Giuseppe Sangiorgi
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Se si consulta la collezione ufficiale del quotidiano «Il Popolo» che, al termine delle lunghe vicissitudini legate alla fine della Democrazia cristiana, oggi è finalmente al sicuro con i suoi mille volumi nella sede dell'Istituto Sturzo, il primo numero della raccolta ha la dicitura «anno secondo numero 6 Roma 6 giugno 1944». A tutta pagina, il grande titolo su due righe è: Con la liberazione di Roma si è iniziato il secondo fronte. Se si va al1'Archivio capitolino, anche la collezione conservata lì si apre con I' edizione del 6 giugno, e così è nelle emeroteche della Camera dei deputati e del Senato. A sua volta però l'ultimo numero de «Il Popolo» clandestino è del 18 maggio 1944 e porta la dicitura «anno secondo numero 4». Ci si è interrogati tante volte sul perché di questo salto dal numero quattro del periodo clandestino al numero sei della Roma liberata, ogni volta senza trovare la risposta al dubbio se fosse un errore di numerazione, o se esistesse una copia del giornale della quale si erano perdute le tracce. Dubbio alimentato da alcuni particolari: per esempio un distico sul numero del 6 giugno avverte i lettori che: «per gravi e comprensibili motivi tipografici siamo costretti a uscire anche oggi a una sola facciata». «Anche oggi». Dunque anche il giorno prima si era riusciti a stampare il giornale? La risposta è sì e questa edizione de «Il Popolo» del 5 giugno 1944 è riapparsa dopo oltre sessanta anni come un omaggio alla figura di Guido Go nella nel!' occasione delle celebrazioni per il centenario della sua nascita. Come mai questa copia è rimasta nascosta per tanto tempo? Forse perché ne erano state stampate un numero esiguo e nessuno nella concitazione di quelle ore aveva pensato di custodire qualche esemplare per la futura collezione del giornale? È un'ipotesi, ma non è quella più plausibile. Peraltro l'importanza di questo numero è tanto maggiore se si pensa che quel lunedì 5 giugno 1944 il più diffuso quotidiano di Roma, «Il Messaggero» non fu in edicola, e neppure lo furono gli altri quotidiani della città,
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«Il Giornale d'Italia» e «Il Popolo di Roma». «Il Messaggero», che fino al giorno prima, domenica 4 giugno, era schierato contro l'avanzata degli Alleati; riprenderà le pubblicazioni il giorno 6 inneggiando alla liberazione e dando notizia del cambio di direzione: torna a firmare il giornale Tomaso Smith, antifascista della prima ora, arrestato durante l'occupazione della città e poi fuggito dal carcere. Coincide con la liberazione di Roma la nascita de «Il Tempo» di Renato Angiolillo, ma anche qui il primo numero è del 6 giugno. Tra i giornali clandestini torna in circolazione «l'Unità», ma ancora una volta la prima edizione libera stampata a Roma porta la data del 6 giugno '44. Il ritrovamento de «Il Popolo» numero 5 è dovuto, come sempre in questi casi, al combinarsi di circostanze diverse e di casualità. Giovanni Cipriani, segretario generale del Centro per la promozione del libro, associazione culturale che opera da oltre vent'anni nel nostro Paese, stava organizzando nei mesi scorsi una mostra di documenti dell'epoca, fra i quali manifesti e giornali, che facesse da scenografia, nel cortile di Sant'lvo alla Sapienza, alla presentazione di 1947, il primo diario reso pubblico dal senatore Giulio Andreotti. Parlando con Cipriani era venuto fuori il discorso de «Il Popolo» e di questo possibile numero 5. Cipriani è un collezionista di carte, in vita sua ne ha acquistate un po' dovunque. Qualche giorno dopo la conversazione mi ha cercato e mi ha detto: «lo di questo giornale ho una copia! Non immaginavo che fosse una cosa così rara, ma insomma l'ho trovata ed è qui tra le mie carte». Questa edizione de «Il Popolo» del 5 giugno 1944 è tutta da leggere. Lo è per le notizie che pubblica e per il suo significato politico. Questa edizione è in qualche modo inedita per essere rimasta così a lungo nascosta; ed è con tutta probabilità l'unico giornale che venne stampato a Roma quel giorno. Il grande titolo d'apertura riflette l'emozione del momento: Nell'alba della nuova libertà freme il gran cuore dell'Urbe. Pensiamo allo stato d'animo di Guido Go nella e dei pochi altri con lui che scrivevano queste parole in una tipografia di via del Tritone. Il giornale è di una sola facciata, con una parte politica e una di notizie: i dettagli di cronaca forniscono elementi preziosi per la ricostruzione di quelle ore. Sotto il titolo L'accoglienza di Roma alle truppe vittoriose, c'è il racconto dell'ingresso degli alleati. L'articolo è siglato M.P. e descrive gli ultimi drammatici attimi dell'occupazione della città: Un rumore intenso e continuo di mitragliatrici, dei passi in corsa sfrenata, tre tedeschi scamiciati, di cui uno disarmato e due con una grossa pistola in pugno, gli sguardi allucinati, in mezzo alle occhiate ostili della popolazione di via Vicenza alla finestra di casa per l'anticipato coprifuoco. Fu questo lannuncio dell'arrivo dei liberatori, nel tardo pomeriggio, al centro di Roma[ .. ].
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Limmagine degli «sguardi allucinati» dei tre soldati tedeschi descrive in modo straordinario l'epilogo degli avvenimenti. Larticolo è una fonte di dettagli: gli alleati provenienti dalla Casilina passano da via Marsala, arrivano a piazza dei Cinquecento , mentre nelle strade rotta la consegna del coprifuoco la folla diventa un fiume di festa e di applausi. Un'altra notizia ha per titolo Le avanguardie del nostro esercito: Se la popolazione romana non ha fatto altro, da ieri sera, che manifestare il suo più grande entusiasmo verso gli alleati, si deve tuttavia sottolineare che l'accoglienza riservata ai carabinieri che sono giunti stamane da Napoli a bordo di grossi autocarri ha superato ogni altra. Tra il primo contatto della popolazione con i nostri soldati, tornava il vero esercito e, finalmente, una forza di ordine non partigiana.
Il giornale informa che il coprifuoco avrebbe avuto inizio alle 23 e sarebbe terminato alle 4,30, e che era stata autorizzata la libera circolazione delle biciclette. Il giornale dà conto dei movimenti degli alleati intorno alla città e dell'eco internazionale del loro ingresso a Roma, compreso il singolare commento dell'agenzia ufficiale tedesca DNB secondo la quale «Loccupazione di Roma costituisce per i tedeschi un grande vantaggio militare». C'è poi la parte politica di questa edizione de «Il Popolo» del 5 giugno '44. La prima impronta di Gonella è proprio nella scritta in alto a sinistra del giornale affianco alla testata: «Anno due, numero 5». Questa dicitura vuole dire che agli occhi di Gonella la liberazione di Roma non fa cominciare un'ulteriore, nuova storia del giornale. «l'Unità» che esce a Roma il 6 giugno, il giorno dopo, porta in alto a sinistra la dicitura: «Anno XXV (Nuova serie) N.1-6 giugno 1944». Gonella compie invece una scelta politica di continuità della numerazione del giornale con la lotta clandestina per non dimenticare la lezione del passato. Va in successione dunque con quel precedente numero 4 che abbiamo visto essere «Il Popolo» clandestino del 18 maggio. Il punto è che quando nel pomeriggio di domenica 4 giugno gli alleati entrano a Roma, il comando militare che si instaura nella città impone ai quotidiani esistenti di sospendere le pubblicazioni. La decisione viene presa su sollecitazione del Comitato nazionale di liberazione perché questi giornali, lo abbiamo detto, sia pure forzatamente erano compromess i con nazisti e fascisti ed erano stati schierati al loro fianco fino a quel momento. I..: autorizzazione a uscire viene ripristinata il giorno 5 ma soltanto per i giornali non compromessi col vecchio regime, e probabilmen te con l'intesa che essi sarebbero stati diffusi a partire dal giorno 6. Sono ore tumultuose e Gonella compie una forzatura, uscendo già la sera del 5 giu-
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gno. Se è così, paradossalmente questa edizione de «Il Popolo» pur essendo Roma liberata non è autorizzata a essere diffusa il 5. Questa edizione è quindi una via di mezzo tra il giornale clandestino e quello regolare. Soltanto così si può spiegare il motivo per cui essa non è stata inserita da Gonella nella collezione del giornale come prima edizione ufficiale dopo la clandestinità. Gonella - lo si è scoperto adesso che tutto il suo archivio è stato consegnato all'Istituto Sturzo - conservava infatti tra le sue carte una copia de «Il Popolo» del 5 giugno. E dunque perché l'ha tenuta per sé? Non certo per dimenticanza o per sbadataggine, conoscendo la proverbiale memoria e accuratezza con la quale conservava e catalogava ogni carta del proprio archivio. La risposta allora è che si trattava di una edizione non autorizzata. Occorre tener presente che sul «Il Popolo» del 6 giugno Gonella, in un corsivo intitolato Abusi, pubblica una durissima polemica contro i giornali fiancheggiatori del fascismo che quello stesso giorno erano tornati in edicola. «Il Popolo» all'epoca si stampava nel pomeriggio e quindi poteva tenere conto di ciò che avveniva al mattino. E quella mattina del 6 giugno «Il Messaggero» e gli altri giornali che erano stati filofascisti erano comparsi di nuovo. Gonella si indigna e sul «Il Popolo» in quel corsivo intitolato Abusi scnve: Le vecchie testate de il Messaggero, il Giornale d'Italia e Il Popolo di Roma hanno stamane - tra l'indignato stupore comune - visto ancora la luce dopo un solo giorno di sosta nelle edizioni. Protestiamo energicamente in attesa che sia d'autorità rimosso lo scandalo. Il Messaggero ha aggiunto anche l'impudenza formale di falsare il testo dell'ordinanza di ieri del Commissario Civile e Militare che vietava appunto l'uscita di tutti i giornali eccezion fatta per quelli dei Partiti, finora pubblicati in veste clandestina. Forse, avendo scritto questa reprimenda Guido Gonella non voleva trovarsi a sua volta dalla parte del torto prestandosi al rilievo che anche lui aveva fatto uscire una edizione de «Il Popolo», quella appunto del 5 giu. . . gno, m un giorno non autonzzato. «Il Popolo» era l'antico giornale dei popolari fondato da Giuseppe Donati il 5 aprile del 1923 e soppresso dal regime il 6 novembre del 1925. Chiuso per la sua linea antifascista, era risorto clandestinamente contro il fascismo dopo l'otto settembre 1943 a opera di Gonella. Il nuovo anno uno del giornale è dunque l'edizione del 23 ottobre 1943, la prima diffusa nella Roma occupata dai nazisti, alla quale seguono altre tre edizioni clandestine nel '43 e quattro edizioni nel '44. Sono tutte edizioni "storiche" per il rilievo dei contenuti che hanno. Su di esse Alcide De Ga-
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speri, con una serie di articoli firmati Demofilo, delinea in modo compiuto, più di quanto non fosse avvenuto con Le idee ricostruttive, i tratti di fondo della nascente Democrazia cristiana e le sue proposte per lo sviluppo democratico del Paese. Nel numero del 5 giugno '44, oltre a quella con il periodo clandestino viene affermata in modo commosso la continuità con l'esperienza di Donati: Il Popolo, che fu la bandiera che raccolse nel 1923-1925 coloro che seppero affrontare con coraggio e a visiera alzata la prepotenza fascista, e che nelle difficili ore della supremazia del regime tirannico si vide ricomparire clandestinamente per rincuorare agli ardimenti supremi, riprende oggi le sue pubblicazioni al servizio degli ideali di libertà, di giustizia e di amore fraterno che sono l'essenza della democrazia cristiana. Intorno a esso, che uscirà quotidianamente , si raccoglieranno con le antiche le nuove energie, affratellate da una medesima volontà di rinascita e di ricostruzione.
Giuseppe Donati era morto esule a Parigi nel 1931 in condizioni di estrema miseria e solitudine, lontano dalle moglie e dalle tre figlie, l'ultima delle quali non aveva mai potuto conoscere e vedere (le figlie sono Lucia, Grazia, Fiammetta). Dopo la soppressione nel novembre del 1925, la società editoriale del «Il Popolo», l'Ape, e quella tipografica, la Site, dichiarate fallite avevano subito lunghe e penose traversie economiche. All'Istituto Sturzo è conservata una lettera del curatore dei due fallimenti Ivo Coccia a Giuseppe Spataro del 7 settembre 1944. In essa Coccia rivela di avere pagato l'ultima cambiale di 10 mila lire per saldare i debiti del giornale nel giugno del 1943, dunque 18 anni dopo la chiusura e pochi mesi prima della ripresa clandestina delle pubblicazioni. Come una storia che per un verso o per l'altro non si fosse mai interrotta. Se «Il Popolo» di Donati, contrariamente a quanto alle volte è stato scritto, non era divenuto mail' organo del Partito popolare, quello di Gonella è da subito il giornale ufficiale della Democrazia cristiana. C'è una nota di cronaca nell'edizione del 5 giugno, intitolata Le manifestazioni odierne, nella quale si racconta come «appena sparsasi la notizia della liberazione della città, gli oratori designati dal nostro partito hanno cominciato a percorrere le strade e le piazze dell'Urbe per portare alla popolazione il saluto di solidarietà e di fratellanza del Comitato di liberazione nazionale e della Democrazia Cristiana». Larticolo fornisce un dettagliato riepilogo di questi comizi e dei loro contenuti. A piazza Ungheria parlano il professor Togni, il professor Ughi e il cavalier Maggi. Gli oratori vengono accolti da «fragorosissimi applausi». Altri comizi tenuti da esponenti democristiani sono in piazza Verba-
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no, in piazza Quadrata, a piazza Fiume, dove parla il dottor Scodro, in piazza dei Cinquecento, in via Nazionale, a Largo Tassoni e a piazza San Pantaleo, dove parla Antonio ]annotta. Gli oratori invitano la popolazione a manifestare la propria riconoscenza a Pio XII, definito «defensor civitatis» e, conclude l'articolo, «mentre andiamo in macchina gli aderenti delle diverse zone del partito affluiscono verso la sede centrale di piazza del Gesù», che dunque diventa da subito, da quelle prime ore il riferimento del partito. La sede di piazza del Gesù era stata occupata la mattina del 5 giugno da un gruppo di partigiani cristiani della brigata Morosini, il sacerdote di Roma città aperta di Roberto Rossellini. Tra questi partigiani, guidati da Giuseppe Spataro su indicazione di De Gasperi c'è un giovane, Orlando Milana, che entrato quel giorno a piazza del Gesù, vi resterà per 48 anni, diventando il più importante funzionario del partito, seguendone tutta la parabola. Ne uscirà in circostanze amare e drammatiche il 16 ottobre 1992, come qui all'Istituto Sturzo si sa bene. Gli uffici di piazza del Gesù occupati il 5 giugno sono quelli del primo piano; essi erano la sede della Federazione fascista del vetro e della ceramica. «Il Popolo» del giorno dopo, 6 giugno, ufficializza la circostanza con un vistoso riquadro nel quale è scritto: «La sede della direzione centrale della Democrazia Cristiana è in piazza del Gesù 46. Quella della sezione romana e del comitato provinciale di Roma e del Lazio è a corso Umberto 337». Sono indicazioni che testimoniano la capacità immediata di strutturare e organizzare la presenza del partito nella Roma appena liberata. E quale è da subito l'impegno politico della Democrazia cristiana? Esso è, scrive «Ii Popolo» del 5 giugno, «il categorico comandamento di continuare la lotta per la completa liberazione della Patria, nella unità di tutti i partiti politici». Con queste parole viene espressa subito quella solidarietà, quella unità d'intenti dei partiti antifascisti che segnerà la politica italiana fino ali' approvazione della Costituzione repubblicana.