encicliche sociali sono, sotto un aspetto, una correzione della politica non solo del liberalismo individualistico e del comunismo economico, ma delle democrazie centralizzatrici e dei totalitarismi soffocatori. I papi non fanno della politica tecnica, ma certo contribuiscono agli orientamenti e ai limiti etici della politica e della economia e così influiscono alle grandi e necessarie riforme.

I1 punto saliente della crisi sociale attuale (politica ed economica) è la sostituzione del concetto d'individualità a quello di comunità. I1 padre Renard h a un interessante capitolo su cr L'Eglise et l'ind'ividualisme n (perchè théologie de Z'individualisme?) e giustamente mette in rilievo questa come l'unica sorgente e del liberalismo e del socialismo. La chiesa combatte l'individualismo morale, che poggia sull'egoismo; e tende a sostituirvi il principio di comunità che si basa sull'amore (che è carità e giustizia insieme unite). Questo è il fondo della dottrina sociale della chiesa, e può e deve applicarsi, come direttiva e orientamento, alla ricostruzione politica della s0ciet.à. In quanto questa si allontana dall'idea di comunità o verso l'individualismo o verso lo statalismo, in tanto diviene antìcristiana. Ma l'avvicinamento e l'allontanamento non è so10 della stmttura della società presa nel suo carattere o fisico o giuridico, ma è principalmente nello spirito. Così si poteva avere un cristianesimo primitivo tutto impregnato di fraternità (dove pure c'erano degli schiavi, ma anch'essi fratelli). Peciò l'idea di comunità è fondamentale nel cristianesimo e supera quella giuridico-politica. Istituzione (quale il padre Renard ha sostenuto in altri libri e qui accennato en passant) nel senso che non si può arrivare alla concezione di un'entità giuridica continuativa e a sè stante. se non si risolve nella comunità come realizzazione della persona umana per essenza sociale. Dal giorno che lo stato fu concepito (anche da cattolici) non ~ i come ù la c0munit.à nazionale ma come l'entità incarnata della sovranità, è divenuto (per facile passaggio) un principio extra-umano, una volontà superiore, una divinità. Lo stato, come la professione, la famiglia come il comune O il villaggio, sono comunità basate sulla giustizia (nei suoi tre


aspetti: commutativa, distributiva e legale) e sulla carità (nel doppio aspetto di amore del prossimo e amore di Dio). (Nouvelle Recue Théologique, Paris, aprile 1938).

STATO E SPIRITO FASCISTA (*)

I primi sei capitoli di questo libro cercano di mostrare che cosa sia il fascismo, quale la sua struttura politica, economica e amministrativa, e quale « la posizione della guerra nello schema fascista - e l a concezione di pace onorevole 1). Dopo di che l'autore si chiede: La democrazia è fallita? Può essa sopravvivere? ».Questi capitoli conclusivi danno la chiave del libro; l a tesi d i Ashton ( è un americano) può essere riassunta con le sue parole: « riconoscere la validità del fascismo per gli altri e rendersi conto e sottolineare e rafforzare le distinzioni che lo rendono inadatto per noi - è l'unica nostra possibilità di compensare l'effetto propagandistico del futuro successo fascista all'estero )) ( p . 265). L'autore è u n democratico e non un fascista, ma egli difende i l sistema democratico solo nei paesi che considera veramente democratici. Dove il fascismo, indigeno o importato, ha triontato, egli ritiene che non vi fossero le strutture della democrazia. Ciò che Ashton non ha capito interamente è che i l sistema democratico moderno ( i l quale è molto diverso da quello classico' e anche da quello del medioevo) è di data recente anche in Inghilterra, le cui tradizioni, ancora mezzo secolo or sono, erano aristocratiche e parlamentari, mai democratiche. La Francia ha sperimentato la demagogia della rivoluzione, le due dittature napoleoniche, la seconda repubblica del '48, durata solo tre anni, la comune, mentre la sua attuale costituzione, che è democratica ma non sempre liberale, data soltanto dal 1875. La più antica delle democrazie, storicamente, è quella degli Stati Uniti, ma anche qui il predominio delle classi capitalistiche attenua e deforma lo spirito dell'istituzione americana. I n sostanza, la democrazia moderna è nelle doglie del parto

(*) E. B. Ashton London, 1937.

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- The fascist:

his state and his n ~ i n d Putman , Editore,


(non è vecchia o decrepita), e come tale non è privilegio degli anglosassoni o dei franco-latini o degli scandinavi. Ha sperimentato e sta sperimentando la crisi naturale verso una forma giovane e nuova di vita politica. Laddove, storicamente, è stata più fortunata, ciò non è dovuto a qualche determinismo psicologico o razziale nè a qualche altra fatale necessità. I1 complesso andamento degli eventi dipende sia dalla volontà umana individuale, sia dall'ambiente economico, sociale o storico. Un uomo può salvare un paese (Washington) e un uomo può distruggerlo (Guglielmo I1 di Prussia). Un uomo può dare un impulso liberale che sarà valido per mezzo secolo (Gladstone), o può creare l'unità del suo paese in libertà (Cavour). Niente da meravigiarsi che dall'altra parte possa esserci il grande e il piccolo Napoleone. Lo stesso popolo può produrre un Catone, un Silla, un Augusto, un Caligola. Poichè l'autore non ha nè una coerente filosofia nè una vi-sione storica, egli cerca di spiegare fatti particolari con generalizzazioni psicologiche o economiche, che come tali sono inesatte e non spiegano niente. Uno di questi criteri generali è l o spirito collettivo D, che, egli dice, manca in Italia dal tempo del rinascimento, quando vi era un C individualismo esagerato D. Da quell'epoca in poi in Italia vi fu una completa indolenza ». I1 che è semplicemente un non senso. Per parlare solo della storia recente, il risorgimento, l'unità d'Italia, la sua ricostmzione economica, politica e culturale, la guerra di Libia e la grande guerra - cioè un intero secolo che inizia con i moti del 1821 e finisce con la marcia su Roma del 1922 - non contano niente agli occhi di Ashton? Egli può così concludere che oggi finalmente l'Italia ha scoperto lo spinto collettivo attraverso il fascismo! Se era vero che l'Italia ne era priva da cinque secoli, è chiaro che non poteva riacquistarlo in soli quindici anni. E se, al contrario, lo possedeva, con altri scopi e altre aspirazioni (quelle di libertà, gioia, iniziativa personale, arte e cultura), non poteva trasformarlo in quindici anni di una militarizzazione di tutta la vita, in un totalitarismo invadente, se non con l'uso di mezzi violenti e il dominio della forza in forma innaturale e transitoria. Ashton non limita il suo studio al caso dell'Italia, ma include uuello della Germania. I n realtà il suo libro è un continuo confronto dei due casi (non certo il metodo migliore che poteva scegliere). notando dove essi si assomigliano e dove differiscono. La sua conclusione che il fascismo va benissimo nelle sue patrie, ma non è per l'importazione in paesi democratici, non sarebbe stata la stessa se egli avesse studiato il caso della Russia come fascismo di sinistra e quello dell'Italia e della Ger-


mania come bolscevismo di destra, e se egli avesse notato i punti di contatto e le divergenze dei tre grandi paesi a i quali la guerra del 1914-18 portò la più grave crisi morale, politica ed econoniica. Ma in tal caso il libro sarebbe stato un altro. (The Dublin Reuiew, Dublin, ottobre 1938). The Fmciat: His State and his Mind, by E. B. Ashton, Putnam. The first six chapters of thii book seek to show what is Fascism, what its political, economic and administrative stmcture, and what the u posiand the concept of honourable peace P. tion of war in the fascist scheme After which the author asks himself: u Has Democracy failed? n - u Can Democracy survive? D These concluding chapters give the key to the book; Mr. Ashton's thesis (he is an American) can be summed up in his own words: a to recognize the validity of Fascism for other - and to realize and emphasize and strengthen the distinctions which make it unsuitable is our only chance to offset the proselytizing effect of future fafor us scist successes abroad D (p. 265). The author is a democrat and not a fascist, but he defends the democratic system only in countries that he considera tmly democratic. Where Fascisrn, indigenous or imported, has triumphed, he holds that there were not the makings of democracy. What MI. Ashton has not fully understood ia that the modern democratic system (which is very different from the classica1 one, and again from that of the Middle Ages) is of recent date even in England, whose traditions, u p till half a century ago, were aristocratic and parliamentary, never democratic. France has experienced the demagogy o£ the revolution, the two Napoleonic dictatorships, the Second Republic oi '48, lasting only three years, the Commune, while her present constitution, which is democratic but not always liberal, dates only from 1875. The oldest of the democracies, historicaily, is that of the United States, but even here the predominance of the capitalistic clasees lessens and warps the democratic spirit of American institution. In substance, modern democracy is in its birth-throes (it is not old or decrepit), and as such it is not the pnvilege of the Anglo-Saxons or FrancoLatins or Scandinavians. It has experienced and is experiencing the crisea natura1 to a young and new form of politica1 life. Where, historically, it has been most fortunate, this is not due to any psychological or racial d e terminism nor to any other fata1 necessity. The complex trend of events depends as much on individua1 human will as on environment, economic, social or historical. A man can save a country (Washington) and a man can destroy one (William I1 of Germany). A man can give a liberal impulse that will he valid for half a century (Gladstone), or can create the unity o£ his country in fkeedom (Cavou~).No wonder that on the other hand there may be the great and small Napoleon. The same people can produce a Cato, a Sulla, an Augustus, a Caligola. Since the author has neither a coherent philosophy nor an historical outlook he s e e b to explain particular hcts by psychological or economic generalization, which as such are inexact and explain nothing. One of these genera1 criteria is the a coilective spirit n, which, he says, was wanting in Italy from the time of the Renaissance, when there was an a exaggerated individualism m. From that time forth r in Italy it was a complete indolenceu. Which in aimply nonsense. To speak only of recent history, does the Risorgimento, the Unity of Italy, her economic, political and cultura1

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reconstruction, the Lybian War and the Great War - that is, a whole century beginning with the risings of 1821 and ending with the march on Rome o£ 1922 - coiint £or nothing in Mr. Ashton's eyes? He is thus able to conclude that today at last Italy has discovered the collettive spirit through Faacism! If it were true that Italy had lacked it for five centuriea, it ia clear that ahe could not have regained it in a mere fifteen years. And if, on the contrary, she possessed it, with other aims and other aspirations (those of freedom, joy, persona1 initiative, art and culture), she could not traneform these in fifteen years into a militarization o£ the whole of life, into an all-invading totalitarianism, without the use of violent methods and thr dominion o€ force in an unnatural and transicnt form. Mr. Ashton does not confines his study to the case of Italy, but includes that of Germany. Indeed, his book is a continua1 companson of the two cases (not the best method he could have chosen), noting where they are alike and where they differ. His conclusion that Fascism does very well in its own homes, but is not for importation into democratic countries, would noi have been the same if he had studies the case o£ Russia as a Fascism o£ the Left and those of Italy and Germany as Bolshevism of the Right, and i€ he bad quoted the points o£ contact and divergence of the three great countries to which the war o£ 1914-191s had brought the gravest crisis, mnral. political and ecnnomic. But then book woiild have bren another one.

APOLOGETICA (*) Sotto il titolo Apologétiqice - Nos r a i s o n s de c r o i r e - Rép o n s e s au+ o b j e c t i o n s , la Librairie Bloud et Gay di Parigi h a pubblicato un volume d i ben 1380 pagine con 96 illustrazioni d i un interesse notevole nella stampa cattolica dei nostri giorni. La pubblicazione è stata fatta sotto la direzione di Maurice Brillant e del17Abbé M. Nédoncelle, due nomi stimati e amati nell'ambiente della cultura religiosa e letteraria di Francia e d i fuori. Fra i collaboratori della Apologétique noto i nomi ben conosciuti dei domenicani padre Allo, padre Lavergne e padre Garrigou-Lagrange professore all'Angelico di Roma, 'il canonico Etienne Manier, il celebre curé de Saint Severin a Parigi, i l prof. Paul Archambault, che dirige la collezione dei Cahiers de la Nouvelle Journée, J. Coppens professore all'università d i Lovanio. Ma tutti i collaboratori d e l l ' A p o l o g é t i q u e sono tra i migliori ecclesiastici e laici della Francia e del Belgio. Un capitolo preliminare, d'un interesse tutto moderno, è

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(*) 4.AV.V. Apologétique Nos raisons de croire objections, Paris, Bloud et Gay, 1938.

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Réponses aux


scritto da Gaston Rabeau sul tema del come si ponga il problema dell'apologetica, quale la risposta protestante e quella cattolica, quale l'oggetto e il metodo. Dopo una prima parte sulle premesse dell'apologetica cristiana, sul rapporto della natura e del soprannaturale rivelato e le esigenze della natura, si h a una seconda parte che è l'apologetica propriamente detta. Temi: a) l'Antico Testamento ; b) la Chiesa di Gesù Cristo ; C) le chiese separate e le eresie; d) le grandi religioni non cristiane, la fede e i nostri tempi; e) la storia dell'apologetica. La terza parte è dedicata alla soluzione di questioni speciali sulla Bibbia, i demoni, la morale e la storia. I nomi dei direttori e degli autori che vi hanno contribuito raccomandano l'dpologétique edita da Bloud et Gay; la quale non solo è un utile manuale corrente per il clero pastorale, che non ha tempo di dedicarsi a studi più approfonditi, ma è principalmente da raccomandarsi a giovani liceali e universitari, ai propagandisti, ai cattolici professionisti, alle donne direttrici di collegi, insegnanti, professionisti, e a coloro che sentono la necessità di essere discretamente illuminati sui problemi religiosi dell'oggi. (Popolo e libertà, Bellinzona, 15 novembre 1938).

L'INTELLIGENZA NELLA POLITICA (*) Max Ascoli, di nazionalità italiana, è professore di filosofia ~ o l i t i c anella facoltà della New School for Social Research di New York. Egli è un osservatore profondo e originale. La sua analisi sulla posizione degli intellettuali in una democrazia plutocratica e di massa quale quella americana, è assai fine e portata sulle cause storiche, sociali e psicologiche della crisi. Egli non è nè ottimista nè pessimista: giustamente rileva le responsabilità della classe intellettuale nel suo distacco dalla democrazia politica; e la impreparazione delle masse americane per una democrazia sociale costruttiva. Al fondo della crisi c'è una concezione meccanica (deterministica) della società che bi-

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(*) Max Ascoli Zntelligence i n Politics, W . W . Norton and Company inc. Publishera, New York, 1938.

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sogna superare. La libertà è umana e creativa. Gli intellettuali debbono affermarla per sè, non per farla servire ad un determinato regime quale la democrazia. Ma se non si domanda loro un amore preferenziale per la democrazia, si domanda lo sforzo di garantire in regime democratico i valori della libertà e quindi di assumere l e responsabilità. (People and Freedom, London, aprile-giugno 1939).

Max ASCOLI, who is of Italian nationality, is Professor of Political Philosophy in the Graduate Faculty of the New School for Social Research, New York. He is a penetrating and origina1 observer. His analysis O£ the position of the intellectuals in a plutocratic and mass democracy like that of the United States is finely made and bear upon the historical, social and psychological eauses of the crisis. He is neither optimist, nor pessimist; h e jiistly points out the responsabilities of the intellectual classee through their detachment from politica1 democracy, and the unpreparedness of the masses for a constructive social democracy. Underlyng the crisis is a mechanical, deterministic conception of society, which must be changed. Freedom is human and creative. The intellectuals must vindicate it for its own sake, not for that of a given regime like democracy. But if they are not asked to show a preferential affection for democracy, they are asked to strive to uphold the valiies of liberty in a democratic regime and hence to assume responsability for them.

IL DRAMMA CECOSLOVACCO (*) A. Karlgreen è professore all'università di Copenaghen, svedese d'origine slava; egli conosce a fondo i problemi della Cecoslovacchia, gli uomini e le cose, e al tempo stesso l a mentalità tedesca. La sua esposizione dei fatti, dalla formazione del partito di Henlein fino alle tragiche giornate di Monaco, è obiettiva e illuminante, pur non nascondendo le sue simpatie per la caduta repubblica. Un libro che rimane una delle più valide testimonianze storiche di avvenimenti che le passioni politiche hanno resi oscuri e irriconoscibili. Solo è criticabile il silenzio verso la politica francese, certo più deplorevole di quella inglese. Xon ostante ciò, bisogna essere grati a J . de Coussange

(*) Anton Karlgreen Bloud et Gay, 1939.

- Henlein, Hitler

et le drame tcécoslocuqi~e,Paris,

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della ottima traduzione francese sulla terza edizione svedese. È da augurare che l'autore completi il libro con gli avvenimenti ultimi d i marzo e ritorni sulle responsabilità del governo di Daladier-Bonnet. Allora una traduzione inglese sarebbe assai desiderabile. (People and Freedon~,London, aprile-giugno 1939). Anton Karlgreen is a professar at the University of Copenhagen, a Swede of Slav origin. He is thoroughly convemant with the problems of Czechoslovakia, its men and affairs, and also with the German mentality. His narrative o£ events, from the formation of Henlein's party tiil the tragic days of Munich is objective and illuminating, even while he does not conceal his sympathy for the fallen Republic. I t is a book that ~ m a i n s one o£ the most valuable historical testimonia to events that politica1 passions have rendered obscure and unrecognisable. The one point open to criticism is his silence on the French policy, which was far more deplorable than the British. None the less, we must be grateful to M. de Coussange for his translation (from the third Swedish edition). I t is be hoped that the author will complete the book with the events of last March, and will then take into accout the raponsabilities of the Daladier-Bonnet government. Then an English traslation would be extremely desiderabie.

I L MISTERO DELLA REDENZIONE (*)

Si tratta d i una chiara ed ampia esposizione del mistero della redenzione. Padre Cuthbert avverte il lettore, in una nota preliminare, che questo libro non è « un trattato scolastico o per specialisti, nè un'apologia, nel senso stretto del termine, della fede che sosteniamo D. Egli presenta i vari capitoli come u una serie di meditazioni in una prospettiva di una più chiara comprensione del mistero della redenzione di Cristo N. La prima parte va dalla caduta di Adamo alla resurrezione. La seconda tratta dell'opera della redenzione in noi, in tre capitoli: Cristo, nostra vita - Il regno della croce - Il sacrificio quotidiano. I n una breve conclusione, in relazione con i problemi attuali, l'autore affronta il problema del perchè u la cristianità fa, in proporzione, così lenti progressi nel mondo ». A parte

(*) Father Cuthbert, O.S.F.C. Oates and Washbourne, 1939.

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The Mystery of Redemption, Burns.


l'influsso del diavolo e l'abuso della libertà, egli individua due cause particolari. Al primo posto pone il numero sempre più grande di cristiani i quali pensano che la fede sia un fatto individuale per la salvezza dell'anima propria, e dimenticano i doveri verso gli altri che essa implica, come testimonianza da rendere alla verità e come bene da compiere. L'altra causa è che la religione .dello Spinto viene presentata u come un sistema legale e troppo poco come una ~artecipaz'ionealla vita del nostro divino Redentore nella sua missione di salvezza del n. mondo . A questo scopo, egli conclude, l'azione cattolica fa fronte a tali pericoli, per portare ad una profonda rinascita cristiana in un mondo anti-cristiano. I1 libro è dedicato alla memoria di padre Alfred, O.S.F.C. di Birkenhead, ancora vivo nell'affetto dei suoi confratelli e di coloro che lo conobbero e lo apprezzarono. (People and Freedom, London, luglio-agosto 1939). Here is a clear and cornprehensive exposition of the mystery of the Redemption. Father Cuthbert wams the reader, in a preliminary note, that this book is not « a scholastic or professional treatise, neither is it an apologia, strictly so called, for the Faith we hold D. He presents the varioiu chapters as a « series of meditations with a view to a clearer apprehension of the mystery of Christ's redemption D. The first part runs fxom the fa11 of Adam to the Resurrection. The second deals with the work Redemption in ourselves, outlined in three chapters: Christ, our life The kingdom of the Cross The daily sacrifice. In a brief conclusion, bearing on present day questions, the author raises the problem wby « Chnstianity makes comparatively such slow progress in the world D. Apart from the influx of evi1 and the misuse of Iiberty, he notes two special causes. In the first place the greater number of Christians thing that the Faith is an individua1 fact for the salvation of their own souls, forgetting the duties towards others which it implies, aa bearing witness to the t m t h and doing good. The other cause is that the religion of the Gospel is presented « ae a lega1 system and to little as a participation in the liie of our divine Redeemer in His Mission for the world's salvation D. To this end, he concluda, Catholic Action faces these dangers to bring about a profundly Christian revival in an anti-Chnstian world. The book is dedicated to the memory of Father Alfred, O.S.F.C. of Birkenhead, who is still living in the affection of hii companions and of those wbo knew and appreciated him.

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L'EVOLUZIONE DEL SOCIALISMO FRANCESE (*) I1 problema del socialismo politico non è stato mai studiato a fondo, nè qui nè altrove, perchè il socialismo come teoria, come movimento e come partito, si è presentato sotto aspetto economico. Lo studio del prof. Prélot, è per il socialismo francese una novità e tale da interessare anche lo studioso non francese. Non essendo socialista (egli è u n cattolico democratico) ed essendo preparato a fondo, come professore d i diritto e di scienze politiche prima all'università di Lille oggi all'università di Strasburgo, egli porta nello studio delle teorie e dei fatti obiettività, chiarezza e precisione. Tutto è messo nella dovuta prospettiva: Prélot non esagera mai, nè minimizza. I1 dettaglio non oscura la sintesi, e i fatti piccoli e insignificanti mostrano spesso quanto valgano gli imponderabili nella storia. (People and Freedom, London, luglio-settembre 1939). The problem of politica1 socialism has never been thoroughly examined, for socialism as a theory, a movement and a party has presented itself under an economic aspect. Professor Prélot's study is something new and such as to interest even the non-French student. Not himself a socialist (he is a democratic Catholic) and with at thorough grounding as professur o£ law and politica1 science, he treats theories and facts with a clear and objective vision. Al1 is placed in proper perspective. He never exaggerates or minimises. The detail do- not blur the synthesis, and ohen small and insignificant facts serve to show the part played in hiatory by imponderables.

I L MALINTESO CATTOLICO-FASCISTA ( **)

I personaggi dei dialoghi sono Felix un cattolico democratico; Eugenius u n fascista filo-cattolico di idee maurrassiane; e infine Senior che rappresenta la dottrina spirituale e morale del cristianesimo. Naturalmente la discussione fra i due amici Felix e Eugenius non arriva a modificare le idee degli interlocutori; ma

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(*) Marce1 Prélot L'évolution politique du socialisme f r a q a i s 17891934, Paria, Spes, 1934. (W) M.ichel Seuphor (Pro Justo) Le malentendu catholique-fmckte. Diai o y e s polrtrques e t religieux. Edition Jean Renard, Paris, 1939.

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riesce a mettere in chiaro quanto mondani siano i punti di vista di Eugenius e quanto morali e religiosi quelli di Felix. La difficoltà d'intesa fra i due tipi estremi così rappresentati, è oggi enorme. Ma va divenendo difficoltà di intesa anche fra gli stessi cattolici di diverso sentire. Oggi la politica non è semplice tecnica di governo ( e questa subordinata all'impero delle leggi morali), ma è l'espressione collettiva di una Weltanschauung, una concezione integrale della vita. La morale, la religione, non sarebbero (secondo l'idea prevalente) che aspetti subordinati della vita collettiva. I cattolici che aderiscono ai sistemi totalitari o ne appoggiano la politica, sono presi nell'ingranaggio e vi lasciano lembi di fede o di morale. Occorre uno sforzo, non solo individuale ma collettivo, per disimpegnarsi dall'impresa totalitaria e liberarsi dall'ubriacatura dell'orgoglio di nazione e di razza. I dialoghi d i Seuphor rendono un buon servizio per mettere in chiaro tali idee e tali stati d'animo. (People and Freedom, London, luglio-settembre 1939). The characters in these dialogues are Felix, a democratic Catholic, Eugeniw, a philo-Catholic Fascist o£ Maurrassian ideas, ad finaliy Senior, who represents the spiritual and moral teaching o£ Christianity. The discussion between the two friends Felix and Eugenius brings out the wordliness o£ the standpoint o£ Eugenius and the moral and religious standpoint o£ Felix. The difficulty of an understanding between the two estreme types thus repreaented is to-day immense. But it tends to t u m into a diiculty o£ understanding even between Catholics themselves. Politics are not merely a techniqne o£ government, but the expression of a Weltanschauung, a whole conception o£ life. According to prevailing ideas, morality and religion are only subordinate aspects of collective life. Catholics who support the totalitarian systems or their policy are caugt in the works and leave behind shreds of faith or morale. What is wanted is an effort, not only individua1 but collective, to shake off the totalitarian hold and the intoxicating pride o£ nation and race. Seuphor's dialogues do good service in bringing out such ideas and states of mind.

UN TEDESCO I N FRANCIA (*) I1 ben noto scrittore tedesco Ernst Erich Noth, in esilio in Francia, ha passato una quindicina di giorni in un campo di concentramento i n Francia fra il settembre e l'ottobre scorso,

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(*) Ernst Erich Noth L'Allemagne exilée en France. Témoignage d'un allemand proscrit, Paris, Bloud et Gay.

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come a straniero nemico ». È stato liberato quando sono stati accertati i fatti della sua triste storia. Adesso egli h a scritto u n opuscolo sulle sue impressioni sull'episodio, tracciando un confronto con i campi di concentramento tedeschi fra i quali i nomi d i Dachau, Oraneinburg e Buchenwald rimarranno nella storia dell'infamia umana. È un'interessante testimonianza, specialmente nel confronto che egli traccia fra quanto accadrebbe alla fine della guerra ove essa fosse vinta o perduta. (People and Freedom, London, marzo 1940).

The well-know German writer, Ermt Erich Noth, in exile in France, spent a fortnight in a concentration camp in France between last September and October as a r enemy alien n. He was liberated when the facts of his sad story were ascertained. Now he has written a bookìet on his impressions of this epieode, drawing comparieons with the German concentration camps of which the names of Dachau, Oraneinburg and Buchcnwald will remain in the history of human infamies. It is an interesting testimony, especially in the comparison he draws woiild happen at the end the war nere it won or lost.

IL PARTITO CATTOLICO OLANDESE (*) L'importanza del partito nazionale cattolico olandese si è saldamente accresciuta durante mezzo secolo nel quale il suo lavoro organizzativo e la chiarificazione delle sue posizioni politiche ne hanno fatto u n fattore principale nella vita nazionale e costituzionale. È u n peccato che il presente opuscolo non sia una storia del partito, dai suoi timidi inizi fino ad oggi, con un ragguaglio sulle organizzazioni dei lavoratori cattolici le quali, benchè distinte e indipendenti dal partito, gli danno u n sostanziale contributo. A noi non piace il nome di « partito cattolico », poichè il partito è strettamente politico e non dipende dalla gerarchia ecclesiastica. Ma l'atmosfera olandese, dove vi sono partiti « protestanti » e u storico-cristiani », rendono naturale per quel paese l'esistenza un partito onorato dal nome di cattolico, che riunisca tutti i cattolici sotto una bandiera « popolare n.

(*l Programme politique générale du parti catholique national neerlandak, suivi d'un commentaire, (traduzione autorizzata dal testo diciaie olandese), Edition Spes, Paris, 1939.


Questo opuscolo contiene una parte generalmente programmatica sullo stato, ispirata dai principi delle encicliche, e che serve a diffondere le idee morali che stanno sotto alla politica. I1 programma del partito è adattato alla storia e alle condizioni del1901anda una monarchia costituzionale, una democrazia popolare, una tendenza verso l'organizzazione economica e organica dei commerci e delle industrie, con una chiara affermazione della necessità di una società di stati e della loro cooperazione in un ordine internazionale. Benchè il libro riguardi l'Olanda, è utile per altri paesi ove i cattolici sono ancora liberi, o sperano di ridiventarlo.

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(People and Freedom, London, marzo 1940). The importance o£ the National Catholic Party of Holland has been steadily growing, through half a century in which its organisational work and the clanfication of this politica1 position have made it a pnncipal factor in national and constitutional life. I t is a pity that the present booklet is not a history o£ the party, from its timid beginnings u p to the present day, with an account of the Catholic workers' organisations which, though distinct and independent from the party, make a substantial contnbution to iì. We do not like the name « Catholic Party » though the party is strictly politica1 and not dependent on the ecclesiastica1 Hierarchy. But the atmosphere of Holland, where there are « Protestant » and n Historic Christian D parties makes it natura1 £or there to be a party honoured by the name o£ Catholic, as rallying al1 Catholics under a « popular n banner. The present booklet contains a genera1 programmatic section on the State, inspired by the pnnciples of the Encyclicals, and which serves to spread the mora1 ideas underlying politics. The programme of the party is adapted to the history and conditions o£ Holland, a constitutional monarchy, a popular democracy, a trend towards the economic and organic organisation of trades and industries, with a clear afirmation o£ the need £or a society o£ States and their coo-peration in an international order. Though thr book deals with Holland, it is useful €or other countries where Catholics are still free, or hnpe to becsme so.

DA DURKHEIM A BERGSON (*) Tra la famosa tesi di Durkheim De la division d u travail social (1893) al libro rivelazione di Bergson Les deux sour-

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(*) J. Vialatoux De Durkheim à Bergson, Paris, Bloud et Gay, 1939.


la morale et de la religion (1932) corrono quarant'anni, nei quali i l positivismo applicato alla sociologia ha bandito ogni interpretazione spirituale delle scienze morali, così come i l positivismo scientifico di almeno quarant'anni prima aveva bandito ogni interpretazione spirituale della scienza del pensiero. Vialatoux analizza il pensiero di Durkheim, ponendolo i n relazione con quello di Bergson, e cercando di spiegare il suo enorme successo, specialmente in Francia, nelle sfere della cultura e della vita pratica. Esso corrispondeva alla necessità di una disciplina sociale in un momento in cui l'individualismo stava conducendo all'anarchia. Il u sociologismo » di Durkheim venne considerato come una teoria attraverso la quale la disciplina sociale avrebbe preso il posto della disciplina religios a ; per Durkheim è la società che conferisce ~ersonalità,forma l a moralità, crea il diritto, come un essere vivente, in realtà il più alto essere, che è il tutto. Di fronte alla sociologia Bergson apre un più ampio orizzonte. Per quanto il suo dualismo biologico possa non convincerci, egli cerca di spiegare i due aspetti della vita sociale umana, l'uno ancora animale, guidato dalle passioni, superstizioso, l'altro mistico ed eroico; l'uno che scaturisce da una morale a chiusa D, sotto la pressione sociale, l'altro da una morale aperta », come appello a grandi personalità, proveniente dalla vera fonte della vita. I n corrispondeoza .a questa doppia vita, vi sono due religioni, l a u statica » e la « dinamica N. La prima facilita l a formazione sociale e spesso si traduce in mitologia e superstizione; l'altra è invece misticismo, in contatto con Dio, al quale i mistici rendono testimonianza, diffondendo vivificanti virtù quali la carità. Vialatoux mostra le affinità di Bergson con il pensiero cristiano notando al tempo stesso differenze e inadeguatezze. I1 suo libro è uno studio obiettivo, utilissimo a coloro che vogliono misurare la distanza percorsa dalla sociologia nello studio dei problemi morali e religiosi. ces de

(Peopk ond Freedom, London, aprile 1940). Between Durkheim's famous thesis De la division du trovoil social (1893) to Bergson's revealing book Les deux sources de la morale et de lo religion (1932) strecht forty years, in which positivism applied to sociology had banished any spiritual interpretation of mora1 sciences, just as the scientific positivism of at least forty years before had banished any spiritual interpretation of the science of thought. M. Vialatour analyses Durkheim's thought, relating it to that of Bergson, and seeking to esplain its immense suceess, especially in France, in the spheres of culture and of pratica1 life. It corresponded to the need for a social discipline at a time when individua-


lism was leading to anarchy. Durkheim's a sociologism n was believed to be a t h e o q through which social discipline would take the place of religious discipline; for Durkheim it is society that confers personality, forms morality, creates right, as a living being, indeed the highest being, the all. In the face of sociology, Bergson opens a wider horizon. Though his biologica1 dualism may not convince us, he seeks to explain the two aspectes of human social life, the one too animal, .passion-ridden, supertitious, the other mystical and herotic, the one springing from a a closed a morality, under pressure from society, the other from an « open » morality, as the appeal of great personalities, coming from the very source of life. Corresponding to this two-fold life, there are two religions, the «static n and the n dynamic n. The first facilitates social formation and often translates itself into mythology and superstition; the other is instead mysticism, in contact with God, to which the mystics bear witness, spreading abroad quickening virtues such as charity. M. Vialatoux shows Bergson's &nities with Christian thought, while noting differences and inadequacies. Hia book ie an objective study, very iiseful to those who wish to measure the distance traversed by sociology in the study of problems o£ tnorals and religion.

STORICO E SCIENZIATO (*) Gaetano Salvemini, il ben noto storico italiano, un tempo professore a Firenze ed esiliato come anti-fascista, è stato per molti anni negli Stati Uniti, dove le sue lezioni in varie univer&tà hanno suscitato un vivo interesse. Qui egli tenta di definire il compito dello storico confrontandolo con quello dello scienziato sociale n. Le sue idee sulla storia e sulla sociologia differiscono dalle nostre; egli si pone sulla piattaforma della cultura positivistica oggi generale, ma abbiamo trovato molti interessanti commenti, opinioni che provocano punti di vista e ben fondate critiche. Ciò che è più attraente è il suo amore per la verità e l'ardore che mette nel raggiungerla, con l'umiltà che tale ricerca richiede. Se il metodo positivo, tuttavia, ci dà il fatto storico, non ci porta all'idea dietro il fatto, la verità ragionevole. Ogni volta che uno storico quale il prof. Salvemini giunge ad una verità generale, egli, per questo stesso fatto, è andato al di là del suo metodo. Ciò che dovrebbe maggiormente interessare il lettore medio

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(a) Gaetano Salvemini Historian and scientist. A n essay on the natime of history and the social science, Harvard University Press, Cambridge (Mass.).


inglese è l'appendice : u Cosè la cultura ? n. Qui egli tocca il punto dolente nella politica culturale anglosassone. Ecco i capitoli della sezione: 1. Cultura professionale e cultura generale. 2. I1 diritto dell'ignorante. 3. Cultura intellettuale. 4. Cultura estetica e morale. È un peccato che non possiamo chiedere al prof. Salvemini di darci un 5" capitolo sulla cultura religiosa. (People and Freedom, London, maggio 194). Gaetano Salvemini, the well-knowii Italian historian, formerly a Profesaor at Florence, and exilied as an anti-Fascist, has been in the United States for severa1 years where his lectures at various universities have aroused a keen interest. Here he tries to define the historian's task by cnmparing it with that of the « social scientist n. His ideas on history and sociology differ from our own; he take his stand on the platform of positivism culture to-day general, but we have found many interesting comments, thought provoking view-points and wellfounded criticisms. What is most attractive is his love o£ truth and eagerness to attain it, with the humility that the quest of truth demands. If the positive method, however, gives us the historic fact, it does not bring us to the idea behind the fact, the reasonable truth. As often as an historian likes Professor Salvemini reaches a general truth, he has by this very fact gone beyond his method. What should most interest the average English reader is the appendix: u What is Culture? n. Here te touches the sore ulace in Andosaxon cultura1 policy. The sections bear the following headi&s: 1. ~roiessional Culture and Genera1 Culture. 2. The Rirrht to the Ignorant. 3. Intellectual Culture. 4. Aesthetic and Mnral culture-It is a pit; we cannot ask Professor Salvemini to give us a section 5 on Religious Culture.

GLI STATI UNITI DI OGGI (*) Max Lambert occupa una importante posizione nelle ferrovie francesi ed è anche un abile scrittore. Egli conosce il mondo che ha visitato guidato da una curiosità non solo di imparare ma di capire, e non si può capire con la testa senza il cuore. È ciò che conferisce valore al suo nuovo libro sugli Stati Uniti, che egli conosce e ama. Egli ci d i un po' di tutto - un profilo della storia e delle caratteristiche geografiche del paese, la psicologia del suo popolo, il sentimento religioso, lo sviluppo economico, il sistema educativo. I capitoli che ho trovato più

(*) Max Lambert

- Les Stats Unis d'oujourd'hui.


interessanti, per la loro chiarezza e penetrazione, sono quelli sull'esperimento di Roosevelt, sulla questione sociale e sulla politica estera. Benchè Max Lambert abbia scritto per il pubblico francese, il libro può essere utile anche ad un lettore inglese, poichè gli Stati Uniti, per quanto soprattutto anglosassoni, sentono l'influenza del continente più di quanto accada per l'Inghilterra. Essi sono perciò per taluni aspetti meglio compresi da un francese o da un italiano che dai loro cugini inglesi. (People and Freedom, London, maggio 1940).

M. Max Lambert holds a high position on the French Railways. He is also an able writer. He knows the world which he has visited led by a curiosity not only to learn but to understand, and one cannot understand with the head without the heart. It is this that gives its value to his new book on the United States, which he both knows and loves. He gives us a little o£ everything - an outline - of the history and geographic features o£ the country, the psychology o£ the people; religious feeling, econornic developments, the educational system. The chapters which I found most interesting, through their clearness and penetration, were those on the Roosevelt experiment, on the social question and on foreign policy. Though Max Lambert has written for bis French public, the book can be useful to an English reader, since the United States, though predominantly Anglo-Saxon, feel the influence of the Continent more than England does. They are therefore in certain respects better understood by a Frenchman or a Italian than by their English cousins.

STORIA DELLA CHIESA (*) Dall'inizio della guerra sono apparsi sei dei ventiquattro volumi di questa « Stona della chiesa ». Essa è edita da due storici di indiscusso valore. I nomi dei collaboratori sono tutti notissimi nel campo della cultura storica, in Francia ed anche all'estero. Includono Louis Brehier e padre de Labriolle, entrambi membri dell'Institut, e J. R. Palanque, Maitre de conferences all'università di Montpellier, il quale è specialmente conosciuto per uno studio sulla bibliografia ambrosiana.

( C ) Histoire cle 1'Eglise depuis les origines jnsqu'à nos jours, 24 vll., pubblicata sotto la direzione di Augustin Fliche e Victor Martin, Paris, Bloud et Gay.


I sei volumi finora uubblicati arrivano al neriodo carolinaio e sono tutti storicamente aggiornati e obiettivi, eccettuati, forse, pochi passaggi nello studio di Aumon sulle relazioni fra i Carolingi e i l papato. Per di più non vi sono quei tentativi di apologetica che falsificano i giudizi storici. Talvolta i l particolare appare troppo carico, ma c'erano due esigenze da soddisfare, quella della cultura generale e quella della informazione scolastica, e non sempre i due fini possono essere conciliati. Un'edizione italiana è apparsa contemporaneamente a quella francese. Perchè non dovrebbe essercene anche una inglese, o anglo-americana? (Peopie and Freedom, London, giugno 1940). By the beginning of the war six o€ the twenty-four volumes o£ this History of the Church had appeared. It is edited by two historians of unquestioned worth. The names of the authors contributing to it are al1 well-known in the field of historical culture, in France and also abroad. They include Louis Brehier and P. de Labnolle, both Membres de l'Institut, and J. R. Palanque, Maitre de Conferences at the Univeraity of Montpellier, who is especially known £or a study on Ambrosian bibliography. The six volumes so far published come lown to the Carolingian period and are al1 historically up-to-date objective except, perhaps, €or a i'ew passages i n I&. Aumon'a study on relatioiis bztween thc Corolingians and the Papacy. There are, moreover, none o€ those attempts at apologetics which falsify historical judgments. Sometimes the detail seems overloaded, but there were two wants to be satiafied, that of genera1 culture and that of scholaetic information, and not always can the two aims be reconciled. An Italian edition has been appearing simultaneously with the French edition. Why should there not be an Engliah edition too, or an AngloAmerican one?

AMERICA RURALE (*) I1 libro di mons. Ligutti e padre John C. Rawe è vera pubblicaiione di battaglia. Mons. Ligutti, italiano di nascita, che è stato p e r vent'anni negli Stati Uniti come parroco in un di-

(*) Mons. Luigi G. Ligutti e Rev. John C. Rawe, Rural r o d to sea<rity. A m i c a ' s third Stnrggie for Freedom, The Bruce Publishing Company, Milwaukee.


stretto rurale. cominciò col fare., ~ r i m adi vensare o di insegnare. Nella Qua gioventù in Italia era in coitatto con la meravigliosa rinascita agricola e cooperativa dovuta particolarmente a mons. Cerutti, l'apostolo delle banche rurali, e al prof. Toniolo, capo della democrazia cristiana, entrambi, come mons. Ligutti stesso, originari del Veneto. Mons. Ligutti è il presidente della National Catholic Rural Life Conference negli Stati Uniti, e promotore dei Granger Homesteads. Padre Rawe è un gesuita professore di sociologia e scienze politiche all'università di Creighton. (( Salvate la casa., articolarm mente la casa dei contadini D: questo è la nota chiave di questo libro, il quale presenta u n interessante e informativo resoconto del tragico declino dell'America rurale. Gli autori mostrano che le tradizioni della vita contadina possono - e devono - essere ristabilite. Ciò che è ammirevole in questo libro, vivo e diretto com'è, è la perfetta padronanza dell'argomento, lo spirito democratico da cui è animato, e la preoccupazione spirituale che lo rende sentito attraverso i vari problemi economici e sociologici che esso tratta. L'appendice fornisce informazioni di varie iniziative (specialmente dello stesso mons. Ligutti) e dei risultati che possono essere raggiunti. La bibliografia è utile e ricca. Fra i paesi visitati da mons. Ligutti l'anno scorso nel suo giro di studio nel nord Europa, per studiare l'organizzazione cooperativa, vi erano Inghilterra e Danimarca. Ma cosa rimane oggi in Danimarca di tutta quella vita fiorente? E cosa bisogna dire della splendida organizzazione rurale dei cattolici della Baviera e della Renania prima di Hitler? o quelle dell'Italia prima di Mussolini? Oggi sono state distrutte così radicalmente come se fossero state fatte saltare con l'esplosivo.

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The book by Mgr. Ligutti and Father John C. Rawe is a fine fighting publication. Mgr. Ligutti, Italian by birth, who ha9 been twenty years in the States as parish-priest in an agricultural discrict, began by doing before thinking or teaching. In his youth in Italy he was in touch with the wonderful agncultural and co-operative revival that was due especially to Mgr. Cerrutti, the apostle o£ the Land Banks, and to Professor Toniolo, the leader of Christian Democracy, both o£ whom, like Mgr. Ligutti himself, came from the Venetian districts. Mgr. Ligutti is the President o£ the National Catholic Rural Life Conferente in the United Stata, and the sponsor o£ the Granger Homesteads. Father Rawe, is a Jesuit Professor o£ Sociology and Politica1 Sciences at Creighton University. r Save the home particularly the farm home io: that is the reynote o£ this book, which presents an interesting and informative account of the tragic decline o£ rural America. The authors show that the traditions of farm life can - and must - be reestablished. What is admirable in this book, alive and direct as it ia, is the perfect


mastery o£ the subject, the democratic spirit with it is animated, and the spiritual concern that makes itself felt through the various economic and sociological problems with which it deals. The appendice give infonnation o£ various enterprises (especially Mg. Ligutti's own) and of the results that may be achieved. The bibliography is useful and rich. Among countries visited by M g . Ligutti last year in his tour o£ study o£ Northern Europe, to study co-operative organisation, were England and Denmark. But wbat remains to.day in Denmark of al1 that flourishing life? And what is to be said of the splendid rural organisation of the Ca. tholics o£ Bavaria and the Rhineland before Hitler? Or those of Italy before Mussolini? To.day they bave been destroyed as thoroughly as if they had been blown up with higt explosive.

IL MANIFESTO DELLA VITA RURALE (*) I1 Manifesto della vita rurale è stato redatto per iniziativa e sotto il controllo della National Catholic Rural Life Conferente. Un gruppo di personalità, soprattutto ecclesiastici, si è incontrato a Saint Louis nell'aprile del 1937, per discuterne le linee e i contenuti. Vennero costituiti vari comitati, e l'insieme fu preparato con l'ufficio esecutivo della National Catholic Rural Life Conference, così che nel 1939 il testo finale fu pubblicato. Eeso cerca di stabilire i principi della vita rurale secondo la scuola sociale cattolica, specialmente le encicliche di Leone XIII e Pio XI, e di promuoverne l'applicazione negli Stati Uniti. I1 materiale è diviso in sedici capitoli, fra i quali i più interessanti sono : I, La famiglia rurale cattolica ; 111, L'insediamento rurale; VII, La comunità rurale; X. La salute del mondo rural e ; XIV, I1 credito rurale. I1 manifesto è seguito da una seconda parte d i annotazioni, contenente materiale utilissimo, citazioni di testi, dati e fatti pratici, spiegazioni, e così via. L'introduzione è scritta da mons. Muench, vescovo di Fargo. Fra i promotori notiamo mons. Edwin V. O'Hara, il quale è stato il fondatore e per molti anni il presidente della National Catholic Rural Life Conference (nel 1925 è venuto in Inghilterra per studiare l'agricoltura britannica), ed è ora vescovo di Kansas City. (People und Freedom. London. luglio 1910).

(*) Manifesto oli Rural Life, National Catholic Rural Life Conferenre. The Bruce Publishing Company, Milwaukee.

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The Manifesto on Rural Life has been drawn up on the initiative and under the contro1 of the National Catholic Rural Life Conference. A group of notable persons, mostly ecclesiastics, met at St. Louis in April, 1937, to discuss its range and contents. Various Committeeu were appointed, and the whole was arranged with the Executive Board of the Natioual Catholic Rural Life Conference, so that in 1939 the fina1 text was published. This seeks to establish the principles of mral life according to the Catholic Social tichool, eapecially the encyclicala of Leo XIII and Pius XI, and to promote their application in the Unitea States. The material is divided into sixteen chapters, among the most inteneting being: I, The Rural Catholic Family ; 111, Rural Settlement; VII, Rural Community; X, Rural Health; XIV, Rural Credit. The Manifesto is followed by a Second Part, of annotations, containing much useful matter, quotatione of textes, practical data and facts, explanations, and so forth. The Foreword is written by Mgr. Muench, Bishop of Fargo. Among the promoters we note Mgr. Edwin V. O 'Hara, who was the founder and for many years the President of the NationaI Catholic Rural Life Conference (in 1925 he came over to study British agriculture), and is now Bishop of Kansas City.


I N D I C I



INDICE ANALITICO

C m o (GERMANICO), 133, 191, 222, 239240. CHIES~ 135, 259, 302-3049 366-3699 411418, 433-434. CIT~ADINI, 17-20. CODICEPENALE, 165-168. COLONIE,88-89. COMUNISMO, 8-12, 174, 226, 291-292, 363. CONCILIAZIONE, 124-127. CORPORATIVISMO, 118-119, 223, 225, 363, 415. A u s m ~ ~177, , 202, 251, 260-261, 261., COSCIENZA NUIONALE, 45-46, 234.235, 289-290, 333-335. CRISTIANESIMO, 106-107, 108, 128-131, REGIONALI, 175. AUTONOMIE 135, 143-146, 149.151, 173, 189, 193AZIONEUTIPOLICA, 336, 365. 194, 203-204, 219, 225-226, 281-282, 305, 411-418, 421-422, 424-425, 430.

ABDICAZIONE, 22-26, 49. AGGRESSIONE, 260-263. AGRICOLT-, 174.175, 267-271, 345.349, 433-437. ALBANIA, 251, 261, 327. ARMAMENTI, 97-100, 104, 157-159, 354 356. A R M I S ~ Z I36.39. O, R0MA-Bm1N07 36* 202* 2299 231, 249-253.

BASCHI,43-47, 120, 175, 326. DANZICA, 252, 261, 264266, 278. BELGIO,341-343. DmmlA* 75-799 191, 2099 2179 2377 BOLS~VISMO, 65, 160, 292, 312, 351. 245-249, 262, 267, 276, 279, 282-285, BoMemAMm, 50-55, 87-88, 100.102, 3059 363. 107.111, 162-165, 198, 265, 326-327. DEMOCRAZIA CRISTIANA, 13-14, 132-135, BORGHESIA, 238-240, 244, 254, 311. 191.196, 215, 235, 242.245, 273, 306315, 428-429. CAPITALISMO, 210, 226, 293, 354358. DIFFAMAZIONE, 14-17, 67-69. CATALANI, 175. D I ~ A T U R 30-33, A, 71, 174, 208-210, 223, 228, 257-258, 267, 283, 305, 312, 358CATIPOLICI, 10, 11, 13-14, 48, 64, 7480, 127-138, 177-179, 191-196, 198-202, 359, 366-369. 215-227, 235-238, 242-248, 320-321, DOPOGUERRA, 337-347. A 223, 226-227, 315-316. 324-326, 335, 359, 364, 379-381, 426- D C ~ R I NSOCIALE, 429. CE~~SLOVACCHIA, 177-189, 197, 202, 228, EBREI,160, 210, 331, 358. 232235, 251, 261-262, 266, 278, 289, E~ONOMIA, 118, 225, 316, 337-341. 331, 423424. ENCICLICHE PAPALI, 13, 31-32, 75, 79, 90,


118, 217, 221, 226-227, 242- 244, 337, 378, 415, 417. FASCISMO, 9-11, 30-33, 65, 116-117, 119, 122-124, 138-140, 142, 166, 169-172, 174, 188, 202, 207, 217-220, 238240, 249-253, 258, 267-271, 293, 295, 301, 303, 323-324, 335, 358-360, 365, 367, 369-371, 4 1 8 4 0 , 426.427. FINLANDIA, 316-319, 322. GuERNI'% 50-55, 63-45, 100-101, 2659 326-327. GUERRA,3 4 , 3437, 69-73, 103, 129, 148153, 1699 185-1919 232, 2-53. 263-2679 271-302, 315-319, 321-323, 337, 341347, 349-354, 384389. - italo-abissina, 103, 169, 181. mondiale (primo), 3435, 113. - d i SPW, 36-39, 43-47, 72-73, 874% 93-97, 100-113, 118-126, 136-138, 146-157, 160, 162-165, 172-177, 261-262, 265-266.

-

OPERAI,253-255, 315, 335, 351, 361. OPINIONE PUBBLICA, 20-26, 57-60, 80-87, 119-125, 150, 181, 318. ORDINE INTERNAZIONALE, 81-86, 90-93, 102-107, 143-146, 227-230, 288-291, 330-335, 378379, 381-382, 393-396. PACE, 63, 69-74, 8087, 90.93, 102-107, 124127, 150-151, 172-176, 197-198, 233, 237, 271, 293-295, 356, 371-375. PACERELIGIOSA, 366-369. PACIFISMO, 127-132. pABLAMMm, 205-208. PAR,C,PUIONE

(alla politica), 74-79, 200, 221.224, 230-233. PARTITO POPOLARE, 141443,192, 205,215224, 267-271, 336. PAITI INIERNAZIONALI, 143-146. p-~,~n, INTERNAZIONALE,3 4 , 3943, N86, 179-189, 162-165, 199, 250-256, 263-267, 275-282, 321-323, 330-335, 371-375, 381-384, 423-4.24.

LAVORIPUBBLICI, 168-172. ~ V O R 324-326 O, (v. anche sindacalismo) R r n m D " ~ , 165-168LIBERTÀ,75-79, 188, 203-204, 208-211, RIARMO,157-1599 209234, 245-249, 255, 262.263, 300, 307, R ~ ~ u c uPoLIncI, n 159-1629 375-377322-323, 363. ScH1av1TÙ, 208211. MEDIAZIONE, 172-176. SCIOPERO, 138140. MONARCHIA, 20-26, 47-50, 304-305, 342- S1c-zA COL-IVA, 227-230, 290. 343. SINDACALISMO, 118, 215-217, 222, 224MORALE IXTERNAZIONALE, 381-382. 226, 243-244, 316, 320, 325-326, 335337, 362-365, 317378, 403. NAZISMO, 31-33, 63-65, 160-162, 166, 177- SocrALis~o,138-140, 142, 178, 207, 215, 224, 226, 238239, 242244, 253-255, 179, 185-189, 202-205, 222, 249-253, 260-262, 264-266, 285-288, 293, 354308, 319.321, 369, 426. SQUETÀDELLE NAZIONI, 3-5, 41-42, 60-63, 256, 358-360. N E U ~ L I T 296-302. À~ 70.71, 81-86, 91-92, 100, 102103, 113,


127, 1 4 1 4 6 , 160.162, 212-213, 227- S m m , 177-179, 186, 264, 290, 353. 230, 254, 257, 265, 288-291, 332, 372374, 378, 393-395. TOTALITARISMO (V. dittatura). SPAGNA (V. guerra di). TREGUA, 36-39, 87-88, 125, 136.137. SPESEMILITARI, 97-100, 104. STAMPA,14-17, 67-69. VITAPUBBLICA, 74-75. STATO,399-403, 418420.



INDICE DEI NOMI A ACERBO Giacomo, 239 n. ADAMO,424, 425. ACOSTINO sant', 77. AJALEERT Jean, 33, 34, 35. ALBERTO I del Belgio, 342, 344, 385. ALLENof Hurtwood lord, 81. ALLO,421. AMBROGIO sant', 33. AMENWLA Giovanni, 140, 405. ANCELLANE Ralph Norman, 81, 82. 83, 85, 86. ANQUETIN Louis, 34. ARACON marchese, 247. ARCHAMBAULT Paul, 380, 421. ARONATEQUIE, 51. ARZUAGE Ramon, 51. ASCOLIMax, 422, 423. ASHTONE. B., 418, 419, 420, 421. A ~ L E Clement, E 93, 95. A U ~ H U S T A C380. E, AUCUSTO imperatore, 419, 420. AUMON,434.

B BALWVINO I del Belgio, 343, 345. BALDWIN Stanley, 22, 24, 27, 29, 30, 43, 157, 311, 314, 363, 381, 387. B A L F O ~Arthur, I 39, 41. BANDERALI G. Battista, 133 n. BARBUJONESCO, 16. BARCLAY CAUTEPBarbara, 113 n., 198 n., 245, 247, 248, 293, 307. 308, 309. 310. BARDOUX Jacques, 112.

BARNESJ. S., 402. BARTHÉLEMY Joseph, 406. BARTHOU L O U ~371, S 372. BARTOLIAntonio, 365. B A U L ~ UPaul, I N 355, 357, 386. BEAUPIN Eugène, 113 n., 213, 214. BWVERBROOK William, 22. BECKJosef, 252. BEETHOVEN Ludwig, 95, 117. BELLOCHilaire, 94, 326, 327. BENEDFITO XV, 104, 106, 132, 141, 144, 148, 150, 152, 172, 176, 378, BENESEduard, 175, 197. BERCSON Etienne, 429, 430, 431. BERNHARDT von, 331. BERTINIGiovanni, 268, 270. BIMCHI Michele, 139. BIANCHI(lodo), 133 n. BIDAULT George, 132, 134, 247 n-, BISMARCK Otto von, 31, 133, 256. BISSOLATI Leonida, 404, 405. BIRKENHEAD A k e d de, 425. BLUMLeon, 24, 48, 131. BONAPARTE Napoleone, 134, 262, 286, 381, 409, 410. BONCOUR Paul, 45. BONIFACIO VIII, 134. BONNETGeorges, 180, 183, 266, 424. BONOMIIvanhoe, 206, 207, 404. BORNEEtienne, 247. BO~IKENAU, 248. BOULENCER Jacques, 258, 259. Borcom Charles, 352, 353. BRAILSM>RD H. N., 289. BRAUN,350.


BBE~IERLouis, 433, 434. COLAdi Rienzo, 257. BRIANPAristide, 41, 42, 379. COLLIEB, 245. BRILLANT Maurice, 380, 421. COOKArthur, 365, 371. BRUENING Heinrich, 238, 239, 241, 293 COPPENSJ., 421. 295, 311, 314, 319, 350. C Q R B EAshby, ~ 176. BUTLER,165. COSGRAVE William, 22, 27. BUXTON Harold, 147. COUSSANGE J. de, 423, 424. CRAWFORD Virginia, 176, 198 n., 245, C 247, 248, 308, 310. CAIFA,128. CROCEBenedetto, 404. CALIGOLA, 419,420. CUTHBEET, 424, 425. CALLESPlutarco, 366, 368, 369. CURZON George, 292. CAPPI Giuseppe, 133 n. D CARISTIACarmelo, 405, 406. CARLO di Romania, 16. DALADIER Edouard, 164,179, 182, 185 n., CARLO V di Asburgo, 219,256. 189, 232, 285, 291, 322, 424. CARLOJX, 233. D'ANNUNZIO Gabriele, 288. CARTIER Raymond, 32. DANTE,117, 402, 411. CATONE,419, 420. DAVIESlord David, 81, 235. CAVAZZONI Stefano, 239, 241. DAWSON George, 180, 183. CAvoIJR Camillo conte Benso, 114, 115, DE BPDOYA Xavier, 218, 220. 401, 419, 420. DE BONALIILouis, 403. CECIL LOm Edgar, 81, 110, 111, 122, DEGRELLE Léon; 262 n. 176. DE JACOBIS Giustino, 259, 260. C E R Rmons. ~ Bonaventura, 379. DE LA BRIÈREYves, 213, 214, 393, 394. CHAMBEBWN Austin, 39, 40, 41, 43. DE LABRIOLLE P., 433, 434. CHAMBERLAIN Neville, 122, 123, 130, DELLATORREGiuseppe, 105, 234. 131, 147, 157, 161, 162, 163, 164, DE MAISTREJoseph, 403. 326, 328. 165, 177, 179 n., 180, l m , 182, 183, DE WNES, 184, 185 n., 186, 187, 188, 189, 227, DENBIGHlord, 273, 274. Carlo F., 401. 228, 229, 231, 232, 251, 261, 264, DI ROBILANT 265, 266, 285, 287, 289, 290, 291, DE VALERA Eamon, 22, 23, 27. DE VITI DE MARCO Antonio, 398. 311, 314, 322, 381, 383, 384. CHAMPETIER de Robert, 380. DISRAELIBenjamin, 256, 257. CEURCHILLWinston, 21, 22, 27, 28, DOLLFUSSEngelbert, 222, 261, 334. 36, 164, 181, 182, 184, 187, 188, DONATIGiuseppe, 134, 405. 189, 190, 322, 370, 371, 386, 387. DOUMEFIGUE Gaston, 24, 29. CIANO Galeazzo, 182. DOUTEOITEugène, 380. DREYFUS AlEred, 192. C ~ I A CAugusto, I 134. D ~ H E I Emile, M 429, 430, 431. CITRINEWalter, 318. CLAYTQN Joseph, 247. E CLEMENWUGeorga, 385. EDEN Anthony, 121, 122, 123, 164 n., CLEMENTE XIV, 135. CLEOPATPA, 384, 385. 181, 182, 184, 228, 266, 289, 322, COCCHI Romano, 133 n. 383.


EDOARDO VIII, 20, 21, 22, 23, 24, 26, GIOLITTIGiovanni, 206. 207, 216. 27, 28, 29, 30, 49. GIORGIOV, 23. ELISABET~A principessa, 25, 30. GIORGIO VI, 20, 23, 24, 25, 26, 28, 29, ENRICOV (principe Hal), 21, 27. 30, 305, 306. E P P S ~ I Nmons, 213. 214. GIOVANNA d'Arco, 47. EZECHIELE,128. GIOVANNI san, 135, 145. Negus, 259 n. GIOVANNI, F GLADSMNE William, 114, 115, 371, 419, 420. FACTALuigi, 140, 206, 207. FNDHERBE P., 413. &AD, 377. GOERING Hermann, 277. FARINACCI Roberto, 218, 303. GOETIIE Wolfang, 117. FERDINANDO i l Cattolico, 219. GOSLING,247. FERRARIFrancesco, 98, 99, 134. GOTTWALD Klement, 197. FERIURI Ubaldo, 133, 134. FERRERO Guglielmo, 409, 410, 411. G1 Achiue, 215 216FITZ ALAN lord of Derwent, 273, 274. GRAZIMIRodolfo, 32. GREGORY T. S., 128, 129, 130, 131. FLANDIN Piene, 161. GREYof Fallodon lord, 39., 40, 84. FOCE Ferdinand, 385. GRQNCHIGiovanni, 215 n., 216. FOLLIETJoseph, 380. FORTUNATO Giustino, 398. GROOCH, 122. GROSOLIGiovanni, 365. FRANCESCOsan, 368. FRANCO Francisco, 4, 39 n., 43, 44 n., GUGLIELMIM d'Olanda, 30.5, 306. 46, 50, 51, 65, 66, 73 94, 95, 96, GUGLIELMO 11 di Pnssia, 173, 265, 419, 420100, 101, 102, 108, IW, 119, 120, 121, 124, 125, 126, 127, 136, 137, GulsA, 305, 306. 147, 148, 154, 155, 162, 163, 165, H 172, 173, 174, 175, 176, 229, 246, 252, 255, 258, 261, 283, 284, 326, HACHA Emil, 251 n. 328, 355. HALIFAXEdward, 89, 90, 180, 182, 183, FRASSATI Alberto, 133 n. 199, 201, 251, 384. FRASSATI Pier Giorgio, 133. HENDERSON Arthur, 311, 314. HWVLEINKonrad, 175, 177, 178, 261, FUMETStanislay, 380. 353. G HEXONAnthony, 198, 201. HERRIOT Edouard, 289, 364. GARRIGOU-LAGRASGE Réginald, 421. HEPMANHenri, 324, 325. GASPARRI card. Pietro, 141, 142. Paul, 239 240, 241, 242, GAYFrancisque, 12 n., 14, 237, 247 n., HINDENBURC 380. 372. GENTILEGiovanni, 403. HINSLEY mons. Arthur. 9. GESÙ CRISTO, 56, 106, 128, 130, 135, H I T Adolf, ~ 31, 33, 42, 46, 51, 61 n., 88 n., 89, 92, 98, 99, 123, 124, 131, 173, 281, 381, 424, 425. 162, 164, 175, 177, 178, 179 n., 180, GIL ROBLESJosé Maria, 44. GILLETL., 175. 181, 182, 183, 184, 185, 186, 187, GINACHERO Galoez, 56. 188, 190, 203, 204, 222, 229, 231, 232, G I O B E XVincenzo, ~ 402. 234, 239, 210, 241, 249, 250, 251,


252, 261, 264, 265, 266, 276, 278, 281, 283, 284, 285, 286, 288, 290, 292, 293, 294, 295, 301, 304, 349, 353, 354, 355, 359, 360, 387, 388, 435, 436. H 0 . m ~Sam~iel,180, 181, 182, 183, HODU Milan, 177. HOLLWEG Bethmann, 90, 145. HOOGGeorges, 247 n. H O O R N ~André, T 51. HUGENBEIIC Aifred, 239, 241. Huco Victor, 117. HULLCordell, 208. H u s Giovanni, 234. HUXLEY Aldous, 94. I

277, LFBNEXIII, 13, 14, 131, 226, 243, 259 u., 287, 313, 315, 320. 337, 416, 436, 437. 300, L E O P O111, ~ 169, 341 n., 342, 343, 344, 357, 345. LIEE~KNECHT Karl, 254 n. 184. LIENARTcard. Achille, 380. LIGUTTILuigi, 434, 435, 436. LINMLNAbraham, 307, 309. LLOYLIGEORGE David, 44, 162, 371. LOTHIAM Philip Henri, 81. Low David, 386. LUTERO Martin, 130. LUXEMBOURG Rosa, 254 n. LUZZAITILuigi, 170.

M

MACAULEY Rose, 94. MACDONALD James, 157, 311, 314, 371, 381. J MACHIAVELLI Niccolò, 402, 405, 406. MADARIACA Salvador, 176. JACKS Laurence, 81. MADAULLE jacques, 247 n. JASPAR Henri, 371, 372. MADELINLouis, 34, 409. JA&S Jean, 254 n. ~ C A N Vincenzo, O 242 n., 244. J o m Joseph, ~ 385. MANIEREtienne, 421. 300s Joseph, 240, 241. MANNINC card. Henry, 308, 310. MANSTEINEric von, 341 n. K M A N ~Alessandro, I 117. I(ABLGREENAnton, 423, 424. MAOMETTO,173. WC Frank, 41, 91, 14-4, 146. J ~ 39. ~ ~ , KERILLISHenri de, 44, 45. MARITAIN Jacqueo, 113 n., 147, 175, 246, KNOXR., 370. 380. K U S I ~ 353. , MARX Karl, 403, 404. MASSAIAcard. Guglielmo, 259. L MAGiacomo, 43, 370. M A U Angelo, ~ 215, 217. LARGO &oFrancisco, 44, 155. MAURIACFrangois, 380. LAMBEBT M a , 432, 433. LAVALPierre, 42, 45, 62, 180, 181, 183, MAuRxAs Charle% 403. MAX Adolphe, 342, 344. 184, 266, 355, 384. &xmx on., 24, 29, 49. L ~ T B padre, C 421. ~ LAVREVILLE, 376. MAZZINIGiuseppe, 402. LEHMANRoeamond, 94. MEDA Filippo, 311, 314. LEBLOUD Claude, 380. MENDIZABAL Alfred, 113 n., 176, 246, h Vladimir, 292. 247. IMENEZEncarnacion, 56. INNITZEU Theodor, 177.


MENELIK,259 n. MERCIER card. Désiré, 342, 344. MICHELIGiuseppe, 216, 267, 270. MIGLIOLIGuido, 133 n., 134. MILTQNJohn, 411. MINZONIdon Giovanni, 367, 370. MIRKINE-GUFIZÉVICH B., 406. MOLAEmilio Vidal,, 46, 52. MOLOTOV (Viancheslav Skriabine), 260. MOOREAnthony, 248. MOSLEYOewald, 9, 19, 22, 27, 273, 274MOTTAGiuseppe, 311, 314. MUENCHmons., 436, 437. MULLERfr., 213, 214. MURRAY Gilbert, 81, 86, 122, 176. MUSSOLINIBenito, 5 n., 15, 16, 30, 32, 34, 43, 46, 65, 67, 88 91, 120, 1239 124* 131, 141, 1429 lS6* 165, 185 n-, 186, 187, 228, 231, 239, 240, 241, 2499 2509 2529 253 2549 266, 284* 2877 301, 303, 305, 366, 368, 369, 402, 435, 436.

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268, 294* 306, 370,

ONAINDIA can., 50, 53, 54, 55, 101. ORUNDOVittorio Emanuele, 138, 140. P PAGANI Giuseppe, 134. PALANQUE J. R., 433, 434. pANUNZIo, 403. PAOLO san, 130, 176,412. PARATORE Giuseppe, 140. PASuL ~ l ~104, i 149, ~ ~151., PESET,235. pkTAINphilippe, 229, m, 396. PIERLOTHubert, 342, 344. PIETROsan, 128. PILSUDSKY Joseph, 288, 292. PIOVII, 134, 168. pio IX, 145, 262 n.

pIo X, 141, 142, 145. PIOXI, 13, 14, 15, 31 n., 32, 131, 204,

205, 226, 227, 249, 303, 3w, 336, 363, 379, 394, 415, 436, 437. 2707 273, 2743 P10 XII (card. Pacelli), 302 u., 320, 379. 2959 2%* 298* PIZZARDO card. Giuseppe, 199, 202, 218. 359, 360, 364, pw,ouTH lord, 126. 371, 378, 397, poc,Im, 80.

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PONZIOPilato, 56, 128. P O ~ EAntoine, R 308, 310. POULLET Prosper, 78, 364. POWERRoper, 248. PRÉLOTMarcel, 406, 407, 408, 426. PRIE Indalecio, ~ 101, 108, 109.

NLVSENFridtjof, 160. NAPOLEONE 111, 206, 208. NECCHILudovico, 133. NEDONCELLEN., 421. Q NEGRINJuan, 155, 156, 172, 174. NEUROHRJean Frédéric, 248. QUEIPOde Llano, 56, 352. NICOLSON Harold, 114, 115, 122. QUISLINGVidking, 352, 353, 354. N i n Francesco Saveno, 170, 206, 207, 216 n., 398. R N o m Ernst E., 427, 428. RABEAU Gaston, 422. NOVAL M. A., 109, 110, 111. ~ W John, E 434, 435.

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O 'HARAEdwin V., 436, 437. OLLETcap., 39n. OMERO,411.

RECCHIONI(King Bomba), 16. RENARD R. G., 119, 411, 412, 413, 417. REYNAUD Paul, 339, 341, 355, 357, 386, 387. REICHENBEBG rev., 248.


RIBBENTROP Joachim, 266, 322. S~~UCLIN 376. O, R o o s v a ~Franklin, 40, 131, 162, 190, S ~ U P Karl, P 107, 108. 208 n., 248, 252, 289, 319. STURZOLuigi, 12, 13, 15, 26, 46 n., ROTHER~XERE Harold. 22. 50 n., 54, 55, 57, 80, 87, 88, 89, R u ~ c r n u i vWalter, 175, 171, 187, 261, 99 n., 113 n., 126, 129, 132, 135, 353, 383. 137, 141, 142, 143, 197, 198 n., 200, R u m Martin, 354, 356. 202, 207, 208, 212, 213, 237, 242 n.. 246, 329, 330, 378, 379. S T SAINTAulaire conte, 213, 214. TARDIEU André, 24, 29, 45, 62. SAINT Severin, 421. TASSO Torquato, 411. SALAMA, 259 n. TEODOSIO, 33. SALANDRA Antonio, 35, 270, 297. SALVEMINI Gaetano, 398, 400, 431, 432. T ~ N O m ELouis, 247, 380. TESSIERGaston, 380. SAMUEL s u Herbert, 88. TISO mons. Joseph, 251 n. S A N G I U L I ~Antonio, O 385. TOLOMEIEttore, 401. SANGNIE~IMarc, 247 n., 380. TOMMASINIFrancesco, 396, 397. SANTUCCI Carlo, 365. TORIOLOGiuseppe, 215, 217, 283, 284. SAVONAROW Girolamo, 117. 307, 309, 435. SCHANZER Carlo, 397. SCHNEIDEU Herbert, 399, 401, 402, 403, TOsmlNr Arturo404. TOYNBEE Arnold, 382. SCHUSCHNIGG KUIZ, 131, 222, 261, 352. Ttìis5m Fritz, 3497 3509 351. S c m Stokes, 248. U SEIGNEUR P., 247. SERREPhilippe, 380. Umrrr~ade, 326, 328. SEUPHOR Michel, 426, 427. \T Arthur, 116, 352, 353. SEYSSINQUART SFORZA Carlo, 114, 115, 397. VALENTE Giovan Battista, 215 n., 216. SHAWBemard, 94. VAN ZEELAND Paul, 78, 236, 237. SILW, 419, 420. VAUSSARD Maurice. 247. SIMONJohn, 182, 184. VERDIEXcard. Jean, 380. SIMPSONWallis, 20, 24, 26, 29. V I A L A ~ UJ.,X 429, 430, 431. SINCLAIR Archibald, 290. VIRGILIO, 411. SLESSEIIlady, 377. Emilio, 114, 115, 401. VISCONTIVENOSTA SOREL Georges, 403, 404. VISOCCHIAchille, 270. SPEBANZINI Giuseppe. 133 n. VIITOIUAd'Inghilterra, 256. SPERRLE comm., 327, 328. VITTORIOEmanuele 11, 169. STALINJoseph, 169, 283, 284, 286, 292. VITTURIO Emanuele 111, 240, 242, 251 n. S n m WICKHAM,21, 27, 81, 83, 122, VIVIANIRéné, 385. 126, 127, 176, 248, 405. VONIERAnscar, 211. S T E G E R WAdam, A~ 311, 314, 350. VON PAPEN Frane, 239, 240, 241, 242, STBESEMANNGtistav. 40, 41, 42, 293, 350, 416. Vos TBEISCHKE Heinnch, 331. 295.


WAGNER Richard, 116. WATSONSeton, 248. WEBEBAugust, 240, 241. WEGDWOOD, 371. WELLESSumner, 399, 341. WEYGAND Maxime, 386. WILSONThomas, 378.

WINTEU,247. WIRTHJoseph, 311, 314, 350.

Z m o m BIANCO Umberto, 397, 398, 399. ZINOVIEV Gngori, 351. ZOCUdi Albania, 251 n., 261. ZUCCHINICarlo, 215, 217.



TAVOLA DELLE MATERIE

AVÌ'ERTENZA . . . 1 La prossima guerra . . . . . . 2 I1 comunismo in Inghilterra 3 Memaggio all' Ai~be . . . . . . 4 La misaione dei cattolici democratici . . 5 La diffamazione in Inghilterra . . . 6 Polizia e cittadini in Inghilterra . 7. Lettera da Londra . . . . . . 8 I dittatori schiavi del loro prestigio . . . 9 Costante ingiustizia . . . . . . . . . . . 10 11 primo armistizio . . . . . 11 Sir Austin Chamberlain . . . . . 12 La causa del popolo basco . 13 Tre quadri .Tre psicologic . . . . . . . . 14 11 significato di Guemica . 15 Sul canonico Onaindia . . . . . 16 Umanizzare n la guerra ! . . . . . . 17 L'opinione publica e la guerra di Spagna . . . . . 18 Ginevra di ieri e di domani 19 Lusitania Guernica Almeria . . . . 20 La stampa in Inghilterra . 21 Guerra e pace . . . . . . . . . . . . 22 La pace in Spagna . . 23. L'unità dei cattolici nella vita publica 24 Lettera agli amici dell'Aitbe 25 L'opinione inglese e l'organizzazione della pace 26 Una tregua ai bombardamenti aerei . 27 L'Italia e i mandati coloniali . . 2%. La porta aperta . . . . . . . . . . . 29 Viaggiatori in Spagna 30 Le spese militari mondiali . 31 I bombardatori di Spagna . . . . . 32 Discorsi di pace e preparativi di guerra . 33 Incursioni aeree in Spagna .

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. bis . Incursioni aeree in Spagna . . Lo spettro di undici milioni di morti . . Il record delllItalia . . . . . I1 gesto di Toscanini . . . .

. . . . . Due tipi di corporativismo . . . . . L'opinione inglese e la guerra di Spagna .

. . . . . . . . . . . . . Ancora in tempo per una pace attraverso la conciliazione . . . I cattolici e il pacifismo . . . . . . . . . Ancora mi cattolici e il pacifismo . . . . . . . Lettera a Georges Bidault . . . . . . . . . I non combattenti a Barcellona . . . . . . . . . . . . . . . . 44. Guardare alle svolte . . . . . . . . . . . . 45. I1 P.P.I. 33 34 35 36 37 38 39 40 41 42 43

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. . . 46 L'ordine internazionale (Pacta sunt eervanda) . . . . . . . . . . 47 La risposta di Franco . . . . . . . . 48 La guerra è fatale? . . . . . . 49 Ventidue mesi di guerra in Spagna . . . . . . . . 50 L'Inghilterra e il riarmo . . . . . . . . . . 51 I rifugiati politici . . . . . . 52 Chamberlain in un vicolo cieco . 53 Il referendum svizzero per il codice penale unico . . . . . . . . 54. I lavori pubblici in Italia . . . . . . . . 55 Franco. la mediazione e noi . . . . . 56 La crisi dei cattolici tedeschi-sudeti . . . . . . . . . . 57 Cos'è accadu~u?. . . . . . . 58 Il gioco della paura di guerra . . . . . . . . 59 « While time remains u . . . . . . . . . 60 Le vostre responsabilità . . . . . . 61 I1 premio per la pace a Benes . . . . . 62. Difesa di a People and Freedom Group n . . . . . . . . . . 63 Bisogna nazificarsi . . . . . . . . 64 I1 parlamento italiano . . . . . . . . 65 Verso una nuova schiaviti, . . . . . . . . . 66. L'Abate di Buckiast . . . . . . . . . . . 67. Precisazioni . . . . . . . . . 68 Venti anni fa . . . . . . . . 69 n P.P.I. dopo vent'anni . . . . . 70 L'ambiente per l'azione sociale dei cattolici . . . . . . . . 71 Sindacalismo cristiano 72 Quadragesimo anno (1931) e Divini Redemptoris (1937) . . . . . 73 La sicurezza collettiva Mancanza di psicologia . 74 a Élites B e cr masse D in politica (settembre 1938 .marzo aprile 1939) . . . . . . . . . 75 Vecchia Boemia . . . . . . . 76 Saluto a cr Popolo e libertà R .

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. . . . . 'i7. Per i festeggiamenti a Van Zeeland . 78 . É utile ricordare che . . . . . . . . . . . . . . . . . . 79 Primo e quindici maggio . 80. Gli ideali di libertà e democrazia del a People and Freedom n di Londra . . . . . . . . . . . 81 . La solidità dell'Asse . . . . . . . . . . . . . . 82 Gli operai e la politica internazionale 83 . « L'impero n . . . . . . . . . 84 Un fatto storico . . . . . . . . . . 85 L'aggressione dall'intemo . . . . . . 86 Guerra bianca ad armi diseguali 87 . 11 latifondo siciliano e il P P . 88 I cattolici italiani e il latifondo 89. Guerra di ideologie . . . . . . . . . 90 I cattolici inglesi e la guerra 91 . La nuova guerra (1939): quanto durerà? . . . . . 92. La guerra e la democrazia . 93 I fini della guerra . . . . . . . . . 94. L'illogicità dei comunisti . 95 . Gli scopi della pace . . . . . . . . %. L'Italia e la guerra . . . . . . . . 97 . Pio XII al Quinnale . . . . . . . . 98. Un'alternativa . . . . . . . . . . 99 La democrazia cristiana in Inghilterra . . . . . 100. Per la democrazia e per la democrazia cristiana . . . 101. La questione sociale oggi e domani . . . . . . 102. 11 caso della Finlandia . . . . . . . . 103. 1 socialisti e noi . . . . . . . . . . 104. Fiducia e paura . . . . . . . . . . 105. <( Mistica fascista » . . . . . . . . . 106. Leggi dell'organizzazione del lavoro. Una iniziativa belga . . 107. Anniversari . . . . . . . . . . 108. L'impero britannico . . . . . . . . . 109 Problemi dell'Europa futura . . . . . . . 110. Pagine di storia del sindacalismo cristiano . . . . . 111 Economia del dopoguerra . . . . . . . . 112. La tragedia del Belgio . . . . . . . . . 113. Agricoltura di guerra e dopoguerra . . . . . . 114. Guerra e pace: due casi tipici . . . . . . . 115. 11 capitalismo anonimo e la Francia . . . . . . 116. Nazismo e fascismo . . . . . . . . .

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T . Articoli non p~ibblicatie non datati 1. Pen.sien e appunti . . .

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2 . M a i c o e Italia . . . . . . . . . 3 Battute di conversazione . 4 . Gli sforzi per la pace . . . . . . . . 5. Conferenza all'ÂŤ Italian Refugees Relief Committee v 6 Lettera al direttore del Neui Statesman . . . . 7 Lettera al direttore del Times . . . . . . . . . . . . 8 ii cattolicesimo in Francia . . . . 9 L'Inghilterra e la morale internazionale . 10 La politica britannica . . . . . 11 Note sociologiche sulla guerra . I1. Recensioni 1 L'organizzazione internazionale del mondo contemporaneo 2 La resurrezione della Polonia 3 La Basilicata 4 Lo stato fascista 5 Leonida Bissolati 6 Machiavelli 7 L'impero fascista 8 L'uomo e gli awenimenti 9. La Chiesa e la questione sociale 10 Stato e spinto fascista 11 Apologetica . . . . . . . . . 12. L'intelligenza nella politica . . . . . . 13 I1 dramma cecoslovacco . . . . . . . 14. 11 mistero della redenzione . . . . . . 15. L'evoluzione del socialismo francese 16.I1malintesocattolico~fascista . . . . . . 17. Un tedesco i11 Francia 18 I1 partito cattolico olandese . . . . . . 19 Da Durkheim a Bergson . . . . . . . 20. Storico e scienziato 21. Gli U.S.A. di oggi . . . . . . . . 22 Storia della Chiesa . . . . . . . . 23 America rurale 24 I1 manifesto della vita rurale . . . . . .

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INDICEANALITICO DICE DEI NOMI

TAVOLA DELLE

MATERIE



Prezzo al pubblico L. 6.800 8416 p6und -ilin


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