Ridimensionamento Per rifare un Fanfani-Saragat centro-sinistra (e non centro sinistro) non valeva la pena portarci ad una crisi ministeriale, sospendere i lavori parlamentari, incomodare il Presidente della Repubblica, fare versare fiumi d'inchiostro sui giornali, leggere sul Emeso su Le Mondeche siamo in piena crisi di regimee così di seguito. Bastava che si accettassero le dimissioni di Vigorelli e si provvedesse lì per lì con un interim, salvo un rimpasto di buona farina. Ma la malattia che ha colpito il ministero Fanfani-Saragat era congenita: ministero di minoranza di.. . attesa; minoranza insuperabile sia all'interno dei partiti sia nei rapporti con altri partiti democratici; attesa negativa, quella di un Nenni capace di svincosindacali e larsi sul serio dai comunisti, rompendo anche i vincoli con le organizzazioni cooperative, nonché i legami spirituali con i neutralisti internazionali e con i massimalisti di tutti i tempi. Le due infezioni congenite resterebbero identiche nella nuova reincarnazione; basta aver letto le dichiarazioni di Saragar fatte dopo il colloquio con il Presidente Gronchi (dichiarazioni opportunamente biasimate, per la forma, da un comunicato del Quirinale); e basta tener presente le affermazioni della Direzione della DC riguardo il programma di Governo che non fu potuto portare avanti e che bisogna riprendere tale e quale. Se si vuol capire il significato della crisi, quello vero e profondo che deriva da una concezione strettamente politica di Governo, al di fuori di una sua ambientazione adatta alla realtà presente e agli sviluppi necessari di questa realtà, bisogna cominciare a lasciare la bassura della valle rnefitica della partitocrazia (cioè governo di partito o di partiti, nel caso presente di due partiti di minoranza detti di centrosinistra) per sollevarci alla concezione di governo nazionale-europeo, nazionale perché italiano, europeo perché inserito nel Mercato comune della piccola Europa.
I1 problema d'oggi è questo; ogni elenco di affari normali e anormali messi in fila come programma di un quinquennio (meno sette mesi) per un governo che non si sa se avrà e per quanto tempo avrà il voto del Parlamento, è uno sforzo vano, inutile, e per giunta dannoso perché ci porta fuori strada. I1 problema di ridimensionamento o di adeguamento della economia italiana a quella del Mercato comune europeo (e di conseguenza a quella degli altri mercati), è in fondo il problema della stabilità della lira, della produttività dell'econornia, della eliminazione della disoccupazione, della fiducia nell'iniziativa personale, della moralizzazione della vita pubblica e privata, del ritorno al rispetto delle leggi in uno Stato di diritto, nel quale non può essere lecito e tollerabile I'occupazione delle fabbriche tipo Galileo di Firenze, né la mancata tutela del disoccupato senza sbocco, ritornando alla libertà legale e funzionale della ricerca di lavoro e offerta di manodopera. Su questo terreno gli unici che non ci starebbero a posto in un governo nazionaleeuropeo sarebbero i partiti e le frazioni di sinistra, quelli come i comunisti che accetterebbero il dono della collaborazione (secondo l'opinione di Terracini); quelli che lo rifiuterebbero (secondo la dichiarazione di Nenni); quelli che pencolano fra PSI e PSDI
come Vigorelli; quelli che vogliono la Sinistra senza Centro, quali i comunistelli del Cardinale Ottaviani.
Tutti costoro non sono democratici, non hanno il senso dello Stato, non guardano la Nazione come un tutto dinamico nel quale i cittadini, non le categorie, debbono avere voce e responsabilità. La situazione è e deve essere impostata su due pilastri: primo, ripresa completa dello Stato parlamentare quindi governo di maggioranza prestabilita; secondo, adeguazione del sistema politico-economico al piano del Mercato comune europeo. Si intende che la nostra politica estera è sempre quella: Patto Atlantico, NATO, controllo delle armi atomiche, sistema internazionale sulla base dell'ONU come premesse indispensabili. Chi non ci crede, resti fuori della maggioranza; gli altri si uniscano sia come maggioranza precostituita di un ministero d.c. monocolore; sia come ministero oggi o dopo il congresso D C ; sia come base di una immediata consultazione elettorale. Vi sono anche i pilastri di politica istituzionale: per tornare alla concezione di governo parlamentare quale risulta dalla Costituzione occorre partire dallo Stato di diritto: ogni organo, ogni funzione nel suo rango e nei suoi limiti costituzionali e legali. Occorre togliere gli stimoli ai partiti di trasformarsi in organo di governo e cercare di soppianrare il Parlamento. Donde la necessità di eliminare il voto segreto per l'approvazione delle leggi; di ammettere la pubblicità dei finanziamenti e delle spese dei partiti; di riformare la legge elettorale con la tendenza di formare maggioranze stabili e alternative di partiti costituzionali. Dobbiamo uscire dal sistema di larghe promesse impegnando i bilanci futuri per decenni, aumentando la pressione fiscale, credendo di poter fare in un giorno felici tutti gli italiani. Dobbiamo tendere a dare agli italiani il mezzo di crearsi da sé il proprio benessere, lavorando e risparmiando, ogni categoria e ogni classe, compresi coloro che godono privilegi ingiustificati, stipendi eccezionali, redditi senza reimpiego, uso del denaro pubblico senza responsabilità. Si obietterà che questo è programma di destra; che questo è immobilismo; che questo è reazione. Parole grosse che rigetto in faccia ad oppositori incoscienti e a gente che fa dello statalismo dissipatore la propria bandiera; solo vantaggiosa a coloro che fanno largo uso della demagogia senza sacrifici. k vero: questo piano suppone anzitutto il ritorno dei liberali al governo, oggi o domani non importa. Se l'attesa del congresso DC è una condizione per una intesa futura, passino pure i tre mesi da oggi ad aprile con un monocolore di transizione, non Centro-Sinistra (né centro sinistro) ma un onesto governo che sappia preparare il passaggio dalla partitocrazia al governo parlamentare, gjovandosi dei voti dei futuri associabili per un governo nazionale-europeo. H o parlato dei liberali; non escludo i monarchici delle due denominazioni, a condizione che superino qualsiasi tendenza conservatrice nel senso deteriore della parola (la conservazione nel progresso è necessaria) e qualsiasi difesa di interessi particolari e locali. Se questo piano non è possibile è da augurare che si levi fin da ora la bandiera della difesa del paese come nazione inserita nell'Europa oggi di sei paesi, domani unificata, sulle basi di una concezione di libertà politica e di equilibrio economico, contro ogni sinistrismo
mantista, sia quello comunista, sia il nenniano, sia dei comunistelli d.c. o dei sinistri della democrazia saragattiana.
Il Giornale d'ltalia, 29 gennaio 1959
Una crisi nella crisi Due giorni prima delle dimissioni di Fanfani da segretario politico della DC, l'agenzia giornalistica Radar apponeva al suo articolo quotidiano questa manchette: «La svolta a destra nonpasserà. I franchi tiratori hanno gettato la maschera rivelando i veri obiettivi della loro manovra, ma contro il ritorno all'immobilismo quadripartito o all'involuzione a destra, la sinistra DC è decisa a difendere, costi quel che costi, l'eredità di De Gasperi e di Vanoni)). Nel testo si accusa di falso scopo «la polemica sullo scivolamento verso i socialisti per bloccare ogni volontà di rinnovamento (rinnovamento, parola magica del rilancio delle sinistre con dentro anche Penazzato a titolo personale) e per costringere la DC all'irnmobilismo (parola di accusa contro i governi D C usata da Nenni) sotto la tutela liberale e confindustriale o - addirittura - per spingerla verso i lidi di una crisi di regime od awentura di tipo gollista». Qui vi è inserito un chiaro riferimento a Fanfani, il quale concorderebbe per la formula di centro-sinistra, senza creare le condizioni per l'adesione della sinistra saragattiana e dei repubblicani, affermando che ((occorre una chiarificazione di fondo, soprattutto all'interno della D C . . ., ricreare l'unità nel rispetto delle idee, ribadire una politica di profonde riforme di struttura e reali progressi. I1 che esclude ovviamente ogni collaborazione con i liberali e con le destre)). La lunga citazione mi porta al tema di questo articolo: Una crisi nella crisi. La crisi della D C è inserita nella soluzione della crisi ministeriale, provocata incidentalmente dal gesto inconsulto di Vigorelli e sostanzialmente dal congresso socialista di Napoli.
Lasciamo da parte le parole vuote di rinnovamento per la sinistra, o centro-sinistra, e immobilismo per il centro o centro-destra; il problema dell'unità della D C si pone anzitutto sul piano dell'unità organizzativa. In un partito, nel quale è permessa la formazione autonoma di correnti che fanno capo ad organizzazioni a fine non politico e con finanziamenti extra, non vi può essere unità. La DC, è vero, ha le sue sezioni con propri tesseramenti; ma non in tutte le sezioni sono ammessi, o vi stanno a loro agio, coloro che non fanno parte attiva del c h n locale, né tutte le correnti esistenti nella DC vi hanno parte attiva; per giunta l'abuso dell'accaparramento delle tessere monetizzate e tenute nel cassetto dai dirigenti non è un fatto isolato. Così avvengono due forme di disgregamento: quella delle correnti non politiche o professionali o sindacali (CISL, Coltivatori diretti, ACLI); quella dei gruppi quasi autonomi (Base, Forze sociali, Rinnovamento) e quella dei gruppi di pressione (Comitati civici e Associazioni locali varie). Non ho esatta idea delle finalità di Rinnovamento, la cui parola ho trovato buttata lì in uno dei discorsi di Fanfani, né conosco il programma annunziato ma fin oggi non pubbli-
cato dai giornali. Mi sembra di vedervi un certo spirito di setta in questi ((rinnovatori progressisti~o «antimmobilisti»che siano; proprio quelli che da tenipo invocano riforme distruttura e si appellano a D e Gasperi, forse a quello della riforma agraria e del lodo di Siena; nonché a Vanoni, quello dell'ENI (1952) e del Piano ( l 954). E qui sarà bene annotare che coloro che oggi insiscono sopra un centrismo DC senza qualifiche di sinistra e di destra sono coloro che votarono la riforma agraria di D e Gasperi e Segni, accettarono il Piano Vanoni come era realmente, cioè uno schema di previsioni verso la ripresa produttiva, non una concreta forniulazione alla quale mancò il tempo per la prematura morte dell'autore. CENI poi fu votato da tutti; il solo a proporre un contro-progetto e a combattere apertamente il monopolio ENI sulla Valle Padana fu colui che scrive questo articolo. De Gasperi con Vanoni a lato non fu immobilista; non lo furono e Scelba e Segni. Il Gabinetto Pella ebbe vita breve durante le vacanze e contrastato nella ripresa di novembre-dicembre; quello di Zoli fu senz'altro il governo delle elezioni del 1958, non avendo mai preso l'aria di volere risolvere gravissimi problemi e sciogliere nodi gordiani; ma non fu neppure un ministero immòbilisra in senso buono o cattivo che sia. A parte le qualità e le deficienze dei vari Ministeri, compreso quello di Fanfani (o Fanfani-Saragat come amano chiamarlo per far piacere al capo del partito di Preti e di Vigorelli); il punto di dissenso della sinistra DC (Penazzato compreso a titolo personale) è la questione così detta della riforma di struttura.
Rifarma distruttura? È questa una frase magica ovvero un termine tecnico del marxismo aggiornato? Tale riforma, secondo la Radar, dovrebbe a priori essere awersata dai liberalie dalla Conjhdustria. I primi forse in nome della libertà, della quale pare vogliano mantenere una specie di maggiorasco forse a causa del numero esiguo dei loro seguaci; la seconda avrà forse contato in un passato di ricostruzione americana, con giovamento del paese mezzo distrutto dalla guerra; ma oggi, contribuisca o no alle elezioni, conta ben poco in politica. Riforma di struttura? Eccone una: il ministro delle partecipazioni Lami Starnuti, forse con la cooperazione del sottosegretario Sullo (sinistra DC) aveva prima della crisi preparato un disegno di legge dove si trovano inserite le seguenti due proposte: 1) passare le banche dell'IRI - Commerciale, Credito Italiano, Banco di Roma, Santo Spirito, Fondiaria Sarda e la indipendente Banca del Lavoro - sotto la diretta dipendenza di quel ministero. Questo passo, di una gravità eccezionale, tende a costituire un vero controllo politico e non tecnico del credito; 2) trasformare I'ENI in ENE, cioè Ente Nazionale fonti di Energia, passando a tale Ente (che diverrebbe addirittura gigantesco e più che mai uno Stato nello Stato) la padronanza di tutte le attività produttrici italiane, perché avrebbe olrre agli idrocarburi, le ligniti, il carbone, gli impianti elettrici nuovi, e mano a mano gli attuali allo scadere delle concessioni, i vapori o soffioni, l'energia nucleare e quanto altro verrebbe a trovarsi e a crearsi in Italia. Basterebbero questi due soli provvedimenti per la soppressione di ogni libertà economica e l'accentramento politico degli affari di qualsiasi ramo della attività privata. I1 servizio che verrebbe reso alla politica di sinistra dei Nenni e dei Togliatti sarebbe di una portata gravissima: si aprirebbe la porta alla futura alternativa socialista (che sarebbe certamente socialcomunista), vi siano o no come caudatari i Saragat e i La Malfa. L'altra riforma di struttura che ha fatto capolino nei giornali e anche sul Popolo (oltre
che in quelli socialcomunisti e futuri alleati) è quella della stabilità degli operai di fabbrica, impedendone i licenziamenti anche per diminuzione di affari o per ridimensionamento o simili. I fatti di Firenze, Ancona, Nocera sono di questi giorni. Se i sinistri D C e i loro cislisti e aclisti credono di affrontare così il problema della disoccupazione, la renderanno sempre più acuta; perché l'iniziativa privata verrebbe scoraggiata e preoccupata da un'ingerenza statale e legislativa che elide i rapporti di carattere sindacale e ferisce le possibilità intrinseche dell'economia generale del paese. I gravi problemi della disoccupazione vanno affrontati con metodo proprio: aumento di produttività e quindi fiducia nei produttori; libertà di circolazione di mano d'opera; specializzazione e qualificazione operaia; sussidi di disoccupazione sufficienti, ma tali da eccitare la ricerca di lavoro. Non si pensi, come si fa dall'IRI, a mantenere aziende in permanente deficit, perché è lo Stato ché paga: l'Italia diverrebbe un immenso ospedale IN: Quello che fa L'IN oggi in certe aziende non solo è controproducente economicamente, ma psicologicamente è avvilente; moralmente da rimproverarsi. C'è modo per organizzare il lavoro dei disoccupati specie se giovani, e avviarli all'estero con una migliore istruzione e capacità lavorativa. Credo che l'iniziativa di Cattolica (Figli italiani all'estero) sia da svilupparsi; ma tali spese debbono gravare sul bilancio dello Stato; cioè su tutti i contribuenti, non su particolari imprese, proprio su quelle in crisi.
I sinistri DC non si rendono conto che l'Italia non può fare una economia a sé, una specie di azdtarchia di sinistra; o si mette sulla linea della piccola Europa (Mercato Comune) e delle nazioni a mercato libero (area del dollaro e area della sterlina e franco svizzero); ovvero accetti di passare dal lato della Russia e paesi satelliti. Ma volere da un lato far parte del Mercato Comune, e politicamente del Patto Atlantico, e rendere la nostra economia costosa e senza sbocchi, perché falsata dall'interventismo statale, è una contraddizione in termini, che non può avere altro risultato che il sociaicomunismo trionfantee la rinunzia alla nostra personalità nazionale. L'insistenza, con qualche frase minacciosa e intollerabile, dei rappresentanti della CISL (Macario e Storti) per il cosiddetto pieno impiego legato al governo centro-sinistra, e il voto della Direzione del partito sulle dimissioni di Fanfani per una ripresa centro-sinistra, tipo progressista - rinnovatori, basisti e simili -, preoccupa non solo coloro che attendono la riunificazione della DC (alla quale Fanfani ha fatto sacrificio della sua doppia dirigenza), ma anche la possibilità di evitare quello slittamento a sinistra che è stato il motivo fondamentale della crisi nella crisi. I1 paese, che dalla fine della guerra in poi ha avuto fiducia in una DC di centro, non vuole slittamenti, né a sinistra né a destra; ma di fronte al pericolo di una riforma (o rivoluzione) di struttura per il trionfo di un Nenni precursore di un Togliatti - cioh socialismo di isolamento dal resto del mondo civile per cadere nell'area del comunismo sovietico - il Paese preferisce qualsiasi altra soluzione. Sta alla Democrazia cristiana assicurare 1' Ordine nella Libertà e la Libertrt nell'ordine; perché non si dà vero ordine dove manca la libertà; come non si dà vera libertà dove manca l'ordine.
/i Giornak d'ltaiia, 3 febbraio 1959 38 1
Rilievi attorno alla crisi Nella corrispondenza da Parigi, pubblicata dall'Auanti!il24 gennaio, è riportato in parte l'articolo di Gilles Martinet, il quale di ritorno dal Congresso di Napoli lo pubblicò su France Obseruateur. Vi si legge quanto segue: «Dopo avere rilevato (l'aurore dell'articolo) che secondo La corrente di sinistra del PSI, la limitazione dell'unità di azione con i comunisti e la costituzione da parte di Nenni di una direzione omogenea o monocolore, portano ad un riavvicinaniento progressivo del PSI al famoso Piano Gronchi, (caduta del Governo Fanfani, costituzione di un gabinetto di transizione, elezioni anticipare e costituzione di un Governo fra socialisti e democristiani) Martinet sostiene trattarsi di un processo alle intenzioni». H o citato tutto il periodo per rilevare che il Martinet dovette apprendere a Napoli (e forse dallo stesso Nenni) l'esistenza del Piano Gronchi e che questo fosse «famoson (a Roma o a Parigi?) e che lo stesso Nenni gli avrà soggiunto quanto segue: ((In verità sembra che il leader del PSI sia soprattutto preoccupato da una gande idea tattica: niente, pensa Nenni, sarà possibile in Italia fin tanto che non sarà spezzata l'unità di quel formidabile partito confessionale che raggruppa insieme ai rappresentanti del grande patronato le masse cattoliche)). E qui l'articolista fa sapere che Nenni preferisce più che la lotta vigorosa contro i capi dc, una serie di proposizioni (proposte, in italiano) atte ad awicinare una frazione di opinione cattolica per quanto «non vi sia da farsi illusione sulla loro immediata efficacia)). L'articolo continua, ma ne abbiamo quanto occorre per comprendere gli antefatti della crisi. Prima trappola, il ritiro di Vigorelli; Fanfani ci è caduto per la sua indole insofferente di contrasti a freddo. Poteva benissimo lasciare andare Vigorelli per la sua strada, anche se fosse stato vero che la dimissione del Ministro del Lavoro sarebbe srata facilitata da persone che intrallazzano. Si era parlato di un piccolo movimento di uomini del PSDI: Simonini al Lavoro, Lami Starnuti alle Poste e Tremeiloni alle Partecipazioni: il tamponamento, fino al Congresso di Firenze non sarebbe stato del tutto infelice. Ora si ritorna daccapo. Una cosa mi fa impressione, che partiti e parlamentari mentre cercano la quadratura del circolo, di come possa un partito con l'appendice di un secondo (a sinistra Saragat o a destra Malagodi) continuare a reggersi cercando ripieghi per i voti che mancano, sia perché si tratta di governi minoritari, sia perché vi stanno in agguato, a destra o a sinistra i possibili franchi tiratori o le assenze, giustificate o no che siano. Nessuno cerca di arrivare alla radice del male e proporne i rimedi. Che con tale misera vita possa un Governo sbarcare il lunario di due mesi, fino ad aprile per una chiarifica che dovrebbe venire da Firenze (penso che non la farà da chiarificarore I'on. La Pira) passi pure; ma che non si affronti il problema della legge elettorale per una eventuale consultazione del Paese, questo è per me ingiustificabile e incomprensibile allo stesso tempo. L'awertimento presidenziale per riportare il Governo Fanfani avanti le Camere è stato esplicito; sia pure con le tinte un po' calcare, ma abbastanza chiaro nel suo sviluppo che porta alle elezioni. È dovere del Parlamento approvare una legge che corregga gli errori della presente e renda possibile la formazione di maggioranze governative precostituite e discretamente stabili. Occorre anche che il Parlamento decida sul problema del proprio ordinario funzionamento, alterato dall'abuso del voto segreto, non solo indegno di un corpo così autorevole, ma semplicemente disturbante.
Se Fanfani avesse seguito il mio consiglio, quello di lasciar pure bocciare i disegni di legge che non piacciono alla maggioranza delle Camere, senza darvi altra importanza che quella di rifarli e di ripresentarli a termini del regolamento, sarebbe cessata come per incanto l'attività dei franchi tiratori, si respirerebbe aria libera (senza ordini di scuderia) riportando il problema della stabilità di Governo esclusivamente sui voti di fiducia secondo lo spirito e la lettera della Costituzione. I1 vantaggio di queste piccole riforme - elettorale e regolamentare - sarebbe bastato a rifare nei partiti un'anima nuova: con la prima eliminare i voti di preferenza (legge tipo elezioni provinciali); con la seconda, ridare alle Camere la funzione costituzionale che loro spetta, attenuando la febbre di approvare leggi su leggi, in modo da dare al Paese un certo respiro sia per digerire le leggi fatte e non applicate, sia per preparare leggi tecnicamente e sostanzialmente maturate e non improvvisate, e buone solo per fare colpo.
E veniamo al giuoco politico DC-PSI. Che questo giuoco sia esistito, non può negarsi; che il Congresso di Napoli l'abbia fatto passare in seconda linea non c'è dubbio; che la crisi lo abbia rimesso in evidenza, è lampante. Escludo che ci sia un Piano Gronchi, non perché io sia addentro ai segreti del Quirinale, ma perché mi sembra puerile; Gronchi a 71 anni e cinque mesi non fa cose puerili; può pigliarla calda (come sembra sia stato per il comunicato Fanfani), anche amplificando i compiti presidenziali (ognuno ha il suo modo di guardare le disposizioni di legge); ma il proposito di spezzare il partito democristiano può venire da Nenni, non può venire da Gronchi. Nel mio ultimo articolo ho fatto una diagnosi sulla consistenza unitaria della DC che credo veritiera: manca l'unità organica; certi settori marginali non hanno neppure l'unità ideale e programmatica; i sinistri di base trattano i loro compagni come se fossero, che dire?, avversari o nemici; c'è una mancanza di rapporti umani che è segno di mancanza di -rapporti cristiani. Non ostante ciò, arriva il momento in cui si sente di essere o dover essere uniti, ed è il momento di una comunità che si difende, di una posizione che non si lascia, di un ideale che afferra intelletto e volontà. I1 timore di essere espulsi? non vale molto per chi crede di rivendicare la propria libertà, sia Rivera o Bartesaghi della D C , Vigorelli del PSDI, Reale o Giolitti del PCI e così via. In sostanza, tutti i partiti sono divisi in tendenze: almeno tre, destra, centro e sinistra. Dal 1892 ad oggi i socialisti italiani hanno offerto un bel campionario di qualifiche: rivoluzionari, sindacalisti, massimalisti, riformisti, serratiari, mussoliniani e così via fino ad oggi con i Nenni, i Vecchietti, i Bassi. Indipendenza finanziaria? Nessuna e per nessun partito; così la personalità di corrente è dovunque sottoposta alle correnti delle sowenzioni. È perciò che io da anni scrivo contro le sowenzioni degli enti statali e delle imprese private, e mi sono indotto a presentare un relativo disegno di legge che forse mi verrà sabotato. I dirigenti dei partiti si rendano conto della necessità di mettere un po' d'ordine nel campo delle sowenzioni e dei finanziamenti, se vogliono dare importanza ai programmi: quelli che invoca il presidente Gronchi e quelli che invoca il popolo italiano perché non si vada alla deriva ora che si va attuando il Mercato Comune.
I1 Parlamento deve prendere perciò il ruolo che la Costituzione gli assegna come principale organo degli indirizzi politici e dell'attuazione legislativa; come l'organo che può consolidare o abbattere un Governo; come l'organo che può prendere l'iniziativa dei cambiamenti del proprio regolamento e delle leggi non solo ordinarie, ma, occorrendo, costituzionali. L'appello al Paese, se necessario, può essere anche sollecitato dalle Camere. Nessuna paura di quel che le leggi consentono al Paese; nessuna paura di quel che il Paese può rispondere se chiamato all'appello. Nessuno è necessario nel mondo, sia Presidente o capo partito; non è necessario Nenni e neppure Fanfani, come non fu necessario Sturzo 1'1 1 luglio 1923, e neppure Mussolini il 25 luglio 1943. P.S. - Nel momento di spedire l'articolo, apprendo che l'on. Fanfani ha insistito nelle dimissioni; il Presidente Gronchi ha ripreso le consultazioni e darà l'incarico. Si evita così una discussione solo per prendere atto delle dimissioni. Extra parlamentari le dimissioni; extra parlamentare l'orientamento della crisi: la partitocrazia formalmente prevale sul sistema parlamentare. L'articolo rimane lo stesso; l'appello al Parlamento e se occorre l'appello al Paese, sono le vie costituzionali, le uniche aperte per il ritorno alla normalità.
Il Giornale ditalia, 6 febbraio 1959
La crisi: meno allarmismo maggior realismo56 I1 popolo italiano non ha lunghe tradizioni democratiche; un secolo di unità, dopo le rivolte e le guerre risorgimentali, la sinistra storica e il trasformismo di De Pretis, la reazione Rudinì e Pelloux, la cripto dittatura di Giolirti, il fascismo fra la prima e la seconda guerra mondiale, i comitati di liberazione, tutti periodi di fermento con pochi tentativi democratici; pensare che il suffragio universale maschile si ebbe al 1912; oggi siamo in una Repubblica parlamentare infestata di partitocrazia. Ma il popolo italiano ha tale vitalità nel suo individualismo anarcoide e nel suo conformismo mormorante, da superarne, al momento buono, le infezioni di false politiche e di perniciose tendenze anche quelle cosiddette socialiste e comuniste. Gli scossoni politici e le declamazioni sinistroidi, non sono fatte per mantenere i nervi a posto, neppure per i giornalisti, i quali, abituati a scrivere ogni giorno colonne su colonne per il giallo dei delitti che non si scoprono in quattro e quattr'otto, fanno lo stesso per qualche seduta parlamentare agitata o per una crisi ministeriale; peggio se si protrae al di là di otto giorni.
del 6 febbraio 1959 a don Fulvio Testi direttore del settimanale cattolico «Orizzonri~>: Rev. Don Fulvio, Ercole l'articolo richiesto dal titolo: La Crisi - meno Allarmismo e più Realismo. Forse le sembrerà un po' causcico e vivace; ma in certe occasioni e per fare entrare in testa cene verità, occorre servirsi di questi mezzi. Con i più cordiali saluti Luigi Sturzo. In: A.L.S., b. 758, fasc. .FS 750, gennaiolfebbraio 1959. '"creta
Questa volta vi è stato in più il colpo di scena delle dimissioni dell'on. Fanfani da segretario politico della DC, nonché il comunicato del Quirinale, forte di sicuro e, secondo punti di vista assai diffusi, anche fuori della linea costituzionale di un presidente che non risponde dei suoi atti al Parlamento. Battute insolite queste, ne convengo, - ma non tali da far credere che le istituzioni democratiche siano per crollare o che Annibale sia alle porte. A Fanfani succederà un altro come segretario politico, e con un po' di pazienza sarà scelto un altro presidente del Consiglio: disponibili ce ne sono senza fallo tra vecchi e nuovi. Programmi? I1 presidente Gronchi, nella sua lunga vita politica, si è preoccupato sempre dei programmi; potrei dire di aver dato egli più importanza ai programmi che alle persone; io sono di diverso avviso; do importanza ai programmi ma più alle persone, convinto che un buon programma nelle mani di una persona inabile non riesce a divenire realtà, mentre un mediocre programma nelle mani di persona abile si trasforma in realtà vivente ed efficiente. Si contesta al presidente della Repubblica il preventivo esame di un programma di governo, anche perché, nel nostro regime costituzionale, non è a lui che spetta (come spettava al Re) di leggere in Parlamento e in nome proprio, il programma della legislatura pur sapendosi che era stato formulato dal Gabinetto. Allora esisteva un Governo di Sua Maestà al quale il Parlamento consentiva o negava la fiducia; oggi esiste un Governo parlamentare del quale il Parlamento nel dare la fiducia approva il programma. Non esistono poteri a mezzadria fra Parlamento e presidenza della Repubblica. Non mancano costituzionalisti che vorrebbero allargare i poteri presidenziali; ma in tale caso occorre anche precisare a quale organo istituzionale dovrebbe rispondere dei propri atti il presidente; perché non vi può essere in democrazia esercizio di poteri senza una effettiva e pratica responsabilità, da controllarsi evidentemente in sede parlamentare. Si cita l'esempio delle repubbliche americane, nelle quali il presidente è eletto dal popolo attraverso una procedura formalmente di doppio gado: ma egli è anche capo del Governo e come tale è limitato dai poteri parlamentari. Tutto può essere cambiato in questo mondo; io preferisco un'Inghilterra che non ha costituzione scritta e da sette secoli e più vive in regime parlamentare e di libertà sulla base di una tradizione vissuta, sentita sempre come reale, rispettabile, degna di un popolo civile. Noi abbiamo passato un solo secolo e di tradizione istituzionale e abbiamo da tredici anni rivendicato Libertà e Parlamento; ma la prima viene soffocata da uno statalismo che sta creando la struttura adatta al trionfo del socialismo collettivista o comunista che dir si voglia; e il secondo è sopraffatto dalla partitocrazia che domina indiscussa, finanziata come è da enti statali, da paesi stranieri e da una borghesia irresponsabile. Questa realtà non è affrontata dal popolo perché i giornali non se ne occupano a fondo, impegnati come sono in una cronaca nera demoralizzante; i giovani sono presi tra la ricerca di un posto e l'impegno delle gare sportive; molti cercano fortuna nel lotto, nell'enalotto, o nel Lascia o raddoppia; c'è chi passa le giornate leggendo riviste a rotocalco. Tutti costoro quando sentono dire che, con la caduta del ministero Fanfani c'è pericolo di un colpo di Stato; che Nenni è lì per prenderne la successione; che il presidente Gronchi rimanda la scelta, che Saragat è arrabbiato; che Togliatti gongola di gioia.. . sembrano tutti trovarsi in Italia come spaesati senza capire che succede. Ma non è il caso di aver paura: fra giorni vi sarà un nuovo governo mono-o-multicohr~,la DC manterrà le posizioni; il Parlamento darà il voto di fiducia di stretta misura; il nuovo Presidente non farà come Zoli che dopo aver dichiarato di non potere contare quelli di destra come voti di maggioranza, li accettò come tali in base al rinvio in Parlamento ordinatogli dal Presidente della Repubblica; e neppure farà come Fanfani a stuzzicare i franchi tiratori.
C i vorranno dei ripieghi, per fare vivere un Governo che in Italia è qualificato di minoranza per colpa della proporzionale pura; ma che in Paesi più seri come l'americano, I'inglese e lo svizzero, cioè di democrazie più anciche e più vere, sarebbero bastati per un Governo di maggioranza. Qui in Italia, nella Repubblica parlamentare tipo 1953-59, le elezioni sono facte, non con lo scopo di ottenere una maggioranza di governo, ma per piazzare in Parlamento quanto più partiti è possibile con le relative frazioni e correnti, per divertirsi col giuoco del voto segreto e per ingrossare gli apparati relativi con finanziamento ai partiti e alle singole correnti e frazioni e così arrivare a potere ricattare Governo e Parlamento di una democrazia di nuova specie, quella che piace ai Saragat, ai La Malfa, ai Carandini, e fa comodo a tutti i Nenni e i Togliatti di questo mondo. I deputati e senatori di buona volontà, che hanno senso di responsabiliti e amore al proprio paese, ci pensino in tempo a riparare e provvedere. Orizzonti, 8 febbraio 1959
Banche e fonti d'energia Nel mio articolo: Una crisi nella crisiesaminando la richiesta di riforme distruttura ripetuta dai sinistri della DC, feci cenno di un disegno di legge, da me attribuito al ministro Lami Starnuti, circa la dipendenza delle banche di interesse nazionale e statali dal Ministero delle Partecipazioni e circa il passaggio di tutte le fonti di energia all'ENI, il quale avrebbe preso la sigla ENE. Il giorno seguente il Ministro credette opportuno inviarmi il seguente telegramma: «N. 4 1110741 - Le affermazioni contenute nel suo articolo di ieri di avere io predisposto lo schema di legge per inquadrare istituti di credito sotto diretta dipendenza questo Ministero ec per concentrare in unico ente tutte le fonti di energia hanno alcun fondamento. Voglia credere mie assicurazioni. Consapevole sua buona fede et sua piena integrità mi pongo sua disposizione per chiarimenti ogni qualvolta ella lo riterrà opportuno». Nel testo del telegramma arrivatomi manca il non; ma avendo ritenuco ciò un errore di trasmissione, anche perché apparve la smentita del Ministro sui giornali, credetti opportuno prima di rispondere far sapere al Ministro, con la discrezione del caso, da quale documento io avessi tratto la notizia. Perciò pregai il prof. Starnmaci, al quale mi legano cordiali rapporti da circa dodici anni, perché riferisse al Ministro gli elementi da me raccolti in proposito.
Tanto dal professore quanto dal Ministro ebbi risposta che il disegno di legge (più esattamente, lo schema d i disegno di legge) in mia mano non era stato emanato né compilato per ordine del Ministro, il quale ne era del turco estraneo. Chiesi di potere utilizzare tale risposta in un mio scritto; onde, prendendo atto delle dichiarazioni del Ministro e delle assicurazioni del capo di gabinetto, debbo aggiungere che da tempo sono circolate, dentro e fuori del Ministero delle Partecipazioni, notizie sopra uno schema del quale ebbi preawiso nel dicembre scorso; solo il 22 gennaio potei averne il testo, dal quale si desumono vari punti
sospesi da essere risolti in sede politica. Tali punti sono stati segnati in una Nota che precede il disegno di legge. Eccone la formulazione: ((a)mantenimento o meno dell'esclusiva per la ricerca e lo sfruttamento degli idrocarburi liquidi e gassosi nella Valle Padana accordata all'ENI dalla legge 10 febbraio 1953, n. 136; «b) trasferimento al Ministero delle Partecipazioni statali degli impianti idroelettrici in concessione al momento della scadenza ed eventuale procedura per il riscatto anticipato ed il relativo finanziamento; «C)eventuale prowedimento che attribuisca all'ENI l'esclusiva per le reti di trasporto dell'energia elettrica ad altissima tensione. «In merito a tali questioni occorre una decisione di carattere politico. Ove esse venissero risolte in senso affermativo, potrebbero essere oggetto di un'apposita norma, o preferibilmente essere incluse tra le norme di legislazione delegata contemplata dall'articolo 12 del disegno di prowedimento in esame)). Come si vede, colui che scrisse queste righe non può essere un estraneo al ministero, pur non essendo impiegato di ruolo o funzionario di carriera. Non si comprende il motivo del problema a), quando è noto che nel programma del ministero Fanfani esisteva il proposito di sbloccare il monopolio ENI nella Valle Padana, per il quale nella precedente legislatura era stato predisposto il disegno di legge Gava che pur annunziato non ebbe l'onore della presentazione in Parlamento. Per mia giustificazione debbo aggiungere di avere parlato con autorevoli parlamentari di questi due problemi: Banche e Fonti di energia, con riferimento alla, da me creduta, iniziativa del ministro Lami Starnuti, ed ora accertata come iniziativa anonima di elementi operanti nel o per conto del Ministero delle Partecipazioni. Dalla conversazione avuta emerse evidente che essi erano a conoscenza se non del testo (che, come ho detto, mi pervenne il 22 gennaio scorso) dei criteri direttivi dell'iniziativa, aggiungendo anche che qualche ministro si era mostrato perplesso o contrario. Ai fini del mio articolo, quelli di precisare qualcuna delle riforme di struttura, delle quali parlano sempre, oltreché Nenni e altri di quel partito, i sinistri della DC, bastava che I'iniziativa esistesse; il riferimento al Ministro delle Partecipazioni era il più owio che poteva scapparmi dalla penna, non potendo pensare che una simile iniziativa fosse stata presa ad insaputa del principale responsabile politico di quel pericoloso dicastero. Anche questo è segno dei tempi.
Ed ora entriamo nel merito delle questioni che ci interessano. La prima e più pressante è quella delle banche. Lo schema del disegno di legge porta all'art. 3 due formulazioni; la
prima suona così: «E costituito l'Ente per le gestioni bancarie (E.Ge.Ba.). Esso ha il compito di gestire, secondo criteri di autonomia, le partecipazioni statali nel settore bancario)). Segue la variante: ((Lepartecipazioni statali nelle imprese esercenti il credito, ivi compresa la Banca Nazionale del Lavoro, sono gestite, nel rispetto della loro autonomia, dal Ministero delle Partecipazioni statali, senza essere inquadrate in alcun ente di gestione)). I1 lettore che avrà qualche sia pure superficiale nozione del sistema bancario vedrà subito l'enormità del prowedimento. Le azioni attuali delle banche in parola sono così divise: Banca Nazionale del Lavoro, Ente di diritto pubblico, non ha partecipazioni ma il fondo di dotazione statale: 98% Tesoro, 2% Opera Combattenti e Previdenza sociale; Banca Commerciale: 95,4% IRI, 4,6% privati; Credito Italiano: 80,6% IRI, 19,4% privati; Ban-
co di Roma: 96, 2% I N , 3, 8% privati; Banco Santo Spirito: 99,9"% I N , O, 1% privati; Credito Fondiario Sardo: 64, 2% IRI, 35, 8% privati. La maggior parte sono azioni o fondo di dotazione dello Stato; la minor parte è dei privati. Basta che nelle assemblee di ciascun istituto si presenti un funzionario qualsiasi con delega del Ministro o il Sottosegretario o il Ministro stesso - sia il più incompetente che si possa immaginare in materia bancaria, un politicante che ha paura dei suoi elettori, del suo partito o partitino che sia, o della corrente e sottocorrente (pensare alle correnti dei comunistelli oramai bollati) - per determinare l'indirizzo delle Banche, quale ne possa essere il significato della frase: eNeI rispetto della loro autonomia)).
Senso di responsabilità? Correttezza di gentiluomini? Competenza? Con l'aria che corre, il Menichella di domani si metterà le mani nei capelli. Del resto, quel che sta succedendo a Palermo con la Finanziaria, nella quale la Regione ha il 51% di azioni ne è un primo saggio. Me ne occuperò in seguito. Ma anche nel primo caso, quello dell'ente di gestione (E.Ge.Ba.) in volgare Egebà affidato ad uno dei tanti politicanti inventati dalla partitocrazia (Mattei, Ortolani e simili) e sotto la pressione dei sindacati e dei partiti, ne vedremo delle belle. Sono pessimista? No; sono antiveggente: date certe premesse, le conseguenze arrivano con un ritmo che nessun Fanfani, nessun Segni, nessun altro capo di governo potrà far rallentare. Una prova? Eccola: I'on. Gian Carlo Pajetta il 20 ottobre scorso diramava «a tutte le commissioni interne del settore siderurgico e meccanico dell'IRI» una circolare nella quale si faceva conoscere quanto era stato da comunisti ottenuto dal Ministro delle Partecipazioni in sede di discussione parlamentare sul piano IRI e si invitavano le organizzazioni sindacali aderenti a fare pressione per le tesi comuniste nel campo siderur-
gico e meccanico. Ma non c'è bisogno di ricorrere ai comunisti, perché in materia di demagogia economica il sindacalismo italiano è tutto infettato, tanto da non vedere più il punto di discriminazione fra il vero interesse operaio (sia degli occupati sia dei disoccupati) e I'interesse dell'apparato sindacale, che è quello che fa il buono e il cattivo tempo, per garantirsi l'impiego; per aumentare le possibilità di ottenere posti, incarichi e uffici, sempre ben retribuiti; per dominare l'organizzazione e imporsi nei partiti. Tutto è connesso nel cammino verso sinistra. Dovrei parlare dell'EN1 che cambia sesso per divenire ENE. Lo schema di disegno di legge, non avallato dall'on. Lami Starnuti, è là; ma pensando che sarà rifilato al successore come documento di primaria importanza ne parlerò più a lungo in altro articolo. Per oggi credo basti per tornare a riflettere sulle sorti del nostro Paese. Spero che ci rifletterà primo fra lutti I'on. Segni, il quale è obbligato ad accettare l'eredità ministeriale senza beneficio di inventario. Gli auguro, come prima cosa, poche, pochissime promesse; il voto, se lo avrà, non viene dalle promesse ma dalla fiducia alle persone che formeranno il Governo, e fra le quali è il Ministro che sarà messo alle Partecipazioni.
Il Giornale d'/talia, 10 febbraio 1959
La disoccupazione Uno dei problemi più assillanti del momento è il problema della disoccupazione; bisogna incentrarlo bene, sgombrando la nebbia demagogica che lo ingrandisce e lo deforma. Anzitutto occorre finirla con l'incertezza legale e pratica della libera ricerca di lavoro e della libera offerta di ingaggiamento. La legge fascista è anticostituzionale; ma ancora non è stata abrogata, benché non sia del tutto osservata; resta sempre un inciampo alla libera circolazione del lavoratore. Gli uffici di lavoro sono così mal congegnati da riuscire di impaccio alla possibilità di ingaggio e alla plurivalenza del lavoratore che sa ben fare i lavori agricoli o il terrazziere nei lavori stradali, edilizi e forestali. Le qualifiche sono necessarie per impedire che lo specializzato e il qualificato siano soppiantati dal generico; ma non si debbono stabilire compartimenti stagni senza lasciare al datore di lavoro, all'impresario e appaltatore, la scelta dell'operaio che più fa ai propri bisogni. In sostanza, certe regolamentazioni che forse interessano i sindacati, o interessavano le corporazioni, danneggiano il lavoratore e lo legano ad un sistema di livellamento e di uguaglianza, dal centro urbano a quello rurale, dalle provincie soprasviluppate a quelle sottosviluppate, dal Nord al Siid della nostra lunga penisola e le sue isole, e le rispettive esigenze. Breve: un po' più di libertà, un po' meno di uniformità e di regolamentarismo, aiuterebbe ad awiare a soluzione uno dei problemi sia pure marginale della disoccupazione. Secondo problema: combattere il mestiere del disoccupato anche abolendo i cosiddetti cantieri di lavoro, dove tutto si fa meno che del lavoro serio; il cantierista si adatta ad una paga ridotta, arrivando in ritardo e ripartendo prima dell'ora; fumando e chiacchierando, anche perché non è raro il caso della sua inettitudine ad un lavoro produttivo. Non voglio generalizzare; intendo fissare uno stato d'animo antisociale, deprimente, abusivo per chi fa e per chi riceve. Si facciano lavori sul serio; si paghino gli operai secondo il mercato e gli accordi salariali; si facciano lavorare e rendere per quanto è dovere di ciascuno. La finta assistenza vestita di lavoro pagato e il lavoro pagato deformato in assistenza, sono il peggio che si sia inventato e protratto dai momenti di emergenza post-bellica alla sistemazione normale del mercato del lavoro. Per giunta, ~ o i c h éil mestiere di disoccupato piace a un certo numero di pretesi operai, ai quali il vero lavoro non è stato mai di gradimento, così awiene che, anche se ingaggiati per lavori stagionali o temporanei, essi premono ~ e r c h éle commissioni comunali li mantengano in lista come disoccupati in modo da non perdere i vantaggi di legge della categoria tabellata nei municipi. Chi potrà resistere alla demagogia locale, partitica, sindacalistica o aclistica che sia? Le liste sono sempre lì a dimostrare la grave disoccupazione permanente; e questo interessa anche le statistiche polemiche. Parliamo dei già occupati e ora disoccupati o sotto la minaccia della disoccupazione. Esiste di fatto nel campo agricolo una stasi per via degli oneri fiscali (statali e locali), previdenziali (di tutte le qualità) ed occasionali (per leggine di aggravio); nonché per i costi di manodopera in rapporto ai prezzi di mercato interno ed estero e alla concorrenza estera che in certi settori riesce intollerabile. Dobbiamo aggiungere che per certi agricoltori è comoda la scusa della crisi per non far niente; è comoda la lamentela del costo del denaro per
non far lavori con mutui bancari, e così di seguito: scasi. In questo settore il ministro Ferrari Aggradi stava prendendo il toro per le corna. In Sicilia fu fatta nello scorcio del 1950 una legge prowida per eccitare l'aumento della coltivazione nelle zone non scorporate della riforma (o pseudo-riforma) agraria, con speciali prowedimenti su piani di bonifica, ecc., ecc. Otto anni e due mesi perduri; piani ne furono fatti ma rimasero per lo più nel cassetto dell'ispettorato agrario regionale; il Banco di Sicilia ebbe qualche domanda di mutuo, concessa dopo molte pratiche e molte attese; gli ispettori agrari provinciali dell'agricoltura non hanno dato la spinta che dovevano, ridotti come sono a impiegati burocratici e a compilatori di statistiche; i deputati e i deputatiiii occupati in beghe elettorali non se ne sono ricordati più; addio miglioramento agrario di iniziativa locale. La Cassa per il Mezzogiorno sta facendo in Sicilia un certo numero di bonificamenti, ma il ritmo di progettazione e di lavoro non copre le esigenze di una larga manodopera; le sospensioni per pratiche burocratiche e per pubblicazione di progetti presso i Geni Civili siciliani (i quali pare che abbiano l'incarico di fare ostruzionismo a quanto è iniziato dalla Cassa per il Mezzogiorno) fanno perdere tempo e fanno andare a male i lavori già fatti e lasciati incompleti. Quanti? I1 ministro Pastore doveva andare in Sicilia; ma la crisi Milazzo pare che abbia reso perplesso il governo a passare lo Stretto: certo non c'era, né c'è, pericolo di Vespri Siciliani. Vi è certamente del malumore nei due campi, quello di Carlo Magno e quello di Agramante; non sapendo dove siano i saraceni e dove i paladini, aspetto che ce lo dica il teatro dei pupi alle prossime elezioni regionali. Ma il ministro Pastore non si è contaminato, non ha passato lo Stretto. Nel campo industriale siamo entrati in una prima fase di licenziamenti che, pur limitati, destano preoccupazioni. Ma il risentimento operaio porta facilmente alla demagogia dell'occupazione delle fabbriche; non solo quelle private dove comandano i padroni ma anche quelle di aziende statali. Si tratta di atti illegali, illegittimi, violenti; non possono essere suffragati o peggio sollecitati da cattolici e da preti. Alla forza illegittima si contrappone quella legittima della pubblica autorità. Male la prima; bene la seconda in quanto restaura il diritto; ma non in quanto eccita risentimenti, la cui colpa ricade sui promotori dell'occupazione. Un noto giornale fiorentino (e non è stato il solo) ha voluto presentare la lettera del card. Liénart sulla disoccupazione nel settore di Lilla (Francia) come giustificazione dei pasticci comunisti e lapiriani della Galileo: niente di più inesatto. L'appello del cardinale francese, rivolto anche agli industriali (e quelli successivi di altri cardinali e vescovi), è legato non solo alle possibilità del momento sul piano etico, ma alla preveggente organizzazione industriale per il futuro e allo spirito di comprensione dei dirigenti affrontando, se occorre, perdite recuperabili o rinunziando a !guadagni che non intaccano la consistenza degli impianti industriali. A nessuno può essere richiesto di andare verso la bancarotta, né di indebitarsi al di là delle possibilità proprie, senza venir meno al dovere di restituire e di non frodare creditori, azionisti e clienti. La CGIL vuole, come rimedio, il blocco dei licenziamenti; il tantopeggio tanto meglio è politica utile per i partiti legati a Mosca, non certo per un Paese libero che per giunta fa parte della zona del Mercato comune. Noi siamo in uno Stato di diritto, non in una jungla; noi siamo in regime normale non in un periodo rivoluzionario, nel quale la legittima autorità, non potendo funzionare, lascia campo libero all'impero della piazza. Ciò posto, i rimedi alla disoccupazione esistono e debbono essere adottati, anzitutto di ogni lasciando ai sindacati delle due parti il compito di trovare le soluzioni singola verrenza per mettere d'accordo impresa e maestranze; in secondo luogo esaminand o fino a qual punto sia legittima una sospensione temporanea o una diminuzione di la-
voro e, se del caso, ~ r o w e d e r econ sussidi di disoccupazione adeguati alla congiuntura, e intanto procurare altri lavori, favorendo iniziative dirette a incrementare lavori pubblici, o spingendo a maggiori attività le industrie esistenti per aumentare i posti di lavoro. Il rifiuto operaio di lasciare, sia pure temporaneamente, la fabbrica è psicologicamente apprezzabile, non giustificabile se la fabbrica stessa non ha sufficienti commesse o deve essere ridimensionata. Gli effetti del Mercato comune e della concorrenza in questo campo saranno in un primo tempo notevoli; dovere di tutti, datori di lavoro e governo, è quello di prevenire e provvedere per facilitare nuove iniziative: altrimenti avremo giorni assai difficili. Ecco perché occorre ridare fiducia all'operatore libero. Si calcola a mille miliardi la somma giacente nelle banche, anche nella Banca d'Italia; mille miliardi che possono e debbono essere investiti in attività produttive. Con la fiducia occorre rendere meno onerosi gli investimenti, specie quelli a lunga scadenza. È strano: I'IMI fa investimenti esteri e non utilizza le lire giacenti; la Cassa per il Mezzogiorno fa investimenti esteri e non utilizza le lire giacenti; perché? I prestiti in lire italiane costano troppo; i depositanti si contentano degli interessi bancari, perché le banche italiane usano tassi elevati auspice il cartello, a parte gli interessi extra. Noi dobbiamo farci una mentalità produttiva, contrastando come miserabile la mentalità di usura. Sentire l'utilità del rischio è una necessità per un Paese dove tutti vogliono essere sicuri della loro piccola miseria, salvo a giuocare miliardi al totocalcio, al lotto, all'enalotto e simili. Tutti si lamentano del fisco perché incide sulla produzione e danneggia le iniziative economiche; nessuno ha il coraggio di sostenere una legge con la quale si colpisca il denaro improdurtivo favorendo il denaro che produce. Fiducia ci vuole per quelli che impiegano i risparmi nel lavoro; nessun riguardo per quelli che tengono il denaro improduttivo. Lo Stato deve diminuire i carichi fiscali per chi investe i propri guadagni in attività produttive e deve tassare fino alla confisca le entrate che, superando le relative necessità di vita, non vengono investite e rese fruttifere dall'ingegno, dalla tecnica e dal lavoro. Come la Germania, pur dimezzata e distrutta dalla guerra, ha potuto assorbire non solo la propria disoccupazione ma la popolazione dell'Est trasferita all'ovest (sette milioni), oltre quattro milioni di profughi; l'Italia può e deve assorbire, in tempo relativamente breve, l'attuale disoccupazione vera, e combattere la speculazione dei falsi disoccupati. Decisione e coraggio abbiamo il diritto di domandare agli imprenditori, agli operai e alla classe politica, cambiando rotta e rompendola con i sinistri, demagoghi infatuati, i quali, se ascoltati, porterebbero l'Italia alla rovina.
Il Giornale d b l i a , 17 febbraio 1959
L'Agenzia giornalistica Radardel 17 corrente pubblica un «Libro Bianco sulla crisi,)che potrà interessare le correnti DC e il loro awenire, ma che poco o nulla interessa il cittadino italiano, il quale desidera solo di avere un governo efficiente e un governo stabile. A pagina 14 chi scrive è chiamato in causa con la seguente battuta: Ilpericolo della «ope-
razione Sturzo», cioè quello delh divisione del paese in due blocchi - evitato da De Gasperi è ora attuale. 11 redartore del libro bianco Radar non si firma; ritengo quindi che ne sia au-
tore lo stesso Direttore responsabile, Giovanni Di Capua, il quale ignora di sicuro che cosa sia stata la cosiddetta operazione Sturzo e a chi se ne debba l'iniziativa. Sono stato sempre in silenzio su questo ritornello che fapendzntall'altro del veto a Giolitti, oramai sfatato come accusa indelebile per la mia politica del 1922, salvo per coloro che non le0 ono libri e documenti pubblicati in questi anni e come pappagalli ripetono ((vetoa . ?g Giolitti!». Esistono anche i pappagalli della operazione Sturw ai quali riserbo questo primo scritto, disposto a continuare se qualche altro desidera di essere messo con le spalle al muro.
Alla vigilia delle elezioni municipali del maggio 1952, le prospettive per il Comune di Roma, capitale della Repubblica Italiana e sede del Papato, non erano facili; dai dirigentidella DC (e non solamente da questi) si temeva la formazione in Campidoglio di una maggioranza socialcomunista. CAzione Cattolica era incerta sulla linea da seguire. I1 segretario politico della DC on. Gonella ne parlò con il presidente De Gasperi e, con il suo consenso, venne da me per una mediazione fra i partiti e l'Azione Cattolica allo scopo di formare una lista, quanto più possibile amministrativa, con l'appoggio dei partiti governativi e delle destre. Pur avendo previsto le gravi difficoltà di una simile operazione (chiamiamola così) non negai la mia opera, ma posi come condizione un primo approccio con i liberali, i repubblicani e i socialdemocratici. Accettata la condizione, ne parlai con gli onorevoli Pacciardi e Rornita insieme; in seguito, appena arrivato a Roma da Torino, con il conte Villabruna. I tre esclusero qualsiasi possibilità di far partecipare i rispettivi partiti ad una lista di candidati in cui fossero anche le destre. Dopo avere conferito con Gonella, ne parlai con il prof. Gedda per conoscere I'opinione sua e dei partiti che facevano capo a lui, cioè se l'Azione Cattolica e le destre avessero votato per una lista DC, liberali, socialdemocratici e repubblicani, con altri esperti estranei ai partiti: escludendo la possibilità di tale lista, Gedda propose una lista D C con le destre e gli esperti. Non avendo alcuna autorizzazione a dare il mio consenso a questa ultima proposta, mi fermai sulla linea già concertata, pregando il prof. Gedda di insistere con i suoi amici. Dissi a Gonella d'informare I'on. D e Gasperi e chi altro credeva opportuno, perché io, alle ore 13 del giorno successivo (se non avessi avuto altre proposte) avrei diramato un comunicato conclusivo.
Alle 12 di quel giorno venne da me I'on. Scelba, il quale insistette perché il comunicato fosse diramato subito, aggiungendo che questo era il desiderio di De Gasperi. Obiettai che mi trovavo impegnato a diramarlo alle 13. Si telefonò a destra e a manca per pescare I'on. Gonella ma non ci si riuscì. Alle 12, 30 diedi il comunicato a Scelba, pregandolo, possibilmente, di tardare ancora; egli attese un poco e poi lo diramò. Ecco le mie dichiarazioni: ((Comeè stato reso noto dagli interessati la mia iniziativa mirava alla formazione di una lista amministrativa composta di persone competenti e al di fuori di ogni spiccata collaborazione politica sulla quale potessero convergere i voti di quanti si preoccupano soprattutto di salvaguardare il carattere unico e specialissimo di Roma capitale dell'ltalia e sede del Papato contro le insidie di una minoranza audace e ferreamente organizzara. Ora le consultazioni verbali e le comunicazioni scritre che ho potuto avere nei due ultimi giorni mi
inducono a concludere che taluni partiti sono pregiudizialmente contrari a rinunciare alla propria lista, altri tendono a interpretare la mia proposta nel senso di iniziare nuovi negoziati tra gli stessi partiti onde fissare i termini e le condizioni di un accordo interpartitico. Questa procedura non corrisponde né allo spirito né al tenore della mia iniziativa. Basterebbe d'altro canto la stessa ristrettezza del tempo rimasto ormai a nostra disposizione per escludere la possibilità di simili negoziazioni. In tal modo il tentativo non potrebbe avere esito positivo e rischierebbe anzi di rendere ancora precaria e confusa la situazione elettorale e problematica I'auspicata vittoria. Mi pare perciò doveroso di prendere atto di questa realtà e, mentre ringrazio quanti hanno accettato o visto con simpatia la mia proposta, esprimo la certezza che i cittadini romani esercitando compatti il loro diritto di voto garantiranno contro ogni rischio gli eterni valori di Roma),. Conclusione: Sturzo prestò l'opera sua e dimostrò la maggiore lealtà verso i due capi democristiani, De Gasperi e Gonella, verso il capo dell'Azione Cattolica, prof. Gedda, verso i partiti che collaboravano al Governo (liberali, socialdemocratici e repubblicani); non ebbe contatti diretti con le destre perché non aveva avuto, attraverso il professar Gedda, le garanzie che lo stesso Sturzo aveva chiesto, cioè l'adesione ad una lista DC ed esperti di propria scelta. Che quella parentesi non fosse piaciuta ai giovani della D C e ad altri dei partiti di governo, è vero, anzi verissimo; ma è da escludere che io abbia preso l'iniziativa per un colpo di sole, l'iniziativa fu presa da Gonella con l'assenso di De Gasperi, il quale, accortosi del risentimento che procurava il ritardo di una decisione da prendersi proprio alla vigilia della presentazione delle liste, sollecitò la pubblicazione del mio comunicato, già pronto dalla sera avanti e solo sospeso per darne conoscenza all'on. Gonella entro l'ora fissata di comune accordo.
H o tollerato in silenzio, fino ad oggi, l'insinuazione circa l'operazione Sturw perché sono abituato ad assumermi le mie responsabilità; per parlarne ho preso l'occasione della intesa leale di Segni con le destre, a sette anni di distanza, proprio per far capire a coloro che non vogliono capire, servi sciocchi di Saragat e di Nenni, la necessità che la DC riprenda il suo posto di Centro senza alcun cc.nplesso di inferiorità, lo stesso che condusse Zoli a rifiutare i voti dei missini, per poi riprenderli perché il Presidente della Repubblica li reputava voti validi: sfido io; si trattava di voti dati da eletti del popolo e non dagli scugnizzi di Napoli o dai barboni di Milano, né dai beceri di Firenze. Dicono che il Paese sarà diviso, eccetera: vero? ho qualche dubbio, a meno che i «basisti), della Radar, non confermino la minaccia fatta nello stesso libro bianco (o macchiato che sia), che se ((Iniziativa democratica)) non si renderh conto che l'unica alternativa all'attuale formula di apertura parlamentare a destra è il governo di centro-sinistra senza i liberali (con Saragat offeso in una gamba dai cinque disertori, aggiungo io) si accorgerà d i avere spalancato le porte del Paese a d una alternativa socialista di potere, capace di incidere sullo stesso elettorato cattolico (9. Congratulazioni per l'elettorato cattolico che si farà incidere: comunistelli di sagrestia? sinistri delusi? impiegati nelle cento aziende di Mattei? scrittori del Giorno? E non sono forse incisi fin da ora? se è così, mi domando: che ci stanno a fare nelle file cattoliche? Chi è disposto (come lo scrittore del libro bianco di Radar) a barattare il suo cattolicesimo per dispetto a Segni che ha il voto delle destre, e non lo barattò per dispetto a Zoli-Gronchi nel 1757-1758, debbo dire che l'operazione Nenni è in cammino non per
merito di Nenni, ma per tutti quei cattolici che aspettano Nenni come il Messia dp1I'Ordine Nuovo, con le parole sacre dell'osanna, invece di quelle che dovrebbero usare fin da ora:
Kzde retro Satana! Il Giornale d'Italia, 21 febbraio 1959
Ordine cristiano o ordine nuovo?57 Leggendo certi scritti degli ordo-novisti (li chiamo così per intenderci), non arrivo a capire se per essi si tratti di attuare la sempre viva e sempre efficace parola del Cristo, ovvero quella di un ordine materiale che derivi dal falso profetismo di un Karl Marx. Vorrei sapere per quale passo del Vangelo, di santi padri o di encicliche papali, si possono proclamare scioperi politici generali e di protesta e occupare fabbriche. Pur ammete sindacale, come estremo mezzo di rivendicaziotendo gli scioperi di difesa ne di un diritto, pur sempre dentro i termini di una legge o di una convenzione sindacale regolarmente stipulata, sono da escludere atti di violenza politica o materiale che sia, come pure la sospensione di pubblici servizi di interesse della generalità. Se si ammette la lotta sociale sul terreno della forza materiale, si disgrega la società, si rende cioè impotente l'autorità legittima e si dà fornite allo spirito di rivolta. Nella Enciclica di Pio XI ai vescovi messicani è indicato, per la prima volta dal Medioevo in poi, il diritto alla rivolta, il suo carattere e i suoi limiti, diritto che S. Tommaso riconobbe condizionato alla violazione sistematica da parte del potere pubblico dei diritti acquisiti della collettività e anche dalla probabilità di riuscita, proprio per evitare il peggio alle popolazioni. Ma nessuno può ammettere uno stato endemico di rivolta e di scioperi, di occupazioni di fabbriche e di agitazioni politiche, per ottenere vantaggi economici di categoria con detrimento dell'ordine pubblico e dello stesso scopo di dare al paese prosperità e progresso. Ordine nuovo?Ad alcuni sembra che tale ordine sia collegato con lo statalismo, senza accorgersi che il potere, più largo è, e più facilmente degenera; perché non ai molti né ai moltissimi spetta l'esercizio del potere, ma a quei pochi che compongono i corpi costituiti: parlamenti, governi, ministeri, autorità centrali e locali. Non si può negare che alla formazione delle maggioranze deliberanti confluiscano interessi legi~imie interessi illegittimi, in modo da dare all'uso del potere due aspetti: quello del vantaggio comune e quello del profitto privato. Quale dei due avrà la prevalenza?Ecco il problema alla cui soluzione contribuisce l'uso della libertà, la critica e giornalistica, l'intervento dei cittadini e delle libere associazioni di cul-
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Lerrera del 27 febbraio 1959 all'on. prof. Giorgio La Pira: Caro La Pira, Dio vede il cuore e giudica le azioni umane; noi possiamo sbagliare; se in buona fede il perdono non ci mancherà anche dagli uomini; se in mala fede e non ce ne pentiamo, il giudizio di Dio sarà a nosrra punizione. Che inreresse può avere per noi il giudizio umano? Pure I'importanre è che noi serviamo e amiamo il prossimo.corne noi stessi. Cerco di fare del mio meglio. Aiutami con le tue preghiere. Cordiali saluti Luigi Stuno. In: AL.S., b. 607, fasc. ~ I r te. I. pubbl. del Prof. L. S.», febbraio 1957.
tura e di interesse, partecipando in forma diretta o indiretta a dare corso e vita alla pubblica opinione. Tutto deve essere collocato nel quadro di un progresso ordinato, di un dibattito equilibrato, di una vita pubblica assicurata nei suoi organismi e nelle sue responsabilità.
Ordine nuovo?Un motto che suona falso, come suona falso l'altro della rzforma di struttura, del quale mi sono già occupato. Ma perché si inventano questi slogan? Proprio per dare agli irrequieti una giustificazione teorica che loro manca; per far prevalere presso masse sentimentalizzate e mimetizzate con le correnti di sinistra, prospettive socialisteggianti. Si è presa talmente l'abitudine di guardare a sinistra, anche da parte di giovani ecclesiastici, da sembrare loro possibile che la verità cristiana possa aver conferma dalla verità socialista. Molti degli ordo-novisti protesteranno a questa mia affermazione; ma, se essi faranno un po' di esame di coscienza, troveranno che non i socialcomunisti, né i sinistri dc, ma sono proprio io a difendere gli operai, anche se nego loro il diritto di occupare le fabbriche o di consentire che i panettieri e i pastai (per dirne una) facciano sciopero. Credono gli ordonovisti che affamare una città o un villaggio sia lecito, e che non sia più conducente allo scopo un'agitazione ordinata, un arbitrato, un compromesso, un accordo temporaneo per un migliore esame, progredendo per gradi, accettando i miglioramenti di oggi in attesa di quelli di domani, con gradualità e comprensione? Da quando in qua, nella società ordinata non ci sono altre vie che gli scioperi dei servizi pubblici, gli scioperi politici e le occupazioni di fabbriche, che sono atti di sabotaggio e di svalutazione dell'ordine sociale e dello stesso esercizio dei propri diritti? e tutto ciò deve essere fatto in nome dell'ordine cristiano? Mi dispiace per quel cristiano che certuni calcano appresso a democrazia, se allo stesso tempo vogliono far passare per cristiano quello che cristiano non è, ma sowertimento del vero ordine cristiano.
I recenti interventi di alti ecclesiastici nei conflitti di lavoro nulla hanno a che vedere con I'occupazione delle fabbriche, con le minacce di una marcia su Bruxelles o su Firenze che sia. Questa città gentile vide sfilare, partendo dall'Istituto Grappa, uomini e donne guidati da preti, che facevano ala ad una fila di bambini e bambine recanti ciascuno un cartello con il nome di un licenziato dalla Galileo; arrivati alla chiesa parrocchiale di Santo Stefano in Pane, i cartelli vennero depositati sull'altare maggiore, dove fu celebrata la S. Messa. Che questo sia stato fatto d'accordo con la CGIL e in disaccordo con la CISL è un fatto insignificante; poteva anche essere il contrario. Gesù Cristo trovò la schiavitù: non si trova nel Vangelo parola per un suo intervento nel campo civile-sociale che accenni all'abolizione; si trova solo che tutti siamo figli dello stesso Padre, che dobbiamo amare il prossimo come noi stessi, che dobb'iamo essere, non come il sacerdote e il levita che vedono il ferito e lo lasciano là, ma come il samaritano che lo fa curare a sue spese. C'è tanto da rivoluzionare il mondo.
Ricordo la discussione che seguì a un mio discorso al Queen's College di Cambridge. Un celebre medioevaiista anticattolico, il prof. Coulton, criticò i papi perché nel mas-
simo della loro potenza, nei secoli XII e XIII, non avevano abolito la schiavitù. Gli risposi che vi fu un papa, Gregorio IX, che in una sua decretale arrivò a proibire I'emancipazione degli schiavi per una ragione molto semplice; perché i padroni cessavano di dar loro gli alimenti in tempo di carestie ricorrenti, e gli emancipati, dandosi alla macchia, avevano riempito le campagne di briganti, con la conseguenza della fuga dei campagnoli che lasciavano le coltivazioni e si rifugiavano nei centri abitati. Si trattava dello stesso papa che fece cardinale quel San Raimondo Nonnate, il quale non solo fu uno dei più zelanti liberatori di schiavi caduti sotto il potere dei saraceni, ma che si diede loro in ostaggio per liberare uno schiavo, per il quale non aveva più mezzi disponibili; in compenso soffrì la foratura delle labbra da parte dei saraceni per fermarne la parola con un lucchetto. Cose atroci del secolo XIII; e non forse del secolo XX sotto i nazisti nei campi di concentramento di Germania e sotto i bolscevichi di ieri e di oggi nei campi della Siberia?
I1 più strano per me è che dagli ordo-novistidi oggi non ho sentito una sola parola circa la moralizzazione della vita pubblica. Possibile che non si siano accorti della fatale decadenza dal giorno in cui enti statali e grosse società han potuto finanziare partiti, sindacati, correnti, gruppi et similia? Chi scrive ha presentato un disegno di legge che è molto vicino a quello che si fa negli Stati Uniti d'America dove in un periodo, già superato, la vita pubblica di certe città (Chicago aveva il primato) era alimentata dai proventi delle case di malaffare. Qui le case chiuse sono state abolite (l'Italia in questa materia è in coda a tutti gli altri Paesi del mondo, ai punto da leggersi anche oggi su giornali e riviste lamentele contro la legge Merlin-Boggiano Pico); ma ancora non è abolito il voto segreto che appartjene alla categoria dei mali affari e l'Italia (e solo I'Italia) ne ha tuttora il privilegio. H o inviato una pressoché inutile proposta di modifica del regolamento del Senato; ho l'impressione che uomini di tradizionale integrità me ne impediranno la realizzazione proprio perché non ne comprendono l'intrinseca immoralità. Ordo-novistz? no; ordo-vecchisti, ma d'accordo con gli ordo-novisti, i quali in materia stanno muti come pesci, forse perché materia trascurata dai socialcomunisti. Se per caso questi prendessero la questione in mano in senso a me favorevole, mi ritroverei gli ordo-novisti afianco; una fortuna! Li prego di non urtarsi delle mie osservazioni di polemista impenitente; sento quanto è vero quello che scrivo al punto che mi è impossibile lasciarlo nella penna; se essi mi proveranno il contrario, ne farò loro le dovute scuse. E conchiudo: moralizzare la vita ~ubblica,anche quella sindacale; fare presto la legge che regolarizzi gli scioperi, legge voluta dalla Costituzione; approvare il mio disegno di legge sul finanziamento dei partiti; affrontare il problema del voto segreto; riesaminare la posizione degli enti ~ubbliciche buttano denari dalle finestre (anche per certi fidanzamenti principeschi) e impiegare meglio il denaro pubblico per combattere sul serio la disoccupazione vera e fare scomparire la disoccupazione falsa. Questo sì che sarebbe un gran passo verso l'ordine cristiano, quello che è cominciato duemila anni addietro e deve ancora essere attuato nel mondo, compresavi l'Italia del 1959.
Il Giornak d'ltalia, 28 febbraio 1959
Repubblica presidenziale? Ad uno dei più autorevoli giornalisti italiani (e direttore di un noto quotidiano di Napoli) sembra che la repubblica presidenziale possa rimediare alla partitocratica nostra repubblica parlamentare e soddisfare il desiderio di coloro che vorrebbero un governo stabile e forte, che veramente governi. Spero di non aver frainteso il pensiero esposto in un foglio a rotocalco, e spero di farmi ben comprendere dai lettori di un altro rotocalco, sul quale espongo il mio parere non solo non conforme, ma del tutto opposto. Repubblica presidenziale degna del nome esiste, da poco meno di due secoli, quella degli Stati Uniti d'America. Le altre repubbliche nel Centro e nel Sud America, fatte ad imitazione di quella, sono quasi sempre cadute nelle mani dei militari, forze armate per la politica interna non mai per guerre di difesa del patrio territorio non esistendovi, da tempo, grazie a Dio, dei paesi nemici. C'era la repubblica presidenziale dell'uruguay a fare eccezione; ma quei liberi cittadini han voluto fare l'esperienza del governo quadrumvirale; qualche cosa di simile e di meno personale di quello svizzero; si dice che l'esperienza in corso lasci a desiderare; ma a parte tale caso eccezionale, non troviamo nel Sud America altro esperimento che abbia evitato o possa in seguito evitare l'avviamento alla dittatura; cosa del resto capitata a noi europei da Napoleone I in poi; Hitler, Mussolini, e lo stesso Pétain non sono tramontati per merito dei rispettivi elettori, né credo lo saranno Franco e Salazar. La nostra Italia, uscita da quattordici anni dal fascismo, non solo tiene ancora un certo gruppo di nostalgici, ma va sviluppando lo slogan del: si stava meglio quando si stavapeggio. Comunque sia da considerarsi il passato, ipotizziamo pure una repubblica presidenziale all'americana (America del Nord, per intenderci): nomina del presidente a suffragio diretto, popolare, per quattro anni ripetibili una seconda volta (totale otto anni); poteri esecutivi quale capo di governo; governo non parlamentare, cioè non soggetto ai voti di fiducia e di sfiducia di due Camere; governo che dura da quattro a quattro anni con i mutamenti che crede opportuno recarvi il presidente, il quale in sostanza di tali atti non risponde avanti il Parlamento, ma può essere chiamato in causa. Però - ecco il però - il Parlamento tiene due corde con le quali può rendere impossibile la vita al presidente e ai ministri: quella della borsa e quindi può dare o negare i fondi che il presidente chiede (appropriations); quella di approvare o negare il voto alle leggi che egli propone; attua pure il metodo di inchieste pubbliche (e non segrete come in Italia) le quali danno anche delle noie al Presidente. Tutta la politica americana è compendiata nel duello: Presidente-Congresso (le due Camere); intermediari sono i partiti o i capi dei partiti, ma fino a un certo punto; anche i pressuregroups, ma fino a un certo punto; i sindacati, anch'essi fino a un certo punto; la opinione pubblica, pure fino a un certo punto. Se non vi fosse l'Alta Corte (cosa assai diversa dalla nostra del palazzo della Consulta) e la Costituzione la cui tradizione e il cui rispetto per ogni americano è un atto di fede, fa struttura degli Stati Uniti mancherebbe del punto fermo dove si arrestano tutte le velleità di cambiamento; dove si fermano tutti gli istinti rivoluzionari; mentre la coscienza collettiva di nazione vi si inchina come all'ancora di sicurezza.
Quali premesse abbiamo in Italia per un senso di grande equilibrio fra la tradizione e il progresso? fra il passato e I'awenire? Negli Stati Uniti d'America non esiste un partito comunista alla dipendenza di Mosca come in Italia; esistono comunisti o filo-comunisti che valgono poco o nulla in politica, studiosi di storia sovietica per propria soddisfazione; qualche viaggiatore che porterà in casa i ricordi di Mosca o Leningrado e simili; qualche politico fatuo che vede lucciole per lanterne; ma l'americano è prima di tutto americano; gli americanizzari tendono ad essere prima di turco americani. Noi siamo sbattuti dai cento gruppi, tendenze e partitini come i dannati di Dante: «Così quel fiato li spiriti mali - di qua, di là, di giù, di su li mena)).Giovanni Ansaldo non pensa di sopprimere i partiti; crede che possono essere ridotti ad una meno pretenziosa funzione, che quella di essere consultati dal presidente ad ogni crisi ministeriale e perfino due volte e tre in una crisi, per sentire ripetere che i prescelti al posto di governo sono quelli che piacciono ai partiti e non mai quelli che piacciono al presidente. Oggi è così, perché in fin dei conti, il voto al governo è dato dal Parlamento, nel quale la Costituzione prevede i gruppi di partito. Colpa della Costituzione? credo di sì; colpa della legge -- elettorale? anche; colpa del frazionamento del corpo elettorale: evidente. I nostri costituenti, presi dal complesso di reazione alla dittatura fascista e temendo dare troppo potere al governo credettero prowedervi con un parlamento largamente partitico. I1 legame con i comitati di liberazione era evidente. I partiti eredi della situazione del fascismo per rifare la nuova Italia costituirono un facio (pardon, un comitato) di sei partiti, compresivi due niente affatto costituzionali né costituzionalizzabili: il comunista e il socialista legati a fil doppio. Poco dopo il partito di azione si squaglia come neve al sole; poscia gli americani si persuasero che i comunisti, protetti fino allora in Europa, erano da mettere fuori e i filo-comunisti anche; così De Gasperi ebbe buon gioco di fare una crisi, sbancare gli incomodi colleghi e preparare le elezioni del 18 aprile. Breve: l'Italia poteva rifarsi; ma il Parlamento del 1948 venne fuori col complesso d'inferiorità verso i socialisti ai quali si guardò come futuri alleati: dieci anni di politica sbagliata (il presidente della Camera dei deputati dal 1948 al 1955 ne sa qualche cosa) hanno portato 1'1talia sull'orio della scivolata a sinistra. Un nuovo colpercino, quello della repubblica presidenziale fatta di condiscendenza, e il patatrac di sinistra ne sarebbe la più grave delle conseguenze. Né varrà a impedire ciò, il prossimo completamento della Corte costituzionale per via della nomina dei giudici aggiunti per i casi penali, perché la poca voglia di un drammatico processo è talmente insita nella adattabilità italiana (conformismo),che nessuno mai pensò di portare un Savoia avanti un'Alta Corte per violazione dello statuto albertino. Mi si dirà: come fare a correggere la situazione attuale infestata di partitocrazia? Da tempo ho presentato le mie proposte: abolizione del voto segreto che non esiste nei parlamenti dei paesi costituzionali moderni e democratici; modifica della legge elettorale, sopprimendo almeno il voto di preferenza e limitando la formazione di piccoli gruppi di disturbo e il frazionamento dei partiti; controllo pubblico delle spese dei partiti e delle spese elettorali come è di fatto negli Stati Uniti d'America e con certe limitazioni in altri paesi politicamente più progrediti del nostro. Non piacciono questi rimedi? Se ne propongano altri; ma non si faccia come lo struzzo che mette la testa sotto l'ala e non vede il pericolo. Vogliono la repubblica presidenziale? Che ne mettano le premesse: formare i repubblicani adatti a tale tipo di struttura sociale; riformare la Costituzione per avere una legge non rivoluzionaria ma a carattere e spi-
rito riformista; preparare un presidente il quale non sia comunista o socialista e non si creda l'indispensabile, l'infallibile, I'autocrate, né senta la tentazione di trasformare la presidenza in dittatura, la repubblica in regime, il Parlamento in «sala grigia e sorda». «Natrrram expellasjùrca; tamen usque recurreb) canta Orazio. Orizzonti, 1 marzo 1959
Ridare fiducia Dopo più di sei anni di scosse, anche se intrameuate da interessanti iniziative private e pubbliche, e di un innegabile progresso economico, purtroppo oggi in sosta, il paese (quello che lavora, non quello che chiacchiera) ha bisogno di riacquistare quella fiducia o quella parte di fiducia che è andata mancando. Si sa bene che la fiducia è fatta di stati d'animo, di prospettive per l'avvenire, di realtà conquistabili, di ambientazione favorevole, di sicurezza, di possibilità di lavoro e di onesto guadagno. Negli ultimi due anni si è avuto un governo di minoranza e senza prospettive di continuità. Per giunta, la elezione del secondo presidente della repubblica venne fatta con i voti delle sinistre e in piena discussione sull'unificazione socialista. Agli scossoni della rivolta ungherese, del colpo di Suez, delle ripercussioni nel mondo arabo e dell'accentuarsi delle agitazioni antifrancesi nell'Africa del Nord, l'Italia non poteva restare indifferente; le incertezze politiche e gli arresti economici che ne seguirono incisero parecchio sullo stato d'animo di un fiducioso avvenire. Infine le elezioni generali del maggio scorso, non ostante il dinamismo di Fanfani, non furono tali da riportarci ad un governo maggioritario; egli fu obbligato ad un'unione zoppa, con un piccolo partito irrequieto e indebolito, per giunta, dal complesso di inferiorità della unificazione socialista desiderata e irrealizzabile; bastò la pietruzza «Vigorelli» per far cadere l'equivoco dell'unificazione e il governo di centro-sinistra. Breve: ripiegando sul centro democristiano e con il voto composito dei liberali e delle destre, si è avuta la costituzione di un governo maggioritario. Non facciamo profezie; prendiamo la realtà come essa si presenta; alla Camera 333 voti contro 248. La maggioranza DC non rinunzia al passato né può nutrire orientamenti reazionari; si può e si deve parlare solo di rettzjìca. Neppure i partiti che, senza partecipare al governo, han dato il voto di appoggio sono disposti ad una reazione e, con più o meno chiarezza di idee, accertano o richiedono la rettifica. Per me e per tutti gli italiani che non fanno politica di professione, ma professione di lavoro, la rettifica si definisce con il motto: Ridarefidzicia.
È vero: sul piano della politica internazionale oggi il contrasto per Berlino è aperto e grave; la città divisa in quattro zone di rappresentanza militare: russi, americani, inglesi e francesi, e in due sezioni dell'Esr i primi e dell'ovest altri tre, fu una costruzione provvisoria, illogica, imprevidente; l'unica che poteva nascere da Potsdarn, dopo che le truppe alleate consentirono alla Russia di penetrare nella Germania boccheggiante. Allora 1'Arnerica aveva tutto in mano per impedire simile evento; non aveva I'esperienza e l'esatta co-
noscenza del mondo russo e ci cadde in pieno sia in Oriente che in Occidente; mentre l'Inghilterra, che poteva salvare il salvabile, non seppe superare i risentimenti popolari e rendersi conto della necessità storica, psicologica e militare di una Germania unita e salda fra Mosca da un lato e Parigi-Londra dall'altro. Mosca riprende con maggiore intensità l'iniziativa per rovesciare la situazione occidentale creata dal patto atlantico, rafforzata dalla NATO e resa vigilante per tutti gli intrighi comunisti nel Mediterraneo. Per quanto tardiva, e in parte compromessa, è ancora tempestiva l'azione unita dell'occidente. Non sarà l'Italia che ne pregiudicherà di una linea l'unità di intenti, di piani e di forze. Per quanto sia difficile leggere nel pensiero dei moscoviti e valutarne le mosse, non sembra probabile che Mosca arrivi a scatenare una guerra; ci saranno invece passi audaci e cauti allo stesso tempo, per indebolire la volontà occidentale o renderla indecisa con mosse collaterali e divaganti. Scrivo questo per far notare come sia doveroso da parte di tutti i partiti veramente italiani, che non prendono direttamente o indirettamente il verbo da Mosca e neppure da certi centri di socialisti ottusi di Londra e Parigi, ma che pensano agli interessi del nostro paese, anche restando all'opposizione, di non rendere difficile la vita al governo, in un periodo così delicato della politica internazionale. E passiamo alla nostra ~oliticainterna. Basta con l'unificazione socialista; se Vigorelli e C. vogliono farla si accomodino pure; se La Malfa e C. vogliono favorirla, ne assumano le responsabilità; Nenni è lì per far capire a tutti che contro Mosca non si marcia; pensiamo che tutti i Feltrinelli, i Rizzoli e gli altri capitalisti del Nord se ne rendano conto; che i giornalisti alla Gorresio ne prendano atto; e il Giorno dell'ENI o di Mattei butti via la maschera. Chiarito così, per quel poco che sarà ~ossibile,il cielo della ~olitichettadei partiti di minoranza, occorre rivolgerci a quelli di maggioranza, in primo luogo alla DC. La scelta del segretario politico che succederà a Fanfani (il cui ritiro sotto la tenda, sia pure temporaneo, fa onore all'uomo e al cristiano), è di una eccezionale delicatezza; perché non solo non deve recare disturbo all'attuale azione governativa, ma deve sostenere una delicatissima politica estera (senza scosse sismiche nei vari colli romani di nome storico), contribuendo a ridare fiducia al paese che lavora. A questo scopo è di una urgenza eccezionale che cessino le agitazioni dei comitati provinciali e delle sezioni dc, non solo circa la formazione del governo (e Zoli quale presidente ha fatto bene a diramare la circolare di richiamo ~ull'ar~omento), ma anche per la formazione delle delegazioni al congresso di Firenze (con la storia delle tessere pagate ma non distribuite, della quale mi sono occupato altra volta). H o letto con piacere che, lasciando tempo al tempo, verrebbe proposto il rinvio del congresso di Firenze a dopo le vacanze estive, perché il partito si renda conto della situazione nazionale e internazionale alla quale si va incontro, e della quale non sarà il congresso d.c. elemento responsabile, ma potrebbe essere (anche contro il volere dei capi) elemento disturbante. Disoccupazione: fra tutti i problemi del momento è questo il più pressante e quello che richiama il tema della Fiducia. H o già scritto che giacciono presso le banche mille miliardi inutiliuati, i quali, se invece di circolare per lavori di rifacimento di scorte, per nuovi impianti, per migliorie agrarie, per colture intensive, per più rapidi commerci interni ed esteri, stanno immobilizzati nelle casseforti, perderanno gradualmente valore perché non circolando non ~rodurranno;e non ~roducendone verrà automatico l'aumento dei prezzi di mercato, le richieste di aumenti di salario e la diminuzione del valore rappresentativo della moneta.
Queste cosette le sa non solo ogni scolaro di economia politica, ma ogni donnetta che fa i conti di casa e va al mercato due o tre volte la settimana. Possibile che non le debbano sapere i dirigenti sindacali che promuovono scioperi parziali e generali, occupazioni di fabbriche, sospensioni di lavoro, tenendo agitato il paese in un periodo di quasi recessione? La via del giusto mezzo è la più savia; ottenere in rapporto alla capacità produttiva; e produrre in rapporto alla capacità lavorativa e alla utilizzazione del risparmio. Qui entrerebbe il Fisco, per fargli un atto di accusa necessario, doveroso e urgente: ma di ciò altra volta. I partiti di appoggio al governo abbiano la bontà di fare meno politica, o politichetta che sia, mettendo maggiore impegno nel concorrere col governo ad avviare a giusta soluzione i problemi della disoccupazione oggi e non domani, in vista del mercato comune e non in vista del vantaggio locale e campanilistico, chiedendo a gara prefetture, case da giuoco e impianti.. . siderurgici.
Post Scriptum. Radar del 23 febbraio scrive che aDe Gasperi e Gonella chiesero la collaborazione di Luigi Sturzo proprio per fare fallire l'operazione, servendosi del rifiuto dei repubblicani e dei socialdemocratici ad entrare in una lista civica». A me questa volontà precostituita dei due capi della DC non risultò; se fosse risultata non avrei accettato l'incarico, perché nella mia vita la lealtà dei rapporti con amici e con avversari è stata ed è regola inflessibile. Perciò nel mio articolo scrissi di avere mantenuto la lealt2 con tutti. I1 resto non mi interessa. De Gasperi oggi non può interloquire, ma io che lo conobbi debbo affermare per lui la stessa lealtà che riconosco in me. Faccio lo stesso per Gonella, con la differenza che questi è oggi in condizione anche di smentirmi, se la sua condotta fu proprio quella precisata da Radar. Dell'articolessa di Nenni sull'Avanti!di domenica non mi occupo perché non mi riguarda; non avendo io partecipato alle dimissioni di Fanfani né all'incarico dato a Segni. Il Giornale d'Italia, 3 marzo 1959
Unione politica dei cattolici Qui non si parla della unità dei cattolici nella Chiesa con i Vescovi e il Papa, ma di una libera unionepolitica dei cattolici; di questa seconda si discute da più di un secolo e senza idee chiare da non pochi cattolici, nonché dai loro amici ed awersari. Non è la prima volta che ne scrivo; prima che me lo ricordino gli amici di sinistra (se ne hanno conoscenza) debbo riferirmi ad un mio schema del 1901 dal titolo Conservatori cattolici e De-mocraticirristiani; schema che allora fece chiasso fra i nostri (pro e contro) e servì come punto di riferimento fino al Congresso nazionale cattolico tenuto a Bologna nel 1903. Questo segnò un nuovo orientamento nel campo delle attività pubbliche dei cattolici italiani per il periodo successivo fino a che l'Italia entrò in guerra contro gli imperi centrali. IE resto è noto; però, sul tema attuale non si mettono bene in vista le posizioni fondamentali del partito popolare, il quale non volle essere, né pretese di essere, nel campo polirico, voce unica e autorizzata dei cattolici italiani (come era stata l'Opera dei Congressi e i n seguito la Unione Popolare e infine la Giunta direttiva del1.Azione Cattolica); neppure vol-
le prendere iniziative riguardo la soluzione della questione romana da trattarsi, secondo la dichiarazione di Sturzo al Congresso di Bologna del giugno 1919, fra il Vaticano e gli organi di Stato. Verso la fine del dicembre 1918 Papa Benedetto XV aveva già marcato la distinzione fra azione politica basata su principi cristiani e azione cattolica nella organica partecipazione del laicato alla vita religiosa sotto la guida della Gerarchia. Per il partito popolare restò ferma tale distinzione di doveri e di responsabilità.
Questi accenni mi portano a due ricordi storici del pontificato di Leone XIII. Questi, intervenendo di autorità nella politica della Francia, con Lettera apostolica del 1892 consigliò di aderire alla Repubblica. I1 secondo prowedimento fu dato dalla Penitenzieria apostolica sulla questione del non expeditcirca la partecipazione dei cattolici italiani ali'elettorato attivo e passivo con la dichiarazione fatta nel 1895 che «non expeditprohibitionem importaa. L'uno e l'altro prowedimento riguardavano, è vero, regole di coscienza individuale dei cattolici, ma gli effetti ricadevano sulla loro attività di cittadini; il primo a favore della 3" Repubblica, il secondo nell'esercizio dei diritti politici dei cittadini italiani e quindi della libera associazione politica. Bisogna mettere questi due interventi nel quadro degli interventi del papato nel secolo XIX in tutti i Paesi dove i cattolici partecipavano alla vita pubblica, dalla Germania al Belgio, dalllIrlanda agli Stati Uniti e al Canada, dal Sud America alla Spagna e così di seguito, ora spingendo, ora frenando, ora regolando, per la tutela dei valori spirituali, dei diritti della Chiesa, della libertà della predicazione evangelica, nonché per la difesa di popolazioni oppresse e così di seguito. Quello che si può notare in tutto questo ben lungo e agitato periodo storico è stato ed è il passaggio, anche nel campo cattolico, da un sistema politico autoritario e accentratore nelle monarchie assolute a quello delle attività libere e costituzionali delle democrazie modeine. Nulla, storicamente parlando, che non fosse nel ritmo delle conquiste umane; ma la resistenza della Chiesa e le perplessità dei cattolici non riguardavano il nuovo orientamento democratico; sì bene le premesse teoriche naturalistiche, antireligiose, disgregatrici della società, messe a giustificazione del nuovo orientamento. Donde lotte, che, per naturale conseguenziarismo, arrivavano a confondere cause ed effetti; a rendere difficile la valutazione di quel che era conquista di bene (democrazia) da quel che era riaffermazione del male (naturalismo, razionalismo, materialismo).
Chiarito questo punto, vediamo fin dove si può domandare ai cattolici un'unione di fini e di mezzi nel campo politico e fin dove questa unione potrebbe ledere il diritto di coscienza individuale. Ci sono nella vita collettiva, come in quella familiare e personale, momenti di pericolo al quale fare fronte per salvare la stessa esistenza individuale e la stessa nozione societaria. Sia che per tali moventi venga una parola dall'alto, sia che questa si desti nelle coscienze più avvertite, il bisogno di unificazione si sente dalla maggioranza, mentre sarebbe difficile negare la possibilità e perfino l'opportunità dei gruppi e gruppettini di dissenzienti, i quali, nella dialettica storica possono trovare una funzione utile o riuscire addiritcura dannosi.
Pur ammettendo la maggiore disciplina possibile, l'elemento anche minimo di contrasto che potrà servire a chiarire posizioni attuali o prevenire posizioni future, può avere propria funzione sia storica che etica. E noto il vecchio principio della morale cattolica che la inosservanza di un precetto «positivo» dato dall'autorità competente fa carico alla coscienza personale; ma se l'autorità tollera la inosservanza e lascia il rigore della repressione, è il precetto che il tempo fa cadere; i violatori successivi al periodo medio di prescrizione non peccano di disubbidienza. Così sembrò in Italia fosse ritenuto il valore del non expedit, fino a che non venne la declaratoria del 1895; così in Francia fu preso come semplice consiglio l'invito della adesione alla Repubblica, specie per la reazione di parte dei cattolici che presero una figura politica di resistenza, finché Pio XI non arrivò alla sconfessione; fu allora che non mancò il delicato episodio della rinunzia di p. Billot al cardinalato. Vicende storiche importanti della Chiesa e dei cattolici: ciascuno si assuma in coscienza le proprie responsabilità subendone le conseguenze con umiltà e non con superbia; e qui mi piace ricordare l'eroica ubbidienza del p. Dehon, uno dei pionieri del cristianesimo sociale in Francia, che io conobbi ed apprezzai nelle sue visite a Roma; egli accettò per tutta la vita la proibizione di scrivere su materia sociale; ubbidì portando il suo segreto nella tomba; ora, a sua glorificazione, è in corso il processo canonico, per l'eroicità delle sue virtù.
Mi comprenderanno gli amici d.c.? gli awersari politici? i lettori favorevoli e contrari? Non lo so: quel che io intendo con questa ressa di ricordi storici, etici e teologici, per me è chiaro: l'unione politica dei cattolici non è mai stata completa, né perfettamente organica, né con preminenti finalità nazionali, economiche e sociali. Si è trattato di organizzazioni politiche a finalità anche religiose, o viceversa di organizzazioni a carattere religioso con finalità di difesa anche nel campo politico. Ma mentre la religione unisce la politica divide; owero la politica occasionale unisce e la visione religiosa dispaia: questa è stata sempre nella storia della Chiesa. Però, venuto il momento di una difesa suprema sia della nazione pericolante o aggredita, i cattolici han fatto fra i primi il loro dovere; sia della difesa aperta della Chiesa minacciata ed offesa nella sua fede e nella sua organicità e autorità, i cattolici si sono schierati per questa, subendone le conseguenze fino al martirio. - C'è oggi un pericolo per la Patria? Sì. C'è oggi un pericolo per la fede? Sì. I due pericoli coincidono? Sì. Questa è la mia opinione, e non la mia sola, e non un'opinione improvvisata, né basata su impressioni subiettive; ma seria, grave, persistente, preoccupante. Che questa opinione non faccia breccia alla sinistra della DC al punto da favorire la pretesa unificazione socialista e da trattare sottobanco con Nenni; da legarsi a Mattei che traffica da Mosca a Pechino (Egitto e Marocco compresi); che non faccia breccia ai d.c. della Sicilia che si sono alleati con i comunisti e i socialisti attraverso i'ibrido appoggio delle destre; è cosa per me incomprensibile. La pretesa giustificazione dei siciliani dissidenti è stata sopra motivi organizzativi e amministrativi locali; senza capire il danno che si fa agli interessi generali della stessa isola favorendo le sinistre; mentre la pretesa giustificazione dei gruppi d.c. di Base e simili è sopra una pretesa ~socialità),delle sinistre a favore delle classi lavoratrici e di una pretesa areazionarietà)) delle destre per conto e nell'interesse padronak. Siamo ad una lotta di classe in fa-
se sorpassata da più di mezzo secolo, fatta rivivere per comodo polemico o per ignoranza dello sviluppo della tecnica e deli'economia anche in Italia. Pensare che un noto giornale di Firenze arriva a satireggiare il mio ultimo articolo Ridarefiducia presentando i suggerimenti come se diretti a colpire contadini e operai a vantagio dei padroni e degli industriali. Non resta che compatirli e augurare che trovino in argomenti meno passionali e più etici, meno sentimentali e più tecnici, meno infantili e più maturati, la via per non rendere profondo ed insanabile il dissidio fra cattolici, quando il pericolo esige l'unione di intenti e la cooperazione delle forze. L'Eco di Bergamo, 8 marzo 1959
Proporzionale pura e preferenze impure58 CAssemblea Regionale Siciliana (ARS) ha avuto in questi giorni la distribuzione di tre disegni di legge elettorale: Signorino (6 13), Benedetto Majorana (6 14), Milazzo (6 15); coincidenza, tutti e tre hanno spunti fondamentali identici: applicazione della proporzionale pura; facoltà di presentazione della propria candidatura in tutte le circoscrizioni; regionalità dei conteggi elettorali. I1 Parlamento siciliano, imitando anche in questo dettaglio il Parlamento Nazionale, si è ridotto alla breve distanza di tre mesi dalle elezioni per modificare la propria legge, tanto per eccitare le ire dei rieleggendi e le attese delle nuove reclute. Ricordo che poco dopo il famoso 7 giugno 1953 presentai un disegno di legge di modifiche tecniche alla legge elettorale vigente per il Senato. Il ministero dell'interno ne chiese diverse volte il rinvio dell'esame, affermando di dover presentare i propri emendamenti, cosa che non fece mai, in mod o che con le continue dilazioni si arrivò all'inverno del 1957, quando finalmente la commissione si decise di passare all'esame delle mie proposte, esame che fu una vera esecuzione sommaria. Uno dei commissari commentò l'evento con queste parole: «Non è possibile a pochi mesi di distanza modificare la tecnica elettorale, quando ciascuno di noi ha lavorato per cinque anni sul sistema vigente col solo scopo di ottenere la rielezione)).
Lo stato d'animo degli uscenti è quindi fisso alla legge vigente, sì e no con qualche pos5"tera
del 24 febbraio 1959 ai presidente dell'Assemblea Regionale Siciliana, on. Giuseppe Alessi: Caro Aiessi, Ricevo la tua del 20 correnre n. 5875 Gab. Son d'accordo con re, ma il mio dissenso per la politica di Milazzo è tale che impedisce di scrivergli direttamenre. Sono sul punto di scrivergli pubblicamente. Mi ha ferdi un disegno di legge elettorale che sopprima le preferenze e renmato fin o y i la sperany de:a prr>enr~ione da respirabi e l'aria siciliana Io gli diedi un buon disegno di legge che e li non ha accettato, n6 fatto accettare. Le ultime informazioni mi hanno fatto cadere ogni speranza. Mi azzo farà le elezioni con i comunisti a danno della DC. È doloroso ma è così. Cordiali saluti Luigi Sturzo. In: kL.S., b. 441, fasc. 2.
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sibile ritocco atto a favorire, ipoteticamente Sintende, coloro che sperano nella maggiore larghezza possibile delle maglie elettorali. La stranezza del caso di Palermo va messa in rilievo perché coincide con la stranezza del caso Milazzo. Questi volle tentare (come dire?) un governo tripartito - centro-sinistrodestro - con la qualifica di amministrativo e moralizzatore. Fra gli strumenti prescelti a questo scopo vi era (nella sua mente) quello di una legge elettorale che eliminasse le preferenze (fornite di discordie nei partiti e di larga corruzione elettorale) e desse la possibilità di formare maggioranze stabili, senza motivi elettorali per i franchi tiratori e senza richieste illegittime (le chiamo così) per i partitini che sogliono correre in soccorso dei vacillanti monocolori. In sostanza, una buona lezione anche per ifanfaniani di qua e di là dello Stretto, i quali, a mezzo dei vari Gullotti avevano spadroneggiato nella Regione siciliana con danno del prestigio e dell'autorità regionale. Che Milazzo avesse queste idee per lunga convinzione, e non come imparaticcio della euforia presidenziale, era provato dal fatto che fu egli il principale fautore, nel periodo della presidenza Restivo, di una simile riforma e favorì un disegno di legge ben congegnato che all'ultima ora non fu presentato, mentre fu poi varata la legge elettorale del 1951. Anche prima della rinnovazione dell'Assemblea, nel 1955, Milazzo sostenne validamente un altro disegno d i legge, non ricordo se proposto da Alessi o da La Loggia, disegno che anche esso fallì nel periodo di incubazione. Per giunta, da più mesi si sentiva ripetere da Milazzo che egli avrebbe portato avanti la riforma elettorale sulla base uninominalista, anche a costo di cadervi sopra; la sua frase preferita era quella di Enrico IV, l'ugonotto divenuto cattolico: Parigi vale bene una Messa. Però, Milazzo dell'ultima ora, dopo avere sentito a sinistra, al centro e a destra, ha colto il peggio delle tre correnti accettando la proporzionalepura. Non è questa una novità siciliana; da tempo se ne parla a Roma dai partitini, quelli che mancano del senso di responsabilità, e dai sinistri, quelli orientati verso la politica del tantopeggio tanto meglio. k strano che ciò sia stato accettato da Milazzo come un bicchiere di acqua pura e fresca di sorgente, e non credo solo per far piacere ai colleghi di destra e di sinistra, né per rafforzare il nascente movimento cristiano-sociale (quel cristiano ci stona dentro, come stona nella DC siciliana ancora in preda a dilaceranti dissensi), ma come un colpo d i folgore di una verità mai conosciuta. Chi si preoccupa, a Roma o a Palermo, della formazione di una regolare maggioranza di governo? Tutti pensano al come assicurarsi la poltrona deputatizia e quindi guadagnare la poltrona ministeriale o assessoriale che sia; e in seguito tendere (a Palermo più che a Roma) a prendere il bastone delcomando. Milazzo il bastone del comando lo prese in ottobre tra l'aspettativa di buona parte della Sicilia, proprio di quella che non si accorse dell'ipoteca social-comunista e relative ninfe egerie di Palazzo d'orléans (non importa se con o senza decreto). Oggi Milazzo il bastone del comando non lo ha più o non lo ha quasi più, perché i partiti e i partitini coalizzati, compreso il movimento C.S. che lo affianca, gli hanno preso la mano al punto di avergli fatto accettare (attraverso le suddette ninfe egerie) la proposta che ogni candidato può presentarsi in ciascuna circoscrizione. Avremo così la candidatura iMilazzo in tutta la Sicilia, non importa se con la veste di salvatore o di dittatore, perché egli non è né l'uno né l'altro; ma sarà ugualmente permesso a tutti i capi e i sottocapi dei partiti, specie a quelli di sinistra, di presentarsi in tutti i collegi, siano 90 o 45, o solo 9 circoscrizioni provinciali, per determinare un eccitante fermento elettorale partitocratico, consolidare l'attuale tripartito e consacrare la sconfitta della DC e la sua relativa esclusione dalla nuova maggioranza. Mi dispiace di dover essere duro con un caro amico quale Milazzo; ma egli sa che per
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me vale la massima del ma@ amica veritas. Lo stesso dico per i miei amici della DC siciliana, i quali, per i loro dissensi proprio accentuati alla vigilia delle elezioni, si sono fatti estromettere dal governo siciliano, e da quattro mesi non hanno saputo ritrovare, da soli né con l'ausilio dei responsabili di Piazza del Gesù, quell'unità (fra di loro e con gli stessi dissidenti) capace di render possibile una ripresa, anche con intese a destra atte ad eliminare il pericolo di una sinistra socialcomunista che prenda in mano le redini della Regione.
I1 disegno di legge elettorale che Milazzo avalla, come presidente della Giunta regionale, lascia intatta la lotta preferenziale, con il maggiore vantaggio possibile delle sinistre (quelle che io chiamo preferenze impure). Le stesse preferenze impure restano intatte nel disegno di legge 614, avallato dall'on. Benedetto Majorana, perché lascia libera la contesa fra due candidati dello stesso contrassegno. Anche col disegno di legge 613 dell'on. Signorino si arriva alla stessa lotta, anticipandola per le candidature, perché i collegi elettorali piccoli della media di 50 mila abitanti saranno, nella Sicilia occidentale, preda dei gruppi di mafiosi che facilmente si insinueranno in tutti i partiti; mentre nella Sicilia orientale, forse con la eccezione di città come Catania, Messina e Siracusa, nella scelta dei candidati prevarranno le formazioni di clientela. Quale sarà lo spiegamento di mezzi di corruzione morale e materiale, nell'un caso e nell'altro, lo lascio immaginare al lettore. La DC potrebbe prendere questa occasione per rompere le catene dei gruppi e delle correnti, facendo proprio il progetto da me suggerito, quello statale vigente per le elezioni provinciali, con due terzi a sistema uninominale maggioritario e un terzo per risultanza proporzionale. Per ottenere una leale intesa con i partiti di destra, si potrà portare la proporzionale alla metà, cioè 45 seggi a elezione maggioritaria uninominale e 45 seggi a risultanza proporzionale con metodo concordato (eccettuando la proporzionale pura che non è applicata in nessun paese del mondo). Così si otterrebbe, pur nel rispetto delle esigenze dei minori partiti, un risultato equo per gli altri partiti (sinistre comprese) e si sarà evitata la lotta fratricida delle preferenze dirette o indirette e la corruzione elettorale. Bisogna rifare la mentalità democratica del popolo italiano: il parlamento e il governo sono a servizio del paese, solo quando gli eletti e i partiti sono a servizio del parlamento e della pubblica amministrazione. Le leggi elettorali scelte in Italia dal 1945 in poi ci hanno portato a invertire le parti: parlamenti e governi sono stati messi a disposizione dei partiti e questi a vantaggio degli eletti e delle loro clientele. Per la Sicilia autonoma, per l'Italia intiera, prego i responsabili di intervenire efficacemente perché non si continui ad avvilire il paese e a lavorare.. . per il re di Prussia; più chiaramente, per Mosca!
IL Giornale ditalia, 12 marzo 1959
I1 tono fa la musica (dedicato agli «ordonovisti» nella speranza di essere compreso) Mi piace cominciare con il seguente tratto del testo della Dichiarazione d'indipendenza fatta il 4 luglio 1776 dai tredici Stati d'America uniti nel Congresso generale: «Noi riteniamo che le seguenti verità siano di per sé stesse evidenti: che tutti gli uo-
mini sono stati creati uguali, che il Creatore ha fatto loro dono di determinati inalienabili Diritti, che tra questi sono la Vita, la Libertà ed il Perseguimento della Felicità. Che per salvaguardare tali Diritti, gli uomini si son dati dei governi che derivano la propria giusta autorità dal consenso dei governati, che ogni qualvolta una determinata forma di governo giunga a negare tali fini, sia diritto del Popolo il modificarla o l'abolirla, istituendo un nuovo governo che ponga le sue basi su questi principi strutturandone i Poteri nel modo che ad esso sembri il più atto a garantire la sua Sicurezza e la sua Felicità)). Confrontiamo quanto sopra con i primi quattro articoli della Dichiarazione dei diritti dell'uomo e delcittadino fatta dai rappresentanti del Popolo francese costituiti in Assemblea Nazionale (1789): ((Inconseguenza, l'Assemblea Nazionale riconosce e dichiara in presenza e sotto gli auspici dell'Essere Supremo, i Diritti seguenti dell'Uomo e del Cittadino. 1 - Gli uomini nascono e rimangono liberi e uguali nei diritti. Le distinzioni sociali non possono essere fondate che sulla utilità comune. 2 - Lo scopo di ogni associazione politica è la conservazione dei diritti naturali e imprescrittibili dell'uomo. Questi diritti sono la libertà, la proprietà, la sicurezza e la resistenza all'oppressione. 3 - Il principio di ogni sovranità risiede essenzialmente nella Nazione. Nessun corpo, nessun individuo può esercitare un'autorità che da essa non emani espressamente. 4 - La libertà consiste nel poter fare tutto ciò che non nuoce ad altri; così la esistenza dei diritti naturali di ciascun uomo non ha altri limiti che quelli che assicurano agli altri membri della società il godimento di questi stessi diritti. Questi limiti non possono essere determinati che dalla legge». Le due formule, l'americana e la francese, come indice dell'ordine nuovo individuale civico e politico, poco più poco meno, si equivalgono; ma la prima con l'esplicito riferimento al Creatore, che ci ha fatti uguali e ci ha donato diritti inalienabili, ha confessato una origine cristiana; l'altra, per la quale l'Assemblea francese invocò Dio come testimonio con la frase: in presenza e sotto gli auspici dellEsere Supremo, ebbe carattere a-cristiano. Gli americani non rinunziarono alla loro fede e l'affermarono; i francesi implicitamente vi rinunziarono e la offesero, pur parlando gli uni e gli altri della stessa concezione e arrivando alle stesse conclusioni; i primi perciò fissarono le basi allo Stato libero e moderno, s'intende con tutte le difficoltà, gli errori e le manchevolezze che la storia registra (pensare alla schiavitù dei negri); i secondi, pur basandosi sugli sressi elementi etico-giuridici, consacrarono una rivoluzione razionalista che dopo poco sboccò in un impero dittatoriale; rivoluzione e impero i quali, implicitamente od esplicitamente, negarono quei diritti così solennemente proclamati. Il fatto storico fu diverso perché gli americani erano dentro l'orbita dell'ordine cristiano; i francesi, battendo altre note, si fecero promotori dell'ordine nuovo: anno primo con il seguito.
I1 seguito venne con la Restaurazione delle monarchie storiche del Congresso di Viennel vestiario che na; la reazione in tutti gli Stati europei con un ritorno al passato distingueva nobili e borghesi: un ordine nuovo alla rovescia; le promesse della Santa Aileanza finirono con le repressioni dello Stato di polizia. La controreazione venne in nome dei diritti costituzionali, riassunti nelle parole: indipendenza e libertà: indipendenza dallo straniero e libertà politiche, le quattro libertà di opinione, parola, riunione e stampa. Da tempo nes-
suno pensa a contestare più e l'indipendenza politica (tranne i socialcomunisti) e I'esistenza legale di tali libertà (non ostante gli intermezzi dittatoriali di destra e di sinistra); allora furono awersate come espressione del liberalismo, nome questo coniato in Spagna, che passando le frontiere divenne insegna di lotta. Certi ordonovistidi oggi si fanno il segno di croce alle parole: liberali e liberalismo; ma senza I'indipendenza nazionale, senza le quattro libertà di opinione, parola, riunione e stampa e senza una Costituzione, non esisterebbero neppure gli ordonovisti di marca filo-marxista. Invero: fu proprio al nascere delle quattro libertà che l'Irlanda cattolica del Sud poté rivendicare, con a capo 0' Connell, la propria personalità oppressa dagli inglesi, e poté portare la sua voce nello stesso Parlamento del Regno Unito e dominarlo per un certo tempo. Fu proprio allora (1830) che il cattolico Belgio poté distaccarsi dalla protestante Olanda e ottenuta I'indipendenza costituire un regno a base costituzionale e con le suddette libertà iniziare quella lotta per le libertà scolastiche che può dirsi epica se è durata con alterne vicende per più di un secolo contro quei liberali e socialisti i quali più che le libertà ricordano e affermano lo statalismo del quale sono imbevuti. Fu allora che i tedeschi cattolici della Renania con a capo mons. Ketteler e il barone Windthorst prepararono quel Centro che tenne testa a Bismark, in nome della libertà, nella lotta epica del Kulturkampf di marca statalista. Perché è proprio questo il tono che fa la musica: il liberalismo combattuto dai cattolici (a parte coloro che allora confondevano le libertà costituzionali col liberalismo, come ora ci sono quelli che confondono i prowedimenti detti sociali col socialismo), il liberalismo combattuto dai cattolici (e da non cattolici) per la sua origine e caratteristica era razionalista e naturalista, derivato dai principi della rivoluzione francese, da coloro che della religione facevano un affare privato; della Chiesa, un'associazione libera da sottoporsi a regole di polizia; dell'insegnamento, un monopolio di Stato; dell'economia un monopolio di classe (borghese) con l'aggiunta del divieto della riorganizzazione delle classi lavoratrici. In sostanza, eliminato il Dio creatore degli americani del 1776 per mettervi l'Essere Supremo dei francesi del 1789; divenuto questo Dea Ragionee trasformato in Idea hegeliana che si incarna nello Statopanteista, i razionalisti antichi e moderni finirono con il <ctuttonello Stato, per lo Stato, dallo Stato; nulla fuori e al di sopra dello Stato». Ricordano gli ordonovisti di oggi (parecchi dei quali già fascisti o filofascisti o balilla del bel tempo) tale celebre frase mussoliniana dell'anno primo? È proprio questa che deriva dal cosiddetto Essere Supremo, del quale i socialisti, marxisti o poco meno, non hanno più bisogno, avendo lo Stato a disposizione; e neppure i comunisti perché non manca loro un qualsiasi Lenin o Stalin cui dedicare i loro Mausolei. Strano, gli ordonovistidi oggi, pur volendo le libertà costituzionali, sono disposti a barattarle con lo statalismo economico, come le hanno già barattate (chi di loro se ne ricore teada?) con lo statalismo scolastico; come le barattano con lo statalismo cinematografico trale, pittorico e musicale, idrocarburico e siderurgico, cantieristico e agrario, bancario e creditizio. Gli ordonovisti una sola libertà domandano: quella per i sindacati: niente legge sindacale anche ss prescritta dalla Costituzione; niente legge sugli scioperi anche se voluta dalla Costituzione perché limitacrice dell'attività sindacale; libertà fino alla occupazione delle fabbriche, nonostante il divieto del codice; niente leggi limitatrici dei monopoli statali, ma leggi soffocatrici dell'iniziativa privata. Non esagero, constato: che differenza c'è fra gli ordonovistiche ancora credono di essere in regime libero e fanno della politica di classe e i socialisti che fanno della politica di classe e insistono a chiamarsi democratici?
Contro il mio articolo sull'ordine cristiano e l'ordine nuovo sono stati chiamati a testimoniare Toniolo, i testi pontifici, e perfino lo Sturzo di altri tempi. Per quanto riguarda Toniolo, lascio agli studiosi leggerlo e comprenderlo; Toniolo fu sempre un mio maestro, anche nel dissenso sul corporativismo. I Papi mai e poi mai hanno avallato un ordine etico diverso da quello cristiano; essi hanno cercato e cercano di disincagliare l'ordine civico e politico dalle secche del razionalismo, dell'agnosticismo e del materialismo, nelle quali è ancorato (anche in paesi cattolici) per darvi il soffio della morale cristiana (che porrebbe essere accettata anche da non cattolici), riaffermandone il nesso spirituale e soprannaturale con le verità rivelate. Per la Chiesa uno è l'ordine effettivo: quello cristiano. Per quel che mi riguarda, prego i contraddittori a leggere e il mio discorso del 1901 «La lotta socia1eleg;gediprogfesso~(Sintesi sociali, 1906) e il mio libro del 1943 «La Vera Vitm (li dispenso dal resto che è sempre identico e coerente); troveranno nel primo I'awertimento ai democratici cristiani di allora di non illudersi credendo di poter stabilire un ordine che sia conquista stabile di vita; ogni conquista crea problemi nuovi; ogni ordine svi!uppa nuove esigenze; nulla di stabile vi è su questa terra, tranne l'orientamento verso la stabilità soprannaturale e l'unione con Dio. Questa sociolopa del soprannaturale è sviluppata nei dodici capitoli de ((La Vera Vita,). Noi su questa terra siamo come le formiche, le quali scavano nell'arena cunicoli e caverne per la loro ibernazione; passa il carro o l'aratro; viene la pioggia, tutto il lavoro è rovinato; le formiche superstiti ricominciano il loro lavoro; rifanno il loro ordine. Noi abbiamo le guerre e le paci; le rivoluzioni e le reazioni; le Costituzioni e le dittature; le annate buone e le cattive; le prosperità produttive e le recessioni; le epidemie ed i vaccini. Ieri si andava con i cavalli e i muli; poi con i carri e le carrozze; poi con treni; oggi automobili ed aeroplani; tutto è utile e tutto è inutile perché si nasce e si muore come sempre: lavorare, lottare, progredire è un dovere, è un bene; ma l'unico faro è fuori di noi che passiamo. Chiudo l'articolo con i versi finali della preghiera del misero, uno dei salmi penitenziali fra i più belli: ((Inprincipio, o Signore, tu fondasti la terra / e opera delle tue mani sono i cieli. / Essi periranno ma Tu rimani; / e tutti come un vestito si logoreranno, I e come un mantello li muterai e saranno mutati; / ma Tu sei (sempre) quello / e gli anni tuoi non vengono meno. / (Così) i figlioli dei tuoi servi resteranno ad abitare (la terra) / e la loro progenie in eterno sarà stabilita (innanzi a Te)».
Il Giornnk d'ltalia, 18 marzo 1959
168. Scambio di messaggi fra Sturzo e I'on. 1Mo1-o~~ Vivi compiacimenti tua nomina segretario politico auguri democrazia cristiana unita
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Telegramma inviato il 17 marzo 1959 al segretario politico della DC, on. Aldo Moro, e pubblicato insieme alla seguente risposta di iMoro: La ringrazio vivamente per Sue gentili espressioni augurali et Suo cordiale incoraggiamento arduo lavoro nel quale trovo sicura ispirazione da Suo alto insegnamento. Devoti ossequi. Aldo Moro.
efficienza sviluppo unicamente per salvaguardia et affermazione interessi politici economici morali nostra amata Italia. Luigi Sturzo
Il Popolo, 20 marzo 1959
Giunta Milazzo cavallo di Troia Mi sento obbligato in coscienza di ritornare sul tema della Sicilia, visto che il consiglio nazionale DC nelle sue lunghe ed estenuanti discussioni e nei verbosi interventi dei suoi rappresentanti, non ha avuto agio di occuparsene come era dovere, sia per l'analisi dei fatti che precedettero la defenestrazionedella DC dal governo regionale, sia per il seguito sempre più compromesso e preoccupante. L'opinione pubblica italiana non ha mai dato l'importanza politica che la Sicilia ha avuto ed ha nella vita nazionale. La g a n d e stampa nel cogliere qualche notizia di cronaca nera, se può mettere la qualifica di siciliano a qualche malfattore, lo fa volentieri; difficilmente si ricorda della Sicilia quando si tratta di affari importanti o di persone che meritano un rilievo degno di nota; Danilo Dolci ha fatto eccezione perché non è siciliano, perché denigratore della Sicilia, perché sinistrorso. E dire che la rivoluzione italiana ed europea cominciò a Palermo nel gennaio 1848; la resistenza ai Borboni venne dalla Sicilia; il primo parlamento medievale europeo è gloria siciliana; nella nostra storia unitaria la Sicilia ha una sua personalità. Se oggi la Sicilia mostra le piaghe della sua violenta autonomia (violata dall'alto e dal basso, da fuori e da dentro), la colpa principale va a quella partitocrazia che nel I955 sostituì rudemente (direi alla Fanfani) il difficile sviluppo di un organismo nuovo e di una classe non preparata (come era tutta la classe dirigente italiana del dopoguerra) con dippiù il regalo a b initio di quelle leggi elettorali proporzionali mal fatte che resero impossibile a Roma e a Palermo, e nei maggiori comuni, la formazione di maggioranze stabili o di alternativa di partiti di coalizione. Tutto ciò entra nella cronaca e nella storia generale del dopoguerra; ma quel che ha contato in Sicilia più che altrove sono stati i dissensi fra le correnti della DC; dissensi insiti in parte nello spirito individualista siciliano, ma orchestrati e sfruttati a Piazza del Gesù per quelle correnti che ci hanno portato alle crisi di questi anni. Lo spirito isolano implacabile fino alle ultime conseguenze nei risentimenti personali (il centro di Caltanissetta ne è tormentato dai tempi del segretariato politico di Gonella) ha fatto il resto. Nell'ottobre scorso bastò un improvvisato Giovanni da Procida per sbarazzare i d.c. dal Palazzo d'orléans e dagli altri palazzi palermitani e dare il potere (si dice potere) ad una Giunta composita, appoggiata ad una maggioranza sinistro-destra con al centro i dissidenti servi-padroni o meglio finti padroni ed effettivi servi.
Alla vigilia delle prossime elezioni regionali a Palermo si discute ancora sulla nuova legge elettorale e su un centinaio e più di leggi che governo e deputati han fatto a gara a presentare: la demagogia è la padrona di quei fogli ciclostilati che a stento si leggono; un per-
sonale impiegatizio senza concorsi, con titoli scarsi o senza titoli, più numeroso che mai, va a conquistare la stabilità; enti inutili si consolidano altri se ne creano; provvidenze economiche si improvvisano; miliardi si sprecano; favori si distribuiscono: una baldoria che farebbe girare la testa al più saldo e al più sano degli uomini. I deputati d.c.? Ci sono quelli che vanno in aula e nelle commissioni e parlano; altri stanno muti; altri preferiscono essere assenti coltivando l'aiuola del proprio collegio e non dispregiando i favori degli assessori e i contatti con gli avversari. A proposito di tali contatti, quanti cattolici, preti, frati e suore non si rivolgono anche a deputati socialisti e comunisti per poter ottenere qualcuno dei vantaggi della vigilia elettorale? Tutti dicono che in Sicilia esiste una vera confusione di lingue; un diffuso disorientamento; una preoccupazione tacita e repressa che non si esprime. Milazzo speranza degli uomini di ordine, è divenuto un demagogo? no; è lo stesso Milazzo che dice cose sagge ed equilibrate anche in ambienti accesi e in riunioni di sinistra; ma è applaudito da tutti, non perché a tutti dice una parola convincente, ma perché tutti contano su di lui: temporeggia e cede, tentenna e cede; riduce i tassi delle concessioni e cede; torna a resistere ma cede. Tutti si rivolgono alla Regione, come allo Stato; lo statalismo di Roma n. 1 è divenuto statalismo di Palermo n. 2. L'indirizzo privatista del primo settennio deH'Autonomia è già soverchiato; la intraprendenza degli statalisti di Roma (con Mattei in prima fila) e di quelli di Palermo (avallata e sostenuta da deputati d.c. legati a Mattei) e dei socialcomunisti di ieri e di oggi è la politica di tutti i profittatori di Palermo e dintorni (mafia e non mafia), non esclusi i profittatori delle altre provincie, anche dove per fortuna non c'è mafia. Per resistere a tante passioni ci vorrebbero delle tempre di eccezione. Per fare cosa importante e degna della Sicilia, fu inventata la Finanziaria (ad imitazione di una certa iniziativa romana pro-meridione che rimase in panne). La Finanziaria siciliana invece è in piedi e dovrebbe partecipare a nuove imprese industriali con capitali assegnati dalla Regione (fin oggi cinque miliardi più le azioni fasulle di un certo fondo regionale dato per attività industriali andate a male, perché l'ente pubblico rovina le imprese nelle quali interviene). Una Finanziaria ente pubblico è anche politico, perché il maggiore azionista ne è la Regione; si tratta quindi di un ente paralitico fin dalla nascita; ma purtroppo allo stesso tempo oggetto di attesa per impiegati, direttori, amministratori, profittatori, intermediari politici e affaaristici; fra poco non si troveranno più i cinque miliardi, e al loro posto si troverà un grande stabile con magnifici mobili, caffè e bouvette compresi; buon numero di persone addette, che conversano, fumano o vanno in automobile; una meraviglia per I'industrializzazione regionalizzata o statizzata che sia. Colpa di Milazzo? no, certo; colpa degli ideatori, fondatori, legislatori, organizzatori, ultimo dei quali Milazzo; questi ha cercato di salvare capra e cavoli fermandone, per quanto possibile, il funzionamento a vuoto; ma per compiacere ai socialcomunisti imperanti, ai democristiani delusi, agli aspiranti in attesa, ha affidato il concorso per il posto di direttore all'assessorato competente. Milazzo è, giustamente, preoccupato della gravità della disoccupazione; ma non ha mai attuato, quando era assessore all'agricoltura, i prowedimenti da lui disposti nella legge di riforma agraria circa i miglioramenti nelle zone non scorporate (non ostante le mie continue insiscenze presso di lui, e presso il Banco di Sicilia disposto a provvedere ai finanziamenti necessari). D a tempo ho insistito anche per il più largo e utile rimboschimento montano, sia presso la Cassa per il ~Mezzogiorno,sia presso I'Assessorato competente che fu distaccato di fatto da quello dell'Agricoltura, pur restandone il titolo sine re; i miei sforzi hanno approdato a ben poco. Si cercano prowedimenti demagogici: cantieri di lavoro (dena-
ri buttati), e la Sicilia ne ha avuti Dio sa quanti dalla Regione oltre che dallo Stato; imponibile di manodopera (ora dichiarato incostituzionale) e agitazioni sindacali; ai quali oggi si aggiungono le riunioni e le agitazioni promosse dai socialcomunisti e portate in sede regionale con o senza Milazzo. Tutto questo è la vitalità apparente della Regione guidata dal lavorio di un partito bene organizzato, il comunista; questo, si dice, abbia formato un suo comitato direttivo segreto che muove le fila, secondo le vecchie ma sempre efficienti istruzioni di Lenin: appoggiare i governi borghesi, injitrarsi in essi, injuire al di dentro per corroderne la compagine e dirfarli. Così in Sicilia: il movimento cristiano-sociale dei dissidenti d.c., che oggi affianca Milazzo e crede già essere a posto nella futura lotta elettorale, è in sostanza favorito dai socialcomunisti. Se prenderà cinque, sette o nove seggi, dopo avere combattuto le elezioni fianco a fianco con costoro, si avranno quei cinque, sette o nove deputati cristiano-sociali uniti con i socialcomunisti per formare il nucleo della maggioranza relativa, mentre la DC, minorata dei posti dei dissidenti e di eventuali perdite locali, potrà, sì e no, totalizzare una trentina di seggi. Resteranno venti seggi per i cinque o sei partitini: costoro (PSDI, PRI) - (PLI) - (PMP, P N M e MSI), secondo il numero che totalizzeranno, potrebbero divenire gli arbitri della situazione; ma gli uni resteranno all'opposizione democratica; gli altri, come oggi, saranno i succubi del connubio di estrema sinistra. Anche nell'ipotesi più favorevole di una intesa DC-destre, più liberali, i vantaggi ottenuti dai socialcomunisti, i quali hanno preso posto nelle Provincie, nelle commissioni di controllo, nelle strutture di enti e sotto-enti, nei gangli della vita locale, influiranno, e avranno sempre una maggiore presa sulle masse operaie e sulle categorie dei disoccupati e sottoccupati e nelle agitazioni demagogiche. I democristiani non solo non sanno fare la lotta ai socialcomunisti, ma con la loro articolazione politico-sindacale (a parte l'Azione Cattolica) formano tanti compartimenti-stagni che non si uniscono mai nelle piazze e nelle strade a fare dimostrazioni collettive e a dare l'impressione di una forza reale e non apparente; in verità, avendo fatto troppo la parte di maggioranza, ignorano i metodi dell'opposizione di massa. L'analisi mia è cruda; ma chiara, sincera, preoccupata. Piazza del Gesù non pensi a mandare laggiù i soliti commissari, proconsoli, vice-re. La Sicilia, dai Romani in poi, ne ebbe molti, antichi e moderni, governativi e partitocratici. La Sicilia ha bisogno di comprensione, di rispetto, di aiuto, per superare la crisi che deve essere superata a ogni costo, perché se il social-comunismo penetra in Sicilia, non si fermerà a mezza strada; passerà lo Stretto.
Il Giornale d'Italia, 2 1 marzo 1959
Appello ai siciliani Non ho titolo specifico per parlare ai siciliani, tranne i miei 87 anni compiuti e la mia attività nei più svariati campi della religione, della cultura, della politica e dell'amministrazione. Non pretendo essere ascoltato, né seguito; ho provato tutto nella mia vita: I'esaltazione e il dispregio; la fiducia e l'oblio; anche oggi, che, a parte il contributo che posso dare al lavoro legislativo in Senato, credo di servire in modo speciale il paese nel campo giornali-
stico e culturale, non pretendo di trovare un seguito che sorpassi i consensi del lettore assiduo e forse già convinto per conto suo di quanto io scrivo. Pure, in un momento assai tormentato per i miei conterranei, reputo doveroso non mancare all'appello, se non altro come rinnovata testimonianza di solidarietà e di affetto a quell'Isola che ci rende, o dovrebbe renderci, uniti, non nell'isolamento geografico, né in quello politico e cilturale, ma nelle speranze di bene, nelle attività di lavoro, nel progresso morale e materiale, nel desiderio, anche se ambizioso, di portare la Sicilia al più alto livello fra le regioni italiane e contribuire ad affermarla, quale dovrebbe essere: ~ e r del k Mediterraneo. Appartiene al campo del realizzabile simile finalità? Ricordo che dopo il mio discorso sul Mezzogiorno, letto a Napoli il 18 gennaio 1923, Giustino Fortunato, che giustamente faceva autorità in materia, ebbe a farmi arrivare le sue riserve sull'ottimismo che lo ispirava; ma a trentasei anni di distanza, credo possa dirsi che il mio ottimismo non sia stato infondato e il suo pessimismo poteva essere eccessivo. I1 Mezzogiorno può risorgere; il Mezzogiorno sta risorgendo, come può risorgere e sta risorgendo la Sicilia e la nostra consorella, la Sardegna; questa la risposta dei fatti, pur in mezzo ad errori, incomprensioni, esagerazioni. Ci vogliono: uomini, tempo, organizzazione, tecnicità, mezzi adeguati, perseveranza. Gli uomini non mancano; purtroppo non pochi fra noi mancano di preparazione, sono improwisatori, diffidenti, presuntuosi, discontinui. Perché i meridionali fuori delle loro regioni, siciliani compresi, riescono a prendere posizioni importanti, divenendo centro di iniziative notevoli, superando forti competitori, affermandosi pur in mezzo a gravi difficoltà? Vexatio dat intellectum: messi alle strette, obbligati al rischio, sanno fare molto meglio Gaori del loro ambiente, nel quale il provincialismo, la limitatezza dei mezzi, la sfiducia reciproca, la critica dei fannulloni, l'oppressione dei mafiosi, l'intrigo dei profittatori rendono difficile le iniziative e contestabili i piani audaci e gen~rosi.Forse mancano iniziative valide in Sicilia e nel Mezzogiorno? no; siamo denigratori di noi stessi; svalutiamo il bene che invidiamo; ignoriamo quello che sanno fare gli altri, perché riesce rimprovero alla nostra incapacità di volere.
Parliamo di politica: fin dall'occupazione napoleonica del Regno di Napoli, fu alla Sicilia fatta promessa di ridarle autonomia con la restaurazione del suo parlamento. Ma tanto i Borboni quanto gli Inglesi a guerre finite, dentro e fuori il Congresso di Vienna, mancarono alle loro promesse; vecchia storia. Nel gennaio 1848 a Palermo si levò la prima voce europea della libertà e dell'indipendenza; risorse il parlamento siciliano; si lottò, si perdette come perdettero tutti, meno il Piemonte. Il parlamento siciliano lasciò una storia e una speranza. Oggi siamo alla vigilia del primo secolo dallo sbarco di Garibaldi a Marsala; anche allora non mancarono promesse di autonomia alla Sicilia, promesse che portò via il vento. Le speranze, sempre vive nel cuore dei siciliani, furono discretamente realizzate nel maggio 1946 con il decreto-legge di autonomia, trasformato nel 1948 (un secolo di attesa) in legge costituzionale. Ebbene da allora in poi l'opinione pubblica italiana p a r d a alla Sicilia come a una regione estraniata, da tenersi sotto osservazione; si cerca di sottrarle diritti riconosciuti, contestandone istituti, limitandone poteri, diminuendo contributi, vessandone l'organizzazione con interventi tali da minorarne perfino personalità, libertà, possibilità di sviluppo. In questo stato d'animo incosciente e voluto allo stesso tempo, politico e istintivo, si sono insinuate preoccupazioni di un separatismo inesistente e irrazionale, perché la Sicilia non sarebbe mai self-sufficient; direi quasi di invidia per istituti più liberi,
per un'autonomia più accentuata, che non siano stati elargiti ad altre regioni. C'è il vecchio accentramento e la vecchia concezione statalista e burocratica del Piemonte e una specie di gelosia mai estinta per un eccessivo sviluppo meridionale. C'è dell'irrazionale e del formalistico; c'è il pregiudizio unitario, il senso di potere anche in regime democratico. Dall'altro lato, i siciliani chiamati a costituire e governare la Regione, presero, fin dai primi giorni, l'aria di volere ticopiare il Parlamento e il Governo nazionali; si attribuirono compensi pari a quelli dei deputati e dei senatori di Roma; mostrarono una larghezza pomposa e allo stesso tempo vennero meno alla dovuta regolarità dell'amministrazione, alla fermezza della disciplina, alla rigida responsabilità legislativa e attiva. Errori questi della prima attuazione del nuovo istituto (come quelli che son capitati alla Repubblica Italiana dal 1946 in poi); pur avendo approvato (Stato e Regioni) leggi utilissime, adottato criteri savi e attuato equilibrati interventi. Ma sopravvenne la crescente e opprimente partitocrazia che dal centro alla periferia ha infettato la nazione, compresi gli enti locali e le nascenti regioni; la Sicilia ne h sopraffatta, anche per certe rare ataviche che persistono nelle nostre vene. Chi legge, infatti, la storia siciliana nelle sue fasi medievali e moderne, trova la stessa piaga delle divisioni dei siciliani di fronte al potere esterno, non importa se papale o valoisiano, se aragonese o asburghese, se borbonico o savoiardo. Anche oggi l'attuale Giunta regionale che si crede simbolo di sicilianità subisce l'indirizzo delle Botteghe Oscure, come quella precedente subiva l'influsso di Piazza del Gesù. Cuore siciliano di indipendenza e di resistenza, dove ti trovi oggi?
La politica è fatta di economia e viceversa; la Sicilia ha in sé non solo possibilità politiche e morali per superare la crisi; ma ha tale potenziale umano e produttivistico da vincere, volendo, la disoccupazione, la sottoccupazione e l'insufficienza dei redditi attuali. La politica economica della Sicilia va riveduta da capo a fondo. Punto di partenza il sistemaforestale. Diceva un tecnico americano della FAO, venuto dieci anni fa a visitare la Sicilia, che il mare che la circonda in mezzo secolo ha assorbito le terre fertilizzate di tutto il nostro territorio. La prima e capitale cura dovrebbe essere quella dei rimboschimenti delle zone montane e calancose, delle zone non altrimenti fertilizzabili. I progressi fatti nel decennio pur con buona volontà e mezzi mai prima avuti, sono stati assai limitati per mancanza di tempestività, di cura amministrativa, di serietà tecnica. Rilevava il proE Giuseppe Medici (lo diceva da professore e non da ministro) che con cinquecento laghetti collinari si potrebbe ottenere una maggiore umidità atmosferica nelle campagne siciliane. Fin oggi appena una cinquantina di laghetti sono stati sia costruiti che progettati. I1 tempo passa a nostro danno. Leggi non mancano in Sicilia; direi ce ne sono troppe e se ne fanno con ritmo accelerato (come a Roma) specie per favorire categorie impiegatizie (come a Roma) o per la creazione di enti inutili, parassitari, costosi (come a Roma); ma le vere sistemazioni idrauliche e forestali, a parte le poche e non tutte fortunate della Cassa per il Mezzogiorno, sono non meno abbandonate alla loro sorte (come a Roma) e nelle mani di una cattiva organizzazione di corpo privilegiato: il forestale (come a Roma). Non valeva la pena istituire la Regione per fare un copione della inabilità amministrativa dello Stato italiano in tale materia; e fosse la sola! Agricoltura: dopo avere dato uno scossone con la Riforma Agraria, che la Regione fece metà di sua impronta e metà ad imitazione della legge «Stralcio»,per maggiore danno consentì un esagerato spezzettamento di quote per i concessionari, così da non corrispon-
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dere alla minima unità poderale né soddisfare ai bisogni di una famiglia colonica. A questi errori di impostazione seguirono quelli di esecuzione, con spese inutili mentre si trascuravano le necessarie; con scelte di zone impervie o mal coltivabili, invece di quelle più adatte allo scopo, e così di seguito; fu adottata in pieno la teoria statale (contraria a quella economica) del massimo sforw e del minimo risultato. C'era un buon provvedimento nella legge regionale: quello di sollecitare, favorire e imporre l'obbligo dei miglioramenti agrari nelle zone rimaste ai proprietari; i nove anni trascorsi nella inazione, non ostante i bei propositi e perfino i piani di lavoro, non possono dirsi danno da poco; se ne vedono gli effetti oggi che la disoccupazione agricola è notevolmente aumentata. Orientamentoproduttivo:a parte la coltivazione del grano duro, la cui campagna è valsa a richiamare l'attenzione isolana sopra uno dei più interessanti problemi della propria produzione (nei terreni adatti e non dappertutto), si è lasciato senza sufficiente assistenza l'allevamento degli animali da latte; manca un piano zootecnico e produttivo efficiente, base necessaria all'agricoltura siciliana; non si è curato come doveva essere la produzione del cotone; si è abbandonata l'idea della coltivazione dei semi oleosi; non si è dato impulso alI'intensificazione dei foraggi verdi per tutto l'anno e così di seguito. Mi dicono: gli agricoltori non ne hanno voglia, non hanno mezzi, non hanno speranze: sono sfiduciati, perché oberati di tasse, colpiti dalla pressione previdenziale, resi incerti dalle agitazioni sindacali. Tutto ciò in parte è vero, in parte esagerato; ma la Sicilia aveva la sua Regione; invece di mandarvi quasi tutta gente incompetente, poteva fare migliori scelte per i propri deputati. Quale serio contributo han dato agricoltori e tecnici in Sicilia alla ripresa agraria? Assai modesto, nonostante i bei nomi di professori e di tecnici che abbiamo in loco. Conclusione per me evidente: le possibilità agrario-forestali siciliane sono molte, di lunga lena, di preciso orientamento, di sicuro risultato. Bisogna riunire insieme tecnica, politica e lavoro; destare fiducia, cooperare sul serio, senza venir meno (ecco il punto difficile) né per disappunti politici, né per errori pratici, né per dilazione nel tempo dei vantaggi sperati.
L'industrializzazione siciliana va avanti, lentamente, superando difficoltà e altre affrontandone; ma va avanti. Non accenno qui agli episodi dell'ENI, della Sicindustria, della Finanziaria, e altre piccole e grandi noie locali; sono elementi di una economia nascente che si afferma. La Sicilia al centro del Mediterraneo non può non essere tutta industrializzata: tempo, pazienza, fiducia nell'iniziativa privata. Le statizzazioni e le regionalizzazioni sono i nemici della produttività e della stessa classe lavoratrice; bisogna avere il coraggio di affermare questa verità e difenderla nel campo pratico. La Regione dovrebbe limitarsi a dare esenzioni fiscali o concorsi integrativi; non pretendere di fare il doppione dell'infausto ministero delle partecipazioni, che è uno dei bubboni politico-economici dello statalismo imperante. Sbocchi commerciali la competenza principale è del Ministero del commercio con l'estero; la Regione coadiuvi, aiuti, consolidi le conquiste: vini tipo, cotone tipo, agrumi tipo; tipizzare, specializzare con serietà tale da meritare la piena fiducia dei Paesi importatori. Così arriviamo al punto principale: formazione di tecnici, di studiosi, di specializzati; costino quel che costino; la Regione invece di tenere due o tre mila impiegati più o meno senza titolo nei vari dicasteri ed enti, che ha il piacere di creare a getto continuo, ne tenga
solo mille; ma contribuisca ad avere mille tecnici, capi azienda specializzati, professori eminenti, esperti di prim'ordine. Solo così la Regione vincerebbe la battaglia per oggi e per l'avvenire; sarebbe così benedetta l'autonomia da noi vecchi e dai giovani; i quali ultimi invece di chiedere un posticino nelle banche o fra le guardie carcerarie, sarebbero i ricercati delle imprese industriali, agricole e commerciali nazionali ed estere. Scuole serie, scuole importanti, scuole numerose, scuole che insegnano, anche senza diplomi al posto di scuole che danno diplomi e certificati fasulli a ragazzi senza cultura e a ragazze senza cervello. È vero: sono un ottimista impenitente, anche di fronte ad una oscura situazione, alla vigilia di una battaglia elettorale tormentata, con l'incubo del social-comunismo che ci opprime. Ma voglio andare all'altro mondo, quando Dio vorrà, col mio ottimismo. Che potrei dire di più? È forse mio compito fare appello a colleghi sacerdoti e a parroci zelanti per l'educazione cristiana delle famiglie? Ma senza questa, cade tutto, perché «Inprincipio erat Verbum et Verbum erat apud Deum et Deus erat Verbum)). Auguri fraterni a tutti.
Il Giornale d 'ltdlia, 24 marzo 1959
Cattolici cittadini Qui parlo di ((cattolicicittadini)),e non di «cittadini cattolici)),i quali rappresenterebbero, nella statistica dei cittadini, solamente una categoria, quella che professa la religione cattolica rilevata dai registri parroccchiali. Cattolici cittadini sono, invece, coloro che concepiscono l'appartenenza alla vita della Civis (città, provincia, regione, nazione) come spiritualmente animata da una realtà religiosa che tutto comprende, nobilita, eleva, sublima. Chi vive la famiglia cattolicamente la sente come un sacrario, un cenacolo, un santuario, nelle sue gioie innocenti e nei suoi profondi dolori, nelle sue virtù e nelle sue umane debolezze; così il vero cattolico sente e deve sentire ogni vita associata della quale fa parte sia quale cittadino nel piccolo comune sia quale cittadino nella nazione. L'amore del prossimo si estende ai rapporti naturali con tutti gli uomini, senza barriere di confini. Noi cattolici non possiamo mancare di associarci alle opere di diffusione della verità e del bene, specie alla umanità deviata e sofferente. Da bambino i miei genitori mi iscrissero all'Opera della Santa Infanzia e all'altra della Propagazione della Fede e quindi al1'Associazione antischiavista; fu quello un mezzo efficace per sviluppare il senso di solidarietà cristiana e umana.
Dunque: cattolici cittadini. Primo pensiero, adempiere i doveri del cittadino con spirito cristiano. L'adempimento dei doveri è fondamentale nella vita associata; il modo, lo spirito dell'adempimento ne rendono il valore etico permanente sia per l'educazione dell'individuo che li adempie, sia per l'effetto nell'ambiente comunitario. Prendo ad esempio due tra i doveri più gravi: il servizio militare e il pagamento delle imposte; la ripugnanza istintiva, la resistenza naturale, l'obiezione su metodi e sistemi ri-
p a r d o questi doveri non sono mai mancati e non mancheranno. Vorrei che ci educassimo a sapere ben distinguere, per non oltrepassarli, i limiti fra quel che è nostro dovere, in modo da esercitare l'uno e l'altro senza contraddizioni e senza eccessività. I1 cittadino elettore può esprimere il suo punto di vista circa il metodo, lo spirito, le finalità della organizzazione militare del proprio paese, cercando di farne valere la ragionevolezza attraverso i mezzi politici che la Costituzione consente: stampa, opinione pubblica, organizzazione di partiti, rappresentanza parlamentare e così di seguito. Quando la legge è già in attuazione, il cattolico cittadino la osserverà nello spirito che essa ha, come un servizio al bene comune. Ciò non toglie di poterne volere, a tempo e luogo, le modifiche che saranno suggerite dall'esperienza, di auspicarne i miglioramenti pratici che le esigenze morali, igieniche e tecniche impongono. Fare il proprio dovere e aspirare al meglio per il bene comune si possono e debbono collegare insieme con senso di prudenza, pazienza, docilità e umiltà. Tutto va compreso in queli'amore cristiano, il cui inno, - il più bello elevante realistico, - fu scritto da S. Paolo. Perché tale inno non si insegna a memoria agli alunni e alle alunne delle nostre scuole?
Imposte e tasse? come si fa a pagarle di buona voglia? come si fa a non cercare di sottrarsi all'obbligo anche con sotterfugi? Si fanno le dichiarazioni a denti stretti con qualche dimenticanza, omettendo per esempio quella piccola cifra che farebbe cedere la bilancia verso lo scatto di aumenti. Uno è il criterio onesto: dare quel che è dovuto; evitare gli errori a proprio danno, ma evitare i ripieghi a danno dello Stato. Dall'altro lato, i cittadini sanno bene che è loro diritto (e ogni diritto ha per corrispondenza un dovere) chiedere l'equità nella imposizione insieme alla onestà nella gestione dei fondi ricavati dalle imposte. Su questo punto il cittadino si faccia valere, e non si associ con coloro che, mentre compiangono il contribuente che paga troppo, appoggiano coloro che sperperano il denaro pubblico in modo scandaloso, senza freni e senza rimorsi.
Molte volte sentiamo ripetere la frase: «di politica io non mi occupo; fo i miei affari; se mi vogliono, sanno bene il numero di casa)).Costoro, gli assenti volontari della vita pubblica, sono i principali responsabili del predominio delle cricche dei maneggioni, dei profittatori del pubblico denaro, dei sostenitori delle più grosse speculazioni a danno dei veri lavoratori, dei modesti operatori, della maggior parte delle famiglie di ceto medio e degli onesti professionisti. Hanno mai sentito essi parlare del problema della moralkzione della vita pubblica? Ed hanno mai preso interesse a tale problema? Ed hanno mai contribuito a rendersi conto dove sta il marcio? Sanno tutti per prova quali difficili situazioni si creano con la cattiva educazione della gioventù, ma non sono pochi i padri e le madri sui quali ricade in gran parte la responsabilità di non aver saputo scegliere la scuola dove mandare i figlioli, non avere vigilato sulle amicizie e i legami da essi presi, né sui libri e i fogli da essi letti, né sui motivi dell'abbandono delta pratica religiosa e così di seguito. Come pretendere di formare buoni cittadini quando la gioventù è cresciuta senza sentimenti religiosi e senza disciplina familiare? Come evitare che poi essi votino per candidati amministrativi e politici disonesti, bacati, incompetenti, ignoranti, demagoghi senza coscienza, sowersivi per tornaconto, man-
cando così al proprio dovere di cattolico cittadino, e concorrendo positivamente al danno della pubblica amministrazione e dei più vitali interessi della vita in società? Non voglio tramutare I'articolo in predica; ma debbo pure avere dei punti di partenza come la famiglia e la scuola; perché il cittadino deve sentirsi tale anche a sei anni quando va alle scuole elementari; deve sentire l'eco dell'amore della patria negli asili infantili, così come vi sentirà l'amore per la propria famiglia, per la maestra, per la chiesa dove è condotto a pregare. Il cattolico vero si forma proprio formando il buon figlio di famiglia, il diligente scolaro, il solerte cittadino; i veri legami di vita si sviluppano armonici come credenze, affetti, simpatie, doveri senza soluzione di continuità.
Così si crea una vera carena di solidarietà; questa si estende a tutti gli organismi che integrano la nostra vita esteriore e servono alla nostra attività quotidiana. Il lavoratore avrà il suo sindacato; il professionista il suo ordine; il fedele la sua parrocchia; il prete la sua gerarchia; il soldato il suo reggimento; l'elettore il suo partito; il politico il suo inquadramento; il professore la sua cattedra e la sua scolaresca; così tutta la società, in una reciprocanza di diritti e doveri che si intrecciano e intersecano nella sicura tutela giuridico-morale, non solo della magistratura civile o penale, o amministrativa, ma degli stessi organi del potere e del controllo pubblico. Quel che interessa è il culto del proprio dovere; il valore della propria dedizione al bene degli altri; il desiderio del bene anche con propri sacrifici; la vittoria dell'egoismo con l'amore del prossimo; il desiderio di pace sul trionfo dei propri interessi; la finalità morale su quella materiale; la gloria di Dio (che è il bene), sulla gloria dell'uomo (che è l'egoismo, il male). L'insegnamento del Cristo circa la unicità dell'amore che si volge a Dio e al prossimo con due precetti simili e concornitanti sarà la esplicita e unica formula del giudizio finale di merito o di demerito di ciascuno di noi in base a quel che abbiamo fatto al prossimo. Invero, secondo il Vangelo di S. Matteo, Cristo in persona darà il premio in base all'osservanza delle cosiddette opere di misericordia: dare da mangiare agli affamati, da bere agli assetati, vestire gli ignudi, visitare i carcerati, assistere gli infermi e così di seguito, ogni azione di bene per sofferenti fatta come se diretta proprio a Lui, alla persona del nostro Fratello maggiore e nostro Salvatore e Giudice, Cristo, l'Uomo-Dio.
IL Nuovo Cittadino,27 marzo 1959
Un messaggio di Scurzo al terzo convegno di studi giuridici sulla Regionebo Onorevole Presidente, sarei stato felice di intervenire al I11 Convegno di studi giuridici sulla Regione che sarà tenuto costà nella prima settimana di aprile; prendere contatto con autorevoli cultori di studi regionali e visitare cotesta affascinante Isola. P -
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I1 I11 convegno di scudi giuridici sulla Regione fu inaugurato il 1" aprile 1959 a Cagliari.
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Ma pur non potendo venire, per ragioni di età e di salute, non posso negare un mio scritto, a nessun altro titolo che quello di essere stato il promotore dell'Istituto di studi giuridici e politici sulla Regione, anche se il momento per le autonomie regionali non sia molto favorevole. Anzi, proprio perché non è favorevole, una parola che sia insieme critica e fiduciosa, servirà a contribuire per la rettifica della pubblica opinione. Certo, non era nelle intenzioni dei promotori fare delle regioni organi a carattere politico-partitico, e di conseguenza un centro delle continue lotte elettorali, alternando quelle politiche con quelle amministrative di ogni specie. L vero che l'esperienza itatiana degli enti locali, attraverso l'accentramento politico e amministrativo statale, prima del fascismo era stata a carattere politico; però, essendo allora ogni attività comunale e provinciale poggiata sopra la classe borghese trovava nell'obbligo di contribuente principale I'autolimitazione alle spese, anche se (per motivi politici) le autorità tutorie non fossero sempre solerti a fare osservare le leggi delle entrate dovute e delle spese necessarie. Ma dopo il periodo di esrrornissione dei cittadini da ogni attività comunale e provinciale (quando il passato regime diede agli enti locali il carattere di organi del partito-governo) la restaurazione delle autonomie si impose come riconoscimento di diritti popolari, mazo di educazione civica e politica, necessità di decentramento amministrativo. L'intramatura politica è stata inevitabile, anche per il fatto che le Regioni sono organi gerarchici degli enti locali. L'errore fondamentale, oggi difficilmente rimediabile, è stato quello di adottare il sistema elettorale proporzionale per tutti gli enti locali, comprese le regioni, rendendo così i relativi consigli addirittura partitocratici, assillati più dalla dosatura degli interessi di partiti anziché responsabili di quelli della comunità rappresentata. Se questo male è stato grave per quei comuni nei quali è stata confermata la proporzionale e un tempo anche per le provincie, è ancora più grave per le regioni, i cui poteri sono molto più larghi e sotto certi aspetti al di fuori di altro controllo formale o di merito che non sia quello della Corte costituzionale per la legittimità delle leggi o della Corte dei conti per la regolarità formale delle spese. La partitocrazia ha reso il parlamento nazionale un organo formalistico e in certi casi purtroppo un doppione dei gruppi; le quattro assemblee o consigli regionali esistenti hanno subito facilmente l'usura partitica dopo un primo periodo di maggiore senso di responsabilità. Ciò perché, poco a poco, sviluppandosi il frazionamento dei partiti e aumentando la frequenza elettorale, è stata quasi sempre imposta ai gruppi politici dei consiglieri e deputati regionali una più forte disciplina partitica con tutti gli effetti deleteri di apparente conformisrno centrale e di sostanziale dissidio locale e mettendo in chiaro il dissolversi dei partiti in correnti e in gruppi. I pericoli di tale disintegrazione organica sono visibili anche senza fare riferimento al caso eccezionale che travaglia la Sicilia o quello specifico dell'Alto Adige; disintegrazione che viene caratterizzata da quanto viene trasportato fedelmente dal Centro alla periferia: a) la regionalizzazione fatta ad imitazione della statizzazione, creando enti, gestioni fuori bilancio, corpi autonomi, che sfuggono di fatto ad ogni effettivo controllo ed acquistano influenza e poteri extra-amministrativi con l'aggravi0 di spese a carico del bilancio e con la formazione di una clientela ad alti stipendi che contrastano con gli stipendi limitati del personale impiegatizio delle regioni e degli altri enti locali amministrativi; b) la tendenza accentratrice di poteri nella regione (proprio come fa lo Stato) su Comuni e Provincie violando o alterando i limiti delle autonomie riconosciute dalla Costituzione; mentre dall'altro lato non si cura la sana organizzazione del controllo sugli enti loca-
li che la Costituzione ha affidato alla Regione, per il principale fatto che di taie delicata funzione le regioni ne dovrebbero rispondere alle loro assemblee o consigli, i quali pretendono più che altro ad una funzione parlamentare invece che a una funzione amministrativa. Esiste in Sicilia il consiglio regionale di giustizia amministrativa che ha funzionato e funziona egregiarnente ed ha reso notevoli servigi alla retta amministrazione regionale; ma le leggi statali per una regolamentazione generale dopo dieci e più anni di costituzione, tardano a venire; e la materia degli enti locali (Camere di Commercio comprese) è ancora regolata con leggi sorpassate o incostituzionali. Parte di questi errori dipendono dalla posizione presa dal mondo della cultura italiana contro le regioni sia dal punto di vista politico che giuridico, riguardandole come enti intrusi, spuri da dovere essere eliminati. E questo stigma pesa molto anche nella stessa funzione della Corte costituzionale, non ostante che fra i giudici ve ne siano quattro la cui esperienza, per avere fatto parte dell'Alta Corte siciliana (alcuni per molti anni) o per essere stati sostenitori delle regioni, avrebbe dovuto far cadere molte delle prevenzioni ostili e dei preconcetti unitari esagerati. La Regione per sé non è affatto elemento nazionalmente antiunitario; al contrario, rende più efficiente l'unità nazionale pur nella varietà delle organizzazioni locali. I1 conflitto che io accuso è proprio nella concezione antagonista delle burocrazie locali e centrali; nel senso tradizionale di un dispotismo centrale verso la periferia che rimonta al piemontesismo risorgimentale, nonché la intramatura politicizzante, che danneggiò il Mezzogiorno fin dall'inizio dello Stato unitario. Tutto si paga e tutto si può utilizzare; anche gli errori del passato e quelli del presente. A vedere controluce i problemi regionali, vi troviamo in nuce i problemi nazionali. Se si lamenta la partitocrazia elettorale delle regioni, si risale alla partitocrazia elertorale nazionale simile e peggiore per la molteplicità degli effetti. Se si lamenta la mancanza della osservanza delle leggi amministrative e regionali, arriviamo alla malattia del potere senza reali limiti in uno Stato che è «Stato di diritto», e dovrebbe esserlo nella realtà, ma non lo è nella struttura. Se ci lamentiamo dello sperpero del denaro pubblico nelle regioni, arriviamo facilmente a individuare tale sperpero nel campo nazionale con tale mancanza di rispetto alle leggi della moralità pubblica (specie da parte di enti statali ben noti) da non poterne più precisare i limiti. Ebbene: ho presentato al Senato un disegno di legge riguardo il finanziamento dei partiti, gestione e lotte elettorali. Son passati nove mesi e non si è avuto ancora parere della 2" commissione «giustizia» circa la legalità delle varie disposizioni proposte. Vi è purtroppo una marcata tendenza alla insabbiatura, così da mettere il problema fuori circolazione, non pensando che quando un problema è posto, la coscienza pubblica ne esige una soluzione. Ebbene, anche questo è problema regionale; tanto più evidente, quanto più facilmente i partiti politici con i loro apparati centrali cercano di influire sulle regioni, togliendo o ottenendo proprio quella autonomia che le regioni hanno ottenuto dalla Costituzione sul piano parlamentare e governativo. Debbo chiedere perdono a lei, signor Presidente, e agli intervenuti per il tempo che avrò sottratto alle vostre discussioni; ma sono sicuro che pur astraendo dalla realtà contingente, il giurista terrà conto anche nelle sue costmzioni armoniche di una realtà superiore, la legale, quello stydio dei fatti storici che sta a mezza strada fra la speculazione e l'avvenimento. I migliori auguri e i più deferenti omaggi a tutti gli intervenuti.
Il Giornahditalia, 31 marzo 1959
Binomio di «potere e denaro)) Sotto il titolo «Voci sul Convegno)) il prof. Santoro Passarelli, richiamandosi su «Justitian dell'ottobre-dicembre scorso al mio articolo Libertà, moralità, legalità deipartiti, afferma essere state inesatte le voci a me arrivate e riportate come «Voci».Fin qui non avrei da fare altro che prendere atto dell'autorevole dichiarazione del presidente del convegno dei giuristi cattolici. Ma egli afFerma anche che (ci1convegno ha preso netta posizione a favore della libertà dei partiti politici e contro ogni tentativo di "legalizzare" l'esistenza e l'azione dei medesimi)).Un siffatto tentativo è apparso anche in contrasto con l'art. 49 della Costituzione, secondo cui «tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti)). Il tentativo sarebbe stato, a quanto pare, quello del mio disegno di legge che egli qualifica come controllo deljnanziamento dei partiti e dei candidati. Non credo che dal resoconto della discussione awenuta in merito potrà emergere una prova qualsiasi che il mio disegno di legge possa essere precluso dall'articolo 49 della Costituzione in quanto offensivo della libertà dei partiti; né che quell'awerbio liberamente, riferito ai cittadini, possa impedire che la legge intervenga ad ovviare irregolarità e violazioni di norme giuridiche esistenti o di principi presupposti, specie nel campo dei rapporti morali. Forse la libertà di stampa non è regolata da leggi? E le libertà di opinione, riunione e voto? Ma dove troverebbero i giuristi cattolici una qualsiasi specie di libertà di dire o di fare che non abbia o non possa avere regola alcuna? Ai contrario, è proprio di ogni libertà la necessità della regola, affinché la libertà individuale non offenda quella dei rapporti reciproci. Questa norma razionale, fatta propria dai compilatori della dichiarazione dei diritti dell'uomo, è messa a base di ogni democrazia veramente tale. A conferma di quanto sopra, prego di rileggere la relazione da me premessa al mio disegno di legge, dove sono accennate varie disposizioni analoghe esistenti in paesi democratici, anche in quelli di lunga tradizione quali gli Stati Uniti d'America. I1 prof. Santoro Passarelli potrà procurarsi l'ultima pubblicazione di oltre 600 pagine fatta dal Senato degli Stati Uniti dal titolo: Report of the sub-committee on privileges and elections per le elezioni generali del 1956 e troverà le singole cifre dei finanziamenti a partiti e a candidati, la cui libertà personale, partitica e politica non è mai stata per tale pubblicità violata o limitata. H o creduto mio dovere scrivere quanto sopra, alla vigilia dell'esame che farà fra giorni la I commissione senatoriale, invitata dal presidente Merzagora a non far più giacere nel limbo delle cose noiose certi disegni di legge rimandati da mesi e mesi. A leggere il mio disegno, qualsiasi giurista si accorgerà che nessun partito verrebbe a cadere sotto il controllo di autorità costituite. Infatti, il riconoscimento della esistenza dei partiti vi è previsto come automatico, con la semplice presentazione dello statuto presso la cancelleria del tribunale nella cui circoscrizione ha sede la direzione del partito stesso. Ciò è previsto anche per le dichiarazioni delle entrate e delle spese. Solo ai cittadini elettori si riconosce il diritto a vedere statuti e resoconti e, se lo credono, denunziare le violazioni della legge all'autorità giudiziaria. Qualsiasi procedimento non cadrebbe sul partito, ma ne sarebbero chiamati a rispondere personalmente i firmatari dei documenti prodotti. Sfido io a trovare in tale congegno un controllo politico qualificato come limitazione legale al diritto di associazione in partiti da parte dei cittadini. Al contrario, la proibizione proposta per le amministrazioni statali e altri enti pubblici o semipubblici a sussidiare partiti e candidati è garanzia di eguaglianza di tutti i partiti di fronte a deplorevoli interventi di favore, a parte il necessario divieto (che
esiste nella legge, ma non sarebbe osservato) della distrazione di somme dall'ente pubblico a scopi non previsti da legge. Lo stesso vale per le altre proibizioni e più che mai per la limitazione di spese per ciascun candidato allo scopo di mettere sullo stesso livello partiti e candidati favoriti da persone e da enti danarosi e partiti e candidati in bolletta.
Porrei fare punto, ma reputo mio dovere continuare a insistere nella lotta per la moralizzazione della vita pubblica, lotta iniziata fin dal mio ritorno in patria con analogo articolo del 3 novembre 1946, riportato nel volume «Politicadi questi anni», 1954, p. 40 (Zanichelli). Si tratta del rapporto fra Potere e Denaro, che la democrazia avrebbe potuto attenuare e correggere, mentre, purtroppo, l'ha accentuato e reso cancrenoso. Non è da ora la mia campagna contro gli enti statali e parastatali di ogni specie; lotta che ha preso di mira I'ENI, quale espressione di un orientamento extra-e-soprastatale con ingerenze irrefrenabili sia nel campo parlamentare e partitico, sia nella stampa e nelle attività politico-marginaii, e perfino nella attività economica e imprenditoriale. Si osserva da alcuni che dopo i certificati di buona condotta dati all'ENI e al suo capo, con le risposte di Zoli e di Bo alle mie interrogazioni, non dovrei insistere a raccogliere notizie ((diffamatorie))verso un benemerito ente; ed ecco che viene ripresa la campagna con elementi non trascurabili portati in Parlamento, specie circa il Giorno di Milano, ritenuto giornale dell'EN1, o per lo meno dall'ENI finanziato e sostenuto e reso indipendente con una struttura patrimoniaie propria. I1 Governo non ha risposto su questa e su altre iniziative delllENI di strano carattere: margarina, olio di oliva e supermercati e simili. Tace anche sul tema dei finanziamenti dei partiti; tace sul numero di persone assunte con incarichi ben remunerati e non certo presi a caso; basta vedere quanti alti e medi funzionari dello Stato, magistrati compresi, abbiano posti, incarichi e compensi nelle 45 società e nelle molteplici iniziative dell'ENI. H o letto con piacere che il ministro Ferrari Aggradi ha dato un pubblico awertimento circa l'austerità amministrativa degli enti a partecipazione statale e di chiare- nei relativi bilanci e rendiconti, nei quali non si trovano dati chiari da potere individuare l'entità e la qualità dei fatturati, e il relativo rapporto con le vendite; né prospetti di bilanci economici degni del nome. E poi si arriva ai deficit clamorosi, come quelli degli enti cinematografici senza che nessuno risponda di niente, senza che i liquidatori ricordino di farne denunzia all'autorità giudiziaria, o se fatta, come per il caso già dimenticato dell'Alto Commissariato alla Sanità, non si concede in sei anni l'autorizzazione a procedere. Bastano questi esempi per indicare nei partiti che stanno dietro a ministeri e ad enti la causa principale dell'abuso del denaro pubblico, e individuare nella legge elettorale a tipo proporzionale, puro o quasi, il punto di partenza dei passaggio del Potere e del Denaro dalle autorità competenti ai privati liberamente associati in partiti politici.
I1 caso Milazzo ci dà una riprova di quanto sopra, riprova allo stesso tempo controluce e in luce. Dal maggio in poi Milazzo fu uno dei più vivaci critici dell'amministrazione La Loggia (pur facendone parte) specie a causa delle spese fatte o attribuite alla Regione per le elezioni politiche a vantaggio di candidati preferiti (i fanfaniani) e a danno di candidati osteggiati (gli antifanfaniani). Non fu il solo ad osteggiare La Loggia; ma egli arrivò a ri-
fiutare in Giunta il suo voto per il bilancio, assentandosi dall'aufa al momento del voto e inviando poi le sue ben note lettere di dimissioni. Dunque, Milazzo si presenta come moralizzatore; così ottiene l'adesione di dissidenti d.c., dei tre partiti di destra e dei due dell'estrema sinistra: un bel pasticcio di colori partitici, buoni per i presenti e i futuri moralizzatori. La Giunta Milazzo non ha fatto altro che eliminare con decreti ben stilati un certo numero di rappresentanti della Regione legati alla D C e sostituirli con gli amici o iscritti ai partiti di maggioranza. La scusa della moralizzazione non è arrivata ad inchieste fatte con le dovute garanzie, né a denunzie all'autorità giudiziaria o all'Alta Corte Siciliana (se si tratta di assessori o presidenti passati). I1 colmo è dato dal fatto che Milazzo tiene il Potere, o sembra tenerlo, ma non il Denaro; certi assessori regionali tengono Potere e Denaro; elementi extra Giunta spadroneggiano sul Potere e sul Denaro. I palermitani, come è costume, ne parlano sottovoce. Si domanda se le elezioni del prossimo 7 giugno si faranno su una base di larga corruzione, come fu detto fossero state fatte quelle del 2 5 maggio 1958. La convinzione generale è senz'altro affermativa: la proporzionale pura ne è stata la premessa, mentre l'abolizione delle preferenze prospettata da Milazzo sarebbe stata la premessa alla moralizzazione; ma Milazzo non ha polso. I mandati per numerosi appalti a trattativa privata (consentiti d a speciale legge regionale, il colmo!) sono passati alla Corte dei conti senza rilievi; e quali potrebbero essere tali rilievi nella generale omertà? Palermo vale Roma e viceversa; con la differenza che a Palermo si collabora con i socialcomunisti; a Roma, dopo il caso Giuffrè, si è fatto punto; dei comunisti (e socialcomunisti) emiliano-romagnoli, delle loro pseudobanche, delle loro importazioni ed esportazioni non se ne parla più, anche se di fatto costoro hanno buoni rapporti con tutti gli ENI statali e pseudo-statali. Siamo forse arrivati al punto che il Potere è condiviso a mezzadria (con falsa proporzione) fra tutti i partiti, mentre il Denaroè goduto, secondo la condiscendenza degli amministratori (pubblici e partitici) e la capacità dei profittatori (partitici e privati)? Una risposta da Palermo e un'altra da Roma, sarebbero graditissime per me, utilissime per certi giuristi (cattolici o no) di manica larga.
Il Giornale d'ltalia, 2 aprile 1959
Una lettera di SturzoG' Illustre Direttore, Mi permetto di inviarle, più che il mio compiacimento che certo non le occorre, il mio ringraziamento di italiano e di meridionale, per la sua risposta alla rivista straniera e per il suo articolo del 31 marzo scorso su «Pupetta» e Napoli. Ma è da notare anche il contegno di quella stampa italiana che per faciloneria, ignoranza o presunzione, non comprende quanto del passato sia tuttora efficiente negli strati popolani meridionali e quanto sia già stato superato e trasformato; come non comprende
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La lettera del 3 aprile 1959 a l direttore de *I1 Mattino,,, Giovanni Ansaldo, hi pubblicata preceduta da questa nota redazionale: Il nostro Direttore ha ricevuto la seguente lettera del Senatore Stutzo; lettera di cui si sente onorato, e di cui ringrazia l'Autore.
che ogni popolazione agglomerata specie nelle grandi città abbia un residuo di mala vita organizzata, il cui rigurgito emerge attraverso passioni, inceressi e miserie. Mi è gradita l'occasione per inviarle i miei più deferenti saluti Luigi Sturzo
Il Mattino, 8 aprile 1959
Fiscalismo statalismo pauperismo Prego il lettore di non meravigliarsi del ((trittico));il vero significato di statalismo, messo nel mezzo dei due malfattori: jscalisrno epauperismo, è quello della ((illegittimaingerenza statale violatrice delle libertà civili e politiche nelle quali sono incluse le libertà culturali (nel senso più ampio della parola perciò anche religiose, educative, artistiche) e quelle economiche)). Se si continua a confondere statalismo con intervento statale legittimo e anche doveroso, (come fanno ora tutti i polemisti di marca rnatteiana) non ci intenderemo più: parleremo due lingue polemizzando sul vuoto. Ciò premesso, questo articolo ha lo scopo di portare un contributo al problema della disoccupazione; problema non solo di attualità e premente, ma del quale le opinioni e gli atti, contrastanti fra di loro, sono centro di controversie politiche e di speculazioni di partito. Fiscalismo: nessuno può negare che l'Italia abbia il privilegio di essere ridotta ad un cumulo di leggi, di diversa origine e regime, spesso sorpassate e incoerenti. Per correggerne gli effetti si ricorre alle esenzioni occasionali, a quelle permanenti per redditi o per categorie; ai privilegi fiscali ad enti pubblici. Abbiamo una legislazione complicata e succinta; spesso del caso per caso; non poche volte, del caso demagogico e di profitto più o meno individuato, così da mancare un punto di orientamento per guardare dentro la voluminosa raccolta delle leggi, dei regolamenti e delle circolari (anche queste) riguardanti esenzioni. I1 rninistro Taviani, se durerà in quel dicastero come è augurabile, potrà rendere un grande servigio al paese, cercando fra l'altro di riordinare, semplicizzare e ridurre il settore delle esenzioni in rapporto ai criteri adatti alla situazione attuale dell'economia interna e di quella del mercato comune e degli scambi internazionali. 11 punto centrale della finanza statale non è e non può essere quello di ottenere dal contribuente quanto più gettito è possibile; perché lo Stato moderno tende a divenire il Moloch del mondo: più ha e più spende; più spende e più ha bisogno di avere; aumentando di anno in anno bilanci di spesa, debito pubblico, oneri di tesoreria, contributi e dotazioni per innumerevoli enti quasi sempre in bolletta. Dall'altro lato, come è comoda la vita del cittadino quando si può rivolgere allo Stato, domandando posti, stipendi, sussidi, concorsi, pensioni, indennità, partecipazioni a imprese, costruzioni di fabbriche, saldi di deficit, accollo di fallimenti, e così di seguito! Come fa lo Stato, ora fanno anche le Regioni esistenti e faranno le Regioni da creare; nessuna meraviglia se molte provincie e comuni con le loro municipalizzazioni e i loro deficit fanno lo stesso. Non è forse scandaloso che Milano pretenda dallo Stato miliardi per il Teatro della Scala? Nessuno nega che la Scala sia gloria italiana; ma i milanesi potrebbero amministrare da sé il loro teatro, senza ingerenze statali di nomine e di interventi finanziari, i quali servono solo a ingrossare le spese, a dare il capogiro ad amministratori e ad impiegati: c'è lo Stato?
ebbene, che paghi lo Stato. Un ragionamento da spensierati, o peggio, da profittatori. Avere mantenuto alla Presidenza del Consiglio la sezione speciale spettacolo, teatro, cinematografia quale stralcio dal celebre Minculpop è stato un errore. Palermo e Napoli, Roma e Venezia, Genova e iMilano e così di seguito, vogliono il contributo statale, altrimenti non possono pagare macchinisti e musicisti, ballerine e impiegati. Non parliamo di tutto l'insieme del servizio, ora affidato all'on. Magrì. Chiudo la parentesi scaligera, augurando che i milanesi pensino a trovare sul posto i fondi necessari per tenere su una Scala meno costosa e più artistica, con la speranza che vecchi e nuovi musicisti italiani rinnovino a Milano e altrove i miracoli dei Bellini e dei Verdi. Dunque statalismo da combattere: ecco un esempio fresco: una commissione presieduta dal prof. Mirabella deve precisare la natura, le dimensioni e la località di un impianto siderurgico da farsi dall'IRI nel Mezzogiorno d'Italia sulla base di un preventivo ad orecchio di centoventi miliardi. Quando si pensa che I'impianto AGIP di Ravenna cominciò con la previsione di trenta miliardi, da me validamente contestati; e poi, passando ai quaranta e ai sessanta, è arrivato agli ottanta miliardi (e non è ancora fermato), mi dicano i Mirabella e C . se i centoventi del 1959 non saranno i duecento del 1962, anno fissato come inizio di probabile funzionamento a vantaggio di circa duemila o anche tremila operai del Mezzogiorno. Come contributo alla disoccupazione di oggi assomiglia al «campa cavallo»; il contributo effettivo del 1962 lo sa solo Dio; la tecnica e l'economia internazionale avranno fatto tanto progresso da poter capitare all'impianto dei 120 miliardi quel che si dice stia succedendo a Ravenna per I'impianto AGIP: settoregomma tecnicamente superato; settorefertilizzanti cessione di prodotti sottocosto. Speriamo che dopo la circolare Ferrari Aggradi, avremo bilanci e rendiconti chiari e comprensibili. Certo, se potessimo conoscere i costi delle imprese ENI nostrane ed estere, impianto per impianto, senza passaggi di entrate e di uscite da un settore all'altro attraverso la finanziaria, e senza passaggi sottomano di cifre volatilizzate, si avrebbero dati più sicuri per comprendere quanto lo Stato ci rimetta sia per mancate entrate di gestione e tributarie, a parte i mancati incassi per esenzioni legislative e regolamentari, e per chiusura di occhi. Si è parlato di certi trafugamenti di gasoli e simili, nei quali sembra siano implicati concessionari AGIP; dopo i primi accenni di stampa, non se ne parla più, non essendo affare giornalistico interessante, come il caso Montesi o il processo Pupetta. I1 punto centrale della mia richiesta è proprio questo: conoscere il rapporto fra imprese statali o statizzate e Fisco-Tesoro, per accertare quel che di vantaggioso pervenga o possa pervenire ai servizi pubblici dentro i limiti di spesa normale (paragonata a quella consimile fatta da privati) e quanto vada a carico ingiustificato del contribuente, e perciò da eliminare.
Purtroppo, non è questo solo il fattore che pesa sul contribuente e ne ostacola le iniziative; altri fattori economico-statalistici contrastano fortemente la nostra produttività, primo fra tutti il costo del denaro. Le banche sono in grandissima parte enti statizzati o addirittura statali o con partecipazione statale e per giunta, agli effetti dei tassi attivi e passivi, legati ad un cartello politicamente imposto. Conseguenza: alto costo del denaro anche quand o la liquidità bancaria sia arrivata come oggi ad un livello preoccupante. Certi giornali filo d.c. hanno accusato gl'industriali di lasciare giacere il denaro invece di prendere iniziative produttive; è facile fare della demagogia, quando fin oggi la politica italiana filosocialista ha scoraggiato l'iniziativa privata. Non ripeto quello che scrissi nel
mio articolo Ridarefiducia. Vi è rapporto obbligato tra fiducia nell'awenire e maggiore iniziativa; tra libertà economica e maggiore iniziativa; tra fiscalità e maggiore iniziativa; certe regole non possono essere violate impunemente. Spero che l'attuale ministro alle Finanze risolva una buona volta il problema della nominatività dei titoli (già per conto loro risolto abbastanza bene dalle Regioni di Sicilia e di Sardegna) e cerchi di adottare, per quanto è possibile, il sistema americano che mi sembra garantisca abbastanza bene sia il privato che lo Stato. Non si preoccupi dello schedario in corso di compilazione oramai da un decennio, né della tradizione Vanoni, che oggi si ripristina (perché non dirlo?) un po' per la facciata. Dal canto loro, i d.c. di sinistra non se la prendano calda con la loro avversione verso «il capitale)),come se vivessero un secolo addietro; si persuadano che l'economia moderna, comunque sia congegnata, non può attuarsi senza capitale; questo esiste ed esisterà come esiste ed esisterà il capitalista; al plurale, capitalisti saranno i privati o gli enti privati o misti; al singolare, invece, unico capitalista sarà lo Stato, non importa se quello di Mosca o di Pechino; di Budapest o di Roma. La scelta è libera, cari amici, ed è nelle nostre mani: ma il capitale, quello che fa l'economia moderna, tecnica e conquistatrice, è necessario tanto a New York e a Londra, quanto a Bonn e a Parigi e perfino nella Roma governata da democristiani ovvero governata da socialcomunisti. Se il capitale frutta, se la produttività aumenta, se l'industrializzazione si sviluppa, se la tecnica si impone, se la massa operaia è abile, istruita, coraggiosa, intraprendente,.atta a comprendere quando potrebbe esigere aumenti e quando dovrebbe privarsene (come la classe operaia svizzera), la disoccupazione sarà vinta e il pauperismo debellato; al contrario, quando si vuole l'impossibile, alti salari, alti stipendi, alti costi, interventi statali a getto continuo, prowedimenti fiscali senza tregua; le campagne continueranno ad essere abbandonate, la disoccupazione aumenterà e con essa il pauperismo endemico nelle zone depresse e nella periferia delle grandi città.
Post scriptum. - L'aw.' Raffaello Torricelli mi ha scritto da Firenze che l'Opera ((Madonnina del Grappa», pur interessandosi al caso dei disoccupati della Galileo, non solo non è stata punto di partenza di una sfilata di bambini e bambine, da me rilevata nell'articolo Ordine cristiano e ordine nuovo pubblicato da Il Giornale d'Italia il 28 febbraio scorso; ma esclude anche che tale sfilata sia avvenuta. Avendo fatto scrivere alla rispettabile persona che aveva dato le informazioni da me riportate, si è avuta la risposta che egli non era stato presente alla sfilata; ma ne aveva avuto referenze tali da ritenere la notizia esatta. D o atto, quindi, all'aw. Torricelli della sua smentita. Il Giornale d'ltalia, 9 aprile 1959
Politica e morale Per conoscere il mio parere mi è stata segnalata la corrispondenza da Roma di tre settimane fa ad un noto quotidiano subalpino, che porta i grossi titoli: «Un dubbio di coscienza - La politica può essere cristiana? (inquietante dilemma di Fanfini)~.Non lo avevo letto, anche perché non essendo al corrente dei dubbi di coscienza di Fanfani, non avrei trovato elementi per chiarire un problema così intimo. Quel che rimane della corrispondenza gior-
nalistica è il sottotitolo: La politica può essere cristiana? Ma questa domanda non ha alcuna illustrazione nel testo; può, quindi, intendersi come si vuole; varrebbe lo stesso che dire se la politica possa essere laica, pagana, musulrnana, buddista; ovvero, se possa essere socialcomunista, comunista, liberale, nazionalista, democratica, aristocratica e così via. Prima di accettare o rigettare una qualifica, sarà bene comprendere la portata del soggetto. La politica è un'arte, I'arte di governare un'unità associata autonoma e indipendente quale lo Stato. È chiaro che si governa con i mezzi e gli strumenti che si hanno e si possono avere; altro è governare in forma paternalista; altro in forma tirannica; altro in regime assoluto e dittatoriale; altro in regime libero e democratico. La politica è sempre I'arte di governo; ma la struttura cambia secondo i mezzi che si hanno. L'artigiano antico aveva strumenti primitivi; oggi ha strumenti perfezionati; ieri produceva dieci, oggi produce cinquanta. Anticamente un esercito aveva frecce e lance; oggi si è arrivati ai missili e alle bombe atomiche. Ma I'arte di governo è sempre quella di governare; arte difficile, certamente, ma arte, la quale può essere eseguita da persone abili (politica abile) e da persone di poca o nessuna capacità (politica inetta). Conclusione: due prime qualifiche occorrono per definire la politica, una in base alla struttura dello Stato (democratico e dittatoriale sono gli estremi di oggi); i'altra di qualità (abile-inetta; buona-cattiva; mediocre-tendenziale); I'elencazione qualirativa non ha limiti. L'Italia ha per ora un regime democratico; il popolo vi interviene a mezzo di partiti, i quali formano governi di maggioranza assoluta e di maggioranza relativa, mono-bi-e-tricolore, di coalizione di centro di sinistra e di destra; soffre di cambiamenti repentini di governi fatti dietro le quinte; potrà avere l'alternativa Questi fatti, pur non annullando la classifica fondamentale della politica di struttura (democratica o dittatoriale) e quella di qualità (buona o cattiva), ne colorisce i modi, ne precisa le tendenze e ne rileva le finalità extra-politiche: così potrà parlarsi di politica liberale, nazionalista, democristiana, statalista, socialista, comunistoide. In tali classifiche si può sbagliare, perché si prende un particolare fine (per esempio la statizzazione delle imprese) riferendola ai partiti, senza per questo accettarne le premesse o le conseguenze. Siamo nel campo dell'uso delle parole, e certamente vale l'insegnamento di Orazio: ZLSUSteplura docebit. La discussione si fa più serrata se passiamo a qualifiche extrapartitiche ed extrapolitiche, come è la classifica di cristiana. Questa indica una religione rivelata, che per noi è la vera religione di Cristo. Secondo me, non è un uso molto corretto dare tale qualifica alle attività profane, mondane, temporali; purtroppo I'uso è invalso al punto che un tempo l'aggettivo cristiano era riservato a istituti protestanti o protestanteggianti e l'aggettivo cattolico a quelli di fede cattolica. Nella lotta contro il laicismo liberale, l'uso della qualifica cattolico fu esteso ad associazioni ed enti che raggruppavano i cattolici di azione; furono chiamate cattoliche perfino casse rurali, cooperative, mutue e così via; ne fallirono e ne fecero fallire parecchie. D a molti si ripiegò sulla qualifica cristiana rivendicandola, da parte cattolica, dal significato protestantico, ma applicandola anche al campo politico: partito cristiano sociale; sindacato cristiano; democrazia cristiana e così via. Tale aggettivo vuole significare l'orientamento, la tendenza, l'ispirazione etica, la valorizzazione del pensiero, dei precetti e dei presupposti religiosi nel campo politico, sindacale, economico; e non certo per dare alla politica, alla economia e ad altre attività consimili una dipendenza e connessione diretta con le forme strutturali del cristianesimo cattolico la cui unica e vera espressione e realtà è la Chiesa.
Precisati così i termini, non resta che farne le applicazioni: anzitutto la politica essend o fatta da uomini ragionevoli e liberi può essere morale o immorale, come sono tutti gli atti umani. Noi non vediamo i motivi di coscienza dei personaggi che fanno la politica, i quali possono avere moventi passionali e cattivi pur facendo una politica obiettivamente morale (tale il caso di chi promuove una legge buona solo per fare dispetto ai suo avversario); come possono fare politica obiettivamente cattiva, pur credendo di compiere il proprio dovere. Un tale esame sfugge alla classifica della politica, la quale può essere giudicata morale o immorale solo dal punto di vista obiettivo. E poiché la religione cristiana si occupa anche della morale obiettiva (a parte la subiettiva nei rapporti di coscienza) così è da conchiudersi che ogni politica morale è implicitamente cristiana, anche se fatta d a non cristiani; ogni politica immorale è implicitamente non-cristiana o anti-cristiana secondo i casi, anche se fatta da cattolici. La mia campagna per la moralizzazionedella vitapubblica riguarda tutti, cattolici e non cattolici, perché io ritengo che debba considerarsi immorale, e perciò fuori dal raggio cristiano, tanto la politica che tende a fini buoni con mezzi ingiusti e cattivi; quanto la politica a fini cattivi che usa mezzi onesti e corretti. Se i vari giornalisti, non bene addentro alla morale cristiana, tenessero presente quanto sopra, non parlerebbero di politica cristiana come di cosa riservata ai De Gasperi, ai Dossetti e ai Fanfani, né farebbero la classifica usata nella conclusione della citata corrispondenza che De Gasperi sia stato troppo morbido e accomodantp; Dossetti, troppo impaziente e intransigentp; Fanfani, il quale, secondo l'articolista aha certamente pensato a Dossetti il giorno del suo gran rifiuto, e con altra certezza sta pensando a De Gasperi ora che si accinge a ritornare));non ha saputo fare la sintesi dei due; conchiudendo che ((labivalenza dei sentimenti, affascinante nella letteratura, è pericolosa nella politica)). Tutto chiaro, ma simile analisi giornalistica nulla ha avedere col cristianesimo-moralità dei tre personaggi guardati nel loro interiore (del quale è solo Dio lo scrutatore), e neppure con la esterna attività di fini e mezzi della loro arte politica.
Se dalla superiore analisi sul vero senso di politica cristiana passiamo a certi aspetti prevalenti di attività pubblica quali i rapporti fra Chiesa e Stato, dobbiamo avvertire che pur cambiando le situazioni storiche e giuridiche dei singoli Stati (l'Italia, infatti, ha oggi un concordato da osservare e da rispettare), non cambiano i termini morali fissati nell'insegnamento di Gesù Cristo: date a Cesare quel ch'è d i Cesare e a Dio quel ch'è d i Dio. Pertanto, il problema di tali rapporti è sempre vivo da due mila anni e sempre sarà vivo negli Stati dove esisterà anche un primo e piccolo nucleo veramente cristiano. Perché il cristianesimo è un fermento che tende a modificare l'orientamento soprannaturale mondano, volto verso i beni della terra, per un orientamento soprannaturale, volto a conquistare nel tempo e nell'eternità la vera vita, la vita in Dio. L'inserzione storica della rivelazione nell'attività umana incontra i primi ostacoli nella politica, in tutti i tempi e in tutti i paesi. Questi ostacoli rinnovano il duaiismo dei poteri (l'ecclesiastico e il civile), pur nelle correzioni della coesistenza cooperatrice, nei concordati giurisdizionali, nel riconoscimento dell'esercizio della Chiesa in regime di libertà politiche rispetto dei limiti di competenza. Chiameremo questa politica cristiana? o politica di popoli cristiani? Evidentemente, i laici e gli anticlericali parleranno di ingerenze ecclesiastiche e i cattolici rileveranno i soprusi dei nemici della Chiesa. C'è una realtà insopprimibile che condiziona la politica, la quale, anche in questo campo può definirsi buona o cattiva.
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Se si tratta di politica etica ed educativa, lo Stato nei suoi codici, nelle sue leggi, nei suoi istituti non solo non deve offendere la moralità pubblica né la libertà di coscienza dei cittadini, ma deve curarne direttamente o cooperare, secondo i casi, perché queste siano mantenute, favorite e perché ne siano adeguatamente punite le offese e le violazioni. Chiameremo questa politica cristiana? È sempre la stessa questione di politica buona o cattiva, dato che tali doveri spettano a tutti gli Stati, anche a maggioranza non cattolica, a tutti i nuclei organizzati, a tutte le società particolari; perché il contrario voluto e organizzato contro la moralità non potrebbe classificarsi che associazione a delinquere, anche se organizzato dai poteri pubblici. Non avrei altro da dire, senza entrare in un campo disputabile e disputato fra cattolici: se la politica di sinistra di certa corrente d.c. (anche attribuita a Fanfani per il suo pencbant verso Nenni) possa dirsi cristiana. Per mio conto non metto così i termini della domanda; ma ben diversamente, cioè: se una politica di sinistra possa dirsi pericolosa e lesiva anche dei valori morali e religiosi del popolo italiano. Si tratta di problema che tocca l'indirizzo di tutti i partiti italiani nel loro complesso e nella esistenza della Democrazia come espressione di Libertà. La valutazione morale (e quindi cristiana) sarà solo conseguenza delle premesse. Ma è da notare che la Chiesa, come istituto divino, ha i suoi mezzi per resistere alle conseguenze ultime di tale politica: carceri e catacombe; preghiere e penitenze; sacrario delle coscienze e vita interiore breve o lunga che sia la persecuzione. Ma lo Stato politico non ha altra scelta che la soggezione o la rivolta, l'annichilimento o la guerra. Lituania, Estonia e Lettonia sono come cancellati dal novero di Stati, Ungheria, Polonia, Cecoslovacchia e Stati Balcanici resistono nella più triste servitù. Gl'italiani hanno di che riflettere.
Giornale di Brescia, 9 apri le 1959
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Fanfani e il programma62 Prima ad Arezzo e Gaiole, con pochi accenni politici, poi più esplicitamente nell'intemista data ad un settimanale illustrato, della quale si sono impadroniti i quotidiani di sabato, l'onorevole Fanfani ha fatto il suo ritorno partitico e parlamentare, tenendo in mano il foglio ingiallito del programma elettorale DC del 25 maggio 1958. Nella assunta posizione, che può essere utile e dannosa secondo i punti di vista, Fanfani non ha certo reso un semigio al governo Segni, nonostante «i molti auguri)) che egli crede siano necessari, non si comprende bene se per reggersi o per reggerlo in piedi. Cer-
Lettera del 25 marzo 1759 ali'on. ~ r o fAmintore . Fanfani: Caro Fan fani, Avrei voluto scriverti subito dopo I'esiro del Consiglio Nazionale DC. Da allora sono stato poco bene e molto impe nato due cose che non dovrebbero stare insieme. Avendo ora l'occasione della Santa Pasqua imminente, net'inv~rei miei p i i cordiali auguri di bene a te e alla tua famiglia, mi permetto aggiungere ceni miei rilievi del tutro amichevoli su quel che è accaduto e potrebbe accadere. Tu lo sai: non prerendo alla infallibilità, né parlo perche altri mi segua; esprimo il mio pensiero e lo affido come il polline al vento; gran parte va perduto, qualche residuo viene utilizzato. Sia quel che vuole Dio.
tamente Fanfani non ha avuto la pazienza dell'attesa, forse perché non l'hanno avuta la CISL, le ACLI (che non sono espressioni politiche della DC); non l'ha avuta la «Base»che è espressione politica di partito, ben qualificata nelle origini, nello scopo e nei mezzi; non l'hanno avuta i fanfaniani rimasti fedeli. Nelle dichiarazioni del leaderesiste un grave equivoco circa il programma elettorale DC,
Non posso dimenticare la visira da te fatrami il 18 gennaio con i tuoi collaboratori e le cordiali manifestazioni della D C avute pel 40" del partito popolare. Mi sembrò non formalistica ripresa di quel passar0 che ancora vive da renersi ricongiunro con il presente che deve essere virale e prospero; me ne compiacqui e in quel giorno non mi venne in mente che la D C fosse alla vigilia di una prova assai dura. Secondo il modo di guardare i problemi polirici, la prova poreva essere ridorra al minimo e poreva essere ingrandita al massimo. Ricorderai la mia opinione, già manifestata in antecendenza, di non dare rroppo rilievo alla bocciarura di le i per mancata maggioranza; ma piuttosto abolire il voto segreto dando inriera responsabilirà individuale E o t o dei deputati meno nei casi espressi di voto di fiducia. Sarebbe sraro quesro un capovolgimento della attuale partitocrazia; ma il parlamento avrebbe respirato; il paese non si sarebbe allarmato per le modifiche ai disegni di legge sui mercati generali e sul piano decennale delle scuole; di farto, non sarebbe caduto il mondo. Purtroppo, il governo, qualsiasi governo, si urta se Iia difficoltà dal parlamenro, pur disposto com'è a subire i ricatri dei parriri, dei sindacari e degli stessi enti statali assurti quasi a porenza auronoma, anzi esterna (o perfino estera: I'ENI insegni). Non avendo accettato in tempo le mie idee (che forse nel 1959 sembrano troppo anriquate), ti sei trovato al bivio di subire una pressione' per cambiare iorra owero di ribellarci, prendendi la tua fibertà dal banco di deputato. Personalmente, la scelta ti pose in buona posizione per I'awenire; posizione migliorata ancora con le dimissioni da segretirio politico della DC. Forse il modo fu brusco; sembrò che sbatressi la porra in faccia ai ruoi sia a Monrecirorio che a Piazza del Gesù; porevano le dimissioni esser dare senza troppo sorrolinearle, continuando con semplicirà la normale amministrazione sia al governo che al partito. Ma ognuno di noi ha il proprio carartere e siibisce le proprie reazioni. Non mi spinge a scrivere la resente il desiderio di sorrolineare quanro accadde fino alla nomina del governo Segni, logica conseguenza %lla posizione da te presa e di quelle dei gruppi d,c. e dei partiti più o meno affini (escludo l'omogeneità). Mi spinge invece il farro che i ruoi amici d'iniziativa e i sinistri d.c. spinsero troppo avanti l'idea di un tuo immediato ritorno a Piazza del Gesù, menrre, da parre tua, non venne la risposra che si aspettava, chiara e immediara rale da escludere perfino l'ipotesi. Questo farro, con dispiacere dei tuoi veri amici e di quanti, come me, considerano la vita italiana risanabile dalla malattia partirocrarica, quesro fatro, io dico, ti ha rolto l'aureola che circonda sempre il presidenre del consiglio dei minisrri dimissionario al quale, in contingenze propizie, si può e si deve, per il bene del paese, ricorrere senza distinzioni di partiti, gruppi e correnri. delle scorie parrirocratiche, i quali non Noi italiani e carrolici, abbiamo bis0 no di elemenri, han gii conquisrato con i propri sacrifici fi$ia senza riserve. Ora siamo alla vigilia del congresso DC. Andare a Firenze per sosrenere la resi di rifare un governo bicolore cenrro-sinistra con più o meno probabile apertura a sinistra verso un Nenni (pur renuto questi legaro attraverso i sindacati operai al partito comunisra) sarebbe ripetere un errore scontato già da parecchio rempo e sul quale i cattolici sarebbero forremente divisi. Né è da pensare, oggi alla vigilia di una forte crisi siciliana e nella situazione difficile del Trenrino-Alto Adige, e in comuni grossi come Milano, Venezia, Napoli (a non parlare di Roma sempre minara dalla sinistra d.c.) e con una CISL tormentata di auronomismo, rimerrere in discussione il governo artuale e la sua base parlamentare. Ti prego, caro Fanfani, di ri ensare alla siruazione con la calma che porta la riflessione religiosa e la vaIurazione etico-politica, prima di Rre agirare e di accettare che in nome tuo vengano agitare le acque dai ruoi amici, e prima di affidare le sorti del tuo rientro nelle attività direttive del partito e del governo, sotto la insegna di un molto discusso sinistrismo cattolico. Tanto più, e finisco la mia lettera, che è ben noto che uomini e iniziative di questo sinisrrismo sono appoggiati da quel Matrei (Giornoe l'Agenzia ItaLnliacompresi)il cui orienramento non è quello del paese né quello dei cattolici. Non mi dire che rutto ciò k al di fuori della tua influenza. Pensa, caro Fanfani, al bene che porrai fare ail'Italia, se ti decidessi a disraccarti da Martei e a combatrerne i merodi di amministrazione e l'influsso partirico di sinistra (e sinistre per giunra) che e li esercita nell'artuale posizione unica ed eccezionale nella vita italiana. Rinnovati auguri per l'oggi e pe domani con una cordiale stretta di mano Luigi Sturzo. In: A.L.S., b. 607, fasc. <Art.e 1. pubbl. del Prof. L. S.)), 15-31 marzo 1959.
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credendo egli che sia stato un patto del partito col suo elettorato, cioè con circa dodici milioni di elettori che han votato Scudo Crociato; patto che avrebbe portato diritto ad un governo di centro-sinistra minoritario, con l'aiuto di voti occasionali di sinistra, essendo stati nella campagna elettorale esclusi liberali e destre. Conseguenza implicita: un'intesa con Nenni visto che un preteso allargamento di base con repubblicani e altri improvvisati fiancheggiatori non avrebbe potuto far raggiungere quella maggioranza di stretta misura, necessaria per tirare il fiato. Tutto ciò, s'intende, con la coatta disciplina verso gli squalificabili e spregevoli ((franchi tiratori)), tenuti al guinzaglio con la minaccia di immediate elezioni generali, a mezzo delle quali sarebbero stati senz'altro estromessi dal Parlamento. Come prospettiva di patto elettorale tutto questo è una invenzione postuma, di accomodamento e di attesa del congresso del PSI di Napoli e degli avvenimenti che Giove teneva nel grembo. E proprio simile tramestio partitico avrebbe dovuto coincidere con la più agitata politica estera: Fanfani in Egitto; Mattei in Cina e nel Marocco; trasferimenti di ambasciatori, ministri, diplomatici, direttori e segretari generali, proprio quando oltre frontiera maturavano l'affare di Berlino, le conferenze ad alto livello, i problemi atlantici e l'attuazione del Mercato Comune. Lasciamo via un passato discutibile, che non ebbe mai rapporto con il patto elettorale, e cerchiamo di comprendere il punto che potrebbe ingenerare nella testa confusa di molti una specie di accusa di slealtà politica che la DC avrebbe perpetrato a danno della maggioranza relativa (si dice così?) del corpo elettorale. È fuori della tradizione di qualsiasi democrazia vecchia e nuova che un programma di 49 articoli possa formare una piattaforma elettorale. La buona tradizione inglese, che fa testo, suole incentrare la lotta su due o tre punti capitali e in quel momento sentiti da tutti, sui quali punti la propaganda dei partiti, pro o contro, si svolge con abile dialettica e con vivaci dialoghi. È vero che i programmi contengono molti punti; ma la maggior parte di essi riguardano temi comuni a tutti i partiti, elementi amministrativi di normale attuazione: scuole, disoccupazione, investimenti, pace e tanti altri desideri e auguri. Riesaminando il ben lungo documento dei 102 compilatori, si possono individuare poche proposte come esclusive della DC e sulle quali per giunta mancò quella polemica che poteva determinare la scelta elettorale. Se dovessimo dire la verità: il sentimento principale degli elettori dc fu quello di fronteggiare il pericolo social-comunista, di evitare un conflitto religioso tipo laicista e di mantenere i nostri rapporti esteri nella linea del Patto Atlantico e nella garanzia della NATO. Lo stesso Mercato Comune è passato in seconda linea, ricordato solo dove i socialcomunisti ne han fatto motivo di propaganda ostile. La vera lotta elettorale è stata vivace fra la DC e i liberali, principalmente nel Nord; è stata molto sviluppata a favore delle classi e organizzazioni di lavoro con accenti anche demagogici; è stata in difesa di posizioni stataliste, non esplicite nel programma ma riprese per colpa di un verme roditore da me spesso individuato e che è superfluo riassumere nella nota sigla dell'ENI. È questo il patto elettorale? è su questo che si vuole richiamare il partito per riorientarlo a sinistra? che cosa si pretende oggi dopo tante prove di malafede di Nenni? riprendere forse il colloquio DC-Nenni nelle amministrazioni locali e nella maggioranza parlamentare? oggi che Saragat perde quota, si vuole ritentare l'impossibile per un centro-sinistra di avventura o di ricatto?
No; dice 1' API, ben nota a Piazza del Gesù e Piazze vicine; Fanfani non disturba il governo; egli si occupa del partito. Ebbene, parliamo del partito. Io ne parlo non da iscritto (non lo sono), né da padre-nobile: non ho mai inteso così la mia funzione; ne parlo da uomo libero, che discute se stesso e gli altri al solo scopo di accertare la verità e di orientare .. . l'azione. CZSL e ACLlhanno non solo manifestato il loro malumore per la soluzione Segni, ma, senza attendere i fatti, si sono fatte eco delle masseche convogliano per avvertire Segni e C. a mantenere la linea sociakdella DC. Passi pure; sono organizzazioni di masse, e queste in Italia sono abituate ai biberon demagogici; ne hanno sete; il biberon di oggi desta la sete di quello di domani. La Base ha strillato e strilla contro la deviazione Segni; e se facendo la più aspra critica, tollera il governo attuale come governo di necessità, spera di superare la necessità con un colpo di testa del congresso, convocato al più presto possibile, il 12 luglio, quando ancora il Parlamento potrebbe funzionare: si spera forse in una crisi antevacanziale e in un ritorno di Fanfani ai primi di agosto? Sarebbe proprio questa la funzione del congresso di Firenze: ripetere un passato che non torna e portare il partito su una strada senza sbocco? Perché Nenni non è e non sarà uno sbocco né in luglio né in agosto; Saragat per il momento non è uno sbocco, né in luglio né in agosto; lo scioglimento delle Camere non è uno sbocco, né in luglio né in agosto. E allora? Che cosa resterebbe del gesto di Fanfani, tranne una piccola soddisfazione personale, che non è da attribuirgli, quella cioè di tornare a Piazza del Gesù, circondato dai pretoriani di Base, con l'appoggio del Giorno di Milano, della nota e non bene qualificata Agenzia «Italia» e della piccola «Radar»,e con l'attesa dei fuori-ordinanza: C/SL e ACLI? Ebbene: Fanfani non vuole tutto questo cancan; Fanfani, è buon cristiano, e non subordina la vita politica ad un puntiglio personale; Fanfani, se cade nell'equivoco di volere difendere il programma elettorale dc accettato col voto del 25 maggio, vuole essere un leale contraente, che non crede di aver fallito; vuole perciò le cose a posto -pagando ai creditori l'intiero saldo. M a stia sicuro; adesso come adesso, questi creditori esigenti si riducono a ben pochi; egli potrà rifarsene a suo tempo quando avrà la fortuna di formare una nuova maggioranza parlamentare o elettorale che sia. Il mondo è tondo e gira da destra a sinistra o viceversa; ma anche rotola; ne abbiamo avuta la dura esperienza in due guerre e in parecchi cambiamenti di regime. Stiamo attenti. Prima che l'Europa si rifaccia le ossa occorre tempo, pazienza, cooperazione; unità di partiti e convergenza di masse; sacrifici, molti sacrifici, da parte di tutti. Fanfani personalmente ha fatto una dura esperienza; bisogna che ne tragga profitto a vantaggio del paese che egli ama e al quale ha dato le sue migliori energie. Il partito è strumento, non finalità; si ama e si difende perché esprime i programmi e le idee di ciascuno degli iscritti (quelli in buona fede), i veri democratici cristiani; fra i quali non possono avealti stire voce i profittatori, i finanziatori interessati, i finti dc, i presuntuosetti che godono pendi, favori economici, posizioni di arrivisti; anche se costoro faranno coro non sono, non saranno mai il partito. Quando la DC sarà liberata da tale zavorra, e lo speriamo, Fanfani avrà una sola parola da dire a tutti, parola di capo e parola di cittadino.
Il Giornale ditalia, 14 aprile 1959
... Tutti a sinistra tutti di sinistra Chi mai ha inventato, in Italia, Destra o Centro? non esistono; non possono oggi esistere; non hanno diritto ad esistere: tutti a Sinistra! tutti di Sinistra! Leggo in un articolo di Raffaele Cafiero: «con le idee e con i propositi qui accennati, nessuno potrà pretendere di incasellarci nella Destra per l'eternità, solo perché ciò torna comodo ad altri partiti. Le nostre istanze sociali smentiscono che fossimo stati o fossimo la destra economica e conservatrice; il senso di vera democrazia che abbiamo ereditato dall'epoca d'oro della vita italiana, quella regia, ci dà il diritto alla precedenza su qualsiasi altro partito democratico)). Bene: anche il neo Partito Democratico Italiano non è a destra né al centro; è sociale, quindi a sinistra. Come faremo (in Italia, si intende) a classificare tutti questi partiti di sinistra? Forse, come i mercanti: tessuti di lana, o di cotone, 1" qualità, 2" qualità, 3" qualità? E chi metteremo nella l" qualità se non i sinistri per eccellenza (nel doppio senso della parola) i comunisti e loro stretti alleati? Diremo perciò Togliatti, sinistra, prima qualità extra; Nenni, sinistra, prima qualità normale e così di seguito? Purtroppo, tale classifica non regge, perché i sinistri della DC, da Fanfani a Galloni, sarebbero così di 4" o 5" qualità: troppo bassa e poco commerciale; e Cafiero apparterrebbe alla 6" o 7" qualità, egli che come democratico regio si richiama a Giolitti o a Zanardelli. Meglio è parlare di reparti, come nei manicomi: reparto agitati in permanenza, reparto agitati occasionali; reparto calmi ma pericolosi; reparto fissati; reparto curabili e così via. Metteremo fra gli incurabili Nenni; fra i curabili Fanfani: amici l'uno e l'altro, ma senza possibilità di intesa; sarà un yadagno per ambedue.
I1 lettore non si meravigli della satira fra scherzosa e dura, perché questa storia tutta italiana di legare la sorialitrÈ al sinistrismo è una delle piaghe che ci è stata inferta con i comitati di liberazione e la ripresa post-bellica; ed è entrata nella testa e nel linguaggio di molti al punto che un Cafiero non può tollerare di essere incastonato nella Destra, e perciò.. . reazionaria, essendo anche lui un sociale nel senso di comprendere e sostenere le rivendicazioni di classe dei lavoratori, anche con un pizzico di demagogia, quello che piace, secondo i casi, a Napoli o a Roma. Andatelo a dire a tutti gli organizzati, a partire dagli affiliati alla CGIL, i quali essendo socialcomunisti non vedono che altri possa sostenerli e aiutarli che non abbiano I'insegna rossa del socialcomunismo anche se sono operai di fabbriche capitaliste dove godono salari superiori alle medie italiane e vantaggi pratici non certo per merito dei socialcomunisti. Anche gli operai della UIL e della CISL (a parte le ACLI) non amano Destre o exDestre che siano, né nascondono le loro preoccupazioni per l'appoggio delle Destre all'attuale Gabinetto monocolore DC. Tutti costoro guardano a Sinistra, perché per loro il sole dell'awenire, anche se non è più socialista, dovrebbe stare sempre a sinistra. Come si fa a persuaderli del contrario? Per loro si tratta di verità dogmatica; e non solo per loro ma per certi cattolici, specie dell'Alta Italia, i quali si meravigliano che io sia duro con le sinistre e dicono (e scrivono) che io mi sia dimenticato del mio passato veramente democratico e sociale del periodo del partito popolare e del mio lungo esilio. Non dubito della loro buona fede; ma debbo constatare la loro perfetta ignoranza di idee e di fatti.
Se costoro si dessero la pena di leggere non dico i miei libri, sono troppi, ma solo il volume dei miei Discorsi Politici dal 19 18 al 1925 vi troverebbero il leit motiv di quel che scrivo oggi contro lo statalismo; contro la lotta di classe, contro gli scioperi, contro i monopoli, quelli statali e quelli consentiti e tollerati dallo Stato (quindi privati ma favoriti), ieri come oggi, ma oggi peggio di ieri e più largamente che ieri; contro l'immoralità nella vita pubblica (oggi peggio che ieri) e così via; si renderebbero conto che non sono io che h o cambiato bandiera; è il sinistrismo che ha occupato le alture (o bassure?) del pensiero di oggi; la gente vede bandiera rossa dappertutto; l'arte va a sinistra in ogni luogo; a sinistra scuole inferiori e superiori; cantieri di lavoro e fabbriche modernissime; associazioni libere e burocrazie statali, consigli comunali, regionali; assemblee e parlamento; giornali quotidiani e settimanali; libri storici e romanzati; RAI e Televisione; per miracolo non si arriva alle Chiese, dove capita qualche volta sentire sermoni di laici benpensanti e prediche di preti zelantissimi che lasciano intravedere simpatie sinistrorse mal represse. E allora una delle due: o fare come Cafiero e scrollare d'addosso la capsula di Destra reazionaria (perché in Italia la Destra per definizione è e deve essere reazionaria come il Centro immobilista) owero fare come è mio sistema, lasciare da parte chi gioca in malafede o insiste nella sua ignoranza e pretende giudicare il passato col metro, con il linguaggio e con i pregiudizi del presente; e continuare la propria via. Non ho forse definito una ventina di volte quello statalismo che io ho combattuto dal 1898 ad oggi (per più di sessant'anni) cioè l'ingerenza indebita oprevalente dello Stato nell'esercikio delle libertà personali del cittadino, a l difitori di una legittima garanzia delle libertà stesse? Ebbene, un giornale fatto da cattolici parla del mio antistatalismo come di cosa non dico eccessiva, ma quasi abusiva e condannabile; a non tener conto di coloro che tentano confùtarmi con citare gli interventi statali ordinari perfino quello per strade e bonifiche. A costoro manca l'abitudine democratica del dialogo in contraddittorio, della discussione obiettiva e deil'analisi dei fatti. Essi falsano i dati della discussione owero oppongono il silenzio e il boicottaggio come è stato fatto per la mia campagna anti-ENI dal 1953 in poi.
Così ha fatto la DC con il suo Centrismo. Accusata di immobilismo, perché chi sta ai Centro è tirato da due parti e quindi non può spostarsi di un centimetro senza essere accusato o di centro-destra o di centro-sinistra; De Gasperi venne fuori con la frase del Centro che va a sinistra! Dove volesse arrivare non si seppe mai; ma egli, che aveva una sana concezione del Centro, voleva far capire che non escludeva la socialità. Quella frase h,purtroppo, una condiscendenza al gruppo dei Dossetti e dei Fanfani, i quali giuravano sull'immobilismo della linea Pelkz che voleva garantire il bilancio, e tentavano sorpassarla in nome della sociaiità di marca sinistra, per quanto nessuno potesse accusare di sinistrismo la legge sull'Ina-Casa. Non si sa perché i dc avessero paura della parola immobilismo; fu Nenni a inventarla? Non ricordo; ma la qualifica potrebbe applicarsi a tutti i partiti che hanno un centro, una destra e una sinistra nel loro interno (proprio come e peggio della DC); ed hanno, anche per ragioni topografiche, una destra e una sinistra ai fianchi. Eccettuo le estreme anche perché dopo Togliatti e Longo, Amendola e Pajetta, ci sarà il comunismo tipo Mosca; e dopo i Missini non ci sarà niente, perché i Missini non hanno awenire sociale (tipo Salò) né reazionario (tipo Camera dei fasci e delle corporazioni). Le prospettive italiane non sono per una Restaurazione: non quella liberale tipo Ottocento, già superata con la prima guerra; non quella monarchica tipo monarchie storiche del
congresso di Vienna, perché i paesi latini e latino-germanici si son trovati dalle guerre balzati sopra esperienze miste tra democrazia e dittature. La Francia può avere un Pétain e un D e Gaulle, ma non più un monarca; la Spagna ha un Franco, il quale non riesce a combinare chi gli dovrà succedere; il Portogallo non pensa più ai Braganza; l'Austria non è sedotta da Ottone d'Asburgo, né la Germania può sognar un Hohenzollern. Comunque possa essere guardato il problema italiano, non si prevedono movimenti in questo settore. I1 problema attuale è uno ed uno solo: salvare l'Italia dal comunismo; salvarla, nonostante il legame del partito socialista alla politica internazionale di Mosca; nonostante il sinistrismo dei radicali e laici nostrani; non ostante un certo sinistrismo di cattolici preoccupati di guadagnare le masse sul terreno friabile della concorrenza demagogica; non ostante la falsa cultura diffusa nella scuola statale o statizzata; nonostante lo statalismo economico che ostacola lo sviluppo produttivo e rende difficile la lotta contro la disoccupazione, per quella vita facile e quello sciupio di capitali che caratterizza quasi tutti gli enti statali. In Italia, dove la tradizione non ha forza e rispetto, la Destra storica e la Sinistra storica sboccarono nel trasformismo di Depretis e nel personalismo di Giolitti. Né i liberali di oggi, ne i democratici di tutte le tinte hanno diritto di presentarsi come eredi del Risorgimento, il quale appartiene a tutti !gl'italiani, e deve essere rimesso nella sua cornice storica e veritiera, senza retorica e senza appropriazioni indebite. Gli unici che possono parlare oggi dei loro antenati o precursori sono i repubblicani storici, i veri repubblicani come Conti, uno degli ultimi, e sia pure Pacciardi, ma non certo La Malfa. Gli altri partiti hanno tutti i loro precedenti politici, fasti e nefasti che siano; ma coloro che dai fascismo si sono travasati nei partiti rinati o rifatti, abbiano la bontà di tenersi nei giusti limiti di una buona, sana e serena conversione, senza ostentare un passato che loro non appartiene e senza prendere l'aria di precursori del sinistrismo che soffoca la rinascita italiana. Oggi gl'italiani sono in regime democratico e libero, in uno Stato di diritto regolato dalle leggi costituzionali che ci siamo dati: lavoriamo con fedeltà di cittadini; combattiamoci e combattiamo nella fiducia di non consegnare la Patria ai nostri nemici.
Il Giornale ditalia, 18 aprile 1959
Legalità e cosrume (In Sicilia e altrove)63 Milazzo e i suoi hanno fatto dichiarazioni di lealtà cattolica; ma allo stesso tempo hanno tentato una manovra di slealtà costituzional~mi occupo, come è mio costume, di questa seconda, la quale, in ordine di merito assolzrto, varrà poco o niente; ma in ordine di meriro relativo deve valere moltissimo. Milazzo, rompendo i suoi rapporti con i socialcomunisti, ha cercato di ridurne I'importanza; peggio, ha giustificato le nomine da lui fatte di socialcomunisti a posti amministrativi; per giunta, ha profetizzato che questo metodo sarà sviluppato anche fuori della Si-
Lettera del 20 aprile 1959 ail'on. Bernardo Mattarella: Caro Mattarella, Ti debbo una spiegazione rig~iardoil mio articolo pubblicar0 stasera dai Giornale ditalia: la omissione del ruo nome con quelli di Aldisio e Scelba.
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cilia, naturalmente dalla sinistra DC; infine, non ha fatto il suo dovere di lealtà costituzionale, quello di dare le dimissioni da Presidente insieme alla Giunta, perché i voti socialcomunisti non possono essere più contati quali voti di una maggioranza disdetta. A meno che tutte le frasi involute di Milazzo vogliano indicare il vecchio motto: ci stiamo e ci resteremo; in tal caso, addio tutto il resto, compresa la compunzione dei buoni cattolici del suo seguito.
Mi è stato detto: l'Assemblea è sciolta e la crisi, in corso di campagna elettorale, sarebbe illegittima. Errore: anche durante il periodo elettorale, per ragioni di urgenza, può essere convocata l'Assemblea regionale nei termini e con le formalità regolamentari. E se una simile disposizione manca nel Regolamento dell'Assemblea della Regione siciliana, si può legittimamente adottare il principio che regola il Parlamento ed è consacrato nel regolamento del Senato, dove è detto: «La convocazione in via straordinaria può avvenire anche durante il periodo di proroga dei poteri dopo lo scioglimento del Senato)) (art. 34). Ed è giusto che sia così; altrimenti il Paese e (nel caso siciliano) la Regione resterebbero privi dei poteri assembleari che necessitano a risolvere problemi di speciale urgenza. Nel caso presente, una delle due: o Milazzo e i suoi sociali-cristiani hanno inteso svincolarsi dai socialcomunisti, ed è chiaro che non hanno più la maggioranza implicita che li autorizza ad esercitare l'attività di ordinaria amministrazione e neppure quella di sollecitare il corpo elettorale per una futura maggioranza inesistente; owero le dichiarazioni fatte valgono solo in foro interno per la regolarizzazione delle loro coscienze, ma non hanno effetti per il colto, l'incolto e l'inclita (come si diceva più di mezzo secolo fa) e allora i nuovi moralizzatori non potrebbero presentarsi con serietà e rispetto al corpo elettorale. Dall'altro lato; qual è la posizione dei partiti fiancheggiatori ex monarchici e missinr? Sono per le dimissioni? Owero sono d'accordo con Milazzo nel resistere a tale tentazione, che scuoterebbe la mal combinata maggioranza con i socialcomunisti? Ed è ancora allo stesso posto quel segretario generale - da me definito Ninfa Egeria del presidente Milazzo -
Poiché, sfortunatamente, tu fosti uno dei sosrenitori della presidenza regionale di B. Lo Giudice (per giunra garantendone la riuscita) non potevo additarti come estraneo a quel disgraziaro rriangolo dell'apparato di Catania-Palermo-Messina, cioè M. G. e G. ai quali fo accenno. Scuse e cordiali saluti Luigi Sturzo. In: A.L.S., b. 758, fasc. uF. S. 75r, marzo/aprile/maggio. Lettera del 22 aprile 1959 al direttore de ('La Nuova Stampav: 111. m o Direttore, Data la inesatta affermazione contenuta nella corrispondenza di v.g. su (,La Nuova Stampa* di ieri 21 correnre aprile, che <(donSrurzo, antico sostenitore di Milazzo (sia) passato fra i suoi cririci dopo il decreto del Sant'Uffizio» citando a prova il mio ultimo anicolo sul Giornale d'Italia del 20-21 corrente, La prego di pubblicare che i miei articoli di o posizione a Milauo portano la data del 26 novembre 1958 ( I n Sicilia ealtrove); d d 12- 13 marra 1959 (A Pa!rmo: Pro orzionakpura eprejrrnu impure); il p i l noto: Giunta M i b , cavallo d i Troia del 21 marzo 1959, dopo &I quale h o pubblicato l'Appello ai~iciliani(24 m a n o 1959) nel quale ho fatto un grave accenno ai merodi amministrativi della Giunta Milazzo. Possibile che tutto questo mareriale sia sfuggito al capo ufficio della Redazione romana della Stampa? Non volendo supporre una malignità politica, né una insinuazione personale che non avrebbero ragione, debbo awertire una svista del czurenti calamo, svista che desidero apertamente smentita. Distinti saluri Luigi Sturzo. In: AL.S., b. 602, fasc. «Art. e 1. pubbl. del Prof. L. S.», aprile 1959.
amministratore di giornali cripto-comunisti e fiduciario di persone dietro le quinte che han fatto fin oggi il bello e cattivo tempo?
Dall'altro lato, i dirigenti della D C non possono passare la spugna sul loro apparato e relativa rete fra Palermo e Roma; non possono impedire che si rilevino le scorrettezze amministrative di un recente passato; non possono ripresentare al corpo elettorale come candidati coloro che non hanno la veste candida per via di affari e intrighi o accertati o in corso di accertamento (con procedure penali fermate a tempo) e con rilievi non favorevoli, fatti dal Consiglio di giustizia amministrativa o da Consigli di amministrazione e, perfino, amici degli amici che frequentano Ministeri e assessorati. Chiarezza da ambo i lati ci vuole; e una buona prova di pulizia, rinnovando i quadri e tagliando i fili con quei siciliani di Roma già installati in Parlamento pur essendo membri dell'apparato, proprio quello che ha contribuito alla crisi della DC siciliana e alla rottura milazziana. Un vero punto sul passato è proprio questo e non altro. Che Milazzo avesse pensato nello scorso dicembre alle sue dimissioni non è un segreto: egli voleva abolire il voto elettorale di preferenza, fonte di tutti i mali del Parlamento italiano, delle Assemblee regionali e dei Consigli di molti Comuni. Aveva preparato perciò un disegno di legge, del quale ebbi ad occuparmi in un articolo. Sperava sull'appoggio della DC! Ma questa come non seppe essere maggioranza durante l'ostruzionismo contro il bilancio 1958-59, non seppe nei riguardi di Milazzo essere opposizione, minata, come era, da un frazionismo interno insanabile. La buona volonrà milazziana, se ci fu, cadde nel nulla. Oggi, per altri motivi, è il momento delle dimissioni. Punto sul passato per tutti. Una Giunta provvisoria con il consenso di tutti i partiti, meno i socialcomunisri, ristabilirebbe l'equilibrio rotto; a elezioni fatte, la maggioranza non potrà non venire creata di nuovo attorno ad una DC che ritorni nella solidarietà di tutti i suoi membri e attorno a uomini di primo piano e oramai storici per noi, Aldisio e Scelba. Nessuno degli altri si offenda; essendo stato vicino a tutti trovo che ognuno ha le sue, più o meno involontarie, colpe e i suoi, più o meno inevitabili, errori. La Sicilia ha la sua storia fatta di interne contese dall'epoca pre-greca in poi; la unificazione di un'isola è più difficile dell'unificazione di una penisola, anche la nostra tuttora in corso. Lo sanno anche i Sardi. Ebbene Milazzo dia la prova di essere un uomo siiperiore, disinteressato, veritiero, come siciliano al cento per cento senza equivoci; e soprattutto rispettoso della legalità statutaria e della correttezza parlamentare.
Il Giornale d'Italia, 20 aprile 1 959
180. Risposta di Sturzo al presidente MilazzoG4 Dal dilemma non si esce; è strano che Milazzo non comprenda che la sua dichiarazione M
preceduta dalla se uente nota redazionale: La dichiarazione di Sturzo fu Nelle dichiarazioni fatte ieri a i Giornafcdi Sicilia, l 1 o n ~ f a z z o riferendosi , agli anicoli del scn. Srurro
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di distacco e opposizione ai comunisti significa crisi digoverno. Egli crede, per giunta, che sono io a volere una crisi extra parlamentare, come se tale crisi non fosse in atto. La crisi è in atto, promossa dal Presidente della Giunta in una pubblica assemblea elettorale di partito; egli non vuol tirarne la dovuta conseguenza, quella di far convocare l'assemblea regionale e portare la crisi in sede competente. Neppure i comunisti si sono sentiti toccati, se non hanno chiesto la convocazione dell'Assemblea e continuano a fingere la esistenza di un governo di maggioranza e lo sostengono nella campagna elettorale. Si tratta, allora di una finzione? Di una truffa al corpo elettorale? O di una insensibilità e incapacità a capire fin dove arrivi la collaborazione dei partiti e dove arrivi la rottura delle maggioranze; cosa sia una crisi di governo e quali obblighi morali e legali essa comporti? Milazzo vuole fare l'abile, ma non convincerà nessuno della sua correttezza politica ed amministrativa; della sua linearità parcitica; delle sue convinzioni autonomistiche. Egli è anche oggi incosciente strumento nelle mani della sinistra e degli uomini che lo hanno circuito. Mi dispiace per lui e per la Sicilia.
/l Giornale d'ltalia, 25 aprile 1959
sulla crisi siciliana. ha tentato di eiustificare la sua azione oolitica afferniando. fra l'altro. che non vuol determinare una crisi extra-parlamentare. Il Presidente della Regione parla di .governo di amministrazione» per dare aspetti di legalità a un governo, il suo, che mentre dichiara di essere anticomunista, collabora coi comunisti. - A queste-strane argomentazioni il sen. Sturzo risponde con la seguente dichiarazione. D
Letrera del 27 aprile 1959 all'on. prof. Aldo Moro: Caro Moro, Fo seguito all'espresso di ieri. Con busta intestata on. aw. Emilio Storti Via Etnea n. 86-Catania, ricevo la lertera che ri rrascrivo e non porra firma: ~L'operadi purificazione che lei sta svolgendo riscuote il plauso di tutta la Sicilia e indubbiamente della nazione intera. Qui, se si riesce a scalzare questi ladroni che fanno vergogna alla nostra terra, sarà salva la D C e, con essa, la libertà della patria. I1 primo delinquente è il segretario regionale della D C on. D'Angelo, il quale, oltre ad aver acquistato in 5 o 6 anni beni per più di 300 milioni, ha truffato alla Regione lo stipendio della moglie per ben 6 anni e mezzo facendola apparire come impiegata dell'Assessorato del Turismo senza esserlo, per cui l'assessore D'Antoni glielo rinfacciò in pubblica assemblea mentre il D'Angelo voleva accusare Milazzo che non attuava il rogramma moralizzatore annunziato. I1 D'Antoni gli disse: 'senta on. D'Angelo, lei è il meno indicato a in materia di rnoralizzazione, in quanto sono stato proprio io a dover to liere lo stipendio a sua moglie che si è truffato per più di 6 anni senza prestare alcun servizio alle dipendenze %]la Regione". I1 D'An elo si arrossì come un gambero e sedetre muto! ... Ora è preparara la denunzia al Procuratoc a presentarla dopo che il D'Angelo sarà stato incluso nella lista per farne oggetto di un re della ~ e ~ u b b f i per grande scandalo a carico della DC; mercé denunzia di truffa proprio in danno del capo della D C della Sicilia. Non aggiungiamo commenti. Lei comprenderà la vasta portata di questa situazione che i comunisti mirano a sfruttare su vasta scala. Intervenga lei presso il Partito altrimenti saremo tutti perduti e il popolo si disgusterà al punto che non si potrà più riprendere. Qui si vive la stessa ora della caduta del fascismo quando tutti dicevano: "purclié cada Mussolini cada pure I'ltalia". Adesso tutti dicono: "purclié cadano questi ladri delinquenti che si sono mangiati la Regione e il sangue del popolo, cada pure la D C e con essa la libertà d'Italia! ...". Lei solo può essere il salvatore e solo a lei sono rivolte tutte le speranze di noi siciliani che abbiamo creduto in lei e in De Gasperi.. Per l'onore della D C siate rigidi, rigorosi, irremovibili, o perderete la Sicilia. Milazzo (vedi Tempodi oggi) dice che io, mancando da 39 anni non conosco più la Sicilia. Ti prego di credere che io la conosco meglio di Milazzo e più di parecchi altri laggiù. Cordiali salua Luigi S t u r ~ o . In: A.L.S., b. 602, fax. eArt. e 1. pubbl. del prof. L. S.», aprile 1959.
Sinistra e destra centro e.. . dintorni Devo dare atto all'on.le Cafiero che il PDI non è a sinistra, preferisce il centro e in molti punti concorda col centro dc che suole essere qualificato di destra (interna). Egli sul suo quotidiano di Napoli, in una cortese lettera a me diretta fa anche espressa riferenza alle mie idee e teorie di libertà (spero in tutti i campi) e di antistatalismo (nel senso da me dato). Debbo far notare che la confusa mentalità politica italiana di questo dopoguerra, nonché il linguaggio a sensi multipli e babelici della nostra stampa, non consentono una così limpida semplificazione di idee e di geografia politica, compresa quella parlamentare. Occorre intendersi sulle parole, sul loro significato vero, su quello convenzionale di Montecitorio, su quello giornalistico, partitico, sindacalistico, scandalistico e così di seguito. Per fare un po' di sgombro, comincio con la questione della socialità e dell'aggettivo sociale, allungato per strada in socialista o socialistico. Spesso mi sono domandato se possa esistere nella vita umana nulla che non sia associato e che non costituisca una socialità e sia quindi sociale; e mi viene in mente quel giorno nel quale Dio disse: <Non sta bene che l'uomo sia solo: gli farò un ausiliare pari suo». Creata la famiglia è nata la socialità, anche se il primo figlio di Eva introdusse con l'invidia, l'omicidio, quello che costituisce l'antisocialità portata al suo estremo. In sostanza, tutto ciò che eccita alla rissa, alla lotta, alla guerra è antisociale; tutto ciò che unisce nella cooperazione e nell'affezione, è sociale. Purtroppo, in Italia siamo ridotti al punto che una teoria che promuove la lotta di classe e tende alla soppressione di tutte le classi e alla dittatura del proletariato si chiama ed è classificata sociale, e il movimento relativo è detto socialista; mentre tutto ciò che ostacola tale movimento è preso per antisociak tutto, compresa la carità cristiana (la socialità per eccellenza) per costoro, e anche per certi democratici di sinistra, non sarebbe sociale.
Si è creato così il mito socialista: la difesa del lavoratore è socialismo classico; i liberali del nostro Risorgimento sarebbero stati nemici del lavoratore; la borghesia del sette-ottocento, e di conseguenza anche quella del novecento, è stata ritenuta la classe antagonista. La Chiesa, i cattolici in quanto antisocialisti, sono stati dei reazionari o appoggio dei reazionari. Tutta una letteratura di questo genere ha contribuito a creare una profonda divisione anche negli spiriti colti (ma ignoranti di sociologia politica), anche nelle stesse categorie della produzione e del lavoro; e perfino tra quelli che sono uniti dagli stessi interessi e dalle reciproche utilità produttive e lavorative. Si è aggiunto, dopo la prima guerra mondiale, il comunismo moscovita (pih moscovita che comunista) il quale polarizza tutte le rivendicazioni di masse ignoranti in una esperienza politico-economica di dittatura statale onnipotente. La guerra 1939-1944 è stata architettura russa e come tale pesa oggi come una nemesi per colpe collettive non ancora sufficientemente espiate. Per chiarezza politica escludiamo aprioriche quei partiti e quegli uomini che non amano piazzarsi a sinistra o dirsi di sinistra o professare qualsiasi di sinistrismo - la sinistra DC o i socialdemocratici di sinistra, -siano per ciò stesso reazionari, antipro-
letari, nemici dei lavoratori, gente da essere segnalata alla lotta proletaria come vili borghesi, profittatori, padroni insensibili e simili qualifiche socialistoidi. Trasportando questo criterio nella geografia parlamentare, dobbiamo cominciare a chiarire che cosa sia il Centro e quale ne sia la funzione, anche nel campo delle attività economico-sociali, cioè di quella economia che favorisce le intese fra le categorie del capitale e quelle del lavoro. La parola Centro o Centro cattolico nacque nel parlamento federale germanico, i cui grandi leaders furono mons. Ketteler e il barone di Windthorst; storia gloriosa di lotte contro la dittatura di Bismark e il suo celebre Kulturkampfe contro il nascente e già forte socialismo tedesco. Centro ben ancorato, ma non certo immobilista né immobilizzato; Centro combattivo non orgoglioso delle vittorie né scoraggiato daUe sconfitte; cattolico, ma non clericale; non dico autonomo da Roma ma, come il partito irlandese di O'Connell, fiero della propria personalità, autonomia e responsabilità politica verso il Governo e verso i partiti, anche quando la politica conciliativa di Roma poteva essere divergente e chiedere ai cattolici o al clero dei sacrifici.
Senza chiamarsi tali, al Centro si posero i cattolici belgi fra liberali e socialisti, pur con inclinatura a Destra per motivi storici superati attraverso le organizzazioni operaie e per via della guerra del 1914. I cattolici tennero da soli il governo belga per più di trent'anni; lottarono per le libertà contro gli statalismi dei liberali e dei socialisti. Anche i cattolici olandesi stettero per un certo tempo al Centro fra i protestanti storici e i socialisti. N é a Bruxelles né ad Amsterdam i cattolici cessarono di occuparsi dell'organizzazione e della legislazione operaia tenendo, con tedeschi e svizzeri, il primo posto nel campo sociale europeo, non ostante le resistenze padronali in un periodo economico di conquista di mercati e di colonialismo certo criticabile, ma non come può esser fatto da noi dopo le esperienze di ottant'anni. Ad ogni epoca il suo male e il suo bene. Coloro che pensano di eliminare dall'organizzazione statale ogni ingiustizia non fanno altro che crearne delle altre e non sempre inferiori a quelle del passato (i siniscrorsi italiani dovrebbero studiare bene cosa vogliono dire per noi oggi I'ENI e altri simili enti antieconomici e demoralizzatori). In Italia fu solo dopo la prima guerra mondiale che il partito popolare poté piazzarsi al Centro. Niente immobilismo; programma e attuazione progressista, moderna e.. . se si vuole oggi definire sociale, per noi bastava dire popolare. Difficoltà politiche da Destra e da Sinistra consentirono l'inserzione del fascismo e il cedimento della borghesia e del proletariato. Chi potrà negare simili fatti? A seconda guerra finita rinascono i partiti liberi; ma i comitati di liberazione si costituiscono quali eredi del fascismo, eredi senza beneficio di inventario; solidali senza coesione; progressisti ma lottando fra di loro per la conquista di posti. I tre anni di occupazione militare; il distacco in due tronconi del territorio nazionale; la questione istituzionale; la elezione della Costituente, occupò tutto il primo periodo caotico arrivando infine ad una concordia discorsche dovette essere denunziata presto; i social-comunisti vennero sbarcati dai governo proprio al momento in cui si determinò nella politica mondiale il dualismo Washington-Mosca. La DC prese il Centro e capeggiò i governi. Immobilismo? e perché? perché lo dice Nenni, il quale seguì le sorti dei comunisti nella speranza presto o tardi di averne una vittoria? La vittoria arrise alla DC e suoi alleati nel 18 aprile 1948, che segnò la fine di un pe-
riodo, e purtroppo l'inizio della politica dell'equivoco: tra opere importanti come la Cassa del Mezzogiorno; provvedimenti demagogici come la legge stralcio; i blocchi dei fitti urbani e rurali; gli enti statali tipo ENI. Da allora il sinistrismo, e non il centrismo, ha immobilizzato la DC e il paese con l'attesa dell'apertura a sinistra; equivoca la presenza di Gonella al congresso PSI di Torino; equivoco Saragat a Pralognan; equivoco Vanoni-Fanfani al congresso di Napoli e poi FanfaniZoli a quello di Trento (congressi che i sinistri d.c. citano oggi come se fossero i concili di Efeso o di Calcedonia) al punto da essere la DC divisa fra due correnti spiritualmente avverse, senza quel vero Centro che unisca e dia personalità propria, come la diede al partito popolare e al primo De Gasperi della DC 1943- 1948. Rifare i1 Centro è forse l'impegno di Segni e di Moro? Rifare il sinistrismo e l'apparato che lo sorregga è forse la mira di Fanfani? Nel duello chi ci guadagnerà, Nenni o Saragat? Ecco i punti interrogativi di una politica lasciata in mano all'ENI che usa i suoi miliardi, al Giorno che usa i suoi articoli per la neutralità italiana; all'Agenzia Italia che usa le sue informazioni a tendenza prestabilita; all'on. Saragat che si agita per un ritorno al centro-sinistra minoritario, con voti eventuali del caso per caso, escludendo a priori la Destra che per lui esiste minacciosa, politicamente armata, influente nelle masse, monarchica e fascista, che è lì in una tragica intesa con Segni, il traditore della socialità e il confabulatore con Adenauer e con Alighiero De Micheli. Povera Italia se continua ancora a baloccarsi fra Destra e Sinistra, con un Centro inoperante e con i partitini dei dintorni disposti, come in Sicilia, ad allearsi anche con il diavolo pur di guadagnare due o tre seggi nei vari consessi parlamentari e consiliari. Intanto sarebbe un gran padagno se invece di batterci per la Sinistra e la Destra e il Centro, cominciassimo a parlare il linguaggio dei fatti: politica internazionale, quella dell'Atlantico e della NATO; politica economica, quella di mercato con i correttivi necessari, compresa la legge antimonopoli privati e pubblici; quella scolastica basata siilla libertà; quella interna piantata anzitutto sulla moralizzazione; quella amministrativa, ripigliando lo smantellamento degli enti inutili, superflui, deficitari, perniciosi, e fermando con antibiotici drastici I'entìte e la partecipazionite, malattie di un passato fascista, raddoppiate dal sinistrismo socialcomunista e da quello degli «utili idioti)).
Il Giornale d'Italia, 30 aprile 1959
Democratici cristiani e socialcomunisti in Sicilia La frattura politico-amministrativa della DC non poteva non avvantaggiare i socialcomunisti di Sicilia; così come la frattura, per ora spirituale, della DC nazionale non potrebbe o non potrà non favorire politicamente i socialcomunisti del «bel Paese che Appennin parte e il mar circond? P IAlpo). Dico socialcomunistie non comunisti perché i due, uniti come sono, anche se i secondi si dicono autonomisti, hanno fatto bilancia (sia pure calante) con la DC nell'Assemblea Siciliana (30 socialcomunisti e indipendenti e 37 democristiani); così come fanno bilancia a Montecitorio (224 socialcomunisti e 273 democristiani). Invero, nelle zone intermedie,
a parte i laicisti di sinistra, esistono sempre dei nostalgici, dei malcontenti, dei Melloni e Bartesaghi, dei cattolici a metà; la situazione nelle nostre assemblee, con maggioranza nominale a base proporzionalista, sta in mano a quei pochi di qua e di là, che sono presi o da grandi aspirazioni e da velleità senza consistenza (tipo Milazw); ovvero da propositi riformistici di Base, ma senza base (tipo Sullo); a non parlare degli illusi, quali La Pira e Fanfani, illusi di un Nenni che rompa a sinistra per servire o per asservirsi alla politica della DC e viceversa. Breve: la Sicilia ha fatto un semestre di esperienza rnikzzziana con un gruppettino di dissidenti d.c., con due partitini di destra (monarchici e missini) e con il grosso di retroguardia profittatrice quella dei socialcomunisti; dei quali ultimi, i socialisti per conto loro hanno mormorato, pur pigliando i posti loro attribuiti negli Enti e nelle organizzazioni locali; e i comunisti, i veri organizzatori delle malefatte, hanno finto di essere per Milazzo un coro di copertura e una folla plaudente. E Milazzo, forse senza capirlo, aprendo al vento il mantello dell'autonomia o del socialcristianesimo, ha favorito la penetrazione comunista in tutta la Sicilia. Era ciò prevedibile? sì, era prevedibile; era evitabile? sì, era evitabile; ma Piazza del Gesù, sotto il trio siciliano Magri-Gioia-Gullotti non si accorse di nulla e seguì il suo disegno di preparare una Sicilia fanfaniana per il congresso nazionale (era quello che premeva), e lasciò sferrare l'offensiva anti-La Loggia, quasi quattro mesi di un primo e di un secondo ostruzionismo per il bilancio, con la in parte tacita e in parte aperta connivenza dei franchi tiratori e di coloro che vi erano dietro ed avevano nella mano l'asso Milazzo. Questi non stava inerte, tanto che io credetti opportuno inviargli varie lettere, delle quali scelgo una, la più confidenziale, anche per dimostrare ad un certo autorevole quotidiano subalpino che la mia opposizione all'operazione Milazzo non data da dopo le istruzioni del Santo Uffizio del 4 aprile 1959 (rese pubbliche il 13 aprile). Così, dunque, io scrivo a Milazzo nientemeno che il l " settembre 1958: «Ogni buon contadino sa ben fare i suoi conti, sia che vada alla fiera, sia che debba provvedere al suo campicelio. Tu che sei agricoltore nell'animo e nella pratica, in politica non fai bene i conti e stai sbagliando di grosso. La migliore cosa che potresti fare sarebbe quella di andare per un paio di mesi al Noce e disintossicarti della febbre panomita che hai preso. E non credere che sia una febbre che mantiene passivi, no; è una febbre eccitante e fa parlare a vuoto dalla mattina alla sera. Tu trovi un ostacolo nelle ingombranti figure caltagironesi che non permettono il pieno sfogo a tale eccitamento. Uno dei due, ai quali accenni, e già a11'87" e del resto ingombra poco con un eventuale articolo che dopo qualche giorno si dimentica. Per l'altro, ti raccomando una concordia discors secondo che si tratta di Roma o di Caltagirone e viceversa. Palermo dovrebbe essere fuori tiro, perché i conti non tornano, né quelli semplicemente aritmetici del Palazzo dei Normanni, né quelli politici e morali, che per la via da te scelca aggravano e non risolvono i problemi che si vorrebbero affrontare. Quando si è assediati, non conta molto quel che si fa nella città al di fuori della difesa; ma conta molto se uno zelante generale o colonnello che sia, passa al nemico e apre la porta)). Formatasi la Giunta Milazzo, scrissi l'articolo del 26 novembre 1958 che porta il titolo « APakrmo e altrove», criticando tanto Palermo che Roma e dimostrando gli errori delle due parti. Feci seguito con un secondo articolo: «A Palermo -proporzionalepura epreferenze impuro. Vi si parla dei progetti elettorali; ma si voleva incitare Milazzo ad uscire dal ginepraio puntando sopra un'operazione elettorale di moralizzazione col sopprimere le pre-
ferenze che alla lotta elettorale danno motivo di corruzione per le guerre fratricide nell'ambito di uno stesso partito. Milazzo disse che avrebbe accettato, ma accusò la DC di non volere il piano, che egli stesso aveva proposto. Fu così? vi furono pressioni di altri partiti? Forse nessun partito volle aderire alla proposta, perché gli uscenti avrebbero messo in pericolo i loro propri seggi. Misteri elettorali. Incalzai allora con l'articolo ((GiuntaMilazzo, cavallo di Trojm denunziando il pericolo comunista; ma Il Popolo di Roma e gli altri giornali legati alla DC non si degnarono neppure di rilevarlo, perché certe verità contenute nell'articolo toccavano anche loro. Continuai con l'Appello a i Siciliani per riportare la campagna elettorale ai suoi veri scopi: silenzio della DC anche su questo articolo. Ed eccoci all'epilogo: il responso del Sant'Uffizio, il quale non riguarda solo Milazzo e i suoi, ma riguarda tutti i cattolici italiani ed esteri, anche quelli nostrani di sinistra che mostrano di essere sicuri, sol perché ipotizzano un Nenni distaccato dai comunisti, mentre sottomano trattano anche oggi con un Nenni legato a fìldoppio con i comunisti, non solo nella politica estera, ma in quella sindacale e cooperativa; in quella municipale, provinciale, regionale e parlamentare; nelle questioni grosse come quella dei missili e simili. I siciliani di Milazzo hanno avuto per dippiu l'avvertimento dei Vescovi, i quali non potranno consentite che il Clero e Azione Cattolica facciano propaganda per Milazzo e i cristiano-sociali fino a che permanga un solo dubbio sulla loro condotta elettorale e postelettorale, sotto il pretesto dell'emergenza, della necessità, delle posizioni autonomiste; anche perché i socialcomunisti baratteranno tutto, autonomia compresa, quando saranno arrivati dove vogliono arrivare. Intanto giornali come l'Ora, Paese Sera e la stessa I'Unità difendono Milazzo; intanto, ai comizi di Milazzo e C. intervengono i cori preformati dei socialcomunisti; costoro hanno tutto l'interesse a mantenere confusa la situazione: nebbia nelle parole; nebbia nei gesti; nebbia negli applausi: ne traggono tutti i vantaggi. Ecco perché col mio ultimo articolo ((Legalitàe Costume» ho invitato la Giunta Milazzo a dimettersi. La chiarezza in politica, specie in politica elettorale ed alleanzista, è un dovere elementare di lealtà. Dicano chiaramente e Milazzo e la D C che dalla Giunta Regionale saranno esclusi i socialcornunisti e saranno inclusi quei piccoli partiti che aderiranno ad un programma di pacificazione e di lavoro concorde nel17interessedell'isola, come avvenne fino al 1955 con le presidenze di Alessi e di Restivo. Se non fosse stato dato pascolo al maledetto verme della discordia (insinuatosi per primo nella provincia di Caltanissetta ai tempi della segreteria Gonella) e poi diffusosi in altre province, non si sarebbe arrivati alla crisi di oggi e alle difficoltà re vedi bili per il domani. Ma come «Dio fece sanabili le Nazioni», fece sanabili anche le Regioni che ne fanno parte, non ostante che nel nostro Paese la Sicilia sia rimasta e rimanga tuttora la Regione meno compresa. Può darsi che non sia comprensibile proprio per la sua storia, fatta di sussulti autonomisti e libertari e di acquiescenze conformiste nell'apparenza ma in-timamente protestatarie e di resistenze. Anche la storia unitaria è stata storia triste fino al 15 maggio 1946, data del decreto legislativo dell'autonomia. Per noi che abbiamo vissuto tanto e sperato tanto nell'autonomia, è certo doloroso vederla oggi dilaniata e messa in difficoltà; e quel Milazzo autonomista che tende la mano ai socialcomunisti è più deplorevole degli altri capi della DC regionali i quali, rompendo la fiduciosa reciproca collaborazione, han cercato negli ultimi quattro anni presso centri romani aiuti alle loro discordie. Non per questo potevano apprezzare la Regione Siciliana, né rendersi conto di un da-
to storico costante che proprio dalla Sicilia può partire per tutta l'Italia tanto il bene quanto il male. Principiis obsta. Orizzonti, 3 maggio 1959
La disfida di.. . Burletta Cambiano i tempi e i costumi; cambiano i nomi. Un secolo fa, periodo risorgimentale, si poteva romanzare o storicamente immortalare la di5jdz di Barletta; un secolo dopo, periodo dell'apertura a sinistra e altri affari più comodi, si può parlare e scrivere della sfida Malagodi-Saragat, che potrebbe intitolarsi: la disfina di.. . Burktta. I due rappresentano qualche cosa nella vita politica italiana in quanto tengono al blasone, liberale lo sfidante, marxista lo sfidato; dietro di loro ci sono però due piccoli gruppi che contano poco in senso assoluto; conterebbero di più in senso relativo se rispettassero il numero e le possibilità: non si può sempre giocare in Parlamento alla maggioranza che non è tale e fingere che lo sia; o all'opposizione che non conta e fingere che possa contare. Ma i due hanno i loro dogmi: l'uno il marxista che vuol fare da democratico, cioè riducendo il governo di popolo a governo di una sola classe - la lavoratrice; l'altro si appella non si sa a chi: Quintino Sella? Marco Minghetti? Depretis? Giolirri? Dov'è la tradizione risorgimentale se si invoca una democrazia che allora non esisteva? No: Malagodi è realista, nla ha il difetto di parlare delle cose di oggi con l'etichetta del passato liberale, un'etichetta che non esiste più; Saragat è idealista, e parla delle cose di oggi come trasformate in categorie teoriche del marxismo trapassato, vestito di belle frasi per un pubblico che non lo ascolta. Egli parla da borghese letterato a un gruppo di borghesi illetterati, ma borghesi. Dove sono le mzsse delle quali si interessano Malagodi e Saragat? In una sola cosa convengono Saragat e Malagodi: nella difesa del loro piccolo partito politico da considerarlo il centro, il perno di una politica; la quale, essendo fatta da maggioranze parlamentari, deve partire da leggi elettorali che garantiscano quei pochi seggi atti a privare la maggioranza non dico di agilità ma di possibilità; che sottopongano Parlamento e consigli locali ai ricatti dei partitini, all'imposizione dei finanziatori e alla politica di compromesso. A elezioni fatte (il 25 maggio 1958 ha quasi un anno), un governo d.c. con i liberali e senza i socialdemocratici non si reggerebbe, come non poré reggersi un governo d.c. con i socialdemocratici senza i liberali. Dove non c'è maggioranza non ci sarà stabilità: la ricerca di voci di raccatto a destra o a sinistra, a parte le difficoltà, squalifica qualsiasi governo e gli toglie autorità, fiducia e continuità. Ritorno al tripartito con eventuale punta pacciardiana? È l'idea di Scelba; però Saragat è come colui che, scottato dall'acqua calda, ha paura dell'acqua fredda. Comunque sia, indietro non si torna: vi sono di mezzo Pralognan; il congresso di Venezia del PSI; quello di Milano del PSDI; quello di Napoli del PSI; la sortita di Vigorelli e C. che attendono aila porta di Nenni condizioni accettabili e dignitose per i profughi di Palazzo Barberini. Saragat non può discutere con Malagodi oggi che il suo piccolo gruppo è minorato di cinque
unità, ad imitazione della Base d.c. la quale ritiene Malagodi e il partito liberale l'avversario numero uno, mentre Togliatti e il comunismo stanno al numero due. Replica Malagodi: io parlo di cose concrete, non di ideologie astratte. Politica meridionale: sto alla formula di intervento statale, più libera iniziativa o viceversa. Non è la stessa formula di Saragat? E no, caro Malagodi, non è la stessa formula. Saragat vuole arrivare a una riforma di struttura (è la frase d'obbligo adottata dalla Base, dalla CISL, dall'UIL, dalle ACLI); con Malagodi, Stato-più-iniziativa-privata non fanno rforma d i struttura; manca la finalità, I'idealità, il rimbalzo politico-sociale, il criterio di socialità; perché Malagodi rappresenta per Saragat gli interessi dei capitalisti, la boria dei padroni, la tenacia dei conservatori, l'opposizione borghese; per cui lo Stato, governato da una DC più Malagodi, non ostante il pizzico social-democratico e, se del caso, la rappresentanza repubblicana storica rappresenterebbe la illogica coalizione immobilista e immobilizzata, che farebbe leggi anche sociali senza spirito sociale, né socialista, né progressista. Questo il succo: ogni altro modo di vedere i problemi italiani non esiste: se visti da sinistra, tutto bene per oggi e per domani; se visti dal centro o centro-destra, tutti viziati dalle formule che respingono il Paese a destra; verso la destra reazionaria per definizione, antiproletaria per istinto e per interesse; verso un neo-fascismo in elaborazione, il quale sull'esempio di De Gaulle riporterà l'Italia sulle linee corporativiste del passato e sopra il terreno dell'antidemocrazia e della antisocialità; la negazione della giustizia sociale. Così ragionando, Saragat si esclude dalla presente realtà per ritornare alla formula fanfaniana, con i voti di rincalzo di Nenni. È in buona fede? Oh, sì: Saragat è in buona fede; è stato sempre in buona fede nel passato e lo è anche oggi a 61 anni; egli crede fermamente nelle nazionalizzazioni, sia pure dopo avere visto gli effetti costosi, negativi, demoralizzanti di certe municipalizzazioni e nazionalizzazioni (ENI compreso); egli è per lo statalismo, anche dopo i fallimenti delle industrie cinematografiche, di quelle meccaniche; dopo i deficit della Scala e di tutti i teatri di Italia; anche dopo il fallimento della scuola italiana la quale, messa a confronto con le scuole tedesca, francese, svizzera, inglese e americana, è manchevole, insufficiente, formalistica e poco educariva. Stiamo sul terreno economico; Saragat è per la lotta di classe, l'avvento del proletariato, la eliminazione del padronato, la soppressione della libertà di mercato: in sostanza è d'accordo non solo con Nenni ma con Togliatti. Che cosa pretende Malagodi da una disputa pubblica? Saragat non è un democratico che rispetti la libertà in tutti gli ordinamenti giuridici, culturali ed economici del Paese e ammetta la libera gara di idee, di attività e di interessi; Saragat è il marxista di quando aveva 25 anni. I liberali dell'inizio del secolo amavano classificarsi in liberali-democratici e in democratici-liberali; i primi mettevano il punto sulla libertà, i secondi sulla democrazia; ma tenevano il binomio perché l'una senza l'altra ci davano I'oligarchia di classe (oligocrazia) o il regime di dittatura (parlamentare o sindacale). Naturalmente, allora non vi erano il suffragio universale, la proporzionale, il voto alle donne e i sindacati liberi e senza freni. Saragat, in sostanza, è per la dittatura sindacale; salvo, se realizzata, ripiegare verso la libertà di classe; ma quando si arriverà alla libertà di classe, egli ritornerà ai suoi amori di struttura e dirà: la vera, l'unica classe è la operaia; tutti lavoratori, lavoratori di Stato, impiegati di Stato, funzionari di Stato, pensionati di Stato. Non lo Stato crociano, troppo Liberale; né quello gentiliano, troppo fascista; né quello hegeliano, troppo teologizzato e divinizzato; lo Stato di iMam fatto di Capitale nelle mani dello Stato «perché Stato dei proletari, per i proletari e dai proletari)).
E poi: non avete saputo dell'invito di Saragat a Mosca? Egli - o chi per lui - non potrà portare a Kruscev la testa di Adenauer né quella di Segni (specie dopo la visita di Cadenabbia), ma potrà dargli quella del Malagodi della disjida di.. . Burletta! Il Giornale dytalia, 5 maggio 1959
Un messaggio di Sturzo al congresso dell'UCIDG5 Caro Segretario Generale, seguo con il maggiore interesse possibile l'attività dell'UCID in questo difficile periodo delle varie attività dei cattolici nei vasti e agitati campi della vita pubblica, come ad una delle più fondate speranze di migliore awenire. Perché, nelllagitarsi di tendenze verso estremi non consencibili, e nella difficile sistematica di idee e di vocabolario riferentisi al mondo degli affari politici ed economici, pur cercando di conformarsi agli insegnamenti etici della tradizione cristiana, i cattolici non si trovano concordi, né orientati verso punti pratici di convergenza, né animati da reciproca fiducia. I1 contributo dell'UCID per un sano orientamento delle attività economiche, che soddisfi le esigenze della libera iniziativa, di tecnicità dell'impresa, di equità nei rapporti umani tra i fattori della produzione e degli scambi, è un fatto che va rilevato e messo in luce nell'interesse di tutti: sia nel paese, sia delle categorie di dirigenza e di esecuzione, sia dei rappresentanti del capitale e del lavoro. Mando a te e ai congressisti il più fervido augurio di successo, nella comprensione che non la lotta di classe né i conflitti di categoria risolvono quei problemi che possono essere messi in evidenza con tali mezzi estremi; sì bene lo spirito di reciproca comprensione dei diritti e dei doveri di ciascuno, secondo l'etica cristiana e secondo le possibilità del progresso tecnico ed economico dei paesi civili. H o pregato il prof Giuseppe Palladino, direttore dell'Istituto Luigi Sturzo, di portare e, se occorre, illustrare il mio modesto intervento, nella fiducia che questo sia accolto, come esso mi è venuto dal cuore, con seniplicità e affetto cristiano. Distinti saluti Luigi Sturzo
Il Giornaled'ltalia, 7 maggio 1959
Quindici maggio. Tredici anni di autonomia siciliana I1 quarto appello elettorale regionale coincide col tredicesimo anniversario del decreto legislativo luogotenenziale di approvazione dello sraruco siciliano, proprio in un momento "
Testo inviato al segretario generale dell'UCID, dr. Vittorio Vaccari, in occasione del DL congresso nazionale tenutosi all'isola di San Giorgio Maggiore a Venezia.
di lotte interne e di preoccupazioni nazionali sull'awenire dell'Isola e sui fermenti indipendentisti che vi si sono manifestati. Su questo sfondo di incertezze, incoerenze, errori a Palermo e a Roma di partiti e di governi, si ricamano da sei mesi le più allarmanti inchieste di stampa e i più fantasiosi commenti di pretesi uomini colti; i quali spesso non riescono a comprendere la complessa anima siciliana, le sue aspirazioni, i suoi modi di pensare, di esprimersi, di realizzare se stessa. Dovrebbe cessare il malgusto di identificare la Sicilia con la mafia, owero con i romantici briganti o i carusi di mezzo secolo addietro e con gli straccioni che servono alla diffamazione di Danilo Dolci, portata anche all'estero. Ogni regione, come ogni paese, ha i suoi relitti e le sue tare: un tempo New York era per molti solamente la malfamata Tammany Hall; Chicago veniva rappresentata per le sue case di sfruttamento e per i suoi gangsters. Circa gli stati d'animo dei politici italiani, che rendono così poco comprensibile la storia che viviamo, e che oggi a tredici anni dall'autonomia siciliana rimettono in discussione in pubblici dibattiti la stessa autonomia, mi piace ricordare nel 13" anno della nostra unità, quel 1861 che unì Sicilia e Mezzogiorno all'Italia del Nord e Centro-Nord, confermando da un lato la speranza della completa unificazione nazionale, aprendo dall'altro quella questione meridionaleche a poco meno di un secolo di distanza non solo non è stata risolta, ma per molti italiani è tuttora incompresa e forse incomprensibile. La politica nazionale e la politica regionale hanno sfondi economico-morali comuni, pur con proprie fasi e diversi awenimenti; storia e premesse etniche delle varie regioni hanno motivi e soluzioni comuni pur nelle differenze di luoghi e di awenimenti. La storia è sempre una ricostruzione postuma del flusso e riflusso tanto delle teorie e delle tendenze dell'animo umano nei fatti, quanto della realtà dei fatti negli atteggiamenti teorici e psichici espressi dalla cultura e dalla civiltà. Sotto questo punto di vista, la questione meridionale può dirsi più viva oggi che nel 1861; gli anni passati ne hanno sviluppato i motivi e ne hanno accentuato le differenze, facendone sentire più viva e pressante la realtà, fin da quando la volontà unitaria della borghesia politica del Sud prevalse contro qualsiasi regionalismo e la tradizione borbonica venne meno anche presso la già decadente nobiltà baronale. Perciò ci sentiamo, oggi come ieri, siciliani e pugliesi, calabresi e abruzzesi, campani e lucani, con il torto per giunta di quel complesso di inferiorità che fa attendere ogni beneficio dal centro politico senza utilizzare da sé le proprie risorse; limitando le iniziative alla tradizionale economia agrario-familiare, artigiana e piccolo-borghese, e poggiando tuttora verso le categorie professionali umanistiche e colte, mantenendo così le tradizioni familiari, o elevando le condizioni dei nuovi arrivati, compresivi coloro che, lasciando il borgo nativo, vanno a primeggiare a Napoli, Roma, iMilano.
Breve: quella autonomia che i governi liberali del tempo negarono al Sud; quell'inizio di vita economico-sociale che al 1861 andava sbocciando e fu in gran parte soffocato per le stesse esigenze unificatrici; il trasferimento nel nuovo Stato di capitali, compreso il prezzo dei beni ecclesiastici non reimpiegati nel Sud, contribuirono all'impoverimento che nel ventenni0 venne accentuato in maniera eccezionale, determinando dopo il 1880 quell'emigrazione di massa che sembrò una valvola e fu insieme una involuzione. Accenno a questi precedenti per far comprendere a giornalisti, giuristi e politici del continente che non esiste un secessionismo o un separarismo siciliano, e non tanro per la man-
canza di autosufficienza isolana e per la inesistenza di centri esteri di attrazione, quanto proprio per convinzione unitaria degli stessi siciliani: esiste invece il malumore di coloro che da tredici anni si vedono discussi, awersati, contrariati, minimizzati nell'applicazione di quello statuto che fu la conquista attesa per quasi un secolo; quei siciliani che non dimenticarono il proclama di Garibaldi, subirono le incomprensioni della destra e della sinistra storica, il malgoverno giolittiano e le malversazioni fasciste, al punto da vedere considerata la Sicilia al livello di una colonia. Lo statuto siciliano è sembrato a una certa classe di orecchianti l'indice di una personalità isolana troppo marcata e direi antagonista; la prima awersaria è stata la burocrazia romana; si è aggiunto l'abuso del ricorso governativo alla Corte Costituzionale, la quale, con l'abolizione di fatto dell'Alta Corte siciliana, senza legge costituzionale legittimamente approvata, si è attribuita competenze non previste dalla propria legge istirutiva; sussistono ancora certi ritardi incomprensibili riguardo l'attuazione dello Statuto; tra Roma e Palermo si è andato sviluppando un dualismo inconcepibile per uno Stato di diritto quale è e deve essere la Repubblica Italiana. Mancavano i partiti a fare il peggio, inserirsi nell'organizzazione della Regione e degli enti locali, senza rispetto delle autonomie non solo in Sicilia, ma nelle altre regioni. Così quella rivendicazione statutaria che fu realizzata in confronto allo statalismo italiano, e si è mantenuta per via di ricorsi alla Corte Costituzionale come ultima e non sempre felice garanzia dell'autonornia, ha dovuto arrendersi di fronte alla partitocrazia e subirne l'ingerenza. Si è arrivati all'assurdo di volere applicare la proporzionale nelle elezioni degli enti locali, riducendo quei consigli a parlameiitini, con le loro destre, sinistre e centro; con la dosatura dei gruppi, con gli ordini di scuderia, soggiogando così la vita locale con gli interventi e i veri degli apparati dei partiti a formare maggioranze locali che non esprimono la libertà di tendenze dei corpi elettorali.
Quanto sopra ha turbato la terza legislatura dell'assemblea siciliana ed ha dato luogo alla ribellione Milazzo; il quale non poteva riuscire nel suo intento senza l'appoggio social-comunisra, creando un equivoco politico insanabile - l'intesa dei cattolici dissidenti e di due partiti di destra con i social-comunisti - e trasportando la lotta sul terreno della politica nazionale con larghi riflessi, al punto che qualche americano si chiede se, con una Sicilia social-comunista, possa contarsi sull'Italia associata nel Patto Atlantico e nella NATO.. . Esagerazioni giornalistiche, ma anche prospettive del futuro che non sono sufficientemente valutate, perché molti hanno le rraveggole per via del sinistrismo antitaliano e antioccidentale. Ebbene, il 13" anno dell'autonomia siciliana non sarà venuto per cieco effetto degli errori umani, sarà anche venuto come awertimento della Prowidenza; come Fu un awertimenro (purtroppo senza rilievo) per gli italiani del 1861, il 13" della unificazione nazionale. L'autonomia regionale è una realtà e non si tocca; ma gli autonomisti di Sicilia e di altrove sono pregati di mantenere le regioni a statuto speciale nel quadro e nel carattere amministrativo che hanno, nella linea di buona e sana amministrazione che debbono avere, evitando le interferenze della partirocrazia e non ripetendo gli errori dello statalismo con un regionalismo accentratore e violatore delle stesse libertà degli enti locali e delle attività private. È vero: ~ m n d discitur, o i regionalisti non si improvvisano, si formano; i nostri amici siciliani, Alessi, Restivo, La Loggia, che sono stati presidenti regionali nei passati dodici anni, hanno avuto esperienze diverse, attitudini contrastanti, successi e insuccessi, e oggi, se-
condo i punti di vista, meritano critiche e lodi. Essi che formarono il t~io-fulcrodella nuova Sicilia per il ben noto periodo 1947-1955, portano oggi il peso di una discordia partitocratica, che ha reso possibile la lotta interna della DC, il traffico dei piccoli partiti e il disgraziato esperimento Milazzo. Sta al corpo elettorale ricomporre le fila di coloro che anche oggi -- sono fermi nella convinzione di una Sicilia autonoma e non separatista; regione nella nazione, ma regione con i suoi diritti da essere osservati non solo nel rispetto della legge costituzionale quale è lo Statuto siciliano, ma anche nel rispetto delle leggi amministrative come quelle sulla Montagna o sulla Cassa per il Mezzogiorno; lo Stato deve fare onore agli impegni assunti verso qualsiasi nucleo civile; e non deve mettere contrasti con quell'isola che a suo tempo ebbe il più antico parlamento europeo; e che nella sua storia tragica deve mettere al passivo le promesse del Borbone del 1812 avallate da un governo come quello di Londra per il ripristino della personalità politica e parlamentare della Sicilia, promesse non mantenute né difese, sia al Congresso di Vienna sia nel difficile travaglio pre-risorgimentale. Senza voler ritornare a discutere la storia unitaria dal 1861 in poi, facciamo punto di partenza lo statuto del 1946, che viene oggi ricordato nel suo 13" anniversario. I1 15 maggio 1959 sia atto di rinnovata garanzia per la ripresa vitale della Regione, di vincolo pacifico e leale con la Nazione, della quale siamo parte integrante e vitale, anche per via di quel Mediterraneo che segna, storicamente, le sorti dei più grandi conflitti della civiltà classica e cristiana. Per questo la Sicilia non può non essere baluardo contro il comunismo (precisamente il social-comunismo) il quale dal Mediterraneo conta di accerchiare l'Europa. Sarebbe il più grave errore e la più grave colpa per noi siciliani assumere la figura di utili idioti; ma anche a questi di Roma dovrebbe essere imputato più che un errore, una colpa, accentuare un dissidio che non ha ragione di esistere e del quale gli unici a profittare sarebbero i comunisti.
Ii Giornale ditalia, 14 maggio 1959
Intervento statale e statalismo La recente discussione sulle partecipazioni statali nelle imprese economiche ha fatto riprendere I'annosa polemica fra statalisti e antistatalisti. Non è mancata la mia voce (fra gli antistatalisti, s'intende) voce che da circa sessant'anni non si stanca di denunziare gli errori e i danni dello «statalismo». La parola Stataiismo è stata un'importazione dal francese Étatisme, ed è stato mio sforzo imporla nell'uso della polemica giornalistica. I dizionari che io ho sottomano non la registrano; portano invece Statohtria, alla quale il Mari (Hoelphi 1913) dà il seguente significato: ((Dottrine che vogliono lo Stato soverchiatore della libertà e deli'attività individuale»; mentre Cappuccini e Migliorini (Paravia 1945) si limitano (con probabile formulazione del periodofascista) al «grande rispetto e quasi culto per ciò che fa lo Stato». La mia definizione dello statalismo, ripetuta in formule similari quasi un centinaio di volte è la seguente: «Intervento abusivo e sistematico dello Stato nell'attività privata di qualsiasi specie, religiosa, culturale, artistica, educativa, economica, sindacale e così via,).
L'intervento dello Stato è specificatamente politico e amministrativo; riguarda la cosa pubblica, l'ordine, le leggi, la difesa, la giusta garanzia delle libertà individuali e associative. Non si nega che con la intensificazione della vita associata, nazionale e internazionale, sorgano e possano sorgere problemi che impongono nuove soluzioni. L'importante è che si mantengano i limiti di competenza fra le finalità e i mezzi di una sana politica e quanto è sacro patrimonio della personalità umana e civile dei singoli e dei liberi nuclei associati. Ci sono materie miste? Certo che sì; quando l'iniziativa privata non ha energie e mezzi sufficienti per rispondere ai propri fini, lo Stato interviene integrando, aiutando, mai soverchiando; mai sostituendosi; mai eliminando il privato come un terzo incomodo. La storia della scuola italiana, dalla elementare alla universitaria, è la prova di una statizzazione implacabile, di una centralizzazione burocratica aberrante, di una inimicizia fra la scuola ufficiale e la sua libera organizzazione addirittura senza tregua. La scuola privata esiste, ma osteggiata, sorvegliata, controllata, mortificata, quasi nemica. Porta il marchio di una squalifica di origine; un peccato che non può essere cancellato. Gli effetti nella valutazione culturale sono gravissimi; la cultura cattolica, anche di coloro che provengono dalle scuole pubbliche, è ritenuta anch'essa manchevole per colpa di origine; un reparto extra moenia, da non doversene tenere conto tranne che dagli iniziati e dai bigotti. I tentativi di inserimento fatti dai cattolici sono valsi solo in quanto considerati uomini di eccezione o ribelli, o l'uno e l'altro insieme: Gioberti e Rosmini; Fogazzaro e Papini; ma quanto ad essere letti e citati, non ce la fa neppure un San Tommaso. D a un certo tempo professori di fede cattolica occupano cattedre universitarie; ma, a parte coloro che insegnano materie tecniche, di pochi si può dire che abbiano lasciato l'orma di un pensiero che avvicini in filosofia, in diritto, nelle lettere e in genere nella cultura umanistica, l'orma che lasciano di sé i grandi cattolici francesi. Breve: il monopolio scolastico statalista in Italia ha violato i diritti dei privati ed ha creato una cultura laico-anticattolica come sottocosciente della stessa concezione umanistica e delle attività associate del nostro paese. So che queste mie affermazioni faranno scandalo nel mondo laico; ma troveranno anche delle critiche nel campo cattolico, come se io non tenessi presente lo sforzo fatto per mezzo secolo dai primi del novecento ad oggi, e non ricordi le lotte contro il posirivismo e contro l'idealismo, il pro Schola, del quale fui dirigente per tre anni; la Federazione degli istituti scolastici cattolici presieduta da Montresor della quale io fui promotore, I'Università Cattolica di Milano, la lotta per l'esame di Stato, creduto il toccasana dei nostri mali, il sistema concordatario, che, secondo me, non rese né poteva rendere servizi alla libertà scolastica, ma rese possibile certi vantaggi oggi scontati. Anche perché le poche voci di libertà scolastiche, quelle che negli altri paesi indicano che la lotta secolare continua, in Italia non hanno seguito, mentre la principale rivendicazione che si attende è quella della parificazione degli insegnanti sorto la bandiera sindacalista.
H o cominciato con il problema numero uno della libertà, quella scolastica, per far comprendere la vera impostazione dello statalismo; purtroppo i problemi dell'economia sono all'ordine del giorno e in maniera pressante, perché siamo da un lato spinti dalle necessità di adeguarci al Mercato comune della piccola Europa; dall'altro abbiamo un milione e mezm di veri disoccupati, un terzo almeno di zone depresse alle quali provvedere. k così: i problemi materiali prendono la mano a quelli spirituali; ma l'uno fare e l'altro non omettere.
Anzitutto occorre notare che lo Stato in tanto ha diritto a imporre balzelli, far pagare tasse, fissare oneri doganali in quanto deve provvedere a servizi nazionali, di carattere generale o prevalente che non possono essere eseguiti dagli enti locali - regioni, provincie, comuni. E questi, a loro volta, hanno una legale - attribuzione di fondi per servizi di interesse comune, riferentisi al rispettivo territorio, che non possono essere caricati allo Stato, né ai privati. È chiaro che ogni miste (Stato e Comu- ordinamento civile consente e le gestioni ni per esempio); le gestioni affidate in appalti pubblici e quelle eseguite direttamente a mezzo dei corpi tecnici (geni civili, geni militari, corpi forestali e simili). H o voluto chiarire questi punti perché, della polemica antistatalista, i difensori dello Stato-tutto-o-quasi-tutto, mi hanno più volte parlato della Cassa del Mezzogiorno o di altra iniziativa, la quale, se limitata alle operepubbliche, è un completivo delle funzioni statali; se aiuta i privati a eseguire con mezzi propri e con opportuni mutui e concorsi opere private esercita quella facoltà che è propria dello Stato, sia come iniziativa e spinta, sia come integrazione. Quel che si nega è la tendenza sistematica dello Stato a divenire esso stesso gestore di terme, esecutore di impianti, costruttore di navi, produttore di films, industriale, commerciante, agricoltore di imprese piccole medie e grandi, perfino produttore di cioccolate, di margarina, di saponette e così di seguito. Ma lo Stato italiano, per una serie di eventi che qui non vale la pena ricordare, è divenuto proprietario di molte imprese; altre ne ha create ed ampliate; ha formato dei monopoli statali di diritto e di fatto. Messi su questo binario i governi di prima del fascismo occasionalmente; quelli del fascismo per interessi politici; quelli della Repubblica spinti dalla pressione delle sinistre e dei sindacati - oltre che per faciloneria, incoscienza e fretta di risolvere vecchi problemi - si sono abbandonati al più largo statalismo economico che poteva essere attuato da un paese come il nostro. I1 parassitismo, la incompetenza e la faciloneria hanno oscurato le poche competenze e i pochi uomini seri che si trovano a capo di tali aziende. Parlare dei tristi effetti psicologici, economici e morali dello statalismo economico è stata mia fatica particolare; quando nessuno aveva il coraggio di denunziarne le malefatte, specie quelle dell'EN1, la mia voce è stata la sola in Parlamento, quasi la sola sulla stampa. Ora, meno male il coro è più largo; ma è accusato di fare solo i propri affari. Ma perché socialisti e comunisti difendono acremente lo statalismo economico e sono da dieci anni a fianco di iMattei? e perché difendono l ' I N criticandone le iniziative sane ed esaltandone quelle demagogiche? perché impediscono la liquidazione delle imprese fatiscenti e fallimentari? I1 vantaggio delle sinistre è doppio: politico e organizzativo. Anche i piccoli partitini che fanno i zelanti statalisti, guidati da Saragat e da La Malfa; costoro sanno bene che il vantaggio di tale indirizzo non è del popolo italiano, né del lavoratore, né del disoccupato; capiscono che il vero vantaggio va al comunismo, eppure lo difendono. E gli stessi democristiani che oramai dovrebbero capire la falsa rotta, sono legati ad un passato, che non depone a loro favore. La verità sta venendo a galla: l'esempio della Germania è probante; l'Italia del Mercato comune non può continuare a pagare a caro prezzo (oltre che a prezzo morale e politico) un sistema, lo statalista, oramai condannato come è condannato il marxismo socialcomunista dal quale deriva e al quale conduce. I nostri awersari sono dei ritardatari, non dei . . progressisti.
Il Nuovo Cittadino, 20 maggio 1959
Ricordando la Banca Romana A sessantasei anni di distanza mi ritorna alla mente il verdetto della commissione d'inchiesta sulle malefatte della Banca Romana; qualche cosa va maturando oggi, in piena polemica alla Camera e al Senato, con una serie di interrogazioni (del sottoscritto, e non da ora), con affermazioni di deputati e senatori, fra le quali notevoli quelle di Malagodi e di Ferretti; con dichiarazioni di ministri per le partecipazioni, passati e presenti; si va formando un'atmosfera di accuse, dubbi, intrighi per via della corrispondente polemica giornalistica, ancora limitata ma più insistente di prima, che va investendo non solo il caso del quotidiano ((11Giorno» e i metodi dell'EN1, ma la stessa struttura dello Stato. Nel 1892-93, periodo delle polemiche sulla Banca Romana, io compivo i miei 2 1 anni e pur essendo studente di terzo anno di teologia nel seminario di Caltagirone, insegnavo greco in quarta ginnasiale e supplivo il titolare del latino già molto impegnato. Allora mi sentivo estraneo alla politica locale, divisa fra crispini e rudiniani e del tutto ostile ai governi di Roma per i metodi usati in Sicilia; mi sentivo fin da allora regionalista e autonomista avanti lettera. Per la moralizzazione del paese seguivo con passione i Colajanni e i Cavalletti, pur senza condividerne gli orientamenti politici. Anche nell'ambiente familiare ed educativo, la questione della Banca Romana veniva indicata come il segno del crollo delle istituzioni parlamentari; gli accenni e i riferimenti alla Corte erano ripresi fra i conversari animati di amici e parenti come elementi probatori che nulla di sano fosse per resistere al crollo imminente. Non si apprezzava, naturalmente, nel suo giusto valore la fatica della commissione d'inchiesta e la resistenza morale dei sette che si sobbarcarono alla fatica e alle responsabilità di accertare i fatti, non ostante che vi fossero implicati uomini politici di primo piano e perfino lo stesso Gabinetto il quale non credette di dare le dimissioni, cosa che Giolitti avrebbe dovuto fare per lasciare via libera alla inchiesta. k ancora vivo il mio ricordo delle elezioni del 1892, per la vivacità della lotta locale, alla quale, non ostante fossero interessati gli elettori in numero limitato, vi parteciparono quasi tutti i cittadini, anche ecclesiastici, perché il non expedit fra noi era osservato solo da un ben piccolo nucleo di cattolici. Lo scioglimento della Camera voluto da Giolitti come atto di forza sol perché ottenne un voto di maggioranza non ben chiaro, aveva destato una forte reazione; purtroppo nel Mezzogiorno e in Sicilia, i metodi da ((governodella malavita)) (come più tardi lo definì Salvemini) ebbero allora il soprawento. Ciò non ostante, il vincitore delle elezioni del novembre 1892 aveva il piede di creta, per via della inevitabile inchiesta, che finì con implicare nello scandalo della Banca Romana lo stesso Giolitti, due ex-presidenti del consiglio, ministri, deputati, giornalisti, uomini di affari, una lista molto significativa. I1 23 novembre 1893, sotto la presidenza di Zanardelli, la Camera dà lettura della relazione della commissione dei sette estesa dall'on. Mordini; le accuse succedono alle accuse, con precisione discreta e con esattezza non accentuata; l'atto colpiva per la sua chiara semplicità e per i riferimenti amministrativi di generale interesse. Alla fine della lettura, sul capitolo ccresponsabilità di governo)) la Camera avrebbe voluto passare subito a mettere sotto stato di accusa i ministri e gli alti funzionari coinvolti nello scandalo; l'ordine del giorno non lo consentiva e la seduta fu rinviata per l'indomani, quando Giolitti, a nome del governo, dopo aver dichiarato che egli e gli altri accusati «desideravano ritornare al posto di deputaci per avere libertà di linguaggio verso tutti e ver-
so tutto)) annunziò le dimissioni già presentate al Re, il quale si era riserbato di far conoscere le sue determinazioni. I1 paese ebbe un respiro: il seguito dei fatti della Banca Romana oggi è oggetto di storia; così come per la Francia l'affare del Canale di Panama. Accenno a questi fatti e relativi interventi sia del parlamento che dell'autorità giudiziaria, perché la Banca Romana non fu, nel secolo scorso, un caso unico, sì bene un caso tipico delle malattie della democrazia; mentre quelle tipiche delle monarchie, siano state di diritto divino o di diritto storico, ebbero altri caratteri e presero altra storia, una delle più celebri quella di Filippo il Bello di Francia.
Il ricordo dell'inchiesta sulla Banca Romana mi è venuto alla mente leggendo la lettera del ministro Ferrari Aggradi diretta all'on. Merzagora presidente del Senato in risposta indiretta ai miei rilievi fatti ai discorsi tenuti dallo stesso ministro al Senato nei giorni 6 e 12 di questo afoso mese di maggio. Leggendo il certificato di buona condotta che Ferrari Aggradi rilascia al presidente Zoli e al ministro Bo per avere un anno prima fatto dichiarazioni analoghe - di buona condotta per Mattei riguardo l'acquisto e la gestione del Giorno, viene l'idea che tali documenti, nella loro espressione elementare, potrebbero essere anche riguardati, senza cattive intenzioni, come una presa in giro dell'interrogante Luigi Sturzo o della opinione pubblica, e non potrebbero figurare in un'inchiesta come quella sulla Banca Romana. Ma, anche ammesso il contrario, chi potrebbe essere il Mordini di sessantasei anni dopo? Gandolin (Vassallo) così presentava satireggiando gli inquisitori, le celebri sette persone tutte degne e autorevoli: «Antonio Mordini il capobanda, uno degli esseri più deplorevoli; Alessandro Paternostro giovane ancora ma già consumato delinquente; Cesare Fani, famigerato falsario; Clemente Pellegrini, malfattore non volgare dedito alla fabbricazione di falsi; il Conte detto Suardi e detto anche Giarzforte soggetto pericoloso; Emilio detto Sineo, la nuova incarnazione di Giuda Iscariota)). Sarà difficile trovarne sette simili fra i senatori di oggi, non per le qualifiche di Gandolin, che intendeva così satireggiare i giolittiani suoi avversari, ma per il fatto che allora i senatori erano nominati a vita dal monarca; oggi sono nominati ad tempus dall'elettorato. A parte questa piccola differenza, oggi dietro i senatori stanno partiti organizzati i quali pretendono comandare alla coscienza degli iscritti; pur borbottando, non tutti sarebbero disposti a mettersi contro il partito. E se la commissione d'inchiesta pel caso Giuffrè poté scrivere una attenuata deplorazione pel ministro Preti, lo stesso Fanfani, allora capo del governo, si affrettò a rilasciare all'incauto collega un certificato di buona condotta, atto a impedire una dimissione che poteva lesionare l'edificio governativo. Il caso Giuffrè non aveva altra portata che di fare andare qualche straccio per aria e di inquietare un certo numero di preti da trattarsi con una certa superiorità, cosa che fa sempre piacere ai laici e li gonfia di fronte ad un elettorato come il romagnolo e I'emiliano. Del caso dei comunisti, presentato come quello che avrebbe controbilanciato parroci e frati, non si parlò più; tale inchiesta non poteva essere invocata dai Bovio, Colajanni e Cavallotti in sessantaquatrresimo come quelli del 1958. Comunque siano o possano andare gli affari.. . del Giorno, noto qui gli interrogativi che pone una lettera come quella del ministro Ferrari Aggradi diretta al presidente iMerzagora in data 19 maggio 1959: 1) Se i ministri per le partecipazioni passati e presenti potevano fino ai 16 aprile af-
fermare che «la proprietà del quotidiano Il Giorno di Milano appartenesse alla Società Editrice Lombarda* e che ((questa Società non facesse parte del gruppo di aziende controllate dall'Ente Nazionale Idrocarburi e comunque con tale ente collegate»; e se gli stessi, per mezzo del ministro Bo potevano dirsi ((ingrado di escludere che l'Ente Nazionale Idrocarburi e le società da esso dipendenti possedtssero partecipazioni azionarie nella Società Editrice Lombarda e perfino che non risultasse che ne possedeva l'ing. Enrico Mattei in proprio»; se tutto ciò è vero, per quali motivi il ministro Ferrari Aggradi il 17 aprile scorso ordinò alI'ENI di acquistare il Giorno, cosa eseguita in data 5 maggio corrente mese? 2) E poiché il direttore Baldacci ha negato che il suo quotidiano appartenga all'ENI, anche dopo il 5 maggio, ma solo a testata; può il ministro Ferrari Aggradi affermare che nella lettera suddetta egli intendeva parlare solo della testata del Giornoe non mai della proprietà e gestione relativa? 3) In ogni caso, quanto è costato all'ENI l'acquisto della testata o del giornale? e quali oneri I'ENI si è assunti circa il deficit del Giorno che dicesi ammonti a parecchi miliardi! e nel caso affermativo la Società Lombarda è stata messa o sarà messa in liquidazione?o sarà promossa (con le benemerenze del passato) nella costellazione ENI? E chiaro, che non posso non riportare l'affare in Senato, ma desidero avere sciolti i dubbi che la lettera di un ministro diretta al Presidente del Senato (che è quanto dire ad una delle più qualificate autorità della Repubblica) ha destato non solo in me (che ricordo i fasti della Banca Romana), ma anche in coloro che non sanno se la Banca Romana sia mai esistita e ignorano del tutto I'awentura Giolitti.
Il Giornale d'Italia, 23 maggio 1 959
SO. FI. S. Più svelto, Sofs; è questa un'altra sigla entrata non solo fra quelle finanziarie, ma anche nei giornali, per merito speciale di un decreto presidenziale regionale siciliano di Milazzo. Si tratta della Società Finanziaria Siciliana, il cui posto di direttore è stato messo a concorso con lo stipendio iniziale fisso di dodici milioni, oltre diritti ed emolumenti tipo bancario; bando fatto su misura, per l'età, le qualità, la presentazione di garanzia, in modo da venir fuori un autocandidato sostenuto, oltre che da vecchi amici e nuovi favoriti, dalla massiccia pressione comunista. Non è questo che mi induce a scrivere il presente articolo, ma certe posizioni economico-sociali dei miei amici di Sicilia e del continente, riguardo quel tipo di statalismo che io combatto, cioè l'ingerenza indebita e sistematica dello Stato (e naturalmente, degli enti pubblici statali e locali) lesiva della personalità e libertà individuale e dei nuclei privati. Se poi vi è l'aggravante dello sperpero del denaro pubblico e della incapacità produttiva, il caso dello statalismo diviene doppiamente dannoso e riprovevole. La Sofis è nata da un'idea mezza buona e mezza sbagliata: aiutare le iniziative industriali siciliane (siciliane di nascita? di razza? di cittadinanza? di che cosa?), comunque col certificato di sicilianicà, cioè senza legami al di là dello Stretto; a tali iniziative andrebbero le partecipazioni azionarie della detta Finanziaria, formata da fondi assegnati dalla Regione e da enti siciliani qualificati, nonché da privati (in minoranza), sia pure che agiscano al di là dello Stretto.
Di che cosa si preoccupano i promotori? Che gli operatori continentali, i quasi unici che hanno utilizzato con importanti iniziative le leggi a favore della industrializzazione in Sicilia, sfruttassero le materie prime siciliane, per vendere i prodotti fuori dell'Isola. Il caso in tanto può darsi in quanto la Sicilia ha tuttora mercati limitati; ma nessuno degl'impianti operanti in Sicilia avrebbe interesse di privare l'Isola dei propri prodotti. Si porta il caso della Gulf che estrae petrolio ma non lo lavora: è questo il tipico sistema americano e di altri Paesi industrializzati: ma vi sono già impianti di raffineria (RASIOM), di petrolchimica (ABC o Bombrini Parodi, Sincat, Montecatini e simili) che già operano e i relativi impianti sono in corso di ampiamento. Che si facciano avanti i siciliani di marca genuina a impiegare i loro capitali nella industria, invece di acquistare buoni del tesoro o depositare i risparmi vincolati in banca a buon tasso, senza aver il dolor di capo e allo stesso tempo senza comprendere che, così facendo, perderanno ogni anno una quota di valore di acquisto del loro denaro per la lenta svalutazione che il sistema comporta. Non nego che ci siano sane iniziative di siciliani fra le quali a Catania, a me note, due importanti industrie farmaceutiche e un caseificio modello; ma non ostante tutti gli sforzi di dieci anni, e il finanziamento del Birs attraverso I'IRFIS, non si è potuto realizzare nella zona Catania-Siracusa un sano impianto di succhi di arancio; quello (ottimo) di Frasca Polara di Palermo (succhi di limone) si mantiene sulla misura media perché opera ail'estero. E chi non ricorda l'entusiasmo dei catanesi per lo zuccherificio? Ma dopo tanto gira e rigira i siciliani di nascita ritennero solo il 12 per cento delle azioni, il resto passò in mani lombarde; e buone mani, dico io, gente che sa fare sul serio e ci ha dato l'impianto che ci voleva. Il professor Palazzo di Firenze (nativo di Caltagirone) si interessò per un impianto di carta a tipo moderno e ci sciupò parecchi milioni; ma sarà l'impianto della SAICI che verrà eseguito, con l'apporto della Regione alla piantagione degli eucaliptus. Comunque possa svolgersi l'attività della Sofis,questa non impedirà mai i finanziamenti dell'IRFIS, né quelli fatti in antecedenza dal Banco di Sicilia e i successivi per le scorte in base alla legge Stutzo, inserita in seguito all'ultima legge sulla Cassa per il Mezzogiorno. Niente lotta quindi fra Nord e Sud in Sicilia; coloro che vogliono operare con i siciliani di marca, disposti a fare sul serio (come mi sembra stia finalmente facendo la già fallimentare società di Vini di Salaparuta con il celebre Corvo) che vengano aiutati; e se è Piaggio o Cinzano che svolgono attività realmente vantaggiose in Sicilia nel cantiere di Palermo o nel vino Marsala, non rifiutiamo nulla che sia legittimo, sol perché uno abita a Genova e l'altro a Torino. E basta con questo sicilianismo di cattiva lega; ché se la Regione ha perduto milioni su milioni in un certo cotonificio di marca siciliana e nulla ha perduto con la Rossari e Varzi di origine lombarda, dovrebbe rendersi conto dei motivi segreti della campagna ((antindustriale-Nord»in Sicilia, a parte s'intende i motivi connessi alla propaganda politica socialcomunista e a quella statalista di Mattei e C. E veniamo alla portata reale della Sojs. Fin oggi, azioni sottoscritte: tre miliardi la Regione, con impegno di altri due; qualche miliardo il Banco di Sicilia, Cassa di Risparmio e altri. Mettiamo che si arrivi col tempo a dieci miliardi nominali. Intanto fin oggi, nessuna operazione seria che sia a conoscenza del pubblico. Si parlò della raffineria di Milazzo, non certo nata in Sicilia per conto dei siciliani; si parlò di un impianto siderurgico in Milazzo promosso pare da un gruppo friulano con apporto tedesco; ma di tedesco ci sarebbe stato il macchinario non l'impresa che sarebbe in mano ad una ditta non chiaramente qualificata. Di siciliano pare solo il promotore come siciliano è stato il promotore della raffineria di Palermo, più a tipo di rifornimento di navi (comprese quelle.. . di commercio irregolare) anziché a scopi industriali diretti ad essere assorbiti dalla futura attività siciliana. Non par-
lo della raffineria di Gela, che Mattei pretende (se è vero quanto si dice) che sia finanziata dalla Regione. In sostanza, ho l'impressione che la Regione sia guardata, da questi futuri industrializzatori, come Pantalone, o per essere in gergo, come Cappiddazzupaga-tutti! Ebbene, perché la Sojs faccia questo mestiere.. de futuro, occorre sul serio nominare un direttore tamburo battente? durante il periodo elettorak! con un bando di concorso su misura? con lo stipendio di dodici milioni! mettendo il campo a rumore? facendo violenza alle leg~? modificando lo statuto? Gatta ci cova: chiaro; la pressione comunista non riguarda solo la persona del segnalato, tanto è vero che già si fa il nome di un altro candidato socialcomunista o legato ai socialcomunisti attraverso gruppi di fiancheggiamento, purché venga conquistato un posto chiave per la futura industrializzazione siciliana a base di statalismo regionale, è questo lo scopo cui i socialcomunisti mirano da tempo, sostenendo non solo Mattei, ma tutte le più sballate regionalizzazioni fatte o mantenute da certi incauti dc. Possibile che non se ne siano accorti o non se ne accorgano? Potrei qui inserire un elenco non certo brillante dello sperpero del denaro regionale con certi enti sconquassati e certe malversazioni non colpite o non colpite in tempo; ma fo punto. La Sojs è già tale iniziativa, che la futura assemblea e il futuro Governo dovrebbero rivedere, ridimensionare, ridurre a un utile strumento, dal quale le autorità della Regione dovrebbero restare estranee, per evitare quella politicizzazione di enti economici che danneggia il pubblico erario e corrode e rovina le più sane iniziative.
Il Giornale d'Italia, 26 maggio 1959
Attenti alla Sicilia. Nenni-((La Base»-Mattei Che Nenni sia andato in Sicilia, e anche Togliatti, nessuna meraviglia; a parte la strana battaglia elettorale che vi si combatte nella confusione delle idee e delle lingue, ogni partito cerca di preparare le posizioni nella futura maggioranza dell'Assemblea e nella futura Giunta del governo siciliano. Ma Nenni ha altri interessi da tutelare in Sicilia; anzitutto quella specie di autonomia del PSI che crede di poter raggiungere pur restando i suoi iscritti nella CGIL e pur mantenendo le sue cooperative (che in Sicilia si contano sulle dita) insieme alle comuniste e pur mantenendo comunione di posizioni e di interessi nelle amministrazioni locali. L'autonomia dei nenniani è ancora di là da venire anche in Sicilia, dove i socialisti han partecipato e partecipano alla Giunta Milazzo con un assessore, il quale non si è dimesso nemmeno di fronte alle critiche e alle riserve che, fu detto, siano state fatte dai socialisti a certi prowedimenti milazziani imposti dai comunisti. I quali ultimi, con le liste di comodo e di disturbo presentate in tutti i collegi, intendono esercitare dietro le quinte una specie di controllo circa la scelta preferenziale dei socialisti, sperando di fare riuscire i più docili. Di questo Nenni si è risentito, e sembra sia corso ai ripari. In sostanza un piccolo affare tra cugini; l'autonomismo del PSI è una lustra per conto terzi. E i terzi sono i giovani della BASE (democristiana), i quali sono corsi in Sicilia allo scopo preciso di provocare un orientamento centro-sinistro (come si dice a Roma) della futu-
ra maggioranza dell'Assemblea, con una punta verso il Nenni azrtonomista, che dovrebbe distruggere il Nenni confusionario. La notizia è stata data da La i6ce Repubblicana del 31 maggio; confermata da Il Tempo del 3 1 maggio; autorevolmente messa in giro dall'Agenzia giornalistica Radardel29 maggio (n. 11l), dalla quale riportiamo il testo integrale, a edificazione di Piazza del Gesù e della direzione de IIPopolo, che sembra non ne abbiano conoscenza (a meno che non chiudano un occhio o tutti e due): a1 maggiori esponenti della corrente di BASE sono impegnati nelle ultime battute della campagna elettorale siciliana nel sostenere una precisa linea politica che superi il logoro motivo anticomunista e dia una seria prospettiva alla richiesta di "più voti" alla DC. In una serie di comizi tenuti ieri ed oggi da Galloni a Palermo, Caltanissetta ed Enna, da Granelli a Catania e Ragusa, da Misasi a Messina, da Pistelli ad Agrigento, da Sullo e De Mita in provincia di Catania e Ragusa, gli esponenti della BASE hanno sostenuto che l'unica, valida alternativa al "milazzismo" ed al frontismo a direzione comunista è rappresentata da una politica di centro-sinistra, cioè di impegno per lo sviluppo economico e politico della Sicilia, fuori e contro ogni pretesa confindustriale e con una netta chiusura verso i partiti di destra. Agli oratori del Partito Socialista che in tutta l'Isola stanno conducendo una campagna elettorale vivacemente polemica nei confronti del PCI e del suo possibilismo, gli esponenti della BASE hanno rivolto un appello perché il PSI porti alle sue logiche conseguenze il proprio discorso politico e si dichiari pronto a collaborare alla realizzazione di quella alternativa di centro-sinistra che è l'unica che possa oggi evitare la contrapposizione di due blocchi, di centro-destra e a direzione comunista, anche in Sicilia ed assicurare un reale progresso dell'autonomismo. A quanto risulta alla agenzia Radar le tesi sostenute dalla BASE non solo vanno suscitando vivo interesse nei cittadini e negli iscritti alla DC, ma hanno trovato eco molto favorevole in ambienti responsabili della D C isolana e segnatamente presso alti esponenti del gruppo parlamentare d.c. della passata legislatura regionale. È prevedibile che nei prossimi giorni esponenti della DC abbiano a precisare i punti programmatici sui quali è possibile attuare le convergenze auspicate dagli oratori della BASE; si concluderebbe così una campagna elettorale non all'insegna della mera richiesta di "più voti", ma con l'indicazione delle scelte politiche che il maggior partito intende compiere ad elezioni concluse». Si potrebbe conchiudere con un zampa cavallo; se questa non fosse l'ennesima affermazione della sinistra dc per un'intesa con Nenni anche se questi mantiene i legami con il partito comunista, sia pure attraverso i sindacati operai, le cooperative e le amministrazioni locali; la ennesima difesa di una politica condannata dalla pubblica opinione dei cattolici e del Paese; l'ennesimo tentativo di confondere le forze della DC sul piano del più screditato statalisrno, proprio quello di Nenni. Che sia così, è rilevato dalla stessa agenzia Radar, la quale continua in un secondo paragrafo dal titolo: Un servizio speciale sulla Sicilia di Stato Democratico (il quindicinale della Base) : ((Richiamandosi allo scontro verificatosi all'interno dell'hsemblea Regionale e del gruppo d.c. sui problemi dell'intervento diretto della Regione per lo sviluppo industriale ed economico dell'Isola, "Stato Democratico" ricorda che, pur essendo stata preparata dalla DC una legge che mirava a bloccare gl'interessi della Confindustria in Sicilia e dare respiro alla piccola e media industria locale, la direzione della Sojs (la società finanziaria che doveva provvedere alla programmazione regionale) fu improwisamente affidata al dott. Capuani, Presidente della TIFEO (una società controllata dalla Pirelli), uomo legato proprio a quegli ambienti economici confindustriali che nella relazione di maggioranza alla legge di in-
dustrializzazione erano stati indicati quali ostacoli di un autentico sviluppo economico-sociale della Sicilia». Individuata in quisto episodio la causa prima che determinò la rottura dell'equilibrio interno alla DC e all'Assemblea, il quindicinale della BASE fa una rapida rassegna degli avvenimenti che precedettero l'elezione di Milazzo alla presidenza della Regione e sostiene che ((l'impulso alla soluzione dei problemi siciliani deve venire dall'Assemblea Regionale e dalla Giunta di governo. Ma quale impulso può venire da parte dei monarchici e dei missini che, soli, in Assemblea hanno consentito in tutti questi anni ai Governi moI1 problema siciliano deve essere imnocolori d.c. e di "coalizione democratica" di reggersi? -postato in modo radicalmente nuovo: la battaglia autonomista, se vuol significare effettivo sviluppo economico e lotta concreta al prepotere della mafia, deve articolarsi attorno alle forze sinceramente democratiche e francamente avverse agl'interessi della destra isolana)). Par di sentire l'eco di La Cavera, proprio il candidato dei comunisti alla direzione della Sojs, sul quale i giovani della BASE non hanno nulla da rilevare, perché è un amico di Mattei e con Mattei spera di intrecciare le iniziative della Sof;. Egli ha intenzione di favorire la futura raffineria di Gela; di sistemare la produzione degli zolfi in base ad un piano Mattei da studiare, di mettere la mano sulle varie iniziative industriali siciliane, per correggere l'indirizzo privatistico datogli fin oggi. Non per nulla La Cavera ha messo in giro (per la seconda volta) un presunto verbale mai redatto, e che la Confindustria ha smentito. Ma chi ignora che la BASE è in gran parte in mano a Mattei? Impiegati o appaltatori; concessionari e rappresentanti; esponenti e consulenti; giornalisti e informatori dei sotto enti, agenzie, giornali, periodici matteiani si sprecano; non mancano amici, difensori, ammiratori, propagandisti, in modo che interessi personali e politici, industriali e commerciali, solidaristi e statalisti creano la più fitta rete, nella quale cadono mosche e mosconi di tutte le specie. La voce del padrone non si serve solo per mezzo del quotidiano di Milano, oggi riconosciuto dall'ENI come figlio illegittimo; si esplica per cento rivoli di carta stampata; e forse (volere o no) «Stato Democratico)) sarà della partita. Non dimentichiamo che in Italia oggi la cosiddetta lotta fra statalismo e libera iniziativa è insistente; si nega che esistano anche privilegi accordati a certi monopoli privati per potere negare quelli maggiori dati alle aziende statali; la impostazione politica è oramai basata sulle linee partitiche di destra e sinistra, non perché la destra non accetti lo stacalismo, ma perché serve a mettere a destra i baroni dell'industria (i diavoli) e a sinistra gli enti (gli angeli statali). Così di conseguenza si viene a negare o annullare il Centro, quello vero della tradizione popolare; il Centro dc di De Gasperi del 1947, quando egli sbancò dal governo i socialcomunisti; quello del 1948, quando egli vinse la più importante battaglia elettorale d'accordo con i partiti democratici, e quando impostò la prima grande riforma con la Cassa del Mezzogiorno. Tutte le volte che la DC come partito di centro comincia a mostrare una forte incrinatura, dando l'impressione di spezzare l'ossatura unitaria del partito in frazioni irreconciliabili, ecco che gli altri partiti (secondo le ondate politiche) si coalizzano (come in Sicilia e altrove) per estromettere la DC dalle posizioni-chiave, e specialmente dal governo della Repubblica. L'operazione BASE-Nenni, favorita dal Giorno e. dal presidente dell'ENI, avrebbe questo significato; ed è questa oggi la battaglia che si combatte in Sicilia. Lo comprenderanno a Palermo e a Roma?
Il Giomak dytalia, 2 giugno 1959
Parole della vigilia Quale sia per essere l'esito della votazione regionale siciliana, il 7 giugno 1959 resterà storico negli annali dell'Isola per la sua eccezionalità politica e per la svolta che darà all'attività isolana in tutti i campi. Non esagero: uno scossone, bene o male, (e forse tanto bene che male), han recato l'esperienza e le polemiche che definiremo «milazziane»dal nome del protagonista quasi involontario, eppur pienamente responsabile, di quanto è awenuto dall'ottobre ad oggi. Errore fondamentale del gruppo Milazzo e dei gruppi monarchico e missino è stato quello di legarsi ad una maggioranza parlamentare formata in prevalenza di social-comunisti, senza comprendere che lo scotto sarebbe stato pesante e le conseguenze etico-politiche contrarie agli interessi della Sicilia e degli stessi partiti di centro-destra. Ma la passione fece velo ai loro occhi; pel fatto che i comunisti non partecipavano alla formazione della Giunta Regionale (salvo l'indipendente D'Antoni) e che i socialisti si contentarono di un solo posto, essi credettero che tutto sarebbe andato liscio nei pochi mesi avanti le elezioni regionali. Per quanto lo avessero voluto, in nessun settore han potuto resistere alla metodica e progressiva presa di posizione dei socialcomunisti, in modo che alla vigilia delle elezioni invano Milazzo cerca la formula per far capire che, a elezioni fatte, non intende più avere legami governativi con le sinistre, essendo anche oggi egli apertamente sostenuto dagli ex-colleghi (li chiamo così per intenderci) tuttora collegatie domani pronti a collegarsi di nuovo, sotto la speciosa etichetta dello ... stato d i emergenm o governo d i necessità. Anche quello di Segni è qualificato dalla sinistra d.c. governo di necessita con la differenza che la necessità che piace a Palermo non è la necessità che piace a Roma, e viceversa. Ebbene: l'una e l'altra necessità sono nate da uno stato di inquietudine del paese, il quale desidera soprattutto un potente sforzo di moralizzazione della vita pubblica; della cui decadenza sono sintomi gravi per il governo centrale il caso del Giorno e dell'ENI; per il governo regionale il caso della Sofi e di La Cavera; e per l'uno e per l'altro ancora peggio il finanziamento dei partiti e gruppi politici fatto da enti pubblici e da organizzazioni private; specialmente per le elezioni politiche e amministrative compiute con la più aperta corruzione che mai fosse stata organizzata in Italia (ed è organizzata tuttora in Sicilia) in cento anni di unità nazionale. Oggi, è il cirtadino libero che reagisce contro l'ondata corruttrice e invoca prowedimenti. I partiti non parlano, perché sanno che la partitocrazia italiana è basata sull'intrallazzo corruttore fra partiti-pubblica amministrazione e interessi privati. I1 caso di Taranto è tipico. Quel cantiere è in difficoltà e si agitano le maestranze, si agita la stessa cittadinanza. I cantieri figurano proprietà di persone che non sono del mestiere e non hanno propri capitali; vantano crediti dallo Stato, il quale non li paga né li liquida non solo per difficoltà burocratiche, ma anche per motivi (come dire?) politici. Chi c'è dietro ai figuranti azionisti del cantiere di Taranto del tipo azionisti della società editrice lombarda del quotidiano Il Giorno?Coloro che cercano scaricare sull'IRI le proprie responsabilità e disincagliarsi dei propri debiti? E che cosa è la finta vendita del Giorno se non la pretesa regolarizzazione dei debiti fatti da privati con i denari dell'ENI? Parlare di moralizzazione e cedere alla piazza; anche negli affari economici Roma e Palermo cedono alla piazza: alla piazza social-comunista, anche se piglia il nome di social-crisriano. L'altra piazza, la cattolica di azione, si mantiene arroccata nelle parrocchie e nelle cattedrali; la sindacalista della CISL - ACLI compresa - quando non si unisce alla CGIL
si mantiene nelle proprie torri di avorio di organizzazione di categorie, pretendendo poi di dettar leggi alla politica del paese attraverso la DC. Nel momento elettorale le dispersioni di forze e lotte personali spingono tutti i gruppi e le organizzazioni collaterali, attraverso il voto preferenziale, ai compromessi più squalificati, pur di fare riuscire i propri candidati. Causa di tutto ciò la cattiva educazione politica: una visione privatistica e personalistica della vita pubblica; il finanziamento di partiti e la corruttela elettorale senza limiti. In Sicilia tutti sono in colpa; lo stesso Milazzo, il quale alzò la bandiera della ribellione in nome della moralizzazione, non ha saputo colpire un solo responsabile del passato ed ha ceduto a tutte le pretese degli affiancatori, socialcomunisti compresi, senza valutarne tutte le seduzioni, nella mancanza di rispetto alla più elementare moralità. Potrà, alla resa dei conti, l'elettorato siciliano esigere dalla nuova Giunta una vera svolta di timone, dopo avere avuto la prova provata della attuale demoralizzazione? Purtroppo, è questa la condizione sine qua non della rinascita siciliana: niente cessione a sinistra per la contraddizion che no1 consente (direbbe Dante), perché cessione immorale in sé e nei suoi effetti: niente abuso del denaro pubblico a scopo o a vantaggio privato; amministrazione rigida; rendimento e disciplina del personale; rettitudine amministrativa; coraggio nel reprimere il male; forza nell'opporsi alle iniziative equivoche e dannose; volontà decisa di non cedere alle suggestioni della partitocrazia. Sarà possibile una tale trasformazione? Gli uomini politici sono anch'essi uomini e non eroi; avranno le loro debolezze, le loro ambizioni, le loro gelosie. Eppure, di fronte ad un'esperienza come quella dei sette mesi milazziani si dovrebbero poter superare ambizioni e gelosie, contrasti e tendenze. Io son sicuro che gli Alessi e i La Loggia, che tanta parte hanno avuto e canto hanno realizzato nei dodici anni delle tre prime legislature regionali, sarebbero ben disposti a non ritornare a posti presidenziali pur di fare tacere i risentimenti (siano o no giustificati) attorno alle loro persone; sono sicuro che molti dei deputati che ritornano alla Sala d'Ercole sono convinti degli errori commessi e disposti a trovare vie più severe nella pubblica amministrazione e contegno più deciso verso avversari politici e religiosi quali i social-comunisti. Ma a parte le disposizioni d'animo di ciascuno, il problema che preme in questa vigilia elettorale è quello della estromissione dei socialcomunisti dalla direzione e amministrazione della Regione, facendo alla D C riprendere il posto e il ruolo avuto fin oggi. È chiaro che i cattolici, che sono la gran maggioranza dei siciliani, non vogliono più social-comunisti che comandano per mezzo di utili idioti e neppure per mezzo di persone infatuate di sé come investiti di una missione mistica tipo Milazzo, missione che si è risolta nella peggiore servitù, come ne è prova il caso della Sofis. I cattolici vogliono che si dia bando agli equivoci e agli infingimenti; vogliono chiarezza morale e politica. L'on.le Alessi ha fatto bene nel lanciare l'appello all'unione di tutte le forze anticomuniste siciliane; fra queste se i collaboratori possibili che risulteranno dalle elezioni saranno alla destra owero al centro sinistro della DC, che siano ben accetti, senza pregiudiziali imposte da organi di partito, centrali o periferici. Una Regione autonoma, come la Sicilia, non può essere compressa da poteri extra-regionali ed extra-parlamentari, senza perdere la propria ragione d'essere. Se l'esperienza partitica già fatta nella terza legislatura non debba dirsi del tutto negativa; se la reazione, per quanto dolorosa e pericolosa, debba essere anch'essa non valutata del tutto negativa; ciò sarà solo perché Dio ha permesso l'una e l'altra; e perciò dovranno avere per i credenti in Dio
una loro utilità, quella che cattolici umili e modesti possono e debbono trarre, come motivi di emenda e come spinta per un migliore avvenire. 2pertanto questa l'ora della riscossa. Orizzonti, 3 giugno 1959
Condizioni per una effettiva ripresa Dopo l'esposizione del Ministro del Bilancio e Tesoro, on. Tambroni, e dopo la Relazione del Governatore della Banca d'Italia, dr. Menichella, si attendono i provvedimenti del Governo per una effettiva ripresa della nostra economia. I1 quadro dentro il quale si dovrà svolgere la necessaria cooperazione dei fattori della produzione -capitale e lavoro, iniziativa privata e intervento statale - è formato dai limiti e dalle finalità del Mercato Comune e dalle nostre possibilità di superare le posizioni di inferiorità e di impaccio nelle quali ci troviamo. Forse non pochi si meraviglieranno se io metto in capite libri la questione della nominatività dei titoli; la meraviglia aumenterà di sicuro se alla mia accusa di insensibilità o di complesso di inferiorità, da parte dei responsabili diretti che ritardano il provvedimento, aggiungo anche quella parte di privati operatori, i quali preferiscono oggi non parlarne più perché trovano vie più agevoli ai loro affari. Infatti la notevole liquidità bancaria porta gli imprenditori per l'andamento delle loro aziende a contare più su prestiti diretti, owero a mezzo di obbligazioni, anziché ricorrere all'aumento di capitale azionario. Non potrebbe essere spiegato altrimenti il rialzo di borsa delle azioni senza vedervi dentro una diretta, o anche indiretta, speculazione. E mentre constatiamo più decisa la tendenza a favorire gli investimenti esteri, dobbiamo rilevare che questi non sono fatti esclusivamente con capitali stranieri; vi si trova mescolato denaro italiano che ritorna in patria mascherato da nuova etichetta.
Dall'altro lato, gli enti statali non hanno interesse ad emettere azioni, potendo ottenere dallo Stato aumenti di fondi patrimoniali senza pagare interessi né avere obbligo di restituzione, owero più facilmente emettere titoli obbligazionari garantiti dallo Stato e facilitati dal privilegio di esoneri fiscali propri di questo tipo di circolazione di capitali. Onde il mercato delle azioni è stato ridotto alla situazione attuale, che non può dirsi espansiva, mentre il grosso delle azioni resta nelle mani di coloro che sono indicati dagli avversari e dagli statalisti come i baroni della finanza; chi vuole acquistarne dovrà pagarle ben care. Occorre sbloccare questo ingorgo che produce tanti danni allo sviluppo produttivo italiano. L'idea fissa degli statalisti è quella di un intervento direttodello Stato, anche nel campo delle nuove imprese (tipico il promesso impianto siderurgico meridionale) o in quelli delle zone depresse che, con o senza pianificazioni, dovrebbero essere affidati all'IRI o al-
I'ENI. Altri, pur riconoscendo più congruo e più efficace l'intervento statale nel campo delle infrastrutture e nelle operazioni di stimolo all'iniziariva privata (specialmente nell'agricoltura e nei lavori per strade, case, fognature, canalizzazioni di acque, bonifiche, scuole, sconti ai commercio interno e all'esportazione), non intendono precludersi la via dell'in-
tervento diretto nell'installazione e gestione di imprese attive. Costoro sostengono la tesi che nelle zone depresse, dove I'iniziativa privata locale non ha risorse né spinte, per cui l'iniziativa degli enti pubblici è invocata perfino dalle popolazioni interessate, è necessario l'intervento diretto e sollecito dello Stato. Non intendo, in questo articolo, polemizzare con gli statalisti impenitenti, né con quelli che chiamerò conciliatoristi messi in bilico fra l'iniziativa privata e l'interventismo statale; solo faccio notare che sarebbe da persone awedute e coscienti delle loro responsabilità cominciare col mettere l'iniziativa privata nelle condizioni atte al maggiore sviluppo possibile, senza privilegi per alcun settore o per particolari imprese; ma senza impedimenti che ne rendano onerosa, difficile, contrastata, l'attuazione. Nello stesso tempo tentare tutti i mezzi per mettere la nostra economia nelle condizioni di equivalente approssimazione con quella dei Paesi del Mercato Comune. Queste due condizioni dovrebbero prevalere sulle concezioni stataliste (nel senso di affidare allo Stato impianti diretti nel campo della produzione). Ecco il motivo delle mie insistenze perché venga eliminato l'obbligo della nominatività dei titoli come è oggi attuata in Italia, adottando uno dei sistemi dei Paesi vicini: Svizzera, Germania, Belgio, a meno che non si creda migliore il sistema degli Stati Uniti d'America. Bisogna rompere l'incanto di uno schedario e di un controllo che a nulla serve per I'erario e danneggia il commercio dei capitali, con grave danno delle piccole e medie aziende, alle quali le massicce e frequenti emissioni di obbligazioni finiscono col contendere le normali disponibilità bancarie a breve e lungo termine.
E veniamo al prestito: tutti siamo favorevoli a regolare le operazioni statali con un prestito novennale o decennale che sia, al posto della emissione di Buoni del Tesoro ordinari per bisogni di cassa. Però è doveroso tenere presente l'avvertimento del Governatore Menichella per una maggiore sanità del bilancio statale, se vogliamo fare una economia di slancio e di liberazione. In sostanza, si tratta sempre della questione di voler fare le nozze con i fichi secchi; errore: noi abbiamo l'obbligo di stringere i freni alle spese improduttive e di orientarci su quelle che rendono e rendono bene. Ecco il perché della mia insistenza sullo sviluppo delle attività privare, non quelle basate su privilegi fiscali, su doppi prezzi, su larghe sovvenzioni; ma quelle veramente produttive, basate sulla responsabilità diretta degli azionisti; quelle che rispondono alle condizioni ambientali e alle nostre possibilità effettive, le quali, se sfruttate con abilità tecnica e senso di responsabilità, daranno ottimi risultati. Si comprende che il primo posto negli aiuti statali si debba dare all'agricoltura, e in modo speciale alla sistemazione montana e coliinare, alla silvicoltura, alla irrigazione, allo sviluppo zootecnico e alla «rivoluzione» della tecnica agraria. Ci siamo? no; la nostra attività privata e statale su questo settore risente ancora di una insufficiente orientazione; si sarebbero dovute sistemare come prima e precipua iniziativa le zone montane facendo una politica forestale massiccia. Parole, sì; tentativi, qua e là discreti; Cassa del Mezzogiorno impacciata, senza sufficiente preparazione e organizzazione tecnica, con mezzi limitati e con personale limitatissimo e (a parte alcuni otcimi tecnici), con corpi consultivi inadatti alla piena e moderna comprensione dei problemi montani. L'organizzazione forestale del ministero è deficiente in tutti i settori, a cominciare dalle scuole (Vallombrosa fa eccezione); nessun allenamento, né allettamento per i giovani; au-
tonomia amministrativa di corpo che porta i dirigenti forestali a fare quello che non dovrebbero e non fare quello che dovrebbero. Pochi i fondi, poco il rendimento, molto lo sperpero. Sfido a confutare le mie accuse che rimontano a dodici anni fa; e da allora sono stato su questo punto molto applaudito, ma quasi sempre inascoltato.
Ora bisogna correre ai ripari: si spera sui buoni propositi del ministro Rumor; auguro che siano tecnicamente studiati ed efficacemente eseguiti. Non ho molta fiducia in parecchi degli organismi piazzati a via XX Settembre. Certo che la ripresa zootecnica si impone; il prezzo del grano deve essere diminuito mentre il rendimento delle colture a grano (adottando sistemi di tecnica modernissima) potrà aumentare. Purtroppo, il formalismo burocratico dei ministeri tecnici è tale che concorre alla paralisi e alla lentezza delle molte iniziative, anche delle più interessanti. Gli ispettori agrari provinciali sono divenuti funzionari e burocrati, e invece debbono essere dei veri tecnici e per giunta bene affiancati da cattedratici ambulanti -preparati e attivi. Scuole professionali: d'accordo, ma scuole libere, senza impacci di regolamenti centrali e di diplomi ufficiali, libere come all'estero; ogni - scuola si faccia conoscere per i suoi meriti e con le proprie iniziative; sia celebrata per i professori e gli insegnanti liberamente scelti fra i migliori, non mai imposti dall'alto in base a gaduatorie fatte su numeri automatici per giornate di lavoro o per certificati insignificanti, mettendo in fila a centinaia e a migliaia gli aspiranti senza esperienza: il maestro è per la scuola; non la scuola per il maestro. E possibile cambiare mentalità ai ministeri? Siamo afflitti da un classismo di categoria, pel quale la tutela del mezzo (l'insegnante o l'inserviente, il direttore o il bidello) diviene la principale delle tutele legali; mentre decade il funzionamento della scuola. Non voglio uressi fanno il loro dovere nell'assistere gli associati assicurantare i sindacalisti di categoria; done i diritti umani; ma non posso accettare la protezione sindacale per gli ignoranti, gli infingardi, i «beatipossidenten>anche senza regolari titoli, con danno di coloro che possono meglio servire agli scopi sociali della scuola, degli scolari stessi e dell'awenire del Paese. Faccio punto con la digressione, la quale non è una vera digressione ma può divenire la morale della favola. Lo statalismo, alleato al classisrno e alla partitocrazia, ci ha regalato quindici anni di lotte politiche per le quali è stata resa difficile la valutazione degli elementi effettivi di progresso culturale, tecnico ed economico del Paese. Ora nell'ambito del Mercato Comune, alla vigilia della formazione di altro centro europeo (Inghilterra-Stati Scandinavi) con il quale il Mercato Comune dovrà entrare in contatto di interessi e di struttura pur nel largo sviluppo dell'economia occidentale, non è possibile attardarci sulle linee di uno statalismo ingombrante e passivo, né di un classismo senza comprensione dei veri interessi di classe, quando si perde di vista quel progresso che potrà venire da un bilancio statale più elastico, dallo sviluppo della cultura e della tecnica, la competizione di mercato interno ed estero sul terreno delle qualità, delle specialità e perfino delle quantità. Possibile?si: non devono mancarci coraggio, fiducia e buon volere, nell'accordo fattivo -della classe politica con le classi dell'industria, dell'agricoltura, del commercio e del lavoro. Che Dio ci assista.
Il Giornak d'lralia, 5 giugno 1959
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Amministratori o politicastri? (dalla Vaiie d'Aosta alla Sicilia)
Le ultime elezioni regionali e locali (provincie e comuni) e le polemiche oramai endemiche sul comune di Roma, fin dal giorno che I'on. L'Eltore lasciò il partito socialdemocratico optando per l'amministrazione comunale, pongono un grave interrogativo alla nostra attività pubblica; se cioè Consigli e Giunte locali siano centri di intrighi e di lotte fra partiti politici ovvero debbano ancora riguardarsi quali corpi amministrativi responsabili. E vero che i consiglieri sono nominati dagli elettori locali, i quali hanno bandiera di partito e contrassegni elettorali. La storia dei comuni italiani antichi e moderni ha certo un fondo fazioso che non può dissimularsi: ma il diritto di autoamministrazione, consacrato da secoli, affermato nel Medioevo, inserito nel sistema costituzionale libero e dall'attuazione delle democrazie moderne, ha cercato di superare la faziosità con l'educazione e I'arbitrarietà con la legge eguale per tutti. D'accordo sul diritto, e anche d'accordo sulla finalità: buona amministrazione, controllo pubblico delle entrate e delle spese, equità verso tutti i cittadini senza discriminazioni politiche o d'altra specie. A questo scopo gli ordinamenti locali vanno inquadrati nelle leggi nazionali, proprio per evitare quegli inconvenienti che renderebbero inefficienti i corpi costituiti e non raggiungibili i fini delle rappresentanze locali. Che cosa è mancato e manca alla nostra Repubblica nel campo degli enti locali? Proprio la possibilità del raggiungimento dei fini per via della degenerazione della funzione dei Consigli e delle Giunte locali. Si tratta forse di una colpa di origine difficilmente emendabile? Vediamo di intendere la piccola storia di questi quindici anni. La resistenza al regime già caduto, estesa anche ad attività politico-para-militari, portò alla creazione dei comitati di liberazione formati dai partiti di rinascita; era naturale che tutto il potere cadesse nelle loro mani, allo scopo di formare una diga di difesa contro un passato che si voleva cancellare. L'errore dei partiti coalizzati fu quello di considerare il campo amministrativo come prima preda di un partitismo politico di lotta; un fronte anche nelle amministrazioni locali, non ostante gli elementi dei comitati di liberazione divisi e in contrasto per ideali, programmi, interessi e solo legati insieme da una pregiudiziale politica. Per potere amministrare al centro e alla periferia, tali comitati dovettero distribuire le attività in sfere di influenze e di competenze; cosa che aumentò le sporie e le incoerenze della vita locale e rese difficili le stesse intese politiche nel campo nazionale. Per giunta il primo provvedimento necessario a simile impasto fu quello di una legge elettorale proporzionalista, che desse la possibilità ad ogni partito di piazzare i propri rappresentanti senza interessarsi di formare o no una maggioranza; la quale - dovendo esprimere i comitati di liberazione locali appoggiati e sorretti dalle prefetture e dal potere politico centrale - non poteva essere altro che una formazione di gruppi differenti e divergenti. In effetti, il ciellenismo entrò difilato nei Consigli comunali e nelle Giunte; naturalmente anche i corpi non ancora elettivi, come le Camere di commercio, ebbero la stessa figura, e così di seguito, ogni e qualsiasi amministrazione e commissione, perfino quelle degli ospedali.
Questa la premessa storica per comprendere lo stato d'animo degli elettori, dei partiti e degli amministrati quale si rileva anche oggi dalle discussioni dei gruppi interessati
e dai continui rilievi della stampa. Tutto il problema, al quale s'interessa l'Italia che si agita (non quella che lavora), è se le amministrazioni locali sono orientate a destra o a sinistra; se hanno rapporti con partiti bollati a rosso o a nero; se la DC sta al centro (immobile come la terra degli antichi), o se volta lo sguardo amichevole o ammiccante verso sinistra, owero finge di tener lontana la destra con lo sguardo fiero, strizzando l'occhio per segnalare intese a tempo e a luogo. Se la Giunta procede a nominare qualcuno pare che si debba giocare al nascondino, per non far scovare o accusare questo qualcuno come un furfante; e se invece tiene a farsi notare destra o sinistra, costui è discusso non per meriti o demeriti personali, ma per la bandiera del partito che lo copre o lo scopre. Lo stesso è il giudizio delle azioni amministrative: se una concessione è fatta da pretesi uomini di destra, i sinistri troveranno che è un atto di cattiva amministrazione e viceversa nel caso contrario. Così tutta la vita amministrativa è politicamente avvelenata dal profondo partitismo che la corrode. È evidente che, messi su questa strada, i partiti al potere debbono gonfiare le loro clientele con i favori: addio regole di gentiluomini; addio leggi amministrative; addio buona amministrazione. È vero che alle mie critiche di oggi si risponde ripetendo le mie critiche di ieri quando combattevo i favoritismi delle prefetture dei tempi di Giolitti, quello di prima della prima guerra e quello di prima del fascismo; quando denunziavo il Giolitti che favorì la coalizione liberale-fascista per le elezioni amministrative dell'autunno 1920 come preludio allo scioglimento della Camera del marzo 1921. E vero; non si può dare tutta la colpa ai comitati di liberazione; però, ai tempi di Giolitti, reagivano prima su tutte I'Associazione nazionale dei C o m ~ n italiani i e quella delle Province, fondate rispettivamente nel 1901 e nel 1903, nonché il partito popolare italiano, fondato nel 1919; mentre dopo la formazione dei comitati di liberazione, tutti i partiti, di sinistra di centro e di destra, si sono allineati alla politica dei favori, dati e ricevuti, tutte le volte che sono lì a partecipare alle maggioranze amministrative nei comuni, nelle provincie e nelle regioni. Così siamo arrivati all'assurdo delle intese delle destre con le sinistre per farla in barba alla DC; owero alle intese di fazioni dc per un sinistrismo locale di cattiva lega, che serve a !giustificare il sinistrismo politico ed economico che fa capo ad enti statali e agli interessi (privati e privatisti) che vi si collegano. Se oggi siamo arrivati ad un Milazzo che, senza rispettare la «varatio»politica fra elezioni e convocazione dei nuovi eletti, firma decreti come quelli della nomina di un La Cavera a direttore della Sofis(vedere il mio articolo in proposito) e l'altro sul Casinò di Taormina per favorire certi interessi da awenturieri - e iMilazzo, che non è uno stupido pur essendo un debole, sa bene che l'uno e l'altro decreto sono inficiati moralmente e legalmente - dobbiamo conchiudere che la pubblica Amministrazione locale è caduta nelle mani non più di amministratori oculati, di -gente di coscienza all'antica, di osservanti scrupolosi delle leggi e dei regolamenti; ma di politicastri che non vedono altro nella pubblica Amministrazione che il mezzo di tenersi a galla e di favorire partiti e persone a spese della giustizia, della moralità, della probità e quindi anche della pretesa socialità.
La socialità è divenuta I'ultima ancora del sinistrismo italiano di questa Repubblica fondata sul lavoro. Ma il lavoro, il vero lavoro, è la caratteristica dell'italiano comune, del buon padre di famiglia, del casalingo, del professionista onesto, del piccolo e medio borghese, e
di molti imprenditori italiani che fanno onore al nostro Paese e che ne sviluppano le energie in Italia e all'estero. I1 torto principale della nostra politica consiste nell'avere fin oggi poco curato la parte più deficiente del nostro proletariato, che non ha awenire perché non ha una qualifica di mestiere che gli dia lavoro; di molta gioventù che ha titoli scolastici senza altra prospettiva che il pubblico impiego già affollato, anzi affollatissimo e awilito dalla folla degli incompetenti, dei fannulloni, dei parassi ti. È naturale che i problemi detti sociali si presentino come insolubili e facciano montare la testa ai sinistri per le così dette riforme d i struttura, aperture a sinistra, socialità-socialismo, e perfino per intese con i comunisti, tipo Sicilia e Vai d'Aosta. È un circolo vizioso che si ripercuote nell'amministrazione degli enti locali in vari modi: nel continuo agitare i problemi di salari e stipendi al punto che una buona metà dei comuni e le province povere tengono i bilanci solo per pagare gli stipendi al personale dei vari servizi (e le entrate neppure bastano), lasciando che tutto vada alla malora; nel poco oculato e molto rilasciato funzionamento delle commissioni dei disoccupati e relative qualifiche; nelle deficienti organizzazioni di emergenza di disoccupazione locale per via delle leggi e dei regolamenti che impediscono il trasporto di manodopera e i trasferimenti di residenza. È evidente che, di fronte a tali fatti, nessuna amministrazione regge all'impeto sindacalista, il quale prende il soprawento portando quella che dovrebbe essere la buona amministrazione per tutti in una particolaristica amministrazione sindacal-partitica. Si arriverà a rendere impossibile I'amministrazione locale se non si ritorna anzitutto ad una legge elettorale magioritaria, affinché la maggioranza amministri e la minoranza controlli; nonché ad una revisione degli ingranaggi di vigilanza, per l'osservanza delle leggi e la rigorosa gestione del denaro pubblico. Le autorità giudiziarie e gli organi di controllo dovrebbero fare il loro dovere intervenendo nei casi, niente rari, di malversazioni, peculati e violazioni di legge, che esigono chiara e sollecita repressione. Ma chi prenderà in mano la riforma morale degli enti locali? I partiti italiani sono tutti toccati dal verme della partitocrazia; i capi politici, che vedono e constatano, sono fermi per una specie di incantesimo interiore: non hanno il coraggio di controllare le entrate e le spese degli stessi partiti, neppure quello di apprezzare le entrate e le spese private dei pubblici amministratori; né di tenere a freno coloro che sono indiziati e perfino denunziati sui giornali di profittantismo, megalomania, sperpero di denaro pubblico e altre forme di corruzione. Ma se è lo stesso Parlamento che non cura di deliberare su certe autorizzazioni a procedere.. .
Video meliora proboque; deteriora sequor! P.S. - «Radar» mi invita a fare i nomi di quelli della Base che nel mio ultimo articolo ho indicato come «in gran parte in mano a Mattei; impiegati o appaltatori; esponenti e consulenti; giornalisti e informarori dei sotto enti, agenzie e giornali periodici)) e così di seguito. Mi si minaccia di querela, invitandomi a non sfuggire al processo dietro l'immunità parlamentare. Non è mia norma fare i nomi di coloro che mi informano o di coloro che si confidano con me. Io assumo la responsabilità dei miei atri quali essi sono. E se dovrò essere condannato penalmente per allusioni e riferimenti fatti nella mia campagna rnoralizzatrice, ne ringrazierò il Signore.
Il Giornale ditalia, 13 giugno 1759
Tre «bestie»nemiche della D e m o c r a ~ i a ~ ~ Ci stanno anche le bestie nemiche della democrazia? Dante sulla sua strada ne trovò tre da moralista cattolico e da poeta; io che sono cattolico e moralista, pur non essendo poeta, da giornalista politico ne ho trovate molte altre; ma nel mio cammino verso la demostudi e lotte, crazia, lungo cammino dal 1897 ad oggi (62 anni) per esperienze di bestie enormi.ne ho individuato proprio tre: lo statalismo - kzpartitocrazia - Z'abuso del denaropubblico; il primo va contro la libertà; la seconda contro l'eguaglianza; il terzo contro la giustizia. Ebbene, senza libertà, eguaglianza e giustizia non esiste democrazia; la lotta principale è perciò da incentrarsi contro le tre bestie per impedirne il malfare ai seguaci e sostenitori.
Lettera del 15 eiugno 1959 al direttore don Franco Testi: , Caro Don ~ e s z " Eccole l'articolo «LE TRE "BESTIE" NEMICHE DELLA DEMOCRAZIA». Sarà un po' forte; ma oggi, nel clima che si va svilu pando in Sicilia e a Piazza del Gesù, è bene parlare forte, non aver paura della verith. Se non va, me lo restituisca per passarlo ad altm giornale; se le va, mi faccia sapere quando rari pubblicato a Roma e in Sicilia. E l'inno dell'Amore? Ci tengo più di qualsiasi altro scritto. Cordiali saluti Luigi Sturzo. In: A.L.S., b. 758, fasc. «Art. 1. pubbl. del Prof. L. S.», giugno/luglio 1959.
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I1 26 giugno 1959 il presidente dell'IRFIS, ing. Claudio Majorana, invib al direttore di «Orizzonti»una lettera con alcune recisazioni riguardo all'anicolo di Sturzo «che si occupa anche dell'operazione di fido accordata al c o t o n i g i o Siciliano (e non ail'ing. La Cavera come inesattamente affermato) per altro non ancora ufficiale in esecutiva,). La lettera fu pubblicata su «Orizzonti» il 19 luglio 1959 insieme alla seguente risposta di Sturzo: 1" Mantengo le mie informazioni circa il parere contrario del direttore dell'IRFIS e le riserve del capo del sindacato; se nel relativo fascicolo La Cavera cib non risulta, e neppure nel processo verbale del Consiglio di amministrazione del Fondo, che approvò l'operazione, la colpa non sarà mia. 2" Accetto la rettifica circa l'entità della arenzia limitata al 30 per cento (cioè 390 milioni) della somma totale di un miliardo e 300 milioni pame del Bbito La Cavera al Banco di Sicilia; perb 6 bene aggiungere che sul totale di f 1300 milioni il Fondo si è assunto l'onere di meta degl'interessi (dovuto al Banco di Sicilia) presso a poco un carico di 52 milioni annui e forse qualche cosa di più, fino a che il debito resta acceso; oggi come oggi non si vede come questo possa essere estinto. 3" La smentita all'accenno da me fatto di amministratori che usufmiscono di prestiti personali non mi fa meraviglia: si tratta di voce che corre a Palermo con nome e cognome delle persone indiziate e cib per operazioni fatte su Fondi regionali oggi in parte im e nati in parte andati in fumo; altri ancora lì in attesa di essere impiegati in affari più o meno (come dire?) B ' o ~ t o s i .IO ne ho rilevato la politicizzazione che si riferisce d a presente e alle passate amministrazioni, per quel sistema artitocratico che ha fatto perdere di vista la correttezza amministrativa e la serietA politica a non pochi dei grigenti della Regione e degli enti regionalizzati. 4" Le nomine sono tutte fatte da organi regionali, politici al cento per cento; fra gli eleni dei paniti d e b bo segnare lo stesso Claudio Majorana, deputato regionale, non ostante la ben nota incompatibilita; egli stesso era e rimase vice presidente della Sicindustria. 5" Si dice: ma i fondi regionali sono proprio lì per venire incontro alle condizioni fallimentari delle iniziative siciliane. Nego proprio questo; altrimenti, o ni improwisato industriale e ogni mezzo fallito commerciante saprebbe di potere osare tutto per profittare &I denaro del contribuente con aiuti sotto titoli diversi ma in realtà afondoperduro. Lo statalismo è sempre poco inteiikent~,questo di Palermo sarebbe stataìismo regionalizzato addirittura idiota Non per questo Restivo, Alessi, La Loggia hanno combartuto e lavorato dal 1947 in poi; e vorrei credere che neppure Milazzo ha avuto simile finalità; a meno che gli ultimi awenimenti non gli abbiano fatto perdere il suo buon senso di agricoltore e sviluppato un nuovo bernoccolo, quello demagogo.
Queste considerazioni sono applicabili al caso siciliano come agli altri consimili, nei quali le tre bestie assumono posizioni frontali e impediscono il cammino verso la democrazia. Invero, quale dei partiti attualmente operanti in Italia, e quindi in Sicilia, può dirsi di avere superato l'incontro con la prima bestia: lo statalismo? È questa una di quelle bestie che si traveste e tramuta in modo da non farsi riconoscere. Spesso si fa credere bestia domestica molto utile, come la vacca, il cavallo, il cane, perfino come il gatto quando dà caccia ai topi, non quando va in cucina a rubare i polli e il formaggio. H o voluto precisare più volte il vero statalismo, quello che è nemico della democrazia, per differenziarlo da ogni altra attività statale, che può e deve essere benefica alla intiera società. Ne ho dato i connotati definendolo quale intervento sistematico e abusivo dello Stato che
viola le libertà individuali e dei nuclei sociali privati epubblici e i relativi diritti ed autonomie. Come vi è uno statalismo dello Stato, vi è uno «statalismo»degli enti pubblici statali e parastatali; vi è anche quello degli enti locali, regionali, provinciali e comunali. Ebbene: che cosa ha danneggiato la Sicilia? proprio il volere divenire una regione statalista; il gareggiare con Roma nel fondare enti regionali; voler dirigere come proprie amministrazioni, coprendone i deficit e le malefatte; i n t e ~ e n e n d oin società private deficitarie e assumendosene le perdite per mantenerne il personale. Non ne fo l'elenco per brevità e per evitare di indicare personaggi i quali han fatto e fanno ciò che in Sicilia facevano i fascisti; ciò che han fatto i post-fascisti responsabili dei comitati di liberazione; ciò che fanno varie amministrazioni pubbliche nel nostro ben lungo Stivale. Si poteva nel 1933 pensare che I'IRI, creato in via transitoria per sanare i deficit privati della crisi del 1929 restasse come piovra su tutta l'economia italiana? E chi immaginava che Vanoni l'avesse vinta col fondare I'ENI e darla al suo amico Mattei perché tale ente divenisse uno Stato nello Stato? Oggi Mattei, legato a La Cavera (e viceversa) sono in Sicilia la Regione nella Regione. Chi ne ha consacrato l'evento già preparato da tre anni, è stato proprio Milazzo; l'antistatalista, I'autonomista, il moralizzatore Milazzo, il quale, afferrato pel collo dallo statalismo socialcomunista, ha dovuto firmare il bando e la nomina di La Cavera a direttore deila SOFIS (Società Finanziaria Siciliana), il cui principale azionista è proprio la Regione, per avere così uno strumento di politica economica regionale (statizzata). Da ciò nascono i più clamorosi assalti al danaro pubblico; lo stesso La Cavera ha già in corso un'altra operazione (anche questa con organo finanziario regionale) per la quale ha ottenuto la garanzia della Regione per una parte dei suoi debiti (precisamente per un miliardo) che l'industriale cotoniere La Cavera deve al Banco di Sicilia. Preleverà il miliardo da un fondo regionale che una certa commissione di nomina presidenziale amministra appoggiata dall'IRFIS. È noto che il direttore dell'IRFIS ha fatto rapporto contrario alla suddetta operazione; che il capo della commissione di controllo, un funzionario del Tesoro, ha emesso il suo parere contrario. Ma costoro (per la legge regionale) non hanno influenza deliberante; solo i rappresentanti politici e amministratori dell'ente hanno voce e votano facilmente, l'uno per l'altro, per distribuirsi i favori con prestiti garantiti dalla Regione. Così Milazzo che segue le leggi non sue; così coloro che le proposero e deliberarono; così i funzionari della Corte dei Conti che le fecero passare senza osservazioni (è facile anche per loro ottenere favori regionali) si dimostrano tutti statalisti al cento per cento; statalisti della Regione siciliana; è comodo ed è utile. Ora leggiamo che Mattei (che fa alla Regione il favore della sua alta presenza e deile sue mirabolanti proposte d'intesa con La c a vera) ha chiesto di non pagare alla Regione le royalties che deve come ricercatore petrolifero. Milazzo si è vantato di avergli fatto pagare i primi cento milioni, che la passata amministrazione DC aveva già contestato; ma si tratta di primo acconto: a quando il resto?
Mattei vuole fare con la Regione quel che ha fatto con lo Stato, al quale ha dimenticato di versare quel 65 per cento delle entrate a cui è obbligato da leggi. Viva lo statalismo a Palermo e a Roma; c'è da rallegrarsene, perché Mattei può spendere e spandere denari a josa; anche per comprarsi un reattore ad uso personale, e volare rapidamente da Roma a Gela, al Cairo, a Teheran, a Mosca, a Pechino, a New York.
Lo statalismo è largamente promosso e favorito dai partiti, perché essendo questi associazioni di fatto senza responsabilità legale collettiva, più facilmente operano attraverso la conquista di posti quanto più numerosi (gli enti si moltiplicano a centinaia e si contano a migliaia); attraverso larghe rimunerazioni, difficilmente ottenibili presso la piccola e media burocrazia statale e locale; attraverso affari che sfuggono ai controllo normale e così di seguito. Ma non è il partito come tale responsabile della degenerazione collettiva, che investe la vita pubblica italiana (e non solamente in Italia); è la partitocrazia, cioè il proposito di imporre le finalità e i metodi di un'associazione politica di lotta, al sistema governativo, parlamentare e presidenziale della democrazia. Non nego che la DC abbia dato prova di saper fare (specie nel campo internazionale) una politica d'interesse generale occidentale e di garanzia delle posizioni nazionali, così come è stata ottima la politica del Mercato Comune, ed è stata buona (salvo oscillazioni verbali e gesti sbagliati) quella del Patto Atlantico, della NATO e dell'ONU. Ma all'interno, la pressione socialcomunista è arrivata al massimo proprio per debolezza inconcepibile in un paese minato come il nostro dalla partitocrazia. La mancata approvazione del mio disegno di legge sul finanziamento dei partiti; le debolezze verso Mattei, il suo Giorno e le sue speculazioni politiche ed economiche, la sua lotta ad oltranza d'intesa con la Base e i partiti di sinistra contro l'economia di mercato e fatta con il più audace e palese sperpero di denaro pubblico, sono indici di una situazione della DC di sbandamento e di incertezza.
La terza bestia è individuata da me nell'abuso del denaro pubblico, come conseguenza evidente dello statalismo e della partitocrazia. C'è stato forse fin oggi un uomo politico portato alla sbarra del magistrato penale? e un solo funzionario di alto livello, pur responsabile dei deficit clamorosi di enti pubblici e del noto sperpero di denaro degli enti IRI, ENI, Poligrafico, Cinematografia e simili, che sia stato dichiarato responsabile delle malefatte? È vero: c'è stato il processo INGIC che va per le lunghe e che finirà probabilmente con l'amnistia, come con l'amnistia finiscono reati fiscali, truffe, sofisticazioni di vini e di olii, pane adulterato, tutto nell'interesse supremo della popolazione che lavora e paga le imposte. In Italia la vita è allegra per i parassiti, i trafficanti, gl'intrallazzatori, i profittatori della buona fede comune e degl'interessi statali, parastatali di tutti gli enti (un migliaio e più) amministrati senza effettivi controlli e (salve poche e ben note eccezioni), senza senso di responsabilità. Se si parla degli enti di riforma si dice che hanno buttato via miliardi; se dei consorzi agrari, si dice che formano un monopolio con profitti esagerati; se della strada del Sole, si dice che molte aree furono acquistate in tempo a basso prezzo per poterle poi vendere a p r a -
zi di afezione. Si può anche andare avanti, se le tre bestie: Statalismo - Partitocrazia - Abuso del denaro pubblico sono presenti in tutti gli angoli del Paese? Ed eccoci in Sicilia: oggi la lotta aperta è tra la DC e il comunismo; ebbene non sono pochi i siciliani che temono essere proprio le tre Bestie a dover decidere, invece degli uomini di buon senso, se il social-comunismo resterà l'arbitro della situazione, perché, a favore delle tre bestie ci sono oggi in prima linea Mattei-La Cavera; come succube c'è Milazzo; come intrallazzatori Togliatti-Ovazza-Guarrasi e potrei continuare a fare nomi. Lo sanno a Piazza del Gesù; lo sanno al Viminale: Mattei è intangibile e tuona sul Giorno, il quotidiano che appartiene ad un ente statale messo sotto la sorveglianza e il controllo di un ministero; ebbene, quel direttore e chi lo paga possono continuare indisturbati la loro politica antigovernativa e antitaliana, a Milano, a Roma, a Palermo; ma chi ci sta dietro le spalle di Mattei? È doveroso ricordare essere io in attesa di una risposta scritta per la mia lunga interrogazione presentata il 14 aprile scorso su Mattei, I'ENI, il Giorno et cetera; non ostante che il regolamento del Senato assegni ai ministri solo diecigiorni di tempo la risposta non è ancora venuta. Chi ha impedito al Ministro di dare pubblico conto per rilievi fatti in sede parlamentare? Sarà stato lo statalismo che ha paura della verità? o la partitocrazia che può essere chiamata in causa? o l'abuso del denaro pubblico che dovrebbe essere denunziato alle magistrature? Orizzonti, 21 giugno 1959
La sistemazione forestale del Mezzogiorno Si tratta del problema dei problemi, che è stato sfiorato con prowedimenti di occasione, pur affermando una volontà governativa per grandi iniziative e pianificazioni senza seguito o senza riuscita. G mia impressione (e la do come impressione) che la spesa fatta nel campo forestale da oltre dieci anni sia stata ragguardevole, ma i risultati, parlo del Mezzogiorno e delle Isole, siano stati mediocri e in certe zone addirittura negativi. Dico impressione, perché i dati ufficiali non mi soddisfano; i dati informativi sono, a mio giudizio, incompleti; le fanfare della festa degli alberi e le medaglie (anch'io ne ho una con mia sorpresa, e soddisfazione anche, per la mia costante fedeltà al tema) non sono indice sufficiente della realtà operativa del Ministero e del relativo Corpo forestale. Comincio a parlare del Corpo forestale: possibile che fra le scuole e scuolette agrarie non ci sia un posto per un complesso scolastico forestale degno del nome ed esteso in tutte le zone più deperite e con particolari caratteristiche ben individuate? Oggi esistono una facoltà universitaria, un'accademia, qualche centro di sperimentazione (naturalmente in Toscana); c'è anche una scuoletta ad Edolo, eccezione degna di nota; per il resto nulla di nulla; preparazione generica, conoscenze superficiali, Corpo reclutato alla men peggio. L'autonomia di tale Corpo è mal congegnata e senza senso di responsabilità. I1 demanio forestale può dirsi dominio delle gerarchie: progetti, appalti, esecuzioni dirette, collaudi (anche di impianti andati a male o attecchiti.. . come dire? ... provvisoriamente). Qualche maldicente aggiunge esservi stati dei collaudi di impianti eseguiti parte sul terreno e par-
te sulla carta. Si era parlato di un'inchiesta in merito agli impianti sulla carta. Si saprà la verità? Quel che si sa è che la montagna parla: la montagna meridionale è lì ferma, a vista d'occhio anche dei ministri in carica, Rumor e Pastore; anche degli ex-ministri Segni, Medici, Colombo e Ferrari Aggradi; chi si sente senza colpa, getti la prima pietra. E no: essi sono stati o sono ministri dell'Agricoltura, non ho l'impressione esatta che siano stati anche ministri delle Foreste. Diceva un americano della FAO, dopo aver visitato la Sicilia, che questa ha perduto, in quasi mezzo secolo, la superficie coltivata e fertilizzata, e ciò a causa delle alluvioni, delle acque non reggimentate, dei venti impetuosi non corretti da frangivento e così via. Ne sono a conoscenza le autorità centrali e regionali? A parole, sì. H a mai la Cassa per il Mezzogiorno studiato tali problemi? E sì che li conosce attraverso un personale pratico della materia; ma tra le pretese dei forestali e le insistenze del Ministero, con l'aggiunta dell'incompetenza (in materia) della delegazione speciale del Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici, la Cassa per il Mezzogiorno ha dato anch'essa l'esempio di procedere ad ambiziose bonifiche di pianura, senza considerare appieno né sviluppare convenientemente e tempestivamente la protezione montana. Durante i g a n d i lavori di bonifica nella piana di Catania vi sono State tre alluvioni del Simeto, del Gornalunga e altri corsi d'acqua; e parecchio si è dovuto rifare. La sistemazione del Simeto ebbe dai LL.PP. l'insufficiente finanziamento di quattro miliardi: dopo cinque anni, siamo ancora nelle spine del Consiglio Superiore dei LL.PP. per attuare solamente i lavori dell'ansa di quel fiume. La diga del Disneli, in quel di Gela, fatta in parte dal Ministero dell'Agricoltura e in parte dalla Cassa per il Mezzogiorno, ha dovuto subire, per interramenti e danni, due interventi salutari; ma il peggio è che non avendo quella pianura regolare pendio così da consentire lo sbocco delle acque al mare, la bonifica relativa resta soggetta alle alluvioni e agli acquitrini stagionali. Ora è in corso di studio la sistemazione delle relative zone collinari e montane che la attorniano; si spera che dal punto di vista tecnico e produttivo possa dare soddisfacenti risultati. Quanto tempo si perderà! Siamo lì: la montagna comanda la collina e la pianura e non viceversa; il forestale viene prima dell'agricoltore e non viceversa. Ma a Via XX Settembre e all'EUR si sono scambiate le posizioni, perché si sono trovati con problemi di immediata soluzione, ed hanno spesso abbandonato alla sorte dei cantieri di rimboschimento (spesa massima e risultati minimi) i problemi pressanti della montagna.
Queste premesse sono da tempo presenti nell'esame dei prowedimenti che si vanno a proporre dal Governo per l'industrializzazione del Mezzogiorno e per la parte di assegnazione del prestito all'Agricoltura e alle Foreste. Sottolineo le Foreste perché, a quanto mi è stato detto, sembra che le foreste siano state tenute lontane da ogni considerazione di attualità economico-produttiva, e quindi dal piano o dai piani ministeriali, come di cose che esistono solo nel mondo delle idee platoniche. Se fosse così, mancherebbe uno dei capisald i della industrializulzione del Mezzogiorno. Un Governo che si intestasse a spendere da centoventi a centosessanta miliardi (non meno; sono sicurissimo della troppo facile profezia) per un impianto siderurgico a carattere politico, oggi inutile e sotto certi aspetti dannoso (I'on. Pastore non mi contraddica) quando ci stanno gli impianti IRI deila Campania nel difficile stato attuale, e poi negasse solo
cento miliardi alla sistemazione montana del Mezzogiorno, sarebbe da essere dichiarato imprevidente, e da essere richiamato alle norme elementari della buona amministrazione. E non vengano a dire i calabresi che il loro Aspromonte non potrà mai essere bonificato e reso un vero tipo di centro boschivo, con essenze legnose di valore industriale, con centri pastorizi e indistrie annesse; con produzione di lanedi prim'ordine. I1 problema industriale è anzitutto un problema di ambiente per il commercio che se ne può sviluppare. Fino a che il commercio resta di tipo artigiano-rurale, prospererà la piccola industria di villaggio; quando si potrà sviluppare un commercio a largo respiro (e quello di legni pregiati sarebbe per l'Italia meridionale un commercio da rifarsi ex novo) allora la relativa industrializzazione s'imporrà. E così sarà degli altri prodotti delle montagne rivestite e rese abitabili e feraci, e non mai abbandonate all'impeto e alla corrosione delle acque, alla rapacità degli animali e alla ignoranza e imprevidenza degli abitanti dei villaggi. I1 cammino è lungo; il tempo perduto non si riguadagna facilmente; ma ogni regione deve dare quel che può; ed è semplicemente antieconomico volere imporre al Mezzogiorno industrie (come la siderurgica) fino a che non esiste un assorbimento locale più utile di materia che si può trasportare dalla Campania e dalla Toscana. L'industrializzazione della zona siciliana da Messina a Ragusa è tipica, per dimostrare quanto sopra. A Messina la spinta della coltivazione dei fiori è stata salutare per un commercio un tempo ignoto e poi limitato solo alle essenze di gelsomini. Lo sviluppo della costruzione di aliscafi del Cantiere Rodriguez ha preso uno slancio notevole per una iniziale industria che sta facendo le ossa; Milazzo è divenuto centro di vari impianti di notevole interesse. Importante per la novità l'impianto tedesco che trasforma le pietre vulcaniche etnee in funi e cordami. Se Messina trasformerà in zona turistica il suo picco sullo Stretto a cavaliere tra lo Jonio e il Tirreno, ne farà una seconda Taormina. E non parlo della pineta di Linguaglossa ancora da sfruttare, né delle zone ernee da rendere tipicamente turistiche, anche per la qualità dell'aria tonificante. Pensare che i ricchi e medi siciliani vanno nell'Alto Adige o nella Svizzera, quando potrebbero avere a casa loro un Alto Adige e una Svizzera con l'aggiunta del loro sole e della loro aria così ricca e preziosa. Catania è oggi al centro dell'industrializzazione siciliana, come lo sono Siracusa e Ragusa. Occorre andare a vedere quegli impianti, fatti anche da industriali del Nord (Montecatini, Fiat, Snia-Viscosa, Moratti, Bombrini-Parodi, Italcementi, Siciliana Zuccheri), esteri (Gulf Italia), siciliani (Trinacria, Puglisi Cosentino, Santoro Ventura e così di seguito). Non parlo di Palermo, già centro di attività che durante il periodo fascista non sognava di poter sviluppare, e Agrigento, Caltanissetta, non oscante la crisi zolfifera, e Trapani con un avvenire promettente. Quanto è stato l'incremento della marina mercantile siciliana in cinque anni? Bisogna essere ciechi per non vedere quel che han fatto i privati, compresi i siciliani di razza, non quegli altri che io chiamo parassiti e f~uttatori. Il solito La Cavera grida ai monopoli del Nord. Monopoli di che cosa? Forse che l'EN1 non ha ottenuto più di 300 mila ettari di terreno per le ricerche petrolifere? Chi gli nega di farsi la pubblicità del petroiio di Gela e di altri pozzi senza per questo pretendere d'impedire che l'industria privata porti in Sicilia capitali ed educhi al lavoro industriale la manodopera locale? La polemica elertoralistica di bassa lega ha portato non pochi siciliani a rinnegare quella fiducia nella libertà econpmica di mercato che la sta rifacendo e a cercare negli interventi statali e regionali, tipo ENI, dei vantaggi che finiscono col creare un ambiente malsano e una diffidenza su tutti e su tutto. Torniamo alle montagne: non sarà possibile realizzare incrementi seri e duraturi di produttività in pianura se la montagna non è sana e produttiva anch'essa; se non si ritorna al-
l'economia forestale e pastorizia sul piano moderno, utilizzando tutte le risorse locali; se il Governo, la Cassa per il Mezzogiorno e le Regioni autonome non si inducono a lavorare di concerto e con serietà nel campo forestale, oggi lasciato in disparte, tanto nella preparazione scolastica, quanto nell'organizzazione amministrativa e di vigilanza, ma specialmente nelle larghe iniziative di sistemazione e di miglioramento. Occorre partire dal problema organizzativo; il Corpo forestale deve essere organizzato in due rami; quello tecnico e quello di vigilanza; deve essere bene istruito e ben pagato; ma non deve divenire Corpo amministrativo. Occorre sviluppare la formazione di privati appaltatori, ben preparati, e lasciare che concorrano ai lavori forestali assumendo le responsabilità degli attecchimenti per periodi da cinque a dieci anni. Solo con una rigida amniinistrazione si spende meno e si produce di più; con una preparazione tecnica si preparano piani realistici e produttivi; lasciamo agli orecchianti e ai demagoghi i cantieri per i lavori forestali specie dove le condizioni gravissime delle nostre spappolare e calancose montagne esigono interventi massicci e competenza di prim'ordine.
Il Giornale d'ltalia, 23 giugno 1959
La Sicilia non è Milazzo Dopo un secolo di vita unitaria, dopo tanta partecipazione siciliana alla vita politica, culturale, economica, sociale della Nazione; dopo tanti sacrifici di amor proprio, di economia isolana e di espansione demografica all'interno e all'estero, può dirsi che la Sicilia sia così poco conosciuta dai nostri che occorra un Danilo Dolci (sostenuto dalle sinistre e da laicisti) a continuare a diffamarla all'interno e all'estero? 1Ma è così: dal 1848 ad oggi il contributo siciliano al nostro paese è stato in tutti i campi di prim'ordine; perciò, ci piange l'animo sentirla diffamata, svalutata, beffeggiata anche da giornalisti del Nord che piovono laggiù, sentono nei caffe i discorsi più contraddittori, vedono tante incongruenze, - che del resto potrebbero essere rilevate in ogni regione e in ogni paese del mondo civile, - e finiscono col non comprendere né fare comprendere neppure l'episodio Milazzo, perché non comprendono quel che sia il nesso dell'autonomismo con la Sicilia e del milazziano con l'autonomia e il gioco dei partiti che ne è sviluppato. Vediamo di trovare il bandolo: questo va cercato un secolo e mezzo addietro, nel 1812 (siamo nel periodo napoleonico); quando la Sicilia tenuta dagli inglesi accolse il Borbone di Napoli e, lui presente e consenziente, rivendicò il diritto al suo Parlamento sulla base di una costituzione aggiornata che l'ospite re di Napoli s'irnpegnò di rispettare; da un lato il re di Napoli non perdeva la corona di Sicilia; era la Sicilia che riaveva il suo Parlamento e il suo Governo. Caduto Napoleone, il Borbone dimenticò l'impegno; gl'Inglesi non credettero di far rispettare il loro avallo; al Congresso di Vienna si evitò di portare la questione sollecitata dai siciliani; il vanto della Restaurazione e I'antiliberalismo europeo della Santa Alleanza fecero il resto. I siciliani furono gabbati e traditi. I siciliani, è vero, erano tutti d'accordo, ma in quel secolo le rivoluzioni furono fatte dalle classi dirigenti: i nobili, i feudatari, i gentiluomini, i professionisti; avvocati, medici, letterati, professori; un certo numero di preti e religiosi, fra i quali celebri, il canonico Ug-
dulena e il E Ventura; tutta gente di primo piano; aggiungo anche gli artigiani delle grandi e delle medie città, che vivevano a contatto con le famiglie nobili e borghesi. Non metto il proletariato delle campagne, che allora era tenuto in soggezione, pur con una certa paternalità specie dei piccoli e medi proprietari terrieri e delle comunità religiose proprietarie della cosiddetta manomorta per lo più boschiva e data ad enfiteusi. Dal '20 al '48 anche in Sicilia società segrete, carbonerie, esuli all'estero; finché suona la campana della Cancia nel gennaio 1848 e Palermo insorge, insorgono le città, si commuovono le campagne, si l'autonomia della Sicilia, si ricostituisce il Parlamento, si dichiara la decadenza del Borbone e la guerra a Napoli. Anche per la Sicilia arriva il 1849; la repressione borbonica è implacabile; sbandamenti, hghe, vendette. I1 Piemonte, Malta e la Francia sono luoghi di rifugio dei siciliani detti <(liberdi»;li chiamo così per intenderci ma vi erano fior di cattolici: Emerico Amari insegna a Genova, l? Ventura è a Roma, Ferrara e Cordova a Torino e così di seguito. Si arriva al 1860; Crispi fra i capi di coloro che, accogliendo Garibaldi e accettando l'unificazione, non intendono perdere la propria personalità. Non mancano promesse e proclami alla popolazione; ma il Piemonte alla fine nega ogni autonomia; e sono anni di lutto e di lotta quelli detti di piemontizzazione siciliana. Fo punto: non si tratta di rifare una storia di incomprensioni, sfruttamenti e abbandoni (regime fascista compreso); si tratta di spiegare il complesso autonomistico che portò alle proposte del separatismo dopo lo sbarco degli Alleati nel 1941. Allora mi trovavo a New York; compresi che il separatismo avrebbe trovato oltre che appoggio a Washington, oltre che a Londra, anche nel mezzo milione di oriundi siciliani di New York creando lo stesso ambiente che gl'irlandesi del Sud crearono presso i loro emigrati americani per separarsi dall'Inghilterra; perciò credetti opportuno lanciare il motto: Autonomia sì; Separatismo no. I miei articoli I 4 0 a Pakrmo e Rennel of Rodd e la Sicilia pubblicati a New York si possono leggere nel volume edito da Garzanti: La mia battag& da New York (1949 pp. 154- 156). Difatti, il separatismo, fenomeno di impulso senza consapevolezza politica ed economica, fu facilmente superato; il merito di De Gasperi Fu quello di comprendere la necessità dello statuto di autonomia che desse alla Sicilia garanzia di autogoverno isolano per rifare i complessi locali, politici, economici e mordi, dopo una depressione quasi secolare. Se questi sono i fatti, perché rimproverarci e rinfacciarci dell'arnpio statuto di autonomia, come di una offesa ali'unità della Nazione? Noi siamo della Nazione come tutti gli altri; abbiamo il nostro statuto che non offende l'Italia e i suoi interessi e che rende giustizia alla popolazione siciliana rivendicandone i diritti storici e la personalità amministrativa.
Tredici anni di autonomia sono serviti alla Sicilia per una ripresa eccezionale. Chi non la rileva non la può capire. Anzitutto, coscienza collettiva dei problemi più impellenti, fra i quali la formazione di una nuova classe dirigente locale, dato che la tendenza all'impiego pubblico, la facilità delle comunicazioni, l'accentramento statale ed economico e lo sviluppo di zone più progredite (Ara Italia) sono per molti un continuo richiamo e una spinta a lasciare l'isola. Le attuali classi di latifondisti senza latifondo (in parte spezzato), di redditieri che acquistano ancora la rendita pubblica owero fanno depositi vincolati in banca per avere (essi credono) redditi sicuri, che però con la corrosione di una svalutazione invisibile han già perduto una discreta percentuale del valore di acquisto, essendo rimasti ai margini, non danno molto alla vita locale. Valgono molto e molto si anende dai professionisti, professori, studiosi, artisti, fra i
quali non pochi autorevoli e colti. Vi sono, come dappertutto, giovani in cerca di posto e organizzatori politici e sindacali pronti a partecipare, anche senza sufficiente preparazione, a quella classe dirigente (la migliore) che vive tra la professione e la famiglia; tra la impresa e il lavoro; tra gli studi e l'impiego redditizio. Purtroppo, esistono, come in tutte le zone depresse, i sottoccupati, i disoccupati, i parassiti, i profittatori; fra i quali s'inserì dopo la guerra il solito brigantaggio, fatto transitorio non difficilmente domabile (nonostante il fenomeno Giuliano misto di separatismo e di caporalismo); mentre l'altro fenomeno locale che perdura da secoli, detto Mafia, si è trasferito dalle campagne alle città; dalle case dei latifondi a quelle degli uomini politici; dai mercantini locali agli enti para-regionali e parastatali: per i mafiosi, Palermo vale Roma; La Cavera vale Mattei; Milazzo vale Fanfani. La differenza è che in Sicilia a un certo punto un gruppo si distacca e mostra la sua insofferenza; può ribellarsi e creare il fatto nuovo senza guardare le conseguenze; cosa che avviene anche in centri dissidenti bilingui come l'Alto Adige e la Valle d'Aosta; mentre nelle altre regioni tutto passa fra l'intrigo in sordina e le conquiste di posti, con combinazioni prestabilite, delle quali nello stesso periodo si sono avuti notevoli segni in tutti i partiti, con ripercussioni nella loro attività governativa e parlamentare; chi legge mi comprenderà. In Sicilia la passionalità popolare e popolaresca vi si insinua facilmente; il vociare, il gestire, il risentirsi, il resistere, il non cedere, il rompersi il collo sono nella tradizione; anche il cambiare rotta; così il duca di Lentini fu uno dei più fervidi fautori dei Vespri siciliani per far venire 1'Aragonese; poco dopo divenne il congiurato contro 1'Aragonese e ci perdette la testa. Milazzo per fare troppo e affermarsi come capo ha ceduto ai comunisti dai quali è distante le mille miglia; per combattere i fanfaniani della D C e l'ingerenza di Piazza del Gesù nella Regione ha creato un nuovo partito cattolico, senza rendersi conto che egli sarebbe divenuto un balocco in mano ai comunisti e loro palesi e segreti sostenitori, al punto di nominare il matteiano La Cavera a segretario dell'azienda finanziaria sottoscrivendo atti arbitrari e illegali. Come certi isolani egli ha esagerato il senso del vittimismo per torti reali (fra i quali quello del prezzo del grano duro e la mancata osservanza degl'impepi presi per la sistemazione del Simeto, le percentuali delle assegnazioni da parte della Cassa del Mezzogiorno, la mancata reintegra dei componenti dell'Alta Corte e così di seguito) al punto da divenire lo stesso Milazzo il violatore delle leggi, come nel caso della Sofis e del casinò di Taormina. Il gesto di ribellione di Milazzo ebbe seguito perché fatto in nome di un ritorno alla moralità amministrativa; ma egli, appena avuta la presidenza, cedette a tutte le pressioni e chiuse un occhio avanti a tutte le infrazioni legali e morali della sua gestione. Ciò nonostante ha avuto una forte affermazione elettiva come gruppo dissidente ma cattolico. Eglì mentre non può, correttamente, ripetere l'alleanza socialcomunista, non può facilmente dimenticare e fare dimenticare il suo atteggiamento di ribellione. Intesa? conciliazione? ripresa di contatti? ottime aspirazioni, ma di difficile contenuto siciliano. Tutti però sentono la necessità di ritornare alla sana politica autonomista e ai buoni rapporti nazionali, quali si ebbero (pur con lievi difficoltà) nelle prime due legislature, durante le quali si ebbero i buoni inizi della industrializzazione delle zone di Siracusa, Ragusa, Catania e Palermo (bisogna andare a vedere certi angoli che oggi sembrano lembi di Piemonte o di Lombardia); la legge sulla ricerca dei petroli; quelle sulla marina mercantile, sulla nominatività dei titoli, sui rimboschimenti e i prowedimenti agrari, specie nel campo delle bonifiche e così di seguito. Se oggi esistono nuove zone boschive rifatte e verdeg-
gianti, degne di studio, bisogna andare a trovarle proprio in Sicilia, dove due anni addietro sono stati i congressisti internazionali delle foreste e di recente una commissione guidata dal prof Pavari. Ma questo primo e promettente inizio, è stato paralizzato (in parte) da quattro e più anni di lotte dei vari partiti e di dissensi interni della DC aprendo, con l'operazione Milazzo, le porte al socialcomunismo. H o speranza e fiducia che il buon senso prevalga tanto a Roma che a Palermo.
L'Ordine, 26 giugno 1959
L'inno dell'amoreG7 Perché non si insegna nelle scuole l'inno dell'amore, il più bello, puro, sublime inno che si sia mai scritto? Proprio quello di Paolo apostolo? Ne feci cenno in un mio articolo e ne ebbi subito una lettera di una insegnante che lo conosceva. Nessun altro me ne ha scritto; nessuno me ne ha mai parlato; la mia domanda è caduta come in un pozzo profondo; perché non si fa imparare a memoria tale inno nelle nostre scuole? Ricordiamone l'occasione; Paolo scriveva ai Corinti, la cui prima comunità cristiana era divisa (come dire?) in correnti e fazioni, gruppi capeggiati da questo o da quello degli elementi locali, e dei propagandisti cristiani (li chiamo così tanto per intenderci) veri o improwisati. S. Paolo aveva già scritto una prima lettera, andata perduta; insiste qualche anno dopo con una seconda lettera dove si trova questo passo che può applicarsi, per esempio, anche alla DC del 1959: ((Miè stato infatti riferito su di voi, fratelli miei, che vi sono contese fra di voi. Dico pertanto ciò che ciascuno di voi dice: Io sono di Paolo! - Io, invece, di Apollo! Io, invece, di Cefa; - Io, invece, di Cristo. fi stato diviso il Cristo? Forse Paolo fu crocefisso per voi, ovvero nel nome di Paolo foste battezzati? Ringrazio Iddio che non battezzai nessuno di voi - se non Crispo e Gaio - sicché nessuno dica che nel nome mio foste battezzati)). Più in là presenta la Chiesa dei fedeli come un corpo, il corpo di Cristo, nel quale ciascun membro ha la sua funzione pur partecipando della stessa vita di Cristo: «Ora voi siete corpo di Cristo e membri di lui ciascuno per la sua parte. E Iddio pose taluni nella chiesa in primo luogo come apostoli, secondo come profeti, terzo come insegnanti, poi possanze, poi carismi di guarigioni, incarichi, governi, generi di lingue. Sono forse tutti apostoli? Forse tutti profeti? Forse tutti insegnanti? Forse tutti possanze? Forse tutti carismi di guarigioni? Forse tutti parlano in lingue? Forse tutti le interpretano? Desiderare, però, ardentemente i carismi più grandi)). È qui, in questa gara di posti e di attività, di doni e di preminenze anche di natura ecclesiastica e spirituale, che San Paolo inserisce il suo inno all'amore presentandolo come «una via anchepiu sublime». Egli sa bene che occorre I'apostolato, l'ecclesiastico e il
G7
A proposito de ul'inno dell'amore), ricordiamo che nella lettera citata del 15 giugno 1959 ai direttore don Franco Testi, Sturzo afferma di tenere a questo articolo *più di qualsiasi airro scritto)).
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laico; che occorrono prediche, riunioni, anche segni esterni miracolosi, se Dio li dona, come quelli di guarire ammalati o di parlare lingue non conosciute; di avere posti di governo nella chiesa e potestà disciplinare; ma tutto ciò vale, è efficace, è vissuto con la carità e nella carità, in quanto questa esprime, realizza e vivifica la fede e la Speranza. Ed ecco l'inno alla carità come sbocca dal suo cuore infiammato e come è espresso dalla sua penna, p i d a t a dallo Spirito Santo:
Se le lingue degli uomini io parli e degli angeli, ma carità io non abbia: divenni bronzo risonante o cembalo vibrante. Se io abbia profezia e conosca i misteri tutti e tutta la scienza; e se io abbia tutta hfede sì da spostar montagne, ma carità non abbia: niente io sono.
E se io sbocconcelli tutte le mie sostanze; e se io consegni il mio corpo affinché io sia bruciato, ma carità non abbia: a niente mi giova. La carità è hnganime è benigfia h carità. Non è invidiosa la carità, non ha iattanza, non si gonfia, non è scomposta, non cerca le cose sue, non si adira, non imputa il male, non gode dell'ingiustizia; si compiace invece della verità, tutte cose ricopre, tutte cose crede, tutte cose spera, tutte cose sopporta. La carità giammai cade; mentre che, se siano profezie, saranno abolite; se siano lingue, cesseranno; se sia scienza, sarà abolita. Parzialmente infatti conosciamo, e parzialmente profetiamo; ma panda venga ciò cb'èperftetto, ciò chP parziale sard abolito. Quando ero bambino, parlavo come bambino, pensavo come bambino, ragionavo come bambino: ma panda divenni uomo, abolii k cose & bambino. Scorgiamo infatti adesso mediante specchio in enigma, allora, invece, &faccia a faccia;
adesso conosco parzialmente, allora invece conoscerò come sono anche conosciuto; adesso poi rimane@, speranza, carità, queste r/e, ma più grandefia queste è la caritir. Teniamo questo inno come guida della vita morale e sociale, della vita civile e religiosa, della vita naturale e soprannaturale; e quando la Fede sarà visione e la Speranza possesso; allora soprawiverà la Carità, sarà la nostra Fiamma eterna.
Orizzonti, 29 giugno 1959
La grande industria in Sicilia Diversi importanti articoli, fra i quali sono quelli del Corriere delh Sera di Milano e della Stampa di Torino, sono stati scritti da insigni economisti per spiegare al pubblico del Settentrione i motivi dei risentimenti dei sicilianiverso la grande industria e il vento difionda che circola in Sicilia. Libero Lenti e Ferdinando D e Fenizio si sono addentrati nell'esame dei complessi psicologici delle varie classi sociali dell'Isola (arretrate, s'intende) mentre han tracciato lo sviluppo impensabile della zona in linea d'aria da Catania ad Augusta-Siracusa-Ragusa. In tali articoli si nota il silenzio circa un'offensiva ((politico-nordista));onde, a completare il quadro degli insigni economisti, e a rettificarne le asserzioni, credo opportuno intervenire con questo articolo. Chi lo scrive ha non solo seguito lo sforzo d'industrializzazione della Sicilia, ma volta a volta ha promosso, favorito, assistito tutto quel che si è realizzato in Sicilia nel campo della grande industria. Si tratta (come dire!) di testimonio di primo grado. D e Fenizio si ferma a considerare gli effetti dell'impianto di g a n d i complessi industriali in un ambiente economico che egli chiama c<dualisrico»;dove è prevalsa da secoli un'economia di piccoli lavoratori con limitati bisogni, bassi salari e risparmio forzato. Le differenze di paga fra gli operai importati dal nord owero utilizzati sul posto e gli altri che tiran o la vecchia carretta, creano non solo gelosie e risentimenti nelle stesse famiglie, ma disquilibri, e anche ripercussioni sui prezzi di mercato, alterando quel certo adattamento alla povertà che elimina la miseria e non rende acuta la privazione. Tutto ciò, aggiungo io, aggravato da una disoccupazione agricola in gran parte dovuta a prowedimenti positivi del Governo o a mancati prowedimenti, riparandovi fino a poco tempo fa con il sistema antieconomico dell'imponibile di manodopera. Non si contestano le osservazioni suddette come un lato o w i o dell'introduzione di qualsiasi modificazione radicale alle attività usuali in ambiente rurale artigiano. Ricordo, che nella mia fanciullezza sentivo discutere animatamente se a Caltagirone - centro allora di produzione vinicola prospera prima che arrivasse la fillossera - convenisse avere o no la ferrovia che avrebbe fatto andare a male tutta Ikttrezzatura dei carretti che facevano i trasporti d a Caltagirone a mezza Sicilia. Quale articolo gustoso non poteva scriversi su quel misoneismo commerciale di gente che non vedeva più in là di una spanna. Del resto, basta osservare anche oggi le due tendenze ad ogni novità tecnico-agraria: c'è chi l'accetta e
ne approfitta; c'è chi l'avversa e la ostacola; fortuna assiste i più intraprendenti. Oggi i tecnici sarebbero felici se si generalizzasse l'uso dell'aratro Civello che spappola qualsiasi tipo di terreno, favorendo la produzione con un aumento controllato di quasi il 10 per cento. Motivi di concorrenza e stati d'animo, non solo meridionali, ma nordisti ed egoisti ne impediscono la diffusione. Chi desidera averne informazioni si rivolga al dr. Mizzi della Federconsorzi. Passiamo avanti. Gli economisti di cui sopra notano che i capitalisti siciliani non sono favorevoli a prendere azioni delle grandi industrie che si installano in Sicilia. Anch'io ho biasimato quei siciliani che preferiscono il deposito vincolato in banca o i buoni del tesoro; non certo quegli altri che pensano al reimpiego dei loro risparmi nei miglioramenti agrari. Ma bisogna, perché il quadro sia veritiero, dare rilievo a quei siciliani che si danno all'industria con coraggio, fortuna e perseveranza; tipici e noti Frasca-Polara a Palermo e Santoro Ventura a Catania, Rodriguez, quello del cantiere degli aliscafi, a Messina e molti altri. I1 tipo siciliano preferisce le imprese individuali a quelle di società extra-familiari; si contenta di mantenersi nelle dimensioni di piccola o media industria, con serietà degna di rilievo, per non avere dissidi interni. Ben diverso è stato il caso della Siciliana zuccheri, sostenuta con entusiasmo dai promotori catanesi fino al momento di conchiudere; all'ultima ora non mancarono dubbi e pentimenti; l'apporto catanese del 90 per cento si ridusse al 12 per cento, il resto si è ottenuto con fresco apporto lombardo, dato con slancio e coraggio tale da far superare le incomprensioni e le difficoltà pratiche dei produttori di barbabietole locali; produttori che non esistevarzo né si potevano improvvisare. Operatori abituati da più di mezzo secolo a creare mulini, frantoi di olive, di uva, pastifici (chi non conosce la ditta Leonardi di Acireale?), succhi di frutta, conserve, non è facile trasformarli in chimici, petrolmeccanici e simili. Del resto, chi vede come si sia fatta le ossa la SGES (Società Gen. di Elettricità); quale sviluppo abbiano preso la società dei Grandi Alberghi e I'ABC di Ragusa (dopo che I'IRI la cedette a Bombrini Parodi), lo sviluppo dell'armamento libero siciliano e altre industrie dopo le fortunate leggi regionali che abolirono la nominatività dei titoli e fissarono sussidi per le nuove installazioni di armamento navale, può rendersi conto del potenziale industriale siciliano che, non ostante tutto, va verso un insperato avvenire. L'affare dell'adeguamento dei salari è ben altra cosa, e incide poco sulla tendenza antindustriale di qualche nucleo isolano che io non conosco, ma forse conosceranno Lenti e De Fenizio. Io so che dalla fine del 1944 in poi la Sicilia, per l'attuazione del piano Marshall e i tre decreti-legge di industrializzazione, ha avuto forti incentivi anche a migliorare i salari; a parte la tendenza sempre crescente di ritmo sindacale per l'adeguamento di salari fino alla presente legge delllerga omnes. Con la formazione della Regione (1947) lo sviluppo dei LL.PP. è stato più che raddoppiato; l'intervento della Cassa per il Mezzogiorno (dal 1951 in poi) ha favorito anche una più generale adepazione e sistemazione salariale. Quando il sig. Moratti andò ad Augusta ad impiantare la raffineria (Rasiom) portò 1'80 per cento di operai dal nord; poco dopo le maestranze sono state formate in maggioranza da siciliani; così per gli altri g a n d i complessi. I dirigenti del nord ne sono completamente soddisfatti. Un'aria di benessere circola attorno ai centri industriali; da iMessina a Ragusa, a Vittoria, a Gela si avranno zone quasi contigue s~ilu~patissime non solo di verde agricolo ma di nero industriale; saranno 300 chilometri di attività umana degna di rilievo, che va
rendendo soddisfatti i siciliani, pur abituati come sono a criticare se stessi e gli altri in un continuo scontento. Ci vuol pazienza anche con noi stessi; figurarsi con gli altri.
E allora? il vento di fronda è un falso allarme? è solo vento di Palermo? o delle zone interne trascurate? Il vento di fronda esiste, ed è soprattutto vento politico o politicastro, il vento della follia che prende di tanto in tanto il siciliano se toccato in certi interessi ideali o marginali per lui importanti. Fin dal giorno che la Gulf Italia trovò a Ragusa il petrolio, I'on. Mattei fu punto dal serpe dell'invidia: in Sicilia sì; nella Valpadana no! Ed ecco10 all'assalto della Sicilia, dove una legge di libertà non lascia adito ai monopoli statali. Quali gli alleati? Proprio i socialcomunisti; non sono forse stati dappertutto e sempre i socialcomunisti i veri sostenitori del democristiano Mattei! Sempre così quando l'equivoco politico deve servire di passaporto ad imprese strabilianti e ad abusi di denaro; per Mattei l'amicizia con Vanoni e con De Gasperi va a braccetto con la combutta socialcomunista di Nenni e Togliatti. Chi vuol aggiornarsi, legga il mio opuscolo edito in Sicilia nel 1955 dal titolo: Ilprobkma delpetrolio nelpensiero di L. Sturzo. Qui mi basta dire che la proposta di un ENI siciliano partì dai banchi delle sinistre dell'Assemblea regionale siciliana; che la stampa siciliana fu conquistata con le grandi e piccole inserzioni dell'AGIP Mineraria, anche prima di avere sei gambe, e con la riproduzione pagata di articoli del professor E. Rossi; che l'ingerenza di Mattei si avvertì nel Consiglio delle miniere di Sicilia con la presenza di funzionari del Ministero dell'Industria; che le insistenze perché fossero date a Mattei concessioni, larghe concessioni, partirono da Roma, non importa se da Piazza del Gesù o da altre piazze e vie più o meno oscure; che Mattei partecipò alla società del cav. Leonardi, il quale aveva trovato il metano a S. Giuseppe La Rena; Matcei volle la concessione dell'isola di Vulcano per lasciarla chiusa; prese la concessione del terreno di S. Leone in quel di Agrigento dove trovò zolfo e vi piantò la grana della concessione zolfifera. Si intese con la British Petroleum, ma non trovò nulla a Vittoria né a Troitta. Finalmente ebbe Gela, Gela nome fatidico; ma petrolio biruminoso, che si estrae mediante immissione di petrolio fresco. Ora Gela ha il pozzo o avrà i pozzi sottomarini, ma si dice trattarsi del prolungamento della zona bituminosa del sottoterra. Mattei, pur sperando in un suo trionfo a Gela o a Noto o altrove, agogna di ottenere dalla Regione proprio i pozzi di Ragusa della Gulf, anche con atti di violenza illegittima. Ebbene, Mattei, che ha avuto anche permessi di ricerca in zone di sali potassici (obbligando i privati a cedere zone di ricerche già ottenute in antecedenza) per queiio spirito di pretenzione che gli viene da una posizione privilegiata nella vita politico-economicaitaliana, d'intesa con La Cavera, fa la lotta all'industria privata in Sicilia. Ne invidia i successi, accusando i privati di speculare sui monopoli; e d'accordo con La Cavera e con rutti i comunisti, e i comunistelli siciliani, si commuove per l'ipotesi - falsa ma difisa - che i signori del nord pompino denaro siciliano (quale?) per esportarlo (dove?),sfruttando la classe operaia (siciliana?)e così di seguito. De Fenizio e Lenti, che avranno letto su Espresso un certo processo verbale di accusa e discolpa che fu detto rappresentasse la giustificazione del presidente della Sicindustria awersario della Confindustria, avranno appreso trattarsi di un verbale postumo, redatto e messo in giro dall'interessato da oltre sei mesi, reso pubblico da poco tempo. Ebbene, i due professori non si sono accorti che questo vento di fronda non viene'da Malta (rifugio di siciliani) né da Tripoli (bel suo1 d'amore) né da Pantelleria (col suo vecchio Gattopardo); ma ha origine proprio in Metanopoli, ed è sviluppato in piena luce da Il Giorno, per conto dei socialcomunisti. La Ca-
vera a Paiermo fa del suo meglio, egli che di botto ci ha guadagnato il posto di direttore deila Soficon lo stipendio di un milione al mese (a parte gli imprevisti) e l'date del miliardo e 300 milioni di garanzia ottenuto dalla Regione per un'operazione debitoria della quale egli non era in condizione di rispondere inproprio, né con le azioni della sua impresa, anch'essa associata al pacchetto azionario delle partecipazioni.. . regionali (andate in fumo). Oggi in Italia, anche i professori e gli economisti si debbono aggiornare sui fatti economico-politici del nostro bel Paese, per riportate la realtà nei termini non di uno schema didattico superato, ma di una battaglia di interessi fra legittimi e illegittimi che all'ombra dello Stato si combatte per conto di una terza potenza che ha Mosca per capitale, ma i cui agenti, visibili e invisibili, si trovano non solo a Milano e Palermo, ma anche sui sette colli di Roma.
Il Giornale d'ltalia, 30 giugno 1959
«Nenni» o Morte..
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Non si tratta di Roma capitale, quando ferveva nel cuore giovanile di molti italiani I'attesa unificazione riaffermata col grido di Roma o morte. Questo non era esclusivamente un grido laico e massonico; era anche nazionale e romantico, auspicando molti un'intesa fra Pio IX e Vittorio Emanuele I1 ad eccezione, s'intende, dei cattolici fedeli al Papa, allora qualificati vaticanisti, clericali, integrali, reazionari, codini.
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A proposito dell'articolo pubblichiamo la corrispondenza intercorsa tra S t u a o ed Amintore Fanfani. Lettera de11'8 luglio 1959 di Amintore Fanfani: On. Senatore, leggo nel Suo odierno articolo sul .Giornale d'Italia* altre insinuazioni e cose non vere che dovrebbero ri uardarmi. Poiché esse non sono le prime che escono dalla Sua penna, mi nasce il dubbio che Ella continui a ormularle convinto che la mia mancata protesta - dovuta unicamente al riguardo per la Sua Veste - significhi indiretta ammissione di essa. Per non lasciarla in simile falso stato di coscienza, sento il dovere - con profonda amaraza - di domandarle: fino a quando il senatore Luigi Sturzo continuerà a provare che un Sacerdote può allegramente ed impunemente diffamare il roprio prossimo? Formulo il voto che irbuon Dio Le conceda un momento di fruttuosa riflessione e La saluto. Amintore Fanfani. In: A.L.S., b. 758, fasc. «FS 75n, giugno-luglio 1959.
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Lettera de11'8 lu io all'on. prof. Amintore Fanfani: Caro Fan ani, Rispondo subito alla tua di oggi affermando di non avere avuto e non avere alcuna volontà diffamatoria nei tuoi riguardi, ma ho cercato di chiarire a me e ai lettori il senso dei tuoi discorsi e del tuo atteggiamento politico. Sono pronto a rettificare quel che tu stimi diffamatorio nei miei scritti se avrai la bontà di indicarmelo, dimostrando che io male interpreto quel che ti si attribuisce e non da me solo. Auguro che l'opera tua sia tale da concorrere alla unificazione spirituale di un partito sbattuto dai venti delle correnti e da profondi dissidi di metodo e di merito. Tu sresso sarai convinto che io non possa assistere a tanto scempio negli ultimi anni o mesi della mia vita (le cose di Sicilia sono rrop o vive e le posizioni deila Base e dei sinistri d.c. troppo chiare); solo un tuo ineq u i v a o intervento porrebbe forse fermare il trqico cono di un secondo esperimento Milazzo. Cordiali saluti Luigi Sturzo. In: AL.S., b. 758, fasc. «FS 75n, giugno-luglio 1959.
Oggi non esistono problemi nazionali, unitari, territoriali; né sentimenti romantici, né prospettive di guerre o guerriglie garibaldine; né la presenza in Roma di eserciti stranieri; oggi siamo terra terra; lo stato d'animo di sinistra è per la conquista delpotere insieme ai socialisti di Nenni, allo scopo di formare una maggioranza che domini l'Italia dal Viminale e da altri colli annessi e connessi. .. Perché il problema ((Nenniwper certi gruppi e gruppettini è divenuto ossessionante. A leggere (per fare un riferimento concreto) i resoconti e le note giornalistiche sul convegno giovanile nazionale DC mi è venuto spontaneo il titolo di questo articolo: «Nenni» o Morte.. . Non la morte, oibò, sui campi di battaglia o sotto le mura di Roma; ma la morte democratica, quella che si può facilmente ottenere a Montecitorio o al Viminale o in qualsiasi dicastero. «Poveri figlioli», mi è venuto di dire, ((debbonoessere dei nevrastenici se offrono di sé un così miserando spettacolo di disintegrazione etico-politica)). Essi auspicano il ritorno di un governo di centro-sinistra; ma, non ostante il discorso di Aldo Moro, le azioni di Fanfani al governo, senza maggioranza precostituita, sarebbero tuttora in ribasso; con un Nenni dietro le spalle, anche senza esserne del tutto sicuri, il tentativo sarebbe già in corso, ma la prova generale di Nenni e i cristiano-sociali di Pignatone non è riuscita; Nenni ripete il suo gioco con frasi sempre equivoche: l'ultima, quella di «svincolare le forze laiche e cattoliche dall'anticomunismo»; il che vuol dire tenere un piede con il comunismo (il destro) e l'altro (il sinistro) con i giovanotti della DC. In Sicilia mancherebbe il numero e a Monrecitorio si cadrebbe nel ridicolo. Ora, se Nenni è disposto a rutto, ma non a romperla con i comunisti, Fanfani dovrà fare ben altre attese e ben altri congressi da Napoli, Trento, Firenze; fino a che si persuaderà che, se vuole, deve prendersi per compagno di ventura il Nenni di oggi, uguale al Nenni di ieri, a quello di domani e di dopodomani; perché quell'in~i~ne uomo politico (e anche pover'uomo) è legato, per la vita e per la morte, ai comunisti italiani, ai laburisti inglesi di sinistra, a tutte le sinistre europee, quanto più a sinistra è possibile. E ciò non perché Nenni sia un impenitente sinistrorso, ma perché egli ha qualche cosa da farsi perdonare, qualche cosa da non mostrare nel suo carattere e nel suo comportamento; (Fanfani lo sa, ma no1 dirà), perché Nenni in fin dei conti è un borghesuccio rifatto, che non ha voglia di divenire martire del socialcomunismo europeo; gli basta la fama di un uomo politico fervido; romagnolo autentico, il quale attende con pazienza I'awento delle sinistre senza anticomunismo (e perciò comunisti compresi) per riprendere in condizioni più favorevoli, il portafoglio degli esteri. Campa cavallo? può darsi; ma ((Nennio morte)) non può darsi, né per lui né per Fanfani; il quale Fanfani, se come si spera, troverà a Firenze dei musi duri, avrà una seconda lezione (dopo quella del gennaio scorso) che lo metterà, non ostante il certificato di buona condotta rilasciatogli da Moro,fiori rangoper unpezzo. Alle qualità organizzative di Fanfani fanno ostacolo le qualità disgregamici; il partito ne resta implicitamente o esplicitamente spezzato. Non oscante la fibra forte dell'uomo politico e l'impronta personale della sua attività, egli ha il contrappeso dei Mau Mau che rovinano simpatie e danneggiano speranze. Non ostante l'iniziativa di provvedimenti opportuni, egli porta nella stessa amministrazione statale il nefasto influsso particico insieme al sospetto dell'uso non corretto del denaro pubblico da parte di persone che a lui si appoggiano o che da lui traggono riflessi di garanzia e di autorità, anche quando si danno gran da fare nei rapporti internazionali, come capita a rutti i piccoli e g a n d i Mattei ed Ortolani di questo mondo.
Sarà possibile per Fanfani, ora equivoco, ora reticente, ora velleitario, di presentarsi a Firenze come il leader che rivendica fiducia per il posto di segretario del partito? Ma, senza Fanfani, su chi si appoggeranno i giovani della DC, coloro che nel convegno nazionale hanno definito il governo Segni come quello che ((favorisceuna progressiva involuzione della vita pubblica, con uno svuotamento progressivo delle istituzioni democratiche e della sensibilità popolare))?I1 fraseggio lascia perplessi non solo per le facoltà percettive della comune degli uomini, ma anche per la sostanza critica dei baldi giovani della DC. Su che base il governo Segni favorisce «una progressiva involuzione della vita pubblica))? siamo in regime libero; i partiti sono là per rivendicare la loro parte; e come la rivendicano, i giovani -per i -primi, tanto è vero che hanno scritto quanto sopra senza che nessuno abbia dato loro sulla voce. Progressiva involuzione in Parlamento? da parte di chi? dei dc? accusatene gli organi direttivi della Camera e del Senato individuando il fatro o i fatti involutivi. Peggio ancora, lo svuotamento delle istituzioni; quali? la presidenza della Repubblica? non credo; il Senato? non mi pare; la Camera? ancora meno; la Magistratura forse, per l'affare della nomina del Consiglio superiore? già rimediato all'unanimità, con il trionfo della partitocrazia! Per il resto? Ecco; Jervolino non vuole trattare con i marittimi in sciopero; è nel giusto Jervolino; sono degli sciocchini i giovanotti; come si fa a persuaderli che hanno torto? Essi mettono sullo stesso livello Jervolino arbitro o conciliatore, ma sempre ministro, e le parti in causa; ma è proprio così? Perfino Zaccagnini, secondo loro, avrebbe dovuto chiudere la porta in faccia alla CISNAL, perché sindacalismo non ortodosso, mentre nel fatro si tratta di organizzazione operaia consentita dalla costituzione. Purtroppo, io ragiono sui fatti come un passatista; uno che vuole la legge uguale per tutti in uno Stato di diritto quale il nostro; i giovanotti dc pensano ancora ai comitati di liberazione, ai privilegi di Mattei, alle preferenze di Nenni, alle idealità dei sinistri di tutti i colori; perché in Italia gli altri che non siamo di sinistra, siamo, secondo loro, dei cittadini di secondo rango, elettori tollerati, deputati e senatori di dietro la madia, gente da defenestrarsi; come un Cioccetti qualunque, il quale, pur essendo il sindaco di Roma, pur essendo un cittadino il quale ragiona con la sua testa e sa di avere una maggioranza che lo sostiene, è fatto bersaglio delle sinistre come si faceva con gli avversari di mezzo secolo e più sotto l'accusa di aver detto male d i Garibaldi. Ricordo che il ministro Crispi depose il principe Torlonia da sindaco di Roma perché in tale veste andò a far visita a S.S. Leone XIII; tre figure notevoli in conflitto: un primo ministro, un principe sindaco e un papa: epoche eroiche. Oggi sono in conflitto il radicale Cattani che si dimette per protesta da consigliere comunale; i gruppi laici della Camera e del Senato e i giovanotti dc che pestano i piedi contro l'avvocato Cioccetti che fece un viaggio a Parigi proprio nell'anniversario dell'entrata delle forze alleate a Roma o meglio dell'allonranamento da Roma dei tedeschi di occupazione. Non ho letto gli atti di accusa e di discolpa; so che Cioccetti ha avuto un voto di fiducia dalla sua maggioranza consiliare; è questo, e solo questo, l'organo che ha diritto a rimuovere o no un sindaco. Che pretendono gli - accusatori delle altre città italiane o certi zelanti parlamentari? un diritto di serveglianza politica sull'amminisrrazione capitolina? Ogni organo istituzionale è quello che è: la capitale è governata dal Campidoglio. Gli anticioccettiani si appellano a Segni, ma questi ha il buon senso di non imitare Crispi, dimostrando non essere passati invano ottanta e più anni per ritemprare l'animo degli italiani ad una convivenza basata sullo Stato di diritto e sulla competenza particolare ed esclusiva dei singoli organi di carattere pubblico. Dietro questi pretesti faziosi e questi fraseggi involuti, c'è l'aria partitica che soffia; la partitocrazia che vuole soppiantare lo Stato di diritto; la folla e la piazza che vuole regola-
re la Camera e il Consiglio dei ministri o il Consiglio comunale; il mezzo (il partito) che vuole passare al rango di fine (il benessere pubblico). I giovani ci cadono perchd sono giovani, e non hanno l'esperienza necessaria per attendere i frutti di una politica fatta di lunghe attese e di rapide conquiste, nel suo naturale ritmo di realtà conquistata e non mai di parole vuote di senso ma gonfie di presunzione. aNenni» o morte sarebbe uno slogan atto a riassumere una situazione senza sbocco, quella di un partito a maggioranza relativa, condannato a governare coloro che pretendono essere essi più i comunisti la maggioranza assoluta. E se la precauzione attuale di tutti gli altri partiti è proprio quella di non ripetere l'errore di Milazzo, essa è degna di essere appoggiata e sostenuta, proprio per non buttare l'Italia in braccio ai comunisti. Nessuno vuole assumerne la responsabilità, anche quando si pensa e si desidera far concorrenza ai comunisti, perchd così Nenni e i nenniani dovrebbero cambiare orientamento per aumentare le file dei veri democratici. L'illusione è duplice: quella che il metodo di sinistra, di imitazione socialcomunista, produca aumento di voti alla D C e agli altri partiti democratici; e quella che la DC possa adottare metodi di sinistra senza snaturare la propria fisionomia o spezzare il partito in due. Fanfani lo sa ma noldirà; e neppure Moro, anche quando spera di tenere unito il partito, che potenzialmente può qualificarsi «coesistenza di correnti in lotta» per una irreale alternativa fanfaniana o di Base: «Nenni» o morte. Il Giornak d'ltalia, 7 luglio 1959
L'industrializzazione del Mezzogiorno Spero che amici ed awersari non mi prendano per eretico se, dopo quindici anni di esperienze e tentativi di industrializzazione del Mezzogiorno, affermo che le strade prese sono state in parte sbagliate, in parte controproducenti e solo in parte discretamente produttive. Bisogna avere pazienza con i critici non conformisti e con coloro che vogliono andare a fond o nei problemi e, insieme ai propri errori, correggere quelli degli altri. «Mezzogiorno non preparato; Mezzogiorno senza capitali; Mezzogiorno arretrato; Zona depressa)) e così di seguito: ce n'era da dire tanto che occorsero il piano Marshall (usufruito dal Sud molto limitatamente), i decreti-legge (1944-47) di ripresa di credito adeguato solo a bisogni immediati di ricostruzione; la Cassa per il Mezzogiorno (1950), strumento fornito di capitali ma impacciato da leggi, comitati, controlli ed equivoci di competenze col solito metodo statalista del massimo sforwper il minimo risultato. I meridionali? Per lo più assenti o impacciati o (un certo numero). Gli industriali di altre regioni? D a principio ostili al punto da interferire a che la Cassa per il Mezzogiorno non si occupasse di industrie; poi incoraggiati, ma allo stesso tempo accusati di crearvi monopoli di fatto e con la finalità di asportare non si sa dove i risparmi del Mezzogiorno; il colmo, ma non invento. Le mie critiche fondamentali sono due: la prima che nel Mezzogiorno si è trascurata, o non si 2 curata come era dovere prevalente, la ripresa agrario-forestale o la relativa trasformazione tecnico-produttiva sia per se stessa, sia come premessa di concorrente industrializzazione tanto agraria che di altra specie; la seconda critica, che non si sono tenuti efficacemente in vista o si sono trascurati gli sbocchi commerciali e i mezzi adeguati ad equi-
librare gli sviluppi dei traffici locali e quelli di esportazione in lontani mercati esteri e nazionali con le varie iniziative di produzione e trasformazione dei prodotti. Per scendere al pratico, ritorno al mio precedente articolo sulla sistemazione forestale del Mezzogiorno, per fare notare che i larghi consensi avuti (con riserve da parte di certi uffici governativi e di enti statali) me ne dispenserebbero, se non trovassi opportuno far notare che non pochi miliardi, dati o assegnati ai miglioramenti della montagna, sono andati per coltivazioni povere, su pretesi vantaggi senza piani organici né passi in avanti verso la trasformazione deli'economia da povera in autosufficiente e tale da divenire mezzo per altre economie sussidiarie e affiancate. Quando si buttano denari per cantieri forestali o per rimboschimenti senza curarne la vigilanza, il risultato può dirsi semplicemente fallimentare. H o avuto rilievi riguardanti le mie critiche alla attività forestale della Cassa per il Mezzogiorno, la quale in questa branca fa quello che può. Pur mettendo fuori causa presidente e consiglio di amministrazione, non potendosi pretendere trovarvi dei competenti o tecnici in materia forestale, la discussione sui rimboschimenti potrebbe essere ripresa sia riguardo i lavori fatti e i risultati di attecchimento ottenuti; sia circa le consistenze delle zone rimboschite e l'economia montana svilupparavi o da svilupparvi. Se avrò dati più precisi ritornerò sull'argomento; oggi solo rilevo che dopo quel che si è speso, esistono ancora venticinquemila ettari dell'alto Simeto senza alcun piano di sistemazione montana; né vi sono progetti in corso per i vari sottobacini, forse in attesa di stabilire a quale degli enti statali o locali spetti l'iniziativa e il finanziamento.
Mi è stato detto essere io fuori strada se pretendo iniziare I'indusrrializzazione del Mezzogiorno partendo dalla sistemazione forestale; strada lunga e tempo lunghissimo. E no; non sono così ignorante della non coincidenza del tempo-forestale col tempo-industriale, so però assai bene che i due tempi hanno delle inevitabili connessioni. Se in Calabria non si sistemano le acque dell'Aspromonte non si potrà avere sistemazione montana, né bonifiche di pianura; le stesse ferrovie subiranno continue avarie; gli sviluppi di impianti idroelettrici locali, che dovrebbero portare l'elettricità a basso prezzo nelle fertilizzate campagne delle coste, subirebbero nuove remore. I1 piano calabrese è misto; va dalla montagna alla costa senza discontinuità; porrà la Calabria divenire una delle più promettenti zone del Sud se curata bene; ma le opere da farsi esigono la sistemazione montana, quella urgente, immediata, costosa; e quelle altre opere del secondo e del terzo tempo, sia per rigida tutela e vigilanza del già fatto, sia per successive attività trasformatrici, produttive. Se gli elementi potenziali in loco non sono coordinati e sfruttati, la vera indusrrializzazione diviene chiacchiera vuota per qualche isolata iniziativa, senza organicità né avvenire. Si domanda: gli oliveti calabri debbono perire o debbono essere rinnovati? e con gli oliveti gli impianti tecnici relativi, veramente moderni, industrializzati e sviluppati secondo un mercato che non deve poter temere contraffazioni, alterazioni o truffe (neppure si intende quelle statizzate tipo margarina e simili)? H o voluto precisare questi dari per dimostrare che non mi allontano, ma mi avvicino al tema industrializzazione, se per esempio si sviluppasse la produzione di lane di qualità, migliorando l'allevamento pecorino di montagna tanto in Abruzzo che in Calabria.. . È possibile che ancora si produca frumento povero in zone inadatte, per avere il gusto di distruggere quei resti di boscaglie che sembrano i ben distesi ma rari capelli sulla testa di un calvo?
Dove sono e come funzionano le centrali ortofrutticole che la Cassa doveva realizzare nel Mezzogiorno? In Sicilia si fece un ente; la cosa più facile, più utile per le cariche politiche e le sine-cure; ma di centrali ancora non ne ho visto funzionare una che sia veramente tale. H o sentito esservene qualcuna nella Carnpania; nulla d'altro ho inteso dire; non esclud o che ci siano; in ogni - caso è venuto al mio orecchio il buon esito delle iniziative: mi limito agli auguri di rito. Parliamo delle trasformazioni vitivinicole per tipi commerciali ed esportabili; non è questa materia.. . industriale? Nel Mezzogiorno si produce unavarietà di vini con centinaia di nomi; in Sicilia si ha il tradizionale Marsah (oggi con troppi ingredienti), il vecchio Corvo (che sta rimontando la crisi), l'Etneo da taglio che credo basti appena al mercato locale; le Puglie forniscono vini da taglio ai vini toscani e lombardi, così che il bel vino pugliese resta anonimo nelle trasformazioni e manipolazioni con altri nomi e cognomi. È il vino un'industria? potrebbe essere più redditizia? come andrà affrontato tale problema nel Mercato Comune? Qui ci dibattiamo contro le sofisticazioni che pare godano speciale protezione, tanto ne è lenta, quasi senza esito, l'attività della nostra polizia alimentare.
E fermiamoci qui con le foreste e l'agricoltura, che sono quelle che dovrebbero dare un largo contributo alle industrie meccaniche; perché la meccanizzazione agraria dovrebbe essere al centro dello sviluppo industriale dei Sud. Un'irnpresa agrario-forestale che ha sede a Roma sta disboscando in Sicilia una larga tenuta ancora intristita da un tenace e secolare sottobosco; ha importato laggiù macchine nuove, mai usate, che penetrano in profondità, non solo tagliando le piante, ma le lunghe e intricate radici, così da liberare il terreno, rifacendolo coltivabile con una eguaglianza e sofficità eccezionali. Le antiche pertiche, gli zapponi e gli erpici dei nostri contadini vi avrebbero impiegato tempo e denaro almeno venti o trenta volte superiore, con esito molto differente e per coltivabilità e per produtrività. Quella zona verrà impiantata ad eucalipti per poter produrre cellulosa e altri simili prodotti a tipo industriale. È noto che tanto in Sicilia e in Sardegna che nel Mezzogiorno continentale si vanno impiantando zuccherifici in loro con la relativa coltivazione delle barbabietole; non sono mancate difficoltà pratiche, specialmente per educare l'agricoltore al tipo di coltivazione che dia la maggiore resa possibile. Purtroppo, la situazione delle imprese italiane in confronto a quelle della Piccola Europa, è assai problernatica. Leggo che un quintale di barbabietole in franchi belgi costa 75 in Germania, 71 in Francia, 69 nei Paesi Bassi, 61 nel Belgio e 60 nell'Italia; però il relativo zucchero prodotto costa in franchi belgi 15 nella Germania, 14 nei Paesi Bassi, 11 nel Belgio, 14 nella Francia e 19 (dico diciannove) in Italia. Non è questo il solo ramo nel quale gli italiani ([urti) usano una economia da poveracci e da ignoranti, controproducente, cioè limitano il consumo per padagnarci di più e invece limitano il consumo e ci perdono; così per il grano, il riso, il vino, l'olio, gli abiti e di seguito. Se, per rimanere al caso dello zucchero, l'Italia cercasse di adeguare costi e consumi a quelli medi del Mercato Comune, avrebbe lo stesso guadagno per produttori agrari e per industriali e almeno un quarto in più di consumo; e i conti tornerebbero meglio. Così negli altri settori, vino genuino e olio puro compresi. Come vede il lettore, mi sono astenuto dal parlare delle industrie estrattive (petrolio, metano, zolfo, bauxite, sali potassici) che vanno dando al Mezzogiorno elementi di larghe speranze quando alla libertà d'iniziativa vanno uniti conoscenza tecnica e coraggio di rischio.. . Gli aiuti americani della BIRS sono stati fin oggi di una utilità reale, benché limi-
tata; e sopra un piano di larghi investimenti che solo le imprese principali del nostro Paese potevano affrontare. Fra le iniziative private di largo successo si devono mettere i due bacini di carenaggio realizzati a Palermo, il cui successo ha superato ogni aspettativa. I1 problema del mercato è talmente connesso alle iniziative prese e da prendere che, se questo fallisse, gran parte degli sforzi andrebbero a vuoto. Ecco perché la Sicilia deve avere il coraggio di affrontare con altri metodi il poblema della produzione e utilizzazione degli zolfi, se non vuole aumentare l'attuale deficit e finire nel fallimento; al quale Regione e Stato verrebbero ancora obbligati a continuare a concorrere, con sperpero di denaro che potrebbe avere migliore destinazione. L'articolo è già lungo e mi fermo. Avrò occasione di continuare a scriverne, tanto più che non mancano coloro che non fanno attenzione a quanto io scrivo e mi attribuiscono quello che io non scrivo, né ho mai scritto o pensato.
Il Giornale d'Italia, 14 luglio 1959
L'Italia e De GaulleG9 Su tutte le visite di capi di Stato, quella del presidente De Gaulle ha lasciato in Italia un marcato senso di eccezionalità. Occorre sottolinearla per quel che potranno essere (se ve ne saranno) sviluppi nostri particolari, come pure nell'ambito della piccola Europa e nelle alleanze internazionali. Non dobbiamo nascondere che fra noi nel campo della democrazia, come dire?, accentuata di sinistrismo, di centro-sinistrismo, di vecchio laicismo (a parte i pseudodemocratici del socialcomunismo) fossero delle riserve sulla persona stessa del presidente e sulle posizioni prese dal Governo De Gaulle nella quinta repubblica francese. Senza dare importanza alle scortesie (o villanie) dei socialcomunisti di Montecitorio, né a certi commenti
G9
Lettera del 3 luglio 1959 all'ambasciatore di Francia in Italia, S. Ecc. Gaston Palewski: Signor Ambasciatore, Le sono grato della lettera del 29 giugno, recapitatami ieri e delle espressioni ivi conrenure nei miei riguardi da pane del presidente De Gauiie. Per la esattezza, io incaricai il prof. Giuseppe Palladino, direttore dell'istituto Lui i Sturzo, (Via delle C o p pelle n. 35 - Roma) a venire da lei a resentare per il presidente De GaulL i miei dekrenri omaggi, ricordand o la mia adesione a quella del Peop e and Freedom Groups da me costituito, alla resistenza della Francia proclamata dal Generale nel suo discorso di Londra. Non richiesi, né potevo pretenderlo, un abboccamento, date le mie condizioni di salute; e hii dolente dovere rispondere al superiore di S. Luigi dei Francesi la mia impossibilirà di recarmi in quell'istituto per un gentile incontro. Le sono grato del ensiero di venire lei stesso a trovarmi; e poiche ho scritto un anicoLo per il settimanaie Incom di Torino su% visita del presidente De Gaulle in Italia, sarà mia premura fargliene recapitare varie copie appena s a d y b b l j y t o . Resto a sua isposizione per un pomeriggio della prossima settimana, in attesa di telefonata da pane di un segretario di cotesta Ambasciata. Accetti i miei più deferenti omaggi de.mo Luigi Sturzo In: A.L.S., b. 758, fasc. «FS 75*, aprile-maggio 1959.
P
giornalistici, dobbiamo constatare che la visita di D e Gaulle ha soddifatto l'opinione pubblica italiana e le accoglienze popolari sono state cordiali, espansive e quasi unanimi. A darvi questo tono ha contribuito certamente il centenario risorgimentale del 1859, la guerra alllAustria e la liberazione della Lombardia. Senza voler fare il processo agli awenimenti di allora e alla condotta di Napoleone 111, si è dato (come di dovere) la maggiore importanza al primo successo che formò la catena degli avvenimenti di un decennio che condussero l'Italia a Roma proprio quando a Parigi vi entravano le truppe del Re di Prussia. I democratici di oggi, quelli che non vorrebbero contatti con capi di Stato senza etichetta di sinistra, sono pregati di ricordarsi che Cavour, rappresentante di uno Stato costituzionale libero (in Europa allora ne esistevano tre, uno di costante eccezione, la Svizzera; due di fresca data: il Belgio e Piemonte) trattava con una Francia divenuta impero a regime personale; mentre noi trattiamo con un De Gaulle il quale ha tentato di instaurare in Francia una democrazia, non dico autoritaria, ma più spedita che non fosse la IV, cercando di eliminarvi le sovrastrutture che le tendenze a sinistra di dopo guerra avevano introdotte e reintrodotte. Non vi dico questo per fare degli apprezzamenti circa i nuovi istituti francesi, i quali, del resto, debbono subire la prova dei fatti; ma per metter in luce la linea Degaulliana in una delle più difficili fasi della repubblica francese. Quel che a noi italiani deve interessare, e interessa di fatto, è la leale partecipazione della Francia tanto al Mercato Comune e all'OECE, quanto alla NATO e al Patto Atlantico, nonché alle altre intese dirette a sviluppare la solidarietà occidentale ed allontanare il pericolo comunista. Su questi punti, oggi potremo essere reciprocamente garanri e garantiti come speriamo di esserlo per la politica di intesa sulle questioni ancora controverse o degne di ulteriore studio. Questi i significati di benevola e fiduciosa accoglienza che gl'italiani hanno inteso o dovevano intendere nel fare al presidente D e Gaulle le manifestazioni di rispettosa ed entusiasta accoglienza.
Marcato questo, occorre parlare francamente di due ertrapokzzioni inserite nella visita di D e Gaulle, senza che questi le abbia in alcun modo giustificare o favorite. Si tratta di certi confronti politici fra l'ambiente italiano e quello francese? o di certe velleità, circolanti nel sangue della nostra democrazia politica? Non è un mistero che in Italia molti sono scontenti della democrazia parlamentare che nominalmente è la nostra forma di regime; dico nominalmente perché vi s'inserì, fin dal primo momento, anzi avanti lettera, la partitocrazia dei comitati di liberazione (cosa che successe anche in Francia), generando in seguito l'inserzione dei partiti organizzati a tipo burocratico di imitazione comunista finanziati con fondi segreti. con l'estendere i poC'è chi pensa rimediarvi auspicando una repubblica teri del presidente agli arti di governo. Ma non essendo facile superare le barriere costituzionali messe ai fianchi dei presenti istituti (quorum di voti parlamentari e referendum), si vorrebbero surrettiziamente inserire metodi, interferenze e atti non previsti dalla costituzione, purché tollerati dai partiti favorevoli; i quali purtroppo diverrebbero, per il tramite dei gruppi parlamentari, una specie di elettori pretoriani. Sorto tale aspetto criptico e costumario la figura del generale D e Gaulle, presidente attivo del governo francese, prenderebbe speciale attrattiva per dare risalto ad una serie di fatti da condurre verso una repubblica presidenziale con l'intesa di trattarsi di svolta a sinistra o di centro-sinistra; domandarne informazioni agli scontenti fanfaniani quelli che non guardano a Piazza del Gesù e non certo al tanto discusso Viminale, ma piuttosto al Quirinale. Gli anni passano e il 1962 si approccia.
Dall'altro lato, uomini di destra vedono un generale a capo di una g a n d e nazione, il quale tenta risolvere problemi ardui e gravissimi come quelli di Algeria e dintorni; quelli della moneta, della ridimensione dell'amministrazione; degli scioperi, del Sahara, dell'esercito, della stessa economia. Ci riuscirà? non ci riuscirà? contenti o scontenti i francesi conoscono che la loro storia comporta i periodi nei quali si intercalano figure di primo o di secondo piano, con maggiore o minore rispetto o addirittura senza alcun rispetto della democrazia pura, quali Napoleone I - Filippo 1'Egalité - Napoleone 111 - Thiers - Clemenceau - Pétain - De Gaulle; ciascuno portandovi il bene e il male della congiuntura, ma anche risolvendo problemi rimasti insoluti o addirittura insolvibili. Nella storia d'Italia (dal Risorgimento in poi) nulla di simile; neppure I'awentura fascista, la quale ebbe ben altre cause e ben altre figure; tanto più che l'Italia, regno e monarchia, non presentava facili possibilità per generali e per statisti. Se vi fece eccezione un Cavour (a parte che morì presto) fu più che altro per l'eccezionalità degli awenimenti. In Italia non si troverà mai un generale De Gaulle; i generali italiani appartengono ad una burocrazia specializzata compresivi i Morra di Lavriano, Bava-Beccaris, Pelloux, Badoglio; né si può trovare l'uomo della resistenza alla De Gaulle vera figura di eccezione che seppe, lasciando la Francia, servirla meglio di coloro che presero l'eredità dei disfattisti; neppure il De Gaulle uomo politico, il quale sta dimostrando (non ostante gli ondeggiamenti dell'immediato dopo guerra) una visione realista dei problemi francesi ed europei. Con queste considerazioni, a completare il quadro De Gaulle di oggi, credo opportuno riprodurre quanto io scrivevo su aThe New York Times)) del 19 aprile 1942 sull'awenire della Francia. Non mi atteggio a profeta; desidero che siano verificate le mie vedute di diciassette anni addietro; mi sia dato atto di averne impostato realisticamente i problemi, come del resto feci per l'Italia e la Germania; i paesi che collegati con vera solidarietà politica ed economica faranno la salvezza dell'Europa. Ecco in parte quell'articolo, il cui testo completo può leggersi nel volume: Luigi Sturzo, La mia battaglia da New York (Garzanti, pagine 75-79): ((11problema della Francia di domani interessa prima di ogni altro i francesi, ma interessa anche tutto il mondo, sia perché la Francia dovrà essere uno dei pilastri del nuovo ordine sia perché la Francia dovrà riprendere il suo posto di leader nello sviluppo dell'incivilimento.. . «Non c'è nessuno che non dica che la Francia, la vera Francia non perirà. Ma fin oggi i francesi (e anche altri) si sono limitati all'esame critico del passato con analisi alcune spietate, altre umane, tutte awolte nel senso tragico dell'umiliazione o accese di un sentimento assai naturale, che abbraccia più o meno responsabili e non responsabili in una stessa condanna.. . «Basta sul passato: quale domani il nuovo regime della Francia? Gli uomini di lettere francesi, che formano una classe (o forse una casta) a parte, quando parlano di politica prendono la posa di chi più o meno disprezza quelli della casta inferiore, specialmente se sono ministri o deputati. .. I1 male fondamentale della Francia, secondo me, è stato il fatto che sul piano del regime nazionale - dalla rivoluzione de11'89 ad oggi - non si è mai raggiunta l'unità spirituale della nazione. I1 vantaggio dell'Inghilterra e dell'America è che il loro regime è sacro anche per gli oppositori, anche per i partiti di classe come i laburisti; le stesse riforme che essi richiedono non toccano la realtà e lo spirito del regime, e non ne alterano la compagine strutturale. La Francia, fin da oggi, dovrà cominciare a pensare quale sarà il regime di domani; nessuno vuole più la democrazia individualista che ha su di sé la responsabilità della sconfitta né il regime di Vichy che ha violato lo spirito di libertà e di indipendenza della vera Francia.
Il so$o della Francia sullinghilterra e lXmerica ((Hanno forse i Free French di De Gaulle un piano politico? Fortunatamente no: essi combattono per la Francia come nazione; essi sono la garanzia che domani la Francia uscirà dalla crisi né diminuita nel suo territorio né disonorata nella sua storia. Essi non sono una bandiera politica, né credo abbiano l'idea d'imporre al Paese una soluzione propria. ((Matale posizione, oggi assai utile, potrebbe essere pericolosa se, dopo il futuro armistizio, si scatenasse un uragano politico che mettesse in contrasto borghesia e proletariato, destra e sinistra, nazionalisti e internazionalisti. E per quanto saranno spazzati via dall'arena politica i Quisling di Parigi e gl'lnualidi di Vichy, pure resteranno molti elementi della reazione tradizionale che, non essendosi compromessi, emergeranno dalle rovine di oggi a volere la loro parte. «Non spetta a me dire quale dovrebbe essere il futuro regime della Francia; tanto più che lo spirito logico, che è penetrato nelle ossa di ogni francese, rende tutti insofferenti agli adattamenti che la vita politica esige. Perciò essi criticano aspramente le "combinazioni" all'italiana, i «compromises»all'inglese, e tramandano di generazione in generazione i risentimenti del passato, senza mai vincerli definitivamente. ((Vichy cancellò subito il motto fatidico di Liberté, Egalité, Fraternité. Gli errori, anche i delitti commessi dagli uomini in nome di queste tre regine o idee, debbono attribuirsi alla deviazione del loro significato umano e cristiano. ((Altropunto: c'è forse un francese che non abbia parlato contro il Parlamento? e contro i Partiti e contro la Politica? Ma, sfido a creare un regime moderno e valevole che non abbia come necessari ingredienti tutti questi disprezzati "P". ((Nessunademocrazia (sia individualista owero organica) sarà possibile in un paese moderno - grande o piccolo che sia - senza un Parlamento. I1 suffragio universale e il Referendum popolare non possono adempiere quel che spetta ad una Camera di rappresentanza popolare; una Camera, un Parlamento, un Congresso (si chiami come si voglia) che abbia il Potere legislativo, il Potere di controllo e di orientazione politica, che rispecchi la volontà del Paese. ((Certo,con il continuo aumentare delle funzioni dello Stato e il suo intervento in materia economica, Parlamenti e Congressi debbono modificare i loro metodi, - spesso troppo lunghi, impacciati, dilatori - e lasciare ai Governi e agli Ufici amministrativi maggiore responsabilità e speditezza. Oggi non siamo più nel 1789 o nel 1848 o nel 1870 e neppure nel 1914. Per giunta, avendo attraversato l'esperienza (e il pericolo) del totalitarismo, si dovranno evitare tanto un Parlamento invadente quanto un governo autoritario e irresponsabile». A questo punto l'articolo prosegue facendo un largo esame della organizzazione portata dai partiti politici francesi nel passato e dello spirito che li ha animati e si domanda: ((Comeabolire tutto questo, proprio dopo la tormenta dell'occupazione tedesca, quand o tanti piccoli figli di Francia, tanti operai e contadini e borghesi, ragazzi anche, han tentato le vie dell'eroismo? E quando la stessa aria che circola nella Francia non occupata è un monito continuo ai Darlan e ai Pétain. Allo stesso Laval che ora ha preso in mano il governo per "collaborare con la Germania", l'aria della Francia è un monito. ((Lavittoria degli alleati, si noti bene, sarà anche la vittoria della Russia. I1 ruolo che gioca la Russia in questa guerra non sarà dimenticato dalle masse operaie, anche se domani la Russia sarà obbligata a ripiegare davanti agli eserciti nazisti. Anzi all'ammirazione che ne avranno gli operai si aggiungerebbe, in tal caso, il risentimento contro la borghesia anglo-americana, che sarebbe stata incapace (secondo loro) di aiutare la Russia a tenere il fronte.
«A guerra finita, la Russia eserciterà un nuovo e pericoloso fascino sopra la massa operaia, e i paesi senza salda struttura politica (la Francia tra gli altri) ne subiranno più facilmente le conseguenze. Potrà darsi che ad un primo avvento proletario segua in un secondo tempo una reazione capitalista. E la Francia, che subì senza aver tempo di assimilarlo il fronte popolare del 1936, sarà del tutto impreparata alla nuova ondata proletaria, quando il paese sarà fiaccato e le masse si troveranno in condizioni peggiori di quelle del 1936, condizioni che non erano all'altezza degli altri paesi industriali)). Dopo altre considerazioni sul rinnovamento della nuova Francia così chiudeva I'articolo: «Una Francia libera e internazionale è necessaria al mondo. Che tale ruolo possa essere preso dai paesi vinti è naturale. L'Inghilterra e l'America saranno i pilastri del nuovo ordine; ma anch'essi avranno bisogno del soffio che verrà dalla Francia, che dal Medioevo in poi ha esercitato un influsso indelebile sulla civiltà occidentale e cristiana)). Orizzonti, 19 luglio 1959
L'appello dei senatori d.c. Merita certamente di essere sottolineato l'insolito atto di un corpo organico, quale il gruppo dei centoventidue senatori democristiani che l'elettorato del maggio 1958 inviò a Palazzo Madama; i quali nella veste di maggiori esponenti politici han creduto opportuno intervenire in medids res con un solenne e pur amichevole e persuasivo avvertimento, diretto ai dirigenti e rappresentanti d.c. che in ottobre converranno a Firenze. Han detto i senatori: guardate bene ai pericoli delle correnti organizzate in seno al partito; si comincia con le divisioni ideologiche; si passa alle divisioni personali; si finisce allo spezzamento del partito. Donde le proposte da portarsi al congresso (e alle riunioni pre~on~ressuali) di precise nomine perché le stesse divisioni di specifici organismi quali i Coltivatori Diretti, le ACLI, la CISL e simili, non creino nuclei politici come espressione di categoria, classe, o ceti e simili, che impegnano le forze del partito su terreno non proprio e per finalità extrapolitiche. Opportuno l'avvertimento; ottima la finalità; tempestiva la mossa. Basta saper leggere uno degli ultimi numeri della Radar (1 6 luglio) per rendersene conto; invero, vi sta scritto: «L'epoca in cui il partito era orientato dall'alto - ha detto I'on. Fanfani - è finita. L'unico limite all'invito unitario rivolto non solo ad esponenti di «Iniziativa» ma anche ad altre correnti ("Rinnovamento" e "Base") è dato dalla necessità di non soggiacere alla tentazione di costituire tale unità in base alla divisione del potere)). Caro amico, vuoi dirci a quale «epoca» ti riferisci, se a quella di De Gasperi o a quella di Fanfani? Nessuno può affermare che in quindici anni della DC vi fosse stata una simile epoca, a meno che non intendi riferirti all'epoca fascista. I1 testo Radardel discorso Fanfani continua: «Il Congresso di Firenze, a differenza dei precedenti, dovrà rivolgere la sua attenzione più alle forze vecchie e nuove con cui realizzare il programma che a quelle da escludere)). Dunque, in seno al partito vi sarebbero o vi sarebbero state nel passato forze da escludere. L'accenno sarà diretto ai propri avversari, i quali non si sono preoccupati di un Fanfani democratico; mentre si sono preoccupati di un Fanfani dittatore, che impone dall'alto al basso (uso fascista).
A questo punto la Radar elenca tre proposte di un Fanfani statalista (non statista ma lo ripeto, statalista) fatte in forma generica, senza chiarezza di finalità e senza rapporto di produttività; ma che sono nel piano dell'invisibile Nenni, che la Base tiene presente, pur non nominandolo, come punto di riferimento a r o a darci una chiari/£azionepolitica: ((Farifani ha richiesto che il governo, per superare le perplessità date dalla sua linea politica, si impegni con la legge sulla partecipazione dei lavoratori alla gestione delle aziende, con la riorganizzazione delle partecipazioni statali riprendendo la politica delle fonti di energia, con la riorganizzazione fondiaria attraverso I'iinposizione di migliorie obbligatorie)). Chiaro: lepartecipazionidei lavoratori alla gestione delle aziende (anche private); la riorganizzazione delle partecipazioni statali tipo telefoni italiani (con il continuo aumento di costi e canoni di abbonamento); le riorganizzazioni fondiarie (dopo il terremoto della riforma fondiaria), uno dei più notevoli insuccessi nel campo delle riforme dc, che dimostrano tutta i'incapacità dello Stato quando vuole fare un mestiere che non è il suo, formerebbero il banco di prova del governo Segni, sul quale egli dovrebbe cadere per succedervi Fanfani con il suo centro-sinistra e l'appoggio di Nenni. Naturalmente, Fanfani e la Base non si occupano dell'ENI: il settore meno discusso e più applaudito delle attività statali, compreso il quotidiano Il Giorno, specie quando fa i migliori servizi a Mosca o Pechino, agli arabi anti-francesi o anti-inglesi e anti-americani che siano. Dopo di che Radar può assicurare che «se le correnti del partito debbono cessare d'essere gruppi chiusi di monopolio di potere, ma rappresentare espressioni di opinioni, è opportuno che si cerchino le piattaforme politiche e programmatiche per k conuergenzepiù
vaste e senza preclusioni d i uomini e dig-ruppi)). La conclusione è della Radar del 16 luglio: «Pel Congresso di Firenze il partito deve affrontare il problema della scelta decisiva: deve dire 'konall'apertura a destra, anche camuffata come 'jtato d i necessità "(la sottolineatura è nel testo); deve ritrovare la linea politica delle sue tradizioni di collaborazione con le forze democratiche, capaci di creare nelprogresso più democrazia nelpaese)).
Ritrovare la linea politica? Quale? quella dei comitati di liberazione 1944-1747 (maggio)? no certo; si trattò di contingenza bellica per una politica d'intesa con gli alleati. Oggi non tutti possono dirsi solidali con la politica di allora; politica che De Gasperi, con abilità e scivolando sulle pantofole, lasciò cadere senza raccoglierne i resti, e tentando l'intesa implicita dei quadripartito. È a questo punto (fine maggio 1747) che Fanfani diviene ministro del Lavoro e viene associato a De Gasperi. Prima di allora egli faceva la politica dossettiana, non sempre felice né sempre indovinata. La linea 1947-48 e 1948-53 con naturali oscillazioni è quella di De Gasperi simbolo della coalizione di centro; è la rottura di Saragat da Nenni; è l'intesa con i liberali di D e Caro e del professar Giovannini e con il repubblicano Pacciardi; ma è la stessa linea di D e Gasperi, preoccupato dei progressi delle sinistre socialcomuniste e quindi della disgraziata legge elettorale 1752-53 e la più disgraziata frase quella del partito d i centro che marcia a sinistra con l'indicazione, verso sinistra, di Fanfani, come suo possibile successore. Che meraviglia che qualche volta dormitat Homerus? De Gasperi quando puntò su Fanfani certo d o r m i ~ a f o r perché t~ tra l'altro, Fanfani era con Pella il ministro dell'interno, proprio del Pella del Campidoglio e di Trieste, il ministro dell'interno della tolleranza verso i comunisti e del periodo inflazionista del caso Montesi. A parte le precipitate consultazio-
ni presidenziali, Pella fu fatto cadere dallo stesso Fanfani, il quale gli negò la collaborazione perché ne attendeva la successione. Questa venne proprio sul tipo monocolore pelliano; ma i voti spontanei non vennero; quelli contrattati si fecero cari; Fanfani fini, come era finito De Gasperi nel luglio precedente, quale monocolore inadeguato senza appoggi né a destra né a sinistra. Entrano i ministeri Scelba, Segni, Zoli fra le tradizioni della Radar? Quattro anni di governo dal febbraio 1954 al giugno 1758 non sono pochi; né possono omettersi, se davano vita al quadripartito, al tripartito, al monocolore, quest'ultimo senza qualifica con l'appoggio delle destre autorizzate dal Quirinale con un intervento extra o sovra-partito fatto da chi non dovrebbe dispiacere alla Radar. Strano, il maggio '58, quello del programmone del quinquennio legislativo, dove ci dovrebbe essere in nuce tutto il progresso della nazione democratica (con Segni si dice che manchino nel governo attuale il progresso rappresentato da Nenni e la democrazia rappresentata da Fanfani); capita proprio questo che tutto il programmone si riduca ai tre punti statalistidi cui sopra, senza nessun cenno alla rnoralizzazionedelkz vita pubblica (affermata a p r tis uerbis) né alla libertà scolastica, della quale solo quel buon uomo del ministro Medici può preoccuparsi in un paese dove delle libertà, anche le libertà politiche, si fa facile baratto di fronte all'offensiva delle sinistre. Sarebbe questa la linea politica della Rada2 Certo no; per la Radari congressi che fanno testo sono Napoli (1954), Trento (1956) e Vallombrosa che non f;i un vero congresso (1958); chissà per quale investitura (lo Spirito Santo non c'entra di sicuro); forse perché fatti sotto l'ingerenza non disinteressata del padrone d'Italia, quello che risiede idealmente a Metanopoli e parla ogni giorno su Il Giorno, persona autorevolissima anche per i giovani della Base, proprio perché dà la base a chi vuole stare in piedi. Nel dire quel che dico e nello scrivere quel che scrivo, so bene dove miro; Fanfani può scrivermi che io lo diffamo; e no, caro Fanfani; quando non si ha il coraggio di separare nettamente la propria responsabilità politica da quella del presidente dell'EN1, né l'altra di condividerne la condotta, non si può parlare di tradizioni da tutelare dove e quando non delle posizioni che giovano, abbandonando le alesistono tradizioni, che non ~iano-~ueile tre che, in quel dato momento, più non giovano. Ebbene, Fanfani ha scelto: allora, 1954, era disposto a marciare con le destre; poi, a partire da Pralognan e relative conversazioni Saragat-Nenni, si accorse che Nenni era un obiettivo possibile. Preparate le elezioni 1958 a questo scopo, nonostante gli aiuti di amici fidatissimi e autorevolissimi, Nenni a Napoli fallisce e proprio Fanfani ne è la testa di turco (l'arabo di mezzo non manca) e ora si ritorna a parlare di governo centro-sinistra, senza impegni di maggioranza e con le intese di sottobanco come di una novità, da varare a Firenze? No; a Firenze non si parlerà di un governo Fanfani quasi impossibile, ma di un governo Moro come ponte di passaggio: a Firenze i ponti sono necessari per la città e per i visitatori. Ed ecco un bel ponte, quello dei senatori dc, perché a Firenze i maestri cantori non sono solo a sinistra; ve ne saranno al centro e a destra; non saranno solo basisti e iniziativisti ortodossi, ci saranno anche i dorotei e si pensa che gli Scelba e gli Andreotti non siano disposti a farsi inghiottire. O la tregua dei senatori per una revisione di struttura, o la guerra intestina della DC per il vantaggio delle sinistre; non c'è altra via di scelta.
Il Giomak ditalia, 2 1 luglio 1959
Parlamento e Partitocrazia Dopo tante sedute comuni senza esito, il Parlamento ha, finalmente, nominato i sette rappresentanti del Consiglio Superiore della Magistratura nonché il giudice della Corte costituzionale in sostituzione del defunto prof. Bracci. Un quotidiano del mattino notava il fatto come un successo del Parlamento; mentre io lo noto come un fallimento. Doppio fallimento: il primo, quello della legge (anzi due leggi) che fissano un quorum eccezionale di voti per la eleggibilità dei giudici del Consiglio Superiore della Magistratura e della Corte costituzionale; legge assurda e per giunta (secondo me) illegittima e incostituzionale; il secondo, che per attuare il quorum di legge, le due Camere riunite in unica assemblea, dopo il fallimento di intese dirette, han dovuto ricorrere all'arbitraggio dei due presidenti, Merzagora e Leone, e questi due insigni parlamentari han dovuto dosare in mod o le proposte, da accontentare destra, sinistra e centro e relativi aspiranti. Partiamo da un punto fermo, quello che risulta dall'articolo 64 della costituzione dove sta scritto: «Le deliberazioni di ciascuna Camera e del Parlamento non sono valide se non è presente la maggioranza dei loro componenti e se sono adattate a maggioranza dei presenti, salvo che la costituzione prescriva una maggioranza speciale)). Nel fatto, la costituzione prescrive maggioranze speciali per due casi: 1 ) nei tre primi scrutini della nomina del presidente della Repubblica (art. 83); 2) nel caso di leggi costituzionali che abbiano toccato il quorum di due terzi nelle seconde votazioni delle due Camere così da non dovere essere confermate da referendum popolare se questo venisse richiesto a termini di legge (art. 138). Per ogni altra deliberazione la prescrizione di maggioranza speciale non è consentita senza una legge costituzionale; così le due disposizioni in vigore per le nomine di giudici costituzionali e di componenti il consiglio superiore della Magistratura sono senz'altro illegittime. Possibile che nessuno se ne sia accorto? Chi scrive, ne trattò a suo tempo durante la controversia della nomina dei giudici costituzionali; ne scrisse da par suo il costituzionalista prof. Serio Galeotti; ma chi tiene dietro alle critiche e agli studi giuridici, quando deputati e senatori si orientano in base alle esigenze dei partiti? Infatti, per pura partitocrazia sono nate le disposizioni che contesto: la prima per la nomina dei giudici costituzionali; la seconda per quella del Consiglio Superiore della Magistratura. Le opposizioni frazionare in partiti di sinistra, due; di centro sinistra, tre; di destra e centro destra, quattro; oltre il partito di governo, pretendono di essere rappresentate dai rispettivi gruppi parlamentari in quasi tutti gli organismi eletti dal Parlamento; così si ripeta (secondo l'opinione diffusa in Italia dai comitati di liberazione in poi) la volontàpoliedrica della nazione; non pensando che altro è un corpo rappresentativo, altro è un corpo deliberante, specie se destinato ad amministrare la giustizia. Con questo stato d'animo partitico, nessun italiano si è meravigliato che a succedere al prof. Bracci di Siena (socialista nenniano) sia stato chiamato il prof. Branca (anche lui nenniano); l'eredità del titolo politico (occasionalmente ritrovato in Bracci quando fu nominato membro dell'Aita Corte Siciliana, e poi di botto trasferito alla Corte costituzionale), è divenuto un affare di successione parlamentare: chi negherà a Nenni un altro socialista quando il pro6 Branca sarà stufo di fare il giudice costituzionale? Pensare che dal 1944 in poi, il presidente e unico amministratore (tipo amministrazioni fasciste) dell'opera Nazionale Combattenti è un repubblicano storico, non ostante
che da tanti anni quell'Opera vada male; nessun ministro ha osato levarla ad un partitino che ora è di maggioranza e ora fa la fronda, perché l'investitura ciellenista continua e i suoi effetti automaticamente, non si sa per quale diritto o presunzione di diritto. Ora è stato il turno del Consiglio Superiore della Magistratura, anch'esso nella rappresentanza parlamentare, dosato da sinistra a destra passando per il centro, prendendo i rappresentanti più affini dei vari partiti, i quali dovrebbero portare in quel consesso (che cosa?) gli echi del fracasso partitico che i più riscaldati mantengono vivo a Montecitorio e a Palazzo Madama.
Passando ad un altro degli aspetti partitocratici del nostro Parlamento, si deve notare subito quello del voto segreto per l'approvazione di leggi, mozioni, ordini del giorno. Ne ho scritto più volte facendo rilevare l'antidemocraticità e I'anti-parlamentarità del disposto, mantenuto in Italia quando tutti i parlamenti del mondo l'avevano abolito (siamo alla fine dell'ottocento), e nonostante la parentesi del parlamento fascista, che, naturalmente, non era un parlamento democratico. Niente da fare: altissimi personaggi che fanno regola (a cominciare da Benedetto Croce mio amico e in questa faccenda mio contraddittore) hanno ostruito il cammino per una rapida e completa abolizione. Giorni fa, a proposito dell'amnistia, i gruppi di sinistra del Senato si sono fatti forti con i voti segreti: come con i voti segreti dei franchi tiratori fu sbalzato di sella (o volle essere sbalzato di sella) il presidente Fanfani. Ora se ne rammarica e tenta un faticoso e contrastato ritorno.
Un altro aspetto della partitocrazia che domina il Parlamento è dato dal numero e dal tipo della proposta di legge d'iniziativa parlamentare. Chi prenderà in mano gli Ordini del giorno delle sedute pubbliche (specie i fascicoli complessivi delle proposte da discutere in aula e altre rinviate alle commissioni), si persuaderà delle mie seguenti osservazioni: a) il numero è enorme e tale da non potersi svolgere in una legislatura a meno che non si proceda a galoppo, senza serietà e senza discussione. Il primo di questo mese la Camera segna nel complesso come presentati nel giro di un anno 1380 disegni e proposte. Pensare che il parlamento inglese non approva in un anno che da cento a centocinquanta leggi; e più o meno lo stesso fa il Congresso americano; non ho curato la statistica di altri paesi, ma deve essere assai inferiore a quella italiana, la quale ha avuto nel primo anno della 111 legislatura una così enorme massa di leggi e leggine da esaminare. Naturalmente i più numerosi sono le proposte di iniziativa parlamentare (leggi partitiche); fra quelle da assegnare alle commissioni il 1" luglio alla Camera 33 sono di iniziativa parlamentare e 6 governative. Se poi pardiamo che tipo di iniziativa siano, eccone i titoli dei primi dieci che mi vengono sott'occhio: norme per la costruzione di abitazioni per lavoratori agricoli; - modifica delle norme sullo stato giuridico e sul trattamento economico degli operai statali; - norme sullo stato giuridico dei salariati dello Stato;
-
trattamento di quiescenza a favore del personale della Croce Rossa e del S.M.Ordine
di Malta;
sistemazione di talune situazioni concernenti il personale salariato e subalterno delle amministrazioni dello Stato; adeguamento dei ruoli organici delle carriere dei dipendenti dal Ministero degli affari esteri ecc.; estensione al personale operaio delle amministrazioni dello Stato, anche con ordinamento autonomo, delle disposizioni legislative dell'Opera di previdenza; modifiche alla legge 15 febbraio 1958 n. 46 concernente norme sulle pensioni ordinarie a carico dello Stato; - disposizioni integrative degli articoli 12 e 13 e della legge 15 febbraio 1958 n. 46 concernente norme sulle pensioni ordinarie a carico dello Stato; estensione dei benefici della legge 27 febbraio 1955 n. 53 ai salariati dello Stato licenziati prima dell'entrata in vigore della legge stessa.. . H o omesso i nomi dei proponenti che appartengono più o meno a tutti i banchi della Camera, e mi fermo qui per non dare al lettore l'occasione di saltare le righe per vedere dove voglio arrivare. Ma è facile concludere che con questo sistema non regge in piedi nesuna legge organica, nessun istituto basato su principi attuati e regolari, nessuna tranquillità di personale statale, il quale sa bene di potere trovare un deputato o un senatore (questi secondi sono meno facili ma cedono anche loro nel gusto di presentare leggine adpersonam) ed ottenere un che non sarebbe stato né regolamentare, né equo e forse neanche opportuno. Da aggiungere che ogni partito crede di dover sollecitare provvedimenti di categoria (li chiamo così, e il pubblico comprende più di quanto io non esprima) per crearsi una clientela sicura al momento elettorale dei voti di preferenza. Ah! quei voti di preferenza; stanno rovinando la nostra Camera dei deputati come rovinano i nostri partiti. Ma le leggi vere, quelle che toccano il fondo delle cose, quelle che rettificano errori compiuti e mettono la democrazia sul suo binario, o non vengono presentate, ovvero vengono, si dice, insabbiate. Fra i progetti insabbiati vi sono quasi sempre i progetti di riforma elettorale (io ne ho avuto la prova per due legislature e tenterò la prova per la terza); perchk tutto si rimanda all'ultima ora quando il deputato o il senatore, futuro candidato, è preso dalle agitazioni nervose della aspettativa elettorale, nella morsa dei partiti e delle correnti, delle spese e della ricerca di voti (i quali costano e come, nella generalità dei casi e fatte rare e speciali eccezioni); e così, addio legge elettorale; il tentativo della cosiddetta legge-truJff non è di quelli che merita di essere ripetuto. Ultimo fra tutti i progetti di riforma di partiti e di buon costume metto il mio disegno di legge sul finanziamento, partitico ed elettorale. E lì: è un monumento di saggezza; tutti pensano che varrebbe la pena di adottarlo; ma, secondo me, si tenterà di insabbiarlo senza neppure l'onore della discussione. Questioni di partitocrazia premono su quelle parlamentari; interessi particolari su quelli generali; le roccheforti degli enti particolari su quelle di carattere governativo. Così la democrazia parl,amentare diviene una lustra e la partitocrazia aumenta di potenza, di influenza e di mezzi. Orizzonti, 26 luglio 1959
Economia e Moralità7' I1 prof. Roepke non poteva meglio mettere in evidenza il problema dell'economia moderna che richiamandosi al canone fondamentale della moralità. Senza questa non regge economia pubblica, non regge economia privata. E se nel passato le leggi e i codici sono stati perfino minuziosi nel regolare e garantire quasi solamente i rapporti privati, dipendeva questo fatto dal tipo di economia prevalente, individuale, familiare, agraria e artigiana, con scambi limitati assegnati di autorità ad imprese privilegiate. L'economia moderna è nata dallo sviluppo industriale e mercantile, con deciso indirizzo verso la eliminazione dei vincolismi esistenti, creando aree economiche quanto più vaste e più libere possibili. Ma in ogni ciclo umano si inserirono i peccati di crescenza e quelli di maturità; i primi, in materia, furono diretti allo sfruttamento di una manodopera non preparata, in cerca di lavoro sopra il gioco di domanda ed offerta, e alla concorrenza sfrenata per accaparrarsi sbocchi e correre awenture. La maturità diede molta esperienza e corresse parecchio degli errori compiuti; ma indirizzò le imprese verso la partecipazione al potere politico, alla creazione dei monopoli, al consolidamento delle posizioni conquistate in patria, allo sfruttamento coloniale; diede per giunta base strutturale alle guerre, sia con i nuovi tipi di armamento, sia con prospettive tecnico-scientifiche del futuro. L'unione dell'economia e del potere nelle stesse mani fu concepita in termini di dittatura, da Bismark a Hitler in Germania, dagli Czar ai comunisti in Russia; in termini di democrazie borghesi e libere prevalentemente industrializzate nella Gran Bretagna e negli Stati Uniti; a carattere misto nell'Impero austro-ungarico come nell'impero e nella repubblica francese. Gli altri paesi non potevano che fare da satelliti e appartarsi. Ma il tipo economico libero prevalendo nel mondo si orientava verso la coordinata ((economia-potere)). Quel che poteva correggere la immoralità che ne doveva scaturire era proprio la concezione di uno Stato di diritto, che precisasse, via via, i limiti delle attività economiche, a tipo pubblico e a tipo privato; sfrondasse i monopoli privati e rendesse impossibili i monopoli pubblici in materia privatistica; garantisse i diritti correlativi dei fattori della produzione: capitale e lavoro, e ne coordinasse le aspirazioni di classe in un dinamismo economico e politico sano. Tutto ciò può venire solo da una fondamentale concezione morale della società, senza debolezze e senza privilegi; in uno Stato dove l'organizzazione +diziaria è al disopra e al di fuori del potere politico; dove i partiti non usurpano i poteri del Parlamento e questo non cede di fronte ai ripieghi degl'interessi particolari dei governanti. È possibile realizzare una società così concepita? Sì, a due condizioni: la rigida educazione religiosa familiare e scolastica della gioventù, la vigile attenzione del cittadino sulla pubblica amministrazione. L'aspirazione ad una morale comune e rispettata è connaturale all'uomo; la concezione di una morale della economia deriva non solo dal rispetto della personalità umana, ma dalla interiore moralità delle leggi economiche, se bene concepite e rispettate. Non mancheranno crisi presso tutti gli Stati moderni; non mancheranno contrasti di interessi e di classi; non finiranno le difficoltà dei disoccupati e degli emigranti; vi saranno
Poiche l'articolo fti pubblicato due giorni dopo la morre di SCURO diamo la data del darriloscrirto che è del 15 maggio l 959.
sempre fannulloni e parassiti; il valore di un popolo e il merito di un governo sarà quello di provvedervi in tempo e di formare quelle zone di solidarietà umana e cristiana dove si sentirà meglio il calore di una moralità dalla carità cristiana. La colpa più grave degli individui e dei nuclei umani, nonché dei corpi costituiti, sarebbe quella di non avere fiducia di potere superare il male con il bene; il che sarebbe l'indice della mancanza di fiducia nella libertà dono di Dio e in Dio stesso, il donatore di ogni bene.
Via Aperta, 10 agosto 1959
Indice dei nomi'
Abele, 2 15 Abramo, 245 Adenauer, Konrad, 95,34 1,44 1,446 Adorno, Theodor W,, XIII Aeberli, Enrico, 66 e n,, 67 Agnelli, (famiglia), 293 Aldisio, Salvatore, 268, 298,334,435n., 437 Alessi, Giuseppe, 25911.-261 n., 296, 297, 329, 334, 404n., 405,443,448,460, 467n. Almirante, Giorgio, 88 Amadeo, Ezio, 28,29, 86 Amari, Emerico, 474 Ambrosetri, (famiglia), 271 Amendola, Giorgio, 434 Ammannati, Floris Luigi, 265 Anania, 175 Andò, Oscar, 246n. Andrea, Miguel de, 56 Andreotti, Giulio, 132, 149,253,256,257,271,298, 333,334,336,345,363,493 Angeletti, Danilo, 67n. Angelini, Armando, 268,295n., 308n. Angiolillo, Renato, 36511. Ansaldo, Giovanni, 398,423n. Antonazzi, Giovanni, 104 Anronini, Luigi, 186 Arcoleo, Giorgio, 46 Arazo, Emanuele, 243n. Argiolas, Concerta, 111, V Ariosto, Egidio, 327, 328 Arosio, Carlo, 202 Arrighi, Edoardo, 218 Attlee, Clement, 6, 95, 302 Ayerza, Javier, 56 Baccelli, Guido, 117 Badoglio, Pietro, 49, 489 Baggioli, Luigi Pietro, 202
Balbo, Cesare, 234 Baldacci, Gaetano, 454 Baldwin, Stanley, 244 Bandini, Mario, 43 Barbaro, Nicolò. 15 Banesaghi, Ugo, 37,383,442 Barzilai, Salvatore, 235 Basso, Lelio, 34, 323, 383 Bastogi, (famiglia), 345 Bava-Beccaris, Fiorenzo, 489 Bazan, Carlo, 26011. Bellini, Vincenzo, 425 Belorti, Giuseppe, 105n. Benedetto XV, (Giacomo Della Chiesa), 238, 319, 402 Beneduce, Alberto, D<, 147,208 Beria, Laurenry, 7, 39 Bernabei, Ettore, 366, 367 Bernanos, Georges, VI11 Bevan, H. T. Aneurin, 25 Beveridge, William Henry, 302 Bevin, Ernest, 95, 109 Bianchi, Antonio, 73 Bidault, Georges, 95 Billot, Louis, 403 Bismark, Ottone von, 408,440,497 Bissolati, Leonida, 15, 25, 235 Blagonravov, Anatoly Arkadievich, 376 Bo, Giorgio, 95, 96, 121-124, 126, 127, 142, 144, 150, 155, 156, 162, 168-171, 180, 201 e n.204, 219, 227, 242, 268, 292-294, 322, 327, 334,422,453,454 Boggiano Pico, Antonio, 396 Bonelli, Giulio, 134 Bonfiglio, Angelo, 26On. Bonomi, lvanoe, 16, 25,49,69,319 Bonomi, Paolo, 256,26111. Borbone, vedi Ferdinando IV
' Nell'Indice non figurano i nomi che indicano le ditre e le società, n6 i personaggi letrerari.
Borboni, (famiglia), 329,410,413 Borsaiino, Giuseppe, 14 Borsellino, (famiglia), 271 Bourne, Francis, 244 Bovio, Giovanni, 453 Bracci, Mario, 18,494 Bracco, Roberto, 276n. Braganza, (famiglia), 435 Branca, Giuseppe, 494 Braschi, Giovanni, 90 Braudel, Fernand, XVI Bucciarelli Ducci, B., 143 Buchman, Frank N. D., 10411. Busetti, sac., 350
Cordova, Filippo, 474 Cornaggia, Carlo Ottavio, 15 Cornelio di Cesarea, 110 Cortese, Guido, 35,36,90, 133,148, 167,180,194, 213,228,292 Costa, Angelo, 14 Cotelessa, Mario, 305 Coulton, George Gordon, 301,395 Covelli, Alfredo, 46,47, 184,220,268 Crespi, Angelo, 139 Crespi, (famiglia), 293 Crispi, Francesco, 15,474,483 Croce, Benedetto, 13,48,211,235,343,495 Cucchi, Aldo, 8
Cafiero, Raffaele, 433,434,439 Caino, 73, 215 Campello, (famiglia), 368 Campilli, Pietro, 149 Candida, suor, VI1 Canoni, Felice, 202 Cappi, Giuseppe, 80 Cappuccini, Giulio, 449 Capuani, Gianmaria, 260n., 457 Carandini, Nicolb, 184, 230, 386 Caristia, Carmelo, 236n. Carli, Guido, 203 Caronia, Giuseppe, 18, 181n., 221 e n. Casaltoli, Sergio, 18511. Casati, Alessandro, 235 Cassano, Cataido, 265 Cassese, Sabino, VI11 Cassiani, Gennaro, 149 Castracane, Nicola, 265 Cattani, Leone, 483 Cavaliorti, Felice, 452, 453 Cavour, Camillo Benso conte di, X, 146, 245, 488, 489 Cerutti, Luigi, 52 Chiaramonte, Umberto, VIIn. Churchill, Winston, 190 Cicerone, 123 Cingolani, Mario, 151, 191 Cinzano, (famiglia), 270,455 Cioccetti, Urbano, 183, 333,483 Ciucci, Torello, 265, 266 Clernenceau, Georges, 489 Codignola, Tristano, 230 Colajanni, Napoleone, 138,452,453 Colitto, Francesco, 105n., 154 Colombo, Emilio, 116,471 Combes, Justin Louis Ă&#x2030;mile, 165,245 Condenhove-Kalergi, Richard de, 12411. Conti, Giovanni, 435 Corbellini, Guido, 163 Corbino, Epicarmo, 16, 163, 234
Dalle Molle, Angelo, 239-242, 346n. D'Ambrosio, Ferdinando, 105n., 232n., 233n., 344, 367n. D'Angelo, Giuseppe, 43811. Dante Alighieri, 14, 74, 99, 193, 313, 340, 355, 359,398,460,467 Dante, Anronino, 143 D'Antoni, Paolo, 438n., 459 Darlan. Fran~ois,490 Davide, 185 De Caro, Raffaele, 90,220,492 De Cesaris, Benedetto, 106n. De Felice-Giuffrida, Giuseppe, 15, 63 De Fenizio, Ferdinando, 478-480 De Gasperi, Alcide, D<,X e n., 14,16,32,50,51,80, 91,93,119, 146,157,162,190,208,155,270, 332-3341., 363,369,379,380,391-393,398, 401,428,434,438n., 441,458,474,480,491493 De Gaulle, Charles, 95,322,358,435,445,487 e n.490 Dehon, Jean LĂŠon, 403 Del Bo, Rinaldo, 180,269 Del Giudice, Mario, 273n. De Luca, Giuseppe, 102n., 104 Del Vecchio, Gustavo, 163 De Micheli, Alighiero, 260n., 261n., 336,441 De Mita, Ciriaco, 457 De Mun, Albert, 13 De Nava, Giuseppe, 319 Depretis, Agoscino, 15,206,318,384,435,444 De Rosa, Gabriele, 111, XVI De Stefani, Alberto, 208, 293 De Stefanis, Celso, 230, 231 De Zerbi, Renato, 265 Di Bernardo, Fulvio, 2371-1. Di Capua, Giovanni, 392 Di Vittorio, Giuseppe, 191 Dolci, Danilo, 410, 447, 473 Donar Cartin, Carlo, 217,342 Dosi, Mario, 36
Dossetti, Giuseppe, 428,434 Ducrot, (famiglia), 272 Dulles, John Foster, 189 Edoardo, san, 24 Einaudi, Luigi, 16,70, 162-163, 179,208,366 Eisenhower, Dwighr D., 9,364, 376 Elkan, Giovanni, 334, 345 Enrico N di Francia, 405 Erhard, Ludwig, 179, 236,242 Facra, Luigi, 82 Faina, Carlo, 34, 140. 260n., 261n. Fanfani, Amintore, In., 14,27,34,40,41,83-85,9799, 102n., 115, 124, 131, 132,182n.,219-221, 225, 231, 246, 252-257, 159, 260n., 266n., 268, 269, 291-294, 298, 300, 314, 315, 322, 328,330,331 e n., 332 e n.-334,338-341,363365,367n., 377,379-385,387,388,399-401, 410, 426, 428, 429 e n., 430 e n.-434, 441, 442,453,475,481n., 482-484,491-493,495 Fani, Cesare, 453 Farina, Carlo, 183 Fascerri, Aldo, 123, 156 Feltrinelli, (famiglia), 400 Ferdinando N di Borbone, 449,473 Ferrara, Francesco, 474 Ferrari Aggradi, Mario, 269,323 e n. ,390,422,425, 453,454,471 Ferretti, Lando, 269, 452 Ferri, Enrico, 15 Ferri, Giuseppe, 265 . Filippo Il di Spagna, 110 Filippo IV il Bello, 453 Filippo Égalit6, Luigi Filippo d'orléans detto, 489 Fiordelli, Pietro, 197 Flogna, (famiglia), 31 1 Florio, (famiglia), 22, 270, 272 Florio, Vincenzo, 14 Fogazzaro, Antonio, VI11 e n., 450 Folchi, Alberto, 32, 269 Fortunato, Giustino, XV,413 Francesco Borgia, san, 24 Francesco d'Assisi, san, 113 Francesco Giuseppe I d'Asburgo Lorena, 25 Franco, Francisco, 397,435 Frasca-Polara, (famiglia), 479 Frassati, Alfredo, 124 Gaetani, 260n. Gaitskell, Hugh, 12 1 Galeotti, Serio, 494 Galloni, Giovanni, 433,457 Gandolin, psezrdonimo di Luigi Arnaldo Vassallo, 453 Garibaldi, Giuseppe, 144,448,474,483
Gaspari, Oscar, VIIn. Gasparri, Pietro, 3 19 Gatto, Eugenio, 269 Gava, Silvio, 142, 143, 149, 167, 168, 201, 240n., 247n., 268,291,292,387 Gedda, Luigi, 392, 393 Gedeone, 134 Gemelli, Agostino, 244n. Genovesi, Enrico, 354, 355 Gentile, Giovanni, 13, 157, 160, 235 Gentiloni, Vincenzo Ortorino, 25, 231, 238,368 Gesù Cristo, 68, 106, 109-1 11, 113, 114, 120, 174, 175, 197, 214-216, 245, 258, 302, 354, 360, 371,394,395,418,427,428,476 Ghelardi, (famiglia), 3 1 1 Giannone, Pietro, 237n. Gilardoni, Annibale, 16 Gilas, Milovan, 147 Gioberti, Vincenzo, 450 Gioia, Giovanni, 298,442 Giolitti, Giovanni, 4 , 15,20,25, 46,47, 69, 82, 97, 131, 146, 180, 206, 231, 235, 238, 260, 263, 298, 308, 337, 360, 364, 383, 384, 392, 433, 435,444,452,454,465 Giordani, Igino, 23311. Giovanni Batrisra, san, 109, 325 Giovanni Evangelista, san, 198, 326 Giovanni Gualberto, san, 1 13 Giovanni XXIII, (Angelo Giuseppe Roncalli), 325, 326,376 Giovannini, Alberto, 492 Giretti, Edoardo, 139 Gisella, Egisro, 165n. Giuda Iscariota, 215, 453 Giuffrk, Giambattista, 305-308,310,311,315, 319, 345,365,423,453 Giuliano, (bandito), 475 Giuseppe, (figlio di Giacobbe), 122 Giuseppe, san, 64, 243,369 Giuseppe d'Arimatea, 110 Giusti, Giuseppe, 33, 186, 208 Gonella, Guido, 14, 39,41,42, 80, 92n., 132, 153, 256, 268, 298, 334, 336, 392, 393, 401, 410, 441,443 Gorresio, Vittorio, 102n., 400 Grandi, Achille, 64 Granelli, Luigi, 457 Gregorio VII, (Ildebrando di Soana), san, 113 Gregorio IX, (Ugo dei conti di Segni), 396 Gronchi, Giovanni, 14, 18,64,82,25ln., 268,269, 298,334,377, 382-385, 393 Guarrasi, Viro, 470 Guerra, signora, 308 Guglielmo I1 di Hohenzollern, 25, 215, 245 Guglielmone, Teresio, 70, 345 Gullotti, Nino, 18In., 298, 334, 405, 442
Harmel, Uon, 14 Hegel, Georg W i e l m Friedridi, 157, 166 Henderson, Arthur, 109,244 Hitler, Adolf, 189, 215, 245, 275, 319, 397, 497 Hohenzollern, (famiglia), 435 Holmer, Eugenio, 56 Hoover, Herbert, 179 Ignazio di Lojola, sant', 110 Jannaccone, Pasquale, 102 Jervolino, Angelo Raffaele, 483 Kadar, Janos, 91 Ketteler, Wilhelm Emanuel von, 302,408,440 Kruscev, Nikita, XIII, 2,6,7,39,89-91,97,98,220, 446 La Cavera, Domenico, 260n., 261n., 336,458,459, 465,467n., 468,470,472,475,480481 La Guardia, Fiorello, 176 La Loggia, Giuseppe, 25911.-261n., 296, 298, 329, 330, 334, 336, 341,405,422, 442, 448,460, 467n. La Malfa, Ugo, 22,37,39,82,85,98, 141,144, 147149, 171, 177, 179, 211, 212, 214, 220, 228, 232,234-236, 244, 248, 253,268, 321, 339, 364,380,386,400,435,451 La Pira, Giorgio, 382,394n., 442 La Torre, Michele, 17, 18 Lami Starnuti, Edoardo, 292, 322, 328, 363, 380, 382,386-388 Lauro, Achille, 46,47,92n., 184, 248, 268 Lavai, Pierre, 490 L'Eltore, Giovanni, 183,333,464 Lemmi, Adriano, 235 Lenin, Nikolaj, pseudonimo di Vladimir Ilic Uljanov, 7, 25,89,90, 166,302,348,408,412 Lenti, Libero, 478-480 Lentini, duca di, 475 Leonardi, cav., 480 Leone, Giovanni, 18, 88,99,315,494 LeoneXIII, (Vincenzo Gioacchino Pecci), 14,63,89, 102, 103,237,238,318,402 Liberatore, Matteo, 104 LiĂŠnart, Achille, 390 Lisoni, Guido, 182n. Lo Giudice, Barbaro, 344,436n. Longo, Luigi, 323,434 Loubet, Ă&#x2030;mile, 3 18 Luigi IX,san, 24 Luigi W ,134, 165 Luzi Fedeli, Antonio, 36711. Macario, Luigi, 38 1 MacDonald, Jarnes Ramsay, 244
Maglietta, Clemente, 8 Magnani, Valdo, 8 Magri, Domenico, 92n., 298,334,442 Majorana, Benedetto, 404,406 Majorana, Claudio, 476n. Makyr, 189 Malagodi, Giovanni, 20, 22,27, 34, 39, 40, 82,85, 86, 141, 171, 180, 184, 211-213, 218, 228, 230, 232, 234, 235, 237, 246, 248, 268, 293, 297,307,321,382,444-446,452 Malenkov, Georgy Maksimiljanovic, 7 , 9 0 Malthus, Thomas Robert, 286 Malvestiti, Piero, 162-164 Mammuccari, Mario, 344 Mangano, Vincenzo, 243n. Manzoni, Alessandro, 359 Maranini, Giuseppe, 344 Marazzani, sac., 63 Marco, san, 325, 370 Marcuse, Herberr, XIII Mari, 449 Maria di Betania, 110 Mario, Alberto, 318 Mariorti, Giovanni, 320 Maritain, Jacques, VIII, 302 Marshall, George Catlett, 479,484 Marra di Betania, 110 Maninet, Gilles, 382 Martini, (famiglia), 22 Manino, Gaetano, 84, 90, 257 Mam, Karl, 89, 166, 167,255, 360, 394 Masaryk, Jan, 246 Matrella, Antonio, 181n., 182n. Mattarella, Bernardo, 435n. Mattei, Enrico, 41,55,88, 123, 125, 126, 133-135, 141-144, 147, 150, 168, 178, 180, 201, 202, 204, 219, 220, 249, 256-258, 263, 266, 281, 291-294,307,308,315,332n.,336,337,345, 349,362,388,393,400,403,411,430n.,431, 451, 453456, 458, 466, 468-470, 475, 480, 482,483 Mattei Gentili, Paolo, 150 Matteo, san, 24,418 Mauri, Angelo, 320 Mayhew, John, 38,39 Mazzini, Giuseppe, 38 Meda, Filippo, 15,69,320,368 Medici, Giuseppe, 55,203,414,471,493 Melchisedech, 245 Melloni, Mario, 442 Menidida, Donato, IX,55, 147,203,388,461,462 Merlin, Angelina, 396 Merlin, Umberto, 191,276,367n. Merzagora, Qsare, 18, 84, 163,421,453,494 Messe, Giovanni, 342 Miceli, Gennaro, 99, 101, 114
Micheli, Giuseppe, 320, 321 Michelini, 26On. Michelini, Anuro, 268 Migliori, Giovanni Battista, 18, 247n. Migliorini, Bruno, 449 Milazzo, Silvio, 259n., 267n., 330, 334-336, 365, 390, 404 e n.-406, 410412, 422, 423, 435, 436 e n.-438 e n., 442, 443, 448, 449, 454, 456,458-460,465 e n., 467n., 468,470,472, 473,475,476,481n., 484 Mindszenty, Jozsef, 320 Minghetti, Marco, 444 Mirabella, Giuseppe, 374,425 Misasi, Riccardo, 457 Mizzi, dott., 479 Mole, Enrico, 183 Mollet, Guy, 25, 95 Molotov, Vjaceslav Michajlovic, 188 Monaldi, Vincenzo, 374 e n., 375n. Monfredi, Angelo, 371n. Montagnani, Piero, 233n. Montalemben, Charles Forbes conte di, 245 Montai, Wilma, 305,425,492 Montresor, Luigi, 450 Moratti, (famiglia), 271, 479 Mordini, Antonio, 452,453 Moro, Aldo, 233n., 409 e n., 438,441,482,484,493 Morra di Lavriano, Roberto, 489 Mosca, Gaetano, XII Mosca, Orate, 8 Mosè, 68,74 Motta, (famiglia), 271 Murri, Romolo, 15, 150,320 Mussolini, Benito, 4, 13,20,25,38,46,69,94, 103, 115, 147, 166, 261, 263, 311, 345, 384, 397, 43811. Napoleone I Bonaparte, 165, 166, 228, 234, 245, 302,397,473,489 . Napoleone I11 Bonaparte, 488,489 Nasser, Gamal Abdel, 220,250, 275 Nassi, Enrico, Xn. Nenni, Pietro, 1-6,12, 14,17,23,26,27,32-34,3739,41.42, 46, 48, 51, 82,84, 85, 87, 88, 91, 97-99,119-121, 124, 131,132,183, 184, 186, 195, 219-221, 225, 230-232, 237, 238, 244, 246, 248, 249, 254, 255,267,268, 279,321323,331n.-334,336,339,344,345,348,362, 363, 377, 379, 380-387, 393, 394, 400, 401, 403,429,430n.-433,440-445,456-458,481, 482,484,492494 Navrnan, John Henry, 102 Nicodemo, l l 0 Nicoleni, Luigi, 159n. Nicoletti, Vincenzo, 22811. Nitti, Francesco Saverio, 319
Novella, Agostino, 231 O'Connell, Daniel, 408, 440 Olivetti, Adriano, 219, 342 Orazio, 145, 240n., 369,399,427 Orlando, Vittorio Emanuele, 18, 146,319 Ortolani, Umberto, 265, 266,388,482 Ottaviani, Alfredo, 378 Ottone d'Asburgo, 435 Ovazza, 470 Ozanam, Antoine-Frédéric, 302 Pacati, Tarcisio, 105n. Pacciardi, Randolfo, 27,34, 37, 115, 220,339, 392, 435,492 Pace, barone, 173 Pagani, Arnaldo, 367n. Pajetta, Gian Carlo, 345, 388,434 Palazzo, Francesco Carlo, 455 Palewski, Gaston, 487n. Palladino, Giuseppe, 446,487n. Palma, Franco, 272 Palmitessa, Ennio, 36711. Pannunzio, Mario, 245 Paolo, san, D(,23, 145, 175, 181n., 233n., 245,302, 358,359,417,476 Papini, Giovanni, 450 Papirio, Marco, 151, 152 Pareto, Vilfredo, XII Paratore, Giuseppe, 365 Parri, Ferruccio, 49 Pastore, Giulio, 4, 12, 40-42, 86, 87, 89, 101, 121, 171,213,216n., 217 e n., 218,250,253,256, 269,309,323,390,471 Paternostro, Alessandro, 453 Pavari, Aldo, 476 Pecoraro. Antonino, 23 1, 243n. Pella, Giuseppe, 4, 20, 32, 64, 84, 149, 163, 182n., 220,253,256,257,268,276,291n.,298,307, 316,334,336,342,363,380,434,492,493 Pellegrini, Clemente, 453 Pelloux, Luigi, 15,46, 384, 489 Penazzato, Dino, 109, 120,217,250,253,256,323, 379,380 Pennacchini, Erminio, 181n. Perassi, Tommaso, 19 Pericoli, Paolo, 150 Perrone, (famiglia), 293 Pesenti, Carlo, 260n., 261n. Pétain, Henry Philippe Omer, 397,435,489,490 Piaggio, (famiglia), 455 Piccioni, Attilio, 80, 84, 332n. Picone, dott., 265 Pier Damiani, san, 113 Pierantoni, 150 Pieroni, Alfredo, 344
Pietro, san, 103, 110, 175, 198, 302 Pietro Damiano, vedi Pier Damiani Pignatone, Francesco, 482 Pilato, Ponzio, 293, 307, 375 Pineau, Chrisrian, 95 Pio VI, (Giannangelo Brasdii), 318 Pio VII, (Gregorio Luigi Barnaba Chiaramonti), 318 Pio IX, (Giovanni Maria Mastai Ferretti), 318,481 Pio X (Giuseppe Sano), 238, 318 Pio XI, (Achille Ratti), 245, 312, 319, 394, 403 Pio XII, (Eugenio Pacelli), 104,318-320 Pirelli, (famiglia), 34, 345 Pistelli, Nicola, 457 Preti, Luigi, 11, l71,305,306,332n., 363,365,380, 453 Pupetta, (processo), 423,425 Quadri, Santo, lOGn., 34311. Rairnondo Nonnate, san, 396 Rarnpolla del Tindaro, Mariano, 318 Rapelli, Giuseppe, 218 Reale, Oronzo, 8, 245, 383 Reina, 212,213 Restivo, Franco, 297,405,443,448,46711. Rissone, Severo, 294n., 29511. Rivera, Vincenzo, 383 Rizzoli, (famiglia), 400 R o d i , A. C., 265 Rodinb, Giulio, 231,3 19,320 Rodrigua, (famiglia), 272,479 Roepke, Wihelm, 346 e n., 347,360,497 Romita, Giuseppe, 90, 392 Roosevelt, Franklin Delano, 179, 190,363,364 Rosrnini, Antonio, VI11 e n., 450 Rossano, Pietro, 308 Rossi, Ernesto, 148, 150,480 Rossi, (famiglia), 14, 22, 271 Rossi, Paolo, 90, 167, 234 Rousseau, Jean Jacques, l66 RudinĂŹ, Antonio Starabba di, 15,46,384 Ruini, Bartolorneo detto Meuccio, 190, 191 Rumor, Mariano, 168, 169, 171, 177, 334, 367n., 463,471 Rusconi, Edilio, 5 Sacco, Italo Mario, 344 Saffira, 175 Saja, Francesco, 172 Salandra, Antonio, 260,364 Salazar, Antonio de Oliveira, 397 Salomone, 268,373 Salvemini, Gaetano, 452 Sandulli, Aldo, 18 Santi, Fernando, 23 1,323 Santoro Passareili, Francesco, 421
Santoro Ventura, (famiglia), 479 Santucci, Carlo, 150 Saraceno, Pasquale, IX, 203 Saragat, Giuseppe, XV,2, 3, 12, 14, 32, 34,37, 3941,48, 51, 85, 87, 90, 97-99, 115, 119, 183, 184, 186, 195, 219, 220, 230, 232, 237, 244, 246,248,249,253-257,259,269- 273, 339, 363, 365, 377, 380, 382, 385, 386, 393, 431, 432,441,444-446,45 1,493,494 Savoretti, Giovanni, 265 Scalfari, Eugenio, 148-150 Scalia, Vito, 323 Scelba, Mario, 20,32,64, 81, 167,218, 237n., 252, 253, 256, 268, 307, 332, 363, 365 e n., 366, 380,392,435n., 437,444,491,493 Schneider, Fabrizio, 349 Scoca, Salvatore, 298,334 Scoccimarro, Mauro, 89 Segni, Antonio, 27,32,37,41,42,64,69,85-87,90, 115, 128, 129; 218,24On., 252,305,332,338, 363,380,388,393,401,429,430n.,432,441, 446,471,483,492,493 Sella, (famiglia), 271 Sella, Quintino, 146,444 Settimo, Ruggiero, 234 Signorino, Giuseppe, 404,406 Sirnone, cuoiaio, 1 10 Sirnonini, Alberto, 167,382 Sinigaglia, Oscar, 179 Socrate, 228 Soleri, Martello, 16 Sonnino, Sidney, 15,46,319 Spaak, Paul-Henry, 95 Stalin, pseudonimo di Josif Vissarionovic Giurgasvili, XIII, 1, 2, 6-8, 26, 39, 89, 90, 97, 115, 119, 166,245,345,408 Stammati, Gaetano, 386 Stepinac, Aloizij, 320 Steverlynck,Jorge, 56 Stirati, Luigi, 150 Storchi, Ferdinando, 269, 323, 344n. Stoni, Bruno, 323,381 Storti, Emilio, 43811. Strawiski, (caso), 306 Sturzo, Luigi, V, VII-XVI, In., 4, 5, 27n., 40n., 42n., 66 e n.-68, 75, 81n., 92n., 102n., 104 e n., 105n., 107n., 120, 125, 141, 142n., 151153, IGOn., 165, 166n., 180, 181n., 182n., 185, 19611.. 201n., 213, 216n., 217n., 221, 223, 226-228n., 233n., 237n., 239n., 240n., 244n., 246,247,252,25911.-261n., 267n., 269, 271, 273n., 276n.. 291n., 294 e n., 295n., 308n., 323n., 332n., 34411.-34635 1,364,365 e n.- 367n., 369,372n., 374, 375 e n., 384n., 391-394n., 401, 402, 404n., 409, 410, 418, 423 e n., 424, 430n., 436n., 437 e n., 438n.,
446, 453, 455, 467n., 476n., 480, 481n., 487n.. 489,496n., 497 Sullo, Fiorentino, 269,292,380,442,457 Tagliavia, (famiglia), 14, 272 Tambroni, Ferdinando, 28, 154,340,461 Tardini, Dornenico, 104 Tarrufoli, Amor, l n., 3 Tasso, Torquato, 3 14 Taviani, Paolo Emilio, 80,268,424 Terracini, Urnberto, 88, 89 Testi, Franco, 384n., 467n., 476n. Thiers, Adolphe, 489 Tirnoteo, 23, 233n. Tocqueville, Alexis de, XI Togliatti, Palrniro, 6,8, 12, 14, 17,34,38,46,82,85, 97,98,120,220,230,249,323,336,341,345,
380,381,385,386,434,445,456,470,480 Togni, Giuseppe, 271 Tolli, Filippo, 150 Tornmaso d'Aquino, san, IX, 301,394,450 Tomrnaso Moro, san, 24 Toniolo, Giuseppe, 13,89, 151,409 Torregrossa, Ignazio, 243n. Torricelli, Raffaello, 426 Tosti, Luigi, 238 Tournon, Adriano, 169 Trernelloni, Roberto, 19,40,48,70, 167, 382 Treves, Claudio, 25 Trirnarchi, Michelangelo, 391 n. Trombetra, Mariano, 71 Trotski, Lev Davidovic, 7 Trurnan, Harry, 364 Tupini, Umberro, 150 e n., 151, 154, 183 Turati, Filippo, 15 Ugdulena, Gregorio, 234,473-474
Vaccari, Vittorio, 44611. Valente, Giovanni Battista, 64, 320 Vailetta, Vittorio, 34, 23911. Valperga, Francesco, 3%. Valsecchi, Athos, 269 Vanoni, Ezio, 43, 48, 70, 71, 139, 141, 163, 204, 239, 279, 292, 347, 374, 379, 380, 426,441, 468,480 Vassalli, Filippo, 18 Vecchietti, Tullio, 131, 383 Ventura, Gioacchino, 302,474 Venturi, Marco, 167, 168, 171 Verdi, Giuseppe, 425 Vidianesi, Italo, 255, 256 Vigorelli, Ezio, 90, 363, 365, 377-380, 382, 383, 399,400,444 Villabruna, Bruno, 22, 37, 39, 148, 180, 184, 213, 219,228,392 Villari, prof., 260n. Vittorio Emanuele I1 di Savoia, 481 Vittorio Emanuele I11 di Savoia, 63 Volgesang, Karl, 13 Volpini, Alessandro, 104 Windthorst, Ludwig, 408,440, Zaccagnini, Benigno, 269,483 Zaccheo, 24 Zanardelli, Giuseppe, 15, 318,433,452 Zen, Gianni, VI11 e n. Zigliara, Tomrnaso Maria, 104 Zingarelli, Italo, 17n. Zoli, Adone, 56,64, 81 e n., 82, 84-89,92,99, 128, 149, 156, 183, 190-192, 201 e n., 202, 220, 240n., 244,269,291,293,305,314,330,334, 363,380,385,393,400,422,441,453,493 Zoppi, Sergio, XVn. Zukov, Georgj Konstantinovic, 90,98
Elenco articoli
9. IO.
La libertà si difende sempre La critica di Sturw e i@-socialisti Crisi dei comunisti e crisi dei non-comunisti Statalismo ottimista Non confondiamo cattolici sociali e socialisti Il mito della Sinistra L Alta Corte siciliana Costituzione e costume Monopoli privati e C I. P. Può I'uornopolitico essere cristiano integrale? La politica estera delPSI. .. Costituzione e Parhmento Stato di diritto e Stato «difatto» La politica sindacale del Partito socialista La legge sugli idrocarburi eh . nostre risorse petrolifere L 'alternativasocialista Anno pre-elettorale Proteggeremo gli injngardi e incrementeremo i litigi Il mito delh «destra» La fUnzione del Centro Il vero carattere delle Casse rurali L 'alto costo del denaro Ai democratici cristiani della Repubblica Argentina La riforma del Senato Libertà e autodisc$lina. Dove andremo ajnire? Primo maggio cristiano Ministero pre-elettorale La risposta delsen. Sturw al commissario Aeberli Una lettera di don Sturzo sull'unità dell'Europa La vecchia wtoria)~ delh nominatività
Il Giornale d'Italia L'Azione Popolare I1 Giornale d'Italia
gennaio 14 gennaio 16 gennaio
Il Giornale d'Italia L'Azione Popolare
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6 6
I1 Globo L'Azione Popolare I1 Giornale d'Italia La Rocca Il Giornale d'Italia I1 Giornale d'Italia L'Azione Popolare Il Giornale d'Italia
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Il Giornale d'Italia I1 Giornale d'Italia L'Europeo
Il Giornale d'Italia I1 Giornale d'Italia I1 Giornale d'Italia Il Giornale d'Italia Dattiloscritto
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Il Giornale d'Italia
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La Rocca I1 Giornale d'Italia I1 Giornale d'Italia
maggio maggio 17 maggio
I1 Popolo
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I1 Giornale d'Italia
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I
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Le due anime dello sciopero Verità contro menzogna La menzogna politica Democrazia e responsabilità Governo elettorale Tripartito e monocolore Dissipare gli equivoci Il Governo Zoli e IP sinistre Dittatura e libertà Leggi elettorali e partitomia IRI in Inghilterra ed in Italia Dialogo Fanfani-Nenni? Punto e ah capo Passeggiata di mezz hgosto Il messaggio di Str~mo per il rianno morale Lo Stato e il lavoratore «Non est vestrum nosse tempora. ..» «Il campireilo» di Montecitorio L 'albero - Il bosco - La foresta Tre categorie di «nenniani» Il «debutto»del ministro Bo Costituente Europea Petrolio nostrano eforestiero Senatori e Senato Il Partito socialista ah S. Marino alllUngheria E.N.I. & C. Iperché delle mie critiche Statalismo e libertà Statalismo e monopoliprivati ENI, Voce Repubblicana e Globo Spirito di umanità e di comprensione C h s e dirigente e statalismo Libertà economica (Risposta ai tre) Cinquant anni addietro Battaglie utili e inutili Senato:problema aperto La battaglia della libertà Paura della libertà Moralizzare la vita pubblica Realtà e libertà Specie e sottospecie di statalismi
I1 Giornale d'Italia
29 maggio
I1 Meridiano Studi Cattolici I1 Giornale d'Italia Il Giornale d'Italia I1 Giornale d'Italia Il Giornale d'Italia Il Giornale d'Italia I1 Giornale d'Italia Il Giornale d'Italia I1 Giornale d'Italia Il Giornale d'Italia I1 Giornale d'Italia Il Giornale d'Italia Il Giornale d'Italia
giugno giugno
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18 26 3 11
18 24 30 8 21 22
giugno giugno giugno giugno luglio luglio luglio luglio luglio agosto agosto agosto
I1 Giornale d'Italia Studi Cattolici Il Giornale d'Italia Dattiloscritto I1 Giornale d'Italia I1 Giornale d'Italia Dattiloscritto I1 ~ i o r n a l d'Italia e I1 Giornale d'Italia Il Giornale d'Italia
28
Il Giornale d'Italia Il Giornale d'Italia I1 Giornale d'Italia Il Giornale d'Italia I1 Pubblico I1 Giornale d'Italia Il Giornale d'Italia Dattiloscritto I1 Giornale d'Italia I1 Giornale d'Italia Il Giornale d'Italia I1 Giornale d'Italia I1 Giornale d'Italia I1 Giornale d'Italia Il Giornale d'Italia
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agosto 1957 settembre 1957 settembre 1957 settembre 1957 settembre 1957 settembre 1957 settembre 1957 settembre 1957 ottobre 1957 ottobre 1957
1957 ottobre 1957 ottobre 1957 novembre 1957 novembre 1957 novembre 1957 novembre 1957 novembre 1957 dicembre 1957 dicembre 1957 dicembre 1957 dicembre 1957 gennaio 1958 gennaio 1958 gennaio 1958
Senso dello Stato e statalizzazione del1'economia In cerca di «statalisti» Agricoltura e Mercato Comune Solidarismo, che cos 'è? Democratici e statalisti Clima eiettoralistico L adesione &l sen. S t u m C h s e politica e statalismo Gli Stati Baltici Lo statalismo e il C N. E L. Limiti ali'intervento statale Sul caso di Prato Appello al Paese e tema legislatura) Certrfcato di buona condotta Parlamento ed Ekorato Statalismo e conjùsione d ?dee Infezione statalista Nenni Mattei e C. Richiamo al costume. Una lettera di Luigi S t u m Partiti, candidati e programmi Che nepensa Don Stuno? Libertà integrale e indivisibih L brientamento elettorale Libertà condizionata La scelta e le scelte Il piano di ViaAperta Quindici maggio Dal laicismo al c o m u n h o Costumepolitico e autonomia nelpensiero di Don S t u m Dovere civico Responsabilità D C 2 Giugno 1958 Metodo eprezm &/le alleanze L 'equivoco: centro-sinistra La «combinazione» Conformisti e anarchici Fasti e nefnrti dello statalismo
L'Italiano
18 gennaio
1958
gennaio gennaio gennaio febbraio febbraio febbraio
1958 1958 1958 1958 1958 1958 1958 1958 1958 1958 1958 1958 1958 1958
Il Giornale d'Italia L'Italia I1 Giornale d'Italia Il Giornale d'Italia Gazzetta del Sud
febbraio febbraio febbraio marzo marzo marzo marzo marzo1 aprile aprile aprile aprile aprile aprile
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I1 Giornale d'Italia Il Giornale d'Italia I1 Giornale d'Italia Il Giornale d'Italia I1 Giornale d'Italia I1 Giornale d'Italia I1 Giornale d'Italia L'Eco di Bergamo I1 Giornale d'Italia La Voce dell'Isola
aprile aprile aprile aprile' maggio maggio maggio maggio maggio maggio
1958 1958 1958 1958 1958 1958 1958 1958 1958 1958
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I1 Giornale d'Italia I1 Giornale di Sicilia Il Giornale d'Italia Il Giornale d'Italia Il Giornale d'Italia Il Giornale del Commercio I1 Giornale d'Italia I1 Giornale d'Italia I1 Giornale d'l talia I1 Giornale d'Italia Il Giornale d'Italia Il Giornale d'Italia I1 Giornale d'Italia Amministrazione Ci\
Perplessità a destra trombette a sinistra Saragat e il Mezzogiorno La Piccola Europa Ceti piccoli e statalismo L 'intervento statale in economia: problema politico, non giuridico Etirità delle l e g i economiche Riserva di caccia e conti che non tornano Ilproblema ferroviario e le critiche del sen. Stuno Parkzmentarismo e partitocrazia a Palermo Il rischio che educa «Sociale»parola magica Moralizzare la vita pubblica Due pesi e due misure (7 miliardi sì - 7 miliardi no) Confrme, rett;f;che,insistenze Classepolitica nuova Lo Stato può far tutto La politica del consumo Da Pio IX a Pio XII Ricordi d'altri tempi Nenni: né 'jperanza))né 'mito)) Lettera aperta all'on. Ferrari Aggradi Messaggio paterno Lo Stato e il cinema Dichiarazione Il voto segreto Gli auguri di Fanfani In Sicilia e altrove Il numero dei senatori Maggioranza e Governo Riforme necessarie Libertà moralità legalità dei partiti Un «colossale infarto)) L hutonomia dei partiti e ilgatto d i Clasio Messaggio di Stuno al Sindaco di Messina
7
luglio
1958
I1 Giornale d'Italia 15 Il Giornale d'Italia 24 Il Giornale d'Italia 29 Il Diritto dell'Economia
luglio luglio
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Sociologia Il Giornale d'Italia
luglio agostosettembre 1958 lugliosettembre 1958 agosto 1958
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Il Il Il Il
Giornale Giornale Giornale Giornale
d'Italia d'Italia d'Italia d'Italia
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agosto 1958 agosto 1958 agosto 1958 settembre 1958
Il Giornale d'Italia 11 Giornale d'Italia Il Giornale d'Italia Gazzetta di Reggio Il Giornale d'Italia Gazzetta di Parma Il Giornale d'Italia Il Giornale d'Italia
settembre 1958 settembre 1958 settembre 1958 settembre 1958 ottobre 1958 ottobre 1958 ottobre 1958 ottobre 1958
11 Giornale d'Italia Il Giornale d'Italia Il Giornale d'Italia Il Giornale d'Italia Il Giornale d'Italia I1 Giornale d'Italia Il Giornale d'Italia Il Giornale d'Italia Il Giornale d'Italia I1 Giornale d'Italia Il Giornale d'Italia Il Giornale d'Italia
ottobre 1958 novembre 1958 novembre 1958 novembre 1958 novembre 1958 novembre 1958 dicembre 1958 dicembre 1958 dicembre 1958 dicembre 1958 dicembre 1958 dicembre 1958
11 Giornale di Sicilia
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dicembre 1958
I1 Giornale d'Italia L'Annuario del part'OCO Dare e ricevere Il p r o b k degli statali I1 Tirreno Civiltà integrale L'Awenire d'Italia Cambiamento di rotta Il Giornale d'Italia Partiti e partitocrazia Il Giornale d'Italia (Ricordando il 18gennaio 1919) Don Sturw a Caltagirone I1 Tempo I1 Popolo Il sen. Sttlrzo rievoca la fondazione del Partito Popolare Ricordi e suggerimenti Dattiloscritto Il Giornale d'Italia Stato e statalismo Fumo e cancro. Il sen. Sturw Il Giornale d'Italia insoddisfatto della risposta del ministro Monafdi Educazione civica e sentimento religioo Lo Scudo Ridimensionamento Il Giornale d'Italia I1 Giornale d'Italia Una crisi nella crisi Rilievi attorno alla crisi I1 Giornale d'Italia La crisi: meno allarmismo Orizzonti maggior realismo Il Giornale d'Italia Banche efonti di energia La disoccupazione I1 Giornale d'Italia Ilpericolo del140perazione S t u w Il Giornale d'Italia I1 Giornale d'Italia Ordine cristiano o ordine nuovo? Repubblica presidenziale? Orizzonti Ridare jducia I1 Giornale d'Italia Unionepolitica dei cattolici L'Eco di Bergamo Proporzionale pura epreferenze impure I1 Giornale d'Italia Il tonofa la musica (dedicato agli Il Giornale d'Italia «ordonovisti»nella speranza di essere compreso) Il Popolo Scambio di messaggifia Sturw e l bn. Moro I1 Giornale d'Italia Giunta M i h cavallo di Troia Il Giornale d'Italia Appello ai Siciliani Cattolici cittadini I1 Nuovo Cittadino Il Giornale d'Italia Un messaggio di Sturw al temo congresso di studi giuridici sulla Regione Il Giornale d'Italia Binomio di «poteree denaro» I1 Mattino Una lettera di Sturw Fiscalismo statalismopauperismo I1 Giornale d'Italia Il Giornale di Brescia Politica e morale I1 Giornale d'Italia Fanfani e ilprogramma
143. Speranze e auguri
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dicembre 1958
gennaio 6 gennaio 7 gennaio 14 gennaio 4
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178. .. . Tutti a sinistra tutti di sinistra 179. 180. 181. 182.
Il Giornale d'Italia Legalità e costume (In Sicilia e altrove) I1 Giornale d'Italia Risposta di Sturzo alpresidente M i l a m Il Giornale d'Italia Sinistra e destra centro e.. . dintorni Il Giornale d'Italia Democratici cristiani e Orizzonti
aprile aprile aprile aprile maggio
socialcomunisti in Sicilia 183. La disfida di ... Burletta 184. Un messaggio di Sturzo al congresso
185.
194. 195. 196. 197. 198. 199. 200. 201. 202.
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dell 'UCID Quindici maggio. Tredici anni di autonomia siciliana Intervento statale e statalismo Ricordzndo la Banca Romana SO. FI. S. Attenti alla Sicilia. Nenni«Ln Bam-Mattei Parole della vigilia Condizioniper una effettiva ripresa Amministratori o po licmtri? (dalla Valle dxosta alla Sicilia) Tre "bestie»nemiche della Democrazia La sistemazione forestale del Memgiorno La Sicilia non 2 M i l a m L'inno dellàmore La grande industria in Sicilia «Nenni»o Morte. .. L i'ndustrializzazione del Mezzogiorno L >Italiae De Gaulle L appello dei senatori dc. Parlamento e Partitocrazia Economia e Moralità
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FINITO DI STAhfPARENEL MESE DI DICEMBRE 1998 DALLE GRAFICHE CHICCA <li C. -TI\'OLI - ROMA PER I TIPI DELLAGANGEMI EDITORE
Le numerose opere di LuigiS~ULZO sono pubblicate nell'opera omnia, curata dall'Istituto Luigi tun no per un totale di 36 volumi, di cui 30 gih pubblicati, tra i quali si ricordano Li& e ilfmcimo (1926), La soncr;d= sua natura e Icggr (1935), C h k C Stato (1939). Una scelta delle sua opere è ora raccolta in sei volumi per h cura di G. De Rosa (Latena,Bari 1992). Oltre aile sue . mi &e memorie, raccolte da G. De Rosa in S (1982), importanti per lo studio della sua ricca persodid sono i 4 volumi delle lette= scambiatecon il hd o Mario, L StwraoM. Sturao. C h q + (Edizioni di Storia e Letteratura, Roma 1985),non& il volume Lcttcrt non spcdik (I1 Mulino, Bologna 1996).
C ~ NARGIOLAS ~ A(Roma1962),dopo la laureain Scienze Politiche e le speciakazioni in Archivistica e Biblioteconomia, ha condotto ricerche sulla storia del movimento cattolico in Italia pubblicando alcuni articoli. Da dieci anni è la responsabile deU'Archivio Storico dell'Istituto Luigi Stuno. Per l'Istituto ha curato nel 1991 il volume Luigi Stura0 e la &rum N o t r r z r u n t . L a m W , i i d o n u n c n r r ; 12immagini Come giotnali9ta-pubblicista collabora per la cultura con diverse testate giornalistiche.
"Il giornalismo è lo specchio delle reazioni immediate, dei commenti intuitivi, delle previsioni azzardate. Non è l'accademia, nè la scuola. Ma la lettura postuma degli scritti giornaiistici dà un quadro più vivo della reaità vista da angoli visuali immediati e da dessi subiettivi che possono contribuire, come documentazione, a rivivere un dato periodo storico". Così Luigi Snuzo definiva nel 1953l'attività pubblicistica alla quale principalmente si dedicò dopo il rientro dall'esilio per combattere la sua ultima battaglia per la ricostruzione morale e politica dell'Italia. Il presente volume raccoglie tutti gli articoli pubblicati da Luigi Snuzo nel corso dei suoi ultimi tre anni di vita (19571959) sui maggiori organi di stampa nazionali. La tematica dei 203 scritti è molto varia sebbene sia possibile rilevare aicune questioni suile quali Snuzo torna con maggiore frequenza: la partitocrazia, lo stataiismo, il rapporto tra politica e morale, l'apertura a sinistra, la riforma del Senato, le incompatibilidi parlamentari, il Mezzogiorno. I vari articoli, le lettere ad amici, gli schizzi teorici dissemiA t i nei quotidiani della penisola, seguono questi problemi nelle varie fasi di attuazione, puntuakandone gli elementi più discussi o più discutibili, anche con il coraggio della critica verso gli amici, sovente assai vivace ma "sempre contenuta dal desiderio di riuscire utile e di condurre le campagne a buon porto". Una produzione vastissima nella quale, oltre ad una s w dinaria conoscenza tecnica del complesso meccanismo dell'organizzazione pubblica, che consentiva a Stuno di orientarsi con assoluta sicurezza nella selva aspra delle leggi, delle leggine e dei regolamenti, sì da sciogliere le questioni più complesse e aggrovigliate, si awerte quella costante tensione etico-civile che ha sostenuto tanta parte dell'azione politica del sacerdote siciliano, e che caratterizza anche questa sua ultima battaglia, conferendo solennità ai suoi quotidiani ammonimenti. Ammonimenti sui quali Vae la pena continuare a riflettere. "Oggi a 87 anni compiuti - scriveva lo stesso Snuzo il 31 dicembre 1958 -, io, che credo nella Provvidenza divina, sono certo che la mia voce, anche se spenta, rimarrà per qualche tempo ancora ammonitrice per la moraiità e la liberta nella vita politica''.