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L'EDITORE ADEMPIUTI 1 DOVERI ESERCITERA I DIRITTI SANCITI DALLE LEGGI
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H u e g g i i i i IX-1962
PIANO DELL'OPERA OMNIA DI LUIGI STURZO PUBBLICATA A CURA DELL'ISTITUTO LUIGI STURZO ~
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PRIMA SERIE: I
I1 111 IV V-VI VI1 VI11 IX
X X1 XII
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OPERE
- L'Italia -
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e il fascismo (1926). La comunità internazionale e il diritto di guerra (1928). La Società: sua natura e leggi (1935). Politica e morale (1936). Coscienza e politica. - Note e suggerimenti d i politica pratica (1952). Chiesa e Stato (1939). La Vera vita Sociologia del soprannaturale (1943). L'Italia e l'ordine internazionale (1944). Problemi spirituali del nostro tempo (1945). Nazionalismo e internazionalismo (1946). La Regione nella Nazione (1949). Del metodo sociologico (1950). Studi e polemiche di sociologia (1940-1950).
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SECONDA SERIE: I
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SAGGI
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DISCORSI
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ARTICOLI
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L'inizio della Democrazia i n Italia. Unioni professionali. Sintesi sociali (1900-1906). l1 - Autonomie municipali e problemi amministrativi (1902-1915). Scritti e discorsi durante la prima guerra (1915-1918). I11 I1 partito popolare italiano: Dall'idea al fatto (1919). Riforma statale e indirizzi politici (1920-1922). IV - I1 partito popolare italiano: Popolarismo e fascismo (1924). V I1 partito popolare italiano: Pensiero antifascista (1924-1925). La libertà in Italia (1925). Scritti critici e bibliografici (19231926). Miscellanea londinesc (1926-1940). VI VI1 Miscellanea americana (1940-1945). La mia battaglia da Ncw York (1943-1946). VI11 IX-XIII Politica d i questi anni. - Consensi e critiche (1946-1956).
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TERZA SERIE: I
I1 111
IV V
SCRITTI VARI
- I1 ciclo della creazione (poema drammatico Versi. - Scritti di letteratura e di arte. -
Scritti religiosi e morali.
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Epistolario scelto. Bibliografia. Indici.
- Scritti giuridici. -
in qruittipo azioni).
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AVVERTENZA
Nel ZII volume degli Scritti vari, il piano dell'opera Omnia prevedeva d i raccogliere gli scritti giuridici d i Luigi Sturzo. Secondo l e drettive date ancora anni addietro dallo stesso Sturzo, tali scritti costituiscono soltanto la prima sezione del presente volume. Molti altri scritti d i Sturzo trattano problemi d i carattere giuridico ( a d esempio tutti quelli concernenti il sistema elettorale, la costituzione, ecc.); ma essendo nati i n gran parte come articoli d i quotidiani, svolgono gli argomenti sotto u n profilo storico-politico. C o m e tali quindi meglio vengono ricompresi nei volumi Politica d i questi anni D, nella raccolta cioè degli articoli apparsi fra i l 1946 e il 1959. La seconda sezione comprende l e decisioni dell'alta corte per la regione siciliana d i cui Sturzo è stato estensore, e precisumente quelle relative agli anni 1951-1955. Nella terza sezione infine è stata raccolta la documentazione dell'attività parlamentare d i Sturzo quale senatore della repubblica. C o n decreto presidenziale d e i l l 7 settembre 1952'egli veniva infatti nominato senatore a vita, per avere illustrato la patria con altissimi meriti nel campo scientifico-sociale n. La nomina, comunicata in aula dal presidente del senato nella seduta del 30 settembre 1952, era convalidata dalla giunta delle elezioni nella seduta del 3 1 ottobre 1952. In senato, Sturzo si iscriveva al gruppo misto, e da questo era designato a far parte della V commissione permanente del senato (finanze e tesoro). All'attività d i questa commissione egli partecipava attivamente negli ultimi mesi della I legislatura e nella ZZ legislatura, durante la quale faceva parte anche d i d u e commissioni speciali.
Il materiale relativo alla vasta attività parlamentare d i Sturzo è stato ordinato per legislature, facendo precedere i discorsi e gli interventi nella discussione d i disegni d i legge, alle interpellanze e alle interrogazioni, nonchè agli interventi i n seno alle commissioni. Per quanto riguarda quest'ultima attività, ci si è limitati a riportare gli interventi più significativi, tralasciando quelli interlocutorii o riferentisi ad aspetti troppo particolari clella discussione. In un'appendice alla terza sezione del v o l u m e , sono infine riportati quei discorsi e interventi preparati d a Sturzo e n o n svolti poi in aula, per motivi di salute od altri i m p e d i m e n t i , o ancora perchè superati o modificati dal procedere del lavoro parlamentare. La sezione è completata dall'indice generale dell'attività parlamentare d i Sturzo negli anni 1952-1959.
PRIMA SEZIONE
SCRITTI DI CARATTERE GIURIDICO
1 - @rum- Scritti giuridic:.
LEGGI ELETTORALI E ISTITUZIONI DEMOCRATICHE (*)
3 - o p o la costituzione, la più importante nell'ordine istitu---_ _ --zinnale è la legge elettorale. Con questa si dà v i t a , validità e moto agli organi rappresentativi di u n paese, quali ne siano l e forme e l'estensione che li configurano. Non importa se la legge elettorale preceda o segua la costituzione, perchè nel ritmo della politica rappresentativa il processo d i democratizzazione può essere rivoluzionario o evolutivo, lento o accelerato, involuto o logico; tutto ciò è storia; e secondo l a storia si adattano le leggi elettorali che ne sono espressione tipica inconfondibile. Può quindi darsi che la costituzione venga decretata dal monarca e che la conseguente legge elettorale sia i l primo atto del potere esecutivo che ne deriva. Una volta, però, creato l'organo parlamentare, le parti si invertono; la successiva, o l e successive leggi elettorali, emanazione di u n corpo rappresentativo, sia pure ancora in germe, affermano quel consenso della volontà popolare, implicito o esplicito, che consacra la costituzione originaria o la modifica e la adatta allo sviluppo delle istituzioni pubbliche. Non è qui il luogo per discutere sul, valore della volontà popolare espressa elettoralmente. I razionalisti di ogni tempo, quelli che gli antichi filosofi chiamavano conseqisenziari ( e dai quali insegnavano di guardarsi: cave a consequentiuriis), ripetono quanto irrazionale sia affidare a l popolo la scelta dei legislatori, e naturalmente, proseguendo nelle loro argomentazioni ed eliminando le donne, i contadini, gli operai, gli artigiani,
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(*) Prefazione al Codice Elettorde di M. CERUTTI,M. P I Z ~ I e. G. SCHEPIS, Empoli, Casa ed. dei Comuni, 1951. Pubblicato anche sn Civita, febbraio 1951.
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i troppo giovani, si fermano sulla classe censuaria e su quella dei professionisti, cioè sulla borghesia. Altri con la teoria dei notabili (che è ben altra cosa) limiterebbero i l diritto elettorale solo alla classe colta, con i l pericolo d i arrivare, per via di eliminazione, a quei filosofi cui Platone voleva affidare il regime della sua repubblica. I1 principio dell'elettorato popolare è talmente legato a quello dell'autogoverno, che non può affatto disgiungersene, senza arrivare di colpo a l governo di u n solo: monarchia, o al governo di pochi: oligarchia, presi i due termini nel senso originario. Alle assemblee deliberanti del popolo e all'elezione diretta dei governanti si è sostituita la forma rappresentativa, con alla base l'elezione dei rappresentanti ( o deputati), ai quali passa i l potere insito nel popolo, per i l fatto della impossibilità pratica d i mantenere in atto un potere civico che, superando i limiti della città, si estende alla nazione. I cittadini di uno stato non potrebbero formare u n organo permanente, diretto ed efficiente del proprio potere legislativo. All'uopo si è ricorso al sistema dell'elettorato attivo sia per la nomina dei rappresentanti, sia per la partecipazione alla stessa attività legislativa a mezzo del referendum, dove questo è istituito, owero a mezzo di impegni programmatici dove questi sono, come in Inghilterra, nella tradizione delle consultazioni elettorali bene organizzate. I1 punto essenziale sta nel principio della eguaglianza legale e morale degli uomini e della loro sottomissione alle leggi, fatte ed attuate da coloro che, liberamente scelti, assumono a nome proprio la rappresentanza e i l governo dello stato. Appartengono, quindi, all'essenza dell'esercizio elettorale le condizioni legali dell'elettorato attivo, affinchè tale diritto sia attribuito a chi ne è capace e l'esercizio del voto sia libero da ogni forma di coazione. Sembrerebbe strana, se non fosse purtroppo umana, l a contraddizione che c'è fra la cura a precisare le garanzie suddette i n sede legislativa e la tendenza a violarle in sede d i attuazione pratica. Donde la necessità di munire di sanzioni penali le disposizioni stesse sì da tutelare, per quanto possibile, la libertà
elettorale ed ottenerne un risultato effettivamente rispondente al volere del paese. Non pochi credono trattarsi di semplice fictio juris, essendo nel fatto i l suffragio elettorale u n gioco di forze politiche regolato in modo da non degenerare in contrasti violenti. Anche se i l diritto elettorale servisse solo a sostituire, in forma legale, la forza materiale delle fazioni armate, delle guerre civili, delle prepotenze delle folle acclamanti i demagoghi dell'ora, avrebbe per questo una funzione estremamente civile e di alto valore giuridico. Ma serve anche ad abbattere la formazione delle oligarchie chiuse, militari o civili, della ricchezza terriera o della banca e mercatura; a dare la ~ossibilitàdella formazione e sostituzione legale e non violenta dei nuclei dirigenti della politica, a dar sfogo senza salti agli orientamenti oli ti ci e af prevalere degli interessi delle varie classi sociali. È comune l'affermazione che i prescelti dal popolo non sono sempre i migliori, anzi spesso sono i petulanti, gli intriganti, gli affaristi, i demagoghi. Purtroppo non si può evitare che nella scelta dei dirigenti politici, fatta dal sovrano o dal dittatore, ovvero elettoralmente nell'ambito di nuclei ristretti o di classi limitate e interessate, vi si intrufolino demagoghi e affaristi, petulanti e intriganti: tanto con la scelta d i autorità che con la scelta popolare, questi e altri inconvenienti non possono essere eliminati, perchè tutta la vita pubblica è fatta d i inconvenienti, per usare un termine benevolo. La monarchia elettiva ha i suoi, la ereditaria i suoi; così è per la scelta del governo oligarchico e per quella popolare; per la scelta diretta e per quella di secondo grado; per l'elettorato ristretto e per i l suffragio universale maschile e femminile. Ogni medaglia ha i l suo rovescio. Si - tratta non solo di preferire i l sistema che ha minori i-gccnyenienti, ma quello che in dato tempo e lu&o sembra più adatto e più rispondente alle condizioni generali d i un paese, di u n continente, di una civiltà. Questo relativismo può sembrare che non tenga conto dei principi su cui si basano i regimi liberi; non è così. I n tanto i regimi liberi possono sussistere e svilupparsi in quanto c'è un clima che li rende possibili e li fa prosperare. Se la rivoluzione francese degenerò nel terrore che, superata la fase acuta,
si trasformò i n dittatura militare, non fu colpa del, sistema elettorale, ma del fatto che la reazione della Francia contro l'ancien régime si sviluppò in u n clima che rendeva inefficace il meccanismo elettorale. Dovettero passare, dal 1789 a l 1875, ottant'anni di rivoluzioni, dittature, monarchie reazionarie e moderate, vittorie e disastri militari, per arrivare ad un regime a base elettorale che servisse a incanalare le classi borghesi e popolari nel sistema rappresentativo e parlamentare. Lo strumento elettorale è, perciò, sensibilissimo e pertanto fondamentalmente ingranato nel regime del quale è espressione e organo. Può essere organo efficace ad esprimere liberamente il pubblico orientamento politico, ma anche strumento docile a mascherarlo con adesioni totali e perciò stesso artificiose e insincere. I plebisciti per Napoleone I e Napoleone 111, come gli altri successivi nell'Europa continentale, come quelli di ogni regime totalitario, anche nel17apparente legalità e con la macchina elettorale funzionante i n pieno, rendono già a priori il clima di costrizione morale vigente, sia prima che dopo la stessa formalità delle votazioni popolari. Onde è da conchiudere che solo in regimi di libertà e con il metodo di libertà può essere attribuito u n valore morale, oltre che legale, alla prova elettorale; solo in tale regime, l'esito, quale che sia, viene accettato da tutti come la suprema volontà popolare cui non è lecito negare valore e autorità. Ciò avviene nei paesi abituati all'esercizio della libertà e quindi immunizzati psicologicamente, oltre che moralmente, da ogni possibilità d i sopraffazione e insidia elettorale, cose vietate, più che dalle leggi, dalla convenzione del fair play, cioè dalle regole dei rapporti delle parti in gara. Come nel giuoco è squalificato u n baro e nello sport u n violatore delle regole, così, nei paesi liberi, è squalificato quel partito o quel gnippo elettorale che viola la regola non solo legale ma morale dei rapporti fra le parti in gara e nella lotta e nel rischio. La situazione elettorale può essere alterata da u n intervento ultroneo delle autorità governative per favorire una lista e combattere l'altra. I1 governo, nel caso, non è un terzo estraneo; esso, come esponente del partito di maggioranza nella direzione politica, è uno dei contendenti; i l suo intervento violerebbe
l a eguaglianza elettorale, l o spirito di un regime libero e lo stesso spirito della legge elettorale, quando non se ne violerebbe anche la lettera. Purtroppo nel continente europeo, proprio i n regimi liberi ma passionalmente agitati, l'azione dei governi, intesa a formarsi una maggioranza ad ogni costo, ha portato ad interventi deplorevoli e lesivi della libertà elettorale; i l che non depone a favore del costume di u n paese nè della saldezza di u n regime. Tali fatti, se ripetuti ad ogni elezione e divenuti prassi elettorale di u n partito o di u n regime, come purtroppo può essere rilevato nella tradizione italiana a cominciare dal periodo dell'elettorato censuario per proseguire con quello dell'elettorato allargato, sono segni che il regime stesso soffre di intima contraddizione ed è intaccato nella sua propria istituzionalità; che la nazione non è ancora sostanzialmente unita nella sua adesione alle libere istituzioni e a l tipo costituzionale datosi; ovvero che esistono forti partiti rivoluzionari, i quali attraverso la formazione di maggioranze proprie potrebbero cambiare le stesse istituzioni fondamentali. Ciò è avvenuto specialmente i n Francia e i n Italia (per parlare delle nazioni più significative e civilmente più progredite). Nella prima, fermandoci alla terza repubblica (le prime due ebbero vita brevissima e rivoluzionaria), i l problema monarchico o monarchico-cattolico intaccò fin dall'inizio la forma repubblicana in modo da non potersi formare per lungo tempo l'unità adesiva del paese alle istituzioni, fino che non si arrivò all'union sacrée della guerra del 1914-18. Questa, purtroppo, fu una parentesi di guerra, essendosi riaperta sotto altro clima e ancora più acerba la lotta istituzionale fino alla caduta del regime e all'armistizio del 1940. L'Italia ebbe la sua gravissima crisi istituzionale con la questione romana e l'astensione dei cattolici; la seconda cessò a l 1919 e preludiò la soluzione della questione romana, che avvenne nel 1929. Purtroppo, altra questione istituzionale fu apert a con l'avvento del fascismo e si concluse con la catastrofe bellica e la proclamazione della repubblica. Nella serie di questi ultimi avvenimenti tanto in Francia che i n Italia si è inserito i l partito comunista, non solo come partito
rivoluzionario,~m~~come partito extra-nazionale, che, appoggiato ad una grande potenza, opera nei due paesi come un corpo estraneo e sostanzialmente nemico delle libere istituzioni. Ciò nonostante, non si giustifica mai l'interferenza nelle elezioni del potere governativo allo scopo di alterarne l'esito, sia perchè i cambiamenti istituzionali, se legittimamente richiesti nel quadro delle libertà politiche, debbono avvenire nelle forme civili (come avvenne in Italia per via del referendum sulla monarchia); sia perchè i partiti rivoluzionari, se tendono a prevalere con la forza, propria o straniera, si combattono con misure d i salute pubblica. Ma una volta posti tali partiti sul piano elettorale, debbono essere combattuti con la convinzione e con la propaganda, osservando rigorosamente i l metodo d i libertà e le garanzie elettorali. Solo così, da un lato la massa elettorale si educa all'esercizio dei suoi diritti e al rispetto dell'awersario; e dall'altro si costruisce una democrazia che ha per base solida la convinzione di una seria, effettiva ed efficace attività elettorale. Qui è da inserire una considerazione che sembrerà estranea al tema delle leggi elettorali, ma che vi è psicologicamente connessa, quella della formazione di una coscienza elettorale in tutte le branche dell'attività pubblica, semipubblica e privata, dove la volontà collettiva si esprime in forma d i voto. Per questo, sono quasi sempre connessi l'elettorato politico per la rappresentanza nazionale e l'elettorato amministrativo per l e rappresentanze municipali, provinciali e simili, i cui consiglieri vengono eletti dai cittadini elettori delle rispettive circoscrizioni. Sarebbe assurdo, i n regime libero, che le amministrazioni locali non fossero regolate con sistemi liberi a base elettiva. Lo stesso vale per ogni ente a carattere pubblico e rappresentativo degli interessi d i una data collettività, quali gli ordini professionali, le accademie, le camere di commercio e altri simili istituti. Anche le associazioni semipubbliche, fra le quali si possono annoverare i partiti politici e i sindacati di classe e quanto può influire sulla pubblica opinione a nome di una collettività o gruppo, hanno i l dovere d i rispettare i l sistema elettivo e di
mantenerlo nel rigore di norme rispettate e divenute per la tradizione intangibili e sacre. Perciò è da deplorare che le forme elettive, siano d i primo che di secondo grado, non poche volte si saltano con la formula della proclamazione aperta; nella quale spesso minoranze ardite si impongono a maggioranze poco coerenti e impacciate; ovvero le alterano i n vari modi, impedendo o attenuando la libera espressione individuale della volontà elettorale. I1 senso democratico e i l fair play creano le grandi tradizioni dei popoli liberi, mentre tutto ciò che nella vita nazionale o nella vita locale, nell'esercizio dei diritti pubblici e privati dei singoli, viene ad alterarne il ritmo e a falsarne i risultati, va a danno della educazione libera e dignitosa di u n popolo, rendendolo schiavo di intriganti, maneggioni e sopraffattori.
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base di oggqkttpr-ato sta il *rincipio della maggioranza ; l'esito del voto deve costituire una maggioranza quale detentrice del potere ed espressione della volontà collettiva. Alla minoranza sono riservati il controllo e la critica. Bisogna, pertanto, richiamarsi alle due norme che garantiscono l'efficacia del sistema: la maggioranza è soggetta alle leggi come la minoranza; la maggioranza rappresenta la totalità del paese e non mai la frazione vincente, perchè i l potere le è stato dato nell'interesse di tutti. Tali norme si estendono a qualsiasi amministrazione elettiva. I1 concetto matematico di maggioranza è fissato nella formula della metà più uno dei voti; sì che la minoranza può. arrivare fino alla metà meno uno dei voti. Non mancano esempi di questi casi-limite sia in votazione di primo che di secondo grado. Naturalmente, la matematica dà ragione alle maggioranze se vogliono mantenere il potere, ma a parte le sorprese del numero limitato (i parlamenti inglese e belga han dato prove di sforzi erculei per mantenere la situazione instabile derivante da risultati elettorali di stretta misura), il valore morale di tali maggioranze è così attenuato da non potere affrontare problemi di grave importanza senza ricorrere a nuove consultazioni elettorali, ovvero senza intese con le minoranze: tale è la cosidetta politica internazionale bipartitica negli Stati
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Uniti d'America. Ciò può avvenire nei paesi tradizionalmente liberi ove agiscono corpi elettorali coscienti e forti, dove le differenze minime tra maggioranza e minoranza si sopportano a lungo, perchè gli elettori mantengono effettivo e solidale i l contatto con gli eletti. A questo fine mirano tutte le disposizioni che circoscrivono il rapporto fra elettori ed eletti. Anticamente questo veniva fatto per ceti, corpi, curie, stati, nei quali venivano distinti gli elettori e gli eletti stessi. Disciolte tali forme organiche a partire dalle rivoluzioni francese e americana della fine del settecento, e riconosciuta all'individuo l'eguaglianza civile e politica, l'elettorato fu distinto solo per circoscrizioni territoriali. Dal vecchio sistema della rappresentanza di corpi particolari (stati) si passò a l nuovo sistema della rappresentanza unica nazionale. Da allora in poi la divisione territoriale di collegi e circoscrizioni elettorali è fatta solo al fine pratico strettamente elettorale, non mai a quello d i rapporto di rappresentanza nè d i mandato, quali prevalevano nel sistema particolaristico del medio evo e dell'ancien régime. I1 fatto nuovo della valorizzazione dell'individuo e della sua personalità nella vita politica portò al livellamento dei valori che in una società corporativa e organica venivydato ai corpi riconosciuti e operanti come tali. Era naturale che il trasferimento ,dei diritti popolari dal corpo al singolo portasse suffragio di agni cittadino ritenuto capace, e che la presunta incapacità venisse sanata con leggi di allargamento fino alle presenti per le quali anche le donne hanno diritto di voto. Perchè non dovevano essere elettori le donne quando il concetto d i rappresentanza dalle famiglie (dato a l capofamiglia) era già venuto meno? Perchè non dovevano essere elettori i non possidenti, quando la categoria del possidente, sia pure d i un minimo valutabile, non aveva più privilegi da far valere? Dato il principio individualista e la valorizzazione della personalità del cittadino, l'unica eccezione che poteva farsi nell'attribuire il diritto di voto era quella del minorenne che ancora non ha la capacità giuridica, del minorato che non ha la capacità fisica, del condannato che è privato dei diritti civili.
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I n linea generale, fuori di queste tre categorie, non potrebbe più giustificarsi alcuna privazione del diritto elettorale. Essendo principio fondamentale dell'elettorato che nella sua potenzialità e nel suo esercizio rappresenta la totalità dei cittadini, coloro che ne hanno il voto sono pure de jure i rappresentanti di quelli che per qualsiasi motivo ne sono privi. Sotto questo aspetto l'elettorato in atto, anche quando fosse limitato per sesso, categoria o qualificazione ( e ci sono stati anche dei paesi fra i più altamente civili e progrediti, come la Svizzera, che non hanno adottato l'elettorato totale), rimane sempre l'espressione legale della volontà popolare che per realtà storica si identifica con l a nazione stessa. Tale identificazione può essere messa in dubbio nel caso che una notevole frazione del paese sia istituzionalmente e politicamente dissidente e come tale organizzata allo scopo di rovesciare il regime, in modo da escludersi da sè o da venire esclusa per legge, dalla partecipazione alla volontà collettiva. Ma questi casi eccezionali creano quei conflitti, che storicamente e a l di fuori di una linea normale, hanno i loro sbocchi nella rivoluzione o nella guerra civile o i n ambe le forme di rivolta antistatale. dividendosi per tendenza e interessi, forma Ogni elettorato, i partiti. Nel primo stabilirsi in Europa del regime rappresentativo si discusse sulla utilità e opportunità di arrivare a formare partiti organizzati come in Inghilterra e in America. Si aveva, allora, paura dei partiti stabili come quelli che avrebbero in ogni paese formato delle divisioni storiche profonde. Si ricordavano le fazioni medioevali; l'ombra un po' letteraria dei guelfi e ghibellini ( o altri nomi locali) ritornava a far le spese della polemica. Gli stessi cattolici del Belgio, che già partecipavano al governo di coalizione formato dopo il distacco dall'Olanda, per parecchi anni rimasero titubanti se formare o no u n partito permanente e organizzato. Ma le esigenze dell'attività elettorale sono tali che è impossibile che le varie tendenze politiche non si organizzino in partiti. Essendo l'elettorato diviso per collegi e circoscrizioni, i1 fatto più 'ovvio è che i partiti nascano localmente nel seno dei collegi, sia come organizzazione fluida ed occasionale a l momento delle elezioni ( i l che avviene dove l'elettorato è più limiL
tato), sia come organizzazione permanente, la cui esigenza si impone quando dall'allargamento del suffragio si va fino a l suffragio universale per ambo i sessi. I partiti, ad organizzazione nazionale ben definita, sono da noi assai recenti, mentre in Inghilterra hanno una vita storica innestata a quella del ~ a r l a m e n t o ,così come negli Stati Uniti, dove, per giunta, hanno finito col far prevalere una propria prassi di procedura elettorale su quella della legge scritta. I n quei paesi il sistema di due partiti ~ r i n c i p a l iche si alternano al potere è garanzia di stabilità politica e di rispetto delle reciproche posizioni. Perciò vengono facilmente o assorbite o eliminate tutte l e forze centrifughe, che tendono a frazionare i partiti ed a creare altri centri di attrazione e d i potere. È facile, però, che in tali paesi la coagulazione degli interessi contrastanti si faccia entro gli stessi partiti, ben sopportando le crisi delle lotte intestine; può darsi anche che molti interessi s i consolidino fuori dei partiti in gruppi extra-elettorali C persino apolitici, esercitando come tali notevole influenza sui partiti stessi e sugli uomini di governo; sono perciò detti in America pressure groups. L'Europa continentale ha invece avuto larga molteplicità di partiti distinti per ideologie, per situazioni storiche e caduche, per classi e per interessi, che hanno £razionato l'elettorato attenuandone la funzionalità ed hanno alterato il carattere d e l parlamento, facendo prevalere i l parlamentarismo che rende instabili le maggioranze e i gabinetti. Prima della formazione dei partiti di massa e col sistema dell'elettorato censuario o semplicemente limitato a categorie ben definite, i partiti borghesi, nei quali localmente si divideva l'elettorato politico, venivano occasionalmente e tendenzialmente unificati dal governo, che dava i l suo appoggio a i candidati propri e lo negava agli avversari. Di qui la classifica normale d i « candidati ministeriali o antiministeriali », e la tela sottile d i intrighi che si coltivava dal ministero dell'interno a mezzo dei prefetti, dando o negando appoggio alle amministrazioni comunali e provinciali e alle relative cricche locali. Quando apparvero i partiti di massa (primo i l partito operaio, che prese poi il nome di socialista - riunito col comunista
o distinto da esso - poscia anche i l partito popolare) I'eletto-
rato, già esteso a tutti i cittadini capaci, fu più organicamente reclutato e disciplinatamente mantenuto; si fronteggiò allora con maggiore efficacia l'ingerenza governativa nel campo elettorale. Non è stata facile l'organizzazione elettorale degli altri partiti a tipo borghese o tradizionale, specie nei paesi latini per quell'individualismo che vi domina, mentre le borghesie anglo-sassoni hanno più viva la tradizione dell'auto-disciplina e più sviluppato il senso gregario. Ma per necessità di difesa dall'invadenza socialista si sono formate dappertutto coalizioni elettorali occasionali, ora con elementi radicali, ora con correnti cattoliche di destra, finchè in Italia prima, in Germania dopo e poi in quasi tutti i paesi, si crearono partiti semi-borghesi di spirito nazionalista a base di squadre armate (fascisti, nazisti, falangisti), che per u n ventenni0 dominarono con la forza, abbattendo, dove fu possibile, le istituzioni libere e i parlamenti rappresentativi, e dove non fu possibile, attenuandone l'autorità e l'efficienza. Si credette che a rendere meno acuti i contrasti dei partiti, a creare uno spirito di tolleranza con coalizioni efficienti e a togliere l'ingerenza dei governi nelle elezioni, poteva servire la rappresentanza proporzionale meglio che i l sistema del collegio uninominale. Tale sistema fu adottato dopo la prima guerra mondiale in quasi tutta l'Europa continentale, meno che in Francia. La borghesia - che come classe dirigente e come detentrice del potere costituzionale veniva dalla guerra diminuita di prestigio e di capacità direttiva, sia nei paesi vinti che nei paesi vincitori - diede la colpa alla rappresentanza proporzionale se non fu capace di tener testa alle masse operaie e alle piccole classi medie, che, colpite dagli effetti della guerra mondiale, cercavano nei partiti rivoluzionari una risposta ai loro mali. La democrazia cristiana nel primo dopoguerra si affermò in Italia e in Germania, riprese il posto in Belgio, Olanda e Lussemburgo, fece anche la sua prima apparizione, limitata ma sicura in Francia, limitata e incerta in Spagna, Polonia e Lituania, allacciata ai tradizionali partiti cristiano-sociali in Austria, Ungheria, Cecoslovacchia e provincie austriache passate alla Jugoslavia e alla Romania. Dappertutto
essa fu u n primo argine allo scompiglio dei partiti borghesi tradizionali, ma non così che questi non potessero riprendere in mano l'Europa continentale. Dall'altro lato i socialisti, dove non entravano nelle coalizioni governative, formavano u n elemento d i estrema instabilità, alternando il riformismo democratico col rivoluzionarisino verbale e abbondando in dimostrazioni d i piazza sotto l'etichetta di scioperi economici, che divenivano facilmente scioperi politici. L'accusa fatta alla proporzionale di essere stata causa della caduta della borghesia liberale mancava di base, non solo perchè tutte le borghesie occidentali, anche in paesi senza proporzionale - come la Francia, dove quella borghesia aveva una consistenza maggiore della italiana e poteva sul serio credersi la vincitrice della guerra - andavano perdendo il potere o mal lo reggevano; ma anche perchè la crisi non era funzionale, affondava nella nuova realtà creata da una guerra totale che, per effetti politici ed economici, superava perfino le guerre napoleoniche. La proporzionale nell'Europa continentale fu ripresa alla fine della seconda guerra mondiale, come salvaguardia reciproca dei partiti coalizzati nella resistenza, e venne estesa anche nelle elezioni municipali come garanzia dei piccoli partiti, specie quelli borghesi, liberali compresi, che l'avevano in passato tanto avversata e combattuta. Storicamente possiamo rilevare u n primo fatto interessante: che, nei paesi dove i partiti sono stabili, le leggi elettorali tradizionali sono rispettate e non subiscono altri cambiamenti tranne quelli di adattamento al progressivo sviluppo della popolazione avente diritto a voto: e ritocchi di circoscrizioni diretti a togliere quelle disparità acute che il tempo crea per il naturale incremento e spostamento demografico. Negli altri paesi, dove i partiti sono numerosi e fluidi, le leggi elettorali sono spesso ritoccate o rifatte, variando sistemi e modi, per poterle adeguare alla situazione del momento. È naturale che le maggioranze parlamentari cerchino con le leggi elettorali di migliorare le proprie posizioni o di non ~ e r d e r l e :non sempre ci riescono sotto il tiro di minoranze ben agguerrite. Così, all'obiettività rappresentativa si mescola l'interesse di
partito; allo spirito democratico va aggiunta una punta d i ingerenza oligarchica; alla sincerità del voto u n correttivo d i artificio. La proporzionale, anche nei paesi anglosassoni, fu presentata come mezzo di giustizia elettorale. Con i l sistema maggioritario, i voti dei candidati soccombenti sono perduti agli effetti della rappresentanza nazionale; la qual cosa può portare perfino a l quaranta e più per cento di voti ineffettivi. Tale percentuale è attenuata nel vecchio sistema francese e italiano delle elezioni di ballottaggio per il caso che in u n collegio nessuno dei candidati abbia riportato la metà più uno dei voti validi. Nel sistema inglese, - per il quale risulta eletto il candidato che, superato un minimo di legge, ottiene un maggior numero di voti, - lo scarto dei voti ineffettivi può sorpassare il quaranta per cento. L'effetto può essere più sorprendente, perchè bastano poche centinaia di migliaia di voti a far cadere la bilancia dei partiti in modo niente rispondente alla somma totale dei voti ottenuti. Nelle elezioni inglesi del 1953 il partito conservatore (vincente) ottenne 387 seggi con una media di 29.700 voti per seggio, mentre il laburista ebbe la media di 54.000 voti per ciascuno dei 158 seggi, e il liberale (diviso in tre partiti) la media di 91.750 voti per ciascuno dei 23 seggi ottenuti. Nelle elezioni generali del 1950 i laburisti conquistarono 315 seggi con una media d i 42.000 voti per seggio; i conservatori 281 seggi con 41.000 voti medi per seggio; mentre i liberali ed altri piccoli gruppi ebbero 26 seggi con una media d i 138.000 voti per seggio. Pertanto i proporzionalisti inglesi, pur avendo aderenti d a ogni partito, si reclutano principalmente fra i liberali, e non hanno mai ottenuto considerazione a Westminster. Solamente nelle elezioni dei consigli scolastici della Scozia è adottato il sistema, mentre nell'Irlanda meridionale (Eire) fu adottato d'accordo fra i vari partiti un sistema proporzionale col voto singolo subordinatamente trasferibile, ottenendo così due vantaggi, quello della scelta personale e quello del risultato proporzionale. Non è i l caso, in questo scritto, di esaminare i vari tipi d i sistemi elettorali maggioritari e proporzionali; sì bene gli elementi generali che ne sono alla base per ottenere u n risultato
rispondente alla natura del regime del quale sono mezzi di espressione della volontà nazionale. I n Francia e in Italia la preoccupazione principale è stata sempre quella d i ottenere, attraverso le elezioni, una maggioranza effettiva e solida e quanto meno possibile frazionata, per evitare l'intrigo di gruppi e di partiti che con il loro facile spostarsi indeboliscono le basi di ogni governo. Perciò sembrava c h e i l sistema maggioritario col collegio uninominale fosse il più adatto, se corretto, come avveniva, con la votazione di ballottaggio per coloro che non avessero raggiunto in primo scrutinio la metà più uno dei votanti ( o dei voti validi). Nel fatto, tali maggioranze raramente si ebbero; anzi le coalizioni di ballottaggio diedero luogo ad intrighi d i partiti e di persone e a più larghe ingerenze governative; sì da venirne alterata la sincerità del responso elettorale e allo stesso tempo deformata la figura dei partiti, ad eccezione di quelli che, per rigidità di disciplina o per pregiudiziale politica (come i socialisti e i repubblicani italiani) si mantenevano lontani dal governo. Proprio in Francia e in Italia, per la fluidità o inconsistenza dei partiti borghesi più individualisti e indisciplinati degli altri, l'esecutivo rimase alla mercè delle camere, creando quelle forme ibride d i parlamentarismo che non erano previste 'dalle rispettive carte statutarie, e che formarono il costume e la prassi della rappresentanza popolare. Dall'altra parte, sia per l'estensione del diritto di voto alle donne - che ha avuto l'effetto d i raddoppiare il corpo elettorale -, sia per l'introduzione di una proporzionale rigida, o quasi rigida, sia infine per l'indebolimento dell'esecutivo e la posizione quasi formalistica del capo dello stato delle due repubbliche latine, la posizione dei partiti è divenuta prevalente, attuando in forma extra-legale quella partitocrazia che domina allo stesso tempo sull'elettorato, sui gruppi parlamentari e sui governi di coalizione. Così uno strumento d i giustizia elettorale, quale è la proporzionale, è divenuto il mezzo adatto per u n più vasto dominio dei partiti, sia imponendosi al corpo elettorale, sia sostituendo la propria iniziativa a quella parlamentare e governativa, sia imponendo le proprie direttive e i propri uomini.
Darne la colpa a l sistema elettorale sarebbe u n non senso, perchè in paesi a lunga tradizione politica e con saldi sistemi parlamentari, come il Belgio, l'Olanda, la Svizzera, la rappresentanza proporzionale si è ottimamente inserita nella coscienza popolare, senza dar luogo a seri inconvenienti, e rendendo più aderente il corpo eletto alla volontà collettiva. Tutte le oscillazioni degli istituti rappresentativi in Francia e i n Italia, da u n secolo a d oggi, dipendono da ben altro che dalla proporzionale, introdotta in Francia nel 1945 e i n Italia per breve tempo dal 1919 a l 1922, e poi ripresa nel 1945; si tratta di u n complesso d i elementi storici che nei paesi latini hanno reso difficile la formazione e l'articolazione delle classi politiche, la loro aderenza alle istituzioni rappresentative e la possibilità dell'avvicendamento a l potere nel binario di tradizioni nazionali ben ferme. La Francia, paese di lunga tradizione monarchica e assolutista, dovette passare per varie rivoluzioni e involuzioni prima di poter fissare in forme adatte le linee della propria democrazia, e può darsi che la presente costituzione non permanga a lungo subendo la sorte delle precedenti. L'Italia, nazione di recente formazione, solo nel 1912 introdusse i l suffragio universale, tentando così di divenire una democrazia, e solo dopo la dittatura e l e sorti avverse della seconda guerra mondiale, ha una costituzione repubblicana democraticosociale. L'instabilità istituzionale della Francia e la debolezza istituzionale dell'Italia sono elementi che favoriscono la partitocrazia e che pertanto alterano i l sistema parlamentare. A questi dati storici si è aggiunta nei due paesi la formazione d i forti partiti comunisti, che risultano come corpi estranei alla democrazia parlamentare e quindi impongono metodi e sistemi difensivi, che ostruiscono i l naturale svolgimento delle attività elettorali e politiche. Non volendo o non potendo, secondo i casi, mettere un tale partito fuori della legalità, come più volte è stato tentato all'estero, perfino nella realmente democratica Svizzera, la più opportuna ed effettiva fra le difese delle istituzioni libere è stata l'adozione della proporzionale nelle elezioni per l'assemblea costituente, per la elezione della camera e del senato, e anche per le elezioni amministrative delle grandi città. Solo così si è potuto evitare la formazione
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2 S W m Scritti g i u ~ i d i c i .
di maggioranze comuniste o social-comuniste compatte, c h e avrebbero potuto divenire un pericolo per il paese. Può darsi che, allo stato presente, altro sistema potrebbe essere più confacente alla diminuzione della pressione comunista sul parlamento e sulle pubbliche amministrazioni; ma ciò è collegato a quell'orientamento politico-nazionale - che viene regolato dagli avvenimenti e a sua volta l i regola - del quale è d a c i l e definire i contorni e precisare la portata. Quel che è certo, per costante sociologica bene accertata, è che, in ogni situazione decisiva, i l corpo responsabile (sia u n elettorato, una camera, un consiglio comunale o provinciale o regionale, non importa il numero e l'importanza) si polarizza su due punti opposti espressi col sì e no, o col bianco e nero o col guelfo e ghibellino, o col progressista e retrivo; cioè si dualizza. Chi si astiene può influire indirettamente ma il s u o influsso è per l'uno o per l'altro; i l così detto terzo partito, terza forza, terza corrente è anch'essa decisiva per l'uno o p e r l'altro, finchè, ingrossandosi per via o trasfondendo in sè una delle due o trasfondendosi in una delle due, arriverà a variare i termini del conflitto, non mai la dualizzazione sociologica, che rimane alla base del conflitto, finchè non venga risoluto con la prevalenza d i una delle parti, Per questo motivo, il comunismo (o socialcomunismo) in paesi come la Francia e l'Italia, dove conta ed ha influenza, crea una polarizzazione dualistica pro-contro, e dà a l principale avversario, se questo è già formato, i l riflesso negativo della sua forza; ovvero determina quella coalizione di forze avverse che, p u r nella loro eterogeneità, trovano nella resistenza anticomunista la leva della loro temporanea e dinamica intesa. Se poi questa viene meno e l'altro corno del dilemma prevale, la lotta viene spostata dal campo legale a quello della forza. Tutto ciò chiarisce bene che i l sistema elettorale ha stretta connessione con i l formarsi e articolarsi della vita politica nei suoi aspetti più vitali, e nel caso di sistemi tradizionalmente fissi, resta all'adattabilità delle forme politiche sussidiarie (partiti e gruppi politici) la utilizzazione dei vantaggi che ogni sistema può rendere a chi ne sa usare. Ljintrodmione in Italia-,nel 1945, della rappresentanza
proporzionale nelle elezioni amministrative delle grandi città potè dirsi una necessità politica dell'ora; però la prova, anche nelle grandi città, non è stata tale da formare dato; sia perchè si dà a i consigli municipali un carattere politico che non dovrebbero avere; sia perchè è d a c i l e costituire maggioranze sicure e operanti. La paralisi amministrativa è il peggio che possa capitare a un comune. E qui ritorna il problema elettorale a essere posto nei suoi termini psicologici più che formali; da un lato è sempre meglio evitare il continuo cambiamento di sistemi elettorali (avendo ogni sistema, anche il migliore, il contrappeso dei lati deficienti che necessariamente comporta) ed è assai meglio formare una tradizione rispettata e salda con quella maggiore adesione alla realtà che risulta dalla necessità degli adattamenti insensibili ma effettivi che ne derivano; dall'altro lato, le modifiche debbono rispondere, più che a criteri ideologici, ad esigenze di politica pratica, con la doppia mira della difesa, da un lato, delle istituzioni libere contro qualsiasi tendenza verso le oligarchie (vestite oggi dalla teoria dei notabili) o verso l e dittature (sotto vesti demagogiche a tinte sociali e progressiste), e dall'altro lato della efficienza amministrativa, tanto più necessaria quanto più stato ed enti locali tentano invadere o invadono certi campi delle attività scolastiche, economiche e assistenziali di carattere prevalentemente privato. Gli accenni fatti alla difesa delle istituzioni libere cui deve mirare la legislazione elettorale, fanno riprendere un punto che ancora non può dirsi completamente posto in luce. Ciò mi serve a completare questo studio per mostrare come la legge non è mai una lettera senza spirito, ma è invece ( o deve essere) lo spirito tradotto in lettera e animante la lettera. Lo spirito delle leggi elettorali è la sostanza stessa delle istituzioni libere; è quindi la libertà quale è vissuta da un popolo e quale è concretizzata nelle sue istituzioni e nelle sue tradizioni politico-sociali. Finchè una nazione non è arrivata a concepire la libertà come i l più alto dono d i Dio, da usare nell'intercsse comune e per il bene collettivo e non mai a proproprio profitto e per soddisfare il proprio egoismo, come un dono
di cui tutti debbono godere senza volerlo monopolizzare a profitto proprio, della propria classe, del proprio partito, del proprio gruppo, della propria categoria, le leggi che regolano i diritti e i doveri delle libere istituzioni saranno inoperanti. L'osservanza delle formalità legali, poste a garanzia dello esercizio dei diritti politici, deve essere frutto di educazione; genitori, preti, maestri, giudici hanno la principale responsabilità dell'educazione civica, per la quale il rispetto del diritto e della libertà altrui e delle leggi che garantiscono tali libertà, deve essere considerato il primo dovere verso la patria. Ogni tentativo d i far prevalere il proprio interesse o anche le proprie idee, con l'inganno, la forza, l'intrigo, dovrebbe essere ritenuto, non solo da ciascun individuo ma dall'opinione pubblica, un atto di slealtà politica, e chi se ne rende colpevole dovrebbe essere ritenuto uno squalificato. I partiti stessi dovrebbero sentire come punto d'onore quello della reciproca lealtà e del reciproco rispetto. Dovrebbe introdursi una specie di nuova cavalleria basata sul senso di onor e politico degno del nuovo ordine: i l democratico. I1 cittadino di una nazione dovrebbe portare questo titolo con lo stesso onore con cui si porta qualsiasi appartenenza a ordini civici o consessi politici o accademici, perchè tutto I'edificio di un paese libero è basato sul cittadino elettore e sul cittadino eletto alle cariche pubbliche, in una solidarietà civica che mira a l benessere comune e a l progresso della nazione. Sarà questo u n ideale troppo alto, da seinbrare irraggiungibile; ma queI che non può fare la legge scritta deve fare la tradizione; a quello cui non può arrivare una tradizione turbata e alterata da eventi bellici e da violenze dittatoriali deve potere arrivare un'educazione che incominci dalle nuove generazioni. Ad esse è affidato l'avvenire; esse debbono apprendere la importanza della libertà riconquistata, il dovere di conoscerla e difenderla e d i saperne usare nelle forme politiche e legali stabilite dalla costituzione e dalle leggi consolidate dalI'esercizio; come un dovere e come una responsabilità verso se stesse e verso la patria.
DELLA RECEZIONE DELLE LEGGI DELLO STATO
NEL
SISTEMA REGIONALE SICILIANO (*)
Nei paesi a legislazioni multiple sopra u n medesimo territorio e sopra gli stessi soggetti, si ha cura, allo scopo di evitarne le interferenze, d i precisare nelle leggi costitutive l'attribuzione della materia ai vari organi legislativi. È da rilevare che tra il sistema federativo e quel. - anzitutto--lo regionale c'è una fondamentale disparità; nel primo l'autorità originaria è quella degli stati sovrani che liberamente si confederano, e l'autorità derivata è quella confederale creata dall'atto federativo; mentre nel sistema regionale, l'autorità originaria è quella statale e la derivata è quella regionale. Si potrebbe osservare che tanto il sistema di stati confederati, quanto quello di stati unitari che son divisi per regioni autonome, ripetono la loro esistenza dalla volontà nazionale espressa nelle rispettive carte costituzionali; ma la differenza sta in ciò: che la volontà nazionale originaria nello stato unitario è unica e indivisibile, sia che tale volontà investa l'intero territorio, sia che investa i singoli territori regionali; mentre le volontà dei cittadini dei singoli stati confederati non formano una volontà unica e originaria se non al momento che gli stati deliberano di volersi unire in federazione. Nel primo caso una sola è la volontà originaria e nazionale; mentre nel secondo caso una è la volontà nazionale, multipla la volontà originaria. Da tale diversa origine deriva una chiara norma interpretativa delle competenze reciproche degli organi legislativi in ciascuno dei due sistemi: in quello federativo, tutto ciò che non è espressamente assegnato alla confederazione, resta di competenza dei singoli stati nei quali risiede il potere originario; mentre nel sistema unitario, tutto ciò che non è espressamente assegnato alla regione resta di competenza dello stato.
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(*) Pubblicato in I l Diritto pubblico della Regione sicilinna, genn.aprile 1951.
Un'altra conseguenza deriva dalla diversità dei due sistemi: nel primo, il potere costituzionale risiede contemporaneamente nello stato e nella confederazione degli stati per gli oggetti d i rispettiva competenza, essendo il trasferimento dei poteri confederali d i sua natura completo e irrevocabile; mentre nel il potere costituzionale risiede solo nel parlasistema, unitario, mento che lo attua con le procedure stabilite, quale unico organo della volontà nazionale. Sotto questo aspetto, il parlamento - che pur nella legislazione ordinaria ha per limite la costituzione allo stesso modo che l'ha per limite la regione siciliana nella sua legislazione esclusiva - può di sua iniziativa trasformarsi in volontà costi. tuente e deliberare leggi di valore costituzionale; la regione siciliana non può mai esprimere una simile volontà, sì che non potrà evadere i l primo limite imposto alla sua legislazione, quello costituzionale.
Ciò premesso, vediamo in che modo venga attuata la norma delle rispettive competenze legislative, del parlamento nazionale e dell'assemblea regionale, sì da evitare reciproche interferenze.
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lo Lo statuto siciliano fissa gli oggetti sui quali l'assemblea siciliana h a diritto a legiferare con competenza detta esclusiva. La parola esclusiva » ricorre nei due articoli 14 e 15; i limiti fissati in tali articoli sono l'ambito territoriale e l e leggi costituzionali. Anche la materia indicata all'art. 3 risulta dal contesto d i competenza esclusiva. Dato che i l potere costituente, come volontà originaria, non è attribuibile alla Sicilia - e lo statuto siciliano lo afferma all'articolo 14 dove è detto: u nei limiti delle leggi costituzionali dello stato. .. ha la legislazione », - l'esclusività non può esclusiva sulle seguenti materie: intendersi che i n rapporto alle leggi ordinarie. È evidente, quindi, che il parlamento può legiferare per la Sicilia nelle materie dei suddetti articoli, solo con leggi costituzionali, e non mai con leggi ordinarie. Se tutte le regioni d'Italia avessero il diritto attribuito alla
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regione siciliana, mancherebbero i motivi d i incertezza, perchè il parlamento non avrebbe occasione di far leggi su materie sottratte alla sua competenza, tranne che per leggi costituzionali.. L'inconveniente di una interferenza viene rilevato per il fatto che il parlamento non può non legiferare nelle materie di cui agli articoli 3, 14 e 15 dello statuto italiano, non solo perchè le regioni a tipo normale non sono ancora costituite, ma anche perchè tali regioni e le altre a statuto speciale hanno disposizioni particolari che non sono identiche a quelle fissate per la Sicilia. Così fa una certa impressione alla mentalità comune il fatto che una legge statale, per esempio, sugli usi civici o sulle miniere o sul regime degli enti locali, si fermi allo stretto d i Messina come se il territorio siciliano non fosse territorio nazionale. La tradizione uniformista della legislazione italiana ne resta urtata, ma si tratta d i fatto psicologico, non ragionativo re nemmeno giuridico. Potrei citare vari fatti consimili della tradizione inglese: l a città di Londra, l'università di Oxford, gli istituti scolastici di Scozia godono larghe autonoinie derivanti da istituzioni e carte che rimontano fino al medio evo, sui quali il parlamento non interferisce. Le leggi ordinarie non li toccano. Non sono questi elementi giuridici conclusivi; sono dati di fatto illustrativi, che possono far luce sulla nuova struttura costituzionale che è stata introdotta in Italia con gli statuti speciali per cinque regioni, delle quattro già funzionanti. La teoria del decentramento legislativo introdotto i n Italia con l'istituzione della regione attribuisce il carattere d i leggi statali a quelle approvate dagli organi regionali competenti. Diverso tra nazione e. regione è l'organo legislativo; ma la potestà di legiferare è identica come è identico il valore della legge.
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2" L'art. 17 dello statuto siciliano, per gli oggetti ivi indicati, ha aggiunto al limite della costituzione di cui all'art. 14' i n primo luogo quello dei principi e degli interessi generali cui si informa la legislazione dello stato D, e in secondo luogo un altro a tipo finalistico, cioè « soddisfare agli interessi propri della regione D. Quest'ultima disposizione fa vedere controluce
quale sia il carattere della legislazione esclusiva degli articoli 3, 14 e 15, che a paro della legislazione statale comprende i fini generali e complessivi delle materie e dei servizi sui quali l a regione legifera d i pieno diritto; mentre la legislazione ex-art. 17, qualificata spesso come concorrente o secondaria, è di fatto eompletiva, correttiva e modificativa di quella statale, avendo un fine proprio del quale è giudice l'assemblea regionale, quello degli interessi della regione nel quadro dei principi e interessi generali. La stessa assemblea, valutando i fini particolari, deve armonizzarli con i principi e interessi generali. L'eventuale ricorso all'alta corte non può uscire dalle linee di violazione costituzionale; nel quale campo, i l contrasto di competenze fra parlamento e assemblea regionale non sarebbe dato dall'oggetto, ma dalla interferenza della regione circa i principi e interessi generali o dalla interferenza del parlamento circa gli interessi propri della regione.
3" - Altro tipo d i legislazione è quello finanziario, che p e r l'art. 36 dello statuto compete alla regione per la impostazione e l a regolamentazione dei tributi di propria spettanza. E poichè sono state fissate nello stesso articolo le entrate che spettano allo stato, è chiaro che ogni altro tributo sia materia di competenza della regione. È stato rilevato che il limite territoriale della regione debba intendersi anche per gli effetti che una legge finanziaria regionale in materia fiscale possa avere, per ripercussione, in altre regioni del territorio nazionale, e che in ogni caso la regione debba rispettare la struttura finanziaria dello stato. Probabilmente, quest'ultimo riferimento non va al d i l à del disposto dell'art. 53 della costituzione, specie se si considera che oggi la struttura finanziaria dello stato ha bisogno in parte di ritocchi sostanziali e in parte di riforme radicali.
Queste considerazioni conducono al nodo della questione se vi sia i n Sicilia l'esecutività automatica delle leggi dello stato come pensa il commissario dello stato presso la regione siciliana,
ovvero se occorra l'atto di recezione ( o altro atto di carattere pubblicistico), come è il sistema adottato dalla regione.
A)
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All'automatismo sostenuto dal commissario dello stato. si oppone anzitutto il diritto di legislazione esclusiva attribuito. alla regione siciliana per le materie indicate agli articoli 3, 14 e 15. L'esclusività importa che nessun altro organo legislativo possa vantarne la competenza. Come è possibile pertanto ammettere due competenze contemporanee ed esclusive, non armonizzate da reciproche limitazioni, che nel caso esistono, perchè tanto il parlamento per tutte le leggi quanto l'assemblea per le leggi indicate specificamente ai detti articoli hanno per solo limite la costituzione? Supponiamo, per controprova, che venga applicata la tesi del commissario dello stato. ,L'art. 3 dello statuto sancisce l a competenza esclusiva dell'assemblea regionale a emanare la legge per le elezioni regionali. La prima elezione dell'aprile 1947 fu fatta secondo il disposto transitorio dell'art. 42, che facoltava il governo dello stato ad adattare al caso la legge elettorale per l'assemblea costituente. Qualsiasi legge elettorale. che possa essere approvata dal parlamento per le altre regioni, non potrà essere estesa automaticamente alla Sicilia, senza creare un conflitto di competenza esattamente delineata. Altro conflitto si aprirebbe circa le circoscrizioni e l'ordinamento degli enti locali, così diverso quello della Si-. cilia, da quello del resto del territorio nazionale. L'esclusività legislativa in materia, affermata all'art. 115, non ammette possibilità di interferenza statale, che sarebbe turbativa dell'ordinamento regionale.
B) - Passiamo all'art. 14. Distinguiamo nelle leggi quel che è ordinamento da quel che è provvedimento. I1 primo puì, essere normativo, organico e amministrativo, i l secondo è sempiicemenie amministrativo. L'ordinamento del corpo delle foreste è organico; le disposizioni per fissare i vincoli forestali sono normative; l'impegno di bilancio per l'incremento delle foreste ha carattere puramente amministrativo. I n tutti questi tre settori di legislazione esclusiva non può negarsi che la legislazione normale del parlamento non può.
avere efficacia automatica, che porterebbe ad una duplicazione e perfino a d un contrasto di criteri direttivi e pratici, fra re-
gione e stato. Nessuno può pensare che possa introdursi i n Sicilia un vero caos legislativo; che si possa arrivare ad una gara d i leggi fatte a Roma e a Palermo, l'una che disfaccia o modifichi l'altra; a d un continuo facimento e disfacimento di organi e di norme. Dall'altro lato, non avendo il parlamento diritto d i sospendere, annullare o limitare la potestà legislativa esclusiva della regione in date materie, tranne che per le leggi costituzionali, nè avendo alcun diritto d i revocare o annullare le leggi approvate dalla regione ( a parte il vizio di incostituzionalità da dichiararsi dall'alta corte), sarebbe assurdo che per via dell'applicazione automatica di leggi ordinarie nelle materie d i diritto regionale esclusivo, si raggiungessero più facili e larghi effetti d i quelli che potrebbero aversi con le stessi leggi costituzionali e con i ricorsi all'alta corte. C) Se però, nelle materie indicate all'art. 14, lo stato intende intervenire sul proprio bilancio con prowedimenti integrativi a scopi straordinari che sorpassano l'attività normale della regione, non c'è dubbio che tali leggi avranno efficacia anche in Sicilia, per tutto quel che non lede i poteri della regione. La legge sulla cassa per i l mezzogiorno è uno d i questi prowedimenti integrativi. Non si può negare che tale legge contiene anche disposizioni normative ed organiche che interferiscono nelle competenze regionali a statuto speciale. A questo scopo fu provveduto con disposizioni correttive e limitative (art. 25) alle quali le regioni interessate han fatto adesione. Anche le leggi sul fondo-lire E.R.P. per l'agricoltura, per il turismo e per l'industrializzazione del mezzogiorno e simili, sono da classificarsi come integrative. I1 decreto legge 5 marzo 1948 n. 121, che è della stessa natura, stabiliva all'articolo 14 che ((nella scelta delle opere da finanziare con i fondi di cui ai precedenti articoli 11, 12, 13 si procederà d'intesa con la regione siciliana D. Se in tali leggi integrative si inseriscono disposizioni liinitative dei poteri derivanti alla regione dal proprio statuto sì d a nascerne un conflitto costituzionale da risolversi in sede pro-
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pria, ciò resta a l di fuori della caratteristica giuridica della applicabilità automatica di simili leggi anche in Sicilia. D) - La competenza dell'assemblea regionale per le leggi ex-art. i 7 è facoltativa e limitata a un fine determinato - non comprensiva, pertanto, d i tutti i fini normativi, organici e amministrativi della legge; - non è quindi esclusiva. La facoltatività e il fine specifico sono precisati dal disposta seguente: « la assemblea regionale può, al fine di soddisfare alle condizioni particolari ed agli interessi propri della regione, emanare leggi anche relative all'organizzazione dei servizi... » Per giunta, mentre le leggi regionali ex-art. 14 hanno per limiti « le leggi costituzionali n, quelle regionali ex-art. 17 hanno anche « i limiti dei principi e d interessi generali cui si informa la legislazione dello stato ».Ne consegue la coesistenza in Sicilia, per le materie ex-art. 17, di due legislazioni. La limitazione reciproca è data, per lo stato, dalle leggi regionali che mirano ad ottenere fini propri; per la regione dai principi ed interessi generali risultanti dalla legislazione esistente. Ogni nuova legge statale i n tali materie ha vigore i n Sicilia con le limitazioni derivanti dalle leggi regionali vigenti o dalle leggi che la regione potrà emanare per soddisfare alle condizioni particolari ed agli interessi propri ». E) Esaminando gli articoli 36 e seguenti occorre fare netta distinzione fra leggi che fissano tributi, leggi che regolano rapporti tributari a fini economici per le materie previste agli articoli 14 e 17, e leggi che organizzano gli uffici d i accertamento e riscossione e il relativo personale. Per le prime, la dicitura dell'art. 26 è amplissima: si parla d i « tributi deliberati dalla medesima » (la regione). I1 commissario dello stato presso la regione siciliana ha più volte sostenuto che tali tributi siano di carattere strettamente regionale e in aggiunta a quelli statali. La tesi non merita confutazionc ed è stata superata dalle varie decisioni dell'alta corte. Tutti i tributi attuali o futuri deliberati dalla regione e quelli statali attribuiti alla regione sono di competenza regionale. I tributi attribuiti allo stato sono in Sicilia solamente le imposte di produzione e le entrate dei tabacchi e del lotto (art. 36). Essendovi una certa ripugnanza a lasciare alla assemblea
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regionale una così ampia libertà, si è cercato di mettervi dei limiti di carattere interpretativo; purtroppo, la dicitura dell'art. 36 non dà alcun appiglio. L'art. 37 aggiunge una precisazione ancora più marcata che conferma il senso assai lato dell'art. 36. Ivi è detto che nell'accertamento dei redditi d i imprese aventi sede centrale fuori della regione, ma stabilimenti ed impianti nella regione, viene attribuita alla regione la quota ad essa spettante. L'articolo conclude con questo comma: L'imposta relativa a detta quota compete alla regione ed è riscossa dagli organi di riscossione della medesima D. L'art. 39, che dice che « i l regime doganale è di esclusiva competenza dello stato ( p u r essendo le entrate di competenza della regione) fa comprendere chiaramente che i tributi regionali di cui all'art. 36 non sono di competenza dello stato. La cessione alla regione, senza alcun limite, di una larga categoria di tributi statali ha creato due fatti notevoli: uno giuridico e l'altro amministrativo. I1 primo, che i l contribuente di tali tributi ha rapporti con la regione e non più con lo stato; sì che è a dubitare se le modifiche che il parlamento potrà apportare con leggi successive a tali tributi, qualora non fossero fatte proprie dalla regione, siano valide ad obbligare il contribuente siciliano. La questione sarà elegante, ma ha u n certe sapore giuridico. I1 secondo fatto è che i l bilancio regionale è basato sul gettito dei tributi attribuiti per statuto alla regione stessa. Ogni distrazione dei gettiti di tali tributi, ogni diminuzione di aliquote, ogni esenzione inciderà sul bilancio, che è approvato con legge propria dalla regione. Un'ingerenza d a parte dello stato in questa materia sarebbe da ritenersi non costituzionale. L'alta corte ha fissato la norma che la potestà della regione in materia tributaria ha per limiti, oltre quelli delle leggi costituzionali e quelli del territorio, anche i principi direttivi delle varie leggi tributarie e in complesso i l sistema tributario nazionale. Se fosse contenuto in questi limiti, l'art. 36 dovrebbe essere scritto con frasi diverse; il che non è. D'altra parte, non può negarsi che la regione possa, entro i criteri dell'art. 53 della costituzione, imporre nuovi tributi, cosa che i rappresentanti
dello stato hanno più volte sostenuto avanti l'alta corte allo scopo di negare alla regione qualsiasi potestà legislativa sui tributi di carattere statale. È evidente, che ogni nuova imposta o tassa influisce su quelle vigenti a tipo affine e in genere sulla potenzialità contributiva dei cittadini e quindi apporta di per sè delle modifiche al sistema tributario statale. I n conclusione, p u r ammettendo che i poteri derivanti dall'art. 36 siano assai lati, non si può non riconoscere che siano corretti da tre limitazioni che hanno propria efficacia: i l senso di responsabilità del legislatore regionale a intaccare la struttura finanziaria tradizionale; la resistenza del contribuente a vedere cambiato u n sistema che conosce, per quanto poco amato esso sia, con u n sistema che non conosce e che può essere più pesante e più vessatorio; infine la consistenza del bilancio regionale, nel caso che si pensi di largheggiare verso il contribuente con esenzioni, tanto più deplorevoli quanto meno valutabili negli effetti complessivi sia finanziari che economici. I1 pericolo d i modifiche alla struttura finanziaria è troppo ipotetico per formare la base di un7interpretazione che contrasta con la lettera ( e credo anche con lo spirito) dello statuto. Le leggi che, regolando le materie degli articoli 14 e 17, contengono provvedimenti finanziari a fini determinati, sono caratterizzate rispettivamente dagli artt. 14 e 17, e dovrebbero seguire la natura d e l l h n o o de117altro articolo, pur nella contemperanza del sistema tributario largamente inteso. Circa l'organizzazione della riscossione, non si può negare che la regione possa istituire propri uffici e nominare proprio personale per le entrate di sua spettanza e possa anche formare moli regionali a i quali il personale statale possa volontariamente accedere. I1 personale statale che ancora regge &ci governativi o misti va regolato dalle leggi dello stato, con le o w i e interpretazioni e limitazioni circa le competenze ainministrative.
Con la legge regionale lo luglio 1947, n. 3, fu stabilito all'art. 1 che « nel territorio della regione siciliana, fino a quando l'assemblea regionale non abbia diversamente disposto,
continua ad applicarsi, nelle materie attribuite alla competenza regionale, la legislazione dello stato in vigore a l 25 maggio 1947 D. Per quanto questa declaratoria non fosse strettamente necessaria, perchè non si può ammettere il vuoto legislativo, pure servì a fissare la data a quo le leggi dello stato non avrebbero avuto più esecuzione immediata nella regione (25 maggio 1947), e tolse erga omms qualsiasi dubbio sulla interpretazione dello statuto. Si volle anche affermare così i l diritto e la legittimità della recezione. Che tale prassi sia stata operante da allora ad oggi ( a parte opinioni e sentenze in contrario) sembra non potersi mettere in dubbio. Facciamo un cenno delle questioni sorte per lumeggiare la situazione odierna.
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1) I1 consiglio di stato nell'adunanza generale del 18 dicembre 1947, presidente Maliverno, su richiesta del ministero dell'interno circa la competenza a disporre lo scioglimento dei consigli comunali siciliani, ebbe ad affermare che « parlandosi nell'art. 15 di circoscrizione, ordinamento e controllo degli enti locali, con formula la quale vuole sostanzialmente comprendere tutto quanto riguarda la disciplina legislativa degli enti locali medesimi e la esecuzione di tali norme giuridiche, anche in materia dello scioglimento dei consigli comunali, rientra nell'ambito della potestà amministrativa degli organi stessi, potestà amministrativa che per di più, in base all'art. 20, capoverso, non è soggetta ad alcuna ingerenza da parte del governo dello stato. Su questo punto, ad avviso del consiglio, non possono sussistere dubbi in punto di diritto, chiara e molto larga essendo la dizione della legge. Naturalmente non può neppure giudicarsi che gli organi .regionali in tanto possono esercitare i poteri amministrativi ed esecutivi loro attribuiti nella materia che ne occupa, in quanto la regione stessa si sia awalsa della sua potestà legislativa esclusiva ed abbia, quindi, emanata la propria l$gislazione in argomento. Ma anche questa condizione si è verificata, in quanto, w m e riferisce il ministero dell'interno, l'assemblea regionale siciliana, con la legge lo luglio 1947, n. 3, ha stabilito, tra l'altro, che fin quando essa non riterrà di disporre diversamente,
nel territorio della regione continuerà ad applicarsi, nelle materie attribuite alla competenza regionale, la legislazione dello stato vigente a l 25 maggio 1947. I n tal modo la regione, in attesa d i e.manare disposizioni sue proprie anche sotto i l profilo sostanziale, ha fatto un rinvio alle disposizioni dello stato ma con ciò stesso ha stabilito anche che queste disposizioni s i osserveranno come leggi della regione; in altri termini vi è quell'atto di volontà legislativa della regione che è necessario perchì: possa ritenersi effettuato lo spostamento della competenza i n materia, dallo stato alla regione. « Ed è poi evidente che i l rinvio alla legislazione statale va inteso con gli opportuni adattamenti, tenendo conto ad esempio dello spostamento di competenza che non può non derivarne; in altri termini non sarebbe sostenibile, ad esempio, che essendosi fatto rinvio alle norme sostanziali dello stato, possa continuare ad avere vigore lo scioglimento dei consigli comunali siciliani, dovendo invece intendersi quelle disposizioni opportunamente modificate in relazione alla particolare situazione giuridica nella quale esse vanno ad inserirsi e d i n relazione allo statuto della regione siciliana di cui al citato R.D. legislativo n. 455 del 1946. « Ne consegue ad avviso del consiglio, che dal momento della entrata in vigore della legge n. 3 del 1947 della regione siciliana, l a materia concernente lo scioglimento dei consigli comunali della regione medesima è d i spettanza non più degli organi dello stato, ma d i quelli della regione ».
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2) Col decreto legislativo del 14 dicembre 1947 fu applicata la dichiarazione di pubblica utilità agli impianti industriali, per i quali si autorizzava 19espropriazione a termini della legge 25 giugno 1865, n. 2359. La regione non procedette alla recezione del decreto in parola, perchè ricorse all'alta corte, contro la disposizione dell'art. 9, riguardante la coinpetenza del ministero del tesoro, per affermare a quel posto la corrispondente autorità regionale. L'alta corte chiari che il richiamo all'autorità regionale dovesse ritenersi implicito, e quindi rigettò il ricorso (9 luglio 1948, n. 4). Dubitandosi dalla autorità amministrativa dell'isola dell'applicabilità dell'art. 4 (pubblica
utilità) fu eccepita e accolta la tesi che la recezione fosse stata implicita nel ricorso e nella conseguente decisione dell'alta corte.
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3) Lo stesso criterio è stato adottato dal consiglio regionale di giustizia amministrativa circa le commissioni di disciplina per i dipendenti dei comuni e delle provincie, che in Sicilia sono ancora costituite i n base alla legge 27 giugno 1942, n. 851, che modifica il T.U. 3 marzo 1934, n. 383, ambedue recepite con la legge regionale 1" luglio 1947, n. 3, non essendo stato fin oggi recepito il decreto legislativo 9 giugno 1947, n. 530. I n questo senso sono stati il parere dato il 21 settembre 1948, n. 1, la decisione presa in sede giurisdizionale il 14 giugno 1949, n , 97, e recentemente il parere del 27 aprile 1950 richiesto dal prefetto d i Palermo. 4) - Un altro caso riguarda la materia dell'art. 14. La legge del 18 aprile 1950, n. 190 ha informato le norme d i concessione delle terre incolte con i decreti legislativi 19 ottobre 1944, n. 279 e 6 settembre 1946, n. 89. Mentre questi due furono recepiti con la legge regionale del loluglio 1947, n. 3, l'ultima non fu recepita. Sorse quindi il dubbio se le concessioni di terre incolte dovessero in Sicilia essere fatte dalle commissioni preesistenti o dalle nuove stabilite con la legge del 18 aprile 1950. Le disposizioni date dal primo presidente della corte d i appello di Palermo, sentito il ministero di grazia e giustizia, furono nel senso di essere in vigore le disposizioni recepite a l 1" luglio 1947 e non le ultime, e ciò fino a che la regione non dispose diversamente con la legge regionale del lo agosto 1950, n. 66, la cui costituzionalità fu riscontrata dall'alta corte i n sede di ricorso del commissario dello stato.
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5) Di contrario avviso a quanto sopra esposto è stata la corte suprema di cassazione, nella sentenza data a sezioni unite .civili (magistrato dr. Pellegrini ff. di primo presidente) il 9 febbraio 1950, circa la necessità di recezione della legge 18 agosto 1948, n. 1140, i n materia di agricoltura. Eccone il tratto che ci interessa: « Le leggi create dal legislatore dello stato per disciplinare determinate materie d i interisse pubblico e di carattere generale economico-sociale, trovano applicazione in tutto i l territorio italiano senza che siano necessari, da parte
della regione, anche se costituita in condizioni di particolare autonomia, come quella siciliana, provvedimenti d i recezione per poterne estendere l'efficacia nel relativo territorio. E ciò anche nel caso che la legge dello stato si riferisca a materia, quale l'agricoltura, attribuita alla competenza esclusiva della regione, alla quale è conferita l a potestà d i provvedere, con norme completive e integrative, a meglio rendere aderenti le leggi dello stato alle esigenze ed alle particolari condizioni ambientali della regione e a disciplinare determinati specifici rapporti non regolati dalle leggi statali (artt. 117 e 120 della costituzione). La recezione di dette leggi si presenta, quindi, superflua e non necessaria. Comunque, nella specie, i l provvedimento di recezione, disposto dal governo della regione siciliana, in forza dei poteri di delega conferitigli per casi urgenti e di improrogabile necessità, risulta ratificato dall'assemblea regionale e, per conseguenza, l'eventuale vizio di illegittimità sarebbe sanato D.
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6) L'alta corte per la regione siciliana nella decisione del 13 agosto 1948, n. 6 riguardante l'art. 36, ritenne « c h e le leggi dello stato hanno vigore in tutto i l territorio della repubblica, compresa la Sicilia, senza che occorra una legge regionale di recezione, ciò in base al principio generale per cui l e leggi dopo la pubblicazione e la vacatio divengono obbligatorie nello stato. Si noti pure che nella materia tributaria la regione siciliana non ha legislazione esclusiva. Questa potestà è riconosciuta dallo statuto per la regione siciliana, art. 14, nelle materie ivi elencate, fra le quali non è la potestà tributaria D. Pertanto i n quella decisione e per quel caso la recezione fu dichiarata C superflua e irrilevante D.
** * Dalla prassi della regione e dal complesso dei pareri e delle decisioni avute, risulta che l'istituto della recezione, con notevoli contestazioni, è già in uso. Potrei aggiungere che, a quanto sembra, non sono stati notati seri inconvenienti d i carattere normativo e amministrativo, quali sarebbero accaduti nel caso contrario della eseguibilità automatica delle leggi dello stato nelle materie di competenza esclusiva della regione.
3 - STCPZD - S c r i t t i giuridici.
I1 fatto della esclusività è tanto probante a l caso, che le due più autorevoli decisioni, quella dell'alta corte e quella della suprema corte di cassazione sopra citate, hanno dovuto partire da premesse che attenuano o annullano la esclusività suddetta. Infatti l'alta corte ha ciò contestato per l'art. 36, e la suprema corte di cassazione ha creduto che siano applicabili alla potestà legislativa della regione siciliana, ex-articolo 14 dello statuto, le limitazioni contenute negli articoli 117 e 120 della costituzione, mentre è evidente che il 117 non è applicabile agli statuti speciali, e che il 120 non ha riferimento alcuno alla materia in esame. Qualche riserva debbo fare sull'applicabilità all'istituto della recezione di quanto la pubblicistica intende come rinvio recettizio fra due ordinamenti giuridici. A me sembra che i l termine di recezione abbia dato un significato equivoco all'atto dell'assemblea regionale, quando, senza modificarla, fa propria una legge dello stato. La sostanza legislativa di tale atto non è certo un 'lascia-pasBare o un permesso di entrata alla legge dello stato; è invece u n atto emesso jure proprio, una legge regionale, che, in quanto identica a quella statale, serve a indicare la perfetta coincidenza d i norme e di interessi ed evita una procedura legislativa superflua. Tanto ciò è vero che la recezione non è stata sempre pura e semplice, ma fatta anche con modifiche al' testo statale. Non si tratta quindi di rinvio recettizio, nè di rapporti fra ordini giuridici distinti, per i quali occorrerebbero due volontà concorrenti. Qui non c'è che una sola volontà legislativa, quella dell'assemblea regionale. E nel caso d i non adozione della leggedello stato ( i l che può farsi senza alcun atto positivo) non viene leso nessun diritto che lo stato abbia nei confronti della , regione, essendo la regione nello stato ed avendo poteri statali limitatamente a l proprio territorio. Lo stesso accade, in forma positiva, per tutte le leggi che la regjone delibera jure proprio, sulle quali i l parlamento non ha alcuna facoltà di intervento. L'atto, adunque, detto r e c e ~ o n e , che potrebbe 'definirsi . adozione di leggi statali nella regione, è i l mezzo adatto perchè risulti erga omnes la volontà legislativa della regione siciliana, '
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e quindi tolga ogni dubbio e perplessità negli organi che debbono applicarla e farla applicare e nei cittadini che debbono osservarla. Secondo la disamina fatta, si verrebbe alle seguenti conclusioni :
lo - Che l'atto della recezione D indica la volontà del legislatore siciliano di adottare in quel territorio ex-nunc quelle leggi statali che, senza l'adozione, non vi avrebbero alcun vigore. Tali sarebbero le leggi statali riguardanti le materie indicate agli articoli 3, 14, e 15 dello statuto siciliano.
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2" Che ciò non ostante, le leggi statali per interventi fiscali, integrativi e simili, a scopi straordinari, che sorpassano l'attività normale della regione, avranno efficacia nel territorio siciliano senza un atto esplicito di recezione, salvo la esigenza implicita di adattamento alle competenze delle autorità regionali, nel senso fissato dalla decisione dell'alta corte del 9 luglio 1948, n. 4, e di fatti osservqa nel decreto legislativo 5 marzo 1948 e nella legge sulla cassa per il mezzogiorno (art. 25).
3" - Che le leggi statali sulle materie indicate all'art. 17 hanno applicazione ex-tunc nel territorio della regione siciliana, con le limitazioni di leggi regionali già in vigore ovvero con quelle che risulteranno da leggi regionali successive, riguardanti le finalità specifiche indicate nello stesso articolo.
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4" Che le leggi statali riguardanti l'ordinamento finanziario, secondo quanto puì, dedursi dalle decisioni dell'alta corte, avrebbero efficacia ex-tunc anche in Sicilia, e che quindi l'uso della recezione pura e semplice dovrebbe reputarsi non contenga modifiche dalla regione credute utili, le quali però avrebbero vigore ex-nunc, cioè dalla data della loro entrata in vigore. L'opinione personale di chi scrive, maturata dopo più diligente esame della questione, è stata esposta in questo scritto a I1.E); cioè: che le leggi finanziarie statali e quelle altre che contengono esenzioni fiscali riferibili ad imposte e tasse di spettanza regionale (con l'eccezione delle doganali, giusta il disposto dell'art. 39 dello statuto) non avrebbero vigore in Sicilia senza un atto positivo di adozione.
NOTE SU u LEGGI COSTITUZIONALI » Lo stesso giorno, o quasi, in cui la Gazzetta Ufficiale ha pubblicato la prima e unica legge costituzionale approvata dal parlamento democratico nei suoi primi cinque anni di esistenza, la camera ha rifiutato la qualità di legge costituzionale alla proposta Nasi, riguardante la eleggibilità degli ex-gerarchi. Trattando il problema dal punto di vista giuridico, non si può non riguardare le disposizioni transitorie e finali come facenti parte della costituzione, sì che la relativa modifica importi l'obbligo della procedura dell'art. 138. La prima volta che la camera affrontò tale problema, riguardava la questione dei termini fissati nella disposizione VI11 per l e elezioni delle regioni da costituire; e fu decisa la procedura ordinaria per determinarne la proroga. I n verità si trattava allora di una legge superflua, per il semplice fatto che non i l governo nè altro organo amministrativo, ma il parlamento stesso era in difetto, non avendo ancora approvate le leggi sugli statuti regionali e sulle norme elettorali, senza le quali non potevano essere indette le elezioni. I1 termine della disposizione VI11 (come quelli fissati nelle disposizioni VI, VII, IX e XVI) hanno carattere indicativo, i giuristi antichi dicevano ad sollicitandum, non mai a d finiendum. Nel caso, « sollecitato >) doveva essere i l parlamento. La legge di proroga per lavori del parlamento è un non senso; se ne accorsero i parlamentari e il governo, così che, passata la proroga assegnata alle elezioni regionali, nessun'altra legge è stata emanata in seguito. Le disposizioni I, 11, V, XII, XV, XVI1 e XVIII a carattere transitorio, sono state tutte eseguite; non sarebbe lecito, nè logico, ritornarvi con leggi, a meno che non si voglia riprenderne qualcuna ex novo per motivi sopravvenuti e certamente con procedura costituzionale, come vedremo più sotto per il caso della disposizione XII. La I11 disposizione, già eseguita nel 1948, va a scadere con il sessennio del senato. Si tratta dei senatori di diritto che la costituzione non prevede in via normale, ma so10 per la prima composizione. Nessuna proroga è ammissibile; sol potrà aversi una riforma del senato, da inserirsi nel testo della costituzione
come norma ordinaria, non mai transitoria, con la procedura costituzionale ordinata all'art. 138. La IV disposizione stabilì che per la prima elezione del senato il Molise, pur non essendo regione autonoma, contasse come se lo fosse, attribuendovi il minimo regionale di sei seggi. La camera, anche in questo caso, ha creduto provvedere con legge ordinaria nel mantenere al Molise tale privilegio. Per quanto si possa presumere che l'attuale parlamento non abbia voglia o interesse a ritirare al Molise quel che fu concesso dalla costituente in vista della possibilità di costituirlo in regione autonoma con il concorso della maggioranza della popolazione interessata, non si può con legge ordinaria violare il testo costituzionale quale risulta dal combinato disposto degli articoli 57 e 131 della costituzione. Così facendo verrebbe alterato di quattro i l numero dei componenti il senato, il che è troppo per una legge ordinaria. Del resto c'era e c'è ancora i l tempo per l'iter di una legge costituzionale. Del resto, se vi sarà, come io ritengo, una riforma senatoriale, i l problema ritornerà nella sua sede naturale. La disposizione X riguarda la regione del Friuli Venezia Giulia; la sospensione dell'art. 116 (statuto speciale) è connessa con il problema triestino, per il quale tutti auguriamo rapida soluzione in sede propria. La disposizione X I è già scaduta, e se occorre potrà essere ripristinata con legge costituzionale, trattandosi di dispensa di un testo preciso della costituzione. La disposizione fu richiesta da costituenti della regione emilio-romagnola. Nessuno dubita che a modificare le disposizioni XIII (casa Savoia) e XIV (titoli nobiliari) occorra la procedura costituzionale. Resta, pertanto, da esaminare la nuova posizione presa dalla camera dei deputati riguardo alla disposizione XII, a proposito della quale la commissione prima, nell'esaminare la proposta di legge Nasi, ha deciso di sottoporre alla camera una modificazione di termini a117art. 93 delle leggi per l'elezione della camera dei deputati 8 febbraio 1948, n. 26, come se tale articolo fosse ancora in vigore. Non lo è affatto; ha cessato a datare dal logennaio di quest'anno; non si può quindi modifi-
care quel che non esiste. La cessazione di tale articolo dipende dal fatto che la disposizione X I I della costituzione non è più efficace. A parte i l fatto che la disposizione della costituente a fissare per legge le ineleggibilità di regime veniva limitata a non più d i cinque anni, il che nella frase giuridica significa un termine improrogabile; la ineleggibilità qui contemplata non è di quelle che si applicano ai singoli di qualsiasi partito e fuori partito, per sentenze penali o motivi civili, o per indegnità morale. Si tratta di ineleggibilità politiche da applicarsi ad una o più categorie di cittadini. Se i motivi politici che diedero origine alla disposizione XII sono tuttora in atto o sono riemersi con danno della nazione, l'esame va fatto dal parlamento in sede costituzionale. La commissione, a l contrario, nel proporre l'emendamento, lasciando cadere la sospensione del diritto a l voto attivo perchè contrario al disposto dell'art. 48 della costituzione, h a affermato potersi applicare la ineleggibilità politica per legge ordinaria. L'affermazione è assai grave, per la violazione del disposto dell'articolo 51 che afferma il principio delle condizioni di eguaglianza dei cittadini; la discriminazione politica lede tale eguaglianza; solo con legge costituzionale, quale fu la disposizione XII, potrebbe essere ripristinata. Sarebbe u n precedente di una gravità eccezionale stabilire per legge ordinaria una ineleggibilità politica per categorie; mentre le ineleggibilità anche per indegnità morale (come quelle civili e penali) sono sempre di carattere personale ed eguale per tutti. Roma, 18 marzo 1953.
I L DECRETO LEGISLATIVO 6 MAGGIO 1948, N. 654 (*l Scrivo queste pagine anzitutto per ricordare, a molti che lo ignorano, come si arrivò alla formulazione del decreto legislativo presidenziale de11'8 maggio 1948, n. 654. E posso ricordarlo di prima mano, per la parte avuta, in seguito a insistenze del presidente regionale del tempo, on. Giuseppe Alessi, presso il presidente del consiglio dei ministri, on. De Gasperi. Eravamo tra la fine del 1947 e i primi mesi del 1948; a sei mesi dal funzionamento dell'assemblea e del governo regionale, non era stato ancora attuato il disposto dell'art. 23 dello statuto siciliano. Le altre norme d i attuazione dello statuto erano state emanate, con vari decreti legislativi del capo provvisorio dello stato, quali quelli del 25 marzo 1947 per gli organi della regione e per il funzionamento dell'assemblea; del 10 maggio 1947 per il commissario dello stato; del 30 giugno 1947 per alcune norme transitorie; del 15 settembre 1947 per l'alta corte. Ma non erano ancora stati proposti i decreti legislativi per le sezioni del consiglio di stato e quelle della corte dei conti, che dovevano completare il sistema organico amministrativo e giurisdizionale della regione. Le mie insistenze presso i l presidente De Gasperi' portarono a vari colloqui con il presidente del consiglio di stato, il dr. Ferdinando Rocco, per la parte che riguardava le due sezioni da istituire a Palermo, mentre i1 presidente della corte dei conti, dr. Augusto Ortona, studiava il problema di sua competenza. Nessuna difficoltà giuridica fu sollevata da parte della corte dei conti, sia per la sezione di controllo, sia per la sezione giurisdizionale (uffici distaccati di controllo non mancavano i n Sicilia presso l'alto commissariato istituito con decreto del 28 dicembre 1944, e non mancavano nelle varie amministrazioni centrali e periferiche dello stato); ma per l'istituzione di due nuove sezioni del consiglio di stato, fu sollevata una notevole
(*) Pubblicato in Quaderni dell'lstituto di studi giuridici e politici della regione siciliana, n. 4 , 1955.
opposizione con argomenti, per quanto giuridicamente superabili, pur degni di considerazione. Fu allora che i l presidente Rocco, sia per risolvere un problema politico immanente con accorgimenti tali da superare le difficoltà affacciate da varie parti, sia per oggettive ragioni giuridiche, studiò uno schema di progetto, che poi divenne materia del decreto legislativo del 6 maggio 1948. Lo statuto siciliano prescrive tassativamente: « Gli organi giurisdizionali centrali avranno in Sicilia l e rispettive sezioni per gli affari concernenti la regione. « Le sezioni del consiglio di stato e della corte dei conti svolgeranno altresì le funzioni rispettivamente consultive e di controllo amministrativo e contabile. (C I magistrati della corte dei conti sono nominati d'accordo, dal governo dello stato e della regione. « I ricorsi amministrativi avanzati in linea straordinaria contro atti amministrativi regionali, saranno decisi dal presidente regionale sentite le sezioni regionali del consiglio di stato D. Per la storia, qui mi corre l'obbligo di dire che il presidenti: Rocco, che ebbe più volte l'amabilità di onorarmi di sue visite e comunicarmi le sue idee, non dubitò mai che la competenza dell'istituendo consiglio regionale di giustizia amministrativa fosse pari a quella delle due sezioni « regionali D previste dallo statuto. Nel caso contrario, vi sarebbe stata una palese viola-zione costituzionale. Ciò nonostante, la mia prima impressione, a leggere lo schema proposto, fu d i perplessità, sia per la struttura del nuova istituto, sia per le disposizioni dei tre ultimi capoversi dell'articolo 5. La sostanza di tali disposizioni è perfettamente aderente alle norme funzionali del consiglio di stato; ma la formulazione mi sembrava potesse dar luogo a non esatte interpretazioni. Fui tranquillizzato nelle mie perplessità dalla disposizione esplicita dell'art. 1 che è fondamentale, ove è detto: « i l c.onsiglio esercita le funzioni consultive e giurisdizionali spettanti alle sezioni regionali del consiglio di stato previste dall'art. 23 dello statuto della regione siciliana ».
Una delle due: o la legge costituzionale (nel caso l'art. 23 dello statuto) dà la qualifica alla legge di esecuzione sia nello spirito che nella portata (come è ovvio pensare), e nessuno potrebbe interpretare la legge alterando la natura dell'istituto voluto dalla norma costituzionale e confermato dall'art. 1 della legge stessa. Ovvero, ciò non ostante, la legge contiene disposizioni contrarie allo statuto, e dovrà essere dichiarata incostituzionale. Nel caso in esame, la seconda ipotesi sarebbe da scartare sia per i precedenti legislativi da me accennati, precedenti che si riferiscono alla particolare veste del proponente, residente del consiglio di stato e di alta posizione culturale; sia per l a volontà di attuare l'articolo 23 dello statuto consacrata esplicitamente nel lo articolo del decreto legislativo del 6 maggio 1948. Non mi hanno recato meraviglia le deviazioni avvenute nell'applicazione dell'art. 5, delle quali si occupa con la competenza sua propria l'autore dello studio che segue a questo mio scritto (*) ; me ne rendo conto, nel considerare gli stati d'animo formatisi, e nel campo politico e in quello giuridico, durante la prima attuazione degli statuti regionali, specialmente quello della regione siciliana, la quale, a differenza delle altre, potè ottenere le sezioni del consiglio di stato, quella giurisdizionale, della corte dei conti, e per giunta l'istituzione di un'alta corte per le vertenze di legittimità costituzionale. Ciò sembrò a parecchi un distacco giuridico della Sicilia dalla nazione, una ferita alla unità politica, una menomazione dei poteri amministrativi del funzionarismo statale. L'offensiva di politici e di giuristi, la resistenza della burocrazia ministeriale per l'esecuzione dello statuto e delle singole leggi di attuazione, e, di tanto in tanto, le decisioni del magistrato e le posizioni prese dal consiglio di stato, sia in sede consultiva che in sede giurisdizionale, corrisposero ad uno stato d'animo del quale occorre rendersi conto. Da tale stato d'animo furono mossi i singoli ministeri a (*) BOZZI Carlo: Consiglio di Giustizia Amministrativa, Consiglio di Stato e Costituzione, in « Quaderni dell'lstituto di studi giuridici e politici d e l h Regione Siciliana D, n. 4 .
insistere su ricorsi per motivi già in precedenza non accolti dall'alta corte, nella speranza di una revisione giurisprudenziale ancora più restrittiva dei poteri della regione. Anche la critica libera su riviste d i alto livello culturale spesso non tenne conto dei motivi costituzionali ai quali si è sempre ispirata l'alta corte, pur nella valutazione di quel complesso di motivi collaterali che caratterizzano il fatto giuridico nella sua realtà contingente. Le diffidenze, ostilità, preoccupazioni, dei primi anni dell'attuazione dello statuto regionale, sono andate mano a mano attenuandosi per la lealtà nazionale tanto della Sicilia come popolazione, quanto degli organi regionali come espressione politico-amministrativa. L'opinione pubblica si è rivolta a guardare l'esperimento regionalistico della Sicilia con maggiore fiducia e con non infondata speranza di migliore avvenire. Lo stato d'animo da me descritto, non deve destar meraviglia, anche se si trova in chi non manca di senso di responsabilità, è abituato alle speculazioni scientifiche ed è geloso del rispetto della giustizia. Storicamente è accertato che ogni nuovo istituto inserito nella struttura legale-politica di uno stato desta opposti stati d'animo, entusiasmi da una parte, diffidenze e incomprensioni dall'altra. Le disposizioni concordatarie sul matrimonio e le altre sull'insegnamento religioso nelle scuole secondarie, col significato di coronare la pacificazione della chiesa con lo stato e dei cattolici con la nazione, hanno avuto non poche discordanti e contrastanti ripercussioni nel campo giuridico e culturale, pur nella ricerca d i una obiettività non infid i partigianeria. Mi fermo a questo esempio ciata hinc et &i senza dilungarmi oltre, per chiarire i l mio pensiero assai lontano da una critica a carattere politico e da apprezzamenti men che rispettosi verso alti magistrati degni di stima e di considerazione. I1 rilievo da me fatto può andare tanto ai favorevoli quanto a i contrari (nel caso, io potrei essere iscritto con i favorevoli dell'istituto regionale); comunque sia, la discussione giuridica e l'applicazione giurisprudenziale trovano una barriera insuperabile nella legge costituzionale. A superare tale barriera è stata sollevata più volte, nel caso
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i n esame, la questione del mancato coordinamento con la costituzione, per via dell'inciso inserito all'articolo 1 della conversione in legge costituzionale dello statuto della regione siciliana (26 febbraio 1948, n. 2). L'inciso in parola fissa due anni dalla entrata in vigore della legge stessa per le modifiche dello statuto, ritenute necessarie dallo stato o dalla regione, fatte con legge ordinaria. Per la esattezza si nota che la legge non parla di coordinamento che è implicito nella dichiarazione d i costituzionalità; i due anni previsti per gli emendamenti ritenuti necessari scaddero il 10 marzo 1950, senza che nessuna legge di modifica fosse stata presentata a l parlamento; per giunta l'alta corte per la regione siciliana, con decisione del 19 luglio 10 settembre 1948, dichiarò la illegittimità costituzionale del disposto sopra indicato, dovendo tutte le modifiche di leggi costituzionali essere fatte con la procedura dell'art. 138. Ciò non ostante, non mancano coloro che anche oggi risollevano la questione del coordinamento come se nulla fosse avvenuto; giuridicamente è impensabile, ma psicologicamente è comprensibile. L'esame del complesso psicologico mi porta a fare qualche riserva circa l'affermazione che l'interpretazione data all'articolo 5 'del decreto del 6 maggio 1948, n. 654, possa essere ritenuta quale ius receptum. Se dal punto di vista strettamente formale vi si può consentire, dal punto di vista sostanziale deve tale interpretazione ieputarsi una persistente violazione di legge che altera una disposizione costituzionale, perchè qualsiasi tentativo che miri a ridurre i l consiglio regionale di giustizia amministrativa ad un organo di primo e secondo grado subordinato al consiglio di stato, violerebbe i l diritto della regione siciliana ad avere a Palermo l'organo equivalente alle due sezioni del consiglio di stato previste dall'art. 23 dello statuto. Si potrà parlare di ius receptum per quelle materie che non hanno avuto e non hanno richiami diretti e tassativi a norme costituzionali, non così nel caso presente. Questo per giunta h a riferimento ad u n soggetto di diritto, la regione, facente parte integrante della struttura dello stato. Del resto, non è vietato alla regione l'intervento in ogni controversia per sostenere il suo
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diritto, salvo, s'intende, a inchinarsi alla sentenza emessa per quel caso particolare, ma sempre vigile a fare rivivere la controversia, in casi successivi. Se fin oggi è stato evitato il conflitto pubblico con il consiglio di stato, per l'indirizzo preso, lesivo dei diritti della regione, ciò può essere apprezzato dal punto di vista dell'opportunità, ma non può essere fatto valere come adesione ad un preteso ius receptum. La questione diviene più grave se si considera un particolare di fatto, sul quale si sono conformate non poche sentenze e non solamente dal consiglio di stato, quella cioè del mancato passaggio dei poteri dallo stato alla regione, per non essere ancora stato eseguito per tutti i rami dell'amministrazione il disposto dell'articolo 43 dello statuto. Strano: nè l'articolo 43 dello statuto nè. altro articolo prepassaggio di poteri N. Quella frase, non so da chi vede un inventata, è servita a coprire una motivazione giurisprudenziale senza base. Dice l'art. 43 dello statuto siciliano: Una commissione paritetica di quattro membri nominati dall'alto commissario della Sicilia e dal governo dello stato, determinerà le norme transitorie relative al passaggio degli uffici e del personale dallo stato alla regione, nonchè le norme per l'attuazione del presente statuto D. La commissione in parola presentò i suoi lavori nel marzo 1947; i l governo dello stato provvide ad emanare, come sopra è detto, le prime norme di attuazione dello statuto; e solo tardivamente nell'aprile-maggio 1948 quelle altre sui rapporti finanziari e la istituzione delle sezioni regionali del consiglio di stato e della corte dei conti.
A rigore statutario, norme di attuazione non eseguite, non ostante varie richieste fatte nel 1947 e 1948, rimangono quelle dell'art. 23 che parla di «. organi giurisdizionali centrali » riferibili ad una sezione della cassazione; e altra dell'art. 40 che prevede, presso il banco di Sicilia, u una camera di compensazione » riguardo i l valore di valute estere dipendenti da esportazione dalla Sicilia. Come si vede, si tratta di istituti per i
quali l'opinione siciliana è rimasta in seguito prudentemente riservata. Altro compito della commissione paritetica, precisato dall'art. 43, riguarda i l passaggio dallo stato alla regione (non dei poteri, ma) C degli &ci e del personale D. Questo è avvenuto con vari decreti presidenziali per alcune branche dell'ainministrazione, mentre per altre branche si è arrivati a temporanei compromessi in attesa di risolvere certe controversie ancora pendenti. Questo fatto non ha alcun effetto limitativo dei poteri legislativi dell'assemblea nè di quelli potestativi del presidente della regione e dei singoli assessori delegati, tranne per la materia ehe si riferisce allo stato giuridico ed economico del personale statale che presta servizio in Sicilia e alla finale compensazione di dare e avere fra stato e regione, in esecuzione dell'art. 7 del decreto legislativo presidenziale del 12 aprile 1948, n. 507. Ho voluto dare rilievo alla strana teoria di un inesistente cr passaggio di poteri N, come controprova della mia tesi, che, purtroppo, trattasi di un fenomeno di psicologia politico-giuridica: quello che ha condotto giuristi e collegi giurisdizionali a creare, nei riguardi della regione siciliana, interpretazioni di dottrina e applicazioni giurisprudenziali, che non trovano base o motivi plausibili nei relativi testi costituzionali e legislativi.
SECONDA SEZIONE
DECISIONI DELL' ALTA CORTE
PER LA REGIONE SICILIANA 1951
- 1955
30
- DECISIONE10 GENNAIO COMMISSARIO
1951
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MARZO
1951
SUL RICORSO DEL
DELLO STATO CONTRO LA LEGGE APPROVATA DALL'AS-
5 DICEMBRE 1950 CONCERNENTE: « Estensione alle imprese armatoriali delle agevolazioni fiscali d i cui ai titoli Z e ZZ dello legge regionale 20 marzo 1950, n. 29 ».(*)
SEMBLEA REGIONALE IL
I n fatto
L'assemblea regionale siciliana, nella seduta del 5 dicembre 1950, approvava la legge che porta i l titolo: « Estensione, alle imprese armatoriali, delle agevolazioni fiscali di cui ai titoli .l e II della legge regionale 20 marzo 1950, n. 29 » La estensione di tali agevolazioni fiscali è concessa alle nuove imprese armatoriali, che saranno costituite - sotto determinate condizioni nella regione, entro cinque anni dall'entrata in vigore della legge; e riguardano l'esenzione per dieci anni dall'imposta d i ricchezza mobile e dall'imposta speciale di cui al comma terzo dell'art. 4 del D.L. 19 ottobre 1944, n. 384; e alla tassa fissa di registro di L. 200, per ogni atto riguardante il primo trasferimento di terreni e fabbricati, nonchè le agevolazioni fiscali per tasse di registro e ipotecarie, e nella stessa 'misura per gli atti concernenti costituzioni, trasformazioni, fusioni di società, emissione d i obbligazioni e simili. I1 ricorso del commissario dello stato si basa sopra i seguenti punti : 1" La materia di imprese armatoriali non figura fra p e l l e , di competenza esclusiva della regione, ex art. 14 dello statuto siciliano; e non può rientrare nella competenza dall'art. 36 che egli qualifica come complementare.
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(*) Scavonetti presidente Stnrzo estensore Eula pubblico ministero. Ricorso del commissario dello stato contro la regione siciliana.
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- Srunm - Scritti giuridici.
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2" I limiti dell'esercizio della potestà regionale derivanti dall'art. 36 e che l'alta corte ha messo in evidenza, non sono stati osservati, per il fatto che sono stati estesi alle imprese armatoriali siciliane benefici fiscali che non trovano riscontro nella legslazione statale, venendo - così - a crearsi a loro favore una situazione di particolare privilegio ed eccedendo i limiti territoriali con grave turbamento degli interessi e' rapporti tributari nella rimanente parte della nazione. 3" Lo stesso commissario rileva, come eccedente la potestà derivante dall'art. 17 dello statuto siciliano, la disposizione dell'utilizzo dei turni della gente di mare a favore dei marinai dell'isola, come turbativa degli accordi intersindacali a carattere nazionale. Però - nella discussione - questa eccezione venne meno, essendosi chiarito trattarsi dei turni particolari per i quali è lasciata libertà all'armatore, ed essendo stato anche rilevato che non esiste legislazione vineolativa, in tale materia. Resiste, a tale ricorso, la regione siciliana, affermando la propria competenza per gli artt. l 4 e 36 dello statuto e per non avere ecceduto i limiti territoriali. 11 procuratore generale, nell'udienza del 9 gennaio 1951, ha concluso che sia da accogliere il ricorso del commissario dello stato, perchè la legge in parola sorpassa la competenza regionale, adattando all'industria armatoriale leggi statali, che non la contemplano; ed eccede il limite della territorialità, favorendo, così, possibili evasioni fiscali a danno dello stato. Ciò premesso, l'alta corte osserva:
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In diritto
In ordine a l primo motivo del ricorso, circa la competenza della regione siciliana a legiferare in materia di imprese armatoriali, si ritiene che questa derivi dall'art. 14. Non si può disconoscere che le imprese armatoriali appartengono al ramo dell'industria e, allo stesso tempo, a quello del commercio: d i cui alla lettera d) dell'art. 14 che disciplina la legislazione esclusiva della regione. Le disposizioni fiscali della legge impugnata non hanno uno scopo puramente finanziario u per
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provvedere al fabbisogno della regione (come si esprime l'art. 36), sibbene lo scopo di agevolare l'incremento dell'industria armatoriale dell'isola; e poichè i l provvedimento incide sui tributi dovuti, per statuto, alla regione e dalla medesima riscossi, è anche competente la regione - per l'art. 36 dello statuto - a fissarne le esenzioni. La questione - accennata dal commissario nel suo ricorso, ed ampiamente svolta dalla difesa - circa la inapplicabilità dei favori fiscali della legge 20 maggio 1950 per l e industrie isolane, alle imprese armatoriali sia per il fatto della diversità della natura strutturale e finalistica delle une e delle altre, sia perchè la legge 20 marzo 1950 fa espresso richiamo ai due provvedimenti statali per la industrializzazione del mezzogiorno: «D.L. 14 dicembre 1947, n. 1598, e legge 29 dicembre 1948, n. 1482 a nei quali nulla si prevede a favore della industria armatoriale - non ha rilevanza agli effetti della competenza legislativa della regione. Nessun canone giuridico vieta di applicare le stesse esenzioni fiscali a categorie diverse d i attività produttive, quali l'agricoltura, l'industria e i l commercio, o a diverse branche industriali, come le elettriche o le tessili. Se un rilievo può esser fatto, questo vale più per la tecnica legislativa, anzichè per la competenza. I1 richiamo, che la legge regionale del 20 marzo 1950 fa, dei provvedimenti legislativi a favore delle industrie del mezzogiorno, non può creare u n limite (che non potrebbe essere altro che u n autolimite del legislatore regionale) alla competenza derivante dagli artt. l 4 e 36 dello statuto. Non si tratta - nel caso presente - d i applicare una legge-cornice, chè tali non sono i provvedimenti legislativi del 1947 e del 1948 a favore del mezzogiorno, sibbene di provvedere - ex novo - ad un ramo dell'industria di competenza regionale. I n ordine al secondo motivo, che riguarda il limite territoriale, questo non sarebbe stato mantenuto, in quanto la legge del 5 dicembre 1950 potrebbe graveniente turbare gli interessi e i rapporti tributari nella rimanente parte della nazione. La corte rileva, anzitutto, che le imprese armatoriali, estendendo la propria attività in tutti i mari, non si identificano - in rapporto alla nazionalità - che per la sede dell'impreea, l'iscri-
zione delle navi, la bandiera e simili. Pretendere che tali imprese debbano esplicare nella regione tutta quanta la loro attività » - come afferma la difesa dello stato - sarebbe 10 stesso che negare la possibilità di caratterizzare, come regionale, qualsiasi impresa armatoriale, anche le attuali che hanno una lunga esistenza in loco, e che nessuno nega che appartengano alla Sicilia. Ragionevolmente i limiti territoriali derivano dal carattere della industria; così nessuno nega che ogni gruppo di tali imprese possa definirsi dalla sede sociale, amministrativa e di armamento, con l'ixiserzione nel relativo compartimento marittimo come si fa comunemente - parlando di industrie simili - a Genova o Trieste, Napoli o Venezia. I1 complesso produttivo delle zone di retroterra viene sviluppato dalla proporzionalità dei traffici armatoriali, e, viceversa, le imprese armatoriali vengono sviluppate dall'incremento produttivo del retroterra. Vi è, pertanto, un reciproco influsso, che rende aderenti al complesso economico delle zone adatte a l traffico marino, al movimento dei passeggeri e al trasporto dei prodotti. Questo complesso può essere reso più intenso, quando l'armamento serve alla pesca sia dei mari contigui sia degli oceani, e quando le industrie conserviere - e le relative utilizzazioni - si fanno in loco, come si fa in Sicilia, dove tale industria è tradizionale a l punto che gli emigranti siciliani la hanno sviluppata in California con mezzi più moderni e risultati notevoli. Le condizioni fissate ai numeri 1 e 3 dell'art. 1 della legge regionale in parola, per la dicitura incerta e limitativa, danno l'impressione che l'attività di tali imprese armatoriali possa essere marginale e non abbia, come primo scopo, l'incremento reciproco della produzione e del commercio dell'isola, da una parte, e dell'armamento così favorito, dall'altra parte. E, mentre si riconosce che per i depositi non sono necessari magazzini propri, potendo ogni ditta servirsi di magazzini generali, statali, consorziali e simili, e che le attrezzature industriali accessorie non sono necessarie a caratterizzare l'appartenenza a l posto di una ditta armatoriale, l a regolarità e normalità degli scali - nella regione - e la esistenza di capolinee sono, invece,
chiari indici del rapporto che passa fra industrie e commerci di retroterra e lo sviluppo armatoriale. È naturale che allo stesso fine la regione abbia aggiunto la condizione dell'utilizzo nei turni particolari del personale marittimo della Sicilia, sulla quale disposizione sembra cessata ogni opposizione del commissario dello stato, per il chiarimento avuto che la disposizione si riferisce al turno particolare, escludendone quello generale e ciò più per rispetto all'uso che per questione che attenga alla illegittimità del provvedimento. Uno dei punti controversi, che merita rilievo, è quello sollevato dalla difesa dello stato circa la natura dei favori fiscali concessi dallo stato all'armamento, ritenendosi che questi siano concessi in funzione del collegamento con l'attività cantieristica, e non mai dati all'armamento in forma autonoma. Ha replicato - la difesa della regione - affermando non essere ciò perfettamente esatto, avendo lo stato applicato le esenzioni anche all'acquisto di navi all'estero e alla ricostruzione delle flotte. I n verità, lo stato si è preoccupato di dare impulso alla ricostituzione e allo sviluppo della marina mercantile, che per la maggior parte si serve dei cantieri italiani: i l collegamento riesce di vantaggio alle due industrie, la cantieristica e l'armatoriale. Ma è evidente che la seconda usufruisce dei vantaggi fiscali anche per la sua propria attività. È - quindi - di interesse generale che le esenzioni fiscali contengano un certo nesso con l'incremento del naviglio nazionale ( è recentissima una disposizione del ministero delle finanze a questo scopo, circa la licenza e i l benestare bancario da esibirsi dagli acquirenti di navi all'estero). Per quanto la eccezione sollevata dalla difesa dello stato circa questo punto non possa presentarsi come motivo di illegittimità, può avere un certo peso nella valutazione del rilievo seguente, sul quale l'alta corte ha accentrato il motivo della sua decisione. Invero, nella legge in esame, si rileva la mancanza di disposizioni atte ad impedire la formazione di società che possano impiantarsi fittiziamente, in Sicilia, per ottenere i vantaggi della legge 5 dicembre 1950, violandosi il limite territoriale. Per giunta, certe frasi dell'art. 1 - come si è rilevato possono dare luogo ad equivoche interpretazioni e con il disposto
dell'art. 4 che applica l e esenzioni fiscali - comprese quelle per la ricchezza mobile e la tassa speciale - a l caso d i trasformazione, fusione e concentrazione di società , p u r con le condizioni fissate dall'art. 1 della stessa legge, potrebbero dar luogo a simili tentativi, mentre il mancato accenno sia alla costruzione che all'acquisto di navi, tanto in Italia che all'estero, può far supporre che si tratti di ditte che si trasferiscono in Sicilia a l principale scopo ( ottenere le esenzioni fiscali. La mancanza, pertanto, di precauzioni normative atte ad evitare u n grave danno all'erario dello stato, per somme che potrebbero essere dovute da imprese che fittiziamente verrebbero classificate come siciliane, inficia la legittimità della legge regionale 5 dicembre 1950.
L'alta corte respinge la eccezione di incompetenza, concernente i l potere legislativo della regione in materia di esenzioni fiscali a favore dell'industria armatoriale in Sicilia, in applicazione degli artt. 36 e 14 dello statuto, ed accoglie il ricorso del commissario dello stato contro la legge regionale 5 dicembre 1950, in quanto nella formulazione attuale non risulta osservato il limite dell'efficacia territoriale. (Atti dell'dlta Corte per la Regione Siciliana, vol. I, pp. 506-512).
36 - DECISIONE 3
MARZO
1951
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27
1951
APRILE
SUL RICORSO DEL
COMMISSARIO DELLO STATO CONTRO LA LEGGE APPROVATA DALL'AS-
loFEBBRAIO 1951, CONCERNENTE: Corresponsione dei diritti casuali a l personale dell'assessorato &lle finanze D. (*) SEMBLEA REGIONALE IL
I n fatto Con legge del lo febbraio 1951 l'assemblea siciliana, con retro-datazione a l logiugno 1947, ha assegnato al personale che
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(*) Scavonetti presidente Sturzo estensore Eula pubblico ministero. Ricorso del commissario dello stato contro la regione siciliana.
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presta servizio presso l'assessorato delle finanze, i compensi fissati nel decreto legislativo modificato dai decreti legislativi 11 maggio 1947, n. 378 e 28 gennaio 1948, n. 76, in corso d i ratifica parlamentare. A fare fronte a tale spesa è stato autorizzato l'assessore regionale alle finanze ad apportare le variazioni occorrenti a l bilancio della regione per l'anno finanziario in corso 1950-51. L'impugnativa del commissario dello stato è basata sul presupposto che i n forza della legge regionale possano venire alterati i compensi attribuiti su fondo speciale extra-bilancio a1 personale statale che in atto ha l'assegnazione dei cosidetti casuali, venendo introdotto a parteciparvi il personale dell'assessorato alle finanze. Mentre il presidente regionale e il suo difensore escludono che nel fatto la legge abbia tale portata, discutono anch'essi in ,diritto, che nella ipotesi prospettata dal commissario dello stato non vi sarebbe alcuna violazione costituzionale. L'avvocato dello stato osserva che mentre per l'art. 1 della suddetta legge regionale, applicando i decreti legislativi 1945, 1947 e 1948, verrebbe data alla norma una esecuzione senza limite di tempo, l'art. 2 limita la copertura di bilancio fino al 30 giugno 1951. Pertanto, egli solleva la supposizione che la regione faccia per gli altri esercizi assegnamento sul fondo nazionale, a l quale far partecipe i l personale dell'assessorato della regione. Dal canto suo l'avvocato della regione afferma che il provvedimento legislativo in parola è una specie di regolamento provvisorio che la regione ha fatto a suo rischio, i n attesa della regolamentazione definitiva di dare ed avere con lo stato in base al decreto legislativo del 12 aprile 1948, n. 507. I1 procuratore generale, dott. Ernesto Eula, dopo aver esposto i termini per la vertenza, ha concluso per i l rigetto del ricorso.
I1 primo motivo del ricorso, riguardante la cessione dei diritti d i quel personale statale al quale è distribuito il fondo dei cosidetti casuali, formato, i n base a i citati decreti, dai diritti e compensi riscossi negli &ci periferici della finanza in
tutto i1 territorio statale (compresavi la Sicilia), non ha consistenza, sia perchè la legge regionale non interferisce in alcun modo sulla costituzione e distribuzione di tale fondo e quindi non viene a modificare le vigenti norme in materia; sia perchè non fa divieto che i diritti e compensi riscossi in ,Sicilia dagli &ci finanziari siano versati a l fondo comune e vengano distribuiti al personale indicato dai predetti decreti legislativi. La legge regionale ha posto a carico del bilancio regionale l'onere corrispondente per favorire il personale dell'assessorato regionale delle finanze, tanto quello di no'mina statale ivi distaccato quanto quello di nomina regionale. È vero che negli atti parlamentari e governativi della regione si sostiene la tesi che tale personale dovrebbe venire ammesso a l fondo nazionale dei casuali D, derivante dai citati decreti; e nulla vieta che la regione ( i n esecuzione del decreto legislativo del 12 aprile 1948, n. 507) possa avanzare tale richiesta in sede competente.. Ma d i ciò non vi è alcuna traccia nella legge; cade, quindi, ogni ragione di indagine per l'alta corte se siffatta richiesta possa o no essere legittima. I1 secondo motivo di impugnazione, che riguarda l'art. 2 della legge regionale, dove è previsto il finanziamento per gli arretrati e per l'anno in corso e non mai per i successivi, non ha consistenza. Se la regione vorrà nell'esercizio 1951-52, dare continuità alla legge, così com'è, metterà in quel bilancio la cifra corrispondente; se vorrà fare altrimenti, modificherà la legge. Se nei due casi incorrerà in violazioni costituzionali, i l commissario dello stato potrà allora impugnare l'atto regionale, non oggi. I1 rilievo del commissario dello stato che i l contribuente siciliano viene gravato doppiamente, una volta per i compensi e diritti casuali che vanno al fondo nazionale, e la seconda volta per la nuova spesa che va a carico del bilancio regionale, per quanto metta in luce la situazione equivoca in cui è stata posta la regione, dopo quattro anni dal suo funzionamento, per il mancato passaggio degli &ci e del personale finanziario dallo stato alla regione in base all'art. 43 dello statuto e, quindi, della mancata esecuzione del decreto 12 aprile 1948, n. 507,
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che è subordinata al suddetto passaggio, non rende illegittima la legge in esame. Infine: non è esatto quel che affermano i l commissario dello stato e i l suo difensore, circa la natura dei casuali, trattarsi cioè di « diritti patrimoniali privati » d i spettanza degli impiegati beneficati dai decreti suddetti, siano essi alla perifcria a dare o no corso alle richieste private ed esigerne i compensi, siano invece al centro a non avere alcun rapporto con i privati e partecipare ai compensi; come se tale sistema non possa essere modificato dagli organi competenti sia per il numero C qualità del personale ammesso al beneficio, sia per le condizioni, l e tabelle e l'esistenza stessa della norma che potrebbe essere: nel caso presente, non ratificata dal parlamento. E neppure ha base l'affermazione del ricorrente che i l sistema introdotto di u n fondo extra-bilancio risponda ai principi ed interessi generali cui si informa la legisiazione deiio stato, rrieriire i! cviì:ruriv è da stimarsi più aderente a tali principi ed interessi.
L'alta corte respinge il ricorso del commissario dello stato per la regione siciliana avverso la legge regionale 1" febbraio 1951 concernente la corresponsione di diritti casuali al personale dell'assessorato. ( A t t i dell'dltn Corte per la Regione Siciliana, vol. 11, pp. 589-592).
38 - DECISIONE 16
MARZO
1951
- 20 MARZO
1951
SUL RICORSO DEL
COMMISSARIO DELLO STATO CONTRO L A LEGGE APPROVATA DALLA
22 FEBBRAIO 1951, CONCERNENTE: «Elezione dei deputati all'assemblea regionale siciliana ». (*)
ASSEMBLEA REGIONALE IL
I n fatto L'assemblea regionale siciliana nella seduta del 22 febbraio Elezioni dei de1951 approvava la legge che porta il titolo: putati all'assemblea regionale siciliana distinta in cinque tito-
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(*) Scavonetti presidente Sturzo estensore - Eula pubblico ministero. Ricorso del commissario delln stato contro la regione .siciliana.
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li: Disposizioni generali Elettorato Del procedimento eletDella votazione - Dello scrutinio e con torale preparatorio varie disposizioni finali e transitorie. I n totale, 75 articoli, comprendenti tutta la materia elettorale e disposizioni a h i . I1 ricorso del commissario dello stato si basa sulla tesi che la competenza della regione siciliana derivante dallo art. 3 dello statuto non è limitata solamente dalla costituzione, sì bene dai principi che la costituzione fissò nelle leggi elettorali da essa votate per la elezione della camera dei deputati e poi riuniti i n T.U.; pertanto, tutto quel che non è semplice adattamento di tali principi alla regione siciliana dovrà riguardarsi come violazione costituzionale. Sotto questo punto di vista egli ricorre all'alta corte per diciotto motivi d'impugnazione. Altri quattro motivi sono per ciò che egli definisce incompetenza assoluta della regione e riguardano: la convalida degli eletti da parte dell'assemblea regionale senza diritto di appello ad una autorità superiore (art. 61); l'estensione agli eletti dipendenti da enti pubblici del diritto di congedo straordinario applicato ai deputati e senatori e per giunta trasformato da vlontario in obbligatorio (art. 62); l'applicazione ai deputati regionali dell'art. 81 del D.L.L. 10 marzo 1946, n. 74 circa l'immunità parlamentare (sancita poi dall'art. 68 della costituzione) per il fatto che in esecuzione dell'art. 42 dello statuto fu applicata alla regione siciliana quella legge elettorale col D.L.C.P.S. 6 dicembre 1946, n. 456 (art. 64); infine la proroga dei poteri dell'assemblea regionale attuale fino alla prima riunione della nuova assemblea (art. 68). Con l'esibizione del testo integrale della legge 22 febbraio 1951, si è constatato che il primo motivo del ricorso, riguardante l'omissione del disposto dell'art. 2 della legge 7 ottobre 1947, n. 1058 che esclude dall'esercizio di voto coloro che sono sottoposti alle misure di polizia del confino e dell'ammonizione, finchè durano gli effetti dei prowedimenti stessi n , era dovuto al fatto materiale di trascrizione, sì che mancava nel testo inviato al commissario; la esibizione del testo esatto, del quale è stato dato atto in udienza, elimina dalla discussione i l motivo del ricorso.
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Per eli altri motivi la rerione siciliana ha resistito affermand o la tesi contraria a quella del commissario dello stato circa i limiti alla propria competenza a legiferare in materia di elezioni regionali e quindi ai motivi particolari di ricorso; come pure riguardo alle quattro ultime contestazioni sopracitate, per le quali si sostiene la competenza di diritto e la legittimità delle singole disposizioni come risultato del testo della legge impugnata. I1 procuratore generale, nell'udienza del 16 marzo 1951, ha ritenuto di competenza della regione siciliana la materia elettorale nel suo complesso, quale risulta da tutte le leggi elettorali italiane passate e vigenti, salvo particolari disposizioni che possono urtare i principi costituzionali richiamati all'art. 3 dello statuto e attuati anche nelle leggi statali, articolar mente le disposizioni legislative sull'elettorato attivo e passivo dei responsabili del regime fascista: e d ha escluso la competenza della regione per le materie che regolano l'attività dell'assemblea regionale, quali la proroga dei poteri e la immunità parlamentare.
In diritto I1 potere legislativo della regione in materia elettorale deriva dall'art. 3 dello statuto, che fissa l'elezione dei deputati regionali in base al suffragio universale diretto e segreto; tutto ciò che attiene direttamente alla materia elettorale è competenza regionale. I limiti imposti al legislatore regionale sono indicati nel suddetto articolo 3 dello statuto dove è scritto: «in base ai principi fissati dalla costituzione in materia di elezioni politiche n. Quello indicato dal commissario dello stato al n. 2 del ricorso, dei principi fissati dalla legge elettorale politica vigente, non può essere invocato, essendo questa soggetta a successive variazioni da parte del ~ a r l a m e n t o ,pur nel quadro della costituzione. I1 rilievo del commissario dello stato circa la dicitura dell'art. « in base a i principi fissati dalla costituzione in materia di elezioni politiche non potrebbe riferirsi che alle leggi del 7 ottobre 1947, del 20 gennaio 1948 e del 6 febbraio 1948, approvate dalla costituente. La questione sembra irrilevante agli
effetti del limite, perchè le suddette leggi contengono i principi della costituzione sull'elettorato adatti alle specifiche elezioni dei deputati e dei senatori, così come la legge regionale adatta gli stessi principi alle elezioni dei deputati regionali. L'elettorato politico, dalla legge 7 ottobre 1947, n. 1058, è stato caratterizzato come elettorato unico, non esistendo più le doppie liste elettorali politiche e amministrative. Nel fatto, la legge elettorale non ha variato nè la sostanza n& la tecnica di tale legge. Del resto, nel costruire le leggi elettorali e adattarle ai sistemi e agli ambienti, c'è una logica interiore della quale i l legislatore non può fare a meno. Ma i limiti costituzionali, e i relativi principi, non vanno a l di là di quelli che sono fissati nella nostra costituzione. Ciò posto, occorre esaminare uno per uno i motivi del ricorso del commissario dello stato per la Sicilia avverso la legge elettorale regionale del 22 febbraio 1951. I All'art. 5 era stata omessa nel testo inviato al commissario dello stato la disposizione contenuta nell' art. 2 della legge 7 ottobre 1947, n. 1058, che esclude dall'esercizio del voto coloro che sono sottoposti alle misure di polizia del confino o dell'ammonizione, il che, secondo il commissario, sarebbe stata una violazione dell'art. 48 della costituzione, dove è detto che « il diritto di voto non può essere limitato se non nei casi di indegnità morale indicati dalla legge n . Che il riferimento alla legge sia solo a quella del parlamento nazionale e non a quelle delle regioni, è u n assunto che non ha base. La legge è quella che l'autorità emana nei limiti della propria competenza. Ciò nonostante, la regione ha esibito un certificato del presidente dell'assemblea regionale, dal quale risulta l'errore materiale dell'omissione dell'intiero disposto: cade, pertanto, il motivo del ricorso. I1 - Non sembra che dal testo degli artt. 5 e 70 della legge regionale possa dedursi l'omissione dell'art. 1 della legge 23 dicembre 1947, circa la limitazione temporanea del diritto d i voto ai capi responsabili del regime fascista. A parte che l'omissione non potrebbe essere considerata incostituzionale perchè la disposizione XII della costituzione, in deroga all'art. 48 della stessa, fissa il termine di tali limitazioni
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per non oltre u n quinquennio dalla entrata in vigore della costituzione, e l'uso del plurale « limitazioni temporanee potrebbe anche riferirsi alla diversa natura delle leggi elettorali politiche e amministrative. Ciò nonostante, i richiami sia ai precedenti legislativi in merito (art. 5), sia alla stessa legge 23 dicembre 1947, n. 1453 (all'art. 70) senza alcuna limitazione, fanno chiara la portata delle disposizioni, si che i l motivo di ricorso viene a mancare. I11 I1 terzo motivo di impugnativa per l'esclusione compresa nell'ultimo capoverso dell'art. 70, che ritiene eleggibili coloro « che abbiano fatto parte della prima legislatura dell'assemblea regionale », pur trovandosi nelle condizioni di ineleggibilità previste dalle leggi 23 dicembre 1947, n. 1453 e 20 gennaio 1948, n. 6, in esecuzione alla disposizione XII della costituzione, è da ritenersi infondato. I1 motivo addotto dalla regione dell'analogia degli eletti alla I" assemblea regionale, con coloro che fecero parte della consulta nazionale e dell'assemblea costituente, ha un valore non per l'estensione del disposto dell'ultimo capoverso dell'art. 93 del T.U. approvato con D.P. 5 febbraio 1948, n. 26, ma per il fatto che il corpo elettorale si pronunziò in merito a persone che trovavansi nelle condizioni previste dalle leggi precedenti del 1944 e 1945, e l'assemblea regionale li convalidò. Vi sarebbe, nel caso, una purgazione popolare. IV I requisiti prescritti all'art. 7 della legge regionale della nascita nella regione ovvero della residenza da almeno cinque anni, per i quali il commissario dello stato avanza ricorso, non si ritengono incostituzionali, in quanto il primo anche per i non residenti in Sicilia rappresenta un titolo di interessi effettivi, familiari e patrimoniali che lega ciascuno alle sorti della regione; il secondo fa presumere una rete di simili interessi già instaurati per via della residenza, la quale è per sè il titolo normale dell'iscrizione nelle liste elettorali del comune. L'art. 51 della costituzione non prescrive che tutti gli elettori italiani debbano essere eleggibili in ciascun comune o in ciascuna provincia d'Italia; al contrario l'eleggibilità è circoscritta a l territorio. Nell'art. 10 delle norme per la elezione dei consigli provin-
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ciali è stabilito che sono eleggibili a consigliere provinciale i cittadini iscritti nelle liste elettorali di u n comune della provincia. E all'art. 3 della legge 7 ottobre 1947, n. 1068, i l requisito per l'iscrizione nella lista elettorale è la inclusione nel registro stabile del comune, e la cancellazione dell'iscrizione nella lista elettorale del comune va causata anche dal trasferimento di residenza (art. 25-4), tranne che per l'art. 10 egli non preferisca di rimanere iscritto in quel comune come luogo di nascita o come sede principale dei propri affari od interessi. Dallo spirito e dalla lettera di simili disposizioni, si vede bene che la condizione di nascita è caratteristica dell'elettorato attivo. L'altro, d i cinque a n n i ' d i residenza, solo per l'elettorato passivo dei non nativi della Sicilia, è una condizione di gara'nzia per gli interessi regionali in rapporto a coloro che sono elettori a titolo residenziale, con esclusione di coloro che non essendo nativi nè residenti abbiano scelto un comune siciliano a solo titolo di centro d i interessi ed affari. L'aver fatto la lista unica d i elettorato politico da servire anche per le elezioni locali di carattere amministrativo, ha reso inefficace o il titolo di residenza, o quello d i nascita, o quello di interessi. I1 che toglie al cittadino la possibilità di farlo valere sia in istanza di voto attivo sia in quello di voto passivo. Pertanto, nessun motivo costituzionale esiste a che tale materia non venga regolata da coloro che hanno per i singoli casi competenza a legiferare. V VI VI1 VI11 - I motivi di gravame delle ineleggibilità indicate all'art. 8, comma primo, n. 6 e comma 2, 5 e 6 non hanno carattere di incostituzionalità, dovendosi ritenere che i funzionari statali indicati nel detto articolo non possono contemporaneamente servire lo stato nei loro delicati &ci di responsabilità e partecipare attivamente alle sedute dell'assemblea regionale, per cui è prescritta l'aspettativa o il congedo. Che tali provvedimenti debbano essere stati adottati a l momento della candidatura per evitare l'abuso di influenza sul corpo elettorale derivante dalla carica, non sembra una precauzione incostituzionale, se questa si trova all'art. 6 del T.U. delle leggi per la elezione della camera dei deputati e riportata anche nelle norme per la elezione dei senatori del 6 febbraio 1948, n. 29 e,
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del resto, si trova nel D.L.L. 10 marzo 1946, n. 74 per la elezione dell'assemblea regionale del succitato D.L.C.P.S. L'aggiunta dei segretari particolari e dei funzionari dirigenti delle cancellerie e segreterie e funzionari di P. S. anch'essi da essere posti in aspettativa o congedo, non lede ai principi costituzionali relativi alle leggi elettorali. IX X - Le ineleggibilità previste all'art. 10 della legge regionale i n esame e indicate dal ricorrente ai numeri 9 e 10 circa i rapporti di interesse del privato con lo stato, oltre che tendere a moralizzare la vita pubblica, sono nello spirito della costituzione, in quanto tali rapporti possono influenzare l'attività legislativa degli eletti alla carica di deputato regionale; da notarsi che parte delle attività della regione riguardano rapporti con lo stato, del quale i l presidente regionale è il rappresentante ed insieme con gli assessori, esercita, per l'art. 20 dello statuto, attività amministrative statali secondo le direttive del governo centrale. XI - La mancanza di esclusione di tale ineleggibilità a i dirigenti delle cooperative iscritte nei registri di prefettura d i cui all'art. 7 ultimo capoverso della legge 20 gennaio 1948, n. 6, non è una incostituzionalità e può essere una legittima precauzione, dato che molte cooperative adiscono alle aste o alle gare di lavori pubblici ovvero hanno concessioni di terre, sulle quali la regione esercita un controllo immediato. Si tratta i n sostanza di un privilegio accordato dal legislatore nazionale, non di u n diritto costituzionale delle cooperative, del quale i l legislatore regionale le abbia private. XII - XIII - XIV - XV - XVI Le cinque accuse d i incostitucionalità riferentisi agli articoli 18, 25, 26 e 27 circa alcune norme del procedimento elettorale preparatorio non sono che adattamenti del T.U. delle leggi elettorali per la elezione della camera dei deputati applicabili alle elezioni regionali che earanno indette jure proprio dalla regione siciliana. Solo può eembrare u n duplicato la formazione dell'albo dei presidenti dei seggi elettorali, quando già esistono tali albi presso le corti d i appello. Si tratterà di una formalità di più che non inficia l'atto, essendo per legge stabilite le categorie di coloro che possono essere nominati a tale a c i ~ La . non esclusione dei dipen-
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denti del ministero dell'interno ne è logica conseguenza, in quanto non è questo che cura le elezioni, sì bene. la residenza della regione, per cui l'art. 26 prevede la esclusione del personale della presidenza regionale, degli assessorati regionali e dell'assemblea regionale. La nomina di scrutatori supplenti non h a nulla di incostituzionale: tale decisione è stata presa per trovar modo d i evitare gli inconvenienti derivanti dall'invito coattivo all'elettore occasionale perchè surroghi lo scrutatore assente. XVII - XVIII - I1 motivo di ricorso circa le norme della votazione (artt. 39 e 40) riguardanti il personale che presta servizio nelle sezioni o che appartenga alle forze armate residenti in u n comune, trattandosi di elettori iscritti nelle liste dei comuni siciliani, è nella logica delle leggi elettorali e nello spirito della costituzione e quindi è da accogliere il ricorso eliminando la limitazione circoscrizionale. I1 secondo motivo che riguarda i l termine delle operazioni prolungate al giorno successivo (art. 47), pur fatto per un criterio di adattamento alle condizioni locali, contrasta con il principio della continuità delle operazioni elettorali fino al loro termine. XIX La disposizione dell'art. 61 è rispondente al carattere legislativo dell'assemblea regionale e all'auto-formazione di essa. I1 sistema fu applicato alla prima elezione dell'assemblea regionale dal D.L. del 25 marzo 1947, n. 204 e quindi non è d i accogliere il ricorso del commissario dello stato per questo punto. XX L'istituto del congedo straordinario d i cui all'art. 62 della legge regionale applicato ai dipendenti della regione e di enti e istituti di diritto politico sottoposti alla vigilanza della regione, che siano eletti deputati regionali, risulta costituzionale, ed evita l'accusa di controllore-controllato. Per i dipendenti dello stato il motivo è diverso, rendendosi assai di5cile il pieno e continuativo esercizio del mandato da ragioni di servizio statale, specie se gli investiti abbiano residenza i n centri lontani dalla sede dell'assemblea, tanto più che il lavoro delle commissioni si alterna con quello dell'assemblea, sì che dalla esperienza risulta u n impegno legislativo continuativo e interrotto solo da vacanze assai limitate. L'ultimo comma con cui viene stabilita l'applicabilità agli impieghi statali delle disposizioni del R.D. 26 luglio 1929,
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n. 1988 ( e non 26 giugno 1929, n. 988) è una declaratoria che non può instaurare u n diritto riè creare un'ingerenza della regione nei rapporti fra stato e personale. A togliere ogni equivoco, tale comma dell'art. 62 deve essere eliminato. XXI L'art. 64 attribuisce ai deputati dell'assemblea regionale i l diritto di immunità, per l'applicazione fatta a tale titolo della disposizione dell'art. 81 del D.L. 10 marzo 1946, n. 743. L'applicabilità d i tale articolo è stata contestata a i deputati regionali presso l'autorità giudiziaria, la quale in diversi casi si è espressa in senso negativo, non trovandosi elementi giuridici sufficienti nel D.C.P.S. del 6 dicembre 1946, n. 456, con i1 quale venivano applicate le norme per la elezione dei deputati all'assemblea costituente per la elezione della prima assemblea regionale, e sembrando estranea al caso una disposizione n<in strettamente collegata al fatto elettorale, nè menzionata nello statuto. D'altro lato, una forma di garanzia non dovrebbe mancare, se la legge prevede per certe categorie di ufficiali pubblici il proscioglimento delle garanzie amministrative. La questione che qui è sollevata non può riguardare l'applicazione incidentale della immunità per via del decreto del D.C.P.S. si bene la potestà dell'assemblea regionale a statuirla jure proprio. Tale potestà non potrebbe essere che statutaria, non derivando dalla costituzione, nè dai principi applicabili al caso. Nulla esiste nello statuto regionale siciliano da cui si possa far derivare tale potestà, che faccia sospendere una procedura normale di ordine penale. L' istituto stesso della immunità parlamentare può dirsi obsoleto; questo fu istituito quando la monarchia assoluta dell'ancien régime poteva, con disposizioni autocratiche, far arrestare qualsiasi cittadino che non fosse garantito dall'habeas corpus. Ma nello stato di diritto, quale quello delle moderne demucrazie, l'istituto dell'immunità non avrebbe ragion d'essere dovendo la legge essere uguale per tutti. Certi istituti continuano ad esistere per tradizione quando i motivi originari che vi diedero luogo sono venuti meno. I n sostanza, nel caso i n esame, mancano i presupposti giuridici perchè l'immunità indicata al citato art. 81 venga estesa ai membri dell'assemblea
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.S r u m - Scritti giuràdà~i.
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regionale e, pertanto, è da accogliere il ricorso del commissario dello stato contro l'art. 64 della legge regionale 22 febbraio 1951. XXII - Finalmente, il disposto dell'art. 68 della legge regionale con il quale si stabilisce la proroga dei poteri dell'attuale assemblea fino alla data d i convocazione della nuova che verrà eletta, urta contro i l tassativo disposto dell'art. 3 dello statuto siciliano dove è detto che « i deputati cessano di diritto dalla carica allo spirare del termine dei quattro anni n. La replica della regione che, pur cessando dopo cinque anni la camera e dopo sei anni il senato, i rispettivi poteri (per l'art. 61 della costituzione) sono prorogati « finchè non siano riunite le nuove camere e che ciò dia motivi per analogia a legittimare la prorogatio, legislativamente statuita, non tiene conto che manca all'assemblea regionale la potestà d i inserire tale disposto nello statuto o d i statuirlo jure proprio. La convocazione della nuova assemblea è demandata, per l'ultimo comma del detto art. 3, al presidente della regione, e dovrà essere fatta entro tre mesi dalla detta scadenza. Di proroga qui non è cenno. Occorre, quindi, applicare i principi generali che regolano l'attività degli enti pubblici per la continuità delle funzioni e per i casi di urgenza.
L'alta corte, accogliendo parzialmente il ricorso del commissario dello stato avverso la legge elettorale regionale 22 febbraio 1951, dichiara illegittimi: -- la limitazione all'esercizio di voto nella sola circoscrizione elettorale dell'elettore, contenuta negli artt. 39 e 40, dovendosi estendere a tutte le circoscrizioni della regione; - l'art. 47 per il rinvio delle votazioni al giorno successivo ; - l'ultimo capoverso dell'art. 62 circa i rapporti d i congedo tra lo stato e i l proprio personale; - l'art. 64 sull'immunità parlamentare e I'art. 68 sulla proroga dei poteri dell'assemblea. Dichiara comprese negli artt. 5 e 70 le limitazioni poste dalle leggi all'elettorato dei capi responsabili del regime fascista. (Atti dell'Alta Corte per la Regione Siciliana, vol. 11, pp. 613-623).
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48 - DECISIONE 11 ~ ~ ~ ~ 1 0 . 131 9 5OTTOBRE 1 1951 S U L
RICORSO DEL
DELLA REGIONE CONTRO LA LEGGE NAZIONALE 15 1951, N. 191, CONCERNENTE: « zstituzione d i un punto franco nel porto d i Messina ».(*) PRESIDENTE
MARZO
I n fatto L'impugnativa del presidente della regione contro la legge 15 marzo 1951, n. 101, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale del 3 aprile 1951, n. 76, che autorizza l'istituzione di u n punto franco nel porto d i Messina, è limitata all'art. 10 che stabilisce che « l'impianto di stabilimenti industriali nelle aree comprete nella delimitazione di cui all'art. 1 è subordinato a preventiva autorizzazione del ministero delle finanze D ; per il fatto che essendo i l nuovo punto franco compreso nel territorio della regione, per i l combinato disposto dell'art. 14 e dell'art. 20 dello statuto, la competenza della materia industriale, commerciale ed amministrativa del punto franco, è del presidente e degli assessori regionali. Resiste, a nome del ministro delle finanze, l'avvocatura dello stato, la quale, con le osservazioni critiche fatte al ricorso i n parola, afferma che l'art. 10 del provvedimento impugnato, non ha affatto lo scopo di sottrarre agli organi regionali la propria competenza nel settore dell'industria e del commercio, ma tende a salvaguardare le prerogative e gli interessi dello stato in ordine alla necessità di vigilanza sulle operazioni doganali che si svolgono nell'ambito del punto franco. Questi ed altri motivi connessi con la materia controversa sono stati illustrati all'udienza dall'avvocato della regione prof. Salvatore Orlando Cascio e dall'avvocato del ministero delle finanze, sostituto avvocato dello stato dr. Cesare Arias. Per il rigetto del ricorso conclude il procuratore generale dott. Ernesto Eula.
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(*) Scavonetti presidente Sturzo estensore Enla pubblico ministero. Ricorso del presidente della regione siciliana contro la presidenza del consiglio.
In diritto L'alta corte ritiene: che l'art. 10 della legge 15 marzo 1951, n. 191, contiene una disposizione che nell'attuale formulazione dificilmente può interpretarsi in senso restrittivo, cioè per i soli effetti della vigilanza doganale che spetta agli organi del ministero deile finanze. L'istituzione di punti franchi nei porti di maggior trafico fu iniziata in Italia dopo che furono incorporate nel territorio nazionale Trieste e Fiume, dove già esistevano due punti franchi che ottennero il riconoscimento legale con i regi decreti 15 settembre 1922, n. 1356 e 24 febbraio 1924, n. 225, e poscia furono regolati con le norme doganali approvate con decreto ministeriale del 20 dicembre 1925. Nessuna disposizione si trova in tali norme che riguardi gli impianti d i stabilimenti industriali sia esistenti alla data dei decreti suddetti, sia di nuova costituzione, ritenendosi perciò stesso tale materia di competenza degli enti amministrativi di tali punti franchi. I1 lomarzo 1938 fu emanato il regio decreto legge n. 416 che istituiva i l punto franco nel porto di Genova, affidandolo in temporanea amministrazione a l consorzio autonomo del porto di Genova, del quale nello stesso decreto legge venivano prorogati i termini fino al 1973, con la clausola che, dopo quella data, tutti gli impianti e costruzioni sarebbero devoluti allo stato (art. 4). Sotto questo profilo si comprende bene la disposizione dell'art. 12 che stabilisce che tanto i nuovi stabilimenti industriali quanto l'ampliamento e la trasformazione e perfino i l mantenimento degli stabilimenti di ogni specie esistenti nel punto franco di Genova, sono subordinati « a preventiva autorizzazione del ministro delle finanze » con un ben ampio concerto dei ministeri per le comunicazioni, le corporazioni, gli scambi e valute, e con l'aggiunta di altri ministri interessati, ove ciò occorresse. Nel fatto, il punto franco di Genova ancora non funziona percliè da tredici anni si attende i l regolamento. Che questa sia la retta interpretazione si deduce dal fatto che nel decreto legislativo del 5 gennaio 1948, n. 268, con il
quale fu istituito un punto franco nel porto di Venezia - mentre non mancano disposizioni di stretto carattere doganale simili a quelle stabilite per il punto franco di Genova ( e simili anche a quelle per Trieste e Fiume) - non si trova alcuna disposizione riguardante impianti di stabiliinenti industriali perchè l'amministrazione e gestione del punto franco venne affidata a quel provveditorato del porto. Nell'istituire i l punto franco di Messina non poteva non sorgere i l problema delle competenze di carattere economico ed amministrativo ( a parte quella doganale, fiscale e valutaria); nel fatto non fu tenuto conto delle disposizipi dello statuto della regione siciliana, nel cui territorio cade il detto punto franco. Da un lato non fu precisato all'art. 8 quale fosse l'ente a cui affidare l'amministrazione e gestione del punto franco, cosa che farebbe supporre, in rapporto all'art. 10, che tale ente possa essere sottoposto al controllo del ministro delle finanze alla cui competenza lo stesso articolo attribuisce la preventiva autorizzazione di impianti industriali; per lo stesso disposto, anche le norme di coordinamento ( a parte le speciali disposizioni ad assicurare la tutela degli interessi fiscali e valutari) di cui all'art. 15 si estenderebbero al contenuto di tale autorizzazione. L'alta corte ritiene pertanto che l'art. 10, nel testo attuale e nei riferimenti agli artt. 8 e 15 della legge 15 marzo 1951, n. 191, ferisca l a competenza esclusiva della regione siciliana derivante dall'art. 20, mentre per il disposto dell'art. 39 dello statuto che ne dichiara la esclusiva competenza dello stato, viene esclusa per il regime doganale la competenza della regione.
Accoglie il ricorso del presidente della regione siciliana e dichiara la illegittimitĂ costituzionale dell'art. 10 della legge 15 marzo 1951, n. 191. (Atti deil'dlta Corte per la Regione Siciliana, vol. 11, pp. 798-801).
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- DECISIONE 7 DICEMBRE 1951 - 18 ~ S A R Z O1952 SUL RICORSO
DEL
17 LUGLIO 1951, N. 575, CONCERNENTE: « Ratifica senza modificazioni del decreto legislativo del capo provvisorio dello stato I I maggio 1947, n. 378 e ratifica con modificazioni del decreto legislativo 28 gennaio 1948, n. 76 concernente diritti e compensi a l personale degli uffici dipendenti dai ministeri delle finanze e della corte dei conti ».(*) PRESIDENTE DELLA REGIONE CONTRO LA LEGGE
La legge statale del 17 luglio 1951, n. 575, con la quale venivano ratificati i decreti legge 11 maggio 1947, n. 378 e 28 gennaio 1948, n. 76, i l primo senza modificazione e il secondo con modificazioni, concernente diritti e compensi al personale dipendente dai ministeri delle finanze e del tesoro, al titolo X dell'allegato F.: « Servizi della corte dei conti dispone «: Per ogni mandato od ordinativo ammesso a pagamento dagli uffici di riscontro della corte dei conti presso i provveditorati alle opere pubbliche, nonchè presso le regioni, di importo non inferiore a lire P0.000, per ogni 1000 lire o frazione di 1000 lire: diritti e compensi lire 4 ». I1 presidente della regione sicilian~ ha impugnato tale disposizione come illegittima per due motivi: il primo riguardante la interferenza nella potestà legislativa della regione, cui spetta, per l'art. 36, la competenza a deliberare sui tributi da imporre, riscuotere ed amministrare, con eccezione di quel che lo stesso art. 36, 2" comma, riserva allo stato, per i l fatto che la disposizione surriferita include i mandati e ordinativi ammessi a pagamento presso le regioni », senza fare esclusione della regione siciliana; i l secondo motivo di impugnativa riguardante la esclusione (una volta ammessa la legittimità della imposizione) dalla partecipazione a l fondo costituito da tali diritti del personale statale comandato presso la regione e del personale d i nomina regionale e ciò con violazione dell'art. 14 lett. q) dello statuto che equipara, nello stato (*) Scavonetti presidente Sturzo estensore - Eula pubblico ministero. Ricorso del presidente della regione siciliana contro la presidenza del consiglio.
giuridico ed economico, il personale della regione con quello dello stato. L'avvocato dello stato nella memoria scritta aveva rilevato preliminarmente che il ricorso della regione non poteva essere trattato perchè quello depositato il 22 agosto fu ritirato e quello depositato il 27 agosto era fuori termine. Ma avendo l'altra parte chiarito che il 26 agosto cadeva in giorno domenicale e quindi era nei termini il deposito del ricorso fatto nel giorno successivo, la eccezione è stata ritirata in udienza. Nel merito, la difesa dello stato ha sostenuto che i diritti e compensi casuali non sono classificabili come tributi e quindi non è applicabile al caso l'art. 39 dello statuto, a parte il fatto che l'alta corte per la regione siciliana non ha mai ammessa la esclusione della potestà tributaria della regione, che secondo lui è secondaria. Fermandosi sul secondo motivo del ricorso per i l fatto della mancata osservanza dell'art. 14 lett. q) dello statuto, per il quale si pretende la partecipazione al fondo dei casuali del personale regionale, ne esclude il carattere costituzionale e quindi la competenza dell'alta corte a decidere: e nel merito, ritiene inammissibile sia la gestione del fondo a parte della regione sia la distribuzione a l personale regionale proprio o comandato, al quale la regione deve provvedere con propri mezzi e non con fondi stabiliti da leggi statali e a scopi statali. In diritto Premesso che la disposizione impugnata dal presidente della regione siciliana riguarda la imposizione del 4 per mille per ogni mandato od ordinativo ammesso a pagamento presso la regione siciliana, inclusa nella dizione « presso le regioni n dal n. 1 del titolo X dell'allegato F per servizi della corte dei conti, è necessario preliminarmente accertare la natura di tale imposizione. Le funzioni della corte dei conti hanno per scopo l'esame dell'attuazione del principio della legittimità degli atti amministrativi e la tutela del pubblico erario e in particolare, per quanto attiene ai mandati e agli ordini di pagamento, si esplicano accertando che siano stati osservati legge e regolamenti: sono
quindi funzioni di carattere pubblico. La nuova norma, dell'imposizione di una percentuale del quattro per mille sui mandati e sugli ordinativi che la corte dei conti ammette a pagamento, non altera la natura della funzione, nè crea, come la difesa dello stato ha opinato, u n diritto patrimoniale soggettivo degli impiegati interessati, nessun rapporto diretto venendo instaurato fra gli impiegati della corte dei conti e gli intestatari dei mandati e ordinativi di pagamento. Tale funzione, di controllo di legittimità, non può certamente essere assimilata al servizio che prestano i segretari degli istituti scolastici e i cancellieri degli uffici giuridici per il rilascio di certificati ai singoli richiedenti, con la corresponsione dei diritti annessi, trattandosi qui di servizi richiesti dal privato, se pur connessi ad una funzione di pubblica certificazione. Di natura analoga a questi i diritti fissi o proporzionali, indicati ai titoli I, 11, e I11 dell'allegato C della legge 17 luglio 1951, che gli agenti del catasto possono esigere per colture, copia di certificati ed estratti catastali, consultazioni di mappe e planimetrie catastali e copie ed estratti relativi. I n tali e simili casi, mentre da parte dell'nfficio pubblico non può rifiutarsi il servizio, questo dà luogo nei suoi confronti ad u n vantaggio personale, consistente nel compenso o parte di compenso a lui dovuto. Ma nei casi in esame, previsti dai decreti del 1947 e 1948 e dalla legge di ratifica modificativa, sovrasta l'esigenza di pubblico interesse (rilevanti quelle connesse con i servizi indicati nel titolo V della stessa tabella); pertanto le ritenute, nelle varie misure ivi fissate, che costituiscono un complesso di imposizioni. per u n importo notevole (per quanto non esattamente precisabile, non essendo la somma versata fra le entrate di bilancio dello stato) sono già indice del loro carattere impositivo pubblicisti~~. Altro indice d i tale carattere è dato dal fatto che si fanno partecipi al gettito di tali « diritti » e « compensi » non solo gli impiegati che prestano effettivamente i l servizio, ma. assieme, tutte le categorie similari di impiegati locali e centrali con la esclusione di coloro che fruiscono del trattamento economico dei magistrati o di particolari compensi o benefici economici, nonchè il coniuge, il genitore, i l figlio celibe o nubile convivente
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quando uno della famiglia è ammesso alla ripartizione ed esclusi coloro per i quali ricorrano motivi di demerito (artt. 16 e 25 del D.L. 28 gennaio 1948, in parte modificati con la legge di ratifica), e la ripartizione si effettua in base a criteri predeterminati (art. 17 citato decreto-legislativo). In definitiva, la originaria caratteristica di casuali, come compenso per servizi eventuali a privati, è venuta modificandosi dando luogo ad una imposizione normale e generale quasi vera tassa di scopo, rivolta cioè al fine di dare speciali compensi ai funzionari statali dell'amministrazione finanziaria, compensi poi estesi anche al personale del tesoro e della corte dei conti. In tale processo di trasformazione del tipo originario dei casuali, sono stati, con successivi ritocchi, aumentati e aggravati i titoli, e le voci, includendovi la tassa percentuale sui mandati di pagamento verso i terzi creditori dello stato e delle regioni, e ciò sempre per procurare una nuova entrata con la quale lo stato si metteva in grado di attribuire al proprio personale ulteriori compensi speciali e integrativi. I1 fatto che si sia creduto opportuno costituire un fondo speciale del gettito di tali diritti e compensi, tenendoli in gestione separata ed extrabilancio senza darne conto al parlamento, non modifica la natura della imposizione stessa posta a carico di un determinato numero sempre crescente di contribuenti, divenuti generalità per via della nuova tassa del quattro per mille su ogni mandato o ordinativo dello stato e delle regioni, nonchè delle aziende statali quali la cassa del mezzogiorno, 1'Anas e le ferrovie. Altro elemento che induce a ritenere il carattere tributario della ritenuta del 4 per mille è dato dal fatto che questa è applicabile, ed è stata applicata, su tutti i pagamenti effettuati dal giorno della entrata in vigore della legge impugnata, anche se relativi a rapporti giuridici sorti prima, risolvendosi in una vera e propria imposizione a carico dei creditori dello stato. La cassa per il mezzogiorno, obbligata a subire la ritenuta del 4 per mille sui mandati delle somme che lo stato è obbligato per legge a versare alla cassa stessa, ha creduto opportuno di non rivalersi sui suoi creditori. subendone così una ben alta decurtazione di fondi. Opportunamente, quindi, il senato ha approvato l'articolo aggiuntivo per i l p a l e alla cassa del mez-
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zogiorno verrà applicata l'esenzione indicata al titolo V dell'allegato E della suddetta legge. Accertata la natura di tassa della nuova imposizione del 4 per mille sui mandati e ordinativi di pagamento anche delle regioni, occorre, ~ r o c e d e n d o all'esame del ricorso del presidente della regione siciliana, verificare se la sua estensione alla Sicilia importi violazione dell'art. 36 dello statuto. Questo ariicolo stabilisce che sono riservate allo stato le imposte di produzione e le entrate dei tabacchi e del lotto >), mentre ogni altra imposizione tributaria sotto qualsiasi titolo è di competenza della regione. La quale competenza riguarda la imposizione, la riscossione, l'amministrazione e la destinazione delle relative entrate. Quest'alta corte ha fissato due principi al riguardo: il primo, che la legislazione tributaria dello stato è di natura unitaria e organica e quindi si estende alla regione siciliana; il secondo, che le leggi dello stato, le quali hanno applicazione in tutto il territorio nazionale, entrano in vigore anche in Sicilia, salvo il diritto alla regione di statuire con leggi proprie anche in materia tributaria, siano codeste leggi modificative di leggi statuali esistenti ovvero innovative su materia di spettanza della regione stessa. D'altro lato per lo statuto spetta alla regione i l diritto di far valere davanti l'alta corte l'illegittimità delle leggi statali che violino la sfera d i una competenza statutaria. Ora lo statuto siciliano attribuisce alla regione, senza possibilità di eccezione (tranne che venga statuito con legge costituzionale) il diritto di riscossione di tutti i tributi che non siano quelli indicati come riservati allo stato, e così pure i l diritto di amministrare le somme ricavate dalle imposte quale ne sia la destinazione, libera o vincolata. Nel caso in esame la legge che impone la ritenuta del 4 per mille sui mandati e ordinativi estesa alla regione siciliana dall'inciso « presso l e regioni », risulta illegittima in quanto la riscossione, l'amministrazione e la destinazione sono sottratte al potere della regione siciliana, essendo che il prelievo del 4 per mille fatto sui mandati e ordinativi della stessa regione siciliana, va a l fondo nazionale gestito extra bilancio dal ministero indicato dalla legge stessa e destinato al personale statale con esclusione di quello che dipende dalla regione o vi
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presta servizio comandato. Si verifica con ciò la distrazione di fondi che per lo statuto siciliano spetterebbero alla regione. Ma poichè a i fini della legge 17 luglio 1951, n. 575 nei riguardi del disposto del n. 1 della tabella X de117allegato F e la relativa riscossione, gestione e destinazione di fondi risultano organicamente connesse, la illegittimità si estende alla stessa competenza legislativa dello stato, dal cui atto derivano lesi i diritti statutari della regione siciliana. Devesi ritenere pertanto illegittima la imposizione nel territorio siciliano di quei tributi e tasse, anche a destinazione prestabilita, la cui riscossione, i l cui gettito e la cui amministrazione non spettino alla regione.
L'alta corte accoglie il ricorso della regione siciliana dichiarando illegittima la disposizione della legge 17 luglio 1951, n. 575 limitatamente al titolo X dell'allegato F che dispone la ritenuta del 4 per mille per ogni mandato od ordinativo ammesso a pagamento presso la regione siciliana. (Atti dell'Alta Corte per la Regione Siciliana, vol. 11, pp. 819-824).
52 - DECISIONE 22
MARZO
1952
SUL RICORSO DEL PRESIDENTE DELLA
REGIONE CONTRO LA LEGGE NAZIONALE
CONCERNENTE:
22 DICEMBRE 1951, N . 1379,
« Istituzione di un'imposta unica sui giochi
di abilità e sui concorsi pronostici disciplinati dal decreto legislativo l 4 aprile 1948, n. 496 D. (*) In fatto Nel disciplinare l'attività d i gioco con D.L. 14 aprile 1948, n. 496, fu istituita (art. 6) una tassa di lotteria pari a1 16 O/o di tutti gli introiti lordi derivanti al comitato olimpico nazionale italiano (C.O.N.I.) e all'unione nazionale incremento razze equine (U.N.I.R.E.) per l'attività da essi svolta per l'organizza-
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(*) Scavonetti presidente - Sturzo estensore Enla pubblico ministero. Ricorso del presidente della regione siciliana contro la presidenza del consiglio.
zione e l'esercizio di giochi di abilità e di concorsi pronostici per i quali si corrisponda una ricompensa di qualsiasi natura C per la cui partecipazione sia richiesto il pagamento di una posta in danaro. Questo articolo ,nulla innovò circa l'applicazione degli altri tributi in vigore. Successivamente lo stato con la L. 22 dicembre 1951, n. 1379, elevò al 23 O/o la tassa prevista dal suddetto art. 6 del D.L. n. 96 del 1948 e la chiamò « imposta unica sui giochi di abilità e sui pronostici in sostituzione di ogni altra tassa od imposta a favore dello stato e degli enti locali. La regione siciliana ha impugnato per illegittimità costituzionale questa legge 22 dicembre 1951, n. 1379. I1 motivo dell'impugnazione è il seguente: tutti i tributi statali, ad eccezione dell'imposta di fabbricazione e delle entrate dei monopoli e del lotto, sono divenuti di spettanza della regione sia per la destinazione sia per la riscossione e la gestione, in virtù dell'art. 36 dello statuto siciliano e della legge siciliana 1" luglio 1947, n. 2. Ma con la legge denunciata, lo stato nell'elevare a l 23 O/o la tassa prevista all'art. 6 del citato D.L. 14 aprile 1948, vi ha dato la denominazione di imposta unica sui giochi di abilità e sui pronostici, chè tale imposta è sostitutiva anche della imposta di ricchezza mobile e della complementare, e viene iscritta nel bilancio dello stato con le indicazioni fissate all'art. 6 della stessa legge, senza fare riserva dei diritti della regione ad esigere, gestire e destinare ai propri fini quanto le spetta per tasse o imposte non riservate allo stato dall'art. 36 il cui dispositivo deve ritenersi essere stato violato. Lo stato resiste a l ricorso contestando che l'art. 36 dello statuto siciliano ponga limiti al potere legislativo statale in materia tributaria e quindi è legittima l a legge impugnata. Contesta anche che la regione in via di fatto abbia partecipato alla precedente tassa d i lotteria, che oggi reclama.
In diritto Nella legge impugnata non trovasi disposizione che dia motivo a ritenere che la regione sia stata privata di fonti di reddito ad essa spettanti in base all'art. 36 dello statuto, e neppure
che sia stata lesa la competenza della regione per il fatto di avere lo stato con legge propria istituita un'imposta unica sui giochi di abilità e sui concorsi pronostici disciplinati dal decreto legislativo 14 aprile 1948. L'art. 36 dello statuto siciliano indica le imposte e le entrate che sono riservate allo stato e conseguentemente quelle altre con le quali si provvede al fabbisogno finanziario della regione, ma non obbliga lo stato a tenere ferma la propria legislazione tributaria e tanto meno a non poterla modificare. Lo stato può liberamente mutare in qualunque momento la disciplina legislativa delle proprie entrate e delle proprie imposte; ma il loro gettito in Sicilia avrà necessariamente la destinazione stabilita dall'art. 36 dello statuto siciliano. Solo una legge statale che devolvesse a vantaggio dello stato o di un ente pubblico diverso dalla regione siciliana il gettito in Sicilia di un'imposta non riservata allo stato violerebbe l'art. 36 del detto statuto. Ciò non è accaduto nella fattispecie in esame. Prima dell'impugnata legge 22 dicembre 1951, n. 1379, nessuna questione poteva sorgere perchè la tassa di lotteria istituita dal D. L. 14 aprile 1948, n. 496 - da equipararsi alle entrate del lotto riservate allo stato dall'art. 36 dello statuto siciliano nulla innova all'art. 6 cc circa l'applicazione degli altri tributi attualmente i n vigore n. Perciò la tassa di lotteria che colpiva gli introiti lordi del C.O.N.I. e dell'U.N.1.R.E. doveva essere attribuita allo stato mentre gli altri tributi afferenti a questi introiti, per la parte riscossa in Sicilia, facevano parte delle entrate della re,'mione. I1 dubbio sorto riguardo al tributo istituito dalla legge impugnata, che formalmente sembra essere la stessi tassa prevista dal D.L. 14 aprile 1948, n. 496, art. 1 ( N la tassa prevista dall'art. 6 del D.L. 1 aprile 1948, n. 496, che assume la denominazione di imposta unica sui giochi di abilità e sui concorsi pronostici, è elevata al 23 % ») e che perciò possa essere riservata per intero allo stato, quale tributo equiparabile alle entrate del lotto, non ha fondamento. I n realtà la struttura dell'imposta, che all'art. 5 è espressamente dichiarata quale sostitutiva di ogni tassa sugli affari e di ogni imposta diretta o indiretta a
favore dello stato e degli enti minori, e la determinazione legislativa (art. 6) delle percentuali della imposta unica attribuibili all'ispettorato per il lotto e per le lotterie (40 O/o), alla direzione generale delle imposte indirette sugli affari (25 O/o) chiaramente dimostrano che questa imposta unica a carattere sostitutivo, del tutto inconsueta nel nostro sistema tributario, pur semplificando la riscossione delle varie imposte, rende possibile la identificazione, sia pure forfetaria, dei tributi sostituiti >) spettanti alla regione. Ciò è sufficiente per escludere che il sessanta per cento del gettito dell'imposta unica sui giochi di abilità e sui concorsi pronostici in Sicilia abbia natura di entrata del lotto che all'art. 6 dello statuto è riservata allo stato. Non è affatto necessario che la legge contenga sempre un riferimento di eccezione alle disposizioni statutarie per la regione siciliana. È norma che nel silenzio la presunzione sia per l'osservanza delle norme statutarie e non per la violazione. Tale è stata la prassi e la giurisprudenza di questa alta corte, come risulta dalla decisione del 9 luglio 1948 sul ricorso riguardante il D.L. 15 dicembre 1947, n. 1419, circa la competenza regionale ad approvare le norme della sezione di credito industriale del Banco di Sicilia, indicato agli artt. 8 e 11 come competenza ministerialle. Applicando lo stesso principio, l'assegnazione del 35 per cento delle entrate devolute alle imposte dirette, per le riscossioni in Sicilia andrà alla regione siciliana, come andrà alla stessa il 25 O/o delle tasse e imposte indirette sugli affari, salvo l'onere di distribuzione di 18/25 ai comuni siciliani. Resta da chiarire i l fatto della riscossione che per la legge impugnata è sottratta alla competenza della regione, mentre per il decreto legislativo 12 aprile 1948, n. 507, è la regione che riscuote direttamente le entrate di sua spettanza. Ma data la unificazione della imposta la cui natura preralente è quella d i imposta sui giochi, la competenza a esigerla non può essere che dello stato, salvo il riparto di cui sopra.
L'alta corte rigetta il ricorso proposto dalla regione siciliana
avverso la legge nazionale 22 dicembre 1951, n. 1379, dal titolo « istituzione di una imposta unica sui giochi di abilità e sui concorsi pronostici disciplinati dal D.L. 14 aprile 1948, n. 496 u in quanto la legge impugnata attribuisce alla regione siciliana l'ammontare della imposta intestato alla direzione generale delle imposte dirette e alla direzione generale delle tasse e delle imposte indirette sugli affari. (Atti dell'Alta Corte per la Regione Siciliana, vol. 11, pp. 853-857).
53 - DECISIONE 28
MARZO
1952
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18
APRILE
1952
SUL RICORSO DEL
7 DI1951, N . 1513, CONCERNENTE: « Integrazione dei bilanci comunali e provinciali per l'anno 1951 » (*)
PRESIDENTE DELLA REGIONE CONTRO LA LEGGE NAZIONALE CEMBRE
All'articolo 2 della legge nazionale del 7 dicembre 1951, n. 1513 viene stabilito che « per i comuni e le provincie delle regioni a statuto speciale rimangono in vigore, ai fini del pa. reggio economico dei rispettivi bilanci dell'anno 1951, le disposizioni di cui all'art. 4 della legge 22 aprile 1951, n. 288 D. L'articolo, qui citato, fissava le norme procedurali di tali mutui per le provincie e i comuni delle regioni a statuto speciale nci Ai fini della concessione dei mutui di cui seguenti termini: all'art. 5 della legge 20 luglio 1950, n. 575, le regioni a statuto speciale possono chiedere alla commissione centrale per la finanza locale l'esame dei bilanci delle amministrazioni provinciali e comunali facenti parte dei rispettivi territori. « La commissione centrale per la finanza locale formula le opportune proposte per il pareggio dei bilanci, indicando la misura delle supercontribuzioni e l'ammontare del mutuo necessario per far fronte al disavanzo economico. a I provvedimenti relativi sono adottati dai competenti organi della amministrazione regionale e resi esecutivi, per quanto concerne i mutui con la cassa depositi e prestiti, con decreto
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(*) Scavonetti presidente Sturzo estensore Eula pubblico ministero. Ricorso del presidente della regione siciliana contro la presidenza dal consiglio.
del ministero per l'interno, di concerto con quelli per il tesoro e le finanze D. Questo articolo f u aggiunto durante l'esame del disegno di legge, inteso il governo regionale della Sicilia, come u soluzione provvisoria da non pregiudicare la tesi dello stato nè quella della regione in ordine alla definitiva sistemazione dei rapporti in materia d i finanza locale » (vedere il testo della lettera del 6 marzo 1951, n. 3606/63030, firmata Andreotti per il presidente del consiglio dei ministri e allegata agli atti del ricorso). La vertenza rimasta impregiudicata a cui fa cenno la citata lettera non riguardava la procedura dei mutui, che di fatto veniva concordata con l'art. 4 della legge 22 aprile 1951, nè la entità dei mutui che coprendo il mancato contributo in capitali, vennero per b'esercizio 1950 concessi per raggiungere i l pareggio economico; ma piuttosto la competenza circa la finanza locale. La questione si ripresentò con la successiva legge del dicembre 1951, n. 1513, nella quale, pur facendosi richiamo all'art. 4 della legge precedente n. 288, veniva ancora una volta omessa, per i comuni delle regioni a statuto speciale, la possibilità di partecipare ai contributi in capitale. Onde i l presidente della regione siciliana si decise a proporre ricorso avanti questa alta corte per ottenere l'annullamento dell'art. 2 della citata legge, ritenendo costituzionalmente illegittima tale siffatta esclusione. I motivi addotti dalla regione per sostenere il ricorso sono: 1) violazione dell'art. 5 della costituzione e art. 1" dello statuto, trattandosi di provvidenze straordinarie dovute alle conseguenze della guerra e del dissesto economico, a riparare i l quale lo stato ha il dovere di intervenire senza discriminazioni che possano offendere l'eguaglianza dei cittadini e la unità dello stato; 2) violazione dell'art. 119, comma 2" della costituzione in rapporto alla regione, perchè il ricorrente ritiene che ai mancati contributi in capitale, la legge impugnata, pur senza farvi cenno, dia luogo ad un obbligo della regione a provvedervi con le sue entrate, mentre per la costituzione tali entrate debbono servire alle regioni (salvo espressa norma costituzionale in contrario) (( per le spese necessarie ad adempiere le loro funzioni normali », fra le quali è da escludersi si possano annoverare i
contributi per disavanzi di bilancio degli enti locali causati dallo stato di guerra e dalle crisi del dopo guerra; 3) violazione dell'art. 35 dello statuto siciliano, secondo il quale « gli impegni già assunti dallo stato verso gli enti regionali sono mantenuti con adeguamento a l valore della moneta all'epoca del pagamento D; ritenendosi dal ricorrente che la legge impugnata, per via di concatenazione legislativa, faccia capo a l decreto L.L. 24 agosto 1944, n. 221 e a l D.L.L. 8 febbraio 1946, n. 49 nonchè al D.L. 26 marzo 1948, n. 26, ed infine a quello del 30 luglio 1950, n. 575, del quale ultimo pur essendo modificative, nei riguardi della regione siciliana, le leggi d e l l ' a ~ r i l e e dicembre 1951, non ~ o t r e b b e r oesser intese come escludenti i comuni e le provincie delle regioni a statuto speciale dal diritto ad ottenere anche il contributo in capitale a pareggio dei rispettivi bilanci. Il rappresentante dello stato con memoria del sostituto avv. generale Cesare Arias sostiene, in via principale, la inammissibilità della impugnativa, sia per la omissione da parte della regione ad impugnare la legge 22 aprile 1951, n. 288, che innovava il precedente sistema, sia per mancanza di interesse da parte della regione stessa ad ottenere l'annullamento dell'art. 2 della legge 7 dicembre 1951, null'altro effetto potendo ottenere nel caso presente con una decisione dell'alta corte che ne accogliesse i l ricorso. I n via subordinata l'avvocato dello stato ritiene che nel merito manchi una seria base alla impugnativa, perchè l'art. 15 dello statuto a attribuisce alla regione in materia di enti locali u n potere di legislazione esclusiva e quindi anche, a' termini dell'art. 20, le corrispondenti funzioni esecutive ed amministrative ».I1 richiamo della regione alla precedente legislazione di guerra non è attendibile, perchè la legge impugnata e l'altra cui si fa riferimento non hanno rapporto di dipendenza con i decreti dal 1944 in poi, e sono del tutto autonome. I1 secondo motivo desunto dal secondo e terzo comma dell'art. 119 della costituzione non h a riferimento alla vertenza attuale. L'avvocato dello stato ritiene che sia invece applicabile al caso il D.L. 12 aprile 1948, n. 507, con rapporto agli artt. 36 e 38 dello statuto. Non può negarsi, d'altro lato. che fra i compiti 6 - S T U P- S~c r i t t i giuridici.
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normali della regione siciliana ci siano anche quelli che riguardano gli enti locali e la sistemazione dei relativi bilanci. Infine, secondo l'avvocato dello stato, non ha base il richiamo all'art. 35 dello statuto che ha tutt'altra portata e non può riferirsi che ad impegni già assunti dallo stato, cioè obblighi veri e propri riconosciuti espressamente prima dell'entrata in vigore dello statuto. Nella discussione orale, gli avvocati della regione hanno ristretto la loro domanda all'annullamento del seguente inciso dell'art. 2 della legge 7 dicembre 1952, n. 1513: Ai fini del pareggio economico dei rispettivi bilanci dell'anno 1951 n.
I n diritto L'eccezione di inammissibilità del presente ricorso percliè non f u prodotto dalla regione siciliana u n precedente ricorscl contro la legge del 22 aprile 1951, n. 288, non è attendibile; la omissione a far valere i propri diritti per u n caso, non preclude l'esercizio degli stessi diritti per un altro caso consimile successivo. Neanche è attendibile la seconda eccezione d i inammissibilità del ricorso basata sulla mancanza di interesse da parte della regione agli effetti ottenibili con una sentenza di annullamento, perchè tanto la regione che lo stato (gli unici che hanno diritto a ricorrere a questa alta corte) agiscono nell'interesse pubblico a i fini del rispetto delle relative competenze e dell'osservanza delle norme costituzionali. È pertanto questa l'indagine da farsi per il ricorso: se cioè gli atti sottoposti da una delle parti contengano o no elementi di illegittimità e meritino quindi una sentenza di annullamento, quali ne possono essere gli effetti favorevoli o meno alle parti in causa. Vagliare, cioè i motivi addotti dalla regione per accertare se raggiungono, oppur no, la prova della accusata illegittimità, nella esclusione delle provincie e dei comuni siciliani dal beneficio del contributo in capitale da parte dello stato ai fini del pareggio economico dei bilanci del 1951. Per i l tradizionale ordinamento delle provincie e dei comuni, è lo stato che con norme legislative, da u n lato, ne determina i compiti e ne fissa gli oneri, e, dall'altro, autorizza tali enti ad imporre a i contributi locali tasse e sovracontribuzioni,
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in modo da ottenersi una regolare amministrazione bilanciata. I1 ricorso ai mutui presso la cassa depositi e prestiti è stato normalmente applicato per far fronte a spese straordinarie riItenute necessarie, dividendone gli oneri nel tempo. L'intervento statale con contributi in capitale fu sempre limitato a servizi onerosi, specie se di carattere statale (compresi gli edifici scolastici), e ultimamente a l fine del pareggio economico dei bilanci. A contenere i n limiti sopportabili la imposizione di nuovi oneri agli enti locali fu stabilito all'art. 2 del T.U. della legge comunale e provinciale del 1934 la seguente norma: Qualsiasi disposizione legislativa tendente a porre a carico dei comuni e delle provincie nuove o maggiori spese, deve essere concretata d i concerto oltre che col ministro dell'interno, anche col ministro delle finanze. I1 consenso deve risultare dal relativo disegno di legge e, qualora la spesa sia inerente a servizi di carattere statale, devono essere, in pari tempo, assegnati agli enti predetti mezzi di entrata D. Ciò posto, i decreti-legge e le leggi che dal 1944 ad oggi sono stati emanati per sovvenire in primo luogo i comuni danneggiati dalla guerra e successivamente una più larga cerchia di comuni e di provincie con il criterio di ottenere i l pareggio del rispettivo bilancio economico, partono dall'unica preoccupazione di provvedere, anno per anno, a rendere possibile la vita locale, in attesa di quella riforma della finanza locale, che trovasi da parecchio tempo avanti la camera dopo avere ottenuto l'approvazione del senato. Mentre tali provvedimenti sono doverosi da parte del governo e del parlamento, e quindi giustamente richiesti da COmuni e provincie, non escono dall'ambito della buona politica, non creano stretti rapporti d i diritti e doveri reciproci, la cui omissione possa comunque essere portata avanti una corte. La discriminazione fatta dalle due ultime leggi fra comuni e provincie delle regioni a statuto speciale e comuni e provincie delle altre regioni italiane non ancora organizzate, riguarda principalmente le procedure per la concessione dei mutui, per la quale è data alle regioni ( e non più ai ~ r e f e t t i )la facoltà di richiedere alla commissione centrale per la finanza locale l'esame dei bilanci delle amministrazioni ~ r o v i n c i a l i e comunali
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facenti parte dei rispettivi territori ed adottare i provvedimenti d i competenza allo scopo del pareggio economico. I1 che è stato u n giusto riconoscimento della funzione regionale nei rapporti degli enti locali. L'omissione nelle due citate leggi del 1951 del riferimento a l contributo i n capitale per i comuni e le provincie delie regioni a statuto speciale risulta dagli atti parlamentari come voluta dal governo proponente. Ma quale possa essere la interpretazione obiettiva del testo della legge (spetterebbe allo stesso parlamento darle l'interpretazione autentica), nel fatto che riguarda la regione siciliana, la commissione centrale per la finanza locale ha accordato per i l 1950 ai comuni e alle provincie della Sicilia, come risulta dalla Gazzetta ufficiale, l'ammontare del mutuo necessario a far fronte a l disavanzo economico. Non si comprende, pertanto, i l motivo di gravame in riferimento all'art. 119, secondo comma, della costituzione, ritenendo il ricorrente che la legge ponga (C in definitiva a carico delle finanze regionali quei disavanzi economici dei bilanci degli enti dovuti ad eccezionali contingenze D. Nessuna disposizione contiene in proposito la legge impugnata, disposizione che di sicuro avrebbe violato l'autonomia regionale oltre che la norma costituzionale sopra citata. Da quanto sopra, è vero che risulta una differenza d i trattamento tra gli enti locali ai quali è concesso il contributo in capitale e quelli pur nelle stesse condizioni oggettive della Sicilia gravate per l'intero pareggio dell'onere del mutuo; onde i l presidente della regione ritiene che con ciò sia stato violato il principio dell'« unità politica dello stato italiano N (art. lo dello statuto). Questo principio fu invocato, in riferimento ad una legge regionale impugnata dallo stato, nella decisione di questa alta corte del 13 agosto 1948, a proposito della potestà regionale di imposizione tributaria, « che ha aspetti e riflessi politici nell'ordinamento generale dello stato n. Ora i l principio viene invocato in riferimento allo stato che con la legge 7 dicembre 1951 avrebbe creato discriminazioni non solo fra gli enti locali italiani, ma fra i contribuenti, gravando di più quelli siciliani obbligati in conseguenza a sopportare per vari anni il peso dei mutui concessi a l pareggio economico dei bilanci locali.
Ma trattandosi di un principio generale (l'unità politica) non riesce possibile applicarlo al caso in esame, se non concorrono altri elementi a configurare la illegittimità della norma. Pertanto, viene naturale la ricerca quale sia la competenza della regione siciliana riguardo la finanza locale e quale quella dello stato. All'art. 15 dello statuto è stabilito che «: l'ordinamento degli enti locali si basa nella regione stessa sui comuni e sui liberi consorzi comunali, dotati della più ampia autonomia amministrativa e finanziaria n. (( Nel quadro di tali principi D, continua il testo, « spetta alla regione la legislazione esclusiva e l'esecuzione diretta in materia di circoscrizione, ordinamento e c o n t r ~ l l odegli enti locali ».Nel termine « ordinamento » va incluso non solo l'ordinamento amministrativo ma anche quello finanziario l'uno essendo inscindibile dall'altro, specie nel caso della Sicilia dove i comuni e relativi consorzi, come dice l o statuto, sono dotati della « più ampia autonomia » anche finanziaria D. Questa alta corte con la decisione del 13 agosto 1948 ha messo in luce che la regione nella sua potestà legislativa finanziaria muove non solo dentro i limiti derivanti dalla costituzione e dalla territorialità, ma anche da quelli derivanti dai principi e dagli interessi generali cui si informa la legislazione dello stato ». È evidente che la regione deve osservare gli stessi limiti legiferando in materia di finanza locale. Nel fatto, però, la regione non ha ancora proceduto all'approvazione delle leggi riguardanti l'ordinamento degli enti locali sia amministrative che finanziarie; i n Sicilia si applica tuttora l'attuale ordinamento statale al punto che alla sorveglianza e a l controllo di tali enti provvedono ancora gli organi statali della prefettura e della giunta provinciale amministrativa. Il provvedimento dell'art. 4 della legge 22 aprile 1951, n. 288, non riconosce alla regione altra facoltà che quella di richiedere l'intervento statale per mutui e di adottare i provvedimenti relativi, salvo la competenza del ministro per l'interno riguardo i mutui con la cassa depositi e prestiti. Da questo stato di fatto sono derivati, da u n lato, i provvedimenti statali necessari a far superare agli enti locali gli effetti
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dovuti a l dissesto d i guerra e alla mancata attuazione della legge sulla finanza locale, e, dall'altro, la lamentata discriminazione fra gli enti locali, che non sembra fondata su criteri e misure d i ordine generale; i l che, per quanto non possa essere caratterizzato come incostituzionale~ presenta motivi degni di una riconsiderazione dei rapporti h a stato e regione. La mancanza poi di provvedimenti regionali in materia d i finanza locale non ha dato luogo ad alcun invito a provvedere da parte del governo statale, data la vertenza lasciata insoluta, come risulta dalla lettera del 6 marzo 1951 allegata agli atti. L'ultimo motivo del ricorso, basato sull'art. 35 dello statuto, non può essere accolto non risultando dal ricorso e dalla memoria della difesa quali siano « gli impegni assunti dallo stato verso gli enti regionali » al momento dell'approvazione dello statuto (15 maggio 1946) che non fossero stati mantenuti. I decreti legislativi emessi nel 1944 e nel 1946 citati dal ricorrente sono stati regolarmente eseguiti durante il termine della rispettiva validità. Gli altri, posteriori alla data dell'emanazione dello statuto, non possono essere categorizzati come .« impegni già assunti » per i l fatto della individualità delle singole leggi. P. Q. M .
L'alta corte rigetta il ricorso del presidente della regione avverso la legge 7 dicembre 1951, n. 1513, sull'integrazione dei bilanci comunali e provinciali per l'anno 1.951. (Atti dell'dlta Corte per la Regione Siciliana, vol. 11, pp. 863-870).
57 - DECISIONE 22
GENNAIO
1953
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l4
FEBBRAIO
1953
S U L RICORSO
DEL COMMISSARIO DELLO STATO CONTRO LA LEGGE APPROVATA.
27 GIUGNO 1952, CONCERNENTE: Provvedimenti per lo sviluppo delle attività armatoriali nella regione ».(*) I n fatto
DALL'ASSEMBLEA REGIONALE IL
I1 primo motivo del ricorso del commissario dello stato per la regione siciliana contro la legge approvata dall'assemblea
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(*) Perassi presidente Sturzo estensore Eula pnbblico ministero. Ricorso del commisscuio dello stato contro la regione siciliana.
regionale il 27 giugno 1952, concernente ((Provvedimenti per lo sviluppo delle attività armatoriali della regione n, riguarda il mancato rispetto ai limiti che per la giurisprudenza dell'alta corte sono in materia tributaria inerenti all'art. 36 dello statuto, la cui inosservanza potrà produrre effetti extraterritoriali, come si sostiene per i l caso in esame. I1 secondo motivo riguarda la struttura data all'esercizio armatoriale nella regione che può dar luogo alla creazione di società fittizie con le quali certi armatori potrebbero evadere gli obblighi fiscali. I1 commissario dello stato, inoltre, fa gravame per la disposizione concernente i turni particolari da assumersi nei porti siciliani. Nella discussione, l'avvocato dello stato ha confutato il rilievo della regione che il presente ricorso sia, comunque, legato e subordinato alla decisione emessa il 2 marzo 1951 dalla stessa alta corte che dichiarò l'illegittimità costituzionale della legge regionale del 5-12-1950. Contro il ricorso del commissario dello stato ha resistito i l presidente della regione, sostenendo che le esenzioni fiscali ,contenute nella legge 27-6-1952 sono identiche a quelle contenute nella legge 5-12-1950, già impugnata per lo stesso motivo di violazione dei limiti derivanti alla regione dall'ordinamento tributario nazionale e dal principio della territorialità, motivo che nella decisione del 2 marzo 1951 si ritenne infondato. La difesa della regione reputa non accoglibile i l secondo motivo sia oggettivamente, sia perehè il legislatore siciliano h a condensato nel disposto degli articoli 8 e 9 quanto risultava dal testo della citata decisione dell'alta corte del 2 marzo 1951, e quanto si può richiedere per individuare qualsiasi impresa armatoriale come esistente ed operante i n u n determinato centro marittimo. Si escludono quindi le possibilità d i violazione del principio di territorialità regionale e di creazione d i enti armatoriali fittizi, allo scopo di evadere gli oneri fiscali dovuti. Infine la difesa della regione sostiene che la disposizione circa i turni particolari è pienamente aderente alle vigenti norme che d e l resto non hanno carattere costituzionale.
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p;.;: In diritto L'alta corte ritiene che la propria decisione del 2 marzo 1951 sul ricorso del commissario dello stato avverso la regione per la legge 5 dicembre 1950 non può fare stato come un giudicato che preclude l'esame della nuova legge 27 giugno 1952, nonostante che la materia legislativa sia la stessa e identica ne sia la finalità che l'assemblea della regione ha voluto raggiungere, attenendosi alle indicazioni e alle valutazioni esposte nella decisione dell'alta corte nell'esame di quel ricorso. I1 riferimento a tale decisione non può eccedere i l carattere del richiamo a un precedente giurisprudenziale dell'alta corte sulla stessa materia. Nell'esame del primo motivo di ricorso circa la elencazione, la misura e l'estensione nel tempo delle varie esenzioni o riduzioni tributarie atte a favorire le imprese armatoriali nella Sicilia per la costruzione o l'acquisto di nuove navi, non si riscontra alcun eccesso nè eccezionalità turbativa del sistema tributario nazionale che potrebbe dar luogo a censura, ritenendolo già ammesso implicitamente o esplicitamente in precedenti decisioni di questa alta corte. Nè si ravvisano nel complesso delle suddette disposizioni tributarie, effetti che possano superare i limiti territoriali della regione siciliana. Nell'esame del secondo motivo del ricorso, circa le disposizioni degli artt. 8 e 9 della legge - se queste corrispondono di fatto ai criteri indicati nella decisione del 2 marzo 1951, e se sono per sè bastevoli ad eliminare il pericolo di creare in Sicilia società armatoriali fittizie allo scopo di evadere il pagamento degli oneri fiscali corrispondenti - bisogna distinguere il carattere delle esenzioni tributarie che vi si riferiscono. La prima e principale è la esenzione da ricchezza mobile per dieci anni per i redditi prodotti dalle navi di nuova costruzione in cantieri nazionali o provenienti da bandiera estera che non siano state mai iscritte nelle matricole o nei registri nazionali r, appartenenti ad imprese armatoriali aventi i requisiti prescritti (art. 8). Per questo capo non sono esenti i redditi prodotti da altre navi comunque appartenenti alla stessa impresa. La limitazione è diretta a due fini, quello di aumentare
i l volume del naviglio appartenente ai compartimenti marittimi della regione, e l'altro di fissare tale nuovo naviglio a servizi interessanti l'economia siciliana. A raggiungere questo secondo scopo sono state imposte varie condizioni congiuntamente concorrenti, in modo che la mancata osservanza di una sola condizione fa cadere nel nulla le agevolazioni fiscali attribuite sia alle navi di cui all'art. 1 e sia all'impresa come tale nei successivi articoli 2, 3, 4, 5, 6 e 7. Fra queste condizioni intese a localizzare in Sicilia l'esistenza e gli interessi dell'impresa, oltre che questa vi abbia (a) la principale ed effettiva sede legale, la sede amministrativa e quella di armamento, e ove ne possieda i principali magazzini, depositi e attrezzature accessorie, è prescritto che (b) tutte l e navi di proprietà dell'impresa siano iscritte nei compartimenti marittimi della regione e che ( C ) l'impresa utilizzi i porti della regione come centro della propria attività armatoriale. I n questa condizione si trova la piescrizione che l'impresa faccia normalmente scalo nei porti siciliani, in relazione alla natura dell'attività medesima. Quel normalmente si riferisce a tutte le navi vecchie e nuove, precisando la normalità dei servizi e impegni gravitanti nell'isola. I n correlazione con i fini della legge per quanto concerne l'esenzione dalla ricchezza mobile prevista all'art. 1 per i redditi prodotti dalle navi indicate nello stesso articolo, tale esenzione riguarda i redditi che sono prodotti da ciascuna d i dette navi in dipendenza del traffico collegato con i porti della Sicilia. I vantaggi fiscali indicati negli articoli dal 2 al 7 vanno alle imprese che hanno adempiuto a tutte le condizioni di legge, e non differiscono dai vantaggi già attribuiti dalla regione alle imprese industriali che si installano in Sicilia. La estensione fatta dall'art. 9 per l'esercizio delle industrie connesse alla pesca quando costituiscano nella regione impianti fissi per la lavorazione del prodotto a condizione che tutte le loro navi siano iscritte nei compartimenti marittimi della Sicilia, entra nel quadro delle agevolazioni industriali. Non sembra pertanto fondata la preoccupazione della creazione in Sicilia di società armatoriali fittizie, data la concorren-
za delle condizioni d i cui sopra, fra le quali, oltre la sede armatoriale, vi è la iscrizione i n Sicilia d i tutte le navi appartenenti alla impresa e la obbligatorietà degli scali normali in Sicilia.
I1 fatto normale può ammettere qualche eccezione, non mai l'anormalità che sarebbe contraria allo spirito e alla lettera della legge. La capacità della Sicilia a meglio sviluppare l'economia connessa alla industria armatoriale, e ad essere recettiva dell'influsso dell'armamento nella sua economia produttiva, non può essere messa i n dubbio e si deduce, data la insularità della regione, dalla posizione centro-mediterranea e dalla tradizione armatoriale anche del recente passato. La eventualità d i imprese fittizie può essere denunziata e colpita in ogni caso sia dalle autorità regionali sia dagli stessi agenti fiscali. La questione sollevata circa la disposizione e ) dell'art. 8, riguarda l'obbligo del turno particolare comprendente le caiegorie di marittimi degli equipaggi della nave per la quale sono chiesti i benefici d i legge. Essendo tale obbligo subordinato all'adempimento delle limitazioni imposte dalle norme di carattere nazionale sul collocamento della gente d i mare, la questione medesima non ha consistenza; comunque non è materia d i esame d i legittimità costituzionale.
L'alta corte rigetta il ricorso del commisiario dello stato contro la legge approvata dall'assemblea regionale siciliana il 27 giugno 1952 concernente « Provvedimenti per lo sviluppo delle attività armatoriali della regione ». (Atti dell'dlta Corte per la Regione Siciliana, vol. 11, pp. 937-941).
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- DECISIONE 12 MAGGIO 1953 -
1 GIUGNO 1954
S U L RICORSO DEL
COMMISSARIO DELLO STATO CONTRO LA LEGGE APPROVATA DALL'ASSEMBLEA REGIONALE IL 27 MARZO 1953, CONCERNENTE: « Approz;azio.m dei ruoli organici dell'amministrazione regionale D.(*)
I n fatto L'assemblea regionale siciliana approvò con legge 27 marzo 1953 i ruoli organici dell'amministrazione regionale. Si tratta di una legge d i 31 articoli, con tabelle dalla lettera « A » alla lettera « H », che provvede alla sistemazione nei ruoli organici definitivi del personale di ruolo in servizio presso l e amministrazioni centrali della regione. Questa legge, comunicata al commissario dello stato il 30 marzo 1953, f u da questi impugnata con ricorso 3 aprile 1953. I1 ricorso, dopo aver censurato la legge nel suo complesso, i n quanto emanata con violazione dell'art. 43 dello statuto siciliano e della VI11 disposizione transitoria della costituzione e addirittura viziata da eccesso di potere, investe specificatamente alcune norme particolari. Gli artt. 3 e 4 sono denunciati come illegittimi ~ e r c h ènon spetta alla regione disciplinare la facoltà d'opzione del personale statale che preferisca passare alle dipendenze della regione. L'art. 19 è del pari considerato illegittimo perchè consente all'amministrazione regionale di valersi dell'opera di dipendenti dello stato in posizione di comando o di distacco ed invade i n tal modo la competenza dello stato. L'iscrizione di 30 ispettori di grado superiore al V nei ruoli organici dell'amministrazione regionale (artt.2-29), il trattamento economico del personale iscritto nei ruoli regionali che di fatto risulta superiore a quello della maggior parte degli impiegati statali di pari grado (art. 28) ed altre disposizioni in materia di inquadramento e di agevolazioni ai capi delle famiglie numerose (art. 15) sono censurati come costituzionalmente illegittimi
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(*) Perassi presidente Bracci relatore - Sturzo estensore - Eula p n h blico ministero. Ricorso del commissario dello stato contro la regione siciliana.
perchè inconciliabili col principio posto dall'art. l dello statuto siciliano che impone la coordinazione dell'organizzazione regionale con quella statale per assicurare e preservare l'unità della nazione. La regione ha contestato il fondamento del ricorso sostenendo che la legge regionale impugnata non ha esorbitato dai limiti della competenza regionale esclusiva e che è stata il logico e necessario completamento delle leggi preesistenti non impugnate o riconosciute costituzionalmente legittime in seguito all'impugnazione. All'udienza 17avv. Cesare Arias per i l commissario dello stato e l'avv. Antonio Sorrentino per la regione siciliana hanno insistito rispettivamente sui motivi del ricorso e sulle eccezioni già illustrate in memoria scritta. I1 procuratore generale dott. Eula ha concluso per l'accoglimento del ricorso.
In diritto Non è dubbio che l'ordinamento degli uffici e la disciplina dello stato giuridico ed economico degli impiegati e funzionari della regione sono materia di competenza esclusiva regionale. Perciò è del tutto legittimo che la legislazione regionale dia una disciplina all'organizzazione centrale della regione ; ciò può avvenire sia in via provvisoria e per settori particolari, come è accaduto nel passato, sia in via definitiva e generale come nel caso della legge impugnata. Quest'alta corte ha già avuto occasione di rilevare, quanto alla legittimità costituzionale, che in tale materia la legislazione regionale incontra soltanto i limiti delle leggi costituzionali dello stato fra le quali non è da comprendersi la disposizione VI11 della costituzione perchè i rapporti transitori relativi alla Sicilia furono regolati da117art. 43 dello statuto, che riconobbe ad una speciale commissione paritetica i l potere normativo in materia di passaggio del personale dagli uffici dello stato agli uffici della regione. Non può sostenersi fondatamente che la legge impugnata abbia violato l'art. 43 dello statuto. Difatti, questa legge sui ruoli organici dell'amministrazione regionale ha la sua ragion
d'essere e si giustifica indipendentemente dalla partecipazione dello stato alla disciplina transitoria prevista dall'art. 43 dello statuto, sia perchè la regione ha un personale proprio già in servizio, sia perchè la norma dell'art. 43 influisce sulla efficacia della legge regionale, ma non limita i l potere legislativo regionale ex art. 14, lettere p) e q), dello statuto. Vale a dire che, non essendo la legge regionale fonte di doveri per l'amministrazione dello stato in quanto la sua efficacia non può superare l'ambito regionale, la disciplina sancita dalla legge regionale sui ruoli organici non potrà essere applicata al personale statale senza che siano emanate conformi norme paritetiche o senza che lo stato abbia proweduto, a sua volta, unilateralmente nelle forme di legge: ciò, del resto, è espressamente riconosciuto dalla legge impugnata (art. 4). Questa limitata efficacia della legge regionale potrà magari giustificare le censure d'inopportunità, tenuto anche conto dell'annunciata riforma statale della burocrazia, ma non tocca la legittimità costituzionale della norma perchè le censure d'intempestività e di inopportunità hanno rilevanza soltanto politica e sfuggono alla competenza di quest'alta corte. Percib l'impugnazione della legge nel suo complesso per violazione della disposizione VI11 della costituzione e dell'art. 43 dello statuto è destituita di fondamento. Neppure può parlarsi d'eccesso di potere, come adombra il ricorso del commissario dello stato, perchè quest'alta corte ritiene, conforme alla propria giurisprudenza, che questo vizio caratteristico della causa degli atti amministrativi non possa essere esteso al campo d'illegittimità costituzionale. Del pari infondate sono le censure particolari. L'art. 3 che fissa un termine di 6 mesi per l'opzione dei dipendenti statali a favore dei ruoli regionali e l'art. 4 che richiede i l nulla-osta dell'amministrazione di provenienza per l'inquadramento del personale optante non sono norme illegittime, come afferma i l ricorrente, in quanto invadono il campo della legislazione statale: sono piuttosto norme la cui efficacia è condizionata all'adesione dello stato, come altra volta questa alta corte ebbe a pronunciare; e quindi legittime sotto tale profilo.
Lo stesso può dirsi riguardo al motivo di impugnazione dell'art. 19 della legge regionale che sarebbe illegittimo perchè consentirebbe i comandi dei dipendenti statali presso l'amministrazione regionale, regolando in tal modo una materia che è d i competenza legislativa statale e contro i principi delìa stessa legislazione statale che normalmente non consente i comandi. Ma anche in questo caso, evidentemente, si tratta di norma destinata a rimanere priva di efficacia qualora manchi i l consenso statale e diretta a disciplinare i comandi del personale statale soltanto per ciò che attiene a l potere della regione di valersene e non anche per l'obbligo statale di concederli. Infine, il ricorso dello stato lamenta la violazione dell'art. l dello statuto in quanto l'iscrizione nei ruoli organici di 30 ispettori di grado superiore al V, il trattamento economico superiore a quello dello stato e altre disposizioni relative all'inquadramento costituirebbero un « precedente pericoloso a e si allontanerebbero talmente dai lineamenti fondamentali della pubblica amministrazione da violare il principio dell'unità politica dello stato. Quest'alta corte, pur riconoscendo che nella retta applicazicine dell'art. 1 dello statuto siciliano riposano le maggiori garanzie contro ogni esorbitanza della autonomia regionale che possa costituire u n pericolo per l'unità dello stato, non ritiene che le ripercussioni d i fatto che una disciplina regionale può causare nella vita dello stato unitario debbano essere considerate abnormi e addirittura illegittime. La mancanza di « unità di indirizzo » nell'organizzazione statale e nell'organizzazione regionale, la diversità dei criteri informatori dei ruoli statali e dei ruoli regionali, le facilitazioni ai capi delle famiglie numerose sono una conseguenza dell'autonomia regionale e, lungi dal rivestire caratteri d'illegittimità costituzionale, sono manifestazioni del normale £unzionamento della autonomia della regione che si esprime con discipline tanto più diverse da quelle dello stato quanto più la materia è riservata alla competenza della legislazione regionale, che nel caso è esclusiva.
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L'alta corte respinge il ricorso proposto dal commissario dello stato avverso la legge regionale 27 marzo 1953 recante « approvazione dei ruoli organici dell'amministrazione regionale n. (Atti dell'Alta Corte per la Regione Siciliana. vol. 11. pp. 1079-1082).
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- DECISIONE6 OTTOBRE
1954
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11
DICEMBRE
1954
SUL RICORSO
DEL COMMISSARIO DELLO STATO CONTRO LA LEGGE APPROVATA
Indennità di funzione ai sindaci ed agli assessori comunali D. ($1 In fatto .
I1 commissario dello stato ha impugnato nei termini legali la legge approvata dall'assemblea regionale in data 10 dicembre 1953, legge che ha per oggetto: « Indennità di funzione ai sindaci ed agli assessori comunali », per i seguenti motivi: 1) violazione dell'art. 81 della costituzione, per avere stabilito che la indennità spetta indipendentemente dalle condieioni finanziarie del comune; 2) violazione dell'art. 15 dello statuto per avere legiferato sulla finanza locale, nella quale materia la legge regionale deve rispettare i principi od interessi generali cui si informa la legislazione dello stato; 3) violazione dell'art. 53 della costituzione e dei principi in materia tributaria per la esenzione delle previste indennità da ogni onere verso la pubblica amministrazione; 4) per avere stabilito la non cedibilità, i n ~ e ~ u e s t r a b i l i t à e impignorabilità della indennità di cui trattasi, attribuendo per essa i privilegi che, per la legge dello stato 5 gennaio 1950, n. 180, sono riservate agli stipendi, salari e assegni per prestazione di lavoro. Resiste il presidente della regione a tale ricorso, affermando:
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f*) Perassi presidente Stnrzo estensore - Eula pubblico ministero. Ricorso del commissario dello stato contro la regione siciliana.
1) non essere applicabile a l caso l'art. 81 della costituzione, non trattandosi d i nuova spesa, ma del come disciplinare una spesa prevista dalla legge; 2) non essere violato l'art. 15 dello statuto, trattandosi d i provvedimento che rientra nella materia dell'ordinamento ,dei comuni previsto dallo stesso articolo come competenza esclusiva della regione; 3) perchè la indennità di funzione per sindaci ed assessori è assimilabile a quella parlamentare che non è soggetta ad oneri tributari ; 4) perchè l'estendere, a l caso in esame, i privilegi previsti dalla legge 5 gennaio 1950, n. 180, per le ragioni indicate a l primo articolo della legge regionale, non viola i principi generali cui si informa la legislazione dello stato. I1 procuratore generale ha concluso per l'accoglimento del ricorso.
In diritto Si osserva che il legislatore regionale ha inteso facilitare l'esercizio delle funzioni di sindaco, d i assessore anziano e, per i comuni capoluoghi di provincia, anche di assessore municipale, a quella categoria di cittadini che, traendo dal lavoro professionale o da arti e mestieri e altri servizi impegnativi, i mezzi di sussistenza, avrebbero diacoltà, senza una più O meno compensativa indennità, ad accettare tali cariche. Da qui una nuova configurazione delle facoltà dei comuni di deliberare le indennità previste, non più in relazione alle condizioni di bilancio, ma alle condizioni subbiettive delle persone preposte a detti &ci. Aderente alla logica del prowedimento risulta la insindacabilità nel merito della deliberazione del consiglio comunale di adottare tale provvedimento per casi individuali, se il bilancio sia in deficit; fermo restando per i comuni il cui bilancio non sia deficitario, l'art. 7 del testo unico approvato con decreto del presidente della repubblica del 5 aprile 1951, n. 203. La conseguenza che il legislatore regionale ha tratto da tale impostazione è duplice: la spesa ha la figura della indennità di carica, la finalità della spesa dal punto d i vista subbiettivo, ha la figura di compenso per mancato pro-
vento dal lavoro professionale; per il primo aspetto la indennità non è soggetta a onere fiscale; per il secondo aspetto non è cedibile, nè pignorabile o sequestrabile. I1 primo motivo di ricorso (violazione dell'art. 81 della costituzione) non è attendibile, perchè l'assemblea regionale non ha deliberato una spesa senza copertura in un dato esercizio della regione, ma ha riconosciuto la facoltà dei consigli comunali di iscrivere nei propri bilanci, anche se deficitari, una spesa che potrà in casi specifici essere ritenuta necessaria. È questo il carattere di tutte le spese obbligatorie per legge, sia in forma assoluta, sia in forma condizionata: spese per Io stato civile; spese per gli uffici giudiziari; spese per l'igiene pubblica; spese per la scuola e così di seguito; delle quali spese in concreto è l'amministrazione comunale a dover deliberare indipendentemente dalla consistenza attuale del bilancio, ricorrendo, se del caso, a mezzi straordinari o a mutui di pareggio da tempo ammessi dalla legislazione statale. I1 secondo motivo (violazione dell'art. 5 dello statuto nei riguardi della finanza locale) anch'esso non è attendibile per mancanza di materia, non avendo l'assemblea regionale, nel caso in esame, legiferato sulla finanza locale e norme connesse. La facoltatività o l'obbligatorietà di una spesa è materia di ordinamento amministrativo; questo precede, non segue l'ordinamento finanziario. Alla ricerca delle entrate precede il riconoscimento o meno della obbligatorietà della spesa, perchè per il funzionamento dell'ente, sono necessari i mezzi ad attuare i servizi che la legge o la tradizione o la natura stessa dell'ente impongono nell'interesse degli abitanti di quel determinato territorio. Fra i servizi, quello amministrativo-direttivo responsabile di fronte al consiglio comunale e all'elettorato locale non può essere escluso. Pertanto, la regione ha il diritto e il dovere di dettare norme sull'ordinamento comunale, proprio in base all'art. 15 dello statuto. In proposito sarà bene tener presenti le decisioni di questa alta corte, pubblicate il 13 aprile 1951 e il 18 aprile 1952, nelle quali si rilevava la necessità di dare alla regione siciliana, sia pure gradualmente ma sopra un piano organico,
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- STnazo - S c r i t t i p i u ~ i d i c i .
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puell'ordinamento degli enti locali che la lettera e lo spirito dello statuto sanciscono in forma ampia e nuova. La presente legge, modesta nell'oggetto, dovrebbe far parte dell'ordinamento che si attende: l'avere limitato il controllo alla legittimità del deliberato risponde sia al disposto dello statuto che a quello della costituzione; è da augurare che le leggi relative a lale ordinamento non siano ancora troppo ritardate. La esecuzione tributaria della indennità prevista dalla legge impugnata non contrasta un principio dell'ordinamento dello stato clie riconobbe tale esenzione per i parlamentari; in ogni caso non può essere qualificata come costituzionalmente illegittima. IJa censura di illegittimità costituzionale delle disposizioni dcl secondo capoverso dell'art. 5 della legge regionale, in quanto materia d i legislazione che esorbita dai limiti segnati dall'art. 17 lett. f ) dello statuto, non è fondata, perchè l'assemblea regionale siciliana, adottando tale disposizione ha esercitato la competenza attribuita alla regione dall'art. 15 dello statuto circa l'ordinamento dei comuni. P. Q. M.
L'alta corte rigetta il ricorso del commissario dello stato avverso la legge regionale del 10 dicembre 1953 concernente l'indennità di funzione a i sindaci ed agli assessori comunali. ( A t t i tlell'Altri Corte per In Regione Siciliana, vol. IV, pp. 21-24,).
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- DECISIONE 9 NOVEMBRE 1954 - 6 GENNAIO 1955 SUL RICORSO DEI. IL D.L. 31 LUGLIO 1954, 534, CONCERNENTE: « Riordinamento degli emolumenti dovuti ai conservatori dei registri immobiliari ed al dipendente personale di collaborazione N.(*)
PRESIDENTE DELLA REGIONE CONTRO N.
In fatto I1 presidente della regione siciliana ha, nei termini statutari, impugnato i l decreto legge 31 luglio 1954, n. 534 e preci-
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(e) Perassi presidente Sturzo relatore Eula pubblico ministero. Ricorso del presidente della regione contro la presidenza del consiglio.
samerite il disposto dell'art. 2 con i l quale si dispone che sull'in. casso degli emolumenti fissati nella tabella allegata e attribuiti coll'art. 1 ai conservatori dei registri immobiliari e a l personale d i collaborazione, sia dovuto allo stato u n contributo in misura graduale dal 10 a l 60 per cento, le cui modalità d i calcolo sono fissate all'art. 3. I1 ricorrente afferma che gli artt. 2 e 3 violano il diritto della regione alla percezione di detto contributo, perchè il disposto dell'art. 36 dello statuto riserva allo stato solamente le imposte d i produzione e le entrate dei monopoli dei tabacchi e del lotto. I n appoggio al1,'applicazione di tali tesi al caso i n esame, i l ricorrente fa riferimento alla decisione d i questa alta corte del 7 dicembre 1951 18 marzo 1952. Si oppone la difesa dello stato, principalmente perchè i l contributo, che i conservatori dei registri immobiliari per la legge impugnata, sono obbligati a versare allo stato, non h a carattere di tributo, ma quello di compenso per rapporto di impiego fra lo stato e gli interessati; in linea subordinata, perchè la potestà d i riscossione d i tali diritti spetta ai conservatori quali dipendenti statali, salvo eventuale regolamento fra stato e regione siciliana, se questa avrà diritti da far valere.
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In diritto Il carattere pubblicistico delle disposizioni contenute negli artt. 2 e 3 del decreto legge 31 luglio 1954, n. 534 e relativa tabella allegata A non può essere messo in dubbio, trattandosi di servizio pubblico, quello della conservazione dei registri immobiliari, e del diritto dei cittadini a prenderne visione e a d ottenerne copie, certificati o quanto altro loro interessa, mediante una corresponsione di diritti dovuti allo stato. Se la legge, invece d i deporre l'intero versamento degli incassi alla te.soreria e il pagamento al personale d i tali uffici a mezzo d i mandati, attribuisce ai conservatori e al personale addetto una somma a limite insuperabile da prelevarsi dagli incassi, con l'obbligo di versare all'erario il rimanente. ciò non altera, n è modifica, il carattere d i imposizione pubblica che la legge istituisce e regola.
Questa è stata la giurisprudenza de117alta corte nel caso analogo della impugnativa regionale alla legge 17 luglio 1951, n. 575, nel classificare i casuali quali tributi, indipendentemente dallo scopo tenuto presente dal legislatore d i compensare speciali lavori e servizi del personale impiegatizio. Con la decisione del 7 dicembre 1951 18 marzo 1952, la alta corte, pertanto, riconobbe alla regione il diritto d i riscuotere e gestire tutte le entrate di propria spettanza, quale ne fosse la destinazione libera e vincolata, tranne le imposte d i produzione e le entrate dei tabacchi e del lotto riservate allo stato dall'art. 36 dello statuto. Ma mentre la legge del 17 luglio 1951. imponeva alle regioni l'obbligo di versamento allo stato della trattenuta sui mandati, per cui questa alta corte, accogliendone il ricorso, annullò tale disposizione nei riguardi della regione siciliana; nella presente legge non è stato fatto alcun riferimento espresso alla regione siciliana che possa essere ritenuto quale violazione dell'art. 36. Questo basta ad eliminare qualsiasi dubbio sulla portata della legge, non essendo necessario che nelle singole leggi statali vengano ricordati, volta per volta, i diritti delle regioni a statuto speciale, diritti che per il carattere costituzionale di tali statuti si intendono salvi e rispettati dalle leggi ordinarie. Tale principio è stato più volte affermato da questa alta corte, specialmente con la decisione del 9 luglio 1948 - 1 3 gennaio 1949 sul ricorso del presidente della regione contro il D.L. 15 d'lcembre 1947, n. 1418 concernente disposizioni per il credito alle piccole e medie industrie, riconoscendone salvi i diritti e rispettate le competenze degli organi regionali stabilite dallo statuto. Pertanto, la regione non ha interesse a117impugnativa i n esame essendo salvo il diritto a percepire dai conservatori dei registri immobiliari della Sicilia la percentuale d i contributo che il decreto-legge impugnato, modificato dalla relativa legge d i ratifica, attribuisce allo stato, e nessuna disposizione vi è contenuta che limiti il diritto della regione alle modificazioni che l'assemblea riterrebbe necessario introdurvi.
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L'alta
corte dichiara inammissibile per mancanza di inte-
resse il ricorso della regione contro il decreto legge 31 luglio 1954, n. 534. (Atti dell'Alta Corte per la Regione Siciliana, vol. IV, pp. 121-123).
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- DECISIONE 21 LUGLIO 1955 - 4 OTTOBRE 1955 S U L RICORSO
DEL
16 GIUGNO 1955 CONCERNENTE: C Ordinamento amministrativo degli enti locali nella regione siciliana D. (*) COMMISSARIO DELLO STATO AVVERSO IL D.L.P. REGIONE
In fatto I n seguito alla legge regionale del 18 marzo 1955, n. 17, non impugnata, con la quale veniva delegata al governo regionale la potestà d i emanare norme per il nuovo ordinamento degli enti locali, il presidente della regione, nei termini e nellc forme fissate d a detta delega, adottò il 16 giugno 1955 il decreto legislativo di approvazione delle norme sul nuovo ordinamento amministrativo degli enti locali nella regione siciliana » che, vistate dall'assessore regionale per gli enti locali, sono allegate al decreto stesso. Le norme approvate sono formulate in 274 articoli distribuiti in nove titoli: 1) il comune e la provincia regionale; 2) commissione provinciale di controllo; 3) l'amministrazione comunale ; 4) l'amministrazione provinciale ; 5) disposizioni cornuni alle amministrazioni dei comuni e delle provincie; 6) i consorzi di servizi fra comuni e provincie; 7) impiegati e salariati dei comuni, delle provincie e dei consorzi; 8) responsabilità degli amministratori, degli impiegati, di chi maneggia pubblico denaro, azione popolare; 9) disposizioni finali e transitorie. I1 commissario dello stato ha ricorso a quest'alta corte per le violazioni costituzionali che egli h a riscontrato nei seguenti articoli : 1. Gli articoli 12-23 e quelli che vi sono connessi circa la
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(*) Perassi presidente Sturzo relatore - Eula pubblico ministero. Ricorso del commissario dello stato contro la regione siciliana.
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costituzione delle provincie regionali, per violazione degli articoli 114, 118, 128 e 133 della costituzione che prevalgono sull'art. 15 dello statuto in quanto applicabile; 2. L'articolo 24 e seguenti che vi sono connessi riguardanti le commissioni provinciali di controllo, per la violazione dell'art. 130 della costituzione e, per i riflessi di illegittimità, degli articoli 5 della costituzione e lodello statuto riguardanti l'unità della repuhhlica e l'unità politica dello stato; 3. Gli artt. 45 e 58 circa la competenza dei consigli e delle giunte comunali per la difformità delle disposizioni in confronto all'art. 131 del T.U. della legge comunale e provinciale 4 febbraio 1915 e dal T.U. regionale del 9 giugno 1954. LO stesso motivo è addotto per gli artt. 145, n. 11 e 136, n. 8 del citato decreto riguardo i consigli e le giunte provinciali: nonchè per la violazione del principio democratico dell'avocazione da parte dei consigli comunali e provinciali delle materie d i competenza degli organi esecutivi; 4. Gli articoli delle disposizioni finanziarie 259, 260, 261, 263 e 265 perchè eccedenti i limiti della normale applicazione dell'art. 36 dello statuto; gli articoli 259 e 265 circa gli sgravi ai comuni degli oneri che la legge loro assegna per servizi statali, perchè interferiscono nei rapporti fra stato, provincia e comune, violandosi gli artt. 119 della costituzione e L4 15 e 36 dello statuto; gli articoli 260, 263 e 266 circa l'assegnazione del gettito dell'imposta e sovraimposta fondiaria, in contrasto con le disposizioni vigenti in materia, per la violazione degli artt. 1, 14, 15 e 36 dello statuto, nonchè del decreto legislativo 12 aprile 1948, n. 507; l'art. 261 che rimanda ad una legge regionale la fissazione annuale della aliquota della sovrimposta comunale, perchè viola l'autonomia comunale d i cui agli artt. 119 della costituzione e l e 15 dello statuto, nonchè l'art. 113 della costituzione; l'articolo 3, che dichiara obhligatoria l'imposta sugli animali eaprini, già soppressa dall'art. 20 del decreto legislativo luogotenenziale de11'8 marzo 1945, n. 62, per violazione del principio dell'autondmia dei comuni; 5. Gli artt. 3, 7, 8. 9. 48, 52, 55, 68. 139, 212. perchè non conformi ai poteri dati dalla legge delega del 18 marzo 1955, n. 17, violando sotto tale aspetto l'art. 76 della costituzione;
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6. I1 titolo VI1 (artt. 216 245) circa lo stato giuridico degli impiegali comunali C provinciali, perchè la materia non è contemplata nella legge delega; 7. L'art. 119 e il titolo VI11 (dall'art. 246 all'art. 256) riguardo le responsabilitĂ amministrative e contabili sia percliè tale materia non è contemplata nella legge delega e pertanto non si giustificano alcune divergenze con la legge vigentc, sia anche perchè le disposizioni degli artt. 246, 250 e 257 sono divergenti dal vigente ordinamento tanto giurisdizionale che processuale, la cui competenza normativa non appartiene alla regione ; 8. Ă&#x2C6; anche denunziato, per difetto di delega e per violazione di legge, l'art. 271 che attribuisce all'assessore per gli enti locali le competenze transitoriamente assegnate agli organi regionali dal D.L. 30 luglio 1947, n. 567, in relazione al D.L. 22 febbraio 1946, n. 123, relativamente ad alcuni gradi di segretari comunali e provinciali. Al ricorso del commissario dello stato resiste il presidente della regione siciliana eccependo pregiudizialmente la improponibilitĂ del ricorso per non essere stata impugnata la legge delega del 18 marzo 1955, n. 17 e, in via subordinata, la non ammissibilitĂ dei motivi di illegittimitĂ riscontrati negli artt. 12 e 19 delle dette norme per la violazione tanto degli articoli 114 e altri della costituzione, quanto dell'art. 15 dello statuto perchè tali motivi reciprocamente si elidono; e sostenendo nel merito la legittimitĂ delle suddette norme. I motivi controversi sono stati, dalle due parti, confermati e illustrati i n udienza.
In diritto
1. - Non è da ritenere fondata la eccezione di improponibilità del ricorso del commissario dello stato contro le norme sull'ordinamento amministrativo degli enti locali nella regione siciliana, approvate con decreto legislativo dal presidente della regione i n data 16 giugno 1955 che attuano disposizioni asserite, oggi, incostituzionalmente, della delega del 18 marzo 1955, n. 17, per il fatto che non fu impugnata in termini. Questa alta corte riconosce nel ricorrente il potere di impugnare la legge delega (che poteva anche non essere promulgata nei termini
fissati dal delegante) per presentare unico ricorso tanto per i motivi attinenti alla legge delega quanto per gli altri motivi attinenti alla legge delegata. All'uopo i l commissario dello stato poteva anche riferirsi al disposto del capoverso dell'articolo primo della legge delega, con il quale l'assemblea regionale delegava il governo della regione a promulgare la legge delegata con le modificazioni conseguenti ad una eventuale sentenza di questa alta corte. I n ogni caso, essendo la legge delegata il testo che per la sua efficacia erga omnes ha valore definitivo, la dipendenza d i essa dalla legge delega non può portare, nel caso d i mancata impugnativa della delega nei termini statutari, alla preclusione del ricorso avverso le norme approvate col D.P. d i cui sopra.
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L'eccezione processuale, sollevata in udienza da parte 2. della difesa della regione circa la contraddittoria precisazione del motivo di illegittimità degli artt. 12 e 19 della legge delegata, per il fatto che denunziando la violazione degli artt. 114. 118. 128, 129 e 133 della costituzione non vi era luogo, logicarucnte, ad assumere la contemporanea violazione dell'articolu 15 dello statuto, non viene attesa da questa alta corte; perchè il commissario dello stato, nello svolgere i vari argomenti in sppoggio a l ricorso, mette in correlazione gli articoli sopra citati della costituzione e l'art. 15 dello statuto e cerca di darne una jnterpretazione creduta coerente, insistendo sul punto d i vista dell'interferenza statale esistente in Sicilia. Sta d i fatto che nel ricorso del commissario dello stato è indicato l'articolo 15 dello statuto della regione siciliana fra le disposizioni costituzionali che si affermano violate. Ciò è sufficiente perchè il giudice costituzionale esamini se e per quali ragioni con la legge impugnata si siano violate le disposizioni costituzionali sopraindicate.
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3. ~ a s s a n d ba l merito del ricorso avverso il decreto presidenziale 18 giugno 1955, il primo motivo si riferisce al complesso d i disposizioni sulla « provincia regionale » a partire dall'art. 12 fino all'art. 23. La motivazione del commissario dello stato circa la violazione degli artt. 114: 118, 128, 129 e 133 della costituzione contenuta nei citati articoli non è attendibile,
perchè i detti articoli della costituzione non sono applicabili per la Sicilia date le speciali disposizioni degli articoli 15 e 16 dello statuto, che facendo parte delle leggi costituzionali della repubblica a i sensi e per gli effetti dell'art. 116 della costituzione (legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 2) prevale, per u n principio generale, sulle disposizioni diverse della stessa costituzione. I n tale senso si pronunziò quest'alta corte con la decisione del 20 marzo 13 aprile 1951. riguardo la competenza esclusiva della regione siciliana circa l'ordinamento dei comuni. Cade pertanto il motivo principale del ricorso su questo punto. I1 rillievo che la istituzione delle provincie regionali possa interferire nell'ordinamento statale dà motivo al commissario dello stato d i prospettare anche la violazione dell'art. 15 dello statuto nel ricostruire le provincie sotto il titolo d i provincie regionali. Si premette che il disposto dell'art. 15 dello statuto sostituisce alle circoscrizioni provinciali e relativi organi ed enti, i liberi consorzi dei comuni. Tali consorzi non possono non avere origine dalla volontà dei rappresentanti comunali, ai quali spetterebbe precisare le finalità, i mezzi, gli organi p u r nel quadro d i una legge regionale, mentre le provincie regionali, sia pure con la definizione legislativa d i liberi consorzi, sono istituite dalla regione per legge che ne definisce i caratteri, i fini, gli organi, e ogni altro elemento istituzionale. L'unica facoltà lasciata ai comuni è quella d i potere riunirsi, sotto date condizioni e formalità, in nuove provincie, e quella d i poter passare da una provincia all'altra. Si tratta d i una notevole facoltà, d i e però lascia intatto l'ordinamento prestabilito e non dà modo di instaurare il libero consorzio. I1 legislatore regionale, nel risolvere i l problema della sistemazione degli organi d i decentramento regionale e quelli dei controlli, non poteva non tener conto dello stato attuale dei servizi affidati alle provincie che lo statuto siciliano dichiara soppresse e che i n realtà da nove anni funzionano. Onde, con l'art. 24 della legge delega venne statuita la costituzione d i nove liberi consorzi quali provincie regionali ( i l nome non h a importanza) corrispondenti alle attuali circoscrizioni provinciali. Questa che poteva essere una necessaria disposizione transitoria
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a termine fisso, completata da norme d i passaggio dall'atiuale sistema al futuro sistema di liberi consorzi, divenne disposizione fondamentale delle nuove provincie siciliane. I n sostanza: la violazione costituzionale che l'alta corte ritiene essere contenuta negli articoli in esame è limitata al carattere non consortile della provincia regionale; ogni altra disposizione. clie d e r i ~ adalla mancata creazione del libero consorzio dei comuni, cade perciò sotto la stessa censura. per cui gli articoli del capo 11: « la provincia regionale » dal 12 al 2 3 , nella formulazione attuale non possono ritenersi come rispondenti alla lettera e allo spirito dell'art. 15 dello statuto. Alla coordinazione delle varie disposizioni connesse agli articoli 12 e 23 chc di conseguenza decadono. potrà provvedersi in base al capoverso dell'articolo lodella legge delega.
4. - La censura del commissario dello stato sul titolo secondo, commissione provinciale di controllo », è basata sull'art. 130 della costituzione, che il commissario dello stato ritiene applicahile alla regione siciliana, mentre per il caso in esame, prevale l'art. 15 dello statuto, per i motivi sopra esposti. La legge 10 febbraio 1953, n. 62, citata dal ricorrente. regola il controllo degli enti locali da parte delle istituende regioni a carattere ordinario. La disnosizione dell'art. 24 della legge in esame, secondo la quale la commissione provinciale di controllo, costituita con decreto del presidente della regione ed avente il carattere di organo della regione. comprende (n. 2) cinque membri eletti dal consiglio provinciale, sfuggirebbe alla censura del ricorrente perchè tali membri non sarebhero, come egli ritiene, rappresentanti di un ente soggetto al controllo della costituzione, ma s o l a i n ~ n t e eletti (confrontare il T.U. della legge comunale e provinciale del 1915, art. 10, circa la nomina di quattro membri rffettivi e due supplenti della giunta provinciale amministrativa da parte del consiglio provinciale). A modificare tale disposizione con altra a carattere transitorio (dato il riferimento al consiglio provinciale che viene messo per la censura d i cui sopra), si potrà provvedere in base al capoverso dell'art. 2" della legge delega. (C
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5. La censura di illegittimità proposta dal ricorrente agli articoli 45 e 48 circa la competenza del consiglio comunale e della giunta comunale non h a base, perchè la competenza legislativa della regione siciliana in materia è esclusiva. I1 principio dell'unità statale d i cui agli articoli 5 della costituzione e lo dcllo statuto non è violato da alcuna delle diversità d i competenza delle giunte e dei consigli comunali previste dalla legge in esame. Sarà bene notare, a proposito dell'art. 5 della costituzione, varie volte citato dal commissario dello stato, che tale articolo riferendosi, oltre che al decentramento, alle autonomie locali, non può essere interpretato come se queste non fossero vere autonomie. Dice il testo: « La repubblica una e indivisiadegua i prinbile riconosce e promuove le autonomie locali cipi e i metodi della sua legislazione alle esigenze dell'autonomia D. Diversità sia fra gli statuti delle quattro regioni a statuto speciale sia degli statuti stessi con le leggi statali e con la costituzione, che rispondono alla fondamentale norma dell'art. 5, e pertanto non incidono nè possono incidere sulla unità e indivisibilità della repubblica.
...
6. - L'illegittimità rilevata dal commissario dello stato per le disposizioni finanziarie contenute agli articoli 256, 260, 261, 263, 264 e 266 e all'articolo 3 della legge in esame. è hasaia sull'articolo 36 dello statuto e sulle decisioni d i quest'alta corte riguardanti l a portata del disposto statiitario. I n via preliminare, si osserva che la potestà della regione a legiferare sulla materia delle finanze dei comuni e dei consorzi dei comuni deriva dall'art. 15 dello statuto, col quale si riconosce a i coinuni e ai liberi consorzi dei comiini « l a più ampia autonomia amministrativa e finanziaria » spettando alla regione, « nel padre d i tali principi generali a , la legislazione esclusiva e l'esecuzione diretta i n materia d i circoscrizione diretta, ordinamento e controllo. I n tale senso fu deciso da cpest'alta corte in data 28 marzo 18 aprile 1952. n) La censura del commissario dello stato all'art. 259, per il quale la regione si assume l'onere gravante sui comuni per i servizi elencati in detto articolo. non è attendibile, non essendo con ciò violata nessuna norma costituzionale. Non vi
è dubbio che la locuzione « onere » usata nel primo comma dell'articolo 259 significa onere di spesa, come del resto risulta dalla frase « in quanto importino un effettivo aggravio d i spesa », che segue nella stessa disposizione. Questo però non ha ripercussione sui rapporti fra stato e comuni, per quanto concerne l'esecuzione dei servizi statali demandati ai comuni. 11 corrispondente articolo 264, circa gli sgravi delle provincie regionali. cade per mancanza di soggetto, finchè non verranno adottati i provvedimenti legislativi circa i liberi consorzi dei comuni; a meno che i l legislatore delegato non reputi opportuno disporre transitoriamente. in base all'art. 1" della legge delega, che di tali sgravi si avvantaggino le attuali amministrazioni provinciali.
b) L'art. 260 deve essere chiarito, il titolo porta « assegnazione ai comuni delle imposte e sovraimposte sui fabbricati non rurali 1); ma il testo dell'articolo si riferisce solo alle « imposte sui fabbricati non rurali n. Dato che nell'art. 262 (distribuzione della sovraimposta comunale) si fa riferimento a quella dei terreni, deve intendersi che la sovraimposta sui fabbricati non rurali rimane alla libera disposizione dei comuni e che la parola sovraimposta nel titolo sia stata una involontaria interpolazione. Ciò posto, nessuna censura di illegittimità costituzionale puì, farsi agli artt-. 260 e 263 della legge in esame, in quanto si tratta della volontaria assegnazione ai comuni e compartecipazione di questi al gettito annuale delle imposte sui fabbricati non rurali e dell'imposta fondiaria che per legge spetta alla regione. Gli articoli invocati dal commissario dello stato 1, 14, 15 e 36 dello statuto, non sono applicabili al caso; l'articolo 1 dello statuto sull'unità dello stato non può riguardare simile atto di larghezza della regione inteso a sollevare i bilanci dei comuni; i precedenti legislativi statali non mancano; è di recente la compartecipazione delle provincie e dei comuni alla imposta generale sull'entrata. I1 richiamo, poi, al decreto legislativo del 12 aprile 1948, n. 507 non ha base, perchè quel decreto non vincola, nè poteva vincolare, l'uso che delle proprie entrate viene fatto dalla regione in base allo statuto e ai propri bilanci annuali d i competenza.
c) La disposizione dell'art. 261, secondo la quale l'aliquota
delle sovraimposte comunali sui terreni è determinata annualmente con legge regionale, in modo uniforme per tutto i l territorio della regione, importa una trasformazione della sovraimposta comunale sui terreni, che cesserebbe d i essere u n tributo comunale deliberato dai singoli comuni. La detta disposizione, che contrasta con l'art. 3, n. 7, della stessa legge delega, dove è riconosciuta la potestà tributaria dei comuni a sovrimporre nei limiti d i legge alle contribuzioni dirette sui terreni e fabbricati, viola il disposto dell'art. l 5 dello statuto, che attribuisce ai comuni « la più ampia autonomia amministrativa e finanziaria D. L'illegittimità dell'art. 261 implica, d i conseguenza, l'illegittimità dell'art. 262, che specifica i l modo d i attuazione del disposto dell'articolo precedente. I vantaggi che i l legislatore regionale crede poter ottenere da u n sistema perequato e adottato per legge regionale, potrebber0 essere ottenuti, senza violazione d i u n principio così fondamentale nell'ordinamento locale, con la piena adesione dei liberi consorzi dei comuni all'iniziativa d i una legge regionale che ammetta gli stessi consorzi e relative rappresentanze a l controllo delle aliquote e del reparto, qualora veramente i consorzi lo richiederanno a nome dei comuni interessati. S) Infine, nessuna illegittimità si riscontra nell'art. 3 della legge delegata, riguardo la istituzione d i u n tributo comunale sugli animali caprini, sol perchè tale imposta sia stata soppressa coi1 D.L.L. de11'8 marzo 1945, n. 82; potendosi, per legge regionale, fare propria una legge statale decaduta. È inesatto dire che la regione non abbia alcun potere legislativo a disciplinare la finanza degli enti locali, mentre, come sopra è stato osservato, tale disciplina è materia del potere esclusivo della regione. Circa la doglianza dei limiti d i delega, quest'alta corte, per i motivi esposti a i numeri seguenti 7 e 8 della presente decisione, reputa che i l delegato non abbia, nel caso presente, sorpassato i limiti della legge delega.
7.
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Esaminando articolo per articolo le altre norme che il
commissario dello stato reputa illegittime perchè non conformi ai poteri d i delega, si nota quanto segue: a) Gli artt. 7 e 8 non presentano i profili di incostituzionalità denunziati dal commissario dello stato, perchè i l governo regionale, nel fissare a 3.000 il minimo d i abitanti p e r costituire u n comune nuovo, ha aggiunto il penultimo capoverso, disponendo che il minimo suddetto non debba ritenersi u n ostacolo se la costituzione d i u n nuovo comune venga suffragata d a ragioni topografiche economiche e sociali. E poichè tale istituzione, per l'art. 6 dovrà essere fatta con legge della regione, il titolo d i eccezionalità sarà coperto dall'atto legislativo che la consacra. b) Non si reputa esservi inosservanza della legge delega nella disposizione dell'art. 9 che assegna al potere esecutivo la rettifica d i confini come atti inerenti a sistemazione d i rapporti fra comuni interessati; la legge dà linee generali e, anche quando precisa delle norme, queste valgono come guida, ammettendo quei casi particolari che, nel sano criterio interpretativo, vanno risolti nell'armonia e nella logica interna della legge. Ma lo stesso articolo ha violato le norme della legge delega ( a r t . 6), omettendo i l disposto d i sentire i comuni interessati ed il consiglio di giustizia amministrativa. C) Non si reputano violazioni delle norme d i delega per le ragioni sopra esposte alla lettera b) le disposizioni degli artt. 48, 51 e 212 della legge in esame, circa i casi d i scioglimento del consiglio comunale, il numero dei' componenti della giunta e lo scioglimento dei consorzi fra comuni.
d) L'art. 55, capoverso, sulla revoca degli assessori e della giunta e l'art. 68 primo capoverso, riguardante la revoca del sindaco, non rispondono all'ultimo capoverso dell'art. 1 3 della legge delega e quindi debbono ritenersi illegittimi. e) L'art. 139, riferentesi al consiglio provinciale, non è operativo nella formulazione attuale.
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8. I1 commissario dello stato esamina anche varie disposizioni che, secondo la sua opinione, non si trovano incluse nei
poteri della delega. La mancanza di poteri di delega renderebbe nulle le norme stesse.
I casi indicati dal commissario sono i seguenti: a) Gli articoli da 216 a 245, trattano il rapporto d i pubhlico impiego dei dipendenti degli enti locali. Per quanto non si trovino disposizioni particolari della legge delega, non si può disconoscere che tale materia faccia parte dell'ordinamento degli enti locali, data la necessaria organicità del complesso legislativo. Lo stesso testo unico della legge comunale e provinciale include la materia in esame. Nel fatto, con poche insignificanti variazioni, gli articoli contestati riproducono l'ordinamento vigente. Non si reputa, pertanto, essere essi costituzionalmente censurabili.
b) Lo stesso è a dirsi dell'art. 119 e degli articoli del titolo V111 dal 246 a l 256, riguardanti le responsabilità, sia per la materia inclusa anch'essa nel T.U. della legge comunale e provinciale e facente parte dell'ordinamento degli enti locali, sia per la natura delle modifiche e aggiunte che non introducono elementi che possano prestarsi a censura costituzionale. A parte poi l'utilità della disposizione dell'articolo 250, i l diritto che si dà alla commissione provinciale di controllo d i promuovere l'azione d i responsabilità non merita particolare censura, ~ e r c h èl'articolo i n esame non altera la giurisdizione dei consigli d i prefettura. C)
Nè si riscontra nell'art. 257 l'illegittimità denunziata,
in quanto l'azione popolare non tocca nè modifica la materia processuale, solo riconosce nel cittadino i l diritto d i far valere le azioni ed i ricorsi che spettano ai comuni.
d ) La censura dell'art. 271 è fondata, perchè riguarda materia riferibile a l passaggio degli uffici e del personale d i cui all'art. 43 dello statuto; tale materia è stata regolata i n Sicilia, i n via transitoria, con il conferimento dei poteri dell'alto commissario a l presidente della regione e alla giunta regionale, avvenuto con il decreto legislativo del capo provvisorio dello stato i n data 30 giugno 1947, n. 567.
L'alta corte dichiara l'illegittimitĂ costituzionale del D.P. 15 giugno 1955, con il quale si approvano le norme sul nuovo ordinamento amministrativo degli enti locali nella regione siciliana limitatamente ai seguenti articoli: all'art. 9 (determinazione e rettifica dei comuni) agli artt. 12, 13, 14, 15, 16, 17, 18, 19, 20, 21, 22 e 23 riguardanti ÂŤ la provincia regionale Âť e le disposizioni che ne dipendono; l'articolo 55 capoverso (revoca della giunta e degli assessori); l'art. 68 primo capoverso (revoca del sindaco); gli artt. 261 e 263 riguardanti la determinazione e distribuzione della sovraimposta comunale sui terreni; l'articolo 271 relativo alle attribuzioni della amministrazione regionale nei riguardi dei segretari comunali; tali articoli sono annullati nella loro attuale formulazione. (Atti dell'dlta Corte per la Regione Siciliano. vol. IV, pp. 325-337).
TERZA SEZIONE
f
- STDBU) - S c r i t t i giuridici.
I. LEGISLATURA
Disegno di legge n. 2378: « Incompatibilità parlamentari
1).
(*)
Onorevole presidente, onorevoli senatori, la prima volta che ho l'onore di parlare in questa assemblea, ho i l dovere di intervenire sul tema delle incompatibilità parlamentari, essendo stato da diversi anni impegnato a rilevarne sulla stampa l'importanza e l'urgenza. LaL costituzione prescrive all'articolo 65 che <r la legge deter-".-mina i casi di ineleggibilità e di-'iìiCOnipatibilità con l'ufficio _---- -.. di deputato-?_di senatore n. Le ineleggibilità fiirono fissate dalla stessa costituzione con le leggi del 20 gennaio 1948, n. 6, per la camera dei deputati, e del 6 febbraio 1948, n. 29 per i l senato, risultando identiche per la elezione dei due rami del parlamento. È però da notare che i l legislatore sotto il titolo di « ineleggibilità . 1) inserì vari casi di reale incompatibjl$à riguardanti i deputati regionali, i presidenti della deputazione provinciale (oggi: giunta provinciale) e i sindaci dei capoluoghi di provincia. Ma si fermò lì, sicchè il problema della incompatibilità nel suo specifico carattere non fu affrontato. Solo alla presentazione delle proposte di legge degli onorevoli deputati: Petrone, Bellavista, Vigorelli e altri, vi si diede inizio; le tre proposte furono ridotte in unico testo e approvate dalla camera dei deputati lo scorso aprile e quindi portate a questa assemblea col roto favorevole della prima commissione permanente.
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(*) D'iniziativa dei deputati Petrone. Bellavitta. Vigorelli e altri.
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Non c'è disegno di legge che sia perfetto; ogni proposta può essere migliorata. Le critiche al testo presentato potranno avere giustificazioni particolari. Ma alla vigilia delle elezioni della camera dei deputati una ,legge sulle incompatibilità parlamentari dovrebbe già essere in atto, perchè i l corpo elettorale, i partiti e gli stessi futuri candidati fossero posti i n grado di valutarne gli effetti e decidere in conseguenza. Se manca una tale legge, è arrivata al momento giusto la proposta d i iniziativa parlamentare e l'esame di questa assemblea in via preliminare dovrebbe cadere sulla convenienza politica d i approvarla. Questa convenienza esiste, essendo la camera dei deputati alla fine del suo periodo di nomina. Nel caso di ritardo ad approvare il testo definitivo della proposta in discussione, l a nuova camera sarebbe eletta senza che sia stata data esecuzione a l disposto della costituzione. Sarebbe anche frustrata l'aspettativa del paese e degli stessi partiti che hanno avuto occasione d i pronunciarsi a favore della proposta di legge. I1 segretario politico della democrazia cristiana, onorevole Gonella, così si è espresso nel suo discorso ufficiale a l congresso democratico cristiano tenuto a Roma nel novembre scorso: u I1 sistema parlamentare ha bisogno di fede nell'efficacia del costume, ed il parlamento stesso vuol essere esempio d i questo costume. Alla legge sulle incompatibilità è stata favorevole la direzione del partito e tale legge è passata i n virtù dell'appoggio del nostro gruppo della camera. Ora è a l senato e ci auguriamo che rapida possa essere la sua definitiva approvazione ». L'organo ufficiale del partito democratico cristiano Libertas, diretto dallo stesso onorevole Guido Gonella, dopo il periodo citato annota fra parentesi in corsivo « applausi ».AUguro che il gruppo democratico cristiano di questa assemblea sottolinei anch'esso di applausi la citazione delle parole del yreprio segretario politico. I partiti di sinistra alla camera sono stati favorevoli e si. trovano deputati d i quella parte fra i proponenti della proposta di legge « Vigorelli 1) che si interzò con quelle presentate in precedenza dagli onorevoli Petrone e Bellavista. Il partito liberale, per le ripetute dichiarazioni del segretario politico onorevole Villabruna, non solo è favorevole alla
rapida approvazione del presente testo di legge, ma lo ha messo come uno dei punti da figurare nell'accordo quadripartito, come si rileva dai quotidiani del 23 settembre scorso e da altri comunicati prima e dopo tale data. Lo stesso è stato affermato più volte dagli organi dei partiti social-democratico e repubblicano. Voci discordi non mancarono alla camera e non mancano al senato, più sulla tecnica della legge che sulla impostazione politica che può dirsi non solo accettata dall'ambiente parlamentare, ma ritenuta, così in parlamento come nel paese, veramente indispensabile. La I" commissione del senato interpretando questo sentimento ha dato i l suo consenso al testo inviato, e il relatore, onorevole Lepore, ha portato a questa assemblea la raccomandazione dell'u integrale approvazione del testo d i legge così come è stato redatto dalla camera e trasmesso al senato D. Sottolineo le parole dell'onorevole relatore facendo notare che in questo voto si sono trovati d'accordo i membri dei vari arti ti appartenenti a tutti i gruppi del senato, compresovi i l gruppo democratico cristiano cui appartiene lo stesso relatore. Volentieri quindi mi associo al voto della commissione raccomandando anch'io l'integrale approvazione del testo. Potrei fermarmi qui, se la proposta della commissione fosse accettata da tutti; nel fatto vi sono delle perplessità che si riferiscono al sistema e altre che si riferiscono alla stessa composizione del senato. Se i l senato fosse quasi egualmente composto di membri elettivi e di membri di diritto e a vita, certe incompatibilità che valgono per gli uni, per i l fatto di dovere periodicamente affrontare il corpo elettorale sotto il contrassegno d i un partito e sottoporsi tanto alla disciplina di un partito quanto a quella del relativo gruppo, non varrebbero per gli altri, posti in posizione di indipendenza. Reputo intanto opportuno fare un esame complessivo del problema delle incompatibilità parlamentari, per potervi inquadrare quelle fissate nella proposta di legge in esame. La prima incompatibilità da rilevare è quella che deriva da nomine fatte dal consiglio dei ministri o dai ministri diret-
-mente per- posti &e- i n qualsiasi modo creano . -- --una dipendenza --. gerarchica e un controllo d'autorita. P u r mancando, anche in-tali casi, una certa differenza fra la scelta di u n parlamentare elettivo e quella di u n senatore di diritto e a vita, per la indipendenza del secondo dai partiti e dalle lotte elettorali, rimarrebbe il fatto della gerarchizzazione, sia o no la nomina a termine fisso e soggetta a revoca. Per far cadere certe riserve fatte attorno ad una recente nomina si sono citati i precedenti di senatori posti a capo di servizi statali quali il governatorato della banca d'Italia, la presidenza della corte dei conti o del consiglio di stato o della cassazione. Ma a parte che nel passato prefascista l'appartenenza ad u n partito, o meglio ad una corrente politica, non comportava vincoli superiori a quelli di una libera e indipendente adesione personale, il fatto di essere senatore a vita di nomina regia toglieva uno dei motivi di incompatibilità per tali posti, quello di ripetere i l mandato parlamentare dai voti di u n corpo elettorale, a l quale periodicamente ripresentarsi. Ai casi in esame potrebbe applicarsi oggi u n altro motivo di incompatibilità: quello d i accudire contemporaneamente a nel passato remoto u n affollamento due uffici ; dico oggi di affari al senato vitalizio non accadeva spesso e neppure era lo stesso i l ritmo degli affari negli organi superiori dello stato. &la oggi la incompatibilità a coprire altri uffici che impegnano l'attività giornaliera del parlamentare è così evidente da doversi estendere a tutti coloro che prestano servizio nella pubblica amministrazione. Non si tratta d i precludere al magistrato, al professore, all'ufficiale delle forze armate o al funzionario dei vari gradi amministrativi e tecnici dello stato e degli enti e delle aziende dipendenti dallo stato l'accesso al parlamento, a parte ogni altra considerazione i n merito. Si tratta di dover constatare la enorme difficoltà per un magistrato, un militare, un insegnante a continuare i l servizio attivo; per u n funzionario, mettiamo u n direttore generale, u n intendente di finanza, ad accudire allo stesso tempo a i lavori parlamentari e alle pressanti cure d i ufficio. Egli verrebbe posto nella incomoda posizione del servo di due padroni; ma i due padroni, parlamento e ammini-
strazione, sarebbero in una posizione più incomoda del loro servitore. Lo stesso deve dirsi dell'insegnante di scuola, e, sotto certi aspetti, anche del professore universitario. A regolare tale incompatibilità non è necessario che l'eletto scegliendo il mandato abbandoni il posto che occupa; &aga che cessi temporaneamente dall'esercizio del posto che occupa --, - -nelli- Fuliblica aXiminist~azione~-daiassumere s u o l e m p o quante volte i l mandato non venga confermato. I n sostanza quel che oggi è facoltativo diverrebbe obbligatorio per tutti gli eletti. I1 mio modo di vedere tale problema mi porterebbe a chierdere il ripristino del numero chiuso dei dipendenti statali tanto nella camera che nel senato elettivo, per non depauperare-il servizio pubblico, nè aggravare l'amministrazione con un numero eccessivo di coloro che sarebbero comunque considerati in congedo straordinario. Nel senato vitalizio di nomina regia, le categorie d i funzionari erano limitate ad alcuni alti posti d i responsabilità e di rappresentanza; il numero chiuso era fissato dalla legge elettorale della camera, dove i dipendenti statali furono un tempo limitati a dieci e poi portati a quaranta. Oggi non vi è alcun limite. Sicchè tale problema merita serio esame. Le incompatibilità di cui si occupa la proposta di legge in .discussione sono ben diverse da quelle da me esaminate i n precedenza; sono molto importanti dal punto di vista del CO:stume; perciò il paese ne attende la sollecita approvazione. Si tratta d i eliminare dal parlamento la figura del controllato-controllore. Non è ammissibile che un libero cittadino o u n funzionario sia presidente, amministratore, sindaco, direttore generale e così via d i enti sottoposti alla vigilanza e tutela dei singoli ministeri o d i organi interministeriali, e allo stesso tempo sia deputato o senatore. Non si tratta solo di incompatibilità con i l mandato parlamentare per la coincidenza di due occupazioni impegnative non conciliabili nel tempo, e i n molti .casi nello spazio: si tratta principalmente di conflitto di attività, di gerarchizzazione d i compiti e di collisione d i responsabilità nella stessa persona. L'incompatibile così designato sarebbe i n sostanza un controllato dal parlamento e allo stesso
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tempo membro del parlamento; u n gestore di ente sovvenzionato che in parlamento delibera le sovvenzioni; un responsabile dell'andamento di un ente pubblico che presenta il bilancio al parlamento e che come senatore o deputato lo approva. La proposta d i legge in discussione aggiunge (art. 3) l a incompatibilità parlamentare con l'esercizio di cariche in istituti bancari o società che abbiano come scopo prevalente l'esercizio di attività finanziarie. Questa disposizione ha una base nel fatto che gli istituti bancari e simili sono in maggior parte d i diritto pubblico, o di interesse nazionale controllati dallo stato a mezzo dell'I.R.1. che ne tiene la totalità o la maggioranza delle azioni; owero filiazione o derivazione di tali istituti. Anche per gli amministratori e sindaci di istituti privati che esercitano i l credito bancario o di finanziamento, essendo posti sotto la vigilanza dello stato, e non importa se esercitato a mezzo della banca d'Italia e in molti casi del comitato interministeriale del credito, il riconoscimento di incompatibilità è indispensabile. Pertanto, la proposta di legge risponde ad una esigenza pubblica inderogabile, essendo ormai passate nelle mani dello stato molte delle attività economiche a tipo privatista, ed avendo lo stato creato enti, aziende e società miste, controllando una notevole parte della vita economica del paese e sulla quale ministri e relative burocrazie hanno una ingerenza decisiva. A parte i l fatto che per molti enti, anche a carattere locale, il tesoro nomina presidenti e consiglieri, può sciogliere consigli d i amministrazione, collegi sindacali, inviare ispezioni, procedere ad inchieste. Non è possibile affidare al costume e alla sensibilità personale degli interessati u n fenomeno che non è più eccezionale, ma normale e divenuto così imponente da estendersi a gran parte della vita economica nazionale. Altri motivi di ordine politico e amministrativo inducono ad affrettare l'approvazione della proposta di legge: anzitutto la formazione quanto più larga possibile dei ceti amministrativi e politici che sono la spina dorsale di un paese civile e moderno. Se molti posti di responsabilità pubblica sono accumulati nel migliaio di persone che compongono i due rami del par-
lamento, la formazione delle nuove reclute diverrebbe assai lenta e problematica; mancherebbe la possibilità delle sostituzioni e dei ricambi; i giovani resterebbero indietro per decine di anni; si verrebbe a produrre una specie di anchilosi sociale. La democrazia ha bisogno di larghezza e rapidità di formazione d G c a m b i ; invece il cumulò delle' cariche crea il campo chiuso degli interessi precostituiti. Non è forse vero che colui che ha più incarichi ne desidera altri? E chi ha più onori ha sete di maggiori onori? E chi pretende indennità e compensi da varie parti tende ad aumentarne il numero e la portata? Non alludo a nessuno: parlo di una tendenza della nostra natura, di un fatto psicologico constatabile sempre e dappertutto, al di fuori del problema che si va discutendo in questa assemblea. Si dice che non ci sono persone adatte a questo o a quel posto se non deputati e senatori. Errore di visuale. I partiti sono inclini a far nominare i propri parlamentari perchè li hanno sottomano; ma una volta approvata la legge sulle incompatibilità, troverebbero molti altri fra i propri amici ben preparati a quei posti e a quegli uffici di interesse amministrativo e finanziario che saranno dichiarati incompatibili per u n parlamentare. Le vere competenze sono spesso restie a farsi avanti. Non nego che ci siano competenze notevoli fra i parlamentari. Ma dovendo ciascuno seguire la propria vocazione, una volta eletto avrà scelta fra il mandato parlamentare e l'impresa, l'azienda, l'erite dove poter far valere le proprie attitudini e qualità. Siafferma e si~ipee. ch_e se venisse approvata la proposta di legge sulle incompatibilità, c i perderebbe-il-pa-rlamgnto-, dove non potrebbero più sedere coloro che hanno .---. esperienza degli enti statali, b p c a r i , finanziari e amministrativi. È mia convinzione che se perdita ci fosse, sarebbe dal lato degli enti in parola. Ma ammessa l'ipotesi, vorrei far notare che il numero maggiore di incompatibili si riscontra in enti economici locali, enti di riforma, consorzi di bonifiche, piccole aziende di credito, piccole e medie industrie, enti e consorzi agrari provinciali ; mentre negli enti nazionali I.N.A, I.R.I., I.M.I., A.G.I.P., federconsorzi, cassa del mezzogiorno, istituti previ-
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denziali, gli incompatibili sarebbero assai meno. I primi saranno forse una cinquantina, i secondi una ventina, poco più poco meno. Per i primi, nessuno può affermare che non ci sia in provincia gente seria, ben preparata, pratica di ~ r o b l e m ieconomici, di agraria, di bonifica, di finanza che non possa sostituire i parlamentari in ben altri affari impegnati; ovvero viceversa, che non ci siano aspiranti alla camera e a l senato che non possano degnamente sostituire quei parlamentari che desiderano continuare a prestare l'opera loro nelle suddette amministrazioni locali. Non ci perderebbero quindi nè il parlamento nè l'economia; e ci guadagnerebbe il costume, cessando il sistema di nomine ministeriali fatte a deputati e senatori, che divengono soggetti gerarchicamente a ministri e a direttori generali pur essendo, come parlamentari, in una posizione politica superiore. La figura del controllato-controllore è assai discutibile nei rapporti amministrativi e morali. Ma tale inconveniente ingrandisce quando si passa da piccoli o medi enti (cito per esempio l'acquedotto pugliese o l'ente maremma) e si arriva ad enti a carattere nazionale. La federconsorzi vale più di u n ministero, senza le responsabilità politiche che comporta il ministero; i l nuovo ente nazionale idrocarburi varrà più di u n ministero come già vale di più 1'A.G.I.P. che ne sarà assorbito; u n ministero vale di sicuro la cassa per i l mezzogiorno e simili. Ebbene, se la competenza di coloro che partecipano nei vari posti di amministrazione di tali enti è veramente indispensabile per il parlamento, scelgano il parlamento; se è indispensabile per l'ente, scelgano l'ente. Non si ripeta il celebre: se io vado chi resta? Se io resto chi va? ». Ciò poteva supporsi necessario nell'immediato dopo guerra quando mancava perfino la conoscenza di persone che non fossero ritenute da scartare perchè appartenenti al caduto regime. Ma oggi che si è fatta una quasi decennale esperienza di uomini e d i cose, voler mantenere i posti di comando nazionale dentro la cerchia di un centinaio a i persone, ~ a r l a m e n t a r ie funzionari insieme, sarebbe un metodo erroneo che ~ o r t e r e b b e alla creazione di un'oligarchia tanto più potente quanto più limitata ne è la cerchia dei partecipanti e quanto più si trova
legata a consorterie d i affari che si sviluppano attorno agli enti pubblici. I1 timore che al parlamento andranno uomini impreparati e inesperti, per via delle proposte incompatibilità, non è fondato: le classi economiche sono assai più estese che non sia il piccolo ambito di amministratori e sindaci d i enti statali e parastatali a tipo nazionale e di carattere pubblico; e ciò anche per il noto e deprecato metodo del cumulo di cariche; di coetoro, come dissi, ben limitato è i l numero degli attuali deputati e senatori. La mancanza di esatte statistiche a l riguardo dà corpo alle ombre, per cui si va a credere che il parlamento di domani potrà perdere i più competenti e autorevoli membri che oggi vi partecipano. Soprattutto bisogna evitare in politica, come in ogni altra branca dell'attività umana, la creazione del mito dell'uomo necessario. Ci saranno uomini eccezionali; non c'è mai l'uomo necessario, non per gli enti economici statizzati e neppure per il parlamento. Questo ha ben visto la maggioranza della camera dei deputati, quando, col voto della democrazia cristiana, secondo l'autorevole affermazione dell'onorevole Gonella, approvò il testo che oggi si trova avanti a questa assemblea; nonchè la commissione permanente del senato che ha dato parere favorevole con la raccomandazione della approvazione integrale e tempestiva della proposta d i legge. Sarebbe fare un grave torto alla classe politica italiana se da un lato fosse così stremata da non produrre nuovi elementi ben preparati alla vita parlamentare; e dall'altro lato non fosse così disinteressata da non scegliere il mandato pubblico rinunziando ai posti che non sarebbero più compatibili. I n conclusione, interesse politico-amministrativo, interesse economico, alto scopo morale e utilità democratica nell'ailargare la formazione della classe politica e tecnica del paese, impongono l'approvazione immediata del disegno di legge sulle incompatibilità, alla vigilia delle elezioni politiche. Sarebbe dannoso rimandarne l'applicazione, nei riguardi della camera dei deputati, frustrando per un altro quinquennio la generale aspettativa. (seduta del 27 gennaio 1953).
Su designazione &J gruppo misto, Sturzo entrava a far parte della 5' commissione permanente del senato (finanze e tesoro). La nomina veniva comunicata i n aula nella seduta del 16 ottobre 1952. ' Durante l'ultimo scorcio della I legislatura, egli prese parte alla discussione dei disegni d i legge n. 2282,n. 2733, e n. 2734. Riportiamo qui di seguito i principali interventi sugli argomenti i n discussione. Disegno di legge n. 2282: « Norme per la concessione della fidejussione statale sui prestiti accordati alle aziende italiane dagli enti di cui all'articolo 1 della legge 3 dicembre 1948, n. 1425 D. N d l a 136" riunione della commissione (23 ottobre 1952), Sturzo così interveniva: Io vorrei soltanto un chiarimento di forma. L'articolo 1 dispone che « il ministro del tesoro... è autorizzato ad accordare, ecc. ». Qui siamo dinanzi ad una autorizzazione d i carattere puramente generico. All'articolo 2 invece è detto che i l ministro del tesoro potrà subordinare la concessione della fidejussione prevista nel precedente articolo all'adempimento di particolari condizioni, ecc. D, i l che vuol dire che potrà anche non subordinarla a nessuna condizione, dando la fidejussione immediatamente. Ora io domando se si può lasciare la formula dell'autorizzazione senza prevederne la dubordinazione ad alcuna condizione. Poco fa ho sentito affermare che i l ministero potrà dare o negare la fidejussione; questo non è detto, si dice soltanto che potrà subordinare la fidejussione all'adempimento di particolari condizioni. In questo modo si dà una facoltà pura-
mente discrezionale ed incontrollabile: il che non credo sia identico a quanto si faceva con i prestiti E.R.P. i n cui i mutui non si concedevano attraverso un ente americano ma attraverso 1'I.M.I. e quindi erano istruiti da organi dello stato italiano che dava la garanzia basandosi sulla relazione dell'I.M.1. Nel caso attuale invece l'istruttoria è fatta dagli americani e non dal nostro governo, i l quale deve semplicemente valutare se la sua fidejussione è garantita o meno dal capitale delle aziende. Se si vogliono adottare le modalità che presiedevano alla concessione dei prestiti E.R.P. bisogna evidentemente modificare la dizione della legge. Nel seguito della discussione, proponeva un emendamento all'art. 4: Desidero fare osservare che la esenzione prevista in questo articolo, per quel che concerne gli enti locali, dovrebbe essere surrogata dallo stato con qualche altra cosa, perchè gli enti locali non possono battere moneta, e quando togliete loro una entrata, bisogna far luogo nello stesso tempo ad un'altra entrata. Quindi propongo di sopprimere le parole sia e le altre « che agli enti locali D. L'emendamento veniva approvato, e cosi p w e il disegno di legge.
Disegno d i legge n. 2733: « Modifiche alla legge 10 agosto 1950, n. 646, istitutiva della cassa per il mezzogiorno D. Nel corso della 146" riunione della commissione (29 gennaio 1953), Sturzo presentava un emendamento all'art. 3 del progetto di legge, cosi formulato: « I1 consiglio di amministrazione della cassa può demandare l'attuazione di determinati affari, precisandone le norme, ad un comitato esecutivo composto dal presidente, o, in sostituzione, dal vice presidente e da due membri dello stesso consiglio D.
E cosi lo illustrava: Ritengo innanzitutto che sia opportuno ridurre il numero dei
componenti di questo comitato esecutivo, perchè su sette membri del consiglio d i amministrazione, i tre che non facessero parte del comitato resterebbero in minoranza e non avrebbero voce nè nel consiglio nè nel comitato esecutivo. Secondo il mio emendamento, inoltre, il consiglio di amministrazione della cassa può (è facoltativo) demandare l'attuazione di determinati affari (non si tratta quindi di una £unzionalità organica, ma di una funzionalità diciamo così di esecuzione), precisandone le norme. Pregherei il relatore ed il ministro di accettare questa formulazione che mi pare dal punto di vista della esecutività più semplice e più rispettosa dei diritti di tutti i membri del consiglio di amministrazione. Altro emendamento sostitutivo presentava per l'art. 4: Le deliberazioni di spesa del consiglio di amministrazione che eccedono la cifra di 100 milioni saranno entro cinque giorni, a cura del segretario del consiglio stesso, comunicate a l presidente del comitato dei ministri: i l quale per ragioni di merito può, entro i cinque giorni successivi, sospenderne l'esecuzione per riferirne al comitato dei ministri per la decisione 11Ho presentato l'emendamento per modificare, semplificandolo, questo articolo che, secondo me, contiene una serie di disposizioni di natura regolamentare. Per esempio, non è necessario stabilire per legge l'invio de1170rdine del giorno delle sedute del consiglio di amministrazione a l presidente del comitato dei ministri: se quest'ultimo desidera conoscere l'ordine del giorno sarà più che sufficiente che ne manifesti la volontà direttamente al presidente del consiglio di amministrazione. D'altra parte, non è ammissibile che tutte le deliberazioni siano sottoposte all'esame del presidente del comitato dei ministri, considerando che gran numero di esse possono essere di entità trascurabile. Imponendo questa restrizione al libero svolgimento dell'attività della cassa per il mezzogiorno, finiremmo per ridurre questo ente in condizioni di dipendenza peggiori d i quelle di u n comune110 di montagna. Inoltre, bisogna andare molto cauti con l'uso di questa facoltà di sospensiva, la quale deve essere ispirata ad u n motivo
gravissimo, non normale nella vita amministrativa neppure degli organi vigilati dallo stato. Con il mio emendamento, una certa responsabilità viene trasferita dal consiglio d i amministrazione al comitato dei ministri, i l quale diviene organo di decisione. Ma questa responsabilità del comitato dei ministri è limitata a una serie di affari, che ho indicato sulla base dell'importo della spesa; tutto quello che è invece vita funzionale della cassa per il mezzogiorno-rimane- di competenza- stretta del- consiglio, salvo la determinazione dei rapporti fra questo e il comitato dei ministri, da rimandarsi ad un regolamento particolare. Mi pare che questa regolamentazione da me proposta sia coerente con la natura che abbiamo voluto dare alla cassa per il mezzogiorno, organismo agile e sollecito nello svolgimento di una attività di cui risponde. Noi non possiamo togliere a questo ente la sua responsabilità ed anche quel senso di dignità che il consiglio di amministrazione di un siffatto istituto deve avere. ... Nei riguardi della cassa per il mezzogiorno ci troviamo un po' fuori della consueta esperienza amministrativa. La cassa ha un movimento di affari che corrisponde annualmente a cento miliardi. Come è possibile -pensare-che-tutt&&lkzioni debbano--segui~e-la- tra61a-proposta-da't-senatore-Ziino? Ciascuna deliberazione dovrebbe essere esaminata dal presidente del comitato dei ministri; se egli vorrà disporre la sospensiva, dovrà sentire il comitato dei ministri; quindi si deferisce al consiglio dei ministri. Intanto, i l tempo passa e si provoca una paralisi amministrativa, che non è evidentemente quello che vogliamo. Le osservazioni del ministro riguardano la competenza dei comitato dei ministri a stabilire i piani e i programmi. In p e s t i si fissa la percentuale delle spese di amministrazione e quindi si stabilisce i l criterio del bilancio delle spese. Ora, le spese di amministrazione possono essere sottoposte a norme regolamentari, mentre rimane fermo che i criteri generali stabiliti per le spese di bilancio non possono essere modificati dal consiglio di amministrazione. Potete disporre di un ispettore da mandare quante volte volete per assicurare il rispetto delle
norme regolamentari. Ma cerchiamo di limitarci il più possibile nel promulgare norme di legge: altrimenti fra due o tre mesi saremo costretti a riesaminare nuove modifiche e cosi via. Fissiamo per legge solo gli argomenti più importanti e quelli di minor rilievo affidiamoli a un regolamento, tenendo sempre presente che questa è una materia in continuo adattamento. Quando io ho indicato la cifra di cento milioni, avevo presente la circostanza che di provvedimenti di tale portata bi discute quasi ogni giorno. Abbiamo l'accortezza di non creare troppe pastoie ad un ente che deve essere agile. Insisto quindi nel mio emendamento.
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Insisto nel testo da me presentato, che potrebbe essere chiarito da una specie di formula dichiarativa in merito ai rapporti fra il comitato dei ministri, il presidente del comitato dei ministri e la cassa. Si potrebbe dire: Ne117approvare questo testo si raccomanda di rimandare ad un regolamento le prescrizioni proposte all'articolo 23 della legge 10 agosto 1950, n. 646, su tutto quello che concerne vigilanza e controllo d i carattere formale n. Regolamento che non deve essere necessariamente il regolamento generale sul17attività della cassa per il mezzogiorno, ma un piccolo regolamento a d hoc, che riguardi appunto questi rapporti, facilmente modificabile, a seconda che l'esperienza lo dimostri necessario, senza bisognco di ritornare davanti al parlamento. Nel seguito della discussione, proponeva di sopprimere l'art. 6 del progetto d i legge, proposta accolta dalla commissione. Zi disegno di legge veniva poi approvato nel suo complesso.
Disegno d i legge n. 2734: Provvedimenti per lo sviluppo dell'attività creditizia nel campo delle medie e piccole industrie nell'Italia meridionale ed insulare n. NeUa 149" riunione della commissione (12 febbraio 1953) Sturzo cosi interveniva: Ho chiesto la parola per mozione d'ordine. Poichè la discus-
sione generale è ormai chiusa, io propongo che la questione sollevata dal senatore Sanna Randaccio sia trattata i n sede di discussione degli articoli cui si riferisce.
Si iniziava l'esame degli articoli, e subito Sturzo presentava -un emendamento a l titolo I : Desidero anzitutto presentare, al titolo I del disegno di legge, un emendamento soppressivo delle parole « medie e piccole ».-Tale modifica comporta analoghe modifiche degli articoli 2, 6, 7, 8, 23 e dei titoli dei capi 11, I V e della sezione terza del capo IV. I1 disegno di legge, nel testo governativo, limita il finanziamento alle medie e piccole industrie e con ciò viene i n certo modo a impedire l'industrializzazione del mezzogiorno. Alle sezioni d i credito industriale precedentemente istituite nel mezzogiorno e nelle isole non era stata posta questa limitazione. Peraltro, con la legge suppletiva per il finanziamento sui fondi E.R.P., si stabili che i finanziamenti dovessero essere concessi (C prevalentemente alle piccole e medie industrie. Ciò perchè in quel momento, da parte di molti, era stata espressa la preoccupazione che lo sviluppo della grande industria non fosse completamente aderente agli interessi del mezzogiorno. Il prevalentemente fu però un ripiego, i n quanto fu lasciata intatta la possibilità di finanziamenti anche alle grandi industrie. È chiaro, in£atti, che, da un punto d i vista tecnico, 'lo sviluppo delle piccole e medie industrie, senza un ~ a r a l l e l o sviluppo della grande industria, non può dar luogo ad una vera industrializzazione. Oggi si affida ad istituti, che nelle intenzioni del governo dovranno assorbire le sezioni di credito industriale, il compito di finanziare le industrie del mezzogiorno,----ma si intende - limi. t a ~ e X m S i 1 i ì T d i - f i n a G i a m e n t 6 alle medie e piccole industrie. Ciò potrebbe rappresentare un passo indietro e compromettere tutto quello che è stato fatto in passato. Pertanto è con piacere che ho appreso che l'onorevole ministro Campilli ha dichiarato che si potrà rivedere la questione. Dichiaro che era mia intenzione proporre anche la soppressione delle parole a medio termine n, ma h o acceduto alle
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- Srnnu, - Scritti oiuridici.
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osservazioni del ministro che mi ha invitato a non insistere su questo emendamento. Mi limito perciò a chiedere la soppressione delle parole u medie e piccole n. Sempre nella discussione dell'articolo 1: Faccio notare ai senatori Nobili e Mott che 1'I.S.V.E.I.M.E.R. non è un nuovo istituto. Esso già funziona e nel suo statuto è stabilito che può concedere crediti alla grande industria. Sono d'accordo sull'indirizzo indicato dai colleghi Nobili e Mott, nel senso cioè che debbono essere aiutate essenzialmente le iniziative locali, che certamente meglio corrispondono agli interessi del mezzogiorno. Ma, poichè è chiaro che queste iniziative non sono in grado di creare una grande industria, non dobbiamo porre una preclusione assoluta alla creazione di questa grande industria. I l senatore Mott ha ricordato che per la grande industria esistono altri istituti. Ho fatto già osservare che anche l'I.S.V. E.I.M.E.R. può concedere crediti alle grandi industrie. L'I.RI.1e la medio-banca non hanno fatto nulla per il mezzogiorno, perchè i fondi dell'I.M.1. sono stati assegnati all'Italia del nord, o, a l massimo, all'Italia centrale, e la medio-banca h a sede a Milano e non certo a Roma, Napoli, Palermo o Cagliari, e di essa pure si servono le industrie del nord. L'Italia meridionale e le isole sono legate essenzialmente al banco di Napoli e al banco di Sicilia che da sette anni a questa parte hanno pur fatto parecchio per lo sviluppo del mezzogiorno. potrà finanziare la Si è anche detto: se 1'I.S.V.E.I.M.E.R. grande industria assisteremo al fenomeno delle industrie del nord che andranno a «colonizzare » i l sud. Ma voi sapete henissimo che le imprese belghe e tedesche che vennero a creare la grande industria nel nord d'Italia sono via via diventate imprese indigene. Poi, con la crisi del dopoguerra, si è creato l'I.R.I., che è stato una specie d i ospedali riuniti delle grandi _-_: M a . C i F è avvenuto anche in altri paesi, non certo solamente in Italia. Si poteva adottare il sistema migliore di liquidare tutto e ricominciare da capo. LYI.S.V.E.I.M.E.R., se il disegno di legge verrà approvata
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così come è, perderà la possibilità che ha attualmente di esercitare il credito a favore delle grandi industrie. Al termine della discussione dell'articolo 2 , l'emendamento di Sturzo soppressivo delle parole « medie e piccole D, veniva respinto. Lo stesso emendamento si riproponeva per l'articolo 6: Vorrei pregare i colleghi di essere u n po' compiacenti e di considerare come sia possibile, dal momento che noi abbiamo già uno sviluppo di industrie più largo, ritornare un'altra volta indietro. È vero che i l relatore ha richiamato la nostra attenzione sul fatto che c'è un articolo del disegno di legge che dice che il limite del finanziamento può essere elevato, ma questo ampliamento è lasciato u n po' all'arbitrio dei vari istituti di credito e del comitato interministeriale per i l credito, il che evidentemente rimette la Sicilia in uno stato, diciamo così, di minorità, di incapacità minorile, cosa che non avviene per le altre regioni italiane. Orbene, io vi domando se sia una cosa prudente mettere in discussione in un prossimo futuro sui giornali o in pubbliche discussioni, il fatto che la Sicilia è tornata sotto tutela. Io vi richiamo dunque, onorevoli colleghi, alla realtà politica di questo articolo, facendovi altresì rilevare che non c'era nessuna ragione di insistere nella dizione «medie e piccole industrie n, che del resto il ministro ed il relatore avevano già accettato di sopprimere. Vi chiedo che questo non si faccia almeno per la Sicilia. Non c'è che u n piccolo fondo di u n miliardo per poter aiutare iniziative di carattere pilota che non possono essere finanziate dalla sezione di credito industriale. Non andiamo a far credere quindi che la regione siciliana abbia fondi adeguati per finanziare la grande industria.
...
Ma anche questo emendamento veniva respinto. La discussione si chiudeva dopo l'esame e l'approvazione dell'articolo 7. nella cui votazione Sturzo dichiarava di astenersi. L'esame del progetto d i legge riprendeva nella centocinquantunesimu riunione (26 febbraio 1953). Vorrei fare una proposta conciliativa distinguendo la ma-
teria così come essa è distinta nel disegno di legge. Vi è i l capo I11 del titolo I: « Costituzione del credito industriale sardo (C.I.S.) N, che rientra nel sistema organico della legge, e che io propongo di mantenere; c'è poi il titolo 11: «Fusione del banco di Sardegna e dell'istituto di credito agrario per la Sardegna », che è estraneo a l sistema fondamentale della legge, che è u n fatto puramente particolare, e che io propongo di rimandare ad u n migliore esame. Non è una proposta formale che io £accio, ma u n suggerimento che esprimo. Nella discussione dell'articolo 12, così interveniva: I1 punto primo del terzo capoverso è così formulato: « Saranno altresì versate :
1) ai «. fondi speciali » presso 1'I.S.V.E.I.M.E.R. e 171.R. F.I.S. le disponibilità nette che via via riaffluiranno a seguito della estinzione dei prestiti fatti impiegando i fondi di garanzia costituiti rispettivamente presso le sezioni di credito industriale del banco d i Napoli e del banco di Sicilia ai sensi degli articoli 9 e 10 del decreto legislativo 14 dicembre 1947, n. 1598, sostituiti dal17articolo 15 del decreto legislativo 5 marzo 1948, n. 121, e dall'articolo 1 della legge 29 dicembre 1948, n. 1482, nonchè i fondi di garanzia costituiti presso le sezioni suddette a termini dell'articolo 9 del decreto legislativo 15 dicembre 1947, n. 1419, e a termini degli articoli 1 e 2 della legge 9 maggio 1950, n. 261, e legge 30 giugno 1952, n. 763 N. Su questo punto debbo sollevare una questione molto delicata sulla quale richiamo l'attenzione della commissione. I1 ministro sarebbe d'accordo di togliere dall'elenco del punto 1) i fondi di garanzia costituiti presso le sezioni di credito industriale del banco di Napoli e del banco di Sicilia a termini dell'articolo 9 del decreto legislativo 15 dicembre 1947, n. 1419. che riguarda i fondi per la piccola e media industria? Come si ha intenzione d i non sopprimere la sezione di credito per la piccola e media industria della banca del lavoro, così si potrebbero mantenere le due sezioni del banco di Napoli e del banco d i Sicilia. I n conseguenza d i ciò, nell'elenco delle disposizioni legislative i n base alle quali si stabilisce il versamento dei
rientri all'I.R.F.1.S. e all'I.S.V.E.1.M.E.R. non si metterebbe il decreto legislativo 15 dicembre 1947, n. 1419. Se questa è l'intenzione del governo mi limiterei a questa semplice proposta. L'emendamento soppressivo delle paroIe « a termini dell'articolo legislativo 15 dicembre 1947, n. 1419 D, veniva approvato. Dobbiamo ora affrontare il problema dei rientri delle somme attribuite a l banco di Napoli e al banco di Sicilia dalla legge sui fondi E.R.P., modificata poi da successive disposizioni con le quali i l tesoro si sostituì a l piano E.R.P. Si tratta di un fondo di 30 miliardi, più la facoltà di emettere obbligazioni per altri 30 miliardi. Questi 60 miliardi sono attualmente quasi tutti impiegati. Sui primi 10 miliardi del fondo E,R.P. e di obbligazioni fu concessa dallo stato la garanzia fino al 70 per cento mentre per gli altri 20 miliardi di fondi e di obbligazioni la garanzia dello stato fu ridotta al 50 per cento. Questa garanzia oggi come è costituita? Lo stato si vale del fondo d i garanzia stabilito con decreto ministeriale 31 agosto 1949 concernente il modo dei rientri al tesoro. Tali rientri cominciano al decimo anno e la procedura relativa continua per altri 20 anni. I n totale sono quindi 30 anni, durante i quali i rientri al tesoro si fanno per una percentuale minima, restando il fondo a disposizione degli istituti bancari per mantenere la garanzia fino all'estinzione dell'operazione. Al termine dei trenta anni i 30 miliardi del fondo dovranno essere tutti riversati allo stato e le obbligazioni rimborsate agli interessati. Questa è oggi la situazione di fatto. Ora domando: questa garanzia è mantenuta dal disegno di legge, o cade? Dalla risposta dell'onorevole ministro discendono diverse conseguenze, dato che le garanzie reali costituite dal fondo di garanzia possono andare perdute, perchè mano a mano che queste somme rientrano, dovrebbero essere versate all'I.R.F.1.S. e all'I.S.V.E.1. M.E.R., ed allora resterebbero scoperti tanto il tesoro quanto gli istituti d i credito che non avrebbero più un fondo che l i garantisca per il 50 o il 70 per cento delle perdite. Dopo un chiurimento del ministro del bilancio:
Devo dire con molta sincerità che, se si potesse inserire nella legge una disposizione che confermi le garanzie già stabilite, io sarei più contento, perchè la dichiarazione del ministro - di cui prendo atto, e che rimarrà a verbale - non modifica la lettera della legge, visto che nessuna difficoltà avrebbe avuto il legislatore ad esprimersi diversamente se questa era sua intenzione. I1 ministro si è riferito al penultimo capoverso dell'articolo, che io avevo in animo di proporre d i sopprimere: in questo capoverso si demanda a decreti ministeriali, che saranno emanati sentito il comitato interministeriale per il credito, di stabilire i termini e le modalità per l'afflusso dei capitali a l fondo speciale. Può darsi che si osservi, come dice i l ministro, la maggiore attenzione possibile, nel lasciare intatte le garanzie; ma io domando: semplicemente dal punto di vista bancario come è possibile sapere oggi quali saranno i rischi di qui a 10 anni? Attualmente cosa avviene? I banchi ritirano le somme, man mano che i debitori le vanno pagando, comprensive di capitali e interessi, secondo la scala delle operazioni effettuate. Poniamo che un'industria per un certo periodo di anni vada bene; ad u n certo punto una disposizione del ministero del commercio con l'estero autorizza l'importazione di merce estera che determina una crisi (come è successo per la penicillina); l'industria non può pagare ed ecco che si verificheranno perdite fin da ora non prevedibili. Come si può stabilire al n. 1 che saranno versate a le disponibilità nette che via via affluiranno a seguito della estinzione dei prestiti fatti »? A parte il via via » che in una legge non è ammissibile, è possibile mai fare una disposizione di questo genere? Secondo i l decreto ministeriale del 31 agosto 1949 le somme anticipate dal tesoro alle sezioni di credito industriale del banco di Napoli, del banco d i Sicilia e del banco di Sardegna saranno, daiie sezioni siesse, rimborsate srzzr interessi entro trent'anni a decorrere dal 1950. Ai fini di tale rimborso, per ciascun esercizio annuale delle sezioni predette. nel ventenni0 intercorrente fra i l 1950 e il 1969, resterà accreditata a favore del tesoro,
dopo la registrazione in conto perdita e profitti di ogni singola sezione di tutte le spese, oneri e carichi di ogni esercizio, una quota del 30 per cento del saldo attivo di gestione. Voi vedete bene, egregi colleghi, che qui è stato stabilito u n piano che va a finire a l 1969. Domando: da oggi al '69 che cosa si ha intenzione di fare? ...Per concludere sulla questione delle garanzie, poichè i l ministro ha detto 'di non avere difficoltà che si inserisca una norma che riconosca il mantenimento delle garanzie, io propongo di aggiungere alla fine dell'articolo il seguente comma: u ferme restando le garanzie che il tesoro ha assunto per le citate leggi riguardo le operazioni delle sezioni di credito industriale dei citati banchi, i relativi versamenti all'I.S.V.E.I.M.E.R., all'1.R. F.I.S. e al C.I.S. saranno fatti al netto di eventuali perdite D.
Zd comma aggiuntivo veniva approvato. Nella stessa seduta veniva approvato il disegno di legge nel suo complesso.
11. LEGISLATURA
ATTZVZTÀIN AULA
DISCORSO SULLE COMUNICAZIONI DEL GOVERNO (*)
Nel suo intervento, Sturzo svolgeva anche il seguente 0.d.g. dcr lui presentato: « I1 senato rileva la necessità che, per la scelta di funzionari o di liberi cittadini a posti della pubblica amministrazione: - stato, enti statali, enti di diritto pubblico e simili -, venga adottata la norma che vieti, o limiti secondo i casi, nella medesima persona il cumulo di cariche permanenti, retribuite o meno, nonchè la molteplicità di incarichi, specie se si tratta di funzionari che coporono i più alti posti nella gerarchia amministrativa del consiglio di stato o della corte dei conti. « Tale norma è da applicare rigorosamente quando la diversità degli uffici crea nella stessa persona la figura del controllatocontrollore, o comunque attenua le responsabilità gerarchiche, che sono da mantenersi separate, integre ed efficienti. a Invita il governo a far redigere un elenco nominativo dei posti occupati simultaneamente da funzionari dipendenti dallo stato; elenco da comunicarsi al parlamento, con le proposte di modifica del disposto di quelle leggi, o norme legislative contenute nei regolamenti, per le quali sono tassativamente indicati magistrati del consiglio di stato o della corte dei conti o funzionari dello stato, per coprire cariche di amministrazione in enti statali o di dirillo yuLllico o coiiiuuque yosii sotto la vigilanza di uno dei ministeri, allo scopo di evitare, anche i n (*) Gabinetto Peìia.
tali casi: sia il cumulo delle cariche, sia la figura del controllatocontrollore D. Onorevoli senatori, le dichiarazioni, pur in forma sommaria, fatte dal presidente del consiglio sui criteri direttivi riguardo l'amministrazione pubblica, il controllo delle spese, la messa in liquidazione degli enti « inutili o meno utili », la riforma della legge di amministrazione e contabilità, possono, a mio modo di vedere, comprendere i l punto speciale dell'ordine del giorno che ho l'onore d i presentare a questa assemblea. Si tratta d i una proposta che nella sua particolarità investe u n problema assai vasto, quello della formazione della classe specializzata di amministratori pubblici, quanto più larga possibile, sia nel campo delle attività libere dei cittadini, sia in quello dei funzionari statali. Il cumulo delle cariche restringe la cerchia dei collaboratori d e l governo, quali sono gli amministratori e i sindaci di gestioni speciali dello stato, degli enti statali o parastatali e quelli di diritto pubblico. Quanto più ristretta ne è la cerchia, tanto più facilmente si formano le consorterie di interessi. La tesi sociologica dell'intima connessione del potere col possesso si è dimostrata vera, non solo in regimi feudali ed automatici, ma, sotto aspetti propri, anche in democrazia. Se non saranno i Cincinnati ad usufruirne potranno essere gli amici degli amici dei Cincinnati. Quando in tempi scarsi per la generalità, i pochi funzionari, per via dei cinque o dieci incarichi, arrivano a realizzare ciGe rilevanti che toccano il milione al mese, dovranno reputarsi i privilegiati della democrazia, direi i capitalisti del fiinzionarismo. Se si indagasse l'origine di non pochi enti attualmente in piedi, si troverebbe che la maggior parte ebbero spinta efficace dalla burocrazia. Per suo conto, la ragioneria generale arriva a ritardare o anche a negare i l visto a disegni di legge o proposte di regolamenti o di statuti di enti nei quali venga omesso, per caso o di proposito, il posto ad u n funzionario di quel servizio. Fra i tanti rilievi che potrei fare non posso tralasciare un fatto assai grave, quello degli enti posti in liquidazione, affidati per lo più a funzionari in carica, raramente a funzionari in pensione che sarebbero da preferire. Tutti o quasi sono ancora
in corso di liquidazione pur rimontando il relativo decreto ai primi anni tra la guerra e il dopo-guerra. Dal 1948 in poi i l parlamento ha sciolto solo l9U.N.S.E.A., e di recente un ente del Trentino, mentre il disegno di legge sulla G.R.A., approvato dal senato, inciampò alla camera. Così molti enti da liquidare ancora vivacchiano, per lo più cotto un commissario che spesso è funzionario del ministero interessato. Per quale motivo gli enti in liquidazione, e perfino quelli passati al tesoro per lo stralcio, sono tutt'ora sotto amministrazione? Influisce d i certo l o stesso motivo per i l quale non si mettono in liquidazione enti inutili e deficitari e quegli altri che potrebbero utilmente essere riuniti insieme e unificati. Tali enti aumentano i l cumulo delle cariche e la molteplicità degli incarichi dei funzionari. La vigilanza che gli uffici centrali dovrebbero esercitare per la sollecita liquidazione o per la messa i n liquidazione, non è d i USO. L'aspetto più grave del fenomeno che qui si analizza, è quello dell'unione nella stessa persona della figura del controllato e del controllore, sia per disposizione ministeriale, sia per prescrizione di leggi o di regolamenti. I1 direttore generale del demanio, è, di rito o di diritto, anche amministratore di enti che dipendono dallo stesso demanio. L'attuale residente della Cogne, che ha sostituito il senatore Guglielmone, era stato già da anni membro di quel consiglio di amministrazione ed ora i+ per giunta membro del consiglio di amministrazione dell'ente nazionale idrocarburi. Se quel funzionario non è più oggi direttore generale, lo è stato fino a ieri, e per molti anni è stato i n cinque o sei complessi economici, divenendo uno dei più noti controllati-controllori della nostra amministrazione. Lo stesso è a dire del direttore generale delle ferrovie per le vecchie e per le nuove gestioni e relativi enti pullulati nella fertile fantasia dei funzionari dei trasporti. È lo stesso in altri ministeri che controllano enti economici statali e parastatali. Apro la Gazzetta ufficiale del 18 agosto e trovo ancora una volta il nome di un direttore generale dell'industria nel consiglio di a r i i n i a t r a z i o m dell'istituto per !e conserve alimentari. L'elenco di tali enti è di difficile compilazione: non è mai stato comunicato al parlamento; il tentativo del ministro La Malfa non ebbe seguito.
A questo punto, mi sembra opportuno rilevare che nella amministrazione di enti di diritto pubblico e demaniali si usa adottare il sistema, invalso negli enti economici privati: quello di costituire sempre nuove aziende a vario carattere, dove come amministratori vanno i capi stessi della società o dell'ente principale che ne detiene i n parte o in tutto le azioni o i l controllo; Così f a l'I.R.I. con le varie finanziarie: Finmare, Finsider, Finmeccanica, Finelettrica e così via. Lo stesso ha fatto l'I.N.A., lo stesso 1'A.G.I.P.; lo stesso fa la Federconsorzi che, p u r non essendo ente di diritto pubblico, è controllata dal ministero dell'agricoltura e gestisce servizi statali imponenti. I n molti di tali enti la stessa persona ne è l'amministratore che controlla e l'amministratore che è controllato; cosa che per l'I.R.I. fu rilevata e criticata dalia Stanford Research Znstitutr? nel suo rapporto, pubblicato dalla C.I.S.I.M. I compensi di questi amministratori di enti finanziari (che si riconosce debbono essere adeguati) vengono aumentati dai compensi che loro spettano quali amministratori degli enti affiliati. Non si può mettere sullo stesso piano e valutare con la stessa misura l'ente privato con l'ente pubblico, affermando che le aziende private usano fare gestire dagli stessi amministratori e dirigenti quelle altre società che esse creano, finanziano e controllano. A parte il deplorevole sistema di società fittizie e di comodo, il valore del rischio è ben diverso fra l'un tipo e l'altro. I1 rischio è figlio della libertà e fa da freno e da stimolo. Gli amministratori di un'azienda statale non hanno la psicologia del rischio, perchè lo stato, volere o no, garantisce e ne subisce i deficit. Non nego che vi siano amministratori di eccezione tra i funzionari, che fanno del loro meglio trattando gli affari degli enti pubblici come se fossero enti privati. Ma i l cumulo delle cariche, che è normale, rende difficile il disimpegno delle singole mansioni, anche perchè il funzionario, così onerato di incarichi, dovrebbe anzitutto occuparsi del posto che copre nella gerarchia ministeriale. Come potranno andare i servizi propri del ministero, se i più validi, i più alti nel grado e i più quotati funzionari sono impegnati nei consigli degli enti o nelle gestioni dirette nelle quali hanno cariche permanenti e molteplici? Una vecchia cir-
coiare della ragioneria generale limita a venti al mese i gettoni di presenza che gli impiegati possono godere in mansioni comandate. I1 mese ha in media sei giorni festivi; pertanto resterebbero liberi quattro o cinque giorni per l'ordinario ufficio di direttore o ispettore o capo divisione. I1 pubblico che va ai ministeri troverà i l funzionario fuori sede o fuori ufficio o cosi impegnato da non poter ricevere. Non desidero generalizzare; perciò ho chiesto, con l'ordine del giorno, che i l governo faccia redigere un elenco nominativo dei posti occupati simultaneamente da funzionari dipendenti dallo stato, elenco da comunicarsi al parlamento n. Mi è stato fatto l'appunto di una certa demagogia nel richiedere la pubblicità di tale elenco, che potrebbe riuscire pregiudizievole agli interessati. Escludo tale significato alla mia proposta e fo rilevare che, per un certo numero di casi, i nomi dei cittadini e funzionari messi a posti amministrativi o di controllo si possono leggere sulla Gazzetta ufficiale. Per altri casi, dovrebbero esistere le decisioni e le autorizzazioni o i consensi ministeriali presso le direzioni del personale. Parecchio si può trovare alla corte dei conti, la quale non è mai riuscita a conoscere gli effettivi emolumenti percepiti dai singoli funzionari; come non riuscì il ministro Petrilli ad avere regolari risposte dai vari ministeri interpellati per formare il primo abbozzo di un tale elenco. Se l'attribuzione di un incarico è segno d i fiducia, non sarebbe un disonore esser indicato in un albo. Se invece ciò può danneggiare la stima del funzionario è meglio che tale attribuzione non avvenga. Ma vi è d i peggio: secondo la retta norma dello stato rappresentativo e democratico, gli emolumenti a funzionari comandati ad un posto dovrebbero essere riscossi dalla pubblica amministrazione e da questa passati agli interessati. Questo rilievo suonerà strano, ma solo per coloro che non si danno cura delle esistenti gestioni extra-bilancio e sottratte alla vigilanza pubblica e al controllo parlamentare. Passienio 2d altro: esistono, come ho detto, disposizioni d i legge o di norme legislative, per le quali magistrati delle corti, direttori generali o alti funzionari sono chiamati a coprire determinati posti; pertanto ho proposto che il governo presenti
u n disegno di legge perchè sia autorizzato ad apportare a tali leggi e norme le relative modifiche, eliminando l'obbligatorietà della designazione e la coesistenza nella stessa persona delle figure del controllato e del controllore. Una parola aggiungo per quanto riguarda la posizione delicata dei magistrati del consiglio di stato e della corte dei conti, che dovrebbero essere esclusi da mansioni amministrative e di controllo diretto d i enti particolari non solo per i l fatto della loro funzione di magistrati, ma anche per la disposizione dell'articolo 100 della costituzione che vuole assicurata la indipendenza dei due istituti e dei loro componenti di fronte a l governo. Come può assicurarsi tale indipendenza se nelle mani del governo resta la facoltà di preferire l'uno o l'altro dei magistrati a posti compensati più o meno lautamente in enti dipendenti o vigilati dallo stato? Molte sono le attese della pubblica opinione per una netta earatterizzazione delle responsabilità amministrative dei £unzionari e dei cittadini chiamati a far parte degli enti sopradescritti, perchè siano evitati il cumulo delle cariche e la molteplicità degli incarichi. Si desidera che si faccia posto ai molti che, pur meritevoli, invano attendono di essere utilizzati a servizio della pubblica amministrazione. È anche vivo desiderio che non si perpetuino nelle stesse persone incarichi di responsabilità, spesso molto lucrativi, e che alle scadenze si faccia posto ad altri funzionari della pubblica amministrazione o ad altri liberi cittadini, dando modo a l formarsi di una nuova classe amministrativa e tecnica specializzata. Questa sarà una nuova linfa da mettere in circolazione nel corpo della nazione, unendo insieme la esperienza dei provetti con le energie dei più giovani, i meglio dotati e i meglio preparati per serietà di studi e per formazione morale, i n ambiente di libertà e di responsabilità. (seduta
del 21 agosto 1953)-
DISEGNO D I LEGGE N. 150-B: Proroga della legge 14 febbraio 1953. n. 49 relativa a i diritti e compensi dovuti a l personale degli ufici dipendenti dai ministeri delle finanze e del tesoro e dulla corte dei conti ».(*) Signor presidente, onorevoli colleghi, onorevole ministro, nelle mie brevi dichiarazioni mi devo rifare un po' alla discussione che si è svolta. Sono dolente del ritardo dovuto al fatto che credevo che la seduta avrebbe avuto inizio alle 10. Non posso lasciar passare la presente discussione senza prendere la parola; è ben noto il mio atteggiamento d i severa critica al sistema di compensi detti « casuali » che « casuali non sono, e a l costante ampliamento di simili compensi per mascherare l'aumento della retribuzione di speciali categorie impiegatizie. Dobbiamo ringraziare i l presidente della repubblica che ha richiamato parlamento e governo al senso delle proprie responsabilità con quell'autorità che, oltre che dal posto, gli deriva dalla competenza d i insigne scienziato in materia finanziaria. Non credo, del resto, che gli stessi autori delle leggi e leggine di questi anni del dopo guerra, dirette ad ampliare e prorogare i l sistema dei casuali, non ne riconoscessero la illogicità e irrazionalità intrinseca; ma come spesso avviene si sono prese le scorciatoie momentanee per rimandare la soluzione definitiva a l cosidetto momento buono. La proposta di legge che è davanti al senato, contenendo la proroga dei casuali fino all'emanazione delle norme relative al nuovo statuto degli impiegati civili e degli altri dipendenti dello stato, è anche essa nella scia delle precedenti. Le proroghe sono insidiose; le proroghe a date non fisse e a condizioni risolutive non precisate, lasciano le maglie aperte; le stesse date fisse sono inoperanti. Io però mi domando, dato che la decorrenza dell'aumento degli stipendi sarà dal lo gennaio 1954, se si debba intendere
(*) D'iniziativa dei deputati Angioy e altri.
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che anche i casuali esatti e pagati verranno poi conglobati nei nuovi stipendi. Detto questo desidero ricordare le dichiarazioni del senatore Paratore riguardo alla scadenza irrevocabile dei casuali, compresavi per giunta la ritenuta del 4 per mille sui mandati, voluta per attenuare la differenza fra il personale del tesoro e della corte dei conti e quello delle finanze. Tutto doveva finire al 31 dicembre 1951 ; ma il 31 dicembre passò e non mancarono vari parlamentari a ripetere l'errore precedente con una nuova proroga e poi una terza fino al 31 ottobre 1953. Temo che, anche con la proroga proposta dal17articolo 1 , non si eviterà la ripetizione degli errori precedenti, e i casuali cacciati dalla porta rientreranno per la finestra, nonostante i l richiamo autorevole &he ci ha fatto oggi convocare e discutere. La soppressione da me invocata non ha lo scopo di escludere qualsiasi altro provvedimento, da esaminarsi insieme alle norme della delega al governo per lo statuto impiegatizio, con quei criteri che rispondano ad equità nei riguardi degli addetti a servizi tecnici che esigono speciale preparazione e competenza. I1 problema è stato accennato nella legge di delega e dovrà essere chiarito nelle discussioni parlamentari. Pertanto il ripiego dei casuali vecchi, nuovi e nuovissimi dovrebbe cessare una volta per sempre. I1 secondo articolo della proposta di legge mette fine alla gestione privatistica dei casuali circondata da un segreto quasi di casta chiusa, che li ha resi ancora più invisi al pubblico e agli impiegati stessi, quelli non favoriti e anche quelli favoriti. L'errore fondamentale di tale sistema è quello di aver considerato i casuali, quali erano originariamente, compensi pagati da privati per servizi ritenuti di interesse privato. Ma estesi i casuali al personale direttivo e centrale e ampliati a l punto da ritenere servizio privatistico l'emissione dei mandati d i pagamento per conto dello stato, hanno preso la natura di tassazione per servizi generali; era ovvio quindi che tutta la gestione dovesse avere natura pubblicistica ed essere sottoposta ai controlli olit ti ci e amministrativi dello stato. Circa la formulazione dell'articolo 2, mi limito a fare delle riserve, mancandovi le indicazioni dei criteri e limiti ai quali
dovrebbero attenersi i ministri competenti nel fare i decreti d i distribuzione e di quelli per i l relativo controllo della corte dei conti. Sono d'accordo però con i proponenti dell'articolo 3 circa l e gestioni passate. I1 problema delle gestioni fuori bilancio meriterebbe una trattazione a parte. È inammissibile la creazione e il ~ e r d u r a r e d i simili gestioni; penso che la presente sia una buona occasione per un'affermazione di carattere generale; pertanto ho presentato l'ordine del giorno che i l senato già conosce e sul quale spero che si formi l'unanimità dei consensi. Ne dò di nuovo lettura: « I1 senato esclude che possano ammettersi sotto qualsiasi titolo gestioni fuori bilancio, dovendo tutte le entrate e tutte le spese di carattere statale essere riportate nei relativi stati d i previsione e nei consuntivi annuali; « invita il governo a provvedere analogamente entro il primo semestre del prossimo anno, in modo che col lo luglio 1954 venga a cessare, senza eccezioni, qualsiasi gestione fuori bilancio, e venga sottoposta al controllo parlamentare la intiera gestione di quegli enti ai quali per legge sia stata affidata, anche a scopo determinato, la riscossione diretta di imposizioni statali ». È stato rilevato che ci sono degli enti che non potrebbero passare in gestione pubblica. Ignoro quali siano questi enti, che forse chi ha presentato questa obiezione ha indicato, ma io non ero presente ... Attualmente cosa avviene? Anche questi signori debbono mandare una parte delle loro entrate al centro, che non apporta niente a quello che fanno le gestioni locali. Ma non intendo parlare di tali gestioni a carattere privatistico, almeno fino a quando tale carattere sarà mantenuto. Mi riferisco ad enti che esigono tasse e contribuzioni dai cittadini come l'E.A.M., che esige i diritti di statistica, la società degli autori che esige contribuzioni e tasse e simili altri a carattere pubblicistico. Ecco a che cosa si appunta la mia critica: non è possibile che si continui così. Dacchè ho la parola, non mi sembra fuori luogo chiedere a l governo una dichiarazione sulla sorte avuta dall'ordine del
giorno approvato da questa assemblea il 21 agosto scorso sul cumulo delle cariche e la molteplicità degli incarichi, dati a funzionari dello stato e degli enti statali e parastatali; tale sistema ha dato luogo a notevoli sperequazioni d i compensi, ha creato spesso la figura dei controllati-controllori e disturbato il regolare funzionamento amministrativo degli stessi uffici afidati agli impiegati così favoriti. A me sembra che il metodo continui indisturbato e che, tranne qualche rara eccezione, non si siano notati cambiamenti sensibili. Concludendo, è mia convinzione che uno stato giuridico ed economico del personale che sia chiaro, adeguato e sicuro, Eenza favoritismi d i casuali dati per legge e di quegli altri dati con ripieghi, senza offerte d i posti extra e di incarichi d i favore,' farà tornare la fiducia verso la pubblica amministrazione, sia del paese, sia degli stessi impiegati, che desiderano rispettata la loro dignità e assicurato il compenso conveniente a l posto ed alle condizioni presenti d i vita. E questo è anche il mio augurio. (*) (sedutn del 19 dicembre 1953).
DISCORSO SULLE COMUNICAZIONI DEL GOVERNO (**) Signor presidente, onorevoli senatori, non è un mistero il mio atteggiamento favorevole alla soluzione Pella, che, secondo me, avrebbe dovuto continuare fino ad una conveniente intesa fra i vari partiti, nonostante la debolezza insita ad u n governo di minoranza, nell'attuale clima parlamentare. Ciò emerse chiaramente durante la discussione dei bilanci, per il fatto, ripetuto più volte, di avere la camera approvato a notevole maggioranza e perfino alla unanimità, ordini del giorno impegnativi, per i quali il governo si era opposto dichiarando di non accettarli. Una volta decisa la formazione di un governo di maggio(*) L'0.rl.g. veniva approvato. Il disegno di legge veniva approvato dalla camera dei deputati e dal senato e nuovamente approvato, con modificazioni, dalla camera dei deputati in seguito a nuovo esame chiesto dal presidente della repubblica. L. 27 dicembre 1953, n. 948 (G.U. 30-12-1953).
(**) Gabinetto Scelba.
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- STniizo - Scritti giuridici
ranza, la soluzione presente, e per il limitato margine di voti nelle due camere e per le discussioni sul quadripartito, con o senza apertura a destra e sinistra, darebbe un'impressione polemica che il presidente del consiglio ha senz'altro esclusa, affermando che i l presente non è un governo di parte, sì bene i l governo della nazione, e aggiungendo l'augurio di una più larga polarizzazione democratica verso il governo stesso, e nel parlamento e nel paese. Nessuno può mettere in dubbio che l'Italia sia uno stato democratico; ma, a differenza degli Stati Uniti, la nostra non è democrazia presidenziale sì bene democrazia parlamentare. In questo quadro dovremmo dire che tutti i gruppi dovrebbero essere democratici in quanto traggono origine dal suffragio popolare, che è alla base del nostro sistema costituzionale. Nel fatto, la varietà degli atteggiamenti dell'opinione pubblica e i contrasti di tendenze danno alla democrazia quei caratteri ideologici e pratici che differenziano e contrappongono i partiti organizzati e i relativi gruppi parlamentari. I n sostanza, vi sarebbero varie concezioni della democrazia: la cristiana e la socialista, la liberale e la mazziniana, la qualunquista e la monarchica e così di seguito. Vi sarebbe anche la democrazia progressista, ma siccome tutti siamo per il progresso, la parola progressista non fa una specificazione caratterizzata. Ma quale ne siano le denominazioni, due sono gli elementi fondamentali che classificano, come tale, ogni democrazia: la libertà che si oppone al dispotismo e alla dittatura; la socialità che si oppone al particolarismo di classi, categorie e interessi. Possiamo affermare senza difficoltà che l'Italia, dopo aver provato la dittatura, non vuole affatto ricadervi sotto nessun titolo, nè quello dell'ordine nè quello della rivoluzione. u t tatura è negazione di libertà e quindi negazione -di democrazia -non p o t e n i G i d a r e democrazia senza libertà. , Fra parentesi: è stata suggerita l'idea di u n appello al paese, se i tentativi per u n governo di maggioranza dovessero fallire; la proposta, come ultima istanza, sarebbe nella linea della libertà. Bisogna però, nel nome stesso della libertà, aggiungere
subito due punti: primo, di non imporre a priori u n limite al parlamento nei suoi tentativi di ricerca di una maggioranza; secondo, di non reputare che l'invito ad una più larga coesione democratica attorno al governo possa sortire i l suo effetto se allo stesso tempo si afferma, in caso di fallimento, la necessità di nuove elezioni. Fra i buoni propositi del governo contenuti nella dichiarazione fatta dall'onorevole presidente, e mio amico, non mancano lc affermazioni in difesa della libertà in genere e delle libertà in particolare. Ne prendo nota con soddisfazione, rilevando a conferma che la libertà è totale o non è libertà; non si tratta solo della forma istituzionale dello stato, ma della realtà funzionale dello stato e dei Limiti delle proprie competenze, con la garanzia che tali limiti non siano oltrepassati, sì che i l cittadino sia sicuro dei suoi diritti e del rispetto della sua personalità. Nonostante ogni buon volere e nonostante le ripetute dichiarazioni degli uomini d i governo d i oggi e di ieri, non può negarsi che incomba ancora il peso d i uno statalismo sempre più invadente. Non nego un misurato intervento statale nelle varie branche dell'attività privata, specialmente a scopo integrativo, e dove l'iniziativa privata non possa da sè corrispondere adeguatamente alle esigenze pubbliche. Aggiungo che non è qui in discussione quanto in questo campo è avvenuto in Italia, sia per gli scopi perseguiti dal passato regime, sia per le necessità sorte dalla guerra e dalle conseguenze della guerra, trattandosi d i fatti che nessuno potrà mettere in non essere. I1 male che io lamento è venuto in seguito: qualsiasi tentativo di riprendere risolutamente la via della libertà è stato sbarrato da tre fattori: la poca fiducia, più esattamente la paura della libertà ( i l solito salto nel buio); il complesso di inferiorità dei partiti di fronte alla propaganda marxista; gli interessi precostituiti di certa burocrazia e d i quel che io chiamo (r avventiziato politico », operanti insieme nei mille e più enti statali e parastatali. Oggi, a nove anni dalla fine della guerra, ci troviamo in tale intreccio di interessi, e, più che altro, in tale stato psicologico, che riesce difficile parlare senza sottintesi di una effettiva atte-
nuazione dell'interventismo statalista. È perciò che ne parlo io, che non h o legami di partito, nè di interessi e di parentele. Sarà la mia la voce di una Cassandra inascoltata, di chi ancora mantiene i pregiudizi di altri tempi e di altri paesi, non importa: se tacessi sentirei di mancare al mio dovere. Due concezioni stanno di fronte: lo statalismo che arriva al socialismo di stato; la libertà che tende alla cooperazione civica e sociale. Io sono per la seconda. La -mia--non è la libertà del manchesteriano lasciar fare e lasciar_passa~~,--di .-p e l liberalismo individualista, che ai primi decenni del secolo scorso reagiva al vecchio corporativismo statizzato e fossilizzato, e perciò servì a dare nuovo slancio alla economia europea e americana. Ogni tempo ha i l suo male e il suo bene. Le lezioni del passato debbono servire a rendere efficace l'esperienza del presente. Ci fu chi disse che la libertà si difende ad ogni momento, perchè è sempre insidiata, come sempre è insidiata la virtù: ciò vale per tutti e per tutti i casi. Però bisogna intendere il senso profondo della libertà. La migliore definizione, proprio adatta per i democratici, ne fu data da Cicerone: libertà è partecipazione al potere. Nello stato dittatoriale il potere è nel dittatore e la libertà si risolve nella sua persona e in quella dei più stretti e sospettosi collaboratori. Nel paternalismo, il potere è nel monarca; un quasi benevolo dittatore che crede di fare il bene di tutti, facendo spesso il bene di pochi e della classe partecipe al potere. Solo in democrazia si può arrivare alla partecipazione diretta e indiretta al potere, sia attraverso le istituzioni parlamentari e amministrative, sia nelle forme di decentramento organico-regionale o provinciale, sia nelle libere associazioni consortili, sindacali, e simili; in tutto l'enuclearsi dell'attività umana, libera da vincoli politici precostituiti, sviluppantesi nell'orbita delle istituzioni. Ma il potere o presuppone o chiama il possesso; è legge storica: pertanto, non sarà effettivo il potere da parte del proletariato finchè questo resterà proletariato; occorre che i proletari partecipino anche a l possesso. La legge di socialità ha avuto sempre questo sviluppo. Ma quando, invece della sempre maggiore possibilità di pro-
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prietà privata, - proprietà vuol dire iniziativa, responsabilità e riscliio - si sostituisce u n terzo ( l o stato) a creare i monopoli statali, l e manomorte statali, sia direttamente sia a mezzo d i enti più o meno statizzati, e a mezzo d i partecipazioni statali nelle imprese private, si altera o si interrompe il processo della libertà, non solo sul terreno economico, ma anche su quello giuridico, politico, culturale e finalmente sul terreno istituzionale. I n Italia da tempo siamo avviati al capitalismo d i stato, e quindi alla formazione di una nuova ristretta classe politica, costituita dai partecipanti a tale capitalismo: la burocrazia i n primo piano, quella statale e quella degli enti ~ u b b l i c i . Che meraviglia che gli impiegati privilegiati accumulino incarichi e posti (cosa rilevata nel discorso presidenziale) e siano arrivati numerosi nella camera e nel senato? e che u n certo numero di parlamentari siano amministratori o dirigenti d i enti gestori del denaro pubblico? Con la legge sulle incompatibilità si tentò d i eliminare una serie di inconvenienti derivanti dal conflitto d i interessi fra stato ed enti parastatali e privati; ma la legge va perdendo l a sua eticità, perchè non è stata osservata che da pochi e d è stata evasa d a parecchi; e l'esame delle rispettive giunte delle elezioni è ancora d a farsi. Forse non si misura bene quale pressione venga esercitata sullo stato attraverso gli uomini che il governo deve mettere a capo dell'economia statizzata con la quale si creano i monopoli più impensati. I1 sistema d i partecipazioni statali nelle imprese ( e le region i tentano già la stessa strada) estende la manomorta statale e privilegiata i n modo da alterare i l naturale dinamismo economico, atto ad aumentare la produzione e assorbire la sempre crescente manodopera. P e r giunta, questi enti e le amministrazioni dei monopoli statali. d i fatto e d i diritto, godono d i tali privilegi creditizi e fiscali, da potere volendo mettere i privati concorrenti knock out, senza difficoltà. C'è sempre lo stato, cioè la comunità, che sopporterà le perdite quasi costanti d i tali imprese. Così si andrà sempre più rattrappendo la iniziativa privata e sempre più ingigantendo quella pubblica che avrà d a l suo
lato tutto il potere e quasi tutto il possesso. Coloro che riusciranno a vivere ai margini dell'economia statale, dovranno secondarne l'ingrossamento e cedere nel campo politico alle esigenze dei partiti. In tale intramatura statale, si inseriscono i cosidetti monopoli privati, che in tanto sarebbero monopoli, e come tali dannosi alla economia e alla libertà, in quanto partecipanti, direttamente o indirettamente, all'esercizio del potere. Non vorrei essere frainteso: la denunzia dei monopoli privati può anche tendere a smontare quella grande industria che ha portato 1'Italia verso il livello delle nazioni più progredite e che ha creato una manodopera specializzata, tecnicamente di primo ordine. A parte le protezioni doganali, non si tratta di monopoli di diritto, e neppure forse di fatto, se resta intatta la possibilità di creare imprese concorrenti, quante volte vi sia margine di assorbimento dei prodotti nel mercato interno e in quello estero. Non sono io contrario a una legge che introduca sanzioni a impedire i tentativi di monopolio privato, creditizio, industriale e commerciale. Ma bisogna correggere allo stesso tempo l'indirizzo statalista; eliminando i propri monopoli, istituiti perfino sul commercio delle banane, nonchè le concessioni a privati della gestione di monopolio, come quello dei fiammiferi, o mantenendo monopoli deficitari ed esoei come quello del sale, o imponendo vere barriere protettive ai propri monopoli come quello dei prodotti jodici di Salsomaggiore. Ma gli stessi tabaechi potrebbero essere demonopolizzati si da ottenersi lo stesso gettito con tasse di produzione e di consumo. Alla legge che impedisca la creazione dei monopoli di fatto aggiungerei quel che in America è regola, la esenzione dall'alta tassazione fiscale di quel reddito netto che verrà reimpiegato a costituire nuove aziende o ad ampliare le esistenti; e darei maggiori facilitazioni al19impiego in Italia d i capitali esteri. Se si vuole che l'Italia, specie i l mezzogiorno, passi dalla economia artigiana e piccolo-industriale con clientela locale, alla azienda a larga clientela nazionale ed estera, occorre che l'aumento della produzione risponda all'abbassamento dei costi a l livello, di quelli internazionali. È giustamente finito i l tempo in cui si contava in Italia sui
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bassi salari; oggi si deve poter contare sulla sempre p i ù perfezionata attrezzatura di impianti, sulla quantità della merce prodotta e sull'alto rendimento del lavoro. Tutto ciò può essere ottenuto se resta integra la responsabilità personale dell'imprenditore e se si ~ e r f e z i o n ala educazione e l a specializzazionc dei dirigenti e dei lavoratori. Sarebbe grave colpa continuare a seguire la spinta d i coloro che, sopprimendo il rischio, vogliono trasformare la responsabilità economica (che è efficiente) in responsabilità politica (che non funziona mai). Non si può sopprimere i l rischio d a nessun settore della vita umana. Dio stesso volle darci la libertà col rischio d i pigliare la strada sbagliata invece della giusta. Ma l'orientamento attuale consiste nel riversare sullo stato, cioè sulla comunità, il rischio individuale; arriveremo col tempo a essere tutti impiegati statali. Quel giorno, se venisse, non esisterebbe più una nazione di responsabili ma u n gregge d i irresponsabili. Solo i l rispetto alla libertà individuale e alla personalità umana, ci libererà dalla fatale china di uno stato che deve fare tutto, provvedere a tutto, rilevare tutte le iniziative e farle sue, disimpegnare i1 paese da ogni cura, riducendo tutta l'attività umana a l denominatore politico. Mi si domanda se ciò possa dirsi « sociale D, nel senso comune che oggi si dà a tale parola. Rispondo: è il solo sistema che varrà a fare affrontare alla comunità i problemi che assillano il vivere i n comune, perchè concorrerà ad elevare i l tenore d i vita; e farà trovare i mezzi atti a risolvere i problemi sociali. Questa mia fede convinta nella libertà, è fede che la storia prova essere basata sui fatti: mai vi è stato per le classi lavoratrici (intendo qui parlare del lavoro manuale) u n interessamento collettivo e politico, come nei periodi d i libertà; sia per la possibilità data a tali classi, con la libertà d i associazione, d i affermarsi e d i farsi valere per le vie legali invece delle cruentc rivolte d i altri t e m p i ; sia per la spinta data alle leggi tutelatrici del lavoro e per l'attività integratrice dello stato; sia per le affermazioni del suffragio universale amministrativo e politico, a mezzo del quale si opera i l ricambio delle classi politiche. Parecchio d i quanto h o detto credo che concordi con i propositi espressi dall'on. presidente del consiglio, che h a assunto
una grave responsabilità in un'ora difficile per il nostro paese; non pretendo che le mie idee siano tutte accettate; solo desidero che il governo ne tenga conto, nel tentativo di ridare al paese fiducia nel suo avvenire, e alle classi sociali il senso del comune interesse in una salda ed efficiente solidarietà. (seduta
del 20 febbraio 1954).
DISEGNO DI LEGGE N. 359: « Istituzione d i una imposta sulle società e moderazioni in materiu d i imposte indirette sugli affarin.
Onorevole presidente, onorevoli senatori, è difficile che, in materia tributaria, u n disegno di legge sia trovato di piena soddisfazione, ma è anche difficile, per chi deve concorrere ad assegnare fondi per coprire nuovi oneri statali, negare il proprio voto ad un disegno di legge, anche se non pienamente soddisfacente. È questo i l mio caso. Cercherò pertanto di dire la mia parola per colmare quella che mi sembra una parziale lacuna del disegno di legge, anche nel testo emendato dalla 5' commissione. I1 punto delicato di qualsiasi disegno di legge in materia di impost&2ZfiXio-&&i-CÒnvergenza dèlI'Gte~<eTèI16-Stato . - con-1'interesse-delia~~~duzionè, in-modo che la imposizione - -- - . . ---non attacchi la produttività, e la produzione dia i l maggiore contributo alle finanze statali. È vero che la ricerca di questo punto medio è difficile. I pareri dei tecnici non arrivano mai a chiarire i motivi di contrasto, le statistiche sono variamente interpretate, alla fine, per arrivare ad una conclusione, si ricorre al buon senso comune ovvero al giudizio salomonico. I tre emendamenti che ho l'onore di proporre partono da a s a l v a p a r d a r e , per quanto sia posqueste premesse e mirano - sibile, le aziende cheesigono provvedimenti di risanamento e ----*-__ . cure pec-il primo periodo d i sviluppo, e Li inqua-drano in nuovi complessi produttivi con l'onere, i n prospetto, dell'ammortamento degli impianti. Ho cercato di mantenere le proposte nelle linee del disegno
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d i legge per evitare disarmonie giuridiche e tecniche al sistema della nuova imposta.
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1. I1 primo emendamento è una naturale conseguenza della proposta governativa dell'art. 7, modificata dalla commissione, in riferimento alle aziende che accusano una perdita. Per l'equilibrio dei due fattori della nuova imposta, patrimonio e reddito, fissati nei rispettivi tassi del 0,75 e del 15 per cento, occorre mantenere aderente la proporzione? Nel caso. da me previsto, di u n reddito inferiore al 6 per cento fino all'assenza di reddito, se non si accettasse la proposta, si accuserebbe una sperequazione così grave da non potersi giustificare. Pertanto, ammesso il criterio di uno scatto di dieci volte il rapporto fra i l minore reddito inferiore del 6 per cento e l'ammontare del patrimonio imponibile, l'equilibrio verrebbe automaticamente ristabilito.
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2. I1 secondo emendamento si riferisce alle industrie che per leggi speciali sono state esentate per u n decennio dalla imposta di ricchezza mobile. Tali sono le società per impianti industriali nell'Italia meridionale e nelle isole, le società sorte nelle zone industriali di Bolzano, Ferrara, Livorno, Palermo, Roma, nella zona agricolo-industriale di Verona, nella zona industriale apuana, nella zona franca di Gorizia, infine per il servizio peschereccio, il quale ultimo gode l'esenzione solo per u n triennio. I1 ministro proponente si è opposto al mio emendamento, e mi aspetto una perorazione eloquente per invitare il senato a respingerlo. Egli parte dal fatto incontrastato che l'esenzione dalla imposta d i ricchezza mobile per le su riferite leggi resta operante per i l periodo previsto; la nuova imposta essendo anche surrogatoria d i quella di negoziazione, dovrà essere pagata dalle imprese che fin oggi hanno pagato quella che verrebbe abolita. Dopo le osservazioni del ministro fatte durante la discussione in commissione non ho insistito nella proposta, già formulata d'accordo con altri colleghi, per la esenzione totale dalla nuova imposta, riservandomi di proporre una parziale
esenzione. Purtroppo, non avendo potuto partecipare alle due ultime sedute della commissione, ho dovuto portare qucsto emendamento in aula. La mia proposta 7 va innestata al primo capoverso dell'arì. li - testo della commissione - che fissa la riduzione del 40 per
cento dell'imposta nei confronti di varie società ed enti; estendendo tale riduzione anche « per i redditi che, i n virtù d i speciali disposizioni di legge siano, per un tempo determinato, esenti dall'imposta d i ricchezza mobile D. Tale inciso, come ho già detto, si riferisce alle leggi speciali per la industrializzazione del mezzogiorno e delle isole e alle leggi istituenti determinate zone industriali e agrario-industriali, allo scopo d i creare complessi operanti e attivi, dove fino a oggi sia mancata la spinta a simili attività produttive e dove si sia ritenuta necessaria la creazione di centri più intensi e caratteristici d i sviluppo. È proprio d i questi giorni il richiamo dell'0.E.C.E. all'importanzri della industrializzazione del mezzogiorno, e I'attenzione del mondo finanziario a i problemi del mezzogiorno sotto il punto di vista della economia nazionale. La stessa cassa per il mezzogiorno che sorse escludendo scopi di industrializzazione (contro il parere dei più preveggenti), ha già ricorso alla banca internazionale allo scopo di provvedere in qualche modo a tale settore, colmando una non indifferente lacuna. Quel che fin oggi è stato fatto. dal 1947 in poi. non è molto in rapporto a quel che si dovrà fare; si tratta di impianti nuovi e di ingrandimenti sui quali gravano gli oneri di mutui decennali, sia pure d i favore, e, pertanto, d i iniziative che risentono le difficoltà d i crearsi un mercato adatto. Proprio a tali società industriali con la legge in discussione si sottrae d i botto e annualmente una grossa percentuale di denaro liquido sia sul patrimonio sia sul reddito. Alla obiezione fattami, e dal ministro e da qualche senatore, che in molti casi si tratta di esentare grossi complessi industriali che si sono spostati nel sud, si deve rispondere con i fatti. Gli impianti industriali nel mezzogiorno e nelle isole ai quali si applica l'esenzione decennale della ricchezza mobile sono in grandissima maggioranza d i piccola e media industria. Assai pochi sono gli impianti che impiegano più d i 300 operai; nes-
suno arriva a toccare i 500 operai. A Napoli la Olivetti h a il piano d i impiegarne 800 in seguito; forse la Rasiom d i Augusta arriverà a 500 per la vicinanza con i pozzi petroliferi d i Ragusa; forse anche l'Akragas d i Portempedocle, che per ora è solo i n costruzione. Dal punto d i vista della industrializzazione integrale debbo dire che ciò costituisce una debolezza funzionale e una deficienza produttiva; ma dal punto d i vista fiscale, i l maggior sviluppo della piccola e media industria aumenta i motivi favorevoli alla propria esenzione. La mia proposta d i legge sulle piccole e medie industrie, oggi legge dello stato, h a avuto larghi consensi venuti da ogni parte, specie per gli articoli riguardanti il credito di esercizio, perchè oggi la mancanza d i adeguato circolante è sentita da tutti e non solo dal mezzogiorno. La nuova imposta, incidendo con cifra notevole sui risparmi che formano i l circolante necessario, porterà gravi conseguenze e nello sviluppo normale d i tali industrie e nel conseguente impiego di manodopera. Lo stato farebbe u n pessimo affare se d a u n lato colpisse il risparmio derivante da simili complessi industriali e poi, per dare lavoro agli operai disoccupati, ricorresse a nuovi cantieri d i lavoro. Facendo così. ci perderebbero tanto lo stato che i l paese, perchè ad u n lavoro realmente produttivo verrebbe sostituito u n lavoro non sempre produttivo o fittiziamente produttivo. Pertanto, prego l'onorevole ministro, prego il presidente e i membri della 5& commissione d i volere accogliere l a mia proposta e prego il senato a votarla.
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3. Col terzo emendamento viene aggiunto u n nuovo comma all'art. 8-bis, per ridurre la nuova imposta del 25 per cento nei confronti di società per piccole industrie i l cui patrimonio non ecceda il valore d i 5 milioni. Si tratta d i attenuarne l'onere solo nei confronti d i quelle piccole industrie ( l e società aventi altri scopi non sono incluse), che prescelgono i l tipo d i società d i capitale ad altri tipi d i società che non cadono sotto i l disposto della legge i n discussione. Vari possono essere i motivi d i tale scelta; non indifferente. per il mezzogiorno e le isole, .quello .-- d i vincere la diffidenza
psicologica alla formazione in società d i piccole e medie iniprese. Se invece d i una partecipazione azionaria in capitale, i piccoli industriali fossero indotti a scegliere la forma cooperativa, formerebbero una pseudo-cooperativa a fini speculativi. Difficile per i più sarehhe la scelta di società a responsabilità illimitata, non essendo disposti ad impegnarsi così a fondo con soci per i quali non cessa mai la diffidenza istintiva dei meridionali.
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Ministro e commissione debbono nel caso rispondere se si voglia o no favorire la piccola impresa industriale; se la risposta sarà negativa, passerà il testo attuale dell'articolo 8-bis; se invece la risposta sarà affermativa, dovrà essere accettata la mia aggiunta. Fo appello al giudizio del senato. Poche parole per l'ordine del giorno, formulato nei seguenti termini : I1 senato invita il governo a proporre adeguate esenzioni fiscali sia riguardanti la imposta d i ricchezza mobile cat. B, sia riguardanti la nuova imposta sulle società, per favorire l'impiego di somme che vengano accantonate per la costruzione d i nuovi impianti, nonchè per l'ampliamento e la modernizzazione d i impianti esistenti, allo scopo di attuare la maggiore industrializzazione del paese e il relativo impiego d i mano d'opera. Avevo proposto un articolo aggiuntivo per iniziare, con la presente legge, provvedimenti atti a spingere e reinvestirc i risparmi in imprese industriali. Alla osservazione del ministro che sarebbe più opportuno presentare la proposta durante la discussione del disegno d i legge n. 462 sulle norme integrative della legge 11 gennaio 1951, n. 25, sulla perequazione trihutaria, mi sono arreso a rinviare la proposta. Non così che non ne faccia u n accenno in questa sede. L'ordine del giorno serve per richiamare l'attenzione su questo problema. Ho dovuto altre volte lamentare sia la fuga di capitali all'estero, sia l'impiego in aziende più sicure ma meno produttive. La funzione indiretta della finanza statale è proprio quella
di stimolare il capitale privato verso zone più interessanti I'economia del paese. Non è il caso di dimostrare come la industrializzazione segna una fase importante della nostra economia. Occorre che i provvedimenti pubblici siano adeguati alle esigenze d i sviluppo. Non domando clie lo stato faccia l'industriale; domando che lo stato spinga i privati a fare gli industriali, a impiegare i propri risparmi nelle industrie, - - assumerne. la-rssponsabilità, - "affrontarne i rischi, ottenerne i vantaggi per sè e per i lavortitori in salda collaborazione. La finanza stessa si avvantaggerà dell'aumento produttivo del paese. Solo questa è la vera e la sana politica finanziaria.
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(seduta
del 4 giugno 1954).
(Seguito della discussione). I n seguito alle osservazioni dell'onorevole ministro, io ho creduto opportuno attenuare il testo del mio ordine del giorno cambiandone alcune frasi. Ne dò lettura: « 11 senato invita il governo a proporre adeguate agevolazioni fiscali per favorire l'impiego di somme che vengano accantonate per la costruzione di nuovi impianti, nonchè per l'ampliamento e la modernizzazione degli impianti esistenti D. Siccome l'onorevole ministro mi domanda se posso modificare l'ordine del giorno, vorrei dire alcune parole per dimostrare che l'ordine del giorno, così come è, non è u n impegno che possa non essere accettato, se l'assemblea lo rimandasse alla P commissione per farne oggetto di esame nel trattare in sede referente il disegno di legge n. 462. Se l'onorevole presidente lo permette, io posso esprimere brevemente i l mio pensiero in proposito. L'ordine del giorno con cui si invita il governo a proporre adeguate esenzioni fiscali per favorire l'investimento d i una parte degli utili delle imprese, tanto individuali che collettive, nella costruzione di nuovi impianti esistenti, mira, come è agevole intendere, ad accelerare l'industrializzazione del paese ed il perfezionamento continuo dell'attrezzatura produttiva nazionale: due scopi che vanno considerati assolutamente fon-
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damentali per il progresso economico e per l'incremento della occupazione. Mi rendo perfettamente conto delle obiezioni che possono muoversi alla mia proposta e non ho difficoltà a riconoscere che le esenzioni fiscali di cui è cenno nel mio ordine del giorno equivalgono, come tutte le esenzioni fiscali, a sussidi o contributi che lo stato concede agli investimenti. Trattandosi di erogazione di pubblico denaro, la norma deve quindi essere congegnata in maniera da assicurare che lo scopo sia raggiunto con il minor sacrificio per l'erario e con i l minor numero possibile di inconvenienti. Trattandosi peraltro di una disposizione che dovrà essere inserita nel disegno di legge n. 462 con cui si dettano norme integrative della legge sulla perequazione tributaria, c'è tutto il tempo necessario per studiare una formulazione di articoli nei quali si tenga conto di tutti i lati del problema. I n questa sede, mi preme solo che sia chiaramente affermata la necessità di un provvedimento come quello da me ideato, e che presenta del resto molte analogie con quanto preannunziato alcune settimane addietro dal cancelliere dello scacchiere inglese. Non ho avuto la possibilità di accertare se disposizioni analoghe siano state adottate anche in altri paesi. Ma, se anche i sistemi a cui si è fatto ricorso non siano esattamente uguali, certo è che la necessità di favorire il rinnovamento e l'ammodernamento delle attrezzature produttive è stata largamente riconosciuta, specie in questo dopoguerra, in tutti i paesi moderni anche e soprattutto in quelli che per essere più industrializzati e tecnicamente più progrediti, sembrerebbero avernemeno bisogno. Di fronte all'esempio così altamente significativo che ci viene offerto dalla Gran Bretagna sono ad ogni modo sicuro che nessuno vorrà mettere in dubbio l'opportunità che si faccia altrettanto in un paese come l'Italia che ha ancora da fare tanto cammino sulla via della industrializzazione ed ha per giunta una assoluta urgenza d i bruciare le tappe, non fosse altro che per attenuare il fenomeno gravissimo del disimpiego di cui l'inchiesta della commissione parlamentare presieduta dall'attuale
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ministro delle finanze, onorevole Tremelloni, ha messo in luce tutta la gravità. Sono pertanto sicuro che il senato vorrà benevolmente approvare i l mio ordine del giorno che è stato, per così dire, semplicizzato nella forma; se l'espressione « invita il governo » 'non piace, io non saprei come poter cambiare la parola « invita D. Infatti il dire semplicemente « raccomanda ha un valore che non mi pare possa rispondere alla esigenza che io desidero sia affermata. Ecco quale è la questione. Prego allora l7onorevole ministro di accettare il termine « invita » e di fare esaminare dalla commissione che attualmente ha in esame il disegno di legge n. 462 « u n sistema di agevolazioni fiscali tali che favoriscano, ecc ».(*) (seduta del 9 giugno 1954).
DISEGNO DI LEGGE N. 462: « Norme integrative della legge I l gennaio 1951, n. 25 sulla perequazione tributaria D.
Onorevoli senatori, È con un senso di rincrescimento che vi parlo in questa sede per presentare una proposta pregiudiziale così formulata: « I1 senato, riconoscendo essere indispensabile che il disegno di legge 462: norme integrative della legge l 1 gennaio 1951, n. 25, sulla perequazione tributaria, sia collegato con la riforma degli organi per la risoluzione delle controversie in materia di imposte dirette e di imposte di trasferimento della ricchezza, in (*) L'0.d.g. veniva approvato. Nella seduta del 10 giugno 1954, Sturzo presentava un emendamento al testo dell'art. 7, che poi ritirava in seguito a chiarimenti del relatore di maggioranza. Approvato dal senato, il disegno di legge veniva modificato dalla camera dei deputati, e i l titolo suonava « Istituzione di un'imposta sulla società e modificazioni in materia di imposte indirette sugli affari n. Come dis. di legge n. 359-B veniva poi approvato dalla 5a commissione del senato il 30 luglio 1954. Legge 6 agosto 1954, n. 603 (G.U. 11 agosto 1954).
modo che le due leggi conseguentemente approvate dal parlamento vadano in vigore contemporaneamente ; K ritenuto che il termine d i cinque anni dall'entrata in vigore della costituzione, fissato dalla V I fra le disposizioni transitorie e finali della costituzione stessa, per la revisione degli organi speciali d i giurisdizione attualmente esistenti (fra i quali quello del contenzioso tributario) è da due anni trascorsi, sicchè il cittadino si trova privato del suo giudice naturale, quale è voluto dall'art. 102 della costituzione; u invita il governo a presentare u n disegno d i legge d i riforma degli organi giurisdizionali tributari in conformità alla lettera e allo spirito della costituzione e passa all'ordine &l giorno ». Sotto altra formulazione e insieme ad altro problema (quello della revisione delle aliquote), avevo prospettato a i colleghi della Sa commissione la necessità della riforma del contenzioso tributario. Ma in tale sede, per motivi di tempestività, d i procedura e d i merito, furono rigettati i miei due ordini del giorno. Oggi, limito la mia proposta pregiudiziale alla questione delle commissioni tributarie, riserbandomi d i sollevare altre questioni, se del caso, in sede di discussione degli articoli. Son sicuro che non c'è u n solo senatore che non convenga sulla necessità costituzionale, giuridica e morale di rivederc l'attuale legislazione sul contenzioso tributario. È anche noto che a l ministero delle finanze si son fatti studi preparatori e lunghe discussioni per adeguare tali riforme al precetto costituzionale dell'articolo 102. Lo stesso attuale ministro alle finanze, on. Tremelloni, dichiarò in commissione (nella discussione dei miei ordini del giorno) essere a buon punto gli studi per la redazione d i uno schema di legge in proposito. Sta d i fatto che dai primi di ottobre (data delle dichiarazioni del ministro) fino ad oggi, a due mesi e mezzo d i distanza, i l disegno d i legge da me richiesto non è stato presentato al parlamento e neppure a l consiglio dei ministri. Questa carenza, da parte del dicastero competente, non può non essere dannosa nel complesso dispositivo del disegno di legge che si trova avanti il senato sulle norme integrative della legge 11 gennaio 1951. Era, difatti, necessario che da parte dei
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governo proponente come da parte della commissione venisse affrontato e risolto il problema della natura giurisdizionale delle commissioni tributarie; la soluzione in teoria è stata conforme alla vigente giurisprudenza e conforme allo spirito della costituzione, cioè (cito le parole del relatore): (C che le coinmissioni delle imposte sono organi giurisdizionali )) e non mai (C organi dell'amministrazione attiva finanziaria 1). Purtroppo, questi organi giurisdizionali sono oggi composti in modo da confondersi con la stessa amministrazione finanziaria attiva: le commissioni distrettuali, presidente, vice presidente, membri effettivi e membri supplenti sono tutti nominati dall'intendente d i finanza; le commissioni provinciali sono per intiero nominate dal ministro per l e finanze; la commissione centrale anch'essa nominata per la totalità dal ministro delle finanze. È mai possibile poter realizzare il sano principio che ha ispirato il disegno di legge in discussione che il contribuente e l'amministrazione tributaria, cioè le due parti in contesa, siaiio avanti il giudice sul medesimo piano di diritti e di doveri? La introduzione dell'obbligo del giuramento e di pene re- . strittive sono ben gravi provvedimenti previsti dal disegno d i legge; ma quali le garanzie del cittadino se da u n lato questi è privato del suo giudice naturale fissato dalla costituzione e dall'altro è messo alla mercè di organi nominati di autorità dai rappresentanti della parte in contesa? Naturalmente, le incongruenze che ne derivano sono rilevabili nelle varie disposizioni contenute nel disegno di legge in esame, tanto per l e questioni di diritto che per le questioni di merito; a non parlare del fatto che sussistono diversità d i procedura per i diversi tipi d i imposte, e perfino le doppie procedure, quella presso le commissioni e quella presso gli organi della magistratura ordinaria. Non nego che vi siano state difficoltà di ordine giuridico e pratico a trovare una soluzione al problema del contenzioso tributario; ma non è ammissibile che si voglia aggravare, con l'attuale disegno d i legge, la condizione del cittadino, negando a priori le garanzie statutarie in base a una problematica forse
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l1 - S ~ u s z o S c n t t i giuridici.
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È vero che i l termine è dato al legislatore, che è carente d i fronte a non poche disposizioni costituzionali; ma è anche dato al potere esecutivo che doveva in tempo presentare il disegno di legge in parlamento. F a meraviglia come la riforma delle commissioni tributarie non fosse sentita come un imperativo categorico dall'amministrazione finanziaria. Non accuso l'attuale ministro, che solo da undici mesi è a quel posto; però undici mesi contano qualche cosa nel mantenere u n istituto giuridico che manca d i base. Una delle due: o il disposto dell'articolo 102 della costituzione non si ritiene applicabile al caso, e se ne deve promuovere la modifica; o si ritiene applicabile (ed è la mia tesi) e la relativa legge sul contenzioso tributario deve essere discussa e approvata senza dilazione. Questa urgenza deve essere sentita in quest'aula ora che il senato si accinge a discutere il disegno di legge 462, perchè vi si contengono disposizioni processuali e di giurisdizione tali che non possono essere affidate alle vigenti commissioni senza preoccupazioni d i ordine costituzionale. Se all'entrata in vigore della nuova legge tributaria, la corte costituzionale non sarà ancora funzionante ( i l che entra nel quadro della inosservanza della costituzione), l'eccezione d i legittimità potrà essere portata avanti il magistrato ordinario. Pertanto, prego i l senato di voler approvare la mia proposta pregiudiziale e prego il governo d i voler presentare al più presto il disegno d i legge sul contenzioso tributario. (*) (seduta del 18 gennaio 1955).
(Seguito della discussione) Onorevoli senatori, non ripeterò quanto ebbi l'onore di esporre in quest'aula il 9 giugno dello scorso anno, nel presentare l'ordine del giorno in sede di discussione della legge sulle società per azioni, .--invitando i l governo a studiare il modo di favorire, con esenzioni
(*) La proposta pregindiziale non veniva approvata.
fiscali, il reimpiego degli utili annuali per nuovi impianti in'dustriali o per ampliamento di quelli esistenti. Gli studi del ministero non sono stati troppo favorevoli alla mia proposta, perchè l'on. ministro, dopo avere cercato di ridurnc al minimo la portata e dopo avere esaminato la formulazione di due testi sostitutivi, di fronte ad un'ipotetica diminuzione di gettit6 della imposta di ricchezza mobile di circa sei miliardi all'anno, si pronunziò in senso negativo; ia commissione si associò al ministro e la mia proposta non comparve nel testo di disegno di legge che il senato sta discutendo. L'articolo aggiuntivo che ho l'onore di proporre a questa assemblea non è quello da me presentato alla commissione e che aveva allarmato gli uffici del ministero; nella prima parte ho utilizzato una delle due formulazioni ministeriali duplicando le percentuali ivi segnate ( e ne dirò le ragioni); ed ho aggiunto u n secondo capoverso che credo utile allo scopo. L'aumento al 20 per cento della esenzione del costo del nuovo impianto industriale (invece del 10 per cento del testo originario) è giustificato sia dal fatto che tale cifra subirebbe ancora una decurtazione se i l costo esentato supera i l 10 per cento del reddito dichiarato (nel testo originario il 5 per cento); sia dal fatto che la esenzione in confronto all'intiero costo dell'impianto non sarebbe (nelle cifre originarie) che un vantaggio assai relativo e non credo che costituirebbe una spinta reale per la generalità dei contribuenti. I1 motivo, poi, che mi ha spinto a formulare il secondo capoverso è una conseguenza della limitatezza dell'esonero; l'industriale che è disposto a impiegare i suoi risparmi in nuovi impianti, dovrà poter disporre dell'intiera cifra, e se l'utilizzo delle quote di imposta di ricchezza mobile cat. B esentate del primo e anche del secondo anno non bastano all'acquisto del macchinario, deve potere attendere anche i! terzo anno per potersi impegnare verso i fornitori ed eseguire il nuovo impianto. Mi si è obiettato che pur di evitare di pagare per tre anni la quota esentata, molti saranno indotti a dichiarare di volere eseguire un impianto nuovo che mai faranno. Son sicuro che il ministero delle finanze darà disposizioni chiare per verificare
le dichiarazioni dei contribuenti; potrà anche richiedere i dati del progetto e relativi costi e i dati sul tempo tecnico necessario alla realizzazione e così via. Ad evitare abusi si potrebbe aggiungere che la mancata realizzazione del nuovo impianto, se non giustificata da fatti successivi, darà luogo al pagamento degli interessi d i mora. Mi è stato fatto osservare che la proposta da me presentata può prestarsi a due interpretazioni diverse che debbono essere messe in luce. Dal contesto del primo capovereo sembra trattarsi di una specie di ammortamento anticipato per la quota esentata, sicchè nel successivo triennio tale quota non verrebbe conteggiata negli ammortamenti normali. I n tal modo nulla verrebbe n perdere il fisco. perchè la riscossione dell'imposta dovuta nel triennio verrebbe incassata pro quota negli esercizi successivi nei quali l'ammortamento normale verrebbe minorato delle corrispondenti quote d i esonero. Non è stata questa la mia intenzione nel formulare l'articolo in parola. Pertanto h o aggiunto la di~posizione riguardante l'accantonamento delle somme esentate nel triennio e la facoltà di investirle in quote azionarie per la costituzione d i società creata allo scopo d i costruire nuovi impianti industriali. E, se ciO non basta a dissipare I'equivoco, potrei proporre uti terzo comma ancora più esplicito nei seguenti termini: « l'esenzione prevista nel primo comma d i questo articolo non fa ostacolo alla detrazione delle normali quote di ammortamento dei nuovi impianti ». I n sostanza, la mia proposta porta ad una effettiva esenzione per limitata che sia, e non mai ad una semplice anticipazione d i ammortamento. Ciò posto, veniamo al concreto. L'on. ministro ebbe a dichiarare che con l'originaria mia proposta: « esenzione del 25 per cento degli utili senza alcun rapporto all'ammontare del reddito, ed esclusione di tali somme dal computo della determinazione del reddito ai fini dell'imposta sulle società», i l presunto minore incasso per il fisco sarebbe arrivato a sei miliardi all'anno. Partendo da questo dato, e facendo approssimativamente le opportune deduzioni sia per la differenza del quinto nella
percentuale degli utili (20 invece di 25), sia per la introduzione del secondo limite, quello del reddito dichiarato, sia per la omissione d i qualsiasi rapporto con la imposta sulle società, sia perchè la nuova proposta esclude che la esenzione contempli gli ammodernamenti e gli ampliamenti, limitandola ai nuovi impianti per i quali non tutti i contribuenti della categoria saranno in grado di affrontare la spesa, a mio modo di vedere, si dovrebbe arrivare ad una previsione di minore entrata fra i tre e mezzo e i quattro miliardi. I1 controllo di tale previsione di minore gettito per un triennio per l'applicazione della presente proposta può essere fatto partendo dalla cifra globale del 1954 di 405 miliardi di lire di reddito derivante da attività industriali commerciali artigiane e da affittanze agrarie; 315 miliardi da persone fisiche e 90 miliardi circa da ditte sociali. Non tutti si affretteranno a fare nuovi impianti; non è frequente il caso che commercianti agricoltori e artigiani si spingano a divenire di botto industriali. È da notare inoltre che un buon numero di contribuenti si accinga, nel futuro triennio, a fare nuovi impianti industriali, piccoli, medi e grandi; i quali tutti in complesso non potrebbero arrivare alla metà del reddito dichiarato da tutti i settori produttivi sopra indicati, cioè 200 miliardi in cifra tonda: poichè non si potrà superare (secondo la mia proposta) il 10 per cento del reddito; si arriverebbe pertanto ad esentare solo 20 miliard i ; sui quali l'erario perderebbe al massimo, poco più poco meno, 3 miliardi e mezzo. Se poi si volesse ritornare alla percentuale propostasi dagli uffici ministeriali, del 10 per cento degli utili del 5 per cento del reddito; allora si scenderebbe a molto meno di due miliardi all'anno. Finalmente, se si vorrà non riconoscere per tali nuovi impianti il diritto di esenzione per l'ordinario ammortamento della quota suddetta, si tratterebbe di un'anticipazione pura e semplice che non produrrebbe diminuzione nel gettito dell'imposta. Tenendo presenti tali dati di un'evidenza palmare, io mi domando come mai il ministro abbia potuto prevedere un mancato introito di sei miliardi; e come mai si faccia oggi qui una questione così inconsistente.
L'Inghilterra ha una disposizione quasi eguale a quella da me formulata, con l'aggiunta che l'esenzione gioca anche per l'ammortamento delle quote esentate e investite nei nuovi impianti. In tale spirito, questo articolo segnerebbe un inizio, che il governo dovrà di sicuro sviluppare in sede di piano decennale per favorire investimenti nuovi, per accrescere la produttività, per dare lavoro ai disoccupati. L'esperimento proposto dall'articolo aggiuntivo è limitato a tre anni: dopo i quali si vedrà se migliorare i l sistema, se trovarne un altro. Non si fa opera savia se non si spinge i l privato a reinvestire quegli utili che altrimenti andrebbero in consumi superflui, ovvero varcherebbero le frontiere in cerca di maggiore sicurezza che non nel proprio paese. La proposta che vi sottopongo, onorevoli senatori, non ha grande importanza finanziaria; ma ha un valore psicologico ed etico notevole. Non ho proposto, come era mio desiderio, la revisione delle aliquote; e qui mi limito ad augurare che anche questo problema sia studiato in modo da concretizzarsi in un bene accurato disegno di legge, che risponda ai criteri del nuovo piano, in corso di studio, di investimenti e di lavoro. Nel seguito della discussione, Sturzo proponeva un emenclamento, dichiarando poi: Dal punto di vista di principio, mantengo il mio emendamento. Anzitutto domando la divisione tra il primo e i l secondo comma, sul quale il senatore Zoli ha fatto delle osservazioni che, in verità, se mi è consentito, dovrei ribattere. Debbo dire molto chiaramente che io avevo messo il secondo comma proprio per precisare due cose, alle quali però ancora qui non è stato dato u n chiarimento. I1 primo comma, mi è stato osservato, nella formula attuale che io 1x0 accettato come formula venutami dalla proposta ministeriale, potrebbe essere interpretato come un ammortamento anticipato, onde nel fare gli ammortamenti dei nuovi impianti si dovrebbe decurtare quella percentuale del 10 O del 20 per cento - a seconda delle percentuali che saranno
fissate per legge - che sarebbe stata esentata in precedenza nel triennio. I n tal caso, lo stato non viene a perdere niente, perchè in sostanza percepirà posticipatamente, diciamo così, l'imposta sull'intera somma. Questa interpretazione io credevo d i averla esclusa con il secondo comma, ammettendo innanzitutto la possibilità dell'accantonamento, per modo che invece di spendere ogni anno la somma in acquisto, si potesse spendere durante l'ultimo anno del triennio, poichè altrimenti ci sarebbero degli impianti che non potrebbero essere realizzati per insufficienza d i mezzi. Di più, avendo ammesso anche la partecipazione a società che si costituiscono per fare nuovi impianti, risulta chiaro che non si tratta semplicemente di un ammortamento anticipato, bensì di un'esenzione vera e reale. Detto questo per chiarire all'amico Zoli i l senso del secondo comma del mio emendamento, dichiaro di essere disposto a redigerlo. se lui lo accetta, in maniera che acquisti maggiore aderenza al primo, sempre però partendo dal punto di vista che non è un ammortamento anticipato, bensì una vera e propria esenzione. Desidero. quindi, un chiarimento prima di andare avanti. Veniva poi approvato il primo comma deU9articolo aggiuntivo proposto d a Sturzo: « Ai fini della determinazione del reddito assoggettabile
all'imposta d i ricchezza mobile categoria B a carico delle società e degli enti tassabili in base al bilancio e dei contribuenti che abbiano chiesto di essere tassati in base alle risultanze delle scritture contabili, per ciascuno dei tre esercizi successivi all'entrata in vigore della presente legge, è esente da imposta il 10 per cento delle spese che i l contribuente abbia effettuato per nuovi impianti installati in eccedenza all'ammontare degli ammortamenti ammessi in detrazione per l'esercizio stesso. L'ammontare del reddito esente non può in nessun caso superare i l 5 per cento del reddito dichiarato D.
Il secondo comma veniva invece respinto: u Se le somme accantonate non siano state destinate a nuovi
impianti o alla partecipazione azionaria d i società costituite a tale fine e già i n funzione entro i l triennio suddetto, verranno versate all'erario i n un'unica soluzione alla prima scadenza del trimestre successivo 1). (*) (seditta del 28 gennaio 1955). DISEGNO DI LEGGE N. 602: « Norme per la elezione dei consigli regionali
1).
(**)
Desidererei emendare la proposta del senatore Agostino. Invece d i dire « sessanta giorni direi: s Non oltre trenta giorni )) perchè sono d'avviso che si debba veramente cercare che i rappresentanti delle regioni partecipino alla elezione del presidente della repubblica, essendo questa una disposizione tassativa della costituzione e non potendo noi continuare a trascurare la norma costituzionale. Propongo quindi il termine di trenta giorni e non oltie. Le preoccupazioni che h a espresso personalmente i l presidente della commissione senatore Zotta non valgono al caso perchè gli elettori dei consigli regionali sono i consiglieri provinciali. P e r convocare i consiglieri provinciali non ci vuole u n gran tempo, anzi devo dire che nel disegno d i legge i n discussione si sono messi termini molto esagerati; se ammettiamo che l a camera e i l senato possono essere convocati addirittura a brevissimo termine a camere chiuse, non possiamo ammettere che i consiglieri provinciali non possano essere convocati a trenta giorni d i distanza. Prego pertanto i l senatore Agostino e i l senato d i accettare il mio emendamento.
( I l senatore Agostino accetta l'emendamento). Desidero osservare che i l disegno d i legge in discussione dopo l'approvazione del senato deve passare alla camera la (*) I1 dis. di legge, approvato dal senato e modificato dalla camera dei deputati, veniva poi approvato dalla 5a commissione del senato il 19 dicembre 1955, con il n. 462-B. Legge 5 gennaio 1956, n. 1 (G.U. 9 gennaio 1956). (W) D'iniziativa dei senatori Amadeo, Benedetti ed altri.
quale avrà bisogno di un certo tenipo per <liscuterIo. Se, coriie noi speriamo, la camera l'approverà, evidentemente nel frattempo il popolo italiano verrà a conoscenza del fatto che ci saranno le elezioni dei consiglieri regionali e quindi si preparerà anche psicologicamente all'effettuazione d i tali elezioni e all'attuazione della nuova legge. Non credo che i trenta giorni siano insufficienti a suscitare l'istinto elettorale del paese; una certa brevità anzi dà maggiore stimolo alla sollecita preparazione. Propone poi la seguente disposizione transitoria: « Arli e f e t t i dell'articolo 116 della costituzione, viene a cessare l'efficacia della X disposizione transitoria e finale dalla data della prima coiivocazione del consiglio della regione del I'riuli-Venezia Giulia. « Dalla stessa data decorrono i termini fissati dall'articolo 75 della legge 10 febbraio 1953, n. 62, per l'approvazione dello statuto della regione Friuli-Venezia Giulia da parte del consiglio regionale D.
Con la X disposizione transitoria finale della costituzione fu sospesa l'applicazione dell'articolo 116 alla regione FriuliVenezie Giulia, in via transitoria. Questa disposizione fu fatta allora d'accordo dalla costituente, prrchè il territorio libero d i Trieste non aveva allora una delimitazione di confini giuridicamente regolata dal punto di vista territoriale nei rapporti con il nostro paese, e la nuova regione avrebbe dovuto arrivare fino a Trieste. Oggi credo che questa disposizione transitoria abbia perduto la sua ragion d'essere riguardo la nostra politica internazionale, e la regione Friuli-Venezia Giulia dovrebbe essere attuata, agli effetti dell'articolo 116, come una regione a statuto speciale. Se noi applicassimo questa disposizione senza inserire l'emendamento che riguardi la Venezia Giulia, noi implicitamente considereremmo la disposizione X come tuttora in vigore. Ma l a disposizione X, secondo la mia opinione, da gran tempo non è più in vigore, e sarà bene dichiararlo agli effetti dell'articolo 116. Occorre pertanto fissare u n termine d i decorrenza. Volendo
applicare la nuova legge per le prime elezioni regionali anche nella Venezia Giulia, dobbiamo stabilire, con disposizione speciale, che gli effetti dell'articolo 116 della costituzione avranno vigore dal giorno che sarà insediato il consiglio regionale del Friuli-Venezia Giulia eletto con la presente legge; e che tale consiglio dovrà entro un termine formulare lo statuto speciale da approvarsi con legge costituzionale. Questa questione ha evidentemente dei riflessi importanti, ma non può essere trascurata in questo momento da parte della nostra assemblea. I1 senato deve ad ogni modo decidere sulla situazione costituzionale della regione Friuli-Venezia Giulia. Mi è stato obiettato in via privata che la proposta di dichiarare già decaduta la disposizione X della costituzione dovrebbe essere fatta con procedura costituzionale. Non è esatto; ci sono due precedenti parlamentari in merito: la proroga dei termini della disposizione VI11 per le elezioni dei consigli regionali e l'applicazione a1 Molise della disposizione IV anche per la 'seconda elezione del senato, ambedue fatte con legge ordinaria; anche per legge ordinaria occorre togliere la sospensione della disposizione X agli effetti dell'articolo 116 della costituzione. I1 secondo comma del mio emendamento concerne la formulazione dello statuto speciale del Friuli-Venezia Giulia che deve essere approvato dal parlamento; l'applicazione dei termini dell'articolo 75 della legge 10 febbraio 1953, n. 62, non potrebbe essere effettuata se non lo si dichiara tassativamente. Così l'una e l'altra disposizione rendono possibile la normale applicazione dell'articolo 116 della costituzione alla regione Friuli-Venezia Giulia. Per questo prego l'assemblea di voler approvare questo articolo aggiuniivo. (*l (seduta del 15 febbraio 1955).
(*) 11 dis. di legge veniva approvato nel suo complesso nella stessa seduta del 15-2-55.
DISEGNO DI LEGGE N. 499: « Provvedimenti per lo sviluppo della piccola proprietà con-
tadina )).(*) Dirò poche parole, dopo una discussione così larga e dopo l'esauriente risposta tanto del relatore d i maggioranza quanto del niinistro. Io desidero soltanto far notare che il mio disegno di legge non è da potersi mettere in contrasto con la riforma agraria fatta e da farsi, perchè sono due sistemi e due orientamenti diversi. Questo è semplicemente u n provvedimento particolare che, come avete letto nella mia relazione, veniva iniziato dopo uno scambio di idee alla giunta consultiva per il mezzogiorno, dove si era notato che la cassa per la proprietà contadina aveva impiegato la maggior parte dei fondi i n altre zone, lasciando i l mezzogiorno molto indietro, pur essendo stato fatto il primo decreto istitutivo proprio per il mezzogiorno. La estensione ad altre regioni venne in u n secondo tempo. Si tratta, adunque, di incanalare verso il mezzogiorno una parte delle agevolazioni statali da assegnare alla cassa della proprietà contadina, e provvedere i n tempo alle necessarie modifiche delle leggi che la regolano. Questa è l'origine della modesta proposta di legge che vi sottoponevo un anno fa. Intanto, il 20 marzo d i quest7anno è venuta a scadere non solo la legge istitutiva. ma anche le successive proroghe per la piccola proprietà contadina in genere e per la cassa in ispecie, comprese le disposizioni che riguardano la parte creditizia ed i concorsi dello stato; mentre si erano prorogate solo per due anni le agevolazioni fiscali con la legge de117agosto scorso. M'ero interessato a far discutere sollecitamente la mia proposta d i leggc per poter così provvedere anche ai fondi senza i quali sarebbe cessata la funzionalità delle leggi stesse sulla proprietà contadina. Nel fare l'esame d i queste leggi h o trovato che c'erano delle manchevolezze, per quanto riguarda la estensione dei crediti e delle agevolazioni fiscali non solo all'acquisto delle (*) D'iniziativa del sen. Sturzo. Discussione abbinata al disegno di legge n. 481: « Apporto di nuovi fondi alla cassa per la formazione deiia piccola proprietà contadina D.
proprietà ma anche alla necessaria trasformazione produttiva di tale proprietà. Infatti, se si fa acquisto del terreno e poi non si hanno i mezzi per fare delle coltivazioni, per costruire la casetta, la stalla, il fienile, ecc., se si dà un terreno insomma senza dare la possibilità di ridurre questo terreno ad una proprietà utile e produttiva, a nulla varranno i denari spesi per l'acquisto. Non intendo, in queste poche parole, ritornare sulle varie obiezioni fatte al sistema della piccola proprietà avendo il ministro e altri oratori risposto esaurientemente. Non ha alcuna consistenza l'accusa di incostituzionalità della proposta di legge. L'articolo 44 della costituzione stabilisce la facoltà del potere legislativo a mettere dei vincoli e delle limitazioni alla proprietà, ma non fa divieto di stabilire per legge tutte quelle altre disposizioni dirette alla formazione e allo sviluppo della piccola o media proprietà. La parte, per così dire, nuova della costituzione è la possibilità di imporre vincoli alla proprietà, poichè, avendo stabilito che la proprietà è rispettata, la costituzione doveva stabilire che, nonostante il rispetto pcr il diritto alla proprietà, si potevano a scopo sociale anche imporre dei vincoli e stabilire limitazioni. I1 mio rispetto alla costituzione non è inferiore a quello dei colleghi; non solo la rispetto ma desidero sia rispettata dagli altri e anche dal governo, e che sia attuata per la parte non ancora attuata. La mia proposta fissa la proroga della funzionalità della cassa in parola al 1959; il governo propone di portarla al 1960; non ho obiezioni al riguardo. Mi sono limitato a proporre la proroga, perchè l'attuale organizzazione dell'istituto non mi soddisfa e per il lato amministrativo e per quello tecnico. Non volendo proporre una riforma della cassa che avrebbe complicato la proposta di legge ed avrebbe portato forse dei contrasti che io volevo evitare, non perchè mi dispiacciano i contrasti e le discussioni - voi, onorevoli colleghi, ben sapete che i contrasti li affronto francamente - ma per realizzare più sollecitamente i fini propostimi con questa legge, specie per i l mezzogiorno e le isole, mi sono limitato ad augurare che il ministro competente apportasse delle modifiche all'istituzione della cassa. Del resto non ho mancato di segnalare più volte nei miei
vari interventi giornalistici la non opportuna presidenza della cassa, quale ente finanziario, da parte del ministro. IO non ammetto questa specie di combinazione che è in uso, alterando quello che è il carattere politico del ministro in un'attività amministrativa finanziaria C tecnica quale è quella di un istituto d i credito. Pertanto, in questa sede, per quanto riguarda la cassa, mi sono limitato a chiedere la proroga unicamente per avere lo strumento necessario per attuare le disposizioni legislative dirette a vantaggio della formazione della piccola proprietà contadina, specialmente nel mezzogiorno. A questo scopo, ho proposto che la metà delle somme destinate alla cassa sia impiegata nel mezzogiorno e metà nelle altre regioni per compensare il limitato intervento degli anni scorsi per cui la maggior parte delle somme della cassa era stata destinata nelle provincie del centro-nord. Detto questo, debbo semplicemente aggiungere alcune osservazioni per quanto riguarda certi emendamenti. Anzitutto debbo ringraziare il senatore Trabucchi di avere ritirato il suo primo emendamento trasformandolo in un altro secondo emendamento, che dichiaro di accettare. I1 senatore Trabucchi, d'accordo col ministro delle finanze, in un primo tempo si era opposto alla proroga delle agevolazioni fiscali a favore della piccola proprietà contadina oltre i termini della legge 6 agosto 1954. Ora accettando i nuovi termini fino al 1960 anche per la legge fiscale, esclude che tale legge subisca delle modifiche o causa della maggiore estensione data nel mio disegno di legge a simili agevolazioni. Tale richiesta fatta dal ministero delle finanze ha due motivi: uno che riguarda le entrate fiscali per le maggiori agevolazioni che avrei io dato a settori non contemplati dalla legge in vigore; l'altro per motivi di carattere tecnico, mancando nel testo da me proposto particolari accorgimenti di applicazione in modo da evitare incertezze e controversie. Non sono convinto del primo motivo; accetto il secondo punto perchè non desidero che una questione simile venga oggi a ritardare I'approvazione della proposta di legge. Accetto l'emendamento al primo articolo che riguarda il termine al 1960. Io avevo proposto il 30 giugno 1959, fissando
entro tale termine gli stanziamenti della spesa, a partire però dal presente esercizio. La mia proposta d i legge era stata preparata l'anno scorso e quindi l7csercizio 1954-55 veniva compreso; ad alino finanziario avanzato non si trova capienz:~ alla spesa per il 1954-1955; così la proroga di u n altro anno è giustificata. Ho delle perplessità sulla cifra stanziata per l'esercizio 1955-56, mi sono piegato alle esigenze d i bilancio. Pertanto dichiaro d i accettare il testo del primo articolo proposto dal governo ed emendato dall'onorevole Trabucchi ed altri. Prego anche la commissione per l'agricoltura di accettarlo. Prima d i conchiudere, debbo agli oppositori una risposta che mi riguarda personalmente. La mia esperienza, egregi colleghi dell'opposizione, forse è u n po' troppo antica, ma debbo dire che, essendomi nei miei primi anni di attività sociale in Sicilia occupato sempre di questioni agrarie e della formazione della piccola proprietà contadina, per quel che allora si diceva quotizzazione del latifondo, ebbi occasione di constatare che, nelle zone dove esistevano casse rurali e altri istituti di credito agrario ai contadini, la piccola proprietà derivante dalle quotizzazioni sopravvisse e superò i pericoli della mancata coltivazione e dell'abbandono. Invece là dove non c'erano istituti d i credito adatti alle esigenze della piccola proprietà contadina, una parte dei quotisti lasciò le quote incoltivate o le cedette. Nè queste furono comprate dai vecchi proprietari: spesso lo furono dai quotisti viciniori che poterono arrontondare la loro proprietà dai tre ai sei ai dodici ettari; alcuni dei quali fecero fortuna proprio per l'acquisto delle quote abbandonate. Tale abbandono, invero, accadde per due motivi. Nel mio paese una prima quotizzazione fu fatta nel 1892 (avevo 21 anni), e parecchie quote furono rivendute o abbandonate perchè anche dei quotisti allora emigravano in America. Parecchi invece non ebbero sufficienti aiuti e assistenza ovvero ebbero in sorte terreni inadatti. Quando però il banco di Sicilia fu autorizzato a estendere il credito agrario nei piccoli centri ed aiutò l e casse rurali e popolari, allora l e proprietà quotizzate fino a l 1922 ebbero mezzi per svilupparsi e molti piccoli poderi sono tuttora in piedi e anche fiorenti.
Questa inia locale ed isolana esperienza dimostra che, anche senza gli aiuti del governo, quando si vuole e si sa fare, si arriverà ad ottenere quel che non si può ottenere anche quando, pur mettendo il governo fondi a disposizione, si manca di organizzazione e di assistenza. Questo ho voluto dire in risposta a chi ha sospettato che io abbia voluto proporre una legge il cui risultato finale andrebbe a vantaggio dei proprietari, e nel mezzogiorno dei latifondisti. È bene tenere presente che la cassa per la piccola ~ r o p r i e t à contadina ha operato principalmente in Toscana, in Emilia e in Romagna, pochissimo nel mezzogiorno, per nulla in Sicilia, e quindi non possiamo dire che una seria esperienza sia stata fatta nel mezzogiorno, tranne in limiti molto modesti. Nell'alta Italia si è operato a volte in zone veramente ben coltivate, ed è stata distribuita ai contadini terra già a coltura intensiva. Viceversa nel mezzogiorno, quando si sono fatte delle quotizzazioni, si con fatte nel latifondo che era coltivato estensivamente. I1 contadino che ha avuto la sua quota, ha potuto fare un suo piccolo vigneto, un piccolo agrumeto od orto anche, se vi ha trovato l'acqua e poco a poco si è formata una proprietà coltivata intensamente; cosa diversa dalla pura e semplice coltivazione spesso di rapina, chiamiamola così, che mira unicamente a produrre quel frumento che serve per l'alimentazione domestica. Questo ho voluto dire per evitare l'impressione che si è cercato dare da qualche oratore, non riferibile al mio passato nè alle mie idee, quella di volere attraverso un istituto agevolare i proprietari terrieri facendo vendere da questi i loro terreni ad un prezzo alto per poi ricomprarli dai contadini a prezzi inferiori. Tutto questo veramente è una costruzione che dal punto di vista realistico per il mezzogiorno non è assolutamente applicabile e dal punto di vista dell'iniziativa mia personale non è assolutamente pensabile. (*)
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1955).
(*) I1 dis. di legge veniva approvato nella stessa seduta, con emendamenti. Così aeradeva alla camera dei deputati. Veniva infine approvato
DICHIARAZIONI PER FATTO PERSONALE (*) I1 fatto personale da me rilevato a proposito di varie frasi dette dall'onorevole Montagnani riguarda la posizione da me presa circa la ricerca e la coltivazione degli idrocarburi. Mi lascia indifferente ogni apprezzamento sulla mia linea di condotta in questo ed in altri problemi economici che interessano anzitutto il paese e conseguentemente lo stato, come tutelatore 3ia degli interessi generali, sia dei diritti dei singoli. È ben nota la mia concezione sulla libertà economica e sulla prcvalenza dell'iniziativa privata in tutti i campi dell'attività industriale, agricola e commerciale. Riguardo all'E.N.1. la mia posizione fu precisata fin dalla discussione del disegno di legge fatta nell'autunno del 1952 nella 5" commissione del senato. Allora io presentai una relazione di minoranza e una serie di emendamenti che furono stampati e distribpiti in fascicolo separato da quello del disegno d i legge governativo e della relazione di maggioranza. Per di più, essendo io poco bene in salute, non ebbi la possibilità di far discutere le mie proposte in aula. Allora nessuno dei senatori, neppure quelli della destra, ai quali mi ha associato il senatore Montagnani, fecero alcun cenno delle mie proposte, che caddero senza alcun rilievo neppure della stampa quotidiana, che pure riportò il discorso del senatore Jannaccone che criticò autorevolmente il progetto sull'E.N.1. Avrò agio, nella prossima discussione del bilancio dell'industria, di discutere in quest'aula il problema degli idrocarburi. Solo qui mi interessa affermare che la mia posizione di Iibertà economica è quella che da più di mezzo secolo mi fa combattere lo statalismo sia dei liberali prefascisti dimentichi dei loro principi, sia in seguito dei fascisti autarchici, sia ora dei comunisti, anche se si atteggiano a nazionalisti, e di quegli altri che vogliono risolvere tutti i mali con l'interventismo stada11'8' commissione permanente del senato. Legge lo fetbraio 1956, n. 53. (G.U. 28 febbraio 1956). (*) Fatte durante la discussione abbinata dei disegni di legge n. 927. 928 e 929, sullo stato di previsione della spesa dei ministeri del tesoro, delle finanze e del bilancio.
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tale. Se qualche volta rimango solo, mi è di conforto avere servito la causa della libertà secondo i dettami della mia coscienza, senza deflettere e senza alcun'altra soddisfazione che quella di aver fatto semplicemente il mio dovere. (seduta del 20 aprile 1955)-
DISEGNI DI LEGGE NN. 933 e 934 tc
Stato d i previsione delle spese del ministero dell'industria s del commercio per l'esercizio finanziario dal 1" luglio 1955 a l 30 giugno 1956 e « Stato di previsione delle spese del ministero del commercio con l'estero per l'esercizio finanziario dal l o luglio 1955 a l 30 giugno 1956 n.
Ho un debito verso il senato maturato da due anni e mezzo, da quando, cioè, presentai la mia relazione di minoranza con diversi emendamenti al disegno di legge n. 2489 sulla costituzione dell'ente nazionale idrocarburi. Per una noiosa influenza non potei essere presente in aula durante la discussione d i quel disegno d i legge. Per giunta, la mia relazione fu stampata i n fascicolo a parte da quello della maggioranza. Nella mia assenza, gli emendamenti da me presentati non ebbero, durante l a discussione, alcun rilievo, nè dal relatore, nè dal ministro; molti senatori non ne sospettarono l'esistenza. L'accenno che ne fo oggi mi serve d i punto di partenza per mettere in evidenza che la mia posizione, riguardante la ricerca e la coltivazione degli idrocarburi in genere e del petrolio i n specie, - posizione di recente criticata in quest'aula - non è dovuta alla ancor viva questione siciliana, nè all'atteggiamento preso da altri partiti, ma rimonta a molto prima della legge sull'ENI ed ha motivi generali, non limitati ad u n solo settore. È ben noto a tutti il mio costante orientamento, da sessanta anni ad oggi, circa la libertà economica e la insistente preferenza per l'iniziativa privata. Ebbi occasione di parlare in questa aula, nel febbraio dell'anno scorso, durante la discussione sulle comunicazioni del governo Scelba. Tale mia posizione ho riaffermato in una recente seduta del senato, annun-
ziando il mio intervento nella presente discussione sul bilancio del ministero dell'industria e commercio. Oggi, per non ripetermi, restringo l'esame al problema particolare degli idrocarburi. Premetto che in questa materia non sono a priori- -favorevole -__ _.-- - - . - -- - -- o --contrario all'intervento statale; posso ammettere da parte . dello stato sia --l'intervento propulsivo quando manca qualsiasi possibilità immediata di serie iniziative private; sia l'intervento integrativo quando l'iniziativa privata non è sufficiente; nego senz'altro l'intervento statale a tipo monopolistico, che prel cluda, in parte o in tutto, I'iniziativa privata. Questa saggia politica non è stata seguita: alla ripresa postbellica, l'incertezza di indirizzo governativo arrivò al punto di smantellare I'AGIP. Opportuna ne f u la reazione dell'AGIP, e anche fortunata per i ritrovamenti fatti in Lombardia; i l che portò dalla teoria dell'abbandono a quella euforica del monopolio. Da quel momento, siamo al 1948, furono avversate le iniziative private già esistenti, resi difficili i permessi di ricerca a privati, largheggiando invece con I'AGIP in permessi e in tolleranze extra legali. Non posso non tenere presente l'ostilità dei dirigenti dell'AGIP, d'accordo con la burocrazia ministeriale, verso i privati coltivatori di metano nel Veneto, i quali, se fossero stati compresi e avessero ottenuto qualche facilitazione (inferiore a quelle per I'AGIP e l'ente metano) per migliorare la capacità produttiva dei propri impianti, avrebbero potuto superare la crisi che da tempo li travaglia. . I1 ministro dell'industria del tempo, on. Togni, aveva gia presentato due disegni di legge: uno sulla «ricerca e coltivazione degli idrocarburi liquidi e gassosi », l'altro su « costruzione ed esercizio di oleodotti e gasdotti ». Poco dopo, per iniziativa del ministro delle finanze, on. Vanoni, venne fuori il disegno di legge sull'istituzione dell'ente nazionale idrocarburi (13 luglio 1951), che nella relazione della X commissione permanente della camera dei deputati veniva presentato come w collegato » con gli altri due. Avvenne che i primi due furono lasciati indietro, e I'ENI venne portato avanti, nello scorcio della passata legislatura. L'on. Jannaccone ebbe a far rilevare le incongruenze non solo della legge in sè, ma dell'abbandono "
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dei disegni tendenti a regolare tutto il settore degli idrocarburi, e non solainente v e l l o della Valle Padana. Sono passati altri due anni e mezzo, e il disegno di leggc Togni, ripresentato con ritocchi dal ministro Malvestiti i l 17 settembre 1953, si trova tuttora in discussione presso la commissione competente nell'altro ramo del parlamento. Nè è a credere che il suddetto disegno di legge venga approvato sollecitamente. Non mancano motivi parlamentari ed extra-parlamentari a ritardare l'iter legislativo. E mentre il monopolio del1'ENI che copre tutta l'alta Italia, da Cuneo a Udine e da Genova a Ravenna, ha escluso qualsiasi concorso, anche subordinato, dell'iniziativa privata; nel resto del paese (con esclusione della Sicilia), pesa una paralisi amministrativa ( e quindi produttiva), che non è stata scossa neppure dal ritrovamento del petrolio di Alanno in quel di Pescara. Ho escluso la Sicilia, perchè nell'isola vige la legge regionale del 20 marzo 1950, alla quale si deve la spinta, larga e coerente, data alla ricerca e alla coltivazione degli idrocarburi. L'esistenza del petrolio a Ragusa è stato i l punto di partenza per un nuovo orientamento dell'opinione pubblica circa la politica del petrolio da seguire in Italia, orientamento confermato dalla notizia dell'esistenza di petrolio ad Alanno. Quanto è stato scritto nella relazione della 9" commissione permanente del senato sullo stato di previsione del17industria, può dare lo spunto per un'opportuna revisione della politica governativa nel settore degli idrocarburi, tenendo presente la necessità di applicare mezzi adeguati e contemporaneità di iniziative sia per la coltivazione dei giacimenti rilevati, sia per ricerche nelle zone indiziate, sia per rilevamenti teenico-scientifici nelle altre zone. Prima di procedere oltre, mi consentano gli onorevoli senatori di esporre alcuni elementi da tener presenti nell'esame del problema che sottopongo alla loro consìderazione. I1 fabbisogno nazionale d i fonti energetiche impegna l'economia 'italiana a pagare un ben alto tributo all'estero. Nel 1954 si è avuto u n deficit, per questo capitolo, di ben 180 miliardi: corrispondente al 37,67 del deficit della nostra bilancia commerciale. E mentre l'importazione di petrolio greggio è stata di 15, 8 milioni di tonnellate (mercato interno ed espor-
tazione dei prodotti), la produzione nazionale di petrolio è stata di appena 72 mila tonnellate. Se la politica delle ricerche nell'ultimo decennio fosse stata larga e coerente, e se, con la prudenza dovuta, fossero state date delle concessioni alle ditte estere che da tempo ne han fatto richiesta, avremmo potuto ottenere notevoli vantaggi. I1 ritrovamento e la coltivazione del petrolio avrebbe attenuato in un tempo non troppo lungo il nostro tributo all'estero per acquisto di greggio, e anche diminuito la spesa per acquisto di carbone. I dati de117impiego delle fonti energetiche nel nostro paese (come negli altri), mostrano chiaramente un continuo aumento, che risponde alla crescente attività industriale, allo sviluppo dei consumi generali, al migliorato tenore di vita. Secondo i l piano Vanoni, l'Italia in confronto ai 270 miliardi spesi nel 1954 per importazioni di petrolio e carbone, dovrebbe nel 1958 poter affrontare la spesa di 340 miliardi, per arrivare gradualmente a 400 miliardi nel 1964. I1 ministro Vanoni . non fa previsioni circa la possibile produzione nazionale di petrolio. Egli probabilmente tiene conto, per la Valle Padana, delle affermazioni fatte dall'on. Mattei con la lettera del 13 febbraio scorso diretta al Giornale d'Italia, dove sta scritto che  allo stato attuale della tecnica, il fatto che nella Valle Padana si estraggono quantitativi ingenti di metano e relativamente modesti di petrolio, deve imputarsi a fattori naturali D. I ritrovamenti di Ragusa e Alanno non sono stati tenuti in conto. Ma se il nostro sottosuolo contiene anche del petrolio, occorre iniziarne l'estrazione e l'utilizzazione proprio nel decennio del piano Vanoni. Per quali motivi autore e collaboratori del piano suddetto (si dice trattarsi di esimi economisti), m e n t r ~si sono occupati del metano, hanno taciuto del petrolio, anche come ipotesi degna di studio, non mi è stato dato d i indovinare; certo che non si tratta di reticenza occasionale come di cosa mai pensata. Ho visto in questi giorni la citazione di un periodo estratto dall'articolo che l'on. Mattei ha pubblicato sul Financial Times di Londra, dove si legge:  Una industria mineraria del tipo di quella degli idrocarburi richiede grandi investimenti e poca
manodopera: proprio l'opposto di quanto è necessario i n u n paese come l'Italia, che ha pochi capitali e molta manodopera D. Sarà questo i l pensiero dell'onorevole ministro dell'industria e dei ministri del tesoro e delle finanze, i quali tre compongono i l comitato di vigilanza sull'ENI? sarà questo i l pensiero personale dell'on. Vanoni proponente del piano decennale? Sarebbe la condanna a priori di ogni politica del petrolio, ad eccezione di quella fatta dalla regione sicilian-a, la quale ha spinto il capitale privato, italiano ed estero, ad iniziare SU larga scala la ricerca ed ha dato corso alla coltivazione degli idrocarburi, con la fiducia di potere occupare non poca manodopera, sia per il benessere che vi diffondono le molteplici iniziative di ricerca, sia per la industrializzazione che ne conseguirà e che intanto dà luogo a studi e a progetti. L'intoppo che h a trovato la politica governativa in materia in parte deriva dall'esistenza di u n ente statale a tipo monopolista, estremamente geloso dei propri privilegi legali e dei sempre crescenti favori ministeriali, messosi per giunta i n aperto contrasto con l'iniziativa privata. Vi concorre anche u n certo complesso di inferiorità, sviluppatosi in confronto a l fortunato intervento del capitale americano nelle ricerche di Ragusa e di Alanno, e alla martellante propaganda per estendere il monopolio dell'ENI su tutto i l paese. È evidente la contraddizione fra le due politiche: niente ricerca di idrocarburi per mancanza di capitali, e monopolio degli idrocarburi con capitale statale. Ma è anche evidente che a l bisogno sempre crescente di fonti energetiche, non si può provvedere con u n crescente aggravi0 di importazioni d i petrolio e di carbone, mettendo da parte la ricerca del petrolio nazionale che potrebbe col tempo liberarci, parzialmente o intieramente, dal tributo all'estero sia per i l petrolio e sia anche, per una certa quantità, per i l carbone. Unendo insieme la produzione del metano e quella del petrolio, in uno sforzo largo e concorde, senza privilegi e senza gelosie, l'Italia, durante il decennio del piiino Vanoiii, potrcbbc realizzare vsntaggi sicuri e nel campo della produzione industriale e in quello della bilancia dei pagamenti.
Sulla posizione da me presa a favore dell'iniziativa privata, italiana ed estera, nel settore petrolifero, non sono mancati sulla stampa e in questa aula, rilievi n politici n; e non potrebbero essere che N strettamente politici D, dato il mio completo disinteresse, individuale e familiare, per qualsiasi impresa economica nel passato e nel presente, e, dati i miei 84 anni, anche nel futuro. L'intervento di imprese estere nella ricerca e nella coltivazione del petrolio italiano, a me non desta le preoccupazioni, che ( a parte i motivi d i propaganda) altri hanno manifestato in parlamento e sulla stampa; a condizione, s'intende, che il govrno adotti disciplinari e contratti formulati con serietà, sulla base d i reciproche garanzie e d i reciproca fiducia. Sono stati prospettati due precipui motivi per escludere tali concessioni: i l primo, che ditte estere (s'intende americane perchè quelle inglesi pare che godano di speciale considerazione), potrebbero portare via sia i l greggio per raffiarlo altrove, sia il già raffinato in Italia; i l secondo che le ditte estere sono legate ai prezzi internazionali del grande cartello petrolifero. Ebbene, esaminiamone la portata. Fino a che i l petrolio nazionale non arriverà a colmare, i n qualità e quantità, il fabbisogno del nostro mercato sia d i greggio sia di prodotti raffinati, sarà interesse comune, dello stato e del concessionario, che i l prodotto italiano venga raffinato e venduto in Italia; clausole contrattuali regoleranno tale materia senza difficoltà. Al di là del fabbisogno del nostro mercato, l'esportazione dei nostri prodotti dovrebbe essere agevolata anche dallo stato, per i benefici effetti sui cambi e sulla bilancia dei pagamenti. I1 secondo motivo d i opposizione ai permessi d i ricerca e alle concessioni di coltivazione di idrocarburi a ditte estere, quello del prezzo, a parte i sentimentalismi nazionalisti che sono sempre vecchio residuo di un'economia povera, poggia sopra vaghi orientamenti autarchici. Bisogna guardare la verità in faccia. L'Italia da sola non potrà mai fare abbassare i prezzi internazionali del petrolio. La critica del CEE (comitato economico europeo) d i Ginevra, tendente a far prendere in considerazione la proposta di prezzi discriminati per il mer-
cato europeo, perchè legati alla produzione petrolifera del me-dio oriente anzichè a l mercato interamericano, forse potrà avere col tempo i suoi effetti; allo stato degli atti non si vede il come nè i l quando. L'Italia, quando sarà realmente produttrice di petrolio, avrà per ciò stesso economizzate le spese di importazione e quelle di trasporto; i l vantaggio sarà già positivo; quando potrà esportare i propri prodotti, in un avvenire non precisabile, non potrà non allinearsi a i prezzi internazionali. Si sono resi conto gli oppositori perchè I'AGIP venda i l metano a prezzi assai superiori al costo? Si è detto che questo sistema è stato introdotto per non mettere le industrie delle zone metanifere in condizioni di privilegio in confronto a quelle delle altre zone, specie del mezzogiorno. Questa a me non è sembrata mai una ragione convincente. I1 metano è legato a l prezzo della nafta, che non è prodotto nazionale. Quando il governo ha elevato la tassa sulla nafta, 1'AGIP ha elevato correlativamente i l prezzo del metano, intascando la differenza. Coloro che per non fare guadagnare gli altri o per non subire la legge di mercato, preferiscono tenere chiuso o sotterrato i l petrolio italiano, ne avranno il danno e le beffe. Quegli altri che vorrebbero tutto monopolizzato nell'ente nazionale idrocarburi, ne avranno la risposta dell'on. Mattei, che la politica di ricerca non è applicabile all'ltalia per mancanza di capitali e per esuberanza di manodopera, e quindi continueranno a pagare il crescente tributo all'estero per acquistare sufficienti fonti cnergetiche. Se dobbiamo credere alle affermazioni fatte dall'on. Mattei con la lettera al Giornale d'Italia più sopra citata, non c'è da attendere petroli nella Valle Padana. Perchè, allora, ditte americane e ditte italiane hanno nel passato insistito per ottenere permessi di ricerche proprio nella Valle Padana a preferenza d i ogni altra regione d'Italia? Nessuno dei miei contraddittori ha saputo dare una risposta alla mia insistente domanda: « Se I'ENI non vuole, non sa, o non può affrontare la ricerca petrolifera nella Valle Padana, perchè impedire che ditte private, nostrane e forestiere, impieghino per tali ricerche. a proprio rischio e pericolo, i propri capitali? »
Si è ripetuto essere sufficiente motivo per escludere ditte straniere nella ricerca ecoltivazione di idrocarburi, specie nella suddetta zona di esclusività, i l sospetto che, ottenuti i permessi, tali ditte estere non affretteranno le ricerche, per potere tenere una riserva, per quanto ipotetica, di petrolio proprio in Italia. Per superare tale preoccupazione, basterà che nel disciplinare siano imposti limiti rigorosi di decadenza, e pel caso di ricerca non iniziata, e pel caso di ricerca fatta con mezzi inadeguati, e, infine, pel caso di ricerca senza notevoli risultati nei vari periodi contrattualmente fissati; lo stesso valga per la coltivazione: patti chiari e amicizia lunga. Fra molte incertezze, in materia di investimenti esteri, è arrivato al senato l'atteso disegno di legge, già annunziato quando I'on. ministro del bilancio e il governatore della banca d'Italia, si recarono a Washington. Dopo l'Unrra, i l piano ERP, i prestiti esteri e le commesse, si deve pur arrivare agli investimenti esteri per ottenere redditi aggiuntivi alla nostra economia, e potere così rispondere alle esigenze di una popolazione sempre i n aumento. I1 piano Vanoni prevede tre tipi di investimenti nel decennio' « '55-'&4 n: 1" investimenti propulsivi, quali quelli per l'agricoltura, i lavori pubblici, cassa per il mezzogiorno, da coordinare e rendere più efficienti; 2" investimenti nell'edilizia (intermedi fra i propulsivi e quelli a carattere industriale); 3" investimenti nelle attività industriali e terziarie. Lo sbalzo di investimenti previsti dal piano, sbalzo che da 460 miliardi nel 1954 dovrebbe arrivare a 500 nel 1955, a 550 nel 1956. fino alla cifra elevata di 1330 miliardi nel 1964, mi porta a considerare tre punti, che formulo a guisa di domanda:
1) Quali e quanti potranno essere gli investimenti esteri atti a colmare le deficenze del risparmio investibile dal cittadino italiano nelle attività industriali e terziarie? 2) Come si potrà assicurare la distribuzione dei prodotti previsti dal piano nel mercato interno se lo sviluppo dei consumi, secondo il piano stesso, dovra essere tenuto più basso e proporzionalmente distanziato dalla massa di capitali impiegati nella produzione?
3) Quali mezzi potranno mantenere i costi della produzione al livello dei prezzi internazionali e le rispettive qualità sul piano d i concorrenza, e le imposte e i noli rapportati alle esigenze dei mercati di sbocco, per potere evitare l'ingorgo di una superproduzione non smaltita nel periodo del ciclo produttivo? Deve essere, anche, tenuta presente la possibilità d i un non lontano assetto monetario europeo basato sulla convertibilità delle divise. I n questo caso, il problema degli investimenti esteri, unito ad una più larga occupazione operaia e ad una contrazione della spesa e dei consumi privati e pubblici (sui quali punti si basa i l suddetto piano) non sarebbe pii1 dilazionabile. Noi indulgiamo sul sistema opposto : maggiori spese improduttive, private e pubbliche, sempre più larghi consumi e non pochi ostacoli agli investimenti esteri. Restringendo i l tema alla politica degli idrocarburi, affermo senza tema di smentita che l'incremento petrolifero, anche se difficile e d i non immediata larga produttività, risponde, nel processo economico, alla richiesta di investimenti esteri, alla possibilità d i mercato interno e alle migliori prospettive di mercato internazionale. Perciò, d'accordo in gran parte col relatore del bilancio dell'industria, mi permetto richiamare l'attenzione del senato sulla estrema urgenza di superare l'attuale stato di incertezza e di affrettare gli invocati provvedimenti. L'iniziativa privata deve poter concorrere agli scopi produttivi e sociali che persegue lo stato, nello sforzo di elevare la produzione e di assorbire la manodopera. A far ciò occorre ridestare la fiducia, che da tempo è stata scossa da un esagerato orientamento statalista, e da una campagna ostile all'iniziativa come non rispondente ai veri interessi nazionali. Nella pacifica cooperazione di tutti i fattori della produzione si potrà affrontare un avvenire, sia pure irto di difficoltà, ma allo stesso tempo pieno di speranze per il rinnovamento della nostra economia. (*) (seduta del178 giugno 1955). (*) I disegni di legge furono approvati neila stessa seduta. Legge 31 ottobre 1955, n. 972 e n. 968 (G.U. 31 ottobre 1955, suppl. ord. n. 4 e n. 3).
DISCORSO SULLE COMUNICAZIONI DEL GOVERNO (*) Onorevole presidente, onorevoli senatori, l'attuale governo Segni, se contiamo i ministeri avuti dal 25 luglio 1943, sarebbe il diciassettesimo; se dal ritorno ne11z C-pitrle, l 8 giUgno 1344, sarebbe il quindicesimo; se dal funzionamento del parlamento della repubblica, 31 maggio 1948, sarebbe il settimo. Le medie di durata sarebbero otto mesi e frazioni per ministero, a contare dal 1943 e dal 1944; un anno per ministero a contare dal 1948. E poichè tra i l 1953 e 1954, si ebbero due crisi parlamentari (VI11 De Gasperi e Fan£ani) per mancata fiducia parlamentare alla presentazione, così sottraendo la parentesi di quasi due mesi, per i cinque ministeri effettivi la media arriva a u n anno, quattro mesi e qualche giorno ciascuno; esattamente il periodo del ministero Scelba. I1 più lungo ministero dal 1943 a d oggi è stato il VI1 De Gasperi: 26 luglio 1951 - 7 luglio 1953, quasi due anni. Posso al più prevedere che il presente ministero Segni oscillerà fra i sedici mesi e giorni di De Gasperi, i n modo da toccare l'inizio del quinto anno deLla presente legislatura. Se così fosse, sarebbe intanto di buon augurio per i deputati, che arriverebbero, forse tranquillamente, a toccare i l quinquennio senza anticiparne la fine per qualche improvviso trauma politico, così da dare modo al senato di affrontare quella riforma, che metterebbe la propria rinnovazione periodica in linea con quella dell'altro ramo del parlamento, sia pure aumentando i posti elettivi e di nomina presidenziale (eviterei la cooptazione, istituto illogico per un corpo elettivo) e, quel che conta, introdurrebbe alcuni elementi di differenziazione funzionale, pur nella eguaglianza di poteri sostanziali fra l'una e l'altra camera del nostro parlamento. Non lego necessariamente la vita del governo Segni alla riforma del senato: lego la riforma del senato alla vita della legislatura e non vorrei che la fretta che sembra vi sia per la riforma elettorale preluda la possibilità di un prematuro scioglimento del parlamento e della convocazione di comizi, quale (*)
I. Gabinetto Segni.
rimedio allo stato di crisi latente in cui si trova, nell'opinione comune, dal 7 giugno 1953 ad oggi. Se si potesse dimostrare che tale stato esiste, dovrebbe fin da ora affrettarsi l'appello a l paese, anche con la legge elettorale vigente. Ma a vedervi bene, le due crisi dell'ottavo gabinetto De Gasperi e del primo Fanfani (dico primo senza intenzione che debba seguirne un secondo) furono naturalmente effetto della forniazione di ministeri di minoranza con programma di maggioranza. Se l'onorevole Pella ottenne la maggioranza dei voti delle due camere, fu perchè si presentò, non.con un programma a lunga scadenza ma per coprire un tempo assai breve, a d a r luogo alla revisione che sarebbe dovuta venire nel tardo autunno. Durante le vacanze natalizie del 1953 l'onorevole Pella voleva tentare un rimpasto per presentarsi al parlamento e ottenere u n mandato 'di fiducia più ampio di quello dell'agosto. Ma il 5 gennaio si presentarono a lui, a nome dei rispettivi gruppi D. C. della camera e del senato, gli onorevoli Ceschi e Moro e gli posero il veto ad Aldisio. Pella si dimise: la crisi fu extra-parlamentare. Lo stesso è accaduto all'onorevole Scelba. Questi, dopo aver ottenuto i consensi e le approvazioni di gruppi e di partiti, e un ordine del giorno di unanimità da parte dei deputati C senatori D. C., dopo aver travasato i programmi dei tre partiti della coalizione (la chiamo col vecchio vocabolo e ne dirò il perchè) e dopo che i ministri avevano posto nelle sue mani i rispettivi portafogli, ed era lì per proporre i nomi dei nuovi sei o sette ministri da rimpiazzare gli uscenti, ricevette i due capi gruppo della D. C.. l'onorevole Moro e il senatore Ceschi, per sentirsi dire che era arrivato i l momento di dimettersi, perchè i repubblicani non avrebbero partecipato al governo. Prendendo atto dell'intimazione extraparlamentare, l'onorevole Scelba si recò dal capo dello stato a presentare le dimissioni del gabinetto ed inviò ai presidenti delle due camere una lettera d i comunicazione. A essere equanimi anche con gli amici, bisogna dire che tanto Pella che Scelba, non tennero conto che u n rimpasto si
f a in un paio di giorni, e la revisione e chiarificazione d i posizioni politiche e di programmi (nei due casi furono interessati tutti gli organi della pubblica opinione e tutti i congegni complicati dei partiti politici) preludiano una crisi. I1 fatto che il parlamento nei due casi era stato lasciato estraneo per mesi e mesi a l tramestio politico, doveva dar loro la netta sensazione di esser sulla soglia di una deviazione istituzionale di qualche importanza. I1 caso particolare della crisi Scelba ha presentato un lato assai delicato nei rapporti con il nuovo presidente della repubblica. Doveva o no il governo esistente, dopo l'insediamento dell'onorevole Gronchi, presentarsi dimissionario? Nessuna disposizione esiste in un senso o nell'altro; il caso del IV ministero De Gasperi, coincidente con le elezioni generali del 18 aprile e con il passaggio dalla costituente a l primo parlamento della repubblica, non poteva invocarsi come un precedente da seguire. I1 governo Scelba optò per le dimissioni formali, omaggio esterno, non mai riconosciuto mutamento di situazione. La scelta, forse sgradita nella forma, interpretava il momento politico, e rinviava ogni decisione di merito a dopo le elezioni siciliane. Ma chi poteva negare che l a posizione del gabinetto Scelba era stata compromessa fin dal giorno che il partito liberale ebbe a sollevare la questione dei patti agrari e minacciare l'uscita dal governo? I1 disegno di legge sui patti agrari si trovava, allora, in discussione avanti la 9" commissione permanente della camera; i l governo aveva diritto di sostenerlo, di accettarne gli emendamenti o di combatterlo; non aveva diritto di farne sospendere la definitiva formulazione e la discussione in aula. I partiti avevano i loro esponenti nella commissione; era quella la sede legittima per il rifacimento del teste. Errore fu trasportare l'esame di quel disegno del parlamento ad organi extraparla. mentari; non solo errore, ma violazione delle regole istituzionali e deplorevole atto di partitocrazia. Qui occorre fare un passo indietro per comprendere tutta la portata della mia accusa. Il gabinetto Scelba nacque con una speciale qualifica, quando ai ministri della coalizione governa-
tiva fu data ia denominazione di u delegazioni ».Spesso è l'idea nuova che crea i l vocabolo; altre volte è il vocabolo che crea l'idea nuova; è questo il caso che io esamino, perchè non penso che il segretario politico onorevole Malagodi, nel dare il nome di «. delegazione ai tre ministri liberali, mirasse a decomporre i l governo della repubblica sì da f a m e un'irresponsabile assemblea di delegati. Purtroppo, la delegazione presuppone sia un delegante che un delegato; nel caso, il delegante sarebbe i l partito, potere non previsto dalla costituzione e legalmente irresponsabile; i l . delegato sarebbe il deputato o il senatore che investito della carica di ministro riceverebbe dal suo partito una delega, un mandato prestabilito. La costituzione non ammette che deputati e senatori abbiano vincoli di mandato nell'esercizio delle loro funzioni; è possibile che li abbiano i ministri? P e r giunta, la costituzione stabilisce che il presidente del consiglio dei ministri dirige la politica generale del governo e ne è responsabile, mantiene la unità d i indirizzo politico e amministrativo, promuovendo e coordinando l'attività dei ministri ».È possibile che tale disposto venga inficiato da ingerenze di partito, con mandati imperativi, deliberazioni vincolative, facendo riapparire l'ombra di certi gran consigli non ancora del tutto dimenticati? Quel che era possibile in regime di dittatura, è assolutamente impossibile nel sistema di democrazia parlamentare. Purtroppo avvenne che la questione dei patti agrari, che in sede parlamentare avrebbe avuto il proprio iter naturale, prima in commissione e poi in aula, potendo il governo, Ne necessario, richiedere i l voto di fiducia; passata i n sede di delegazione dei partiti, fu risolta con un « compromesso » politicamente inoperante, essendo stata chiesta per la conseguente chiarificazione politica la dimissione dei ministri liberali. Intervenuto il consiglio nazionale di quel partito, sanò la ferita con u n ordine del giorno che, dando ragione al segretario e d ai ministri, la negò proprio alla chiarificazione. Intanto l'onorevole Fanfani, appoggiato dal consiglio nazionale della democrazia cristiana, pretese anche lui i n gran fretta una chiarificazione prima della visita ufficiale negli Stati Uniti d'America; e il presidente Scelba, per evitare di recarsi
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presso un paese amico con la fuliggine della mancata chiarificazione interpartitica, sollecitò un voto della camera. Ma non riuscì ad evitare che della chiarificazione si fosse impossessata l'opinione pubblica. Da allora al 29 aprile, dal 12 maggio a l 5 giugno - date notevoli nella vita nazionale - fu rimandata tale chiarificazione, mentre i partiti e relativi organi, maggiori e minori, compilavano punti di programma da consegnare alle relative « delegazioni come minimo non sopprimibile » per una attività governativa fatta sotto dettatura. Tutto il tramestio di oltre tre mesi di consigli nazionali, direzioni di partiti, segreterie politiche, delegazioni governative, con relativi comunicati e chiarimenti giornalistici intramezzati da dichiarazioni di singoli appartenenti a frazioni, correnti, gruppi e sottogruppi, ha dato l'impressione del movimento di una complicatissima macchina che lavorava a vuoto, mentre il parlamento stava in silenziosa attesa. Attesa di che? di un rimpasto combinato fra i delegati e i deleganti? È amaro constatare tanto l'assenza del parlamento, quanto la posizione di un governo che si dibatte fra le spire dei partiti, per evitare inopportune intempestività di crisi provocata, o per evitare la crisi che si andava delineando verso un equivoco monocolore, prehdiando un'apertura a sinistra mascherata con l'astensione dei socialisti. Tutto ciò è passato. Ecco il nuovo governo Segni: formazione quadripartitica, con i repubblicani extra moenia, come per il passato; programma più o meno come i precedenti dal 1948 ad oggi, salvo certi nuovi aspeiti di vecchi problemi: partecipazioni statali, I.R.I., E.N.I. (allora A.G.I.P.) e simili; uomini nuovi insieme a uomini provati; è naturale che anche per Segni si sia parlato e si parlerà di programmi fissati dai partiti, di delegazioni di partiti e di chiarificazione chiesta dai partiti. I partiti si van facendo, sul parlamento e sul governo, la parte del leone. Per oggi l'apertura a sinistra è stata tamponata e le dichiarazioni di Fanfani a nome del partito-guida, fatte nell'altro ramo del parlamento, sono state chiare; ma non sempre le opere corrispondono alle parole; a meno che non vi siano due verità: una a Roma e un'altra a Palermo. Di fronte a questa mia critica, immagino che parecchi col-
leghi vorranno da me sapere a che servono, nella mia concezione, i partiti. Come uomo politico e come fondatore d i un partito, rispondo chiaramente: i partiti servono a molte cose utili e vantaggiose per la democrazia, meno che a sostituirsi a l governo, alle commissioni parlamentari, alle due camere, in quel che la costituzione riconosce come potere, facoltà, competenza, responsabilità propria degli organi supremi dello stato. Insomma lo stato non è mezzadria, nè di tipo antico a l 50 per cento fra le parti, nè di tipo moderno, al 53 per cento a i partiti e 47 per cento (o meno ancora) a l parlamento e al governo. Ogni partito ha le sue finalità e struttura statutaria che lo caratterizza; ha un suo programma elettorale per l e elezioni del senato o della camera dei deputati, programma elaborato e discusso nei propri congressi e consigli nazionali e sanzionato d a l corpo elettorale per la parte di voti ottenuti negli appelli a l paese. Da ciò deriva lo spirito animatore dei partiti, che gli eletti sotto propria insegna portano nei gruppi parlamentari. Ma quando gli eletti dal popolo ( e non dai partiti) varcano la soglia della camera e del senato (in commissione o in aula) hanno una loro responsabilità morale e politica che li lega allo stato e rispondono personalmente della vita nazionale. Gli aggruppamenti che la costituzione prevede non riguardano i rapporti con i partiti., nè i rapporti con gli elettori, dei quali nega qualsiasi mandato imperativo (anche come « minimo non reformabile D); riguarda solo la proporzionalità dei gruppi parlamentari nelle commissioni in sede deliberante, con la finalità d i mantenere la correlativa proporzionalità politica dell'assemIdea. Lo stesso regolamento non parla di gruppi d i partito, ma di gruppi formati in base a dichiarazioni individuali. Si è parlato e scritto, più che mai in questi giorni, circa l'inserimento dei partiti nell'ordinamento costituzionale, come d i u n problema nuovo per l'Italia. Non c'è paese civile e democratico che non sia geloso del suo ordinamento istituzionale e del rispetto della propria costituzione, scritta o tradizionale, flessibile o rigida che sia, in modo da non essere intaccata da formazioni libere o volontarie d i nuclei di cittadini che si trasformano in partiti, in gruppi, in correnti, miranti a prendere
.o a mantenere il potere. 11 paese più tormentato è stato la
Francia che, dalla rivoluzione ad oggi, ha provato le più gloriose e le più tragiche avventure, alternando i l potere legale con i l potere usurpato, la forma democratica con la dittatura imperiale. L'Italia, arrivata tardivamente alla sua unificazione politica, ha dovuto fare le più dure esperienze per crearsi una tradizione di libertà costituzionale e di metodo parlamentare. 11 regime fascista, con la sovrapposizione del partito unico e del gran consiglio, ridusse il parlamento ad un'ombra senza libertà nè personalità. La risposta post-fascista fu imperniata sui comitati di liberazione, primo esperimento di ((delegazioni » al governo, che furono giustificate perchè mancava uii parlamento. Questo funziona dal maggio 1948; ma fin dai primi passi, è stato impacciato dal ricordo dei comitati di liberazione, dagli aggruppamenti politici dei deputati e dei senatori, dalla ingerenza gradualmente più sensibile delle direzioni e dei consigli dei partiti. I n quale fra i paesi democratici vi è stato u n governo che abbia subito le umiliazioni dei governi PeUa e Scelba con l'intimazione di doversi dimettere? E quale parlamento moderno h a dovuto lasciar passare che governi se ne vadano, evitando di an'rontare discussioni nelle camere e mandando ai rispettivi presidenti una lettera di notizia? I n quale paese democratico l'unità del governo è stata disgregata dalla formazione delle delegazioni » dei partiti, come se si trattasse di una occasionale assemblea di rappresentanti di stati, riuniti per concretare qualche ipotetica azione internazionale e le cui deliberazioni non sarebbero che semplici proposte da sottoporre per la ratifica a i rispettivi governi o parlamenti? A questo punto sento i l dovere di rispondere ad una obiezione che forse mentalmente avranno fatto parecchi i n questa aula, i n base a conoscenze sommarie, deformate dalla polemica del tempo, circa i l metodo tenuto nei quattro anni e mezzo del mio segretariato politico a l partito popolare. Premetto che a trentasei anni di distanza e dopo tante esperienze avrei pure i l diritto di cambiare opinione, ricordando i celebri versi del
i3 - Srunzo - Sc7itti giuridici.
Tasso: Che nel mondo volubile e leggero - Saggezza è spesso cambiar pensiero 1). Non è così: non ho mai pensato e voluto soverchiare i governi, anche avversari, nè menomare i diritti del parlamento, per awantaggiarne il partito. Cinque le crisi d i governo in quel periodo e la sesta, crisi di regime. Tre di tali crisi furono parlamentari in seguito a dibattiti e voti della camera dei deputati: la prima del gabinetto Nitti (maggio 1920), la seconda del gabinetto Giolitti (luglio 1921) e la terza del gabinetto Facta (luglio 1922). Le altre crisi furono extra-parlamentari: appena l'onorevole Nitti ebbe formato, nel maggio 1920, il ministero di coalizione con i popolari, e prima d i chiedere il voto di fiducia, fece emettere dal consiglio dei ministri un decreto-legge catenaccio sul prezzo del grano. La reazione socialista f u violenta e nessuno prese le difese del governo, i l quale decise subito d i revocare i l decreto e di presentarsi dimissionario; così Nitti aprì la porta a l ritorno di Giolitti. La crisi Bonomi (febbraio 1922) fu provocata dai ministri giolittiani, i quali, a camera chiusa, si ritirarono d a l governo. Bonomi presentò Ie dimissioni al re, il quale lo rimandò alla camera. Le ultime dimissioni furono date da Facta, sotto la minaccia della marcia su Roma. Nella composizione dei gabinetti, i popolari parteciparono a cinque su sei: secondo Nitti (come ho detto sopra, presentatosi dimissionario), uno Giolitti e due Facta. I1 programma del partito popolare era noto, fissato in punti programmatici fin dalla sua costituzione; ciò dava ai popolari la fisionomia della loro partecipazione al governo. Era naturale che da tale programma venissero estratti punti particolari, come base di una intesa e apporto alla coalizione. Non esisteva allora il a minimo non reformabile D. Per di più, la direzione del partito e i l segretario politico non erano essi a trattare e conchiudere, sì bene i dirigenti il gruppo della camera (il mio gruppo elettivo, essendo il senato vitalizio di nomina regia). Non sarebbe completo il quadro, se tacessi dei miei rapporti con Giolitti presidente del consiglio, la cui politica, molto prima della fondazione del partito popolare, avevo pubblicamente avversata. Un autorevole amico (che potrà leggere queste mie parole)
venne a chiedermi se e a quali condizioni i deputati popolari fossero disposti a partecipare al gabinetto; risposi che i l gruppo aveva in precedenza chiesto tre disegni di legge: colonixzazione del mezzogiorno e patti agrari (come si vede, riforma e patti agrari non sono di oggi), esame di stato, proporzionale amministrativa; i primi due furono accettati, sul terzo nessun impegno di governo, ma libera l'iniziativa parlamentare. Furono non da me chiesti tre posti per i popolari; i ministri, scelti personalmente da Giolitti, furono due: Meda e Micheli. F u i richiesto del mio parere personale sulla oppurtunità di affidare a Benedetto Croce il portafoglio della pubblica istruzione; risposi non avere obiezioni, solo di esigere la leale assicurazione che i l disegno di legge sull'esame d i stato fosse da lui presentato e sostenuto. Per completare i miei ricordi debbo citare un particolare che interesserà i colleghi di quest'aula. Quando agli &ci della camera fu bocciato i l disegno di legge Croce sull'esame di stato, espressi i l mio rincrescimento a uno dei ministri popolari ; Giolitti gli rispose essersi impegnato a far presentare il disegna di legge, ma non poteva imporne al parlamento l'approvazione; nè reputava essere quello il caso per chiedere la fiducia. Giolitti in quel momento pensava allo scioglimento della camera, che avvenne qualche mese dopo. Dell'episodio noto come « il veto a Giolitti » ho scritto più volte. La mia opposizione alla partecipazione del gruppo popolare ad u n futuro governo Giolitti (si trattava del cittadino Giolitti e non più del presidente Giolitti), era espressa come parere (era il mio diritto regolamentare). Lo stesso gruppo parlamentare popolare che, d'accordo con me nel febbraio 1922, rifiutò di partecipare ad u n governo presieduto da Giolitti, accettò, in disaccordo con me (ed era nel suo diritto) di partecipare a l governo Facta. Non resi pubblica la mia opposizione a Facta, sia per rispetto verso il governo costituito, sia per evitare polemiche inopportune. Domando ai colleghi se con questi precedenti di rispetto del parlamento, di riguardo per i governi costituiti, di libertà da parte del gruppo parlamentare a seguire o no il parere della direzione del partito, e di assenza completa della direzione del
partito e del consiglio nazionale nelle trattative con l'incarico del r e a costituire i l governo, si possa invocare i l precedente del partito popolare, a giustificare le ingerenze dirette dei partiti di oggi nell'attività del governo e del parlamento. L'esempio dei partiti dei paesi anglosassoni, invocato dal12 stampa d. c., poggia su inesatte informazioni e valutazioni. I n America i l capo del governo è lo stesso presidente eletto a suffragio universale dall'elettorato di tutti gli stati della federazione. Si comprende che egli sia allo stesso tempo i l capo autorevole del pa'rtito d i maggioranza. Ma quel governo non ha crisi; i ministri, scelti dal presidente, a lui rispondono, non mai al parlamento. Negli Stati Uniti il partito è solo ed esclusivamente per la organizzazione elettorale (macchina elettorale è chiamato); sotto certi aspetti, si può anche chiamare macchina d i favori e non sarebbe la sola macchina; vi sono i sindacati (unions) e i gruppi di pressione (pressure groups). Quale raffronto si può fare con la nostra democrazia parlamentare? I n Inghilterra è i l partito che cede di fronte ~1 parlamento, non viceversa; il capo del partito vincente è anche capo del governo; per cui non vi sono crisi nè tipo Pella, nè tipo Scelba; ma solo la spontanea dimissione del leader. Si dimise Baldwin perchè stanco e vi succedette Chamberlain; si dimise Chamberlain perchè ammalato e vi successe Churchill; si è dimesso Churchill perchè vecchio e vi è succeduto Eden. Forme oligarchiche più democratiche, ma basate sopra una tradizione parlamentare di sette secoli e una dignità governativa unica nel mondo. I1 dualismo partito-governo non è mai esistito in Inghilterra neppure col governo laburista. Alla nostra democrazia parlamentare mancano la base teorica e la tradizione politica. I1 costume dell'autolimitazion~, il rispetto delle competenze nella divisione di poteri e di organi, il senso dello stato d i diritto sono per molti parole vuote. Dopo otto anni bisogna rifarci allo spirito e alla lettera della costituzione per opporci all'invadente partitocrazia. Sono possibili i n questo campo anche riforme costituziona!i. Se si vuole che il partito venga inserito nella costituzione, che si definisca, si classifichi, dandovi forma legale e responsabilità
giuridica e politica. Forse si tratterà della quinta ruota del carro, ovvero dell'abolizione del parlamento o del17insediamento dell'assemblea delle « delegazioni » dei consigli nazionali dei partiti. Se il popolo italiano desidera un'altra costituzione, lo dirà nelle forme di legge. Ma ammettere la surrettizia formazione di un potere illegittimo che soverchi governo e parlamento, non è ammissibile. Al presidente del consiglio dei ministri, onorevole Segni, alla cui dirittura il parlamento fa larga fidanza, esprimo i l voto che fin da oggi egli escluda l'affermazione che il consiglio da lui presieduto sia composto da delegazioni » di tre dei quattro partiti della coalizione; affermi senza equivoci i l carattere unitario e la solidarietà di governo di fronte al parlamento e di fronte al paese; si opponga a che il singolo ministro possa essere riguardato come l'esecutore degli indirizzi particolari dettati dal partito cui questi appartiene, come fecero comprendere certi comunicati-stampa di parecchi mesi addietro; perchè i l ministro interpreta ed esegue nel suo dicastero la politica unitaria del gabinetto, quale approvato dal parlamento. E se avverrà che dissensi interni o motivi estranei porteranno il presidente del consiglio dei ministri a rivedere le attuali posizioni di governo, che ciò venga fatto alla luce del sole e con chiari dibattiti nelle due camere, che sono le sole autorizzate a confermare o a negare fiducia ai governi della repubblica. I1 governo Segni avrà anche in questa aula i l voto di fiducia; che questa fiducia sia confermata da una azione severa e dignitosa atta a valorizzare nel paese i l carattere impegnativo delle costituzione, la dignità del parlamento e il senso dello stato. (seduta
del 20 luglio 1955).
DISEGNO DI LEGGE N. 1066: « Disposizioni i n materia d i investimenti d i capitali esteri i n
Italia
D.
Onorevole presidente, onorevoli senatori, non mi fermo a dimostrare l'utilità degli investimenti di capitali esteri in Italia
avendone fatto cenno nel mio discorso del 19 febbraio 1954, e ancora più a lungo in quello de11'8 giugno di quest'anno. Se u n rilievo dovessi fare, sarebbe sul ritardo di più d i u n anno a presentare il disegno di legge in esame, da quando l'onorevole Vanoni si recò a Washington insieme a l governatore della banca d'Italia, con il proposito di esaminare le reciproche possibilità per siffatto provvedimento, prima di sottoporlo a l consiglio dei ministri. F u detto che i l ritardo, dopo tale viaggio, venne dal desiderio del ministro Vanoni di legare questo prowedimento con gli altri di attuazione del suo piano o schema. Nel fatto non f u così perchè i l governo fu indotto a presentarlo i l 22 marzo scorso, proprio alla vigilia di un'altra visita negli Stati Uniti, quella del presidente Scelba con il ministro Martino. Da allora ad oggi son passati sei mesi abbondanti: è vero che fra l'elezione del presidente della repubblica, la crisi ministeriale, le ferie parlamentari, sei mesi possono sembrare giustificati; non lo sono, d i sicuro, per il ritardo causato u maggiori impieghi produttivi. Purtroppo, i mesi passano presto, e non possiamo prevedere quanti ne occorrono per la discussione d i questo disegno di legge neII9altro ramo del parlamento. Se nessuna pietra d i inciampo sarà posta sul suo cammino, a l 22 marzo 1956 (anniversario della presentazione) la legge in parola dovrebbe essere pronta per la pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale. Gli emendamenti da me presentati hanno un solo scopo, quello di rendere tali investimenti meno difficili d i v a n t o sembra a leggere la serie di impacci e di limiti proposti. Si deve tener conto della psicologia d i chi viene da u n altro paese a investire in Italia i propri capitali, tenendo conto, ben inteso, delle disposizioni cautelative che il disegno di legge dovrà contenere. I1 primo rilievo che salta agli occhi è la mancanza di precisa disposizione che assicuri i vantaggi della legge nel caso di vendita, cessione, trasferimento delle azioni o dell'impianto stesso ad altre ditte o persone fisiche straniere o d i italiani residenti all'estero, nè per il caso di fusione o trasformazione delle società e simili operazioni, naturalissime in un'economia
libera e dinamica. Chi non si rende conto che una disposizione che metta sullo stesso piano l'investitore e il cessionario, renderà più agevole i l trasferimento d i capitali esteri in Italia? Al contrario, la mancanza di tale disposizione svaluterà in partenza l'impianto stesso, vincolato da una legge che ne rende onerosa la libera negoziazione. Quali difficoltà si oppongono ad una esplicita disposizione i n materia? L'impianto è sempre in Italia e non si trasporta via. Se mi si dice che la disposizione vi è sottintesa, io rispondo che è meglio stabilirla esplicitamente; se si risponde che bisogna andai cauti, io dico che sarebbe preferibile fissare per legge tali cautele. Altro piccolo esempio dello spirito dei compilatori è dato dalla disposizione che l'investitore debba provare di aver pagato i « tributi previsti per i l trasferimento all'estero di capitali e rendite consentite dalla legge 1). Tenendo presenti le procedure dell'accertamento, le contestazioni e le possibili vertenze avanti le commissioni tributarie. tale pagamento non potrà provarsi che a distanza di tempo. È vero che i l disegno d i legge attribuisce agli intendenti di finanza la facoltà di consentire i trasferimenti e di chiedere, ove occorra, speciali garanzie; ma si tratta di facoltà che potrebbe non essere esercitata, senza che l'investitore abbia alcun diritto a esigerne la esecuzione. Per giunta, la legge non prevede per i l malcapitato altro mezzo di tutela dei buoni interessi. Per quanto io abbia buona opinione degli intendenti di finanza, non posso escludere che fra essi vi sia i l meticoloso o, come si dice, pignolo, come vi è i l comprensivo; altri si troverà i n condizione di non voler assumere delle responsabilità, proprio alla vigilia della promozione o del trasferimento e così di seguito; anche gli intendenti possono tardare un po' troppo a dare i l permesso per potere eseguire bene gli accertamenti del caso. Fra le tante disposizioni del disegno di legge, manca, a mio parere, di base economica e di fondatezza giuridica quella riguardante il trattamento differenziato fra le nuove imprese e le imprese già in attività, eseguite in base al decreto legislativo del 2 marzo 1948, n. 211. I1 fatto che gli investitori stranieri, o italiani residenti all'estero, dopo la caduta del fascismo e
della monarchia, e a partire dalla prima legislatura parlamentare in poi, abbiano avuto fiducia nella ripresa economica e finanziaria del nostro paese, non merita di sicuro la esclusione. dei vantaggi ora proposti, se tali imprese rispondono a i criteri del disegno di legge in esame. Tale disposizione è anche moralmente lesiva, perchè verrà sancita una discriminazione fra gli investimenti esteri in Italia che hanno lo stesso carattere economico; discriminazione solamente basata sul tempo, p u r avendo i primi recato all'economia italiana quella utilità che si spera ottenere dagli altri. Passando a i cosidetti investimenti non produttivi debbo dire francamente che, dal punto di vista economico e sociale, i miei criteri di apprezzamento sono diversi da quelli mostrati dai proponenti del disegno di legge. Ho sentito dire da qualcuno che l'edilizia sarebbe investimento non produttivo, cosa che, i n uno scamb;? d i idee avuto col relatore di maggioranz mi è stata esclusa. Altri mi ha citato gli impianti cinematografici: io credo non produttivi i cinematografi statali; per gli altri, la discussione mi sembra simils a quella dei due uccelli d i Clasio: uno diceva che la foglia dell'olmo fosse bianca e l'altro affermava che fosse verde: purtroppo l'uno vedeva la foglia dal basso e l'altro dall'alto, e non si misero d'accordo. Mi è stato detto che si vuole evitare la speculazione dei capitali erranti n. Certo, non si tratta di quelli che servono. ai giochi di borsa; nel caso, mancherebbe la materia della legge che riguarda capitali investiti in impianti. Se gli stranieri portano divisa pregiata per giocare, non dico alla borsa di Milano o d i Roma, ma perfino nelle case di gioco, quelle le-. gittimate da leggi fasciste, in conflitto col codice penale (Venezia, San Remo, Campione) e quell'altra d i Saint Vincent, tollerata dal governo cui la legge fa obbligo di ordinarne la chiusura, sarà affare loro; se i giocatori perdono, pagano nella moneta che hanno, se vincono non possono trasferire all'estero più d i quanto possa consentire loro l'istituto dei cambi, salvo, come uso, a farla in barba alla legge. Simili operatori erranti sono troppo abili per cadere nella rete della polizia, che i n certi ambienti non ha molta presa. Ho voluto fermarmi su questo punto per mettere in evi-
denza, in controluce, che la discriminazione fra imprese produttive e non produttive è sostanzialmente una disposizione dirigista, non mai una classifica economica. ~ i c h edirigista è la disposizione limitatrice dei prestiti alla imprese straniere in Italia. Si può discutere sull'utilità, o meno, di limitare i l credito industriale a lunga scadenza; non certo sulla limitazione d i quello a medio termine. Per giunta, non sembra chiaro se nel (C complesso dei debiti e delle obbligazioni » dell'articolo 3 del disegno di legge, si intenda includere anche i debiti per credito e di esercizio. I n tal caso, la disposizione in materia sarebbe senz'altro controproducente. Invero, se i prodotti di tali imprese sono venduti all'estero, produrranno per l'Italia divisa estera, se venduti nel territorio, aumenteranno i beni immessi nel mercato. Nell'un caso e nell'altro, il credito di esercizio dovrebbe essere lasciato al libero apprezzamento della banca; lo stesso trattamento dovrebbe valere per i prestiti a medio termine, dato il graduale realizzo del capitale in u n breve giro di anni. Per i prestiti a lungo termine e per le obbligazioni, qualche limitazione potrebbe essere non dico giustificata, ma atta a dare una certa soddisfazione alle preoccupazioni ( p e r me esagerate) al riguardo. Ma perchè fissare per legge barriere insormontabili? Basterebbe introdurre nel previsto regolamento certe condizioni cautelatrici, senza pregiudicarne le possibili modifiche, suggerite dalle esigenze dello sviluppo produttivo delle imprese stesse. A questo punto mi sia permesso di aprire una parentesi di ordine generale. Dopo aver istituito con legge costituzionale una democrazia parlamentare, con netta divisione di poteri, è preoccupante il fatto che si vada introducendo nel costume un certo parlamentarismo, svuotato si di contenuto politico per via dell'ingerenza dei partiti, ma aggravato di compiti amministrativi, per una innata e generale diffidenza verso il governo, potere attivo ed esecutivo, e verso l'amministrazione (direzioni generali e consigli superiori), potere esecutivo responsabile. La spinta è data dalle opposizioni, ma i l sistema è accettato da tutti e divenuto accetto a molti. Le leggi sono formulate in modo che contengono norme regolamentari ed esecutive, di competenza del consiglio dei ministri, o secondo
i casi, del singolo ministro. Si arriva al punto che nel redigere le leggi di semplice autorizzazione di spesa, ove occorra, vi si dà i l carattere di legge dispositiva di merito. Manca, per giunta, la distinzione fra leggi generali e vincolative del cittadino e quelle particolari, le quali, se non contengono impegni d i spese fuori del previsto, potrebbero essere evitate rientrando la materia nella normale competenza ministeriale. I n genere, i funzionari propendono a precisare tutto per legge; è questo u n modo di scaricarsi delle responsabilità amministrative, ma d'altro lato, non è escluso il fatto che, nelle pieghe delle leggi, si contengano elementi spuri, che servono a far prendere scorciatoie inadatte per una pubblica amministrazione; ovvero a sanare situazioni compromesse, senza che, nell'uno e nell'altro caso, i l parlamento se ne accorga. Tornando al tema, sarebbe opportuno rimandare a l regolamento previsto dall'articolo 8 del disegno di legge i n esame, quelle norme cautelative da applicarsi ai mutui a lunga scadenza e all'emissione di obbligazioni, norme che in u n determinato periodo potrebbero essere superflue e controproducenti, in altro utili e forse anche necessarie. I1 governo, nello stabilirle o nel modificarle, eserciterebbe un potere di moderazione e di responsabilità, del quale è investito per la natura steesa dell'istituto ministeriale. Nè i l parlamento resterebbe in questo caso spettatore estraneo ed impotente, perchè è sempre nella sua facoltà esercitare sull'amministrazione e sull'indirizzo politico del governo i l proprio controllo, che va dalla semplice interrogazione al voto d i fiducia; dalla mozione alla proposta di inchiesta parlamentare. Spero che questi rilievi siano tenuti presenti, riservandomi, se occorre, di illustrare, caso -per caso, la portata dei miei emendamenti, dopo avere ascoltato con la maggiore attenzione le repliche dei due relatori e del ministro proponente. È interesse del paese che la presente legge vada in attuazione e determini un notevole afftusso di capitali esteri, ora che sono venuti meno questi aiuti americani, che nel decennio hanno favorito notevolmente la nostra ripresa economica e di conseguenza il nostro prestigio politico. /seduta
&L
13 ottobre 1955).
(Seguito della discussione) Presidente : Il senatore Sturzo ha presentato u n emendamento fendente a sostituire l'articolo 2 con il seguente: « Qualora gli investimenti del controvalore i n lire di capitali esteri introdotti i n Italia nei modi previsti dall'articolo l non siano destinati alla creazione di. nuove imprese produttive o all'ampiiamento di analoghe imprese già esistenti, il trasferimento all'estero dei capitali derivanti da eventuali successivi realizzi non può aver luogo prima di tre anni dall'investimento n. Il senatore Sturzo ha chiesto di poter svolgere contemporaneamente anche il seguente articolo 2-bis cEa lui proposto: Art. 2-bis. u Le disposizioni degli articoli I e 2 si applicano anche nel caso in cui l'investitore originario ceda, i n tutto o i n parte, le attività acquistate i n Italia ad altro straniero o cittadino italiano residente all'estero. Le disposizioni degli articoli I e 2 e del primo comma del presente articolo sono estese al trasferimento degli interessi, dividendi e utili percepiti e ai capitali realizzati, posteriormente alla entrata i n vigore della presente legge, su investimenti effettuati i n applicazione del decreto legislativo 2 marzo 1948, n. 211; il triennio previsto nell'articolo 2 decorre dalla data dell'avvenuto investimento n. Il senatore Sturzo ha facoltà di illustrare questi emendamenti.
L'emendamento sostitutivo dell'articolo 2 e %bis sono collegati al fine di applicare l'attuale disegno di legge agli investimenti awenuti i n seguito al decreto legislativo 2 marzo 1948. Siccome questa tesi è stata vivacemente contrastata dal rappresentante del governo, e penso che la commissione non abbia alcun desiderio di accettarla, e quindi neppure la maggioranza e niente affatto l'opposizione, mi riservo di esaminare la que-
stione in altra sede, non certo parlamentare; in questa sede, se insistessi, avrei semplicemente il piacere del mio voto. 'Il mio voto c'è, ma non ha valore e quindi è inutile che si richieda la votazione. Mantengo i l primo capoverso dell'articolo 2-bis, che credo sia accettato dal governo e dalla commissione; esso è necessario, per estendere i vantaggi della legge all'eventuale cessionario e ammettere comunque la negoziazione delle nazioni e dell'impianto stesso. Potrà mantenersi l'articolo a sè o potrà formare l'ultimo capoverso dell'articolo 2. Ciò sarà da stabilirsi ,in sede d i coordinazione. (*)
...
(seduta del l 4 ottobre 19551-
DISEGNO DI LEGGE N. 1605:
Ricerca e coltivazione degli idrocarburi e liquidi gassosi
D.
Onorevole presidente, onorevoli senatori, intervenendo nel dibattito sul disegno di legge n. 1605 già approvato dalla camera dei deputati, debbo dare ragione del mio parere che, attraverso la sa commissione permanente, è stato passato dal presidente della 9" agli onorevoli relatori. È divenuta una non lodevole abitudine quella di introdurre, nei disegni e nelle proposte di legge che si sottopongono a l parlamento, norme di esecuzione, che dovrebbero formare oggetto di apposito regolamento da approvarsi dal consiglio dei ministri sentito il consiglio di stato. Viene così alterato i1 concetto di legge e viene sottratto al potere attivo ed esecutivo, governo ed amministrazione, una facoltà che li rende responsabili avanti al parlamento della regolarità nell'applicazione delle leggi e nella buona gestione degli interessi pubblici; ed inoltre assoggetta il cittadino al rigore della legge in materia regolamentare. Se questo criterio va rispettato in tutta l'attività della ge(*) L'articolo 2-bis proposto da Sturso veniva approvato, e così pure il dis. di legge. Legge 7 febbraio 1956, n. 43 (G.U. 21 febbraio 1956).
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stione statale, dovrebbe essere più rigorosamente seguito nel caso d i gestioni economiche, che esigono maggiore agilità nella pratica tecnica, maggiore adeguamento alle esigenze di esecuzione, secondo i progressi scientifici e le necessità d i emergenza. Oggi la moltiplicazione delle leggi, l e proroghe, correzioni e interpretazioni sono tante da rendere difficile seguirne i l ritmo, sia da parte degli uffici pubblici sia da parte dei cittadini e associazioni interessate. Si dà, per giunta, l'impressione che venga a mancare la certezza del diritto, tanta è la facilità di aggiungere modifiche su modifiche e leggi su leggi. In un mio lontano articolo notavo che nel primo anno del parlamento della repubblica (1948-49) erano state varate circa 1.100 nuove leggi o modifiche di leggi, mentre i l parlamento inglese, nello stesso spazio di tempo, per una popolazione quasi uguale alla nostra, aveva approvato poco più di 100 leggi, a parte le leggine dette private laws che riguardano affari particolari e si sbrigano senza discussioni e con la speciale procedura di deposito al banco della presidenza per eventuale opposizione, cosa che avviene molto raramente. I1 presente rilievo ha una maggiore importanza per il fatto che il disegno di legge oggi in discussione riguarda una materia per la quale non esistono pratici precedenti, ed è assai limitata la esperienza governativa e amministrativa, e, ancora d i più, non si possono prevedere le difficoltà tecniche o amministrative che ne potranno derivare. Essendo il nostro territorio così vario e in gran parte non sufficientemente esplorator occorreva, per ora, fissare le linee maestre della legge, lasciando l'esecuzione ai corpi tecnici e contando sul senso d i responsabilità del governo. Purtroppo, l'indirizzo preso in otto anni di tentativi per la formulazione del'testo attuale è stato del tutto diverso, a l punto che è prevalsa la diffidenza del governo stesso nella propria azione e in quella dei propri dipendenti, mentre si concede una fiducia illimitata all'ente nazionale idrocarburi e alle sue quaranta e più società collegate, che hanno portato nel campo degli idrocarburi una lotta senza tregua contro l'iniziativa privata. I1 disegno di legge più liberale e meno farcito di norme pratiche era quello del ministro socialdemocratico onorevole
Ivan Matteo Lombardo (1949); poi venne il testo del democristiano Togni, il quale fu costretto ad assegnare tutta l'alta Italia, Liguria compresa, al monopolio dell'E.N.I., creato purtroppo prima che la legge generale (oggi in discussione) venisse approvata. Aperta la seconda legislatura, il democristiano Malvestiti modificò il disegno di legge Togni nella speranza di raggiungere una soluzione di equilibrio fra ente statale e iniziativa privata, la quale ultima restava soccombente. L'attuale disegno di legge, è vero, porta ancora i nomi d i Malvestiti e di Azara, ma è una finzione regolamentare; questo è il disegno di legge del ministro Cortese, il quale, credendo di avere salvaguardato a sua volta gli interessi dell'iniziativa privata, ha finito col paralizzarla ancora di più nelle spire regolamentari e peggio aggravarne la situazione, oltre che con l e disposizione fiscali, con gli articoli 44 e 45. Con tali articoli s i estende la legge in discussione agli attuali titolari di ricerca e di coltivazione, se e in quanto essi abbiano osservate le condizioni loro imposte con i disciplinari i n vigore, e se ne faranno domanda entro novanta giorni dalla entrata i n vigore della legge, per ottenerne, con regolare decreto ministeriale, la conferma in base a un nuovo disciplinare. È da aggiungere che nell'uno e nell'altro caso dei due articoli 44 e 45, mentre è prevista la decadenza per mancata domanda, e si suppone anche che possa esservi i l rifiuto alla rinnovazione del permesso o della concessione nel caso di inadempienza a l disciplinare in corso (si tratta di un potere discrezionale dei ministro) non si fa alcun cenno dell'indennizzo che possa spettare agli interessati. La disposizione che riguarda i concessionari di coltivazione può ritenersi giuridicamente una confisca, dato che per l'articolo 22 della legge mineraria vigente, quella del 1927, la concessione di coltivazione conferisce un diritto reale immobiliare, che può perfino farsi gravare da ipoteca. Dico confisca e non esproprio perchè, per essere tale, occorrerebbe osservare le disposizioni dell'articolo 43 della costituzione. Nel detto articolo è precisato il diritto d i espropriazione u a fini d i utilità generale »; nel caso di fonti di energia è aggiunto « che abbiano
carattere di preminente interesse generale »; in ogni caso è previsto sempre i l diritto dell'espropriato all'indennizzo. I1 fatto che gli articoli 44 e 45 del disegno di legge in discussione riguardino principalmente i pozzi metaniferi del Polesine e dintorni e altre simili concessioni che danno un prodotto annuo, poco più o poco meno, di 3 mila tonnellate di petrolio e 300 mila di metano, dà chiara l'idea che non possa trattarsi di materia che abbia preminente carattere generale D. Quindi è da escludere la possibilità dell'esproprio anche con indennizzo. La dichiarata decadenza del permesso di ricerca non può affatto portare alla confisca dei lavori fatti e delle attrezzature e simili, e dall'altro lato non può ritenersi illegittima una decadenza ope legis senza indennizzo delle spese fatte e del danno che potrebbe subirne i l titolare anche in confronto a contratti stipulati con altre ditte. Se gli effetti immediati dei due articoli verso gli attuali interessati sono costituzionalmente e giuridicamente riprovevoli, il pregiudizio che ne verrà dal precedente legislativo, sarii anch'esso notevole, perchè l'iniziativa privata non sarà sicura dei diritti acquisiti e della stabilità dei disciplinari. Purtroppo, la nostra legislazione, in materia di sicurezza del diritto è molto claudicante, perchè è stata più volte compromessa, e l o è tuttora, dalle facili leggi interpretative, presentate e approvate, anche durante i ricorsi degli interessati avanti la magisiratura e negli stadi successivi alle sentenze emanate dal giudice e perfino dopo le decisioni della corte suprema di tassazione. I n queste condizioni di sensibilità pubblica assai acuita da un interventismo parlamentare che potrebbe arrivare al parlamentarismo - del quale si parlava in Italia verso la fine del ecol lo scorso come una degenerazione dei parlamenti dei paesi latini - la migliore decisione da prendere è la soppressione pura e semplice dei due articoli tanto discutibili e così pregiudizievoli. I1 terzo rilievo riguarda i l complesso degli oneri fiscali, che, uniti a limitazioni di tempo e d i spazio per le ricerche e per le coltivazioni, renderà oneroso alle imprese private l'impiego di larghi capitali in un campo che presenta tante incognite e fin'oggi in Italia ha avuto limitate prospettive di sucesso. Dal
1945 a l 1954, con l'A.G.I.P. rimessa in attività, si è avuta una ben piccola produzione di petrolio e d i gas liquefatti con uti massimo nel 1953 d i 85 mila tonnellate. La media decennale non supera le 30 mila tonnellate annue: solo nel 1955 si sono toccate 203 mila tonnellate per la entrata in azione dell'impianto di Ragusa in Sicilia, dal quale impianto si prcvede per il prossimo anno la produzione di circa u n milione d i tonnellate. I1 fatto della mancata lcggc avrà influito per le zone intermedie fra l'alta Italia, monopolio dell'E.N.I., e la Sicilia regolata con legge regionale propria. L'A.G.1.P. ebbe molte concessioni prima ancora della costituzione- de-ll'E.N.1.; ontrato in funzione solo nel luglio 1953; e pur avendo estesa la ricerca per quasi tutte le regioni ( a parte la Sicilia, l'Egitto e la Somalia) non ha ancora in coltivazione nessun .pozzo di petrolio. * Sono noti i motivi prospettati nella polemica giornalistica per i1 mancato ritrovamento d i 'petrolio nell'alta Italia, non avendo Cortemaggiore mantenuto le promesse. I n sostanza fin oggi le speranze di petrolio nella zona privilegiata e monopolizzata a questo fine (leggere la relazione Vanoni al disegno di legge sull'E.N.1.) non si sono realizzate. L'ipotesi negativa per la Va1 Padana, se venisse confermata dagli organi consultivi e tecnici del ministero dell'industria, dovrebbe portare .subito alla cessazione della esclusivà di ricerche e di coltivazione concessa al19E.N.I., dando accesso alla iniziativa privata, specie a d imprese estere, s'intende bene attrezzate e con capitali s a c i e n t i . Se tali 'ditte troveranno i l petrolio, il beneficio sarà del paese e dello stato; se non lo troveranno, avranno, a - . per loro rischio e perdita, impiegato capitali e dato lavoro parecchi --- anni. Quel che si dice per l'alta Italia, si deve ripetere per le altre regioni che verranno regolate dalla legge che si sta per varare, e che contiene tali e tante garanzie da non essere possibile che ditte straniere creino a loro vantaggio una specie di monopolio, nè che ciò possano fare le poche e ben note ditte italiane. Ma se i1 governo, che in materia di oneri di concessione e di pesi fiscali ha creduto di gravare la mano, dovrà contentarsi solamente dell'opera del15E.N.I., a mezzo del1'A.G.I.P.-mineraria, come l'unica società di ricerca e di
coltivazione, tanto per l'area coperta dalla legge istitutiva del 1953 quanto per l'area che verrà coperta dalla presente legge, stia sicuro che i l nostro destino sarà quello di ottenere col massimo sforzo e col massimo onere il minimo risultato, invertendo, così, la legge economica che u n ministero dell'industria dovrebbe osservare e fare osservare, quella d i ottenere il massimo risultato con il minimo sforzo. Tanto l'onorevole relatore del presente disegno d i legge alla camera dei deputati, quanto gli onorevoli relatori del senato, Iranno citato, fra le altre legislazioni estere, quella del Canadà che potrebbe essere presa ad esempio, avendo quel paese cominciato ad utilizzare il sottosuolo a scopo di ricerche peirolifere, solo dopo l'ultima guerra mondiale, facendo uno sbalzo, dal 1947 ad oggi, addirittura impensato; perchè è stata rispet-' tata la libertà di ricerca per tutti, unita ad una seria vigilanza governativa, con u n sistema di canoni (royalties) normale e leggi fiscali molto eque e pratiche. A completare i dati riferiti dai relatori mi permetto di presentare il seguente confronto fra il Canadà e l'Italia. Nel 1954 in Italia sono stati perforati metri quadriennio 1950 1.032.193, dei quali il 64 per cento dall'A.G.1.P. o E.N.1.A.G.I.P. e il 36 per cento dai privati (mancano per tale periodo i numcri dei pcjzzi cli ricerca e quelli di coltivazione). Nel Canadà sono stati perforati 8.330.000 metri, tutti dai privati, e sono stati scavati 3.420 pozzi di ricerca e 4.920 pozzi di coltivazione. Nel solo 1954 in Italia sono stati completati 48 pozzi esplorativi, 220 pozzi d i coltivazione, con u n totale d i 264.894 metri perforati. Nel Canadà sono stati completati 900 pozzi esplorativi, 1.400 pozzi d i coltivazione, con u n totale d i 1.640.000 di metri perforati. I n Italia la superficie di ricerca è di ha. 9.139.000, nel Canadà 18 milioni e 200 mila. I1 paragone va quindi fatto sulla metà delle estensioni del Canadà; e pertanto nel 1954 possiamo confrontare solo 450 pozzi esplorativi del Canadà con i 48 dell'Italia; 700 pozzi di coltivazione del Canadà con i 220 dell'Italia; 820 mila metri perforati del Canadà con i 264.894 dell'ltalia. Si noti che fra i 220 pozzi d i coltivazione del 1954, il petrolio ed i gas liquefatti furono d i 72.135
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giuridici.
tonnellate. La produzione del totale dei 220 pozzi riguarda, in sostanza, solo i l metano. La paralisi in materia d i petrolio dura pertanto da p i ù d i 10 anni, ed i l parlamento, anclie dopo i buoni indizi avuti in Abruzzo, fermò i permessi a i privati, scoraggiando quelli che li avevano, e lasciò arbitro assoluto l'E.N.I. Questo ente nazionale ha preso moltissime iniziative, alcune lodevoli, altre di dubbia utilità, altre con grave sperpero d i capitali. Per l'impianto d i gomma sintetica in quel di Ravenna, dai 30 miliardi iniziali si è arrivati a i 60 miliardi. Ora si parla d i altri 40 miliardi da aggiungere per u n solo impianto. Non so se il tesoro da u n lato e il ministero del17industria dal17altro abbiano mai valutato l'onere effettivo che grava sullo stato dalla gestione E.N.I. e società collegate e se la finanza abbia dati esatti delle mancate entrate da parte dell'E.N.1. e società collegate, sia per dilazioni concesse nei versamenti delle imposte, sia per esenzioni palesi o mascherate, come quelle recenti, sia per diminuzione di utili da versare all'erario, per spese superflue ed eccessive quali quelle di réclame giornalistica o di personale esuberante o paghe assai rilevanti. Se, approvando la presente legge senza modifiche, le ditte private lasceranno libero i l campo all'E.N.I., la vittoria sarà dello statalismo, una vittoria di Pirro, nè economica n è tecnica e in fondo neppure politica; perchè 1'E.LJ.I. non avrà mezzi tecnici, personale e capitali sufficienti per abbracciare tutta la parte già assegnata in esclusiva, più le zone indiziate e indiziabili nelle altre regioni. Verranno così meno le prospettive d i lavoro per la mano d'opera qualificata, e continueremo a pagare in valuta pregiata il petrolio che ci occorre come energia e come commercio interno e per l'esportazione dei raffinati. Ciò posto, ritengo necessario che sia invitato il governo a rivedere sia la tabella dei canoni, sia le disposizioni fiscali del disegno di legge in discussione per attenuarne le asperità e normalizzarle, sul piano di quanto si è fatto dai paesi ad economia libera quali gli Stati Uniti d'America e il Canadà. Sarebbe anche opportunu introdurvi uria disposizione analogo a quella che si trova nelle leggi di tali paesi circa l'ammortamento minerario, non ritenendo che le miniere, clie esauriscono nel tem-
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po i loro giacimenti, possano essere riguardate come bene immobiliare a reddito normalizzabile. Non mi rendo conto, inoltre, dei motivi per i quali sia stato introdotto nel disegno di legge i l disposto dell'articolo 23; con questo si priva i l mezzogiorno del vantaggio derivante dall'articolo 3 del decreto legislativo del capo provvisorio dello stato del 14 dicembre 1947, n. 1598, e successive disposizioni circa gli impianti industriali. Se l'Alta Italia ha il grande vantaggio di avere sul posto metano e metanodotti, il mezzogiorno per avere petrolio e metano dovrà pure richiamare gli operatori con esenzioni fiscali già ritenute efficienti nel campo industriale. A nome degli amici meridionali invito i l governo a non insistere per il mantenimento di tale articolo, del quale ho proposto la soppressione. : Riassumendo : il disegno di l e g d o v r e b b e essere * a) togliendo -le-disposizioni di "carattere regolamentare, che sono di competenza e -di-responsabilità governativa ; b) sopprimendo gli articoli 44 e 45 circa l'applicabilità della legge agli attuali permissionari e concessionari, ovvero modificandoli i n modo da eliminarne l e disposizioni della decadenza ope Icgis del permesso di ricerca e della concessione di coltivazione; e per i casi particolari di esproprio per preminente interesse generale, riconoscendo all'interessato il diritto di indennizzo previsto dall'articolo 43 della costituzione; C) sopprimendo l'articolo 2.3 dannoso per il mezzogiorno; 4 aggiungendo u n disposto riguardante gli ammortamenti minerari (depletion allowance) e riconoscendo a i concessionari che portano capitali in Italia l'applicabilità della legge sugli investimenti esteri del 7 febbraio 1956, n. 43; e) sopprimendo infine gli articoli 34 e 35 riguardanti l'ente nazion>~elidocarburi,per assimilare a quella deali operatori privati la-posizione di tale ente nel territorio L _ - per il quale avrà efficacia la nuova legge. I n base a tali criteri direttivi h o presentato gli emendamenti che sono stati pubblicati e distribuiti agli onorevoli senatori.' Onorevole presidente, onorevoli senatori, so bene che è desiderio del governo, al quale sembra accedere la maggioranza del senato, d i approvare il testo del disegno di legge 1605 tale quale è stato trasmesso dalla camera dei deputati, allo scopo
di avere, finalmente, una legge. Una.legge p a l s i a s i ? No: una legge creduta la migliore. Non mi illudo che, d i fronte a tale desiderio, e alla vigilia delle vacanze, possa rev valere l'altro desiderio, quello d i migliorare i l testo con gli emendamenti proposti. Da parte mia ho creduto d i adempiere ad u n dovere, segnalando i punti deboli che dovranno, oggi e domani, essere di sicuro emendati se si desidera aumentare in Italia la produzione degli idrocarburi. Coloro che credono alle statizzazioni in materia d i fonti di energia, vadano a prendere informazioni in Ingliilterra circa la produzione carbonifera; facciano i confronti con i paesi affidati all'iniziativa privata, anclie quei paesi che hanno grandi capitali disponibili e potrebbero, volendo, fondare altri E.N.I. e altri I.R.I. e non sono come lo stato nostro, che da u n lato va sempre più irrigidendo il. proprio bilancio e dall'altro rende difficile l'impiego privato del risparmio nazionale. È venuto i l momento di cambiare rotta e ridare alla libertà economica il posto che merita nello sviluppo dell'attività industriale, delle nostre risorse e del benessere delle nostre popolazioni.
Art. 23. Sopprimere l'articolo. Dopo l'articolo 23 aggiungere i seguenti.
Art. 23-bis. Sul reddito tassabile della gestione annua di ogni singola miniera delle imprese operanti come concessionarie d i coltivazione è dedotto il 2 per cento del reddito lordo a titolo di ammortamento minerario. Tale detrazione non può mai superare il 50 per cento del reddito tassabile. Art. 23-ter. Le disposizioni della legge 7 febbraio 1956, n. 43, in materia
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di capitali esteri i n Italia sono applicate ai permessionari di ricerca e concessionari d i coltivazionc d i idrocarburi che impiegano capitali esteri. Art. 28. Sostitr~irel'articolo con i l seguente: La gestione degli idrocarburi liquidi e gassosi, corrisposti ai sensi del precedente articolo 22, può essere affidata all'ente nazionale idrocarburi; i n tale caso l'apposito disciplinare sarà approvato con decreto del ministro del tesoro di concerto col ministro dell'industria e del commercio. Art. 34. Sopprimere l'articolo. Art. 35. Sopprimere l'articolo. Art. 44. Sopprimere l'articolo. Art. 45. Sopprimere l'articolo.
( *) (seduta
(*) Legge 11 gennaio 1957, n. 6
del 19 dicembre 1956).
(G.U. 29 gennaio 1957).
DISCORSO SULLE DlCEIIAZIONI DEL GOVERNO (*) Onorevole presidente, onorevoli senatori, « governo monocolore senza maggioranza precostituita N, così il presidente Zoli definì i l suo ministero nella prima presentazione avanti le camere. Dopo le peripezie di venti giorni, dal 7 al 27 di questo mese, dovrebbe essere chiaro trattarsi dello stesso governo, monocolore senza maggioranza precostituita. Andrà così per un -- -. - -anno, coi venti burrascosi del parlamento diviso in due rami, per trovare di volta in volta la maggioranza occasionale e far passare il programma accettato dalle due camere con le votazioni del 4 e del 7 giugno? Se è così, il governo Zoli, nell'attuazione del suo programma, potrà ricevere voti ora di destra, or? d i sinistra, ~ e r p e t u a n d ol'equivoco con il quale è nato; se non è così, a vacanze finite si tornerà da capo alla crisi. Tra i motivi di perplessità stanno per me al primo posta le dichiarazioni fatte dal presidente della repubblica, sia quelle del 13 giugno, dopo aver ricevuto le dimissioni, sia le altre del 22 giugno nel rigettare le stesse dimissioni rinviando i l governo Zoli al parlamento. Ritenendo che la prima avesse tacito riferimento all'ordine del giorno sottoscritto da me e dal senatore Caristia, dichiarai con lettera data alla stampa che avrei portato la questione al senato, ed il secondo comunicato mi ha confermato la necessità d i una chiarificazione che dovrei richiedere al governo. Mi dispenso dal fare una disquisizione teorica, resto nei limiti fissati dalla nostra costituzione ed in uso nella prassi italiana, non solo del periodo della monarchia costituzionale, ma anche del decennio della repubblica. Mi affretto a dire che non si manca di rispetto all'alta autorità di capo dello stato, nè alla personalità che di tale autorità è investita, se si cerca d i risolvere i l problema che i due comunicati hanno posto in forma abbastanza chiara. I limiti dell'attività presidenziale sono fissati dagli articoli 89 e 90 della cnstituzione, nei quali è scritto: articolo 89:
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(*) Gabinetto Zoli.
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Nessun atto del presidente della repubblica è valido se non è controfirmato dai ministri proponenti, che ne assumono la responsabilità ».- Articolo 90: I1 presidente della repubblica non è responsabile degli atti compiuti nell'esercizio delle sue funzioni ». Si h a quindi la figura d i u n potere completivo e necessario,
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ma non responsabile; la responsabilità cade intiera sul governo, i l quale con la nuova costituzione non è più il governo di sua maestà, come lo è i n Inghilterra, e come lo era nominalmente i n Italia fino all'ottobre del 1922, m a i l governo della repubblica. È l'articolo 92 che così lo definisce là dove è stabilito che il presidente della repubblica nomina i l . pres-idente del consiglio dei ministri e su proposta di questo nomina i ministri. Infine nell'articolo 95 è caratterizzata l a figura del presidente del consiglio dei ministri come colui che ((dirige la politica generale del governo e ne è responsabile, mantiene l'unità d i indirizzo politico ed amministrativo, promuovendo e coordinando l'attività dei ministri n. Chi ha i l gusto delle ricerche può andare a leggere le discussioni fatte nell'assemblea costituente sui vari articoli e troverà i moventi del sistema chiari e limpidi, e nessuna discettazione sui primi e i secondi momenti, sull'unione d i volontà e simili sottigliezze, può offuscarli per introdurre l'attività d i u n potere che non può rispondere e iion risponde dei propri atti a l parlamento. I1 secondo comunicato dato alla stampa e fatto arrivare i n aula a mezzo delle dichiarazioni del capo del governo, invitando i l parlamento ad accogliere il governo Zoli come legittimo e con impegno d i dare esecuzione simultanea a l suo programma, disturba pii1 per la forma che per l a sostanza. La parola d i autorità, se fosse occorsa, avrebbe dovuto seguire la via costituzionale del messaggio che le camere avrebbero potuto discutere e, se nel caso, prendere i n considerazione. Che u n voto o u n desiderio o u n indirizzo del capo dello stato possa venire i n questa aula attraverso il potere esecutivo, è fatto senza precedenti e speriamo senza ulteriore seguito. A questi rilievi dovrei aggiungerne altri; accenno solo al disagio penetrato nell'amministrazione statale e nella stessa
pubhlica opinione, per la voce che corre, più o meno in confidenza fra persone spesso non qualificate, circa l'ingerenza che parte dagli amhienti del Quirinale e arriva alle varie gestioni statali e parastatali. Può darsi che vi siano delle esagerazioni; è doveroso che fatti particolari non siano generalizzati. Ma non sono mancate notizie dei capi servizio e di capi di enti statali e locali i quali, per propria iniziativa o per desiderio di mettersi in vista o perchè spintivi da terze persone, vadano per discutere situazioiii, per trattare affari, per concordare linee di condotta su quanto compete a ministri, a consigli superiori, a comitati interministeriali. Non si può dire fino a qual punto dei ministri si siano trovati di fronte a prese di posizione ed abbiano dovuto correre ai ripari. Quanto avvenne al ministro degli affari esteri sotto il gabinetto Segni può essere indicato come il :caso più noto e più grave. Pare che gli affari attinenti all'I.R.1. e all'E.N.1. siano seguiti con particolare attenzione fino nei dettagli. Non nego affatto che il presidente della repubblica venga edotto dell'andamento degli affari dello stato e della pubblica amministrazione, non soltanto per i l tramite dei ministri, ma, se occorre, anche a mezzo di cittadini qualificati. Quella che disturba è l'atmosfera creatasi specie per il cozzo dei partiti e delle varie tendenze all'interno di ogni singolo partito, nonchè per le differenti ideologie che interferiscono negli stessi indirizzi governativi, ed anche per il continuo aumento di interessi privati che per l'eccessivo statalismo sono accumulati ed accentrati nella pubblica amministrazione, si da indurre burocrati e amministratori ad andare dai ministeri al Quirinale e dal Quirinale ai ministeri ~ a r l a n d o con ~ e r s o n a l e anche secondario e non autorizzato per ottenere benevolenza, protezione, favori, interventi che non sempre sono in linea con gli interessi statali. Non sarà così; voglio pensare e dire che non sia così, ma nessuno può negare che vi sia una tendenza a rendere attiva e responsabile la figura rappresentativa, unificatrice ma non responsabile, del residente d ~ l i srepuhhlica, ed è questo che conta. Vi è stato chi ha parlato di magistero o ministero morale
del presidente della repubblica, ainplificando una frase dello stesso presidente circa il dovere morale dei suoi interventi nell'interesse del paese e con il rispetto del parlamento. L'analogia fatta giornalisticamente di tali interventi con quella del magisiero pontificio è assolutamente assurda. I1 papa ha nella chiesa tuiti i poteri; egli è il vicario d i Cristo, è per se stesso potere definito, legislativo, giudiziario, esecutivo. Le costituzioni civili sono, invece, basate sulla disiinzione dei poteri per evitare le dittature, fanno derivare i poteri dalla volontà popolare per basarsi sopra un fondamento perenne di libertà e d i impersonalità, ed attribuiscono ai detentori del potere le responsabilità correlative alle cariche. Non si parli quindi d i magistero; ogni cittadino in regime costitiizionale può contrihuire al bene della nazione secondo i suoi lumi e la sua coseienza, così come possono e debbono contribuirvi gli investiti d i cariche pubbliche secondo la propria coscienza e le responsahilità assunte. Non esiste e non può esistere in regime democratico u n magistero o u n ministero morale del presidente. Lo stesso giornalista, che è anche u n investito di potere pubblico, fa dei rilievi circa la condotta di Vittorio Emanuele I11 nei due casi del conferimento del mandato a Mussolini nel 1922 per comporre il ministero e della revoca del mandato nel 1943, dimenticando che il primo atto incostituzionale del 1922 fu il diniego a firmare il decreto di stato d i assedio deciso dal consiglio dei ministri e consentito in un primo tempo da lui stesso; gli altri atti incostituzionali, che ne seguirono, furono una catena al piede e del re e della nazione. Quel che temiamo oggi non è la dittatura di u n capo di stato eletto dal parlamento; temiamo l'infiltrazione nella costituzione di elementi spuri, non consentanei alla struttura stessa del documento; temiamo che lo spirito critico e l'adattamento conformista ci rendano indifferenti agli strappi che si vanno facendo, e non d a ora, alla costituzione; temiamo che nel conflitto dei partiti le ali sinistre, che rilevano la loro consistenza da poteri extra nazionali, prendano il sopravvento non trovando la resistenza necessaria nei partiti democratici, non solo per il dissidio che l i separa l'uno dall'altro. ma anche per il poco rispetto in cui essi tengono la costituzione che li unisce.
La niia decennale campagna contro la partitocrazia h a questa origine ; e i miei rilievi ad u n vecchio amico e compagno d i lotte, oggi alla maggiore carica dello stato, partono da questo punto. La costituzione è il fondamento della repubblica democratica. Se cade dal cuore del popolo, se non è rispettata dalle autorità politiche, se non è difesa dal governo e dal parlamento, se è manomessa dai partiti. se non entra nella concezione nazionale, anche attraverso l'insegnamento e l'educazione SCO. lastica e post-scolastica, verrà a mancare il terreno sodo SUI quale sono fabbricate le nostre istituzioni e ancorate l e nostre libertà. L'unità della patria fu compiuta nel nome della monarchia Savoia, non per i meriti degli antenati di quella casa, ma per il fatto che nella monarchia costituzionale «per grazia di Dio e volontà della nazione» si unificarono le varie regioni e si consolidarono le istituzioni. Caduta la monarchia, dopo la parentesi fascista, non poteva trovarsi altra base che non fosse la costituente eletta dal popolo o altro atto che una costituzione rigida ma emendabile. Se questa cade, cade la repubblica, non col ritorno d i u n re. ma con l'avvento delle sinistre. Ecco il motivo della mia battaglia contro il sinistrismo, anche quello d i certe frazioni della democrazia cristiana che tentano di unire Carlo Marx alla tradizione cristiano-sociale che è alla base della democrazia cristiana; e ai gruppi favorevoli nel passato alla unificazione socialista, nonostante i legami non disciolti e difficili a essere disciolti del partito socialista con il partito comunista. E se oggi si ritorna a parlare di apertura a sinistra sii1 piano sociale, perchè la unificazione Nenni-Saragat è giustamente impossibile, tale apertura, che si dice essere favorita i n alto loco, riuscirebbe dannosa alla nostra politica interna ed estera e alle libertà politiche e democratiche basate sulla costituzione. I1 rispetto e l'affetto per il capo dello stato, non mi possono impedire di compiere quel che è stato per me u n dovere d i tutta la mia vita, la difesa della libertà, di tutte le libertà civili e politiche, nell'attuazione della democrazia, la vera democrazia che, come tale, è basata, e non può essere che basata sulla civiltà cristiana. (seduta del 27 giugno 1957).
DISEGNI D I LEGGE COSTITUZIONALI N. 1931 E N. 1977: «Modifiche alla durata e alla composizione del senato della repubblica », e « Modifiche agli articoli 57, 58, 59 e 60 della costituzione della repubblica ». (*) Onorevole presidente, onorevoli senatori, nella relazione a l disegno d i legge costitiizionale n. 1977, da me presentato il 6 maggio scorso, scrivevo: « Rimanendo i n tali limiti (quelli segnati dal disegno d i legge costituzionale del governo, n. 1931), h o dovuto rinunziare alle proposte riguardanti l a striittura e la funzione del senato, allo scopo d i meglio caratterizzare la bicameralità del parlamento e mettere nel suo giusto quadro i l contributo legislativo del senato stesso N. A maggior ragione debbo oggi ripetere simile dichiarazione, non essendo possibile, alla vigilia delle elezioni dei deputati e con la prospettiva d i u n eventuale abbinamento con quelle dei senatori, affrontare u n problema così complesso, senza la preparazione d i studi adeguati e d i opinione pubblica opportunamente illuminata. Ciò nonostante, mi permetta i l senato d i fare u n breve cenno ad alcuni punti che credo degni di rilievo, come per iniziare una discussione che spero possa trovare consensi nella prossima legislatura. Lo faccio anche per ricordare il nome d i Giorgio Arcoieo, i j centenario deìia cili nascita è stato di recente celebrato p e r l'alto insegnamento dell'illustre statista mio concittadino. P e r principio e p e r esperienza, la mia prima posizione d i fronte al facile riformismo degli istituti fondamentali dello stato è stata del tutto negativa ritenendo necessario d a r tempo aila virtù dell'adattamento naturale in ogni forma d i convivenza: il tempo giova anche ad una lenta caratterizzazione dell'istituto stesso attraverso l'esperienza di ogni giorno. Ciò premesso, m i sembra opportuno rilevare fin da ora certi elementi non del tutto consoni all'alta funzione del senato e ai fini che si dovrebbero raggiungere. La facoltà legislativa attribuita alle c o m m i s s i o n ~dall'articolo 72 della costituzione meriterebbe una critica bene approfondita per arrivare a delle (*) D'iniziativa del sen. Sturzo.
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modifiche d i sostanza e di metodo. Manca anzitutto un minimo di pubblicità, nonostante il precetto costituzionale che rimanda al reeolarncnto. Durante auesti nove anni nessun tentativo " ._.- -.-- - è stato fatto per ammettere nelle piccole incomode aule d?le commissioni qualche rappresentante del pubblico e della sta-mpa. Anche il numero limitato dei componenti delle commissioni permanenti, dal 1953 in poi, determina motivi di perplessità per ammettere il pubblico a contatto con i senatori, facendone psicologicamente un elemento d i disturbo. D)altra parte l'assenza d i pubblicità produce effetti non rispondenti al carattere o alla responsabilità legislativa delle commissioni, specie al senato, dove il numero di maggioranza richiesto arriva appena a tredici. Ciò dà l'incentivo a presentare disegni d i legge per casi particolari, per categorie determinate, per facili esenzioni, preferendosi la commissione anche per evitare la pubblicità nell'aula. che sarebbe, o per il governo o per i partiti o per altri motivi, d i troppo rilievo. Pertanto, pur essendo io all'inizio ostile alla cosidetta legge di integrazione del senato, proposta fin dal 1953. al solo scopo d i aumentare il numero dei senatori (anche per certi riflessi sulla sensibilità dell'uomo comune), ho finito per aderirvi, pensando che, con la presenza d i u n maggior numero di componenti, si possa ovviare a qualcuno degli inconvenienti da me segnalati circa la facoltà deliberante attribuita alle commiesioni, cosa unica, e non invidiabile, nella storia parlamentare di tutti i paesi democratici. Molto importante è, secondo il mio modo di vedere, la funzione del senato nelle materie riguardanti i ministeri del hilancio, delle finanze, delle partecipazioni (dal lato patrimoniale) e del tesoro. Debbo dare atto che la nostra Sa commissione ha fatto del suo meglio in questa legislatura e nella precedente, e debbo con rispetto e gratitudine accennare alla opera dei presidenti Paratore e Bertone. Secondo me, si dovrebbe ritornare ad u n a vera giunta d i bilancio da istituirsi nel senato e darle composizione, attrezzatura e poteri più larghi di queili dell'attuale Sa commissione. Invero; il parlamento sorse in anlico come organo atto a mantenere u n certo equilibrio fra entrate e spese, e come garanzia
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del contribuente; tale funzione conservò nell'antico regime. 1 realizzatori della nostra unità nazionale, sia per ragioni politiche (dovendo ricucire le membra disgiunte del nostro territorio) sia per garantire la solidarietà dello stato, le cui finanze erano in tanta difficoltà da doversi, allora, con grande trepidazione, adottare il corso forzoso della moneta, sia infine per preoccupazioni di classe, limitarono il voto ai soli censiti; voto che yoscia fu esteso una prima e una seconda volta. Con una così rigida amministrazione e nonostante le necessità pubbliche, i bilanci si poterono reggere e rimettere in sesto. Ma le guerre da u n lato, il suffragio universale dall'altro, i partiti i n terzo luogo, i sindacati per loro conto, hanno trasformato la funzione parlamentare in modo da fare del parlamento un vero organo di spesa, mentre il governo, che un tempo stentava per ottenere i fondi necessari, si è trasformato in un organo di freno al parlamento stesso nella continua richiesta di fondi; freno che non sempre funziona, non solo perchè il parlamento è sovrano, e l'articolo 81 non basta a limitare le richieste continue, ma anche perchè il governo stesso è diviso in due settori: quello della spesa che è maggiore, starebbe dal lato della richiesta, e quello del bilancio e del tesoro dal lato dell'ingrata ripulsa, mentre il ministro delle finanze è spesso costretto ad aumentare il fiscalismo statale, che non è indifferente.
I partiti, da parte loro, e i singoli parlamentari per i rispettivi collegi e zone di influenza, non sono i pii1 adatti a fare da freno. Dovrebbe il senato avere la specifica funzione di equilibrare entrate e spese. Ma a fare ciò occorre, oltre che u n chiaro disposto costituzionale per u n organo specifico quale la giunta del bilancio, una struttura elettorale più differenziata da quella della camera. Con il disegno di legge 1977, accettando la proposta governativa di u n albo di candidabili con le limitazioni credute necessarie e riportandolo nel quadro d i u n senato elettivo a base regionale, ho cercato di introdurre u n elemento nuovo, che potrebbe essere adatto alla funzione specifica sopra accennata. Anche a questo scopo ho proposto di portare a quindici i l numero dei senatori a vita di nomina presidenziale, aggiungendo alla categoria prevista dalla costitiizione la qualifica d i (C eminente attività nel campo della politica,
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dell'amministrazione, della magistratura e delle forze armate n, per avere in questo consesso elementi d i grande esperienza; a parte, s7intende, il criterio di mantenere, con l'aumento dei senatori elettivi: la proporzione armonica con il numero dei senatori a vita. Non si intende con simili proposte costituire due categorie d i senatori; ma far convergere nell'unico corpo elementi tali da rispondere sempre meglio alle molteplici attività legislative e politiche, con una specializzazione assai importante che servirebbe sempre meglio agli interessi del paese. Non penso che questi ritocchi siano sufficienti a caratterizzare il senato; altri ne occorreranno che sarebbe fuori luogo esporre in questa occasione, riservandomi, se Dio vuole e l'età e la salute lo permetteranno, di parlarne nella nuova legislatura. Purtroppo anche i ritocchi presentati con i l disegno d i legge 1977 non hanno avuto, non dico consensi, ma neppure una qualsiasi attenzione sia dalla commissione competente, sia dal relatore, sia dai capi gruppo, i quali ultimi sono stati, si può dire, gli arbitri delle sorti dei due disegni di legge costituzionali; ne esce salva solamente la prima parte del mio emendamento all'articolo 2 del disegno governativo, abbassandosi il quorum del numero di abitanti per senatore da 200 a 140 mila, mentre nel mio disegno di legge 1977 veniva fissato a 160 mila. Ma siccome in medio stat virtus, capi gruppo e commissione Iianno preferito 150 mila. Vada pure questo numero, il quale, basato sui calcoli delle elezioni senatoriali del 1953, potrebbe soddisfare i diversi partiti circa presunti guadagni e presunte perdite in numeri assoluti e relativi. Questo calcolo non poteva essere fatto per formulare le mie proposte, essendo ben altro lo scopo prefissomi; quello cioè d i aumentare il numero di quei senatori, che, non essendo strettamente vincolati alla disciplina d i partito partecipando a gruppi col contrassegno - come del resto è avvenuto - lo farebbero senza moventi elettoralistici, ma per semplice convinzione; il che è rispettabile sotto ogni punto d i vista. Arrivano così u u n numero assai limitato, tra venti e venticinque, gli scelti dall'albo eletti con il voto aggiunto dall'elettorato regionale; in più i quindici di nomina presidenziale, così da
avere da trenta a quaranta senatori meno legati alla disciplina dei partiti e quindi più liberi nel valutare i problemi di interesse comune. Anche oggi non mancano coloro che si ispirano più al valore oggettivo dei problemi da esaminare che alle istruzioni date dai partiti. A testimonianza d i ciò può recarsi l'affermazione del capo di un partito, i l quale di recente, secondo u n quotidiano dell'alta Italia, ha auspicato per le prossime elezioni « gruppi parlamentari più compatti n. Giustificato così il mio speciale punto di vista con un'esposizione sommaria e per linee generali, passo ad esaminare le due proposte in discussione: una, caduta in commissione, quella della contemporaneità delle elezioni del senato con quelle della camera dei deputati; l'altra, accettata, sull'aumento del numero dei senatori mediante l'abbassamento del quorum di popolazione, con uno d i aggiunta al minimo regionale d i sei; e la terza, l'aumento dei posti d i nomina presidenziale, semplicemente sorpassata. Toccando la prima questione, dico subito di essere stato favorevole alla simultaneità elettorale; come risulta dal disegno _ - -di legge numero 1977, nell'impressione che questa fosse opinione comune del paese, e percliè mi è sembrato di non trovare seri motivi per dire di no. L'unico che potrebbe avanzarsi è quello di una continuità d i indirizzo anche col cambiamento del colore della camera dei deputati; e viceversa la continuità dell'indirizzo col cambiamento d i colore del senato. Questo principio è contenuto nel sistema americano, per il quale il senato si rinnova u n terzo ogni due anni e la camera dei rappresentanti per intiero ogni due anni. La coincidenza della volontà elettorale delle due camere è sempre sostenuta dall'alternativa d i due partiti sostanzialmente omogenei. Anche i piccoli e i grandi scarti elettorali non alterano la continuità politica, perchè nel sistema americano le due camere non hanno il diritto di mettere in crisi il governo, il quale dura quattro anni secondo il ciclo presidenziale al quale è ancorato.
Ma noi tollereremmo forse un senato che vota contro il governo, e una camera che vota a favore e viceversa? Qui per mettere i n crisi il governo basta una sola camera. È vero che per fare le crisi di governo i partiti sono più svelti delle due camere; infatti in dieci anni le sole crisi parlamentari sono state quelle dell'ultimo gabinetto De Gasperi e del primo gabinetto Fanfani; tutte le altre crisi sono state per causa o per iniziativa partitocratica. E allora, onorevoli senatori, vale la pena di fare una simile opposizione ad una proposta piuttosto innocua e discretamente ragionevole? Comunque sia, dato che una modifica costituzionale dovrà ottenere i due terzi dei voti nella seconda votazione nell'uno e nell'altro ramo del parlamento, in questa prima votazione affidiamoci a l volere della maggioranza, nella speranza che sia evitato u n successivo voto che possa render nulla la presente iniziativa per u n congruo aumento del numero dei senatori. Del resto, se la proposta, accettata già dalla commissione, otterrà nella seconda votazione i due terzi dei voti, non occorrerà la convalida del referendum, avendo la legge approvata con tale quorum effetto immediato. Così, dato l'aumento dei seggi, anche per la seconda volta il senato potrà essere sciolto e le elezioni delle due camere abbinate senza che ciò costituisca uno strappo alla disposizione costituzionale del eri odo sessennale; mentre, nel caso contrario, lo scioglimento del senato allo scopo chiaro o sottinteso dell'abbinamento potrebbe dar luogo ad una campagna quanto meno politicamente inopportuna. I1 presidente Zoli, rispondendo giorni fa in quest'aula, ha fatto osservare che il residente del consiglio « non può nè ha il diritto di intervenire .nel caso di scioglimento del senato come della camera La risposta non è completa; egli, nel caso di scioglimento, dovendo apporre la sua firma al relativo decreto, avrebbe i l dovere di sottoporre al capo dello stato i motivi politici, se ve ne sono, che lo indurrebbero alla opposta opinione. Se si determinasse un conflitto insuperabile, il presidente del consiglio avrebbe il dovere d i presentare le sue dimissioni e darne conoscenza al parlamento. Spetterebbe al nuovo presidente del consiglio la controfirma al decreio d i scioglimento, riportando così i termini della vertenza a l giudizio popolare. È solo questo
il metodo costituzionale, perchè solo nel parlamento risiede la sovranità popolare e solo nel parlamento questa si esprime a mezzo delle elezioni. Infine dcbbo dire di non trovare alcun valido motivo al voto della commissione che non ha approvato la proposta d i portare a 10 i senatori di scelta presidenziale secondo il testo governativo, nè a 15 secondo il mio testo. L'aumento a 10 conserva meglio la proporzionalità, se ne esiste una, tra il numero dei senatori elettivi e quelli di nomina a vita. Dico se ne esiste u n a ; perche d i fatto non vi è nessuna correlazione. Solo una preoccupazione aprioristica ha potuto portare al voto contrario, come se i 5 o 10 di più potessero far pendere la bilancia a favore d i una parte più che dell'altra. Ma non è così e non è mai stato così, sia per il frazionamento e il numero dei gruppi politici, sia per la difficoltà di precostituire maggioranze fisse. dato il sistema proporzionale inserito in quello del collegio uninominale con il quale vengono eletti i senatori. Altri due motivi più realistici, e sotto certi aspetti più elevati, dimostrano infondata la preoccupazione avuta. I 5 senatori a vita di nomina presidenziale e gli ex presidenti della repubblica non sono emanazione d i partiti; essi possono liberamente iscriversi a i vari gruppi del senato, come si possono iscrivere e si sono iscritti al gruppo misto; non rappresentano quindi una tendenza nè sono aggruppati insieme; ancora meglio, essi hanno tanto d i correttezza da evitare che nei conflitti parlamentari d i carattere politico il loro voto possa essere decisivo. Tutto ciò è lasciato a l senso di responsabilità personale e allo spirito di autolimitazione, che non è nè può formare motivo d i controllo o di critica da parte di nessuno. Pertanto spero che il senato voglia aderire ad una delle due proposte i n merito senza ulteriore difficoltà e come riconoscimento che ciò risponde alla funzione attribuita dalla costituzione al capo dello stato. Bisogna che ci rendiamo conto che avere troppo politicizzato, come si dice, il senato, facendone u n duplicato della camera, aver voluto ripetere allo stesso modo discussioni d i bilanci, discussioni politiche e voti di fiducia ha sminuito e non avvantaggiato il senato stesso nella sua alta funzione d i matu-
razione legislativa, d i moderazione politica e di controllo finanziario, economico, amministrativo delle gestioni statali. Se l'occasione d i questa piccola, piccolissima modifica potrà dare la spinta ad una seria riforma, ce ne dovremo rallegrare per il futuro del nostro istituto. Nel seguito della discussione, a seguito d i u n intervento del senatore Molè, Sturzo si dichiarava insoddisfatto d i tali dichiarazioni. Io non riconosco una funzione direita dei gruppi in aula. Nulla esiste nella costituzione in proposito. All'articolo 72 è prescritto il rapporto di proporzione fra i gruppi parlamentari nelle commissioni anche permanenti in sede legislativa. Anticamente le commissioni in sede referente si formavano mediante sorteggio d i volta in volta. I gruppi non hanno alcuna funzione legislativa nè preparatoria nè decisiva. I1 fatto che si viene qui a dire che i gruppi hanno stabilito questo o quell'altro, che si è preso questo o u n altro impegno, creando una situazione prestabilita, può dare l'impressione che in aula si reciti solo una commedia; il che non può rispondere alla dignità d i un'assemblea legislativa come quella del senato. Per questa ragione mantengo la mia proposta e desidero che sia messa a i voti. L'emendamento aggiuntivo presentato d a Sturzo veniva respinto. (*) (seduta del 22 novembre 1957).
(*) Il disegno di legge veniva approvato con il titolo 57 della costituzione B.
a Modifiche all'art.
INTERPELLANZE
Interpellanza n. 133. Ai ministri del tesoro e del lavoro e della previdenza sociale, perToToCcere quali provvedimenti siano stati adottati per eliininà re o attenuare il disservizio causato ai cittadini aventi diritto alle prestazioni, ai contributi, paghe, rate di mensilità e di pensioni, degli istituti di previdenza sociale, per malattie e per infortuni i l cui personale dipendente ha proclamato lo sciopero; in modo speciale perchè venga assicurato il funzionamento di centri sanitari, ospedali, ambulatori, e simili; e quali provvedimenti abbia adottato verso i rispettivi consigli e altri organi di amministrazione per la carenza di ~ r o v v e d i menti di propria competenza. (preser~tutanella seduta del 25 maggio 1955).
INTERROGAZIONI CON RICIIIESTA DI RISPOSTA SCRITTA Interrogazione n. 194. Al ministro dell'industria e commercio, per conoscere quali --- - _ s i a n o T t E I e - airettive d G o n s i g l i o di amministrazione deli'ente nazionale idrocarburi in base all'art. 10 della legge 10 febbraio 1953, n. 136; e, nel caso di difetto di tali direttive, quale fin oggi sia stato l'orientamento pratico adottato da tale ente sia nelle ricerche in altre zone dentro e fuori del territorio nazionale, con o senza concessioni legalmente autorizzate, sia nei settori della industrializzazione dei prodotti estratti o acquistati da terzi, sia nel commercio del grezzo o del raffinato e relativa attivitĂ pubblicitaria. _<
(presentata nella seduta del 18 novembre 1953).
RISPOSTA In relazione alla richiesta di notizie contenute nella soprascritta interrogazione, si comunica che il comitato dei ministri previsto dall'art. 10 della legge 10 febbraio 1953, n. 136, al quale spetta di fissare l e direttive generali che l'ente nazionale idrocarburi deve seguire per l'attuazione dei propri compiti, si riunirà il 9 dicembre prossimo venturo. L'ordine del giorno da discutere dal comitato predetto è il seguente: 1) assorbimento dell'ente nazionale metano; 2) sistemazione dell'indnstria metanifera del Polesine; 3) sviluppo dei programmi d i metanizzazione; 4) riassetto delle imprese controllate; 5) nuovi programmi industriali. Si fa pertanto riserva di fornire, quanto prima, ulteriori notizie in ordine, ai vari quesiti proposti dalla signoria vostra onorevole. 11 ministro:
MALVESTITI
(seduta del 18 dicembre 19531.
Interrogazione n. 1698. Al presidente del consiglio dei ministri. I n considerazione che, scnza alcuna smentita, la stampa quotidiana di ogni colore ha presentato la riunione degli amba-
sciatori, indetta dal ministro degli esteri, come culminata al Quirinale sotto la presidenza del presidente della repubblica, e la visita dei prefetti di prima nomina come una messa a rapporto con delle istruzioni date dallo stesso presidente, i l cui testo fra virgolette è stato pubblicato da due quotidiani dell'alta Italia, per conoscere quali provvedimenti egli abbia adottato o intenda adottare, per evitare che le due visite, l'una d i omaggio e l'altra informativa, fatte al presidente della repubblica, possano venire interpretate come la partecipazione attiva d i u n potere, non responsabile verso il parlamento, all'esercizio del governo che risponde dei propri atti unicamente al parlamento. (presentata nella seduta del 24 novembre 1955).
RISPOSTA L'onorevole interrogante chiede perehè il governo non abbia preso provvedimenti nei confronti della stampa per la notizia diffusa a proposito della riunione degli ambasciatori alla presidenza della repubblica e della visita dei prefetti d i prima nomina al presidente della repubblica. I1 presidente del consiglio dichiara che nessun provvediniento ha potere di prendere per la pubhlieazione d i notizie inesatte e che non ritiene di essere tenuto a smentire ogni notizia pubblicata in contrasto con l e dichiarazioni a suo tempo cuntenule in con~unicatie notizie emanati dal governo. dai quali risulta che la riunione degli ambasciatori e la visita dei prefetti presso il presidente della repubblica rientrano nei normali rapporti tra i poteri, secondo le nostre norme costituzionali. I1 Presidente del Consiglio
SEGNI (seduta del 2 dicembre 1955).
Interrogazione n. 2736. Al ministro degli affari esteri, per conoscere se sia vera la notizia pubblicata il 22 febbraio 1957 circa la partecipazione italiana alla societĂ orientale del petrolio, costituita al Cairo con il benestare del ministero egiziano del19industria;_e se sia vero che il capitale italiano sia stato rappresentato dal signor Enrico Mattei, eletto insieme agli italiani Bonomi e Cola (non altrimenti identificati) nel nuovo consiglio d i amministrazione; per conoscere, nel caso affermativo, se il signor Enrico Mattei
vi abbia partecipato a titolo personale o corne presidente dell'E.N.I. o di altra società dipendente dall'E.N.1. avente capitale statale; in questo caso, se e a quali condizioni il Mattci alibia ottenuto la preventiva autorizzazione governativa e sia a conoscenza del ministro stesso il testo del contratto sottoscritto dal Mattei; per conoscere, infine, dal ministro se sia vero essere intervenuti alla firma del contratto rappresentanti del capitale belga e statunitense e, nel caso affermativo, se tali rappresentanti esteri sono intervenuti a titolo privato ovvero a nome di enti statali o parastatali dei rispettivi paesi e con il consenso del proprio governo. (presentata nella seduta del 27 febbraio 1 9 5 7 ) .
RISPOSTA La partecipazione di diie società del gruppo E.N.I., l'A.G.I.P. mineraria e la Sorietà azionaria imprese perforazioni (S.A.I.P.) alla International Egyptian Oil Conipany (I.E.O.C.) è stata regolarmente autorizzata dal comitato dei ministri dell'E.N.1. nella riunione del 21 febbraio 1955. T1 ininistero del conimercio ron l'estero ha quindi autorizzato con decreto ministeriale del 25 febbraio 1955 la S.A.I.P. a partecipare nel capitale della I.E.O.C. e sucressivamente. ron nota del 18 agosto 1955, ha concesso il proprio benestare a l trapasso a favore dell'A.G.1.P. mineraria d i parte delle azioni I.E.O.C. sottoscritte dalla S.A.I.P. in base a l decreto suddetto. A sua volta l'I.E.O.C., società con sede a Panama, in esecuzione d i un rontratto stipulato con la Société Cooperative Egyptienne des Pétroles n ron l'accordo del governo egiziano ha costituito il 9 febbraio 1957 una società per lo sfruttamento dei giacimenti petroliferi nel Sinai demonimata Société Orientale des Pétroles d'Egypte. Alla nuova societt partecipa per i l 51 per cento la I.E.O.C., per il 20 per cento la Société Cooperative Egyptienne des Pétroles e per il 29 per cento la Petroleum Genera1 Authority (organizzazione statale egiziana, che riassume tutte l e partecipazioni dello stato egiziano nel settore petrolifero). Cinge-6yre Enrico JIatki è membro del consiglio d i amministrazione dell'1:E.O.C. e in tale veste ha ricevuto mandato diretto dal predetto consiglio insieme ad altro amministratore della Società (il belga ingegnere Bonnami, direttore generale della Petrofina) d i rappresentare l a 1.E.O.C. nella costituzione della Société Orientale des Pétroles d'Egypte. Pertanto, a norma della legislazione vigente, non era necessaria alcuna speciale preventiva autorizzazione governativa perchè l'ingegner Mattei procedesse alla sottoscrizione dell'atto di cui trattasi.
Mentre si fa presente che nessun rappresentante del capitale statunitense ha partecipato alla costituzione della SociétS Orientale des Pétroles d'Egypte, si precisa infine che I'ing. Mattei non è membro del consiglio d i amministrazione della nuova società egiziana: ma soltanto, come sopra si è ricordato, di qiiello della I.E.O.C. Il sottosegretario d i stato
FOLCHI (seduta del 6 maggio 1957).
Interrogazione n. 3049. Al presidente del consiglio dei ministri, per conoscere se il governo sia della opinione dell'interrogante, che venga subito invitato i l consiglio delle ricerche a promuovere una inchiesta sugli effetti perniciosi del fumo d i tabacco, specialmente delle sigarette. riguardo il continuo aumento degli ammalati di cancro a i polmoni e che intanto venga dato ordine alla direzione generale dei monopoli di stato di sospendere la relativa pubblicità, specialmente quella £atta sui treni e con avvisi murali e stradali. (presentntn nella seduta del 2 luglio 1957). RISPOSTA Al riguardo si romunica che - come fatto presente dal consiglio nazionale delle ricerche nonchè dall'alto commissariato per l'igiene e Ia sanità - vari istituti d i igiene in Italia, particolarmente quelli di Roms, Milano e Gennve. s i occupano d i stiidi sull'inquiriamento atmosferico che, secondo attuali ricerche. sarebbe causa altrettanto rilevante, come il fumo di tabacco, dell'aumentato numero di ammalati d i cancro polmonare. È stata notata, infatti, anche sulla base di recentissime osservazioni d i studiosi amerirani e tedeschi, una stretta correlazione tra incremento delle neoplasie polmonari e fattori ambientali legati all'ind~~strializzazionee, specie, all'aumento delle sostanze cancerogene provenienti dai motori degli autoveicoli e dalle hitumazioni. I1 problema degli effetti perniciosi del fumo d i tabacco, peraltro, è att~ialmente all'ordine del giorno degli studiosi sia d i patologia umana sia di patologia sperimentale. Per quanto attiene, poi, alla pubblicità dei prodei tabacchi effettuata in dotti da fumo, si informa che l'unica Italia è quella riguardante le sigarette estere, che viene svolta direttamente daile case produttrici straniere, al d i fuori di qualunque ingerenza o conipetenza dell'amministrazione dei monopoli d i stato. Si sogginnge che la pubblicità sui treni ha avuto termine, per i prodotti del monopolio, nel mese di marzo 1955. Il sottosegretario di Stato SPALLINO (seduta del 27 settembre 1957).
Interrogazione n. 3127. Al presidente del consiglio dei ministri quale primo firmatario del decreto del presidente della repubblica del 30-3-1957, n. 361, per conoscere: 1) per quali motivi, nel testo unico delle leggi recanti norme per l'elezione della camera dei deputati, sono stati omessi i casi di jni_co_mp_atibilità - -. che, in esecuzione al disposto dell'art. 65 della costituzione, furono sanciti con la legge 13-21953, n. 60;
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2) se i motivi di cui sopra sono stati esaminati dal consiglio di stato, prima dell'approvazione del testo suddetto; 3) nel caso affermativo, quale è il testo esatto della parte del parere del consiglio di stato che riguarda le incompatibilità parlamentari ;
4) quali provvedimenti intende il governo adottare per integrare, nel rispetto del disposto costituzionale, il testo unico n. 361, con le disposizioni della legge del 13-2-1953, n. 60. (presentuta nella seduta del 16 luglio 1957).
RISPOSTA L'articolo 50 della legge 16 maggio 1956, n. 493, recante norme per la elezione della camera dei deputati, autorizzò il governo a coordinare le disposizioni del testo unico 5 febbraio 1948, n. 26, e successive modifiche, con quelle della legge stessa. La materia delle incompatibilità parlamentari è regolata dalla legge 1.3 febbraio 1953, n. 60, concernente sia i membri delle due camere, sia i membri del governo in carica o cessati dalle funzioni. Le relative disposizioni non rientrano perciò fra quelle di modifica delle leggi elettorali per una sola delle camere; e solo indirettamente si ricnllegano alle leggi elettorali, in quanto, a differenza deile norme sulle ineleggibilità, esse riguardano lo status degli eletti e non hanno attinenza con il procedimento delle elezioni. Per questa diversità di materia si è ritenuto che le citate disposizioni sulle incompatibilità parlamentari non dovessero essere inserite nel testo unico avente ad oggetto, secondo i chiari limiti del coordinamento, le norm: per l'elezione della camera dei deputati: tale criterio fu implicitamente approvato dal consiglio di stato, il quale, nel parere sullo schema di testo u ~ i c osottoposto al suo esame, nulla osservò circa il mancato inserimento. E, sempre per questa diversità di materia, non sussiste il minimo dubbio
che le norme della legge 13 febbraio 1953, n. 60, continuano ad avere piena efficacia. I1 presidente del consiglio dei ministri ZOLI (seduta del 27 settembre 1957)
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Interrogazione n. 3277.
Al ministro dell'industria e commercio, per conoscere se gli risulti che nel « cenvegno sui giacimenti gassiferi dell'Europa occidentale promosso dall'E.N.1. e dall'accademia dei lincei e tenuto a Milano dal 30 settembre a l 3 ottobre 1957, sia stato più volte affermato dai rappresentanti e dai tecnici dell'E.N.1. che i responsabili d i detto ente, pur avendo con ogni possibile mezzo tecnico e scientifico eseguito studi e saggi per l a determinazione del petrolio nella pianura padana fino alla terza fase delle ricerche geologiche e geofisiche, ritengano potersi escludere la presenza del petrolio i n tutta la zona; nel caso affermativo, se codesto ministero abbia iniziato o intenda iniziare studi diretti ad abolire i l vincolo della esecutività di ricerca nella Valle Padana concesso a117ente d i stato (ipotesi questa affacciata dal ministro Cortese in senato nel dicembre 1956) i n modo da lasciare all'E.N.1. le zone d i coltivazione degli idrocarburi già trovati, e quelle altre zone dove l a ricerca sia in attu con uxì b ~ o nindizio di ritrovamento; mettendo tutto il resto sotto la disciplina della legge vigente per i permessi di ricerca e le conseguenti concessioni d i coltivazione. (presentata nella seduta del 24 ottobre 1957).
RISPOSTA Si premette rhe questo ministero non i. ancora in possesso degli atti ufficiali del convegno promosso dall'E.N.1. e dall'accademia dei lincei sui dell'Europa occidentale, tenutosi a Milano dal 30 giacimenti gassiferi svttembrc al 3 ottobre 1957. Sono stati, pcrtanto, interpellati in via breve i dirigenti dell'ente nazionale idrocarburi più qualificati dal punto di vista tecnico, i quali hanno categoricamente negato che tecnici responsabili dell'ente stesso o di societii da esso controllate abbiano fatto affermazioni circa l'esclusione della presenza di petrolio nella Valle Padana. I n particolare è stato fatto presente che i tecnici dellYA.G.I.P. mineraria si sono limitati ad affermare che fino
ad oggi le numerose perforazioni esplorative hanno rivelati grandi giacinienti di metano e piccoli depositi di idrovarburi liquidi. Le ricerche vengono proseguite dall'E.h.1. con assiduità usando tecnitlie modernissime Secondo quanto altro è atato fatto presente in proposito, nulla viene escliso n priori pur tenendo conto dell'esperienza fin q u i fatta, la quale indurrebbe alla previbione che anche nei prnssiiiii anni l e p r o i ~ a bilità d i ulteriori rinvenimenti d i metano possano essere superiori a quelle di ritrovamcnti di petrolio liquido a profondità economiche. È, d'altra parte. da considerare che la prospezione d i superficie geologica e geofisica - qualunque sistema sia adottato e per quanto ricca possa rssere la fase di dettaglio - non può mai fornire certezza sull'effettiva presenza o assenza di gas o di petrolio o di entrambi: può soltanto dare indicazioni sulla esistenza di strutture adatte all'aceumulo di idrocarbiiri fluidi. L'aecertaniento della niineralizzazione non può, coniunque, fare a meno della perforazione meccanica. A prescindere, peraltro, da quello che può essere lo stato delle indira(inni in possepso dell'E.iY.1. sulle possibili niineralizzazioni di idrocarburi liquidi nella Valle Padana, è da considerare che la nuova fase d i attività all'estero in cui l'E.N.I. si va impegnando; l'incertezza dei rifornimenti ~1.11Medio Oriente; il crescente fabbisogno di risorse energetiche richieste dallo sviluppo dell'economia italiana; nonehè il sorgere d i nuove fonti d i energia (il che consiglia di utilizzare per tempo le disponibilità esistenti), sono tutte circostanze che denunciano l'esigenza di accelerare le esplorazioni in tutto il territorio nazionale, conipresa la Valle Padana. A quest'ultimo fine è stato poato a110 studio il ~ r o b l e m ad i una parziale riduzione della zona di esclusiva, in analogia ai principi dettati dall'articolo 12 della legge 11 gennaio 1957. n. 6. per dar modo all'iniziativa privata, italiana e straniera, di partecipare alle ricerche ed alla messa in valore delle risorse del sottosuolo nazionale, anche i n quelle aree. In relazione a tale principio potrebbero. inoltre, essere considerate, nella nuova disciplina, fornie di collaborazione tra privati ed ente d i stato, diverse da quelle previste dalla legge istitutiva dell'E.N.1 e da quella 11 gennaio 1957, ed ogni possibile mezzo che. senza snaturare la disciplina recentemente instaurata nel settore degli idrocarburi con la legge sopracitata, stimoli i ricercatori privati a svolgere intense attività nelle zone attualmente attribuite all'E.N.1. in esclusiva. È da prevedersi che gli studi in parola si concreteranno presto in uno schema di disegno d i legge che il ministero dell'industria e del commercio, dopo gli opportuni concerti con i ministeri interessati, sottoporrà alle decisio~iidel consiglio dei ministri. I1 ministro
CAVA (seduta del 18 dicembre 1957).
Interrogazione n . 3276. Al presidente del consiglio dei ministri, per conoscere se C quali provvedimenti siano stati presi o saranno presi per impedire l'eccessivo e superfluo uso d i pubblicità sulla stampa d i quaisiasi colore da parte degli enti pubblici; in modo particolare dell'ente nazionale idrocarhuri. che pare abbia per scopo di conquistare il favore e la compiacenza; che questo effetto sia in gran parte ottenuto specialmente dall'E.N.1. si deduce dal fatto che i maggiori quotidiani e lo stampa legata a partiti politici, mentre facilmente pubblicano notizie favorevoli all'E.N.1.. difficilmente, o quasi mai, accennano a critiche e a polemiche che pur interessano l'opinione pubblica ; che tale affermazione abbia avuto una prova clamorosa e apertamente lesiva della libertà d i stampa si deduce dalla dichiarazione del quotidiano romano I l Globo, a1 quale l'E.N.I., con esplicita motivazione. h a sospeso ogni inserzione pubblicitaria in conseguenza dell'articolo del 10 ottohre 1957. La notizia è stata data dallo stesso quotidiano nell'ultima pagina del numero del 20 ottobre 1957. (preseritntn nrlln .srdictci del 21 ottobre 1957).
RISPOSTA Per delega dell'onorevole presidente del ronsiglio dei ministri, m i pregio comunicare quanto segue: Non ronsta che da parte di enti pubblici venga fatto eccessivo e superfluo uso d i pubblicità sulla stampa. Gli enti eronomici ricorrono ad inserzioni sui giornali o per la pubblirazione annuale dei loro bilanci o, sporadicamente, in occasione di emissione di obbligazioni n di bandi d i concorso o, infine, per indispensabili comiinirati al pub1)lico. Sta di fatto che appare sulla stampa della pubblicità riguardantr prodotti di società per azioni controllate da enti pubblici, come l'I.R.I. e l'E.N.I. Ma si tratta d i aziende industriali e rommerciali che, in regime di concorrenza, devono necessariamente mantenere il contatto col pubblico al fine d i favorire la diffusione dei propri prodotti. Ed invero è logico che le aziende mirino in tal modo a conquistare il favore dell'opinione generale. Circa la compiacenza che nei confronti dell'E.K.1. si registrerebbe i n una larga parte della stampa d i opinione e di partito, si osserva, in i i a preliminare, che la pubblirità delle aziende c-ommerriali controllate dal-
l'E.N.I. non vienc mai effettuata mediante i quotidiani dei partiti politici ed è pertanto escluso clie essa possa in alcun modo influire sugli atteggiamenti propri di tali giornali. D'altro lato, non appare attendibile che i'atteggiamento dei maggiori quotidiani possa essere determinato dall'assegna. zione di alcune pagine pubhlicitarie, che costituiscono una minima parte degli incassi ricavati con lc inserzioni. Si può aggiungere infine, che non è esatto che tutta la stampa d i opinione si astenga da critiche e polemiche. Esse, anzi, appaiono con notevole frequenza e durezza in numerosi quotidiani e eri odici, fra i quali sono compresi i tre maggiori fogli economici. La notizia, poi, pubblicata dal Globo che la sospensione della pubbliciti dell'A.G.1.P. su tale giornale sia stata dall'A.G.1.P. motivata quale conseguenza dell'artieolo apparso il 10 ottobre 1957, è destituita d i fondaniento. I1 ministro GIORGIO Bo (seduta
del 14 marzo 1958).
Interrogazione n. 3448. Al presidente del consiglio dei ministri, per conoscere quali provvedimenti intenda il governo adottare perchè sia una buona volta chiarita la posizione dell'on. Mattei presidente dell'ente nazionale idrocarburi, e presidente e amministratore degli enti e società dipendenti dal19E.N.I., nei riguardi del quotidiano I l Giorno d i Milano, la cui gestione è notoriamente costosa Fileficitaria per varie decine di milioni al mese; mentre è nella comune opinione che quel giornale, non solo sia a completa disposizione del Mattei e ne esprima i criteri direttivi economici e politici, ma che egli sia, attraverso terze persone, il principale cointeressato, nonostante che la testata risulti appartenere all'attuale d i r e t t o r e a Nel caso che il cointeresse del signor Mattei nel Giorno risulti accertato, si richiede se venga rilevata la responsabilità dello stesso, sempre quale presidente dell'E.N.I., nell'indirizzo politico che tale giornale segue, specie in materia di affari esteri, del quale indirizzo è stato notevole indice l'articolo del direttore pubblicato il 14 dicembre 1957 a proposito della confereriza iniernazionaie tenuta a Parigi con l'intervento dei governo italiano.
Dell'esito degli accertamenti e dei provvedimenti adottati si chiede notizia a mezzo di risposta scritta nei termini regolamentari. (presentata nella seduta del 19 dicembre 1957).
RISPOSTA Nel rispondere per delega dell'on.le presidente del consiglio dei ministri, desidero precisare che la proprietà del quotidiano Il Giorno di Milano appartiene alla società edilrice lombarda. Questa società non fa parte del gruppo d i aziende controllate dall'ente nazionale idrocarburi o comunque con tale ente collegate. Sono altresì in grado d i escludere che l'ente nazionale idrocarburi o le società da esso dipendenti posseggano partecipazioni azionarie nella società editrice lombarda, nè risulta che ne possegga l'ing. Enrico Mattei in proprio. 11 ministro GIORGIOBo
(seduta del 14 marzo 19.58).
Interrogazione n . 3483. Al presidente del consiglio dei ministri, premesso che nella tradizione d i ogni regime costituzionale a carattere parlamentare, anche in Italia fin dai primi anni del parlamento subalpino, è stato osservato il maggiore riserbn circa le discussioni del consiglio dei ministri, al duplice scopo: quello della maggiore libertà dei componenti a d esporre il proprio punto di vista e di votare secondo coscienza; l'altro di mantenere la solidarietà corresponsabile del corpo di governo di fronte alla nazione e nei riguardi dei paesi esteri, alleati, amici e dissidenti; premesso inoltre che nel caso di legittimo e insuperabile dissidio d i uno o più ministri ad un determinato indirizzo o per u n particolare soggetto d i notevole importanza, è dovere dei dissidenti dimettersi dal posto ed esporre in parlamento i motivi del dissenso che ha portato a siffatta decisione; premesso che non sembra che possa essere lasciato senza alcun rilievo parlamentare il caso del ministro Del Bo, il quale non solo d i recente riguardo il tenore della risposta governativa alla nota del governo sovietico, ma anche in altre precedenti occasioni, ha avuto premura di portare sulla stampa, in forma anonima e non
responsabile, la notizia e i motivi del suo dissenso alla decisione del consiglio dei ministri specie in materia tanto delicata qual'è la politica estera nei rapporti con gli alleati del patto atlantico, creando così dubbi e perplessità nella pubblica opinione nazionale e dando occasione ad inesatte interpretazioni all'estero; mentre ha il dovere d i dare atto a l presidente del consiglio dei ministri di avere egli, con la risposta inviata al governo sovietico, saputo dirigere « la politica generale del governo )I e averne assunto la « responsabilità (come tassativamente prescrive l'articolo 95 della costituzione); non sembra che fin oggi egli abbia nei confronti del ministro Del Bo, mantenuto la unità dell'indirizzo politico dallo stesso articolo 95 richiesta; anche perchè il pubblico dissenso del ministro Del Bo è aggravato da circostanze anormali degne di rilievo, quali quelle di funzionari del ministero degli esteri distaccati in uffici non governativi e sottratti alla diretta vigilanza e responsabilità del ministro competente; e quelle anche più gravi di manifestazioni d i dissenso dalla politici del governo e d i rappresentanti governativi all'0.N.U. e in altri uffici esteri, da parte di persone politicamente ed organicamente non responsabili di fronte al parlamento. I n attesa dei provvedimenti che il consiglio dei ministri, il presidente del consiglio e i l ministro competente intendano adottare per ovviare agli inconvenienti segnalati in questa interrogazione, chiede risposta scritta nei termini regolamentari (*). (pressnitata nella seduta del 21 gennaio 1958).
Interrogazione n. 3613.
A l presidente del consiglio dei ministri. Premesso che le risposte date a nome del presidente del consiglio dei ministri alle due interrogazioni dell'interrogante del 24 ottobre 1957 e del 19 dicembre 1957 non si reputano soddisfacenti, sia per non avere il minirtro delle partecipazioni sta(*) Rimasta senza risposta.
tali tenuto conto dei termini esatti delle due interrogazioni, sia per il tenore evidentemente evasivo e generico delle sue affermazioni ; premesso che la ~ u b b l i c aopinione è da tempo perplessa e turbata dalle insistenti e spesso particolareggiate accuse fatte all'amministrazione dell'E.N.1. e delle principali aziende che l'E.N.I. controlla, specialmente quelle dell'A.G.1.P. e della S.N.A.M., circa i metodi amministrativi, lo sperpero del denaro pubblico, l'impiego di somme ingenti in spese imgroduttivi: quali quelle degli edifici assai costosi dei distributori di benzina e annessi alberghi, trattorie e simili; la irregolarità e l'esosità del prezzo del metano, il sistema di distribuzione a mezzo di società private e a catena; il numero degli impiegati, le alte paghe e indennità a determinate categorie di amministratori, funzionari, esperti e consulenti ; premesso che al convegno sul petrolio tenuto a Gela nel gennaio scorso, è risultato evidente che in rapporto ai quattro miliardi di lire per royalties e imposte dovute nel17esercizio 1957 dalla Gulf-Italia alla regione siciliana per u n milione d i tonnellate di petrolio estratto dai poizi di Ragusa, ed altri quattro miliardi di utili per lo stesso periodo da117azienda Gulf-Italia dichiarati a fini fiscali, lo stato itaiiano ha esatto 6300 milioni di lire per il prodotto di metano e simili denunziato dal1'A.G.I.P. e S.N.A.M. insieme, il quale prodotto viene calcolato, per calorie e prezzo, ad una quantità quattro volte superiore al petrolio d i Ragusa; f premesso inoltre che da tempo si parla di finanziamenti fatti dal signor Mattei, direttamente o a mezzo di terze persone, non solo al gruppo «la base » della democrazia cristiana (finanziamenti questi sospesi per desiderio del centro e poscia trasformati in concorsi individuali per iniziative analoghe), ma anche a giornali d i partito senza distinzione di colore, ad una grande agenzia di stampa e altre agenzie minori; finanziamenti questi ultimi non solo a titolo d i pubblicità ( i cui dati coprono per il doppio le spese fatte dalle ditte concorrenti, p u r avendo avuto le aziende statali un prodotto di vendita al disotto del
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20 per cento), ma anche per inserzione di articoli politici e di notizie, anche allo scopo di tenere in piedi giornali deficitari e periodici di tendenza; premesso che il caso del Giorno di Milano non può dirsi esaurito con la facile ricerca del titolo della società e delle persone degli azionisti come indicato nella risposta del ministro, ma deve ancora essere approfondito, sia per conoscere i motivi per i quali l'opinione pubblica, specie a Milano, ritiene trattarsi di un giornale legato all'onorevole Mattei e dallo stesso finanziato, sia per accertare l'attendibilità dell'accusa fatta da un periodico molto diffuso circa la speculazione edilizia fatta dall'amministrazione di detto giornale connessa a imprese E.N.I.; e per chiarire la gravità dell'accusa indicata nella interrogazione dell'interrogante del dicembre scorso che I l Giorno, mentre fa una costante difesa ed esaltazione dell'opera del signor Mattei quale presidente del complesso E.N.I., sostiene una politica estera in contrasto con quella del governo delle alleanze che il nostro parlamento ha ratificato e dei più evidenti interessi nazionali; premesso, infine, che di fronte a queste e altre accuse persistenti e continue solo dirette all'E.N.I., fra il migliaio di enti statali esistenti in Italia, il governo non può disinteressarsi dell'inquietudine della pubblica opinione, specialmente per i l fatto che, sia nella stampa che nelle due camere, è stato dato i l più ampio appoggio dai socialcomunisti al Mattei come persona ed all'E.N.1. come un ente statale di proprio completo gradimento ; l'interrogante chiede al presidente del consiglio dei ministri se non crede sia necessario ed urgente rassicurare l'opinione pubblica con opportuno e tempestivo intervento, tale da dissipare le nubi che si accavallano sull'E.N.1. e sulla condotta del presidente dell'E.N.1.; e nel caso che non si riesca ad ottenere tale desiderato effetto; procedere ad indagini più approfondite e adottare provvedimenti adeguati e salutari. (presentata nella seduta del 19 febbraio 1958).
RISPOSTA Nel rispondere per delega dell'on. presidente del consiglio dei ministri, m i pregio comunicare quanto segue: 1) l e accuse e insinuazioni sui metodi amministrativi dell'E.N.1. hanno un valore e carattere evidentemente polemico. È difatti noto che il bilancio dell'E.N.I., che riflette tutta la attività amministrativa dell'ente stesso, è sottoposto in base alla legge istitutiva ad una serie di rigorosi controlli di ordine tecnico-amministrativo e politico. Dopo l'esame e l'approvaziouc del collegio sindacale assistito da a n magistrato della corte dei conti. detto bilancio viene sottoposto all'esame dell'autorità amministrativa che fino all'esercizio 1955-56 era un comitato composto dai ministri del tesoro, delle finanze e dell'industria e commercio ed ora, in virtù dell'articolo della legge 22 dicembre 1956 n. 1589, è il ministro delle partecipazioni statali. Il documento così perfezionato viene rimesso alle camere per tutti qnegli ulteriori controlli che in sede parlamentare si ritenesse necessario effettuare. Tale procedura è stata sempre rigorosamente rispettata. Circa il preteso sperpero di somme ingenti per la costruzione di punti di vendita e dei relativi servizi ausiliari occorre rilevare che la economicità di siffatte spese va valutata in base ai risultati complessivamente conseguiti e non con semplice riferimento a qualche singolo caso. In una rete capillare d i servizi del genere, infatti, può apparire ntile costruire e mantenere in esercizio anche qualche centro di vendita d i per sè stesso non redditizio, e ciò allo scopo di non disabituare all'uso del prodotto gli automobilisti in transito e, nello stesso tempo, di mantenere intatto il prestigio dell'organizzazione agli occhi della clientela attraverso la dignità e l'efficienza degli impianti. Quanto ai servizi ausiliari dei punti di vendita (officine, trattorie, hotels, ecc.) si deve tener conto, per giudicare dell'opportunità della loro costruzione, delle esigenze già notevolmente affermatesi, e che si vanno sempre più affermando, di una clientela ogni giorno più numerosa che freqnenta l e strade del paese. Detti servizi hanno già oggi una salda ed autonoma base commerciale, suscettibile di grandiosi sviluppi in M prossimo avvenire, sicchè i relativi investimenti, già ampiamente redditizi, vanno giudicati come una sana iniziativa economica. I n conclusione, il giudizio sulla economicità di una organizzazione d i vendita deve essere necessariamente basato su un esame complessivo deUc attività svolte, non dimenticando nella fattispecie che la distribuzione dei ,prodotti petroliferi costituisce solo l'ultimo anello d i una catena che dalla ricerca mineraria giunge. attraverso nn ciclo completo, alla fase commerciale. Eppertanto, come i risultati di un singolo punto di vendita non pussono essere giudicati distintamente dal risultato complessivo della gestione commerciale, così i risultati e le finalità di qnest'ultima non possono essere disgiunti dalle esigenze dell'intero ciclo industriale, tra le quali si impone,
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16 STunzo - Scritti giuridici.
in misura prevalente, quella di assicurare lo sfruttamento della intera capacità degli impianti aitraverso l'allargamento delle vendite.
Circa una presunta esosid del prezzo di vendita del metano va rilevato che detto prezzo, sulla formazione del quale incidono in misura rilevante lr spese generali di ricerca, è fissato sul mercato in base alla normale legge economica della domanda e dell'offerta ed in concorrenza con quello delle altre fonti di energia che esso sostituisce. k evidente che qualora si turbasse il rapporto che deve necessariamente esistere tra i prezzi dei vari combustibili, verrebbero a trovarsi favorite le industrie utenti di metano a tutto svantaggio di quelle concorrenti non allacciate a i metanodotti. Quanto al sistema di distribuzione a mezzo di società private ed a catene, è la stessa legge istitutiva dell'E.N.1. che prevede che l'ente operi a mezzo di società controllate o nelle quali possiede partecipazioni. Tutti i grandi gruppi industriali del resto si articolano normalmente in molte società operative, le quali in taluni casi superano di gran lunga il numero di quelle del gruppo E.N.I. Quanto poi al numero degli impiegati esso è strettamente commisurato alle necessità di funzionamento in base ai più moderni principi di organizzazione aziendale. I1 trattamento economico è corrispondente a quello praticato dalle industrie private in concorrenza con le quali il personale deve essere reperito. È a questo proposito da tener presente che, giusta l'articolo 15 dello statuto dell'E.N.I., i dipendenti dell'ente che ricoprono per rappresentarne gli interessi cariche di amministratori, sindaci e liqnidatori di società od enti da esso controllati o nei quali abbia partecipazioni, hanno l'obbligo di riversare all'ente gli emolumenti percepiti per le cariche stesse. Quanto alle indennità corrisposte ad esperti e consulenti va precisato che i loro servizi devono essere remunerati in modo adeguato in base aile condizioni vigenti nei rispettivi settori professionali; 2) Quanto alle risultanze del convegno sul petrolio tenuto a Gela, nel gennaio scorso, va premesso che i dati relativi si basano su una dichiarazione del presidente della Gulf-Italia e non su reali elementi accertati in sede consuntiva. È poi da considerare che la Gulf-Italia può vantare utili cosi ingenti solo per il fatto che ha limitato la sua attività quasi esclusivamente allo sfruttamento dei propri ritrovamenti, senza effettuare ulteriori ricerche petrolifere. Se l'A.G.1.P e la S.N.A.M. avessero fatto altrettanto dopo le scoperte di Cortemaggiore, la loro situazione non sarebbe diversa. Infatti, ove si procedesse al computo delle spese e ricavi relativamente a quel solo campo, si otterrebbe, fra utili e tributi da versare all'erario, una cifra molto maggiore di quella indicata per la Gulf-Italia. In realtà l'ente pubblico, ottemperando ai suoi peculiari compiti, svolge ricerche in tutto il territorio della penisola àustenendo spese ingenti che hanno però partaio a l reperimenta a& dis~ibuzionedi una qiiantità di nletann, che in calorie
supera di ben quattro volte la quantità prodotta dalla Gulf-Italia, senza tener conto dell'apporto del giacimento petrolifero di Gela. È chiaro dunque che ad un indubbio vantaggio economico per il paese si accompagna un maggiore sforzo finanziario delle aziende, determinato dalla necessità di continnare nell'opera di ricerca in modo da sopperire, con ritrovamenti di nuove riserve, al graduale esaurimento di quelle esistenti e da assicurare la espansione della produzione generale.
3) Le affermazioni, relative peraltro a voci riportate, circa finanziamenti che sarebbero stati fatti ad organi di stampa od a correnti del partito di maggioranza, non trovano conferma nelle risultanze contabili dell'entc nazionale idrocarburi, nè risulta siano state rilevate nella contabilità delle aziende controllate. Esse debbono, quindi, essere ritenute frutto di equivoco ovvero il risultato di una non disinteressata campagna giornalistica. e, comunque, prive di fondamento. Circa le spese sostenute per la pubblicità, mentre confermo quanto ebbi già a rispondere alla S.V. on.le in altra circostanza, ritengo opportuno soggiungere : a) il rapporto tra l'ammontare della spesa sostenuta per la campagna pubblicitaria ed il totale delle vendite del prodotto propagandato non può costituire indice sufficiente per l'accertamento della utilità dell'investimento. È da rilevare comunque in proposito che l'A.G.I.P., che occupava il terzo posto nelle vendite italiane dei prodotti petroliferi, grazie al sistema usato per la diffusione dei propri prodotti, è ora giunta ad occupare il primo posto; b) le ditte straniere concorrenti operano già da lunga data in campo mondiale nel quale godono di vasta rinomanza. È ovvio pertanto che una ditta che svolge la propria attività solo i n Italia, offrendo una più estesa gamma di prodotti destinati a clientele diverse, debba dedicare al mercato nazionale uno sforzo proporzionalmente maggiore di quello delle compagnie straniere.
4) Per quanto riguarda il riferimento al qnotidiano l i Giorno si deve francamente osservare, anzitutto, che l e cosidette voci pubbliche non possono ovviamente costituire materia di esame e di apprezzamento e che, in secondo luogo, nella specie non sembra azzardata la supposizione che « i motivi per i quali l'opinione pubblica, specie a Milano, ritiene trattarsi di im giornale legato all'on.le Mattei e dallo stesso finanziato D, siano proprio da ravvisare in una intensa divulgazione di voci interessate o tendenziose che vorrebbero precisamente alludere agli accennati rapporti tra Il Giorno e 1'on.le Mattei. Non si vede pertanto i n quale direzione dovrebbero o potrebbero essere condotte le richieste indagini. Da ciò consegue anche la inutilità del sollecitato accertamento circa la attendibilità dell'accusa mossa da un periodico al giornale Il Giorno di speculazioni edilizie connesse ad imprese E.N.I., mentre nessun adde-
bito può essere fatto fondatamente all'ente stesso a causa degli atteggiamenti che quel giornale assume, sotto la propria responsabilità, in materia di politica estera e circa l'attività del complesso E.N.I.
5) Non sembra rispondere a verità l'asserzione secondo la quale il solo E.N.I. fra gli enti statali esistenti in Italia, sarebbe oggetto di accuse da parte della stampa. Nè d'altronde il governo ha la possibilità di sindacare appoggi non sollecitati e offerti per awentura da una parte politica a determinate iniziative ed a determinate persone, in vista di fini particolari. Si aggiunga che appoggi del genere si sono potuti notare in altri casi nei confronti di personalità militanti nelle più varie formazioni di partito, senza che a tali circostanze sia stato dato un particolare peso, ai fini di un giudizio politico. È appena il caso di osservare, infine, che attraverso le risposte ai membri del parlamento, il governo si sforza costantemente di chiarire al paese quale sia la realtà di fatti ed episodi. talvolta deformati da passione polemica, contribuendo in tal modo a dissipare le incertezze ed a ristabilire la verità. ii ministro GIo~croBo (seduta del
14 m o r a 1958).
ATTIVITÀ IN SENO ALLE COMMISSIONI Anche nella seconda legislntura Sturzo continua a fm parte della V commissione. permanente del senato, intervenendo nella discussione di nurncrnsi disegni di legge. Riproduciamo gli interventi più notevoli.
Disegno di legge n. 12: « Provvedimenti per il credito alle medie e piccole imprese industriali e per lo sviluppo dell'attività creditizia nel campo industriale ». Nella sesta riunione in sede deliberante (25 novembre 1953), riprendeuu la discussione del disegno di legge dnpo il parere pervenuto dalla nona commissione in sede consultiva e quello della giunta per il mezzogiorno: Sturzo allora precisava:
Debbo fare due chiarimenti. I1 primo è quello che nel testo dell'articolo 5 si dovrebbe togliere la frase che dice: non superiore a cinque anni D, perchè i limiti del prestito sono dati dal ciclo della produzione: che nelle piccole e medie industrie non può raggiungere i cinque anni. Si erano stabiliti cinque anni esclusivamente perchè si voleva far luogo ad una prova. Sento dal relatore che si vorrebbe estendere questa legge anche agli altri istituti che operano nel campo delle piccole e medie industrie; io sono favorevole a questa estensione, ma vorrei precisare che io avevo pensato solo al mezzogiorno e alle isole dove l'industria è ancora nascente e le difficoltà negli operatori sono maggiori. Se proponete di estendere queste facilitazioni a tutto il paese non ho nessuna difficoltà ad accettare questa proposta. Un'altra notizia che mi ha fatto piacere me l'ha data i l rappresentante del ggvemo, il quale ha detto che suggerisce d i aggiungere a l disegno di legge un articolo col quale si concedono tutte le esenzioni fiscali che sono state accordate alle sezioni di credito industriale.
Io in realtà credevo che tali esenzioni si applicassero anche alle operazioni eseguite in forza d i questa legge e non le avevo specificatamente contemplate. Comunque è meglio chiarire per evitare delle contestazioni e mi riservo di presentare, d'intesa col sottosegretario Vicentini, u n articolo aggiuntivo su tale argomento. Debbo aggiungere, a proposito dell'accenno che ha fatto il relatore all'art. 6, che la mia proposta re vedeva il contributo dello stato nella misura del 2 per cento nel pagamento degli interessi. I1 ministro mi ha fatto osservare che, dopo che avevo formulato la mia proposta, sono pervenute domande da parte d i istituti regionali di medio e piccolo credito, e da parte dell'istityto centrale delle casse di risparmio. I1 tesoro allora si è verhmente preoccupato d i questa porticina che avevo aperta solo per cinque anni e che sarebbe diventata una porta aperta senza limiti d i anni e senza limiti d i istituti con la conseguenza di un rilevante aggravi0 per il tesoro. Debbo dire che sono rimasto perplesso se ritirare o meno l'articolo; però, d i fronte a due considerazioni, cioè il pericolo di non vedere approvato il disegno d i legge per il veto che ne sarebbe venuto da parte del tesoro, ed i l fatto che i fondi di cui disponevano le sezioni di credito del banco d i Napoli, del banco di Sicilia e della banca nazionale del lavoro sono tutt'ora fondi dello stato, per cui il carico dello stato salirebbe al 3 per cento, ho stimato opportuno ritirare l'articolo.
I1 problema che io ho impostato nel primo articolo si riferisce a l mezzogiorno in una forma indiretta. Infatti, secondo la legge 1" aprile 1953, n. 298 si stabilisce che la sezione di credito alle piccole e medie industrie della banca del lavoro, che opera in tutta Italia, d.eve versare i suoi capitali, al momento che si estingue questa sezione, agli istituti per il credito alle piccole e medie industrie del mezzogiorno. Questa legge venne in discussione dinanzi alla nostra com. . accettò u!!'~zn=i-,ità !z prcrogs del t e m i n e entro IiiiuaiviiL il quale la banca del lavoro e le sezioni del banco di Napoli
e del banco di Sicilia dovevano fare questo versamento.
..
Si
dimenticò allora di stabilire che queste sezioni potessero operare nei limiti di 50 milioni, anzichè d i 15 milioni. Ora, con l'articolo 2, le operazioni previste dalle leggi del 1950 e del 1953, vengono coordinate in modo che questi istituti possano gestire questi capitali fino a l lo gennaio 1958. Quindi per questa parte la mia è una proposta d i legge d i coordinamento. Gli istituti regionali creati appositamente per il medio credito debbono in parte costituirsi e in parte farsi le ossa; attualmente si servono degli ingranaggi del banco d i Napoli, di quello di Sicilia e della particolare sezione della banca nazionale del lavoro. I n tal modo i l credito può arrivare sino ai piccoli comuni senza bisogno di recarsi a Napoli, a Palermo o a Cagliari. Quando invece cesserà questa forma di servizio per i l piccolo e il medio credito i n queste tre grandi banche, entreranno in funzione gli istituti creati appositamente in ogni regione d'Italia. Ora esistono solo nel Lazio, nelle Marche, nel Piemonte e in Lombardia. Mentre si costituiscono questi servizi, nel frattempo questi istituti, che attualmente funzionano in tutta Italia, debbono impiegare le somme che hanno disponibili nel credito alle piccole e medie industrie del mezzogiorno. Per queste ragioni prego i colleghi di non voler modificare questo punto. Circa l'obiezione fatta per quanto riguarda le dimensioni delle piccole e medie industrie, debbo dire che essendo il finanziamento di 50 milioni, questo non sarà certamente domandato da grandi imprese, ma da quelle che, attraverso questa minima somma, potranno trasformare od attuare nuovi impianti. Tale limite comprende infatti, tanto i l credito di esercizio quanto il credito di impianto. La seconda parte del mio disegno di legge si riferisce esclusivamente al meridione, perchè tende ad utilizzare somme a disposizione del banco di Napoli, del banco di Sicilia e del banco di Sardegna e che sono esclusivamente impiegate in eredito di impianto e non di esercizio; invece ora noi stabiliamo che, fin quando non entrerà in vigore la legge del 1958, queste somme potranno essere impiegate anche per il credito
di esercizio per quei motivi e quelle ragioni che ha spiegato i l senatore Jannuzzi e che d'altra parte sono evidenti. Da cinque anni come presidente del comitato per i l mezzogiorno non faccio che ricevere lettere che richiedono questocredito. Pregherei quindi i colleghi di accettare la soluzione da me proposta e di voler passare all'ecame degli articoli. Approvati alcuni articoli della legge, la discussione veniva rinviata a!l'ottava riunione (3 dicembre 1953), in cui Sturzo cosi interveniva:
I1 collega Fortunati ha giustamente rilevato come la finalità del mio progetto era proprio quella di diminuire i costi del credito d i esercizio per il mezzogiorno e le isole. Effettivamente, le agevolazioni fiscali di cui discutiamo erano già state fissate per legge, e sono richiamate in questa proposta esclusivamente nel timore che il fisco volesse dare una interpretazione restrittiva alle norme in vigore, e qui espressamente richiamate. Per regolarità amministrativa il mio amico senatore Corti propone di estendere le agevolazioni di cui all'articolo 6, agli altri istituti previsti dal17articolo 19 della legge 25 luglio 1952, n. 949 (l'articolo 4 della mia proposta di legge parla, per ragioni tecniche, esclusivamente delle sezioni di credito industriale del banco di Napoli, del banco d i Sicilia e del banco di Sardegna)Convengo che in tal modo la differenziazione ambientale viene meno, tuttavia ci sono ragioni tecniche dalle quali non possiamo prescindere. È per questa ragione che io avevo previsto il contributo del 2 per cento all'anno, che ha trovato però una serie di tali difficoltà presso i l tesoro da consigliarmi a non insistervi. Tuttavia questa agevolazione tributaria rappresenta sempre u n qualche cosa di rispettabile. Vorrei perciò che si approvasse la legge cosi come ho proposto, anche se non rappresenta i l meglio che si possa avere. Per non guastare la formulazione dell'articolo 19 della legge 25 luglio 1952, n. 949, proporrei di aggiungere questo comma: Le agevolazioni tributarie del presente articolo si estendono agii aitri istituti di credito per ie medie e piccole industrie. ai sensi dell'articolo 19 della legge 25 luglio 1952, n. 949 ».
Src: quest'ultimo' punto veniva chiesta la sospensione, e nella nona nione ( 4 dicembre 1953) Sturzo l o riproponeva così modificato:
TZU-
I1 comma sul quale la commissione deve discutere è il seguente: (( Le agevolazioni tributarie stabilite per l e operazioni di credito del primo comma del precedente articolo, in quanta applicabili, si estendono, con eccezione delle operazioni di cui all'articolo 4 della presente legge, alle operazioni fatte dagli altri istituti per il credito alle medie e piccole industrie, a i sensi dell'articolo 19 della legge 25 luglio 1952, n. 949 a. Chiarendo poi che si trattava d i gestioni speciali, modifìcava ancora il testo:
Comunque propongo la seguente formulazione del comma Le agevolazioni tributarie stabilite aggiuntivo all'articolo 6: dal primo comma dell'articolo 6 della legge 22 giugno 1950, n. 445, si estendono, in quanto applicabili, agli altri istituti c h e esercitano il credito per le medie e piccole industrie, ai sensi dell'articolo 19 della legge 25 luglio 1952, n. 949 ad eccezione legge n. delle operazioni di cui all'articolo 4 della 11 testo ceiiica approvato di legge nel suo complesso.
i11
questa redazione, come pure il disegnw
Disegno di legge n . 4 7 : Aumento del patrimonio dell'istituto poligrafico dello stato di lire tre miliardi 1). Il disegno d i legge, giù approvato dal senato nella I legislatura, e trasmesso alla caniera, era decaduto in seguito allo scioglimento del parlumento. Ripresane la discussione nella 11 legislatura, nello terza riuniorre dello commissione (29 ottobre 1953) Sturzo interveniva:
Vorrei prospettare una questione ~ r e ~ i u d i z i a lalla e discussione del disegno di legge. Debbo anzitutto rilevare come sarebbe stato molto meglio che tutto quel che ha detto il relatore fosse stato messo per iscritto, onde chiarire meglio i motivi per i quali viene richiesta questa somma. Infatti nella relazione. - io non voglio entrare nel merito - da un lato si dichiara che la somma è destinata
a d aumento della dotazione, e cioè costituisce capitale circolante, dall'aliro lato si dice che dovrebbe servire a pagare dei debiti bancari. Ora, se la questione si ponesse come se si trattasse della concessione di un'anticipazione sui debiti che lo stato ha contratto verso il poligrafico, in modo da dargli la possibilità di avere una somma disponibile in contanti e di poter pagare i debiti che ha verso le banche, la richiesta avrebbe una giustificazione; ma se la sovvenzione si presenta come aumento della dotazione dell'istituto, allora dobbiamo riesaminare tutta la situazione dell'ente e vedere se convenga o meno mantenere un ente come organo d i stato per la stampa dei biglietti e dei valori, e un altro come azienda di carattere privatistico che serve semplicemente a produrre e vendere la carta e la cellulosa. È questa una questione pregiudiziale che va affrontata e risolta prima di entrare nel merito, se cioè sia opportuno o meno concedere questi 3 miliardi a fondo perduto; chè se i colleghi riterranno, così come io ritengo, che per ben giudicare mancano ancora degli elementi oltre quelli che ci ha forniti opportunamente il relatore, allora sarà meglio rinviare la discussione del provvedimento per un esame più approfondito dal punto d i vista finanziario, economico e di gestione, per vedere cioè se veramente questa azienda così impiantata può avere una vita autonoma oppure deve procedere sempre coi vari aiuti elargiti dallo stato.
Di quella che è la situazione degli enti che gestiscono fondi dello stato, noi abbiamo già avuto un esempio nell'I.R.I., per il quale sono stati stanziati 60 miliardi come dotazione. Dopo che tali fondi sono serviti unicamente a pagare i debiti, l'istituto oggi non ha più un soldo e domanda altri 25 miliardi. Chiedo quindi il rinvio della discussione del disegno di legge, Sarò grato a l relatore se vorrà nel Gattempo redigere una relazione scritta per illuminarci sulla situazione dell'istituto e sulle sue possibilità future. Il senatore Marwtti si associava alla proposta di Sturzo, chiedendo u a relazione scritta prima della ripresa cieila discussione, e in rai senso zi chiudeva lo riunione.
Disegno di legge n. 102: « Estensione dell'assis~nza sanitaria * ai pensionati statali e sistemazione economica della gestione assistenziale del1'E.N.P.A.S. n. Nella terza riunione della commissione (29 ottobre 1953), Sturzo di chi ma^.^:
Poichè si tratta d i u n disegno di legge già approvato dalla camera non propongo modifiche, perchè la legge possa avere corso immediato, dato che essa è attesa dalla grande maggioranza dei pensionati. Desidero rilevare però che nel titolo del provvedimento si parla anche di sistemazione economica della gestione assistenziale del1'E.N.P.A.S.' mentre gli articoli del disegno di legge dettano soltanto norme che stabiliscono contributi da parte dello stato e degli interessati. Per non intralciare l'entrata in vigore del provvedimento, non propongo modifiche al titolo. ma sottopongo all'approvazione dei colleghi il seguente voto: « La commissione finanze e tesoro del senato fa voto che i1 governo presenti alla commissione stessa una relazione sull'andamento e il funzionamento del1'E.N.P.A.S. e sulle opportune modifiche di organizzazione e di indirizzo)). Non chiedo un disegno di legge che sarebbe fatto da funzionari i quali probabilmente presenterebbero u n ordinamento peggiore dell'attuale, ma una relazione che ci dia gli elementi sulla base dei quali l'iniziativa parlamentare o il governo possano poi operare per l a soluzione del problema. Presentava inoltre il seguente ordine del giorno:
La 5' commissione fa voti che il governo presenti alla commissione stessa una relazione sull'attuale andamento del1'E.N. P.A.S., sulle opportune, modifiche organizzative e d i indirizzo economico e tecnico in ordine alle finalità dell'ente 1). Chiariva:
I1 mio ordine del giorno è un invito a fare una relazione. l o non posso votare nulla prima che la relazione non ci abbia
dato chiarimenti sull'andamento dell'ente, sulle sue finalità, sul modo come è organizzato e sui criteri tecnici e finanziari che ne sono alla base. L'ordine del giorno veniva approvato, come pure il disegno d i legge,
Disegno di legge n. 148: « Aumento di capitale dell'azienda minerali metallici italiani (A.M.M.I.) n. Nell'ottava riunione (3 dicembre 1953). Stwzo interveniva:
Non mi preoccupo tanto della' anticipazione, che potrebbe essere limitata, quanto della partecipazione azionaria a l capitale. Entrare nel capitale di una azienda è assolutamente fuori proposito per la cassa depositi e prestiti e mi fa meraviglia come si sia fatta una simile proposta per 400 milioni. Sono contrario a limitare ia norma alle anticipazioni perchè queste potrebbero essere fatte anche da altri istituti e non vi è bisogno d i ricorrere alla cassa depositi e prestiti per ottenere anticipazioni sopra un titolo da ritenersi solvibile. L'A.M.M.1. potrà rivolgersi benissimo a l consorzio di credito per le opere pubbliche anzichè alla cassa. Questo credo sia un convincimento comune a tutti i membri della commissione. Non possiamo comunque ammettere il concetto di partecipazione azionaria della cassa al capitale di un'azienda.
...
La partecipazione azionaria della cassa depositi e prestiti. con la possibilità di perdite, non è ammissibile. Può darsi che questo sia stato già fatto per altri istituti, ma non è possibile ammetterlo come direttiva generale.. Di più si aggiunga che, nel caso dell'A.M.M.I., lo stato interviene perchè la situazione di questa azienda non è del tutto chiara; questa è la verità. Si va insomma incontro a possibilità di perdite, ed esporre a questo pericolo la cassa depositi e prestiti è contrario ad ogni buon criterio di amministrazione. Si potrebbe tutto al più ammettere il prestito come anticipazione per un ~ a i o<l'anni d l e quote che lo stato deve nnrrispnndere, indipendentemente dal fatto che tale anticipazione
sottrarrebbe egualmente disponibilità della cassa da destinare agli enti locali. Per quanto riguarda la deroga contenuta nell'articolo 4, non si può prevedere quale conseguenza essa possa avere. Pertanto non posso che dichiararmi contrario a questa clausola che ritengo opportuno sia soppressa. Nella nona riunione 14 dicembre 1953), Sturzo interveniva ancora su un ordine del giorno invitante la cassa depositi e prestiti a limitare la .sua attività.
Prego il senatore Tomè di ritirare il suo ordine del giorno. Noi potremo discutere sull'argomento quando avremo uno specchio dell'attuale situazione della cassa depositi e prestiti, con i relativi impegni i n riguardo ai vari settori della vita economica ed amministrativa del nostro paese. La formulazione dell'ordine del giorno del senatore Tomè mi sembra che sia mossa piuttosto dal sentimentalismo verso i piccoli comuni anzichè da una . concezione organica dell'attività della cassa depositi e prestiti. È la stessa impostazione dell'ordine del giorno che, a mio avviso, fuorvierebbe l'orientamento della nostra discussione. La discussione sull'ordine del giorno veniva rimandata, mentre il disegno di legge veniva approvato.
Disegno di legge n. 196: ((Proroga del termine per la rettifica delle dichiarazioni e per gli accertamenti d'ufficio agli effetti delle imposte straordinarie sul patrimonio n. Nell'undicesima riunione (10 dicembre 1953), Sturzo presentava seguente ordine del giorno, approvato poi dalla commissione:
il
I n conformità dei rilievi espressi dal senatore Fortunati, ho l'onore di presentare alia commissione i l seguente ordine del giorno: La commissione finanze e tesoro del senato invita il ministro delle finanze a provvedere a che gli u5ci competenti procedano all'accertamento e alla riscossione dell'imposta straordinaria progressiva sul patrimonio e dell'imposta straordinaria proporzionale, in modo da evitare ulteriori proroghe oltre -quelle previste dal disegno di legge n. 196 D.
Disegno di legge n. 246: « Miglioramenti a favore dei pensioniiti delle casse di previdenza per le pensioni agli impiegati ed ai salariati degli enti locali, amministrate dalla direzione generale degli istituti d i del ministero del tesoro D. Sturzo interveniva nella quattordicesima riunione (18 dicembre 1953):
Questo andazzo degli istituti di previdenza mi preoccupa non poco; bisognerà discuterne per riesaminare il loro comportamento in ordine alla solidità degli impieghi. Trovo ancor più irregolare il fatto di caricare comuni, provincie ed enti di beneficenza di nuovi oneri, senza indicare la fonte con cui sopportarli. Ma noi vogliamo che questa legge arrivi i n porto rapidamente. È cosa dolorosa non poter riesaminare l'elaborato della camera dei deputati. I1 mio senso di autonomia si ribella però d i fronte a questa imposizione, che non posso £ar passare sotto silenzio. Perciò domando che sia approvato un mio ordine del giorno, d i cui dò lettura. « La commissione, ritenuto che la disposizione dell'articolo 8 del disegno d i legge: « Miglioramenti a £avore dei pensionati delle casse di previdenza per le pensioni agli impiegati ed ai salariati degli enti locali, amministrate dalla direzione generale degli istituti di previdenza del ministero del tesoro » (246), apporta un nuovo onere a quelle provincie e a quei comuni ed enti di assistenza e beneficenza che corrispondono direttament e a proprio carico pensioni e quote d'i pensione a l relativo personale, per il quale onere non viene prevista alcuna disposizion e riguardo a mezzi atti a farvi honte dagli enti interessati, invita i l ministro dell'interno, di concerto con i ministri delle finanze e del tesoro, a presentare urgentemente analogo disegno di legge 1). È infatti cosa molto curiosa questa, che lo stato legifera in sede propria, stabilisce nuovi oneri che gli enti locali debbono sopportare, senza indicare iì m060 come provvedervi. I comuni,
le provincie non hanno una zecca propria per coniare moneta tutte le volte che le casse sono vuote! L'ordine del giorno veniva approvato alla fine della riunione.
Disegno di legge n . 215: « Norme per l'iscrizione a ruolo delle imposte, sovrimposte e contributi di qualsiasi specie, applicati in base al reddito soggetto alle imposte erariali D, Sturzo interveniva nella ventunesima seduta (25 marzo 1954), presentondo poi un ordine del giorno.
A mio giudizio la questione della sfasatura degli esercizi finanziari dovrebbe essere affrontata non in questa sede, ma in una sede molto più ampia e con l'intervento specialmente della la commissione. O i comuni e le provincie dovrebbero adottare per i propri bilanci l'anno finanziario, dal loluglio a l 30 giugno, adeguandosi all'anno finanziario dello stato, ovvero lo stato dovrebbe fare i l bilancio dal logennaio al 31 dicembre, adeguandosi alla mentalità normale di tutti gli uomini. Questo dico en passant con preghiera di esame da parte deI ministero. Quel che a me interessa sottolineare è che noi dovremmo fare oggi come si faceva ai tempi in cui ero sindaco. La soluzione migliore sarebbe quella di riportare nel nuovo ruolo le sovrimposte deliberate dai comuni e dalle provincie nell'anno precedente; e nel successivo anno finanziario riportare le differenze in più o in meno. Perchè noi dobbiamo stabilire una cifra che altera la volontà dell'amministrazione locale e che crea un pregiudizio al contribuente, in quanto si sa bene che, specialmente oggi, in via normale, le imposte aumentano sempre e mai diminuiscono?
La mia proposta è di permettere la ripetizione, se non è stato provveduto in tempo, delle precedenti supercontribuzioni, le quali sono già state esaminate dagli organi di tutela, sia
dalla giunta provinciale amministrativa che dalla commissione centrale. Su di esse infatti è già avvenuta una revisione in sede d i esame del bilancio precedente. Del resto che da un bilancio all'altro possano awenire tali diminuzioni di spesa da rendere addirittura inopportuno il mantenimento della s ~ ~ e r c o n t r i b u zione, oggi come oggi è novantanove volte su cento impossibile. D'altra parte non dobbiamo dimenticare che è esatto quanto h a osservato il senatore Fortunati, che cioè l e sovrimposte per i terreni e i fabbricati interessano soltanto in minima parte i bilanci dei grandi comuni. Tali sovrimposte interessano SOpratutto i piccoli comuni. Cerchiamo allora d i non mettere in serie difficoltà le piccole amministrazioni locali. Poichè ho la parola dò lettura dell'ordine del giorno d i cui ho annunciato la presentazione: La 5" commissione permanente finanze e tesoro del senato fa voti che la competenza ad autorizzare le supercontribuzioni deliberate dai comuni superiori a 20.000 abitanti e dalle provincie passi alla giunta provinciale amministrativa. Invita il governo a presentare analogo disegno d i legge N. L'ordine del giorno veniva approvato.
Disegno di legge n. 361: « Modificazioni alle norme relative alle agevolazioni tributarie a favore della piccola proprietà contadina n. Nella ventitreesima seduta ( l aprile 1954), Sturzo dichiarava:
Questo disegno di legge viene ad eliminare molti equivoci .sorti dalla data d i istituzione della cassa per la formazione della piccola proprietà contadina, che dal 1948 è stata prorogata per tre volte, e credo che dovremo arrivare ad una nuova proroga. Vorrei domandare all'onorevole sottosegretario se con queste norme si regolarizza tutto il passato, perchè ci sono state molte controversie. Alla risposta affermativa:
Sarà meglio che vi sia una disposizione che regolarizzi i casi .controversi, riguardanti la piccoia proprietà contadina, clie
:non sono molti, perchè alla piccola proprietà contadina non si possono applicare le leggi della riforma agraria. Le agevolazioni previste i n questo disegno di legge per la piccola proprietà contadina sono di doppio ordine: riguardano -cioè l'acquisto fatto con mutui presso le banche autorizzate e l'acquisto fatto direttamente dalla cassa per la proprietà contadina che ha poi venduto a rate ai contadini. Queste agevolazioni non hanno niente a che vedere con le agevolazioni stabilite nella legge d i riforma agraria, in base alla quale i contadini non acquistano direttamente i l terreno ma lo acquistano e lo pagano nei confronti dell'ente di riforma. Qui si tratta di piccoli fondi, per i quali la cassa per la proprietà contadina ha .avuto in tutto quattro miliardi. I mutui necessari ai contadini per l'acquisto diretto della terra saranno stati fatti presso le banche autorizzate per altri 3 o 4 miliardi. Ora bisognerebbe migliorare la costituzione della cassa per la proprietà contadina come bisognerebbe anche facilitare la concessione dei mutui da parte delle banche, perchè in genere si tratta di piccola proprietà coltivata direttamente -dalla famiglia del contadino. Ora se un coltivatore diretto non ha figlioli, è solo con la moglie, evidentemente la piccola proprietà gli basta; ma se ha dieci figli che lavorano tutti la terra, allora ci vuole una proprietà più estesa. È necessario però stabilire che l'unità culturale minima non debba essere spezzata, perchè altrimenti si arriverebbe a d u n eccessivo frazionamento, che peggiorerebbe, invece di migliorare, le condizioni della produttività. Di solito si tratta di 4 o 5 famiglie che si uniscono e che dicono: abbiamo tutto questo campo che è buono e che poa.siamo comperare, dividendo idealmente la proprietà ciascuno con la propria quota che deve essere coltivata direttamente entro il termine stabilito dalla legge, che è dieci anni, ma che io vorrei fosse ridotto, perchè mi pare troppo lungo. I n conclusione sono molto favorevole al presente disegno d i legge come è stato presentato dal governo, salvo quelle piccole modifiche di dettaglio che potremo apportare in sede di esame degli articoli. e
La conclusione della discussione veniva poi rimandata ad altra seduta.
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- STUBZO- S c r i t t i giuridici.
Disegno di legge n. 423: Provvidenze a favore dei comuni d i Messina e di Reggio Calabria M. Nella trentaduesim seduta (26 maggio 1Y54), 8urzo dichiarava:
cc Convengo con molte delle osservazioni fatte dall'onorevole relatore, ma debbo a mia volta fargli osservare che per quanto riguarda la questione del personale, siamo stati noi che abbiamo provveduto ad aumentare gli stipendi del personale degli enti locali, con leggi dello stato, ed al tempo stesso abbiamo impedito che i l personale stesso potesse essere diminuito. Ciò rende difficile la situazione in entrambi i comuni. Per quanto poi riguarda i gettiti dei tributi, convengo che essi potrebbero essere aumentati, ma bisogna ricordare che questi due comuni perdettero, a causa del terremoto, le loro industrie e le loro grandi aziende. Specialmente Messina, che viveva i n gran parte del porto, ha visto l'attività portuale trasferirsi a Catania e a Palermo, durante più di venticinque anni; poi i l porto si è un po' ripreso, ma si trova tuttora in fase evolutiva. I grandi proprietari di Messina e di Reggio Calabria si trasferirono in altre località e si è venuta formando nelle due citti una nuova classe industriosa. È poi sopraggiunta la guerra, e tutti conoscono i danni che i bombardamenti hanno apportato a Messina, e non so se a Reggio Calabria sia accaduta la stessa cosa. Vi sono insomma in questi due comuni condizioni estremamente difficili che rendono altrettanto difficile lo svolgersi di una finanza ordinata. Lo stato, che ha emanato dei provvedimenti per Roma e per Napoli, deve tener conto anche di tali situazioni. Approviamo quindi questo disegno di legge, di iniziativa governativa, che già ha ricevuto la sanzione dell'altro ramo del parlamento.
...
Ho fatto osservare che l'economia locale è a terra. Se i1 disastro di Messina fosse avvenuto in un'altra regione più ricca la città avrebbe potuto eesare ricostruita in pochi anni; inoltre si deve tener conto anche del fatto che le distruzioni della guerra a Messina sono state gravissime. Lo stato ha contribuito alla
ricostruzione, ma tutte le industrie ed attività commerciali hanno avuto u n colpo mortale. Il disegno di Legge veniva approvato.
Disegno di legge n. 465: Concessione a l personale statale in attività ed in quiescenza di una anticipazione sui futuri miglioramenti economici 1). Nella ventiseiesima seduta ( 9 aprile 1954), Stuno proponeva una mozione d'ordine:
Domando la parola per mozione d'ordine. Noi abbiamo approvato l'inversione dell'ordine del giorno, inversione motivata dal fatto che reputiamo che non si possa discutere ed approvare prima di questo disegno di legge quello riguardante l'imposta sulle società. Poichè così è stata motivata l'inversione dell'ordine del giorno, si ha come conseguenza che non possiamo accettare come copertura di questo disegno di legge le entrate derivanti dall'imposta sulle società. Noi abbiamo già deliberato ed abbiamo deliberato su questa motivazione che ho espressa a nome anche di altri colleghi, cioè che i due disegni di legge non sono dipendenti fra loro. Se questo non fosse accertato, dovremmo discutere da capo un'altra volta. e..
Prendo la parola per una dichiarazione politica. Sono completamente d'accordo con le dichiarazioni fatte dall'onorevole ministro per quanto riguarda il fatto che i maggiori proventi di bilancio debbano essere destinati alla diminuzione del deficit. Ma nel caso presente non si tratta affatto di violare questo principio perchè noi abbiamo preso l'impegno di esaminare, i n sede referente, la legge riguardante l'imposta sulle società dalla quale verranno nuove entrate. La commissione però si rifiuta, approvando la mia proposta, di legare il disegno di legge in esame all'altro relativo all'imposta sulle società, cioè si rifiuta di approvare precipitosamente questo secondo provvedimento per poter approvare l'articolo relativo alla copertura finanziaria del primo, collegando cioè insieme i due provvedimenti.
Dal punto di vista sostanziale, noi abbiamo già una possibilità che il parlamento approvi la legge, relativa all'imposta sulle società, in quanto il governo l'ha presentata, la maggioranza è orientata nel modo che ho esposto, e la minoranza, ed anche le persone indipendenti come io mi sento, hanno già dato il loro parere favorevole all'approvazione dei due primi articoli, i l primo riguardante l'istituzione della imposta e i l secondo riguardante la determinazione delle caratteristiche di tale imposta. Noi però ci rifiutiamo - almeno io mi rifiuto - di collegare oggi questa nuova legge sull'acconto agli statali, da approvarsi in sede deliberante, ad una legge che ancora non è approvata e che anzi non può essere nemmeno approvata da questa commissione, ma deve essere sottoposta all'esame dell'assemblea: questa sarebbe una scorrettezza procedurale alla quale non ci possiamo prestare. Non si tratta quindi di variare l'orientamento già preso; questa è la verità. Ed allora, perchè dire che noi vogliamo mutare l'indirizzo politico del governo? Io sostengo che noi siamo invece perfettamente entro l'indirizzo politico del governo, ma non possiamo venir meno alla dignità della nostrii commissione. E più oltre:
Parlo per mozione d'ordine. Credo che per quanto riguarda la discussione generale, anche per una possibile copertura, quello che hanno detto i colleghi sia sufficiente. Faccio pertanto la proposta formale di passare all'esame degli articoli; quando arriveremo all'articolo 7 discuteremo la copertura. I l disegno di legge veniva poi approvato.
Disegno di legge n. 4 9 : ((Determinazione dell'importo della indennità d i contingenza da corrispondersi agli invalidi di guerra d i prima categoria per l'anno 1953)). Sulla legge, in articolo unico, Sturzo seduta ( 1 3 maggio 1954):
interveniva neKa trentesima
La questione, a mio avviso, va impostata in maniera sem-
plice: o la legge vigente ha carattere di giustizia, ed allora è bene lasciarla operativa per sempre; o non ha carattere di giustizia, e allora deve essere modificata. I1 sistema di legiferare, come si è fatto, tanto per portare u n esempio, ultimamente per i magistrati, trovando un ripiego per evadere i termini della legge precedente, non è certamente consono alla dignità della pubblica amministrazione nè a quella del parlamento.
Io penso che sarebbe opportuno aggiungere un articolo 2 in cui si dicesse che i l governo è autorizzato ad applicare questo provvedimento anche per l'anno 1954, se le condizioni saranno le medesime. Altrimenti da qui a pochi mesi saremo di nuovo costretti a votare un disegno di legge dello stesso genere. A una proposta in tal senso del senatore Fortunati:
Debbo dire lealmente che questa formula varia lo spirito del disegno di legge, mentre la mia formula avrebbe lasciato libero il parlamento di adottare altro provvedimento se ritenuto più opportuno. Io volevo semplicemente evitare la necessità di u n provvedimento di legge a distanza di due o tre mesi; evidentemente è una cosa strana dover fare e rifare leggi senza una base esatta di dati.
Si è fatta una giusta osservazione, che i numeri indici, per questi rialzi e ribassi, sono tratti in una maniera non aderente alla realtà. Su questo punto siamo d'accordo ed a questo proposito abbiamo invocato un provvedimento legislativo generale che ci possa dare una certa garanzia sulla applicazione dei numeri indici. I1 concetto dei numeri indici però deve rimanere alla base, non potendos adottare due sistemi diversi: uno che valga quando gli indici sono in rialzo e l'altro quando sono in ribasso. I2 senatore Fortunati ritirava poi il suo emendamento, e lo stesso faceva Sturzo. I l disegno di legge veniva approvato senza emendamenti.
Disegno di legge n. 560: u Nuove tabelle organiche del personale salariato dell'amministrazione autonoma dei monopoli d i stato M. Anche su questo disegno di legge Sturzo presentava una pregiudiziale nella trentottesirna seduta (14 luglio 1954):
Non comprendo come vi possa essere una sistemazione legislativa circa l'andamento di un'azienda industrializzata. Mi si fa osservare che una legge dello stato impone questo sistema, ma io ritengo che sarebbe assai più opportuno rivedere il sistema. Le leggi dovrebbero limitarsi alle linee di carattere generale, mentre le singole questioni, come può essere quella dei ruoli degli uscieri o di altre categorie di impiegati d i ordine e d i esecuzione, potrebbero benissimo essere formate con regolamento. Ciò costituirebbe lo sgombero di una notevole parte della attività legislativa parlamentare, che può considerarsi gravata da tutte queste questioni di natura più o meno esecutiva che investono in sostanza la responsabilità amministrativa del governo e degli organi ministeriali, non già u n criterio legislativo di natura generale. La leggina che stiamo discutendo ha proprio natura amministrativa. Si può obiettare che gli impegni di bilancio si fissano per legge; si tratterebbe semplicemente di approntare mezzi finanziari. Allora voltiamo pagina, e se questi mezzi si trovano in bilancio, l'attività amministrativa si svolge regolarmente. se no, si prowede in base all'articolo 81 della costituzione. I1 potere esecutivo dovrebbe agire entro binari generali stabiliti dal parlamento. Se invece il parlamento sarà costretto ad entrare in tutti i particolari della vita amministrativa del paese. ne resterà soffocato, non polo, ma la vita dell'amministrazione subirà ritardi gravissimi e ingiustificati. Infine dobbiamo riconoscere che noi non abbiamo una stretta conoscenza d i queste materie particolaristiche e finiamo per affidarci a quello che dice il rappresentante del governo, i l quale a sua volta si affida a quello che dice il rappresentante della burocrazia. E se non abbiamo una esperienza veramente
attiva del particolare ramo amministrativo di cui ci si interessa - esperienza quasi sempre conoscitiva - si arriva quasi ad una delega. Ecco perchè ritengo che sarebbe il caso di invitare il governo a dettare delle norme di carattere generale, che dovrebbero costituire delle direttrici di marcia per ciascun ramo dell'amministrazione.
... I1 parlamento stabilisce i limiti generali degli stanziamenti, entro i quali limiti si deve muovere l'amministrazione. Dichiaro d i accettare l'osservazione fatta dal relatore che cioè non può proporsi la pregiudiziale da me avanzata, perchè qui si tratta dell'eseciizione di una legge generale. Modifico perciò tale pregiudiziale in u n ordine del giorno che mi riservo d i compilare e presentare in altra seduta. Su proposta di un quinto dei componenti la commissione, si decideva poi di rimandare in aula il disegno di legge in esame.
Disegno di legge n. 730: «Autorizzazione al ministerci delle finanze (direzione generale del demanio) a partecipare alla costituzione di una società per azioni per la costruzione e l'esercizio di stabilimenti per lo sfruttamento di acque radioattive e oligominerali esistenti in alcuni comuni della provincia di Bolzano D. Intervento d i Sturzo nella quarantanovesima seduta (12 novembre 1954):
I n genere io sono contrario ad ogni partecipazione dello stato a qualunque azienda di carattere industriale o da industrializzare. Riconosco però che lo stato, in questo caso, potrehbe intervenire concorrendo alle spese occorrenti per convogliare le acque, contribuendo alla spesa delle riparazioni o ricostruzioni per i danni di guerra qualora ve ne fossero, o semplicemente come interviene in tutte le cose di carattere pubblico o d i interesse pubblico. Alla costituzione della società tra gli enti locali, gli enti autonomi di cura, gli enti turistici, dovrebbe provveder e la regione come se si trattasse di un'iniziativa di carattere loca-
le, senza includervi lo stato. Le aziende i n cui lo stato ha una sua partecipazione amministrano alla meno peggio perchè non hanno, rischi interessando lo stato agli eventuali deficit. Pertanto è meglio che lo stato ne rimanga estraneo e concorra solo alle spese d i derivazione delle acque e a quelle per la sistemazione. in Merano di quegli alberghi che diano anche alle classi piccole e medie la possibilità di usufruire di queste acque radioattive, escludendo dai concorsi statali i grandi alberghi dove alla finesi recano tutti quelli che hanno intenzione di fare dello sport anzichè di seguire una vera e propria cura. I n questo quadro. accetto la sostanza ma non la lettera della legge.
...
Ma a quanto pare si vuol dare a questo ente non solo il monopolio delle acque già accertate, ma anche delle future ricerche. È chiaro che tutto questo elimina la possibilità di iniziative da parte di privati che potrebbero fare una certa concorrenza e che potrebbero impiegare dei capitali per le. ricerche. Accetto pertanto l'osservazione del senatore Piola che in questa materia secondo la costituzione è competente la regione la quale ha il diritto di legiferare. ,Non ritenendo che ci sia urgenza a decidere in merito, propongo formalmente di. sospendere la discussione per migliore esame del disegno di legge. La richiesta d i sospensiva veniva respinta, e la legge approvata.
Disegno di legge n . 825: «Divieto di aumentare l'imposta sul' bestiame e modifica del n. 1 dell'articolo 30 del iestounico sulla finanza locale ». Nella discussione del disegno d i legge, già approvato dalla camera,. Sturzo interveniva nella cinquantasettesima seduta (25 febbraio 1955):
Anch'io mi debbo dichiarare contrario a questo disegno d i legge. È uno di quei disegni di legge che sono assolutamente disturbanti il sistema generale: non possiamo fare queste leggi d i categoria! I1 parlamento ha legiferato assai più per le categorie che per i l paese. Non abbiamo più le corporazioni fasciste, ma una specie di corporazioni parlamentaristiche.
Questo è u n punto di partenza che rende difficile l'amministrazione del nostro paese. Nè, d'altro lato, è possibile stabilire una legislazione identica dal nord al sud. Nel caso presente. viene messo u n fermo non all'attuale situazione delle supercontribuzioni già deliberate dai comuni, ma un blocco che impone anche delle riduzioni a partire dal 1956. Al chiarimento del sen. Minio che non si tratta di un blocco delle supercontribuzioni ma di un divieto:
Questa è una cosa assolutamente assurda ! Giustamente ha fatto osservare il senatore Minio che queste supercontribuzioni vanno approvate dalla giunta provinciale amministrativa, e sono quindi limitate alle condizioni locali del bilancio e della economia. Non dovrebbe essere possibile che questo apprezzamento locale venga abolito dalla nostra legislazione con una norma di legge. Prego pertanto la commissione di voler soprassedere, s e non vuole addirittura respingere questo disegno di legge. Poi vi è la questione dell'esenzione della tassa del vino e del vinello, che si distribuisce ai lavoratori: tassa che non grava certo sui lavoratori. Non credo che si possa amministrare la finanza locale in questa maniera, e perciò fo appello a l buon senso dei colleghi per evitare di approvare una legge così discutibile interferendo nelle competenze dei singoli comuni. Non so se tutti i colleghi conoscano la situazione dei comuni meridionali, e non parlo di quelli vicini a Napoli o a Salerno, o vicini al mare, ma di quelli dell'interno. Le loro condizioni sono assolutamente disastrose, se paragonate a quelle dei comuni dell'Italia del nord. Una delle cose più gravi, ad esempio, è la mancanza della nettezza urbana: mancano i mezzi, e perciò mancano i servizi. Viceversa gli impiegati comunali sono pagati ormai su uno stesso livello nazionale. Quando si concede u n aumento agli impiegati dello stato subito si stabilisce che i comuni hanno facoltà di aumentare a loro volta. Ma i mezzi non si danno. È vero, si dà solo la facoltà di aumentare, ma ben presto i sindacati si muovono (ed è giusto ed umano), premono. e non c'è amministrazione che non conceda l'aumento.
Tutto ciò va a discapito dei servizi: ho parlato della nettezza urbana, meglio non parlare del17illuminazione, dei servizi scolastici e di assistenza. Questa è una delle conseguenze del centralismo di stato. Qui si osserva che la legge non avrà effetto nell'alta Italia, ma nel mezzogiorno. Ebbene, se si vuole approvare, si provveda a dare ai comuni un'entrata corrispondente alla perdita. Propongo, pertanto, il seguente ordine del giorno: « La 5" commissione finanze e tesoro del senato, reputando necessario che i l disegno di legge d'iniziativa del deputato Bonomi ed altri 'Divieto di aumentare l'imposta sul bestiame e modifica del n. 1 dell'articolo 30 del testo unico sulla finanza locale ' (825), venga integrato ai provvedimenti compensativi delle perdite che verranno ad essere sopportate dai comuni, con entrate equivalenti, invita il governo a fare le proposte del caso n. L'ordine del giorno Sturzo veniva respinto, e il disegno di legge approvato, con il voto contrario di Sturzo.
Disegno di legge n. 94%: « Provvedimenti per la chiusura della liquidazione del ' Fondo per il finanziamento dell'industria meccanica (F.I.M.) 'D. Nello sessantadursima seduta (21 aprile 1955), Sturzo interveniva:
Io desidero che sia chiarito bene quale fine abbia questo disegno di legge. Secondo me, sarà possibile la liquidazione di qualche azienda di terza o quarta categoria, antieconomica, che è molto meglio eliminare; vi è anche lo scopo d i mantenere u n comitato, che non è una entità, ma solo un'agenzia, come la chiamano gli inglesi, cioè una amministrazione, fino a che si passeranno le aziende ad un ente statale. E siccome tra tutti gli enti irresponsabili, ce n'è uno irresponsabile per eccellenza, a tale ente saranno affidate. Questo credo di aver capito.
... -
r e r rispondere anzitutto alle osservazioni dei presidente, dehbo dire che la nomina di questo comitato era, secondo la
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legge del 1950, fatta con decreto del presidente del consiglio, d'intesa con il ministro del tesoro e con quello dell'industria. -Ora se con la formula proposta dovesse essere mantenuto esclusivamente i1 tesoro, non è u n inconveniente che possa essere rilevato in questa sede. Sul mantenimento in vita del comitato credo che siamo d'accordo. La questione è, secondo me, un'altra: cioè che la liquidazione d i questi enti non si possa attuare sul serio, o almeno che non sia possibile una liquidazione e una cessione a privati che siano in grado di rilevare le aziende del F.I.M. E tra le righe, ci sarebbe, nelle intenzioni ministeriali, i l passaggio all'I.R.1. Io mi permetto di fare osservare che. portata l a questione della commissione consultiva sopra u n terreno politico, noi possiamo correre il pericolo di scivolare; ragione per cui credo che non sia interesse nè dell'una parte nè dell'altra discutere il problema su questo piano. Leggendo i l testo del relatore ho trovato anzitutto, per questo affare della commissione, che si tratta di poteri che si intendeva e si intende che rimangano, perchè si fa u n richiamo alla legge del 1950. Quindi io non la ripeterei, ma non la escluderei. Di più: come è formulato qui questo articolo, con un richiamo due volte alla legge delle nomine, dà l'impressione che si debba fare una nuova nomina da parte del presidente del consiglio dei ministri e dei ministri del tesoro e dell'industria e commercio. Io non troverei assolutamente giusta e esatta, dal punto di vista della formulazione giuridica. la proposta fatta d a l relatore; ma proporrei di sostituire l'articolo con i l seguente: « I poteri del comitato nominato in base agli articoli 2 e 3 della legge 17 ottobre 1950, n. 840. vengono prorogati oltre il termine del 31 dicembre 1954 previsto dalla legge 17 dicembre 1953, n. 915, per ~ r o c e d e r e ,in base alle norme della presente legge, al realizzo delle attività del fondo per il finanziamento all'industria meccanica ed il versamento al tesoro dello stato n. I n questa formula c'è tutto e la commissione rimane nella condizione in cui si trovava allora. nè più nè meno.
D'accordo col governo presento questo nuovo emendamento sostitutivo dell'articolo 1: «Sono prorogati fino all'entrata in vigore della presente legge i poteri del comitato nominato in base agli articoli 2 e 3 della legge 17 ottobre 1950, n. 840, prorogata dalla legge 17 dicembre 1953, n. 915, Lo stesso comitato. procederà, i n base alle norme della presente legge, a l realizzo delle attività del fondo per il finanziamento all'industria meccanica e al versamento al tesoro dello stato D. L'emendamento veniva approvato.
Rilevo che questa legge, a differenza delle precedenti, è senza termine ed il ministero del tesoro non ha voluto fissare un termine evidentemente per non essere posto in ridicolo, poichè noi abbiamo avuto quattro termini e non si è chiusa mai l a liquidazione. Se noi richiediamo rendiconti « annuali » diamo già p e r scontato che questa liquidazione chissà quando si farà, mentre si vuol dare l'impressione, relativamente alla liquidazione, d i un acceleramento dei tempi. Propongo quindi la formula: «rendiconti parziali e finali a richiesta del ministero del tesoro ». L'emendamento, cui si associava i2 senatore Tomè, veniva approvato. Sempre su proposta di Sturzo, veniva più oltre soppresso l'articolo 6 del disegno di legge.
Proporrei, a questo punto, il seguente articolo aggiuntivo: « I1 rendiconto della gestione del F.I.M., successiva al 31 dicembre 1954 e fino alla data di entrata in vigore della presente legge, dovrà essere presentato dal comitato al ministro del tesoro entro tre mesi dalla data stessa ». L'articolo aggiuntivo era approvato, come pure il disegno di kgge nel suo complesso.
Disegno di legge n. 1029: u Indennità spettanti al personale dell'amministrazione autonoma dei monopoli di stato, addettc z!!e cvbirazioni dei tabacchi, per i servizi resi nell'ambito della circoscrizione n.
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Nella sessantaquattresima seduta (8 giugno 1955), Stmzo presentava un ordine del giorno che non veniva però accolto dalla commissione:
Ho formulato il seguente ordine del giorno di cui dò lettura: « I disegni d i legge a carattere strettamente amministrativo dovrebbero essere classificati e redatti come autorizzazione d i maggiori spese e non come competenze e diritti riconosciuti a l personale; si invita pertanto i l ministro proponente a modificare, di conseguenza, i l disegno di legge n. 1029 ». Perchè, infatti, questi disegni di legge vengono in parlamento? Esclusivamente per gli effetti finanziari, cioè previsione, stanziamento, autorizzazione di spese. Tutto il resto è di natura amministrativa e il provvedimento legislativo serve solo a garantire i ministri, i direttori generali, ecc. Questo è assolutamente inconcepibile. Tutte le volte che io faccio queste osservazioni mi si oppone la legge sulla contabilità dello stato. Rispondo allora che que,sta legge riguarda proprio la previsione di spese e non il regolamento delle spese. 11 disegno d i legge veniva poi approvato.
Disegno di legge n . 1001: Norme integrative riguardanti la gestione dei finanziamenti statali o garantiti dallo stato ». Sturzo interveniva nella discussione della settantunesima seduta (26 .ottobre 1955):
Sono molto perplesso sulla portata di questo disegno d i legge e ritengo che bisogna che chiariamo bene la situazione. Si tratta di 500 miliardi di operazioni fatte: se le mie informazioni sono esatte lo dirà i l rappresentante del governo. I n sostanza credo che l'andamento dei recuperi vada abbastanza bene, se è vero che solamente 16 miliardi entrerebbero in discussione in rapporto all'applicazione dell'articolo transattivo d i questo disegno di legge. I quali 16 miliardi potrebbero anche essere d i meno perchè secondo l'andamento, diciamo così economico e finanziario e le contingenze che ci sono state in questo periodo, ci sarebbe da bene sperare.
Per esempio, mi si assicura che si era fermato il pagamento da parte delle industrie navali; dopo qualche tempo invece si è ripreso a regolare i pagamenti. Ci son invece ora altre industrie che hanno una stasi, quali ad esempio, quella estrattiva zolfiera e quella dei piccoli pescherecci, che si trovano in condizioni molto dificili. Tutto i l guaio di questo disegno di legge da che cosa viene? Da una convenzione mal concepita da parte del tesoro con l'l. M.I. Quando si fecero le operazioni con i banchi del mezzogiorno, si diede a tali banchi una percentuale d i più per coprire il rischio ma la responsabilità del rischio per i primi dieci miliardi fu per il 30 per cento a carico dei banchi e per il 70 per cento a carico dello stato; per gli altri 30 miliardi il rischio f u diviso rispettivamente al 50 per cento, ma i banchi ebbero la facoltà di fare tutte le operazioni di rinvio, di transazione, sotto la loro responsabilità. Per ogni singola operazione vi è stata l'approvazione con decreto da parte del tesoro per emettere la somma attribuita alle varie ditte. Tutto il resto è una operazione bancaria con la responsabilità della banca. Io ho domandato al banco di Sicilia se fino ad oggi hanno avuto delle perdite accertate. Sino a questo momento perdite non ce ne sono state; ci sono state invece delle proroghe, delle garanzie suppletive ottenute, ma non ci sono state perdite per la quota sui 40 miliardi attribuiti a l banco di Sicilia, in misura del 29 per cento. Invece con l'I.M.I. cosa è avvenuto? L'I.M.1. è stato esonerato da qualunque responsabilità; l'I.M.1. ha fatto l'istruttoria e le operazioni per conto del tesoro. I n questo caso, pertanto, la responsabilità se l'è presa il tesoro al 100 per cento, mentre I'I.M.1. ha avuto una percentuale che, credo, arrivi quasi all'uno per cento. Ci sono delle disposizioni nella convenzione per cui si arriva quasi a questa percentuale. Quindi l'I.M.I. se ne è lavate le mani ed è i l tesoro che risponde e che si trova oggi impegnato, in quanto tesoro, ad applicare in queste operazioni la legge sulla contabilità generale dello stato con i limiti e i rigori che essa comporta. Se è vero che sono solamente 16 miliardi su 500 il cui re-
cupero è in difficoltà, debbo dire che è una percentuale abbastanza discreta, non comunque eccessiva. Occorre, insomma, chiarire bene il punto di partenza: debbo deplorare che si faccia una simile operazione per cui il rischio lo prende interamente il tesoro, cioè che si operi in materia economica privatistica con la garanzia totale del tesoro. Questa è una delle cose più deplorevoli che siano state fatte. È comunque fatto, non c'è che dire! Ora il rimedio qual'è? Per me evidentemente sarebbe questo: di attribuire agli interessati, vale a dire medio credito e cassa per il mezzogiorno, che sono i principali interessati ai rientri, la maggior responsabilità. Agite voi nell'interesse vostro: questo dovrebbe essere i l concetto del disegno di legge, è chiaro. Però nel prowedimento vi è un articolo che fa riferimento alle finalità economico-sociali dei finanziamenti. Che cosa vuol dire? Voi adesso aprite questa maglia e allora non saranno più i 16 miliardi che si avvantaggeranno dall'applicazione di questa norma di legge, ma saranno molti di più, perchè tutti diranno: ' ma io mi trovo in condizioni economico-sociali tali che mi fanno rientrare nei casi previsti da questa norma di legge; abbiate quindi la bontà di darmi una transazione, una proroga '. Vedrete che cosa verrebbe fuori! Pertanto i l disegno di legge andrebbe limitato ai casi dei 16 miliardi e non agli altri. Per quale ragione infatti dobbiamo estendere a 500 miliardi uii privilegio che oggi si può restringere esclusivamente ai 16 miliardi'? Domando questo al tesoro perchè non ne trovo u n motivo adeguato. E mi fermo qui, perchè mi riservo in sede di discussione dei vari articoli di proporre qualche emendamento inteso a migliorare un provvedimento di legge che non si presenta soddisfacente.
Una prima interruzione che avrei voluto fare era questa, che cioè la cassa per il mezzogiorno è garantita al cento per cento dallo stato. Quindi la cassa per il mezzogiorno non dico che non voglia cooperare ad amministrare bene i denari dello stato, ma il fatto è che anche se il recupero non awiene per
intero, la cassa per i l mezzogiorno può stare tranquilla della garanzia avuta. La seconda osservazione che avrei voluto fare è questa. Io ho fatto non una proposta, ma ho suggerito l'idea di non estendere questa legge a tutte le operazioni fatte, perchè psicologieamente sarebbe u n grave errore. Occorre, invece, prowedere con questo disegno di legge esclusivamente a quei casi di morosità che voi avete riconosciuto degni di aiuto: allora è u n altro paio di maniche, sono solo 16 miliardi! Per quale ragione non ci date l'elenco delle operazioni fatte? Questo sarebbe un punto di partenza. C'è un segreto bancario, 1'I.M.I. non dà questi nominativi: così si potrebbe rispondere. Ora l'I.M.I. quando si tratta di fare le operazioni non assume nessuna responsabilità, mentre quando si tratta di dare i nomi non li dà perchè c'è il segreto bancario! Io desidererei, concludendo, che la portata della legge aia solo per coloro i quali oggi, non domani, si trovino in condizioni di morosità per motivi accertati e giustificabili. Il seguito della discussione del disegno di legge veniva rimandato ad altra seduta in sede deliberante. La seduta era la settantaquattresima (10 novembre 1955), e Sturzo dichiarava:
Comincio col ricordare che nel 1949, quando sono stati dati i 100 miliardi di prestito alle industrie sul piano E.R.P.,i in seguito ad alcune dichiarazioni fatte da industriali e dati gli umori che c'erano in quel momento, scrissi un articolo in cui dissi: questi prestiti saranno fatti ma non saranno pagati. F u un articolo che fece molto rumore e che sollevò lunghe discussioni. Io parlai di 100 miliardi e Il Tempo d i Milano disse che avevo sbagliato parlando d i 100 miliardi, perchè si trattava di 100 milioni. I o replicai che si trattava in realtà di 100 miliardi. Ho voluto ricordare questo episodio perchè il disegno di legge a l nostro esame mi riporta a quell'epoca, nonchè a quell'ambiente d i gente che voleva prendere i prestiti ma che aveva poca volontà di pagarli. Ora non dico che siamo arrivati a quesio, per&& per fortuna ci sono state due leggi, quella per la cassa per il mezzo-
giorno e quella per il medio credito, per cui una buona metà dei prestiti industriali sono passati in gestione ai due istituti. I1 tesoro, che suole essere un po' facile a non riavere i denari (interruzione del ministro del tesoro) Non parlo del ministro Gava certamente ! Casi di più larghe elargizioni ci sono, e così pure di poca cura per il recupero e per le spese per gli enti statali. Ecco l'accusa che faccio al tesoro. Ma tornando al disegno di legge in esame adesso che cosa si fa? Si apre una porta e si dice a tutti i creditori: è aperta per voi una porta per ridurre il debito. Iii verità, sopra quasi 500 miliardi, si tratta di 16 miliardi che hanno sospeso i pagamenti. Ma allora teniamo conto di qiiesti 16 miliardi, facciamo un elenco di questi mutui e facciamo un provvedimento speciale, ma non apriamo la porta per tutti sotto l'etichetta di finalità economico-sociali. Perchè in tal maniera si potrebbero sobillare gli operai per poter ottenere il beneficio delle proroghe, delle transazioni e degli abbuoni. Quanto alla questione della garanzia dello stato per 150 miliardi (95 miliardi per la cassa per il mezzogiorno e 80 miliardi per il medio credito) debbo osservare che tali istituti, anche se usano larghezza con i creditori, non perderanno nulla. Saranno ottime persone, ottimi amministratori, quelli di questi istituti, ma non avranno stimolo sufficiente al recupero dei crediti.
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Se il ministro insiste nel concetto di autorizzare le transazioni per tutti si dovrebbe portare il disegno di legge in aula perchè abbia la dovuta pubblicità che qui non ha. Noi, secondo la costituzione, dovremmo essere oggi in seduta pubblica, perchè le sedute deliberanti delle commissioni dovrebbero essere pubbliche, mentre ora non lo sono, ed è questo un sistema deplorevolissimo dal punto di vista costituzionale. Noi non possiamo far sentire mai al pubblico le cose come stanno!
... Per chiarire bene la questione ho voluto riesaminare la legge
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18 s ~ n a z o S c r i t t i 0iuridiei.
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con cui furono assegnati questi 85 miliardi, cioè la legge istitutiva del medio credito, del 25 luglio 1952, n. 949. Dice questa legge all'articolo 20: I1 fondo di dotazione dell'istituto è d i lire 60 miliardi. A costituirlo si provvede: a) per lire 15 miliardi, mediante versamento da effettuarsi dal tesoro dello stato a carico del bilancio dell'esercizio 1951-52; b) per lire 45 miliardi, mediante trasferimento all'istituto, nel limite di tale importo, delle somme nette derivanti dai rimborsi che atnuiscono al tesoro dello stato per capitale e interessi, sui finanziamenti concessi a norma dell'articolo 3 della legge 18 aprile 1950, n. 258 1). Mi sembra che non ci sia da dire: i l fraseggio dell'attuale testo a l nostro esame, rispetto alla norma di legge che vi ho letta, non corrisponde esattamente. Si dovrebbe invece dire: « A modifica dell'articolo 20 della legge 25 luglio 1952, n. 949, invece delle somme nette derivanti dai rimborsi clie affluiscono al tesoro dello stato, per capitale e interessi », ecc. ecc. Ma allo stato attuale è modificato l'articolo fondamentale di quella legge, non c'è dubbio! S..
Vorrei osservare al collega De Luca che questo articolo (l'art. 3) non riguarda tutti i crediti del tesoro, ma quelli che abbiamo fino a questo momento autorizzati e ceduti alla cassa per il mezzogiorno e al medio credito; a costoro abbiamo dato invece di una somma liquida una massa di crediti. E questi crediti devono essere amministrati dai predetti istituti nel loro interesse e per una buona parte nell'interesse del tesoro. Vi è poi un comitato interministeriale che deve dare i l suo parere. Che ci staremmo a fare quindi noi parlamentari? Non si tratta di una vigilanza politica, ma puramente esecutiva: e il comitato ci dà tutta la garanzia possibile; perciò non ritengo opportuna un'interferenza parlamentare, che sarebbe prettamente politica. Dei 250 miliardi di cui all'articolo 4, dei quali ha la gestione il tesoro, riparleremo in sede opportuna. E, a proposito, desidererei sapere dal governo a quanto ammontano le morosità che abbiamo ceduto alla cassa per il mczzogiorno e quelle che cederemo al medio credito. Znterveniria ancora nella settantacinquesima seduta ( 1 7 novembre 1955),
proponendo piccoli emendan~enti, accettati dalla commissione. I n quelln seduta il disegno rli legge veniva poi approvato.
Con interventi più brevi Sturzo partecipaua alla discussione di numerosi nltri disegni di legge. Per essi, rimrindiamo all'indice generale dell'attività pnrlamentare di Stitrzo, pubblicato in fondo a questa appendice.
Sturzo veniva nominato membro nnche di commissioni speciali, e precisamente nel 1953 della commissione speciale per l'esame del disegno di legge n . 156-urgenza: « Provvidenze per le zone colpite dalle recenti alluvioni in Calabria D; nel 1954, della commissione speciale per l'esame del disegno di legge n. 562: « Attuazione di iniziative intese ad incrementare la produttività D; e nel 1955 della commissione jpeciale per l'esame del disegno di legge n. 947: « Provvedimenti straordinari per la Calabria D. Nella discussione del prinio disegno di legge, Sturzo interveniva nella quarta riunione (27 novembre 1953):
Leggo nel disegno di legge governativo che la discriminazione per l'ammissione al contributo è fatta sulla base dell'imponibile per le imposte d i ricchezza mobile e complementare progressiva. Ora, dato che questo limite dell'imponibile è abbastanza basso, ritengo che le preoccupazioni dei colleghi siano in parte giustificate. Se invece si stabilisse un imponibile maggiore, a mio avviso, la discriminazione sarebbe d i più facile attuazione, perchè l'imponibile non si riferisce solo alle case, ma può riferirsi anche al podere e ad altri piccoli redditi, per cui può esserci benissimo il proprietario d i una povera casupola distrutta che abbia invece un podere che gli renda qualcosa di più. Pertanto, se si vuole mantenere ad ogni costo dal governo questa distinzione, io propongo che i limiti dell'imponibile siano un po' elevati.
...
Non sono in grado di fare una proposta concreta i n tal senso; mi rimetto pertanto a quei colleghi che conoscono meglio di me le differenze tra l'imponibile e le condizioni proprie degli immobili nelle zone colpite. Mi fa osservare il collega Romano che in alcune zone sono
stati danneggiati gli agrumeti, e per rifare un agrumeto ci vuole del tempo. Si tratta insomma di considerazioni di carattere tecnico sulle quali non sono in grado di avanzare una proposta concreta.
L'intervento del professor Medici tende a precisare che il reddito dominicale, così com'è stato stabilito, risulta alquanto basso. L'altra questione riguarda le case. Anche questo punto non mi sembra discriminabile: se i colleghi insistono nel voler sopprimere la percentuale del 40 per cento, ritenendo che non vi sia stato il danno per la proprietà più solida, ma solamente per le piccole casette rurali, io devo limitarmi alle affermazioni dei colleghi - non conoscendo .le cose per conoscenza diretta e ad associarmi alla loro richiesta.
Prendo la parola per rivolgere una preghiera alla commissione; si sta facendo una lunga discussione sulla modifica che ci viene presentata, mentre in sostanza nessuno sul momento pub (lire quale .sarebbe il maggiore onere derivante allo stato dall'emendamento rispetto a quello fissato nel disegno di legge. A me sembrerebbe, dopo aver nuovamente esaminato i due tesli, che le differenze non dovrebbero essere molto gravi; ma è un'impressione sulla quale non abbiamo elementi concreti per giudicare. Se rinviamo l'attuale discussione, qualcuno potrà portare elementi almeno approssimativi, che ci forniscano la base per un giudizio. I1 senatore Spagnolli ha detto opportunamente: io, che 110 un'esperienza per quanto riguarda le case in Calabria, accetterei il testo del governo. Ad ogni modo un'indagine sulle differenze tra i due testi dal punto di vista finanziario dovrebbe essere svolta, anche per vedere se l'emendamento merita tutta la discussione che stiamo svolgendo. Per questo motivo appoggio la proposta d i rinvio della discussione dell'articolo 1 ad altra riunione. La proposta di rinvio ceniua accettata.
Nella discussione del secondo disegno di legge ( n . 562), Sturzo interceniva nella seconda e terza seduta ( 9 e 14 luglio 1954):
Riguardo alla proposta d i sospendere la discussione del disegno di legge per formulare u n ordine del giorno d i applicazione, debbo dire che ciò non mi sembra possibile perchè gli ordini del giorno non sono interpretativi della legge. Dobbiamo avere il senso di quelli che sono gli atti legali che impegnano e quelli che sono gli atti che non impegnano. Un ordine del giorno è soltanto una indicazione e, se è accettato dal rappresentante del governo. si forma allora una specie d i volontà collettiva di attuarlo, ma è u n impegno il quale non può essere reputato strettamente obbligatorio, se non come u n indirizzo politico, al quale si accede da parte del governo. Ed allora noi dobbiamo cercare di formare questa opinione tra i rappresentanti della 5' commissione, il rappresentante del governo e la nostra commissione. Prima di arrivare a questo concordato noi stessi dovremmo trovare gli elementi che possiamo ritenere accettabili. Quindi vi è bisogno di una deliberazione del parere della 5" commissione pcr la formulazione d i u n ordine del giorno, per il quale si dovrebhe dare incarico non ad un'assemblea così formata come la nostra commissione, ma ad esempio al nostro presidente, al relatore e a qualche altro membro della commissione che dovrebbero mettersi d'accordo col governo e col presidente, col relatore del parere e con qualche altro membro della 5" commissione per formulare una proposta di ordine del giorno la quale sia indicativa di norme di esecuzione e non interpretativa della legge. Per poter far questo ci vogliono dei giorni, ma è molto meglio che questo iter sia fatto prima della prossima seduta di questa commissione, nella quale solo noi come commissione dovremmo deliberare perchè quando siamo in sede deliberante rappresentiamo in sostanza l'assemblea del senato, e quindi anche tutte le commissioni parlamentari. Non è dunque detto che non rappresentiamo anche la 5" cammissione dal punto d i vista legale ~ e r c h èabbiamo tutti i poteri
compresi quelli della Sa commissione e siamo legalità. Le trattative possono essere fatte a l di assemblea, ma non come potere che viene ripeto, la nostra assemblea è una assemblea presenta tutto il senato.
nei termini della fuori della nostra da noi, perchè, sovrana che rap-
L'ordine del giorno in questione veniva esaniinato nella riunione successiva, e Sturzo osservava:
Io sono favorevole all'ordine del giorno di cui ci ha dato lettura l'onorevole relatore. Se debbo fare su di esso un'osservazione, è semplicemente una osservazione, dirò, di squisitezza legislativa. Al numero 2" del suddetto ordine del giorno, si dice: (C erogare la somma prevista dall'articolo 4 a favore della agenzia europea della produttività istituita presso 1'O.E.C.E. solo su motivi di carattere i,nternazionale ». Ora quella parola «solo », messa così. può dare l'impressione, essendo seguita dalle parole motivi di carattere internazionale P, che si possa supporre esservi dei motivi di carattere internazionale che in realtà non siano tali. Anche le parole « motivi di carattere internazionale » non mi soddisfano molto. I o avrei visto più volentieri le parole « per ragioni di carattere internazionale ». Comunque desidero far soprattutto rilevare come quella parola «solo » non sia opportuna, perchè, ripeto, potrebbe dare l'impressione che il governo possa fingere che siano di carattere internazionale quei motivi che in realtà non avrebbero tale carattere, ipotizzando, quindi, una responsabilità che non è attribuibile al governo. I n sostanza, la parola (C solo darebbe l'impressione d i una riserva, di una diffidenza che nè in una legge nè in u n ordine del giorno sarebbe di stile. Debbo aggiungere che l'ordine del giorno può essere approvato dopo aver approvato gli articoli del disegno di legge e non prima: approvando la legge noi abbiamo la cura di aggiungere con quali criteri debba essere applicata dal governo.
...
Crecio che sarebbe bene evitare un equivoco. Quando si dà mandato ai governo di fare aicunchè, ie norme di esecuzione. debbono esser conosciute o per via di regolamento, o per mezzo
di circolari o con decreto. Evidentemente il controllo del parlamento rimane. Noi avremo un controllo postumo, ma possiamo chiamare il governo a rispondere se quel che ha fatto segue o meno quelle norme direttive che il parlamento ha indicato doversi seguire nella applicazione della legge. I1 controllo parlamentare sul governo è molto meglio che sia presente e attivo sempre, per le direttive date in sede politica assai meglio che pei limiti legislativi assegnati a priori con i l pericolo d i sbagliare. Mi pare che sia molto meglio il controllo durante il periodo di esecuzione della legge, invece che proporre dei freni che non sappiamo se funzioneranno O meno. L'ordine del giorno veniva poi accettato dalla commissione e dal rappresentante del governo. Il disegno di legge veniva approvato.
Sturzo interveniva infine nella discussione del disegno di legge n. 947, nella quinta seduta (20 aprile 1955):
Non ho potuto partecipare alle discussioni precedenti; e me ne dispiace. Desidero ora prospettare solo due questioni di carattere procedurale. In primo luogo, credo che non sia necessario sospendere l a discussione dell'articolo 1, perchè nell'articolo 1 non si stabilisce la c i h a ; la somma viene stabilita, invece, in altri articoli. Può essere opportuno avere a propria disposizione la relazione della commissione tecnica, per quanto riguarda i piani effettivi e per quanto riguarda l'impegno di spesa da affrontare, ma ciò esclusivamente agli effetti della somma che si deve stanziare e che deve essere prevista per i diversi esercizi futuri. Quindi l'articolo 1 potrebbe essere discusso adesso, apportandovi quelle modifiche che la commissione riterrà necessarie, ed infine anche essere approvato. Vi è poi la seconda questione, cioè quella dell'ultimo comma dell'articolo 1. Ora io sono perplesso per quanto riguarda l'accenno in esso contenuto alle costruzioni delle ferrovie; mi sembra che le strade £errate non debbano essere incluse in questo comma, ma debbano essere guardate nella loro specia-
lità da parte del ministero dei lavori pubblici, se si tratta di nuove costruzioni, o del ministero dei trasporti se si tratta di adattamenti o di correzioni delle attuali linee. Mi pare, insomma, più adeguato che questa questione venga trattata a l di fuori del presente disegno di legge. Oltre tutto, noi dobbiamo considerare il fatto che le linee secondarie non rivestono una particolare importanza, allorcliè è possibile costruire delle strade che possono essere adatte a servizi di linea, che possono svolgere un migliore compito nei contatti tra comune e comune, villaggio e villaggio, frazione e £razione. I n sostanza, quindi, io proporrei di procedere alla discussione e all'approvazione dell'articolo 1, lasciando impregiudicata la cifra, che del resto non è indicata nell'anzidetto articolo. ma che potrà essere determinata dopo che noi avremo avuto comunicazione del rapporto della commissione tecnica. I disegni di legge mancano spesso di piani tecnici e di piani economici, e le previsioni sono limitate all'entità della spesa da autorizzare. Ora noi diciamo: concediamo 204 miliardi per questo, oppure per quest'altro; ma la cifra non è giustificata da una relazione che ci dia almeno un indice. non dico esatto, perfetto, rna u n indice idoneo ad arrivare a cifre maggiori o minori con qualche approssimazione all'effettivo importo. I n conclusione. i l finanziamento è u n problema da trattare a parte, mentre con l'articolo 1 si fissa la finalità del disegno d i legge. Quando abbiamo stabilito la finalità del disegno di legge allora la previsione sarà in corrispondenza a quel che si vuole realizzare. Il seguito della discussione del disegno di legge veniva poi rimandato o successiva seduta.
111. LEGISLATURA
DISCORSO SULLE COMUNICAZIONI DEL GOVERNO (*) Onorevole presidente, colleghi, avendo la costituzione fissato parità completa fra le due camere, anche i l senato deve conchiudere con u n voto la discussione sulle comunicazioni del governo. Non è accaduto nelle due precedenti legislature che i l senato abbia espresso sfiducia a qualcuno dei dieci governi succedutisi fin oggi, mentre la camera dei deputati solo per due volte espresse voto contrario. Noto il fatto per darvi rilievo, trattandosi non certo d i proposito avuto d a l senato a non esercitare u n suo diritto, ma del valore d i certi elementi spontanei ed inconsci che conducono gli istituti a precisare il proprio carattere e la propria speciale funzione. I n tutte le costituzioni precedenti e attuali, il senato non è uguale alla camera dei deputati; ora prevale (come negli Stati Uniti) ora integra (come nella Gran Bretagna) ora affianca (come nella Francia). Da noi si è creato u n duplicato, il quale, p u r soffrendo i l complesso della parità, tende istintivamente a caratterizzarsi. Avrò agio d i sviluppare tali idee in u n disegno di legge che mi son prefisso di presentare. Qui mi hasta notare che al voto del senato sul nuovo governo dò poca importanza, non reputando che sia il caso d i prendere la iniziativa d i u n rovesciamento già scontato in partenza. nè d i u n consolidamento, che non avrebbe effetto, se i partiti interessati decidono d i rendere difficili e brevi i giorni del hipartito. I1 programma governativo. così denso d i promesse, anche se i mezzi non sembrano sufficienti ai fini, mostra sicurezza d i (*) 11. gabinetto Fanfani.
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lunga vita tale da dover superare, se fosse possibile, i cinque anni della legislatura. Ma per la congenita debolezza di un bipartito minoritario è lecito prevedere qualche scossone fra alcuni mesi, nonchè u n nuovo e più copioso elenco di propositi, non sempre a proposito, per aggiustare l'organismo statale e le molteplici dipendenze. Pertanto, a scopo di affermazione che valga per questo O per altri governi della terza legislatura, mi soffermo anzitutto su alcuni punti che interessano la struttura e la funzionalità del parlamento, quale principale e sintetizzante organo della repubblica italiana. Primo e urgente problema da risolvere è quello della possibilità procedurale d i apportare modifiche alla costituzione. Si è visto, per prova, che non solo non vi è concordanza d i opinioni sulla procedura delle due letture, ma per giunta manca la possibilità legale di una approvazione definitiva che modifichi di una virgola la legge costituzionale, se nelle seconde votazioni delle due camere non vengano raggiunti i due terzi dei componenti, mancando fin oggi la legge sul referendum. Governi e partiti sono stati nel passato restii a condurre in porto una simile legge, non tanto per cattiva volontà, quanto per le difficoltà giuridiche e tecniche da superare, senza che venga modificato lo stesso disposto costituzionale. Non è questo i l solo caso, per il quale i costituenti, nel voler fare bene, fecero troppo; per cui, volendo emendare il disposto sul referendum, occorre avere già funzionale e integra la relativa legge di esecuzione ed applicarla, se nella seconda votazione non sarà stato raggiunto il quorum dei due terzi dei componenti. O bere o affogare. I1 nuovo governo ha fatto bene a promettere di presentare, e speriamo presto, il relativo disegno d i legge. Sarebbe anche opportuna una discriminazione fra l e disposizioni fondamentali della costituzione, le modifiche delle quali sarebbero da sottoporre alla volontà popolare nel caso d i mancato voto dei due terzi, e le altre disposizioni d i carattere organico ed esecutivo da non poter essere qualificate come costituzionali. Fra queste seconde disposizioni io metterei quella della im-
munità parlamentare. I1 disposto dell'articolo 68, secondo capoverso, è un vecchio relitto dell'antico regime per sottrarre i parlamentari all'arbitrio dei monarchi; oggi è un privilegio per sottrarre i parlamentari alle responsabilità assunte con i propri atti; dovrebbe quindi essere modificato; ma chi può ritenere necessario un referendum per simile questione? È evidente che una revisione occorre, anche per l'asserita rigidità della nostra costituzione, rigidità più teorica che pratica, perchè il costume e la prassi sempre attenuano i disposti letterali; difatti la stessa corte costitiizionale, ora tende a renderla più rigida e ora invece assai flessibile, secondo le oscillazioni dei criteri informatori delle decisioni. A ben poco servirebbero le opportune o necessarie modifiche costituzionali, se gli organi che debbono eseguire la costituzione e approvare le leggi non rispondono alla funzionalità voluta e ai fini di uno stato di diritto, libero e democratico. Ora a me ,sembra che, nonostante la cura avuta dagli illustri presidenti di questo consesso e dall'attuale presidente, al quale vanno i miei omaggi riconoscenti e rispettosi, esistono tuttora motivi e disposizioni che turbano il regolare funzionamento parlamentare. Anzitutto è da cercare (con una più rigida interpretazione del disposto costituzionale) di ovviare all'inconveniente che deriva dalla funzione deliberante delle commissioni; facoltà attribuita, fra tutti i parlamenti antichi e moderni, esclusivamente a quello della nostra repubblica; e voluta dai costituenti per una concezione erronea dell'utilità di numerose leggi e della facilità di approvarle; mentre è saputo che poche leggi e buone valgono assai più che molte leggi fatte in fretta; e la facilità di legiferare attenua la qualità del prodotto. A me sembra che i partiti e i sindacati abbiano inoculato nelle vene dei loro adepti una pressochè infantile fiducia nel potere magico delle leggi. Nelle due passate legislature sono state varate a migliaia Ieggi e leggine. mentre in Inghilterra se ne varano poco più di un centinaio all'anno. È legittimo dubitare che così stragrande mole di leggi possa essere facilmente eseguita, mentre si ha l'impressione, non del tutto infondata e già diffusa nel paese, che molte leggi siano state fatte ad per-
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sonam o a d categoriam, con vero carattere privatistico. I colleghi sanno bene quante proposte d i legge sono da definirsi personali per via delle lettere di sollecitazione che ricevono. Non parliamo delle leggi a tipo regolamentare, preparate dalla burocrazia in modo da attenuare le proprie responsabilità, ovvero fatte per assecondare l'istinto del parlamento che tende ad invadere il campo dell'esecutivo. Una buona percentuale di tali leggi sono d'iniziativa parlamentare; è da invocare una disposizione che ne regoli la presentazione, affinchè quei disegni d i legge che comportano spesa vengano preliminarmente sottoposti al parere di una commissione, una specie di giunta del bilancio che dovrebbe istituirsi, e ciò sia per l'esatta applicazione dell'articolo 81 della costituzione, sia per gli impegni già presi con leggi precedenti, sia per l'iscrizione in bilancio di spese non previste. Non potrei terminare questo punto, senza notare u n inconveniente di un certo rilievo e ancora non eliminato, anzi aggravato dal numero dei disegni e delle proposte di legge; cioè il ritardo ovvero l'omissione del parere richiesto alle commissioni permanenti e relativa relazione. È un metodo ostruzionistico ed è il modo più usuale di insahbiamento, che può es'sere occasionale, ma anche voluto sia da gruppi politici, sia dal governo. È vero che i regolamenti prevedono il rinvio in aula senza la relazione della commissione; ma il risultato normale è quello d i assegnare alle commissioni altro termine, ovvero, peggio ancora, d i mettere le proposte di legge nell'elenco d i quelle rimandate sine die. La mia opinione sul complesso legislativo delle due legislature non conta molto; ma conta quella dei giuristi e quella dei cittadini; i primi trovano molti rilievi giuridici e sistematici da dover fare; i cittadini si sentono ogni giorno più legati da u n vincolismo legislativo e regolamentare insopportabile e perfino contraddittorio; si ha l'impressione che la libertà che rimane sia solo quella d i mormorare e protestare. Una funzione specifica e caratteristica che dovrebbe avere il senato è proprio quella d i garantire il cittadino contro tutte le sopraffazioni, le ingerenze, ie pasroie iegislriiive che, cun la migliore intenzione di riformare il mondo, si vanno intro-
ducendo in questo periodo di rinascita di libertà, di affermazione di diritti, di aspirazione al miglioramento della vita. È proprio il senato l'istituto che dovrebbe ridare fiducia nello stato, vigilando sulla pubblica amministrazione, curando l'equilibrio dei poteri e assicurando al cittadino la garanzia contro lo strapotere degli enti pubblici. Da queste premesse deriva la necessità di una legge che riformi il senato nella sua struttura e funzionalità. 11 governo ha il proposito di portare avanti la riforma del senato. Clii parla h a già ristudiato il problema e si affretterà a presentare un proprio testo, ~ e r c h ègiovi alla definitiva formulazione delle modifiche costituzionali da discutere in quest'aula, dopo risolti i problemi della procedura e del referendum. Un punto difficile da affrontare subito è quello d i ridare al parlamento la sua indipendenza da estranee ingerenze, specialmente da quelle dei partiti politici, smantellando la sovrastruttura partitocratica che si è andata infiltrando durante le due precedenti legislature, in modo tale da paragonarsi ad una piovra 'che poco a poco soffoca e stronca. Non si meraviglino i colleghi delle mie parole; ricordo bene l'ultima volta che sono intervenuto in quest'aula, proprio per la riforma del senato, quando i capi-gruppo si sostituirono alla commissione parlamentare e dichiararono di non accettare i l tale o il tal altro articolo. Quella sera fu inferta una grave ferita al nostro sistema costituzionale; prima del voto, libero e personale dei senatori, una rappresentanza d i partiti aveva già dato la sua decisione per tutti. Sarà dunque vero che non il parlamento ma i partiti decidono, nonostante che la costituzione definisca la funzione dell'eletto del popolo come rappresentante della nazione, non del partito, ma della nazione? Siamo arrivati al punto in cui, prima che il gabinetto venga costituito dall'incaricato ufficiale a presidente del consiglio, i direttivi dei partiti, con votazione segreta, scelgono i futuri ministri e ne fissano i dicasteri, contro il disposto costituzionale elle sancisce il diritto del presidente del consiglio a proporre i ministri al capo dello stato. Oggi non si salvano le apparenze; anche i venti punti che avrebbero dovuto essere fissati dal nuovo gabinetto, sono già concordati dalle « delegazioni » dei
partiti e pubblicati sui giornali come atto di propria spettanza. Che ci stanno a fare i deputati e i senatori nelle rispettive camere? Solo per seguire gli ordini dei partiti, mentre i capi dei gruppi parlamentari ne sono solo i portavoce? I1 problema si rivela ancora più complicato, se si esamina quel che avviene per le elezioni politiche. Gli apparati dei partiti ne sono gli arbitri; la raccolta di denaro per la campagna elettorale è fuori misura; i voti di preferenza costano ai candidati fior di quattrini, difficilmente reperibili nelle proprie economie domestiche; la vita politica è terribilmente inficiata da una larga ingerenza di imprese pubbliche e private e dal tramestio di coloro che fanno il mercimonio dei voti, assicurando il favore di numerosi elettori, come se fossero pecore da mercato. I1 senato soffre meno, per via di una legge a tipo collegiale, per quanto possa essere migliorata nella sua struttura tecnica. Nella passata legislatura la mia proposta di legge di modifica elettorale attese per quattro anni la discussione e all'inizio del quinio anno fu inesorabilmente bocciata dopo aver avuto gli elogi e l'adesione di tecnici e di politici. L'elezione dell'altra camera è purtroppo tormentata dalla lotta per le preferenze, che crea contrasti insanabili tra colleghi di lista; si tratta di lotte fratricide che eccitano la corruzione scatenata per conquistare solo l'ultimo posto fra gli eletti; i primi posti sa Dio quanto costano. Uno dei frutti amari di tali lotte è lo spirito partigiano che si porta nelle assemblee dei partiti i quali sono divisi in frazioni, tendenze, gruppi e gruppettini. L'attuale governo ne rappresenta 6 o 7 della democrazia cristiana e 4 del PSDI: totale 11. Tutta l'Italia del 1958 è divisa in dodici partiti e una cinquantina di frazioni, tendenze e gruppi. Altro che Guelfi e Ghibellini di un tempo! Oggi abbiamo basisti e fanfaniani, saragattiani e matteottiani e così di seguito, « ed un Marce1 diventa - ogni villan che parteggiando viene D. Per contrappeso le assemblee parlamentari sono conformiste, non hanno più propria responsabilità, sono legate ai partiti e da questi dipendono le piu gravi e importanti decisioni. . . EUUcnc, d ~ sonc e !e sc!~z:ou: di v e s t o groviglio: rego!zmentare i partiti e inserirli nella costituzione. ovvero eliminare
la formazione dei gruppi parlamentari e ripristinare sia le commissioni d i nomina assembleare sia la costituzione degli uffici per via d i sorteggio. Ma i n ambo i casi è sempre necessario ed urgente che una legge regoli le finanze dei partiti, ne proibisca i finanziamenti d a parte d i enti pubblici e d i imprese private, ne renda pubblici i bilanci, fissi i l massimo che ciascun candidato possa ricevere ed erogare per le spese elettorali, pena la decadenza dal mandato. Se non si arriva ad affrontare con coraggio la situazione, non solo le elezioni politiche, ma anche le municipali, le provinciali e le regionali saranno inficiate d i corruzione. Non ci illudiamo; la libertà finirà con l'essere incatenata dalla corruzione dell'attività politica. I1 paese oggi non può restare sotto tale incubo; sarà vana qualsiasi ottima legge o qualsiasi opportuno provvedimento diretto a procurare benessere sociale, se il paese - inficiato al centro e alla periferia dai partiti, siano oggi al potere o contino d i esserlo domani, e da quegli altri che attendono che l'apertura a sinistra si faccia p i ù larga - non troverà nel parlamento l'organo atto a ridare fiducia nella moralità della vita pubblica. I1 governo ne h a fatto caposaldo del suo programma, ma deve esso cominciare dai partiti che lo compongono e dai sindacati che lo affiancano. Poichè anche i sindacati si atteggiano a partiti e fanno come i partiti. Occorre anzitutto attuare il disposto dell'articolo 39 della costituzione circa la registrazione, la personalità giuridica e l'ordinamento a base democratica, prima di approvare la legge che deve dare valore erga o m n w ai contratti stipulati dai sindacati. Primo dovere dei sindacati è che i loro bilanci siano pubblici. con l'indicazione individuata delle entrate, escludendo finanziamenti sia esteri d i qualsiasi origine, sia quelli delle imprese statali e private. I1 fatto che i sindacati italiani ricevano fondi esteri deve cessare, per la stessa libertà dei sindacati e per il rispetto che si deve all'organizzazione a carattere pubblico d i u n organo che potrà stipulare contratti che hanno valore anche per i non iscritti, ciò che d à agli organi sindacali valore pubblicistico, e priva i cittadini d i loro diritti individuali.
La questione prende u n aspetto istituzionale, per il fatto che i sindacati hanno ormai voce in parlamento attraverso deputati e senatori, iscritti, sia pure come lavoratori, nei ranghi delle forze sindacali, anche quando veri lavoratori non sono mai stati, nè lo sono divenuti con l'iscrizione. La ~ o l i t i c i z z a zione del sindacato e la confusione delle due funzioni, la sindacale particolaristica e d i classe, la parlamentare nazionale e per la generalità, è i l triste effetto d i u n costume ormai tollerato d a tutti. I sindacati politici rendono impossibile sia l'unificazione sindacale autonoma, sia l'indipendenza sindacale dalla politica. I1 sindacato, i n Italia come altrove, oggi fa parte integrante dell'attività politica; i l sindacato fa della politica; i l sindacato organizza l'elettorato politico e porta i propri rappresentanti alla camera e a l senato. È da stolti chiudere gli occhi e pensare ad u n sindacato operaio fuori della reale organizzazione politica d e l paese. L'avvenire dell'attività operaia nel mondo occidentale si presenta assai complesso e difficile per il rapido ed esteso sviluppo tecnico, che tende a far diminuire notevolmente i l numero e l'impiego della mano d'opera lavorativa e ad aumentare le capacità numeriche della produzione e della struttura. Non è nuovo il fenomeno, perchè da p i ù d i mezzo secolo l'impiego operaio nell'agricoltura e nell'artigianato va diminuendo in percentuale per i l passaggio alle categorie d i lavoro sia nelle fabbriche, sia nelle infrastrutture commerciali ed amministrative. Ma i l ritmo oggi è più accelerato e l'invenzione progredisce e giganteggia a l punto che si nota carenza d i tecnici, d i ingegneri e d i scienziati. A questo fenomeno occorre f a r fronte con una larghissima ed intensiva preparazione efficiente e specializzata della gioventù. I1 mancato rapporto fra domanda ed offerta nei settori della trasformazione tecnica ed inventiva, paralizzerà l'adeguata produzione ed aprirà crisi operaie difficilissime. L'attardarsi oggi sopra un'economia del passato e volerla fermare e statalizzarla sarà a danno di ogni progresso. I sindacati moderni manclicranno alla loro funzione se contiriiieranrio e politicizzarsi i ad allargare così il distacco tra impresa e lavoro.
Per le ragioni fin qui dette, non mi attarderò sul valore dei relativi punti economici del programma governativo. A ---- -- m a < g t a dire che l'impronta statalista vi è marcata, cosa che . preoccupa quanti, come me, vedono nel processo d i statizzazione dell'economia privata, un triplice danno: economico, politico e morale. Danno economico, perchè la riduzione progressiva del campo e dei mezzi per l'iniziativa privata - resa in molta parte succube della burocrazia e del funzionarismo degli enti statali e dei ministeri - attenua le fonti d i produttività ed estingue lo stimolo che viene dalla concorrenza d i mercato. Danno politico, perchè estende oltre misura i poteri dello stato, il quale da stato libero prende, secondo i settori, la figura di stato paternalista, di stato assistenziale, d i stato dittatoriale; preparando così la strada all'avvento dello stato socialista, marxista e comunista, secondo la prevalenza dei relativi partiti e dei centri esteri di dominio europeo. Danno morale, infine, perchè si offende la libertà che è dono divino della personalità umana; si sviluppa la corruzione della classe politico-amministrativa e lo sperpero del danaro senza serio controllo pubblico. Queste prospettive sono negate dalle sinistre e sono attenuate anche dai partiti che formano la maggioranza; ma sono, purtroppo, connesse a qualsiasi sistema statalista passato e presente. Occorre, perciò, clie dal banco del governo parta una parola che rassicuri il paese e rassicuri anche gli investitori esteri, che la cosidetta (C apertura sociale della quale si parla non sia socialista; che il centro democristiano resti veramente e sostanzialmente centro ». La politica estera è in mano al presidente del consiglio, il quale è anche garante di tutta la politica del gabinetto e il principale responsabile davanti al parlamento e davanti al paese. Egli deve chiarire vari punti, primo tra tutti che la eoalizione DC-PSDI non deve poggiare sulla sinistra socialista, non solo per i perduranti legami di questa con il comunismo, ma neppure nell'ipotesi di una pretesa autonomia, la quale non potrebbe essere che apparente, fino a che la classe operaia d i sinistra rimane organizzata in un sindacato comune d i socialisti e comunisti, quale la CGIL. r
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STURZO
- Scritti giuridici.
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Per queste ragioni, e per quelle che qui pretermetto, io sono diffidente di tutti i tentativi, non solo prematuri, m n p r e giudizievoli, di-unificazione socialista e d i apertura a sinistra nel senso di avvicinare il partito socialista italiano per averlo favorevole, non tanto all'attuale ministero con dei voti d i sotterfugio, quanto all'indirizzo di politica interna ed estera del nostro paese. Perciò non ho potuto approvare i tentativi, sia pure in buona fede, del segretario politico del partito oggi alleato alla democrazia cristiana nel definire una specie di nuova politica estera, sia pure nel quadro del patto atlantico. I1 primo accenno del pensiero saragattiano si ebbe nella formulazione dell'undicesimo punto del primo programma PSDI: politica estera che nella rinnovata adesione alla solidarietà con tutti i paesi democratici metta in valore la vocazione italiana nella lotta per la pace e la mediazione per gli interessi legittimi di tutti i popoli D. I1 frasario non è nuovo ed ha una marca di fabbrica ben nota. Dopo di che, si ebbe la formulazione di politica estera dei così detti venti punti, formulazione che, pur con qualche dosatura di frase, poteva dirsi soddisfacente, a parte la riaffermazione della vocazione italiana messa là come eco di discorsi altrui. Non credo che l'Italia abbia una vocazione speciale, che non possa essere quella dei popoli democratici occidentali, non ostante che ciascuno di essi (Italia compresa) porti il peso delle responsabilità del passato. Oggi tutti i popoli hanno interesse alla pace, se non vogliono che questo pianeta sia schiantato da una spaventosa catastrofe. L'Italia, senza le vecchie colonie e senza ulteriori pretese di dominio e di Mare nostrum, ha le mani nette, oggi e non ieri, e non per volontà nazionale ma per fatalità di guerra. E questa una posizione di fatto, non una vocazione ideologica. Teniamo quello che è nostro: la volontà di mantenerci leali nella alleanza scelta e negli impegni assunti, esigendo, questo si, i l nostro posto di parità internazionale, senza pretendere quello che non ci spetta e senza presumere nelle forze che non abbiamo, e anche senza esibirci come mediatori non richiesti ri come susienitori di una politica che non abbiamo forza di avallare nè i mezzi per condurre in porto. E soprattutto non
diamo l'impressione di volere e non volere, di guardare ad occidente e di volgere uno sguardo ad oriente, di fare all'interno una politica ad uso di sinistra e all'estero un'altra ad uso di destra. Ecco perchè l'articolo dell'onorevole Saragat, per il posto che egli occupa nel suo partito, per la passata collaborazione con la democrazia cristiana e per le nette prese di posizione d i u n tempo, oggi fa più impressione che non l e stesse dichiarazioni del presidente del consiglio e ministro degli affari esteri, anche perchè l'organo della democrazia cristiana ha voluto trovare innocenti le tesi di Saragat affermando che la polemica con Pacciardi è frutto di equivoco. Ma dall'onorevole presidente del consiglio si attende esplicita esclusione, vita natura1 durante di questo ministero, d i qualsiasi tentativo d i intesa con i l partito socialista italiano perchè ciò pregiudicherebbe, a parte il resto, la linea chiara e netta della politica estera. A tale politica è anche legata la possibilità d i aumentare la nostra capacità produttiva e superare l e difficoltà di una ancora non eliminata disoccupazione, con rendere facili ed efficienti gli investimenti esteri; cosa che non potrebbe ottenersi con la politica (controproducente e demagogica che si sospetta fra l e linee dell'orientamento centro sinistra) che non eccita a far investire in Italia i capitali esteri e provoca la fuga dei capitali che ci sono. La vecchia concezione marxista è crollata; ma si utilizza come motivo sentimentale e tribunizio nei paesi ad economia arretrata, nelle zone depresse, nelle contrade con eccesso di popolazione e scarsezza di mezzi di sussistenza. L'Italia, per aumentare la propria attività, per mettersi al livello dei paesi del mercato comune, deve portare la propria economia verso la più larga efficienza possibile, cosa che non può essere ottenuta senza capitali esteri investiti in Italia con le più adatte condizioni e le più adeguate garanzie. Dal governo si aspetta una parola assicuratrice anche su questo punto, nonostante l'attuale composizione che non sembra possa presentarsi per tutti i dicasteri con uomini di competenza tecnica e d i sicurezza politica. A tutto ciò si aggiunge una maggioranza governativa d i stretta misura, così da rendere difficile la vita del ministero,
costringendolo a regolare le proprie attività sulla sensibilità politica, sulla capacità comprensiva e sulle pretese personali d i quei pochi voti necessari per poter affrontare le ondate parlamentari. Ma, pur concedendo tutte le attenuanti, non sarebbe ammissibile i l sacrificio dell'interesse nazionale per far vivere un ministero: i ministeri passano e la nazione resta. Mi permetta il senato di conchiudere con una battuta che mi è stata riferita giorni fa: 273 oggi valgono meno d i 22, ma 22 valgono meno di 6, e i 6 valgono meno d i quell'uno o due necessari a far cadere la bilancia del farmacista parlamentare verso la maggioranza governativa. Dobbiamo allora atlidarci proprio a quell'uno o a quei pochissimi parlamentari necessari al ministero per regolare la nostra vita politica? I n queste condizioni il paese resta perplesso e il parlamento non può dirsi completamente soddisfatto. La coscienza e la dignità del governo sono gravate da un compito pieno d i re~ponsabilità, ed è da augurare che presidente e ministri vi corrisponderanno con i l più alto senso del dovere, preferendo a qualsiasi atto di debolezza o d i viltà affrontare u n voto contrario. (seduta dell'll luglio 1958).
Nella ZII legislatura Sturzo presentava il disegno di legge n. 124: « Disposizioni riguardanti i partiti politici e i candidati alle elezioni politiche e amministrative », comunicato alla presidenza il 16 settembre 1958; nellu seduta del 25 settembre 1958 il progetto veniva deferito all'esame della I commissione permanente del senato (aflari della presidenza del consiglio e dell'interno). Presentava poi il disegno di legge n. 285: ((Modifiche agli articoli 57, 59 e 60 della costituzione » comunicato alla presidenza il 28 novembre 1958, il quale veniva deferito, nella s ~ d u t adel 10 dicembre i958, all'esame della commissione speciale già istituita per altro disegno di legge costituziomle. In appendice ne riproduciamo il testo.
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INTERROGAZIONI CON RICHIESTA DI RISPOSTA SCRITTA
Interrogazione n. 26.
Al presidente del consiglio dei ministri per conoscere i motivi che hanno indotto il governo a dare corso al decreto di istituzione di tre enti autonomi di gestione per le aziende minerarie, per il cinema e per le aziende termali, mentre il consiglio di stato, con parere motivato, ebbe a riconoscere la necessità di una legge particolare di autorizzazione che fissi le norme per il passaggio delle partecipazioni statali a tali enti, legge che allo stato delle cose manca perchè l'accenno fattone iiel testo della legge che istituisce il ministero delle partecipazioni, non contiene alcuna norma in proposito; e nonostante che la corte dei conti, con l'altro parere motivato. abbia rilevato che l'ente delle aziende termali non avrebbe avuto alcun diritto a gestire quelle terme che hanno patrimonio proprio (sia statale che privato) e propria amministrazione. La stessa corte dei conti, a quanto se ne sa, ha fatto notare che i tre enti, non potendo ottenere il trasferimento delle partecipazioni, non potrrbbero avere alcuna funzionalità pratica, e neppure i mezzi per far fronte alle spese di primo impianto e di amministrazione. In tale situazione non si comprende la fretta delle nomine fatte con il decreto del 14 giugno 1958 dei relativi presidenti e consiglieri di amministrazione (Gazzetta uficiale 23 giugno 1958) e forse anche del collegio dei revisori (che fino ad oggi non risulta), non reputandosi ~ossibile, tra l'altro, l'assegnazione di stipendi, re bende e indennità sia alle persone indicate nei decreti stessi, sia al personale impiegatizio che verrebbe assunto. Pertanto l'interrogante, mentre chiede l'assicurazione che nessuna spesa venga autorizzata per l'andamento degli enti suddetti, i quali, senza la legge seciale, sono vuoti di contenuto, esprime il desiderio che i pareri del consiglio di stato e della corte dei conti a l riguardo siano depositati nella segreteria del
senato, per l'esame del caso da parte dei senatori ed uq!ventuale intervento in aula nei termini regolamentari. (preserttatu nella seduta del 9 luglio 1958).
RISPOSTA La costituzione degli enti di gestionc per le partecipazioni statali è prevista dall'articolo 3, comma primo, della legge 22 dicembre 1956, n. 1589, il quale testualmente dispone: « Le partecipazioni d i cui al precedente articolo (cioè lo partecipazioni precedentemente gestite dal ministero delle finanze, le aziende patrimoniali dello stato, le partecipazioni I.R.I., E.N.I., F.I.M. e tutte le altre imprese con partecipazione diretta e indiretta dello stato) verranno inquadrate in enti autonomi di gestione. operanti secondo criteri di economicità. Dovendosi dare attuazione a tale disposizione legislativa ed essendo sembrato urgente creare l'organo tecnico per il coordinamento ed i l controllo di numerose e svariate gestioni di aziende a partecipazioni statali non facenti parte n& del gruppo I.R.I. o E.N.I. nè del F.I.M., questo ministero ritenne di dover predisporre e promuovere l'approvazione dei tre decreti presidenziali cui l'onorevole interrogante fa riferimento. Lo schema dei decreti, previo esame da parte del comitato interministeriale d i cui all'articolo 4 della legge 22 dicembre 1956, numero 1589venne inviato al consiglio di stato per il prescritto parere. I1 consiglio di stato espresse parere favorevole, suggerendo però le modifiche, che non concernono la legittimità formale è la opportunità dei provvedimenti in questione. Invero, a parte la proposta di eliminare dagli statuti degli enti il richiamo all'articolo 12 della legge 21 marzo 1958 n. 259, sul controllo della corte dei conti ed a parte le osservazioni, indubbiamente di minor rilievo, in materia di esercizio della facoltà di scioglimento dei consigli di amministrazione, di determinazione dei poteri dei consigli medesimi, d i destinazione degli utili e d i modalità per la modifica degli statuti, le obiezioni sollevate dall'organo consultivo, furono essenzialmente due: 1) che la disposizione della sopracitata legge n. 1589 della quale i decreti di costituzione degli enti sono norme di attuazione, sarebbe limitata all'inquadramento delle medesime; 2) che nel settore termale, si sarebbero dovute escludere dall'inquadramento le aziende ~atrirnonialidirettamente gestite dallo stato (Salsomaggiore, Castrocaro, ecc.). I1 consiglio dei ministri ritenne che le riserve espresse dal consiglio di btato si riferissero, in realtà, a materia non regolata dai decreti istitutivi degli enti di gestione con i quali decreti si Ì+ voluto dare una prima e parziale esecuzione al precetto legislativo, apprestando la struttura generale e preeiaaudo l e modaiiti d i funzionamento degli enti. Viceversa, in merito alla indicazione delle singole ~artecipazioni da inquadrare e, soprataitto,
in merito al trasferimento, totale o parziale, delle medesime ( e resta da vedere se in proprietà, in uso od in altra forma giuridica) questo ministero, conscio della delicatezza del problema, ne ha rimessa la soluzione ad un prossimo disegno di legge, che verrà quanto prima presentato al consiglio dei ministri per l'approvazione. Non essendovi pertanto un vero e proprio dissenso con il parere del consiglio di stato, per altro non vincolante, i decreti proseguirono il loro iter formativo e, perfezionati, furono sottoposti all'ulteriore esame d i legittimità da parte della corte dei conti. Questa concesse il proprio visto, riconoscendo legittimo il rinvio alla norma di futura emanazione del problema relativo al trasferimento di tutte o di parte delle partecipazioni da inquadrare nei costituiti enti di gestione. Prospettò la corte dei conti un proprio suo dubbio a proposito dell'assimilabilità delle aziende patrimoniali dello stato con l e partecipazioni statali in senso stretto « mancando la alienabilità del soggetto titolare dell'impresa rispetto all'altro soggetto che ad essa impresa partecipi con il suo rapporto ». Tale rilievo riguarda il scttore delle terme in cui vi sono aziende patrimoniali dello stato, e non già quelle minerarie e del cinema, ma l a stessa corte dei conti rileva la perfetta legittimità, i n ogni caso, della costituzione dell'ente d i gestione per l e aziende termali, essendovi in tale settore anche partecipazioni vere e proprie, quali la società per azioni napoletana per l e terme d i Agnano, la società per azioni valorizzazione Ischia-Laeco Ameno (Viril), la società a responsabilità limitata per l'incremento della stazione termale d i Chianciano (S.I.C.) ecc. L'organo d i controllo osservò i n proposito che spettava al legislatore d i « valutare se, in occasione dell'inquadramento delle partecipazioni, non convenga apportare alla struttura degli enti di gestione cluelle modifiche che consentano loro di assolvere le proprie funzioni anche nei confronti delle aziende patrimoniali dello stato in genere e quindi i n particolare di quelle termali D. Con che la corte dei conti mostra d i condividere i n pieno il criterio seguito dal decreto i n questione, d i rinviare, cioè, alla futura legge la disei, plina dei rapporti e della posizione dell'ente d i gestione per l e aziende termali nei confronti delle aziende patrimoniali dello stato. Per quanto riguarda la nomina degli amministratori e dei revisori degli enti come sopra costituiti, essa è la logica conseguenza della loro creazione. Posto che, secondo l e norme statutarie, agli oneri d i esercizio degli enti si fa fronte con i proventi della gestione. non è da d re veder si, fino a che la legge d i determinazione e d i trasferimento delle ~artecipazioni inquadrate nell'ente non entrerà in vigore, alcuna corresponsione di stipendi ed emolumenti. Quanto al desiderio espresao dall'onorevole interrogante, che i pareri resi dal consiglio d i stato e dalla corte dei conti in questa materia siano depositati nelle segreterie del senato, per l'esame del caso da parte dei senatori ed un eventuale intervento in aula nei termini regolamentari O, si provvede, per un doveroso riguardo al desiderio dell'interrogante, a quanto
richiesto, pur rilevando che non trattasi di atti di questo ministero ma di un parere (quello del consiglio di stato) e di una decisione (quella della corte dei conti) resi pubblici mediante deposito nelle forme di legge.
n ministro LAMI STARNUTI (sedutu del 10 dicembre 1958).
Interrogazione n. 399.
Al presidente del consiglio dei ministri. Premesso che all'interrogazione del lo luglio 1957 perchè fosse invitato il consiglio delle ricerche a promuovere una inchiesta suali effetti del fumo di tabacco, specialmente delle sigarette, in rapporto al continuo aumento degli ammalati di cancro ai polmoni e intanto venisse dato ordine alla direzione generale dei monopoli di sospendere la relativa pubblicità; la presidenza del consiglio del tempo, il 12 settembre 1957, ebbe a dare uua risposta non soddisfacente sia per il fatto di avere assimilato gli effetti dell'inquinamento atmosferico con quelli del tabacco da sigarette dei quali, secondo disposizione presidenziale, si occupavano gli studiosi di patologia umana e sperimentale; sia per l'assicurazione che la pubblicità veniva fatta per sigarette estere al di fuori di ogni ingerenza dell'amministrazione dei monopoli ; premesso che da allora ad oggi è passato più di un anno di ulteriori studi le cui notizie sono state riportate su riviste e giornali e risultando, a giudizio del professore Bastai dell'ate. neo torinese, che l'uso delle sigarette può essere causa del cancro e di malattia di cuore, opinione questa appoggiata dagli studi e dalle esperienze sia in Italia che all'estero, I'interrogante si rivolge di nuovo al presidente del consiglio per conoscere se il governo intenda invitare il consiglio delle ricerche a interessarsi del tema di fronte al continuo aumento d i tali malattie e intanto far provvedere a che i monopoli di stato cessino dal fare o permettere pubblicità a favore delle sigarette anche straniere, dato che la vendita di sigarette straniere è nelle m a n i della g~ctionemonnpolizreta dr!!o statc. (presentata nella seduta del 18 novembre 1958).
RISPOSTA l'oichè la materia rientra nella rompetenza di questo ministero, s i risponde quanto segue, per delega della presidenza del consiglio dei ministri. Mentre per le malattie dell'apparato cardio-vascolare l'influenza del fumo appare sicuramente dimostrata, non si è invece potuto ancora stabi. lire, con assoluta certezza, nonostante gli studi dedicati al problema specie negli Stati Uniti ed in Inghilterra, un rapporto di causalità tra il fumo e l'insorgenza del canrro del polmone. Risponde tuttavia al vero rhe le numerose osservazioni fatte in tutti i paesi hanno determinato negli oncologi l'opinione che una delle cause della macgior incidenza dei tumori dell'apparato polmonare sia I'aumentato consumo del tabacco. È noto, del resto, che, tra i prodotti sviluppati dalla rombustione del tabacco, vi è un potente canccrogeno, il 3-4 benzopirene. Circa gli studi condotti in Italia sull'argomento, si comunica che il comitato per la hiologia e medicina del consiglio nazionale delle ricerche ha stahilito di ewminare il prnhlema drll'inridenza del fumo d i tabacco qui canrro polmonare prendendo in considerazione la possibilità d i condurre nel paese una indagine statistica su vasta scala, dandone incarico a studiosi specializzati. 11 ronsiglio nazionale delle ricerche ha rappresentato, inoltre, che, presso I'isiituto di patologia generale dell'università d i Yapoli. vengono sxolti studi sull'influenza del fumo dei tahacrhi italiani nella produzione sperimentale del cancro polmonare. È stata costruita un'apposita macchina per fumare sono in atto allevamenti di ceppi selezionati di topi sensibili e resistenti al cancro del polmone. Poichè l e indagini sono assai complesse rome è dimostrato dal fatto rhe anche in laboratori stranieri particolarmente attrezzati non si è finora giunti a conclusioni decisive - non sono prevedibili risultati a breve scadenza; il consiglio nazionale delle ricerche si riserva, comunque, d i comunicare appena possibile l'esito delle indagini. Quanto, infine, alla pubhlirità dei prodotti del fumo, il ministero delle finanze, nel confermare rhe già da anni il monopolio di stato non svolge alcuna propaganda al riguardo, fa presente di non avere la possibilità d i impedire, in via amministrativa, la puhhlirità effettuata direttamente dalle case produttrici per le sigarette estere. I1 ministro
MONAWI (seduta del 3 marzo 19591.
Interrogazione n. 680.
Al ministro della sanità. Premesso che con mie precedenti interrogazioni del lo liiglio e del 18 novembre 1958 sollevai la questione, tuttora insoluta, della pubblicità consentita per la
vendita d i sigarette, nonostante che autorità sanitarie e scientifiche italiane ed estere abbiano rilevato la tesi del nesso causale tra fumo delle sigarette e cancro hronchiale; premesso che dalla risposta data, a nome del presidente del consiglio dei ministri, dal ministro alla sanità del cessato ministero riguardo al merito della questione, si lia conferma delle preoccupazioni delle quali l'interrogante si è fatto portavoce al senato, affermandosi che il comitato per la biologia e medicina del consiglio delle ricerche ha stabilito di esaminare il problema dell'incidenza del fumo del tabacco sul cancro polmonare prendendo in considerazione la possibilità di condurre nel paese una indagine statistica su vasta scala dandone incarico a studiosi specializzati » ; premesso, ancora, che la suddetta notizia data dal ministro il 22 gennaio scorso non sembra confermata da disposizioni pratiche, sia per il necessario finanziamento dell'inchiesta, sia per l'estensione d i essa, sia per la scelta del personale; mentre nel fatto non sono mancate fin oggi in Italia ricerche scientifiche degne d i valutazione sia prese in se stesse, sia nel confronto di simili lavori fatti in altri paesi; dei quali l'interrogante ha già u n discreto dossier d i dati e d i notizie; premesso che studi e inchieste non possono essere d i p e c l u sione a provvedimenti amministrativi o legislativi atti ad impedire una pubblicità statale o privata, autorizzata o tollerata in qualsiasi modo dallo stato' a favore dell'uso d i sigarette e d i sigari esteri e nostrani, sulla quale questione si crede opportuno rendere d i pubblica conoscenza quanto il direttore generale dcll'ente statale amministrazione autonoma dei monopoli di stato » ebbe a scrivere all'interrogante il 26 febbraio scorso nei seguenti termini : « Non vedo perchè in questo come in altri casi si debba fare una distinzione fra il produttore amministrazione dei monopoli e il produttore straniero. Preciso: mentre all'amministrazione dei monopoli governo e parlamento proibiscono d i fare qualsiasi pubblicità dei ns. prodotti, ogni ditta straniera fa pubblicità per l e sue sigarette, come se le nostre facessero male alla sa!utc C p e l l e straniere nu. In Svezia v i uua legge che vieta la pubblicità a i prodotti da fumo per tutti indistintamente, in
Francia tutti fanno pubblicità, sia il monopolio sia le ditte straniere. I n Italia noi non possiamo fare pubblicità perchè ci vengono negati i mezzi e la possibilità e non possiamo impedirla agli altri perchè nessuna legge vieta la pubblicità dei prodotti da fumo. Dato il valore enorme della pubblicità ai fini del consumo, si otterrà così il brillante risultato d i aumentare le vendite delle sigarette estere e diminuire quelle delle sigarette italiane, riducendo quindi il lavoro per migliaia di coltivatori di tabacco, lavoratori addetti alla fabbricazione, fabbricanti di carta, cartone, colla, ecc., senza aver arrecato nessun vantaggio vero o presunto che sia alla pubblica salute, perchè il consumo delle sigarette sarà in complesso immutato. Si danneggia così l'economia italiana senza raggiungere alcun risultato. Analogamente, proporre che l'amministrazione dei monopoli si limiti a produrre sigarette munite di filtro e con tabacchi denicotinizzati permettendo invece la vendita d i sigarette estere con filtro ma con tabacco normale, equivale a proseguire nei due pesi e nelle dile misure. Entrando nel merito della denicotinizzazione, devo farle presente che bisogna distinguere fra pubblicità e diciture commerciali e realtà dei fatti. I pochissimi prodotti ester i attualmente i n vendita sotto la denominazione d i denicotinizzati non sono effettivamente tali ma semplicemente « attenuati )) nel loro tenore di nicotina, a mezzo di speciale trattamento. La loro vendita, sia detto per inciso, rappresenta sul totale delle sigarette una aliquota così trascurabile che in cifra percentuale è rappresentata da uno zero seguito da una virgola con molti zeri e alla fine qualche piccolo numero. Quando poi si parla d i denicotinizzazione bisogna sempre considerare da dove si è partiti: se, per esempio, per una miscela di sigarette si usano dei tabacchi che contengono il 3010 di nicotina e poi con speciale procedimento si riduce il contenuto a11'1.20, la dizione commerciale che si tratta d i prodotti attenuati d i nicotina O un po' più impropriamente denicotinizzati, è ineccepibile, ma di fatto, il contenuto di nicotina di queste sigarette è maggiore di quello di u n pacchetto di sigarette normali e cioè non denicotinizzate ma prodotte con tabacco che già per sua natura h a 131,15O/o d i nicotina. I1 monopolio italiano impiega nella lavorazione delle siga-
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rette tabacchi con scarso contenuto di nicotina ottenendo dei prodotti che per essere già poveri di alcaloidi non richiedono e non si prestano ad essere attenuati; ciò in quanto le esperienze fatte finora hanno dimostrato che quando si scende con la denicotinizzazione oltre iin certo limite, il gusto muta in modo tale da riuscire assolutamente inaccettabile per il fumatore. L'unico prodotto italiano a forte tasso di nicotina (circa il 4 per cento) è il sigaro toscano; e per questo prodotto il monopolio si è preoccupato d i produrre un tipo « attenuato e cioè ridotto dal 4 a circa 1'1 per cento di alcaloidi. Devo però farle presente che henchè il prodotto attenuato sia in vendita da anni e anni, praticamente il suo consumo è nullo in quanto, per esempio. nel decorso mese di gennaio si sono venduti oltre 128.000 Kg. d i toscani e toscanelli e solo 119 Kg. dello stesso prodotto attenuato (cioè meno de117uno per mille). I1 filtro sulle sigarette riduce senza dubbio il tasso d i nicotina scnza mutare sostanzialmente il gusto del prodotto: per questo motivo l'amniinistrazione ha adottato filtri che sono risultati tra i più filtranti e ha messo in vendita ben 7 tipi d i sigarette con filtro in modo che i l fumatore stesso possa scegliere tra il tipo con e quello senza filtro. Abbiamo in programma entro l'anno di mettere in vendita u n altro tipo di sigaretta a largo consumo anche con filtro. Per concludere mi permetto farle presente che qualsiasi disposizione limitativa si voglia applicare, questa deve essere disposta per legge e mi auguro che non si facciano discriminazioni, come avviene attualmente per la pubblicità. non nascondendole la mia speranza che anche pcr la pubblicità il legislatore, in u n giorno clie mi auguro vicino. abolisca ogni discriminazione vietandola per tutti oppure che con il potere esecutivo e quello legislativo la riammettano anche per noi n ; ricordando, infine, la conclusione della risposta avuta dal ministro della sanità in carica il 22 gennaio d i (C non avere la possibilità d i impedire. in via amministrativa, la pubblicità effettuata direttamente dalle case produttrici per le sigarette estere ». si chiede l'immediata presentazione d i un disegno di Icggc a d e g ~ a t che ~ , prciibisca fra l'aliro la pubbiicità per ogni specie di sigarette nostrane ed estere.
Si attende risposta scritta nei termini del regolamento. (*) (presentata nella seduta del 13 marzo 1959).
Interrogazione n . 770. Al presidente del consiglio dei ministri e a l ministro delle partecipazioni, secondo la loro rispettiva competenza, si dirige la presente interrogazione per averne risposta nei termini fissati dal regolamento del senato. Premesso che la pubblica opinione oggi più che nel passato, è impressionata dai continui attacchi, rilievi, aperte discussioni circa l'andamento amministrativo, gli affari extrastatutari, i finanziamenti, le enormi spese, I'indebitamento eccessivo, la moltiplicazione degli enti dipendenti e affiliati all'E.N.1. e ancora d i più circa l'orientamento politico assunto sia riguardo i partiti all'interno, sia riguardo i paesi esteri da parte del presidente on. Enrico Mattei; premesso che tali voci sono arrivate alle camere sia a mezzo di interrogazioni (fra le quali quelle del sottoscritto), sia i n vari discorsi anche alla camera dei deputati, e di recente durante la discussione sulle comunicazioni del governo; premesso che in via specifica si è denunziato anche dalla stampa il fatto della comune attribuzione del giornale I l Giorno ad una società d i comodo dietro la quale si afferma esservi col sostegno d i mezzi non indifferenti l'on. Mattei; mezzi necessari a mantenere una azienda il cui passivo si calcola a miliardi e non è. nella opinione pubblica, attribuibile ai sottoscrittori delle azioni della società che figura come proprietaria ; premesso che, dato l'indirizzo del giornale stesso d i aperta propaganda contraria non solo a l presente governo ma alla volontà e agli interessi del paese in materia d i politica estera, in connessione con i giornali comunisti e para-comunisti e con coloro che vorrebbero un'Italia fuori del patto atlantico, disarmata e neutralizzata, sia dovere del governo quello d i non lasciar correre nella pubblica opinione nemmeno il dubbio che (*) Rimasta senza risposta.
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possa i l giornale stesso essere sostenuto, voluto e imposto da un ente statale con mezzi appartenenti allo stato, tali da non potersi distrarre ad altri scopi non previsti dalla legge e tanto meno a scopo di politica estera antiitaliana; premesso che si reputa necessario l'immediato intervento governativo sia nel caso affermativo che i sospetti siano fondati; sia nel caso negativo che siano da escludere, arrivando a chiarire a l pubblico italiano quali persone e quali interessi siano annidati dietro il giornale Il Giorno, e se questo sia o no a dipendenza di potenza estera; premesso, infine, che da tempo si parla di un Mattei finanziatore di partiti di centro-sinistra e sinistra, e come è stato rivelato con ingenua meraviglia-da un'ageniia -di stampa i n questi giorni, tale attività si estende anche in Sicilia ora che vi si combatte una lotta anticomunista assai forte, non ricordando in merito che il sottoscritto aveva fin dal 1954-55 denunziato i contatti dell'on. Mattei con i socialcomunisti siciliani; premesso che a giustificare le affermazioni fatte e quelle rilevate in molti articoli, si allegano alla presente interrogazione nove opuscoli nei quali si trovano precisate le varie affermazioni ed accuse del sottoscritto fatte in passato sui motivi della presente interrogazione ; ritenendo il sottoscritto, pertanto, che il governo non possa più trincerarsi sulla linea del non risulta, nè quella del disinteresse come d i affari che non lo riguardano, e debba rispondere alle varie accuse, a meno che il silenzio non sia imposto da ragion di stato; in questo preciso caso il sottoscritto domanda che i l governo, abbandonando la linea del silenzio, dichiari subito la sua piena corresponsabilità con l'on. Mattei e con il consiglio d i amministrazione dell'E.N.1. proprio per ragion d i stato, affinchè i l parlamento decida se ciò possa formare oggetto di ulteriore intervento nei termini della costit-azione. (*)
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Seguiva la citazione di tutti gli articoli pubblicati da Sturzo sull'argomento. (presentata nella seduta del 14 aprile 1959).
(*) Rimasta senza rispofita.
APPENDICE
DISEGNI DI LEGGE, DICHIARAZIONI ED EMENDAMENTI NON SVOLTI IN AULA
i
Disegno di legge n. 2M9: « Istituzione dell'ente nazionale idrocarburi (E.N.I.) D. (Relazione di minoranza) I1 punto di partenza dei ministri proponenti è quello di costituire una holding che raccolga i vari enti e aziende statali, o con partecipazioni di stato, esistenti nel campo degli idrocarburi, sistemando giuridicamente, finanziariamente e amministrativamente la situazione attuale. Questo punto di partenza si ammette dal relatore come stato di fatto che esige una sistemazione, pur riaffermando la propria pregiudiziale contraria in massima alle aziende economiche di stato, salvo le eccezioni di servizio pubblico da valutarsi caso per caso. I principali punti di divergenza fra la concezione governativa e quella del relatore, vertono: 1) sul carattere dell'ente ; 2) sul monopolio o « esclusiva che gli si attribuisce, della ricerca e coltivazione di giacimenti di idrocarburi, della costriizione e dell'esercizio delle condotte relative; 3) sulla estensione delle attività che l'ente può svolgere, cioè: « lavorazione, utilizzazione e commercio degli idrocarburi e dei vapori naturali n. Gli altri punti saranno rapidamente accennati in questi relazione per dare ragione dei relativi emendamenti.
1. Carattere dell'ente: il disegno di legge riconosce all'ente in parola una personalità giuridica di diritto pubblico, che da un lato attribuisce privilegi e funzioni amministrative ponendolo al disopra delle imprese similari di carattere privato in un settore tipicamente industriale e commerciale; dall'altro lo sottonone a una diretta ingerenza ministeriale e burocratica in " modo che l'ente e la relativa amministrazione ne vengono politicizzati ed evadono i rischi e le responsabilità dell'impresa. È questo un sistema che si è sviluppato in Italia i n tutti i campi della economia, per una serie di provvedimenti occasionali o di iniziative politiche o politico-burocratiche, che hanno portato alla situazione caotica, indigesta e senza sbocco dei mille e più enti economici e pseudo-~conomici,in gran parte, direttamente o indirettamente, a peso dello stato o degli enti autarchici o degli stessi enti di diritto pubblico; i quali a
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- STUBZO - Scritti giuridici.
loro volta hanno costituito una notevole e non ancora bene classificata costellazione di enti dipendenti e affiliati. Allo scopo, pertanto, di mettere il nuovo ente nel rango di impresa produttrice autonoma con propria responsabilità e a ari, nelle condizioni legali ed economiche. con le imprese private, si propone dal relatore di sopprimere la dicitura dell'art. 1 « ha personalità giuridica di diritto pubblico N. Si propone anche di sopprimere l'inciso seguente: iniziative di interesse nazionale n per non creare equivoci che nascono nelle l e g g da dicitiire generiche e inconsistenti. che possono in dati casi dar luogo a vertenze, non potendosi discriminare l'interesse locale dall'interesse nazionale, e dovendosi ritenere che u n ente anche locale se creato per legge agisca sempre nell'ambito legislativo e quindi nell'interesse generale. Naturalmente, soppressioni di cui .sopra riducono !'ente a l suo naturale carattere di impresa privata finanziata dallo stato, come è il caso della Cogne.
2. I1 punto più grave del disegno di legge è l'attribuzione di esclusiva della ricerca e coltivazione degli idrocarburi in una zona larghissima quale quella che comprende quasi tutta l'alta Italia. In generale i monopoli, per giunta dati a priori, sono sempre dannosi; lo stato si spoglia dei suoi diritti e l i cede ad un ente. Vero è che l'ente è statale, le nomine degli amministratori sono governative, le direttive sono date da una specie di triumvirato ministeriale. Ma nel fatto la legge in discussione impedirà per sempre al ministro dell'industria e del commercio di potere concedere ai sensi di legge la ricerca e la coltivazione di giacimenti di idrocarburi nella zona dell'alta Italia, perchè attribuita con riserva ad u n ente. ne abbia o no i mezzi necessari. Se i mezzi mancano, dovranno essere forniti dallo stato, il quale si troverà nell'alternativa di soprassedere alla più ampia ricerca degli idrocarburi nella zona riservata, ovvero di approntare i miliardi tirandoli dal risparmio privato a mezzo di obbligazioni, s'intende garantite dallo stato al cento per cento. Le proposte che si ha l'onore di sottoporre all'assemblea, tendono a consolidare all'E.N.1. le concessioni date fin oggi al1'A.G.I.P. nonche le ricerche e coltivazioni che l'il .G.I.P. esercisce senza regolare concessione; si legalizza così lo stato di fatto. Per l'avvenire, l'E.N.I. potrà ottenere regolari concessioni a norma di legge - si spera che i l disegno di legge n. 2092: Ricerca e coltivazione degli idrocarburi liquidi o gassosi, che trovasi aranti la camera dei deputati venga presto approvato quante volte l'ente ne abbia i capitali, l'attrezzatura e la capacità per ulteriori concessioni. Con questa prospettiva è da au-
gurarsi che la camera dei deputati nell'esaminare il suddetto disegno di legge allarghi la estensione delle unità di concessione, ridotte al massimo di 50 mila ettari. quando lo stesso legislatore è così largo da attribuire all'E.N.1.' senza piani economici e finanziari precisi e concreti e senza limite di tempo, ben più di cinque milioni di ettari in esclusiva. Fu rilevato in commissione che ad un ente statale di ricerche si dovrebbe attribuire il compito di intervenire dove non arriva l'iniziativa privata per difficoltà naturali e per l'elevatezza dei rischi, come sarebbe nel171talia centro-meridionale ; sarebbe bene l'intervento, ma senza monopolio: i monopoli sia nel campo privato che in quello statale sono sempre dannosi. La direttiva più giovevole al mezzogiorno e alle altre regioni non ancora esplorate sarebbe quella di combinare le concessioni, sia al17E.N.I. che a ditte private, dandone una o più nella Valle Padana e contemporaneamente altra nelle zone che pre~entano maggiori difficoltà e costi più elevati; così i rischi verrebbero compensati e le regioni centro-meridionali avrebbero prospettive di maggiore impegno nella ricerca. A far ciò occorre che una direttiva esista e si sviluppi dagli organi specializzati del ministero competente senza essere impacciata da leggi come la presente, che preclude per l'awenire qualsiasi possibilità di manovra e più opportuni indirizzi politici. Riconosco volentieri che l'A.G.I.P. ha avuto più spirito di iniziativa (si intende, senza correre rischi) che non i privati, italiani e stranieri, ad affrontare l'incognita delle ricerche; ed ha ottenuto risultati indiscutibili nella zona lombarda e successivamente altrove. Tutto ciò non dà i l titolo ad un monowolio che crea evidente pregiudizio all'economia del paese a vantaggio di un ente che diverrà i l padrone incontrastato dell'energia degli idrocarburi. 11 caso sarebbe unico nei paesi a regime democratico, compresi la Germania di questo dopo guerra e il Canadà degli ultimi sei anni. I n tali stati si è lasciata libera l'iniziativa vrivata, accettando anche l'apporto estero e riserbando la parte minore alle partecipazioni e alle iniziative statali. Si è detto e ripetuto che se non fosse stato per 17A.G.I.P. in Italia si sarebbe molto indietro nella utilizzazione del metano. Questo fatto è dipeso in parte dal mancato aggiornamento della legge mineraria del 1927; in parte dal ritardo negli studi di specializzazione; più ancora dall'indirizzo di un certo capitalismo industriale nostrano, abituato a rendersi i vantaggi e gli utili e a riversare sullo stato i rischi e le perdite. Anche l'iniziativa estera è stata tarda e senza slancio. Tutto ciò era
naturale in un clima fatto d i diffidenze. incertezze e scoraggiamenti. Non oggi, quando la presenza del metano e le ipotesi sul petrolio (che forse si sottovalutano) rendono possibile la coesistenza di industrie statizzate e di industrie private, nostrane ed estere, in tutto i l paese, mezzogiorno e isole comprese. Del resto si è visto che le poche modifiche apportate dalla regione siciliana alla legge del 1927 e la rapidità delle istruttorie fatte ha dato la possibilità di ricerche petrolifere locali oltre quelle metanifere. senza che la regione abbia impegnato fondi propri, nè si sia compromessa in rischi. rimasti tutti a carico dei ricercatori. I1 monopolio (esclusiva) che il disegno di legge governativo accorda all'E.N.I., si estende anche alla costruzione e all'esercizio delle condotte per il trasporto degli idrocarburi minerali nazionali. Con l'emendamento proposto si attribuisce solo la facoltà di costruzione e di trasporto. La questione dei metanodotti è trattata a parte col disegno di legge n. 1840 presentato con carattere di urgenza i l 27 febbraio 1951 avanti la camera dei deputati e finora rimasto nelle mani della commissione della industria e commercio. Non si comprende come possa pregiudicarsi u n piano di carattere ben distinto e di interesse nazionale. con la creazione di u n monopolio esteso ad una zona così larga che va da Cuneo a Belluno e a Ravenna. I n proposito, si dovrebbe esaminare in via preg.iudiziale, se non convenga che le arterie principali dei metanodotti siano di carattere statale e da essere utilizzate su tariffa indistintamente da tutti i produttori statali o privati. È chiaro che per ragioni di metodo, oltre che di merito, non dovrebbe crearsi il monopolio proposto nel presente disegno di legge.
3. Nell'interesse dell'economia " generale sembra a l relatore assai preoccupante la disposizione del disegno governativo che faculta l'ente a « svolgere attività d i lavorazione, trasformazione, utilizzazione e commercio di idrocarburi e dei vapori naturali in conformità alle leggi vigenti » (art. 2): e di più ancora l'aggiunta successiva che l'ente può esercitare i compiti indicati negli articoli precedenti a mezzo di società controllate o collegate delle quali può promuovere la costituzione (art. 3). Mentre nella zona soggetta all'esclusiva, esiste l'obbligo d i affidare l'esercizio a società controllate dall'E.N.1. a capitale esclusivamente pubblico e ciò per evitare ogni ingerenza privata (disposizione questa discutibile dal punto di vista del relatore); le altre attività libere possono essere esercitate -direttamente dall' E.N.I. ( i l che pel carattere tecnico-economico delle
varie industrie e dei servizi commerciali si presta a severe critiche), e possono anche essere compiute da società controllate dall' E.N.I. o all'E.N.1. collegate. Tale facoltà, che nella legge non ha alcun limite prestabilito, riguarda settori assai importanti dell'attività privata industriale e commerciale, e in linea generale non postula interventi statali di alcun genere. È vero che attualmente 1' A.G.I.P. e le altre società che verranno raggruppate nell'E.N.1. sono impegnate in attività privatistiche per la raffinazione, la utilizzazione, e la vendita degli idrocarburi liquidi e gassosi esercitate per conto dello stato o con sistema misto; ma un sano indirizzo da dare sarebbe quello della privatizzazione completa di tali enti. Perciò $i propone una disposizione transitoria che ne faciliti il passaggio senza imporlo per evitare eventuali speculazioni. Senza piani prestabiliti è accaduto allyI.R.I. di ampliare la cerchia dei suoi impegni invadendo sempre più il settore privatistico; avverrebbe allyE.N.I. di arrivare al monopolio di fatto, per mancanza di rischi e facilità di finanziamento. 11 problema, quindi, è lo stesso di quello che si pone per l'I.R.I. (ed è stato prospettato dal rapporto dei tecnici della Stanford Research Institute): che tali industrie statizzate, godendo di noteroli privilegi legali, fiscali, creditizi in confronto alla industria ~ r i v a t aattenuano o addirittura eliminano le condizioni di Darità per una sana e utile concorrenza. Per giunta viene così deviato il normale afflusso del risparmio verso l'industria privata, essendo lo stato obbligato a garantire le obbligazioni dei propri enti ovvero a concedere per legge sovvenzioni considerevoli. I n questi giorni è corsa voce della richiesta fatta all'I.R.1. di 25 miliardi al tesoro, (dopo avere avuti i cento miliardi nel corso del 1952) perchè non ostante tutto pare che si trovi di nuovo senza sufficienti mezzi per le numerose imprese che gestisce a perdita. 11 disegno di legge in esame prescrive, è vero. che u n comitato interministeriale determini le direttive generali. Lo stesso è di regola per l'I.R.I.; ciò non ostante, se questo non ha preso ancora nel suo gran seno le industrie finanziate dal F.I.M. non è dovuto a merito ministeriale sibbene all'opposizione frapposta dai dirigenti dell'1.R.J.: ne vedremo il seguito dentro il 30 giugno di quest'anno. Quando si apre una porta, è difficile chiuderla; è quindi più vantaggioso non aprirla. Per quanto riguarda il commercio dei petroli esercitato dall'I.R.1. non si hanno. a conoscenza del relatore. dati tali da giudicarne il vantaggio économico. P i ù volte è stato detto trattarsi di una gestione deficitaria. Nessuno potrà affermare che serva a fare abbassare i costi della benzina; nessuno affermerà
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che fosse indispensabile u n servizio statale a questo scopo. Se l'origine dell'ente fu quella di non far subire al paese i prezzi delle compagnie estere, i l che poteva ottenersi altrimenti, il fatto reale è che i costi attuali di benzina e simili, sia per le tasse troppo alte che per la mancanza di concorrenza, sono superiori a quelli di qualsiasi altro paese. I principali emendamenti proposti a l disegno d i legge rispondono ai criteri suesposti.
4. Gli altri emendamenti secondari derivano dalle suweriori proposte ovvero da considerazioni generali o marginali qui appresso annotate. a) All'art. 4 si è stabilita la responsabilità di iniziativa spettante al ministro del tesoro con la intesa del ministro delle finanze e dell'industria, dato che si tratta di titoli mobiliari, non potendosi ammettere l'approvazione in singolo da parte di ciascun ministro come è previsto nel testo governativo. b) Per le ragioni dette al n. 1 di questa relazione si propone la sovnressione dell'inciso che attribuisce al17E.N.I. « le funzioni d i diritto pubblico » dell'ente nazionale metano che viene soppresso (art. 6). e) Si propone la soppressione del primo e secondo capoverso dell'art. 8 riguardanti la garanzia dello stato alle obbligazioni da emettersi dal17E.N.I. e relative aeevolazioni fiscali. Così anche è soppresso l'art. 26. d ) La modifica proposta per l'art. 10 mira a dare la responsabilità dell'ente ad un solo ministro. I1 sistema deila responsabilità interministeriale è ingombrante e dà risultati assai discutibili. È un sistema che nel campo esecutivo bisogna rivedere. Lo stesso criterio si è seguito negli emendamenti agli artt. 16, 19, 20 e 21. e) I1 tipo dei consigli di amministrazione d i molti enti statali e parastatali, a carattere burocratico, non può applicarsi ad enti finanziari e industriali: vi manca l'omogeneità, la tecnicità e l'esperienza che è necessaria; manca soprattutto la collaborazione costante e coerente. Oeni ministro manda i propri " rappresentanti, di soiito funzionari buoni a tutte ie mansioni, che assommano diecine di incarichi senza omogeneità. La loro presenza è quella del generico, senza preparazione specifica e sempre assillato dai compiti del proprio ufficio cui dover hadare. Quale apporto di esperienza e attività possano dare al consiglio di aruministrazioue dell'I.R.1. il ragioniere generale e i l direttore generale del tesoro, non si arriva a comprendere, assorbiti come sono nei loro importantissimi e complicatissimi uffici. A
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La camera tolse all'art. 12 la qualifica di funzionari apposta nel disegno d i legge governativo per i rappresentanti dei vari dicasteri, qualifica che si trova sovente in altre leggi: così è stata lasciata ai ministri la facoltà di prendere elementi estranei. Ma è difficile che ciò avvenga, sia per il pregiudizio corrente che solo il funzionario possa garantire lo stato nella gestione degli enti pubblici ( i l che è assai problematico data la non felice esperienza già fatta), sia perchè non è facile che i ministri resistano alle pressioni degli alti funzionari che aspirano a tali posti secondo l'uso corrente. Comunque sia, il relatore ha creduto ridurre il numero dei consiglieri a sette (abolendo il principio di rappresentanza dei singoli ministeri che è semplicemente incongruo allo scopo) facendoli nominare dal ministro dell'industria e commercio, d'intesa con gli altri due di cui sopra, il quale ne valuterà le qualità e l e competenze in forma comparativa per farne venire un corpo omogeneo e fattivo. La giunta è ridotta a tre: presidente, vice-presidente e consigliere delegato; gente che deve sapere amministrare un'azienda simile senza bisogno di mettervi dentro i riempitivi burocratici e il personale decorativo (art. 13). f ) Anche il criterio della nomina e formazione del collegio sindacale è modificato (art. 14)' proponendo che la nomina venga fatta dal presidente della corte d i appello di Roma, eleggendo persone che abbiano il diploma d i laurea in economia e il titolo d i ragioniere. La proposta è sembrata non rispondere alla tradizione italiana e poco rispettosa del personale della ragioneria generale e della corte dei conti. I1 criterio del relatore è che la corte dei conti e la ragioneria generale debbano eseguire l e mansioni di legge al loro posto e non mai distaccando il personale presso gli enti statali. 11 controllo statale su tali enti deve essere fatto a parte, sia nell'esame dei piani finauziari preventivi, esame che oggi non viene fatto perchè non si sogliono presentare piani finanziari; sia ne117esame dei resoconti annuali; sia infine a mezzo d i ispezioni. Del resto. nel creare u n nuovo ente, che diverrà u n altro I.R.I., sarà bene tentare una strada diversa. visto che l'attuale sistema non è il più conducente. g) Sono stati aggiunti due articoli transitori: il 29 b k e il 29 ter in rapporto alle considerazioni svolte ai n. 2 e 3 d i questa relazione. Coll'articolo 29 bis vengono passate all'E.N.1. le concessioni di ricerca e di coltivazione date all'A.G.1.P. e auelle altre che 1'A.G.I.P. esegue per conto dello stato anche senza regolare
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concessione, come pure la costruzione e i1 trasporto degli idrocarburi in atto o in corso d i esecuzione. Con l'art. 29 ter si attribuiscono all' E.N.I. le partecipazioni statali dirette o indirette degli enti elencati alla tabella B. del disegno di legge governativo, con l'obbligo di rivederne la consistenza e di sottoporre al ministro dell'industria il piano di sistemazione degli enti o di cessione delle partecipazioni, in modo da concentrare per quanto possibile l'attività dell'E.N.1. alla ricerca e alla coltivazione degli idrocarburi. I n conseguenza d i v a n t o sopra la tabella A . del disegno di legge governativo viene soppressa e la tabella B. resta l'ilnica tabella allegata. Nel disegno di legge governativo è stato fatto varie volte accenno ai « vapori naturali), dei quali dovrebbe occuparsi 1'E.N.I; Questi accenni sono stati soppressi perchè meritano uno studio e un progett6 a parte.
Art. 1 - (Sostituito). I1 ministro dell'industria e commercio d'intesa con i ministri delle finanze e del tesoro è autorizzato a costituire l'ente nazionale idrocarburi con sede a Roma, con il compito principale della ricerca e coltivazione di giacimenti di idrocarburi, in base alle concessioni ottenute ai sensi di legge. Art. 2 - (Sostituito). L'ente può anche costruire condotte per il trasporto degli idrocarburi minerali nazionali ed averne l'esercizio. I diritti di esclusiva accordati dai comuni ad imprese di produzione e distribuzione di gas non impediscono la costruzione, da parte dell'ente, di condotte e distribuzione di gas naturali attraverso il territorio dei singoli comuni. Art. 3 - Soppresso i l capoverso. Art. 4 (Sostituito il capoverso). La vendita di partecipazioni azionarie è soggetta all'approvazione del ministro del tesoro d'intesa con i ministri per le finanze e per l'industria e commercio. Art. 6 - (Sostituito). L'eiìte nazicjriale metano ceeaa Ja ogni attività sei mesi dopo l'entrata in vigore della presente legge. Da tale data il consiglio di amministrazione è sciolto e il patrimonio, i diritti e le obbligazioni dell'ente medesimo sono attribuiti all'ente nazionale idrocarburi. A r t . 8 Soppresso i l lo e 2" capoverso. Art. 10 - (Sostituito). Le direttive generali che I'ente deve seguire per l'attuazione dei propri compiti sono determinate d a l
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ministro dell'industria e commercio d'intesa con i ministri per le finanze e per i l tesoro. Art. 12 - (Sostituito). I1 consiglio è composto di sette membri nominati dal ministro dell'industria e commercio d'intesa con i ministri per le finanze e per il tesoro. 1 sette nominano nel proprio seno u n presidente, un vice presidente e u n consigliere delegato. Questi tre formano la giunta esecutiva. I consiglieri durano in carica quattro anni. Art. 13 - Soppresso. Art. 14 - I1 collegio sindacale è composto di tre membri eifettivi e due supplenti che abbiano la laurea in economia e il titolo di ragioniere. La nomina è fatta dal presidente della corte di appello di Roma e dura due anni; gli eletti non sono rieleggibili per i l secondo biennio. Art. 15 - Soppresso. A r t . 16 (Modifica a l nono capoverso): Con decreto del ministro dell'industria e commercio d'intesa con i ministri per le finanze e per i l tesoro vengono determinati anno per anno gli emolumenti. Art. 19 (Sostituito). I n caso di gravi irregolarità, con decreto del ministro dell'industria e commercio d'intesa con i ministri per le finanze e per il tesoro l'amministrazione dell'ente può essere sciolta. (Modifica al secondo capoverso): Entro tre mesi e... Con la medesima procedura il termine può essere prorogato di altri tre mesi. Art. 20 - (Sostituito). Lo statuto dell'ente è approvato con decreto del presidente della repubblica su proposta del ministro dell'industria e commercio e sentito il consiglio dei ministri. Art. 21 - (Sostituito). Entro il 30 giugno successivo il bilancio, con l'elenco delle partecipazioni, la relazione del consiglio di amministrazione e la relazione dei sindaci, è presentato al ministro dell'industria e commercio per l'approvazione. Art. 26 - Soppresso. Art. 28 - (Soppresso, con la raccomandazione di introdurre nel regolamento dell'E.N.1. l'obbligo di mettere a disposizione del ministero dell'industria e commercio i dati relativi a i rilievi geologici e geofisici effettuati in tutte le zone di concessione). Art. 29 bis - All'ente nazionale idrocarburi passano le concessioni di ricerca date all'A.G.1.P. e quelle altre zone d i ricerca che 1'A.G.I.P. ha fatto e sta facendo per conto dello stato; nonchè le condotte di idrocarburi che 1'A.G.I.P. ha eseguito e sta eseguendo per conto dello stato.
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Art. 29 ter L'amministrazione dell'E.N.I., al passaggio degli enti elencati nella tabella annessa al disegno di legge riguardante l'elenco delle attività mobiliari ed immobiliari dello stato, procederà all'inventario di quanto esiste di attivo e pas. sivo per ciascuna azienda e relativi servigi, per accertarne esattamente la consistenza patrimoniale e relative perdite e gli eventuali deficit di gestione. La stessa amministrazione infra un anno dall'entrata in funzione proporrà a l ministro dell'industria e commercio un piano di sistemazione dei suddetti enti, prevedendo l'eventuale cessazione di branche di servizio ovvero la cessione di partecipazioni di quelle aziende non ritenute necessarie alle attività delI'E.N.1 indicate agli articoli l e 2 della presente legge. La Tabella A. viene soppressa. La Tabella B. prende la lettera A e con tale lettera è indicata nel testo della legge. Roma, 8 gennaio 1953.
Disegno di legge n. 12-B: « Provvedimenti per il credito alle medie e piccole imprese industriali e per lo sviluppo dell'attività creditizia nel campo industriale » (*) Onorevoli senatori, La proposta di legge che ho creduto opportuno presentarvi mira a colmare alcune lacune della legislazione vigente, rese evidenti dalla esperienza avuta nell'attuazione delle varie disposizioni legislative in materia di credito industriale, in modo particolare quelle per la sezione speciale della banca del lavoro e le gestioni speciali istituite presso le sezioni di credito industriale dei banchi di Napoli e Sicilia. Per l'articolo 13 del decreto legislativo 15 dicembre 1947, n. 1419, non può essere superato nel complesso il limite di 15 milioni per le operazioni di credito con ogni singola azienda; pertanto con l'articolo 1 si porta tale limite a SO milioni, lo stesso di quello fissato agli istituti regionali per il finanziainento alle medie e piccole industrie (articolo 5 della legge 22 giugno 1950, n. 445). I motivi dell'adeguamento sono ovvi, sia per il carattere nazionale della banca del lavoro, interregionale del (*l D'iniziativa del sen. S~uazo;presentato il l 8 agosto 1953, e deferito alla 5' commissione del senato. Approvalo dalla 5' commissione e niodificato dalla commissione della camera dei deputati. Legge 16 apriie 1954, n . 135 (G.U. 5 maggio 1954).
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banco di Napoli e regionale del banco di Sicilia; sia per la differenza del valore della moneta tra il 1947 e il 1953; sia per il maggior sviluppo attuale delle imprese di media industria. L'articolo 2 non sarebbe strettamente necessario ai fini legislativi, ma come conseguenza dell'articolo precedente si dà maggiore possibilità di finanziamento alle medie e piccole industrie. I1 capoverso dcll'articolo si adatta al sistema già in corso di attuazione da parte dell'istituto centrale del medio credito, sistema atto a non far pesare tali operazioni sul mercato dei valori mobiliari, in quanto le obbligazioni verrebbero assunte dal detto istituto. Con l'articolo 3 si propone la proroga di due anni del termine fissato per la sezione della banca del lavoro e per le gestioni dei banchi meridionali dall'articolo 37 della legge 11 aprile 1953: n. 298. Tale proroga è giustificata dalla previsione che i nuovi istituti chiamati dalle leggi del 22 giugno 1950. n. 445, e de11'11 aprilc 1953, n. 298, ad esercitare il credito alle medie e piccole industrie, non potranno acquistare in poco tempo - anche per il fatto che essi non dispongono di organi periferici - tuttn l'efficienza operativa necessaria per soddisfare, senza soluzione di continuità, le crescenti esigenze di credito a niedio termine delle minori industrie. La proroga darà modo di rilevare, con l'appogrio d i una più larga esperienza, quali inconvenienti possano derivare da una contemporanea attività operativa per la media e piccola industria dei detti istituti e della sezione della banca del lavoro e delle gestioni speciali dei banchi meridionali. Gli articoli 4, 5 e 6 del disegno rispondono ad una esigenza, sentita nel mezzogiorno assai vivamente, nel quadro dello sviluppo industriale, secondo i risultati dell'esperienza fatta diirante otto anni d i funzionamento delle sezioni di credito industriale dei banchi meridionali: quella di soccorrere, con una forma appropriata di intervento creditizio, al fabbisogno di capitali per la formazione di scorte. Con l'articolo 5 si applicano ai crediti delle suddette sezioni le garanzie previste all'articolo 2 della legge 20 dicembre 1948, n. 1482, in quanto si ritiene trattarsi di prestiti a medio termine a carattere industriale. Si è aggiunta la possibilità di estendere il privilegio alle scorte di materie prime e ai prodotti finiti, per una maggiore operabilità da parte delle sezioni. È superfluo fare rilevare la possibilità giuridica di estendere tale privilegio sulle scorte d i materie prime e di prodotti finiti, non facendo la legge menzione del tipo di mobili. ma solo indicando. agli articoli 2751 e seguenti del codice civile, l'ordine o il tipo speciale dei crediti su mobili. Spetta all'istituto finanziatore esami-
nare, caso per caso, la utilità e la sicurezza di tale privilegio e usarne di conseguenza. I1 contributo dello stato nel pagamento degli interessi previsti all'articolo 6, mentre da un lato è limitato nella sua entità sì da non dovere incontrare ostacoli da parte del tesoro, concorrerà a rendere operante e meno oneroso i l tipo di credito che con questa legge si intende sperimentare nel campo della media industria, che è quella che deve essere maggiormente agevolata. specialmente nel mezzogiorno e nelle isole. PROPOSTA DI LEGGE
Art. 1 - Alle operazioni che la sezione per il credito alle medie e piccole industrie della banca nazionale del lavoro e le gestioni speciali per il credito alle medie e piccole industrie presso le sezioni di credito industriale del banco di Napoli e del banco di Sicilia effettuano secondo le norme del decreto legislativo 15 dicembre 1947, n. 1419, si applica il disposto dell'articolo 5 della legge 22 giugno 1950, n. 445, fissante a 50 milioni il limite massimo complessivo di credito per ogni singola impresa. Art. 2 - Per le operazioni di cui all'articolo ~ r e c e d e n t e ,le sezioni sono ammesse al finanziamento dell'istituto centrale per il credito a medio termine a favore di medie e piccole industrie (medio credito), secondo le norme di cui a l capo V della legge 25 luglio 1952, n. 949. I1 finanziamento può aver luogo anche attraverso l'assunzione, da parte dell'Istituto centrale, di serie speciali d i obbligazioni che le sezioni potranno emettere fino a l limite di lire quattro miliardi per la banca nazionale del lavoro, quattro miliardi per i l banco di Napoli e due miliardi per il banco di Sicilia. Le condizioni di emissione delle obbligazioni sono stabilite con decreto del ministro per il tesoro. sentito i l comitato interministeriale per il credito e il risparmio. Art. 3 - I1 termine del logennaio 1956 stabilito dall'articolo 37 della legge 11 aprile 1953, n. 298, è prorogato al 1" gennaia 1958. Art. 4 Per i l periodo di un quinquennio a partire dalla data di entrata in vigore della presente legge, le sezioni di credito industriale del banco di Napoli e del banco di Sicilia sono autorizzate a consentire ad imprese industriali prestiti di durata non superiore a cinque anni: per la formazione di scorte di materie prime e prodotti finiti che si rendano necessarie in relazione alle caratteristiche del ciclo di lavorazione e alla natura della produzione delle imprese medesime.
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A r t . 5 - I crediti delle sezioni di credito industriale del banco di Napoli e del banco di Sicilia nascenti dai prestiti d i cui all'articolo precedente sono garantiti da privilegio secondo le norme di cui all'articolo 2 della legge 29 dicembre 1948, n. 1482. I1 privilegio, oltre che ai beni ed alle attività di cui alle dette norme, è esteso alle scorte di materie prime e prodotti finiti delle imprese finanziate, con il grado indicato all'articolo 2778, n. 3 del codice civile. L'estensione dovrà risultare esplicitamente dalle annotazioni ed inserzioni previste nel terzo, quarto e quinto comma dell'art. 7 del decreto legislativo luogotenenziale del lonovembre 1944, n. 367. Art. 6 Ai prestiti di cui all'articolo 4, eseguiti con i l saggio massimo di interesse fissato all'articolo 9 della legge 22 dicembre 1948, n. 1482, può essere concesso un contributo nel pagamento degli interessi in misura non superiore a l 2 per cento all'anno, da prelevarsi da u n apposito fondo costituito presso ciascuna delle sezioni con u n versamento iniziale, a carico del bilancio dello stato, di lire 210.000.000 per i l banco d i Napoli, e di lire 90.000.000 per il banco di Sicilia. L'eventuale concessione del contributo e la relativa misura sono stabilite dai comitati tecnici-amministrativi delle sezioni, in sede di deliberazione del prestito.
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Disegno di legge n. 82: Modifica agli articoli 2 e 3 della legge 11 marzo 1953, n. 87, riguardo le nomine elettive a giudici della corte costituzionale D. (*) Onorevoli colleghi, La modifica che sottopongo al senato della repubblica ha il fine di riportare la nomina elettiva dei giudici della corte costituzionale nel quadro della costituzione e delle tradizionali procedure che esprimano una volontà qualificata del corpo elettorale nello spirito di libertà. Nella nostra costituzione. il sistema elettorale più restrittivo e più adeguato al caso è quello fissato dall'ultimo capoverso dell'art. 53 per l'elezione del presidente della repubblica. Adottare il medesimo procedimento per i giudici nominati dal parlamento in seduta comune dei suoi membri, conferisce u n alto significato all'atto del parlamento nei riguardi di u n istituto che, come quello del presidente della repubblica, deve (*) D'iniziativa del sen. STURZO. Presentato il 14 ottobre 1953, e mai discusso.
essere al di fuori allo stesso tempo dei partiti e comprensivo delle esigenze degli istituti costituzionali democratici. Con la presente modifica viene ad eliminarsi la disposizione del quorum fissato dalla vigente legge, in tre quinti dell'assemblea in qualsiasi votazione, tanto dei seggi assegnati quanto dei presenti. I1 secondo articolo riguarda le norme delle assemblee delle magistrature. È stato notato con una certa sorpresa come i collegi della magistratura abbiano adottato il sistema dell'unica votazione, dichiarando eletti coloro che hanno avuto il maggior numero di voti, senza obbligo di raggiungere qualsiasi quorum, neppure la metà più uno dei votanti. La qual cosa rende la scelta priva di quei consensi morali, oltre che elettorali, che danno all'eletto maggior considerazione di fronte al pubblico. È vero che tutti i magistrati elettori sono egualmente degni di essere eletti giudici della corte costituzionale, perchè l'elettorato attivo e passivo è limitato ai membri elettori; ciò non ostante, la dispersione dei voti, cosa avvenuta già nelle elezioni effettuate; a parte ogni apprezzamento sulla regolarità dell'elezione, dà l'impressione di un'affermazione più personalistica che compresa della finalità di scelta maturata ai fini di inviare alla corte costituzionale le persone che nella opinione dei colleghi elettori fossero le più qualificate. Questi rilievi non toccano gli eletti ai quali rendo omaggio; ma riguardano quel metodo, che per l'avvenire dovrebbe meglio rispondere ai fini dell'istituto. Questa proposta, se divenisse legge, varrà per i l periodo successivo alla pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale. Non riguarderà quindi le elezioni avvenute in base al disposto della vigente legge.
PROPOSTA DI LEGGE
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-4rt. I Per l'elezione dei cinque giudici della coste costituzionale di nomina del parlamento si applica la procedura indicata al terzo capoverso dell'art. 53 della costituzione per la nomina del presidente della repubblica.
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Art. 2 La stessa procedura è adottata dai collegi delle tre supreme magistrature ordinarie e amministrative. Art. 3 - La presente legge entra in vigore il giorno successivo alla sua pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale.
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Disegno (li legge n. 125: C( Modifiche alla legge 6 febbraio 1948, n. 29: 'Norme per la elezione del senato della repubblica '1). (*)
Onorevoli senatori, La proposta d i legge che h o l'onore d i sottoporvi è limitata a poche modifiche, fra le quali due intese a riportare la vigente
legge alla normale struttura giuridica e tecnica del sistema adottato con la legge 6 febbraio 1948, n. 29. Invero, il quorum del 65 per cento, fissato dall'articolo 17 per la elezione a sistema uninominale, è una sforzatura che altera i l carattere della legge, specialmente in un paese, come il nostro, dove l'elettorato 6 molto frazionato. Le due elezioni del 2948 e del 1953 hanno dato come risultato, nell'al>plicazione di siffatto quorum, la elezione rispettivamente di 15 e d i 6 senatori su 237 seggi. Volendo mantenere il sistema del collegio uninominale col" legato con la proporzionale, occorre portare il quorum alla metà più uno; si perfeziona così la volontà popolare della maggioranza di coloro che effettivamente p a r t e c i ~ a n oalla elezione .. del senatore per ogni collegio. I n tale senso è stata proposta la modifica dell'articolo 17. L'altra modifica di rilievo riguarda la cifra individuale, dalla cui formazione dipende la scelta degli eletti a base proporzionale. Per i l testo vigente, il numero dei voti validi ottenuto da ciascun candidato viene moltiplicato per cento e i1 prodotto diviso per il numero degli elettori iscritti nel collegio. I1 rapporto, tra voti validi ed elettori iscritti, dal punto d i vista tecnico è da reputarsi illogico, non essendo la proporzionalità derivante dalla legge basata sul rapporto dei voti ottenuti da ciascun candidato e gli elettori del collegio, sì bene tra i voti ottenuti dal candidato e il numero dei votanti. Dal punto di vista politico, la proposta tende a correggere in qualche modo l'inconveniente derivante dal collegamento dei due sistemi, 1'11-
(*) D'iniziativa del sen. STURZO.Presentato il 23 ottobre 1953. Dopo vivace discussione, veniva deferito alla l a commissione del senato, il 10 dicembre 1957. Approvato i l 21 febbraio 1958. Legge 27 febbraio 1958, n. 64 (G.U. 28 febbraio 1958).
ninominale e il proporzionale, che porta alla incongruenza di collegi con più senatori eletti fra i propri candidati, e di collegi senza alcun senatore eletto. Purtroppo, qualsiasi metodo che si volesse adottare per ottenere l'assegnazione di un senatore per ciascun collegio, porterebbe inconvenienti ancora più novoli. Se si stabilisse la norma di preferire nella assegnazione dei seggi attribuiti allo stesso contrassegno i candidati dei collegi nei quali nessun senatore è stato proclamato eletto per non avere superato i l 50 per cento più 1 dei voti validi. si arriverebbe al caso limite di dovere pretermettere i candidati che hanno avuto il 40, il 30, il 20 per cento dei voti e proclamare eletto chi ne ha avuto i l 10 per cento o anche meno. La correzione che si propone, tendente a rettificare una poco coerente disposizione tecnica, ~ o t r àin qualche caso fare da correttivo all'inconveniente sopra lamentato ma inevitabile. Si propone inoltre, di ridurre a due le candidature multiple dello stesso candidato, sia per evitare che nelle regioni piccole si formi un mito personale, deplorevole in democrazia; sia, e ciò anche per le grandi regioni, per evitare in qualche misura la elezione d i candidati non favoriti dal corpo elettorale che subentrerebbero a l posto dei proclamati per avere costoro eventualmente negli altri due collegi superato la metà dei voti validi. Nello stesso articolo (11) viene introdotta una disposizione che integra il disposto di collegamento dell'articolo 1 del testo di legge. La modifica al n. 1 del primo capoverso dell'articolo 19, che fissa a un decimo il minimo di voti da tener in conto per la c i h a elettorale, è dettata dal criterio di evitare la dispersione dei voti per candidature che non trovano nel collegio base sufficiente. La proposta potrà essere anche guardata come richiamo a l senso di responsabilità degli elettori nel presentare candidature improvvisate. Non si tratta di invalidare la presentazione, il che sarebbe una proposta anticostituzionale ; si tratta d i non mettere tali voti nel computo, agli effetti della cifra elettorale, il che può contribuire. in dati casi, a non privare il collegio del proprio eletto. Infine la modifica all'articolo 3 ha lo scopo di evitare la procedura legislativa sia per l'assegnazione nel numero dei seggi senatoriali, sia per la revisione delle circoscrizioni dei collegi, ritenendo sufficiente garanzia l'intervento della commissione parlamentare, sia pure in sede consultiva, dovuta a l fatto che l'approvazione delle tabelle verrebbe effettuata a mezzo di decreto
PROPOSTA DI LEGGE
Articolo unico. Alla legge 6 febbraio 1918, n. 29, concernente (C Norme per la elezione del senato della repubblica sono apportate le seguenti modifiche.
I. L'articolo 3 è abrogato e sostituito dal seguente: Entro u n anno dalla pubblicazione ufficiale dei risultati di ogni censimento generale della popolazione, si procede alla revisione dei collegi e relative circoscrizioni, su proposta del ministro dell'interno, sentito i l parere di una commissione parlamentare composta di quindici deputati e quindici senatori, designati rispettivamente dal presidente della camera e dal presidente del senato. Le tabelle sono approvate con decreto del presidente della repubblica. (( Con la stessa procedura si approvano i cambiamenti di numero di senatori assegnati a singole regioni, e i conseguenti cambiamenti nelle circoscrizioni dei collegi, qualora si verificheranno cambiamenti nella circoscrizione della regione o la creazione di nuove regioni. I cambiamenti delle circoscrizioni amministrative e giudiziarie dei comuni, dei mandamenti e delle provincie che si verificheranno prima delle revisioni suddette, non hanno alcun effetto sulla circoscrizione dei collegi n. 11. L'articolo 12, n. 1) è abrogato e sostituito dal seguente: (C 1) elimina la candidatura di coloro che si siano presentati in più di due collegi della regione, ovvero che non abbiano presentato la dichiarazione di cui a l primo capoverso dell'articolo 11. L'eliminazione ha luogo procedendo dalle candidature che sono state presentate per ultimo, secondo il giorno e l'ora desunti dalle comunicazioni degli uffici elettorali circoscrizionali D. 111. I1 secondo comma dell'articolo 17 è abrogato e sostituito dal seguente : I1 presidente dell'ufficio elettorale circoscrizionale, in conformità dei risultati accertati, proclama eletto il candidato che ha ottenuto un numero di voti validi superiore al 50 per cento del totale dei voti validi ottenuti nel collegio da tutti i candidati D. IV. I1 n. 1 del primo capoverso dell'articolo 19 è abrogato ed è sostituito dal seguente: ((Determina la cifra elettorale per o,pi singolo gruppo di candidati. Nel computo della cifra elettorale non sono compresi
21 - STunm - S c r i t t i g i u r i d i c i .
i voti validi ottenuti dai candidati, quando questi voti non raggiungono u n decimo del totale dei voti validi espressi nel collegio a favore di tutti i candidati N. V. 1.a prima parte del terzo capoverso dell'articolo 19 è abrogata e sostituita dalla seguente: a La c i 6 a individuale viene determinata moltiplicando il numero dei voti validi ottenuti da ciascun candidato per cento e dividendo il prodotto per il totale dei voti validi ottenuti nel collegio da tutti i candidati n .
Nell'ottobre 1957, Sturzo proponeva altri emendamenti allo stesso disegno. Articolo unico. Nel primo comma sostituire le parole: (C sono apportate le seguenti modifiche » con le altre: « sono apportate le seguenti aggiunte e modifiche D.
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Sostituire i l punto con il seguente: a I. L'articolo 3 è abrogato e sostituito dal seguente: " A i fini delle elezioni senatoriali, il territorio delle singole regioni resta ripartito nei collegi uninominali stabiliti con i decreti del presidente della repubblica 6 febbraio 1948, n. 30, e 28 febbraio 1948, n. 84. " L'assegnazione del numero dei senatori a ciascuna regione si effettua con le modalità previste dall'articolo 3 del testo unico 30 marzo 1957, n. 361 " N. Inserire, dopo il punto I, i punti seguenti: « I-bis. L'articolo 5 e abrogato e sostituito dal seguente: " Sono eleggibili a senatori gli elettori che a l giorno delle elezioni hanno compiuto il quarantesimo anno di età e non si trovano in alcuna delle condizioni di ineleggibilità previste dagli articoli 7, 8, 9 e 10 del testo unico della legge per la elezione della camera dei deputati approvato con decreto residenziale 30 maggio 1957, n. 361, con la eccezione di quelle indicate alle lettere a), b) e C ) dell'articolo 7 che vengono classificate come causa di incompatibilità, per la quale è concesso il diritto d i opzione da esercitarsi entro trenta giorni dalla proclamazione a senatori. I candidati che si trovano in carica, debbono cessare dall'esercizio delle loro funzioni dal giorno dell'accettazione della candidatura " n. u I-ter. I1 primo comma dell'articolo 8 , è abrogato e sostitui~o dal seguente :
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" La candidatura è accettata in una sola regione e in non più di due collegi " D. « I-quater. I1 secondo comma dell'articolo 11 è soppresso n.
Dopo i l punto 11. inserire il seguente: 11-bis. Dopo l'articolo 13 è inserito il seguente articolo 13-bis: " Ogni gruppo di candidati può presentare, ai fini del quinto eomma dell'articolo 19, una lista integrativa di candidati. " La presentazione deve essere fatta entro le ore 12 del ventesimo giorno antecedente a quello della votazione alla cancelleria dell'ufficio elettorale regionale. " La dichiarazione di presentazione deve recare la firma di tutti i candidati del gruppo presentatore ovvero dei rispettivi delegati. "Le liste debbono contenere un numero di candidati non superiore a quello delle candidature collegate nel gruppo e recare l'indicazione del gruppo medesimo. " Non debbono essere presentati contrassegni di lista. " L'ufficio elettorale regionale, entro ventiquattro ore dalla scadenza del termine di cui al secondo comma del presente articolo: a) verifica se le singole liste siano state presentate in termini e nelle forme prescritte; b) provvede a comunicare al ministero dell'interno, per la pubblicazione nella Gazzetta ufficiale, i collegamenti e le liste dei candidati ammessi " D. Sostituire i punti ZV e V con il seguente: « IV. L'articolo 19 è abrogato e sostituito dal seguente: "L'ufficio elettorale regionale costituito presso la corte d i appello od il tribunale a' termini dell'articolo 7 , appena in possesso dei verbali o delle comunicazioni di avvenuta proclamazione trasmessi da tutti gli uffici elettorali circoscrizionali, procede con l'assistenza del cancelliere ed alla presenza dei rappiesentanti dei gruppi dei candidati, alle seguenti operazioni: determina la cifra elettorale per ogni singolo gruppo di candidati ; determina la cifra individuale dei singoli candidati di ciascun gruppo. " La cifra elettorale per ogni singolo gruppo di candidati è data dal totale dei voti validi ottenuti dai candidati del gruppo e non utilizzati per la proclamazione a' termini dell'articolo 17, esclusi i voti che, nei singoli collegi, non raggiungono il cinque per cento di tutti i voti validi. Essa si determina sommando i voti validi, ottenuti dai candidati del gruppo non proclamati eletti e che ahbiano superato l'anzidetto quorum del 5 per cento, con i
voti validi risultanti dalla differenza tra quelli attribuiti a i candidati proclamati eletti e la metà più uno di quelli attribuiti a tutti i candidati del collegio. " La cifra individuale viene determinata moltiplicando i l numero dei voti validi ottenuti da ciascun candidato per cento e dividendo i l prodotto per il totale dei voti validi ottenuti nel collegio da tutti i candidati. Nel caso di candidature presentate in due collegi, si assume, ai fini della graduatoria, la maggiore cifra relativa riportata dal candidato. " L'assegnazione del numero dei seggi da coprire, pari alla differenza tra il numero dei senatori assegnati alla regione a' termini dell'articolo 3 ed i l numero dei senatori proclamati eletti in base al17articolo 17, si fa nel modo seguente: si divide ciascuna cifra elettorale successivamente per uno, due, tre, quattro, ...... sino alla concorrenza del numero dei senatori da eleggere; e quindi si scelgono, fra i quozienti così ottenuti, i più alti in numero eguale a quello dei senatori da eleggere, disponendoli in una graduatoria decresccnte. I seggi saranno assegnati ai gruppi in corrispondenza ai quozienti compresi in questa graduatoria. A parità di quoziente, nelle cifre intere e decimali, il seggio è attribuito al gruppo che ha ottenuto la maggiore cifra elettorale e, a parità di quest7ultima, per sorteggio. bb Se ad un gruppo spettano piii seggi di quanti sono i suoi candidati, i seggi esuberanti sono distribuiti tra i candidati compresi nella lista integrativa eventualmente presentata dal gruppo a i sensi dell'articolo 13-bis. bC Qualora, invece, il gruppo non avesse presentato una lista o nel caso che il numero dei candidati contenuti in detta lista non dovesse essere sufficiente, i seggi esuberanti sono distribuiti secondo l'ordine della graduatoria dei quozienti di cui a l quarto comma. "L'ufficio elettorale regionale proclama quindi eletti, in corrispondenza a l numero dei seggi attribuiti ad ogni gruppo, i candidati del gruppo stesso, secondo la graduatoria determinata dalla loro cifra individuale. I n caso di parità di tale cifra, è graduato prima il più anziano di età. 6 6 Per i seggi assegnati, ai sensi del quinto comma, alle liste presentate dai gruppi, l'ufficio elettorale regionale segue l'ordine secondo il quale i candidati sono riportati nella lista. " DeIla proclamazione l ' ~ f i c i ~dà notizia alla segreteria del senato e EIP p e f e t t l x e della regione perche, a mezzo dei sindaci. ne rendano edotti gli elettori, e rilascia attestazione ai senatori proclamati " a.
Aggiungere, in fine, il pun.to seguente: u V. I1 secondo comma del17articolo 21 è abrogato e sostituito dal seguente : " Se non vi sono candidati del gruppo, i seggi che rimangono vacanti sono attribuiti ai candidati compresi nella lista integrativa eventualmente presentata dal gruppo, seguendo l'ordine secondo il quale i candidati sono riportati nella lista medesima. (C Qualora, invece, il gruppo non avesse presentato una lista integrativa o nel caso in cui tutti i candidati contenuti in detta lista fossero stati già proclamati eletti, si applica i l disposto del sesto comma dell'articolo 19 " 1).
1. Con la sostituzione del punto I dell'articolo unico si tende a rendere stabili le circoscrizioni dei siiigoli collegi, evitando così la revisione ad ogni censimento, a danno della compagine elettorale fra i comuni interessati. Anche le modifiche costituzionali del rapporto fra popolazione e numero di senatori possono, in via normale, essere coordinate con il tipo di collegio « storico ». In ogni caso, sarà il parlamento a stabilire, per legge, senza obbligo di periodicità e di generalità, se e come modificare le circoscrizioni elettorali. 2. Punto I-bis. Dalla unificazione nazionale, solo al 5 luglio 1882 fu introdotta la incompatibilità amministrativa ( è questo il titolo della legge) per i sindaci e i deputati provinciali i quali u eletti deputati al parlamento cessano dalle loro funzioni, se non dichiarano di rinunziare al mandato legislativo trasmettendo la loro dimissione pel tramite della prefettura negli otto giorni la convalidazione della loro elezione »: e all'artiche seaiono " colo 3 « non possono essere eletti deputati al parlamento i sindaci e i deputati provinciali nei collegi elettorali in cui esercitano a l tempo dell'elezione i l loro ufficio amministrativo N. I1 primo caso riguarda una incompatibilità di cariche che si purga con la opzione; i l secondo una ineleggibilità che si elimina con le dimissioni. Da notare che al 1882 i sindaci erano di nomina regia. La stessa condizione di incompatibilità fu affermata nei testi unici del 1889 e 1898. La mora di sei mesi non fu data a l sindaco per la sua elezione politica, ma fu data al deputato nazionale e provinciale per la loro elezione a sindaco. Lo stesso criterio di incompatibilità si trova sancito nel testo unico della legge comunale e provinciale del 4 febbraio 1915. Se si confrontano gli articoli del 1882, chiari, lineari e semplici e anche quegli altri da me citati, con l'articolo 7 del testo
unico delle leggi per la elezione della camera dei deputati approvato con decreto presidenziale del 30 marzo scorso, si trova che la incompatibilità è divenuta ineleggibilità, e perfino la semplice candidatura fa decadere dalla carica amministrativa che il candidato copre pur rimanendo la elezione inficiata di ineleggibilità. La legge del 1882 applicava la ineleggibilità solo agli amministratori comunali e provinciali nel collegio, oggi si applica ai candidati indicati nell'articolo 7 per tutte le circoscrizioni elettorali della repubblica. tranne per i militari indicati alla lettera h). I n sostanza questo è un articolo punitivo. Non credendo opportuno in sede di un disegno di legge che riguarda esclusivamente le elezioni del senato, quale è la mia proposta n. 125, interferire sul testo unico dell'altro ramo del parlamento, mi sono limitato alla proposta che riguarda: n) i deputati regionali o consiglieri regionali; b ) i presidenti delle giunte provinciali; C) i sindaci di comuni con popolazione superiore ai 20 mila abitanti. Ho, quindi, riportato la figura giuridica del caso alle incompatibilità; ho fissato ii 30 dalla data della proclamazione il limite per l'opzione, allo scopo di evitare il non eccezionale caso della trattazione della causa di incompatibilità presso la giunta delle elezioni dopo mesi ed anche anni dalla data della proclamazione, ledendo così eventuali diritti di terzi e consentendo l'abusivo esercizio di due uffici. il leeislativo e l'amministrativo, uno nazionale e l'altro locale. Inoltre ad eliminare la wretesa influenza che wossa esercitare nelle varie circoscrizioni della regione un candidato che copra l e suddette cariche amministrative, ho aggiunto la clausola del divieto delle funzioni amministrative dalla data dell'accettazione della candidatura in poi. Circa l'obiezione di influenza sull'elettorato a causa dell'ufficio amministrativo coperto c'è da notare che, dato il sistema elettorale attuale a larghe circoscrizioni, e data 1'organizzazione e l'ingerenza dei partiti e delle organizzazioni sindacali e di categoria, la questione oggi non merita maggiore considerazione di quella che non fu data al tempo del sistema uninominale e dell'elcttorato ristretto. 0
3. I1 punto I-ter è stato introdotto per coordinare l'articolo 8 della legge 6 febbraio 1948, n. 29, con l'emendamento dell'articolo 12 numero 1 della legge stessa, contenuto nel punto I1 del disegno di legge n. 125. 4. I1 disposto del punto l-quater è messo in esecuzione della quarta disposizione ~ransitoria con ziferiniento al1 'articolo 131 della costituzione, riguardante la regione Abruzzi-Molise.
5. Col punto 11-bis (articolo 13-bis) si propone « la lista integrativa » per tutti i casi occorrenti, sia per insufficienza d i candidature con rapporto ai risultati, sia per aumento di seggi senatoriali superiori di numero a quello delle circoscrizioni elettorali della regione in seguito ai dati del censimento generale della popolazione ovvero per diminuzione del numero di abitanti per ogni seggio senatoriale. 6. I1 disposto del punto IV, che sostituisce i punti IV e V del disegno di legge n. 125, risponde meglio all'armonia del sistema elettorale senatoriale. La riduzione dal 10 al 5 per cento dei voti validi non computabili per fissare la cifra elettorale è proposta con lo scopo di favorire i piccoli partiti pur mantenendo l'esclusione di candidature senza base elettorale. 7. I1 nuovo punto V prevede il caso di mancanza di candidati di un determinato gruppo, e fissa la norma per l'attribuzione dei seggi a candidati di altri gruppi.
Disegno di legge n. 97: Partecipazione della corte dei conti sulla gestione finanziaria degli enti a cui lo stato contribuisce in via ordinaria n. (Emendamenti proposti) alle quali Art. 1 - Sostituire « cui lo stato )) con le parole: l o stato N. Art. 2. - Capoverso a) sostituire « un triennio » con le parole « iin biennio » ; ultimo capoverso: dopo le parole « dello stato » aggiungere: « e l'obbligo assunto dallo stato di pareggiare le perdite di gestione D. Art. 3 - Dal secondo capoverso eliminare le parole « nonchè gli enti ai quali la contribuzione o la garanzia dello stato sia concessa in applicazione ai provvedimenti legislativi di carattere generale n. Art. 5 Sopprimere il testo governativo e sostituirlo con il seguente : « La corte dei conti partecipa al controllo sulla gestione 6nanziaria degli enti di cui all'art. 3, mediante un suo delegato che effettua gli accertamenti necessari sulla regolarità della gestione 'dell'ente cui è stato designato. I1 delegato della corte dei conti presenzia alle riunioni degli organi collegiali direttivi ed amministrativi ed alle operazioni
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. dell'organo di revisione dell'ente e può esercitare le facoltà ed i poteri di indagine e di controllo attribuiti al presidente dell'organo d i revisione. I1 delegato è scelto fra i magistrati della corte dei conti anche a riposo ed è nominato con ordinanza del presidente della corte stessa D. Art. 9 Aggiungere in fine il seguente c o m a : « per le spese relative all'applicazione della presente legge ivi compresa la corresponsione ai delegati della corte dei conti di emolumenti e di rimborsi di spese, gli enti di cui all'art. 3 versano al tesoro dello stato un contributo annuo nella misura che sarà determinata con il decreto del presidente della repubblica di cui al l o comma del citato articolo 3 D. Art. 12 Soppresso. -Art. l 4 Nuovo: con decreto del presidente della repubblica su proposta del presidente del consiglio dei ministri, sentite le sezioni riunite della corte dei conti saranno date le norme necessarie per l'attuazione della presente legge e per il funzionamento della sezione della corte dei conti di cui all'art. 9 ».
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Roma, 27 gennaio 1954.
Disegno di legge n. 499: « Provvedimenti per lo sviluppo della piccola proprietà contadina ».(*) Onorevoli senatori, A poca distanza di tempo questa è la quinta proposta d i legge riguardante la piccola proprietà contadina; la prima (n. 285) dei senatori Carelli ed Elia per l'aumento di L. 2.500 milioni del fondo della cassa per la formazione d i tale proprietà; l a seconda (n. 360) dei ministri Medici e Gava per l'apporto a detta cassa di L. 1.300 milioni; la terza ( n . 361) dei ministri Zoli, Medici e Vanoni che modifica le agevolazioni fiscali vigenti in materia; la quarta (n. 481) dei senatori Carelli ed Elia su apporti di nuovi fondi alla stessa cassa. L'idea della presente proposta sorse da uno scambio di idee awenuto nel settembre scorso in seno alla giunta consultiva per il mezzogiorno del senato come tema da studiare proprio nell'inieresse del mezzogiorno e delle isole. (*) D'iniziativa del sen. S~uszo. Comunicato aiia presidenza if 24 aprile 1954.
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Per le varie proroghe, i provvedimenti a favore della piccola proprietà contadina avrebbero fine al 20 marzo 1955; oggi la domanda di una nuova proroga non può lasciarsi senza risposta. Poco meno di undici mesi da oggi al marzo 1955 non sono troppi per l'iter legislativo dovendo la durata della proroga, come vedremo, regolare il complesso di interventi finanziari, e viceversa il complesso di tali interventi influendo sulla durata della proroga. Invero la proposta che mi permetto sottoporre al senato porta la proroga a quattro anni (art. l ) , i re vedendosi il periodo di un quinquennio, a partire dall'esercizio 1954-55, per la graduale erogazione dei fondi che verrebbero stanziati allo scopo, sia come concorso statale sia come anticipazione per mutui e prestiti. I1 quinquennio non è previsto solo per distribuire nel tempo la spesa che non sarà indifferente, ma anche per quella gradualità tecnica ed economica che evita le improvvisazioni e assicura la buona riuscita degli affari. Si è spostato i l termine di proroga dal 20 marzo al 30 giugno 1959 per tenere ferma la data della chiusura dell'esercizio finanziario. Se nel quinquennio l'attuazione della piccola proprietà contadina sarà reputata sufficiente allo sviluppo produttivo e socia-, le delle nostre campagne, non occorrerebbe altra proroga a l termine fissato. Nel caso opposto, occorrerà non una semplice proroga ma una nuova legge adatta alle condizioni di fatto che saranno maturate durante il quinquennio. Gli articoli 2, 3, 4 e 5 della presente proposta, riproducono con pochi ritocchi ritenuti utili, le disposizioni vigenti di basilare interesse. Con l'articolo 2, si è fatto riferimento all'articolo 846 del codice civile per evitare che si formi una unità culturale insufficiente, e per evitarne il successivo frazionamento, che porta alla polverizzazione della proprietà, con danno della produttività e degli scopi stessi della legge. Con l'articolo 3 si è voluto chiarire, a tutti gli effetti di legge compresi quelli fiscali, il complesso degli atti inerenti alla formazione della proprietà contadina, che non può intendersi limitatamente all'acquisto del terreno ma comprende i miglioramenti fondiari e le necessarie attrezzature stabili. L'articolo 4 precisa meglio la legislazione vigente circa la concessione dei prestiti con il concorso statale negli interessi per la conduzione e dotazione dei fondi. Con l'articolo 5 si è ridotto a cinque anni i l termine di decadenza dai benefici nel caso di alienazione volontaria per l'obbligo della coltivazione diretta. La riduzione è dovuta alla
preoccupazione di non instaurare una servitù decennale della gleba per coloro che si trovassero in condizioni di dover cambiare mestiere o emigrare o provvedere al pagamento d i debiti. Nessuno senza giusto motivo alienerebbe una proprietà che è il desiderio e l'ambizione del piccolo ceto rurale. Con lo stesso articolo si sono regolati i mezzi legali per i l recupero delle somme erogate dallo stato per concorso agli interessi dei mutui e prestiti e per sussidi. Con l'articolo 6 si autorizza la cassa a concedere la fideiussione non superiore al 40 per cento per i mutui effettuati dagli istituti di credito autorizzati a operare per la formazionc della piccola proprietà contadina. Tale provvedimento è reputato necessario per incoraggiare simili operazioni a lungo termine, sia attenuandone il rischio e sia concorrendo con anticipazioni da parte del tesoro, come è previsto dall'articolo 9 lettera b) della proposta di legge. L'articolo 7 regola con uniformità le scadenze dei mutui e ne precisa la decorrenza dei pagamenti in conto capitale a due anni dopo l'accensione del debito, per dare la possibilità al contadino di affrontare senza troppi pesi il primo periodo normalmente meno redditizio. I1 totale di spesa distribuita in cinque esercizi- sarebbe di 18 miliardi; il totale del movimento dei capitali recuperabili in trenta anni sarebbe di 15 miliardi. Se l'istituto della piccola proprietà contadina si vuole fare vivere per un congruo periodo occorre provvedervi con mezzi sufficienti. Le limitate somministrazioni di fondi quale quella di lire 1 milione 300 mila proposta d a l governo, servirebbero solo a fare arrivare l'attività della cassa per la proprietà contadina, con stenti e ripieghi, fino all'attuale termine legislativo del 20 marzo 1955. I provvedimenti che si propongono rispondono a quelli già in atto dal 1948: cioè per mutui di acquisto e trasformazione del fondo, concorso negli interessi dei prestiti di esercizio e concorsi vari in base a disposizioni legislative in vigore. Gli articoli 8 e 9 specificano esattamente i fondi destinati a far fronte al complesso dei provvedimenti e il periodo di attuazione con il relativo impegno in bilancio. Le proposte specifiche sono le seguenti: a) sei miliardi per la concessione del concorso dello stato nel pagamento degli interessi sui mutui fondiari; b) un miliardo per la concessione di sussidi, non cupcriori a l 10 per cento per l'acquisto dei terreni e relative case d i abitazione; C) un miliardo per concorso del 2,50 per cento negli interessi dei prestiti d i esercizio; d ) dicci miliardi per concessione di sussidi, a norma della legge di bonifica, per le
opere di miglioramento. Ad ogni previsione è stato fatto riferimento alle singole disposizioni di leggi vigenti in proposito. L'articolo 9 prevede, come si è detto, l'anticipazione d i 25 miliardi per mutui trentennali sia attraverso la cassa (dieci miliardi) sia a mezzo degli istituti esercenti il credito agrario d i miglioramento (cinque miliardi). La cassa stessa è facoltata d i servirsi, ove occorra, dei detti istituti di credito quante volte l'acquisto diretto dei terreni non sarebbe utile o riiiscirebbe troppo oneroso. Con questo articolo alla cassa suddetta è data una marginale funzione integrativa dell'attività dei ministeri della agricoltiira e del tesoro e degli istituti di credito, per lo sviluppo della piccola proprietà contadina. Non si tratta di introdurre la quinta ruota del carro, nè di mettere nuove barriere burocratiche, solo si prevede una contenuta ingerenza consultiva e coordinativa. Apro una parentesi; l'organismo della cassa per la formazione della piccola proprietà contadina andrebbe modificato nella sua struttura ministeriale e burocratica, dandovi maggiore autonomia e tecnicità! Non me ne sono occupato in questa proposta d i legge per arrivare sollecitamente all'approvazione di essa da parte delle due camere. Mi basta farne iin cenno. augurando che il ministro dell'agricoltura ne prenda l7iniziativa, abolendo fra l'altro la presidenza ministeriale del comitato amministrativo. L'articolo 10 tende a garantire al mezzogiorno e alle isole cinque miliardi sui dieci assegnati alla cassa. Bisogna ricordare che la cassa suddetta per l'articolo 9 del decreto-legge 5 marzo 2948. n. 181, fu istituita esclusivamente a favore del mezzogiorno e delle isole. Due mesi dopo ne fu estesa l'attività a tutto il territorio nazionale. L'effetto fu tale che il mezzogiorno e le isole hanno avuto i l minore beneficio. Dal 1948 ad oggi la cassa ha acquistato 21.915 ettari di terreno e ne ha rivendiito a contadini 10,242 con 450 in corso di vendita; i l mezzogiorno e le isole ne hanno avuto complessivamente 1.495 ettari: appena il 22 per cento. Confrontando le suddette cifre con quelle dei mutui volontari presso gli istituti di credito per l'acquisto di terreni ai quali è stato concesso i l concorso di legge, troviamo che sul totale nazionale di 446.271.48.21 ettari, nel mezzogiorno e nelle isole sono stati acquistati 226.156.72.07, per 114.788 domande sul totale com~lessivodi 224.720. Ne risulta chiaro il desiderio e il bisogno di piccola proprietà contadina, assai vivo in tali regioni se le domande superano la metà delle richieste nonostante la inerzia dei centri meridionali di campagna a farsi vivi e il limitato senso organizzativo, in confronto alle altre regioni del
centro e del settentrione. Pertanto, dai due punti di vista dell'effettivo minimo concorso della cassa e del numero dei mutui volontari su dÒmande. la ~ e r c e n t u a l efissata con l'articolo 10 sembra più che giustificata. Resta i1 problema più grave, quello della copertura della spesa in osservanza dell'articolo 81 della costituzione. Fortunatamente esiste i l fondo globale al capitolo 516 dello stato di previsione per l'esercizio prossimo 1954-1955; la spesa di 5.600 milioni di lire è tale da potervi trovare capienza. Per gli esercizi successivi fino al 1958-59 la relativa spesa non è un ostacolo grave alle successive previsioni annue. Vero è che prendere impegni continuativi d i spesa per diversi esercizi sarebbe poco ortodosso per un bilancio i n deficit quale il nostro; ma sarebbe anche poco ortodosso prevedere in unico esercizio le spese da eseguirsi gradualmente in periodi più o meno lunghi. " Occorre, secondo me, limitare i periodi da tre a cinque anni e limitare le spese continuative a cifre sopportabili dalla normale elasticità dei bilanci di previsione. A queste due norme si è attenuta la presente proposta di legge, che si spera possa essere accolta dal parlamento con il consenso dei ministri interessati. DISEGNO DI LEGGE A r t . 1 - Con le modifiche e le integrazioni della presente legge sono prorogati fino al 30 giugno 1959 i l decreto legislativo 24 febbraio 1948, n. 144, e le leggi successive a favore della formazione della piccola proprietà contadina.
Art. 2 - Una commissione provinciale, costituita dall'ispettore agrario provinciale, dall'intendente di finanza e da un dottore agronomo designato dal prefetto, verifica la idoneità del fondo a costituire la piccola proprietà contadina, tenendo conto della destinazione colturale, del limite di imponibile catastale e del rispetto della minima unità colturale di cui all'articolo 846 del codice civile.
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A r t . 3 A tutti gli effetti di legge sono considerati atti inerenti alla formazione della piccola proprietà contadina: a) la costruzione di edifici rurali per l'abitazione del compratore od enfiteuta, il ricovero degli animali, la conservazioile e lavorazione dei prodotti; b) le opere di miglioramento fondiario, quali i l ciissodamento dei iarreni inculti e !a sistezzzziene id-raulica. Art. 4
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prestiti con il concorso statale negli interessi per
la conduzione e per la dotazione della piccola proprietà contadina, sono concessi previo parere tecnico dell'ispettore provinciale dell'agricoltura. La licruidazione del concorso statale neeli " interessi è effettuata dall'ispettore provinciale dell'agricoltura nei modi regolamentari vigenti per l'esecuzione della legge 5 luglio 1928, n. 1760 sul credito agrario. - -
.,
A r t . 5 - Ferma restando ogni altra disposizione contenuta nell'articolo 9 del decreto legislativo 24 febbraio 1948 n. 114, è ridotto da dieci a c i n a i e anni il periodo di decadenza ivi previsto. Per il recupero, a carico degli inadempienti, delle quote di concorso statale nel pagamento degli interessi sui mutui e dei sussidi concessi in base alla legge di bonifica, si applicano le norme e i privilegi stabiliti per l'imposta fondiaria e le relative sovraimposte provinciali e comunali osservando quanto è previsto all'articolo 21 del regio decreto 13 febbraio 1933, n. 215. I1 privilegio statale di recupero prende grado immediatamente dopo l'ipoteca a favore dell'istituto di credito. A r t . 6 La « cassa per la formazione della piccola proprietà contadina D istituita con l'articolo 9 del decreto legislativo 5 marzo 1948, n. 121, è autorizzata a prestare fidejussione sui mutui contratti a norma dell'articolo 2 del decreto legislativo 24 febbraio 1948, n. 114 e successive modificazioni. La fidejussione ha carattere sussidiario dell'obbligazione principale ed è limitata al 40 per cento della somma mutuata. La valutazione dei terreni per il cui acquisto viene concesso il mutuo con la fidejussione della cassa è fatta congiuntamente da questa e dall'istituto di credito agrario che concede i l mutuo. Con apposite conveiizioni tra la cassa e gli istituti si determineranno i l volume delle operazioni da compiersi dagli stessi e le altre condizioni per la prestazione della garanzia. A r t . 7 L'ammortamento dei mutui previsti dall'articolo 6 della presente legge avrà inizio col 1" gennaio o col lo luglio auccessivo allo scadere del secondo anno dalla somministrazione del mutuo. Durante i primi due anni saranno dovuti i soli interessi sull'importo del prestito. Ove i l debitore lo richieda, gli istituti di credito agrario addebiteranno tali interessi in un conto speciale, da regolarsi ad un tasso uguale a quello del mutuo, ed a l quale sarà accreditato il contributo versato dallo stato durante i l detto periodo. A l termine dei due anni il saldo debitore di tale conto sarà, a richiesta dell'interessato, consolidato in u n mutuo suppletivo, a condizioni uguali a quelle del mutuo principale e da annoverarsi in egual periodo.
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Art. 8 In esecuzione della presente legge, è autorizzata la iscrizione, negli stati di previsione della spesa, della somma di lire 18 miliardi, distinti come segue: a ) lire sei miliardi, in ragione di lire 200 milioni all'anno Der trenta anni. a decorrere dall'esercizio finanziario 1954-55 ad incremento di1 fondo previsto con l'articolo 6 della legge 11 dicembre 1952, n. 2362, per la concessione del concorso dello stato nel pagamento degli interessi del 4,50 per cento sui mutui per le spese indicate a117art. 3 della presente legge; b ) lire un miliardo, in ragione di lire 200 milioni all'anno. per cinque anni, a decorrere dall'esercizio finanziario 1954-55, da servire per la concessione, a norma dell'articolo 49 del regio decreto 13 febbraio 1933, n. 215, di un sussidio in misura non superiore al 10 per cento, nella spesa d'acquisto dci terreni e della casa d'abitazione alle condizioni stahilite dall'articolo 4 della legge 11 dicembre 1952, n. 2362; C) un miliardo. in ragione di lire 200 milioni all'anno per cinque anni, a decorrere dall'esercizio finanziario 1954-55, per la concessione del concorso dello stato nella misura del 2,50 per cento nel pagamento degli interessi sui prestiti fissata dall'articolo 4 della presente legge; d ) lire dieci miliardi, in ragione di lire due miliardi all'anno: per cinque anni, a 'decorreie dall'esercizio finanziario 2954-55. da servire Der la concessione di sussidi. a norma della legge di bonifica, nella spesa per l'esecuzione delle opere di miglioramento di cui all'articolo 3 della presente legge. -
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Art. 9 - Nello stato di previsione della spesa del ministero del tesoro, movimento capitali, è autorizzata l'iscrizione di: a) lire dieci miliardi, in ragione di lire due miliardi all'anno per cinque anni, dall'esercizio finanziario 1954-55 a l 1958-59, quale nuovo apporto al patrimonio della cassa per La formazioiie della piccola proprietà contadina istituito con l'articolo 9 del decreto legislativo 5 marzo 1948, n. 121 da servire per l'acquisto, la lottizzazione e rivendita dei terreni; b ) lire cinque miliardi, a decorrere dall'esercizio finanziario 1954-55, in ragione di u n miliardo all'anno per la concessione di anticipazioni agli istituti esercenti il credito agrario di miglioramento, a l tasso non superiore al 5 per cento. rimborsabili nel periodo d i trent'anni, da utilizzare nella concessione di mutui ai sensi dell'articolo 2 del decreto legislativo 24 febbraio 1948, n. 114 e dcll'articolo 3 della presente legge. La cnncessione dei fondi agli istituti interessati è fatta, mediante convenzione, dal ministro del tesoro su proposta del ministro dell'agicoltura e foreste, sentito il comitato ammini-
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atrativo della cassa per la formazione della piccola proprietà contadina. La cassa suddetta, per gli scopi indicati alla lettera a) del presente articolo, è facoltata, in casi particolari e con l'autorizzazione del ministro del tesoro, a provvedervi mediante convenzione con gli istituti di credito sopra indicati. Art. 10 I1 50 per cento dei fondi di cui alla lettera a) dell'articolo precedente è destinato alla formazione della piccola proprietà contadina nelle regioni meridionali e insulari indicate all'articolo 3 della legge 10 agosto 1950, n. 646. Art. 11 - All'onere di lire 5.600 milioni, relativo all'esercizio 1954-55, dipendente dall'applicazione della presente legge, sarà fatto fronte con i l fondo globale di cui a l capitolo 516 dello stato di previsione della spesa del ministero del tesoro per l'esercizio medesimo. Art. 12 Il ministro per il tesoro è autorizzato a provvedere, con propri decreti, alle occorrenti variazioni di bilancio.
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Disegno di legge n. 359: Istituzione di una imposta sulle società e moderazioni in materia di imposte indirette sugli affari D. (Dichiarazioni riguardo l'emendamento all'articolo 8). Onorevole presidente, onorevoli senatori, dopo le dichiarazioni del ministro alle finanze, sono obbligato a dare ragione perchè non posso ritirare l'emendamento all'articolo 8, e richiedere d i sottoporlo alla votazione di questa assemblea. Dal punto di vista della tecnica legislativa, sarebbe stato meglio la formulazione di un articolo aggiuntivo. Debbo giustificare il fatto di avere inserito l'emendamento nel testo della commissione avendo mantenuto i l riferimento alla stessa percentuale di abbuono, cioè il 40 per cento; mentre nell'articolo 8-bis è applicato l'abbuono del 25 per cento. I1 ministro ha voliito escludere tale proposta per due motivi: per i l minore gettito dell'imposta, e per la uniformità del carico a tutte le società similari. Nè i l ministro lo ha indicato, nè io sarei in grado di precisarlo, quanto sarebbe il minore gettito dell'abbuono del 40 per cento per le industrie sorte nel mezzogiorno e nelle isole, e nelle altre zone industriali indicate da leggi speciali. A mio modo di vedere, si tratterà di cifra assai modesta in rapporto all'intiero gettito di 58 miliardi previsti dal ministro. Comunque sia, non è questo u n motivo per colpire un'industria nascente, in grandissima parte di piccole e medie unità che fin oggi sten-
lano a trovare mercato adatto e sufficiente, e sono appesantite dau'onere di mutui di impianto, sia pure di favore, e più ancora d a prestiti di esercizio a tassi elevati. Ho l'impressione che l'on. ministro alle finanze vada dimenticando di essere stato ministro alla industria. quando c o ~ perava ai primi ~rovvedimenti per l'industrializzazione del mezzogiorno. Non si avverte che sottrarre ogni anno a molte piccole e medie aziende una somma notevole di denaro liquido, pari a u n quarto e forse più del reddito reale, avrà per effetto di aumentare la richiesta di nuovi prestiti di esercizio. Se ciò non presenterà molte difficoltà per i l primo anno, a l secondo e al terzo non si conteranno le vittime. I1 ministro, che ha firmato la legge del 16 aprile scorso n. 135, sul credito alle piccole e medie industrie, legge approvata alla unanimità dalla 5a commissione senatoriale in sede deliberante, dovrà rendersi conto che gli effetti che se ne prevedevano sarebbero in parte annullati dalla presente legge, se non sarà accolto i l mio emendamento. L'osservazione del ministro circa la eguaglianza di trattamento a tutte le società non calza. Non voglio essere io a portare qui la nota antipaticissima di nord e sud; tanto è vero che nel mio emendamento ho incluso le zone industriali fra le quali Venezia, Ferrara, Verona, Livorno, Roma. Le esenzioni già proposte e approvate (ed io vi ho dato il mio voto perchè convinto) a favore delle cooperative ( e sarei stato più largo), le aziende municipalizzate, i consorzi di bonifica, miglioramento, irrigazione ed opere idrauliche, gli istituti di case popolari, hanno più larga applicazione nelle provincie del nord che in quelle del centro, del mezzogiorno e delle isole. Gli enti e le società ai quali si applicherà l'art. 8, non hanno sede nel mezzogiorno. Gli istituti d i credito per i quali è stato previsto l'abbuono dell'importo del 25 per cento (art. 8-bis) in gran parte sono ed operano nelle provincie del nord; meno nel centro e molto meno nel sud. Sono lieto dell'attività del nord nel campo economico; ed è bene sia riconosciuta e in molti lati ammirata; le nostre provincie non hanno avuto largo sviluppo cooperativo e là dove l'ebbero le case rurali, patirono .la raffica politica del fascismo che annullò trent'anni di lavoro cooperativo. Vi parla chi vi dedicò i migliori anni giovanili, e per coraggiose e sfortunate iniziative pagò d i persona senza mai lameutarsene; allora non c'era lo stato che si accoliava i deficit delle iniziative private.
Con mia lettera del 24 maggio scorso: diretta al vice preuidente Lussu della giunta consultiva pel mezzogiorno, avevo chiesto i l parere su u n mio primo emendamento per la esenzione totale della imposta. Non mi era stato possibile intervenire alla riunione e l'esame fu rimandato. Ora fo appello ai colleghi della giunta perchè si rendano conto della gravità della sitiiazione che andrebbe a crearsi, se nessun correttivo viene disposto alla legge in discussione. Capisco l'imbarazzo del relatore, sen. Zotta, meridionale e meridionalista, di fronte alle mie considerazioni; non comprendo l'ostilità (come dirla?) di certi amici del nord, che non conoscono il mezzogiorno, non ne hanno studiato i problemi, non sanno a che punto siano le iniziative industriali sorte in seguito ai provvedimenti del 1946, 1947 e 1948, e vengono di tanto in tanto a ricordare che esiste una cassa per il mezzogiorno, con la quale lo stato italiano avrebbe pagato il suo vecchio debito. Vorrei invitare il qui presente ministro Campilli, che personalmente sarebbe favorevole al mio emendamento, a parlarci dei centomila operai che oggi con la cassa non solo hanno trovato una occupazione ma hanno quasi raddoppiati i salari di u n tempo, del cosa per loro avverrà quando saranno finiti i lavori di bonifica agraria, di strade e di acquedotti. Si continuerà forse nella sfera delle opere pubbliche? Ovvero si creeranno industrie produttive? non c'è altra possibilità; indietro nou si torna; i centomila operai di oggi, e duecentomila d i domani, non torneranno a fare i paria. E se i colleghi vogliono sapere perchè la cassa per i l mezzogiorno h a cooperato ben poco allo sviluppo industriale, sapranno che nel 1950 governo e parlamento furono titubanti a mettere nella legge istitutiva della cassa anche la competenza del settore industriale; ed è merito del ministro Campilli avere cercato d i correggere l'errore iniziale e avere spinto la cassa a più decisivi interventi. Non bisogna oggi sminuire jl merito dei governi del 1947 e 2948 e di quello del 1950, a favore della industrializzazione del mezzogiorno, con u n provvedimento controproducente voluto nel 1954. Ecco tutto. Non fo una questione politica, nè ho desiderio di mettere in imbarazzo il presidente Scelba, il quale sa bene di non dovere far pesare la sua qualità d i meridionale in una questione cconomica e tecnica. Fo una questione d i responsabilità sul piano dei prowedimenti finanziari. Dopo avere destinati quaranta miliardi di prestiti alla industrializzazione del mezzogiorno, sarebbe poco in-
telligente comprometterne parzialmente l'esito, specie nel settore più delicato e difficile della piccola e media industria. I1 ministro delle finanze non è stato in grado e non è in grado di garantire che le mie preoccupazioni non abbiano base: il ministro della industria non parla, il ministro presidente del comitato per la cassa per il mezzogiorno non è qui, o se è qui non parla; in tale condizione domando se l'assemblea possa assumere la responsabilità di rigettare il mio emendamento. Ne domando la votazione; e se non fossi in u n gruppo che non può essere solidale perchè gruppo misto, cercherei di avere colleghi a firmare la richiesta di appello nominale, perchè la responsabilità da assumere sia palese di fronte al paese. Roma, 9 giugno 1954.
Disegno di legge n. 941: N Modificazioni alla legge 30 maggio 1932, n. 720, contenente provvidenze per la costruzione ed il riattamento d i sili e magazzini da cereali >). Con la modifica del disegno d i legge n. 941, primo comma dell'articolo 3 della legge 30 maggio 1932, n. 720, si elimina la frase « ad agricoltori singoli e consociati per sostituirla con la frase: « a i consorzi agrari provinciali e alla loro federazione n. La volontà di escludere dal beneficio della legge vigente gli agricoltori singoli sembra prevalente, tanto più che sotto le parole « agricoltori consociati sono compresi i consorzi agrari e relativa federazione, nonchè le cooperative agricole. Anche la frase successiva della legge vigente « ad enti ed istituzioni agricole comprende i consorzi agrari e relativa federazione e l e cooperative agricole. Nè può pensarsi che il disegno di legge abbia lo scopo della eliminazione di enti ormai inesistenti quali « i consigli provinciali della economia corporativa ». La verità che balza a prima vista è che i l loarticolo mascheri il favore esplicito quasi esclusivo a i consorzi agrari e precisamente alla federconsoizi. Ciò è reso ancora più evidente dalla soppressione degli articoli 4, 5 e 6 della vigente legge, 30 maggio 1932, n. 720, con i quali articoli viene regolata la costituzione di consorzi volontari d i agricoltura ed eventuali consorzi obbligatori a i fini della legge (art. 4) e viene riconosciuta la facoltà che sili e magazzini esercitino con determinate modalità la funzione d i depositari per conto terzi (artt. 5 e 6). La prevista soppressione dell'art. 7 a carattere transitorio alla data della emanazione della legge'del 1932 è sempiicementc superflua.
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I n sostanza, l'articolo del disegno d i legge in parola che ha ragion d'essere è solo l'art. 2 che prevede un aumento, agli stanziamenti e impegni previsti dalla legge vigente, d i altri 40 milioni annui per 25 anni, con lo scopo evidente di costituire u n monopolio permanente d i sili e magazzini nelle mani della federconsorzi. I1 che è semplicemente da escludere. Per quanto sopra esposto, si -è della opinione che l'art. 2 passi a d articolo unico, limitandone la previsione ad u n periodo non superiore a dieci anni e mantenendo per il resto i n vigore la legge del 30 maggio 1932, n. 720. 24 febbraio 1935.
Disegno d i legge n. 51: « Assetto della gestione cereali e derivati importati dall'estero per conto dello stato (*). (Relazione di minoranza) Non appartenendo a gruppi senatoriali omogenei è ovvio che non rappresenti che me stesso; ciò non ostante non mi sembra possa essere qualificata presuntuosa la posizione da me presa come rappresentante d i una minoranza, pur essendo questa tanto sparuta da poter essere ridotta alla percentuale di uno su duecento o più. Voce isolata, adunque: qualche consenso segreto non mancherà; forse avrò anche qualche consenso aperto. Ma, non presentandomi come esponente di gruppo, sì bene come studioso d i problemi amministrativi, non intendo fare sulla questione nessuna affermazione di carattere politico. I1 disegno di legge n. 51 ha per fine quello di sistemare legislativamente una situazione anormale formatasi attraverso provvedimenti d i emergenza ed accomodamenti burocratici, in attesa di leggi o leggine sanatorie di là da venire. Non fo un'accusa ai ministri passati nè a i ministri attuali; il rilievo è necessario solo per fissare il punto di partenza. Se i ministri interessati nel provvedere al passato (gestione dei cereali e derrate importati dall'estero fino ad oggi) avessero impostato la regolarizzazione del futuro (continuare o no col medesimo sistema ovvero trovarne uno più adatto), avrebbero evitato che il presente disegno d i legge n. 51 fosse stato tenuto in sospeso per diciotto mesi. E se è vero che, per il fatto di non avere potuto regolare i l conteggio d i dare ed avere fra lo stato e l'ente gestore, si siano dovuti pagare vari miliardi (*) Discussione abbinata al dia. di legge n. 1498.
all'anno d i interessi bancari la cui entità non si conosce ma sembra debba superare i trenta miliardi, la situazione ammiiiistrativa deve essere veramente grave e degna di rilievo iu questa aula. I l sistema dell'accgisto per conto dello stato da parte dell'ente gestore a conteggio di spese e senza fissare in anticipo i compensi del servizio, solleva parecchi quesiti: a) è possibile a tanta distanza d i anni controllare le spese in modo da poterle esattamente individuare e tranquillamente approvare, specie se tale conteggio sarà riferito non più a carico per carico, ma a campagna per campagna? b) è buon metodo amministrativo caricarsi d i u n onere bancario che si trascina per anni ed anni, senza aver trovato la via di una liquidazione anche provvisoria che eliminasse simile spesa? C) è nella regolarità amministrativa dello stato il fatto che i compensi per i servizi vengano fissati dopo u n settennio dalla legge istitutiva, senza che vi siano accenni regolatori nella legge originaria e nelle successive e neppure nelle convenzioni fra amministrazione ed ente gestore? I1 ritardo nel discutere il disegno di legge n. 51 dimostra la perplessità che questo possa importare una specie d i assolutoria legislativa, il che non è. E non era da cogliere l'occasione d i questa legge per tranquillizzare l e camere e la stessa opinione pubblica anche sul passato? La portata dell'attuale disegno è stata semplificata dalla dichiarazione fatta dal ministro del tesoro di non insistere sull'articolo 5, con i l quale si sarebbe facoltato l'alto commissariato dell'alimentazione. d'intesa con il tesoro, ad autorizzare l'ente gestore a procurarsi, nel corso di sette anni, ulteriori disponibilità d i impianti per deposito e conservazione di cereali, da costruire e da riattare a spese dello stato in località indicate dallo stesso alto commissariato. Questo articolo, in sostanza, faceva prendere alla federconsorzi l'ipoteca sull'avvenire; ipoteca che già è in corso per il disegno d i legge n. 941 (che fu approvato dalla camera dei deputati col n. 523) e, mentre scrivo, si trova avanti la commissione VI11 di questo senato in sede legislativa. Limitando il disegno d i legge alla regolarizzazione del passato senza aIcuna indicazione dei provvedimenti dell'avvenire (come ha fatto la maggioranza della commissione), ne viene d i conseguenza la continuazione in indefinito dell'attiiale sistema degli acquisti all'ertero dei cereali e derivati. Per ovviare alla lacuna del disegno di legge, mi sono indotto a proporre una serie d i emendamenti che ho il dovere di illustrare.
Premetto che gli acquisti all'estero non hanno tutti lo stesso motivo: si acquista per colmare il fabbisogno alimentare della popolazione nel caso che la produzione iiazionale non basti; si acquista in temporanea per riesportarne i prodotti: si acquista per costituire o aumentare scorte di emergenza. Per l'uno o per l'altro motivo o per tutti insieme, lo stato ha tuttora l'interesse prevalente alla regolamentazione d i tali acquisti. Dai dati dell'ultimo triennio d i produzione risulterebbe che. c k r e gli acquisti fatti con i paesi con i quali sono in essere convenzioni speciali, e non tenendo conto delle importazioni in temporanea, le importazioni libere per alimentazione e per scorte si sono ridotte al minimo. Nè si prevede per l'avvenire un peggioramento all'attuale situazione, al contrario, si ha fiducia in una produzione media ancora più elevata. Se interessi di altra natura noli obbligassero a mantenere l e convenzioni con la Russia, l'Argentina e la Turchia, a parte il fabbisogno di grano duro, le importazioni di cereali potrebbero in un prossimo avvenire essere ridotte quasi a zero. Se è così, non vi sarebbe motivo serio a mantenere u n monopolio assai pesante e un'impalcatura costosa quale è l'attuale. L'unica obiezione opposta dagli agricoltori si basa sul timore che i suddetti sette milioni d i quintali immessi nel commercio libero dei cereali, farebbero oscillare in meno i prezzi politici consolidati. Debbo far presente che una buona parte dei suddetti sette milioni di quintali va alla pastificazione, specialmente il grano duro, il cui prezzo non è inferiore e qualche volta è superiore a quello nostrano; inoltre, a regolare i prezzi alla entrata dovrà essere ripristinato il dazio sui cereali ( e se occorre anche una tassa come si fa per il caffè) in modo da non esservi largo margine sul livello dei prezzi nazionali. T,c temute oscillazioni di mercato per le quantità di derrate messe in circolazione superiori alla domanda non avrebbero ragion d'essere per i freni che l'altezza dei costi impone agli importatori; e in ciò sarebbero alla pari dei produttori nazionali per i cereali non portati all'ammasso. Del resto non credo che si voglia escludere la possibilità d i lievi oscillazioni di mercato, educando il coltivatore ad u n prezzo rigido, il che sarebbe controprodu'cente per lo sviluppo produttivo del paese. Pertanto, il punto di partenza del nuovo regime sarebbe l'abolizione dal loluglio prossimo, con le precisazioni d i disposizioni particolari contenute nel testo degli articoli. del decreto legislativo del 26 gennaio 1948, n. 169, con il quale lo stato si caricò la spesa delle importazioni di cereali, derivati e prodotti comunque destinati alla ~ a n i ~ a s t i f i c a z i o n(art. e l ) , e la statuizione della facoltà data all'alto commissario per l'alimen-
tazione a provvedere all'eventuale acquisto all'estero d i cereali e derivati in base al vigente decreto-legge del 7 luglio 1951 e relativa ratifica (art. 2). Gli acauisti di stato dovrebbero essere destinati a formare delle scorte, se e in quanto necessarie; ma tali acquisti. anzichè fatti per conto e pagati su liste di spese e con compensi a definirsi posteriormente, dovrebbero essere fatti a mezzo d i pubblica gara fatta fra ditte bene attrezzate, e in base ad u n disciplinare approvato dal consiglio dei ministri e pubblicato sulla Cazzetta uficiale. Se i concorrenti non sono in grado di fare anche il servizio di immarrazzinamento. e se lo stato non disinoile d i magazzini propri o presi in affitto, potrà requisirli. Tutto ciò farà parte del disciplinare sì che nessun concorrente possa godere di speciali privilegi. Quando lo stato vorrà disporre dei cereali di scorta, potrà venderli al prezzo politico, sia che ci guadagni sia che ci perda; potrà anche cederli agli stessi importatori con le condizioni che l'amministrazione crederà d i fissare. Lo stesso sistema potrà essere adottato per l'importazione dei cereali dai paesi verso i quali l'amministrazione abbia assunto obblighi contrattuali. Questa potrà accordare permessi d i importazione alle ditte di paste alimentari o ai mulini, specie per i l grano d u r o ; potrà regolare i prezzi mediante dazi doganali; le leggi vigenti prevedono tutto ciò. Pey gli acquisti all'estero in temporanea si propone d i far' pagare all'entrata la differenza col prezzo corrente all'iinerno. differenza da rimborsare all'uscita della corrispondente merce. Anche questo sistema non porta inconvenienti, se la vigilanza sarà assidua e saranno applicate le penali previste d i inadempienza. Resta l'acquisto del r a n o per deficiente prodotto. Sarà questo u n caso normale? Credo di n o ; nel caso di provvedimenti eccezionali, il governo ha la facoltà di emettere decreti-legge, far fronte all'emergenza con tutti i mezzi, compresa la requisizione delle merci e delle attrezzature delle ditte importatrici. Gli articoli 3 e 4 riguardano la liquidazione del passato, e, con poche modifiche di coordinamento e di forma, sono sulla linea del disegno d i legge governativo. L'articolo 5 è stato soppresso dalla maggioranza; per coordinazione con gli emendamenti da me proposti, viene soppresso anche l'art. 6 e modificato l'art. 7. Concludendo, il mio pensiero era quello d i ridare libertà agli acquisti d i cereali all'estero. rimettendo il dazio nella misura atta a mantenere più o meno l'attuale prezzo politico. Sono addivenuto a d u n sistema attenuato ma ancora vincolativo, per D
indurre governo e parlamento a tentarne la prova. Dopo di che, si potrà riesaminare il problema in tutti i suoi lati, e trovare una soluzione che soddisfi gli interessi del paese senza danneggiare quelli privati dei coltivatori di grano. Roma, 27 febbraio 1955.
Sullo stesso disegno di legge, alcuni mesi dopo, Sturzo preparava un nuovo intervento: Onorevole presidente, onorevoli senatori, 11 disegno di legge n. 51: « Assetto della gestione cereali e derivati importati dall'estero per conto dello stato n, porta la data del 24 settembre 1953; come si vede, un assetto ritardato di due anni, e come è facile intuire, l'assetto era già ritardato di altri anni in antecedenza. . 11 problema da me posto, che ha dato luogo ad una serie d i emendamenti, non accolti dalla maggioranza, nè dai settori dell'opposizione, e che mi ha obbligato a presentare una relazione di minoranza (probabilmente senza altra adesione che quella della mia coscienza) doveva, secondo me, essere approvato anche dal governo. Può continuare il sistema attuale o deve essere modificato? Questa domanda ne implica un'altra; quali gli inconvenienti del sistema attuale, quali i costi, quali i vantaggi e così d i seguito. Niente d i tutto ciò: la relazione governativa, dopo aver illustrato gli articoli intesi a sistemare una situazione già cancerosa fin dall'inizio della sistemazione data dal decreto legislativo del 26 gennaio 1948, n. 169, finisce col segnalare l'estrema urgenza dell'ulteriore corsa del provvedimento medesimo, non solo per i l pronto adeguamento delle norme di legge al reale svolgimento della gestione, ma anche e soprattutto perchè l'eventuale ritardo costituirebbe una rernora per le operazioni compiute il lo agosto 1951, alla sis~emazione dei risultati -sistemazione da attuarsi secondo le nuove proposte norme ed all'alleggerimento delle onerose operazioni bancarie ». Mi fermo per u n momento alle onerose operazioni bancarie » per deplorare u n sistema stranissimo: quello d i creare enti statali, o favorire enti privatistici, come i consorzi agrari, ma posti sotto l'egida e l'ingerenza della pubblica amministrazione; i quali enti, mancando di capitali propri e di attrezzature adatte, svolgono l e attività in base a crediti bancari, garantiti di diritto o di fatto dallo stato, che se ne addossa l'onere degli interessi, creando una posizione debitoria onerosa e insostenibile.
Non sono un mistero per nessuno i vincoli stretti che passano fra la federconsorzi e i relativi consorzi provinciali, e il ministero dell'agricoltura. Questo esercita la vigilanza sopra i consorzi e la federconsorzi quali cooperative e federazione di cooperative. La politicizzazione delle cooperative fu compiuta dal fascismo, che le passò sotto la vigilanza e il controllo ministeriale, mentre rima avevano a che fare con i tribunali e non con le prefetture nè con i ministeri. T,e consegiienze non solo politiche ma economiche del sistema attuale sono tante e sono tuttora deplorevoli; se non altro per la facoltà di nomine governative di commissari al posto dei relativi consigli di amministrazione. Tornando alla federconsorzi e consorzi provinciali, il meno che si può dire è la confusione delle competenze fra l'amministrazione pubblica e quella privatistica di tali enti. Sotto altro titolo. uuello di alto commissario per l'alimentazione. il ministero dell'agricoltura ha ingerenza nell'amministrazione dei consorzi provinciali, ove non mancano parlamentari, funzionari pubblici in collaborazione con il personale dei consorzi, al punto da non arrivare a trovare i !imiti fra gli interessi pubblici e quelli privatistici degli enti, u n giorno in collaborazione e un giorno in conflitto di interessi. Se si esaminassero tutti i provvedimenti adottati per leggi, per decreti legislativi, per decreti presidenziali e ministeriali. nonchè le circolari e gli ordini dati per scritto e a voce, e i provvedimenti per accordi intervenuti, si potrebbe. forse, arrivare a capo di una classifica di vantaggi e svantaggi, d i qiia e di là, e a un non indifferente carico di oneri da parte dello stato, parte liquidato e parte da liquidare: si tratta d i miliardi. Lasciando da parte, perchè fuori tema, l'andamento di ammassi e la eosiruzione d i silos, il presente disegno d i legge bi limita alla gestione degli acquisti d i cereali all'estero. Ma non è questa una liquidazione d i dare e avere, è la premessa per una liquidazione da farsi. a modifica delle disposizioni vigenti, cioè il decreto legislativo 26 gennaio 1948. n. 169, il decreto d i legge 2 luglio 1951, n. 490, convertito in legge 30 agosto 1951, n. 50. Tale premessa è costituita dal fatto che alle gestioni precedenti dell'accruisto di cereali all'estero. convenzionate con la federconsorzi, ( l a commissione a maggioranza ha sostituito, forse per pudore, a federconsorzi: gli enti incaricati della gestione) verrebbero applicate le nuove norme dcl disegno d i legge, norme che in forza dell'art. 6 verrebbero retrodatate a partire dalla campagna del 1951-52. Da parte mia, ho acceduto alle proposte anche della maggio-
ranza della commissione, percliè ipotecava l'avvenire con la stessa federconsorzi per sette anni a partire dal 1" luglio 1952 (tre anni sono passati e certo con poco utile dello stato). Da parte mia h o aggiunto la proposta dt-ll'articolo 6 che fissa la decorrenza al 1951-52, perchè reputo essere meglio rimandare la regolarizzazione del passato a quando saranno approvati i conti ( i n sospeso dal 1948-49) in base alla convenzione. È vero che il governo reputa esserc più vantaggioso il sistema di resoconti per campagna (disegno di legge attuale) che non il resoconto per nave (convenzione) e di ciò ho tenuto conto nell'emendamento al17articolo 3 ; ma è anche vero che se svantaggi ne verranno alla società contraente. saranno fatti valere in sede di compensi che, si dice, la federconsorli valuta in diciassette miliardi di lire fino alla campagna 1953-54, perchè (vedi fatalità!) nella convenzione si parla di rimborso di spese, si parla di carico allo stato degli interessi dei prestiti, non si parla degli utili che spettano all'imprenditore. Ho voluto anche nel mio articolo 3 sostitutivo precisare che la legge si riferisce ai cereali e derivati importati d a l l ' e s t ~ r o . I n sostanza, con la cura di maggior esattezza, eliminate le disposizioni impegnative del futuro, il mio testo, nei riguardi della liquidazione e del pagamento de1170nere dello stato, senza riserve mentali per pretesi utili d i gestione, potrebbe esserc accolto dalla commissione e dal governo. Se non viene accolto sarebbe, non dico un puntiglio, che escludo a priori, ma una impuntatura inesplicabile. I1 punto innovatore della mia proposta riguarda la cessazione del monopolio di acquisto d i grano dall'estero e u n re,'uime intermedio fra il passato fin oggi e u n futuro di relativa libertà commerciale. Si premette che la produzione granaria è arrivata a u n limite che rende tranquilli del fabbisogno alimentare del paese, senza necessità d i importazioni, comc per il passato fino al 1952. Come h o detto nella relazione, l'importazione è oggi limitata a quei paesi con i quali vi sono convenzioni per liquidazione di dare e avere o per intercambi di beni: Russia, Argentina e Turchia. Si preferisce, per quanto possibile, l'acquisto d i grano duro, che difetta al17economia italiana, per la fabbricazione di paste sia d i smercio interno, sia di esportazione. Queste condizioni, realizzate nell'ultimo triennio. hanno cambiato il problema dell'approvvigionamento dei cereali all'estero, e quindi anche i presupposti della urgente legislazione in merito. Per i criteri d i politica agraria, d i cui riconosco i motivi d i opportunità, il governo è costretto a garantire per i cereali u n prezzo protettivo assai elevato. Da qui la politica della porta
chiusa nel commercio dei cereali e il monopolio degli acquisti all'estero, con tutte le altre conseguelize nella conservazione, distribuzione e commercio del grano che ormai si subiscono tranquillamente, come una fatalità. Breve: la mia proposta apre una porticina a possibili modifiche nell'assetto del commercio dei cereali sotto controllo statale, cominciando dai pochi milioni di quintali d i acquisti dai paesi con i quali lo stato ha in corso convenzioni commerciali. A questo scopo occorre fissare un termine oltre il quale il decreto legislativo del 26 gennaio 1948, n. 169 non avrà più vigore. Nel testo proposto nel febbraio scorso era prevista la data del 31 luglio 1955. Poichè siamo a discutere il disegno d i legge n. 51 nel novembre (alla camera passeranno almeno tre mesi prima d i una definitiva decisione) sono costretto a portare la data al 31 luglio 1956. Che cosa avverrà per quella data? Niente di grave, tranne la cessazione del monopolio della federconsorzi nell'acquisto, conservazione e distribuzione di cereali per conto della pubblica amministrazione, e l'entrata in vigore dell'art. 2 del testo da me proposto. Dunque: ancora acquisti per conto dello stato (purtroppo); però a mezzo d i asta pubblica ( e la federconsorzi potrà adirc all'asta, e si troverà in condizioni superiori agli altri concorrenti per l'attrezzatura e per l'esperienza avute), ma anch'essa bi troverà a pari degli altri, sottoposta ad u n disciplinare approvato dal consiglio dei ministri e reso pubblico sulla Gazzettu uficiale. Finalmente, avremo pubblici e chiari i patti compresivi gli utili dell'impresa, e non dovrà il tesoro far anticipare som]ne, pagando interessi in banca, nè attendere sei o sette anni per iniziare a liquidare i conti, nè avere contestazioni fra conteggi per campagna annuale e conteggi per singolo carico, nè conteggiare le spese della saccheria, facchinaggio e così d i seguito, fino ad anticipare ( o farle anticipare da enti statali) le spese per la costruzione dei silos d i proprietà della federconsorzi, e pagare il maeinaggio dei cereali sulla base del vuoto per pieno, e trovarsi alla fine dei conti con una vertenza circa l'animontare, non previsto, come dicesi, degli utili dell'impresa o compensi per i servizi. È vero che quel che oggi si fa per conto e per liste d i pagamento, domani si farebbe a forfait su appalto. E se i compilatori del disciplinare sul quale si indice l'.asta non useranno molta accortezza, si potrebbe andare incontro a nuovi oneri da parte dello stato, che è sempre il perdente del gioco. Ma la mia pro-
posta lascia alle due amministrazioni dell'alimentazione e del tesoro la formulazione delle condizioni di appalto e le conseguenze pratiche della gestione dei cereali importati. L'amministrazione statale può scegliere due vie: quella di cedere all'importatore i l grano al prezzo fissato per il mercato interno, facendogli pagare la differenza fra il prezzo d'origine e quello interno, che si presume sia maggiore. Nel caso inverso. lasciando all'importatore i rischi dell'affare, coperto solo dal compenso forfetario indicato nel bando d'asta. Se l'importatore è orientato a correre il rischio, vuol dire che ne è coperto; altrimenti lascerà l'asta deserta, C l'amministrazione statale sarà obbligata a migliorare le condizioni. Ma solo così ha una prova della giustezza dei compensi. Non si esclude che vi possano essere delle intese fra i concorrenti, come accade per tutte le aste di qualsiasi genere; ma si deve ammettere che la piihblica amministrazione, se vuole, può evitare le coalizioni e le camarille. Per di più, il fatto della presenza della federconsorzi dovrebbe tonizzare l'asta. I1 ministro Gava in commissione'insistette perchè le due questioni, la sistemazione del passato e il nuovo regime, fossero trattate con disegni di legge distinti ed autonomi. Se avessi trovato più comprensione in sei anni (la questione è stata da me sollevata fin dal 1949), se avessi visto il tentativo di una revisione del sistema attuale, un tenue passo verso l'abolizione del presente monopolio, avrei accettato l'invito del ministro. E per secondarne i desideri mi sono limitato a un provvedimento il quale in pratica non darà che la modifica della convenzione per l'acquisto dei cereali all'estero (in gran parte grano duro), da un sistema per conto, a un sistema di appalto su base d'asta. Sarà questo un parametro per regolare meglio i l dare e avere e per poter creare lo strumento adatto all'interessamento dell'industria privata a riprendere il suo ruolo in questo campo. Infatti, i l provvedimento da me proposto può dar luogo ad un secondo circa l'acquisto del grano all'estero in temporanea, per la riesportazione dei prodotti. Come è stato accennato nella mia relazione di minoranza, occorre rendere meno impacciata e più autonoma tale importazione per ridare all'industria molitoria e a quella della fabbricazione della pasta una ripresa, che finora è stata assai difficile. Le pastoie sono servite a una deplorevole intesa fra operatori e burocrati, in modo che le evasioni sono state non poche (non si sa se con o senza bustarelle, più probabile con divisione di bottino). Conseguenze: difficoltà di riesportare prodotti a maggior costo o ad inferiore qualità; con la soluzione illegale di immet-
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tere cereali e derivati o p o d o t t i nel coinrncrcio nostrano in habe a proroghe procurate o sollecitate in modi diversi. La mia proposta è semplice: coloro che desiderano importare cereali i n temporanea debbono pagare alla dogana la differenza fra prezzi d i acquisto e noli dichiarati a prezzi d i vendita all'interno. Se la riesportazione è fatta dentro u n termine fisso non superiore ai sci mesi, al momento dell'esportazione di parte o tutta la merce in equivalenza, l'operatore a ~ r àil rimborso corrispettivo del deposito. Decorso i l periodo, i l deposito viene confiscato. Effetti semplici e sicuri: l'operatore guadagna sul prezzo e siilla qualità per poter esportare, altrimenti ~ e r d eil deposito; eviterà l'attuale sistema d i acquisto all'estero d i grani scadenti per metterli ahusivamente i n circolazione sul mercato interno : e neppure ci sarà l'aggravi0 di pagamenti extra ( l i chiamano così) per la chiusura d i uno o d i due occhi circa l'osservanza dell'obbligo dell'esportazione dei prodotti. Cose semplici: ricordo che per ordine ministeriale questa proposta fu esaminata da funzionari dell'alimentazione e del tesoro; nella discussione fu chiamata: proposta Sturzo e naturalmente f u bocciata, con u n gentile rinvio sine die. Sono tre anni che insisto, ma non h o mai avuto ascolto. Tutto quel che è. nuovo per l'amministrazione pubblica è condannato a priori; meno ciò che è proposto dalle categorie tnteressate se hanno a patrocinanti i sindacati, i gruppi burocratici, certi frequentatori delle scale ministeriali C degli ambulacri p a r l a m e ~ t a r i . P e r precisare la mia proposta h o presentato in merito u n ordine del giorno, che almeno questo, spero venga accettato dal governo. Concludendo: i miei emendamenti circa la sistemazione degli acquisti d i cereali e derivati dall'estero dal 1948 a l 30 giiigno 1956, con poche modifiche d i forma e d i coordinamento, sono conformi a l testo della maggioranza della commissione, e quindi potranno d a r luogo a una concordanza anche formale. La novità della proposta consiste solo nella possibilità della gara d'asta per la fornitura d i cereali dagli stati con i quali il governo è impegnato per convenzioni internazionali. La cessazione d e l monopolio della federconsorzi è suggerita anzitutto dalla prospettiva che in via normale non esiste più reale deficit d i cereali per la saldatura dell'annata, C la gran parte dei cercali da importare sarebbe grano duro a scopo d i pastificazione. sia per l'interno chc per l'estero. So bene che la confagricoltura è contraria anche a questo minimo d i parificazione fra la fcderconsorzi (che pur non essendo ente statale è trattata come se lo fosse), perchè si teme
che dando la possibilità alle imprese private concorrenti di acquistare i cereali all'estero, si possa influire sull'oscillazione dei prezzi fissati dal consiglio dei ministri. 11 timore è semplicemente una paura, e tale paura è dettata sia della pregiudiziale di avere i prezzi bloccati per sempre, sia da uno spauracchio da agitare per impedire che si intacchi anche in minima parte il monopolio della federconsorzi. Secondo me, l'esperimento dovrehbe farsi per avere una dimostrazione pratica del risparmio di spesa da parte dello stato e della nessuna oscillazione seria del mercato interno dei cereali; a meno che non vi siano manovre fatte allo scopo d i far fallire l'esperimento. Se il governo vuole l'esperimento, tutto sarà facile, anche il fallimento delle manovre combinate; se il governo non vuole, ogni difficoltà che si avanza sarà u n muro insormontabile per oggi e per domani. Fo appello a i ministri competenti e ai colleghi della 5' commissione a non rispondere con un no, che faccia cadere l'illusione che ancora si nutre da molti in un'Italia ove la libertà sia l'insegna di orientamento verso la quale dirigere gli sforzi per la rinascita della economia italiana, tuttora impacciata dal vincolismo pre-bellico, da quello bellico e da quello post-bellico. Quando finiranno? Roma, 14 novembre 1955.
Disegno cli legge costituzionale n. 1977: (C Modifiche agli articoli 57, 58, 59 e 60 della costituzione della repubblica D. (*) Onorevoli senatori, Accintomi a redigere una serie di emendamenti al disegno d i legge costituzionale n. 1931, presentato dal governo col titolo di « Modifiche alla durata e alla composizione del senato della repubblica », h o dovuto rendermi conto che la formulazione dell'articolo 2 per la materia di legge elettorale che contiene e per la maniera come è stato redatto, non riesce aderente al carattere e allo stile della costituzione del 1947. Pertanto, riuscirebbe difficile, se approvato, inserirlo tale e quale nel testo costituzionale. Inoltre, l e proposte d i legge elettorale introdotte nel testo costituzionale, contraddirebbero alla disposizione fondamentale (*) D'iniziativa gio 1957.
del sen. STURZO.Comunicato alla presidenza il 6 mag-
dell'articolo 57, dove è affermata in forma precisa e inequivocabile la base regionale della elezione del senato. Pertanto, ho dovuto pre£erire la redazione di un disegno di legge costituzionale, nel quale, pure accogliendo gli scopi e alcune delle proposte governative, ho formulato le mie proposte, in modo da poterle inserire nel testo degli articoli 57, 58, 59 e 60 della costituzione. Rimanendo in tali limiti, ho dovuto rinunziare a malincuore alle proposte .riguardanti la struttura e la funzione--del senato, allo scopo di meglio caratterizzare la hicameralità del parlamento e mettere nel suo giusto quadro il contributo legislativo del senato stesso. '
Articolo 57 - Lo scopo precipuo della proposta governativa è quello di aumentare il numero dei senatori di altri ottanta, per rispondere meglio al. lavoro legislativo delle commissioni. A tale scopo. nella proposta che mi onoro di presentare, si procede anzitutto alla riduzione del numero di abitanti per senatore, portandolo da duecentomila a centosessantamila, di conseguenza riducendo la frazione utilizzabile da cento a ottanta. Applicando per le prossime elezioni il censimento del 1952, sull'attuale base di duecentomila abitanti per senatore, si avrà l'aumento di nove seggi, mentre portando la quota a centosessantamila, si avranno altri 55 seggi che uniti ai nove arrivano a 64. Con lo stesso articolo, vengono attribuiti alle regioni un numero d i senatori non superiore a quarantasei, da assegnarsi a ciascuna regione, in rapporto alla popolazione di iino per milione o frazione di cinquecentomila, e uno alla Valle d'Aosta. Così l'aumento dei senatori da eleggere arriverebbe ad u n massimo prevedibile di centodieci. Gli altri scopi del disegno di legge governativo per una più adeguata funzionalità del senato e un minor distacco dal numero dei deputati, verrebbero convenientemente raggiunti, superando di trenta il numero proposto dal disegno di legge governativo e di tre il numero dei senatori di diritto assegnati con la terza disposizione transitoria e finale della costituzione. Con i successivi censimenti si potraiino avere degli spostamenti probabilmente in più, se il ritmo dell'aumento di popolazione si mantiene pressochè uguale; ciò influirà anche sull'aumento dei seggi della camera dei deputati. L'articolo risulterebbe, pertanto. così modificato: I1 senato della repubblica è eletto a base regionale. « A ciascuna regione è attrihuito un senatore per centosessuntamila abitanti o per frazione superiore a ottantamila. Nes-
suna regione può avere u n numero di senatori inferiore a sei. La Valle d'Aosta ha u n solo senatore. n È inoltre attribz~itoa ciascuna regione un senatore per un milione di abitanti e uno per frazione superiore a cinquecentomila. Alla Valle d'dosta è attribuito un senatore )). Articolo 58 I n rapporto alla proposta indicata nell'ultimo comma dell'articolo 57, viene stabilito che gli stessi elettori dei senatori attribuiti alle regioni in base alla popolazione, hanno facoltà d i dare i l voto aggiunto ad un nome dei parlamentari iscritti nell'albo formato dall'ufficio di presidenza del senato e pubblicato sulla Gazzetta ufficiale. Con tale disposizione viene parzialmente accettata la corrispondente proposta governativa con la modifica che nell'albo sono iscritti solo i parlamentari che sono stati per non meno di tre volte eletti, sia alla assemblea costituente, sia in una o in entrambe l e camere del parlamento. Ho escluso la consulta i cui membri non furono regolarmente eletti, da potersi equiparare alle elezioni dell'assemblea costituente. Vi saranno iscritti i presidenti dell'assemblea costituente e i presidenti della camera e del senato, e il presidente del consiglio dei ministri. È chiaro che la inserzione nell'albo d i tali nomi non è condizionata al numero d i tre elezioni per il mandato parlamentare. Mi è sembrata evidente la inopportunità di assimilare i presidenti della camera e del senato ai presidenti della repubblica nell'attribuire loro il diritto di senatore a vita, e ciò in disaccordo con la proposta governativa. Da tale albo vengono esclusi coloro che sono caduti nelle ultime elezioni, e ciò per rispetto alla volontà elettorale, e per evitare una facile svalutazione dell'albo stesso come riparo agli infortuni elettorali. Per il medesimo motivo viene proposta la esclusione dall'albo di quei parlamentari che cessarono dal mandato per essere incorsi in casi di incompatibilità, nonostante che nelle more tale incompatibilità sia venuta a cessare. L'interessato potrà, se vuole, ripresentarsi come candidato ordinario, non mai come iscritto all'albo. Non si ammette neppure la iscrizione nell'albo se il parlamentare viene ripresentato dagli elettori in modo da poter concorrere alle elezioni contemporaneamente a duplice titolo. Tutto ciò è prescritto per tenere nel suo giusto valore la iscrizione nell'albo. Lo scopo della stessa proposta governativa è proprio quello di f a r entrare o d i mantenere nel senato parlamentari già sperimentati; a tale proposta h o acceduto, con quelle necessarie modifiche atte a mantenere il principio costituzionale della regionalità della base elettorale del senato (articolo 57) e allo stesso tempo il sistema del suffragio universale e diretto (articolo
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58), principi resi inefficienti dal congegno governativo di lista rigida di candidati e di automaticità di risultati su liste nazionali. L'articolo risulterebbe, pertanto, così modificato: I senatori sono eletti a suffragio universale e diretto dagli elettori che hanno superato il venticinquesimo anno d i età. Sono eleggibili a senatori gli elettori che hanno compiuto il quarantesimo anno. K I senatori attribuiti alle regioni in base all'ultimo comma dell'articolo precedente sono eletti dagli stessi elettori col voto aggiunto del nome d i uno dei candidati iscritti nell'albo degli eleggibili. Questo è formato dall'ufficio di presidenza del senato e pubblicato ogni anno sulla Gazzetta ufficiale. Sono iscritti nell'albo i parlamentari che dal 1946 in poi sono stati eletti per non meno d i tre volte quali costituenti, deputati o senatori, ovvero sono stati nominati presidenti delle assemblee legislative o del consiglio dei ministri. Non sono inclusi nell'albo, o ne sono cancellati, i nomi di coloro che non sono stati rieletti deputati e senatori o sono incorsi in uno dei casi di ineleggibilita previsti da legge; ne sono esclusi per i l periodo che va dalla convocazione dei comizi fino alla proclamazione degli eletti, coloro che hanno accettato, nelle forme d i legge, la candidatura a deputato o senatore proposta dagli elettori della circoscrizione n. Articolo 59 - I1 numero d i quindici senatori a vita d i nomina presidenziale, invece dei cinque dell'attuale articolo e dei dieci della proposta governativa, risponde ad un duplice scopo: quello d i far partecipare al senato persone eminenti della politica, dell'amministrazione pubblica e dei corpi organici, magistratura e forze armate, e quello d i ottenere il contributo clie potranno dare persone così qualificate senza per ciò stesso alterare la fisionomia politica del senato elettivo. Cinque senatori a vita in pii1 fra la proposta governativa e la presente, non altereranno d i sicuro la fisionomia del senato elettivo non solo per il numero esiguo ma anche più per il senso d i responsabilità dei prescelti, che non si presteranno a far modificare la maggioranza governativa del senato nè l'equilibrio dei vari gruppi. L'articolo risulterebbe, pertanto, così modificato: K È senatore di diritto a vita, salvo rinunzia, chi è stato presidente della repubblica. « I1 presidente della repubblica può nominare senatori a vita quindici cittadini che hanno illustrato la patria per altissimi meriti nel campo sociale, scientifico, artistico e letterario O hanno acquistato chiara fama per eminenti attività nel campo
,de,!Ja politica, dell'amministrazione pubblica, della magistratura e delle forze armate ». Articolo 60 La mia proposta è identica a quella del governo per quanto riguarda il quinquennio della durata normale di nomina delle due camere. La modifica dell'attuale testo circa i l motivo specifico per la proroga del quinquennio (caso di guerra) prevedendo altri casi con la frase (C casi d i eccezionale gravità per la nazione » risponde meglio alla necessità di emergenza e non varia la volontà costituente. L'articolo risulterebbe, pertanto, così modificato: La camera dei deputati e i l senato della repubblica sono eletti per cinque anni. K Tale durata può essere prorogata solo con legge nei casi di eccezionale gravità per la nazione 1).
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DISEGNO DI LEGGE
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Articolo unico Gli articoli 57, 58, 59 e 60 della costituzione .della repubblica italiana sono modificati come segue: Art. 57 - I1 senato della repubblica è eletto a base regionale. A ciascuna regione è attribuito un senatore per centosessantamila abitanti o per frazione superiore a ottantamila. Nessuna regione può avere un numero di senatori inferiore a sei. La Valle d7Aosta ha un solo senatore. È inoltre attribuito a ciascuna regione un senatore per un milione di abitanti e uno per frazione superiore a cinquecentomila. Alla Valle c17Aosta è attribuito un senatore. Art. 58 - I senatori sono eletti a suffragio universale e diretto dagli elettori che hanno superato il venticinquesimo anno di età. Sono eleggibili a senatori gli elettori che hanno compiuto i l quarantesimo anno. I senatori attribuiti alle regioni in base all'ultimo comma dell'articolo precedente sono eletti dagli stessi elettori col voto aggiunto del nome di uno dei candidati iscritti nell'albo degli eleggibili. Questo è formato dall'ufficio di presidenza del senato e pubblicato ogni anno sulla Gazzetta ufficiale. Sono iscritti nell'albo i parlamentari che dal 1946 in poi sono stati eletti per non meno di tre volte quali costituenti, deputati o senatori, ovvero sono stati nominati presidenti delle assemblee legislative o del consiglio dei ministri. Non sono inclusi nell'albo, o ne sono cancellati, i nomi di coloro che non sono stati rieletti deputati e senatori o sono '23- STriIlZO - Scritti giuridica.
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incorsi in uno dei casi di ineleggibilità previsti da legge; n e sono esclusi per i l periodo che va dalla convocazione dei comizi fino alla proclamazione degli eletti, coloro che hanno accettato, nelle forme di legge, la candidatura a deputato o senatore proposta dagli elettori della circoscrizione.
Art. 59 - È senatore di diritto a vita, salvo rinunzia, chi èstato presidente della repubblica. I1 presidente della repubblica può nominare senatori a vita quindici cittadini che hanno illustrato la patria per altissimi meriti nel campo sociale, scientifico, artistico e letterario o. hanno acquistato chiara fama per eminenti attività nel camp* della politica, dell'amministrazione pubblica, della magistratura e delle forze armate. Art. 60 - La camera dei deputati e il senato della repubblica sono eletti per cinque anni. Tale durata può essere prorogata solo con legge nei casi d i eccezionale gravità per la nazione.
Disegno di legge n . 1931: Modifiche alla durata e alla composizione del senato della repubblica ».
Art. 2
- Sostituire l'articolo
con il seguente:
I1 secondo ed il terzo comma dell'artico 57 della costitutuzione dell'articolo stesso con l'altro, che stabilisce u n nuovo (C
a A ciascuna regione è attribuito un senatore per centoqua-rantamila abitanti o per frazione superiore a settantamila.
« Nessuna regione può avere un numero di senatori inferiore a nove. La Valle d'Aosta ha un solo senatore D.
Art. 3 a
- Sopprimere l'articolo.
Art. 4 - Sostituire alle parole: quindici cittadini n. Art. 4-bis
N
dieci cittadini
- Aggiungere in fine l'articolo
le altre
seguente:
a La presente legge entrerà in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta ufficiale.
ILLUSTRAZIONE DEGLI
EMEiVO:
Allo scopo di assicurare la integrazione del senato mediante il semplice aumento del numero dei senatori spettanti alle singole regioni, senza bisogno di far ricorso al particolare congegno per l'integrazione previsto dall'articolo 2 del disegno di legge governativo, si propone, con il presente emendamento, la sostituzione dell'articolo stesso con l'altro, che stabilisce un nuovo rapporto fra la popolazione delle singole regioni cd il numero dei senatori assegnati (uno ogni 140.000 abitanti), in modo che detto numero, secondo la popolazione del censimento 1951, sarebbe di 352. I n correlazione, viene elevato a nove il numero minimo di senatori spettanti ad ogni regione. Si crede opportuno sopprimere l'articolo 3 per evitare una inopportuna assimilazione della carica di presidente della camera e del senato a quella di presidente della repubblica. Del resto, è più conforme a l carattere elettivo del parlamento che i presidenti siano, in via normale, espressione diretta dell'elettorato. Dato l'aumento dei senatori elettivi, è bene che i l presidente della repubblica possa scegliere un numero maggiore di cittadini degni di partecipare al consesso per meriti eminenti. Perciò si propone di portare il numero a quindici. L'articolo 4-bis è necessario per potere applicare la legge costituzionale, se approvata, alle prossime elezioni politiche. I presenti emendamenti sono presentati per il caso che i l senato non intenda accettare il disegno di legge costituzionale n. 1977 da me presentato il 6 maggio 1957. Roma. 24 settembre 1957.
Disegni di legge costituzionali n . 1723 e 1977: « Modifica agli articoli 56, 57, 58 e 59 della costituzione n. (Dichiarazione per la trattazione immediata) Onorevole presidente, onorevoli senatori, Non avrei insistito per la discussione immediata dei disegni d i legge costituzionali n. 1723 e 1977, se non fosse prossima la fine del quinquennio della camera dei deputati eletta il 7 giugno 1953. Sia che i l senato accetti la proposta di modifica agli articoli 56, 57, 58 e 59 della costituzione, sia che la rigetti in parte o in toto, sia che ne rimandi la decisione dopo le elezioni, appartiene a questa assemblea la responsabilità di ogni decisione.
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I1 disegno costituzionale governativo fu presentato i l 23 marzo di quest'anno. L'altro del maggio successivo da me presentato, ha i l solo scopo correttivo di fronte a quello del governo, per eliminarvi le disposizioni elettorali di legislatura ordinaria e non costituzionale, e per ridare al corpo elettorale i l diritto delle scelte dei candidati, riportando così le proposte governative allo spirito e alla lettera della costituzione. Recentemente, senza rinunziare al disegno di legge n. 1977, 110 proposto un emendamento sostanziale all'art. 2 del disegno di legge governativo, basando l'aumento del numero di senatori sulla diminuzione del numero di abitanti, cioè da 200 mila a 140 mila. Non è questo i l punto controverso, perchè risulta che i capi dei gruppi parlamentari e i componenti delle commissioni si sarebbero accordati sulla base di 150 mila abitanti ver senatore. Dove manca finora un accordo preso è sul periodo legislativo da sei a cinuue anni allo s c o ~ odi far coincidere l'elezione dei senatori con quella dei deputati. Comunque sia, e non è il caso di entrare nel merito delle proposte, sarebbe assai grave colpa se la richiesta governativa ( a parte quella di un senatore che non parla che a nome proprio senza pretendere di interpretare il pensiero dei colleghi, ma cercando di interpretare una certa opinione pubblica): venga, come si dice, insabbiata senza poter identificare i responsabili di tale abuso di potere e di simile violazione dei diritti dell'assemblea. Perciò debbo, per la mia parte, ringraziare l'onorevole presidente di aver messo all'ordine del giorno il mio disegno di legge costituzionale allo scadere dei primi due mesi e dei secondi due mesi regolamentari, e di aver accettato la mia richiesta d i farlo discutere anche nel caso che la commissione non avesse £atto la relazione scritta, augurando che ne faccia la relazione orale. Debbo aggiungere, che pur accettando la mia richiesta della discussione immediata, non è del tutto evitato il pericolo di arrivare in ritardo con la data della convocazione dei comizi elettorali. È vero che i l quinquennio della durata della camera scade o scadrebbe alla fine di giugno; ma non è men vero che la data delle elezioni primaverili non può protrarsi più in là della la domenica di giugno, come è avvenuto nel 1946 e nel 1953; per evitare il periodo delle raccolte agricole e delle vacanze estive. Ciò non ostante. sarà bene tentare di affrettare i tempi in modo da poter inviare fra pochi giorni il disegno di legge all'altro ramo del parlamente per le due apprevazieni di rito a tre mesi di distanza. E dato e non concesso che le difficol-
tà dell'iter parlamentare fossero insuperabili, così facendo, non graverebbe su di noi la responsabilità di aver rifiutato a priori e senza discussione una proposta governativa di tanto peso e di siffatta portata. Jlomani sentiremo le risposte del governo alle varie interpellanze in merito ad uno scioglimento del senato al solo scopo di farne coincidere l'elezione con quella dei deputati. Secondo me sarebbe questa una violazione aperta della costituzione. Diverso sarebbe il caso se il senato e la camera con votazioni concordi avessero avuto il tempo di pronunciarsi in merito, dando ai presidenti dei due rami del parlamento elementi adatti per il parere che si dovrebbe esporre al capo dello stato. Fra i più alti compiti del senato vi è proprio quello del rispetto politico dello stato di diritto, la cui manomissione rende inefficaci le leggi, precario i l diritto, ed educa alla facile violazione, come di cosa che non avrebbe più ragion d'essere. I1 mio rilievo non è affatto rivolto a questa assemblea che altra volta ha affermato i suoi diritti e il maggior rispetto alle libertà e costituzionali e parlamentari. Oggi un rifiuto a discutere i disegni di legge costituzionali a me sembra un rifiuto indiretto alle modifiche proposte. È più serio, più dignitoso, più degno per il nostro consesso dirne i motivi e illuminare il governo e la pubblica opinione e non sfuggire pertanto il problema e l'immediato dibattito. Perciò mantengo la proposta facendo appello all'onorevole presidente, ai colleghi della commissione e a tutti i presenti. 10 novembre 1957.
Disegno di legge n. 125 A : a Modifiche alla legge 6 febbraio 1948, n. 29: Norme per la elezione del senato della repubblica (*). Onorevole presidente, onorevoli senatori, questa volta ho il piacere e l'onore di avere preso l'iniziativa del disegno d i legge n. 125 oggi in discussione, ma debbo subito rilevare che del mio disegno di legge primitivo, che porta la data del 23 ottobre 1953, proprio quattro anni e quattro mesi addietro, non vi è traccia nel testo della commissione competente. Nell'ottobre scorso aggiunsi alcuni emendamenti al mio testo originario; di questi è rimasto solo il primo capoverso del primo articolo; piccola consolazione che compensa il non indifferente ( * l Dichiarazioni distribuite a stampa ai senatori.
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lavoro fatto per eliminare i non pochi difetti e le incoerenze del testo vigente. Me lo perdonino gli onorevoli commissari e i colleghi senatori, se nonostante la esecuzione sommaria subita dopo quattro anni e quattro mesi di attesa, ritorno oggi ad insistere su alcuni punti e ne ripropongo un testo aggiornato nella speranza, forse un po' eccessiva, di ottenere i l conforto di un voto favorevole. Se la mia insistenza sarà inutile e: anche in questa occasione, avrò una non inconsueta bocciatura, prego i colleghi di essermi cortesi di loro attenzione. I1 principale problema che sottopongo all'attenzione del senato è di carattere costituzionale. L'articolo 65 della costituzione prescrive che « la legge determina i casi di ineleggibilità con l'ufficio di deputato o di senatore ». Ciò nonostante, con la legge vigente per l'elezione del senato integrata dalle disposizioni della legge per la camera dei deputati del 5 febbraio 1948, n. 26, e ora dal testo unico del 30 marzo 1957, n. 361, si prevedono i casi di ineleggibilità e non quelli di incompatibilità. C i i sarebbe solo una mancanza formale, perchè a certi casi di incompatibilità fu previsto con la legge successiva del 13 febbraio 1953, n. 60, ma purtroppo nel testo unico vari casi di incompatibilità sono qualificati casi di ineleggibilità, cosa di grave rilievo oltre che politico evidentemente costituzionale, privando cittadini, e cittadini qualificati, del diritto di eleggihilità ad uffici pubblici. Il caso più grave di aperta violazione è quello che riguarda l'articolo 122 della costituzione, il cui testo dice: « Il sistema di elezione, il numero e i casi di ineleggibilità dei consiglieri regionali sono stabiliti con legge della repubblica. Nessuno può appartenere contemporaneamente a un consiglio regionale e ad una delle camere del parlamento o a d altro consiglio regionale N. L'appartenenza ai due corpi, camera o senato o altro consiglio regionale è incompatibile; ma la legge elettorale del 1948. n. 26 e il testo unico del marzo 1957 hanno qualificato questo come u n caso di ineleggibilità da purgarsi, per la prima con 90 giorni di mora, per la seconda con 180 giorni di mora e per dippiìi con la punizione (proprio una vera punizione) della immediata decadenza dall'ufficio di consigliere regionale solo se il malcapitato accetta la candidatura parlamentare. La incostituzionalità dell'articolo 6 (legge 1948) e dell'articolo 7 (testo unico 1957) è evidente e incontestabile. I1 senato, di fronte a una denunzia di incostituzionalità che potrebbe avere il suo seguito avanti la corte costituzionale, deve correggere in tempcj U I d ~ i s p ~ s t oche, certamenie per inavvertenza, fu inserito dal proponente della legge 5 febbraio 1948, molto probabilmente
preparato prima che i l costituente avesse inserito nella costituzione l'articolo i n parola. Per non mancare di precisione noto che l'articolo 122 della costituzione fu approvato prima dello statuto della regione siciliana nel quale, invece di consiglio, si parla di assemblea regionale e al posto di consiglieri si parla d i deputati, ma la caratteristica giuridica è la stessa. Ho creduto. nel mio emendamento 2 bis. a l caso dei deputati e consiglieri regionali aggiungere quello dei presidenti delle giunte provinciali e dei sindaci di comuni con più di 20 mila abitanti, perchè si tratta di incompatibilità e non mai di ineleggibilità. Bisogna tener presente che la ineleggibilità è un dato negativo che priva il cittadino del diritto sancito all'articolo 51 della costituzione: « Tutti i cittadini dell'uno e dell'altro ses9o possono accedere agli uffici pubblici e alle cariche elettive in condizioni di eguaglianza secondo i requisiti stabiliti dalla legge ».È evidente che la legge, nello stabilire le ineleggibilità, priva del diritto di accedere agli uffici pubblici, indicando lc cause che squalificano la figura dei rappresentanti del popolo, i l pregiudicato, i l condannato, il debitore o contraente verso lo stato; non certo le cause che per sè aumenterebbero la fiducia verso il candidato a rappresentare la nazione nel parlamento, quale è l'ufficio di sindaco o di presidente di giunte provinciali. La incompatibilità sorge per il fatto che l'ufficio impegna in tale modo da non permettere i l cumulo delle due cariche; non è colpita la persona; è l'ufficio che impedisce la coesistenza nella stessa persona di due mandati pubblici e rappresentativi. Tanto ciò è vero che la legislazione italiana precedente al fascismo ha sempre ritenuto trattare l'uno e l'altro ufficio com? cause di incompatibilità, dando all'eletto la facoltà di optare; non mai cause d i ineleggibilità da purgarsi con la lunga mora di sei mesi. Dalla unificazione nazionale, solo con la legge del 5 luglio 1882 fu introdotta la incompatibilità amministrativa (è questo il titolo della legge) per i sindaci e i deputati provinciali i quali « eletti deputati al parlamento cessano dalle loro funzioni, se non dichiarano di rinunziare al mandato legislativo trasmettendo " la loro dimissione pel tramite della prefettura negli otto giorni che seguono la convalidazione della loro elezione »; e all'articolo 3 « non possono essere eletti deputati al parlamento i sindaci e i deputati provinciali nei collegi elettorali in cui esercitano al tempo della elezione i l loro ufficio amministrativo n. 11 primo caso riguarda una incompatibilità di cariche che si purga con la opzione; il secondo una ineleggibilità che si elimina con le dimissioni. La stessa condizione di incompatibilità fu affermata nei testi unici del 1889 e del 1898. La mora d i
sei mesi non fu data al sindaco wer la sua elezione, ma fu data al deputato nazionale e provinciale per la loro elezione a sindaco. Lo stesso criterio di incompatibilità si trova sancito nel T.U. della legge comunale e provinciale del 4 febbraio 1915. Se si confrontano gli articoli del 1882, chiari, lineari e semplici e anche quegli altri da me citati, con l'art. 7 del testo unico delle leggi per la elezione della camera dei deputati approvato con decreto presidenziale del 30 marzo scorso, si trova che la incompatibilità è divenuta ineleggibilità, e perfino la semplice candidatura fa decadere dalla carica amministrativa che i l candidato copre, pur rimanendo la elezione inficiata di ineleggibilità. La legge del 1882 applicava la ineleggibilità solo agli amministratori comunali e provinciali nel collegio, oggi si applica ai candidati indicati nell'art. 7 per tutte le circoscrizioni elettorali della repubblica, tranne per i militari indicati alla lettera h). Pertanto, ad eliminare ogni ombra di influenza che si crede possa esercitare nelle varie circoscrizioni della regione un candidato che tenga i suddetti uffici, ho aggiunto nell'emendaniento 2 bis la clausola del divieto delle funzioni amministrative dalla data dell'accettazione della candidatura. Circa l'obiezione di influenza sull'elettorato a causa dell'iifficio amministrativo coperto, c'è da notare che, dato i l sistema elettorale proporzionale a larghe circoscrizioni quali le regioni, l'organizzazione e l'ingerenza elettorale dell'apparato dei partiti e delle organizzazioni sindacali e di categoria, la questione oggi non merita maggior considerazione, di quella che non fu data al tempo del sistema uninominale e dell'elettorato ristretto quale quello del 1882. Nella speranza che questo primo punto delle mie proposte, se non altro in omaggio alla costituzione e alla tradizione legislativa italiana dal 1848 al 1922. induca il senato ad accettare i l mio emendamento 2 bis, passo agli altri due emendamenti di tecnica elettorale. Col primo propongo che l'attuale quorum di eleggibilità a scrutinio diretto del 65 per cento, si riduca alla metà più uno.. I1 sistema maggioritario è quello che rispetta la volontà dell'elettore espressa per un solo candidato e non per una lista d i candidati. Si sa che quel 65 per cento, a titolo di compromesso fra uninominalisti e proporzionalisti dell'assemblea costituente, fu proposto pur di uscire da un impasse. Ma è noto che eletti con il 65 per cento sono stati solo 15 senatori nella prima legislatura e 6 nella seconda. Col secondo emendamento propongo cht: il ral~portodi eleggibilità proporzionalistico, fissato dalla legge n. 26 fra i voti
ottenuti da ciascun candidato e il numero degli elettori del collegio relativo, venga sostituito dal rapporto fra il numero dei voti ottenuti dal candidato e il numero dei voti validi. Lo scopo principale del secondo emendamento è quello di evitare, per quanto possibile, che vi siano dei collegi nei quali non sia stato eletto nessuno dei candidati presentati dai vari partiti, mentre altri collegi ne avranno due o tre di diverso colore politico. Bisogna tener presente che nelle elezioni del 1948, furono 34 i collegi in cui non venne eletto alcun senatore; nel 1953 sono stati 47; Sicilia e Campania 5 collegi per regione; Lombardia, Piemonte, Emilia-Romagna, Toscana, Lazio e Puglie 4 ciascuno nel 1947; perfino le regioni piccole Calabria e Abruzzi ebbero ciascuna 3 collegi vuoti. I1 rapporto fra i voti personali e i voti validi elimina intanto la inferiorità in cui verrebbero a trovarsi i collegi dove la emigrazione è più accentuata in confronto agli altri collegi dove è assai limitata o quasi nulla; d'altra parte elimina un valore elettorale ingiustificatamente dato a coloro che non esercitano il diritto di voto. i l quale è anche un dovere civico. Con la superiore proposta si elimina un secondo iiiconveniente, che è stato più volte rilevato sia nelle operazioni elettorali del 1948 che in quelle del 1953. E da tenere presente che, a mente delle norme legislative vigenti, votano nella sezione presso la quale esercitano il loro ufficio i membri del seggio, gli ufficiali e gli agenti della forza pubblica anche se iscritti come elettori in altre sezioni o in altri comuni; sono ammessi a votare inoltre nel comune in cui si trovavano per cause di servizio i militari delle forze armate e gli appartenenti a corpi organizzati militarmente. Ora può avvenire: o che i predetti siano elettori in altre sezioni del collegio ovvero siano elettori di sezioni fuori del collegio. Nel primo caso non vanno, ai fini del calcolo della cifra individuale relativa, computati come elettori nelle sezioni in cui votano perchè già iscritti nelle liste di altre sezioni del collegio; nel secondo caso invece si presentano due soluzioni: o si computa il votante anche come elettore del collegio ed in questo caso si altera la situazione demografica elettorale del collegio stesso - in certi collegi si può trattare di migliaia di militari elettori - e si computano come elettori per due volte questi militari, dato che ovviamente i medesimi restano iscritti nelle rispettive liste elettorali di sezione. Se poi i membri del seggio ed i militari che votano si computano come elettori del collegio, si altera la situazione di equilibrio stabilita in partenza fra i candidati dei diversi collegi. I n questi collegi, in sostanza, si finisce con l'avere una inflazione d i voti validi senza i l corrispondente aumento degli elettori ed i can-
didati ottengono una non giustificata maggiorazione della loro cifra individuale relativa. Analoga situazione si verifica per " quanto riguarda i degenti negli ospedali e case di cura ammessi a votare pur non essendo iscritti tra gli elettori del collegio. Per queste considerazioni i l legislatore, allorquando in sede di elaborazione della legge elettorale provinciale s i trovò a dover stabilire il criterio Der il calcolo della cifra individuale relativa. abbandonò senz'altro il riferimento al numero degli elettori per accogliere quello dei votanti nel collegio. Per eliminare anche quest'ultimo fattore di perturbazione del criterio di comparazione dei suffragi ottenuti dai candidati del medesimo gruppo politico da collegio a collegio, non resta dunque che far riferimento a l totale dei voti validi, dato sicuro ed automaticamente determinabile. Le perplessità dimostrate da membri della commissione senatoriale circa la possibilità che in qualche collegio si verifichi, per particolari condizioni politiche locali, un7astensione di massa in modo che i l candidato votato possa, con un piccolo numero d i voti, raggiungere un'alta cifra individuale, sono, evidentemente, da valutare sul piano politico. Tuttavia è da rilevare che un simile fatto non si è verificato nelle numerose elezioni politiche e amministrative finora effettuatesi, nelle quali un alto astensionismo avrebbe ovviamente determinato l'effetto temuto. Molto avrei da dire sulla riduzione del quorum dal 65 per cento alla metà più uno per la proclamazione degli eletti in un sistema misto a risultati proporzionali e regionalmente comparativi, e ciò con un numero notevole di partiti si che la percentuale di coloro che raggiungono la metà più uno dei voti è molto limitata, come si può vedere dai dati statistici delle due elezioni del '48 e del '53. Inoltre, è impossibile che possa darsi il caso che i l candidato che ha superato il 50 per cento dei voti non venga proclamato eletto anche nel calcolo di proporzionalità: e d è per giunta impossibile che si dia il caso che la maggioranxl assoluta sia ottenuta da un numero di candidati superiore al niimero dei collegi della regione. Sarebbe quindi logico che la proclamazione venisse fatta in modo da poter sottrarre i voti ottenuti dal proclamato eletto dalla cifra totale sulla quale viene fatto il computo proporzionale di tutta la regione; questo è possibile con l'applicazione del quorum della metà più uno. 11 vantaggio che ne deriverebbe mi sembra evidente. Prego i l senato di non rifiutare l'esame delle mie proposte e d i rendere più organica la legge elettorale così da farla rispondere allo spirito e alla lettera della costituzione e alla migliore tecnica legislativa.
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Art. 2 Al primo comma, sostituire le parole: « integrate, i n quanto applicabili »,con le altre: « integrate, in quanto coerenti e applicabili n.
A l secondo comma, sostituire le parole: « senza autorizzazione scritta degli organi centrali del partito stesso », con le altre: « senza autorizzazione scritta del dirigente centrale responsabile del partito stesso o d i chi n e fa le veci )). Dopo l'articolo 2, aggiungere i seguenti articoli:
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Art. 2 bis Sono eleggibili a senatori gli elettori che nel giorno delle elezioni abbiano compiuto il quarantesimo anno di età e non si trovino nelle condizioni d i ineleggibilità previste d a leggi. I n ottemperanza del disposto dell'articolo 122 della costituzione, sono assegnati agli appartenenti a consigli regionali trenta giorni dalla convalida della elezione a senatore per esercitare il diritto d i opzione; la stessa facoltà è data a l senatore in carica se eletto deputato o consigliere regionale. Tale disposto si applica anche a i casi d i conteniporaneità d i nomina a senatore e a presidente d i giunta provinciale o d i sindaco in comuni superiori ai 20.000 abitanti. I candidati al senato che si trovano ad occupare i posti d i cui sopra, debbono cessare dall'esercizio delle loro funzioni d a l giorno della accettazione della candidatura. È soppresso l'articolo 5 della legge 6 febbraio 1948, n. 29. '4rt. 2 ter - I1 presidente dell'ufficio elettorale circoscrizionale, i n conformità dei risultati accertati, proclama eletto il candidato che h a ottenuto u n numero d i voti validi superiore a l 50 per cento del totale dei voti validi ottenuti nel collegio da tutti i candidati. È soppresso il secondo comma dell'articolo 17 della legge 6 febbraio 1948, n. 29. Art. 2 quater - La cifra individuale viene determinata moltiplicando per cento il numero dei voti validi ottenuti da ciascun candidato e dividendo i l prodotto per il numero dei voti validi ottenuti nel collegio da tutti i candidati. È soppresso il terzo comma dell'articolo 19 della legge 6 febbraio 1948, n. 29. 19 febbraio 1958.
Disegno di legge n. 124: N Disposizioni riguardanti i partiti politici e i candidati alle elezioni politiche e amministrative >), Onorevoli senatori, il disegno di legge che ho l'onore d i presentare è in rapporto al mio discorso fatto al senato nel luglio scorso, con il quale, accennando all'esagerato impiego di denaro sia dei partiti che di buona parte dei candidati, si è avuta l'impressione nel paese di una specie di fiera aperta per ottenere la rappresentanza parlamentare. Se si parla d i moralizzare la vita pubblica, e il governo n e ha preso l'impegno nel suo programma e nelle dichiarazioni fatte in parlamento dal presidente del consiglio, il primo e i l più importante provvedimento deve essere quello di togliere la grave accusa diretta ai arti ti e ai candidati dell'uso indebito del denaro per la propaganda elettorale. I1 problema è più largo di quel che non sia la spesa elettorale; noi abbiamo oramai una struttura partitica le cui spew aumentano di anno in anno in maniera tale da superare ogni immaginazione. Tali-somme possono v e a i r ~ d afonti impure; non sono mai libere e spontanee offerte di soci e di simpatizzanti. Non sarò i o a dire le vie segrete per il finanziamento dei partiti perchè la mia esperienza personale del 1919-1924 non ha nulla di simile con l'esperienza del 1945-1958. Che i finanziamenti siano dati da stranieri, da industriali italiani, ovvero, ancora peggio, da enti pubblici, senza iscrizione specifica nei registri di entrata e uscita, o derivino da percentuali in affari ben combinati ( e non sempre puliti), è il segreto che ne rende sospetta la fonte, anche se non siano state violate le leggi morali e neppure quelle che regolano l'amministrazione pubblica. I1 dubbio sui finanziamenti dei partiti si riverbera su quelli dei candidati; e con molta maggiore evidenza se si tratta di persone notoriamente di modesta fortuna, professionisti di provincia, giovani che ancora debbono trovare una sistemazione familiare conveniente, impiegati a meno di centomila lire mensili, e così di seguito. Alla fine delle elezioni abbiamo sentito notizie sbalorditive, che fanno variare da dieci a duecento milioni le spese di campagna di singoli candidati. Naturalmente, la fantasia popolare e la maldicenza dei compagni di lista per le elezioni della camera non hanno per confini che il risentimento di aver perduto la battaglia o quello personale di essere stato scavalcato nell'ordine deUe preferenze cia concorrenti fino a ieri creduti cavalli bolsi. E pur facendo a tali sentimenti e risentimenti post-elet-
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t ~ r a l ile falcidie che meritano, resta quel margine insopprimibile di verità che, allo stato delle cose, è sufficiente indizio dell'entità di entrate e di spese sproporzionate alle possibilità normali dei candidati stessi. C'è chi accusa l'apparato dei partiti, i l quale, discriminando i candidati della stessa lista, ne determina l'accaparramento di voti a favore degli uni con danno degli altri. Non mancano indizi circa i l patrocinio politico che enti statali e privati si assicurano in parlamento favorendo l'elezione di chi possa sostenere e difendere i propri interessi, impegnando a tale scopo somme non lievi nella battaglia delle preferenze. Quando entrate e spese sono circondate dal segreto della loro provenienza e della loro destinazione, la corruzione diviene impunita; manca la sanzione morale della pubblica opinione; manca quella legale del magistrato ; si diffonde nel paese il senso di sfiducia nel sistema parlamentare. Ecco i motivi fondamentali che rendono urgenti i provvedimenti da me proposti circa i finanziamenti e le spese dei partiti nel loro funzionamento normale; dei partiti e dei candidati nelle elezioni politiche e amministrative. Per ottenere questi scopi di ,pubblica moralizzazione, occorr e anzitutto affrontare i l problema giuridico della figura e dell'attività dei partiti. La costituzione contiene in proposito due disposizioni fondamentali. All'articolo 29 sta scritto: « Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale a . All'articolo 67 si legge: « Ogni membro del parlamento rappresenta la nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato D. I1 partito, pertanto, ha per fine di concorrere a determinare la politica nazionale, tale concorso è attuato con metodo democratico; mentre i membri del parlamento, pur eletti con l'organizzazione e l'ausilio dei partiti, rappresentano come tali non il partito ma la nazione ed esercitano il proprio ufficio senza inco colo di mandato. Nè l'elettorato che l i sceglie, nè il partito che ne aiuta la scelta, può vincolare gli eletti a deputati e senatori ad una predeterminata linea di condotta, perchè in tale caso essFappresenterebbero una frazione della propria circoscrizione elettorale ovvero un partito cioè una sezione di cittadini (spesso assai esigua) al quale han data la propria adesione. La costituzione implicitamente contiene tutto quel che si può esplicitare in leggi per mantenere puro, alto e indipendente l'ufficio di rappresentante della nazione, in modo da non essere mai accusato di aver contratto legami per finanziamenti
di dubbia origine o peggio essere portavoce di gruppi partice]ari contro gl'interessi generali. Per precisare le responsabilità occorre anzitutto che i l partito, pur conservando la libertà che deve avere il cittadino nella propria attività politica, sia legalmente riconoscibile e sia posto in grado ,di assumere anche di fronte alla legge le proprie responsabilità. A questo scopo con il disegno di legge, che ho l'onore di presentare, viene fatto obbligo ai rappresentanti dei partiti di depositare nella cancelleria del tribunale competente lo statuto e le successive variazioni, firmato dal presidente e dal segretario generale. Questo atto basta per potere attribuire a1 partito la personalità giuridica e in tale veste potere anche possedere beni stabili e mobili senza alcuna autorizzazione preventiva. La figura che verrebbe assegnata al partito non trova com'pleti riferimenti nelle disposizioni codificate; invero, i l partito non può ritenersi, qual'è al presente, una semplice società di fatto senza personalità giuridica, perchè mancherebbe d i responsabilità; nè può essere equiparato ad una associazione o fondazione privata da essere riconosciuta agli effetti legali con decreto del presidente della repubblica e quindi ricadente sotto la vigilanza ministeriale, la qual cosa lederebbe l'indipendenza del cittadino nel campo della politica; neppure potrebbe avere la figura di società con fine economico, patrimoniale o di qualsiasi interesse materiale da tutelare. Pertanto, nel sottoporre gli associati non ut singuli ma come corpo morale a determinati obblighi, la personalità giuridica e i diritti che derivano vengono acquisiti con l'unico atto volontario, quello di darsi uno statuto e di depositarlo in forma autentica alla cancelleria del tribunale competente. L'atto di volontà collettiva reso pubblico, senza interventi di autorità politica o amministrativa e di formalità nelle quali partecipi un qualsiasi funzionario pubblico (notaio o giudice di tribunale) attua e completa il diritto alla personalità politica del partito. Mi è sembrata questa la soluzione più aderente allo spirito della legge, soluzione che nel codice vigente non potrebbe trovare elementi concreti, mentre la soluzione adottata è da escludere che sia in contrasto con principi ritenuti fondamentali. Non ho previsto il caso che lo statuto contenga disposizioni non consone al metodo democratico prescritto dalla costituzione, perchè manca fin oggi una defi'nizione che possa giuridicamente fare stato per ciò che precisa il metodo democratico e quali possano essere gli effetti legali di una violazione od omissinne. Ciò non ^stante, uo;z vnlta stabilito l'obbligo del deposito dello statuto con l'effetto dell'acquisto della personalità giu-
ridica, la discussione sul metodo democratico dei pprtiti prenderà aspetto concreto in base ad una elaborazione teorica e pratica che non mancherà da parte d i giuristi e di interessati. Nella fase attuale, è meglio mettere il problema da parte e lasciare che gli studi in merito diano sufficienti indicazioni per un susseguente atto legislativo. Conseguente al primo articolo è il secondo che prescrive il deposito alla cancelleria del tribunale dei- rendiconti annuali. Questa disposizione è completata da quella contenuta all'articolo terzo, con i l quale sono vietati i finanziamenti che, per la loro origine e per il loro carattere particolare, attenuerebbero la libertà politica dei partiti, ovvero li renderebbero consociati a determinate finalità o renderebbero i partiti conniventi in atti illeciti o discutibili per gli enti finanziatori e per gli interessi particolari. che da tali enti si intendono assicurare. L'elenco dei finanziamenti vietati è di per sè evidente e posso dispensarmi dal darne nella relazione una particolare dimostrazione, pur riservandomi di rispondere in commissione o in aula a tutte le richieste in merito; qui mi limito a chiarire il motivo per avere incluso nell'elenco ogni società o singolo contribuente che viene tassato in base a bilancio, perchè i l bilancio che deve essere presentato dovrebbe indicare come spesa i1 contributo ad un partito, non potendo questo essere incluso nella somma che si mette a disposizione del consiglio di amministrazione o dell'ilnico gestore per beneficenza o per spese nell'interesse dell'azienda. È chiaro che in questo caso il segreto che si vuole sopprimere nei rapporti fra partiti e 6nanziatori resterebbe ancora possibile. L'articolo 4 riguarda i finanziamenti e le spese elettorali dei partiti; per questi si mantiene l'obbligo del deposito dei rendiconti nella cancelleria del trihiinale conipetente. È opportuno che si tengano distinte entrate e uscite normali per i l £unzionamento dei partiti da quelle straordinarie per le elezioni, anche perchè a queste sono state assegnate opportune limitazioni fra le quali importantissimo il divieto di dare concorsi a i candidati per spese personali. Con l'articolo 5 si fa obbligo ai partiti che ogni bene mobiliare o immobiliare venga nominalmente intestato al partito stesso, vietando qualsiasi acquisto di titoli al portatore, anche titoli di stato e la intestazione di comodo a terze persone o a società fittizie. All'articolo 6 è fatto obbligo ai candidati di depositare alla cancelleria del tribunale i rendiconti delle entrate ottenute e delle spese personali sopportate per la campagna elettorale, i n
base a u n limite prestabilito da non potersi superare senza incorrere nelle penalità previste. I1 limite delle spese elettorali di ogni singolo candidato è necessario per evitare che coloro che sono ben forniti di reddito proprio e di amicizie di persone denarose possano largamente usare il denaro per attirare ammirazione, simpatie e voti a danno di coloro che non si trovano nelle stesse condizioni di agiatezza O di ricchezza, a parte coloro che sanno procurarsi larghi concorsi con favori non sempre limpidi e confessabili. I1 sistema democratico obbliga a trovare un limite basso per le poche spese indispensabili a mantenere opportuni contatti col corpo elettorale. È questo il motivo dei limiti di spese personali fissate all'articolo 6. L'articolo 7 attribuisce al cittadino la facoltà di prendere visione degli atti depositati in cancelleria e di fare denunzia a l magistrato delle presunte violazioni di legge. Tali violazioni sono punite con una serie di multe tenute sulla linea di equità e di rigore insieme. Una disposizione importante è stata messa all'articolo 8 che rendiconti presentati siano equiparati ad atti pubblici e l'occultamento della verità per omissione o per variazione di cifre è reputato agli effetti penali come falso in atto pubblico. Occorre ridare fiducia al paese che la legge dovrà essere osservata e che la moralizzazione della vita pubblica non ammette condiscendenze riguardo la formazione del principale e fondamentale organo statale, i l parlamento, sul quale poggia tutta la struttura politico-giuridica della repubblica italiana. Ad illustrare la necessità del provvedimento legislativo da me proposto, aggiungo brevi accenni sulla vigente legislazione estera. Da tempo esistono nei paesi democratici norme riguardanti le spese elettorali, anzitutto per evitare che i candidati forniti di mezzi e disposti a spenderli, potessero prevalere su coloro che non ne dispongono o che reputano sconveniente usarne. A parte le finalità storiche pratiche delle singole leggi, tutte tendono a normalizzare la lotta elettorale e a regolare l'intervento dello stato per determinati servizi utili allo scopo. La Gran Breagna, che in materia di sistema parlamentare fa t è ~ t 5 - é per il rispetto di tradizioni ultrasecolari e per lo spirito di adattamento ai tempi con le minori scosse possibili, anche in questa materia può darci utili indicazini. Ogni candidato è obbligato a versare un deposito di centocinquanta sterline, che si restituisce se il candidato supera la percentuale dell' ottavo dei voti validi di tutto il collegio, mentre nel caso cuntrario viece iccanerato da!!'erario. Ciò serve ad evitare le candidature senza sufficiente base elettorale che rendono meno
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chiara la designazione popolare e non conferiscono alla formazione d i una clear majority. Per lo stesso motivo sono esclusi dal cartello radiofonico e televisivo di propaganda elettorale i partiti che presentano meno di cinquanta candidature in tutto il territorio del Regno Unito. I1 criterio di formare una maggioranza efficiente prevale su quello della rappresentanza delle minoranze. Da noi avviene il contrario per la immaturità della nostra esperienza democratica. Inoltre è proibito l'uso di radiostazioni situate a l dilà dei confini del Regno a scopo elettorale, e la violazione del disposto è penalmente perseguibile. La propaganda elettorale è controllata dallo stato, sia per il numero dei manifesti, delle stampe permesse, sia delle spese autorizzate. Le somme che ciascun candidato potrà spendere per la campagna elettorale sono fissate con rapporto all'ampiezza del collegio e al numero degli elettori. I n Francia la terza e la quarta repubblica hanno avuto leggi limitative per la propaganda elettorale a mezzo della fornitura statale della carta a ciascun candidato e con altre limitazioni di legge. I1 candidato doveva inoltre versare una cauzione di 20 mila franchi, da essere rimborsati se il candidato otteneva non meno del 5 per cento dei voti validi della circoscrizione, altrimenti andava ~ e r d u t a ;inoltre se i l candidato non superava il 2,50 per cento doveva rimborsare allo stato le spese fatte per tale candidatura. Anche l'uso della radio e della televisioiie è stato fin oggi limitato a quei partiti che presentavano candidati in non meno di trenta dipartimenti. Le penalità per i trasgressori sono state multe e detenzione carceraria, secondo i casi. Nella costituzione tedesca vi è il disposto analogo a quello italiano; l'articolo 21 suona così: I partiti politici partecipano alla formazione della volontà politica del popolo. La fondazione di un partito è libera. I1 loro ordine interno deve rispondere ai principi democratici. Devono rendere conto a l popolo dell'origine dei loro mezzi n. Nello stesso articolo è stabilito che una legge federale preciserà le norme riguardanti le entrate e le spese dei partiti. Tali norme sono i n corso di elaborazione. Dove esiste una legislazione precisa e completa è negli Stati Uniti d'America, sia per i l finanziamento dei partiti sia per l e spese elettorali. Tanto i candidati che i direttivi dei partiti debbono in tempo dichiarare per iscritto le spese che a tale scopo intendono sopportare. I candidati fanno le dichiarazioni alla segreteria del senato e i partiti alla segreteria della camera dei rappresentanti (deputati). La cifra massima per ciascun candidato non può superare i 10 mila dollari; in casi eccezionali di collegi estesi e con elettori numerosi vi può essere u n supplemento che non potrà superare complessivamente i 25 mila
dollari. Se la spesa sembra eccessiva, bisogna pensare quali siano i costi della vita americana e quale altezza abbiano raggiunto gli stipendi professionali e i salari d i lavoro. La penalità per i trasgressori, multe fino a 10 mila dollari e detenzioni carcerarie fino a due anni, o l'uno e l'altro insieme, sono applicate secondo la gravità del reato. La stessa pena è comminata a l candidato che promette un posto privato o pubblico in compenso dell'appoggio elettorale. Se si domanda un contributo ad impiegati federali, la multa è portata a 15 mila dollari e la detenzione a tre anni. Sono proibite le contribuzioni delle banche, delle corporazioni (società di affari e imprese), dei sindacati operai (unions) con quasi le stesse penalità. La lista continua anche per reati fuori del periodo elettorale e per attività politiche in contrasto alle leggi di sana amministrazione, riferentisi a persone singole e associate o a organizzazioni di partiti. Allo scopo di provare che il mio disegno di legge non è uuovo e trova consensi negli stati democratici più qualificati, hasta quanto è stato già scritto; e ogni altra indicazione sarebbe superflua. Spero che la presente iniziativa trovi il senato disposto ad un approfondito esame, in modo da potere dare al paese una legge che riporti la posizione dei partiti alla lettera e allo spirito della costituzione e nel binario d i sana democrazia, nella quale il parlamento tenga i l suo prestigio intatto e la sua fcnzione con piena ed efficiente responsabilità. PROPOSTA DI LEGGE
;4rt. 1 - È fatto obbligo ai cittadini che si associano in Fartito per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale, di depositare il proprio statuto e le successive variazioni con le firme autenticate del presidente e del segretario generale, alla cancelleria del tribunale civile del luogo dove è fissata la sede centrale. I trasferimenti saranno notificati anche alla cancelleria del tribunale nella cui circoscrizione 8i trova la nuova sede. Dalla data del deposito dello statuto il partito acquista personalità giuridica.
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Art. 2 L'amministratore del partito dovrà presentare alla cancelleria del tribunale dentro ogni mese d i marzo il rendiconto delle entrate e delle uscite dell'anno precedente, compresevi, in riassunto per provincia, le entrate e le uscite delle sezioni locali, dictingiiendo per queste ultime i finanziamenti concessi dall'amministrazione centrale del partito da quelli ottenuti localmente.
I1 rendiconto annuale sarà controfirmato dal presidente e dal segretario generale o da coloro che ne fanno le veci.
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Art. 3 Nel rendiconto saranno tenuti distinti i contributi ordinari dai contributi straordinari dovuti dagli associati; nonchè i cespiti di beni mobili e immobili appartenenti al partito o a società ed enti dai quali il partito abbia partecipazione. Ogni altra entrata deve essere indicata con i l nome e l'indirizzo di chi versa e per conto di chi versa e del motivo del versamento. È vietato ai partiti accettare contributi di ministeri, enti e gestioni statali: di enti locali territoriali, enti o banche d i diritto pubblico o di interesse nazionale; di cooperative, federazioni di cooperative, consorzi, enti consortili e relative federazioni, e di ogni altra gestione autonoma, statale e non statale, che per legge è sottoposta alla vigilanza e al controllo ministeriale. È vietato, inoltre, accettare offerte e finanziamenti da confederazioni di lavoratori e di datori di lavoro e da qualsiasi impresa o società che, come tale, è tassata in base a bilancio. I1 divieto previsto nei due commi precedenti si applica anche ai contributi, sussidi, finanziamenti di qualsiasi ente, organizzazione e impresa stranieri.
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Art. 4 L'amministrazione del partito deve tenere speciale contabilità delle spese elettorali politiche e amministrative dal giorno dell'a~ertura del periodo elettorale fino a u n mese dopo la proclamazione degli eletti. I1 rendiconto delle entrate e delle spese a scopo elettorale, con l'indicazione dei residui attivi e passivi da regolare, sarà presentato non oltre tre mesi dopo la proclamazione degli eletti. È fatto divieto ai partiti di assegnare, sui fondi propri, concorsi personali alle spese che ciascun candidato intende fare a proprio vantaggio. Art. 5 - Le azioni appartenenti al partito debbono essere sempre nominative, siano anche titoli di stato o titoli emessi all'estero ovvero nelle regioni a statuto speciale dove è consentito per legge i l titolo azionario al portatore. Anche i beni immobili appartenenti al partito debbono essere ad esso intestati.
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Art. 6 È fatto obbligo ai candidati elettorali, siano o n o eletti a posti di pubblica rappresentanza. di presentare alla cancelleria del tribunale competente un elenco delle offerte ricevute e delle spese sopportate per la propria candidatura. Tali entrate e spese non possono superare lire 200.000 per l e elezioni comunali; lire 300.000 per le provinciali; lire 400.000
per Ie regionali; lire 500.000 per le senatoriali; lire 600.000 per le elezioni a deputato. Nel decreto di convocazione dei comizi elettorali è precisata, dentro i limiti indicati nel precedente comma, la spesa consentita a i candidati con riferimento all'ampiezza della circoscrizione e a l numero degli elettori. I1 disposto degli ultimi tre commi dell'articolo 3 della presente legge è esteso ai finanziamenti, contributi e offerte per i singoli candidati. Art. 7 Ogni cittadino può prendere visione degli statuti e dei rendiconti annuali ed elettorali dei partiti e dei singoli candidati. Può anche denunziare alla magistratura eventuali violazioni di legge. I n caso di accertata violazione delle disposizioni degli articoli precedenti si gwocederà anche d'ufficio ai sensi di legge. La omissione del deposito degli atti può essere punita con la multa da 500 mila lire fino a due milioni. I n caso d i recidiva, la multa è raddoppiata. La violazione delle disposizioni riguardanti i finanziamenti e l e spese è punita con la multa fissa di lire 500.000, oltre l'aggiunta da tre a dieci volte la somma riscossa o pagata illecitamente. I n tutti i casi previsti sono responsabili della violazione di legge tanto chi versa quanto chi riceve.
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Art. 8 Se gli atti depositati nella cancelleria'del tribunale dai partiti e dai singoli candidati contengono tali omissioni e inesattezze da potersi dedurre essere stata occultata o alterata l a verità, i responsabili sono puniti a norma dell'articolo 483 codice penale, per falsità commessa dal privato in atto pubblico. (comunicato ai& presidenza il 16 settembre 1958).
Disegno di legge costituzionale n. 285: 57, 59 e 60 della costituzione ».
C
Modifiche agli articoli x
Onorevoli senatori, il disegno di legge costituzionale n. 250 presentato a l senato dal governo con i l titolo K Modifica della durata e della composizione del senato della repubblica D, contiene disposizioni che meritano seria attenzione, prima fra Ie quali, i n modo speciale, la istituzione con legge costituzionale d i u n collegio unico per la elezioze di un quarto di senatori che direi privilegiati.
I1 collegio unico nella nostra legislazione elettorale fu introdotto quando ancora non vigeva la costituzione del 1948; l'averlo mantenuto anche dopo con legge elettorale non giustifica la insita contraddittorietà con il disposto fondamentale della costituzione, contenuto negli articoli 56 e 58 che la camera dei deputati e il senato sono eletti a suffragio universale a diretto. I1 collegio unico non comporta la votazione diretta dell'elettore, nè la sua libera scelta, trattandosi di una risultante indiretta e rigida. ' Inoltre, per il senato, la lista nazionale contraddice al disoosto organico della base regionale fissata all'articolo 57 della " " costituzione. È vero che nella relazione, premessa al citato disegno di legge, viene dichiarato restare fermo i l principio della circoscrizione regionale per la elezione di un senatore per ogni 200 mila abitanti, riguardando la proposta una nuova categoria di senatori di diritto, quasi fosse una specie di sostituzione dei 107 senatori di diritto creati in base alla III" disposizione transitoria della costituzione solamente per la prima composizione del senato. I n sostanza, i l disegno di legge in parola tende a creare una categoria di senatori a numero limitato (un quarto dei senatori periferici) quali benemeriti esperti della vita pubblica nazionale, indipendentemente e dal merito personale e dalla scelta elettorale. Questo sembra a me un assurdo costituzionale e spiacemi doverlo notare in un disegno di legge governativo. Si ha l'impressione che venga istituita una polizza di assicurazione al posto di senatore, a favore dei parlamentari più anziani, una specie di giustificazione di quelli fra i tanti che o sono stanchi delle lotte elettorali ovvero dubitano della ~ r o b a b i l i t àdi rielezione e preferiscono la scelta attraverso l'inserzione nel collegio elettorale nazionale a lista rigida automatica. Invero, l'albo dei parlamentari fissa i posti dei candidabili per ordine di anzianità; a parità di anzianità prevalgono coloro che hanno coperto uffici ministeriali o parlamentari con una esatta precisazione di graduazione: i più anziani di elezione e di carica saranno i sicuri fortunati, doppiamente fortunati in vita ('cioè nel periodo della nomina elettorale) et post mortem (cioè nel periodo del senatorato di diritto) distribuiti proporzionalmente al risultato dei senatori elettivi in base alle percentuali ottenute dai gruppi a contrassegno collegato. Tutto ciò non solo è contrario alla base regionale del senato, ma alla stessa elettività del senato, e non corrisponde (se si vuol fare un riferimento alla 111" disposizione transitoria della costituzione) alla finalità avuta di dare un premio ad personam per i servizi resi prima e durante i l regime fascista. Qui i ser-
vizi resi sono non valutabili, mancando u n organo di scelta per meriti assoluti e comparativi, come si dice per il personale impiegatizio, sia da parte dei formulatori dell'albo, sia da parte degli elettori e neppure da coloro che ne presentarono la obbligatoria candidatura, cioè i partiti. Insomma, questi nuovi sessanta e più senatori rappresenterebbero se stessi e non la nazione; l i sceglierebbe un albo muto, non un essere vive~itc, l'elettorato o i l presidente della repubblica o lo stesso senato per cooptazione, nessuno: la sorte cieca. L'inconveniente della mancata scelta si ripercuoterà nella ste?rsa composizione delle due camere. Da un lato le nuove reclute d i candidati premeranno sulle direzioni locali e centrali dei partiti per avere posto nelle liste per la camera dei deputati; gli anziani fra i deputati uscenti saranno, anche loro malgrado, risospinti a l senato. La scelta fra camera e senato favorirà spesso i meno dotati e meno. rappresentativi, mentre la camera abbonderà di giovani senza sufficiente preparazione ed esperienza della vita pubblica; così i due corpi non miglioreranno, e i l passaggio, o travaso che sia, non favorirà la formazione della tradizione di corpo sia della camera che del senato. Capisco che queste preoccupazioni di psicologia politica potranno sembrare fuori luogo nell'esame di un disegno d i legge a carattere partitico; ma non posso non darvi rilievo, se non altro per quei pochi che mi comprendono e per quegli altri che in avvenire si daranno la pena di leggere quéste pagine. Debbo aggiungere, a completare la mia critica, che l'equivoco su cui si fonda i l disegno d i legge è lo stesso di quello che inficiò il disegno presentato durante il ministero Segni; cioè una pretesa integrazione del senato. Segni pose tale precisazione nel titolo del disegno di legge; Fanfani, pur omettendola, ne dà risalto nella relazione. Tale finalità dal punto dei fatti è inesatta e per giunta contraddice alla lettera della costituzione: il senato non sorse monco; la disposizione transitoria non lo integrò; nella seconda e nell'attuale legislatura il senato non è stato incompletot non lo potrebbe essere. Pertanto la immissione di 60 albisti a titolo fisso non è e non può essere integrazione. Quello che si vuole, e può essere legittimo di h o n t e a una camera di quasi 600 deputati, è che il senato ne abbia almeno 300. A questo scopo basta ridurre il quorum della popolazione per ogni senatore a 160 mila invece di 200; si avrebbe così un aumento adeguato in rapporto a l quorum dei deputati che è di 80 mila abitanti. Qualora si preferiscano dei candidati qualificati, si fissine categorie d i scelta, non mai albi a graduatoria obbligata. Per completare i miei rilievi al disegno di legge costituzio-
nale presentato dal governo, debbo far notare che l'articolo quarto divide in due serie i dieci posti attribuiti al presidente della repubblica; però nella prima, sotto l'aggettivo sociale, possono essere inclusi i sindacalisti che figurano anche nella seconda serie; così nella categoria dei letterati potrebbero trovare posto i veri giornalisti qualificabili come tali, secondo una costante e nobile tradizione italiana. A parte ciò, sarà bene precisare se la parola sindacalisti sia esclusiva per i sindacati operai e non comprenda anche quelli degli agricoltori, industriali grandi medi e piccoli, nonchè i dirigenti di imprese, gli impiegati e ogni altra categoria, dovendo tutti essere considerati lavoratori in una repubblica basata sul lavoro. Prescindendo da altre critiche particolari passo a dare ragione del disegno di legge che ho l'onore di presentare, nella speranza che la commissione voglia tenerne conto nel17esame di quello governativo, utilizzarlo per gli emendamenti, o addirittura adottarlo come i l più rispondente allo scopo. Partendo dal riconoscimento dell'utilità di aumentare il numero dei senatori. escludo l'idea delle due categorie di senaiori quale risulta dal disegno di legge governativo (gli attuali a candidature regionali e i nuovi fino a un quarto a candidature nazionali in lista automatica), e propongo unico tipo di elezione - quella vigente per regioni - abbassando i l quorum di popolazione per ciascun senatore da duecentomila e centosessantamila, cioè il doppio del quorum fissato per la elezione dei deputati; l'aumento previsto si aggirerebbe a circa 80 senatori. I1 rafforzamento qualitativo del senato come non si raggiunge con l'albo fisso di deputati e senatori proposto dal governo, neppure si raggiungerebbe con l'aumento dei posti di senatori ad elezione libera da me proposto; e mentre la soluzione governativa tenderebbe a fossilizzare e anchilosare il corpo legislativo, con le elezioni di personale di risulta che ad ogni legislatura verrebbe immesso a mezzo di un albo fisso; con le tendenze rinnovatrici dei partiti e di maggioranze ~ a r l a m e n t a r i , le nuove elezioni quinquennali potrebbero portare elementi freschi e validi senza trovare la barriera di un numero di inamovibili con qualifica di cariche avute: che evitando la lotta elettorale si troverebbero più o meno installati a vita senza nomina vitalizia. L'unica via legittima e chiara per un gruppo qualificato sarebbe quella di affidare al presidente della repubblica la scelta di senatori di alti meriti per quelle personalità che difficilmente correrebbero l'alea di una elezione nè si piegherebbero facilmente alla disciplina di partito. È questo il motivo che, a lieve modifica di mia precedente proposta, mi ha suggerito di por-
tare i l numero dei senatori di scelta presidenziale a venti e di allargarne convenientemente le categorie. prima di conchiudere sento il dovere di fare una dichiarazione. L'aumento del numero dei senatori non può essere fine a se stesso, nè potrebbe dirsi strettamente necessario al funzionamento del senato, i l quale ha dato prova nella passata legislatura d i una regolare attività ed elevato contributo alla legislazione, purtroppo numerosa e in parte di semplice formalistica o di categoria, quale si è insinuata nelle abitudini della nostra democrazia. La riforma del senato nei suoi scopi, nella sua organicità, nella sua funzionalità è quella che si richiede; ma non si avuto fin oggi una adeguata iniziativa proprio per l'ostacolo avanzato del numero dei senatori e della tesi dell'integrazione. L'idea che si ebbe dai costituenti di un senato doppione della camera non regge; il senato ha in certi affari voce prevalente; in altri affari voce secondaria. Non è il momento che io svolga questo tema; ne ho fatto cenno in due dei miei discorsi in aula; mi riservo di ritornarvi di proposito. Qui mi basta affermare che il mio disegno di legge mira solo a correggere quello governativo nei suoi lati deficienti e nella sua impostazione non esattamente costituzionale, per a w i a r e sopra una strada più sicura i l comune desiderio di u n aumento di senatori. Che se la discussione del senato porterà di nuovo ad un nulla di fatto. non sarò io a dolermi della ~ i c c o l afatica della presentazione del presente disegno d i legge, nella speranza di poter i n seguito esporre le mie idee a viva voce nell'aula sena-
DISEGNO DI LEGGE
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Art. l I1 secondo e terzo comma dell'articolo 57 della costituzione sono modificati come segue: A ciascuna regione è attribuito un senatore per centosessantamila abitanti o per frazione superiore a ottantamila. a Nessuna regione può avere un numero di senatori inferiore a sette. La Valle d'Aosta ha un solo senatore ». Art. 2
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L'articolo 59 della costituzione è sostituito dal se-
guente : N È senatore di diritto e a vita, salvo rinunzia, chi è stato presidente della repubblica, presidente dell'arsemblea costituente o, per almeno quattro anni consecutivi, presidente d i uno dei due rami del parlamento.
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« I1 presidente della repubblica può nominare senatore a vita venti cittadini che abbiano illustrato la patria per altissimi meriti nel campo sociale, sanitario, scientifico, artistico, letterario e per eminenti servizi resi nel campo della politica, nella magistratura, nell'amministrazione civile e militare dello stato e nelle amministrazioni regionali, provinciali e comunali in qualità di presidente o d i sindaco n.
A r t . 3 - I1 primo comma dell'articolo 60 della costituzione è sostituito dal seguente: « La camera dei deputati ed il senato della repubblica sono eletti per 5 anni n.
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Art. 4 La presente legge entrerà in vigore i l giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta uficicrle. (comunicato alla presidenza il 28 novembre 1958).
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