O P E R A OMNIA DI
LUIGI STURZO TERZA SERIE
S C R I T T I VARI VOLUME V
LUIGI STURZO
SCRITTI STORICO-POLITICI a cura dà Lucio Bmnellà
EDIZIONI CINQUE LUNE
ProprietĂ artistica e letteraria riservata Copyright 1984 - Edizioni Cinque Lune Roma - Piazzale Luigi Sturm. 24
PREFAZIONE
L'8 agosto 1984 ricorrono 25 anni dalla morte di Sturzo: pensiamo di ricordarlo cori questo volume, curato da Lucio Brunelli, che raccoglie alcuni scritti non compresi nelle Miscellanee Londinesi, nei quali il leader del popolarismo, oramai in esilio, segue da vicino, con ansia crescenre, la crisi politica ed economica degli anni Trenta e l'irrompere sulla scena europea della barbarie tlazista. In questi articoli non c'e ombra di ottimismo: a poco a poco il grande esule cattolico diviene il notaio degli errori, degli abbagli, delle debolezze della coscienza civile europea nei corifronti delle dittature fascista e nazisfa. Sturzo avverte con estrema lucidità e senza false illusioni i segni della catastrofe, ammonendo, profetando, condannando in una prolungata insonnia politica e spirituale i cedimenti delle democrazie. In quegli anni l'Europa appariva a lui come un enorme campo di buitaglia, nel quale si aflrontavano accanifamente e senza esclusioni di colpi due ideologie totalitarie, esclusiviste, che avevano in comune uno stesso odio per la libertà. Non gli piaceva né il Moloch dello Stato fascista, che umiliava fino a toccarne la libertà di coscienza, né il comunismo, con la sua guerra alla religione. Anni veramente sconvolgenti, nei quali non solo la vira politica e civile aveva rotto con le tradizioni del liberalismo, ma anche la coscienza pubblica, la stessa mentalità delle nuove generazioni, ifondamenti etici della vita associata sravano cambiando, resuscitando pericolose idolatrie romantiche, della Nazione, dello Stato, della Volontà, che avevano pero adesso questa peculiarità: di essere istituzionalizzate sulla base di tecniche del consenso elaborate e ben calcolate, che penefravano ormai fin dentro le pareti domestiche. Questi articoli di Sfurzo potrebbero leggersi come una lucida e incalzante diagnosi delle successive tappe del tragico cammino dell9Europa verso il baratro. Se c'è personaggio che non gli piace è proprio il tipo Neville Chamberlain, accomodante, accondiscendente, speranzoso. Sturzo fu tra i pochi emigrati che capirono che il fascismo non era una malartia mortale solo italiana. Potremmo dire che Sturzo, nell'esilio londinese, visse in un costante atteggiamento di guardia: sapeva che il livello delle acque sarebbe aumentatofatalmente, perché gli argini della democrazia si facevano sempre più deboli. I sintomi di questo infiac-
chirnetito, dello pro~rc~ssiiwr.cJ.str (te1 rnoti(1o libr~~rle occitkctittrk trlla mentalità totalitaria. che per Slirrzo era qutrlcosci (lipiù degli stcssi rclgi mi autoritari, sono colti urlo per ~rtio.ttello loro sirccessioric~qutrsi inot.rc stabile. Non bastniw atteridere i grandi ei~etiti,le carastrc?/ì.per copire dove andai~aI'Eirropo. Indii~iclieòper tempo lo spirito inquietatite, Itr (ti lagante volonri di sopra[fazionc~.lo pericolosa Nitollerarizrr. i(erierr11irza la nel costume politico e diplo~tinticodegli Stati che ci strii~tinoalloiito nando sempre pii; dalla prospettiila di urta pace. Sofferntiamoci su uno dei problemi che Sticrzo più srirdiò c più l'iuteressò: i dirilti delle mirioraiue etniche. A lui sembro che questo problema fosse urta spia per scoprire e rileilare quanto .fosse ancoro resistente o diffuso il pregiudirio tici:iorialisrico. In un articolo del 1929, inolto ampio, egli coiidattnaiw Io mancanza di parità di diritti /r.n il cittadino allogerio e l'indigeno e la politica di assimilazione persegicito dagli Stati ( I ) . Ricordaia i tentatii~inel secolo XIX di rrprussioiiizzare)~la Polonia, le discrirnitiazioni oprrate dalla legislazione scolas~icaungherese verso gli ebrei; la proibizione di itisegnare il tedesco N1 Alto Adige da parte del goileriio iraliawo; la condizione degli alsaziani oggetto della politica ((dicentralizzazioiie) del goiwno francese; il cor~jìitto,fiai,fiattiniirighi e i i~alloninel Belgio. Era coni~itito che se i vari popoli che.for~rrai~ano 1e.v inrpsro n~cstro-ungcirico«ailessero avuto il completo risperto dei loro diritti, I'airtorioniia che loro chie(1erano, il cointeresse reale C la coni7er;genzadi setitiinenti iri urto uniti politica a tipo generale, non sarebbe ai7i1enutoil disfiicimertto neppure dopo una sconfitta)). Perché questa insoJferenza verso le rninorarize etniche e perché I'adozione di politiche di assimilaziorie anche da parte di Stati ciidli e democratici? Sturzo non aveva dubbi che ciò fosse dovuto a moncarizo di r<Jìducia nel metodo di libertà. il inetodo più adatto a sviluppare la solidarietà morale e politica nel serio di una nazioneu. Ed aggiungeva: « S i ha più fiducia nella cotnpressiowe, ~~ell'uso della.fwza, nel sistema poliziesco, tiella reazione». La perdita della fiducia nel metodo della libertà è il più importante elemento dell'analisi che Sturzo fa dei fatti politici, è la prima chiave che occorre avere presente per intendere i suoi numerosi articoli sull'evoluzione politica europea degli anni Trenta. S i dovrebbero confrontare le contemporanee lettere al fratello, con la ricchezza di osservazioni e domande, e i suoi saggi sulla sociologia storicistìca con la serie degli articoli, che scriveva negli stessi anni, per cercare di capire la compenetrazione che c'è in Sturzo tra pensiero e azione, come lui stesso avrebbe detto. In breve, egli era convinto che l'Europa negli anni Trenta fosse avviata verso una nuova grande apostasia, ((piùprofonda di quella della (1) L. STURZO, I l problema delle minoranze in Europa, in SII Pungolo.. 15 ottobre
1929.
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Riforma»,più che religiosa, potremmo dire civile. Non la chiamava napostasia del liberalismo». essendo ((illiberalismo definito in mille guiser. «Il liberalismo vero - scriveva - è un metodo, non una teoria)) (2). A postasia, dunque, dal metodo della libertà, sopraffatto dal metodo dell'autorità. Sturzo ravvisae;l nella permanenza di una psicologia di guerrn e di criteri nazionalistici nella politica degli Stati la causa del declino del rnetodo della libertà. La politica fondamentaie - egli diceva - sarebbe stata quella di Locarno, da un lato, e del rispetto delle minoranze dall'altro. Ma simile politica, secondo Sturzo, non poteva nessere che una premessa verso un pii; concreto ed alto ideale, quello degli Stati Uniti d'Europa)). Siamo nel 1929, l'anno della grande crisi finanziaria e monetaria mondiale. Le idee di Sturzo sono chiare e precise: ((gli Stati Uniti d'Europa non sono un :utopia ma soltanto un ideale a lunga scadenza, con varie tappe e con molte drflcoltà. Occorre, anzitutto, il risanamento finanziario attraverso la sistemazione definitiva di tutti i debiti di guerra, ed il risanamento delle diverse monete. Procedere, quindi, ad una riduzione doganale, con graduale sviluppo fino a dover sopprimere le barriere interne. Il resto verrà in seguito)). Ma dove il peirsiero di Sturzo sembra a noi lungimirante è nel seguente pcrsso: ((Nonhisog~iapelisare che ciò sarà accettato contemporaneamenIr (lo rr,lta I'Eirropa; rtla il nucleo certtrale del problema risiede negli v/oti crntcrgolristici, Francia e Germania; un'intesa tra i due con lassenr o della Gran Breiagria è la condiziorre sine qua non della soluzione del problertta europeo, entro il quale necessariantente si inquadrano tutti i pi'ohlenri più o rneno acuti delle molteplici minoranze. Come si vede, sianro slrl piano della cooperazione internazionale, nel quale anche gli Stati U~iitid'America debbono giocare i/ loro ruolo. Il Patto Kellog ha ~ r i tgrande valore ed è stato il mezzo per legare moralmente gli Stati Uniti cort l'Europa. La soluzione dei problemi economici europei non pirò orteirersi senza I'irrteri~entodegli Stati Uniti)).Non si può non rimarrere colpiti dalla precisione con la quale Sturzo delinea la possibilità politico. e /tori utopica, degli Stati Uniti d'Europa, vent'anni prima che se ire tornasse a parlare. Coine si era, irroece, pervenuti al rovesciamento nelle tendenze alla pacificazio~reeuropea, al permanere delle psicologie di guerra e dei criteri regioiralistici? Egli assegnava molta importanza agli sconvolgimenti sociali, che caratterizzavano la vita degli Stati europei negli anni Trenta. L o preoccupava, atizitut/o, la gran massa di disoccupati che premeva sulle strutture in tutti i paesi industriali, dall'lnghilterra alla Francia alla Gerntania all'lralia. A ivyerti che quella disoccupazione operaia non era irri .fatto di questo o quel mercato, ma di tutto il sistema dell'economia (2) Cosi in una lettera inedita al fratello Mario. vescovo di Piazza Armerina. del 7 novembre 1933.
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occideritale, e che era incominciato con la smobilitazione degli eserciti conihattenti. Aileila un occhio particolare per lo stato d'animo della gioivntii. Scrii>erairi un articolo del 1933, sulla prestigiosa rivista Res Publica dell'amico Francesco Luigi Ferrari: ala gioventù, che in massa ogni crniio arriila all'età del lavoro, senza che nessuno utilizzi le loro braccia ed edirchi allo sforzo quotidiano di un'utile attività fisica, ne resta demoralizzata. E'facile cominciare ad odiare la società ed a sviluppare gli istinti perversi, quando non si ha uno scopo utile nella vita)) (3). Ma non era solo la disoccupazione che spingeva verso ipartiti estremi, scr.!r.eila Sturzo: ((ladisoccupazione allo stato diguso e ogni ora crescente, uccentuava le tendenze politico-sociali estremiste! Sfiducia nell'ordine attuale, reazione contro una società incapace di risolvere i problemi della vita quotidiana, eccitamento verso soluzioni avveniristiche, tutto spinge agli estremi di una negazione o rivoluzionaria o reazionariaa. Non era l'esistenza dei partiti e delle correnti estremi in sé, chepreoccupava Sturzo, ma ((il loro sproporzionato accrescimento di eflcienze a danno dei partiti e delle correnti medie; perché nella dinamica sociale, ilfattore precipuo di stabilità e di progresso è dato da una continua risoluzioiie equilibrata, dalle propulsioni degli estremi verso un'equazione inedia, e ciò sia come valore psicologico-morale, sia come valore economico-politico)). L'italiano è un po' duro, ma la convinzione di Sturzo, che era antica, vi traspare nettamente: il ruolo delle classi medie come fattore dinamico di equilibrio nel sistema sociale. Del resto, egli stesso chiarisce poco più oltre il suo pensiero: ((Ognisocietà per essere tale deve avere un ordine, e questo per quanto possibile deve essere stabile e al tempo stesso progressivo. Se è solo stabile senza progresso, avremo le società statiche di caste diverse, prive di dinamismo; ma se è progressivo senza stabilità, allora ogni acquisto morale economico e politico viene facilmente disperso. Ecco perché, nell'economia interiore di ogni stato, occorrono le spinte dai lati per una risoluzione intermedia. Questa funzione di mediazione spetta naturalmente alle correnti o forze o partiti o classi medie, cioè a queifattori che,per una posizione acquisita e riconosciuta tale, sono in grado di utilizzare le forze sane che si sviluppano ai due lati e che lasciate a sé mancherebbero di equilibrio)).((SequiparIiarno di classi medie - continuuva - non vi diamo il senso stretto di classi economiche, ma quello assai più largo di forze sociali. In ogni società una classe diviene intermedia tra le altre solo in quanto polarizza in sé leforze che stanno agli estremi. Onde in ogni epoca storica variano le classi intermedie, come varia la funzione di esse, non solo nel campo economico, bensì e più nel campo politico, morale e sociale)). Ora il male presente era che quasi in tutti gli stati si era rotto crl'equilibrio verso una ntedianità realizzatricen a favore degli estremismi o di (3) L. STURZO. InquietudNti e Orientamenli, in uRes Publican. Bruxelles, febbraio 1933.
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destra o di siitistra. Erano così sorti governi spostari in una direzione o rrell'al~ra,incapaci oramai di garantire l'equilibrio sociale, governi dispotici e tiranttici, che si sostenevano con la forza e l'arbitrio, pronti ad ((abbondare in opere pubbliche specialmenfe di lusso e di fastoa. Sturzo è già sicuro che la Germania farà la guerra: nLa Germania di Hitler fa il gioco scoperto: denunzia delle clausole militari del trattato di Versaglia, riarmo febbrile e colossale, rimilitarizzazione della zona reilana. Hitler vuol essere pronto al momento dato: quando egli slimerà gli ailversari in condizioni di inferiorità, lancerà la più tragica guerra che l'umanità abbia mai provato e pensato^) (4). Questa previsione così rtelta è frutto di una convinzione radicata che la struttura ideologica delle dittature porta inevitabilmente alla guerra: nLa guerra civile,fatta dalle dirtuture trionfanti come sistema di polizia e mezzo di eliminazione dei vinti, porta alla guerra internazionale perché ogni ditratura non può sostenersi che nell'organizzazione della forza. Un parlito armato soggioga i cittadini disarmati, un esercito formidabile tiene in rispetlo gli avversari e prepara le conquiste e le rivincite». Sturzo vorrebbe che non cifosse la guerra, ma pensa anche che ormai essa sia inelu~labile. Lo ccspirito rinunciatariov di Monaco ebbe in lui un critico severo. Non gli sembrò in alcun modo che la pace con l'incontro di Daladier, Mussolini, Chamberlain, Hitler, fosse stata salvata, e poi quale pace? I piccoli stati europei erano stati abbandonati nelle mani del nazismo e questo gli sembraija l'errore più grave della Francia e dell'lnghilterra. S i rijìutò sempre di ridurre il problema della sicurezza internazionale a problema di egemonie. Ritenne sempre che il difetto maggiore della politica della Francia e dell'lnghilterra fosse nel fatto che esse non vedessero le implicazioni morali della drflusiotte del nazismo in Europa. Non era più possibile, secondo Sturzo, trattare con l'Italia di Mussolini e la Germania di Hitler come se fosse questione di rapporti normali tra grandi potenze. L 'aspetro ideologico era decisivo: una rivoluzione nanticivile e anticristianaa si slava compiendo in Europa. La rivoluzione nazi-fascisia portava rralla rinunzia alla libertà cristiana, alle virtù più fondamentali della religione, l'amore del prossimo, l'umiltà, la mansuetudine, la bontà, la pazienza; è. la rinuncia all'educazione religiosa della gioventù, al rispefro del matrimonio cristiano e alla sua elevatezza misticas. Questo ritrarsi dello spirito cristiano dall'Europa, questo imbarbarimento della coscienza europea, questa perdita della mistica nel senso di cui avevano parlato prima Henri Bremond, poi Bernanos, da lui letti e ammirati, gli sembravano il dato più grave della nuova catastrofe che stava precipitando sull'Europa e che rendevano sempre più responsabili la Francia ( 4 ) L. STURZO, t rischi della pace, in sPopolo e libertà., Bellinzona, 16 e ?! oiiobre 1936.
e I'lnghilterra. Sturzo questa volta non parlava più dei dfetti della diplornazia alleata, dell'uso della forza, del disarmo, del societarismo giriei~rino,tna di carenze morali, cioè del fatto che Francia e Inghilterra noi? sentivano o avevano sentito poco di essere le sole depositarie ormai dei I-aloridella civiltà europea. Il suo rimprovero è chiaro: ((E' perciò - egli scrive - che deploriamo che la Francia e I'lnghilterra (prese come complesso'politico-etico) non abbiano oggi una parola autorevole che rivendichi i valori morali della civiltà presente. Deploriamo la mancanza di sentirsi esse le deposilarie più qualificate di tali valori, e che abbandonando i piccoli stati europei all'influsso nazista perdano non una battaglia politica o militare, ma una battaglia civile e morale per l'aililenire~~. GABRIELE DE ROSA
INTRODUZIONE I saggi e gli articoli storico-politici raccolti in questo volume dell'opera Omnia del pensiero di Luigi Sturzo coprono un arco di tempo che ira dal 1926 al 1949. La composizione degli scritti dal punto di vista contenutistico non è del tutto omogenea; è possibile comunque operare una loro strddii~isionegenerale in base agli argomenti trattati. LA prima parte è costituira da una lunga serie di articoli riguardanti I'Eirropa degli ar~rtiTrenra. La loro pubblicazione, mentre colma alcune Iacirrie preseriti nella Miscellanea Londinese ( l ) , incontra nell'odierna preocclrpartte crisi politica rnondiale nuovi morivi di interesse e spunti di urla dramrnntica attualità. Sturzo segue passo dopo passo, con apprensione e lucidità, il corso tumultuoso degli avvenimenti che prepararorio irreluttabilmente la strada alla seconda guerra mondiale: le grandi aspettatire e le puntuali disillusioni provocate dalla Conferenza ginevrina per il disarmo, I'aviyento di Hitler al potere e la nazificazione della Gernrania. i (ccolpi))inferti alla Società delle Nazioni dagli errori della Francia e dell'lnghilterra prima ancora che dal conflitto cino-giapponese ( 1 931) e dall'irnpresa c<africana»di Mussolini. Infine l'inevitabile Anschluss e l'occupazione nazista della Cecoslovacchia che il prete siciliano previde. con una esattezza sconcertante, giB nel settembre del 1938 (2). subito dopo IaJrma di quel patto di Monaco che suscito, sia pure per poco, nuove illusioni sul conro della Germania. Sturzo fu subito consapei~oledella natura (canti-cristiana e unti-civile11del nazismo; non conobbe le esitazioni vissute da alcuni deigiovani ranticonformistisfrancesi (3). Convinto delle reali intenzioni egemoniche della Germania di Hi( I ) Cfr. L. S I I1170. Miscellanea Londinese. Opera Omnia. Zanichelli. 4 voll.: I. 1925-1930. Bologna 1965: 11. 1931- 1933. Bologna 1967: 111. 1934-1936. Bologna 1970: I V 1937-1940. Bologna 1974. (2) ~ 1 marzo 1 1939 non passera senza sorprese. scrisse sulla rivista Il motido, che si stampava a New York. in un articolo intitolato *Settembre 1938. (cfr. p. 149). (3) Ci riferiamo in particolare alla lettera ad Hitlern che la rivista Ordre Noui-eau pubblicò nel novembre del 1933. l giovani redattori cattolici in quell'occasione si felicitarono col dittatore per la sua decisione di abbandonare la Sd.N. Cfr. J. L ~ I ~i I i<) II~ B \vi I . I non ronformisli degli anni rrenta. Edizioni Cinque Lune, Roma 1972, pp. .404-8.
tler in Europa, egli divenne uno dei critici più tenaci dell'incerta e arrendeilole politica inglese e francese nei confronti dell'espansionismo tedesco. n Tra chi ha un piano da realizzare - scrive commentando I'annessione del12 ustria alla Germania - e chi non ha alcun piano ma cerca di neutralizzare quel che crede un pericolo c'è la d~flerenzache il primo sa quel che i7uole e il secondo non lo sa ... rosi tra i dittatori e le democrazie si è aperto un gioco nel quale i primi hanno un vantaggio indiscusso)) (4). La posta in gioco, a suo avviso, andava ben oltre un semplice successo politico-militare: era l'avvenire stesso, civile e cristiano, dell'Europa ad essere minacciato da un nuovo terribile ((neo-paganesimo))distruttore di ogni cii~iltà.Estraneo ad ogni ipotesi di ((bloccolatino)),d~mdentedella rivoluzione patriottico-autoritaria che si attuava nellAustria di DolIfuss (nei confronti della quale sembrava nutrire simpatie perfino G. Gonella nei suoi pur pregevoli e coraggiosi nActa Diurna))su L'Osservatore Romano) (5) Sturzo si rivolge alle due principali potenze democratiche, Francia ed Inghilterra, invitandole a desistere dal loro ((disarmo spirituale» per ergersi a difesa delle rradizioni più autentiche della civiltà occidentale. Ogni logica di Realpolitick dovevafinalmente essere abbandonata. ((La nostra lotta - scrive pochi giorni dopo il patto di Monaco - è contro lo spirito di servitù per lo spirito di vera libertà, quella che è data aifigli di Dio (...)perciò deploriamo che la Francia e l'Inghilterra (prese come complesso etico-politico) non abbiano oggi una parola autorevole che rivendichi i valori morali della civiltà presente (...) abbandonando i piccoli stati europei all'influsso nazista essi perdono non una battaglia politica o militare, ma una battaglia civile e morale per I'avve!tire» (6). Sturzo, tramontata ogni speranza di far rivivere all'estero in qualche forma organizzata il popolarismo, in una situazione di crescente ((esilio nell'esilioa dopo la morte ravvicinata di Donati e di Ferrari, scelse di impegnarsi in una battaglia che ricorda, come logica, quella aventiniana: ((creareil !woto attorno al dittatore, isolarlo nella coscienza civile, fargli sentire il peso di una severa ed inappellabile condanna morale)) (7).I1 suo sincero paciJismo, non disgiunto mai da una naturale inclinazione alla concretezza, non assume mai toni retorici. Nel 1934, dopo il fallimento della conferenza per il disarmo a causa dell'abbandono della Germania, Sturzo, indicando in una Francia armata la garanzia di pace più solida rimasta in Europa, riconosceva in questa sua posizione, «la tragedia di tutti ipacifsti non sognatori ma realisti)^ (8). Questo realismo dzflcilmente, però, va a scapito dello spessore ideale e culturale (4) Cfr. Uove va l'Europa, p. 14 1.
( 5 ) Gran parte degli Acta Diurna sono stati pubblicati nel volume G . GONI-I.I.A. Verso la seconda guerra mondiale. Cronache politiche. 1933-1940, ed. Laterza, Bari 1979. ( 6 ) Settembre 1938, p. 149. (7) G. DE ROSASturzo, Utet, Torino, 1977, p. 337. (8) Come prevenire la guerra?, p. 82.
delle sue analisi. I vari totalitarismi presenti nellJEuropa degli anni Trenta erano per lui soltanto l'espressione politica di una grave malattia spirituale che aveva contaminato larghefasce del mondo giovanile epiccolo borghese. Sturzo definiva tale malattia come l'affannosa esigenza ((diuna vita pericolosamente vissuta per se stessa, quale ne sia lo scopo)). Il riferimento, implicito ma evidente, era ai miri delfuturismo, allafilosofia nicciana del superuomo, a quel privilegio dato all'uintensitàa della vita e non più alla ricerca del suo rsignzj7cato))che anima tantipersonaggi del mondo letterario di F. Dostoevskji. Sturzo indicava in questo nuovo sentimento della vita che aveva perduto il suo originario baricentro religioso, divenendofacile preda delle ideologie nimpazziter del XX secolo, l'origine profonda del malessere internazionale che avrebbe condotto, poi, al secondo conflitto mondiale: ala guerra - si domandava nel 1936 - sarà forse una fase del ritmo accelerato e dei continui rischi di tale vita? Se non lofosse - rispondeva -mancherebbe uno dei motivi più forti, anzi il più forte, per le mistiche collettive del bolscevismo, del fascismo, del nazismo)) (9). Questa profondità di analisi che scava sotto la superficie della dimensione strettamente politica dei problemi alla ricerca di cause più profonde potrebbe far pensare ad un incontro di Sturzo con quella vasta nletteratura della crisi)) che proprio negli anni Trenta fiori e si sviluppò nel mondo intellettuale europeo ed ebbe una notevole risonanza anche nella cultura cattolica italiana del tempo (10). In realtà non fu così. In un articolo scritto nel 1933, quando gli efletti disastrosi della crisi economica mondiale erano ancora ben presenti in Europa e spingevano molti a parlare di rcrisi della democrazia))o addirittura di rtramonto dell'Occidente» (1 l ) , Sturzo prendeva le distanze da certi atteggiamentiprofetico-catastrofici paragonandoli a rquell'ammalato che invece di curare il suo disquilibrio diforza si abbandona ad un parossismo inane di impazienza, ire e disperazioni)) (12). Il suo realismo gli impediva di sognare un impossibile ritorno al «Nuovo Medioevo))che Nicolas Berdiaev prevedeva risorgere sulle rovine della moribonda civiltà moderna napostatar della chiesa. Il tema della rcrisi epocales, che contemporaneamente appassionava e caratterizzava le prime battaglie di Esprit ( 1 3 ) in Francia e la riflessione teologico-culturale di molti giovani intellettuali cattolici in Italia, non ha certamente la stessa risonanza nei suoi scritti dello stesso periodo. Sturzo non pensava che il mondo liberal-democratico avesse esaurito la sua funzione storica, non vedeva dietro l'angolo nessun facile (9) 1 rischi della pace p. 125. (10) Cfr. R. MORO. Lafomarione della ciassedirigentecattolica, ed. 11Mulino, Bologna, 1979, pp.,4 13-76. ( 1 1) Cfr. J. L. LOIIRET DI-I. B A Y I .OP. ~ . cit. pp. 323-50. (12) Inquietudini ed orientamenti, p. 57. (13) I1 primo numero della rivista usci nell'ottobre del 1932. Cfr. J. L. LOURETDEL BAYLE. OP. cit. pp. 153-202.
ritorno ad una società integralmente ncristiana~.Era però ben lontana da lui l'idea di una chiesa che dovesse rimanere semplice spettatrice di una battaglia che si combatteva altrove e che, ultimamente, non la riguardava. Proprio perché, a suo avviso, la lotta in corso era innanzitutto morale e civile, la chiesa doveva svolgere un compito che nessun'altra corrente culturale o formazione partitica poteva sostituire. nNella crisi presente - scrive commentando l'elezione di Pio XII al soglio pontifìcio, alla vigilia ormai della seconda guerra mondiale - tale riagermazione e difesa (della tradizione cristiana) da parte della chiesa cattolica è diventata urgente. Nei conflitti mondani la parola non è riservata alla "scienza" (come si credeva infantilmente) né al ')rogresso" (ch'era divenuto fino all'anteguerra una fede laica), come non è alla "razza" o alla "nazione" che oggi si celebrano e si adorano. Bisogna rifare i valori morali dell'umanità)) ( 1 4). La sua amarezza più grande in quegli anni fu di non vedere costantemente la chiesa impegnata in prima linea nella battaglia per il rinnovamento morale e civile dell'Europa. Il sacerdote di Caltagirone si trovò spesso a commentare situazioni che vedevano i cattolici e molti loro pastori disertare tale battaglia o, peggio ancora, stringere compromessi con i vincitori di turno. L'articolo forse più bello, proprio per la partecipazione soflerta dell'autore, è quello in cui Sturzo commenta ((con una stretta al cuore))il voto favorevole del Zentrum cattolico alla delega dei pieni poteri a Hitler, episodio che gli ricorda un'altra data ((moltotriste)) per lui: quel 15 novembre 1922 in cui il gruppo parlamentare del P.P.I. aveva votato piena fiducia al governo di Mussolini. Ma le delusioni per lui non vennero solo dal mondopolitico. Quando i vescovi tedeschi, riunitisi nella conferenza di Fulda (30 maggio-l giugno 1933), ritirarono la condanna del nazismo precedentemente da loro espressa commentò: ((è doloroso assistere impotenti allo scatenamento delle ire, degli odi e delle vendette naziste senza che nessuno ricordi il precetto evangelico dell'amore al prossimo, senza che nessuno biasimi le violenze, le deportazioni, gli assassini (...)N ( 1 5). Uguale amarezza gli procurarono i numerosi cattolici che seguivano la CEDA di Gil Robles in Spagna, la Croix de feu del generale La Rocque in Francia e il movimento rexista del filomaurassiano Degrelle in Belgio; invece di combattere il comunismo in nome della ndemocrazia cristiana))stringevano alleanze con le destre neo-fasciste rfnnovando il pericoloso equivoco di un asservimento ideologico della religione (16). Nonostante ciò, come ha osservato F. Rizzi (17), la fedeltà di Sturzo alla chiesa rimase costante; il fondatore del P.P.I. non conobbe i dubbi (14) Pio XII, p. 185. (15) Centro germanico e P.P.I. p. 67. (16) La lotla contro il comunismo pp. 134. ( 17) Cfr. L. S IIO( 1. Scritti inediti (1 924-1940). a cura di F. Rizzi. Edizioni Cinque Lune. Roma. 1975, pp. XV-XVI.
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~tdilaceranti~) di Doriali né fantomeno la crisi e il distacco di Stragliati. Si trr~ttaila.per hri, di un legame costitutivo della sua personalità, di uiia rea110 i~rsienieoggettiva ed intima. il citi valore trascendeva i criteri pirranterite irinarti. I due articoli su Pio XI ( 18) in questo senso sono si~ri~filicniii~i. Noti vi trclspare infatti alcun pur minimo e comprensibile accerino di riserttirnertto;attzi In preoccupazio~~e dominante sembra quella di dlferidere I'iinrnagiite di zrit pontificato che agli occhi di molti appariva g~~ai~emerite rnacchiaro dal compromesso clerico-fascista. Conlrobattendo I'accirso rivolta al Vaticarro di «aver abbandonato il P.P.I. e lasciatoIo preda de1,fascisrno))Sfirrzo ricordai1a a «queiprofughi socialisti e liberali che scrii*ottodel passato e del.firturo delia vita italiana» che nel luglio del '23 si era temuto i11 Vaticatto url assalto di tutte le chiese parrocchiali da parte dei,fascisti col dichiarato scopo di indurre la chiesa a «liquidare» il P.P.I. Precisaita inoltre che rla gerarchia non aveva né sorretto ne ahhartdottato il part itoe; I'acor~fessionalifa.infatti, era stata ritenuta dc~errtrarnhi un prirtcipio do sali~aguardare( 19).
Uri secondo gruppo di scritti è inerente al periodo immediatamente successii~oalla seconda guerra mondiale (1945-1949). Sturzo in particolare mostra grande sensibilità per il problema educativo. Due gli obiettivi principali di questo suo nuoilo impegno civile in Italia dopo i funghi anni dell'esilio londinese e americano. Innanzifutto la difesa della libertà scolastica contro il inonopolio statale: Sturzo esprime forti riserve sugli articoli relatiiti all'ordinarnento scolastico approvari dall'Assemblea costituente. In secondo luogo la lotta contro rgli estremi educativi» cui ((nelcampo positiirista si sta arriipando));ilfondatore del P.P.I. nella mutata realtà ideologica e politica italiana ini~itaad una vigilanza nei confronti di un nuoiro ((regime))culturale che tenta non solo ((diattenuare ogni giudizio di valore (come inesistente e arbitrario) ma persino di evitare ogni nozione a carattere ideale come virtù, giustizia, equità, moralità, libertà, jìnalismo e perfino volontà, pensiero, spirito e così vian (20).La priorità in un momento tanto importante per il.futuro civile del nostro paese doveva quindi rivolgersi agli aspetti pedagogico-morali perché, come ha scritto G. De Rosa interpretando il pensiero sturziano, rse non c'era la rigida educazione religiosa,familiare e scolastica della gioventù, addio classe politica sana, addio moralità pubblica, addio possibilità dello stato di dirittoa (21).
(18) Cfr. Pio XI, pp. 178 e La politica di Pio XI pp. 173. ( 19) Cfr. I l popolarismo italiano, p. 97. (20) La libertà scolastica. p. 233. (21) G. DF ROSAop. cit. p. 470.
L'ultima parte di Saggi e articoli storico-politici l'abbiamo denominata ((Ricordidi Jìgure varie)).Raccoglie infatti alcuni scritti di Sturzo che ricordano, per lo più in occasione della loro morte, alcunepersonalità del mondo cattolico cui ilfondatore del P.P.1. fu particolarmente legato sia dal punto di vista affettivo che intellettuale: Francesco Luigi Ferrari. Giuseppe Toniolo, lilbbé Naudet, Filippo Meda, Maurice Blondel ed altri. Le pagine dedicate al filosofo francese (22) sono probabilmente le più interessanti. Sturzo fa risalire la «conoscenza e l'ammiraziones per l'autore de I'Action al 1895 quando Ignazio Torregrossa gli fece avere ilfamoso volume di Blondel. Precisa però che allora il suo pensiero l'interessò rcnon tanto come tesi - nei confronti delle quali dice di aver nutrito allora molti dubbi - ma come orientamento)).In pratica lafilosojìa blondeliana gli era apparsa semplicemente un'ulteriore rspintan a rrripensare i problemifilosofici oltre che speculativamente nella concretezza della vitaa. Dopo aver atteso per anni «un Blondel maturo che non veniva))Sturzo,facendo una breve storia dei suoi rapporti con ilfilosofo, parla di un nuovo e più completo interesse per il suo pensiero durante il periodo dellaesilio londinese. Ricorda in particolare un episodio che gli dissipò deflnitivamente tutti i vecchi dubbi della giovinezza nei riguardi dell'autore de I'Action: un adelicato interrogatorio d'ortodossias cui p. Bo-ver sottopose Blondel durante il congresso internazionale difilosojìa del 1937; interrogatorio che il filosofo francese sospettato in passato di modernismo superò rrbrillantemente~)mostrando quella matura profondità di r~jìessioneche Sturzo aveva così a lungo atteso.
Utt ultimo accenno alle riviste che ospitarono i saggi e gli articoli d, Sturzo qui pubblicati. Citiamo in particolare il Pungolo di Donati e Stragliati, che si stampava a Parigi e Res Publica fondata a Bruxelles da F. L. Ferrari; L'Aube, di F. Gay, amico di M. Sangnier (il fondatore del rcsillonn) e La vie intellectuelle, la prestigiosa rivista dei domenicani ,francesi legata al nome di J. Maritain; e ancora Popolo e libertà, il giornale cattolico di Bellinzona, El mati di Barcellona e Il mondo la rivista mensile edita a New York da G. Lupis. Gli scritti di Sturzo, specialmente quelli riguardanti l'Europa degli anni Trenta, richiamano alla memoria gli articoli di A. De Gasperi su L'Illustratore Vaticano (23)' i già citati rtActa diurna)) di Guido Gonella su L'Osservatore Romano e la rivista Principi (24) di Giorgio La Pira. Gli accenti e le prospettive sono spesso (22) Crespi Blondel - Undsct - Morto pp. 235. (23) cfr. A. P \i11 itzi. De Gasperi e l'Europa deglianni trenta, Edizioni Cinque Lune, Roma, 1974. (24) Principi che usci a Firenze come supplemento della rivista dei domenicani Vita cristiana ebbe una breve vita. dal gennaio del 1939 al febbraio del 1940, mese in cui la censura la costrinse al silenzio. Cfr. Principi (copia fotostatica), LEF, Firenze, 1974.
do degli esuli antifascisti all'estero e l'opinione pubblica liberal-democratica nel caso di Sturzo, l'ambiente del1'~afascismoscattolico e del consenso con riserva al regime per quanto riguarda gli altri tre. Insieme con quanto contemporaneamente in Francia scrivevano G. Bernanos, J. . Maritain ed E. Mounier essi costituiscono comunque quanto di meglio abbia espresso la coscienza cattolica tra le due guerre nella sua battaglia contro il totalitarismo negaiore della dignitĂ della persona umana.
SCRITTI STORICO-POLITICI ( 1926- 1949)
AVVERTENZA
Sturzo, come e noto, scriveva i suoi articoli e saggi in italiano lasciando d a rivista che richiedeva i suoi contributi (o ad alcuni suoi amici) il compito di tradurli nella lingua del ubblico cui si rivolgeva. I testi che pubblichiamo in questo volume dell' Opera Bmnia sono uindi i dattiioscritti originali in itaiiano conservati presso l'archivio Stuno. Zoltanto nel caso di evidenti discordanze tra il testo in lingua e I'orininale in nostro Dossesso abbiamo segnalato rtagliw o integrazioni aggiuntive 6producendo tali modificazioni in nota.'Pion ci è r{sibiibi: le indicare la coiiocazione archivistica di orni articolo a causa deii'attua e situa zione dell'archivio Sturzo che è ancora in fase di riordino.
1. I PRECEDENTI DEL PARTITO POPOLARE ITALIANO (*) La sera del 18 gennaio 1919 su tutti i giornali della capitale veniva pubblicata la notizia della costituzione di un nuovo partito e venivano riprodotti per intero in gran parte l'Appello e il Programma. I1 nuovo fatto aveva un'eco straordinaria in tutto il paese; gli apprezzamenti furono diversi secondo i punti di vista, ma tutti convenivano sull'importanza di esso. I1 nome assunto dai promotori era: Partito Popolare Italiano ( 1 ) . La data del gennaio 1919 indica chiaramente il primo inizio del dopo-guerra; un momento, cioè, nel quale in tutti gli stati europei fermentava un orientamento politico nuovo e una corrente marcatamente democratica. La guerra aveva sconvolto non solo i rapporti internazionali fra gli stati, ma le interne economie e con queste anche gli ordinamenti politici di quasi tutti gli stati del continente europeo. I partiti che avevano larga base nelle masse cercavano di guadagnare posizioni sicure e decisive a vantaggio delle correnti democratiche. La caduta degli imperi militaristi, sotto la doppia pressione delle armate vittoriose e delle popolazioni in fermento, faceva presagire violenti scoppi rivoluzionari. in quei paesi che non avevano piu, e non avevano mai avuta solida struttura. Pur essendo uno stato vincitore, l'Italia, per la sua condizione economica molto debole e per le sue gravi oscillazioni politiche, partecipava, benche in misura relativamente minore, alle difficili condizioni dei paesi vinti. Una tale situazione, che doveva aggravarsi in seguito alle disdette diplomatiche della conferenza di Parigi, si presentava proprio nei giorni deli'armistizio. E fu in quei giorni che colui che scrive fece un rapido giro in Italia, (*) L'articolo fu pubblicato su tre riviste: Abe~dland,Kòln l maggio 1926;Contemporary Review, giugno 1926;La Vita nuova, New York, agosto 1926. (1)Cfr.i tre volumi di L.STURZOSU Il Partito Popolare Italiano, Opera Omnia, Zanichelli: vol. I Dallidea al fatto - Riforma sfatale e indirizzi politici (1920-'22), Bologna 1956:vol. Il Popolarismo efoscismo (1924), Bologna 1956;vol. 111Pensieroantifascista (1924-'25), La libertò in ifalia (1925),Scritti critici e bibliografìci (1923-'25),Bologna
1957.
si abbocco con vari amici in Roma, Milano e Napoli; e per preparare l'ambiente ad un pratico risultato pronunzio a Milano, il 17 novembre 19 18, un discorso dal titolo ((Problemidel dopoguerra)), nel quale volle tracciare le linee di un programma politico. Le conversazioni preparatorie, la discussione dello schema di programma e di statuto durarono quasi due mesi; e con l'adesione di molti e la firma di una commissione provvisoria furono pubblicati gli atti costitutivi del Partito Popolare Italiano. Per ben comprendere tutta la portata di questo fatto nuovo nella politica italiana, è necessario esaminare la posizione che fino allora aveva avuta nel paese quella corrente che impropriamente veniva detta cattolica, e ciò perché nel fatto il partito popolare italiano, pur avendo preso una propria e autonoma personalità politica, era in maggioranza composto di uomini che avevano fino allora appartenuto a tale corrente e che ad essa comunque si avvicinavano. Veniva dato ad essi il nome di cattolici, non perché essi soli fossero cattolici in Italia, mentre si sa che dal punto di vista religioso !a grandissima maggioranza degli italiani sono cattolici; ma perché erano iscritti nei quadri dell' Azione cattolica e perché in politica erano aderenti al non expedit. Questi due punti vanno preliminarmente spiegati. L'azione cattolica non è un movimento escl~sivamenteitaliano, ma, sotto diversi nomi, è generale in tutti i paesi civili. Essa ha per fine I'educazione e la propaganda religiosa, morale, scolastica e sociale perche nella scuola, nella famiglia e nella società si mantenga lo spirito cristiano contro le correnti antireligiose e laiche. In Italia prima della formazione dei partito popolare l'azione cattolica si occupava anche del movimento elettorale, limitatamente ad alcuni problemi di difesa morale, come I'insegnamento religioso nelle scuole, la lotta contro l'introduzione del divorzio nella legislatura dello stato, la difesa delle opere di culto e beneficenza e del movimento operaio cattolico. Pero questa azione non aveva un vero carattere politico, sia per la sua finalità prevalentemente religiosa e di cultura, sia perché, vigendo il non expedit, tali cattolici, osservanti di un simile divieto, non partecipavano alle elezioni politiche. I1 non expedit ha una storia che va brevemente ricordata. Durante il periodo del parlamento subalpino dal 1848 al 1859 i cattolici si divisero in due correnti; quella detta dei cattolici-liberali, i quali in gran parte derivano dal movimento neoguelfo del risorgimento; e quella detta dei cattolici intransigenti, chiamati anche, con aggettivo usato in Francia, clericali. Questi ultimi, per un atteggiamento di protesta contro la politica detta liberale dominante in Piemonte, specialmente per le leggi ecclesiastiche allora approvate o in corso di elaborazione, proclamarono la loro astensione dalla vita parlamentare con il motto «non eletti ne elettori)). I1 motto fece fortuna, ed in seguito ebbe adesioni presso l'elemento intransigente e legittimista delle nuove provincie conquistate dal Piemonte con la guerra dell'Indipendenza e con i plebisciti del 1859 e 1860. Tale corrente astensionista sarebbe stata facilmente superata, trattandosi di
una semplice tattica. Però in seguito alla soppressione degli enti e delle congregazioni religiose avvenuta con le leggi del 1865 e '66, alcuni vescovi chiesero a Roma se fosse lecito partecipare d e elezioni politiche (allora non vi era il suffragio universale, ma solo un suffragio limitato alle classi censite); e la S. Penitenzieria (una delle congregazioni della Santa Sede) rispose con le parole: non expedit cioè: non conviene. La risposta allora ebbe il carattere di un consiglio. Nel fatto però, il non expedit, dando ragione alla corrente dei cattolici intransigenti, limitò l'azione anche delle altre correnti di cattolici che allora partecipavano alla vita politica del nuovo regno. Ma anche questa ben limitata partecipazione venne a cessare dopo la presa di Roma avvenuta nel 1870 come per attestare che in Italia tra lo stato e la chiesa esisteva una grave questione che fu detta «la questione romarrax Di fatti, la Santa Sede mai volle riconoscere i cosi detti fatti compiuti, cioè la presa di Roma e la legge che regola la coesistenza dei due poteri a Roma, detta legge delle guarentigie; ed ha sempre rivendicato a se il diritto alla indipendenza e libertà. Ciò non ha impedito che rapporti indiretti vi fossero fra chiesa e stato in Italia. Questi rapporti sono stati più o meno facili, secondo il prevalere di una politica piuttosto che di un'altra, secondo il temperamento degli uomini e secondo che il tempo avesse tolto l'acuto a diverse posizioni assai delicate. Fu in uno dei momenti più difficili ed aspri, cioè nel 1895, che la Santa Sede dichiaro ufficialmente che il «non expedit valeva come una proibizione» (2). Ma l'astensione di una larga zona di cittadini dalla vita politica, con carattere di permanente protesta religiosa, non poteva, alungo andare, che riuscire dannosa allo stato e alla chiesa stessa; perche sottraeva al paese iina corrente di cittadini is~iratia sentimenti di ordine. di discidina e di moralità; e lasciava facilmente il campo alle correnti estreme. Fu partendo da questa considerazione che Pio X. senza venir meno all'atteggiamento della Santa Sede riguardo la questione romana, dal 1904 in poi andò adottando vari tcinperamenti al rigore precedente. Furono pertanto consentite eccezioni :tila regola del ~ l o ne.~pedit,tanto per le candidature di persone appartcncnti all'Azione cattolica, quanto per la partecipazione dei cattolici al voto clcttorale. Questo sistema diede poi luogoaqualche inconvenien(2) Già nel 1886 un decreto del S. Offizio aveva dichiarato che il non expeditprohibitionem imporln~.11 14 maggio 1895 il Papa stesso, Leone XIII, ribadi pubblicamente tale divieto in una lettera scritta al Cardinal Vicario. Sturzo, che allora iniziava le sue prime esperienze politiche, accolse con entusiasmo l'indicazione del Papa. uNoi ci dividiamo scrisse su [.a Croce di Costun~inoil 27 maggio 1900 - dai liberali. ci& dai ladri tlelle banche. dai dilapidatori delle finanze nazionali. dai fabbricatori delle tasse. dai violatori del matrimonio, dai spogliatori delle Chiese, dagli oppressori della Religione. A ognuno le responsabilità proprie. E ciò perche il principio religioso e morale che ci Fa oggi astenere ci renda coscienti della nostra attività di cittadini, nella nostra futura organizzazione politicar (cfr. L. Sunzo, La Croce di Costantino, ed. Storia e Letteratura, Roma 1958. pp. 233-260).
te, perche determinava una quasi diretta ingerenza del potere ecclesiastico nella lotta politica; dal che le correnti radicali, democratiche e socialiste prendevano motivo ad accentuare la lotta anticlericale. I pochi deputati detti cattolici che in quei tempo sedettero aiia camera, per le loro origini che sembravano troppo legate alla chiesa, non poterono costituire mai un partito proprio né un gruppo autonomo; sicché la loro azione rimaneva quasi esclusivamente personale. Ma venne la guerra mondiale; e fu necessario allora che i cattolici di azione, i loro uomini rappresentativi e le loro organizzazioni assumessero una posizione politica nettamente distinta da queila deiia Santa Sede. Infatti i primi aderivano alla guerra, sostenevano lo spirito pubblico, e facevano, come si dice, una politica nazionale; mentre la Santa Sede doveva mantenere la neutralità necessaria per il suo ministero religioso e morale di carattere internazionale e universale. I cittadini cattolici, che fin allora erano stati in sostanza astensionisti e quindi fuori della politica dello Stato, ci rientrarono nell'ora deila prova: e il loro leader Filippo Meda (3) fu nominato nel 1916 ministro del gabinetto Boselli che era il primo gabinetto di concentrazione, una specie di union sacrke di tutti i partiti fino ai socialisti riformisti di Bissolati (4). Mancava un ultimo passo perché non solo uomini eminenti, ma la massa dei cattolici organizzati potesse partecipare aila vita pubblica nell'ambito dei partiti politici, come in tutti gli altri paesi. E la fine della guerra,'che segnava l'inizio di una nuova vitalità pubblica; che utilizzava le grandi esperienze di quegli anni tormentosi, e fermentava nuove correnti di massa, specialmente sotto l'influenza del bolscevismo orientale, segnava un dovere preciso a tutti i cittadini di non appartarsi dalla politica, ne sottrarsi alle responsabilità delle pubbliche lotte. Questo era, quindi, un momento storico, maturo per le decisioni che cittadini cattolici italiani dovevano prendere. Però c'era da risolvere prima di ogni altro un ben difficile problema. Infatti, se un qualsiasi partito strettamente cattolico, cioè su base religiosa, è discutibile che sorga in altri paesi, era ed è assolutamente un non senso in Italia. E ciò per due ragioni: primo perché essendo la cattolica la religione di quasi tutti gli italiani, non può portarsi in mezzo ad essi una divisione politica in nome della fede senza turbare le coscienze. Ma oltre a ciò, in Italia un partito cattolico avrebbe avuto il significato di un partito alla dipendenza del Vaticano; cioè o sarebbe divenuto uno strumento politico della Santa Sede (il che essa giustamente rifiutava), ovvero avrebbe trascinato la Santa Sede nel dibattito politico dei partiti italiani. L'una cosa e i'altra sarebbero stati di danno al Vaticano e all'Italia. Cosi fu esclusa l'idea di fondare in Italia un partito cattolico. D'altra (3) Cfr. G . DE ROSA, Filippo Meda e l'età liberale, Le Monnier, Firenze 1959. (4) L. Bissolati (1857-1920), esponente socialista dell'ala riformista; nel 1912, insieme con Bonomi ed altri fu espulso dal partito ormai egemonizzato daUa corrente massimalista capeggiata da Benito Mussolini. Favorevole all'intervento in guerra dell'Italia nel 1916 fu ministro nel governo Boselli e nel 1917 in quello di Orlando.
parte i promotori di questo movimento politico non volevano aderire ad alcuno dei partiti esistenti. Questi allora si dividevano in tre'categorie: cioè liberali di destra o liberali moderati e nazionalisti, in sostanza conservatori; liberali-democratici e radicali; e infine socialisti. I primi non avevano un programma sociale, ed erano in antitesi con le nostre vedute democratiche; i secondi erano troppo centralizzatori e Iaicisti; i terzi si fondavano sul materialismo marxista. Tutti inoltre, chi più chi meno, avevano un atteggiamento contrario alla libertà della scuola e all'influsso morale delia religione, per I'atteggiamento tradizionale tenuto contro la chiesa dal risorgimento in poi; e per il conflitto tra stato e chiesa. Per queste ragioni, esclusa l'adesione a uno o a piu dei partiti esistenti, fu preferito costituire un partito nuovo, cioè un partito indipendente che avesse caratteri, programma e organizzazione propria, ispirata alla corrente europea della democrazia cristiana; e questo partito fu chiamato partito popolare italiano. Così finalmente, dopo circa mezzo secolo, venne a risolversi in forma concreta e attiva il problema della partecipazione dei cattolici alla vita politica dell'ltalia, il che costituì un avvenimento nazionale di primo ordine; onde l'interessamento della pubblica opinione al primo comparire della nuova organizzazione; e il successo con il quale fu subito coronata l'iniziativa. Mentre la posizione giuridica e morale della Santa Sede riguardo lo stato italiano rimaneva quale era ed è nei suoi termini storici, la posizione dei cattolici quali cittadini, indipendentemente dal partito al quale possono appartenere, ritornava nella sua interezza, senza mutilazioni. Infatti dopo dieci mesi di questo awenimento, cioè nel novembre 1919, il non expedit veniva ritirato. Non può negarsi che la comparsa del partito popolare ed il suo rapido progresso abbiano influito in qualche modo su questa decisione, pero occorre notare che tale fatto era dovuto all'atteggiamento preso dalla Santa Sede nell'immediato dopoguerra che sembrava rivolto a togliere ostacoli politici e formali allo stato italiano, del quale si vedevano già le gravi condizioni. Ed è dello stesso periodo la disposizione vaticana per la quale fu abolita la norma che i sovrani cattolici che venissero a Roma per visitare il re d'Italia non potessero essere ricevuti dal Papa, norma che era stata sempre osservata dal 1870 in poi. Chi conosce le cautele diplomatiche del Vaticano, comprende bene l'importanza di questi passi. Chi scrive ebbe la fortuna che la sua idea, formulata la prima volta nel 1905 in un pubblico discorso (3,di portare i cattolici entro la vita (5) Sturzo si riferisce al famoso discorso di Caltagirone (24-XII-1905) su Iproblemi della vita nazionale dei cattolici italiani pronunciato pochi mesi dopo la sua elezione a pro-sindaco della sua cittadina natale. Il discorso fu inserito nella raccolta degli scritti sturziani, edita dalla Cultura sociale. con il titolo Sintesi sociali; fu pero pubblicato nell' appendice perché non ottenne I'imprimatur ecclesiastico: la S. Sede non intendeva creare l'impressione di avallare allora l'idea del partito (cfr. L. S-nr~zo,La Croce di Costantino, op. cit. pp. 233-60).
politica dellYItalia,potesse realizzarsi quattordici anni dopo, con l'adesione e il plauso, allora, dei cattolici di ogni parte d'Italia, e con l'attesa e l'interessamento di tutti gli uomini politici del paese.
Per un popolo come il britannico, che ha una salda tradizione di partiti e una concezione politica strettamente contingente e pratica come per gli altri popoli anglosassoni, riescono incomprensibili due dati della politica del continente europeo, cioè la molteplicità dei partiti e la esistenza di partiti che si orientano a favore o contro la religione. Ora, per ben comprendere il partito popolare italiano è necessario tener presente il perche ciò avviene nel resto dellYEuropa. La molteplicità dei partiti deriva dalia mentalità dei popoli latino-germanici a idealizzare, mentre i popoli anglosassoni tendono a pragmatizzare. Inoltre il tipo dello stato moderno nel continente deriva dalla concezione libertaria e democratica della rivoluzione francese; mentre gli anglosassoni hanno costituito il loro stato mano mano con tutti i materiali della più lontana tradizione. I continentali parlano delle libertà e le attuano nel concreto della loro vita. Nel continente, per l'influsso francese e prussiano, si è creato uno stato accentratore e accentrato; nella Gran Bretagna si è mantenuta un'organizzazione pubblica decentrata, e confluente più in unità morale, che in unità amministrativa e burocratica. Queste differenze notevoli tra le isole britanniche e anche l'America del Nord e i1 continente europeo producono i loro effetti diversi sulla natura e sulla attività dei partiti politici. Questi nei vari stati latino-germanici rappresentano correnti ideali, dietro le quali si annidano gruppi di interessi; concezioni storiche spesso mai arrivate a compimento; tendenze dialettiche pro o contro lo stato, pro o contro la monarchia o la repubblica, pro o contro la chiesa. Le questioni di regime o istituzionali, che in Inghilterra e negli Stati Uniti d'America non formano più alcuna base di discussione, nel continente europeo destano ancora la passionalità dei problemi attuali. I1 principio di larga tolleranza religiosa, attuato oramai con lento ma sicuro progresso in Inghilterra, nel continente è contrastato dalle campagne anticlericali e dalla propaganda antireligiosa. Queste correnti antireligiose sono meno sensibili presso i laburisti e socialisti inglesi; ma i socialisti continentali si appassionano più alla propaganda materialista e ideologica che ai seri problemi economici. Da ciò deriva la molteplicita ,dei partiti politici che si formano negli stati latino-germanici, e la facilità con la quale i partiti si spezzano, si ricompongono, si coalizzano, si frazionano; e cambiano nome, e tendono a combinare elementi teorici disparati e spesso contraddicenti; e a modificare le loro posizioni pratiche al di fuori di qualsiasi logica conseguenza delle teorie che essi contemporaneamente difendono. Oggi, a dirne una, quelli che si chiamano liberali in Italia e radicali in Francia sono invece dei conservatori; la cosa è quasi incomprensibile in Inghilterra.
La formazione dei partiti socialisti nel continente è stata molto più rapida e più facile che in Inghilterra dove invece il laburismo ha penato assai a rompere il gioco dei due partiti e divenire un terzo partito autonomo e per se stante. Negli Stati Uniti d'America il tentativo del terzo partito è recentissimo e di carattere eccezionale e per ora senza consistenza. E poiché la mentalità inglese ripugna per il gioco a tre, tutto I'orientamento presente è volto a far si che uno dei tre partiti scompaia (si leggono spesso gli elogi funebri del partito liberale) per ritornare ai vecchio gioco a due. Io credo che non vi si riuscirà; ma ciò non toglie che non sia nello spirito del popolo inglese. Invece nel continente i socialisti stessi hanno più volte sperimentato il piacere di dividersi fra di loro, in tanti partiti diversi e combattentisi a vicenda. E oggi i comunisti quasi da per tutto formano dei partiti completamente diversi dai socialisti. Pertanto, la moltiplicazione dei partiti è come si dice... all'ordine del giorno! Era dunque naturale che in Italia come altrove, nella formazione di tanti partiti, avesse posto anche un partito popolare. Ma non bisogna credere che un partito possa nascere e avere sviluppo senza una fondata ragione, e senza toccare un fondo di interessi mordi e materiali ch'esso rappresenta. Nella flora dei partiti, vi sono quelli che vivono lo spazio di un giorno; sono gruppi parassiti, o forme sporadiche di partito, che in un determinatc momento intendono o sfruttare una situazione passeggera o interpretare un sentimento che non è profondo. Cosi un tempo vi fu a Napoli un partito borbonico, dopo la caduta del Regno delle Due Sicilie; e in Sicilia vi fu un partito regionalista, che sosteneva l'autonomia dell'isola. Ora i partiti, come il popolare in Italia o altri simili nellYEuropacontinentale, quale il Centro germanico o i democratici cristiani del Belgio, o i cristiano-sociali dell'Austria, non sono partiti parassiti o sporadici, ma hanno una ragion d'essere e una forza di esistenza politica, della quale è bene cercare la ragione. Dopo la Restaurazione, il primo affermarsi di un tentativo di conciliare lo stato liberale o democratico, quale veniva dalla rivoluzione francese, con il pensiero cattolico, parti dalla Francia, con Lamennais, Lacordaire e Montelembert; ed ai due ultimi si deve un movimento politico concreto, che durò fino al secondo impero. I1 problema più vitale, che tanto in Francia che nel Belgio e Olanda a tale movimento impresse un carattere misto tra liberale e religioso fu quello della libertà della scuola; perché i liberali invece tendevano a fare della scuola un monopolio di stato, per sottrarla all'influsso della chiesa, o di un qualsiasi pensiero religioso: infatti a questo fine in Olanda si unirono cattolici e protestanti. In Italia questo movimento ebbe carattere neo-guelfo, e fu sostenuto da tre filosofi ed ecclesiastici famosi: Gioberti, Rosmini e padre Ventura. In Inghilterra il problema della liberta religiosa e dei diritti nazionali
era affermato validamente da Daniele 07Connell (6) a nome dellYIrlanda: e il nome di O'Connell fu Der i cattolici costituzionali del continente quello di un antesignano. Ma coll'affermarsi del socialismo marxista in Germania con una recisa concezione materialista e con carattere di rivoluzione sociale, ai cattolici si presento un secondo problema. Cioè: fino a qual punto potessero conciliarsi i diritti del proletariato e i metodi del movimento sociale con la concezione spiritualista e cristiana della vita. I1 tentativo di mons. Ketteler (7) e dei cristiano-sociali tedeschi fu insieme una presa di posizione dei cattolici nello stato moderno in nome della liberta e una presa di posizione presso il proletariato in nome dei principii sociali-cristiani. La lotta epica del Centro germanico contro Bismark in nome della libertà e contro Carlo Marx in nome della democrazia cristiana, e il fatto più saliente di questo movimento tedesco; e di esso dà la chiave del significato di simili partiti nel resto del continente europeo, che in certi stati hanno avuto ed hanno un ruolo di primo ordine. Nella opinione di molti a questo movimento viene negato il carattere democratico, e viene invece messa in rilievo la tendenza conservatrice. Questo modo di giudicare i partiti cristiano-sociali detti cattolici (nelsenso politico attribuito a tale parola), non e del tutto esatto. Attorno alla idea più generica della difesa delle liberta religiose e morali, certo si sono uniti spesso tanto i conservatori cattolici quanto i democratici cristiani; ma la tendenza sociale è stata sempre predominante, se non in tutti gli esponenti parlamentari, certo nella formazione dei partiti e nello sviluppo delle idee. Le ali di destra e sinistra sono e saranno in tutti i partiti. Per una più decisa e reale visione della questione sociale, e per il legame morale e spesso politico con le leghe operaie e i sindacati cristiano-sociali (detti sindacati bianchi) il movimento di democrazia cristiana si è affermato assai di più di quello dei conservatori cattolici sia come dottrina pensiero, sia come opera di organizzazione, sia come contributo alla legislazione sociale dei vari stati, sia come corrente politica più combattiva. Anzi e avvenuto che i conservatori cattolici tanto in Francia che in Germania e in Italia sono spesso confusi con i movimenti conservatori e nazionalisti, al di fuori di ogni altra concezione religiosa o sociale. Contemporaneamente ai partiti politici si vennero a costituire due organizzazioni: quella sindacale e quella cooperativa, l'una e l'altra dette organizzazioni bianche per distinguerle da quelle socialiste dette rosse. (6) Daniele O'Connel (1775-1847), leader del movimento nazionale irlandese che, sotto la sua guida, ottenne nel 1829 un notevole successo con l'emancipazione politica dei cattolici. (7) Mons. Ketteler (181 1-1877), vescovo di Magonza, nei suoi famosi discorsi nel duomo (1848) e in alcune sue opere, La questione sociale e il Cristianesimo (1848) e I cattolici nell'impero tedesco (1873), indicò profeticamente d a chiesa il diritto-dovere di intervenire nella questione sociale criticando la logica del capitalismo e i pericoli contenuti neil'ideologia socialista. Eletto deputato al Reichstag, tracciò un programma sociale molto avanzato, preparando la strada alla formazione del partito del centro.
I1 movimento sindacale fa capo alla confederazione internazionale dei
sindacati cristiani che ha sede a Utrecht in Olanda con 9 milioni di iscritti: la maggioranza sono di sindacati cattolici e una piccola minoranza di sindacati protestanti; la confederazione internazionale cristiana delle cooperative ha sede a Roma, e riunisce quasi il terzo di tutte le cooperative dell'Europa continentale, In Italia il movimento democratico cristiano sorse nel 1896 pochi anni dopo la enciclica di Leone XIII Rerum Novarum (8) sulla condizione degli operai, che tanto favorevole ripercussione ebbe per tutto il mondo, e che fece fare dei passi notevoli all'idea che il problema operaio non e solamente problema economico e di carattere materiale, ma è anche un problema morale con riflessi religiosi. Si comprende bene quanto dovesse essere avversata la corrente democratica cristiana dai ceti conservatori, che pretendono che la religione debba difendere i loro interessi economici e la loro posizione politica in nome dei più alti principi morali. In Italia, poi, il movimento democratico cristiano, dal suo sorgere, fu posto in condizioni di inferiorità da altri due fattori: dal non expedit, del quale abbiamo già parlato; e dall'attitudine dei liberali democratici al governo; i quali favorivano le organizzazioni socialiste e le riconoscevano ufiicialmente nei consigli del lavoro e della cooperazione, mentre costantemente avversavano o ignoravano le organizzazioni democratiche cristiane. Onde il partito popolare italiano, che porto il movimento democratico cristiano dal primo terreno dell'organizzazione cooperativa e sindacale al terreno politico. si propose di valorizzare questo sforzo di difesa sociale e spirituale del lavoratore, al di fuori del monopolio socialista e del credo marxista. Per completare questo riferimento storico ai precedenti italiani ed europei del partito popolare italiano occorre fare un cenno ad un'altra caratteristica tutta propria del popolarismo italiano, quella comunalista e regionalista. Queste due parole in Italia indicano il movimento che tende a rivendicare la tradizione italiana del comuni liberi e del sev-government locale, e a dare autonomia amministrativa e sotto certi aspetti politica alle diverse regioni di cui si compone l'Italia. Contro la tendenza comunalista e regionalista è stata costante la politica dei governi d'Italia dal risorgimento ad oggi; mentre i democratici cristiani (e poche altre correnti) sono stati ad essa favorevoli. I1 partito popolare riassunse questo postulato e lo accolse con più larghezza e audacia e ne fece un capo-saldo politico contro il centralismo statale. Ecco pertanto i tre punti specifici che danno il carattere proprio a questo partito: la rivendicazione delle libertà (religiosa, scolastica, economi(8) La Rerum Novarum fu emanata il 15 maggio 1891. Un commento all'enciclica in L. STURZO,Leone XZZI e la civiltà moderna, discorso pronunciato a Caltagirone il 2-8-1903, ora in La Croce di Costantino, op. cit. pp. 217-32.
ca, amministrativa); la difesa morale 5 sociale delle classi operaie; il decentramento statale e il self-government locale, anche nelle regioni. Ma il partito popolare ora oltre ciò è un partito del dopo-guerra; cioè un partito sorto in quella determinata atmosfera; e quindi i problemi di quel momento erano i problemi più intensamente vissuti. Il carattere di democrazia politica diviene per il nuovo partito prevalente non solo nei rapporti del sistema di governo dello Stato, ma anche nei rapporti internazionali. E quindi il popolare si affermò subito come un partito contrario ai nazionalismi del dopo-guerra, come contrario agli esperimenti bolscevizzanti e a quelli del cosi detto socialismo di stato. La base politica del nuovo partito poggiava sulle classi rurali, sui piccoli proprietari, sui piccoli redditieri, sull'artigianato, su parte degli operai delle fabbriche, sulla classe media e professionista. Il partito popolare sorgeva come partito non di una sola classe, ma inter-classista; non per agitare la lotta di classe, ma per arrivare a forme parziali e concrete di armonizzazione delle classi.
Questa nota redazionale de ((11 Pungolo)) precede l'articolo di L. Sturzo: ((Nei dibattiti politici il termine «popolare»viene quasi sempre adoperato senza una adeguata e precisa cognizione del suo contenuto dottrinale; anzi molti nostri scrittori e polemisti sembrano prescindere affatto dalla elaborazione di pensiero per cui quel termine e passato per cosi dire dal dizionario della pura politica in quello della sociologia. Per dar conto ai nostri lettori di tale elaborazione dottrinale abbiamo creduto opportuno riprodurre il seguente articolo di Luigi Sturzo, che, pur essendo già stato pubblicato in riviste estere come Politique e Le Mouvement, può considerarsi inedito per il pubblico italiano, essendo la prima volta che si stampa nella nostra lingua)).
Non e da ora il tentativo di scrivere libri e articoli sulla fortuna delle parole. Ci sono parole nate «sotto cattiva stella» e altre fortunatissime; tante volte il merito o il demerito non è delle parole, ma dei fatti che esse significano; e invece altre volte e proprio alla parola e al suono che devesi dare il merito. Io non so perché in Francia non sia ancora entrata la parola upopolarismo» e non so se farà fortuna una volta che venga accolta per un significato concreto, da potersi chiaramente individuare. Del resto anche parole già accolte dall'uso, come socialismo o liberalismo, e clericalismo, (*) Pubblicato su Politique,
1929.
Paris, 15 agosto 1928 e su IIpungolo, Paris, 1-15 giugno
o simili hanno in Francia come altrove un significato cosi impreciso e incerto, che non per tutti significano le stesse idee e gli stessi principi. La ragione di ciò va riferita al modo troppo intellettuale e astratto di percepire i fatti concreti della vita sociale, e,allo sforzo di ridurli a sistema. Se questo sforzo in filosofia non sempre da dei risultati chiari e sicuri, quale meraviglia che trasportato sul terreno sociologico storico, lo sforzo di sistemazione teorica da quel che 8 contingente e dinamico non raggiunga gli effetti voluti? Pero l'uomo moderno ha bisogno di parole sintetiche e astratte al medesimo tempo, che indicano una sistemazione teorica; spesso si tratta di sistemazione provvisoria, sempre in successivi adattamenti, che raccoglie dati di differenziazione e di individualizzazione in processo, e che serve come indice sintetico dei dati di esperienza. Sotto questo aspetto la parola popolarismo potrebbe entrare anche nel vocabolario francese. Vediamo di precisarne il significato e di analizzarne gli elementi. La parola popolo, nel significato latino del Senatus Populusque Romanus piacque sempre ai cattolici per indicare insieme la volontà collettiva e la gerarchia sociale; un principio di ordine e di consenso classico nel senso vero della parola. Ma la parolapopolo servi anche a tutti gli sviluppi della demagogia; e fu in parte sospetta. Per indicare il regime popolare si usò meglio la parola greca democrazia che e rimasta nell'uso; mentre fin dal nostro Medio Evo si parlava di Regimento Popolare o Regime di popolo o simili. La parola democrazia, da Rousseau ad oggi, fu monopolizzata a significare una determinata concezione filosofico-politica,che va dal concetto ottimistico della natura umana aUa sovranità popolare fino alla eguaglianza assoluta. Chi ha voluto dare una tonalità diversa ha dovuto aggiungere un aggettivo modificativo: cosi abbiamo la democrazia liberale, la democrazia radicale, la democrazia nazionale, la democrazia cristiana e via di questo passo. Quando si dice democratismo non si sa piu quale teoria rappresenti, tranne il concetto vago e astratto di governo popolare. La questione della democrazia cristiana e nota: la parola fu usata a due significati: primo, per indicare un governo popolare ispirato a principi cristiani, si da opporlo al significato rousseauista e anticlericale della democrazia moderna; secondo, per indicare un movimento sociale cristiano per opporlo al socialismo. Date le controversie fra i cattolici, e gli equivoci che ne derivavano, Leone XIII dovette intervenire con la Enciclica Graves de communi re del 1901, e rigetto il primo significato e accetto il secondo. Due preoccupazioni egli ebbe, una teorica simile a quella avuta poi da Pio X nel caso del Sillon (1) e da Pio XI nel caso dell' Action Francaise (2), c i d di ( 1 ) Il Sillon, movimento politico ideato in Francia da Marc Smgnier all'inizio del secolo, si prefiggeva di penetrare di spirito cristiano la democrazia. Caduto presto in
non legare la Chiesa o l'attività pubblica dei cattolici dal punto di vista religioso ad una determinata forma di governo, quale esso sia, non importa se la democratica o la aristocratica. La frase democrazia cristiana non significava da sé alcun impegno della Chiesa ad una forma di governo; e si poteva usare, come ancora si usa spesso, a indicare un influsso del Cristianesimo sulla democrazia; ma la Enciclica di Leone XIII si riferiva ad un determinato movimento, quello italiano in particolare che tendeva a realizzarsi nella vita politica dello Stato italiano; ma il non expedit era allora in vigore e Leone XIII aveva dichiarato che nnon expedit prohibitionem importar)). Sicché, a salvare il movimento sociale dei cattolici senza impegnarli nella vita politica propriamente detta, ad una determinata forma di governo la parola di Leone XIII fu d o r a molto opportuna. Egli rimase il Papa della Rerum Novarum e della Democrazia Cristiana. Dall'uso posteriore a quella data della parola Democrazia Cristiana fu tolto quasi sempre dagli scrittori cattolici il contenuto politico nel senso di regime statale; ma comprese sempre quello di legislazione sociale e in genere ogni contenuto economico sociale. Onde poté essere usata la frase «partito o gruppo democratico cristiano))come oggi e nel Belgio. Gli scrittori di destra evitarono però sempre la formula di Democrazia Cristiana, che rimase a rappresentare di fatto l'ala sinistra del movimento sociale-cristiano, detto anche, con intenzionalità di più perfetta ortodossia, sociale-cattolico. I1 fatto però che cattolici, riuniti sotto varie denominazioni, formassero dei partiti politici, era in Europa incontestabile. Diverse ragioni avevano fatto tali partiti nascere e progredire in vari paesi. La loro caratteristica iniziale fu basata sulla difesa religiosa, specialmente del culto pubblico, della famiglia e della scuola; in opposizione alle correnti anticlericali, appoggiate al liberalismo e alla democrazia. Perciò, ne avessero o no il nome, furono detti partiti cattolici, ed ebbero contatti e appoggi dalla gerarchia ecclesiastica. Questo movimento iniziale culminò in periodi di persecuzione religiosa in Germania, nel Belgio e nell'olanda. La carattefistica dei partiti cattolici, in Germania e nellYOlandasegnava una differenza di confessione religiosa in paesi a maggioranza protestante; mentre in Svizzera aveva carattere conservatore, nel Belgio progressista, in Austria-Ungheria cristiano-sociale, con un fondo antisemita; e infine nazionale da parte del gruppo irlandese nel Parlamento inglese, e dei gruppi polacchi in quello tedesco-austriaco. posizioni ambigue anche per l'assenza totale di distinzione fra l'attività religiosa e quella politica, fu condannato da Pio X nel 1910. (2) . , L'Action Francaise è il nome di una rivista fondata da Charles Maurras nel 1889 attorno alla quale nacque un movimento nazionalista che, polemizzando con le conquiste della rivoluzione francese. aus~icavauna restaurazione monarchica. Prima della condanna di Pio XI (24.XI1.1926)'riusci a trovare ampi consensi anche tra il clero francese a motivo del suo carattere uanti-modernon. inizialmente fu accolto con simpatia anche da Jacques Maritain e Georges Bernanos.
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La partecipazione o la conquista del potere da parte di tali partiti, detti cattolici, e le varie posizioni verso le correnti socialiste o conservatrici o liberali, pose vari problemi concreti, e non tutti facili o superabili; il primo quello di un disimpegno dalla gerarchia cattolica, nel senso dell' autonomia politica del partito: il che era necessario dall'una parte e dall'altra per non coinvolgere nelle responsabilità di un partito la Chiesa, né rendere menomata la personalità del partito di fronte agli altri partiti e al Governo. L'altro problema, connesso in sostanza col primo, riguardava le direttive sociali ed economiche; e sotto questo aspetto non poteva non avvenire una specificazione e divisione tra cattolici conservatori e cattolici democratici o sociali. E' noto il distacco rumoroso dei cattolici nazionali, detti anche cattolici di Bismark, da Windthorst (3) ai tempi bismarkiani; e le lotte nel Belgio tra la corrente di Woeste e la democratica, ispirata da Pottier (4). Di queste divisioni o distinzioni su terreno sociale e politico, oggi le più rimarchevoli sono quella del partito popolare bavarese dal Centro Germanico; e quella del gruppo democratico cristiano belga dall'ala conservatrice. Distinzioni sul terreno nazionale esistevano fra i gruppi cristiano-sociali del vecchio impero austro-ungarico; ed esistono oggi negli Stati successori, in base a interessi ed esigenze di lingua, razza e cultura, pur essendo uniti sul terreno pratico degli interessi religiosi-cattolici. In Francia e in Italia ebbero i cattolici per lungo tempo due questioni speciali e caratteristiche; il che rese difficile la formazione di partiti autonomi. Nella prima fu la questione repubblicana: per molti cattolici francesi laicismo, anticlericalismo e repubblica erano sinonimi; l'iniziativa del Card. Levigerie e di Leone XIII diede luogo al ralliement (5) e alla formazione dell' Action Libérale, che per ragioni diverse non sorti il desiderato effetto. In Italia la questione del non expedit tenne lontano dalla vita politica i cattolici militanti, e solo dal 1909 furono permesse delle eccezioni limitate e personali, si da non costituire un vero gruppo di deputati cattolici alla Camera. Pochi mesi dopo la fine della guerra (gennaio 19 19) ebbe invece fortuna la formazione di un partito ad ispirazione democratico-cattolica, che prese il nome di partito popolare italiano. E in Francia, dopo le elezioni cartelliste del maggio 1924, si costituì il Partito popolare democratico (ottobre 1924). Dal 19 19 al 1924 in altri paesi europei fu accettato il nome di partito popolare, così nella Baviera (1920), nella Cecoslovacchia (1920), nella Polonia (1921), nella Lituania (1921), nella Spagna (1927). (3) Ludwig Windthorst (1812-1891) leader del azentrumn cattolico ai tempi del Kulturkampf, la wbattaglia per la civiltàr, come Bismark defini la sua lotta contro i cattolici. (4) Antoine Pottier (1849- 1923), fondatore dell'unione democratica cristiana di Liegi (1892), consegui la laurea in filosofia e teologia neU'Universita Gregoriana. (5) aRiavvicinamentor dei cattolici alla Repubblica Francese, favorito da Leone XIII, dopo circa un secolo di ostilità, incomprensioni, diffidenze reciproche. Momento importante di questa nuova politica della S. Sede fu l'emanazione della bolla Znter rnultiplius sollicitudines nel 1892.
La somiglianza fra i partiti popolari e quelli detti cristiano-sociali o democratico-cristiani o Centro di altri paesi europei era ed è quasi completa, dal punto di vista sociale; trovando comune origine nella scuola sociale-cristiana, elaborata in Europa da mezzo secolo, e con attuazioni pratiche notevoli; delle quali importanti la Confederazione dei Sindacati cristiani con sede a Utrecht, e il movimento cooperativo, con varie iniziative centrali in tutta Europa. I1 nome di partito popolare non fu pertanto una differenziazione ma solo volle essere, almeno nei promotori del partito popolare italiano, I'affermazione di una concezione politica, che nelle parole di democrazia cristiana, dopo l'Enciclica di Leone XIII del 1901, non era più contenuta, sia nella comune accettazione della parola, sia nella stessa teorizzazione della scuola sociale cattolica. I1 problema cosi posto esigeva una formulazione, e questa fu fatta inizialmente nell'appello e nel programma del partito popolare italiano che conteneva in sé una sistemazione di idee politiche, come proprie e caratteristiche; tali il suffragio universale di uomini e donne, la rappresentanza proporzionale, il senato elettivo, la regione come ente autarchico, il decentramento statale, la rappresentanza di classe, la progressività delle imposte, l'esame di Stato, il libero scambio, I'internazionalizzazione e la Società delle nazioni e cosi via. Questo complesso di affermazioni politiche non potevano e non possono farsi in nome del cattolicismo, perché la Chiesa, come e indifferente alla forma di governo, cosi e indifferente alle varie attuazioni concrete della politica amministrativa, economica, sociale e internazionale; essa non può che affermare i propri principi di moralità, di equità e di giustizia; ma non può caldeggiare in nome di tali principi n6 il suffragio universale, ne quello ristretto, né il decentramento, ne l'accentramento amministrativo e cosi via. Dare quindi a queste rivendicazioni e a queste affer.rnazioni un carattere religioso, anche derivativo, sarebbe una incongruenza e un errore. Per giunta non è possibile pretendere che i cattolici divengano proporzionalisti o antiproporzionalisti sol perché cattolici. Simili errori sono stati scontati amaramente, specialmente nelle questioni della forma dei governi. Ne d'altra parte si può attribuire ad una democrazia cristiana, cioè ad una democrazia religiosa, una prevalente caratteristica politica, non solo per le disposizioni della citata enciclica di Leone XIII, ma anche per l'aggettivo cristiano che non comporta per sé una determinata precisazione politica. Occorre adunque un principio distinto, che possa essere come il centro di sistemazione di una teoria e prassi politica, che sia comune e specifica insieme ai partiti popolari o simili, quali ne siano le loro denominazioni storiche nei vari paesi. Questo principio sarebbe la democrazia, ma abbiamo notato come questa parola si presti a confusione, si da esigere da sé una specificazione. A me sembra che questa specificazione possa essere indicata dalla parola «popolare». I francesi hanno riunito le due parole nel Parti democratepopulaire; ma l'una e l'altra parola hanno in fondo il medesimo significato; gli italiani
ed altri invece usano solo il popolare: da questo aggettivo può bene dedursi, come uso specificativo, la parola astratta teorizzante di popolarismo. Questa è stata usata da me la prima volta nel volume Riforma statale e indirizzi politici (6), cosi allora scrivevo (p. 10): aEsiste pertanto una dottrina politica che si chiama "popolarismo" e dalla quale il partito, come concretizzazione organizzativa ha la sua ragion d'essere, la sua ispirazione e la sua finalità? La domanda non può tendere a dimostrare che prima sorge la teoria e poi il partito, perché nel fatto vi è un flusso reciproco tra pensiero e azione, specialmente col divenire sociale cosi pieno di dinamismo. La domanda serve a precisare i contorni e i presupposti teorici del movimento politico popolaren. In quello e in altri volumi mi sono sforzato di chiarire la portata teorica di questo sistema che ho chiamatopopolarismo, non per vano desiderio di creare una parola nuova, ma per obbligo di dare un nome ad un movimento di idee politico e sociale, che aveva le sue concrete realizzazioni sul terreno dell'azione, in modo da opporlo ai sistemi, oggi predominanti, che si chiamano liberalismo, radicalismo, socialismo, fascismo, nazionalismo, comunismo, bolscevismo e simili. I1 problema fondamentale su cui poggiare una simile teorizzazione è e non può essere che politico: tutto il resto dei problemi vengono veduti sotto l'angolo visuale politico, proprio perché si tratta di una teoria dello Stato. Ogni partito che agisce sul terreno politico non può basarsi che sopra una teoria dello stato: anche quando si tratta di partiti a prevalente carattere economico, come il socialismo e il comunismo, questi risolvono sul terreno politico tanto le loro esigenze di metodo (conquista violenta o pacifica del potere) quanto le loro esigenze organico-finalistiche, cioe attuazione attraverso i poteri pubblici di un sistema economico che diviene anche sistema politico. I cattolici (siano conservatori che sociali) non hanno affrontato il problema statale che da un punto di vista etico-organizzativo, cioe principio di autorità, fondamento di giustizia, moralità politica, rapporti con la Chiesa, subordinazione e coordinazione ai fini spirituali dell'uomo. Elementi necessari ma non completi, e posti fuori della concretezza politica, onde la loro azione non poteva essere autonoma per sé stante, ma solo completiva e correttiva, in un presupposto di fatto estraneo alla loro essenza, quale e lo stato moderno. Per fare una sintesi fra gli elementi dati dalla tradizione cattolica e gli elementi concreti della contingenza storica, occorreva precisare il loro contenuto politico, sociale, economico, finanziario, internazionale; e allora si trovavano divisi fra di loro, discosti dalla realtà, e obbligati a confondere la loro attività con quella di tutti quei partiti, che al momento dato reputavano non ripugnare alla prassi (6) Volume pubblicato per la prima volta in Italia da Vallecchi (Firenze) nel 1923; successivamente inserito nel vol. I de Il Partito popolare italiano. Opera Omnia, op. cit.
cattolica, pur ripugnando ad una vera e logica teorizzazione cattolica. Ora, il dato moderno, generalizzato nel mondo civile, e quello di uno stato rappresentativo, come fonte di diritti, delle liberta politiche, come esigenza della coscienza umana, del suffragio universale come principio di autorita, dell'eguaglianza dalle leggi che presuppone una eguaglianza morale e giuridica degli uomini. I1 popolarismo accetta tutti questi presupposti di fatto, ma dà ad essi una sua propria interpretazione e un suo proprio significato. Invero il popolarismo nega lo Stato fonte di diritto, in quanto la fonte di diritto è la personalità umana nella sua relatività sociale; e lo Stato non e che una delle forme di societa umana, la forma di societa politica limitata per un territorio determinato. Ogni altra relatività sociale - famiglia, classe, comune, regione (o provincia), internazione, chiesa, siano anche variabili secondo le epoche e i luoghi (come tribu, clan, casta e simili) - ha un suo diritto fondamentale. Lo Stato dà ad essi una espressione e garanzia in semplice istanza politica. Le libertà politiche (di pensiero, parola, associazione, culto, ecc.) sono prese non come pure esigenze della coscienza umana, al di fuori di una regola di verità e di bene, ma come metodo di vita morale. In politica la liberta è metodo politico, e in economia e metodo economico; così esprimiamo la conquista delle libertà politiche, come il metodo della libertà. In quanto si ritiene che la vita sociale e basata sopra permanenti elementari di contrasti e di lotte, queste debbono svilupparsi o nel regime di costrizione (assolutista o paternalista) o nel regime di liberta (liberale o intervenzionista). I1 primo comprimendo le forze di lotta e di contrasto, rende lo Stato oligarchico, e la classe dominante si trasforma in unica classe libera, cioè restringe la cerchia delle liberta e quindi toglie qualsiasi regolazione alla liberta; - il secondo attraverso le liberta politiche lascia la possibilità degli sbocchi naturali alla lotta umana, pur regolandola nei suoi estremi con l'intervenzionismo. I1 secondo risponde allo stato d'animo moderno, e agli sviluppi sempre crescenti dell'attività umana. La cerchia della liberta e piu larga e quindi generalmente regolabile. I1 popolarismo, inoltre, accetta il suffragio universale come mezzo di espressione della generalità della popolazione, di precisare le linee generali della opinione pubblica, come metodo nella scelta dei rappresentanti popolari (elezioni, referendum, plebiscito e simili). Risponde ciò tanto al metodo di libertà quanto al carattere di democrazia. Ma il popolarismo fa del suffragio universale il principio di autorita. Questo e un'essenza della società umana in quanto società; è la reductio ad unum delle molteplicità; e la stessa socievolezza umana in quanto dato di necessità di natura, che postula per se una autorita che sia espressione di un potere sociale. Non solamente lo Stato, come società politica, ma ogni forma sociale ha la sua autorita, dal padre di famiglia al capo di una Chiesa. I1 suffragio universale è il metodo rispondente al tipo di regime democratico come espressione della designazione dell'autorità. Noi che ammet-
tiamo il regime democratico, ammettiamo questo tipo di designazione. Pero noi che concepiamo come base sociale ilpopolo, il che vuol significare un ordo nel senso latino della parola, e non un'accozzaglia momentanea, - ilpopolo non la plebe, - riteniamo che il suffragio universale debba essere organizzato e organico. Per questo vogliamo la rappresentanza proporzionale, ammettiamo un diritto elettorale familiare, e riconosciamo, la funzione politico-direttiva dei partiti e delle loro speciali responsabilità. Siamo perciò contro I'automismo elettorale e per un organismo elettorale: noi più che il cittadino concepiamo il popolo. Cosi, infine, il concetto dell'eguaglianza morale e giuridica di fronte alla legge è perfettamente nostro; ma neghiamo il concetto assoluto o astratto di tale eguaglianza, e ammettiamo il concetto concreto e relativo che marca le differenze della realtà. Onde per noi la tassazione progressiva ha una ragione fondamentale, come han ragione fondamentale le leggi protettive del lavoro, le leggi speciali di classe e cosi via. Questi accenni servono a indicare i piu importanti sviluppi del popolarismo; specialmente riguardo il concetto della sovranità sia del popolo che dello stato; questo concetto storico oggi non e più accettato da noi; non esiste per noi ne un popolo né uno stato sovrano; esiste uno stato a sua volta indipendente e interdipendente, ed esiste un popolo a sua volta elettore, o consultore o legislatore, secondo i casi. Noi non accettiamo la teoria dello Stat~~etico, o Stato principio di eticità (eghelianismo); ma accettiamo le finalità etiche dello Stato, in quanto ogni forma sociale ha insita nella sua ragion d'essere la sua finalità che non può essere che etica nella sua espressione ultima. Ammettiamo infine l'interdipendenza economica, politica e sociale degli stati, fra di loro e verso una società internazionale, in quanto ammettiamo la fratellanza umana di là di ogni frontiera; e affermiamo la superiorità morde e sociale della civilta cristiana, come quella verso la quale e necessità indirizzare con mezzi morali tutti i popoli. Ci si oppone che questo popolarismo è in fondo basato sul Cristianesimo. Se con ciò si vuole affermare la nostra irriducibilita verso la negazione della religione cristiana, come influsso di pensiero e di vita in tutto lo svolgersi della civilta moderna e cosi; se si vuole intendere come espressione politica del Cattolicesimo Religione e Gerarchia, noi lo neghiamo perché non vogliamo ripetere l'errore di un Cattolicismo politico, che può tradursi in termini uguali e dispregiativi in clericalismo. Le stesse recenti affermazioni del Papa, a proposito di azione cattolica, sono assai chiare: i cattolici in quanto tali e in quanto associati sotto insegne di azione cattolica e sotto la responsabilità della Gerarchia ecclesiastica non fanno politica ne costituiscono un partito. Ma essi, al di fuori dei ranghi religiosi, sono liberi di scegliere quella politica statale che corrisponde alle loro idee e ai loro sentimenti. Cosi si notano dapertutto cattolici partecipanti a partiti diversi e sotto diverso nome e proprio in Inghilterra al partito laburista nel maggior numero che in altri partiti.
Ma chi è convinto che il popolarismo e una dottrina politica, che può svilupparsi nella elaborazione teorica e nell'attuazione pratica, può benissimo professarla e seguirla, con propria personalità staccandosi egualmente da tradizioni clericali e da vincoli parassiti con altri partiti basati su altre teorie.
IL PROBLEMA DELLE MINORANZE IN EUROPA (*)
1. Non c'e in Europa la minoranza etnica o religiosa, che non abbia anche oggi le sue agitazioni ed i suoi travagli, e non covi il malcontento creato dalla guerra e dalla politica del dopoguerra. Perfino l'Alsazia e turbata e si agita, e la Fiandra belga non trova ancora adeguata soluzione ai suoi problemi linguistici ed amministrativi. Da più di un secolo i problemi delle nazionalità oppresse e delle minoranze (problemi che spesso vanno confusi) sono stati il fermento dell'Europa e il motivo confessato di molte guerre. E il regime internazionale introdotto con i trattati di pace non E riuscito, fino ad oggi, a darvi un assetto veramente adeguato. Come si sa, l'attuale regime E basato sopra il trattamento di protezione delle minoranze stipulato tra l'Intesa e la Polonia nel 28 giugno.1919, ed applicato per successivi trattati o dichiarazioni a quindici stati, oltre Danzica e Memel. Solo la Turchia e l'Armenia non hanno applicato il trattato del 10 agosto 1920, in quanto reso inefficiente dal trattato di Losanna del 24 luglio 1923 (1). Per il regime suddetto gli stati si sono obbligati a riconoscere i diritti tradizionali delle minoranze riguardo la lingua, la cultura, la religione e la cittadinanza. L'esecuzione di tali obbligazioni è messa sotto la vigilanza della Società delle Nazioni. L'accusa generica che si solleva è che le minoranze non hanno sufficienti garanzie ne all'interno dei singoli stati, neppure nella timida ed incerta vigilanza deila Società delle Nazioni. Questa accusa è estesa anche a quegli stati, come la Francia e l'Italia, che non sono vincolati da trattati speciali ne soggetti alla vigilanza deiia Società delle Nazioni, ma (*) L'articolo fu pubblicato su due riviste: The Hibbert Journal, ottobre 1929 e Il pungolo, Paris, 15 ottobre 1929. (1) I1 trattato di Sevres (10-8-1920) aveva stabilito che la Grecia estendesse i suoi confini fino a Smirne a tutta la Tracia orientale e che si formasse in Anat&a uno stato indipendente d'Armenia. La rivolta del movimento nazionalista di Mustafà Kemal costrinse invece i Greci a sottoscrivere il nuovo trattato di Losanna (24-7-1923) che restituiva alla Turchia tutta l'Asia Minore e la Tracia orientale. Le popolazioni turche della Grecia e quelle greche della Turchia in applicazione di tale trattato vennero obbligatoriamente scambiate.
hanno preso l'impegno d'onore di rispettare i diritti delle minoranze dei territori acquistati recentemente per effetto dei trattati di pace. 2. La politica delle minoranze, fino da quando divenne oggetto di diritto internazionale, per trattati e convenzioni fra gli stati, e basata sopra l'eguaglianza legale tra il cittadino allogeno e l'indigeno. Ciò suppone uno stato di diritto, e tutti gli stati moderni si dicono tali; mentre negli stati di tipo diverso le garanzie per le minoranze venivano imposte con le capitolazioni (2), come in Turchia, Cina ed Egitto, ovvero venivano riconosciute come una concessione a comunità tollerate, come avveniva nei secoli XVII e XVIII per i gruppi di religione diversa da quella dello stato. Pertanto il principio ai eguaglianza di diritto fra cittadini oggi non e negato da alcuno stato; però nel fatto non mancano violazioni continue, sia nel puro campo politico; e sia anche (attraverso vari ripieghi) in quello legislativo ed amministrativo. Un esempio di ciò e dato oggi nella legislazione scolastica d'Ungheria, dove è stato stabilito per legge che solo il 6 per cento su tutti gli studenti possano essere gli ebrei ammessi nelle università; tale cifra è fissa per l'università di Budapest ed e presa come media nelle altre. I1 pretesto e che gli ebrei in Ungheria sono solo il 6 per cento della intera popolazione. Questo è l'argomento per provare che sia questa una legge di eguaglianza, mentre nel fatto è una legge di limitazione, fatta dallo stato per difendersi dalla influenza di una razza più colta, o più invadente. Simili casi non sono rari; il campo linguistico è il piu facile a dar luogo a diseguaglianze e ad oppressioni. Già nel trattato tipo, quello della Polonia, non si accenna che solo a delle facilitazioni da dare davanti ai tribunali nazionali parlanti altra lingua (art. 7). I corpi amministrativi e politici non son.0 compresi nell'obbligo derivante dal trattato; inoltre si tratta di «facilitazioni»,parola molto elastica, che lascia intatti i peggiori trattamenti possibili. E' dell'anno scorso la notizia data da una rivista di Parigi del caso dell'arcivescovo di Tarragona (Spagna) a cui si voleva impedcre di ordinare ai preti della sua diocesi di predicare in catalano per i catalani; onde il governo fece circondare il palazzo vescovile da poliziotti e perquisire gli uffici. Ora nel fatto ogni predicazione in catalano e proibita dal governo. I1 caso poi dei tedeschi del sud-Tirolo soggettf al191taliaè ormai conosciuto e documentato: a queIla popolazione allogena è proibito I'insegnamento del tedesco persino nelle scuole private. (2) Con le capitolazioni si riconosceva il diritto dei consoli dei rispettivi paesi di esercitare funzioni di polizia o di protezione dei propri connazionali residenti o transitanti in tali paesi. Il regime delle capitolazioni, sorto dalla necessita di garantire la sicurezza dei cittadini dalle vessazioni dei popoli meno evoiuti (Turchia, Egitto, Cina, etc.), è oggi ovunque abolito.
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Il problema scolastico e il principale ed il piu grave di quelli che si agitano presso le minoranze oppresse. La ragione è che a mezzo dell'insegnamento della lingua della razza dominante e del disconoscimento della lingua materna della minoranza, si spera procedere all'assimilazione. L'assimilazione e stato lo scopo perseguito da tutte le politiche degli stati che hanno avuto ed hanno nel loro seno delle minoranze. Si è creduto, e si crede tuttora, che l'omogeneità di razza e l'unità di lingua sia l'ideale da raggiungere per la sicurezza e lo sviluppo di uno stato e per il suo più rigoglioso avvenire. A questo ideale sono stati sacrificati spesso i principi di giustizia e di umanità e a questo scopo popoli interi sono stati oppressi e tiranneggiati. Ma, per naturale reazione e per istinto di difesa, quanto più una minoranza e offesa nei suoi diritti tanto più, reagisce e si chiude in sé, e accresce la sua personalità nazionale e di razza con i sacrifici di molte generazioni, di vittime e di eroi. Ed e naturale che come più la personalità di un popolo e arricchita, cioè quanto più un popolo e attaccato alle sue tradizioni religiose, ai suoi istituti, alla sua lingua, alla sua cultura, tanto più resiste ai tentativi di assimilazione. E si sono visti anche di recente i casi di vera deportazione in massa di minoranze inassimilabili, sotto la denominazione ipocrita di volontario scambio di popolazioni, come e avvenuto fra Greci e Bulgari, o di obbligatorio come fra Turchi e Greci. Uno dei tentativi più a fondo del secolo XIX fu I'assimilazione della Polonia prussiana, ma fu anche uno dei più clamorosi fallimenti; come nel passato era stato un fallimento I'assimilazione dell'Irlanda, nonostante che il governo inglese fosse riuscito a sostituire presso la maggior parte della popolazione la lingua irlandese con la lingua inglese. Questi tentativi di assimilazione e di soggiogamento furono nel passato (prossimo e remoto),uniti con le confische delle terre, con la limitazione dei diritti di proprietà, con la colonizzazione forzata di popolazioni nazionali in mezzo alle popolazioni di minoranza, con oppressiobi fiscali; a non parlare delle maggiori persecuzioni, come - in pieno secolo XIX - gli eccidi armeni e bulgari e i pogroms contro gli ebrei. Tutta questa storia dolorosa e sanguinaria sta a provare che i tentativi di assimilazione delle minoranze, da parte degli stati, siano questi civili o incivili, sono vani sforzi, che generano le lunghe lotte e finiscono o con la rivincita o con lo sterminio delle minoranze stesse. \
3. Non potendosi mai arrivare all'assimilazione, i metodi politici che la storia ci presenta come tipici negli Stati moderni sono due: a) quello della inferiorità politica delle minoranze, tenute a freno con restrizioni amministrative e di polizia intercalate da piccole concessioni, ovvero b) quello della completa parificazione, autonomia e libertà, sicché non si noti più alcuna differenza fra popolo dominante e popolo dominato. I1 primo tipo fu quello dell'ex-impero austro-ungarico dopo la costi-
tuzione del 1867, ed il secondo tipo E quello della Confederazione svizzera. Col primo metodo si sviluppano sempre più vivamente i sentimenti nazionali o regionali, e la personalita di razza tende a trasformarsi in personalità politica per sé stante, e la diversità di religione tende a identificarsi con la personalita di razza e divenire questione politica; mentre con il secondo metodo si attenuano i motivi di differenziazione politica ed aumentano quelli di convergenza di sentimenti e di interessi fra i diversi popoli uniti insieme. Se i vari popoli formanti l'ex-impero austro-ungarico avessero avuto il completo rispetto dei loro diritti, l'autonomia che loro chiedevano, il cointeresse reale e la convergenza di sentimenti in una unità politica a tipo federale, non sarebbe avvenuto il disfacimento dell'impero neppure dopo una sconfitta; alla quale del resto cooperarono le minoranze stesse che volevano liberarsi dalla egemonia austro-magiara. La forza centripeta dell'impero era la polizia ed il militarismo, e la forza centrifuga erano le esigenze della personalita delle varie razze. I1 caso dell'Alsazia (3) va divenendo grave per la politica di centralizzazione e fino a poco tempo fa anche di compressione, che e andato usando il governo francese verso quella provincia, che invece reclama il rispetto alla sua personalita e ai suoi ordinamenti. I francesi nazionali non ci vedono altro che il tradimento; e invocano misure di repressione, invece di usare il metodo svizzero del rispetto e della libertà. Quel che fa difetto oggi, anche presso stati come la Francia, che si dicono democratici, è la fiducia nel metodo della liberta, come il metodo più adatto a sviluppare la solidarietà morale e politica nel seno di una nazione. Si ha più fiducia nella compressione, nell'uso della forza, nel sistema poliziesco, nella reazione. Il metodo svizzero - lo chiamiamo così, perché in Europa e il più interessante e costante esempio di una unita politica fatta da popoli di differenti razze, lingue e religione - non può avere altra base che I'eguaglianza di diritto e di fatto, la liberta e i'autonomismo. I1 problema delle minoranze etniche e linguistiche negli Stati moderni non può essere risolto che sopra una base simile, adattata ai diversi casi. 4. Perché questo metodo riesca efficace occorrono tre elementi fondamentali: a) una convergenza di interessi materiali della minoranza con gli altri popoli riuniti in uno stato, b) l'organizzazione dello stato in forma costituzionale democratica sulla base del metodo della libertà, C)un reale lealismo della minoranza verso lo stato cui appartiene e dello stato verso la minoranza ed i suoi diritti. La mancanza di uno di questi tre (3) I trattati di pace avevano deciso la restituzione dell'Alsazia-hrena alla Francia da parte della Germania che l'aveva annessa nella vittoriosa guerra del 1870. I tedeschi dell'Alsazia non ebbero pero facoltà di opzione fra la cittadinanza francese e quella tedesca; la decisione sulla naturalizzazione spettò infatti al governo francese.
elementi rende inapplicabile il metodo svizzero in tutta la sua integrità, e crea i disturbi, transitori o permanenti, che travagiiano la politica degli stati a popolazioni miste. I1 primo elemento, cioè la convergenza, sembrare a prima vista superfluo; ma non è cosi. Molti contrasti politici hanno origine da contrasti economici e da urti di interessi, più o meno aperti; e quando tali interessi non sono conciliabili è difficile trovare la via ad una convivenza pacifica su basi di eguaglianza. La gravitazione degli interessi in centri di commercio o di industria estranei e in certi casi più forte del senso di razza. Molte questioni dei Balcani hanno in fondo ragioni economiche. Nei paesi ricchi l'interesse economico potrà invece servire a saldare insieme due o più popolazioni, come sarà col tempo dell'Alta Slesia, se la politica della Polonia non turberà il naturale amalgama di quelle popolazioni. I1 secondo elemento - la forma costituzionale e il metodo di libertà - e indispensabile alla giusta tutela degli interessi reciproci dei diversi nuclei di popolazioni formanti unico stato, e al naturale sbocco di malcontenti o di attriti, che non mancano mai fra le popolazioni eterogenee, come del resto non mancano quasi mai anche tra le varie classi e categorie di una popolazione omogenea. Il giorno che per via di patti internazionali si riconobbero alle minoranze i diritti di religione, lingua e amministrazione proprie, si gettarono le basi dei loro diritti politici. Oggi si negano tali diritti solo da quegli stati che negano a tutti i cittadini i diritti politici e l'eguaglianza legale. Ma proprio quegli stati, cosi facendo, acutizzeranno il problema delle loro minoranze, come fa la Spagna per la Catalogna, la Jugoslavia per la Croazia, l'Italia per il Sud-Tirolo e I'Istria e cosi via. Se mancano i primi due elementi e impossibile avere il terzo, cioè la lealtà verso lo stato da parte della minoranza; perché da un lato la spinta degli interessi economici avrebbe azione centrifuga e non centripeta, e dall'altro lato mancherebbe la coscienza pubblica della lealtà, che oggi può essere data solo in un sistema politico rappresentativo e responsabile. Nella concomitanza di questi due elementi, la lealtà si può esigere dall'una parte e dall'altra, ed e il cemento vero e spontaneo dell'unione delle varie razze nella formazione di uno stato politico, che può chiamarsi anche nazione, come usano gli stessi svizzeri chiamare la loro confederazione. '
5. La questione della lealtà della minoranza verso lo stato cui appartiene merita di essere approfondita, perché si presta ad equivoci e dà il pretesto alle piu subdole e gravi persecuzioni. Lealtà vuol dire anzitutto cooperazione morale, economica e politica nello stesso stato; il quale non viene riguardato come stato di altro popolo. ma stato proprio di tutti.
Una simile condizio- d'animo non si può imporre, nasce, ma quando nasce e si sviluppa con il tempo, diviene fatto naturale se la minoranza non e stata tormentata, se la sua appartenenza a quello stato ha avuto origini libere o almeno consensi formati da simpatie e da cointeresse. Per questa ragione ha un valore non trascurabile il fatto che siano sanzionate da plebisciti popolari le unioni venute da guerre o da altre cause violente. Se l'unione e dovuta ad esclusivo diritto di guerra, e fatta contro la volontà delle popolazioni interessate, allora è più difficile formarsi lo stato d'animo della collaborazione, finchè altre cause favorevoli non attenuino i contrasti tra vincitori e vinti, e non determinino nuovi interessi morali e materiali, che possano condurre alla cooperazione lede. Da molti giuristi il plebiscito è riguardato, dal punto di vista del diritto internazionale, come un istituto di valore solamente politico e non giuridico. E nei vari casi previsti dai trattati di pace, il plebiscito non fu sempre adottato, nonostante che W. Wilson abbia messo come uno dei suoi quattordici punti ((I'autodecisione dei popolir. Ma se è un errore non riconoscere il diritto deUe popolazioni all'autodecisione, questo non può non scontarsi, quando si creano in un paese come l'Europa focolai permanenti di malcontento e di contrasti. Ora non c'è idea più fondamentalmente dannosa alla cooperazione fra i popoli che quella di aver subito una violazione del proprio diritto, in quello che costituisce la posizione politica di una minoranza. I1 giurista usuale dice che introdurre il diritto di autodecisione e un limitare il diritto dello stato e un rendere nullo il diritto del vincitore; ma il giurista usuale da queste premesse dovrebbe concludere che il suo sistema giuridico lo porta alla sottomissione di ogni minoranza e non mai alla collaborazione di essa con lo stato a cui viene unita. Il popolo ha nel suo fondo il senso del diritto: la legittimità originaria per cui un popolo è unito alle sorti di un altro è un argomento, coeteris paribus, di valore decisivo. La lunga coesistenza amichevole di popoli diversi, la formazione di interessi comuni, la difesa comune contro terzi aggressori, a lungo andare rimedia al difetto originario della mancanza deila libera adesione plebiscitaria; e si sviluppa quel che chiamiamo il senso di lealtà verso lo stato. Però e da notare che, dal punto di vista psicologico e morde, il più forte merita la lealtà del più debole, se il più forte usa prima ed efficacemente la lealtà verso il debole. Come posizione politica, il forte è lo stato e per esso il popolo dirigente, e il debole è la minoranza. Fare appello alla lealtà della minoranza, come condizione precedente all'uso della libertà ed al rispetto dei diritti di essa - come è spesso abitudine presso politici e giuristi - e invertire i termini e sconoscere il valore psicologico dei sentimenti delle masse. Purtroppo, a torto o a ragione, le posizioni quasi sempre si invertono; le minoranze sono costrette a resistere allo stato, perchè i governi non usano lealtà verso la minoranza, che non e tenuta sul piede di perfetta uguaglianza. Aperto il conflitto, neppure la minoranza sente più il dovere
della lealtà verso lo stato. Se non si rimedia a tempo, la crisi diviene insanabile.
Due casi tipici ci dà oggi l'Europa di minoranze che non hanno nessuna ragione di mancare di lealtà verso lo stato, e che sono state e sono in conflitto con le rispettive maggioranze: il caso dellYAlsaziain Francia, e della Fiandra nel Belgio. La Francia si rifiuta di considerare l'Alsazia come una minoranza; e da alcuni governanti si pensa perfino a sopprimere, negli atti ufficiali, il nome di Alsazia e chiamarla, secondo l'uso francese, Alto e Basso Reno. Cosa che già fece l'Italia per il Sud-Tirolo, chiamandolo Alto Adige. Nel fatto il popolo d'Alsazia è una minoranza etnica; essa ha lingua, costumi, tradizioni, storia, istituzioni propri. E' una popolazione di confine, formatasi di mescolanze etniche nell'ubertosa valle del Reno, con le caratteristiche tipiche di quella razza pratica e misticizzante. L'Alsazia può considerarsi una piccola unita economica ben definita. Se si trovasse in un ambiente tipico come la Svizzera formerebbe un'unità politico-amministrativa come un Cantone; se fosse stata libera della sua scelta, forse avrebbe preferito di essere come i vicini del Belgio e del Lussemburgo uno stato cuscinetto entro l'orbita della Francia; oggi non agogna ad altro che al rispetto della sua personalità storica e legale, a tipo regionale, entro lo stato francese. Ma lo stato francese è troppo egualitario e accentratore per tollerare una simile concezione regionalista; ,e non si rende conto che il suo primo dovere sarebbe quello di usare lealtà verso l'Alsazia, la quale non manca di lealtà verso la Francia, anche quando rivendica i suoi diritti di minoranza. L'altro caos e quello dell'urto fra Fiamminghi e Valloni nel Belgio: non potrebbe parlarsi qui di minoranza numerica perché i Fiamminghi sono più dei Valloni; ma qui la questione di nazionalità e da reputarsi come una questione di minoranza non completamente parificata. L'urto e dovuto a disparità linguistiche ed amministrative fra le due razze ed a diversità di cultura e di economia. Le questioni non sono gravi per se; ma sono aggravate per lo spirito di incomprensione reciproca, per gli strascichi dilotte avvenute durante la guerra e nel dopo-guerra. Anche qui è la mentalità accentratrice e livellatrice che rende difficile la soluzione di problemi abbastanza elementari nella organizzazione. di diverse razze conviventi insieme in un medesimo,stato; e nessuno può accusare seriamento l'altra parte di mancare di lea!?R v5rso lo stato belga, mentre è il Governo, in maggioranza vallone, che si e ritìutato fino ad oggi di considerafe le giuste esigenze della parte fiamminga. Solo oggi ha cominciato la pacificazione con l'amnistia che, quanto piu è stata tardata e limitata, tanto più ha resa acuta la lotta, come syevisto nell'elezione del capo degli attjvisti, Borms, a deputato al Parlamento, non ostante la sua ineleggibilità.
6. Ci sono pero speciali condizioni di carattere nazionale ed etnico per le quali non si può sul serio esigere la lealtà assoluta da parte della minoranza nel senso di rinuncia alle aspirazioni nazionali; e solo si deve esigere una lealtà relativa, cioè la lealtà dei mezzi sul terreno legale. Simili casi oggi si credono illegittimi e contrari all'ordine internazionale; e purtroppo simili casi possono dare pretesto alle oppressioni delle minoranze; ma anche possono dare motivo ai rivolgimenti nel futuro. Tutte le nuove nazionalita costituite da un secolo ad oggi erano nel fatto delle minoranze nei quadri degli stati esistenti. Il principio di nazionalità ne consacrò la nascita; non sempre tale principio fu applicato in forma integrale, le circostanze lo impedirono: ma in nome di esso si ebbero la Grecia, la Bulgaria, la Serbia, la Romania, l'Albania, il Montenegro, sottratti mano a mano all'impero turco; il Belgio si stacco dagli stati neerlandesi, l'Italia sottrasse le sue province alla dominazione austriaca e formò la sua unità; e così fino al dopoguerra, con la Polonia risorta, la Cecoslovacchia e gli stati baltici costituiti a repubbliche e 1%landa a stato libero. Questo dato del passato e anche un dato dell'avvenire. Se nell'awenire una minoranza di oggi, per qualsiasi processo economico e politico, diviene relativamente self-suflcient, con proprio spirito culturale e propria attività, e sente il bisogno di rivendicare la propria autonomia, questo insieme diviene in fondo quel che si chiama diritto di nazionalita. In questo caso non vi sono che due soluzioni, o la libera e pacifica convivenza sul tipo svizzero, ovvero il distacco comunque ottenuto, per via di guerre o di rivolte o di compromessi. I1 caso della Croazia, nello stato jugoslavo, e uno di questi casi. Col tempo I'Ucraina potrebbe acquistare propria personalità economica e politica, e allora forse vorrà essere una nazione indipendente. Ma, a parte le previsioni del futuro, quel che e certo oggi è che in Europa il fermento per le unità nazionali non e estinto, e l'attuale assetto delle minoranze non può riguardarsi come definitivo. Piu grave ancora può sembrare la questione dell'irredentismo, che i trattati di pace hanno disseminato in tutta Europa. Diciamo ((irredentismo» il sentimento della minoranza di confine verso lo stato della propria razza, col quale vorrebbe congiungersi o ricongiungersi. Oggi il principale irredentismo europeo e quello germanico. Altro aspetto caratteristico dell'irredentismo e quello dellYAustria,1' Anschluss (4) è dovuta a ragioni economiche e politiche, essendo l'Austria ridotta ad .uno staterello, che non può vivere nel suo isolamento; e che non ha altra strada per vivere che o confederarsi con altri stati danubiani o riunirsi con la Ger(4) Sul finire degli anni venti delle tre correnti politiche che dividevano l'opinione oubblica austriaca nessuna rifiutava formalmente l'unione alla Germania. I socialisti l'auspicavano con una Germania socializzata, i nazionalisti dell'Heinwehum erano in stretto contatto con le oreanizzazioni nazionaliste tedesche. Gli stessi cristiano-sociali erano attaccati sentimentalmente all'idea di Anschluss anche se rinviavano la riunione con la Germania ad una data futura.
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mania. La politica del dopoguerra l'ha fatto inclinare verso il lato della Germania. Tutti gli irredentismi sono alimentati dalle politiche interne di repressione e di malintesi: ma esistono per se, e non possono essere superati che col tempo e con una politica di cointeresse e di libertà. I tedeschi della Svizzera non pensano ad una unione col Reich, né i ticinesi con l'Italia. Questo attaccamento alla nuova patria potrebbe col tempo svilupparsi anche presso i tirolesi del sud o gli slavi dellYIstria verso l'Italia, se essi sentissero completa la loro personalita di razza entro il quadro dello stato, ma ogni motivo di contrasto è un motivo di irredentismo. La mano forte lo accentua; i tentativi di assimilazione non possono riuscire; onde l'irredentismo diviene in certi casi il tallone di Achille. degli Stati creduti forti e delle situazioni internazionali credute stabili.
7. Come si vede, il problema si allarga in una visuale internazionale; e stato sempre di interesse internazionale il problema delle minoranze, ma oggi più che mai, dacché, dopo i trattati di pace, esso ha un focolaio di irredentismo nel centro dell'Europa, in una nazione popolosa ed importante quale la Germania. La conferenza di Parigi ha creduto di dare all'Europa un assetto definitivo? Anche se la conferenza di Parigi avesse risolto bene e completamente tutti i problemi dell'ora attuale, non avrebbe mai potuto impedire che col decorso degli anni molti altri problemi non fossero sorti si da doversi rinnovare l'edificio creato. E noi siamo ben lungi dal credere perfetta l'opera della conferenza della pace. La politica di ogni stato ha sempre due piani; quello di consolidare i vantaggi prèsenti e quello di stabilire le premesse per i vantaggi futuri. Ma in questo secondo piano sta anche la politica di non pregiudicare l'avvenire e assicurarsi anche i vantaggi realizzabili solo a lunghi periodi di tempo ed in circostanze eccezionali. In questa zona di previsioni e di speranze vivono quasi tutte le minoranze che hanno coscienza di sé e del loro avvenire. E si sa bene che tra queste minoranze sono da annoverare quelle tedesche e l'Austria pure. I1 probiema internazionale ha gli stessi caratteri di quello della politica domestica di ciascuno stato: quale il metodo migliore? Ii metodo della libertà o quello della coercizione? Noi reputiamo che il metodo della libertà sia il migliore, per superare le difficoltà psicologiche, che sono le più gravi. Finché con la minaccia di una guerra viene impedito allYAustriadi unirsi con la Germania, si avranno due effetti deleteri: quello di sviluppare sempre di più la psicologia dell' Anschluss e quello di creare lo stato d'animo per la guerra, non importa se a breve o a lunga scadenza. Cosi lo stesso avviene se le minoranze di frontiera sono malmenate o tormentate; I'irredentismo diviene irrimediabile e invincibile.
I1 metodo della libertà non e lo scatenamento di tutte le forze di disordine ne il continuo turbamento dell'equilibrio internazionale; ma e un metodo atto a giocare con un sistema giuridico e politico ben stabilito. Cosi può parlarsi di metodo di libertà nel campo internazionale, oggi che esiste un sistema internazionale incentrato nella Lega delle Nazioni. Due sono le valvole di sicurezza adatte ai problemi di minoranze nel campo internazionale: a) il diritto di reclamo alla Societa delle Nazioni, e b) la revisione dei trattati. I1 primo fa parte della politica generale della Societa delle Nazioni circa l'equilibrio interstatale. I1 problema fondamentale e se la Società delle Nazioni sia in grado di poter usare utilmente e a tempo di queste due valvole di sicurezza. Certo e che la preoccupazione di scuotere il presente equilibrio europeo è una ben ragionevole preoccupazione, che di fatti inceppa qualsiasi iniziativa: e parlare oggi di revisione dei trattati sarebbe prematuro e pericoloso. Evidentemente e necessario smaltire anzituttola psicologii di guerra; e a questo fine la politica fondamentale e quella di Locarno (5)' da un lato, e quella del rispetto dei diritti delle minoranze dall'altro. Ma simile politica non può essere che una premessa verso un piu concreto ed alto ideale, quello degli Stati Uniti d'Europa.Ne1 quadro di una larga federazione, potranno esistere ed avere vitalità propria non solo i grandi stati unitari come la Francia e l'Italia, e le piccole unità statali come il Belgio e la Svizzera, ma anche le minoranze autonome, sia pur unite ai rispettivi stati come potrebbero essere l'Alsazia, il SudTirolo e la Croazia. Gli Stati Uniti d'Europa non sono un'utopia, ma soltanto un ideale a lunga scadenza, con varie tappe e con molte difficoltà. Occorre anzitutto il risanamento finanziario attraverso la sistemazione definitiva di tutti i debiti di guerra, ed il risanamento delle diverse monete. Procedere quindi ad una revisione doganale che prepari una unione doganale, con graduale sviluppo fino a poter sopprimere le barriere interne. I1 resto verrà in seguito. Non bisogna pensare che ciò sarà accettato contemporaneamente da tutta l'Europa; ma il nucleo centrale del problema risiede nei due stati antagonisti Francia e Germania; una intesa fra i due con I'assenso della Gran Bretagna e la condizione sine qua non della soluzione del problema europeo, entro il quale necessariamente si inquadrano tutti i problemi più o meno acuti delle molteplici minoranze. Come si vede siamo sul piano della cooperazione internazionale, nel quale anche gli Stati Uniti d'America debbono giocare il loro ruolo. I1 (5) Alla conferenza di Locarno (5- 16 ottobre 1925) furono presenti Briand (Francia), Chamberlain (Inghilterra), Stresemann (Germania), Vandervelde (Belgio) e Mussolini (Italia). Gli accordi stipulati stabilivano che se uno dei Brmatari avesse scatenato un attacco armato contro un altro o avesse violato in modo flagrante la zona smilitarizzata, le altre potenze avrebbero prestato aiuto all'aggredito. La conferenza fu comunque ispirata dalla convinzione che occorresse ricercare la collaborazione della Germania per sostenere la pace in Europa.
Patto Kellog (6)ha un grande valore ed e stato il mezzo per legare moralmente gli Stati Uniti con l'Europa. La soluzione dei problemi economici europei non può ottenersi senza l'intervento degli Stati Uniti. L'orientamento americano nel diritto internazionale influisce molto sulle vecchie concezioni europee. Il disarmo potra iniziarsi se si potra assicurare davvero la libertà dei mari; il che dipende principalmente dagli Stati Uniti e dalla Gran Bretagna. Questa politica di cooperazione tra Europa ed America, mentre allontana sempre più il pericolo di guerra, sarà quella che servirà a fare orientare in senso internazionale tutte le questioni di nazionalità e di minoranze.e a creare dappertutto u n substrato di solidarietà internazionale. Sarà questo il clima nel quale potranno nascere anche gli Stati Uniti d'Europa.
LA PSICOLOGIA DEL «DISARMO» (*) La conferenza pel ((disarmo),non subirà rimandi, a quanto sembra, e comincerà il 2 febbraio ( I ) ; essa durerà a lungo per molte difficoltà politiche e tecniche non facili a superare; sara la prima della serie delle conferenze pel disarmo, perché la materia non potra essere esaurita in una sola, e perché nuovi problemi sorgeranno dall'applicazione concreta dei deliberati che saranno presi. L'uso comune ha consacrato la parola «disarmo»invece della intiera frase alimitazione e riduzione degli armamenti)).Ciò sara avvenuto, perché nelle abitudini linguistiche, a significare un oggetto o un concetto complesso, una parola singola è meglio accettata che non una lunga espressione contenuta in diverse parole. Anche il significato ideale, in questa sostituzione linguistica, ha la sua importanza: disarmo ha una portata ideale; limifazione e riduzione degli armamenti ha una portata tecnica. Il popolo ama piu il significato ideale. Nel fatto pero, la prossima Conferenza non ha per scopo il disarmo, ( 6 ) I l patto Briand-Kellog. nato per iniziativa del governo francese che aveva rivolto al segretario di stato americano, Kellog, una proposta concernente la rinuncia reciproca alla guerra come mezzo politico di risoluzione delle controversie internazionali, fu sottoscriiio e Parigi il 27-8-1928 da 15 potenze. In seguito vi aderirono quasi tutti gli stati, compresi I'UKSS e l'USA che non facevano parte della Società delle Nazioni. Questo patto scpiiò l'apogeo dell'ondata pacifista internazionale che presto la crisi economica mondiale disilluse bruscamente. ( * ) Pubblicato sulla rivista Res Publica, Bruxelles, febbraio 1932. ( I ) 1.a Conferenza per il disarmo si riunì a Ginevra il 2 febbraio 1932. Vi furono riipprcsentali 62 paesi. Bruning era il delegato della Germania. Mac Donald quello dell' Inghilterra. Tardieu quello della Francia; Grandi rappresentava l'Italia. Il problema del disarmo era stato posto già dal trattato di Versailles secondo il quale (art. 8) il disarmo tedesco avrebbe dovuto rappresentare solo il preludio di un disarmo generale.
ma solo la limitazione e, se possibile, la eduzione degli armamenti. Ogni amplificazioneideale della Conferenza sara a scapito del risultato morale che se ne dovrà ottenere. I1 disarmo, nel significato vero della parola, oggi non e in causa; gli Stati non disarmano, perché non ostante tutti gli sforzi giuridici e politici - Patto della Società delle Nazioni, Trattato di Locarno; Clausola opzionale presso la Corte dell'Aja; patti di arbitraggio; Patto di Parigi (Kellog-Briand) - ancora la guerra è stimata, in dati cas,i, un diritto dei popoli, ancora la guerra E guardata come una eventualità da dover prevedere. In questo stato d'animo, abbastanza diffuso presso i ceti responsabili e presso gli organi della opinione pubblica, non si concepisce il disarmo come realizzabile a breve o a lunga scadenza; ma si pensa solo alla possibilità di una limitazione convenzionale di armamenti e (molti ne dubitano) ad una anche tal quale ulteriore riduzione. La limitazione avrebbe l'effetto immediato di impedire la gara degli armamenti; il che si e ottenuto parzialmente nel campo navale con le Conferenze di Washington nel 1921 e di Londra nel 1930, e per tutti gli armamenti di terra mare ed aria da iniziare ex-novo. a mezzo della Tregua di un anno, che ha avuto inizio col 1 novembre 1931. La ulteriore riduzione (se sara realizzata) avrebbe I'effetto di diminuire le attuali spese militari, che gravano in modo insopportabile sui Bilanci degli Stati e sui contribuenti. La limitazione e, se possibile, la riduzione non sarebbero il disarmo, ma solo il mezzo per portare ad un livello fisso e proporzionalmente inferiore l'equilibrio militare quale, più o meno, oggi E stato attuato; nessuna potenza dall'esito della Conferenza dovrebbe trarre alcun vantaggio militare sull'altra. Il minimo di un tale livello è stato idealmente precisato all'articolo 8 del Patto della S.d.N.. dove è detto che gli armamenti dovranno ridursi «al minimo compatibile con la sicurezza nazionale e con l'esecuzione degli obblighi internazionali imposti da un'azione comune». A sentire vari Governi e i loro organi ufficiosi e a ben leggere nelle Zndications relatives à I'état des armemsnts des divers pays sembrerebbe che tutti spontaneamente abbiano oggi raggiunto questo minimo, sicché un'ulteriore riduzione non sarebbe compatibile con la sicurezza della propria nazione. Per corrispondere a questo stato d'animo, nell'art. 10 del Projet de Convention formulato dalia Commission Préparatoire de la Conférence du Désarmement (2) e stato scritto: uLes Hautes Parties contractantes (2) La commissione preparatoria alla Conferenza si riuni a Ginevra sin dal maggio del 1926. Vi furono rappresentati 26 paesi tra cui gli USA e I'URSS. La commissione non fissò le cifre concrete di riduzione degli armamenti ma si limito ad individuare e discutere problemi generali (come procedere al disarmo - come assicurprne il controllo - quali le categorie degli armamenti che dovevano essere ridotte).
s'engagent à limiter et, autant que possible, reduire leurs armements respectifs etc...n Quel wautant que possibler indica abbastanza quale la situazione presente. Comunque sia, se un livello di armamenti inferiore all'attuale potrebbe reputarsi ancora compatibile con la sicurezza nazionale, nessun governo negherebbe la sua adesione. La prima difficolta che si incontrerà sarà proprio quella di fissare di accordo questo minimo per ciascuna nazione. La tendenza generale e verso un equilibrio militare statico, entro un sistema politico internazionale (quello dei patti di pace) anch'esso statico, in un livello di forze armate ben definito e con pochi margini liberi. Quanto simile concezione statica contraddica alla realtà vedremo nel corso di questo studio. Qui ci preme osservare che mentre fin oggi il giuoco dei massimi e dei minimi era lasciato alla potenzialità economica, ai criteri tecnici e alle direttive politiche di ciascuna potenza, quando la limitazione degli armamenti verrà in esecuzione, sarebbe solo possibile la diminuzione e non l'aumento, tranne nei pochi casi e sotto le condizioni già previste nel Projet du Désarmement.,Pertanto ogni potenza (come e avvenuto per il Patto navale) domanderà un limite alto e un sistema globale tale da muoversi a suo agio nella costituzione della sua difesa armata, si da poter conservare quel dinamismo che il sistema limitativo verrebbe a impedire. Questa e una delle ragioni delle difficolta enormi per arrivare a fissare i termini di paragone delle forze armate di terra di mare e di aria dei diversi paesi, in modo da poterne apprezzare la potenzialid e concordarne i limiti, entro un sistema di equilibrio internazionale. Per dieci anni uffici della Società delle Nazioni, Commissioni speciali ed esperti di tutti i paesi hanno cercato di superare le difficoltà tecniche enormi e le naturali implicazioni politiche, per arrivare a fissare i minimi comuni denominatori delle varie armate. Senza un simile apparato sarebbe assurdo parlare di limitazione di armamenti. Le Conferenze navali di Washington e di Londra hanno dimostrato la possibilità di arrivare a dei pratici se non completi risultati. E la Commission Preparatoire de la Conference du Desarmement, nel suo Projet de Convention e riuscita a risolvere alcuni problemi basilari, benchk abbia dovuto riservare alla Conferenza parecchie questioni controverse, che contengono motivi di gravi divergenze fra gli Stati. Fra le più gravi e da contare quella se le riserve istruite dei paesi a coscrizione obbligatoria debbano tenersi in conto e in qual modo nel valutarne la forza e nel precisarne la limitazione. Più grave ancora e la questione della limitazione del materiale di guerra: insufficiente ed equivoco il metodo indiretto di limitazione della spesa bilanciata; difficile tecnicamente la limitazione diretta per qualità e quantità di materiale; rigettata la proposta di applicare contemporaneamente
i due metodi, la Commissione in sostanza ha rimandato d a Conferenza la soluzione dell'intricato problema. Difficoltà ancora maggiori si sono incontrate nel precisare la limitazione dell'armamento dell'aria, nell'impedire la trasformazione dell'aviazione civile in aviazione militare, di fronte al fatto che i dati tecnici degli avioni.cambiano rapidamente, e il materiale viene adattato e rinnovato con enorme facilita. Ma inutile sarebbe fissare un qualsiasi limite agli armamenti, se mancasse un controllo pubblico internazionale. La Commissione preparatoria ha affrontato tale problema e per suo conto l'ha risoluto su due punti; cioè: obbligo dello scambio di informazioni fra gli Stati a mezzo del Segretariato della S.d.N., su modelli speciali da approvarsi dalla Conferenza ed essere annessi al Patto di disarmo; e istituzione di una Commissione ~ermanentedi controllo. Ma le proposte fatte dalla Commissione non sono ne complete né soddisfacenti. I1 controllo della educazione pre-militare non e ammesso; il controllo delle forze di terra è globale, senza distinzione di forze metropolitane e coloniali; il controllo del materiale è solo suile indicazioni di spesa. Non e fatto alcun cenno se la Commissione abbia Dotere di fare inchieste; nulla e detto per il caso di infrazione, tranne che la Commissione farà un rapporto al Consiglio e che il Consiglio agirà secondo il Patto della S.d.N. Infine la disposizione circa le armi chimiche come e stata redatta non ha valore; interdirsi l'uso delle armi chimiche, sotto condizione di reciprocità, vuol dire che le armi chimiche scapperanno ad ogni limite e ad ogni controllo e in caso di guerra verranno sicuramente usate. La Commissione non ha voluto interdirne la fabbricazione ne proibire la preparazione militare per l'impiego delle armi chimiche ne per il lancio di bombe dagli aeroplani. E ciò e assai grave. Tutto sommato, il lavoro tecnico che la Conferenza del disarmo dovrà affrontare non e né breve né facile; implica problemi seri e tali la cui soluzione in un modo o in un altro può compromettere la stessa limitazione, che e il minimo dei resultati attesi. Ciò non ostante bisogna riconoscere che la sola soluzione, anche incompleta e provvisoria dei problemi tecnici per la limitazione degli armamenti sarebbe tale un passo in avanti, che esso solo meriterebbe la generale aspettazione e gratitudine dei paesi civili.
Purtroppo, i resultati tecnici e i benefici effetti economici e anche morali di una limitazione di armamenti, con delle possibili riduzioni, sembrano ben lontani e quasi irrealizzabili, perché un complesso di fattori politici e psicologici turbano la situazione internazionale e si ripercuoteranno sulla Conferenza del disarmo.
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Una questione, che potrebbe sembrare solamente giuridica o anche tecnica, e che ha invece un aspro colore politico, è quella derivante dall' art. 53 del Projet de Convention, che suona cosi: «La présente Convention ne porte pas atteinte aux disposition des traités antérieurs par les quels certaines des Hautes Parties contractantes ont accepté de lirniter leurs armements de terre, de mer et de l'air, et ont fixé ainsi les unes vis:à-vis des autres, leurs obligations et leurs droits respectifs.a cet égard. Les Hautes Parties contractantes suivantes signataires desdits traités déclarent que les limites fixées.aleurs armements par la présente Convention sont acceptées par elles en fonction des dispositions visées.a i'alinéa précédent et dont le maintien en vigueu est, en ce qui les concerne, une condition essentielle de I'observation de la présente Conventionn. I1 riferimento qui e diretto ai trattati di pace del 1919, che hanno imposto alla Germania, Austria, Ungheria e Bulgaria un vero disarmo. La Turchia non vi è compresa, perché con il trattato di Losanna del 1923 rese invalido quello di Sevres del 1920. Nel fraseggio generico dell'art. 53 sarebbero anche compresi i Patti Navali di Washington e di Londra; ma su questi due nessuna potenza ha fatto riserva, mentre su quelli del 1919 la Germania ha fatto una dichiarazione decisiva; cioè che,essa non sottoscriverà mai una Convenzione del Disarmo che conterrà simile clausola, perché sarebbe per lei sottoscrivere di nuovo al trattato di Versaglia. La maggioranza della Commissione Preparatoria ha giustificato l'art. 53, oltre che per ragioni di chiarezza, per evitare ogni regressione in materia di riduzione di armamenti, ritenendo acquisiti i patti gia intervenuti fin oggi, e anche perché i governi degli altri paesi si sono regolati, nel loro sistema difensivo di dopoguerra, in base alle clausole militari dei trattati di pace. In sostanza le due tesi sono irriducibili, e le dichiarazioni della Germania e quelle contenute nella seconda parte dell'art. 53 rendono molto dubbio l'esito della Conferenza. Nel suo messaggio del l o dell'anno il presidente Hindenburg (3) ha riconfermato il punto di vista tedesco con parole sobrie ma chiare. La Germania, in sostanza, in un patto fra eguali, esige la parità giuridica con gli altri paesi; conseguenza di ciò: o la riduzione degli armamenti dei paesi vincitori proporzionale al livello imposto d a Germania (il che sarebbe un disarmo vero); oppure la facoltà alla Germania, Austria, Ungheria e Bulgaria di raggiungere proporzionalmente il livello che sarà consentito agli altri paesi (il che sarebbe riarmare i paesi vinti). Certo, non può negarsi che la Germania abbia ragione di rifiutare il suo consenso ad una disposizione che, ripetendo implicitamente le clausole militari di Versaglia, consacrano in modo definitivo una sua perma-
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(3) Hindenburg (1847-l934), già popolare maresciallo dell'esercito, fu presidente della repubblica tedesca dal 1925 al 1934. Poco o niente fece per ostacolare la presa del potere da parte di Hitler.
nente inferiorità militare e giuridica. Ma dall'altro lato han ragione i paesi vincitori e specialmente la Francia a non volere d'un tratto e per vie traverse cancellare una delle disposizioni fondamentali del Trattato di Versaglia. L'impasse attuale ha origine del fatto che a Versaglia fu pensato ad un disarmo effettivo; e che oggi invece le condizioni politiche e psicologiche sono cosi mutate, da dubitarsi perfino se gli Stati possono arrivare ad una semplice limitazione degli armamenti. Nel 1919 tutti erano sicuri dell'entrata degli Stati Uniti nella S.d.N. e del patto di garanzia promesso alla Francia dagli Stati Uniti e dalla Gran Bretagna. Con tali premesse, il disarmo imposto ai paesi vinti era un preludio naturale e legittimo del disarmo generale previsto all'art. 8 del Covenant. Avvenne il contrario: gli Stati Uniti rifiutarono di far parte della S.d.N. (4) e di dare qualsiasi garanzia alla Francia. L'edificio di Versaglia perdeva il pilastro principale: si ricorse ad altre formule piu o meno efficaci di garanzia; si sperò sulla entrata della Germania nella S.d.N., su Locarno, sul Patto Kellog. Ma la Francia non perdeva tempo a rifare il suo sistema difensivo sia militare che politico: e con essa gli Stati che sin dal tempo della guerra gravitavano su Parigi: Belgio, Polonia e Piccola Intesa. D'altra parte sorgeva il Fascismo in Italia, eccitando passioni nazionaliste, generalizzando l'educazione pre-militare e rafforzando i suoi armamenti. Stati Uniti e Gran Bretagna prima di arrivare al Patto di Londra (5) minacciavano una gara di armamenti navali, mentre Giappone, Francia e Italia sviluppavano rapidamente l'arma dei sottomarini. In questo periodo la Germania e stata veramente disarmata? La Commissione di controllo cessò il suo compito perché riconobbe che la Germania aveva adempito alla lettera le clausole militari del trattato. Ma non può negarsi, da un lato, che l'educazione fisica della gioventù tedesca abbia nette tendenze militari; e dall'altro che,la costruzione degl'incrociatori di 10.000 tonnellate, con una potenzialità ben superiore al tipo normale, la organizzazione dei Stahlhem (6)' lo sviluppo e perfezionamento eccezionale dell'aviazione civile, i laboratori chimici, diano I'im(4) La Societa delle Nazioni era nata per iniziativa del presidente Wilson. La sua politica pacifista ed internazionalista però aveva incontrato forti resistenze nell'opinione pubblica americana. Nelle elezioni presidenziali del 1920 si era affermato il repubblicano Harding il cui slogan elettorale, in aperta polemica con la politica di Wison, era stato il aritorno alla normalitaw. Gli Stati Uniti avevano firmato cosi una pace separata con la Germania, l'Austria e l'Ungheria rifiutando di far parte della Societa delle Nazioni. (5) I1 patto di Londra, stipulato nel 1930 tra Francia, Inghilterra ed USA, fu essenzialmente un trattato navale concernente una limitazione reciproca di incrociatori e cacciatorpedinieri. (6) Stahlhem, letteralmente C a s c o d'acciaio., organizzazione paramilitare nazionalista che aveva d o r a un grande seguito in Germania. Lo stesso presidente Hindenburg ,ie era membro onorario.
pressione (forse esagerata, ma in fondo non dei tutto errata) cne neppure la Germania perda tempo a riarmarsi; si che quando le clausole militari del trattato di Versaglia saranno cadute, essa d'un tratto potrà raggiungere il livello e la potenzialità militare dei suoi avversari. In queste condizioni di fatto, tutti i Governi han sentito il pericolo enorme di lasciar libera la corsa agii armamenti, specialmente quando si sviluppa presso le popolazioni la psicologia morbosa delia insicurezza e dal sospetto reciproco. L'idea della Conferenza del Disarmo e stata quindi accettata come unico mezzo possibile per arrivare a fermare gli aimamenti ad un limite convenzionale in base ad un sistema politico di garanzie reciproche. Ecco la differenza delia psicologia del 1919 e di quella del 1932, e la ragione che allora si pensasse del disarmo effettivo, ed oggi solo ad una effettiva limitazione. Per arrivare alla concezione del 1919, cioè fissare per tutti il livello degli armamenti imposti ai paesi vinti, occorre ancora rifare il cammino fino a trovare un nuovo sistema di garanzie adatto alle attuali condizioni politiche e psicologiche internazionali. Fino a che questo nuovo sistema non e trovato, nessuna potenza vincitrice rinunzierà alle clausole militari di Versaglia e degli altri trattati di pace. Come uscire da questo circolo vizioso? E' possibile trovare un compromesso? Noi lo crediamo possibile. Bisogna premettere che, secondo il modo retto e chiaro di interpretare le clausole militari di Versaglia, il fatto che non fu stabilito alcun limite di tempo al disarmo della Germania, tranne quello della sua ammissione nella Società delle Nazioni, con solo l'obbligo di osservarne le decisioni consiliari a questo riguardo (Art. 165), non poteva avere per significato che la inferiorità militare della Germania fosse perpetua; ma che dovesse adattarsi alle condizioni generali, sino a che anche le altre nazioni fossero in grado di arrivare al disarmo previsto dall'art. 8 del Covenant. Cioè un disarmo fisso (quello dei paesi vinti) di fronte a un disarmo progressivo (quello degli altri paesi) fino ad incontrarsi nella reciproca parità. Regolatrice di questo dinamismo la società delle Nazioni, entro il cui Consiglio la Germania doveva essere in grado di approvare essa stessa i successivi provvedimenti. I1 compromesso, perciò, dovrebbe escludere una qualsiasi riconferma del trattato di Versaglia, anche indiretta, e intesa a consacrare una inferiorità permanente, che non sarebbe compatibile con nessuna retta concezione giuridica; e d'altro lato dovrebbe marcare il limite degli armamenti dei paesi vinti come un termine verso cui orientare in un tempo non ancora precisabile il disarmo generale. Se la Germania prendesse l'iniziativa di un tale compromesso, riconoscendo che essa e moralmente, più che giuridicamente, legata a tenere basso il limite degli armamenti, l'effetto psicologico sarebbe immenso. Solo potrebbe obiettarsi, dopo gli errori politici fatti dalla Germania in
questo campo, il celebre verso: Timeo Danaos et dona ferentes! Lo farà la Germania? L'accetterà la Francia e con essa il Belgio, la Polonia e la Piccola Intesa? Faranno obiezioni gli altri paesi? Forse si troverà un altro tipo di compromesso, che la Germania, incalzata dalla crisi economica, sara costretta ad accettare. Ma bisogna evitare, dall'una parte e dall'altra, nella sostanza e nella forma, che alla Conferenza del Disarmo vi siano paesi costretti e paesi che costringono. La parità morale è la base necessaria per arrivare a quella giuridica e politica.
I1 compromesso qui prospettato sull'art. 53 del Projet de Convention, toglierebbe uno dei principali ostacoli alla riuscita della Conferenza, e aprirebbe la via per potere seriamente affrontare l'altro ancora più grave problema, quello della sicurezza. Mentre per la Germania il problema basilare e la eguaglianza, per la Francia il problema basilare e la sicurezza. Nessun passo sulla via del disarmo sara possibile, se la Francia e relativamente i paesi che gravitano verso la Francia, non abbiano ulteriori garanzie effettive per la loro sicurezza. La semplice inferiorità militare dei paesi vinti, loro non basta; non bastano gli attuali patti di Locarno e di Parigi. Hanno ragione? Hanno torto? E' facile rispondere che torti e ragioni sono spesso divisi. Nel caso presente ci sono evidenti fattori morali e politici, che da dieci anni ad oggi hanno indebolita tutta la struttura europea ed hanno quasi distrutta la confidenza reciproca fra gli Stati. Nessuna meraviglia se la Francia, ed essa principalmente, insista per avere una maggiore ed effettiva sicurezza. La sicurezza non e una realtà assiomatica e statica, la sicurezza e anzitutto stato d'animo. Sotto questo punto di vista, ogni paese ha il suo stato d'animo, formato da un complesso di fattori reali, ideali, immaginari, sentimentali, che nessun altro paese può controllare. Anche se i fattori reali siano insufficienti a determinare una sicurezza effettiva, se gli stati d'animo di due popoli in contatto e rapporto coincidono e equilibrano, la sicurezza è completa. Al contrario, qualsiasi condizione reale, che non arrivi ad equilibrare gli stati d'animo reciproci, non contribuirà mai alla effettiva sicurezz&. Fra gli Stati Uniti e il Canada basta un trattato, anzi la parola, a garantire il confine: non un soldato, non un cannone; una linea ideale insuperabile. Una Francia armata, invece, si sente insicura e teme una Germania disarmata. Uno degli errori di molti, specialmente francesi, e quello di pretendere una sicurezza materiale fissa e statica. La realtà è dinamica, e la sicurezza, che e una combinazione di reale e di psicologico (più psicologico che
reale) è doppiamente dinamica. Cambiano gli elementi della vita, cambiano i punti di riferimento, cambiano anche i motivi di sicurezza. Basare questa sopra un ordine politico giuridico statico, acquisito neiia sua pienezza e percio immutabile, è un voler trasformare il dinamismo della vita in una realtà pietrificata. I fatti stessi, dai trattati di pace in poi, han dato a questa concezione una continua smentita. Intendiamoci: un ordine politico internazionale è necessario; quest' ordine oggi non è più lasciato al gioco deiie libere forze individuali di ciascuno stato, ma è prodotto da una cooperazione permanente fra gli Stati; ma quest'ordine E anch'esso dinamico e si adatta allo sviluppo delle varie forze morali e materiali della vita dei popoli. . . La Conferenza di pace ha detto la prima parola di questo ordine europeo, il suo sviluppo è affidato alla permanente e vigile cooperazione degli Stati. Quel che marca la differenza fra l'oggi e il passato si e che, fino alla grande guerra, l'equilibrio tra l'ordine stabilito e il dinamismo della vita dei popoli ,era regolato da alleanze o da guerre; oggi invece è regolato dalla Società delle Nazioni e da un Patto che esclude le alleanze offensive e le guerre. E poiché le alleanze offensive e le guerre sono provocate per lo più dalla violazione dei diritti di nazionalità o da interessi coloniali in contrasto o da bisogni economici e demografici o da trattati divenuti ineseguibili; cosi la S.d.N. è stata investita del diritto di rivedere i trattati, di tutelare le minoranze, di sorvegliare i mandati coloniali, di coordinare gl'interessi economici dei paesi associati in armonia con gli altri paesi non ancora soci. La revisione dei trattati è stata considerata fin oggi come un'arma pericolosa, e non come una valvola di sicurezza da sostituire la guerra. Di fronte all'agitazione dei paesi vinti per la revisione dei trattati di pace, si e risposto con l'affermazione che ogni tentativo di revisione sara la guerra. Non si può negare che la revisione dei trattati, pura e semplice, sia un'arma pericolosa, che solo potrebbe usarsi quando l'attuale ordine internazionalesarà consolidato, e la tendenza verso la guerra (purtroppo ancor viva) sara di più in più attenuata. La revisione dei trattati dovrà essere un effetto dell'ordine internazionale, non può mai esserne una causa, perché ogni revisione toccherebbe pretesi diritti e sentimenti profondi di ambo le parti. D'altro lato non si può disconoscere che i trattati di pace contengano delle ingiustizle e degli errori, che dovranno essere riparati, per evitare che il malumore dei popoli vinti divenga esso stesso pericoloso e che l'acutizzarsi delle questioni non provochi quella guerra che vorrebbe evitarsi. Due vie aperte vi sono per impedire che l'ordine internazionale attuale sia turbato: quella della maniera forte (come fu, per esempio, l'occupa-
zione della Ruhr) (7) - ovvero la intesa di compromesso, che concili la stabilità dell'ordine internazionale con le esigenze morali,politiche ed economiche dei vari paesi. Nessun uomo ragionevole rifiuterà di seguire la via della intesa di compromesso, sol che si appalesi tale da conciliare le opposte tendenze ed ottenere pratici risultati. Del resto,. si è fatto altro che seguire questa via nella questione delle Reparazioni, dopo il fallimento della maniera forte, con la occupazione della Ruhr? Prima il Piano Dawes (8); poi la Conferenza dell'Aja (9) e il Piano Young (10); indi la moratoria Hoover (1 l ) , e oggi siamo alla quarta tappa, la Conferenza di Losanna (12). Revisione? Compromesso? Chiamiamolo compromesso per non usare la parola irritante revisione. In fatti, si tratta di soluzioni provvisorie e graduali (evidentemente insufficienti) di una crisi ex-novo, che nessuno si prospettò quando nel 1919 si organizzo il cosidetto sistema economico di pace. Onde al motto: pacta sunt servanda, si dovette rispondere: ad impossibile nemo tenetur. Mentre i problemi economici dei trattati di pace sono maturati rapidamente, si da compromettere la stessa sicurezza e tranquillità del mondo intero, si può dire che i problemi politici posti dai trattati di pace siano maturi per una revisione e soluzione ex-novo? Germania e Ungheria lo credono fermamente, Austria e Bulgaria hanno le loro aspirazioni; ma ad essere sinceri, occorre dire che fino a che i problemi economici non sono risoluti e fino a che ildisarmo non e realizzato, ogni rivendicazione politica che si solleva, sarà un aggravare non un attenuare e migliorare la situazione generale, sia dei paesi vinti che dei paesi vincitori. La sicurezza che molti reclamano per la tutela efficace dell'attuale ordine internazionale, sarà il migliore coefficiente per la ulteriore soluzione dei problemi politici oggi insolubili. Perche oggi ogni tentativo di alte(7) L'occupazione della Ruhr avvenne ad opera di truppe franco-belghe 1'1 1-1-1923. Fu la risposta afortew della Francia di Poincare alla dichiarazione del governo tedesco (12-7-1922) di non poter eseguire lo stato dei pagamenti del 1921. L'Inghilterra, che voleva un atteggiamento piu indulgente, non condivise tale iniziativa. (8) Il Piano Dawes sanci, nel 1924, una riduzione notevole della cifra delle riparazioni stabilita dallo stato dei pagamenti del 1921. (9) La Conferenza dell'Aja il 30-8- 1929 decise che l'evacuazione della Renania sarebbe dovuta iniziare nel settembre 1929 e terminare entro il 30 giugno 1930. (10) I1 Piano Young (7-6-1929) ridusse ancora, rispetto alle decisioni del piano Dawes, la cifra delle wriparazioniw riguardanti la Germania. Nel progetto di tale piano le annualiti avrebbero dovuto essere pagate fino al 1988. ( I 1)La moratoria ~ooier-fuuna conseguenza della grave crisi economica mondiale iniziata col crollo di Wall Street. Il presidente americano. Hoover, ascoltando I'aowllo lanciatogli da Hindenburg, propose una moratoria generale di tutti idebiti intergov&nativi per il periodo dal 1 luglio 1931 al 30 giugno 1932. (12) La Conferenza di Losanna (16 giugno - 9 luglio 1932) decise che la Germania, dopo aver pagato ancora un saldo di 3 miliardi di Reichsmark ed alcune prestazioni in natura, sarebbe stata esentata da tutte le altre riparazioni. In effetti la Germania, ormai in mano ad Hitler, non pagò neanche questi ultimi soldi.
rare l'ordine attuale provocherebbe la guerra; e in condizioni di maggiore sicurezza non provocherebbe la guerra. Pertanto, oggi sarebbe dovere della Germania (e degli altri paesi vinti) andare alla Conferenza del disarmo senza arrière-pensée, dando la più larga cooperazione per arrivare ad un sistema di sicurezza politicamente possibile e psicologicamente reale. E' vero che alla Conferenza del disarmo non si tratteranno problemi politici, ne si solleved la questione della revisione dei trattati; ma se I'atmosfera esterna della Conferenza sara turbata dalie agitazioni politiche dei partiti e dalle affermazioni revisioniste degli uomini responsabili, mancherà la tranquillità necessaria per amvare a risultati concreti. Invece, se i paesi vinti comprenderanno quale vantaggio reale sara per loro stessi e per tutto il mondo ridestare la fiducia reciproca e creare la psicologia della sicurezza, si da credere che mai essi ricorreranno alla guerra per ottenere la revisione dei trattati, e che tale revisione non sarà invocata (non entro termine fisso ma almeno fino a che la crisi,economica tormenterà il mondo e fino a che lo spirito di rivincita turberà la Germania); allora si potrà bene sperare della prima Conferenza del disarmo. I tedeschi troveranno queste pagine, a proposito dell'art. 53 del Projet du Desarmement e a proposito della psicologia della sicurezza, in contrasto con le loro direttive politiche e le giudicheranno, come purtroppo spesso avviene, francofile. Però mi piace loro ricordare un recente articolo del 26 novembre scorso del barone Carl Oskar von Goden pubblicato nei Die Rhaduvschi Maiuzch Zeitung Frankfurt, dove questi accusava i leader dei partiti governativi di non aver avuto il coraggio di parlar chiaro al popolo, e far comprendere che oggi ogni tentativo di revisione dei trattati sarebbe la guerra. I1 popolo tedesco si e illuso ora per l'atteggiamento dell'lnghilterra, ora per le declamazioni del Duce fascista (l3), o per i messaggi del Senatore Borah (14). Non si nega il diritto consacrato nell'art. 19 del Covenant; si nega la possibilità pratica e la utilità dei resultati di una revisione dei trattati fatta nelle condizioni presenti; si nega che ciò possa contribuire alla psicologia di sicurezza, di cui si ha bisogno; si nega infine che ciò sia immediatamente necessario alla pace dei popoli. Se, come si spera, la lezione della crisi economica attuale i paesi a rivedere il problema dei confini doganali, delle tariffe, del proibizionismo reciproco e dell'isolamento di ciascun paese, per orientarli verso alleanze doganali e verso un regime di libertà, nell'interesse delle reciproche economie; e se I'esito della Conferenza del Disarmo sara positivo (13) I1 5 giugno 1928,Mussolini si dichiarò apertamente favorevole alla revisione dei trattati di pace. uveternità di un trattato - affermò - significherebbe che ad un certo momento l'umanità, per qualche prodigio mostruoso, sarebbe stata soggetta alla mummificazione, cioè, in altri termini, sarebbe mortan. (14) Presidente della Commissione degli affari esteri del Senato del governo americano.
e darà luogo a un miglioramento nella psicologia della sicurezza, allora i problemi territoriali e di nazionalità che ora agitano i paesi vinti, avranno un valore minore, e non saranno ingigantiti dall'urto di razza fra popoli avversi. Ci sono, nella vita collettiva, certi processi logici che, trasmutatisi d'un tratto in fattori psicologici arrivano a creare stati d'animo insuperabili. E' il caso della definizione dell'aggressore. Logicamente, avendo messo la guerra fuori legge e avendo basato il dinamismo dei popoli sulla cooperazione permanente e organica degli Stati, l'aggressore dovrebbe essere trattato come è trattato il criminale. Occorre pertanto definire 1' aggressore allo stesso modo che è definito il ladro o l'assassino. Questa è la logica: ed ecco che la psicologia dei popoli si impadronisce di questo processo logico e ne fa un elemento della psicologia di sicurezza. Dal protocollo di Ginevra del 1924, anzi da prima del protocollo di Ginevra, ad oggi, si reclama la definizione dell'aggressore come un elemento di sicurezza. Nella crescente e varia costruzione postbellica del diritto internazionale, con la condanna della guerra di aggressione, la figura dello Stato aggressore ha avuto una, benché incerta e implicita, disegnazione giuridica: i lineamenti sono stabiliti. Ma ciò non basta; occorre che siano precisate quelle formalità, la cui violazione, indipendentemente dal merito delle questioni, dia la caratteristica dell'aggressione. Ciò non può cristallizzarsi in termini giuridici senza una convenzione ad hoc. Solo allora potrà essere individuato il caso di aggressione e comportarne tutte le conseguenze. Le varie disposizioni del Patto della S.d.N. e l'affermazione del Patto Kellog, benché implicitamente suppongano un aggressore, non arrivano a ben definirlo. Alla vigilia della Conferenza del disarmo si sente la necessità di arrivarvi; non solo come conseguenza logica dell'edificio che si va costruendo, ma come fattore psicologico della sicurezza internazionale. La definizione dell'aggressore non è un'esercitazione di giustizia, è un pratico risultato, che mette gli Stati sottoscrittori del Patto della S.d.N. e del Patto Kellog di fronte alla necessità di fare ancora un passo nel cammino della logica delle idee e dei fatti, cioè a dichiarare che non ci sarà più neutralità nel mondo civile, perché non ci sarà più la guerra di aggressione. Questa idea deriva dallo stesso protocollo di Ginevra. Da più anni W. Steed (15) la sostiene vigorosamente; ed è stata ripresa a Ginevra nel (15) Giornalista inglese (1871-1956) fu corrispondente del Times a Berlino, Roma e Vienna, divenendo in seguito direttore del famoso quotidiano. Svolse azione contraria al pangermanesimo denunciando il nazifascismo e le sue tendenze imperialistiche. Fu grande amico di Luigi Sturzo.
settembre scorso da Madariaga (16). Essa fu svolta nel n. 2 di Res Publica dallo stesso Steed. Qui vi si accenna solo per rilevare come l'idea
della definizione dello Stato aggressore e legata a quella della difesa collettiva dello Stato aggredito, da parte degli Stati consociati. Si teme che questo legame trascini tutti alla guerra generale, ed e questo un timore falso. Invece il legame suddetto sarà il più forte ostacolo a che uno Stato s'induca a promuovere una guerra. Non possiamo concepire la definizione dello Stato aggressore, senza la contemporanea limitazione e riduzione degli armamenti e senza il controllo internazionale per la esecuzione dei patti di disarmo. Una volta arrivati a questa conquista reale sulla via della pace, lo Stato che pensasse di ricorrere alla guerra si troverebbe, novantanove volte su cento, in condizioni di assoluta inferiorità di armamenti, di mezzi economici e di supporto morale, di fronte a tutti gli altri Stati, che a mezzo di un organo internazionale lo designerebbero come aggressore. Forse si potrebbe pensare al centesimo caso in cui i vantaggi reali delia forza materiale fossero dal lato dell'aggressore; ma questo caso suppone già creata una tale egemonia da parte di un solo Stato, come quella del]' Impero romano, per via di cause così profonde, da avere di già rovesciato l'attuale ordine internazionale. In tale ipotetico caso il mondo sarà diverso: e ci penseranno i contemporanei a regolarsi di conseguenza. Purtroppo, di fronte alla psicologia di sicurezza, che richiede la definizione dell'aggressore e che la concepisce in un mondo ove la neutralità sia effettivamente scomparsa, esiste l'altra psicologia, quella dell'isolamento per paura di essere implicati in una futura guerra. E' stata questa la psicologia della Gran Bretagna del 1925, che non volle ratificare il protocollo di Ginevra; e stata questa la psicologia degli Stati Uniti che, nel 1928, non vollero aggiungere nessuna sanzione giuridica al Patto Kellog. Il mondo Anglo Sassone (Dominions compresi) non e un mondo logico, .ma pragmatico. Un impegno per un avvenire ignoto, che possa legare i loro Stati al di là degl'interessi del momento dato, e contrario alla loro psicologia tradizionale e alla loro tradizionale.politica. Ma sono essi i piu convinti sostenitori del disarmo, e coloro che, per le attuali condizioni economiche, ne sentono più fortemente la necessità immediata. Anche qui occorre arrivare a un compromesso, come per i casi precedentemente studiati. Le visioni complete e ardite sono dei pochi; i molti hanno bisogno di esservi condotti sperimentalmente e gradualmente. Dire agli americani e agl'inglesi che essi non potranno piu essere dei neutri, per quanto questa sia una verita dinamica, - alla quale si arriverà volenti essi o nolenti, - e oggi dire una verita quasi incomprensibile. Ma dire invece che e un bene per tutti definire giuridicamente lo Stato aggressore e lasciare alla S.d.N. di applicare, nel caso sorgente, le sanzioni dell'art. ( 16) Scrittore e diplomatico spagnolo ( 1886- 1969) fu ambasciatore a New York e delegato alla Società delle Nazioni.
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16 del Patto, in quanto già un'obbligazione acquisita, ciò sarà un buon punto di partenza per un reale ed effettivo compromesso. Sappiamo bene che i francesi, logici e giuristi quali sono, non troveranno tale compromesso soddisfacente; essi hanno poco fiducia nel dinamismo storico, essi hanno più fiducia alla carta scritta, come quel contadino che diceva: carta cantar in canna; ma essi dovrebbero sapere, per averlo sperimentato a proposito delle riparazioni, che la realtà è più forte della carta scritta. Francia e Inghilterra, Germania e Stati Uniti debbono sforzarsi di trovare sul terreno della definizione dell'aggressore e delle garanzie contro l'aggressore una reale intesa. Notiamo questi quattro Stati come i-pilastri principali dell'ordine internazionale; non escludiamo nessun altro Stato, perche la cooperazione internazionale oggi dovrà essere completa. I1 momento è cosi oscuro, gli animi sono cosi turbati, che senza uno sforzo di comprensione reciproca, e di cooperazione efficace, si andrà verso un affondamento della civiltà occidentale. Per questa ragione la Conferenza del disarmo e guardata coi sentimenti contrastanti di speranza e di timore; speranza se riesce e timore se fallisce; ed e perciò che l'aspettazione generale supera enormemente la portata pratica dei risultati immediati che potranno realizzarsi.
Oggi questo stato d'animo di aspettazione e il fervore di battaglia che suscita fra le diverse correnti politiche, ha hinc et inde qualche cosa di morboso. Tutti dicono di volere la pace e nessuno di volere la guerra: e, in via di massima, tutti meritano credenza. Però, al momento di arrivare alla pratica, gli uni, gl'internazionalisti e i pacifisti, con la migliore delle intenzioni e con una visione larga del futuro, domandano troppo oggi alla Conferenza del disarmo, e resteranno delusi dell'esito. Gli altri, i nazionalisti ad oltranza e i militaristi, gli adoratori della forza armata come unico mezzo di ordine e di sicurezza, grideranno al tradimento dell'interessi del proprio paese sol che si diminuisca di un cannone o di un soldato il proprio esercito. I primi vorrebbero subito la parità fra paesi vinti e vincitori; gli altri vorrebbero condannare i paesi vinti a perpetua inferiorità. Gli uni vorrebbero la sicurezza come effetto del disarmo; gli altri il disarmo come effetto della sicurezza. Questa psicologia, che prepara e che accompagnerà la Conferenza del disarmo, ebbe una manifestazione clamorosa alla fine di Novembre al salone del Trocadero, ove il cozzo delle tendenze turbò la riunione internazionale a favore del Disarmo, promossa in occasione di un Congresso preliminare tenuto a Parigi dalle delegazioni di oltre trenta paesi. Oggi tutti i partiti, dove possono ancora parlare, cercano di precisare le loro direttive circa la Conferenza del disarmo. Le varie Chiese di tutti i paesi indicono preghiere e fanno voti per la riuscita della Conferenza.
Nel conflitto delle tendenze, il Papa ha ricordato gli atti suoi e quelli dei suoi predecessori sul disarmo e la pace, benché oggi Egli si sia astenuto da una ulteriore formulazione, perché, a causa della passionalita politica del momento, le sue parole sarebbero state fraintese pro o contro le tesi che oggi si dibattono. Di fatti, questo avviene in Francia per le varie lettere episcopali, che i giornali di destra tirano a loro vantaggio sol perché parecchi vescovi, anch'essi per non essere fraintesi, parlando della pace e del disarmo, accennano anche all'amore della patria (che nessuno mette in dubbio) o alla necessita della difesa in caso di aggressione (che non è in discussione) o all'onore dell'esercito (che ogni paese ha cura di non far toccare). Tutto ciò dimostra quali siano le psicologie in contrasto, mano mano che si arrivi al momento critico della Conferenza. Certo, questo spirito di aspettazione generale e di battaglia passionale di correnti è più adatto a costringere i governi a concretizzare delle decisioni positive, nella prossima Conferenza, che non sarebbe invece uno stato di apatia e di indifferenza. Però bisogna essere fin da ora preparati alle possibili delusioni e alle più dolorose sconfitte ( l 7), per potere dire immediatamente che la campagna per il disarmo continua. La Conferenza del 1932 non è che un saggio, una tappa, un tentativo, un inizio, e nulla di più., Abbiamo con chiarezza prospettate le principali difficoltà tecniche e gli ostacoli politici che si frappongono al disarmo (nel senso oggi usato) e quale secondo noi è la via per arrivare a risultati semplicemente iniziali. Bisogna non illudersi né illudere. La conquista della pace è più difficile della vittoria di una guerra. I1 cammino e aspro e lungo. Le idee si fanno strada lentamente. La crisi economica attuale agevola la comprensione della necessita di intesa e di parità fra paesi vinti e vincitori, fra debitori e creditori, tra forti e deboli. E' una grande lezione che ci manda la Provvidenza, e bisogna ascoltarla. In ogni caso, coloro che la intendono hanno l'obbligo di persistere nel loro programma e nella loro azione. Per noi, quali saranno le decisioni della Conferenza di Ginevra per la limitazione e riduzione degli armamenti, esse costituiranno un nuovo punto di partenza per arrivare al vero e reale disarmo morale e materiale e a una intesa pacifica dei popoli nella eguaglianza dei loro diritti e dei loro doveri. Cammino lungo ma realtà dell'avvenire. (1 7) La Conferenza, paralizzata dalla diversità di ppsizioni tra la Francia, che temeva la Germania ed invocava una linea energica e l'Inghilterra, che cercava una collaborazione a tutti i costi con una Germania sempre piu egemonizzata dai nazisti, si trascino lentamente avanti sino all'aprile del 1935 concludendosi con un nulla di fatto. Sull'andamento dei lavori cfr. J. B. DUROSELLE, Storia diplomatica dal 1919 al 1970. ed. deU'Ateneo, Roma 1972 pp. 147-53 e R.A.C. PARKER,Il XX secolo: 1918-1945, Feltrinelii, Milano 1969 pp. 257-60.
INQUIETUDINI E ORIENTAMENTI (*) 1. Nella politica interna degli stati europei notiamo tre fattori principali di inquietudine: la disoccupazione operaia, la prevalenza delle tendenze estreme, la debolezza dei governi. La disoccupazione operaia ha il primo posto, fra le inquietudini, nei paesi industriali come la Germania e l'Inghilterra (non parliamo degli Stati Uniti d'America). Ma il fenomeno, benché più o meno esteso, e pur grave negli altri stati, anche in Francia, che per molti anni e stato quasi l'unico sbocco della mano d'opera estera, italiana, polacca e spagnola. Non e un fenomeno nuovo quello della disoccupazione; l'Italia tra il 1880 e il 1900 conobbe il maggiore esodo di operai e contadini verso il nord Europa e il nord e sud America; polacchi tedeschi e irlandesi anch'essi han dato per lungo tempo un largo contingente all'emigrazione per ricerca di lavoro. I1 fenomeno d'oggi e caratterizzato dalla sua estensione simultanea in tutto il mondo e dalla sua crescente intensità (1). La crisi mondiale, quella incominciata nel 1.929, ha solo aggravata la disoccupazione, che, nella forma presente, puo dirsi sia incominciata con la smobilitazione degli eserciti combattenti e con l'impulso dato alla razionalizzazione della produzione. Ma quali esse siano le cause dirette o indirette, remote o recenti, oggi la disoccupazione si presenta come un aspetto, e certo il più grave, della crisi economica attuale. La mancanza di prospettiva immediata di lavoro e la quasi nessuna speranza di una prossima ripresa, opprime gli animi di milioni e milioni di disoccupati. Questo stato d'animo e moralmente cosi dannoso alla psicologia sociale, quanto e più è dannosa l'inerzia fisica che fa perdere a molti l'allenamento al lavoro. La giovent6, che in massa ogni anno arriva all'età del lavoro, senza che nessuno utilizzi le loro braccia ed educhi allo sforzo quotidiano di un'utile attività fisica, ne resta demoralizzata. E' facile cominciare ad odiare la società e a sviluppare gli istinti perversi, quando non si ha uno scopo utile nella vita. Quali essi siano i mezzi pubblici e privati per soccorrere le famiglie dei disoccupati (assicurazioni, sussidi, cucine economiche e simili) il fatto che oggi vi e una massa di gioventù che tra i venti e i trent'anni
(*) Pubblicato su Res Publica, Bruxelles, febbraio 1933.
(1) Secondo i dati della Società delle Nazioni la disoccupazione nei paesi piu industrializzati nel 1932 supero i 25 milioni di unità, cifra cui bisogna aggiungere i milioni di lavoratori agricoli e di contadini che, se non disoccupati, erano occupati quasi ovunque solo parzialmente (cfr. L. De ROSA, La crisi economica del '29, Le Monnier, Firenze, 1979, pp. 22-4).
(1923- 1932) non ha lavorato quasi mai, E di una gravità psichica e sociale che non ha l'uguale. L'emigrazione non e più uno sbocco, in nessun paese si desiderano operai stranieri; dappertutto sono chiuse le porte. Le imprese private diminuiscono di numero e di efficienza come diminuisce la potenzialità di acquisto e la facilita dei commerci. Le proposte del B.I.T. (2), anche se accolte, il che e assai difficile, non saranno certo un gran riparo al male che cresce. La prima proposta (del B.I.T.) sarebbe la riduzione del lavoro delle officine a 40 ore settimanali; secondo alcuni ciò porterà un aumento di almeno un decimo dell'attuale numero di operai industriali, secondo altri (sia che i salari rimarranno identici sia che diminuiscano) la conseguenza sarebbe che o diminuira la produzione che non potrà portare il peso di un aumento di salari, o diminuira il potere di acquisto di operai mal pagati. In ogni caso non si avrebbe il desiderato vantaggio di un maggior numero di mano d'opera. L'altra proposta e quella dei grandi lavori pubblici internazionali di utilità generale. A parte le difficoltà finanziarie e tecniche, la proposta darebbe qualche risultato, ma non si crede possa avere né immediata ne larga applicazione. Alcuni stati, come l'Italia, ricorrono ai lavori pubblici statali o provinciali (3); in Germania si è ricorso al lavoro volontario, specie di recluta; mento militarizzato che fin oggi non e che un esperimento politico. Anche là dove è possibile dal punto di vista tecnico e ambientale, la formazione di più squadre di lavoro con turni alternati e servita a sostenere la psicologia di masse disoccupate e a impedirne le manifestazioni tumultuarie; però gli effetti sulla classe operaia non sono realmente vantaggiosi. Molti gridano, specialmente in Inghilterra, il ritorno alla terra; ed hanno ragione, certo per l'Inghilterra. Ma anche qui s'impone il sistema della gradualita nella educazione tecnico-professionale,dei mezzi economici sufficienti per non creare altri motivi di crisi e formare un nuovo esercito di disillusi e di spostati. C'e chi propone di ricorrere alla eliminazione della donna dal lavoro impiegatizio e operaio per farla ritornare al lavoro domestico, ma a parte considerazioni di ordine giuridico e tecnico, il problema della donna al focolare richiama l'altro del salario familiare. Questi accenni bastano per fare vedere come, per quanto possano essere parzialmente utili i rimedi diretti per attenuare il fenomeno delia di(2) Bouree International de Travail (organizzazione internazionale del lavoro). (3) La proposta di un aumento delle spese governative per i lavori pubblici fu uno dei cardini del New Deal di Roosevelt; il anuovo corson fu presto imitato da molti altri paesi come antidoto alla disoccupazione di massa creata dalla rgrande crisiw. In Italia il 23 gennaio 1933 nacque I'IRI, organismo destinato ad attribuire nuove responsabilità imprenditoriali allo Stato nella gestione di grandi imprese pubbliche.
soccupazione, questo rimane nella sua imponenza come connesso alla crisi economica, si che solo da una ripresa generale se ne può sperare un'attenuazione sensibile e. con larghi effetti psicologici-sociali. Ma fino a che ciò non sara possibiie, la disoccupazione prenderà un aspetto politico, cioè sboccherà non in una risoluzione che non sarebbe possibile, ma in un diversivo psicologico sul piano dove si agitano i piu gravi problemi sociali. ,
2. Non e solo la disoccupazione che spinge verso i partiti estremi, ma la disoccupazione allo stato diffuso e ogni ora crescente, accentua le tendenze politico-sociali estremiste. Sfiducia nell'ordine attuale, reazione contro una societa incapace di risolvere i problemi della vita quotidiana, eccitamento verso soluzioni avveniristiche, tutto spinge agli estremi di una negazione o rivoluzionaria o reazionaria. Intendiamoci: non si dà societa in concreto, che non abbia elementi di turbamento e spinte sociali verso i due estremi. Ma nei periodi di crisi profonde, come quella che oggi noi attraversiamo, simili elementi ingigantiscono e possono divenire assai dannosi, proprio come certi bacilli, che vivono in noi allo stato latente, ma quando capita un'influenza (ne e l'epoca) acquistano per essa una virulenza straordinaria. I1 male che noi denunziamo come uno dei motivi di inquietudine non e l'esistenza dei partiti e delle correnti estreme, è solo il loro sproporzionato accrescimento di efficienza a danno dei partiti e delle correnti medie; perché nella dinamica sociale, il fattore precipuo di stabilità e di progresso e dato da una continua risoluzione equilibrata delle propulsioni degli estremi verso un'equazione media; e ciò sia come valore psicologico-morale, sia come valore economico-politico. Ogni societa per essere tale deve avere un ordine, e questo per quanto e possibile deve essere stabile e al tempo stesso progressivo. Se e solo stabile senza progresso, avremo le societa statiche di caste diverse prive di dinamismo, ma se è progressiva senza stabilità, allora ogni acquisto morale economico e politico viene facilmente disperso. Ecco perché, nella economia interiore di ogni stato occorrono le spinte dai lati per una risoluzione intermedia. Questa funzione di mediazione spetta naturalmente alle correnti o forze o partiti o classi medie, cioè a quei fattori che per una posizione acquisita e riconosciuta tale sono in grado di utilizzare le forze sane che si sviluppano ai due lati e che lasciate a se mancherebbero di equilibrio. Se qui parliamo di classi medie non vi diamo il senso stretto di classi economiche, ma quello assai più largo di forze sociali. In ogni societa una classe diviene intermedia fra le altre solo in quanto polarizza in se le forze che stanno agli estremi. Onde in ogni epoca storica variano le classi intermedie, come varia la funzione di esse, non solo nel campo economico, bensì e piu nel campo politico, morale e sociale.
Nei regimi parlamentari le forze sociali si esprimono in partiti, ma i partiti non sono mai né la totalità né la prevalenza delle mrze e delle classi sociali, ne sono solo un lato; e per lo più la loro attività si esplica sul piano parlamentare. Ma quando invece i partiti si sviluppano largamente sul piano sociale, come sono in genere i partiti organizzati e di massa (socialisti-cattolici-fascisti-comunisti), allora la loro funzione si allarga e si esprime in una più vasta zona di interessi morali e materiali. Anche i partiti tendono sul piano parlamentare ed elettorale a quella che abbiamo chiamata continua risoluzione delle propulsioni degli estremi verso un'equazione media; questo avviene qualunque sia la formazione di una maggioranza parlamentare. Ogni partito al potere e quindi ogni governo tende per sua natura a divenire l'intermediario fra la maggioranza e l'opposizione. Se poi non vi riesce owero s'irrigidisce nella lotta, per l'attuazione di un programma estremo, questo è episodico e transitorio, per tornare di nuovo verso le espressioni medie di equilibrio e di attività normali. Ora auando le forze medie o tendenti alla mediazione sono affievolite. sia ciò nel vasto campo della vita politica, sia in quello più speciale dell; attività elettorale o parlamentare; allora l'organismo sociale soffre del disquilibrio inevitabile tra le forze estreme e le centrali. Il male presente è proprio questo: non c'è più, in quasi nessuno stato, l'equilibrio delle forze verso una medianità realizzatrice. Le correnti e le forze estreme di destra o di sinistra si sono ingrandite a danno di quelle medie; cause morali ed economiche ne spiegano il fenomeno, che però rimane il più grave di tutti i fattori di dinamica sociale. Si suole dare la colpa all'istituto parlamentare owero al sistema elettorale o ad altro meccanismo politico. Si parla di crisi della democrazia, si agita lo spettro del bolscevismo e del fascismo, ovvero (peggio) queste forze estreme liberate da ogni freno sociale s'invocano come rimedio. Sono questi effetti del male profondo che travaglia oggi gli stati, ci& dell'attenuazione o disoccupazione delle forze medie, siano queste forze economiche morali o politiche; per cui i contrasti non sono più risoluti sul piano normale e gradualmente pro'gressivo, ma piuttosto sono acuiti nelle continue lotte formali o violente senza per ciò arrivare alle realizzazioni necessarie per la vita sociale. Come quell'ammalato che invece di curare il suo disquilibrio di forze, si abbandona ad un parossismo inane di impazienze, ire e disperazioni.
3. Questa inversione di funzioni tra forze medie ed estreme (che diviene anche. perversione) ha un effetto immediato sui governi: li rende deboli ed instabili. Ogni governo, realmente tale, dovrebbe essere il risultato morale (se non parlamentare) delle forze sociali di mediazione; perché il governo esprime anzitutto il principio di ordine e di autorità e la sua caratteristica e di rappresentare tutto il paese e di garantirne gli interessi morali e mate-
riali. Se questa è una concezione idealistica, che nella realtà non si riscontra facilmente, pure resta sempre una tendenza di normalità; anche quando per il governo di un partito politico gli interessi morali e materiali del paese coincidono con la concezione del proprio sistema politico e con gli interessi delle classi e forze da cui esso emana, e formalmente con il risultato medio dei dibattiti e voti parlamentari espressi dalla sua maggioranza. Quando però il governo non cura la equazione e il rapporto fra il suo partito e tutto il complesso delle forze medie del paese, e diviene governo estremista o di combattimento, allora è facile il passaggio da governo di maggioranza a governo di minoranza, e da governo di minoranza a governo dittatoriale o meglio tirannico. Tutti questi governi sono di natura loro deboli ed inefficaci, anche quando sembrano essere forti ed efficienti, perché essi invece di concorrere all'equilibrio sociale lo alterano o lo distruggono. Si crede, oggi, che le dittature siano governi forti e stabili, e tali da riparare ai mali della instabilità dei governi parlamentari e alla debolezza dei governi democratici. E' un errrore di ottica. Si confonde la vera dittatura alla romana - potere transitorio consentito ad tempus dai poteri costituzionali, per un caso emergente (guerra), e che può paragonarsi al moderno governo di unione nazionale, in cui i consensi di tutti o quasi giustificano la pienezza dei poteri senza le formalità costituzionali con le forme autocratiche e tiranniche. Queste, che non son dittature, ma governi estremi che si sostengono con la forza e l'arbitrio, hanno l'apparenza di governi forti e stabili. Essi agiscono sotto l'impulso della paura e del sospetto, tendono ad annullare anche con la violenza ogni partito o forza o corrente avversaria, opprimono perche si sentono insicuri, aumentano i mezzi di comando perché sono ubbiditi solo per timore; oscillano sempre sotto l'impulso delle cricche dominanti, e danno l'impressione di avere un consenso entusiasta, perché hanno fatto tacere tutti i mezzi liberi di espressione della pubblica opinione. I governi dispotici sogliono abbondare in opere pubbliche specialmente di lusso e di fasto; colpiscono la fantasia; ma non possono compensare con ciò il dissolversi della struttura morale-politica del paese e il disfarsi di tutte le forze medie o nel cortigiano conformismo o nell'ostensione sdegnosa. Chi vuol ritenere il fascismo italiano un governo forte sol perché non ha apparenti contraddittori, e un governo stabile sol perche il suo capo non ha successione, e un governo realizzatore, sol perché fa e disfa molte leggi e istituti, non comprende nulla ne di sociologia ne di politica. Una delle basi forti dei governi e la burocrazia amministrativa, che a stati di antica struttura come la Francia e la Gran Bretagna dà una saldezza incomparabile. Essa e una forza mediatrice anonima ma tradizionale, lenta ma sicura, centralizzatrice e decentralizzatrice allo stesso tempo. In Italia dal 1860 in poi si era formata una classe burocratica
di valore; anche un partito rivoluzionario come il fascismo ci si e dovuto appoggiare quasi interamente, e dove esso ha voluto farne a meno, specialmente nel campo consolare e diplomatico, non ha fatto che guastare e distruggere. In Francia, non ostante il continuo succedersi nella Terza Repubblica di governi più o meno di breve durata (91 in 62 anni) e per di più quasi tutti tendenti all'uno o all'altro estremo, pure lo stato non solo e rimasto saldo, ma si è rifatto della debolezza delle passate monarchie e dittature imperiali, ha formato un impero coloniale di primo ordine ed e divenuto lo stato più potente del continente europeo. Le convulsioni di boulangismo, di antidreyfusismo, di combismo (4) (per non parlare del nazionalismo post-bellico fatto di paure e di incomprensioni internazionali) non sono stati che estremismi di apparenza; rispondevano a stati d'animo di un paese facilmente impressionabile, ma allo stesso tempo fondamentalmente realizzatore. Il difetto della struttura francese non è la mancanza di forze medie nel paese, che invece vi abbondano in tutti i sensi (morale-religioso-economico-sociale), ma la mancanza di espressione politica valida di queste forze medie sul terreno strettamente elettorale-parlamentare. I1 difetto sarebbe tecnico, ma la causa principale ne E la passionalkà e intemperanza politica. Questa oggi e aggravata (come lo fu in Italia prima del fascismo) dalla condotta del partito socialista che vuol restare una forza estrema, mentre la tendenza naturale delle masse e degli interessi che esso rappresenta sarebbe verso una mediazione pratica sul terreno governativo. Esperienza questa già fatta dai laburisti d'Inghilterra e dai socialdemocratici di Germania. In Inghilterra la salda tradizione parlamentare e il governo di gabinetto ha attenuato sempre tutti gli estremismi politici; e lo spirito pragmatista del paese risparmia allo stato le grandi agitazioni passionali. Per questo si dice che il parlamentarismo vi e frutto indigeno, mentre negli altri paesi europei resta un frutto di importazione, che non e mai riuscito ad acclimatarsi del tutto. Ma quel che è veramente caratteristico in Inghilterra e la costante mediazione delle forze estreme nella loro espressione realistica, per il valore di una classe politica che si mantiene a contatto del paese e ne esprime le aspirazioni e gli interessi. E se dopo la guerra vi si nota un disquilibrio, che e andato da sinistra a destra, e perchi il partito liberale, che rappresentava le forze liberiste e radicali, ha perduto in nu(4) Alla fine del secolo scorso la stabilita democratica della 111 Repubblica francese aveva subito una seria minaccia prima da parte del movimento monarchico nazionalista r ; a causa deile polemiche sorte in seguito coagulatosi attorno al generale ~ o u l a n ~ epoi al noto affare Dreyfus, un ufficiale d'origine ebrea accusato ingiustamente di spionaggio. Respinto questo pericolo, nel 1902, coi ministero radicale d i Combes un aliro tipo di estremismo aveva creato problemi d a I11 Repubblica: il governo francese aveva inaugurato una energica politica anticlericale che provoco la rottura dei rapporti diplomatici col Vaticano e lo scioglimento deUe congregazioni religiose.
mero e in valore, principalmente per causa di una tecnica elettorale concepita in funzione del gioco di due partiti alternantisi e inadatta al gioco di tre partiti. La disoccupazione non ha avuto sul terreno politico tutta la sua eficacia deleteria e distruttiva, come in Germania, perché lo stato si è assicurato con il dole (9,perché la gioventù si e distratta con lo sport e perché l'organizzazione delle Trade Unions formano una salda struttura operaia economica e politica, e danno alle élites della classe operaia il modo di divenire forze medie ed elementi di realizzazione sociale. La Germania di Weimar aveva per forze medie i socialdemocratici, il centro dei cattolici e quelli che potevano dirsi democratici liberali. Ma la Germania non poteva trovarsi in un equilibrio costante sia perché queste tre forze autonome e pur collaboranti con il governo o col Reichstag non erano né potevano essere unite al Paese, sia per il naturale disquilibrio della mentalità tedesca acuito dalle tremende crisi della disfatta, sia per il crescere della disoccupazione operaia e infine per la poca educazione politico-democratica di tutte le classi sociali. Conseguenza, i movimenti anarcoidi ed estremisti, che poi si sono incanalati nei partiti organizzati del comunismo e del nazismo. Queste due correnti han sopraffatto le medie. La serie dei governi autoritari e presidenziali (da Bruning a Schleicher) è arrivata al cancellierato di Hitler (6). Avremo I'esperienza di una dittatura di partito come il fascismo, ovvero un governo estremista con una maggioranza parlamentare? In ogni caso, fino a che le forze,medie non funzioneranno o funzioneranno male, la Germania non troverà il suo assetto interno e quindi sarà un elemento di grande turbamento anche nella politica internazionale. 4. I1 mondo e giustamente preoccupato della crisi economica, che imperversa da per tutto, senza dar tregua. Si discute sui mezzi circa i quattro punti principali: debiti di guerra - sistemazione monetaria - prezzi - tariffe (7). Non e a credere che in breve tempo si possano ottenere prowedimenti risolutivi, dati gli interessi contrastanti e le difficoltà pratiche di vario ordine. Nella realtà della vita il gradualismo s'impone non solo per esigenza psicologica ma anche per forza di cose. I1 mondo fisicooppone allavolontà dell'uomo la sua resistenza come la oppone il mondo morale. Quali saranno per essere le soluzioni ai problemi economici più urgen-
(5) Sussidi in favore dei disoccupati elargiti dal governo inglese. (6) Hitler prestò giuramento come cancelliere il 30 gennaio 1933. L'articolo di Sturzo e datato 1 febbraio 1933. (7) Nel 1933 si tenne a Londra una Conferenza economica mondiale il cui clamoroso insuccesso segno la fine di tutti i tentativi generali di azione internazionale nel campo economico durante il periodo tra le due guerre.
ti, i vantaggi pratici (insieme agli svantaggi concornitanti) si sentiranno in un tempo non breve né immediato. Nuove difficoltà sorgeranno, nuovi provvedimenti saranno invocati, e la crisi peserà ancora su tutta la vita sociale, finché sorgerà il senso della fiducia, della speranza, della ripresa. Sarà questo il momento psicologico nel quale, alla sfiducia, allo smarrimento, alle inquietudini, alle impazienze, succederà un certo orientamento, che ecciterà gli animi a sperare e a confidare nelle forze di risanamento. Occorre un riorientamento generale della vita collettiva, perché gli stessi procedimenti economici, che gli stati prenderanno o da sé o insieme uniti, possano riuscire efficaci e ripercuotendosi nella vita politica interna e internazionale accelerare il ritmo salutare. Occorrono in ogni tempo larghi e generali orientamenti di carattere morale-politico, e non mancano mai correnti di idee e di sentimenti, che rinnovano la vita dei popoli o concorrono a rinnovarla. Il socialismo, come idealita generica e sentimento diffuso, fu uno di questi orientamenti, ed ebbe la forza di imporre allo Stato e alle classi borghesi i problemi del lavoro. Ma insistendo sul piano economico in senso materialistico, il socialismo guardo la politica come una tattica di partito e non senti la morale che come una limitazione imposta alle forze sociali. La mistica socialista di una palingenesi sociale sul puro piano economico fece fallimento; e i socialisti realizzatori passarono al riformismo, alla social-democrazia, al socialismo di Stato, al corporativismo, al sindacalismo tradunionistico, al laburismo, tutte forme pratiche e utili alla difesa e alla formazione sociale politica ed economica delle classi operaie più elevate, ma per questo stesso messe sul terreno gradualista e sul piano della mediazione delle forze sociali. Così i comunisti presero il posto di eccitatori mistici delle masse più diseredate o più estremiste. I1 nazionalismo da prima della guerra fu la bandiera delle destre, della reazione, delle classi industriali e ricche, dei letterati, degli adoratori del potere assoluto. La guerra esaspero tutti i nazionalismi, confuse il patriottismo col nazionalismo, esalto la forza bruta sui valori morali, gli interessi delle classi dominanti su quelli generali delle classi medie e piccole. Fece della nazione una divinità da adorare. Dali'acutizzarsi del nazionalismo sono venuti fuori i fenomeni di perversione politica quali il fascismo italiano, il nazismo tedesco o austro-tedesco, il pilsudskismo polacco (8) e simili da per tutto, compresa la Action Franpise, l'unica che non ha avuto fortuna né col Papa né col popolo. Mistica di disorientamento, il nazionalismo fascista o hitleriano utilizza tutte le frenesie di (8) Pilsudski (1867-1935), dopo aver lonato in gioventù per l'indipendenza della Polonia dalla Russia zarista ed essere stato eletto, subito dopo la I guerra mondiale, capo provvisorio della Polonia indipendente, nel 1926 si impadroni del potere w n l'appoggio dell'esercito.
popolazioni scontente, di gioventù disoccupata, di capitalisti impauriti, sfrutta il sentimento religioso (come i socialisti un tempo sfruttarono 1' anticlericalismo borghese), intimidisce gli altri paesi con lo spirito militarista e violento di cui è animato. L'internazionalismo e il pacifismo sono stati fino a ieri anch'essi un elemento adatto a creare una mistica di elites e di masse istruite, mentre la cooperazione internazionale durante e dopo la guerra ha trasformato le politiche chiuse di ciascuno Stato in politica interdipendente e collaborante nella Società delle Nazioni. L'appello per un'Europa unita in un legame federativo, la spinta alla intesa comune fra i popoli per risolvere gli interessi in contrasto, sembrò fino a ieri l'unica via di salute atta a destare la mistica del futuro. Sfortunatamente, le disillusioni della conferenza del disarmo, la inabilità della Società delle Nazioni nel conflitto cino-giapponese (9), il ridestarsi della Germania militarista prussiana hohenzolleriana, i dissensi dell'Italia con la Francia e la Jugoslavia (lo), l'atteggiamento americano circa i debiti di guerra ( l l), hanno in molti spento lo slancio mistico verso I'internazionalismo. C'è in aria un ripiegamento verso interessi immediati di classe, di sindacato, di provincia, di paese natio, di clan ancestrale, di chiusa feudale..., qualche cosa che fa scricchiolare la compagine sociale concepita come Stato o come comunità di Stati, verso un rifugio adatto ai propri piccoli interessi, al proprio orizzonte economico o sociale, al proprio personale egoismo. La crisi economica e la disoccupazione agevolano questa mistica individualistica di piccolo ambiente morale, economico o politico sufficiente a se stesso, o creduto tale. L'isolamento economico iniziato con le grandi tariffe e la riduzione a meno di metà del traffico mondiale unite alla sfiducia del movimento internazionale, sviluppa un po' dappertutto un particolarismo che potrebbe divenire pericoloso. Ogni movimento particolarista, positivo, se bene indirizzato, ridà un senso più vivo del reale e fa sentire il bisogno di rifare i quadri iniziali
(9) 11 conflitto cino-giapponese, scoppiato il 19 settembre 1932, fu causato dall'espansionismo nipponico che mirava ad estendere la sua sovranità in Manciuria. Su richiesta cinese la Società delle Nazioni condannò piu volte il Giappone senza peraltro dichiararlo ufficialmente .aggressore. e senza quindi l'adozione di alcuna sanzione. L'andamento del conflitto fu un grave colpo inferto alla credibilità della società delle Nazioni che agli occhi dell'opinione pubblica mondiale mostrò l'inefficacia della sua azione e dei suoi metodi amoraliw. (10) Sturzo si riferisce probabilmente ai dissensi sorti tra Italia da una parte e Francia e Jugoslavia dall'altra in occasione del progetto Briand (1929) riguardante la proposta di una sorta di federazione politica europea. Mussolini disse di non accettare l'uniti europea ma di essere favorevole ad una cooperazione europea che fosse estesa anche all'Urss e alla Turchia. (I I) Gli Stati Uniti assunsero un atteggiamento intransigente nella loro richiesta dei pagamenti dei debiti di guerra da parte dei paesi europei che invece, ad eccezione della Finlandia, si rifiutarono di versare le quote integrali stabilite.
delle forze generatrici. Ma quando il movimento è ,invece negativo dei vincoli superiori sempre crescenti - dall'individualità e la particolarità, alla collettività e generalità - allora il particolarismo diviene egoismo e regresso. I1 particolarismo che afferma, non quello che nega ha valore, come l'individualismo che afferma, non quello che nega ha valore. Oggi abbiamo bisogno di un rifacimento dei valori minimi e massimi, l'individualità e il particolare nella collettività e nell'universale. Chi nega i due termini (l'individuo e la societa umana internazionale) crea delle mistiche false e incoerenti, rompe quella solidarieta che oggi è necessaria alla vita dei popoli. Si può formare oggi una mistica della solidarietà? Di una solidarikà che abbia la sua base nell'individuo, non ridotto a schiavo ne della classe, ne della nazione, ne del partito? Di una solidarietà che abbracci tutti i popoli senza che nessuno perda la sua fisionomia particolare? Ieri vi fu una mistica della liberta, e i popoli fremevano a sentirne la parola. Oggi la stessa parola non ha più risonanza nel cuore di molti. Le parole che oggi si ripetono sono autorità, dittatura, dominio, siano dittature di proletariato, o dittature di partito, dominio fascista o autoritarismo di democrazia. La solidarieta fra le classi e i popoli non può essere frutto di dittature e di dominio, che invece la negano, né può essere frutto di una liberta individualistica, che nega l'intervento pubblico delio Stato o della società degli Stati. Ma la libertà, come metodo pubblico e come mezzo di affermazione degli individui e dei singoli,nuclei, è necessaria a controbilanciare i'autorità, che lo Stato o la societa degli Stati debbono avere per un intervento necessario a garantire i va1,ori della solidarieta umana. La mistica della solidarieta fara appello ai più elevati sentimenti di civiltà, moralità, progresso, umanità, religione, per eccitare i cuori inerti e le menti stanche ad un'azione nuova e radicale contro l'imperversare degli egoismi e delle lotte. Su quali forze contare perche si sviluppi una vera mistica realizzatrice sul campo della solidarieta umana? Sono le forze medie, le classi medie, i valori sociali medi, i partiti medi che hanno la funzione classica della risoluzione delle propulsioni degli estremi verso il senso dell'eguaglianza in un'equazione media. Gli estremi creano le mistiche idealistiche che scindono le unità sociali, il centro realizza quel che di attuale e di sano essi contengono. Ad esso spetta la garola del momento: solidarietà morale politica ed economica edflcala sul rispetto alla personalità umana. regolata dal metodo della libertà, attuata con la forza dell'autorità sociale, statale e internazionale. Ma sarà possibile superare la crisi delle forze centrali e medie di ogni paese e del mondo internazionale oggi che sono così deboli e sopraffatte? Noi pensiamo di si e ne abbiamo fiducia. Mostreremo in altro studio quali sono gli elementi politici e morali che ce ne danno speranza.
CENTRO GERMANICO E PARTITO POPOLARE ITALIANO (*) Benché dai sintomi dei giorni precedenti l'apertura del Reichstag fosse abbastanza prevedibile l'atteggiamento che avrebbero assunto il centro e il partito popolare bavarese, pure al leggere il resoconto sul voto dei pieni poteri (1) provai una stretta al cuore. Mi ricordai subito di un'altra data, molto triste per me, il 15 novembre 1922. Durante gli ultimi mesi prima della «marcia su Roman (ottobre 1922) il deputato popolare Cavazzoni (un von Papen (2) di proporzioni assai ridotte) era stato segretamente in contatto con qualche dirigente fascista di Milano. La sua evoluzione era sconosciuta; anzi ricordo che era stato lui pochi mesi prima (durante la conferenza internazionale di Genova) a procurarmi un abboccamento col deputato socialista Baldesi e soiiecitare un'intesa con i popolari per fronteggiare i fascisti. Cosi quando il Cavazzoni, l'indomani della marcia su Roma, si presento alla direzione del partito come candidato a ministro nel gabinetto di Mussolini, fu per molti una sorpresa. Egli non convinse ne me ne la direzione, che in maggioranza era contraria ad ogni collaborazione; pero egli col prof. Tangorra, ottennero al direttori0 del gruppo parlamentare il consenso di accettare, come persone e non come rappresentanti del gruppo, il posto di ministri (3). Fu questo il precedente politico che il 15 novembre 1922 indusse la maggioranza del gruppo parlamentare popolare (allora di 107) a votare i pieni poteri richiesti da Mussolini. I motivi morali e politici furono quasi identici a quelli del centro e dei popolari bavaresi; cioè: unire all'appello
(*) Pubblicato su Politique, Paris, aprile 1933. (I) Il decreto di concessione dei pieni poteri fu approvato il 23 marzo 1933 dal Reichstag riunito nel palazzo dell'opera Kroll a Berlino, con 441 voti favorevoli e 84 contrari (tutti socialdemocratici). Anche il Centro, guidato da mons. Kaas, votò a favore del decreto che toglieva al parlamento il potere legislativo e lo trasferiva al gabinetto del Reich per un periodo di quattro anni (cfr. W. SHIRER,Storia del III Reich, Einaudi, Torino 1962, pp. 213-4). (2) F. Von Papen, già cancelliere della Germania dal 1-6-'32 al 2-12-'32 era diventato vice cancelliere di Hitler dal 30-1-'33. Von Papen, che continuò a qualificarsi cattoiico anche durante il periodo della sua piena partecipazione al regime nazista, aveva precedentemente militato nel Centro, dalle cui file era stato radiato il giorno stesso della sua successione a Bruning nella carica di cancelliere. Su Cavazzoni e la destra popolare cfr. L. CAVAZZONI, Stefano Cavazzoni, Milano 1955 e S. TRAMONTIN,La formazione deli' ala destra del P.P.I. in Catfolici,popolari e fascisti nel Veneto, Edizioni Cinque Lune, Roma, 1975, pp. 1 11-46. (3) Sulla *difficile collaborazionen dei popolari al ministero Mussolini cfr. G. DE ROSA, Storia del partito popolare, op. cit., pp. 183-201.
del re, che aveva affidato il governo al duce, il voto del parlamento per rendere costituzionale un potere acquistato con violenza; contribuire alla pacificazione del paese e alla «normalizzazione» (fu il termine allora impiegato) della vita pubblica; affiancare il vincitore e rendere meno pericoloso un governo sorretto da più di cinquantamila partigiani armati. Di questo parere furono tutti i gruppi liberali e democratici, meno quello ben piccolo dell'ex ministro Amendola (poi morto in esilio a Cannes), e tutti votarono i pieni poteri, mentre socialisti e comunisti votarono contro. Mussolini in quella circostanza era stato brutale; egli aveva dichiarato esplicitamente che «di quest'aula sorda e grigia» avrebbe potuto fare «un bivacco dei miei manipoli» e che ((dalla camera dipendeva se avrebbe vissuto due giorni o due anni)). Egli, dopo aver fatto dalle sue squadre incendiare cooperative e sindacati operai, bruciava idealmente il palazzo del parlamento; Hitler per di più ha avuto la soddisfazione di vedere il Reichstag in fiamme non idealmente soltanto (4), ma realmente e prima dell'apertura solenne. In tale occasione, qua e là, il medesimo apparato militare di squadre armate. In Italia il 15 novembre 1922 il parlamento era circondato di camicie nere armate di pugnali e rivoltelle e le tribune ne erano gremite; tutti pronti a entrare nell'aula se il voto fosse stato contrario al duce. Purtroppo, la violenza scatenata e divenuta potere non facilmente si frena. Le squadre fasciste imperversavano dappertutto; era la gioia della vittoria; era la presa del comando. In ogni città si faceva la piccola cmarcia su Roma». I consigli comunali venivano a forza disciolti; i municipi erano facilmente occupati dalle squadre armate; i capi dei partiti avversi, i vinti, costretti a fuggire, a nascondersi, se scampavano all'olio di ricino, al pugnale, alla rivoltella. Fu in quel tempo, la notte del 17 dicembre, che a Torino vennero uccisi e gettati nel fiume ventidue operai qualificati come comunisti; e mentre la città era sotto l'impressione della grave tragedia, quel fascio ricevette un telegramma di approvazione del viceministro di Mussolini, l'on. De Vecchi, che poi, fatto conte, divenne ambasciatore presso la Santa Sede. La sera seguente io tenni a Torino stesso un discorso pubblico (ancora erano tollerati i discorsi) per riaffermare i principi di libertà contro ogni regime di violenza e di dittatura. Ma le violenze di piazza continuavano; due popolari erano stati norninati ministri con Mussolini; il primo, il prof. Tangorra, era niorto (i dispiaceri avuti nel primo mese di governo avevano affranto la sua debole fibra) e l'altro, il C-avazzoni, si dibatteva fra Mussolini, che sempre più affermava la volontà della dittatura, e la direzione del partito popolare
(4) incendio del Reichstag (27-2-1 933), provocato, sembra, dagli stessi nazisti, diede occasione ad Hitler di emanare un decreto che sopprimeva i 7 articoli deiia costituzione che garantivano le libertà civili ed individuali. Il decreto fu presentato al paese come uuna misura difensiva contro gli atti di violenza commessi dai comunisti a danno dello stator.
che reclamava il ritorno alla legalità e alla libertà. La decisione presa dal duce di legalizzare l'esistenza delle squadre armate, chiamandole milizia nazionale, contro l'opinione del partito popolare che ne voleva lo scioglimento puro e semplice, affrettò la decisione già presa di convocare il congresso nazionale del partito. Questo fu tenuto a Torino nell'aprile del 1923 (5); grande aspettazione nel paese; grande folla di intervenuti. I1 voto emesso pose fine alì'equivoco collaborazionista. Vale la pena ricordarlo: ((11P.P.I. conferma di nuovo con rinnovellata fede, anche dopo gli ultimi avvenimenti politici, il carattere democratico cristiano, lo spirito, la sostanza e i termini del programma, l'autonomia della organizzazione, la raeione specifica della esistenza e le sue alte finalità etiche politiche ed .economiche... riafferma la volontà della sua fondamentale battaglia per la libertà... e contro ogni pervertimento centralizzatore in nome dello stato panteista o della nazione deificata...; esprime la propria solidarietà con coloro che sanno soffrire nel sacrificio per l'idea e per la. pacificazione interna, e invoca, pel bene dell'Italia, il rispetto della personalita umana e lo spirito di fratellanza cristiana...^. I1 discorso che io, come capo del partito, pronunziai prima di questo voto, fu definito da Mussolini - in un articolo di suo pugno apparso sul Popolo d'ltalia (6) - uil discorso di un nemico)). Il ministro Cavazzoni e i sottosegretari popolari furono invitati a dimettersi. La via fu libera. Il resto e storia ben nota. La lotta del partito popolare italiano contro il fascismo alla camera, nella secessione dell'Aventino, sulla stampa e nei comizi, duro tre anni, fino a che nel novembre 1926 il partito stesso fu sciolto (come gli altri partiti) per decreto governativo.
A prima vista, gli avvenimenti tedeschi accusano cause ben diverse e fasi non somiglianti a quelli italiani. Ma lo spirito, il metodo e certe coincidenze mostrano che gli uni e gli altri hanno le medesime note morali e politiche e uguali impostazioni storiche, facilmente riconoscibiii. Quando Bruning (7), nell'estate del 1930, non potendosi intendere con i socialisti e cercando appoggio a destra, sciolse il Reichstag e ne indisse le elezioni per il settembre, ripete, inconsciamente, il medesimo gesto di Giolitti, che nella primavera del 1921, per superare le difficoltà che gli venivano da socialisti e da popolari (separatamente), sciolse anche lui la camera dei deputati, dopo appena 15 mesi dalle elezioni del novembre 1919, e agevolo l'arrivo al parlamento del primo gruppo fascista con
(5) Sul congresso di Torino cfr. G. DE ROSA, op. cit. pp. 203-22. (6) L'articolo apparve il 13 aprile 1923. (7) Bruning fu cancelliere del Reichstag dal 28-3- 1930 al 30-5- 1932. Tenace avversario della destra nazionalista fu costretto a fuggire negli USA quando Hitler giunse al potere.
a capo Mussolini. Ciò ricordai, su Ef Matì di Barcellona, in un articolo pubblicato il 3 ottobre 1930, prevedendo fin d'allora la caduta di Bruning e la conquista del potere da parte di Hitler. Facile profezia; nello stesso articolo ne davo la ragione. Come in Italia i governi liberali (nonostante le proteste dei popolari e di alcuni democratici) avevano dal 1920 al 1922 tollerato e favorito le squadre armate a disposizione di un partito, così è avvenuto in Germania. Gli stessi uomini del centro per più anni al cancellierato del Reich, i socialisti al governo della Prussia, i popolari in Baviera, per non parlare degli stati minori, tollerarono che Hitler (che per di più era un austriaco) avesse le sue squadre armate e una gioventu allenata militarmente. Più in Italia ma anche in Germania, la polizia non riusciva a frenare gli entusiasmi illegali di questa gioventu armata e a impedirne gli eccessi. Più in Italia, ma anche in Germania, giudici e tribunali furono spesso blandi, tolleranti, compiacenti con tale gioventu, quando essa mancando ai precetti morali, assaliva, feriva, uccideva. In Italia si videro fascisti che avevano uccisi o feriti avversari, assolti dai tribunali, e poscia portati in trionfo dai partigiani. Una generosa amnistia fatta per decreto, copri tutti i delitti commessi «per fini nazionali)) (testualmente!). Un provvedimento secco, a tempo opportuno, contro le squadre armate, contro questo falso militarismo nazionale compromettente, anti-educativo, anarcoide; una repressione coraggiosa delle spedizioni punitive (come le chiamavano in Italia), con le quali venivano intimidite popolazioni inermi e operai senza protezione né difesa, invase cooperative socialiste o cattoliche, circoli o sezioni del partito popolare, in Italia non poté ottenersi, non ostante le interpellanze al parlamento e le pressioni sul governo. Ma neppure in Germania centristi o socialisti pensarono a sopprimere il male fin dalle radici. E quando Bruning e Groner lo vollero fare fu troppo tardi. In Germania per di più i socialisti avevano le loro associazioni militari sulle quali confidavano. Roba da spaventa-passeri. Ricordo che un deputato popolare veneto mi propose nel 1921 di organizzare le camicie bianche per fronteggiare, occorrendo, le camicie nere; io mi opposi recisamente. Noi non avremmo tirato un sol colpo, come non lo hanno tirato né i socialisti di Prussia ne i popolari bavaresi; i quali, essendo al governo, avevano in loro mano anche la polizia. I1 capo del governo di Baviera aveva annunziato che egli avrebbe ordinato l'arresto del commissario del Reich, se fosse stato inviato a Monaco; ma altro è dire altro è fare. Quando un capo di stato, in Italia Vittorio Emanuele 111, in Germania Hindenburg, coprono del loro potere i duci o i cancellieri che arrivano circondati di propri armati e prendono la direzione degli eserciti legali e della polizia, allora la resistenza armata dei partiti vinti sarebbe inutile ribellione o sanguinosa guerra civile votata d a disfatta. Ho sentito alcuni che censuravano i social-democratici di Prussia perché non resistettero a Von Papen con uno sciopero generale. Costoro ignoravano l'esito
dello sciopero generale politico proclamato in Italia da comunisti e socialisti il 3 l luglio 1922. I fascisti non erano ancora al governo, anzi erano molto in ribasso; ma in quel momento furono d'accordo con il governo e la polizia per far fronte allo sciopero; armi d a mano intimidirono molti centri operai; il sobborgo di Parma detto ad'oltre torrenten fu per tre giorni centro di combattimento, come nel medioevo, delie fazioni cittadine. La borghesia, in quella occasione, fu quasi tutta con i fascisti perché temette una nuova ondata bolscevizzante quale si ebbe nel gennaio 1920 (8). Quello sciopero fu decisivo per la disfatta del socialismo italiano e per il trionfo del fascismo. Arrivato al potere, prima cura di Mussolini fu di sciogliere consigli provinciali e comunali e accentrare nello stato tutti i poteri degli enti locali e autonomi. L'attuazione di questo piano, ritardata di qualche mese per le resistenze di popolari e di liberali allora al governo, fu eseguita nel modo più largo e generale. Hitler fa lo stesso. Gli stati di Germania che avevano conservato la loro autonomia sia neli'impero di Bismarck sia nella costituzione di Weimar, oggi sono ridotti a semplici provincie soggette al potere centrale. La Baviera, che per otto secoli e piu aveva mantenuto la sua personalità politica, in un giorno ha perduto tutto. Quel che rimane ancora e di pura forma. Più volte mi sono domandato perché ai monarchi assoluti non era facile toccare le autonomie delle città e delle regioni, le immunità delle università e delle gilde; e invece alle democrazie moderne è riuscito piuttosto facile l'accentramento statale, pur lasciando ancora una discreta vita locale; e perché infine alle cosiddette dittature modernissime non si resiste più se esse annullano completamente i resti tradizionali di una vita locale autonoma. A me sembra trovare una prima ragione nel fatto che i monarchi si appoggiavano sulle popolazioni e sulle borghesie per diminuire il potere dei grossi feudatari e dei signori. Inoltre nello spirito del tempo la vita locale era più intimamente congiunta all'unità di popolazione. Le democrazie hanno sostituito all'idea della provincia o del comune l'idea di nazione. L'unificazione e stata economica, politica e spirituale. I mezzi di comunicazione rapidi e continui hanno abbreviato le distanze e allargato i confini del proprio ambiente. Ma la vita locale e ancora rimasta. Le dittature modernissime fondate sull'esaltazione spasmodica del nazionalismo, sull'insofferenza gelosa di ogni altro sentimento che lo possa limitare, sulla paura che qualche cosa rimanga estranea al loro controllo politico e morale, non solo sopprimono ogni autonomia locale (che è una delle più interessanti sorgenti di vita politica e morale) ma tutto sottopongono ad unica disciplina centrale, autoritaria ed ar(8) Nel gennaio 1920, in seguito ad una vertenza sindacale, gli operai metallurgici su invito della FIOM occuparono le fabbriche. I1 movimento ebbe il suo centro propulsivo nel triangolo industriale Torino-Milano-Genova.
bitraria. Mussolini l'anno scorso ha emanato un decreto assai grottesco, proibendo anche le associazioni e i clubs regionali (la veneta, la siciliana, l'abruzzese, ecc.) dove si faceva un po' di letteratura, arte, storia locale, e forse anche... piccola maldicenza! Altro aspetto delia vita autonoma, in terreno economico, sono i sindacati operai. Ho letto sui giornali di questi giorni che Hitler vuole imitare Mussolini, cioè sopprimere i sindacati liberi socialisti e,cristiani,e fondare le corporazioni di stato. Non so se il centro arriverà ad ottenere da Hitler quel che in Italia non fu possibile ottenere neppure d'azione cattolica, apertamente protetta dal papa, ci& salvare i sindacati bianchi (ovvero creare al loro posto un'altra organizzazione simile). Di fronte all'offensiva nazista anche i forti e storici sindacati operai della Germania forse non potranno resistere. Come per i fascisti, il denaro che ha alimentato l'attività dei nazi proviene dalla grande industria e dalia grande proprietà terriera. La caduta di Bruning ebbe per ultima causa occasionale quei decreti economici che Hindenburg non volle firmare. Anche il distacco morale e la lotta aperta dei liberali italiani ai popolari ebbe per ultima causa il progetto di legge agraria per la divisione del latifondo e i patti agrari che nel giugno-luglio 1922 i popolari vollero che ad ogni costo fosse discusso dalla camera dei deputati. Fascisti e nazi si dicono i veri democratici, i veri socialisti, ma essi in fondo sono prigionieri del capitalismo e non possono sfuggire alle sue spire. La crisi economica li porta a premere sulle classi operaie. Non lo dicono; la loro tattica e quella di trasportare la pressione economica sul terreno politico. Esaltare le passioni nazionali contro socialisti e cristiano-sociali o popolari e monopolizzare politicamente la vita economica. I1 fascismo e stato causa in Italia di una redistribuzione di ricchezze sotto tre aspetti: I~economico,il fiscale e il politico. Da un lato ha ridott.0 i salari e lo standard della vita operaia al minimo livello possibile. Ciò e stato ottenuto principalmente col sopprimere i sindacati liberi e la libera contrattazione del lavoro e sottoponendola ad un controllo e direzione di partito attraverso le corporazioni. Dai punto di vista finanziario ha succhiato al paese quasi tutto il margine dei risparmi, col portare l'onere fiscale annuale da 14 a 23 miliardi. Questa cifra e servita in mano ad un governo di parte sia direttamente che indirettamente, a vantaggio del partito dominante e dei suoi aderenti. Questo aspetto politico risulta chiaro dagli atti pubblici del governo. L'epurazione della burocrazia, della magistratura e deli'esercito, mettendo fuori servizio gli impiegati antinazionali; il giuramento dei professori, il reclutamento perfino deila mano d'opera ove si preferiscono i fascisti agli altri negli uffici di collocamento; questi ed altri sono stati provvedimenti tutti di carattere generale. 11 governo fascista, oltre la milizia, ha creato corpi militari speciali di fascisti per sorvegliare porti, strade ferrate, e per altri servizi pubblici. Banche, cooperative, casse rurali, società di mutuo soccoiso già in mano a cattolici o a socialisti sono'passati nelle mani dei fascisti.0 sotto il loro
controllo. In tutti i consigli di amministrazione di società industriali, commerciali, bancarie vi sono fascisti che controllano o comandano. Tutte le società sportive, educative, ricreative maschili e femminili sono accentrate nelle mani fasciste. Di qui un esercito di burocrazia organizzativa che ogni giorno di più aumenta di numero. Per non parlare dei dirigenti stessi del partito, degli agitatori palesi e segreti, in Italia e all'estero. Un vero esercito, che come gli eserciti vincitori di un tempo ha spossessato i vinti. Allora si occupavano le terre, oggi sono i posti, gli affari., .i commerci. tutta l'attività individuale. che si trasforma in vita e attività monopolizzata da un solo partito. Gli spossessati o sono all'estero, o nelle isole o centri di deportazione, o ridotti ad una vita chiusa isolata e di miserie, ovvero sono stati costretti a cambiare mestiere o infine si sono dati agli avversari, pigliando la tessera di partito per non morir di fame. Così e e sarà in Germania. La fuga di non pochi all'estero serve a far piazza ad altri. Le prigioni e i campi di concentramento di socialisti e comunisti (ve ne sono più di 30.000) sono anch'essi.utili a render vacanti dei posti, a togliere concorrenti, a creare possibilità per i nuovi venuti. La «purga»degli uffici pubblici continua; socialisti e cattolici, perche non amici del regime, sono espulsi dai posti d'insegnamento e dagli impieghi sia del Reich o degli stati che dei comuni. Perfino i vescovi cattolici renani hanno pubblicato un manifesto di protesta contro la destituzione arbitraria dei funzionari, e il cardinale di Monaco ha interceduto presso il governatore di Baviera per il rilascio dei prigionieri. Ma quel che è caratteristico della Germania è la campagna antisemita. Questa ha tre significati: il primo quello di dare, dopo la presa del potere, un obiettivo immediato e popolare all'attività (e anche se vuolsi alle vendette) delle truppe di assalto; il secondo quello di sgombrare con la violenza i posti di comando d'impiego e di affari per piazzarvi i propri seguaci; il terzo quello di eccitare ancora di più il sentimento di unità di razza, di unificazione nazionale, escludendo gli elementi inassimilabili e indesiderabili. Gli ebrei sono per definizione internazionali, e molti di essi per tendenza sono pacifisti o non sono nazionalisti. E' questa una loro colpa di fronte ai nazi. E' anche colpa, per molti ebrei, di essere stati marxisti e socialisti. Dovrebbero i nazi ricordare i meriti di quegli altri ebrei industriali e banchieri che non hanno risparmiato i loro denari per aiutare il movimento hitleriano. Ma nella vendetta hitleriana sono uniti insieme... i giusti e i peccatori; tanto più che verso i giusti si dovrebbe avere della gratitudine, il che, psicologicamente parlando, sarebbe in contraddizione con I'animus del vincitore. Questo stesso animus ha portato i nazi ad urtarsi con i nazionalisti, loro alleati, sia sul piano della forza armata che su quello politico. Oggi anche i nazionalisti in Germania sono dei vinti. Si rassegneranno? Così fece Mussolini con una larga zona di borghesia, con i massoni
già filofascisti ma votati alle vendette e alle ire delle folle eccitate (ricordare i fatti di Firenze del settembre-ottobre 1925); con gli stessi nazionalisti, le cui camicie azzurre furono sciolte, il cui partito dovette passare sotto le Forche Caudine e fondersi con il fascista, che perfiche de consolation prese il nome di partito nazional-fascista; finalmente con il centro nazionale cattolico, la pattuglia degli ex-popolari di destra aderenti al fascismo e pur obbligati a disciogliersi e a sparire. E cosi ha fatto il fascismo con tutte le più tenui formazioni politiche, morali, educative ed economiche della borghesia, che non fossero soggette o controllate dal fascismo. La subjugazione è stata completa. Si e salvata solo l'azione cattolica al prezzo di aver perduto tutte le ramificazioni economiche, sportive, educative, sindacali, e di restringersi al campo strettamente religioso e di attività interna. E pure il malanimo non e mai cessato; e dopo i gravi incidenti del marzo-agosto 1931 e l'enciclica del papa Non abbiamo bisogno e il susseguente atto di accordo, l'azione cattolica è sempre considerata come un'associazione non-conformista e come un nucleo di persone non completamente allineate al fascismo. Hitler, dopo aver basato il suo programma social-nazionalista sopra un paganesimo molto pronunziato, ed essere stato perciò condannato da vari vescovi renani e bavaresi, arrivato al potere ha voluto non fare ammenda, ma precisare la sua condotta politica. Poiché i giornali più diffusi han dato quasi tutti un riassunto non perfettamente chiaro, giova riprodurre il testo preciso, quale si legge nell' Osservatore Romano del 26 marzo: e11 governo del Reich, che vede nel cristianesimo gli incrollabili fondamenti della vita morale del nostro opolo, annette pure la massima importanza al mantenimento e allo svilup o B ~ i eamichevoli relazioni con la Santa Sede. Per ciò stesso che il governo Reich è deciso ad impedire l'avvelenamento politico e morale della nostra vita pubblica, stabilisce le condizioni necessarie ad una vita religiosa veramente profonda. Vantaggi di natura personale e politica che potrebbero offrirsi a compromessi con organizzazioni ateistiche non possono neppure lontanamente controbilanciare le conseguenze che si risolvono neila distruzione dei pubblici valori morali. uI1 governo nazionale vede nelle due confessioni cristiane importantissimifattori per la conservazione delle tradizioni nazionali e rispetterà le convenzioni stipulate fra essi e i governi degli stati. I loro diritti non saranno intaccati; il governo del Reich spera, pero, e si attende che il lavoro di rinnovamento nazionde e morale del popolo, che il governo medesimo si e imposto come compito, sarà pure ugualmente apprezzato. I1 governo osserverà la stretta giustizia verso tutte le altre wnfessionin.
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Politica di marca propria o intesa con il centro? E se il centro fosse passato all'opposizione avrebbe Hitler mantenuto queste dichiarazioni nei riguardi dei cattolici? Forse si, data la presenza di von Papen nel gabinetto e dati gli obiettivi immediati che Hitler vuole raggiungere. Co-
munque sia, la rassomiglianza con la politica ecclesiastica di Mussolini e evidente (9). Questi nel programma del 1919, scritto di suo pugno, aveva fissato alcuni punti di politica anticlericale e antireligiosa fra i quali la soppressione delle rendite vescovili e di culto. Nel luglio 1921, nel suo primo discorso alla camera, accenno alla questione romana in senso favorevole ad una soluzione; all'arrivo al potere fece sapere al Vaticano che le sue truppe non avrebbero violato San Pietro. Egli pero odiava i popolari e a ragione, e contava di non essere ostacolato nella sua lotta contro di essi. Ricordo che a persona mi parlo di tale atteggiamento; risposi subito ch'ero doppiamente lieto che il partito popolare italiano combattesse contro la dittatura per la libertà e fosse anche buon schermo per impedire una campagna anticlericale. I1 centro ha invece accettato oggi la seconda funzione, ma non la prima. Ben presto sentirà il disagio del suo silenzio, che può sembrare connivenza, e riconoscere che il suo posto naturale e quello di difendere la libertà della Germania, la moralità nella vita pubblica, la legalità nell'esercizio del potere statale. E' doloroso assistere impotenti allo scatenamento delle ire e degli odi e delle vendette naziste, senza che nessuno ricordi il precetto evangelico dell'amore del prossimo, senza che nessuno biasimi le violenze, le deportazioni e gli assassini. Mons. Kaas, nella sua dichiarazione al Reichstag, disse che (mell'interesse della concordia - la legge dell'ora - non voleva discutere qualche idea delle dichiarazioni del cancelliere)).Meglio di mons. Kaas, il deputato Lux del partito popolare bavarese dichiaro «che nessuna legge può dispensare dall'osservare i limiti segnati dalla legge morale cristiana. La responsabilità dei provvedimenti particolari peserà davanti a Dio, al popolo e alla storia, sul governo che li emanerà)). Ciò e vero ed e ben detto; ma peserà anche su coloro che hanno cooperato e cooperano, non solo con i voti, ma con l'appoggio presso l'opinione pubblica, con un governo che non osserva i limiti della legge morale cristiana. Ho letto con una certa meraviglia sul Temps del i o aprile la notizia che l'organo ufficiale del partito popolare bavarese La Correspondance populaire approva il boicottaggio degli israeliti. Non ricorda piu la pasto-
(9) Appena quattro mesi dopo il discorso di Hitler qui riferito da Sturzo, il governo nazista. imitando l'esempio fascista, concluse un concordato con il Vaticano che gli procuro nuovi consensi. La politica di Hitler nei confronti della Chiesa Cattolica fu ancora più energica di quella di Mussolini. Già cinque giorni dopo la ratifica del concordato il governo tedesco promulgo una legge sulla sterilizzazione che offendeva la coscienza Una nuova legge tedesca sull'eugenetica, in *L'O?.religiosa del paese (cfr. G. GONELLA, scrvatore Romano. del 4-8- 1933, ora in Verso la guerra mondiale, Cronachepolitiche (193.1 1940). Laterza Bari 1979 pp. 25-8). I l I dicembre 1936 Hitler decreto la soppressione di ogni residua organizzazione gioLa Germania religiosa vanile catiolica. (Sull'argomento in genere cfr. M. BENDISCIOLI, nel 111 Reich. Morcelliana. Brescia 1977. e G. LEWY,I nazisti e la chiesa, il Saggiatore, Milano 1965).
rale del card. Faulhaber di Monaco contro I'anti-semitismo (10). Del resto oggi dobbiamo notare che mentre contro la persecuzione hitleriana agli ebrei si levano l'Arcivescovo di Liverpool o quello di Baltimora ovvero cattolici eminenti come Al. Smith di New York o ladeslei~halla camera dei lords: i cattolici e I'episcopato tedesco sono obbligati a tacere in vista del peggio. Nello stesso momento i vescovi tedeschi riuniti a Fulda ( I I). hannoritirato le condanne pronunziate contro il nazismo. Secondo la Gerinania tale decisione e la conseguenza naturale delle dichiarazioni di Hitler di politica religiosa. Secondo la Kreuzzeitung e la fine, del monopolio del centro, che non e più in grado di assicurare la difesa degli interessi della chiesa cattolica. Purtroppo sembra così, se e vero che la Gerinai~iascrive, secondo che pubblica il Temps del 3 aprile, che l'Europa dovrebbe riorganizzarsi sul modello della Germania hitleriana. lo spero che i nostri amici cattolici tedeschi ricorderanno a tempo la dura esperienza italiana. Finche fu in piedi il partito popolare italiano e finche fu viva la sua opposizione al fascismo, ancora restavano in vita associazioni cattoliche sportive, enti cattolici economici e sociali. Il card. Maffi poteva allora pubblicamente telegrafare al duce, dopo l'invasione della sede del giornale il Messaggero toscano (meno grave di quella avvenuta giorni fa alla Kolnischevolkzeitung dell'amico Stocky): «come vescov&protesto. come italiano piango». quando dopo le elezioni politiche del 1924, i circoli cattolici della Brianza, tutti popolari, furono devastati, il papa invio con pubblica protesta mezzo milione di sussidio, e il governo dovette sconfessare i propri seguaci e smentire (ma invano) i propri ordini. Quando avvenne il linciaggio del ragazzo Zamboni, accusato di aver attentato al duce (fatto mai accertato giudiziariamente) il vescovo di Vicenza poté protestare dal pulpito della sua cattedrale, tra l'indignazione dei fascisti presenti. Ma dopo che la linea politica popolare fu spezzata, e il partito disciolto, tutte le opere economiche cattoliche o furono fatte fallire o passarono al controllo fascista; le associazioni sportive e gli esploratori cattolici soppressi (nonostante la protesta della Santa Sede); i fanciulli anche delle scuole religiose, obbligati a iscriversi all'associazione fascista dei balilla e le giovinette a quella delle giovani italiane; la stampa cattolica o controllata o soppressa. Impossibile da allora in poi avanzare solo una modesta critica al regime. Durante la lotta fra fascismo e azione cattolica (193 l), la stampa non pote pubblicare nemmeno l'enciclica papale Non abbiamo bisogno. Essa apparve solo sull'Osservatore Romano; ma non ebbe in Italia diffusione perché le copie furono presto messe fuori circola(10) 11 12-2- 193 1 otto vescovi della Baviera, riuniti in una conferenza episcopale bavarese sotto la presidenza del Card. Faulhaber, avevano messo in guardia i cattolici tedeschi contro il nazionalismo rin quanto e fino a quando esso continui ad aderire ad un programma culturale e religioso incompatibile con la dottrina cattolicaw. (1 1) La conferenza dei vescovi a Fulda si svolge dal 30 maggio al l o giugno 1933 (cfr. G. LEWYOP. cit. pp. 144-65).
zione dai fascisti e dalla polizia. Nessun cattolico italiano ha la possibilità di pubblicare una qualsiasi critica anche benevola verso il fascismo, nessuno osa citare la stessa enciclica papale, nemmeno dal punto di vista teorico, che e quello che resta, e che E in sostanza una condanna della concezione dello stato fascista definito stato pagano. E' recentissima la critica dell'Ossewatore romano ad una grave affermazione contenuta nell'organo Il balilla, il quale dice che il nuovo italiano deve amare il prossimo quando questo prossimo è cittadino italiano. ((Quanto agli altri, non e assolutamente necessario amarli: basta rispettarli finché ti rispettanon. Questo cosi cristiano insegnamento è dato ai ragazzi dai 6 ai 14 anni, inscritti nei balilla ... Nessun giornale cattolico (a mia conoscenza) ne ha parlato e non è da ora che la propaganda fascista (e tale sarà anche quella dei nazi) insegna ad odiare i propri nem-ici.
La giustificazione che si suo1 dare a tali movimenti rivoluzionari è principalmente di carattere nazionale. E per ragioni nazionali certi cattolici e anche certi socialisti senza gravi difficoltà accettano il fatto compiuto della rivoluzione e della dittatura. In Italia il fascismo si piazzò subito nel paese come rivendicatore di Fiume e della Dalmazia, il valorizzatore della vittoria, il tutelatore degli interessi nazionali, che i governi liberali-popolari (secondo il fascismo) avevano trascurato all'interno e all'estero. Da qui tutta una politica ben nota, dal bombardamento di Corfu, all'annessione di Fiume (oggi città morta), al trattato di Tirana, al riarmo dell'ungheria, alle minacce di guerra alla Francia, alla politica di revisione dei trattati e di intesa con la Germania. La Germania ha maggiori motivi per agitare l'ideale nazionalista ed eccitare le passioni popolari. Hitler non ha fatto altro da circa dieci anni. Oggi ha tutta la Germania in mano - compresi cattolici e socialisti per una politica di rivincita. Quel che i governi prima di Hitler hanno ottenuto e già scontato e svalorizzato nella impressione popolare. Locarno (1925), evacuazione del Reno (1930), piano Young (gennaio 193l), moratoria Hoover (giugno 1931), cancellazione delle riparazioni a Losanna (luglio 1932)' dichiarazione sulla parità di diritto degli armamenti a Ginevra (dicembre 1932), tutto è psicologicamente caduto nel nulla: Hitler solo e la salvezza nazionale. Tale iper-valorizzazione nazionalista, insieme all'accentramento di tutti i poteri nel sistema dittatoriale, non può non capovolgere le situazioni europee e portare con se un perturbamento generale, ed essere il prodromo di un'altra guerra. M. Wladimir d'ormesson, ch'e uno scrittore cosi accurato ed acuto, nel Temps dell'l l marzo scriveva che rle mouvement Hitlerien est un phénomène de la vie interieure allemande - et rien de plus,. Tale anche l'opinione di qualche scrittore inglese dei più reputati. Sono dieci anni che sento ripetere la stessa frase a proposito del fascism-oin Italia. Non
e questa una finzione diplomatica piuttosto che una verità lapalissiana? Non si e dato mai un sistema politico che non abbia avuto ripercussioni all'estero. Gli stati non sono dei compartimenti stagno. Nel medioevo, per quanto diversi in molti elementi i feudalesimi della Germania della Francia, dell'hghilterra e dell'Italia, pure l'influsso reciproco fu notevolissimo. Lo stesso e a dirsi delle monarchie assolute, del sistema paternalistico dell'illuminismo, del liberalismo costituzionale e delle democrazie del sec. XIX. Dopo la guerra tanto i paesi vincitori quanto i vinti, con diversa intensità, sono stati agitati da due correnti larghe e passionali: quella democratica socialista e bolscevizzante e quella nazionalista fascistizzante. I partiti intermedi ne hanno subito e ne subiscono i contraccolpi, là dove sono tuttora in piedi e cercano di resistere all'ondata. Per un certo tempo in Francia e nei paesi anglo-sassoni si parlò dell'Italia come di un popolo inferiore che non meritava la libertà e che doveva essere tenuto in disciplina dal bastone fascista. I propagandisti fascisti all'estero, per avere libero corso e non urtare la sensibilità degli altri paesi, ripeterono e accreditarono questa dottrina, col motto d'ordine del duce: «il fascismo non e merce d'esportazione)). Venne presto il momento di utilizzare i metodi fascisti per la politica propria. E persino la Francia favori la dittatura polacca e jugoslava. Piacquero anche in Ungheria i metodi fascisti, epour cause. E i cristianosociali d'Austria favorirono, e come, la formazione delle Heimwehren, squadre armate a servizio dei partiti. I socialisti austriaci, come i loro compagni prussiani, avevano anch'essi la loro fornitura di armi e le truppe della Schutzbund, oggi disciolta. La Germania era il campo spiritualmente più preparato a ricevere il fascismo. Ha tardato dieci anni per l'azione del centro, e della socialdemocrazia, che sono stati infine sopraffatti. Senza il fascismo italiano non ci sarebbe oggi il trionfo di Hitler in Germania. Ora la parola d'ordine di Mussolini E la fascistizzazione dell'Europa. Quale sarà la politica internazionale dei paesi fascisti? Bisogna vedere quella che e stata finora. Non possono il fascismo o I'hitlerismo accantonarsi nella politica interna; I'una comanda l'altra. Questa mia affermazione, dedotta dall'esperienza, non e fatta per suggerire una politica d'interventi nel senso diplomatico della parola. Gli errori degli interventi antiliberali dell'Austria e della Francia della restaurazione sono la a dimostrare la inconsistenza del sistema. Dopo la guerra si ripete l'errore a proposito della Russia di Kerensky e di Wrangel e si sarebbe ancora aggravato se si fosse stabilito il cosidetto cordone sanitario antibolscevicon. Ma tra l'intervento ostile e il favoreggiamento, c'e una linea intermedia di diffidenza o di riserbo che e quella che non e stata adottata verso il fascismo da nessuno dei quattro grandi stati - Francia, Inghilterra, Germania e Stati Uniti - i quali invece l'hanno favorito (or l'uno or
l'altro) moralmente, politicamente e finanziariamente. La verità e che da un lato essi han creduto che il fascismo fosse l'antidoto del bolscevismo e l'han favorito; dall'altro lato come governi nazionali se ne son serviti a loro vantaggio, secondo le circostanze: Poincare per l'occupazione della Ruhr e per respingere il progetto di Bonar Law sull'abbuono dei debiti e riparazioni, e Chamberlain per l'affare di Mossoul (12). E cosi via. L'opinione pubblica degli ambienti conservatori e nazionalisti e passata sopra a tutte le preoccupazioni morali e spesso si e pronunziata a favore del fascismo, nonostante i suoi metodi di repressione e la soppressione di ogni libertà, metodi paragonabili a quelli della Russia bolscevica, più che a quelli delle antiche monarchie assolute. Oggi la macchia e allargata. Hitler introduce in Germania gli stessi sistemi d'Italia. Anche in Germania la stampa avversa al regime deve tacere; impossibile controllare la verità dei fatti; difficile l'esercizio della diplomazia, sospettati i corrispondenti dei giornali esteri, e costretti a limitare la loro attività. Ogni controllo pubblico nazionale e internazionale può dirsi cessato. Quale sarà l'Europa di domani? E' la domanda che si debbono fare la Francia e l'Inghilterra e gli altri paesi d'Europa ancora più o meno democratici o rappresentativi. E' la domanda che si debbono fare a Ginevra i dirigenti della Società delle Nazioni. Ma e anche la domanda che debbono farsi coloro fra i tedeschi, come fra gli italiani, che ancora sono liberi di parlare, di scrivere e di discutere, che hanno o hanno avuto posti di responsabilità, perché il loro contributo non sia inferiore alla gravità dell'ora e perché il loro contegno non sia gravido delle responsabilità di domani (1 3).
FASCISMO E NAZISMO (*) Ricordi e raffronti
Von Papen, tornato in Germania dopo la sua prima visita a Roma nella qualità di vice-cancelliere del Reich, cosi telegrafava a Mussolini: «Ciò che più mi ha colpito, ciò che più mi ha ricordato le migliori tradi(12) Su l'affare di Mossoul cfr. J. B. DUROSELLE, Storia diplomatica dal 1919 al 1970, op. cit. pp. 1 11-2. ( 1 3) Con i l titolo fascismo e nazismon, nel luglio 1933, lo stesso saggio veniva pubblicato su The Quarterly Review. Ne riportiamo qui di seguito la prima parte, che rappresenta una aggiunta rispetto al testo di cui sopra. ('1 The Quarterìv Review, London, luglio 1933.
zioni della vecchia Prussia, sono gli sforzi fatti da V.E. per formare la gioventu a servire la patria nella più rigida disciplina)).I1 ravvicinamento, nella mente di un vero tedesco come von Papen, tra l'Italia di oggi e la Prussia di ieri, non ha altro significato che quello di un'aspirazione e un proposito per la Germania di domani. Non può ancora dirsi se gli eccessi a cui si lascia andare la gioventu tedesca fanatizzata dal nazismo, sia i'ideale a cui i von Papen e gli Hitler vorranno educarla. Il ripristino, cosi subitaneo e clamoroso, della Mensur o duello studentesco già da otto anni proibito sotto la repubblica di Weimar, non risponde (per noi) all'idea normale di civiltà; e ci fa cattiva impressione il leggere che nell'università di Heidelberg il primo duello fra studenti e stato eseguito - il 19 aprile - con discorsi ufficiali e alla presenza del rettore e dei professori, delle autorità politiche, degli studenti e delle associazioni nazional-socialiste. Noi preferiamo le regate fra Oxford e Cambridge. Gli studenti tedeschi delle scuole superiori, ad imitazione di quelli italiani, reggimentati nelle associazioni fasciste, da ora in avanti sono obbligati a iscriversi alla Studentenschaft. L'associazione e ispirata al programma razzista, che oggi e divenuto dogma del germanesimo. Tra i compiti che gli studenti si sono imposti c'e la tutela della purezza della lingua, della letteratura e della razza. I1 programma è fissato in dodici punti. Al quarto punto e scritto: «Gli ebrei ed i loro sostenitori sono gli avversari più pericolosi)),e al quinto è affermato: ((L'ebreo non può pensare che come ebreo. Se scrive nella nostra lingua, egli mente. Quanto al tedesco che scrive nella sua lingua materna senza pensare in tedesco, e un traditore)). All'undicesimo punto: ((Esigiamo che l'università tedesca sia il centro del razzismo tedesco e un campo chiuso creato dall'energia dello spirito tedesco))... Infine gli studenti hanno ordinato la purga delle biblioteche studentesche private, universitarie e pubbliche, di tutti gli scritti giudicati contrari allo spirito germanico, che dovranno essere date alle fiamme. Si e fatto eccezione per quelle biblioteche che terranno tali scritti a titolo documentario, in sezioni separate e chiuse. Nel caso della Germania impressiona la forma clamorosa e brutale, con cui la classe studentesca nazista ha affermato il suo spirito di razza e la lotta contro la mentalità che essa chiama egualmente ((spiritoantitedesco» (punto 7) e ((degenerazione che il liberalismo ha prodotto nella vita intellettuale tedesca)) (n. 10). Ma in Italia, con meno chiasso e con più metodo, non si è fatto di meno. Le biblioteche pubbliche non danno alla lettura libri giudicati antinazionali, fra i quali quasi tutti i libri che sostengono le teorie democratiche dello stato e i principi di libertà. Gli insegnanti delle scuole sono stati vagliati più volte, mandando via gli indesiderabili e assoggettando tutti al giuramento di fedeltà al fascismo. L'insegnamento è sorvegliato e dai capi delle scuole e dagli stessi studenti più fidati, che non si vergognano di fare le spie. Tutti gli studenti sono inquadrati in associazioni dirette e controllate dal partito fascista, anche
le associazioni sportive. Coloro che si rifiutano di farne parte sono privati di tutti i privilegi e i favori che il governo elargisce ai suoi abbondantemente, cioè esenzioni di tasse scolastiche, promozioni senza esami, preferenze nei concorsi e così via. La scuola è uno strumento politico del fascismo e lo sarà anche del nazismo. Del resto, e caratteristico di questo tipo di dittatura, lo sforzo costante di subordinare ai fini dello stato tutte le energie ed attività della vita individuale e collettiva, e trasformare lo stato in una espressione di forza in mano ad un solo partito. A questo scopo Mussolini e i suoi hanno tenacemente cercato di assorbire ovvero di sottomettere tutte le forze estranee al fascismo ed eliminare con tutti i mezzi le forze avverse. Per lui, come oggi per Hitler, e questione vitale; non si puo restare al potere come dittatore se non a questo prezzo. Messi su questa via e impossibile indietreggiare. Partiti, sindacati, gruppi economici, industriali, capitalisti, banche, associazioni libere, università, chiese, tutto deve essere nell'orbita della dittatura. Chi non vi entra e un nemico da eliminare od opprimere. Mussolini al suo arrivo al potere trovò una resistenza prima incerta, poi mano mano più decisa nei socialisti e comunisti, nei popolari e in una frazione dei liberali; e per quattro anni dovette far fronte a varie e non lievi difficoltà. Hitler, invece, in meno di tre mesi ha visto capitolare il centro e i socialisti e non ha avuto che una debole e incoerente resistenza dei comunisti nelle risse di piazza. Questi sono stati dispersi e messi in prigione o nei campi di concentramento. E' sembrato inesplicabile come il centro si sia così facilmente s.ottomesso a Hitler, dopo che più volte aveva affermato la sua volontà di resistere; e la meraviglia e tanto più legittima in quanto si tratta di un partito saldo e forte, con oltre sessant'anni di esistenza, che ha al suo attivo la lotta contro Bismark e che dalla costituzione di Weimar del novembre 19 18 ad oggi ha governato il Reich da solo o in coalizione con altri partiti, ed ha governato la Prussia con i socialisti e la Baviera da solo (quest'ultima sotto il nome di partito popolare bavarese). Le circostanze nelle quali il cenfro germanico e il partito popolare bavarese han dato ad Hitler il voto dei pieni poteri, sembrano somiglianti a quelle d'Italia, quando il 15 novembre 1922 il gruppo parlamentare popolare diede a Mussolini il voto dei pieni poteri. Il partito popolare italiano era giovane, sorto dopo la guerra fra i cattolici italiani a tendenza democratica. e costituiva nel parlamento un gruppo di centro di ben 107 deputati su 535. Se essi avessero votato contro, Mussolini (come Hitler) non avrebbe avuto la maggioranza necessaria.
COME PREVENIRE LA GUERRA? (*)
(Londra, 20 gennaio 1934) Nell'incerto presente (1) è anche lecito prevedere una prossima guerra. Prevederla non è desiderarla e può essere un mezzo di evitarla. Sarebbe da stolti chiudere gli occhi per non vedere e le orecchie per non sentire. Nessuno vuole la guerra. Anche Hitler non vuole la guerra. Ma c'e modo di non volerla ed evitarla, e c'e modo di non volerla e affrettarla. A noi sembra che oggi nessuno voglia la guerra, ma che parecchi ne affrettino lo scoppio. E' naturale che statisti e uomini studiosi e giornalisti cerchino di prospettare i mezzi piu adatti a prevenire la guerra che si sente imminente. Due metodi. Uno teorico, quello dei grandi piani, nei quali la futura pace si fa dipendere da una sistemazione nuova della struttura sociale. Cosi fa il prof. Laski nello studio inserito nella sucitata pubblicazione (a). Egli sostiene che solo quando si sarà realizzata l'uguaglianza economica in un regime, socialista si otterrà l'eliminazione automatica della guerra. Siamo al di là del presente; e siccome il mezzo proposto dal prof. Laski è una premessa non realizzabile - o almeno né facilmente né subitamente realizzabile - cosi la prossima guerra (che e quella che c'interessa da vicino) non potrebbe essere eliminata. Altri invece, meno radicali, si limitano a proporre provvedimenti immediati atti ad eliminare i motivi di guerra ovvero a darvi una soluzione pacifica. Cosi fanno il visconte Cecil e il suo fedele collaboratore W. Arnold Forster, come pure, sopra un tema molto discusso (la revisione dei trattati) il professor Gilbert Murray. Se non che, partendo essi da presupposti ottimisti, sia circa la situazione della S.d.N. sia circa la volontà di pace e di cooperazione dei paesi europei, non affrontano il problema realistico dell'oggi sul piano della politica contingente, ma lo guardano sotto aspetti formalistici o giuridici o puramente morali. Ciò non ostante, nei loro scritti vi sono vedute pratiche interessanti, (*) Pubblicato su Polirique. Paris. febbraio 1934. (1) La situazione internazionale era particolarmente tesa. I1 14 ottobre 1933 Hitler aveva annunciato la decisione di abbandonare la conferenza del disarmo; pochi giorni dopo, il 19 ottobre, la Germania si era ritirata anche dalla Società delle Nazioni. A nulla erano valsi gli sforzi della Francia volti a ricercare una mediazione: il 19 gennaio 1934 la Germania dichiarava di non poter accettare né la disparità degli armamenti, né il ritorno alla Società delle Nazioni. Sturzo scrive questo articolo il 20 gennaio 1934. (a) The inrelligent man's way roprevent war - by sir Norman Angell, professor Gilbert Murray, C. M. Lloyd, C.R. Buxton, viscount Cecil, W. Arnold Forster, professor Harold Laski, edited by Leonard Wolf, London, Victor Pollancy Ltd. n. 1933. La nota e di Luigi Sturzo. (Tutte le note dell'autore sono state trascritte cosi come risultano nell'otiginale; sono riconoscibili dalle altre perché segnate con lettere alfabetiche).
proposte da dover tenere in conto, e pii1 che altro uno spirito largo e comprensivo per il mantenimento deUa pace, che per fortuna trova eco e simpatia in molti ambienti inglesi. La loro efficacia educativa è veramente notevole. Senza tenere in poco conto lo sforzo di tali uomini per creare correnti sempre più favorevoli alla cooperazione fra gli stati, oggi occorre arrivare al nodo della questione, come prevenire la prossima guerra. L'opinione pubblica si deve rendere conto del pericolo di guerra e dei mezzi più adatti, per ogni singolo paese, per allontanarla e scongiurarne I'awento. Diciamo per ogni singolo paese, perché ogni paese deve assumere quegli atteggiamenti e realizzare quegli sforzi e fare quei sacrifici che rispondano alla sua propria posizione nel campo internazionale. L'errore comune e quello di comprendere bene quali sarebbero gli obblighi degli altri 'paesi e non comprendere affatto gli obblighi propri. Oggi la Societa delle Nazioni è resa impotente dagli errori dell'Inghilterra e della Francia, dall'uscita del Giappone e delia Germania e d d e insidie dell'Italia. Ma la funzione della S.d.N. non può cessare, senza far cadere l'Europa nel caos. I trattati post-beliici e gli altri che son seguiti, Locarno su tutti, sono concepiti nel quadro della Societa. La sua funzione e necessaria per mantenere l'ordine attuale; la sua caduta affrette. rebbe la guerra. La S.d.N. fu idealmente concepita come uno strumento di pace neli'eguaglianza di tutti i popoli; ma praticamente e stata ed è ancora uno strumento della pace del 19 18-19 e un mezzo di conservazione deu'ordine stabilito dai paesi vincitori. Poiché vi sono potenze che vogliono mutare quest'ordine, esse hanno tutto l'interesse a invalidare la Società delle Nazioni che di quest'ordine è garante. Più la Societa sara indebolita e piu essa sara inefficace sia a mantenere l'ordine attuale come pure a riformarlo. Questo e il significato reale della crisi d'oggi; e necessario comprenderla per prospettarci i mezzi di superarla. Mussolini, a mezzo del gran consiglio fascista, ha messo come condizione della permanenza a Ginevra deli'Italia una riforma radicale delia Societa nella sua costituzione, nel suo funzionamento e nei suoi obiettivi. A parte il gioco politico del duce, la sostanza è che la S.d.N. è oggi un ostacolo alla revisione dei trattati e al rifacimento dell'ordine europeo e coloniale che meglio risponda agli interessi dellYItaliae alle rivendicazioni della Germania e degli altri paesi vinti. Occorre cambiare lo strumento! E' naturale supporre che Mussolini, per un verso o per un altro, voglia far rivivere il patto a quattro (2) come inserito nell'organismo di Gine(2) I1 .Patto a quattrow ideato da Mussoiini e redatto a Roma nel giugno del 1933 stabiliva un'meficace collaborazionew tra la Francia, la Germania, ['Inghilterra e Iltalia che avrebbero agito insieme per indurre gli altri paesi ad adottare una .politica di pace*.
vra, costituendo un direttori0 delle grandi potenze. Un'Italia d'intesa con la Germania, e unYInghilterratentennante terranno a posto una Francia, che voglia continuare una politica di egemonia. Per queste e simili riforme non solo non basta uun tempo corton quale richiesto dal consiglio fascista, ma neppure un tempo lungo. Dal 1928 ad oggi non e stato possibile inserire nel Covenant il patto di Parigi (Briand-Kellog); l'opposizione di tutti gli altri stati piccoli e medi e delia Francia stessa contro l'abolizione deli'uguaglianza giuridica fondamentale dei membri della Società, farà cadere qualsiasi iniziativa che voglia prendere l'Italia, anche se appoggiata alla minaccia del suo ritiro. Sembrò che l'Italia facesse della riforma una conditi0 sine qua non della sua permanenza a Ginevra, ma dopo la visita a Roma del ministro inglese Simon la questione della riforma e passata in seconda linea, e Mussolini fa mostra di essere disposto ad attendere un momento più adatto a lanciare le sue proposte. Queste nostre osservazioni non sono state fatte per affermare che non occorrano riforme, anche radicali, aila S.d.N., tutt'altro. Esse sono fatte in riferimento allo spirito della proposta fascista, che e nella stessa linea del ritiro della Germania dalla Società e dalla conferenza del disarmo. Non si creda che Hitler abbia fatto quel gesto esclusivamente per politica interna (per quanto la politica interna vi abbia la sua parte); né che l'abbia fatto per semplice tattica sul campo internazionale (anche questa può aver contato nella sua decisione); in verità egli l'ha fatto perché obbligatovi dalla sua stessa politica. Se l'Italia fosse logica essa, che non avrebbe le ragioni della Germania, ma che è la sostenitrice della politica revisionista, farebbe il passo e si ritirerebbe da Ginevra. Allora la S.d.N. sarebbe spogliata del suo carattere ideale di centro internazionale ove gli interessi dei popoli vengono trattati con giustizia ed equità, e resterebbe più visibile che mai ch'essa e lo strumento di quei paesi che vorranno mantenere l'attuale ordine europeo, quale venuto fuori dai trattati di pace.
Hitler lasciando Ginevra ha protestato più volte che la sua e politica di pace, non politica di guerra. Egli vuole la parità di diritto e di fatto della Germania, non più una tutela internazionale su di essa. Egli quindi tia proposto il metodo delle conversazioni diplomatiche e delle intese dirette con i paesi con i quali esistono differenze da regolare. Con la PoloIl patto, che riaffermava il principio,della revisione dei trattati di pace in circostanze capaci di produrre un conflitto fra le nazioni, non fu mai ratificato: la Francia, che lo aveva accettato senza troppa convinzione, fece di tutto per renderlo inoperante. Il fallimento del .Patto a quattror aveva in pratica fatto crollare la fragile speranza di una op. cit. 145-7). revisione pacifica dei trattati (cfr. J. B. DUROSELLE,
nia le conversazioni sono già in corso, con la Francia sono allo stadio preliminare. Parliamo delle conversazioni con la Francia. Poco sappiamo di quel che sia passato tra Hitler e l'ambasciatore francese a Berlino, Franqois Poncet. Dalla intervista di Hitler con de Bfinon, corrispondente per I'occasione del Matin (22 novembre), e dalle successive manifestazioni degli organi hitleriani, sembro in un primo tempo che Hitler puntasse esclusivamente sulla Sarre, e facesse della Sarre l'unica questione importante da trattare con la Francia. L'ex-cancelliere Luther, oggi ambasciatore della Germania a New York, parlando il 7 dicembre davanti a 20 mila americani d'origine tedesca ebbe a dire: «Je ne puis mieux souligner I'importance historique des parolas du Fuhrer, qu'en declarant publiquement que le danger d'un conflit avec la France pour des questions territoriales n'existe pas. La reconnaissance des frontieres franco-allemandes a mis fin à une querelle millenaire)) (Le Temps, 7 dicembre). L'ufficiosa Correspondancepolifique ef diplomatique di Berlino, in un articolo del dicembre scorso sui rapporti franco-germanici, escludeva tassativamente che la Germania tendesse ad isolare la Francia. La Germania, essa dichiarava, non si opporrebbe ad un'alleanza difensiva tra la Francia e l'Inghilterra, ne mira a distaccarla dai suoi alleati, Polonia e Piccola Intesa. Prova di ciò che la Germania già tratta con la Polonia, e che I'Inghilterra appoggia le conversazioni a due. Anche per la Correspondancel'unico problema che oggi crea difficoltà tra Germania e Francia è quello della Sarre. «On veut faire de la Sarre une plateforme sur laquelle les efforts faits en vue d'une détente pourraient se rencontrer et trouver une expression concrete sans qu'il en resultit pour la France aucune perte de prestige. C'est de cette seule conception que s'inspirerait I'Allemagne si elle se declare prete à negocier))(Le Temps 7 dicembre). Non manca di suscitare dubbi e sospetti questo puntare unicamente sulla Sarre. Hitler ha nominato von Papen ((chargede pouvoirs du gouvernement du Reich pour la Sarren, un posto nuovo e caratteristico, afidato all'uomo che può attenuare le diffidenze dei cattolici della Sarre (sono la maggioranza) e del Vaticano, e che non manca di avere contatti e simpatie in Francia. Papen ha debuttato con un telegramma poco simpatico alla Francia, ma saprà ben trovare le vie per nottenere simpatia e fiducia. A prima vista si pensa che Hitler abbia desiderio o bisogno di un successo clamoroso. Quello del concordato con Roma E già scontato (e come!); ilplebiscito germanico (3) non è stato un vantaggio di fronte alle masse, che anzi e il titolo di credito per le stesse masse - che bon gré malgré han dato il voto al Fuhrer - per ottenere qualche cosa di concreto, che (3) I1 12 novembre 1933 un plebiscito popolare aveva approvato la politica intemazionale di Hitler con una maggioranza del 95% dei voti.
non siano sole parole. L'Austria gli resiste; dal lato polacco egli non può certo aspirare all'abolizione tout court del corridoio; le conversazioni con Varsavia non possono avere una mira cosi ambiziosa e cosi irrealistica. Non resta che la Sarre. Attendere tranquillamente il 1935 non e dinamico per un governo nazi; occorre avere una soluzione immediata. La Francia non ha alcun interesse a contrariare la politica di prestigio che Hitler inaugura sull'esempio del duce fascista. Ma Mussolini sa contentarsi delle parole e se non ha creato l'impero ha creato a Roma la la via dell'impero; Hitler e più concreto e vuole subito la Sarre. La posizione della Francia è delicata; essa potrebbe intendersi con la Germania circa il regime futuro delle miniere della Sarre, regime che interessa insieme e la Sarre e la Francia e la Germania. Ma e la futura sistemazione politica della Sarre quella che comanda ogni reale soluzione del problema economico. Né legalmente né moralmente può dipendere dalla Francia la futura sistemazione politica della Sarre. Spetta anzitutto agli abitanti della Sarre decidere sul loro regime, se riunirsi al Reich, se optare per una riunione alla Francia, ovvero se continuare nello stato attuale. Spetta alla Societa delle Nazioni prima di tutto organizzare il plebiscito, sia che sia fatto con tutte le garanzie di liberta, e dopo l'esito del plebiscito, decidere se tutta la Sarre o parte di essa dovrà tornare alla Germania, oppure no; e quali le modalità e le garanzie per tale passaggio di regime. Ogni soluzione che impedisca il plebiscito, lede il diritto della popolazione della Sarre, e quello della Societa delle nazioni. L'unica cosa che potrebbe oggi prospettarsi, sarebbe l'anticipazione del plebiscito. Invece del gennaio 1935, indirlo durante il 1934. Non ne vale la pena né risponde ci8 al desiderio della popolazione interessata. La maggioranza della Sarre e cattolica; i partiti del centro e della social-democraziane costituiscono il nucleo politico; l'opinione pubblica è molto divisa circa i metodi e i fini del nazismo, il quale terrorizza le popolazioni di confine e agita i partiti nei quali oggi è divisa la Sarre. Non risponde al loro interesse vedere prima come si svolgono gli affari in Germania e non aver gran fretta di perdere la libertà? Noi non crediamo che vi possa essere alcuna probabilità per un voto a favore dell'unione alla Francia (4). Quei francesi che oggi pensano cosi sono degli illusi. Ma dali'awento di Hitler in poi si va facendo strada la terza soluzione, quella di un'autonomia politica (sia pure tempora(4) La previsione di Sturzo si rivelo esatta. ii plebiscito ebbe luogo il 13 gennaio 1935. Su 528.053 votanti, 46.613 si pronunciarono per il mantenimento deiio statu quo, 2.124 per l'unione d a Francia, 477.119 per il ritorno d a Germania nazista. il 27 deiio stesso mese la Società delle Nazioni decise in conseguenza il ritorno deUa Saar d a Germania per il l o marzo 1935. L'atteggiamento francese precedente al plebiscito era stato timido ed arrende-le: il 10 novembre 1934 si era giunti ad un accordo che lasciava praticamente ogni libertà d a propaganda tedesca e metteva fme a queila deila Francia; tale accordo era stato ratificato d d a Societa deiie Nazioni.
nea) sotto la garanzia della Societa delle Nazioni. E' quel che temono Hitler e von Papen; un'altra sconfessione peggiore di quella dell'Austria all'unione pangermanica (3, sotto il dolce regime nazi. Noi non sappiamo cosa avverrà; può essere un'illusione pensare ad una affermazione cosi significativa delle popolazioni della Sarre; ma certo che né la Francia né la Societa delle Nazioni avrebbero alcun diritto a giocare la Sarre come una pedina per la pretesa pacificazione franco-tedesca. Del resto, questa idea che fu ventilata da qualche giornale (forse per tastare il terreno) è stata abbandonata, specialmente dopo che la Societa delle Nazioni e stata investita della relazione della commissione governativa della Sarre sul territorio nazista, e dopo che i rappresentanti sarresi dei partiti socialisti e del centro hanno esposto a Ginevra i loro reclami e manifestato il desiderio di un rinvio del plebiscito. Il consiglio della S.d.N., riunito in gennaio, all'unanimità ha rinnovato il mandato alla commissione che governa la Sarre (cosa che non e piaciuta a Berlino) ed ha nominato una commissione per le proposte concrete sul plebiscito. L'affare tornerà in maggio a Ginevra.
La questione della Sarre ha preso cosi un andamento non previsto né desiderato da Berlino. E la mossa fatta per una diversione dell'opinione pubblica è caduta completamente; sicché e tornata nella sua piena luce la questione principale che divide la Germania e la Francia, cioè il problema del riarmo, detto in termini eufemistici, il problema della parita. Abbiamo detto piu sopra che la Germania fu obbligata dalla sua stessa politica a venir via da Ginevra. Ed è molto chiaro. Essa, non da oggi, non solo da Hitler ma anche da prima di Hitler, ha ricominciato il suo armamento al di là dei termini di Versailles. Se la Germania avesse accettato alla conferenza del disarmo le proposte franco-inglesi di un periodo di prova di quattro o cinque anni, entro il quale essa avrebbe avuto solo la parita di diritto ma non di fatto, si sarebbe impegnata volontariamente ad osservare i limiti di Versailles circa il suo armamento e sottoporsi per giunta al controllo permanente automatico ed efficace, che gli esperti francesi han già preparato nei suoi minuti dettagli. Quale la conseguenza? Molto semplice: mentre i paesi armati avrebbero potuto mantenere il loro attuale livello, la Germania al primo incontro della commissione di controllo sarebbe stata dichiarata in fallo per avere (5) I1 progetto di aAnschlussn economico, elaborato il 14 marzo 1931, in seguito alle reazioni francesi e soprattutto a causa della crisi economica che nel maggio-luglio dello stesso anno raggiunse l'Austria prima e la Germania dopo, fu effettivamente, per il momento, accantonato. I1 13 settembre Curtius per la Germania e Schober per l'Austria dovettero affermare di fronte alla Corte permanente deU'Aja di non aver piu intenzione di dar seguito al ventilato progetto di unificazione doganale.
di fatto superati i limiti di ~ersailles,e sarebbe stata invitata, con le buone o con le cattive, a ridurre i suoi armamenti. Quale miserabile effetto per una politica di prestigio nazionale, per una rivendicazione solenne alla parita fra tutti gli stati e all'onore germanico! E quale bel saggio di cooperazione fra i popoli, di nuova era di pace, quella di un trattato di disarmo, che s'iniziava con una Germania recalcitrante alla commissione di controllo? La verità e che la Germania si 8 trovata e si trova in una posizione incomoda, che deve mascherare con la domanda, per sé non irragionevole né pretenziosa, di una parità morale, giuridica e politica. L'Italia ha fatto comprendere e sostiene anche oggi che la soluzione del problema così posto sarebbe quella di consentire alla Germania il livello attuale dei suoi armamenti, purché accettasse la convenzione del disarmo e il controllo. L'Inghilterra, che fino alla secessione della Germania fu sempre contraria a qualsiasi riarmo della Germania, ora sembra tentennare, e, se potesse vederla di nuovo a Ginevra, sarebbe disposta a fare delle larghe concessioni in questo senso. Intanto, ecco il punto tragico della situazione, nessuno si sente più sicuro: la Svizzera intensifica il suo sistema militare difensivo; il Belgio anch'esso prevede aumenti di spese militari; l'Inghilterra fa piani di armamenti aerei e navali, e gli Stati Uniti sono sulla stessa strada. La Francia non cessa di rendere sempre più forte il suo esercito, la Piccola intesa, l'Italia, la Russia, tutti guardano ai problemi militari come immediati. Non si è avuta una situazione simile dal 1914 in poi. Sarebbe ingenuo domandarsi perché la Germania abbia tanta voglia e tanta fretta di riarmare. E' vero ch'essa non ha minacce da nessuna parte e per nessuna questione; e vero ch'essa ha risparmiato in quindici anni di disarmo obbligatorio, in confronto agli stati vincitori, almeno trenta miliardi di marchi. Ma la Germania fin dal primo momento ch'ebbe imposto il trattato di Versailles, senti che doveva venire il giorno della rivincita. La disfatta, l'attribuzione della responsabilità della guerra, la perdita delle colonie, la mutilazione del Reich, l'occupazione del Reno, il distacco della Sarre, il corridoio polacco, tante ragioni per sognare la rivincita. Parte ha ottenuto con la politica di pacificazione, parte spera ottenere con la politica di forza e di ricatto. Non con la guerra. La Germania ha paura anch'essa di una nuova guerra. A parte i mezzi terribili di distruzione reciproca, chi ha detto che la Germania dovrebbe vincere la nuova guerra? E se la perdesse? La Germania vuole la parita degli armamenti, sia in aumento sia in diminuzione, ma parita, per poter far valere le sue richieste trattando da pari a pari e non da inferiore a superiore, da vinto a vincitore. Essa poteva far ciò nella S.d.N. se questa fosse stata completamente distaccata dagli impegni dei trattati di pace, se l'art. 19 per la revisione dei trattati fosse veramente applicabile, se il giudizio della Società non
fosse influenzato politicamente dalla coalizione dei paesi vincitori e relativi satelliti. Ecco la posizione della Germania oggi; essa e fuori della Società delle Nazioni e non si sente piu legata ai patti di pace, per quanto concerne la parte morale-nazionale, e rimane soggetta ad essi solo in quanto non può o non crede giunto il momento di spezzare ogni ulteriore legame. Intanto essa tratta e vuole trattare, a due o a tre, diplomaticamente e con larghe offensive sul carnpo della pubblica opinione. Così si vedono due facce: la Germania pacifista che tende la mano e ricerca le intese, e la ricerca veramente, senza finzioni, in forma concreta; e la Germania che riarma, che si infiamma contro Versailles, che perseguita i pacifisti, che appoggia Mussolini nella sua campagna contro Ginevra.
Non si scherza col fuoco. La Germania non vuole la guerra e si arma. La Francia non vuole la guerra ed è più armata di prima. L'Inghilterra non vuole la guerra e si pente di aver diminuito i suoi armamenti e annunzia che aumenterà la sua forza aerea e navale. Fino a tutt'oggi la situazione e tale, che una futura guerra dipenderà dall'atteggiamento dell'Inghilterra e della Francia. Gli altri paesi potranno dare occasioni di guerra, ma non potranno provocare la guerra europea se Francia e Inghilterra procedono d'accordo. Queste due, pur non volendola, potranno provocare una guerra, come pure potranno, almeno per oggi, evitarla. La Germania non e in grado di tentare una guerra. Deve ancora prepararsi e non poco, per una nuova avventura dalla quale voglia uscire vittoriosa. Preparazione militare d'abord, preparazione politica, e anche preparazione economica. E' vero che, nelle condizioni attuali di credito, non e più possibile prevedere una lunga guerra appoggiata a mezzi estranei alle risorse del proprio paese; e che in una prossima guerra quasi tutti i paesi saranno costretti alla statizzazione completa dell'economia nazionale, come se si fosse in una città assediata, e quindi al sacrificio di uomini e di beni il più largo possibile. Ma su questo terreno la resistenza della Francia e dellYInghilterrae allo stato presente, e per gli imperi coloniali che esse possiedono, di gran lunga superiore a quella della Germania, anche nella ipotesi (non molto probabile) di un'alleanza con l'Italia. Tutto sommato il pericolo di una guerra immediata non si vede. Ma si vede bene il pericolo di una preparazione bellica, ed E quella che si deve evitare oggi, se non si vuole una guerra domani. Il principale pericolo di guerra futura consiste nel distacco dell'Inghi1terra dalla Francia. Quanto piu la Germania comprende che IYInghilterra non appoggia la Francia, tanto più essa prende coraggio per una poli-
tica di rivincita. Si afferma da molti che se lord Grey ( 6 ) avesse fatto sapere a Berlino. nel 19 14. che l'Inghilterra avrebbe difeso la Francia e il Belgio in caso di attacco, la guerra non sarebbe scoppiata. Per quel tanto che le azioni umane seguono una logica, la detta affermazione e dentro il quadro della realtà umana. La Germania era sicura che la Francia restava isolata, e invadendo il Belgio contava di essere a Parigi in poche settimane. Il conto non tornò. Oggi si va delineando la stessa tragica posizione; l'Inghilterra non può ripetere per la seconda volta l'errore commesso di già una volta, e pagato assai caro. Oggi deve risolversi a seguire una politica e dire chiaramente quel che essa vuole e dove vuole arrivare. I1 sistema di decidersi all'ultimo momento per serbare intatta la sua libertà di decisione oggi non e applicabile. perché non è più sostenibile la politica di neutralità in caso di conflitto. né e possibile attendere che la guerra scoppi per sapere quale la parte da sostenere, in applicazione del trattato di Locarno; mentre è più vantaggioso e doveroso fare si che la guerra non scoppi. La Germania oggi non può fare una guerra; domani la potrebbe fare alla Francia, se l'Inghilterra restasse neutra; non potrà farla alla Francia e all'hghilterra insieme unite, almeno per un mezzo secolo. E basta prevedere le sorti europee per mezzo secolo. Non si può domandare all'Inghilterra ch'essa faccia sua la politica francese, ne alla Francia ch'essa faccia sua la politica inglese. Ma si può onestamente esigere di finirla con questo continuo inseguirsi di proposte inglesi non accettate dalla Francia che per meta o di proposte francesi accettate dall'hghilterra solo fino a un certo punto. Si dà alla Società delle Nazioni la colpa di aver poriata alle lunghe la questione del disarmo, ma la colpa principale risiede nella mancata intesa franco-inglese. Ciascun ministro degli esteri espone la dottrina del proprio paese e dichiara di voler collaborare insieme; ma al punto centrale c'è sempre un crepa; l'intesa non e più possibile. Nuove proposte, nuove assemblee, nuove discussioni. Se la Germania avrà il merito di mettere d'accordo Francia e Inghilterra, approviamo pure il gesto di Hitler che lascia Ginevra. Purtroppo, oggi questo accordo non si prevede. Secondo la opinione di non pochi inglesi (e credo che non sbaglino), finche MacDonald sarà capo del governo nazionale, un accordo completo con la Francia non potrà aversi. Ripugna alla mentalità vaga e generica di MacDonald, alla sua tendenza a funzionare da arbitro, balla sua antica e sincera amicizia per la Germania, impegnarsi per una politica francese, che nella sostanza e per l'esecuzione di quel che resta del trattato di Versailles e per la tutela dell'attuale ordine europeo. E non e solo MacDonald a pensarla cosi; (6) Lord Grey (1862-1923). Ministro degli esteri nel governo inglese al tempo della prima guerra mondiale, aveva cercato con tutti i mezzi di attenuare i sensibili contrasti con gii Imperi Centrali onde evitare il conflitto che appariva sempre piu probabile.
molti conservatori (a parte il tono tutto personale di MacDonald) sono più o meno delle stesse idee. Occorre uno sforzo assai notevole per una modifica di politica internazionale da parte dei conservatori inglesi. Forse gli avvenimenti vi contribuiranno; la sola Francia con la sua logica e con la sua diplomazia non vi riuscirà di certo. Gli uomini più avanzati verso una concezione internazionale, quali gli autori del citato libro, fra i quali autorevoli il visconte Cecil e il prof. Gilbert Murray, sentono il disagio dell'attuale politica inglese. Essi in teoria arrivano al. punto di vista della Francia. Lord Cecil ammette il principio delle sanzioni collettive contro lo stato che ricorre alle armi, rompendo i patti di pace; e l'uso delle rappresaglie economiche - egii dice ((severeeconomic pressure))(b) - contro lo stato che, dopo la convenzione del disarmo, passasse i limiti convenuti nel proprio armamento. Il visconte Cecil, anche oggi, nelle condizioni presenti dellYEuropa,ritiene che il disarmo sia necessario. I1 prof. Gilbert Murray è uno strenuo difensore della società delle Nazioni; a proposito della mossa di Mussolini (7) per la riforma della S.d.N., egli scrisse al Times una lettera molto chiara (C)nella quale, pur ritenendo che modifiche occorrono, disse di allarmarsi del tentativo fascista come quello che vorrebbe dare mano libera alle grandi potenze. I1 patto della S.d.N. fu invece steso per creare «uno standard di moralità politica nei rapporti internazionali)). I1 prof. Gilbert Murray, nel citato libro (d) tratta a fondo il problema della revisione dei trattati. La sua critica ai trattati di pace non corrisponde in molti punti alle idee prevalenti in Francia. Egli in sostanza riconosce che molto poco rimane oggi che potrebbe rivedersi dal punto di vista dell'equita e delle possibilità. Egli vorrebbe eliminare la vessante questione della responsabilità della guerra, quale derivante dall'art. 321 del trattato di Versailles, mediante una dichiarazione che potrebbe premettersi alla futura convenzione di disarmo, in termini che non pregiudichino il diritto dei paesi vincitori, lasciando agli storici la ricerca della verità dei fatti. Non tutti saranno d'accordo con Gilbert Murray. Circa le colonie, egli insinua che l'unico a potersi mettere in discussione sarebbe il mandato sul Tanganika, per quanto ciò possa pregiudicare l'attuale stato di unificazione di territorio con 1'Uganda e il Kenia. Ma per Gilbert Murray la vera soluzione coloniale sarebbe il sistema della porta aperta accettata da tutte le potenze coloniali. Problema grave e difficile e non certo (b) I.c., pag. 308. (7) In un discorso pronunciato a Torino il 23 ottobre 1932 Mussolini aveva dichiarato che la Società delle Nazioni, impacciata dal numero troppo elevato dei suoi membri, non era in grado di assicurare la pace in Europa. La proposta del *Patto a quattro*, di una sorta di direttivo cioè delle maggiori potenze europee, era nata come conseguenza di questo suo giudizio. (C) The Times, 12 dicembre 1933. (d) Cap. 11, pagg. 67-153.
d'immediata soluzione. Non manca il solito accenno alle colonie portoghesi, che dovrebbero essere quella res nullius da dividersi tra Germania e Italia, come un buon osso da gettarsi ai cani che abbaiano. Per la revisione territoriale europea, Gibert Murray ritiene che molti dissensi sarebbero evitati se si estendesse a tutti gli stati l'obbligo della protezione delle minoranze e se tale protezione fosse attuata in buona fede. Hoc opus, hic labor! Per le rettifiche pratiche egli opina che gran parte dellYAltoAdige e della Slovenia date d'Italia, dovrebbero ritornare rispettivamente all'Austria e alla Jugoslavia; il Dodecanneso (oggi sotto l'Italia) e Cipro (sotto l'Inghilterra) dovrebbero passare alla Grecia; la Dobrugia del sud dalla Romania passare d a Bulgaria, e così alcuni distretti della frontiera jugoslava-bulgara. Alcune zone della Slovacchia dovrebbero passare all'ungheria, che dovrebbe riavere certe zone di confine dalla Jugoslavia e dalla Romania. Per la Germania egli prevede un nuovo accordo circa il corridoio, una riconsiderazione del problema di Eupen e Malmedy e una certa revisione della frontiera dellYAlta Slesia. Infine propende per l'autonomia della Galizia orientale, della Macedonia e degli Zekli e dei Sassoni della Transilvania. C'e da mettere fuoco a tutta l'Europa! Questa revisione, molto teorica e assai discutibile, secondo Gilbert Murray dovrebbe farsi pacificamente. Ed è perciò che W. Arnold Forster, in altra parte del libro (e), pur riconoscendo i pericoli di cambiamenti, specialmente territoriali, sostiene che l'art. 19 del Covenant dovrebbe potersi mettere in ese.cuzione, mediante un'organizzazione tecnica permanente e i mezzi a ciò adatti. Secondo lui, dovrebbero mirare «a ridurre i bisogni di cambiamenti, a incoraggiare gli accordi diretti, a estendere l'intervento dell'alta corte di giustizia in questioni speciali e infine a ricorrere alle decisioni arbitrali in base all'equita)). Bisogna riconoscere lo sforzo che si fa in Inghilterra per comprendere la situazione e per cooperare al migliore ordinamento europeo; sforzo in perfetta buona fede e senza secondi fini, né arrière pensées. Che se si resta spesso nel campo delle teorie e al di fuori della realtà vissuta, la c ~ l p ae anche un po' del paese, che purtroppo e ancora un'isola. Ciò non ostante, ormai in una larga sezione dell'opinione pubblica inglese si arriva ad accettare l'idea di un impegno prestabilito ad applicare le sanzioni dell'art. 16 del Covenant contro lo stato aggressore, e quindi si arriva ad accettare una definizione dell'aggressore. E' un gran passo. Oltre gli scrittori del citato libro, lord Howard of Penrith, l'ex-ambasciatore inglese a Washington, ha recentemente pubblicato un opuscolo dal titolo: The prevention of war by collective action (0; è il discorso tenuto al. consiglio cattolico di relazioni internazionali. Egli sostiene che (e) Paragr. 2, pp. 342 e sgg. (f) Burns Oates et Washopurne, London, 1933.
non si può ottenere la riduzione degli armamenti senza creare una fiducia nella pace permanente, e tale fiducia può essere creata con l'impegno di un'azione collettiva contro l'aggressore. Egli pero ritiene che né l'Inghilterra n%gli Stati Uniti s'impegnerebbero a partecipare ad un'azione armata, mentre, secondo lui, ad evitare una guerra basteranno le sanzioni internazionali economiche e finanziarie contro l'aggressore. La cauta riserva di lord Howard risponde a sentimenti quasi generali dell'Inghilterra; sono pochi quelli che, come Arnold Forster, arrivano a volere anche un impegno militare contro l'aggressore. Wickham Steed ha pubblicato nella Contemporary Review (g) un importante articolo nel quale, dopo avere fortemente criticato la politica britannica e ogni tentativo d'isolamento, ribadisce la sua ormai nota teoria della rinunzia alla neutralità, come base di cooperazione internazionale. Egli sostiene che in una guerra europea l'Inghilterra non può restare neutrale. Ebbene, che essa lo dica e che tutti lo sappiano; questa dichiarazione, una specie di dottrina di Monroe ali'inverso, sarà sufficiente per la Francia e per gli altri paesi, come base di sicurezza.
Tanto lord Howard of Penrith quanto Wickham Steed, insieme al deputato Edward Grigg e all'ammiraglio Richmond, in una lettera al Times del 18 dicembre, hanno dato forma precisa aile loro proposte per un boicottaggio finanziario ed economico contro l'aggressore, ed han precisato in termini chiari la figura giuridica dell'aggressore (h). (g) Peace or War: is there a briiish policy?, Cont. Review dicembre 1933, London. (h) Ecco il testo delle proposte: #Nella sua forma presente - osservano - il patto non è che un impegno morale a rinunciare alla guerra come strumento di politica nazionale e non crea una garanzia collettiva contro un'aggressione vittoriosa, poiché i firmatari non si sono impegnati a ricorrere ad una qualche azione collettiva nell'eventualità di tale violazione. Per rimediare a questa lacuna, proponiamo di completarlo nel modo seguente: I. Che tutti i firmatari del patto si impegnino a dichiarare e a mettere effettivamente in atto un boicottaggio finanziario ed economico contro ogni potenza o tutte le potenze che ricorreranno alla guerra o useranno deUa forza armata in violazione del patto; 2. Che a tutte le potenze impegnate nelle ostilità gli altri firmatari del patto intimino di accettare un armistizio e di ritirare le truppe durante l'inchiesta o la conferenza. Ogni potenza che si rifiutasse di accettare un tale armistizio o di ritirare le sue truppe sarebbe considerata come aggressore e, in quanto tale, boicottata. Ogni potenza, tuttavia, che avendo accettato l'armistizio, sia stata forzata a continuare la lotta contro l'aggressore per difendersi, non sarebbe passibile di boicottaggio; 3. Che se, malgrado il boicottaggio, un aggressore - come è stato definito - riuscisse ad aver la meglio militarmente sulla potenza attaccata, i firmatari del patto si impegnerebbero a continuare il boicottaggio e a rifiutare di riconoscere le condizioni di pace imposte con la forza; 4. Che questi obblighi non dovrebbero entrare in vigore prima che tutti i firmatari del patto li abbiano accettati o, almeno, fino a che le potenze che li abbiano sottoscritti siano d'accordo per metterli in atto attendendo l'adesione degli altri.
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Non ostante l'insistenza e la ragionevolezza di proposte come le presenti - e il peso deli'opinione pubblica è sempre importante nel regime inglese - pure il cammino da fare è ben lungo prima di arrivare ad un impegno concreto. I1 governo per bocca di Baldwin (8) si e fermato ai patto di Locarno, che l'Inghilterra non vuole attenuare ed eseguirà in tutta buona fede. Ma è evidente che la Germania non farà nulla per dare all'Inghilterra l'argomento decisivo per un intervento contro di essa. Sta in altri termini la questione che il Times ha posto molto chiaramente nel suo articolo di fondo del 18 gennaio. Dopo avere esaminato la presente politica francese, come risulta dal memorandum del lo gennaio dato all'ambasciatore di Berlino per le conversazioni dirette con Hitler e al discorso di Boncour (9) al senato del 16 gennaio, riconosce che la Francia è disposta a dei sacrifici con la contropartita di un'azione internazionale nel caso di violazione del patto di disarmo. I1 Times aggiunge che lo stesso governo inglese nel suo schema di convenzione all'art. 89 dice che «la leale esecuzione della presente convenzione e materia di comune interesse alle altre parti contrattanti)). E conclude con queste parole: «E' essenziale che la pubblica opinione britannica consideri con molta cura quale attuazione nell'estremo suo caso esso è preparato a dare alle parole "materia di comune interesse")). Ecco il problema!
Questo problema, così posto, è quello che tiene la Francia attaccata alla sua politica di sicurezza. L'atteggiamento conciliante verso la Germania, le controproposte dell' aide-memoire del l o gennaio, i discorsi di Boncour e del presidente Chautemps al senato, sono utili perche si formi una derente psicologica fra Germania e Francia; ma il punto centrale della politica francese resta sempre - er pour cause - la sicurezza. Due politiche stanno di fronte: quella della destra - che è quella di Millerand e di Tardieu - cioè non confidare che sull'armamento della Francia e suoi alleati e nulla concedere ad una Germania della quale non si hafiducia; e quella di Paul Boncour, Herriot, Daladier e Chautemps, cioè di far fiducia alla Germania (sino a un certo punto) e di concederle quel che è possibile oggi, senza compromettere leforze militari della Francia ed alleati, e solo nel quadro di Ginevra, in vista di una vera cooperazione internazionale. Questa seconda politica è più savia e concilia alla Francia più simpatie internazionali, specialmente deipae- si anglo-sassoni e baltici. (8) S. Baldwin (1867-1947). leader dei conservatori inglesi, divenne primo ministro dal 1935 al 1937 favorendo una politica uconcilianten con la Germania nazista. (9) Paul Boncour (1873-1963) fu ministro degli esteri nel governo presieduto da C. Chauternps che durò in carica per soli tre mesi dal novembre del 1933 al 29 gennaio del 1934.
Tutto sta a vedere se in un tempo relativamente breve, e nell'attuale stato d'animo tedesco, sarà possibile arrivare a qualche cosa di conclusivo, nelle conversazioni a due. E nel caso che a nulla si arrivi, se sarà . possibile arrivare a Ginevra a quell'accordo, che chiarisca la domanda del Times, cioè fino a qual punto l'Inghilterra potra dare attuazione alle parole: materia di comune interesse. Intanto la Germania, rispondendo al memorandum francese, non si accontenta di un'immediata riduzione dell'aviazione militare, ne delle altre ben larghe proposte francesi, fra le quali quelle riguardo le reclute sotto le armi, e insiste per avere il medesimo diritto alle armi difensive che tutti gli altri paesi. La distinzione fra armi difensive e armi offensive è quanto mai arbitraria, ed e fatta solo per comodo di classflcazione e con l'intenzionalità di far capire che il disarmo concepito ha perjìnalità l'eliminazione dell'aggressione. Non chiamiamo furto ciò una pia menzogna, per non fare andare in collera i casuisti di Ginevra, ma non intendiamo mostrarci convinti, perché non lo siamo. In sostanza, la Germania vuole parità di diritto e di fatto in materia di armamenti, il che porterebbe o un riarmo legale della Germania (quello di fatto già esiste) ovvero un disarmo legale e reale della Francia, e ciò senza periodi di prova. La Francia non potra mai accettare questa ipotesi, che la metterebbe subito in condizioni d'inferiorità in un momento in cui la Germania è nella reazione parossistica contro i trattati di pace e contro l'attuale ordine europeo, e non cessa dalla sua azione terroristica ai suoi confini e pure dentro i paesi vicini come l'Austria e la Sarre. Le conversazioni franco-germaniche potranno continuare, perche Berlino usa un tono conciliante tale quale l'usa Parigi; ma alla fine, se la Germania non cede, torna il problema a porsi in maniera perentoria e urgente: o l'Inghilterra si spinge almeno fin dove lord Howard e Wickham Steed propongono: il boicottaggio economico e finanziario dell'aggressore, nel quadro della Società delle Nazioni; e nel senso stesso accennato da1 Times che I'osservanza di una convenzione di disarmo sia materia di comune interesse, da difendersi quindi con mezzi effettivi e non con parole; ovvero la Francia dovra contare solo sulle sue armi e le sue alleanze. Se la Germania vuol restare fuori della S.d.N., se vuole riarmare violando i trattati che fin oggi la legaqo, se non vuole aderire ad una ragionevole convenzione di disarmo, dovra essere considerata come un pericolo di guerra, onde si avrà il diritto di applicarle gli articoli 10 e 1 1 del Covenant e i relativi articoli del trattato di Versailles sul disarmo. Noi speriamo che non si arrivi ad un punto così difficile della vita europea; ma noi siamo convinti che a prevenire una guerra terribile, una vera catastrofe per la civiltà, occorrono mano ferma, spirito pronto, occhio previdente e decisione opportuna.
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Oggi si può ancora evitare una guerra, e, se necessario, obbligare la Germania a sottoporsi; ma se la Germania riarma e se gli altri, paesi, invece di disarmare, aumenteranno i loro armamenti, la guerra sara inevitabile. Tutti i problemi territoriali e coloniali potranno essere discussi e risolti in uno spirito amichevole, senza preoccupazioni di guerra quando si sara effettivamente disarmati materialmente e moralmente. Ma finche questo disarmo non sara reale, non è affatto il caso di parlare di revisione di trattati. Sarebbe errore colossale fare alla Germania delle concessioni, come si è fatto con l'evacuazione del Reno, con la cancellazione delle riparazioni e con il riconoscimento della parità, senza un effettivo disarmo. A questo disarmo effettivo oggi manca la base morale; cioè lo stato d'animo di fiducia reciproca e una. reale garanzia di sicurezza. Fino a che la Francia non,otterrà o la dichiarazione, da parte dei paesi anglosassoni, che la neutralità di guerra non avrà più luogo, ovvero non s'intenderà con l'Inghilterra sull'applicazione delle sanzioni contro lo stato che aggredisce o che solo turba la pace, violando i trattati vigenti, la Francia non potrà disarmare. Purtroppo siamo arrivati ad un punto - e la tragedia di tutti i veri pacifisti non sognatori ma realisti - da ritenere che allo stato delle cose una Francia armata sia ancora la garanzia di pace che ci rimane. Ma questo e un equilibrio instabile; non può durare a lungo: o si va verso il disarmo e verso la pace; o si va verso la corsa agli armamenti e sara la guerra. La risposta è oggi alla Germania in primo luogo, all'Inghilterra in secondo luogo, e infine alla Francia in modo concreto e decisivo.
(Londra, 7 febbraio 1934) Dal 20 gennaio ad oggi sono accadute parecchie cose di cui bisogna prender nota. Anzitutto l'accordo tedesco-polacco (26 gennaio) che ha la portata di un patto di non aggressione per dieci anni. Poi la pubblicazione di un memorandum britannico sul disarmo (29 gennaio) e il giorno dopo la pubblicazione del memorandum italiano. Per completare la documentazione, la Francia il 2 febbraio ha pubblicato il testo del pro-memoria. Infine il 3 febbraio la Germania ha pubblicato il testo della sua risposta aila Francia. A questi documenti vanno aggiunti il patto balcanico concordato a Belgrado il 5 febbraio e la risposta negativa di Berlino a Vienna ( l feb-
braio) (10). L'Austria ha intenzione di far appello alla S.d.N. Alla camera britannica di ieri (6 febbraio) il ministro Eden ha dichiarato che ((l'indipendenza e la sicurezza dellYAustriasono un oggetto essenziale della politica britannica)) e che «l'Austria ha il diritto - che noi riconosciamo interamente - di esigere che nessun governo debba mischiarsi dei suoi affari interni)). La questione dellYAustriaè oggi non soltanto,un pericolo internazionale, ma anche l'argomento di prova della sincerità di pace della Germania. E' per questo che il piano britannico per i1 disarmo è basato sul ritorno della Germania a Ginevra e sul suo impegno verso tutti gli obblighi internazionali. Ma la situazione che abbiamo studiato non è mutata. I1 memorandum italiano è troppo dalla parte della Germania, benché contenga proposte non cattive di per sé. ~a risposta tedesca mostra ben chiaramente che non è piu possibile continuare le conversazioni a due. E' per questo che l'intervento britannico e stato opportuno. La cosa piu grave è il fatto che il ministero britannico non mostra alcuna difficoltà a riconoscere alla Germania il diritto di riarmarsi. Il ministro Eden fara il giro di Parigi, Roma e Berlino, per far comprendere lo spirito della proposta britannica e la necessità di un'intesa. Bisogna augurarsi la riuscita dei suoi viaggi; e bisogna essere ottimisti (1 1). Ma la conclusione e tuttavia la stessa: senza sicurezza vera, senza spirito di pace, senza fiducia reciproca, non è possibile firmare un patto di disarmo.
IL POPOLARISMO ITALIANO (*) Nel 1928 scrivevo su Politiqwe: « H o usato questa parola (po~olarismo)per la prima volta nel mio volume "Riforme statali e indinzzi politici" (1923). Scrivevo allora: - Esiste pertanto una dottrina politica che si chiama popolarismo (10) Nei primi mesi del 1934 Italia, Austria, Ungheria e Croazia giunsero ad importanti accordi che prevedevano reciproche concessioni economiche, vantaggiose sopratlutto per l'Austria. Questi accordi voluti da Mussolini che aveva definito il bacino del Danubio come nl'hinterland europeo dell'Italiaw, contrariarono Hitler secondo il quale l'Austria faceva parte della comunità tedesca. 11 7 febbraio 1934 (giorno in cui Sturzo scrive il poscritto) ci fu un primo tentativo di assassinare Dolfuss, primo ministro austriaco, che non era favorevole all'Anschluss con la Germania; Francia Inghilterra ed Italia ribadirono in quell'occasione il loro interesse per l'indipendenza austriaca. (I I) I1 viaggio del .riinistro degli esteri inglese si risolse invece con un nulla di fatto. 11 17 aprile 1934 la Francia rispondendo al tentativo di mediazione inglese dichiaro che rrifiutava solennemente di legalizzare il riarmo tedesco, che questo aveva reso i negoziati inutili e che la Francia avrebbe d'ora in poi garantito la sua sicurezza con i propri mezz i ~ .Era il fallimento totale della conferenza di Ginevra sul disarmo. (*) Pubblicato su La Terre Wallonne, Bruxelles, giugn<~luglio1936,
e dalla quale il partito trae la sua ragion d'essere, la sua ispirazione e la sua finalità? La domanda non uo tendere a dimostrare che rima sorge la teoria e poi il partito, perché nel atto vi E un flusso reciproco ra pensiero e azione, nel divenire sociale cosi pieno di dinamismo. La domanda serve a precisare i contorni e i presupposti teorici del movimento politico popolare. - In quello e in altri volumi, mi sono sforzato di chiarire la portata teorica del sistema che ho chiamato popolarismo, non per vano desiderio di creare una parola nuova, ma per obbligo di dare un nome a un movimento politico e sociale che aveva le sue realizzazioni concrete sul terreno dell'azione, in modo da opporsi ai sistemi oggi predominanti che si chiamano liberalismo, radicalismo, socialismo, fascismo, nazionalismo, comunismo, bolscevismo, ecc». (Polilique, Paris, 15 agosto 1928, p. 698).
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Quando nel dicembre 1918 ci riunimmo a Roma circa quaranta amici per fissare un programma politico sociale al partito che volevamo fondare, cercammo un nome che lo significasse come una sintesi. Nessuno di noi pensò di proporre l'aggettivo cattolico, non solo per evitare ogni confusione con l'azione cattolica e con la gerarchia ecclesiastica, ma anche perché noi volevamo costituire un vero partito politico, con un programma proprio; non potevamo pretendere che tutti i cattolici italiani avessero le medesime preferenze nostre. La vecchia divisione di conservatori cattolici e democratici cristiani, da me analizzata nel 1899 con uno scritto di questo titolo (l), reggeva ancora dopo circa un ventenni0 di malintesi e di lotte. Non si volle neppure prendere il nome di partito democratico cristiano, proposto da diversi. Leone XIII coll'enciclica Graves de Communi del gennaio 1901 aveva espressamente tolto ogni significato politico all'uso che i cattolici facevano del nome di democrazia cristiana, lasciandovi solo quello di azione benefica organizzativa per le classi operaie, secondo le direttive della Rerum Novarum. Noi scegliemmo la qualifica di popolare. Ne ho spiegato la ragione nel citato articolo su Politique: «La parola "popolo", nel significato latino dal senatus populusque romanus, piacque sempre ai cattolici per indicare insieme la volontà collettiva e la gerarchia sociale; un principio di ordine e di consenso classico nel senso vero della parola. Ma la parola "popolo" servi anche a tutti gli sviluppi della .demagogia; e fu in parte sospetta. Per indicare il regime popolare si usò meglio la parola greca "democrazia" che è rimasta nell'uso; mentre fin dal nostro medioevo si parlava di reggimento popolare o "regime di popolo" o "simili". I1 nostro voleva essere un regime popolare nel senso reale della parola, perciò nell'Appello del 18 gennaio 1919, con il quale annunziammo la costituzione del nuovo partito e il suo programma, scrivemmo: wA uno (1) L'articolo Conservatori cattolici e democratici cristiani fu pubblicato su .La CulSintesi sociali, Opera Omnia, Zanichelli, tura Socialea, nn. 16 e 17, 1900 (Cfr. L. STURZO Bologna 1961 pp. 197-212).
stato accentratore tendente a limitare e a regolare ogni potere organico e ogni attività civica e individuale, vogliamo sul terreno costituzionale sostituire uno stato veramente popolare che riconosca i limiti deiia sua attività, che rispetti i nuclei e gli organismi naturali - la famiglia, le classi, i comuni - che rispetti la personalità individuale e incoraggi le iniziative private)). Noi mettevamo al centro del nostro programma e della nostra attività, una propria concezione dello stato: non la liberale, non la socialista né la democratica individualista o altra qualsiasi, ma la popolare; avevamo così il diritto di parlare di popolarismo. Ancora il fascismo non era nato (il primo fascio fu fondato nel marzo dello stesso anno), ma già era posta da noi chiaramente l'antitesi allo stato totalitario, con le nostre teorie di decentramento amministrativo, di rappresentanza libera e organica della classe o professione, di autonomia comunale e regionale, e dei diritti della personalità umana messi alla base di tutto il nostro edificio politico e sociale. Al primo congresso del partito, riunito a Bologna nel giugno 1919, la grande assemblea nazionale doveva ratificare il programma, il nome, la concezione politica proposta dai promotori (2). L'approvazione si ebbe e a grandissima maggioranza. Qui m'interessa rilevare due critiche dalle due ali estreme: una della sinistra democratica, che in queli'occasione fu sostenuta da P. Gemelli e da don Olgiati (ambedue oggi nell'universita cattolica di Milano); l'altra da un piccolo gruppo di destra capeggiato dal prof. Vincenzo Del Giudice (oggi anche lui dell'università cattolica di Milano) e dal marchese Reggio d'Aci (un tempo legittimista borbonico di Napoli). I primi ci accusavano di mancanza di coraggio e di chiarezza nell'evitare l'aggettivo di cristiano o cattolico; i secondi volevano una chiara affermazione sui diritti del papa all'indipendenza con i necessari presidi temporali. Dietro i secondi si disse che c'era qualche gesuita. Come fondatore e capo del partito dovetti sostenere il doppio attacco e difendere la linea assunta. Ai primi risposi che il programma era ispirato alla scuola cristiano-sociale e dentro il quadro dell'etica cattolica, ma la concezione politica dello stato (senza la quale non si dà partito) non poteva qualificarsi né cattolica né anticattolica; la nostra e la dernocratica che chiamiamo popolare, sia per precisare di quale democrazia intendiamo parlare, sia per distinguerla dalla democrazia individualista che non e la nostra. Se ci sono cattolici antidemocratici, non faranno parte del nostro partito. Concepire un partito cattolico, vuol dire o .limitare l'azione del partito alla pura difesa degli interessi religiosi, e in ciò essere naturalmente alla dipendenza della gerarchia ecclesiastica; ovvero far (2) Sul Congresso di Bologna cfr. G. DE ROSA, Storia del P.P.I.. op. cit., pp. 15-30. Puo essere interessante notare come Sturzo collochi p. Gemelli tra la *sinistra democratica. ricordando, circa venti anni dopo, il dibattito emerso al congresso.
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passare per cattolica la propria particolare concezione statale e politica, che un partito vuole realizzare sia stando d'opposizione, sia assumendo le responsabilità di governo. In quei periodo si aveva ancora un ricordo penoso di quel ch'era accaduto in Italia prima della guerra. Pio X non aveva tolto il non-expedit, ma di fronte aiio sviluppo del partito socialista, aveva fin dalle elezioni del 1904 attenuato il divieto (3), dando delle dispense caso per caso, prima poche e segrete, poi a mezzo di un organo centrale dell'azione,cattolica, detta unione cattolica elettorale, della quale io feci parte per molti anni, come consigliere nazionale. Si arrivo cosi a fare un'intesa con il governo e appoggiare candidature liberali nella maggior parte dei casi e far sorgere proprie candidature appoggiate dal governo. Si fissarono dei punti come l'impegno di introdurre l'insegnamento religioso nelle scuole, l'impegno di non presentare il progetto di legge sul divorzio, quale minimo per dare appoggio a un candidato. I vescovi divennero cosi dei veri centri elettorali, dando e negando il. loro appoggio, e i cattolici furono ridotti a massa di manovra, che andò a favore dei conservatori e dei reazionari. La nostra classe operaia fu spaventata di un simile fatto; naturalmente socialisti e radicali aumentarono il loro anticlericalismo, e la propaganda sociale cristiana ebbe un terribile arresto. La guerra venne a porre un termine a questo sistema, che poteva divenire la base di un clericalismo trafficante e di un anticlericalismo pericoloso. I1 partito popolare voleva avere una propria personalità politica; una propria organizzazione, propri metodi, propria responsabilità. Perciò, mentre era di fatto composto da cattolici e sulla base del programma sociale della Rerum Novarum e degli ulteriori sviluppi del sindacalismo cristiano, si proclamava partito aconfessionale. La parola a-confessionale a parecchi non piacque, anzi suonò male. Veramente non era la più appropriata; essa fu usata solo nelle polemiche e a marcare un concetto preciso. Si voleva dire non-clericale, nel senso comune dato a tale epiteto. Ma si correva il rischio di essere fraintesi, perché mentre a molti di noi non piace di essere qualificati clericali, ci sentiamo però offesi dallo spirito anticlericale di chi combatte la chiesa e i dogmi, mettendo avanti lo spauracchio clericale. C'era stato nella lotta dei cattolici italiani contro l'anticlericalismo dei liberali di destra e di sinistra del coraggio se non dell'avvedutezza, del sacrificio anche; la difesa dei valori religiosi e morali era stata generosa. Come dimenticare tutto ciò? La parola a-confessionale, adatta in paesi protestanti, era un'importazione per l'Italia; ma si usò con il significato di partito non dipendente come organismo politico dall'autorità ecclesiastica, messo sullo stesso (3) Sturzo scrisse allora parole molto critiche nei confronti del compromesso clericomoderato, ribadendo il valore del non-expedit come strumento per rdividere le proprie responsabilità. da quelle dei liberali in vista della creazione di una organizzazione politica dei cattolici autonoma e nazionale. Cfr. L. STURZO,Le imminenti elezioni politiche e i cattolici in La Croce di Costantino, ed. Stona e Letteratura, Roma 1958, pp. 134-136.
piede degli altri partiti. Di fatto, il non-expedit veniva ritirato; l'azione cattolica, che aveva tenuto un ramo elettorale (l'unione elettorale cattolica) cessava dall'occuparsene; i vescovi che avevano usato del loro potere per dare o negare il consenso ai cattolici di votare per questo o per l'altro candidato, si sentivano sgravati (non tutti con vera soddisfazione) di un peso che aveva creato molti inconvenienti; i cattolici potevano partecipare senza limiti ecclesiastici particolari; si sentivano maggiorenni come tutti i cattolici di tutti i paesi. Molti entrarono nel partito popolare, altri rimasero fuori di ogni partito o aderirono alle combinazioni locali; alcuni invece entrarono piu tardi nel fascismo. La parola a-confessionale da noi usata significo questo fatto ,storico. Non c'era né ci voleva essere ne un atto di ribellione alla autorità ecclesiastica, ne un abbandono in politica della linea morale del cattolicesimo. I1 problema dell'indipendenza del papa era invece un problema gravissimo per tutti i cattolici; esso implicava una situazione di fatto mai accettata dai papi e allo stesso tempo il problema dell'unita nazionale. Risposi francamente ai miei'oppositori, che se non se n'era fatto alcun cenno nel programma, era perche la soluzione della questione romana non poteva portarsi come una rivendicazione di un partito, ma come aspirazione della nazione italiana. Non era possibile, inoltre, prospettare qualsiasi soluzione concreta unilateralmente, perché essa doveva risultare da un accordo fra il papato e l'Italia. Nessun cattolico infine poteva essere autorizzato a parlare a nome del papa. E il papa nel consentire ai cattolici italiani, dopo mezzo secolo, di partecipare alla vita politica della nazione, in un momento difficile quale quello del dopoguerra, faceva un passo amichevole e paterno. Il congresso elimino le due mozioni di destra e di sinistra, approvando il nome, il carattere e il programma del partito popolare italiano.
Nel novembre 1919 vennero le elezioni politiche generali: fu il primo saggio della nostra potenzialita e della nostra personalità di partito. D' accordo con i socialisti e i democratici radicali avevamo conquistato nel giugno precedente la rappresentanza proporzionale. I1 lavoro di liste fu penosissimo. Per regolamento, le liste venivano proposte dalle sezioni locali e approvate dalla direzione centrale del partito. Era lo spossessamento d'emhlke degli antichi circoli cattolici, delle direzioni diocesane, delle segreterie dei vescovi o dei consigli dei parroci. La dove i cattolici piu influenti erano entrati nelle sezioni del partito, o dove deputati cattolici già in carica (una ventina) erano passati al partito popolare, le cose andavano piuttosto facilmente; non così in altri luoghi. Ma la direzione del partito tenne duro di fronte a qualsiasi ingerenza. Ci furono pretesi candidati che andarono a battere alle porte di vescovi, cardinali e perfino alla segreteria di stato. Questa aveva un buon argomento per rispondere agli importuni: il partito popolare non dipende dal-
l'azione cattolica. Qualcuno degli alti ufficiali o qualche vescovo non mancava di passare le raccomandazioni o di far premura. La risposta era unica: wche ottengano il consenso delle sezioni,locali del partito, e poi la direzione centrale deciderà,; oppure: usi passera il nome alle sezioni locali per la proposta»; ovvero (se la candidatura era di persone estranee al partito) «il tale dei tali non e un iscritto; impossibile farne il nome». Non mancavano proposte d'iscrizione al partito per poter essere candidati. Un caso (non dirò il collegio) fu il più significativo. Un vecchio elemento politico clericalizzante, già posto fuori della vita politica, valeva risorgere con il battesimo del partito popolare; trovo degli amici e dei sostenitori presso la sezione locale. Al rifiuto della direzione centrale, i suoi amici ricorsero al vescovo; questi si volse ad un eminente cardinale. Ma la direzione fu recisa nel rifiuto. Non è difficile promettere aiuti a case.di orfanelli o a chiese da restaurare o a parrocchie povere. Ma tutto passo, con qualche difficoltà; il partito mantenne il suo divieto. La lotta elettorale risulto come una solenne affermazione dell'autonomia, dell'autorita e della consistenza del popolarismo. Più rude e difficile fu la lotta elettorale amministrativa del 1920 (4). Per più di mezzo secolo quasi dappertutto i cattolici si erano uniti ai moderati (conservatori liberali) nelle amministrazioni comunali e provinciali formando l'alleanza detta clerico-moderata. Nel mezzogiorno non vi erano né moderati ne clericali. nel senso che vi si dava nell'alta Italia. ma combinazioni locali, legate alle famiglie ricche e potenti. Parroci, curie vescovili, circoli cattolici erano legati all'uno o all'altro dei partiti in lotta, a condizione del rispetto del bilancio del.culto o del sussidio alle opere pie o del catechismo nelle scuole elementari. Da aggiungersi che per le elezioni comunali vigeva il sistema maggioritario con un quinto alla minoranza più forte, e in quello provinciale il sistema maggioritario. Il partito popolare, volendo affermare la sua anche nelle amministrazioni locali, e non volendo costituire in tutto il paese un fronte anti-socialista (quale di fatto era l'alleanza detta clerico-moderata) decise di presentare proprie liste in tutti i comuni e riserbo alla direzione centrale il permesso, pur così eccezionale, di fare alleanza con altri partiti locali. Il risentimento di tutto il vecchio clericalismo italiano fu enorme. ma le masse, novanta su cento, erano con noi. Non mancarono polemiche, ricorsi all'autorita ecclesiastica, biasimi e censure contro la direzione del partito e contro di me personalmente. Si tenne ferma la decisione. Due casi furono così gravi, che se ne impossesso la stampa amica e avversaria: il caso di Milano e quello di Torino; accenno a questi due per esempio. A Milano si voleva la coalizione conservatrice contro i sociali(4) Cfr. G.B. MIGLIORI,Le amministratii~edel 1920 e il caos di Milano, in elivitaS., aprile-maggio 1960 pp. 96- 10 1.
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sti. Nostra risposta fu che tale coalizione avrebbe perpetuato I'equivoco dei cattolici contro la classe operaia, e non avrebbe dato risultati pratici, poichÊ i socialisti avrebbero avuto vittoria anche contro una coalizione. Per giunta i fascisti erano d'intesa a sostenere la lista antisocialista, il che avrebbe aumentato l'equivoco. Era a Milano antica abitudine che il collegio dei parroci decidesse della condotta dei fedeli nelle elezioni amministrative, e decise per la coalizione; ma i popolari non s'intesero legati dal parere di quel collegio, che interferiva sulla loro condotta politica. Si ricorse all'arcivescovo; questi era il cardinal Ferrari, stimato santo; egli era già sul letto di morte. Quando io fui a Milano a fare un'inchiesta sulla situazione mi si disse che il cardinale desiderava l'unione di tutti. Risposi a chi me ne parlo che io ero devotissimo al cardinale, ero stato suo ospite molte volte, l'ultima l'anno precedente. Date le condizioni di sua salute mi guardavo bene di andare da lui a spiegare la nostra posizione. Mantenni il divieto della coalizione, e i popolari fecero un'affermazione elettorale da soli. Diverso il caso di Torino, dove i nostri potevano avere un successo proprio, anche facendo una coalizione aperta, contro i socialisti alleati ai comunisti. Li fu consentita l'eccezione; una delle poche. L'esito delle elezioni amministrative fu superiore alla aspettativa: piu di duemila comuni (su ottomila) guadagnati come maggioranza; in altri mille e cinquecento i popolari in minoranza, in trentacinque consigli provinciali (su settantacinque) proprie rappresentanze, in altra larghe affermazioni. Nessuno aspettava simile ondata. La vittoria fu tale che una parte dei cattolici dissidenti si avvicino a noi. Ma i liberali e specialmente Giolitti, preoccupati, essi dicevano, del pericolo clericale portato dai popolari, ne vollero lo schiacciamento e presero per strumento di lotta i fascisti. Di li comincio la nuova fase della politica italiana. I popolari avevano grandi masse ma pochi capi politici capaci di comprendere i tranelli e i tradimenti delle vecchie volpi liberali, che avevano governato l'Italia da mezzo secolo. Giolitti nel marzo successivo sciolse la camera e indisse le nuove elezioni politiche coalizzando liberali e fascisti dove fu possibile e combattendo i popolari con i mezzi piÚ perfidi. Ciò non ostante i popolari tornarono alla camera in centosette, e aumentarono, non ostante tutto, il numero dei voti di altri duecentocinquanta mila. Giolitti cadde; ma serbo il rancore contro i popolari fino all'ultirno e cerco di nuocerci in tutti i modi; e gli stessi cattolici conservatori ebbero paura di questo movimento di masse operaie e contadine che veniva condotto a nome dei principi del popolarismo, che per loro era la vecchia e temuta democrazia cristiana. Il fascismo per gli uni e per gli altri fu il mezzo idoneo per combattere l'ondata popolare e l'ondata socialista, che ormai venivano tenute quasi sullo stesso livello, come nemici della borghesia.
I motivi non mancavano: primo e più grave l'atteggiamento dei popolari nella questione agraria.(5) Tre rivendicazioni: 1) nel nord patti collettivi, intraprese cooperative, e verso l'abolizione del salariato agricolo; 2) nellYItaliacentrale riforma dei patti dei poderi, diritto di preferenza ai coloni nelle vendite; 3) nell'agro romano, mezzogiorno e Sicilia colonizzazione del latifondo e imprese cooperative agricole. Ne seguirono agitazioni, occupazioni di terre, progetti di riforme alla camera, discussioni vivacissime nei congressi. Per due anni (1920-1922) il problema agricolo fu il cavallo di battaglia dei popolari. Si noti che durante la guerra il governo Salandra, per incoraggiare alla resistenza, aveva lanciato il motto: la terra ai contadini!. Ma purtroppo si dice in Italia: ((Passatala festa, gabbato lo santo)). Dopo la vittoria i liberali dimenticarono le promesse; i popolari vollero che la promessa fosse mantenuta. La camera nel luglio 1922 approvò il disegno di legge, da essi presentato sulla colonizzazione e i patti agrari. Mussolini, arrivato al potere nell'ottobre seguente, si affrettò, in odium auctoris, a ritirarlo del senato dov'era per la dovuta approvazione. Per quel progetto (che sarebbe costato poco più di un miliardo di. lire) almeno trecentomila contadini avrebbero potuto avere il loro pezzo di terra. Sono passati quattordici anni; si è fatta la guerra d'Africa, (6) si sono spesi non uno ma oltre dieci miliardi... Quanti altri miliardi e quante vite umane ci vorranno per piazzare in Abissinia trecentomila contadini italiani? Purtroppo, fu la questione agraria che fece traboccare l'acqua del vaso. I proprietari del nord e del sud, che temevano dell'attuazione di quella legge e cib senza ragione, sia perché erano previste le giuste indennità per il caso di esproprio, sia perché erano tutelati i loro diritti nel caso di preferenza nelle vendite a favore dei coloni, cominciarono a sussidiare le squadre armate dei fascisti, per incendiare le cooperative socialiste, terrorizzare le leghe popolari, assalire anche i circoli cattolici, per indurre il clero e i dirigenti a distaccarsi dal nostro partito. I1 governo mostrava di voler reprimere, ma nel fatto lasciava che i fascisti continuassero; la polizia era fiacca, i tribunali compiacenti, i prefetti davano ragione a parole e poi accusavano la loro impotenza; alla camera i ministri assicuravano del loro interessamento, ma poi le cose continuavano lo stesso. Mentre la lotta sul fronte liberale-conservatore era condotta con i me(5) Cfr. MARIO BANDINI,La questione agraria e il Partito Popolare Italiano, Roma 1969 pp. 151-68. (6) Sturzo scrive il 15 maggio 1936; appena 6 giorni prima, ai termine delle vittoriose operazioni militari, il re d'Italia era stato proclamato imperatore d'Etiopia. Sturzo condannò senza riserve tale guerra invocando una posizione piu ferma sia da parte di Inghilterra e Francia sia da parte della Chiesa cattolica, che invece si mostrò titubante e parve anzi appoggiare l'impresa di Mussolini (cfr. G . DE Rosa, Sturzo. Utet, Torino 1977, pp. 341-9).
todi fascisti. l'altra lotta dei popolari sul fronte socialista e comunista non era meno acuta e meno drammatica. Costoro ci accusavano di aver spezzato il fronte unico operaio col volere una nostra confederazione1 del lavoro che raggruppava più di un milione di lavoratori; di aver fatto fallire i due scioperi politici del gennaio- febbraio 1920; quello ferroviario e quello postaie-telegrafonico; di avere silurato il progetto di controllo operario delle fabbriche, proposto da Giolitti dopo I'occupazione delle fabbriche di Torino e posti limitrofi nell'agosto 1920, insistendo nel progetto dell'azionariato operaio. L'odio socialista contro di noi era talmente profondo, che non e ancora estinto presso i socialisti rifugiati all'estero. Proprio nel loro organo di Parigi il Nuoi~oAvanti,nel numero del l o maggio ultimo, polemizzano sopra una pretesa mia intervista avuta da Romano Cocchi, ex-propagandista popolare. è scritto: «Una viva e rapida evocazione degli anni che precedettero l'avvento del fascismo al potere, cioè degli anni in cui i vari Cocchi e don Sturzo del partito popolare si adoperavano ad impedire lo sforzo eroico delle masse operaie per la conquista del potere...)). Difatti nel 1920 il cosidetto pericolo bolscevico (che non era né pericolo né bolscevico) fu eliminato dall'Italia per l'opera del partito popolare. Nel 1921 lo stesso Mussolini poteva scrivere che il pericolo bolscevico era scomparso. Ciò però non gli impedi di fare la propaganda all'estero (all'interno non aveva preso) che il fascismo aveva salvato l'Italia dal bolscevismo rosso (socialista) e da quello bianco (popolari). Per i bianchi e vero. perché il nostro avvento al potere non come collaboratori di secondo rango (quali eravamo stati con Giolitti e altri ministeri), ma come responsabili principali, era questione di qualche anno. Ciò temevano anche i conservatori cattolici, gli antichi clericali, qualche elemento ecclesiastico locale, l'alta borghesia industriale. Meglio i fascisti che i popolari, fu il motto del 1922. E certi conservatori cattolici, (come il principe Boncompagni, che erano entrati nelle file del partito popolare nel momento dell'ondata socialista del 1920), cominciarono a orientarsi verso il fascismo e a tradire. Così si ebbe verso la fine del 1922 il distacco di un primo gruppo dell'estrema destra del partito, e poi a meta nel 1923, nel primo urto fra noi e Mussolini al potere (al congresso di Torino), un altro secondo gruppo di centro-destra. In tutto sedici deputati su centosette che formavano il gruppo popolare parlamenta-
Quali i nostri rapporti con l'azione cattolica? Quasi tutti i dirigenti del partito popolare e una gran parte dei gregari venivano dalle file dell' azione cattoliza o delle opere economiche e sindacali da essa promosse e favorite. Nel primo momento si penso che i deputati popolari, i membri della direzione del partito e del consiglio nazionale non fossero allo stesso tempo dirigenti di azione cattolica. Io ch'ero stato segretario generale
della giunta direttiva dell'azione cattolica e segretario della Pro Schola, e il mio carissimo collaboratore don Giulio De Rossi capo dell'uficio stampa, lasciammo quei posti per quelli del partito. Questa distinzione fu mantenuta sempre, benché vi fossero casi locali d'int erferenze. Ciò dava almeno la distinzione delle responsabilità. Altra cura, quella di non interferire nel compito reciproco. Tranne il primo difficile esperimento provinciale, tradizionalmente in molti luoghi in mano all'azione cattolica e al clero parrocchiale, altri seri conflitti non si produssero, e la lealtà dei rapporti reciproci fu mantenuta fino che la confidenza dei capi di azione cattolica nel giovane partito non venne a essere turbata dallIayvento.del fascismo. Una questione preoccupo i dirigenti della gioventu cattolica: la formazione spontanea qua e là di gruppi di giovani popolari. Anche i giovani volevano partecipare alla vita politica. Il partito ammetteva come soci solo gli elettori, e poiché sosteneva il voto alle donne, consentiva che le donne partecipassero alle assemblee e alla cariche. I giovani non erano né soci né partecipavano alle cariche superiori. I giovani non mancavano mai nelle folle entusiaste e nel lavoro minuto della preparazione ed esecuzione elettorale. Il partito non volle portare avanti un'iniziativa che avrebbe distratto troppo i giovani dai loro studi e dagli ambienti educativi cattolici. La gioventu operaia, che già aveva diritto al lavoro (dai sedici anni in poi) apparteneva ai sindacati bianchi e alle altre leghe; altri venivano nei circoli di studi di preparazione politica. Coloro che si sentivano di seguire spontaneamente l'attività politica, non venivano impediti con imprudenti divieti. Questa fu l'intesa amichevole, mantenuta per sette anni senza venir meno all'impegno. Quando nel 1921 moltissimi giovani cattolici accorsero a Roma da tutta l'Italia, in una grande adunata pubblica di fede e di devozione al papa, socialisti, anticlericali, fascisti riuniti in ynico odio attaccarono il corteo per le strade. La polizia fu inabile di organizzare una difesa. Forse il governo non voleva in Roma un tale spettacolo di fede. Il partito popolare prese le loro difese in nome della libertà rivendicando il loro diritto <i cittadini offesi nei loro sentimenti di cattolici e nell'omaggio fatto al DaDa. Non si creda che tutto andò senza difficoltà. Le differenze verso una politica netta, portata avanti con coraggio e arditezza, dovevano circolare presso le varie diocesi. Alcuni temevano del troppo amore alka libertà (la insegna del partito era libertà come quella dei comuni guelfi del medioevo); altri del troppo amore della classe operaia e contadina; i più del dispiazzamento che si faceva delle posizioni del moderatismo liberale (conservatori), che dal 1860 in poi era vissuto per i voti e gli appoggi gratuiti dei cattolici i quali non partecipavano direttamente alla politica, ed erano considerati quali cittadini di secondo rango. Ora che essi divenivano dei competitori aggressivi e forti, che gareggiavano con i socialisti nella difesa della classe operaia, bisognava ad ogni costo impedirne il successo. '
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Da qui, via vai in Vaticano, presso i cardinali, presso i vescovi. Un autorevole senatore liberale amico dell'attuale papa, nei primi mesi del 1922 domandò un'udienza ed ebbe il coraggio di pregare il papa di sciogliere il partito popolare. I1 cardinale Boggiani arcivescovo di Genova scrisse nel 1920 in una sua pastorale delle pagine contro il partito popolare, che riteneva dannoso alla chiesa e all'azione cattolica. Ma quel cardinale allora era anche in urto con il clero e il laicato della sua diocesi e poco dopo di dimise da arcivescovo. Piu tardi il cardinal Billot scrisse contro il nostro partito una violenta lettera, mettendosi dal punto di vista antidemocratico; ma si sapeva che il cardinal Billot era amico dell' Action Francaise. Egli, quando 1' Action Francaise fu condannata, nestentòla difesa e poi si dimise da cardinale. Non mancarono anche elogi di vescovi in lettere pastorali, come quelle di un vescovo di Sardegna e altro di Calabria. Ma in generale sia i capi dell'azione cattolica sia i vescovi, si mantennero in un riservo benevolo; era quello che si desiderava. I1 passaggio dal vecchio al nuovo si operava, non ostante tutte le difficoltà, perché era nella coscienza della massa popolare la conquista della loro personalità politica. Perche i socialisti e i liberali vedevano nel partito popolare o il clericalismo che risorgeva. o la mano del Vaticano che stava dietro, e ci accusavano di servirci della religione per costruire la nostra fortuna politica? Queste accuse si ripetono anche oggi da tutti quei profughi (socialisti e liberali) che scrivono del passato o del futuro della vita italiana. Riguardo il Vaticano (7) occorre mettere in chiaro tre punti. 1) che quando con alcuni amici pensammo di fondare il partito popolare, vigeva ancora il non-expedit;era naturale che, da buoni cattolici, presentando i nostri propositi, avessimo chiesto che tale proibizione (per quanto attenuata in casi particolari) cessasse egualmente per tutti. Il card. Gasparri me ne diede assicurazione aggiungendo due condizioni, che non si mescolasse il partito con l'azione cattolica, e che l'iniziativa fosse a «nostro rischio e pericolo* e non mai come emanazione del Vaticano. 2) Dopo di che, nessun'altra ingerenza ne nell'organizzazione, né nell'azione parlamentare venne mai al partito dal lato del Vaticano. Da parte mia, io mi astenni dall'andare in udienze papali pubbliche o da sollecitarne di private (non ostante il mio affetto filiale per Benedetto XV e la stima ch'egli mi aveva sempre dimostrato), per evitare ogni diceria. Ciò non ostante ricordo un episodio significativo. Durante il conclave il mio padrone di casa, senatore Soderini, incontrò nei corridoi della ca(7) Sui rapporti fra P.P.I. e Vaticano , Cfr. F.L. FERRAR], L'Azione cattolica e il Chiesa e stato in Italia negli ultimi cento anni. regime, Firenze 1958, A.C. JEMOLO, Torino 1963 pp. 413-58.
mera un deputato liberale suo amico, il quale in tono di rimprovero gli disse: «Non basta a don Sturzo di influire neila nomina dei ministri (era il periodo del veto opposto dai popolari al ritorno di Giolitti) che ora si vede scendere e salire in Vaticano per influire sulla nomina del papa?n. I1 Soderini gli risponde: «Don Sturzo abita in un appartamento di casa mia e so bene che ciò non è vero perche egli e a letto ammalato di grippe, e il suo stato se non grave e certo molto pericoloso». Così si creavano le leggende dell'influsso del Vaticano sul partito e per giunta di quello del partito sul Vaticano. A prova del rispetto di quest'ultimo verso le libere iniziative del partito ricordo una nota di cronaca dell'Osservatore Romano. Quando i popolari fecero cadere il ministero Nitti nell'aprile 1920, I'Osservatore Romano commentò ostilmente una tale decisione; il giornale portava liberamente il suo giudizio verso gli atti di uno dei tanti partiti parlamentari. Nessuno mai pensò che vi fosse nulla da ridire. 3) Infine, nel luglio 1923, io che dirigevo la battaglia antifascista con calma ma con precisione, seppi che (nel caso di un voto della camera contro il fascismo sulla riforma elettorale) in Vaticano si temeva l'assalto di tutte le chiese parrocchiali italiane, condotto dai fascisti come inizio di una violenta campagna anticlericale. Mi posi il problema se io prete dovessi restare a capo del partito in simile eventualità o cedere il comando. Dopo maturo esame, consigliatomi con la mia coscienza, mi dimisi, ma per evitare di far credere che fuggivo la lotta rimasi nella direzione del partito fino al giorno che abbandonai l'Italia. Da ciò l'accusa lanciata al Vaticano dagli antifascisti di avere abbandonato il partito popolare e lasciatolo preda del fascismo. In verità il Vaticano non aveva ne sorretto ne abbandonato il partito; lo aveva guardato, più o meno benevoimente secondo le circostanze e i fatti di quel difficile periodo, ma come un esperimento di quel che sapessero e potessero fare i cattolici da sé nella vita pubblica italiana. Il partito continuò la lotta al fascismo (in condizioni impari) per altri tre anni; e solo nel novembre 1926 fu sciolto con decreto reale, a pochi giorni di distanza da quando fu sciolto il partito socialista. Le mie dimissioni, e vero, furono gradite in Vaticano, che non voleva complicazioni sul terreno religioso da parte di un governo dittatoriale, sapendo quanto sia facile per Mussolini condurre il paese alla più intransigente persecuzione religiosa, come minacciò di fare egli stesso nell'estate del 1931. Purtroppo i metodi democratici sono adatti a impedire che un dittatore salga al potere, se si applica la legge contro coloro che usano i mezzi di violenza e se si prevengono le cause di inquietudine del paese. Invece tali metodi non valgono più quando i dittatori arrivano al potere con l'uso della forza, e lo mantengono con le violenze e col terrore. Anche di recente, i paesi democratici come la Francia e l'Inghilterra
e i piccoli stati quali Olanda, Belgio, Svizzera, Stati Scandinavi, hanno provato con Mussolini i metodi giuridici e morali di Ginevra, e non sono riusciti ad impedire la guerra. Perché principiis obsta, sero medicina paratur. con quel che segue in Ovidio.
Londra, 15 maggio 1936 ( 4 5 O anniversario della Rerum Novarum)
PER LA RAPPRESENTANZA PROPORZIONALE I N FRANCIA E SPAGNA (*) Questo studio(**) del nostro illustre collaboratore è stato iniziato quando in Ispagna non era ancora divampata la guerra civile, la quale potrebbe determinare profonde innovazioni anche nel diritto pubblico di quella nazione. Lo studio in parola non perde però nulla della sua importanza, dato soprattutto il fatto che esamina nel suo complesso la questione della R.P.
Londra, luglio 1936 Due grandi paesi, Francia e Spagna si dibattono oggi con i fronti popolari vittoriosi (1). Una delle ragioni di tale situazione è data dalla loro tecnica elettorale così difettosa che i risultati delle elezioni generali non sono stati corrispondenti allo stato politico e alla coscienza del paese. Ora è il tempo di riesaminare il problema della riforma elettorale d a parte di coloro che al disopra di momentanei e problematici risultati, guardano al principio di rappresentanza reale del paese e quindi contano (anche nel loro interesse) non sopra gli effetti di metodi elettorali difettosi, ma sopra l'efficacia della loro organizzazione e del loro programma. Sotto questo punto di vista, la Rappresentanza proporzionale è fuori discussione; amici e avversari convengono ch'essa dà la possibilità agli (*l L'articolo è stato pubblicato, in tre puntate, su Popolo e libertà, Beltinzona, 6-7-8 agosto 1936. (**) Questa nota redazionale della rivita Popolo e libertà precede l'articolo di Luigi Sturzo. ( I ) In Francia il Fronte Popolare vinse le elezioni dell'aprile e del maggio 1936 ottenendo 378 deputati contro 220 degli oppositori. I socialisti diventaronoil partito maggiore alla camera e Leòn Blum formo il governo con la partecipazione dei radicali e I'appoggio esterno dei comunisti. In Spagna le elezioni si svolsero nel febbraio dello stesso anno; il Fronte Popolare che includeva i socialisti, la sinistra repubblicana di Azana, un gruppo di radicali, i separatisti catalani di sinistra e i comunisti, ottenne 278 deputati contro i 134 della destra di Gil Robles. Arana costitui un governo al quale i socialisti rifiutarono di partecipare, pur non facendo mancare il loro appoggio nelle Cortes.
elettori di far valere il loro voto senza attenuazioni arbitrarie e al paese di essere rappresentato secondo quel che E il suo effettivo modo di sentire in dati momenti e per dati problemi politici. Una delle ragioni che rende poco simpatica la R.P. si è che l'elettore ama votare per la persona più che per il partito, ama essere anzitutto in rapporti umani con il deputato. La R.P. attenua o distrugge questi rapporti, che invece vengono creati ed alimentati dal collegio uninominale. L'altra ragione si è lo spezzettamento dei partiti, che viene agevolato dalla R.P. perché con tale sistema e assai facile trovare gruppi minimi che arrivano ad avere la loro rappresentanza. Esaminerò in questo articolo un tipo di rappresentanza proporzionale, già attuata in Irlanda, che elimina l'uno dei difetti sopra notato, perché mantiene libero il rapporto personale fra elettore e candidati. Parlerò in un secondo articolo delle correzioni e dei limiti alla R.P. La circoscrizione elettorale può essere di qualsiasi numero di collegi, se per caso è di un solo collegio, vincerà chi avrà ottenuto non meno della metà più uno; se di due, vinceranno i due che avranno ottenuto non meno del terzo più uno; se di tre. vinceranno i tre, che avranno ottenuto non meno del quarto più uno o cosi via. I1 conto e naturale, perché l'aumento di un collegio porta la divisione dei voti sopra una nuova unità che fraziona i totali. L'elettore in sostanza vota per uno; perché, fissato l'elenco di tutti i candidati presentati dai vari partiti, I'elettore ha in mano un foglio con tutti i nomi in ordine alfabetico, con la indicazione della lista alla quale ciascun candidato appartiene. L'elettore e obbligato a mettere il numero I avanti il nome ch'egli sceglie. E' facoltato e consigliato a mettere dietro agli altri nomi i numeri progressivi 2. 3, 4 ecc. fino a completare il numero dei collegi della circolazione. i n sostanza l'elettore vota per il suo preferito, con il quale ha personalmente o politicamente rapporti: anche nella scelta ulteriore non è obbligato a seguire un determinato partito. Fatto lo sfoglio dei voti accadrà di sicuro che uno o due (secondo le circoscrizioiii) avranno sorpassato la quota necessaria per essere eletti e gli altri no. Ma I'elettore. con la seconda scelta ha corretto la sproporzione dei risultati. Il seggio elettorale dopo aver computato al primo o ai primi i voti necessari alla elezione (un terzo più uno, o un quarto più uno ecc. dei votanti) attribuisce il dippiù non necessario al candidato (O proporzionalmente ai candidati) indicato, come seconda scelta. Ottenuti questi risultati. se ancora rimangono nella circoscrizione posti vacanti. il seggio elettorale procede a dichiarare decaduto quel candidato che avrà ottenuto il minor numero di voti, i quali andranno a colui o coloro che i votanti hanno indicato come scelta. Se con ciò i posti sono coperti. tutto è finito: altrimenti si fa lo stesso con i voti dei candidati che vengono in ordine successivo dal più al meno favorito. L'operazione sembra complicatissima, ma e semplicemente facile: do-
po una prima impressione sfavorevole o di disappunto, tutto andrà bene come bere un bicchiere d'acqua fresca. Ecco un esempio. Facciamo un tipo semplice, per non stancare il lettore con le cifre. Circoscrizione di cinque collegi. Totale dei votanti 54 mila. Voti necessari per essere eletto 9001, ci& un sesto più uno dei votanti. Supponiamo che quattro partiti si combattono per i cinque posti, presentando tre candidati ciascuno La Destra, il Centro e la Sinistra e solo un candidato di Estrema Sinistra. Ecco i risultati dei voti: Alberto (destra) Benedetto (sinistra) Carlo (centro) Dante (centro) Emeraldo (sinistra) Francesco (destra) Giovanni (centro) Leandro (destra) Medardo (sinistra) Oliva (estrema sinistra) Eletti: l o Alberto (destra con un dippiu di 3.399 voti; 2O Giovanni (centro) con un dippiu di 299 voti. Gli elettori di Alberto hanno dato il secondo voto per 3.000 a Leandro e per 399 a Francesco. Leandro ha 6.500 voti, piu 3000 = 9.500 voti. E' eletto 3O Leandro (destra) con un dippiu di 499 da assegnarsi. Dopo di che, viene l'operazione eliminatoria. Oliva (estrema sinistra) ha avuto 600 voti; ma gli elettori hanno designato solo 300 per seconda scelta ad Emeraldo, cosi solo 300 voti si aggiungono a Emeraldo, e gli altri sono perduti. Viene in ordine ascendente Francesco (destra) i cui elettori hanno scelto in secondo luogo Alberto, che già è eletto, onde i voti di Francesco (1200) sono perduti. Dopo Francesco, a salire c'è Medardo di sinistra con 2200 voti; il secondo nome posto dagli elettori e Emeraldo per 2200 voti e Benedetto per 200 voti. Emeraldo ha già 7300 piu 2000 superano i 9001 necessari: eletto 4" Emeraldo (sinistra). Resta ancora un quinto posto. Dante ha 3000 voti; il secondo nome fatto e Giovanni per 1800 voti e Carlo per 1200. 1 voti di Giovanni (già eletto) sono perduti; quelli per Carlo gli si aggiungono; è eletto 5O Carlo. Così gli eletti sono: l o Alberto (destra); 2" Giovanni (centro); 3O Leandro (destra); 4O Emeraldo (sinistra); 5O Carlo (centro). Voti totali: Centro 20.500 - Destra'20.100 - Sinistra 13.200 - Estrema sinistra 600. La proporzionale è serbata: ma la scelta e stata fatta dai singoli elettori e non imposta dal partito; il rapporto elettorale personale è stato garantito senza alterazioni, come se fosse il sistema uninominale.
Si comprende che i partiti per le seconde scelte potranno intendersi se presentano meno candidati che collegi, ma in tal caso si tratterà di partiti deboli e affini, non di partiti forti e in lotta frontale.
I1 secondo problema da noi proposto nell'articolo precedente era come evitare lo spezzettamentodei partiti, pur applicando la rappresentanza proporzionale integrale. Non si tratta, come si vedrà, della quadratura del circolo, né della pietra filosofale. Se si pensa che non c'è sistema politico perfetto, si deve ammettere che neanche la R.P. sfugge alla necessità di avere delle correzioni e dei limiti. Si tratta di scegliere fra tutte le possibilità, queile che meglio fanno allo scopo. Un primo limite deve essere posto al diritto di presentare una lista; questa sarà dichiarata ammessa al diritto del voto quando i promotori raggiungono una data percentuale. Come fissare una tale percentuale si è discusso assai; spesso si va empiricamente scegliendo un numero di convenienza. A me sembra che si dovrebbe tenere per guida il numero degli elettori iscritti in una circoscrizione. Ora fissando ad una media fra il 65 e il 70 per cento i votanti normali, si ha la frazione necessaria perché un candidato sia dichiarato eletto. Il resto del presunto quoziente elettorale dovrà essere il limite massimo degli elettori ammessi a presentare una lista di candidati, perché si presume che i promotori saranno abili, con le adesioni personali e la propaganda, a persuadere gli altri sesti a votare la lista, sì da ottenere almeno un eletto. Applicando questo criterio d'esempio elettorale proposto nel precedente articolo, cioè una circoscrizione di cinque coilegi, con 54.000 votanti, e un quoziente di 9001 per candidato eletto, si avrebbe che per presentare la lista elettorale occorrono 1560 elettori. Un altro limite si deve fissare circa il numero dei candidati; questo non potrà essere meno di due neile circoscrizioni da tre a sei coilegi e non. meno di tre nelle circoscrizioni da sette collegi in poi. La ragione di ciò è quella di evitare le coalizioni fra liste diverse per i voti di seconda e terza scelta. Infine i presentarori delle liste dei candidati debbono dichiarare, nell' atto stesso di presentazione, ch'essi non propongono nessun ordine di voto, lasciandolo liberamente ai votanti. Questi i limiti alla proporzionale; ma occorre ancora una correzione fondamentale. Vi saranno i voti residuali, che non concorreranno in nessuna maniera alla elezione di alcun deputato; non è nel criterio di giustizia elettorale lasciare questi votanti senza rappresentanze. Essi, col sistema proposto nel precedente articolo, potranno arrivare ad un massimo fra un quinto e un sesto di tutto l'elettorato votante. In Germania fu attuata la così detta lista nazionale. il che altera al-
quanto il valore della rappresentanza collegiale. Chi scrive propone, in sua vece, il conteggio nazionale dei residui. A questo scopo occorre formare la circoscrizione elettorale detta dei residui; cioè accantonare un certo numero di posti, che potrebbero essere circa un decimo di tutti i deputati (50 per la Francia, 40 per la Spagna) che sarebbero coperti con nomi posti dai residui, secondo un'operazione un po' complicata, ma al solito chiarissima nel suo carattere e precisa nei risultati. I1 lettore mi perdonerà se sembrerò astruso. Suppongo che 12 partiti abbiano preso parte alle elezioni, e solo otto abbiano coperto i 500 posti assegnati alle circoscrizioni popolari con 6 milioni di voti, e un quoziente medio (fra i collegi piu numerosi e quelli meno numerosi) di 10 mila voti per ciascun eletto. Resta un milione di elettori che non hanno avuto alcun deputato per loro: questo milione concorrerà alla nomina dei 50 posti residui. Le cifre qui sono tonde, per facilitare la comprensione dell'operazione, ma la proporzionale delle cifre e esatta, secondo il tipo di circoscrizione studiata nell'articolo precedente. I lettori ricorderanno che avevo indicato la circoscrizione media di 5 collegi. Come potrà ottenersi il quoziente dei 50 collegi da assegnarsi a residui? Bastano quattro operazioni aritmetiche facili. Prima operazione: Sommare tutti i risultati ottenuti dalle varie liste nelle diverse circoscrizioni per averne il totale; indi detrarre i voti assegnati per ciascun partito ai 500 eletti, cosi da avere il totale dei residui diviso per ciascuna lista. Seconda operazione: Ridurre i risultati vari di ciascuna circoscrizione a un comune valore, cercando la espressione aritmetica sulla base di un comune denominatore. Quindi trovare la cifra corrispondente a ciascuna lista. Se questa operazione non si facesse i candidati della circoscrizione che ha maggior numero di elettori, come potrebbero essere Parigi o Barcellona o Madrid, avrebbero sempre la prevalenza sulle circoscrizioni di minor numero di elettori. Potrebbe ciò evitarsi se le circoscrizioni fossero computate sulla base del numero degli elettori uguale per tutti, e non sulla base geografica. Terza operazione: Fissare il quoziente dividendo il numero di voti ridotti al valore proporzionale, per i 50 posti da assegnare applicando il quoziente ai voti assegnati a ciascuna lista, secondo l'operazione precedente. Quarta operazione: Dichiarare eletti i nomi delle singole liste, (secondo il numero dei quozienti assennati) che come prima o seconda scelta, abbiano avuto il maggior numero di voti. Ecco un esempio pratico: Abbiamo supposto che i 500 posti siano stati coperti da otto liste, su 12 presentate, e che i residui non ridotti al comune denominatore, siano stati di un milione. A parte l'operazione di proporzionalità, si ha un quoziente di 20.000 per potere essere eletto. Supposto che le 12 liste abbiano i seguenti residui, avrebbero i posti assegnati come nella cifra a lato:
1) 160.000 n. 8; 2) 120.000 n. 6; 3) 150.000 n. 7; 4) 75.000 n. 3; 5) 85.000 n. 4; 6) 70.000 n. 3; 7) 60.000 n. 3; 8) 105.000 n. 5; 9) 60.000 n. 3; 10) 45.000 n. 2; 11) 55.000 n. 2; 12) 15.000 n. 2. Rimarrebbero quattro posti vuoti, sui quali non ci sarebbe la possibilità di compenso, tranne che ammettendo, cosa che ci ripugna, I'apparentamento delle liste per i secondi residui. Ma l'inconveniente e assai piccolo e insignificante. La scelta poi dei singoli candidati da dichiarare eletti si farà secondo il metodo indicato nell'articolo precedente, tenendo conto tanto del primo che del secondo e terzo voto. Se i partiti vorranno far prevalere uno o più nomi, che pur non avendo base locale, hanno del grande valore morale, culturale e politico, possono presentarli in diverse circoscrizioni ed essere sicuri della loro riuscita per l'attribuzione dei residui. Spero che il lettore mi perdonerà di averlo stancato; credo che il mio è un contributo non inutile alla causa della R.P.
11 sistema della R.P. porta i suoi effetti sulla costituzione e sul funzionamento della Camera dei Deputati. Il primo e più interessante riguarda i gruppi parlamentari. Questi sono costituiti dai deputati, secondo il partito o lista, nella quale si sono presentati. Non deve essere ammesso che si costituiscono gruppi che non rispettano il voto del paese, ma solo le combinazioni personali degli eletti. Sicche nella ipotesi da noi formulata di dodici liste nelle quali si siano divisi gli elettori, non più di dodici saranno i gruppi della Camera. Ad evitare l'esistenza di gruppi inferiori ad un dato numero di deputati (dieci o dodici) si può ammettere che, agli effetti del funzionamento delle commissioni parlamentari, i gruppi inferiori si apparentino a loro scelta con altri gruppi esistenti, si da arrivare al numero minimo prestabilito. Dallo stesso criterio di rispecchiare il volere dell'elettorato deriva, logicamente. un'altra regola. quella del divieto al deputato di passare da u n gruppo ad u n altro. Quando egli si convince che le sue idee non possono contestarsi con quelle prevalenti nel suo gruppo e non gli basta il votare contro in seno al gruppo stesso o il fare le riserve ammesse da una larga disciplina (necessaria in politica) egli non avrà via per salvare la propria coscienza che dimettersi dal gruppo e da deputato allo stesso tempo. Le vacanze create per dimissioni o per morte dei deputati fanno sorgere il problema della sostituzione. Alcuni pensano che si debbano mantenere le elezioni suppletive pur col sistema della proporzionale; altri credono meglio che il Bureau della Camera della Giunta delle elezioni proceda alla surroga sui risultati delle elezioni generali, scegliendo il nome che segue immediatamente al dimissionario o morto, senza tener conto del partito (o lista) a cui appartiene, ovvero scegliendo il nome che segue
immediatamente nella lista dello stesso partito: Infine altri pensa che non sia affatto necessaria la surroga, il posto resterà vacante fino d e nuove elezioni generali. Secondo me, la convocazione di una larga circoscrizione per la nomina di uno solo sarebbe una mobilitazione elettorale troppo pesante, il risultato non sarà proporzionale ma maggioritario, come se si trattasse di una circoscrizione con un solo seggio. Preferirei la surroga di ufficio al nome che sussegue nella stessa lista; se non vi è altro nome quello che sussegue senza tener conto della lista, mi ripugna lasciar vuoto il posto di deputato sino alle elezioni generali.
La formazione dei gruppi parlamentari, in rapporto ai partiti elettorali, e dovuta ad un criterio organico: quello di dare prima d'elettorato e poi all'assemblea una articolazione che altrimenti non si potrebbe ottenere. L'individualismo elettorale è tanto assurdo quanto I'individualismo camerale: senza organi non si vive. Quale pertanto sarà la funzione principale di questi gruppi parlamentari se non quella del migliore funzionamento della Camera? I capi di questi gruppi debbono potere tenersi a contatto fra di loro e con la Presidenza a Bureau per la intesa e disciplina della Camera. Attualmente in Francia e in Spagna i partiti si presenJano come antagonisti perpetui, spesso volgari e violenti, in un disprezzo reciproco, che non fa che approfondire il fossato che divide la Camera e l'elettorato. Tutto ciò riesce ad una falsificazione della realtà che è fatta bensì di lotte ma anche di compromessi, di battaglie acute ma anche di lunghe intese per il lavoro proficuo; e porta al deprezzamento dell'istituto parlamentare e al danno del paese. L'educazione della democrazia è necessaria perche la democrazia non degeneri; ed il principio di pedagogia che l'azione educativa E di carattere sociale e organico, e non semplicemente individuale. Le democrazie non sopravvivono se mancano di organismi; a quelli improvvisati, temporanei, fluttuanti, quali i clubs rivoluzionari o i gruppi parlamentari che si fanno e disfanno in pochi anni, occorre sostituire partiti tradizionali e gruppi permanenti legati ai partiti. Allora gli interessi si stabilizzano, le correnti di idee si incontrano, i rapporti fra elettorato e Camera diventano normali e permanenti: l'educazione delle democrazie può essere fatta. Non E in uno o in due anni che si potrà compiere una vera educazione democratica: ci vuole del tempo: ma questo scorrerebbe invano - come può sembrare guardando le Camere dei deputati di oggi in Francia e in Spagna (piu in Francia dove la continuità parlamentare dal 1871 ad oggi non è stata piu interrotta) - se mancasse. come fino ad oggi, quella organicità interna e quella rispondenza permanente alle condizioni del paese che sono indispensabili per la bontà delle istituzioni libere.
LA RAPPRESENTANZA PROPORZIONALE E LA PACE CIVILE (*) Una delle più forti accuse mosse contro la R.P. è che essa non contribuisce a rafforzare i governi, poiche toglie l'omogeneità alie maggioranze parlamentari e ai consigli dei ministri. Al contrario, l'alternanza di due potenti partiti, con i governi di gabinetto, rende stabile il potere che, in via normale, solo elezioni sfavorevoli potrebbero far cadere. Tuttavia l'Inghilterra è l'unico paese in cui tale sistema sta in piedi, in virtù di una solida tradizione, legata alla formazione delle kljtes di governo, a una vita locale ben radicata, alle autonomie delle città e delle contee, e ad un insieme di elementi che non possono essere trasportati in Francia o in Spagna. La Francia, per conto suo, ha dimostrato (specialmentedalia fine della guerra ai nostri giorni) che il sistema del collegio uninominaie in due occasioni non l'ha salvata ne dallo spezzettamento dei partiti e dall'indebolimento delle maggioranze, né dall'instabilità dei ministeri. Ora si sperimenta il sistema dei due blocchi (sia in Francia sia in Spagna), blocchi che non sono solidi quanto lo si potrebbe credere e che hanno il difetto di creare una divisione faziosa nel paese, poiché si appoggiano sulle passioni del momento, senza coesione morale e comunanza di prog-mma fra i partiti coaiizzati e senza avere una tradizione e una stabilità che siano loro proprie e naturali. I partiti devon essere organicj o non sono partiti; ogni organismo si crea una vita interiore che non può essere alterata senza che il partito cessi di essere un partito e diventi una fazione o semplicemente una coalizione.di interessi momentanei e personali. Ecco perché, data la R.P., dovrà formarsi uno spirito adatto ai nuovi sistemi, cioè una tradizione propria di governo. I1 risultato di elezioni fatte secondo la R.P. può sia dar la maggioranza ad un partito veramente forte e diffuso in tutto il paese, sia non dare la maggioranza assoluta ad alcun partito determinato. La prima ipotesi si rivela più difficile della seconda, ma se si awera conferisce il titolo più legittimo che si possa concepire al ministero che usckà da una tale magg,ioranza, la quale rappresenterà veramente e non fittiziamente la volontà del paese. L'opposizione si troverà nello stato psicologico di co(*) Questo articolo fu pubblicato su LAube Paris, 25 aprile 1936, giornale sulle cui colonne Sturzo scrisse negli anni fra il 1935 e il 1940 una lunga serie di articoli tutti rivolti a sostenere quella battaglia tenace che la rivista conduceva contro il fascismo e il nazismo in nome di una democrazia cristiana intransigente e laica. L Aube era diretto da Francisque Gay, amico di Marc Sangnier, l'ideatore del Sillon. Cfr. L. STURZO, Miscellanea Londinese, Opera Omnia, Zanichelli, Bologna vol. 111 (1934-1936). e vol. IV (1937-1940)
loro che non possono accusare .l'avversario di aver accaparrato le situazioni che toccavano a loro, e sarà tanto meno accanita quanto più potrà meglio valutare l'appoggio dato dai paese al governo e alla maggioranza -
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L'opposizione, del resto, in tale ipotesi, sarebbe formata da tutti gli altri partiti che si sarebbero presentati ad elezioni fatte secondo la R.P.; essa non comprenderebbe meno di due o tre partiti e tali partiti non sarebbero tutti nella stessa misura in opposizione con la maggioranza. Abbiamo detto che questa ipotesi si realizzerà molto raramente; l'altra è la realtà di tutti i giorni. Per creare una maggioranza governativa, sarà necessario che gli eletti di due, partiti o di un maggior numero di partiti formino una coalizione; si avrà, di conseguenza, non un governo di gabinetto alla maniera inglese, ma un governo di coalizione alla maniera ((continentale)). La differenza fra le coalizioni in regime proporzionalista - con gruppi parlamentari chiusi, come li abbiamo precisati nei tre articoli precedenti - e le coalizioni in regime ,uninominalista, sono di ordine tanto psicologico che organico. Le affinità di programma e di carattere sociale influiscono certo sul gruppo delle destre o delle sinistre o dei partiti di centro; ma quando si ha la sicurezza di un sistema elettorale che non altera troppo le posizioni acquisite e che si fonda sulla fedeltà di un partito organizzato, si ha maggior fermezza nelle idee, maggior distacco dai piccoli interessi personali, maggior disposizione a guardare lontano e a rinunciare ai successi immediati, maggior coraggio nelle riforme necessarie. In queste circostanze, i ministeri di coalizione mostreranno più vantaggi che non i ministeri di gabinetto, ma a-due condizioni: una che i partiti di destra, i partiti borghesi, liberali e personali, arrivino ad organizzarsi bene e non rimangano dei consorzi momentanei in vista del successo elettorale; l'altro che i partiti rivoluzionari, fascisti o comunisti, monarchici o anarchici. siano disarmati. non debbano usare mezzi violenti e voler mutare il regime con la violenza. Nel primo caso, le coalizioni governative si mostreranno deboli, perche i partiti inorganici non possono rispondere bene della loro solidarietà e della loro responsabilità. Nel secondo caso, saranno messi in discussione e in pericolo non solo una maggioranza o un governo qualunque, ma le istituzioni parlamentari e l'ordine nel paese. La R.P. potra rendere un gran servigio alla Francia e alla Spagna, se il maggior numero dei partiti e dei loro capi entrano nello spirito del sistema e lo praticano con la fiducia di trarne i più grandi vantaggi possibili. Altrimenti la R.P. stessa cadrà davanti alla rivolta effettiva e armata di un fronte contro l'altro, questi tristi prodromi di guerra civile.
In Inghilterra, naturalmente, si scrive P.R. (proportional representation). La più attiva organizzazione londinese a questo scopo è Theproportional representation society. che il 10 di questo mese ha tenuto il suo Annua1 Meeting in una bella sala di Caxton Hall. Presiedeva il conte Grey (esattamente Earl Grey) e l'oratore principale fu il deputato G.W. Richards. Costui sostenne la necessità di introdurre in Inghilterra la proporzionale, per togliere alle elezioni generali inglesi il carattere di gioco di azzardo (gamble) che oggi hanno. Infatti basta uno spostamento di trecento o quattrocentomila voti (sopra più di venti milioni di votanti) per aversi una forte maggioranza conservatrice o laburista. Egli difese la proporzionale contro i tre argomenti che l'inerzia morale dei più suole portarvi contro: l) un sistema complicato, che non risponde alla mentalità inglese; 2) fraziona i partiti e ne riduce la potenzialità; 3) distacca l'elettore dall'eletto, perche il voto e al partito o alla lista, non alla persona. Le risposte a queste obiezioni sono facili. E' quindi superfluo riferire per intiero il discorso del deputato inglese. Tanto più che, ammettendo, come fa The P.R. Society, il voto individuale e trasferibile e le limitazioni delle liste, sul cui tema ho già scritto vari articoli sull' Aube, la terza obiezione (ch'è la più .forte) cade da se. Quel che mi interessò, su tutto, fu l'affermazione di G.W. Richards che se in Spagna, nel febbraio 1936, fosse stata applicata la R.P., non si sarebbe arrivati alla guerra civile. Questa tesi fu sostenuta da John H. Humphreys (l'apostolo inglese della proporzionale, segretario e anima della suddetta società) in un articolo pubblicato sul Manchester Guardian del 28 dicembre 1936. Tutto l'articolo e dedicato a dimostrare, con le cifre elettorali dei vari partiti, che in Spagna tanto l'estrema destra, che l'estrema sinistra (oggi detti fascisti e comunisti) non erano che piccole frazioni, e che la maggioranza elettorale poteva dirsi di sinistra e di centro, mentre una forte minoranza andava a destra. Se ci fosse stata la R.P. non si sarebbero costituiti i due blocchi, e i partiti forti non si sarebbero ingaggiati con le minoranze estremiste di destra e di sinistra; sicché, il risultato sarebbe stato a favore di una maggioranza mista sulla base centrale, o un po' verso destra o un po' verso sinistra secondo gli occasionali spostamenti di voto. (*) Pubblicato su Popolo e libertà, Bellinzona, 30 giugno 1937.
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Quale ne sia stato l'esito, non si sarebbe mai formata la psicologia estremista, quella che impressiona le folle, quando, costituiti i due blocchi, la vittoria si colorisce della tinta più forte. Se vincevano le destre, il carattere della vittoria non sarebbe stato dato dalla Ceda di Gil Robles (l), ma dal fascismo di Calvo Sotelo; vincendo le sinistre, il carattere non fu dato dal democratismo di Azana, ma dal socialismo estremista di Largo Caballero (2), con le forti nuances degli alleati comunisti e anarchici i quali senza prendere il potere nel governo, presero il potere nelle piazze e nelle strade; il che fu peggio. La stessa psicologia han provata in Francia i partiti, dopo le elezioni generali dell'aprile 1936. E1 fronte popolare è tinto del colore più acceso. Per quanto i radicali facciano da freno e minaccino di riprendere le loro libertà; per quanto il senato mostri il broncio al ministero e non lesini lezioni di equilibrio e di moderazione in materia economica e sociale; per quanto Blum cercasse di superare con abilità (se non con autorità) le difficoltà che gli venivano dagli alleati dell'estrema sinistra; pure 1' ambiente politico è agitato dallo spettro del comunismo e dal colore rosso; che per rimbalzo punge gli occhi ed eccita i fremiti di tutte le destre, antiche e nuove, nazionali, popolari e sociali (3). Riportare i partiti al loro valore rappresentativo effettivo; disimpegnarli, gli uni e gli altri, da coalizioni forzate e innaturali; ridare all'ambiente politico un rilassamento di nervi; prepararne le intese pratiche sul terreno parlamentare, ecco le virtù della R.?. Certo, in Inghilterra la proporzionale non può essere sentita così, come oggi in Francia, e come sarebbe stato nella Spagna prima della guerra civile. In Inghilterra le ali estreme dei partiti hanno poca presa sul grosso delle truppe, perché i partiti sono solidamente organizzati, essi sono inquadrati nel sistema istituzionale, parlamentare, democratico e rnonarchico. Tutti i partiti accettano tale sistema come base di comune consenso, elemento strutturale indiscusso della vita politica inglese. Qui il pericolo dei due blocchi, dei due fronti, che si negano a vicenda. e che negano la base istituzionale del paese, non c'e e non ci puo essere. (I) CEDA. ~onfederatiònEspanola de Derechas ~ u t ò n o m sorganizzazione , politica cattolica creata da Gil Robles, nelle elezioni del 1936 fini con i'ailearsi con le forze di destra, falangisti, monarchici, carlisti e agrari nel blocco del .Fronte Nazionale*. Sturzo che stringeva legami d'amicizia con alcuni suoi rappresentanti espresse apertamente le sue riserve sui confronti delle scelte politiche dell'organizzazione cattolica spagnola. (Cfr. G. DE ROSA, Sturzo, Utet, Tonno, 1977 pp. 349-53). (2) Largo Caballero (1869-1949) già dirigente deli'UGT, presidente del consiglio dal 5 settembre 1936 al 15 maggio 1937, fu in forte polemica con l'ala riformista del partito socialista spagnolo capeggiata da Indalecio Prieto. (3) Quando Sturzo scriveva questo artiwlo, nel giugno del 1937, la maggioranza governativa del Fronte Popolare era gii entrata sostanzialmente, se non ancora formaimente, in crisi con le dimissioni di L. Blum in seguito all'esito cruento di una manifestazione indetta dalle sinistre contro una riunione del Parti Social Franpais (una forma riveduta della Croix de Feu). I radicali in tale occasione incolparono i comunisti, accusandoti di fomentare il disordine.
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Perciò la R.P. si presenta solo come una riforma elettorale, adatta a modificare il tipo dei partiti e il loro significato sociale, ma non ad alterare la vita politica della più solida e più efficiente democrazia del mondo civile.
«FAIR VOTING SYSTEM))(*) A proposito della rappresentanza proporzionale Nella grande assemblea della società inglese per la rappresentanza proporzionale (tenuta nella grande sala delle commissioni alla Camera dei comuni) il deputato A.P. Herbert, tra le molte cose spiritose che disse - e il pubblico ne fu rapito - venne a proporre che il disegno di legge dovesse avere per intestazione Fair voting system. L'aggettivo fair E in inglese molto espressivo: vuol dire bello, giusto, onesto, sincero, senza inganno e cosi via. E' nota la frase fair play per gioco onesto e corretto, anche cavalleresco o meglio di gentleman. I1 sistema di votazione più corretto, onesto e senza inganno, sarebbe quello della proporzionale. I1 cambiamento d'intestazione del bill (o progetto di legge) che il deputato Herbert sollecitava era dovuto al fatto di un'antipatia fondamentale della mentalità inglese contro la proporzionale, proprio perché complicata (gli inglesi amano le idee e i sistemi semplici, vuoi infantili); perché toglie l'alternanza dei due partiti tradizionali (che oggi non sono più né due né tradizionali, data la posizione presa dal laburismo alla Camera e nel paese), perché infine (ed e la ragione fondamentale) disturba la formazione di un governo omogeneo quando di fatti non lo è più e non lo è stato da un pezzo). Tra parentesi: A.P. Herbert, deputato indipendente, e stato eletto all' universita di Oxford con la rappresentanza proporzionale. Questa, per i continentali, e un'anomalia inesplicabile; per gli inglesi è semplicemente un atto di tradizionale autonomia dell'universita, che non solo manda i suoi rappresentanti alla Camera dei comuni, ma decide del metodo di elezione che preferisce. Dal 1929, l'università di Oxford ha adottato la proporzionale per i suoi rappresentanti: essi nel 1929 furono lord H. Cecil e sir Ch. Oman; ora sono lord H. Cecil e A.P. Herbert. La campagna che la società, per la R.P. ha iniziato in Inghilterra è per le elezioni delie principali città e contee, dove il sistema maggioritario assoluto dà risultati sconcertanti. Nelle elezioni del 1937 del consiglio della Westminster City il partito del Municipal rejiorm con 44.000 voti guadagnò 60 seggi, e il partito laburista con 21.000 voti non ebbe un sol posto. Mentre al contrario, nel consiglio di Berrnondsey Borough il (*) Pubblicato su Popolo e libertà, Bellinzona, 9 agosto 1938.
per tagliar corto alle insinuazioni, che nessun cambiamento avrebbe proposto al regime elettorale senza un referendum e che la proporzionale non era in pericolo. Però l'avvenimento che farà epoca e che si attende da tutti gli amici della proporzionale, di qua e di la del canale, è fuori del raggio anglosassone; è in Francia, quando i radicali socialisti si persuaderanno a portare un progetto concreto alla camera dei deputati e a farlo votare, si che le elezioni del 1940 ( 1 ) saranno fatte sotto il segno del Fair voting Sysretn.
L;A RAPPRESENTANZA PROPORZIONALE E IL VOTO UNINOMINALE (*) Nell' Aube del 28 giugno e del lo luglio 1936 (nn. 1241 e 1243) ebbi l'onore di esporre a lungo il sistema proporzionalista quale adottato in Irlanda, dove vige il voto uninominale con il risultato proporzionale, e di discutere il problema delle correzioni e dei limiti della proporzionale. Mi sembrò opportuno che i nostri amici ritornino su questi punti, per una presa di posizione più approfondita avanti che la camera dei deputati riprenda la discussione sul sistema elettorale da dare alla Francia per le prossime elezioni. Non spetta a me di dire ai francesi che una prolungazione del mandato elettorale all'attuale camera possa essere un passo pericoloso (inconcepibile per un inglese o un americano), e che un governo di pieni poteri se dura troppo a lungo, o si espone all'usura rapida della sua consistenza ovvero si prepara ad una dittatura extraparlamentare (1). Comunque possano essere risolti tali problemi dai francesi veramente democratici, certo si e che avere lo strumento elettorale pronto, sia come legge elettorale, sia come riclassamento dei partiti, sia come psicologia del cittadino elettore e delle élites che formano l'opinione pubblica, e una necessita dell'ora presente, senza aspettare che gli avvenimenti domandino un appello al paese immediato e sincero. Ecco perché la questione della rappresentanza proporzionale deve ri. ( l ) Le elezioni nel 1940 in Francia non poterono svolgersi. Un anno e un mese dopo la pubblicazione di questo articolo scoppio la seconda guerra mondiale. (*) Pubblicato su L'Aube, Paris, 15 giugno 1939. (I) La Francia, terminata l'esperienza del Fronte Popolare, era governata da una coalizione di centro-destra guidata dal radicale Daladier. Prassi abituale del governo di quel periodo fu quella di non consentire al parlamento di sottoporre al voto le sue proposte legislative su questioni particolarmente delicate; al governo venivano concessi cioè, periodicamente, i pieni poteri. In questa delega del potere legislativo al governo, Sturzo, memore dell'esperienza italiana e tedesca, vedeva un grave pericolo per la vita democratica.
tornare presto sul piano politico e parlamentare, nella ricerca di una soluzione equa. Perciò stimiamo opportuno riprodurre, del nostro articolo del 28 giugno 1936, la parte tecnica del sistema irlandese, per vedere se, in mezzo alle apparenti difficoltà, si potrà arrivare alla sincerità del voto personale e alla reale connessione fra l'elettore e l'eletto, senza dare ai partiti più di quel che ad essi spetta come quadri elettorali e come orientamento programmatico ...
LA PROPORZIONALE IN ITALIA (*) Pierre Cot ha ripetuto una «frase fatta))dicendo che <cinItalia la camera ha sofferto per la rappresentanza proporzionale (1) come ne ha sofferto la repubblica di Weimarn. Il nostro amico Tremintin, rifiutando le obiezioni di Cot, ha parlato della repubblica di Weimar, ma non dell'Italia (resoconto sommario dell' Aube, del 24 giugno). Ritengo opportuno prendere la parola per difendere la R.P. contro l'accusa inconsistente ripetuta un po' dovunque da vent'anni. Dato che gli accusatori della R.P. in Italia sono anzitutto italiani, sarà bene mettere in chiaro le loro ragioni. Prima i socialisti: questi speravano, nel 1919, un gran numero di seggi, sfruttando il malcontento del dopoguerra nelle masse operaie e presso gli smobilitati e i disoccupati. Alle elezioni del 1919, i socialisti raggiunsero i 151 seggi, mentre i popolari (nuovi arrivati) ne ottenevano 99. La camera contava allora un totale di 509 seggi. Se la proporzionale non fosse esistita, i socialisti contavano di arrivare al numero di 200 seggi poiché una parte degli operai e dei rurali che votarono «popolare», non avrebbero mai votato ((democraticoliberale))o «nazionalista»o ((conservatoren.(I fascisti allora non ottennero alcun seggio e raccolsero appena quattromila voti nella provincia di Milano). Ma la valutazione dei socialisti era un po' fantastica; essi non si dicevano che, anche senza la proporzionale, i popolari avrebbero condotto una campagna elettorale da soli, rifiutando le alleanze di destra e di sinistra, poiché tale era la loro caratteristica e la loro ragion d'essere. Certo, essi non avrebbero ottenuto 99 seggi; e i seggi che essi non avessero guadagnato sarebbero andati a tutti gli altri partiti, secondo le combinazioni dei ballottaggi, combinazioni più favorevoli ai democratici (una specie (*) Pubblicato su LXube, Paris, I luglio 1939.
(1) La rappresentanza proporzionale fu introdotta per la prima volta in Italia nelle elezioni del 19 19 dal governo Nitti che accolse la rivendicazione dei popolari. Il precedente sistema uninominale aveva favorito nel passato grandi coalizioni liberali e moderate.
di radicali) che ai socialisti, salvo che nei grandi centri industriali. Liberali, democratici e conservatori detestarono la proporzionale poiché furono obbligati, per governare, ad intendersi con i popolari, ciò che gli anticlericali non amavano, dato che i popolari professavano la fede cattolica; e i capitalisti liberali e conservatori non li trovavano di loro gusto perché i popolari erano democratici e sociali (la frase corrente, nella borghesia italiana, era allora: #meglio i rossi che i bianchis). I1 parlamento, ciò non ostante, potè riprendere la sua attività, affrontare problemi interessanti e dare al paese un senso crescente di sicurezza politica ed economica, tanto che i fascisti non arrivarono a turbare il paese, con l'appoggio dei governi Giolitti e Facta. Se fra il novembre 1919 e l'ottobre 1922, nel corso di tre anni, si ebbero crisi ministeriali (2), non fu colpa della camera, né della proporzionale. Quattro di tali crisi furono crisi extraparlamentari, volute dai gruppi liberali, per riprendere le combinazioni personali dei tempi passati e tentare di diminuire l'influenza dei popolari. Due furono crisi parlamentari, provocate dai popolari, l'una contro il gabinetto Nitti, troppo favorevole ai socialisti, e l'altra per protestare contro le violenze fasciste tollerate dal gabinetto Facta. Se facciamo il confronto con le crisi dei governi francesi, in sistema di voto per ((arrondissement~e uninominale, constateremo che la frequenza delle crisi francesi è superiore a quella delle crisi italiane in regime proporzionalista. La verità e che era necessario trovare un capro espiatorio: e fu il partito popolare, considerato come «il terzo incomodo));e poiché non si poteva dire che un partito cosi forte fosse un fenomeno transitorio e inconsistente, si malediceva la R.P. che l'aveva favorito. Prima della proporzionale, il sistema elettorale era in Italia c k che e oggi in Francia. Cosi le minoranze elettorali erano costrette, nei voti di ballottaggio, a mercanteggiare il loro appoggio. I cattolici, specialmente i rurali, erano considerati come una buona massa di manovra. Dar loro una personalità politica, fu considerato come un grave danno per la borghesia liberale, che perdeva cosi una delle sue basi. Questo fu il delitto della R.P. in Italia.
(2) Questa la rapida successione dei giovani italiani che precedettero l'avvento del fascismo: F.S. Nitti giugno 19 19-giugno 1920: G. Giolitti giugno 1920-giugno 192 1 ; I. Bonorni luglio 192 1-febbraio 1922; Luigi Facta febbraio 1922-ottobre 1922.
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I RISCHI DELLA PACE (*)
La tesi fondamentale dell'interessante libro di Henry Wickman Steed, pubblicato a Londra nel luglio scorso, è indicata dal titolo Vital Peace, a Study of Risks, come dire «i rischi di una pace essenziale e vitale». La pace non è una pausa fra due guerre quale una o piu o meno lunga tregua; ne e un dono che passivamente si riceve e tranquillamente si conserva, la pace si conquista, si mantiene e si accresce con cura, si difende da coloro che vogliono turbarla. La pace e creazione continua, alla quale tutti partecipano, ciascuno per la parte che prende alla vita sociale. Secondo Steed, rischi comporta la guerra e rischi comporta la pace. Non ci può essere vita senza rischi, questi sono inerenti alla natura della vita, quale che sia il fine che ciascuno si propone alla propria attività. I1 problema dei rischi della vita può guardarsi da tre punti di vista: quello psicologico di ciascuno di noi; quello nazionale per ciascuno Stato; quello «comunitario» per un certo gruppo di Stati riuniti insieme o per la società degli Stati. I vari piani si intrecciano nella vita, si che, in una visione completa del problema, l'uno non può tenersi distaccato dagli altri. I1 giovane inglese dei famosi collegi di Eton e di Harrow non saprebbe pensare ad una vita tranquilla davanti a se, fatta di studi e di cure familiari, senza l'avventura dei viaggi, della vita coloniale, delle armi, e della politica. Lo sport seduce molti, ma lo sport per lo sport e peggio dell'arte per l'arte: I'indurimento alle fatiche senza la avventura diverrebbe un esercizio professionale spregievole. Non tutti sentono la spinta dell'avventura; il giovane operaio, educato nel laburismo socialista, diviene un piccolo borghese, ma il giovane comunista e o vuol essere un lottatore, e non esclude (almeno in idea) la guerra civile. Il giovane aristocratico o borghese fa suo l'ideale nazionalista e conservatore, della difesa della patria o della classe, quando non diviene anche lui un laburista in politica o un comunista in teoria. L'accenno alla guerra civile non mi viene perché essa infierisce oggi in Spagna (1). Ricordo che nel 1930, in un congresso pacifista tenuto (*) Pubblicato, in due puntate, su Popolo e libertà, Bellinzona, 16 e 21 ottobre 1936.
( I ) La rivolta militare guidata da Franco prese il via il 17 luglio 1936. Nei suoi articoli su L'Aube Sturzo si preoccupò soprattutto di scindere la responsabilità della chiesa dall'infuriare violento degli avvenimenti, contro la tendenza di vasti settori del mondo cattolico di identificare gli .interessi* del cattolicesimo con quelli del franchismo. Analoga posizione fu sostenuta da J. Maritain, E. Mounier e G. Bernanos; il grande scrittore francese scrisse in quell'occasione [grandi cimiteri sotto la luna, un libro che conobbe una
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a Londra, diversi oratori laburisti optavano per la guerra civile, per mettere fine alle guerre internazionali, volute (secondo loro) dal capitalismo e dai governi borghesi. Lo sbocco della guerra civile era, per loro, il mezzo dell'avvento del proletariato; mentre la guerra fra le nazioni mantiene il predominio del capitalismo militarista e delle dittature nazionaliste e totalitarie. Steed ha delle pagine assai forti contro lo Stato totalitario, fondato sulla filosofia di Hegel. Secondo lui, le guerre moderne hanno una causa permanente nella concezione di uno Stato che assorbe tutta la vita dei cittadini, finalità di ogni attività umana, espressione divina della collettività. I rischi di simile concezione sono enormi: la Germania di Bismark e di Guglielmo 11, dei von Bernhard e dei von Treitschke n'ebbe una tragica esperienza nel novembre 19 18, quando perdette la guerra che aveva provocata. Oggi, la Germania e sulla strada di rifare la prova; gli errori dei vincitori hanno dato il motivo al misticismo hitleriano, che, combinato con il militarismo germanico e con il totalitarismo di Stato, eccita un popolo di più di 60 milioni allo sforzo gigantesco verso una nuova guerra egemonica (2). Lo stato totalitario, fascista, nazista e bolscevico, mentre trova nella gioventu una facile rispondenza, cerca pero allo stesso tempo di forgiarsi una gioventu ancora più adatta al suo tipo. I1 sentimento di avventura e di rischio, che e in fondo alla natura umana, da individuale si e fatto collettivo; non più il cavaliere errante, né lo scopritore delle terre nuove, ne l'esploratore di zone sconosciute, ma il gruppo che si muove, nel bisogno di un capo, nella cieca dedizione, nell'attrattiva del rischio e del gorgo, non veduto o sentito che come la sorte di una totalità. La corsa vertiginosa dell'automobile (3), la velocità crescente delle navi, il volo rapidissimo degli avioni sono il simbolo di una vita pericolosamente vissuta, per sé stessa quale ne sia lo scopo. La guerra sarà una fase del ritmo accelerato e dei continui rischi di tale vita? Se non lo fosse
grande popolarità in Francia e piu tardi anche in Italia. (cfr. G. DE ROSA,Sturzo, OP. cit. pp. 354-60 e L. STURZO,Scritti inediti, a cura di F. Rizzi, Edizioni Cinque Lune, Roma 1975 pp. 437-38). (2) Nel marzo del 1935 Hitler aveva denunciato il patto di Locarno e ordinato la rioccupazione della zona smilitarizzata della Renania. L'Inghilterra e la Francia avevano ancora una volta finito per adottare una politica di rinuncia. Cosi - alla fine del 1936 - la situazione politica della Germania si era considerevolmenterafforzata mentre la Francia, indebolita da dispute interne, perdeva in Europa una parte del proprio prestigio e della propria influenza. Nello stesso tempo, Hitier proseguiva energicamente il suo formidabile sforzo di riarmo e, incoraggiato dal successo, meditava nuovi colpi di forza OP. cit. p. 186). (Cfr. J. B. DUROSELLE, (3) Questi temi in Italia furono diffusi dal futurismo che, come e risaputo, costitui un humus ideologico notevole per il consenso al fascismo soprattutto nel mondo studentesco ed intellettuale.
mancherebbe uno dei motivi più forti, anzi il più forte, per le mistiche collettive del bolscevismo, del fascismo e del nazismo. La guerra ne è motivo centrale, integrazione spirituale, valore fatale. Nei regimi dittatoriali la guerra civile è semplicemente larvata, .ma vi resta endemica. I1 bolscevismo è nato con la guerra civile ne si può dire che ancora abbia superato una tale fase. Se oggi i milioni di profughi russi vivono, piu o meno miseramente, nei paesi che li hanno ospitati, essi sono i vinti della guerra civile, anche se essi non vi parteciparono per essere fuggiti. Gli altri, gli oppositori, che di tanto in tanto uccidono gli oppositori e son uccisi o processati ed esecutati, come i trotzkisti e senza numero avversari religiosi, politici ed economici, ex-amici o antichi nemici, eliminati con mezzi immorali, indegni del nome umano danno bene l'idea della guerra civile larvata ed endemica. Non solo le notti del 30 giugno - lo luglio 1934 (4), non solo la persecu-. zione contro giudei, cristiani e comunisti e i campi di concentramento della Germania hitleriana caratterizzano la " guerra civile combattuta dalla parte più forte, ma anche gli assassini politici, come quelli degli operai, a Torino, di Matteotti a Roma, dei Massoni a Firenze dei croati in Istria, e di tutti gli altri di prima e di poi della Marcia su Roma. In Italia la glorificazione della guerra civile ha la sua esposizione permanente, i suoi santuari, i riti pubblici commemorativi. La guerra civile, fatta dalle dittature trionfanti come sistema di polizia e mezzo di eliminazione dei vinti, porta alla guerra internazionale perché ogni dittatura non può sostenersi che nella organizzazione della forza. Un partito armato soggioga i cittadini disarmati, un esercito formidabile tiene in rispetto gli avversari e prepara le conquiste e le rivincite. Oggi la Russia fa la pacifista (benché armata fino ai denti) perché ha paura del Giappone all'Est e della Germania allYOvest;ma la Russia ha soggiogato con le armi tutte le popolazioni che alla sua periferia volevano sfuggire al gioco di Mosca; la fallace autonomia di repubbliche sovietiche non ,salva dall'oppressione; la Russia tende a prorogare il suo regime al di là dei suoi confini, per garantirsi da un ritorno dei sistemi borghesi, per istinto di conservazione; il che impone una preparazione alla guerra, non solo materiale, ma ideale. La Germania di Hitler fa il giuoco scoperto; denuncia delle clausole militari del trattato di Versaglia, riarmo febbrile e colossale, rimilitarizzazione della zona renana. Hitler vuol essere pronto al momento dato: quando egli stimerà gli avversari in condizioni d'inferiorità, lancerà la piu tragica guerra che l'umanità abbia mai provato o pensato. Mussolini ha fatto la sua guerra, ha acquistato l'impero abissino, si (4) Nella notte tra il 30 giugno e il lo luglio 1934 Hitler si sbarazzo dell'opposizione interna al nazismo disponendo l'uccisione dei capi delle SA che pure lo avevano aiutato nella scalata al potere. Hitler incarico dell'epurazione le SS, un corpo di uomini scelti che, tecnicamente, era ancora un ramo deiie SA. In quella stessa notte fu pure assassinato Klausener, il capo deli'Azione Cattolica bertinese.
fermerà, qua? è d'intesa con Hitler? Sarà contro Hitler? Incognite: intanto egli afferma che può mobilitare otto milioni di uomini. Avvertimento a Parigi e a Berlino, a Londra e a Mosca.
La pace ha i suoi rischi sugli stessi piani dei rischi della guerra non in quanto essa ne e una necessaria alternativa, ma in quanto essa E pace. Grave errore sarebbe concepire la pace quale una semplice alternativa della guerra, si finirebbe di concepirla come una pausa, anzi come una transazione periodica fra due guerre. La pace deve volersi di per sé stessa, quale la definitiva Benedetto Spinozza: Pax non est privati0 belli, sed "irtus quae defortitudine animi orirur; essa deve costruirsi con i suoi elementi, assicurandosi con i suoi lavori. L'errore fondamentale giace nell'idea falsa che si ha della pace. La fine delle ostilità non e una pace, ma un armistizio. La pace armata non e una pace, ma una preparazione bellica. La pace imposta all'interno o all'esterno non è una pace, perché manca il mutuo consenso, ma e la cagione dello spirito di rivincita. La pace è giustizia, ordine, onore, liberta: essa è basata sul rispetto della personalità umana, su i suoi diritti, il suo onore, la sua libertà, la pace tende a creare un ordine dentro il quale possano svilupparsi la vita dei singoli stati e le loro minoranze insieme a quella della comunità internazionale. Secondo Steed, la Pax Romana, basata sul rispetto dell'individua~tà dei popoli e sulla garanzia del diritto e dell'amministrazione, ebbe allora una funzione di pace, sia pure affidata ad un popolo egemonico (come è stata la Pax Britannica per i domini e l'impero indiano); ma nessuna pace può basarsi sull'idea hitleriana della Pax Germanica come atta a costringere il mondo al servizio di una cultura superiore. Nella Pax Romana o Britannica vi fu un inizio di rispetto della giustizia e dell'ordine; ma nella Pax Germanica non c'è che un volere centrale che lega il mondo ad un servizio. In nome di chi? A quale scopo? Che cosa e questa più alta «Kultur»? Solo un alto principio morale può comandare ai mondo - a tutti gli uomini - un servizio comune - e questo non può essere che diretto a Dio e alla fratellanza umana. Solo così può costruirsi una società basata sulla giustizia e suìl'ordine che.generano la pace. Una pace egernonica (sia pure la Pax Romana) non può essere la pace della libertà che E quella che cerchiamo. Giustizia e ordine sono forse permanenti e stabili? Non ne cambiano i termini con il succedersi degli eventi? Un minorenne sta soggetto al tutore, divenuto maggiorenne è padrone di sé. La colonia è un rninorenne; il dominio inglese è maggiorenne; altri rapporti, altro ordine di giustizia. Cosi la pace non e statica, e dinamica; per essa si devono sempre
adattare alle nuove condizioni di fatto i principi di giustizia, i sistemi di ordine, che eliminano i contrasti e cementano la cooperazione fra gli Stati. La pace di Versaglia fu un ordine; per quanto mal concepita e male attuata, fu certo un ordine. Ma un ordine imposto e non accettato non era una pace; un ordine che conteneva molte ingiustizie non era una pace. Però poteva divenire una pace se vi fossero stati, da un lato, meno sfiducia e più comprensione della democrazia tedesca; dall'altro lato, più volontà a fare della Società delle Nazioni il baluardo deila pace. In sostanza, a correre i rischi della pace. Il libro di Steed e interessantissimo perché ricorda non poche delle sue esperienze personali durante e dopo la guerra, ch'egli visse intensamente quale direttore del Times. A parte il colorito che ne viene a molte pagine, egli sa far sentire la tragedia della crisi della pace che non si e saputa né potuta assicurare, perché non si sono voluti affrontare i doveri ch'essa imponeva. Man mano crollano tutte le difese ideate, disfa il sistema, si rovesciano le situazioni; Francia e Inghilterra assistono a tale debàcle con l'impotenza di chi si lascia scappare tutte le occasioni vantaggiose, perché non hanno fiducia né in se, ne negli altri, ne in ciò ch'esse stesse hanno costruito. Norman Angell (5) ha più volte ripetuto che se si arrivasse ad avere, per la difesa dei principi della S.d.N., lo stesso stato d'animo che ciascun Stato ha per la difesa del proprio territorio e delle proprie colonie, non sarebbero avvenuti ne i fatti di Corfu (6), né la guerra per il Gran Chaco (7), ne l'occupazione della Manciura da parte del Giappone, ne l'annessione dell'Abissinia da parte dell'ltalia, ne la denunzia delle clausole militari del trattato di Versaglia e la militarizzazione della zona renana da parte della Germania. Tutto ciò senza bisogno di mobilitare eserciti, ne di far guerre, come non c'è bisogno di fare guerre perché l'Inghilterra tenga Malta Cipro o Gibilterra e la Francia tenga la Corsica o Nizza o la Savoia. Il significato di ciò e chiarissimo: gli Stati, essendo disposti a difendere i loro territori li tengono in pace; mentre gli stessi Stati non sono disposti (o non lo sono interamente) a difendere l'ordine internazionale. Con ciò non s'intende affermare che tale ordine sia perfetto e non debba più mo(5) Norman Angell(1872-1967) pubblicista inglese, esplicò la sua attività specialmente in America. Nel 1933 gli fu conferito il premio Nobel per la pace. (6) Nel vivo del conflitto di frontiera che opponeva Grecia ed Albania, Mussolini, che appoggiava le rivpndicazioni dell'Albania, fece bombardare Corfu il 31-8-1923 procedendo poi all'occupazione dell'isola. Nonostante l'atteggiamento debole della Francia di Poincare, il consiglio della S.d.N. riuscì ad ottenere l'evacuazione delle truppe italiane in cambio di scuse e di una indennità di 50 milioni di lire. (7) La aguerra del Chacon scoppiata il 10 maggio 1933 fu combattuta dal Paraguay contro la Bolivia per una questione di confini (il Chaco del Nord era un vasto territorio rivendicato da entrambi i paesi). L'intervento mediatore della S.d.N. fu respinto dai due contendenti.
dificarsi; ma che per modificarlo si debba essere d'accordo e si debba fare con mezzi pacifici, e che un atto unilaterale e contrario ai patti non debba tollerarsi, allo stesso modo che nessun Stato tollera la violazione dei propri diritti e la occupazione del proprio territorio. Se non ci fosse stata la Societa delle Nazioni, e l'Inghilterra avesse pensato di agire in nome dei propri interessi a proteggere I'Abissinia, l'Italia non avrebbe mai fatto la guerra, e l'Inghilterra non avrebbe avuto bisogno di mandare 1'Home fleet (8) nel Mediterraneo. Al contrario agendo la stessa Inghilterra a nome della S.d!N. e legandosi preventivamente a non intervenire militarmente, eliminò i rischi della pace senza eliminare, anzi aggravando, i rischi della guerra. Perciò Wickham Steed torna, nel suo libro, al leit motiv di molti suoi scritti antecedenti circa la neutralità. Finche non si elimina il principio di neutralità nell'organizzazione di un ordine internazionale, non potrà mai costruirsi un efficace sistema di pace. Questo impone un certo numero di diritti. Come non si dà diritto senza un obbligo corrispondente e, viceversa, così e impossibile costruire un sistema di pace basato sul diritto che non imponga l'obbligo di difenderlo. Conce~ireuna Dace che non si debba difendere (essa ch'e un bene inestimabile) e concepirla senza giustizia, senza valore intrinseco, cioè un bene indegno di qualsiasi stima. Se un contadino possiede un podere, per piccolo che sia, vorrà essere tranquillo, nel suo possesso; se ne e disturbato, lo difende come può ed e disposto a esporre la sua vita, non perche stimi la vita meno del podere, ma perche stima il podere degno del rischio che comporta. Se per caso (una volta su cento) la difesa della pace porta alla guerra, novantanove volte evita la guerra, per il solo fatto di essere disposti alla difesa, costi quello che costi. AI contrario, se ciascuno Stato, che non si sente individualmente interessato, può proclamare la sua neutralità, novantanove volte su cento la guerra scoppia, perché la pace non e difesa, ne vale di essere difesa. Questo e il fondo della crisi attuale del sistema collettivo incentrato nella Societa delle Nazioni. E' possibile superarla? Se ne avrà la forza?
(8) La guerra africana di Mussolini causò un grave imbarazzo sia al governo inglese che a quello francese. Nessuno dei due se avesse potuto agire liberamente avrebbe sollevato forse la minima obiezione all'intervento di Mussolini. La politica inglese fu, pubblicamente, quella di difendere la S.d.N., evidentemente sfidata dall'impresa etiopica, e privatamente quella di giungere ad un compromesso con Mussolini. Lo stesso concentramento deila flotta britannica nel Mediterraneo, a Gibilterra, fu molto più opera della pressione dell'opinione pubblica che della volontà di muovere realmente guerra all'Italia per indurla a desistere dalla sua aggressione coloniale. (Cfr. J. B. DUROSELLE, OP. cit., pp. 169-1 76).
Gli avvenimenti del 1936 sono tutti'là per diminuire la fede nel sistema collettivo e per. provare che le ideologie morali e giuridiche, sulle quali si basa la Societa delle Nazioni, sono schemi fragili se non sono fallaci. Chi ha dato il colpo.mortale al sistema sono stati i governi della Francia e dell'Inghilterra. Può sembrare strano che i governi dei due paesi democratici, basati sul principio dello Stato di diritto e professanti la morale naturale tout court (e non una morale nazionale o di razza o di classe) siano stati quelli'che abbiano, a loro danno, colpita la base etico-giuridica del sistema internazionale. Ma e cosi: l'abbandono dell'Abissinia al suo destino, lo sforzo di escluderla dalla Societa delle Nazioni, il proposito di arrivare a conciliarsi con l'Italia anche a prezzo del riconoscimento del suo nuovo impero africano, non armonizzano con un sistema di diritto e di morale. Perché invitare la Societa delle Nazioni a commettere nuovi atti di debolezza e di tradimento? Non comprendevano le due grandi potenze che toglievano valore alla Società e perdevano credito esse stesse? Se alla prima occasione, Corfu e Vilna (9), i governi di Francia e d'Inghilterra avessero preferito osservare la legge internazionale anzi che essere compiacenti con l'Italia e la Polonia, la S.d.N. non avrebbe avuto scacchi morali successivi. Se al primo riarmo segreto della Germania, i governi di Francia e l'Inghilterra avessero fatto valere i trattati, in debita forma, la S.d.N. non avrebbe segnato il fallimento della conferenza del disarmo. Se alla prima affermazione di Mussolini contro la Lega e il suo statuto, questa avesse protestato, come fa qualsiasi piccolo Stato nel caso di uno sfregio alla bandiera o di un insulto al proprio console, non si sarebbe arrivati alla superba sfida di risolvere la questione abissina «con Ginevra, senza Ginevra, contro Ginevran. Principiis obsta! Ora, è forse troppo tardi? Se Ginevra fosse un sistema sciupato, che danneggia la stessa pace con le sue discussioni, i suoi dissensi, le sue procedure, si dovrebbe sopprimere. Ancora non siamo a questo estremo. Nonostante tutto, non si può tornare al sistema di avanti guerra delle alleanze e contro alleanze, per un equilibrio internazionale: non solo perché tale sistema fu superato dalla guerra, ma perché era in funzione della costruzione politica degli Stati di allora, e del carattere dei tre imperatori, Russia, Austria, Ungheria e Germania, che davano all'Europa.un senso di stabilità che oggi manca del tutto. Se Ginevra cade, non può formarsi un sistema di alleanze tale da creare un equilibrio permanente e neppure temporaneo, perché (9) Vilna, città della Lituania, fu occupata bruscamente da truppe polacche su ordine di Pilsudski, il 9 ottobre 1923. La S.d.N., mostrandosi come al solito debole, fini per riconoscere il fatto compiuto.
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oggi i paesi sono divisi e per principi e per interessi, e mancano legami solidi che. possano formare vari raggruppamenti stabili. E' percio che molto opportunamente il ministro inglese Eden, nel discorso tenuto allYAssembleadella S.d.N., il 25 settembre scorso, ha invocato il principio della tolleranza e del rispetto mutuo fra gli Stati, come mezzo di evitare gli urti di principi fra paesi democratici e dittatoriali, fra comunisti e fascisti. E' stata quella la risposta ai discorsi di Nuremberg, con i quali Hitler voleva imporre allYEuropauna specie di crociata contro la Russia. I1 rifiuto proposto da Eden, nel principio di tolleranza, è lo stesso di quello proposto tre secoli fa per la cessazione delle guerre di religione. Ma la tolleranza in un momento in cui bisogna vivere insieme, suppone alcuni principi *ai quali si dà lo stesso valore e nei quali si consente da tutte le parti. Perché si possa collaborare nel piano internazionale occorre per lo meno si consenta in tre principi: 1) che i patti sono da osservare (pacta sunt servanda); 2) che ciascuno deve essere rispettato nei diritti nei quali è in possesso; 3) che si debbono poter modificare 1e.situazioni attuali solamente di accordo, nel sistema della Lega quando ciò e richiesto per un diritto leso, ovvero risulta necessario da cause sopravvenute. Consentiranno Germania ed Italia ad un tale minimo? Ii ministro Eden, nello stesso discorso ha voluto marcare due note, mai ammesse in passato e di ben difficile realizzazione: distaccare lo Statuto della Lega dai patti di pace del 1919 e dare maggiore facilità alla revisione dei trattati; così egli ha concesso una soddisfazione alla Germania e allYItaliasperando sul loro ritorno a Ginevra. Purtroppo questo ritorno sarà problematico fino al giorno che Ginevra apparirà una costruzione debole e sconnessa; fino a che Inghilterra e Francia non consolideranno i loro legami in una solidarietà internazionale. Eden crede arrivarvi con i patti regionali (impegnando l'Inghilterra ad un patto deli'ovest) e con il riarmo, in attesa di un accordo sulla limitazione degli armamenti. Ma la pace è indivisibile. I patti regionali saranno utili se inquadrati in un patto generale di difesa effettiva contro l'aggressore, sia esso membro o no della Società. L'opinione pubblica inglese è ben più soda e più vigilante che non la politica equivoca del gabinetto Baldwin. Una recente discussione sul Times (settembre 1936) fra Wickham Steed, Norman Angell, il prof. Coulton e il dott. Polock da un lato, lord Ponsonby, Aldous Huxley e Rose Macaulay dall'altro, ha messo di fronte due categorie di pensatori pacif~ti,quelli che vogliono che la S.d.N. e relativi Stati che vi aderiscono siano forti in difesa della giustizia e del diritto, e queiii che tutto attendono da un disarmo, anche unilaterale, che crei un nuovo stato di animo morale nel campo internazionale, sia pure con il sacrificio del proprio paese. I1 prof. Coulton di Cambridge ha citato la celebre frase di Pascal: «il giusto deve essere forte e il forte deve essere giusto,, come l'ideale delia pace in un sistema collettivo. Steed ha ripreso il suo motivo deiia Pace
con la Libertà, per sostenere che questa sola è la pace che merita di essere difesa con tutte le proprie forze, perché non c'è vera pace, dove non c'è libertà. Norman Angell fa notare che oggi ogni nazione che riarma dice che lo fa a propria difesa; ogni paese si vuole difendere; ma ci sono due metodi di difesa: quello nazionalista, per gli interessi particolari della propria nazione; quello societario per la difesa collettiva. Egli si domanda: quale dei due metodi è meno pericoloso? Certo il secondo. I1 pacifista non rinunzia ai suoi ideali se sostiene la difesa collettiva. Infine il dr. Frederick Pollock dimostra come il disarmo unilaterale dellYInghilterra sarebbe la dissoluzione del Commonwealth Britannico, l'anarchia in India e altrove. Bisogna meglio dire, nell'Europa e nel mondo. Gli inglesi piu responsabili e coscienti del pericolo dell'ora presente vogliono che sia rinforzata la Lega, che sia reso efficace il sistema collettivo. che sia ridata fiducia all'odnione internazionale. Secondo Steed per raddrizzare la situazione generale occorre che si formi la psicologia di dover combattere per la pace come si combatte per la guerra; contro la falsa idea di una guerra creatrice - perché la guerra distrugge e non crea ne a favore del vincitore ne a danno del vinto - si deve opporre l'idea di una pace creatrice. Si deve perciò destare fiducia nella pace, in una mistica della pace. E' possibile ci^, quando si ridà alla Società delle Nazioni una base morale incrollabile, un valore spirituale inattaccabile, un'autorità rispettata ed efficace. Confessare di avere errato, di essere stati deboli di aver mancato al proprio dovere è il primo passo: Eden ha avuto il coraggio di farlo nel discorso del 25 settembre. Gli altri lo hanno seguito. Ora i fatti. nTutto con Ginevra, niente senza Ginevra, niente contro Ginevra)) deve essere il motto da opporre a coloro che vogliono disfare l'edificio internazionale e da imporre a coloro che vogliono servirsene solo quando loro torna conto. Sarà possibile un tale raddrizzamento nella coscienza pubblica? Invochiamo il disarmo morale prima di quello materiale, l'unione degli spiriti retti prima dell'unione degli, interessi. Domandiamo la pace per gli uomini di buona volontà, poi verrà quella da farsi accettare anche degli uomini di cattiva volontà.
LA LOTTA CONTRO IL COMUNISMO (*)
I Parliamo dei paesi ancora costituzionali e liberi (1). Vari sono i metodi per combattere il comunismo e difendere la società minacciata. Non mettiamo fra tali metodi quello, immaginato da qualche estremista di destra, di statuire per legge la soppressione del partito comunista dichiarandolo illegale. A parte le considerazioni di ordine costituzionale, oggi una simile proposta, se accettata, equivarrebbe alla proclamazione della dittatura o alla guerra civile. Finché il partito comunista si mantiene nei limiti della legalità, non può essere trattato diversamente dagli altri partiti; se capi e gregari violano le leggi e l'ordine pubblico e si danno alle violenze, debbono essere incriminati e giudicati dai tribunali, come qualsiasi altro cittadino capo o gregario di altri partiti. I1 programma per un cambiamento di regime (sia politico sia economico) non e mai un motivo (in regime di opinione) per rendere illegale un partito. Lo stato democratico costituzionale non può che limitarsi a fare osservare le leggi e a tutelare l'ordine pubblico e il diritto dei terzi, che possono essere offesi dall'azione dei partiti come tali e dei relativi capi e capeggiatori. La lotta politica, in paesi costituzionali, non pu9 essere che sul terreno elettorale e parlamentare. Se tale lotta sia sufficiente o no, dal punto di vista di sbarrare la via allo sviluppo del comunismo presso le masse, è un'altra questione. Ma comunque questa venga risoluta, non potrà mai alterarsi la fisionomia politico-costituzionale di un paese, senza trasformare la lotta politica in lotta sociale. E' quel che tentano le organizzazioni fasciste o quasi fasciste di Francia, Inghilterra, Olanda e Belgio. Ma mentre, finora, in Inghilterra si tratta di una minoranza (2), rumorosa ma insignificante, nell'olanda e nel (*) Pubblicato su La Terre Wallonne, Bruxelles, novembre 1936.
(I) In Russia il potere era allora nelle mani di Stalin la cui politica, in campo internazionale, era rivolta a favorire i Fronti popolari nell'Europa occidentale, e all'interno mirava a reprimere ogni accenno di dissenso. I1 25 agosto 1936 erano stati giustiziati, dopo un processo sommario, sedici dirigenti sovietici della cosiddetta unuova opposizione* (cfr. G. GONELLA, Piombo alla vecchia guardia leninista, in aL'Osservatore Romanon, 28-8-'36 ora in Verso la 2" guerra mondiale, op. cit. pp. 206-1 1). (2) La British Union of Fascists fu creata da O. Mosley nel 1932. Dal 1934 poté contare sull'appoggio del *Daily Mailn ma dopo lo scoppio di tumulti nell'east end di Londra nell'ottobre del 1936 il governo inglese ne limitò l'azione con l'introduzione di adeguate leggi repressive.
Belgio (3) si tratta di nuove formazioni di pura imitazione straniera che sfruttano i malcontenti locali; e in nessuno di questi paesi i comunisti hanno ruoli importanti; in Francia, invece, i comunisti sono forti e oggi partecipi della maggioranza parlamentare nel fronte popolare, e i fascisti o quasi fascisti (quali gli ex-Croix-de fer, oggi parti social franpais) tendono, ogni giorno più, a formare un'antitesi antagonista e combattiva del comunismo. Di qui il dilemma, che si va imponendo all'opinione pubblica: fascismo o comunismo! I1 popolo, la massa, la folla hanno questa psicologia elementare a dualizzare le forze e a creare i miti antagonisti: oggi fascismo e comunismo sono due miti antagonisti. In che cosa si oppongono questi due sistemi? Non, certo, nel concetto di dittatura; non nell'uso della violenza; non negli scopi politici. L'opposizione è nella classe sociale in nome della quale un gruppo di persone vuole tutto il potere nelle proprie mani, e nella direttiva economica da imprimere allo stato. Di qua classe operaia ed economia comunista; al di la classe militare ed economia social-nazionalista. La zona intermedia, fra comunismo e fascismo, è assai larga in Francia sia per interessi economici che per criteri politici e ideali morali. Pero la classe dirigente manca di idee semplici, di mire dirette, di metodi appropriati e di coesione spirituale: impossibile, così, creare stati d'animo efficaci per neutralizzare la dualizzazione delle forze politiche e trovare la vera soluzione conciliatrice. perciò anche la gente che non ha idee chiare circa il comunismo o il fascismo e che non vorrebbe in alcun modo che la Francia o 1'Inghilterra esperimenti quel che accade in Germania o Russia o Italia o Spagna, pure inclina ad orientarsi o verso il primo o verso il secondo, per sfiducia, per reazione, per imitazione, per istinto, per disperazione, non mai per semplice convinzione. Giorni fa un autorevole inglese mi assicurava di avere notato in certi ambienti del clero anglicano un pacifismo che arriva alla negazione della difesa del suolo patrio e delle sue istituzioni libere, e un fdocomunismo, che naturalmente non implica la negazione di Dio ma che suona condanna della società capitalistica e sfiducia nel laburismo. Questo stato d'animo s'insinua anche fra certi giovani cattolici, che pensano possa disimpegnarsi il comunismo dall'antireligione. Mi si dice che vi sia qualche prete di questa opinione, cosa che io non sono in grado di confermare. Ma presso gli inglesi, che si muovono per sentimenti più che per idee, non fa meraviglia, e si spiega come reazione al filofascismo (3) In Belgio il movimento neo-fascista assunse la denominazione di Fronte popolare di aRexn (dal nome di una rivista fondata nel 1932) e fu guidato dal cattolico fdomaurrassiano Gon Degrelle. Ottenne un buon successo nelle elezioni del 24 maggio 1936 (21 deputati e 12 senatori) senza però ripetersi nelle successive competizioni elettorali (cfr. G. GONELLA.Radicali in Francia e Rexisti in Belgio, op. cit., pp. 21 1-4).
troppo aperto di parecchi fra gli stessi cattolici ben noti (preti anche): il polarizzarsi verso il comunismo o verso il fascismo diviene reciproca reazione: l'uno in funzione dell'altro, l'uno per escludere l'altro; ma l'uno e l'altro prementi nella coscienza collettiva quasi come due fatalità. Se, come avviene in Francia in una scala più larga che altrove, comunisti e fascisti scendono in strada, fanno cortei monstre, si assaltano a vicenda, impediscono reciprocamente comizi pubblici e riunioni private, si accalorano nella propaganda per il giorno del cozzo fatale, raccolgono e nascondono armi, si esercitano nella preparazione della... difesa e della resistenza, si crea lo stato psicologico adatto alla prova di forza. Gli altri partiti sono insensibilmente tirati a fiancheggiare i lottatori, a proteggerli, a difenderli presso la pubblica opinione. Le vittime dell'una parte e dell'altra saranno gridati ,martiri ed avranno o i cosiddetti «santuari»fascisti e nazisti ovvero formeranno la litania dei rivendicatori dei diritti del popolo da Ferrer a Matteotti. 'Si crede cosi di combattere il comunismo? Errore madornale. I1 comunismo dal metodo della lotta di forza ne riceverà un vantaggio enorme, perché sarà inoculato nelle masse, non per via di idee o di discussioni, non per ,via di esperimenti pratici, ma per via di sentimenti,:l'odio contro la società attuale e le classi dominanti tanto più si accrescerà quanto più saranno state più forti le lotte e decisivi i combattimenti. E cosi si preparerà l'ora delì'avvento comunista come una rivincita sospirata in decenni di oppressione sociale e di contrasti politici. I1 ricordo del liberalismo del secolo XIX dovrebbe essere tenuto presente da coloro che credono ai metodi di forza. Allora la restaurazione delle monarchie assolute in Austria, Spagna, Italia e altrove fu unita alla lotta a fondo contro il liberalismo, con leggi draconiane, polizia vigilante e tribunali rigidi. Anche in Francia, non ostante il parlamento, la lotta antiliberale ebbe le sue fasi. Ma la Francia ebbe la rivoluzione del 1830; la Spagna la guerra civile e l'intervento straniero; l'Italia le rivolte, le congiure e le guerre del risorgimento. L'Europa divenne tutta liberale: monarchie caddero o si trasformarono; i vecchi privilegi e i vecchi regimi cedettero il posto alle democrazie che sopravvennero, Un ideale politico-sociale, comunque formato, non può essere combattuto e vinto né con le forche governative né con i combattimenti nelle strade fra le due fazioni armate, perché è un ideale.
L'ideale e un risultato di idee e di sentimenti; per combatterlo occorre piazzarsi sul medesimo piano, sia svelando le falsità che può contenere e le ingiustizie che ne creerebbe l'attuazione, sia contrapponendogli un altro ideale.
E' questo un metodo rispondente allo spirito stesso del regime di opinione e di libertà. Ma le difficoltà ad attuare un tale metodo sono notevoli, e i risultati sono spesso insoddisfacenti. Stiamo al tema dei comunismo. Questo è diffuso presso certe zone operaie che ne sono convinte come di una fede della quale non si discute, e come di un avvento che presto o tardi si realizzerà. Gli avversari, armati di prove logiche e storiche, morali ed economiche per dimostrare l'errore del comunismo, non potranno mai penetrare in quegli ambienti, né persuadere quei seguaci, proprio perché si tratta, novanta volte su cento, di gente che crede e non discute, o di gente che discute solo perche crede, e quindi con la ferma volontà di non convertirsi. Chi può pensare che la massa comunista legga un giornale avversario, sia per esempio 1' Echo de Paris ovvero La Croix o persino 1' Humanité? Tutti i più begli articoli che saranno scritti per confutare il comunismo, saranno ammirati dai propri lettori, nazionalisti, cattolici o socialisti, ma non arriveranno non dico a persuadere, ma neppure ad esser posti sotto gli occhi dei comunisti, tranne quei pochi che per professione o per curiosità, cercano di leggere quel che dicono gli avversari: ma costoro sono i pochissimi e i meno accessibili (proprio perché professionisti o curiosi) agli argomenti degli avversari. L'effetto di, tutte le tirate anticomuniste sarà sempre un aumento di odio, di volontà di lotta, di falsificazioni di pensiero, da parte dei propagandisti, giornalisti, capi politici del partito offeso o criticato (nel nostro caso il comunista), un po' come delle paglie che i ragazzi raccolgono per i falò estivi. Ma, dunque, non si dovrebbe parlare e scrivere contro il comunismo? Certo che si; pero, c'è modo e modo. Quel predicatore che davanti a un pubblico di buone pie donne e di figlie di Maria fa una tirata dottissima contro il comunismo, Karl Marx, Lenin e Trotzky, sciupa il suo temp0.e lascia un vuoto nel cuore di quelle che speravano sentir parlare di veed che consolano. Ma se lo stesso predicatore allo stesso uditorio parlerà come un buon padre che avverte del pericolo che nelle loro case s'infiltri I'odio di classe, che porta di conseguenza I'odio del prossimo e I'odio di Dio, e che, quindi, stiano in guardia a non lasciarsi sedurre dal miraggio deil'eguaglianza economica che promette il comunismo, avrà fatto un'opera buona, nel parlare dell'amore del prossimo, e contro l'odio personale, sociale e politico di cui sono accesi i partiti basati sulla violenza. Bisogna adattarsi al pubblico a cui si parla, per edificarlo, non per eccitarlo all'odio, e non perdere mai di vista il carattere del posto da cui si parla. La tribuna parlamentare non è la redazione di un giornale, né questo può trasformarsi in pulpito di chiesa. Sul terreno giornalistico e politico, ch'è il nostro, la critica deil'awer sario va fatta in funzione deila difesa delle nostre idee e dei nostri partiti. ,
L'attacco e una forma di difesa, e perciò, come tutte le difese, va fatta cum moderamine inculpatae tutelae. Anzitutto equanimi e giusti: l'errore enorme di credere tutto male nell'avversario e conseguenza di una superbia cieca che non fa vedere il male presso di sé. E' raro trovare, nella lotta politica, persone equanirni che non si credono infallibili e che riconoscono agii avversari qualche virtu. Il mito del bene e del male, parteggiato in modo che tutto il bene sia di qua e tutto il male sia di la, seduce la fantasia e lusinga la vanità di ciascuno; ma e un mito, anzi una menzogna. L'atteggiamento migliore e di colpire l'errore, di biasimare il male, ma di far rilevare quel lato di verità e di bene che ci può essere e non manca in nessuna corrente politica quale essa sia. Altra condizione: se un male e comune a più partiti perché ha una radice al di là di essi (per esempio la violenza, che e tanto comunista che fascista), se un errore è comune (per esempio la concezione dello stato «etico»,cioè fonte della moralità collettiva, che appartiene a nazionalisti, idealisti, neo-democratici, fascisti, comunisti), non bisogna attribuirlo a uno solo. La formazione dei lettori e ascoltatori va fatta con probità, sincerità e oggettività; l'avversario non deve potersi lagnare di mancanza di comprensione e di partito preso. Per combattere il comunismo non basta scrivere e polemizzare. Gesù coepit facere et docere. Noi facilmente c'impanchiamo a maestri, difficilmente scendiamo al modesto lavoro della pratica. E pure le masse che vanno divenendo comuniste, non sono pervertite, sono per la piu parte smarrite perché abbandonate. E' vero che per loro sarà più facile seguire un demagogo che promette il paradiso in terra, che un profeta che annunzia i mali e predica la penitenza; ma se il demagogo resta alle parole e il profeta fa la penitenza egli stesso per il primo, il profeta la vince sul demagogo. Per troppo tempo non ci siamo preoccupati degli interessi materiali e morali delle masse. Tutti oggi dicono che se nella Spagna latifondista (che ne e la maggior parte) si fosse proceduto alla formazione lenta ma ben preparata e ben eseguita della piccola proprietà rurale, si sarebbero salvati oltre cinque milioni di contadini abbrutiti da salari di fame e lasciati preda alli anarchia. Chi non sa che il salariato di oggi, ottanta volte su cento, va a confinare con una specie di servitù economica? I contratti collettivi furono introdotti in Italia nel 1919 e diffusi anche prima del fascismo; in Inghilterra hanno una lunga e gloriosa storia. Perché in Francia i proprietari hanno atteso.fin oggi, quando sono stati costretti a cedere di fronte agli scioperi «sul poston (leggi occupazione delle fabbriche, dei poderi, degli uffici di amministrazione) e alia pressione di un ministero di fronte popolare? La lotta contro l'usura ebbe in Germania Reiffeinstein che fondò le
casse popolari, in Italia Luigi Luzzatti (4) e don Cerutti (9,e con loro migliaia di cattolici e preti; in Francia quasi nessuno. I cattolici di destra hanno sempre gridato contro gli abbés démocrates o rouges; ed hanno lavorato a soffocare in fasce la democrazia cristiana, e ora non sanno fare altro che invocare il ((braccio secolare)) del colonnello La Rocque (6), per colpire con la forza gli incomodi avversari che sono lavoratori e padri di famiglia, da trattarsi cristianamente non a colpi di manganello o con il revolver in pugno. ((Andiamoal popolo))fu il grido che echeggiava ai tempi della enciclica Rerum Novarum, e che deve echeggiare oggi, se vogliamo avere il diritto di combattere il comunismo realmente e degnamente. Ma come?
Una delle cause che da, presso il popolo, un'attrattiva speciale al comunismo e la semplificazione dei piani di lotta. L'economia privata viene concepita come economia pubblica (o comune o collettiva); lo stato e ridotto a rappresentante dell'unica classe, la lavoratrice; e la politica di partito diviene politica dello stato. Il sindacato non sarà più strumento organico della classe proletaria, ma organo interno della struttura economica dello stato; il parlamento non avrà più funzione rappresentativa di tutte le classi e organo di mediazione fra i vari e contrastanti interessi, ma solo (se esisterà) quella di un consiglio di dirigenti della classe-stato. Questa costruzione e guardata come un avvento messianico, perché toglierà dalla società quella distinzione di classi, quella diversità d'interessi e quella divisione di poteri, che secondo i comunisti mantengono tutte le ingiustizie presenti, sintetizzate nel nome di capitalismo. La nostra posizione e molto più complessa; perché noi non semplicizziamo la società riducendola ad una struttura elementare; perché noi non presentiamo un programma di felicità futura sulla terra; noi non crediamo che finiranno le ingiustizie umane, neppure in un preteso stato cattolico: il male e il peccato non saranno mai eliminati da questa terra, perché l'egoismo (ch'e la sua causa) lo portiamo con noi stessi, anche in regime comunista. Questa posizione realistica non deve per noi divenire pessimismo: al contrario: noi con più modeste finalità politiche ed economiche e con (4) Luigi Luzzatti (1841- 1927) politico ed economista, deputato al parlamento italiano dal 1871 al 1921. Promosse la fondazione di casse popolari e di altri istituti a vantag gio della piccola industria e dell'agricoltura. (5) Don Luigi Cerutti (1864-1934). artelice di una vasta rete di casse rurali cattoliche nel Veneto fu anche dirigente dell'opera dei congressi. (6) J.M.Francoise Arnet conte di Rocque (1885-1946). leader della Croix de Feu. raggruppamento di destra, dotato di una organizzazione paramilitare.
più alte aspirazioni morali e spirituali, abbiamo il dovere di presentare al popolo un programma positivo, realizzabiie, serio, umano e cristiano. E' vero che non può aspirarsi ad una perfezione temporale che escluda tutti i mali e includa tutti i beni; ma abbiamo il dovere di lavorare perché il male sia combattuto e il bene sia realizzato. Nell'ordine politico ed economico siamo relativisti, perché il benessere reale non e concepibile in via assoluta, fuori del tempo e dello spazio; e quel che può giovare ad un popolo di contadini, in paese latifondista, non e lo stesso di quel che può giovare ai coltivatori di un podere che loro appartiene in proprio. Nessuno applicherà lo stesso regime al Marocco e alla Normandia. Ciò posto: non basta la critica del comunismo; occorre che si presenti un piano economico politico proprio, inquadrato nelle concezioni etiche e giuridiche della nostra civiltà cristiana. Questo piano - perché arrivi alle masse - occorre che sia reso vivente da un'idea-forza, da un nome simbolico, dalla fede coraggiosa e sicura dei promotori e propugnatori. A me sembra che sia venuto il momento di riprendere il nome e la bandiera di democrazia cristiana. I1 cattolicesimo E religione di tutti, padroni e operai, ricchi e poveri, di coloro che inneggiano al fascismo e di coloro che lo combattono, dei fautori di riforme economiche e di conservatori retrivi. Non possiamo monopolizzare la religione per noi soli. E' vero che le encicliche Rerum Novarum e Quadragesimo Anno (7) sono la, come insegnamento per tutti i cattolici; ma è anche vero che non tutti i cattolici leggono ed eseguono tali encicliche. Per di piu, non e consentito ai cattolici di attribuire alla chiesa di preferire un regime politico piuttosto che un altro. Mentre ii cittadino cattolico può preferire chi la monarchia assoluta, chi la dittatura e chi la democrazia. I cattolici belgi come gli svizzeri, i francesi e gli olandesi, in recenti manifestazioni e nell'indirizzo più accreditato e autorevole, sono per ii mantenimento delle loro democrazie, per le riforme sociali e politiche adatte ai loro paesi, e per un maggiore contatto con il popolo lavoratore. Ma la bandiera che possa attirare la folla, che tocchi la fantasia e che giustifichi tutti i provvedimenti anche piu audaci sul terreno della politica e dell'economia (senza impegnare la chiesa), non e spiegata al vento. E' la democrazia cristiana la sola che può dare una sintesi di valori spirituali ed etici, e di misure politiche ed economiche. Per evitare antiche polemiche - dopo che Leone XIII nella Graves de Communi tolse ogni significato politico al titolo di democrazia cristiana - i cattolici, riuniti in partito sociale-politico, si chiamarono popolari e promossero la teorizzazione del ((popolarismo))da contrapporsi al fascismo e al comunismo, cosi come al liberalismo e al socialismo. (7) L'enciclica Quadragesimo Anno, emanata da Pio XI il 15 maggio 1931 affronto il problema sociale criticando sia il sistema economico capitalista che quello collettivista.
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Finché manca un nome, una bandiera chiara, netta, non equivoca, che per se indichi un programma noto, affermato, difeso e voluto con fede, non sarà possibile lottare ad armi uguali contro il comunismo. Sarà così evitato quel che è sempre accaduto ai cattolici, che nella formazione dei blocchi avversi hanno subito l'impresa dei partiti di destra, conservatori ciechi, difensori dei privilegi di casta, legati alle cause più antipatiche e più onerose per la Chiesa e per il popolo. Oggi e forse il momento per una seconda e più felice affermazione della democrazia cristiana.
DOVE VA L'EUROPA? (*)
Londra, 31 marzo 1938 Hitler, annettendosi l'Austria (l), ha fatto due guadagni netti: quello di aumentare la sua potenzialita militare e quello di obbligare l'Italia ad una politica subordinata a Berlino. L'asse Berlino-Roma passa da Vienna. Non e più la vecchia Triplice alleanza, quando l'impero austroungarico aveva una politica dinastica che non sempre coincideva con quella di Berlino; quando al confine della Triplice vi era la Russia zarista protettrice naturale degli slavi del centro e sud Europa, assai diversa dalla Russia d'oggi non più confinante con la Germania, non più protettrice degli slavi d'Europa, non più interessata nei Balcani ne aspirante a Costantinopoli; quando l'Italia, pur conservando fedeltà alla Triplice, si dava il lusso dei «giri di valzer)) con la Francia e l'Inghilterra. Tutta l'Europa danubiana e balcanica oggi è sotto l'attrazione verso Berlino, mentre è diminuita l'attrazione verso Roma, che per vari anni ha giocato un ruolo interessante tra il Danubio e i Balcani, e sono divenute sempre più fievoli le influenze economiche e politiche di Parigi e Londra. Tale cambiamento di orientamento e dovuto a vari fattori, anzitutto quello d'indole psicologica, per cui i piccoli paesi tendono sempre verso (*) Pubblicato su La Terre Wallonne, Bruxelles, maggio 1938.
(I) Le truppe tedesche entrarono in Austria il 12 marzo 1938.11 10 aprile col 99,75% di voti favorevoli un plebiscito popolare, voluto da Hitler, sanci la definitiva annessione. Mussolini questa volta non avanzò nessuna obiezione; dal novembre del 1936 infatti un *asse. collegava Roma e Berlino. L'Italia aveva aderito, un anno dopo, anche al patto anticomintern che legava Germania e Giappone in una politica anti-sovietica. Così Ciano commentò nel suo diario tali avvenimenti: .Tre popoli si ingaggiavano su una medesima strada che forse li condurrà al combattimento. Combattimento necessario se si vuole spezzare questa crosta che soffoca l'energia e le aspirazioni dei popoli giovaniw (cfr. R. PARKER, OP. cit. p. 305). SU I'Anschluss cfr. G. GONELLA, Gli avvenimenti austriaci nella loro cronaca, op. cit., pp. 286-9.
un sistema internazionale che ne assicuri la stabilità e l'indipendenza. Prima della guerra il gioco d'instabilità era solo nella penisola balcanica, dove le influenze della Russia e dell'Austria-Ungheria si alternavano a spese dell'impero turco destinato a essere cancellato dalla carta dell'Europa. E di là parti la scintilla della grande guerra. L'Austria-Ungheria non era un grande stato omogeneo, come gli altri stati europei; la sconfitta portava naturalmente il suo crollo e sminuzzamento. Anche senza la guerra l'impero asburgico non sarebbe rimasto in piedi, minato dalle questioni delle nazionalità; i rimpianti di alcunì uomini politici sulla caduta dell'impero asburgico sono vuoti di senso: quell'impero non poteva più reggersi dopo la sconfitta. L'errore dei trattati di pace fu quello di non obbligare gli stati successori a riunirsi in una federazione economica e creare un sistema stabile nella regione danubiana. I tentativi fatti dopo (compreso il piano di chi scrive proposto nel 192 1 e riproposto nel 1922) non potevano sortire effetto pratico, per ragioni complesse, che qui non e il caso di enumerare, specialmente per l'opposizione dell'ungheria mutilata territorialmente, e per le preoccupazioni e rivalità delle nazionalità slave verso l'Austria. La costituzione della Piccola intesa (2), che doveva costituire il primo nucleo del sistema danubiano, non arrivò mai a superare lo stadio iniziale, minata com'era dalla nuova politica del fascismo italiano e del nazismo tedesco, e resa inefficiente dalle oscillazioni della politica di Parigi e di Londra. Strani questi francesi! essi non hanno mai compreso il ruolo che la piccola Austria del dopoguerra doveva svolgere nel sistema europeo. Lasciamo fuori quelli che si limitano a compiangere la caduta dell'impero asburgico e quegli altri che sognavano un ritorno degli Asburgo a Vienna; costoro mancavano di visione realistica e quindi di senso politico. Ma anche coloro che credevano possibile mantenere unlAustria piccola, senza risorse sufficienti. cor! Vienna cosi popolosa (testa senza corpo), centro di scambi culturali, economici e politici tra oriente e occidente, tra nord e sud Europa, non si rendevano conto dell'assurdo di geografia politica che ciò sarebbe stato. O I'Anschluss con la Germania o una confederazione.danubiana: l'Austria da sola presto o tardi doveva cadere. Quando Curtius e ~ c h o b e rtentarono un Anschluss economico, la Germania non era armata fino ai denti e ancora eoteva seerarsi nella riduzione degli armamenti e in una pacificazione economica e politica dell'Europa: ma la Francia pose il suo veto. E quando essa volle promuovere l'unione danubiana, col progetto Tardieu, pose tali condizioni economiche e politiche da renderla irrealizzabile. Cosi si arrivo agli anni cruciali: nel 1933 Hitler diviene cancelliere del Rcicli C comincia la campagna per la nazificazione dell'Austria. L'Au( 2 ) La Piccola intesa ( 1922) unì Cecoslovacchia, Jugoslavia e Romania in una alleanLa destinata a tenere a bada ['Ungheria. Il trattato franco-cecoslovacco (1924). poi, aveva legato anche la Francia a questa combinazione.
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stria di Dollfuss (3) si butta nelle braccia di Mussolini, che in quel momento teme I'Anschluss come il più grave pericolo per l'Italia. Mussolini detta le sue condizioni: favori a Stahremberg e alle Heimwehren, milizie fasciste austriache; lotta ai socialisti. Di qui i due fatti salienti nel 1934: febbraio, la rivolta socialista affogata nel sangue; luglio, rivolta nazista e assassinio di Dollfuss (4). Mussolini manda le sue divisioni sul Brennero pronte a passare il confine, ma non e che un gesto. Berlino aveva compreso, mentre Londra e Parigi non compresero e fecero il gioco di Berlino. I1 27 settembre 1934 fu firmata una dichiarazione dei governi di Londra, Parigi e Roma, per la quale i loro delegati alla riunione, tenuta a Ginevra erano ((tombés d'accord pour reconnaitre que la declaration du ler fevrier 1934 (dopo la repressione della rivolta socialista) en ce que concerne la necessite de maintenir I'independance et I'integrité de I'Autriche, conformément aux traités en vigueur, conserve toute sa force et continuera a inspirer leur politique commune)). Negli accordi del 7 gennaio 1935 fra Mussolini e Laval (quando Laval tradi I'Abissinia, la Società delle nazioni e anche la Francia) fu stabilito di invitare tutti i paesi limitrofi - comprese la Germania, la Polonia e la Romania a garantire I'indipendenza dell'Austria. I francesi di destra, i nazionalisti ad oltranza, i lavalliani, credono ancora che sia esistito e che possa rifarsi quello ch'essi chiamano «il fronte di Stress)) (5): ciò fu un sogno non una realtà. Alla vigilia di Stresa e prima che Simon e Eden facessero il viaggio a Berlino, Hitler aveva dichiarato: «Quanto accade nella Saar deve accadere in Austria. In un paese in cui il 15% della popolazione opprime l'altro 85%' alla lunga un plebiscito e inevitabile. E' un bene che gli austriaci siano costretti a fare questa esperienza. La vittoria del nazionalsocialismo nella mia piccola patria sarà tanto piu clamorosa)).Alla vigilia di Stresa Hitler aveva denunziato le clausole militari del trattato di Versailles. Alla vigilia di Stresa Mussolini aveva inviato le prime truppe in Somalia ed Eritrea e rifiutato l'arbitrato invocato dal Negus in base al trattato di amicizia tra Italia e Abissinia stipulato nel 1928. Che fanno a Stresa i governi di Londra e Parigi? Per mantenersi amico
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(3) Sturzo ebbe un giudizio molto severo sulla arivoluzione patriottico-autoritarhm voluta da E. Dollfuss in Austria (cfr. G. De ROSA,Sturzo. OP. cit. pp. 329-34). (4) Dollfuss fu assassinato il 25 luglio 1934 da una formazione di SS austriache che fece incursione nella cancelleria di Vienna per imporre la formazione di un governo presieduto da A. Rintelen. Un commento a questi fatti in G. GONELLA, Bilancio di una recente fase della pofitica europea, op. cit. pp. 67-71. (5) 11 .Fronte di Stresan comprendeva Italia, Francia e Inghilterra che, nell'aprile del 1935, dichiararono di essere decise a salvaguardare l'indipendenza austriaca. Il aFronte di Stresan che sul momento sembrò completare l'isolamento della Germania fu presto reso inefficace dall'atteggiamento di Mussolini che dopo i'esperienza aafricanan corninciò a guardare con maggiore simpatia la Germania nazista e a nutrire diffidenza nei confronti delle potenze asanzionistem.
Mussolini, non parlano dell'Abissinia; per non prendere impegni concreti per l'Austria si limitano a raccomandare che la convocazione della conferenza danubiana sia fatta a una data «molto prossima)); circa la violazione delle clausole militari del trattato di Versailles da parte di Hitler, si limitano a presentare alla Società delle Nazioni la loro protesta, con la dichiarazione che una nuova violazione dei trattati porterà I'applicazione delle sanzioni. 11 fronte di Stresa fu non un fronte, ,ma un paravento che voleva nascondere agli altri la mancanza di unità d'intenti e di azione. Hitler si faceva beffe dell'avvertimento datogli, come uno scolaro cui si minaccia, se continua, un castigo sul serio; a lui premeva poter riarmare impunemente, senza che la Francia tentasse di rioccupare il Reno e senza che l'Italia tornasse con le sue truppe a riaffacciarsi sul Brennero. Mussolini aveva altro per il capo, essendosi già imbarcato nell'impresa abissina. L'Inghilterra poi credeva di servire il meglio possibile i suoi interessi col fare una dichiarazione che la disimpegnasse da qualsiasi obbligo concreto e immediato che potesse turbare la linea d'intesa con la Germania, intesa che la portò all'accordo navale del giugno successivo. 1 vani sforzi della Francia di Laval e di Flandin per mantenere in piedi sia il fronte di Stresa sia l'amicizia con l'Italia sia l'apparente fedeltà a Ginevra, portarono al più clamoroso fallimento della politica della sicurezza collettiva e alla fine del sogno dell'unione danubiana e del programma d'intesa con la Germania. L'Inghilterra nel marzo 1936 rese la pariglia alla Francia quando Hitler occupo la zona demilitarizzata del Reno; il Belgio si disimpegnò dai legami con la Francia; la Svizzera cominciò la sua politica di neutralità assoluta; l'Olanda e i paesi nordici il loro riarmo. Mussolini, vittorioso in Etiopia, anche al di là delle sue speranze, lascia ad Hitler l'Austria e si impegna nella guerra di Spagna. Siamo al luglio 1936. Si notino le coincidenze: 1'1 1 luglio 1936 e la data degli accordi di Berchtesgaden, per cui I'Austria (pur assicurata nella sua sovranità) si obbliga a fare la politica estera della Germania, e si unisce con essa da vincoli di vera dipendenza; il 15 luglio gli aerei italiani vanno nel Marocco spagnolo (tre cadono nell'Africa francese); il 18 luglio Franco inizia la rivolta che sbocca nella guerra civile, che da d o r a insanguina la Spagna. Alla guerra civile s'innesta una guerra internazionale, con I'intervento aperto dell'Italia e della Germania a favore del generale Franco, con l'aiuto aperto della Russia al governo repubblicano; con il favoreggiamento agli uni del Portogallo agli altri della Francia. Due nuovi fatti nel 1937; la pirateria nel Mediterraneo, sicche la flotta inglese E impegnata alla sorveglianza e immobilizzata in parte dagli affari di Spagna, mentre il Giappone invade la Cina e vi compromette gli interessi europei e americani. La guerra cino-giapponese è preceduta dall'intesa antibolscevica Berlino-Tokio-Roma; l'occupazione dellYAustriaè preceduta dalla visita di Mussolini a Hitler; così come e probabile che
la visita di Hitler a Mussolini coinciderà con la vittoria di Franco in Catalogna.
La politica e stata definita ((l'arte di prevedere e provvedere)). Ciò si può dire di ogni azione umana; ma se c'e un campo in cui le previsioni sono difficili e i provvedimenti inadeguati e proprio nella politica internazionale. Lo strano e che, mentre sulla stampa non sono mancate voci ammonitrici circa la piega degli affari europei negli ultimi dieci anni, sembra che i governi di Londra e Parigi (i principali responsabili) siano divenuti e ciechi e sordi e impotenti. E' una sorta di paralisi che merita di essere esaminata nelle sue cause, per rendersi conto di quel che sarà il nostro avvenire. Tra chi ha un piano da realizzare e chi non ha alcun piano, ma cerca di neutralizzare quel che crede un pericolo, c'è la differenza che il primo sa quel che vuole e il secondo non lo sa; il primo prevede, il secondo non può che fare ipotesi; il primo si prepara in senso concreto e l'altro solo al momento venuto. Così tra i dittatori e le democrazie si è aperto un gioco, nel quale i primi hanno un vantaggio indiscusso. Ma c'è ancora un'altra differenza: i dittatori sono d'accordo fra di loro nei fini pratici e nei mezzi opportuni; le democrazie non sono d'accordo neppure sul piano di difesa, tranne l'estremo caso di una guerra di aggressione non provocata contro la Francia e il Belgio, nel qual caso ['Inghilterra interverrà: e per questo che, abbandonando l'idea del disarmo, si è messa in fretta, da due anni, a riarmarsi fino ai denti. Bene; ciò e noto a Berlino e a Roma; a quale scopo essi che pur bene armati come sono, non possono ancora competere con Parigi e Londra e non hanno l'oro che si trova nella Banca d'Inghilterra, dovranno ingaggiarsi in una guerra di aggressione non provocata alla Francia o al Belgio e cosi trovarsi di fronte la Gran Bretagna? Sanno bene Berlino e Roma evitare questa ipotesi, perche ne hanno altre nelle quali la Gran Bretagna non marcerà; ma sanno anche sfruttarla, come un ricatto, per ottenere quel che loro farà vantaggio nel presente o nel futuro, senza esporsi ai rischi di una guerra europea. Quali, dunque, gli obiettivi del futuro della Germania e dellYItalia,unite insieme, nel rifare la carta dellYEuropa?Cominciamo dalla Germania: Hitler ha avuto il merito di dire quel che voleva, e nessuno se n'e scandalizzato: niente trattato di Versailles: è già caduto nella parte economica e militare; Danzica: e completamente nazificata, con un accordo con la Polonia, divenuta filotedesca; la Saar: gli e arrivata con un plebiscito favorito dalla Francia stessa; la militarizzazione della zona Renana: un bel colpo riuscito grazie alla politica di Lava1 verso 1'Abissinia; 1'Anchluss con l'Austria: l'Austria e divenuta provincia del Reich per la connivenza italiana a dispetto di tutti i patti e le dichiarazioni che ne garantivano l'indipendenza.
Per l'avvenire Hitler ha altri due obiettivi confessati: la riunione con i tedeschi delle zone soggette a stati esteri, e la restituzione delle colonie. Per il primo scopo si serve di due mezzi di indiscutibile valore: I'attrazione verso un Reich potente, armato fino ai denti e pronto a sfidare le grandi potenze anche con le armi; poi, la mistica della nazione e della razza. La partita è aperta con la Cecoslovacchia che ha tre milioni di tedeschi; ve ne sono altri (a parte i tedeschi svizzeri) in Polonia (Alta Slesia), in Lituania (Memel), in Danimarca (Schleswig Holstein), in Belgio (Eupen e Malmédy), in Italia (Sud Tirolo o Alto Adige); ma queste partite saranno regolate appresso. Hitler sa misurare il passo; e perciò (secondo mezzo) suscita le agitazioni fra quelle popolazioni tedesche dove intende fare il colpo. AII'Italia, che le ha consentito di prendere l'Austria, non da molestie per i tedeschi dell'Alto Adige, anzi ha confermato pubblicamente l'impegno di rispettare il confine del Brennero. E pensare, che fra il trattamento fascista ai tedeschi dell'Alto Adige e quello cecoslovacco ai sudeti c'e un abisso. Questi hanno scuole superiori medie ed elementari completamente tedesche, istituti di cultura, di beneficenza, di culto loro propri; mentre nelllAlto Adige è proibito l'insegnamento del tedesco anche privatamente; sono stati perfino italianizzati i nomi dei paesi e i cognomi della famiglia, impedito l'uso pubblico della lingua nelle chiese. Vecchia storia! La politica comanda qua il silenzio, la invece l'agitazione più subdola e meglio organizzata. A leggere le intelligenti lettere inviate da uomini politici inglesi al Times, e pubblicate con sapiente selezione, si può vedere quanto questi ingenui o ipocriti conservatori inglesi siano commossi al pensiero dello stato insopportabile dei sudeti in Cecoslovacchia; e che consigli ch'essi danno: fare un plebiscito; trasformare lo stato cecoslovacco in una seconda confederazione elvetica; cedere le zone di confine... Come potrebbero vivere in pace i conservatori inglesi al pensiero che la questione cecoslovacca, attraverso la Francia, potrebbe trascinarli in una guerra? Ricordo che nel l 9 3 3 un autorevole uomo politico inglese mi diceva con la maggiore serietà che bisognava dare il corridoio polacco a Hitler e la pace dell'Europa sarebbe fatta; era insopportabile pensare che 1'Europa potesse essere trascinata in una guerra per il corridoio polacco e per Danzica; quello era uno dei piu grossi errori della pace di Versailles. Questo stesso discorso mi fu fatto da un altro politico inglese, anch'egli antinazista di sentimenti, a proposito dell'Austria. Ed è stato ripetuto dal Times che fu enorme errore quello d'impedire 1'Anchluss; solo il modo con cui Hitler ha preso l'Austria ha offeso il sentimento dei conservatori britannici. Per convincersene, basta leggere l'articolo del Times «The End and the meansn del 15 marzo, e il primo discorso di lord Halifax alla camera dei lords quale ministro degli esteri. I circoli governativi inglesi osservano esattamente la stessa attitudine davanti alla questione dei sudeti, il che incoraggia Hitler a continuare
nella sua politica. E' vero che Chamberlain (6) ha fatto capire che forse, se la Francia fosse messa in pericolo per la difesa dell'indipendenza della Cecoslovacchia, l'Inghilterra potrebbe essere trascinata dai suoi interessi a intervenire; ma ciò in parole chiare si traduce cosi: caro Hitler, fate le cose per bene questa volta e non dateci noie, The End and the means, il fine perseguitelo pure in Cecoslovacchia ma con i mezzi che evitino un ipotetico intervento dell'Inghilterra. Quindi due mezzi: l'agitazione in Cecoslovacchia (e va abbastanza rapida), e la propaganda filotedesca in Inghilterra presso i conservatori, e va anch'essa a gonfie vele. Ci sono le colonie: ecco un punto nero; Hitler ha il suo piano. Quando avra consolidato la sua posizione sul Danubio, e ottenuto uno sbocco sul Mar Nero, quando si sarà.assicurato il grano dell'ungheria e il petrolio della Romania, quando avra indebolita la Cecoslovacchia con le agitazioni interne e la legislazione di favore alle minoranze, e forse dopo liquidato l'affare spagnolo, allora verrà il conto da presentare a Londra per le colonie. Perché fare una guerra? L'Inghilterra non vuole una guerra e farà un aggiustamento sulle colonie. Avrebbe preferito dare alla Germania delle buone fette delle colonie africane del Portogallo e anche del Belgio (pagare col denaro altrui e sempre comodo anche per John Bull). Badate, non invento; ho letto la proposta in una lettera inviata al Times durante il 1937, quando si parlava di colonie tedesche; ma, insomma, anche l'affare delle colonie sarà regolato. Fermiamoci qui; non andiamo oltre nelle previsioni. E l'Italia? Essa ha ceduto sullYAustriaper essere aiutata in Spagna. Per essa la vittoria di Franco ha tre vantaggi: uno di prestigio e per i dittatori questo è un punto debole, dato che essi vivono di prestigio; un secondo, la Spagna e il mezzo per far cedere l'Inghilterra su alcune questioni interessanti del Mediterraneo e del Mar Rosso (le trattative Cianolord Perth ci diranno fino a qual punto l'una cede e l'altra guadagna); un terzo, la Spagna alleata per una politica antifrancese, che dovrà svilupparsi a breve scadenza, in previsione di una possibile guerra europea. Questa è la ditrerenza fra Hitler e Mussolini: il primo realizza i suoi vantaggi senza guerre, solo con gli armamenti e gli intrighi; il «duce», se vuole qualcosa di più che le parole, deve impegnarsi in una guerra: cosi ha fatto per 17Abissinia;cosi per la Spagna, e cosi domani forse per la Tunisia (o per l'Egitto secondo i casi)., Cioè, se capita una guerra europea, l'Italia sarà legata alla sorte della Germania; tutte due hanno interesse di avere alleata una Spagna fasci(6) N. Chamberlain (1869- 1940) era diventato primo ministro del governo inglese nel maggio del 1937 succedendo a S. Baldwin. In tale carica e in qualità di leader del partito conservatore perseguì una politica di avvicinamento nei confronti delle potenze dellqAsse supponendo in tal modo di poter evitare la guerra. Il suo governo non mosse se non formali obbiezioni all'Anschluss e operò fiaccamente di fronte alle rivendicazioni di Hitler sulla Cecoslovacchia. Praticò anche una politica di amicizia verso I'ltalia fascista. sostituendo a quest'uopo Eden con Lord Halifax agli Esteri. L'8 maggio 1940 fu sostituito da W. Churchill.
stizzata, che potrà impegnare una parte di truppe francesi sui Pirenei e tagliare le comunicazioni mediterranee deila Francia con l'Africa del nord. In ultima analisi, tutta la politica dell'asse Berlino-Roma è quella d' indebolire le posizioni europee e africane dell'Inghilterra e della Francia, di disunirle di fronte ai problemi particolari, come quello della Spagna e quello della Cecoslovacchia, di trattare con loro separatamente, come fece l'Inghilterra con la Germania per il patto navale (1935) e come fa oggi con le trattative con l'Italia; di dissociare i vecchi alleati della Francia (Polonia, Jugoslavia e Romania), rendere inefficienti le leghe e i patti (Società delle nazioni, Piccola intesa, patto del Pacifico), intrigare con la propaganda e con le organizzazioni segrete (Cagoulards, in Francia), e così acquistare una posizione tale da poter fare il ricatto estremo al momento dato: o la guerra o la pace quale imposta da Berlino e Roma. Che conterrà una tale pace? Mussolini ha parlato piu volte degli stati capitalisti e degli stati proletari: Francia, Gran Bretagna, Stati Uniti, Russia, sono stati capitalisti; Germania, Italia Giappone sono stati proletari. I1 mondo è grande, la preda deve essere divisa. Idee e sogni agitano i conquistatori: l'Europa e piccola; l'Africa è un primo passo; la Cina e là per essere presa dal Giappone, non tanto come territorio, quanto come concessioni e dogane; la Germania e l'Italia sanno quel che vogliono in Asia; e poi c'è da un lato la Russia, dall'altro campi di espansione, d'influenza, di commercio e di propaganda. I sogni napoleonici non sono mai realizzabili che come sogni di distruzione, anche quando sembrano costruttivi, perche niente di violento è durevole. Ma una realizzazione a lunga durata, paziente, ben preparata, ben costruita, senza andare ad urtare contro la barriera dei cannoni e degli aerei (che Inghilterra e Francia per ogni evenienza tengono pronti); sarà possibile, solo che ai primi successi quali quelli di oggi, non segua l'ubriacatura che dà alla testa in special modo ai dittatori. Oggi essi hanno l'iniziativa; per conseguenza la pace e la guerra sono nelle loro mani.
POST-SCRIPTUM(Londra, 17
aprile 1938)
Oggi, domenica di Pasqua, è stato pubblicato dai giornali inglesi il testo degli accordi fra l'Italia e la Gran Bretagna (7), firmati ieri a Roma. La loro importanza e esclusivamente di carattere psicologico; dal punto di vista politico, cambiano ben poco le cose. I1 componimento delle frizioni fra i due paesi e certamente un guadagno per la tranquillità momentanea di tutti; ma per l'Italia è stato un mezzo di uscire da un impasse, (7) Gli accordi di Roma, conosciuti dagli storici sotto il nome di aAccordo di Pasquan OP.cit. pp. 195-7). furono firmati il 16 aprile 1938 (cfr. J. B. DUROSELLE,
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salvando la faccia (come dicono i cinesi) e per l'Inghilterra un mezzo di sganciarsi dagli obblighi della Societa delle Nazioni per la sua politica particolare. I1 fascismo italiano ama avere il riconoscimento del suo impero etiopico per prestigio, per umiliare gli avversari di ieri, gli stati (csanzionistin, Ginevra e i suoi preti, «la morale internazionale)); perché la situazione vi resterà assai difficile anche dopo gli accordi di ieri. Un altro punto nero della politica di Chamberlain e la questione della Spagna. In fondo, egli ha consentito che Mussolini continui il suo intervento in Spagna, fino alla vittoria di Franco. La promessa di Mussolini di lasciare la Spagna a un dato momento rimane sempre ipotetica, e in ogni caso senza valore politico. La situazione europea e oggi la stessa di quando l'ho presentata nel mio articolo: non e possibile che l'Italia si stacchi dall'asse; essa e obbligata ora a seguire Berlino, dal momento che Hitler e a Vienna. Per l'Italia e finita una politica indipendente. E' una grossa stupidaggine pensare di far rivivere «il fronte di Stress)), come qualche francese ha scritto dopo l'accordo anglo-italiano; cosi pure un nuovo ((patto a quattro)). Per il fronte di Stresa e l'Italia che non può camminare, è l'Inghilterra che non ci pensa. Per il patto a quattro e la Germania che non vuole legarsi alla politica di Parigi-Londra con un'ltalia ritenuta sempre infida. Per il momento e l'asse Berlino-Roma, con Hitler a Vienna, che dà la base alla struttura di una nuova Europa; gli accordi anglo-italiani e forse gli accordi franco.-italiani non modificano nulla di sostanziale, salvo un nuovo colpo inferto alla Societa delle Nazioni per farla cadere. La Cecoslovacchia cerca di calmare le minoranze e di conciliarsi con la Germania: una buona politica, ma che non arriverà a grandi cose se essa vien lasciata sola. Rimane la Spagna: e il punto nevralgico della politica europea di oggi: la Francia e l'Inghilterra non potranno lasciarla sotto la influenza di Roma e di Berlino, per un programma di egemonia o di guerra.
SETTEMBRE 1938 (*)
Londra, ottobre 1938 Negli annali della storia, il Settembre 1938 (1) sarà forse segnato con la stessa importanza del Novembre 1918: venti anni di distanza, nei quali l'aspetto dell'Europa e cambiato da cima a fondo. Fra le due date c'e York, 15 novembre 1938. con l'Austria Hitler rivolse le sue mire espansionistiche sulla Cecoslovacchia, paese che ospitava al suo interno tre milioni circa di tedeschi. La crisi del settembre 1938 fu aperta, per cosi dire. ufficialmente da Hitler, il 12 (*) Pubblicato su Il Mondo, New ( I ) Subito dopo la forzata riunione
una differenza che bisogna marcare subito: il novembre 1918 era o sembro la conclusione di un periodo, non solo di quello della guerra; mentre il settembre 1938 sembra solo una tappa decisiva della nuova Europa che si sta trasformando sotto i nostri occhi. Analizziamone le cause principali: prima delle cause politiche valgono le cause psicologiche; queste sono due: la paura della guerra e la paura del bolscevismo. La prima e la seconda sono agitate dai dittatori, specialmente contro le grandi democrazie occidentali: Francia e Inghilterra. Sono la Germania e l'Italia immunizzate contro la paura del bolscevismo e della guerra cosĂŹ da poter esercitare la grande suggestione di panico sugli altri? A nostro avviso, ne la Germania ne l'Italia sono immunizzate dalla paura-del bolscevismo; ma sono arrivate a costruire uno stato autoritario che da in mano ai dittatori tutti i poteri, tenendo le masse soggette ad una disciplina di ferro, ed eccitandone gli istinti elementari con tutti i mezzi della propaganda e del prestigio. I1 crollo di tali costruzioni totalitarie, con una struttura finanziaria senza fondamenta, porterebbe ad agitazioni di masse che si direbbero bolsceviche, e che certo sarebbero influenzate dalla propaganda comunista. Un tale pericolo, reale ma ingigantito, rende le borghesie ricche di Francia e di Inghilterra inclini a favorire i dittatori - Hitler e Mussolini - e a impedirne la caduta. Cosi la paura del bolscevimso passa dalle classi industriali e ric-. che tedesche e italiane, tutta intera nelle classi borghesi dei paesi democratici. La paura della guerra e anch'essa reale in Italia e in Germania: le popolazioni non la vogliono, ed e naturale; i dirigenti e responsabili la temono, ed e regionevole; ma i dittatori si fanno valere con il riarmo e con la minaccia di guerra. Ed e con la minaccia ch'essi fanno passare la loro paura nelle carni degli avversari. Parigi e Londra mostrano di temere la guerra cento, mille volte piĂš di Berlino e di Roma. I1 30 settembre, scrissi un articolo ((11 gioco della paura di guerra)), paura che dal 15 al 29 settembre scosse tutto il mondo. L'articolo (2) settembre. In mezzo a una serie di dichiarazioni minacciose egli chiese I'autodeterminazione (ci& a dire l'unione con la Germania) per i tedeschi della Cecoslovacchia. L'atteggiamento della Francia, che pure era legata alla Cecoslovacchia da una afleanza militare. e dell'lnghilterra si mostro ancora una volta debole e disposto a cedimenti nell'illusione di poter in questa maniera evitare il pericolo di una guerra. Fallita il 14 settembre la missione Runciman (ispirata al governo inglese) che rese evidente come non fosse possibile un accordo sulla base del mantenimento delle frontiere allora esistenti fra Germania e Cecoslovacchia, si giunse infine, il 28 settembre, al rpatto di Monaco, sottoscritto da Italia, Francia, Inghilterra e Germania. Il patto stabili che le zone *prevalentemente tedeschen del paese dovevano essere cedute alla Germania. La Cecoslovacchia faceva le spese dell'atteggiamento conciliante delle grandi potenze. Su tutta la crisi del settemSU L'Osservalore Romano dal bre 1938 vedi la lunga serie di articoli di G. GONELLA Verso la 2" guerra 14 settembre 1938 al 7 ottobre 1938 pubblicati ora in G. GONELLA, molidiale, op. cit. pp. 3 10-336. (2) Cfr. Miscellanea Londinese, Opera Omnia, op. cit., pp. 185-7. L'articolo fu pubblicato anche sul giornale Popolo e libertĂ , Bellinzona, il 5 ottobre 1938.
apparve con qualche ritardo su L A ' ube di Parigi (7 ottobre). Lo riproduco, perche nulla ha perduto di attualità, e perche da tutte le indagini sembra rispondere perfettamente alla realtà dei fatti. La notizia postfactum data dai giornali che il governo italiano avesse mobilitato in silenzio e di nascosto 700 mila uomini, di cui il 4 ottobre aveva ordinato la demobilitazione, non ha fondamento; tutto fa credere che in Italia non ci fu mobilitazione, tranne qualche piccolo contingente specializzato.
Coloro che hanno potuto trovarsi a contatto con la gioventù francese mobilitata in fretta dopo l'incontro di Godesberg (3), han notato una calma. una sicurezza. un senso di dovere. una convinzione di servire la patria,' che non ha nulla della paura di Lo stesso, in maniera meno pronunziata, si può dire del popolo inglese, al quale le misure affrettate e spettacoli di prevenzione antiaerea avevan dato il senso dell'angoscia che precede una catastrofe. La paura di guerra non era fisica ma morale; non del popolo ma dei capi: era la responsabilità gravissima, di un governo di precipitare il suo popolo in una guerra che in apparenza ed in sostanza (secondo le opinioni) non era ne giustificata, ne in ogni caso psicologicamente preparata. Ma c'era un'altra paura, quella delle classi borghesi e ricche, che vedevano di mal occhio che la guerra per la Cecoslovacchia avrebbe avvicinate in una solidarietà di alleati l'Inghilterra e la Francia con la Russia. La paura del contatto bolscevico, che sarebbe stato per le masse operaie un contatto di aspirazioni (nella confusione che si fa tra l'ideale di un governo operaio e la realtà del regime staliniano), ha spinto la borghesia di Francia e d'Inghilterra a dare partita vinta a Hitler. C'era un ostacolo da superare: la volontà di resistenza armata del governo e del popolo cecoslovacco. Fu per questo che Hitler ricorse al drammatismo della mobilitazione, alla minaccia d'invasione, all'ultimatum di Berchtersgaden, alle pretese di Godesberg e agli accordi di Monaco. Il governo e il popolo cecoslovacco furono costretti dai governi d'Inghilterra e di Francia a cedere, senza limiti ben definiti, perché esse, Inghilterra e Francia, si rifiutavano di battersi per difendere la Cecoslovacchia dalla minacciata aggressione. E governo e popolo cecoslovacco han ceduto, con dignità e stoicismo, perdendo non solo dal lato tedesco, ma dal lato polacco e ungherese, i confini naturali o politici, perdendo econo(3) Dopo il preoccupante discorso di Hitler del 12 settembre, Chamberlain si era recato di persona in Germania una prima volta a Berchtersgaden ( l 5 sett.), dove aveva preso conoscenza delle richieste di Hitler; una seconda volta a Godesberg, il 23 settembre. Nella cittadina tedesca Chamberlain aveva comunicato al dittatore l'assenso anglo-francese circa l'annessione dei sudeti tedeschi alla Germania ma si era trovato di fronte a nuove richieste: Hitler aveva preteso una immediata definizione dei nuovi confini e l'occupazione militare del territorio dei sudeti entro il lo ottobre.
micamente e politicamente su tutta la linea, come ha perduto mai un popolo sconfitto. L'Inghilterra non aveva altro obbligo che quello che nasceva dal patto della Società delle Nazioni; ma come invocare tale patto dopo cinque anni di storia che porta i nomi di Manciuria, Abissinia, Renania, Spagna e Austria? Chamberlain aveva dichiarato ripetutamente che 1'Inghilterra sarebbe intervenuta in guerra se l'«integrità» della ,Francia era messa .in pericolo. Notate la frase caratteristica: «l'integrità». Permetta il lettore che torni a citarmi, con un periodo dell'articolo scritto il 3 1 marzo ultimo scorso e ~ubblicatodalla Terre Wallone di Charleroy nel maggio scorso: «i circoli governativi inglesi osservano esattamente la stessa attitudine davanti la questione dei Sudeti. Chamberlain ha fatto ben sottintendere che se la sicurezza francese fosse compromessa per la difesa della Cecoslovacchia, potrebbe darsi.che 1'Inghilterra si vedesse forzata ad intervenire. In termini chiari, ciò valeva come dire: Mio caro Hitler, questa volta, fate in modo di non causarci alcuna noia, continuate la vostra politica nei confronti della Cecoslovacchia, ma, di grazia, non fate alcunche che possa provocare un intervento inglese. Hitler capì e agì in conseguenza: l'agitazione dei tedeschi della Cecoslovacchia si sviluppo con lo stesso ritmo con cui si sviluppava la propaganda germanofila presso i conservatori inglesi)) (pp. 73-74). Tutto e passato come previsto: solo non poteva prevedersi la missione di lord Runciman. Costui, andato la come arbitro tra la minoranza tedesca e il governo cecoslovacco per ottenere una soluzione che desse. a tutte le minoranze quelle autonomie che fossero compatibili con l'unita dello stato (si poteva arrivare ad una specie di confederazione svizzera), finì col dare ragione agli estremisti di Henlein (4) i quali, all'ultima ora, svelando il gioco, domandarono il passaggio del territorio alla Germania. E, vedi combinazione, la richiesta di tale passaggio di territorio fu proposta dal Times il 7 settembre, prima ancora del gesto di Henlein. il Foreign Ofice si affretto a dichiarare ch'esso c'era per nulla nell'articolo del Times; ma si trattava di battuta fuori tempo. Quello fu un ballon d'essai; doveva far capire dove poteva arrivarsi (secondo i calcoli politici inglesi) senza bisogno di minacciare una guerra sul serio. Fino a qual punto il governo francese era nel gioco sottile deila politica inglese, menata dal trio: Chamberlain, Hoare (5)' Simon (6)?
(4) Konrad Henlein (1898-1945) fondatore del Partito tedesco dei sudeti, di ispirazione nazista. I1 suo partito, rappresentante della minoranza etnica tedesca della Boemia occidentale, rivendicò la riunione alla Germania ottenendo successi elettorali nel 1935 e nel maggio 1938. Henlein mori suicida nel '45 quando la Germania nazista apparve definitivamente sconfitta. (5) Samuel Hoare (1 880- 1959); dal 1937 al 1940 fu ministro dell'interno nel governo presieduto da Chamberlain. (6) John Allebrook Simon (1873-1954); ministro degli Esteri inglese nel 1935-37 fu cancelliere dello scacchiere con Chamberlain (1937-40).
Oramai non è un mistero per nessuno che Bonnet (7) accedeva alla politica di Chamberlain di «liquidare»la questione cecoslovacca, evitando la guerra ad ogni costo. Egli interpretava l'opinione dell'alta borghesia francese, industriale e conservatrice, che non voleva né la guerra, né il pericolo di guerra, né l'osservanza dei patti che potessero portare alla guerra. ne l'urto politico di Hitler (cosi come non voleva I'urto con Mussolini per l'affare della Spagna) che potesse avvicinare alla Russia e alle correnti democratiche europee, oggi più disposte a battersi che la stessa borghesia nazionale. La stampa francese che interpretava questa corrente arrivò a dare come falsa la notizia del comunicato del Foreign Office che l'Inghilterra sarebbe stata al lato della Francia se questa fosse corsa in aiuto della Cecoslovacchia. Flandin (8) rappresentò questa borghesia rinunziataria con un accanimento e una frenesia inconcepibili in un ex-presidente dei ministri; il suo telegramma di congratulazione ad Hitler dopo Monaco fu il colmo. Tutto ciò era noto a Londra, dove le dichiarazioni di scendere in guerra si facevano tanto più facili, quanto piu si era certi che la Francia non si sarebbe battuta. Ma ciò era anche ben noto a Roma e a Berlino; e questi accentuavano la loro minaccia di guerra tanto piu quanto erano sicuri che la Francia e l'Inghilterra non avrebbero marciato. Cosi alla paura psicologica del bolscevismo e della guerra si aggiunse sul piano politico il gioco serrato della borghesia inglese e francese perdarla vinta ai dittatori. Le mobilitazioni fatte dall'hghilterra e dalla Francia furono misure precauzionali per il dubbio che, nonostante tutte le concessioni, Hitler fosse cosi pazzo da correre il rischio di una guerra; o che i due governi democratici fossero costretti dall'opinione pubblica e dai propri parlamentari e non rinculare piu e a doversi battere. Non e escluso che Chamberlain e Bonnet pensavano che Hitler fosse tanto più proclive a cedere quanto più vedeva delinearsi la possibilità di una resistenza armata; ma ciò era una semplice apparenza. Hitler sapeva che Londra e Parigi non intendevano battersi. Tutto sommato, i brividi per una guerra imminente passati sopra il mondo fra il 2 1 e il 29 settembre sono stati per un'eventualita probabile solo del cinque su cento, contro 95 probabilità che la guerra non sarebbe venuta: ma bisognava che il mondo avesse per il 96 per cento la continua sensazione che la guerra era imminente: e tutti sono riusciti a darla. (7) Georges Bonnet. dal 1938 era ministro degli esteri francese. La sua politica debole nei confronti della Germania di Hitler gli alienò le simpatie popolari; nel 1944 viene espulso dal partito radicale-socialista. (8) Pierre Etienne Flandin (1889-1958) capo del governo francese nel 1934-35, politicamente conservatore. durante l'occupazione tedesca appoggiò il governo di Pétain.
Liquidata la Cecoslovacchia, che pesava come un incubo sulla borghesia occidentale, e venuta l'iride di pace a sfavillare sull'Europa? L' Inghilterra considera suo dovere armarsi ancora, armarsi senza limiti, divenire finalmente temibile. Temibile a chi? Alla Germania. E pure a Monaco fu segnata il 30 settembre l'ennesima dichiarazione di amicizia e di pace che porta i nomi di Hitler e di Chamberlain. La Francia e isolata. Quale sarà la sua politica futura? La sua vecchia politica, quella di due sistemi alla volta: la sicurezza collettiva a Ginevra e le alleanze militari a Parigi, e interamente fallita. I1 primo sistema cadde quando la Francia stessa rifiutò agli altri la sicurezza collettiva che voleva per se: alla Lituania per primo, all'ora dell'occupazione di Vilna da parte dei polacchi, fino all'Abissinia aggredita dall'Italia. I1 secondo sistema fu indebolito dal patto a quattro, dal quale la Polonia veniva esclusa mentre la Piccola intesa era tenuta a bada. Cosi quella politica divenne inefficace nell'affare dell'occupazione della zona renana (7 marzo 1936) e dell'occupazione dell'Austria ( l l marzo 1938). Oggi per la Francia si pone il dilemma: armamento o disarmo? I1 suo posto nel centro ~ u r o ~ aperduto; ti il patto franco-russo (9) non ha più l'importanza di ieri, e la Russia e sempre un'incognita. L'orientamento di tutti i piccoli stati d'Europa, e perfino della Turchia, è oggi verso Berlino. Ed e Berlino (con,l'appoggio dell'Italia) che oggi comanda la politic a europea. Quale sara la scadenza del prossimo marzo? Le stagioni che contano per Hitler sono primavera e autunno. Marzo ha quattro date: 1933 l'incendio del Reichstag; 1935 la dichiarazione di riarmo; 1936 l'occupazione militare della zona del Reno: 1938 l'occupazione dell' Austria. Il marzo 1939 non passerà senza sorprese (10). Facciamo un'ipotesi, come se ne potrebbe fare un'altra. La vecchia agitazione autonomista dell'Alsazia e Lorena sara intensificata per via di uomini e di giornali locali, che non avranno apparenti legami con i nazi. I1 governo francese, preoccupato, piglierà delle misure di rigore; ciò desterà il malcontento in larghe zone di quelle popolazioni fiere delle loro tradizioni. Hitler ha dichiarato che non ha ambizioni sull'Alsazia e Lorena, e benché Hitler si sia piu.volte contraddetto, pure siamo disposti a credergli sulla parola. Ma potrà egli sopportare l'agitazione di alsaziani allemanni ai suoi confini, alsaziani che non desiderano altro che un po' di autonomia? Del resto, c'e Memel, c'è Eupen e Malmedy ... (9) Un patto franco-russo, in funzione anti-tedesca, era stato sottoscritto dai 2 paesi nel novembre del 1933. Due anni dopo, il 2 maggio 1935 il patto si era tramutato in una vera e propria alleanza franco-sovietica che prevedeva la mutua assistenza contro l'aggressione. (10) Anche questa volta purtroppo la previsione di Sturzo si rivelo drammaticamente esatta: il 15 marzo le truppe tedesche entrarono a Praga. L'accordo del settembre '38 infatti era stato solo una momentanea concessione da parte di Hitler; l'invasione e I'eliminazione della Cecoslovacchia erano state solo rimandate.
Intanto Hitler e obbligato dalla sua opinione pubblica a sollevare il problema delle colonie. I1 governo inglese sembra fin da ora disposto ad accontentare Hitler a sue spese e anche (perché no?) a spese degli altri. Quale la misura delle sue e delle spese degli altri non si sa. Gli avvenimenti obbligheranno a far presto: in otto giorni in una notte, per evitare la guerra. Allora la Francia per evitare una minaccia sull'Alsazia e Lorena e per mantenere 1' entente cordiale con l'Inghilterra, cederà ad Hitler il Camerun. Questa volta non mi sembra possibile che non si dia qualche vantaggio tangibile allYItalia,che avrà fatto la sua parte. E perché no Tunisi? Forse la Francia sarà disposta a fare da sola la guerra per il Camerun e per Tunisi? Che ne penseranno allora il Temps ( l l), il Comité des Forges, 1' Action Frangaise, Flandin, Doriot (12)? Che l'Inghilterra sia dispòsta a battersi per qualche colonia come il Kenia o il Tanganika ne dubito forte. Che essa chiamerà la Francia e forse il Belgio a contribuire per dare un cadeau coloniale a Hitler e probabile. Che Mussolini questa volta non potrà restare a bocca asciutta e contentarsi dell'onore di avere salvato la Spagna dal bolscevismo e indubitato. Bene; che gli uomini politici di Francia e di Inghilterra, del Belgio, Olanda, Svizzera, Polonia e altri paesi pensino fin da oggi alla scadenza di marzo 1939. Chissà cosa capiterà loro? Iv Tutto ciò mette l'Europa sotto l'incubo permanente del pericolo di guerra. Per l'uomo normale, la minaccia di un pericolo imminente, contro il quale sembra non esservi rimedio, e peggiore di un pericolo presente al quale fare faccia o per il quale soccombere. L'Europa perde la sua possibilità di vita umana sotto la minaccia permanente di guerra. Il problema, da politico e materiale, diviene psicologico e morale. In sostanza, per molti e indifferente che in Europa sia la Francia o la Germania la nazione dominatrice; egemonia per egemonia, l'una può valere l'altra. - Ma i paesi piccoli hanno bisogno di.sapere fino a qual punto la loro indipendenza può reggere. Per essi, la prova della sicurezza collettiva di Ginevra è fatta: il risultato e negativo. Se la Francia e l'Inghilterra non sono disposte a rischiare la guerra per i loro propri interessi, non saranno piu disposte a difendere con le armi l'indipendenza degli altri stati. L'Abissinia, l'Austria, la Spagna, la Cina sono la. Il Belgio lo sa che Locarno e caduto senza possibilità di ritorno. (1 1) Temps. Quotidiano politico fondato a Parigi nel 186 1 da A. Neltzer: modellato sul Times divenne per larghezza e attendibilita delle informazioni e per l'autorevolezza dei collaboratori il giornale più importante della 111 Repubblica. ( 12) Jacques Doriot ( 1898- 1945) ex comunista, diede vita al Parli Populaire Franqais. un partito decisamente fascista che riuscì ad ottenere un considerevole seguito in Francia nel 1937. Favorevole al nazismo fu acceso collaborazionista dopo l'occupazione tedesca della Francia.
Neppure l'alleanza militare ha valore: la Francia l'ha rinnegata al momento in cui doveva correre in aiuto della Cecoslovacchia. Resta la neutralità: ma questa giova ai piccoli stati quando non dà ombra, non quando può recare ostacolo alla politica di guerra: Venezia neutra cadde nel 1797 e il Belgio neutro fu invaso nel 1914. Ecco la terribile situazione dei piccoli stati. Essi oggi vanno a subire l'influsso o la minaccia tedesca; questo influsso o questa minaccia si esprime in due parole: rivoluzione nazista, guerra tedesca. Ed eccoci al punto di partenza. La politica realistica voleva ricacciare le ideologie, per servire gli interessi borghesi e capitalistici. La realtà psicologica e morale ci porta di nuovo alle ideologie e alla loro potenzialità dinamica. Quanto più l'influsso o la minaccia tedesca si estende sui piccoli paesi d'Europa, tanto più si realizza la rivoluzione nazista. E quanto più questa si estende e si attua, tanto più resta permanente sull'Europa la minaccia di guerra. La teoria sociologica che la guerra genera la rivoluzione o viceversa la rivoluzione genera la guerra, e vera in tutta la portata del termine. Che la guerra sia combattuta in più punti del globo o da molti popoli insieme, ciò appartiene alla fenomenologia storica più che alla sociologia. I1 nazismo e una rivoluzione; perciò ha bisogno di ideologie e queste non possono essere le cristiane, anzi debbono essere anticristiane per superare la barriera morale che il cristianesimo vi può opporre, per eccitare nelle masse gli istinti elementari del dominio, dell'orgoglio, dell'odio, della violenza. L'antisemitismo e sempre il precursore dell'anticristianesimo. Quel che non sarà imposto per la propaganda, lo sarà per la minaccia; dove non si arriva con lo spionaggio, con la polizia o la sedizione, si arriva con l'occupazione e con la guerra. Così la Saar e stata acquistata al nazismo, l'Austria e completamente nazificata; Polonia, Romania, Ungheria, sono sotto l'influsso del nazismo; la Cecoslovacchia e diventata un protettorato nazista. Nel Belgio c'è il Rexismo che porta il verbo nazista, come c'e Mussert in Olanda; altri vi sono in Alsazia, in Svizzera, in Spagna, nel Portogallo. L'Italia, dal 19.22 sotto il fascismo, ora va subendo un massaggio nazista, con la teofia della razza (13), con l'influsso dell'asse Berlino-Roma, perfino col passo dell'oca. Al Brennero c'k Hitler; c'è poco da stare lieti, bisogna nazificarsi. La rivoluzione che si va compiendo in Europa e allo stesso tempo anticivile e anticristiana. Essa e basata sulla rinuncia ai valori morali e acquisiti in regimi di libertà, al rispetto della personalità umana e dei suoi diritti, alla cultura senza pregiudizi di razza e senza vincoli di stato, alla discussione franca, all'affratellamento dei popoli, alla elevazione delle classi umili e lavoratrici. Ma più che altro e la rinunzia alla libertà cristia( 1 3) Nel 1938, anno in cui scrive Sturzo, vennero introdotte in Italia le leggi razziali.
na, alle virtù più fondamentali della religione, l'amore del prossimo, i'umiltà, la mansuetudine, la bontà, la pazienza; è la rinunzia all'educazione religiosa della gioventù, al rispetto del matrimonio cristiano e alla sua elevatezza mistica. Per conservare questi valori i cattolici e la chiesa hanno combattuto contro la laicizzazione anticlericale del secolo XIX, finche, in regime di libertà, è stato loro consentito di affermarsi, vivere e svilupparsi con le opere, associazioni, iniziative, con la parola, il libro, il sindacato, il partito. Oggi la nostra lotta è contro lo spirito di servitù e per lo spirito di vera libertà, quella che è data ai figli di Dio. Noi non vogliamo parteggiare per la egemonia della Francia contro la Germania, o per il dominio mediterraneo dell'Inghilterra contro 1'Italia. Ciascuno ha la sua politica. Ma siamo contro la immane montatura di guerra, che tende a creare la paura permanente, si da fare subire all' Europa il doppio dominio politico e morale del nazismo e del fascismo. E' perciò che deploriamo che la Francia e l'Inghilterra (prese come complesso politico-etico) non abbiano oggi una parola autorevole che rivendichi i valori morali della civiltà presente. Deploriamo la mancanza di sentirsi esse le depositarie più qualificate di tali valori, e che abbandonando i piccoli stati europei all'influsso nazista perdano non una battaglia politica o militare, ma una battaglia civile e morale per l'avvenire.
FASCISMO E VATICANO NEL 1938 (*) La visita di Hitler a Roma, ai primi di maggio di questo anno, ha segnato una data nei rapporti fra il fascismo e il Vaticano (1). Era ben naturale che in Vaticano non sia stata gradita la venuta a Roma di un (*) L'articolo. pubblicato su Le vie intellectuelle (Paris, 10 febbraio 1939), non reca la firma di Sturzo: il suo nome evidentemente creava ancora problemi in alto loco se la prestigiosa rivista cattolica preferiva omettere il nome deli'autore. Confrontando il dattiloscritto italiano. che riproduciamo cosi come è stato conservato nellYArchivioSturzo. col testo francese pubblicato su Le vie intellectuelle abbiamo riscontrato tagli e integrazioni aggiuntive che segnaliamo in nota. Fra le diverse interpretazioni che è possibile avanzare quella più probabile è che Sturzo stesso abbia apportato tali modifiche (o almeno buona parte di esse) in una successiva elaborazione del testo originale. Abbiamo già visto (cfr. Il centro germanico e il P.P.I.) che egli talvolta iscriveva alcune parti dei suoi articoli quando questi erano richiesti. su uno stesso argomento, da piu riviste. Il fatto che la data posta in calce al testo francese ( 1 gennaio '39) sia successiva a quella del dattiloscritto italiano (30 ottobre '38) ci sembra confermare questa ipotesi: In ogni caso appare significativo che nel testo apparso sull'autorevole rivista cattolica non compaiono quei passi, presenti nel dattiloscritto originale, che sottolineavano, e quasi auspicavano. che ai1 conflitto fra Vaticano e nazismo ha avuto un'estensione in un conflitto fra Vaticano e fascismow. I brani non pubblicati su Le vie inte/lectuelle sono stati trascritti fra parentesi quadre. (1) Sul conflitto fra S. Sede e Fascismo nel 1938 cfr. P. Zov~rro,La reazione cattoli-
capo di stato senza che abbia reso il suo omaggio al papa, specialmente quando questo capo di stato ha rapporti diplomatici con la Santa Sede, ha firmato un concordato ed ha per sudditi piu di ventitre milioni di cattolici. Dalla caduta del potere temporale ad oggi solo un altro caso simile si diede, quello di Emile Loubet, presidente della repubblica francese. La difiicolta dei rapporti fra Santa Sede e governo francese nel 1904 possono paragonarsi a quelli di oggi fra Santa Sede e governo del Reich, non ostante che in entrambi i casi fosse vigente un concordato. Ma le posizioni dell'Italia di allora erano ben diverse di quelle di oggi: allora non c'erano rapporti ufficiali tra il governo italiano e la Santa Sede, e oggi si, con un concordato per giunta, dove e detto fra l'altro: «In considerazione del carattere sacro della Città Eterna, sede vescovile del Sommo Pontefice, centro del mondo cattolico e meta di pellegrinaggi, il Governo Italiano avrà cura di impedire in Roma tutto ciò che possa essere in contrasto col detto carattere)). Allora la visita di Loubet (2) non usciva fuori del quadro politico dei rapporti fra i due stati, mentre la visita di Hitler ha marcato non solo il consolidamento politico dell'asse RomaBerlino, ma la stretta collaborazione del fascismo col nazismo quali idealità simili e comuni. I Il conflitto fra Vaticano e nazismo ha avuto un'estensione in un conflitto fra Vaticano e fascismo]. Pio XI era andato a Castel Gandolfo pochi giorni prima dell'arrivo di Hitler. Nessun motivo aperto per marcare tale assenza che per molti era significativa. Ma quando le strade e piazze di Roma furono ripiene di stendardi e bandiere con !a croce uncinata, il papa non tacque. «Che tristezza procura la presenza della croce uncinata nelle vie della Città Eteriia!)).Cosi egli disse nel ricevimento del 4 maggio a più di quattrocento giovani coppie di sposi, alla presenza del cardinal Lavitrano. Il lamento del papa urtò i nervi di Mussolini, che ricordandosi del suo vecchio anticlcricalismo da comizii, non mai in lui estinto, rispose sul Popolo d'Ifalici con u n vivace articolo senza firma, come suo uso, ma del tipo di quelli che tutti riconoscono per suo, dove tra l'altro si lesse: ((...Seè necessario parlar chiaro noi vorremmo dire al Padre di noi tutti cattolici che sono passati quattrocento cinquant'anni dal giorno che don Pietro Manrique portò a Toledo la reliquia di sant'Eugenio; e che oggi e pericoloso assai parlare della Croce di Cristo e agitarla come se fosse un'arma, e ritrovarsi poi nella minacciosa e sogghignante compagnia di usurai m:issoiii e holscevichi))(8 t n a ~ ~ 1938). io c(r (11 I ~ Z Z ~ S I .fu.scisIu, I ~ O in «La scuola Cattolican, genn.-febbr. 1976 pp. 47-82 e S. ROGAKI, AZNIII(,~.uiiolicuefuscist~~o: la crisi del '38 e ildisracco dal Regime. in .Nuova anlologia~ l Y78. pp. 340-401.
(21 Einilc Loubst ( 1838- 1929). presidente della repubblica francese dal 1899 al 1906, ncl I904 si recò a Roma pcr rendere visita, primo fra i capi di stato cattolici, al re Vittorio fi~ii;iiiuclcI l . La visita. dati i rapporti ancora molto tesi esistenti fra S. Sede e governo it;ili;iiio. fu iiotcvolmcnte sgradita al Papa.
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L'Osservatore Romano ignoro completamente, nelle sue cronache, la presenza di Hitler a Roma. La stampa internazionale d'ogni colore lo rimarci, e lo commento. I1 governo italiano ne fu punto assai più che se Pio XI avesse formulato una protesta, come fece Pio X ai tempi della visita di Loubet. Mgr. Fontenalle, canonico di San Pietro, che vivendo a Roma all'ombra della cupola, conosce uomini e cose, nelle sue corrispondenze alla Croix [non manca di far capire gli umori correnti di qua e di là del Tevere. Egli] scriveva in quei giorni: «...Au milieu de tout ceIa un ilot demeure d'ou s'eleve une colonne de silence, de silence total, le Vatican; un silence qui passa d'abord inaperqu, mais qui grandit et s'impose au point qu'on n'ecouterait bientòt plus que lui seul... Cette zone de silence fait, dans Rome, une profonde impression. Elle trouble, elle gene encore plus que tous les articles de protestation ed toutes les polemiques...» (La Croix, 8 maggio 1938). La Croix aveva già sottolineato, egualmente, la tristezza della Santa Sede davanti agli onori resi da una corte cattolica al colonnello Beck (capostata della religione cattolica)),e alla partecipazione della stessa corte al matrimonio non cristiano del re di Albania, un musulmano con una donna cattolica. [Per coloro che col fascismo e la conciliazione avevano sognato la nascita di uno stato cattolico, il disappunto era troppo forte]. Ma a parte questi motivi occasionali e per i quali non mancavano apparenti o pretese giustificazioni, il modo come la visita di Hitler veniva a far cadere certe speranze coltivate da cattolici di Germania e d'Italia, dava il sentimento di un malessere crescente. Diffatti si era detto che quel che aveva invano sognato di fare il cardinale Innitzer (3) due mesi prima, quando l'Austria fu annessa al Reich divenendo 1' Ostmark, e che falli al primo incontro, Mussolini l'avrebbe fatto lui in occasione della visita di Hitler a Roma. Ma tutto era un sogno, niente riconciliazione del nazismo col cattolicismo. ne del Reich con la Santa Sede. Mussolini, dopo la presa dell'Austria, non ha verso Hitler una posizione né d'iniziativa, ne d'indipendenza. Al contrario, egli si deve mostrare tanto piu hitieriano, quanto più in Itaiia si manifesta un malumore per gli interessi italiani offesi dalla politica filo-nazista. Il sentimento antigermanico che circola in Italia non e un segreto per nessuno; l'episodio degli universitari romani, che furono esclusi dalla sfilata in onore di Hitler, perché contrari all'Anchluss, ne fu un segno non piccolo. Già da tempo la stampa fascista si lagnava che sia vescovi e preti, sia giornali cattolici, parlassero apertamente contro le teorie naziste e divulgassero notizie sulla persecuzione anticristiana in Germania. Sopra un Foglio d'ordini, quello di Bologna (i Fogli d'ordini sono organi locali (3) Theodor Innitzer (1875-1955), cardinale di Vienna dal 1933, pur avendo ancora nel febbraio 1934 perorato la causa dell'indipendenza austriaca, di fronte al fatto compiuto dell'Anschluss aderi senza riserve all'azione nazista. I1 suo atteggiamento servile deluse il Vaticano che critico duramente le posizioni di Innitzer che erano peraltro comuni a quelle di tutto I'episcopato austriaco (cfr. G. LEWY,OP. cit. pp. 302-5).
del partito fascista) si leggeva in proposito: ((11dissidio fra il governo tedesco e la chiesa è un affare che non ci riguarda e non ci preoccupa, cosi come il dissidio fra lo Stato italiano e la chiesa non preoccupava i tedeschi. E' inutile, quindi, raccontare agl'italiani storie più o meno vere, come stanno facendo i bollettini parrocchiali, ricamando sopra chissà quali particolari...)).Tosto 1' Osservatore Romano rispondeva che «le accorate lagnanze del papa non riguardano delle storie più o meno vere, ma fatti incontestabili))e che «un dissidio fra stato e chiesa in qualsiasi paese ... riguarda sempre i figli della chiesa ovunque essi siano))(IO marzo 1938). La polemica più vivace fu quella dell' Osservatore Romano con Regime Fascista di Roberto Farinacci (anticlericale sedicente cattolico divenuto in quei giorni ministro di stato) sulla questione austriaca. Regime Fascista aveva preso di punta i1 clericalume austriaco che non s'inchinava a Hitler; e 1' Osservatore lo rimproverava di ingiuriare «i vinti rappresentanti di una causa già abbracciata e difesa fieramente (da Regime Fascista) come sua)),Tra le frasi più forti che 1' Osservatore riprendeva da quel giornale, vale la pena citare questa: «I trattati non sono chtflons de papier e gl'impegni non sono semplici parole))( Regime Fascista, 29 luglio 1934). La questione austriaca tenne viva la polemica al punto che i fascisti vedevano nelle preoccupazioni diffuse in Italia, per il fatto che la Germania ora è sul Brennero, la mano dei clericali. I1 ministro Farinacci si sfogo, come al solito: «La commedia dell'Alto Adige è finita per sempre: è quanto dovrebbero comprendere coloro che hanno versato in mala fede delle lagrime sulla sorte dell'Austria e sopratutto i cattolici e i preti tedeschi i quali in provincia di Bolzano vorrebbero tra il papa e Hitler scegliere questlultimo» (Regime Fascista, 10 maggio 1938). Quel che pero preoccupava cattolici e preti in Italia e in «provincia di Balzano)) non era la scelta tra il papa e Hitler (messi nell'alternativa essi hanno già la loro scelta se sono cattolici); ma il diffondersi delle teorie naziste tedesche di carattere pagano e anticristiano. L' Osservatore Romano era tornato più e più volte su questo tema, prima ancora della visita di Hitler. In una nota dell'aprile scorso il conte Dalla Torre cosi scriveva: «Noi chiediamo se tale propaganda rientri in quel moderno sistema di amicizie e di alleanze politiche basato su una mutua cooperazione culturale)). Dopo aver deplorato che si lascino circolare scritti che attentano «al pensiero cristiano fascista e patriottico dell'ltalia~(4) 1' Osservatore Romano afferma che si è oltrepassata ogni misura e conclude: «Non entriamo nel merito di situazioni, di opportunità, di necessità -
(4) Nella nota, non firmata, del conte G . Dalla Torre, non abbiamo trovato, ad onore del vero, l'espressione apensiero cristiano fascista e patriotticon bensì quella di rpensiero cristiano latino e patrion. La nota fu pubblicata nell'Ossen~aforeRomano del 17 aprile col titolo .Coscienza di ser.
politiche; non è affar nostro. Ma, se pur non si imponessero preoccupazioni spirituali, com!ini a tutti i cattolici, a tutti i credenti, a tutti i persuasi che la vita cristiana degli individui e dei popoli è, per questo dilagare di sogni e di fantasmi etnici e sociali, in grave pericolo, ci sembra ben ovvio che di questa via anche ogni intesa, ogni amicizia sia compromessa nella sua efficacia. Giacche la migliore salvaguardia dei buoni rapporti, come fra gli individui cosi tra i popoli e gli stati, sta sempre e innanzitutto in una gentile fierezza dei propri principi, dei propri caratteri, della propria inconfondibile personalità. La quale non si tutela soltanto difendendola da ogni offesa altrui ma non prosternandosi altresi nell' io triumphe a ciò che più la contrasta)) (19 aprile 1938). Un fatto molto rilevante negli annali della Curia Romana e stato la creazione dell' Uflcio Centrale per l'azione cattolica che Pio XI ha affidato al cardinal Pizzardo. L' Osservatore Romano nel darne notizia, scriveva: ((11 nuovo ufficio ha compito d'informazione, di studio, di assistenza e sarà quindi un prezioso centro mondiale, il quale documentando le attività e i risultati ottenuti dalle molteplici organizzazioni ed opere di' azione cattolica nei diversi paesi, non potrà, colla conoscenza e diffusione delle istruttive esperienze raccolte, non contribuire al maggiore sviluppo di un si necessario e fecondo apostolato... (2 aprile 1938). Si sa da tutti quanta importanza annetta all'azione cattolica l'attuale papa che ne ha fatto, ufficialmente, la collaboratrice de!l'apostolato sacerdotale. Egli, perciò, ha cercato di garantirne la libertà con clausole speciali messe nei concordati, compresi quelli stipulati con la Germania e l'Italia. Proprio in questo periodo, in cui il nuovo organo ecclesiastico centrale viene a essere creato, s'inizia in Italia una lotta sorda contro l'azione cattolica, che mano mano va divenendo più serrata ed aperta, prima sotto il pretesto della diffusione delle notizie sulla persecuzione in Germania e in Austria, poi a causa della lotta contro il diffondersi delle idee razziste in Italia. I1 pretesto ne è il solito: i cattolici fanno della politica, i cattolici non sono al passo con gli altri fascisti, se ne differenziano, fanno della critica, mantengono ancora sentimenti e aspirazioni del disciolto partito popolare. Farinacci trova dappertutto «il virus di Don Sturzo)),- «la mentalità di donsturzesca memoria*, come ha scritto più volte; o vede popolari nei dirigenti dell'azione cattolica e promette di farne delle liste di proscrizione, a cominciare da Torino. Non risparmia il cardinal Pacelli (5) per il suo discorso al Congresso eucaristico di Budapest; e accusa il ca~dinaiPizzardo, ucapo dell'azione cattolica*, d'essere ~I'ispira'ore e il manipolatoren dei discorsi del papa contro il razzismo e I'antisemitismo, facendogli credere ucose assurde e propositi inesistentir. E ciò «non per fede, non per dottrina, ma solo per manovra politican. Perché il cardinale Pizzardo e, secondo Farinacci, «un ben noto (5) Eugenio Pacelli (1876-1958), il futuro Pio XII, era allora segretario di Stato presso la S. Sede. Nominato cardinale da Pio XI nel 1929, ricopriva tale carica dal 1930.
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adepto del partito popolare e un antifascista egualmente ben noto)). Superfluo dire che il cardinale Pizzardo mai fece parte del partito popolare, ne si occupò della politica di quel partito, ma solo di azione cattolica. Ma Farinacci faceva allusione a un discorso dell'allora mons. Pizzardo ai capi dell'azione cattolica nei primi mesi del 1931. Quel discorso, da uno che era presente (e che sembro si fosse introdotto nell'azione cattolica senza le dovute qualifiche) fu riferito ai capi fascisti in termini inesatti e con senso alterato; onde la lotta (già iniziata) fu intensificata per tutta Italia. La cosa fu allora ben chiarita, anzi vi era chi affermava che il card. Pizzardo fosse stato troppo benevolo verso il fascismo. Dopo la sua nuova nomina sopra riferita, gli attacchi dei giornali fascisti contro di lui miravano più alto, per avere una capitolazione dell'azione cattolica italiana. Non sembra il caso accennare ai particolari degl'incidenti spiacevoli dei quali si ha una certa notizia, tanto piu che il silenzio della grande stampa. meno su qualche episodio come quelli di Foggia e di Bergamo, (che diedero luogo a polemiche giornalistiche, e quello di Bergamo ad accenni in u n discorso del papa del 27 agosto) rende difficile conoscere quel che veramente e accaduto. Certo, si e che l'urto tra azione cattolica e Fascismo è dovuto essere, fra giugno e luglio, assai largo e sensibile, se da un lato i fascisti avevano ripigliato la tesi della incompatibilità a essere membro del partito e socio dell'azione cattolica, e dall'altro il papa. non cessando di difendere l'azione cattolica, arrivava alle note frasi: ((Badate bene. io vi raccomando di non colpire l'azione cattolica, ve lo raccomando, ve ne prego per il vostro bene perché chi colpisce l'azione cattolica colpisce il papa e chi colpisce il papa muore. Questa è una verità e la storia dimostra tale verità)).(L' Osservatore Romano 30 luglio 1938, riferendo l'udienza papale del 28 luglio 1938). Tra luglio e agosto si era sorpassato il periodo iniziale dell'urto, e si sarebbe andati più oltre (dati i motivi delle teorie razziste già affermate come teorie fasciste) se la politica internazionale non comandava una sosta nell'urto con la Santa Sede. 11 ripiegamento fu facile. Vigeva tra azione cattolica e Partito Fascista l'accordo del settembre 1931 (6), del quale era stato intermediario e autore il gesuita Tacchi-Venturi; accordo, non ostante tutto, osservato dalle due parti. Non va dimenticata una circolare del febbraio 1937 diramata dal presidente dell'azione cattolica a favore della politica «dell'Asse coloniale» del governo fascista. Questo fu giudicato un passo di carattere politico, mentre I'azione cattolica non dovrebbe fare della politica; ma sotto i regimi totalitari e far della politica solo quando si dissente o si critica, non è politica se si appoggia e si applaude. Perciò l'accusa di (6) 11 testo dell'accordo del settembre 193 1 in P. SCOPPOLA, La Chiesa e il fascismo, Laterza, Bari 1976, pp. 279-80.
fare della politica era'stata lanciata ultimamente, perché i cattolici erano contrari ai provvedimenti anti-semiti e alle teorie del razzismo diffuse in Italia [per volontà del governo e del partito Fascista.] Dopo piu di tre mesi di tensione, il presidente generale dell'azione cattolica e il segretario del Partito Fascista si misero d'accordo per pubblicare un comunicato, che 'I Osservatore Romano del 25 agosto, riproducendolo, fece seguire da una nota assai interessante che giustificava il ritardo della riproduzione, ritardo non sfuggito alla polemica fascista. Ecco il comunicato: - ((L'Agenzia Stefani ha diramato ai giornali la seguente informazione: - I1 segretario del partito nazionale fascista ha ricevuto il presidente dell'ufficio centrale dell'azione cattolica italiana, col quale si e intrattenuto circa i rapporti tra il partito e l'azione cattolica. A conclusione del colloquio e stato stabilito di attenersi agli accordi stipulati nel settembre del 1931)). Dopo il testo integrale di detti accordi, 1' Osservatore scriveva: «A questa informazione, concernente gli accordi già stabiliti fin dal settembre 193 1 siamo in grado di aggiungere che, per recentissima autorevole ed esplicita assicurazione, anche gli altri punti attualmente in esame, riguardanti le relazioni tra azione cattolica e partito nazionale fascista, hanno avuto adeguato chiarimento. In modo speciale e stato dichiarato non sussistere limitazioni e riserve di sorta alla simultanea appartenenza dell'azione cattolica e al partito nazionale fascista per i rispettivi dirigenti dell'una e dell'altro; e che di conseguenza i recenti casi dovuti all'asserita incompatibilità di tale duplice appartenenza saranno prontamente restituiti "in integrum")). Due giorni dopo lo stesso Osservatore, polemizzando con il corrispondente da Berna al Messaggero di Roma, riaffermava che ((l'azione cattolica non e stata ricondotta ad un programma, che come non aveva lasciato prima del 3 1, non lasciò poi; bensì e stato una volta ancora confermato che restando essa fedele ai compiti prescritti dall'autorità ecclesiastica, e ammessi altresì dall'autorità civile, non ne può venire per i suoi iscritti contrasto e incompatibilità alcuna per le loro attività nella vita religiosa e in quella civile; perche nell'un campo come nell'altro l'azione cattolica si e sempre ispirata ad un supremo, schietto, benefico ideale cristiano)) (27 agosto 1938). Il lettore che non è al corrente della situazione dei cattolici italiani forse non comprenderà bene o peggio fraintenderà questo insistere dell' Osservatore Romano sulla non incompatibilità di appartenere simultaneamente all'azione cattolica e al partito fascista, e più ancora il fatto che vi sono cattolici simultaneamente capi degli organismi dell'una o dell'altra, e di volere che le espulsioni dal partito e dalle cariche del partito avvenute durante il conflitto, siano ritirate per una restirutio itr integrutn. Bisogna rifarsi indietro. Dopo quattro anni di lotta tra il fascismo e i partiti antifascisti, il popolare, il democratico-liberale, il socialista e il comunista (che formarono la coalizione detta dell'Aventino), il governo fascista si decise di sciogliere tutti i partiti politici e formare il partito
unico; di sciogliere tutti i sindacati operai e riconoscere solo quelli fascisti; di sciogliere tutte le associazioni giovanili e sportive, e dare il monopolio a quelle fasciste. Così vennero gecate le basi dello stato totalitario. Per rafforzare le posizioni di monopolio dei fascisti presso una popolazione diffidente, o indifferente ovvero ostile, occorrevano delle sanzioni. Brevemente: tutte le cariche pubbliche, tutti i posti d'impiego, tutte le preferenze di carriera, le agevolazioni di esame nelle pubbliche scuole, perfino i migliori o i più assicurati turni di mano d'opera, ai tesserati fascisti. La tessera distinse il cittadino, lo studente o l'operaio di primo rango, da quello di secondo o di terzo rango, Per dare solennità a questa selezione, fu imposto un giuramento di fedeltà al duce e al fascismo, obbligandovi perfino i membri maschili e femminili delle associazioni giovanili. I cattolici dovettero allora risolvere i problemi di coscienza che imponeva il nuovo regime. Anzitutto il problema dell'appartenenza simultanea all'azione cattolica e al partito fascista, l'altro, più delicato, di accettare posti di comando nel partito e infine quello di emettere il giuramento imposto. [A parte coloro che erano favorevoli al fascismo per convinzione, gli altri cattolici a malincuore si adattarono a iscriversi alle diverse organizzazioni fasciste]. In generale si ritenne che entrare nei sindacati unici non era accettarne tutte le teorie (se ve n'erano) ne i metodi (non sempre senza biasimo), ma era un tutelare i propri interessi in un organismo ufficiale. Prendere una tessera obbligatoria per legge o per imposizione non era accettare una teoria politica, ma solo fare atto di conformismo civile verso lo Stato, per averne il titolo di cittadino non squalificato. Le stesse autorita ecclesiastiche, nel caso dei sindacati, consigliarono ai cattolici l'iscrizione in massa; - per l'educazione dei giovani e delle giovani, concordarono con il governo per la nomina di cappellani e di catechisti: - Der il ~ a r t i t osi lasciò fare. Logicamente la situazione s'invertiva. Se un cattolico può essere iscritto al partito fascista, non può per questo essere escluso dall'azione cattolica, se egli e allo stesso tempo convinto e zelante cattolico. Ma per essere tale, era presumibile credere che il suo fascismo non arrivava ad accettare ne le teorie anticristiane che vi pullulano, né peggio la subordinazione della morale cristiana agl'interessi del partito quale e predicata e praticata dai fascisti più autorizzati e dai loro giornali e portavoce. Posizione incomoda, ma reale di tutta una zona del fascismo cattolico che s'insinuava nell'azione cattolica. Più difficile ancora il problema dei capi: cattolici di azione che divengono gerarchi fascisti; fascisti che divengono capi di azione cattolica. I secondi, essendo scelti fra i cattolici più zelanti e capaci, in via normale non danno preoccupazioni alle autorita ecclesiastiche per una loro possibile deviazione o collusione in caso di conflitto. Ma, al contrario, è più difficile che quei cattolici, che arrivano al posto di gerarchi nel fascismo, non si trovino di tanto in tanto in faccia ad un caso di coscienza, che u
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li obblighi ad un rifiuto di ubbidienza o ad una affermazione necessaria delle proprie convinzioni religiose e morali. La questione del giuramento obbligatorio per tante categorie di persone porto un vero turbamento di coscienza, data la formula assoluta e senza riserva di ubbidienza al capo. Pio XI, nell'Enciclica Non abbiamo bisogno del 27 giugno 1931, parlo a lungo della questione dando una norma ch'è rimasta acquisita. Ecco il passaggio della Enciclica: «A questo punto Voi Ci richiedete, Venerabili Fratelli, che rimane a pensare ed a giudicare, alla luce di quanto precede, circa una formula di giuramento che anche a fanciulli e fanciulle impone di eseguire senza discutere ordini che, l'abbiamo veduto e vissuto, possono comandare contro ogni verità e giustizia la manomissione dei diritti della chiesa e delle anime, già per se stessi sacri ed inviolabili; e di servire con tutte le forze, fino al sangue, la causa di una rivoluzione che strappa alla chiesa ed a Gesù Cristo la gioventù, e che educa le sue giovani forze all'odio, alla violenza, alla irriverenza, non esclusa la persona stessa del papa, come gli ultimi fatti hanno piu compiutamente dimostrato. ((Quando la domanda deve porsi in tali termini, la risposta dal punto di vista cattolico, ed anche puramente umano, e inevitabilmente una sola, e Noi, Venerabili Fratelli, non facciamo che confermare la risposta che già vi siete data: un tale giuramento, cosi come sta, non e lecito. «Ed eccoci alle Nostre preoccupazioni, gravissime preoccupazioni, che, lo sentiamo, sono anche le vostre, Venerabili Fratelli, di voi specialmente, Vescovi d'Italia. Ci preoccupiamo subito innanzi tutto dei tanti e tanti figli Nostri, anche giovanetti e giovanette, iscritti e tesserati con quel giuramento. Commiseriamo profondamente le tante coscienze tormentate da dubbi (tormenti e dubbi di cui arrivano a Noi certissime testimonianze) appunto in grazia di quel giuramento, com'è concepito, specialmente dopo i fatti avvenuti. ((Conoscendo le dificoltà molteplici dell'ora presente e sapendo come tessera e giuramento sono per moltissimi condizione per la carriera, per il pane, per la vita, abbiamo cercato mezzo che ridoni tranquillità alle coscienze riducendo al minimo possibile le difficoltà esteriori. E Ci sembra potrebbe essere tal mezzo per i già tesserati fare essi davanti a Dio ed alla propria coscienza la riserva: "salve le leggi di Dio e della chiesa", oppure "salvi i doveri di buon cristiano", col fermo proposito di dichiarare anche esternamente una tale riserva, quando ne venisse il bisogno)). La conciliazione del settembre 1931 ebbe per mira di stabilire un modus rilierrdi tra fascismo e azione cattolica che togliesse ai cattolici ogni squalifica civile, dopo che il papa, con la enciclica citata, aveva richiamato alla loro coscienza il dovere della riserva cristiana nell'emettere il giuramento e quello ancora più grave dell'opzione cristiana tra obblighi fascisti e obblighi morali. Il compromesso di allora portava un'intesa, quella cioè che non potessero essere scelti capi di azione cattolica coloro che fossero stati capi nel partito popolare; e ciò per evitare l'accusa fatta
all'azione cattolica di avere carattere politico. Pio XI nella citata enciclica aveva confutato una tale asserzione e mostrato che su 280 comitati diocesani, su quattro mila sezioni di uomini cattolici e su più di cinque mila circoli giovanili, non vi erano che quattro dirigenti di azione cattolica che prima erano stati, quali capi, nel partito popolare. Dopo sette anni la stessa accusa e tornata a galla: [o che l'ombra del partito popolare disturba ovvero esso e un buon pretesto di lotta]. Ma questa volta il Vaticano ha tenuto duro; il comunicato dell' Osservatore Romano, benché unilaterale, è troppo reciso per potere essere equivocato: «di conseguenza i recenti casi dovuti all'asserita incompatibilità di tale duplice appartenenza saranno prontamente restituiti in integrurn)). Il comunicato è della fine di agosto: i due mesi trascorsi se hanno diminuito i casi locali di frizione e di urto, non li hanno eliminati. Certo si è che le polemiche giornalistiche sono frequenti tra cattolici e fascisti, specialmente sull' Osservatore Romano e il papa non lascia occasione per ripetere le sue critiche, affermare i punti della nostra dottrina, esortare alla resistenza morale, poiche la lotta continua sul terreno della dottrina e della pratica razzista e antisemita.
Durante i giorni che Hitler era in Italia fu resa nota la circolare della Sacra congregazione dei seminari del 13 aprile di quest'anno sul razzismo. Fu il primo un articolo di G. Goyau sul Figuro del 3 maggio e poi tutta la stampa internazionale. La Sacra congregazione si e preoccupata dell'espandersi delle teorie razziste anche presso i preti e religiosi, e piu che altro della non sufficiente preparazione dell'insegnamento ecclesiatico n ribattere i sofismi del razzismo, che utilizza a suo vantaggio teorie biologiche, psicologiche, etnografiche, - le quali, sotto l'impulso del nazisino vanno divenendo dei veri dogmi religiosi e delle orientazioni pseudo scientifiche. 1.a propaganda razzista aveva allora fatto presa solo sopra una certa Lonn dell'cstremismo fascista che, come naturale, aveva spinto ad un antisemitismo senza vera base in Italia, dove gli ebrei sono una piccola minoranza di circa 60 mila, e non hanno mai formato un gruppo'razziale distiiito. assimilati come sono all'insieme nazionale degl'italiani. Non pareva, pertanto. che questo misto di razzismo, antisemitismo ed estremismo fascista dovesse prevalere in Italia al punto da essere in un prossimo futuro una politica di governo. Il quale faceva scrivere all'uficiosa I~!fir.nirr=iorieDiplomatica del 14 febbraio scorso questo comunicato: ((11 Governo fascista non ha mai pensato né pensa di adottare misure politiche. cconoiniche, morali contrarie agli ebrei in quanto tali, eccettuato hcniiiteso ncl caso in cui si tratti di elementi ostili al regime. Il governo 'iscistn . .' . 6 inoltre risolutamente contrario a qualsiasi pressione diretta o
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indiretta, per strappare abiure religiose o assimilazioni artificiose. La legge che regola e controlla la vita delle comunità ebraiche ha fatto buona prova e rimarrà inalterata. Il governo fascista si riserva tuttavia di vigilare sull'attività degli ebrei venuti di recente nel nostro paese e di far si che la parte degli ebrei nella vita complessiva della nazione non risulti sproporzionata ai meriti intrinseci dei singoli e all'importanza numerica della loro comunità)) (riportato dall' Osservatore Romano del 17 febbraio 1938). La costanza delle o~inionie delle direttive non è stato mai il forte del fascismo e del suo capo. La visita di Hitler fece cambiare orientamento nella questione della razza e in quella ebraica. Mussolini dimentico le risposte date a Ludwig nel 1932; e di aver biasimato «i deliri di razza)). Vale la pena riprodurre qualche passaggio: (CCrede lei - gli disse lo scrittore - che vi siano razze pure in Europa? ... Mussolini: Naturalmente non esiste più una razza pura, nemmeno quella degli ebrei. Ma appunto da felici mescolanze deriva spesso forza e bellezza a una nazione. Razza: - prosegue Mussolini - questo e un sentimento e non una realtà. Il 95 Der cento è sentimento. Io non crederò che si possa provare biologicamente che una razza sia più o meno pura. Quelli che proclamano nobile la razza germanica sono per combinazione tutti non-germanici: Gobineau francese; Chamberlain inglese; Wotmann israelita... Una cosa simile (la lotta di razza) da noi non succederà mai... l'orgoglio nazionale non ha affatto bisogno dei deliri di razza. - E' la migliore dimostrazione contro I'antisemitismo - osservo Ludwig. Mussolini: L'antisemitismo non esiste in Italia. Gli ebrei italiani si sono sempre comportati bene come cittadini; come soldati si sono battuti coraggiosamente. Essi occupano posti elevati nelle università, nell'esercito, nelle banche. Tutta una serie sono generali; comandante della Sardegna e il generale Modena; un altro generale e nell'artiglieria ...v. La data della nascita ufficiale del razzismo italiano e il 15 luglio 1938. Eccone il testo: «Un gruppo di scienziati italiani che insegnano nelle università fasciste ha fissato, sotto I'egida del ministero della Cultura Popolare, la posizione del fascismo circa i problemi della razza nei seguenti termini)).E qui sfila un decalogo di tesi, del quale vale la pena dare qualche specimen. Ecco la 7a tesi: «E' tempo che gli italiani si proclamino francamente razzisti. Tutto l'operato che la Riforma ha fatto sin qui in Italia e a base del razzismo». ( Riforma, non la protestante, bene inteso, ma la fascista). Ecco la tesi: «Gli ebrei sono la sola popolazione che non si e mai assimilata in Italia perche costituita da elementi razziali non europei, diversi in una maniera assoluta dagli elementi che hanno formato gli italiani». Gli scienziati hanno avuto cura di marcare una differenza tra il razzismo germanico e quello italiano dicendo che il primo efilosofico e il secondo è biologico. (Poverajìlosojìa! ma anche povera biologia!)
Pio XI, che sa bene che la biologia italiana non e che il travestimento dellafilosofia tedesca, lo stesso giorno di tale nascita ha voluto non solo mettere in chiaro il pensiero della chiesa e il perché della sua condanna, ma anche precisarne la paternità. «L'universalità della chiesa cattolica - Egli disse - non esclude certo l'idea di razza, di stirpe, di nazione, di nazionalità; ma il genere umano, tutto il genere umano, non che una sola e universale razza di uomini. Non vi e posto per razze speciali. Ci si può dunque chiedere come l'Italia ha avuto bisogno di imitare la Germania~.Poi, sorridendo, aggiungeva chYEglinon parlava cosi perché figlio di quei milanesi che avevano cacciati i tedeschi. Mussolini non rispose al ricordo dei tedeschi cacciati da Milano (ch'e divenuto un ricordo di attualità); ma quell'affare dell'imitazione gli andò proprio in gola. Due giorni dopo rispose gridando: ((Sappiate, e tutto il mondo sappia, che nelle questioni razziali noi tireremo diritto. Dire che il fascismo ha imitato qualcuno o qualcosa e semplicemente assurdo». Diffatti la politica razzista e antisemita va avanti in Italia. Dal luglio ad oggi vari provvedimenti del governo l'hanno resa acuta e preoccupante. Fra gli altri notiamo la eliminazione degli ebrei dall'insegnamento pubblico, dai gradi dell'esercito, la marina e l'aviazione, dal servizio civile, da ogni altra nomina, compresa quella delle corporazioni. Una circolare recente del ministero dell'educazione dichiara che, gli studenti ebrei non hanno diritto di iscriversi alle università. Quelli già iscritti avranno rimborsata la tassa pagata; solo coloro che hanno incominciato i corsi potranno compierli. Un decreto e stato emanato ai primi di settembre con il quale e stata tolta la cittadinanza italiana a tutti gli ebrei stranieri che l'ebbero concessa dai 1919 ad oggi, ed e stato proibito a tutti gli ebrei stranieri il soggiorno in Italia, nelle colonie e nelle isole del Dodecanneso a partire dal marzo 1939. I decreti e le circolari ministeriali continuano, toccando questioni civili economiche e religiose. Perfino I'uccisione degli animali secondo il rito mosaico, nei centri ove sono numerose comunità ebraiche, è stata vietata per decreto del ministro dell'interno. L'ultima minaccia tocca da vicino il regime matrimoniale ecclesiastico. Il gran consiglio fascista nella riunione del 7 ottobre ha deciso che sia decretato: ((1) il divieto a italiani e italiane di contrarre matrimonio con elementi appartenenti a razze camite, semite ed altre razze non ariane; 2) il divieto per i dipendenti dello stato e di Enti pubblici di contrarre matrimonio con donne straniere di qualsiasi razza)). Ora secondo il concordato tra l'Italia e la Santa Sede la validità civile segue il matrimonio cattolico. I1 conflitto di coscienza e quello giurisdizionale che nascerebbe da tali provvedimenti sarebbe di una portata eccezionale. L' Osservatore Romano scriveva sul riguardo: u L e notizie cosi come sono date dal comunicato Stefani non possono certo escludere da parte nostra preoccupazioni specialmente in riguardo ai principi e alla disciplina matrimoniale della Chiesa. Attendiamo tuttavia in materia si grave le precisazioni che
solo potranno offrire i relativi testi, confidando che essi possano rimuovere ogni motivo di riserva)) (7). Si comprende bene l'irritazione degli ambienti fascisti contro la resistenza che la Santa Sede e i cattolici italiani fanno tanto alla divulgazione delle idee razziste quanto all'eccitazione antisemita; e assai più del continuo intervento personale del papa, con un vigore che supera gli anni e un ottimismo che contraddice la realtà. Pochi forse si ricordano della esplicita condanna dell'antisemitismo inserita dalla Suprema congregazione del Santo Ufiizio in un decreto del 25 marzo 1928, emesso a proposito della soppresssione dell'associazione degli Amici d'Israele. Eccone le parole: ((Qua caritate permota Apostolica Sedes eumdem populum contra injustas vexactiones protexit, et quemadmodum omnes invidias ac simultates inter populus reprobat, ita ve1 maxime damnat odium adversus populum olim a Deo electum, odium semper illud, quod vulgo arttisemitismi nomine nunc signijìcari solet)). Ma Pio XI e andato avanti, e in una commovente recezione di pellegrini belgi del 6 settembre scorso (che non e possibile non riprodurre tanto è bella) dopo aver sfogliato un bel messale offertogli, si fermò alle parole del canone: ((Supra quae propitio ac sereno vultu respicere digneris et accepta habere sicuti accepta habere dignatus es munera pueri tui justi Abel, et sacrificium patriarchae nostri Abrahae, et quod tibi abtulit sumrnus sacerdos tuus Melchisedech, sanctum sacrijìcium, immaculatam hostiain)). Le Saint-Pere commenta ce texte avec une voi que l'emotion progressivement, alterait. «Cette prere, nous la disons au moment le plus solenne1 de la Messe, aprés la consecration lorsque la divine Victirne est offerte effectivement. ((Sacrifice d'Abel, sacrifice d'Abraham, sacrifice de Melchisedech. En trois traits, en trois lignes, en trois pas, toute I'histoire religieuse de l'humanite. Sacrifice d'Abel: l'epoque adamique. Sacrifice d'Abraham: I'epoque de la religion et de I'histoire prodigieuse dYIstrael.Sacrifice de Melchisédech: annonce de la religion et de l'époque chretiennes.
(7) Dopo questa citazione dell'Osservatore Romano de11'8 ottobre '38, nel testo p u b blicato su Le vie inielleciuelle segue un lungo brano che non è presente nel dattiloscritto italiano originale. Lo riportiamo in lingua francese: ~Malgrécet avertissement, le decret sur le mariage avec les Juifs et els etrangers ne tarda pas à venir. Il costituait une violation ouverte du concordat. Le Pape pnt I'initiative d'ecrire personnelement au Roi et au Duce. Le premier répondit par une lettre dont I'Osservatore du 16 novembre donna un résurné. Sa Majeste y assurit au Saint-Pere que sa lettre serait prise en consideration dans toute la mesure du possible afin qu'on en arrivat a une solution conciliant les deux points de vue. Mais lors de I'allocution papale, la veille de Noel, aucun pas n'avait encore ete fait dans le sens indique. et le Pape parla aux cardinaux de ses preoccupazion "en tant que chef du catholicisme et gardien de la verite et de la moralite", au sujet de "l'offense. le coup porte a Notre Concordat particulieerment en ce qui concerne le mariage. le saint mariage: ce qui est tout dire pour un catholique"~(Osservatore Romano du 25 decembre 1938).
((Textegrandiose. Chaque fois que Nous le lisons, Nous sommes saisis par une ernotion irresistible. «ScrcriJìcium patriarchae nostri Abrahae. Remarquez quYAbraham est appelé notre patriarche, notre ancetre. ((L'antiséinitisme n'est pas compatible avec la pense et la realite sublimes qui sont exprimées dans ce texte. C'est un mouvement antipatique, un mouveinent auquel nous ne pouvons, nous chretiens, avoir aucune part. ((lei. le Pape ne parvint plus a contenir son émotion. I1 ne voulait pas se laisser gagner par cette émotion. Mais il n'y a put réussir. Et c'est cn pleurant qu'il cita les passages de saint Paul mettant en lumiere notre descendance spirituelle d'Abraham. ((La oromesse a été faite a Abraham et à sa descendance. Le texte ne dit pas, rernarque saint Paul, "in seminibus tamquam in pluribus, sed i11 seniine, tamquam in uno. quod est Christus". La promesse se realise dans le Christ et par le Christ en nous qui sommes les membres de son Corps mysstique. Per le Christ et dans le Christ, nous sommes de la descendance spirituelle d'Abraham. «Non. il n'est pas possible aux chretiens de participer à I'antisemitisrne. Nous reconnaissons a quiconque le droit de se défendre, de prendre les moyens de se proteger contre tout ce qui menace ses interets Iegitimes. Mais I'antisémitisme est inadmissible. Nous sommes spirituellement des sernites)). Sur ces mots, de nouveau, le Pape pleura. (La Citi Nouvelle 15 settembre 1928). Anche i lettori ne saranno commossi. Ma il solito Farinacci, che si proclama spesso cattolico, scrisse subito: «Noi non crediamo a questi giornali. altrimenti dovremo ammettere che la profezia giudaica si è avverata: verrà un giorno che avremo un papa amico. Noi, naturalmente. siamo antisemiti pue restando cattolici; (RegimeFascista 19 settembre 1938). La Vie Inrellectuelle ha già citato nel suo numero del 10 ottobre una dichiarazione di Farinacci fatta a Das Schwarze Korps del 15 settembre, che conclude: «Chez nous il n'y a pas d'eveque qui excerce ses fonctions sans le consentement de 1'Etat ... nous savons aue dans la question du racisme le clerge est divise en deux camps et nous savons aussi que le pape est incapable d'y.chenger quelche chose)) (page 77). E' veramente diviso il clero d'Italia sulla questione del razzismo? A noi non pare. Non è mancato qualche tentativo di cercare di conciliare dei motivi del razzismo e dell'antisemitismo italiano con le teorie cattoliche. Un articolo di un padre gesuita apparso sull' Avvenire d'Italia (giornale cattolico) il 17 luglio dava un suono diverso dalle gravi parole. del papa dette il 15 luglio (giorno del manifesto razzista italiano) alle suore di Notre Dame du Cenacle: ajuste ce jour là ou lui avait apporte quelche chose de bien grave. Il s'aggissait desormais d'une forme d'apostasie)); e lo stesso giorno, al pellegrinaggio di Lloubliana e parlando dell'azione cattolica, si domandava: ((Qu'est-ce qu'on craint de la vie
catholique? Ce n'est pas de la vie catholique que I'on peut redentes des dangeri, mais du communisme, du bolchevisme ou de quelque chose de pire encore)). Al padre gesuita rispose subito sull' Italia di Milano un giovane cattolico e la polemica rimase li. Ma questi scarti di ecclesiastici fatti col desiderio di concedere agli avversari quel minimo che non ripugna o sembra non ripugnare alla dottrina e alla prassi cattolica, per poi riaffermare i punti sostanziali, e una vecchia tattica, non sempre felice, specialmente quando gli avversari non sono veramente convinti delle loro teorie, ne dal punto di vista filosofico, ne da quello scientifico, ma le sostengono per opportunità politica. Ora il razzismo e I'antisemitismo italiano sono oggi una politica, non una fede, ne una convinzione. Ogni concessione che si fa cade sul terreno politico, che intama le posizioni della resistenza cattolica; perciò e inopportuna e inefficace. Ecco quel che scriveva, in agosto, il ministro Farinacci in Regime Fascista rispondendo al papa: (((Chi tocca il papa ne muore))): «Le probleme fasciste est essentiallement politique et celui qui ne sent pas ce probleme sera déclaré notre ennemi au deux cent pour cent. E ceci sens peur de mourir. A bon entendeur ...» (citato da l' Avant-Garde de Bruxelles 17 Aoiìt 1938). Di quel che fa in Italia l'azione cattolica, di quel che dicono i vescovi laggiù, per parare il pericolo della propaganda razzista ed antisemita, a noi non arriva alcuna referenza esatta. Solo quel poco che si legge sui giornali cattolici o su altri, come spesso su Regime Fascista, che verso la fine di agosto scriveva: ((L'altro ieri è uscito dal suo silenzio anche l'organo diocesano di Cremona per muoverci severi rimproveri e per chiederci se ,e possibile che noi professandoci cattolici non accettiamo per oro colato quel che dice il pontefice o qualche Suo cardinale o vescovo. Rispondiamo che in materia politica riconosciamo un solo capo, il Duce; poi la nostra coscienza, che si è venuta maturando attraverso lunghi travagli e lunghe esperienze» (8). (8) Dopo questa citazione tratta da «Regime Fascista. nei testo francese pub'olicatosu Le vie intellectuelle segue un lungo brano che non e presente nel dattiloscritto italiano' originale. Eccolo: «En novembre, le cardinal Schuster, archeveque de Milan, rompit le silence par un long discours contre le racisme importi en Italie. Bien qu'il eut parlé du fascism en termes bienveillants, il fut aussitot violemment attaqué par la presse du regime, surtout apres que la presse allemande eut signalle son discours comme une provocation. Le cardinal de Milan passait pour un ami du fascisme, il en avit donné des prevuves en plus d'une rencontre. Malgre celsa, la campagne dirigee contre lui n'a pas cesse depuis ce temps, au point que le Pape a cru devoir y faire allusion dans I'allocution de Noel que nous avons deja citee plus haut: Hier on Nous en signalait a Venise, a Turin, a Bergame; aujor-d'hui c'esta a Milan et precisement dans la personne de son cardinal-archeveque coupable d'un discours et d'un enseignement qui rentrent exactement dans ses devoirs episcopaux et que Nous ne pouvons qu'approuver. Apres I'archeveque de Milan, d'autre eveques ont adresse des letrres a laurs diocesains: le cardinal Masalli-Rocca, de Bologne; le patnarche de Venise; le cardinal Della Costa, de Florence, et d'autres encore. La presse fasciste a repondu par de vives attaquesr.
L'unica voce che però arriva in Italia e fuori d'Italia, senza sofisticazioni, nonostante il silenzio della stampa fascista o le sue deformazioni politiche, è quella del papa. Egli, nei suoi ripetuti discorsi di questi mesi, ha voluto riunire insieme due temi: l'azione cattolica e la condanna del razzismo, comprendendovi esplicitamente sia l'antisemitismo sia il nazionalismo esagerato. Egli diceva ai membri dell'azione cattolica di Brescia e Bergamo, il 27 agosto: «Si è lasciato credere in particolare che l'azione cattolica si era occupata di questioni che non la riguarderebbero affatto, come, ad esempio, il razzismo. Ora vi è in questa espressione qualcosa che tocca cosi profondamente l'uomo, che essa non può essere considerata estranea alla filosofia, alla morale e alla religione, nel campo della quale la Fede mostra quel che bisogna credere)). [I cattolici di azione, i cattolici veramente convinti, quelli che sanno distinguere la politica di partito dai valori morali che implica ogni orientamento politico, devono fare risolutamente fronte al razzismo, al nazionalismo, all'antisemitismo, a tutto ciò che divide, che è odio, ch'è paganesimo]. In un passaggio impressionante del citato discorso del 15 luglio, riportato dall' Osservatore Romano del 17 luglio 1938, è detto: «I1 Sommo Pontefice aggiungeva di non aver mai pensato intorno a queste cose con tale precisione, con tale assolutismo, si direbbe quasi, con tanta intransigenza di formule. E giacché Dio gli da la grazia di tale chiarezza, Egli vuole farne partecipi i suoi figli, avendone tutti bisogno particolare in questo tempo in cui tali idee fanno tanto rumore e tanto danno)). Come e sublime e commovente l'attitudine di un vegliardo a capo della Chiesa che dice di non aver maipensato attorno a queste cose (razzismo, nazionalismo esagerato), con tale precisione; che riconosce come grazia di Dio potere usare intransigenza di formule. E quali piu gravi parole che quelle usate contro il nazionalismo esagerato, quando agli alunni del collegio di Propaganda Fides il 28 luglio diceva: «Les nations existent et le nationalisme aussi; mais les nations ont ete faites par le bon Dieu. I1 y a donca place pour un nationalisme juste et moderé, asscoié a aotutes les vertus, mais gardez-vous du nationalisme exagere comme d'une véritable malediction. Il Nous semble, malheureusement, que le faits Nous donnent raison lorsaue Nous disons: "veritable malediction". car il est la cause de divisions continuelles et peu s'en faut de guerresn (9). E' nello stesso discorso chYEgliparlando contro il razzismo (e l'imitazione italiana di quello tedesco) precisava il carattere universale dell'azione (9) La citazione che Sturzo fa del discorso del papa del 28 luglio '38 non è ripresa dall' Osservatore. Nel resoconto che il giornale vaticano fa il 30 luglio dell'udienza papale agli alunni del Collegio di Propaganda Fides pur riscontrando una identità di temi (la condanna cioè del unazionalismo esageraton e del razzismo) non abbiamo ritrovato le stesse frasi citate da Sturzo. Probabilmente i l fondatore del P.P.I. cita il discorso papale cosi come e riportato da qualche rivista cattolica francese.
cattolica e affermava con forza: ((Pertantotra l'azione cattolica e questi errori non c'e nessun rapporto)). Certo la situazione italiana non può paragonarsi a quella defi'~ustria e della Germania. Finora si tratta di orientamento politico del fascismo, di urti parziali con l'azione cattolica, di polemiche giornalistiche sul razzismo e I'antisemitismo, ma non di persecuzione aperta ed implacabile contro il cristianesimo. Pero in Italia vi e una continua presa di possesso dell'anima della gioventu da parte del fascismo, un accrescimento del dominio pojitico in tutti i campi a spese di quello spirituale e religioso, di accaparramento delle intelligenze, di asservimento delle volontà; e l'asfissia di un lento e continuo avvelenamento. L'azione cattolica sarà in condizioni di reagire? Ne avrà le possibilità pratiche? Supererà il periodo del compromesso per un movimento vigoroso sul terreno della difesa dei principi cristiani messi in pericolo dalla propaganda razzista e antisemita e dal nazionalismo esagerato? Ecco quello che tenta il papa. Egli, nel suo discorso agli archeologi cristiani, il 20 ottobre diceva: «Che i figli s'ispirino ai sentimenti del padre: il papa è ottimista e non pessimista: lo e, s'intende bene, per l'avvenire, perche il presente e come e e come Iddio lo permette ... l'avvenire è nelle mani del Creatore; buone mani poiché le grandi cose ubbidiscono a Lui e non agli uomini)). 30 ottobre. Festa di Cristo Re.
LA POLITICA DI PIO XI (*)
Il più saliente fatto della politica religiosa di Pio XI e la conciliazione ufficiale del papato con l'Italia; esso entra nel quadro della politica concordataria di dopo guerra, svolta dal Vaticano, verso tutti i paesi tanto di maggioranza che di minoranza cattolica. La soluzione della questione romana era matura. Benedetto XV (durante la guerra) aveva fatto dichiarare dal suo segretario di stato card. Gasparri ch'essa doveva venire trovata fra il papato e il popolo italiano. Cosi venivano scartati gli intrighi tedeschi. Dopo la guerra, Benedetto XV tolse il veto circa il ricevimento in Vaticano dei sovrani e capi di stato cattolici venuti a Roma a render visita al re d'Italia e ricevette i reali del Belgio e della Spagna; tolse pure il non expedit, che vietava ai cattolici di partecipare alla vita politica italiana. Non erano mancati (*)
Pubblicato su Il Mondo, New York, marzo 1939.
i pour parler privati fra il cardinal Gasparri e il ministro Nitti, fra monsignor Cerretti e il ministro Orlando per un piano di soluzione (1). Pio XI, che eletto papa benedisse il 6 febbraio 1922 il popolo di Roma dalla loggia di S. Pietro (che dopo il 1870 non si uso piu), diede il segno del suo orientamento. L'arrivo al potere di Mussolini, 8 mesi dopo, ne favori il disegno. I1 gesuita Tacchi Venturi fu l'intermediario uficioso e abile. I1 papa non solo non mostrò ostilità al fascismo, ma in un primo tempo tollerò le messe al campo delle squadre fasciste, la benedizione delle loro bandiere, le proibizioni linguistiche nel sud-Tirolo e nella Venezia Giulia anche nelle chiese, lascio senza protesta sciogliere la confederazione dei lavoratori cristiani; protestò si, ma sciolse egli stesso I'associazione cattolica dei boys scouts (1927). Verso quel tempo furono iniziate le trattative segrete che portarono al trattato del Laterano ( l l febbraio 1929). La monarchia di Savoia, caduta nella scomunica con I'occupazione dello stato pontificio, fu riconosciuta dal papa come legittima sovrana di Roma; e il papa accettò come soluzione una sovranità simbolica sulla Città del Vaticano. Al trattato fu unito un concordato (2), che riconosce la chiesa cattolica come ufficiale e ne precisa i diritti, fra i quali quello di organizzare I'azione cattolica dei laici, specialmente della gioventu. Sul tema della gioventù (di cui il fascismo ha voluto sempre il monopolio) nacque il più clamoroso urto fra Pio XI e Mussolini, al principio del 1931; urto che culminò nella enciclica «Non abbiamo bisogno))(29 giugno 193l), nella quale egli condannò la teoria dello stato totalitario fine dei cittadini, rivendico la libertà della chiesa e dichiarò tollerato il giuramento fascista alla condizione di intendersi subordinato alla riserva di salvo i diritti di Dio e della coscienza. Il dissidio fra Pio XI e Mussolini fu composto nel settembre 193 1. per l'intervento di padre Tacchi Venturi.
Nello stesso anno, 1931, con l'avvento della repubblica in Spagna, Pio X1 si trovò a dover far fronte ad un'altra situazione difficile (3). Nori ostante i legami del clero spagnolo con la monarchia e i compromes( I ) Su i colloqui Orlando-Cerretti cfr. P. SCOPPOLA op. cit. pp. 3-19. ( 2 ) Stur/.o. coscicntc dei rischi di strumentalizzazione politica della religione da parte del Sascisiiio. C preoccupato del clima di illusoria speranza dimusosi nel mondo cattolico
circa I'iizionc di Mussolini, valuto criticamente gli accordi del Laterano. (Cfr. L. STUR20, C/liescr c Slciro, vol. Il, Opera Omnia, Zanichelli, Bologna 1959. pp. 174-8). ( 3 ) 1)opo I;i partcnza di Alfonso X111, sconfitto alle elezioni, le Cortes, egemonizzate da socialisti c repubblicani di sinistra. volarono una costituzione repubblicana che preveclev;i tra l'altro la cessazione dei contributi statali ai preti, lo scioglimento dei gesuiti. il divicto di scuole private cattoliche. Ciò provocò un grave risentimento nel clero spagnolo.
si con Primo De Rivera (4), (specialmente circa l'uso della lingua catalana), Pio XI non solo non avverso la repubblica, ma lasciò a Madrid il Nunzio Todeschini e accetto le dimissioni del primate arcivescovo di Toledo, cardinal Segura, troppo legato ad Alfonso XIII e malvisto dai repubblicani. Tale condotta benevola (non ostante le proteste ufficiali) continuò anche quando fu soppresso l'ordine dei Gesuiti, fu proibito ai religiosi di tenere scuole proprie, e quando il governo si mostro impotente a frenare le folle che bruciavano le chiese e assalivano i conventi. La norma di Pio XI era la stessa di quella di Leone XIII; rispettare i governi di fatto, tentare di mantenere con loro buoni rapporti, e incitare i cattolici a partecipare alla vita pubblica lealmente per migliorarne le leggi. Questo doveva essere l'atteggiamento della Ceda (il partito cattolico di Gil Robles); ma l'influsso delle destre monarchiste e fasciste, I'impazienza di riuscire, e dall'altra parte la spinta delle masse, socialiste e anarchiche, portarono alla rivolta di sinistra dell'ottobre 1934; e poi, dopo le elezioni del febbraio di quest'anno, alla rivolta militare di destra, che ha coinvolto con se la maggioranza del clero e dei cattolici spagnoli. La politica d'intesa che Pio XI sperava, con la possibilità di un nuovo concordato, veniva a cadere completamente, riportando il problema religioso sul terreno della guerra civile. Pio XI si sforzo, con il suo discorso del 14 settembre e col successivo comunicato ufficiale e con I'atteggiamento dell' Osservatore Romano, di disimpegnare la chiesa dalla solidarietà con la rivolta militare e la guerra civile e far apparire la posizione dei cattolici e del clero spagnolo come legittima difesa per l'assalto alle persone e alle, cose sacre. Ma non riuscì, come nel Messico, a separare le responsabilità della chiesa dalla rivolta, perché la propaganda dei giornali di destra di tutto il mondo a favore della crociata e della guerra santa ha reso meno efticace il contegno del Vaticano. Pio XI, senza apertamente pronunziarsi, diede il suo appoggio all'iniziativa della Francia e Gran Bretagna per una mediazione, pero mettendo in evidenza la tutela dei diritti delle coscienze e della libertà religiosa e il ripristino del culto pubblico. Le sue parole del Natale scorso per la pace in Spagna e nellYEuropapossono reputarsi un'eco della situazione.
Tocco a Pio XI porre fine al dissidio con la Francia circa le associazioni di culto, in applicazione alle leggi laiche di Combes (5). Fu Briand, (4) Primo de Rivera, Jose Antonio (1906-1936) figlio di un famoso generale e dittatore spagnolo, fondò nel 1933 un movimento politico, la Falange spagnola, con carattere nettamente anticomunista. Eletto deputato, nel 1936 fu arrestato e quindi, allo scoppio della guerra civile, fucilato. (5) Combes Justin-Luis-Emile (1835-1921), nel 1902 nella carica di presidente del consiglio e di ministro dell'interno, condusse a termine la nuova legislazione francese sulle associazioni religiose.
d'accordo con il nunzio Cerretti, che, con una decisione del consiglio di stato del 1925, agevolo la soluzione della vertenza. D'allora la pacificazione fra la Francia e il Vaticano e uno dei punti stabili della politica europea. Poco dopo (1927) Pio XI condanno I' Action Frangaise, e proibi ai cattolici di farne parte. Cosi distacco il clero da un centro di propaganda reazionaria, antidemocratica e filo-fascista che tendeva a trasformare il cattolicesimo in una fede politica. L'Action Francaise a sua volta accuso Pio XI di essere filo-tedesco e di indebolire la Francia; ciò specialmente quando il Vaticano accetto l'iniziativa di Hitler per un concordato col Terzo Reich (1933). Allora esistevano gia quattro concordati, con gli stati particolari, l'ultimo con la Prussia governata allora dai socialisti; ma Hitler che mirava all'unificazione del Reich e alla soppressione del Centro, volle un concordato unico. I1 Vaticano, sollecitato da Von Papen e da mons. Kaas (capo del Centro) vide nel concordato, concluso in gran fretta, l'unico mezzo per garantire il cattolicesimo germanico e le sue opere dell'impresa nazista. Ma appena firmato, ripiglio la lotta fra nazi e cattolici. Pio XI si appoggiò alla resistenza dei vescovi, per non denunziare il concordato, le cui violazioni non si contano, e più volte ne fece allusione nei suoi discorsi, mentre I' Osservatore Romano ha condotto una forte campagna contro le teorie naziste anticristiane. Allo stesso tempo i vescovi di Austria, più liberi di quelli di Germania a parlare chiaro, nel 1934 pubblicarono una pastorale collettiva contro le teorie naziste. Ciò fecero tanto più volentieri, quanto l'Austria si trovava in urto con Berlino e in accordo con Roma, per conservare la sua indipendenza. Pio XI ripiglio nello stesso tempo la politica tradizionale vaticana verso l'Austria, come baluardo cattolico. Diverse le condizioni di prima della guerra e di dopo; al motivo dell'influenza russo-slava e germano-luterana si era aggiunto quello piu forte del bolscevismo comunista e del nazionalsocialismo tedesco: i senza-Dio e i pagani-ariani. Fare unaiinea di resistenza cattolica della Polonia-Ungheria-Austria-Italia è stato nell'orientamento del Vaticano. La politica di Dolfuss e di Schuschnigg ha creato I'illusione che il socialismo austriaco fosse vinto a vantaggio delle forze clericali, e che fosse spianata la via al ritorno degli Asburgo (6).
La guerra italo-abissina ha una delle prove più ardue della politica di Pio XI. Per mantenere in Italia l'attuale sistema concordatario e per non dare vantaggio alle correnti naziste e bolsceviche nel centro Europa, Pio XI non poteva veder bene un indebolimento e peggio la caduta di ( 6 ) Sturzo fu estremamente critico nei confronti della politica di Dolfuss, aun piccolo uomo con manie autoritarie* come lui stesso io definì. Cfr. G. DE ROSA, Sturzo, OP. cit. pp. 329-34.
Mussolini. Dall'altro lato egli non voleva una guerra. La linea media seguita fu la condanna in ipotesi di una guerra di aggressione o di difesa oltre il limite del giusto, fatta con il discorso di Caste1 Gandolfo dell'agosto 1935, e il tacito e tollerante consenso ai vescovi italiani per il loro esplicito appoggio alla guerra. Egli favori il piano Laval-Hoare (7), come ogni altra soluzione che avesse posto fine alla guerra abissina, con un certo vantaggio dell'Italia. Questa condotta gli era ispirata anche dall'idea di non dare motivi ad un conflitto europeo, al quale egli credeva che Mussolini fosse già disposto; e per non dare un vantaggio insperato all'influsso della Russia in Europa. Pio XI da nunzio a Varsavia, precedente all'invasione russa, concepi un'avversione profonda al bolscevismo. In un primo tempo cerco di avere qualche rapporto più o meno ufficioso con i soviet; e mando a Genova - nel maggio 1922 - durante la conferenza internazionale, dei prelati in missione ufficiosa presso Tcicerin, che là rappresentava la Russia. Gli sforzi di un'intesa non ebbero esito. La propaganda dei senza Dio fu intensificata. resa ufficiale e diffusa in altri ~aesi. intensificarsi recente delle manifestazioni anticomuniste del papa ha dato motivo a credere ad un'intesa fra il Vaticano e Hitler. I motivi di Pio XI e quelli di Hitler non erano sullo stesso piano ne della stessa natura. Pio XI fu l'autore dell'enciclica Quadragesimo Anno, del 1931, quarant'anni dopo quella di Leone XIII sulla questione operaia. Tale enciclica tratta con alta ispirazione morale e sociale i rapporti fra capitale e lavoro, e i doveri dell'uno e dell'altro, sostenendo il rispetto dei diritti della personalità umana contro la tirannia del capitale e contro il monopolio dello stato. Nel congresso di Washington, nella camera dei deputati di Parigi e nell'assemblea del B.I.T., la Quadragesimo Anno è stata citata con rispetto e con plauso. Oggi si deplora che i cattolici di Spagna non I'abbiano applicata in tempo per evitare il peggio. Pio XI cerco con costanza e fermezza di estendere dappertutto 'i azione cattolica, una specie di grande organizzazione laica a dipendenza della gerarchia, iniziata ai tempi di Pio IX per la difesa dei principi dogmatici e morali del cattolicesimo e per l'attuazione del suo programma sociale. che Pio XI ha diffuso, ed ha introdotto nei testi dei concordati con tutti i paesi di Europa, difendendone l'esistenza contro le pretese dei dittatori. (7) 11 piano Laval Hoare fu l'ultimo tentativo franco-inglese di soddisfare gli obiettivi economici italiani in Etiopia senza scontentare l'opinione pubblica interna con una violazione palese dei principi della Società delle Nazioni. Proponeva in pratica, a guerra gik iniziata ( l l XII 1935), la cessione di territori periferici all'ltalia e la formazione di una "zona di espansione economica e d'insediamento. riservata all'ltalia nellYEtiopiameridionale. Il piano falli per le difficoltà che incontro tra l'opinione pubblica inglese e per l'atteggiamento di Mussolini che cercava ad ogni costo una vittoria militare di un certo prestigio.
PIO XI (*) Il nioinciito piu commovente della vita di Pio XI è stato quello del suo penultimo giorno ( l ) , quando domando al suo medico di poter arrivare all'l l febbraio, per leggere o far leggere l'allocuzione ai vescovi italiani. chiamati a Roma (e ve ne erano già quasi cento) per il decimo anniversario del patto del Laterano. Egli stesso l'aveva scritta (e corretta la notte avanti) quell'allocuzione, che sarebbe rimasta storica: forse fu quello sfo'rzo che affretto la sua fine. Non sappiamo quel che conteneva quel documento (2): ma dal discorso tenuto ai cardinali alla vigilia di Natale. sulla violazione del concordato per la legge del governo fascista sul matrimonio con ebrei e stranieri, possiamo dedurre quale fosse lo spirito che animava Pio XI e la ragione di tale solenne adunanza. Questo tratto del pontefice scomparso richiama l'altro, quando nel Natale del 1936. dopo la grave malattia che si credeva mortale, volle dal suo letto stesso mandare per radio il suo messaggio di pace a tutto il mondo. E' che Achille Ratti fu sempre un uomo volitivo, quasi di volontà ferrea, temprato ad una forte disciplina corporale e spirituale, formatosi in un lavoro e ad una responsabilità propria a sé stesso. Questo ha dato il timbro al suo pontificato. che é stato detto troppo personale. I suoi collaboratori erano piuttosto dei subalterni e degli esecutori (a parte il cardinale Pietro Gasparri): a lui solo l'iniziativa, e spesso anche I'elaborazione e precisazione degli atti del suo governo. Per questo il suo pontificato può dirsi una sua intima esperienza, svoltasi attraverso fasi successive, tutte impregnate dalla volontà indomabile di rispondere all'alto compito, non tanto per la tradizione del vasto organismo ecclesiastico romano, quanto per un continuo sforzo di comprensione personale e di iniziative atte a ridare, nel dopoguerra, un più vasto ritmo alla missione cattolica del papato. Nel suo primo anno di pontificato, Pio XI trovo due problemi acuti, nei rapporti fra chiesa e stato, il bolscevismo russo e il fascismo italiano. Col primo non rinunzio ad avere dei contatti per attenuare la persecuzione contro i cattolici (e indirettamente anche contro la chiesa 0rtodoss.a) e assicurare al cristianesimo un minimo di tolleranza e una possibilità di penetrazione. E' nota la missione inviata a Genova, durante la conferenza internazionale del maggio-giugno 1922 per prendere contatto con (*) Pubblicato su Il Mondo, New York, marzo 1939 e su La Terre Wallonne,Bruxelles, aprile-maggio 1939. ( l ) Pio X1 mori il 10 febbraio 1939. (2) I1 discorso reso pubblico da Giovanni XXIII il 6.2.1959 conteneva una dura critica alla politica razzista del fascismo (cfr. P. SCOPPOLA, op.cit., pp. 334-41).
la delegazione russa che vi partecipava. Sul piano puramente ecclesiastico, furono sue le iniziative di completare l'Istituto pontificio orientale (creato da Benedetto XV) e la fondazione in Roma del Seminario russo, mentre favori sempre ogni altra iniziativa atta ad avvicinare tutti i russi sul piano religioso. Questo non gli impedi di denunziare il comunismo ateo ( 3 ) (come egli lo definì nelle sue encicliche), che dalla Russia si è diffuso nel mondo sia per la propaganda della III internazionale sia per le condizioni difficili del lavoratore, dovute alla disoccupazione e alle varie crisi del dopoguerra e alla enorme pressione capitalistica. I1 documento più notevole, a questo riguardo, del papato di Pio XI è stato l'enciclica Quadragesimo Anno (cosi chiamata per commemorare il.quarantesimo della pubblicazione nel 1891 della enciclica di Leone XIII sulla condizione degli operai). Una critica forte sia del capitalismo sia del marxismo, fatto a nome dei principi morali e una nuova spinta per un ordine sociale più umano e cristiano, ecco lo spirito del documento papale. Esso e stato citato nel senato di Washington come alla camera dei deputati di Parigi, e può dirsi che abbia fatto stato negli studi sociali economici, come uno dei più chiari, seri e decisivi documenti della attuale crisi. Ma purtroppo, molti si sono attaccati più alla critica anticomunista che agli insegnamenti positivi di ricostruzione sociale. Si e detto che Pio XI fosse talmente preoccupato del diffondersi del bolscevismo, da essersi avvicinato al fascismo e al nazismo, e averli favoriti credendoli quasi soluzioni politiche della crisi sociale. Ma, accortosi in seguito che l'uno e l'altro contenevano teorie e pratiche anti-cristiane, fosse finito non solo col denunziarne gli errori, ma col doverne subire le persecuzioni. Ora, l'idea direttiva di Pio XI, nel precisare i rapporti fra la chiesa e gli stati moderni, fu quella degli accordi per via di concordati. Questi comportano una tale cooperazione fra la chiesa e lo stato da esservi sempre uno scambio di servizi per un vantaggio reciproco. Egli ha rinnovato con Mussolini e con Hitler, il tipo di concordato tra Pio VI1 e Napoleone. Ma dal punto di vista storico sono più le dissomiglianze che le somiglianze fra le due epoche. Con l'Italia c'era ancora aperta la questione romana. La Santa Sede non aveva mai accettato i ((fatticompiuti))né la legge sulle «guarentigie». L'incontro di due uomini volitivi come Pio XI e Mussolini era fatto proprio per mettere fine a una situazione di adattamento provvisorio che durava da 59 anni. Il trattato del Laterano fu l'opera giuridica di Pietro Gasparri, ma fu l'opera politica di Pio XI. Con il concordato, che Pio XI dichiarò parte integrale e indissolubile del trattato di conciliazione, si credette di assicurare il carattere di cattolico allo stato italiano. Se tale condizione resisterà più a lungo delle guarentigie del 1871 lo dirà (3) L'enciclica che in particolare condannò i l comunismo ateo in quanto rintrinsecamente perverso* fu la Divini Redemptoris (1937).
la storia. Che oggi il papa sia piu libero, nella sua Città del Vaticano, che non fosse nella Roma dei liberali, e una questione più di fatto che di diritto. Perché giuridicamente oggi il papa è sovrano di uno stato simbolico, ma moralmente può divenire prigioniero assediato da un governo ostile, solo che questo lo voglia e lo minacci. Dalla conciliazione in poi, due volte sono stati di fronte papato e fascismo, nel 1931, quando i circoli dei giovani cattolici furono dai fascisti, sopra una parola d'ordine, assaliti e devastati, i membri malmenati, i documenti e le bandiere sequestrati. Il papa protesto con l'enciclica Non abbiamo bisogno, che fu la condanna delle teorie anticristiane dello stato totalitario. Poi venne un modus vivendi, che riporto una certa tranquillità. L'altro contrasto e stato per le leggi razziste e antisemite, introdotte in Italia nello scorso anno, per cui Pio XI, fino all'ultimo giorno della sua vita, non cesso di levare la sua voce. Un passaggio del suo discorso del 15 luglio e molto commovente; dopo aver parlato del contrasto evidente tra «il nazionalismo esagerato e la dottrina cattolica)),il sommo pontetice aggiungeva di non aver «mai pensato intorno a queste cose con tale precisione, con tale assolutismo, si direbbe quasi, con intransigenza di formula, e giacche Iddio gli dà la grazia di tale chiarezza. Egli vuole farne partecipe i suoi figli, avendone tutti bisogno particolare in questo tempo in cui tali idee fanno tanto rumore e tanto danno. Proprio in quel giorno stesso gli avevano comunicato qualche cosa di ben grave (e del 15 luglio il manifesto del razzismo italiano); si tratta, ormai, di una forma di vera apostasia. Non è più soltanto una o l'altra idea errata; e tutto lo spirito della dottrina che e contrario alla Fede di Cristo)) (4). Questa confessione ch'egli non aveva prima di allora pensato con tanta chiarezza e assolutezza aeli errori moderni del razzismo. antisemitismo e nazionalismo esagerato (come una apostasia della fede), dà il segno della profonda sincerità di un uomo cosi eminente e gravato da tanta responsabilità. Egli aveva già più volte, e in altri documenti, parlato contro tali errori. E' sotto il suo pontificato che nel 1928 il Santo Uflizio condanno formalmente I'«antisemitismo».Fin dal 1922 egli scrisse contro il nazionalismo esagerato, e nel 1926 condanno formalmente l'Action Fran~aisee sempre tenne duro contro ogni tentativo di conciliazione che una certa ala di clero e laicato francese sperava ottenere. Nel 193 1 egli condanno la teoria che l'uomo è per lo stato, affermando più volte che lo stato è per I'uomo, lo stato solo un mezzo; l'uomo, la personalita umana, un fine. Tutti questi motivi dispersi negli altri documenti furono riuniti nell'enciclica Mit Brennender Sorge del marzo 1937, a proposito della persecuzione anticristiana della Germania fatta in nome del razzismo. ** * u
La guerra abissina, come porto un rivolgimento di situazioni e di diret(4)
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L'Ossen~atoreRomano del 17 luglio 1938.
tive nel mondo internazionale, portò anche dei turbamenti e dei contrasti in seno alla chiesa; più ancora: dei motivi di critica e di attacchi delle correnti laiche verso il papato e verso la politica di Pio XI. I1 problema moderno dell'atteggiamento della chiesa in caso di guerra non è affatto risolto e le esperienze della grande guerra e delle guerre successive, compresa quella spagnola, danno molto da riflettere agli spiriti equi, che non vogliono lasciarsi prendere dalle passioni del momento. Circa la guerra abissina Pio XI nel discorso del 27 agosto 1935 e nella susseguente mise au point del]' Osservatore itomano, precisò la dottrina cattolica sia nell'ipotesi di una guerra di difesa (che non deve eccedere i limiti giusti), sia nell'ipotesi di una guerra di conquista (che sarebbe un'aggressione), sia circa i bisogni di espansione (che non creano un diritto). , Ma perché queste idee (dette, è vero, con prudenti attenuazioni di forma, ma chiare e precise nella loro sostanza) non fecero stato come si dice, cioè non crearono un'opinione pubblica adeguata, ne presso i cattolici, italiani o esteri, ne presso gli avversari della guerra abissina? Due le ragioni: una prima, che la grande stampa e le agenzie favorevoli a Mussolini evitarono di mettere in luce il pensiero di Pio XI, il quale, del resto, non voleva prendere posizione durante le trattative a Ginevra. Secondo, perche i cattolici di destra per motivi extra-religiosi si diedero a favorire Mussolini contro la Società delle Nazioni e i cattolici e il clero italiano, vescovi compresi, furono trascinati dal sentimento nazionale e dalla preoccupazione di non creare un dissenso insanabile tra fascismo e chiesa. Gli altri, i cattolici stranieri detti di sinistra e molti al di fuori della politica, ma preoccupati del problema morale che veniva creato in Italia, furono contro un'impresa che aveva tutti i caratteri dell'aggressione (5). Quando Pio XI (inaugurando l'esposizione della stampa in Vaticano) ebbe frasi di congratulazione per la pace vittoriosa dellYItalia, molti se ne dolsero. Era evidente che Egli non intendeva con quelle parole (che forse andarono piii in là del suo pensiero) sanzionare una conquista ingiusta, ma solo riprendere un motivo a lui caro, quello della pace. Questa fu subito turbata con la rivolta spagnola. I1 Vaticano, dall'avvento della Repubblica nel 193 1 si era comportato come nei casi analoghi. favorevole al riconoscimento del governo spagnolo e aveva fatto conoscere ai cattolici che la migliore condotta sarebbe stata quella dell'adesione alla Repubblica, seguendo in ciò l'indirizzo di Leone XIII per la repubblica francese. Dippiu, si sperava che passato il governo in mano ( 5 ) Alcuni intellettuali cattolici francesi vicini a L'Aube, ad Esprit, e a Sept criticaron o l'impresa etiopica di Mussolini in un rilfanifesro per la Giusfiziae la Pacew pubblicato i l 19 ottobrc 1935 sulla Vie catholique(cfr. R. REMOND, Il fascismo visto dalla cultura collolira fraricese. in itfodernisrno.fascismo e comunismo, a cura di G. Rossini, il Mulino. Bologna 1972. pp. 412-4).
a elementi moderati e cattolici, si arrivasse ad un concordata o ad un modus vivendi, per eliminare le difficoltà create dalla legislazione anticongregazionista, fissata in parte nella costituzione. Scoppiata la rivolta nel luglio 1936, di fronte ai massacri di preti e frati e agli incendi di chiese, il Vaticano protestò ma non ottenne, come sperava, una risposta del governo di Madrid e una sconfessione degli atti criminali commessi dalla folla. Il culto fu sospeso, i vescovi e preti fuggirono; Franco si proclamo difensore della religione, ma la nunziatura restò a Madrid in attesa. Il papa nel settembre 1936 fece un discorso tutto paterno: ricordò i pericoli degli eccessi di difesa e volle che la preghiera non mancasse per gli offensori della fede. Allo stesso tempo I' Osservatore Romano mise in chiaro i termini della posizione cattolica di fronte alla rivolta prima e alla guerra civile dopo. Perché tanto le parole del papa che la messa a punto dell' Osservatore Romano non ebbero nessun effetto presso i cattolici spagnoli ed esteri ne presso la stampa dei due lati? Lo stesso fatto che avvenne per la guerra abissina si ripete per la guerra spagnola. La grande stampa, le agenzie, la propaganda, di qua e di là, s'impadronirono del problema, spingendolo sui bordi della passione politica, internazionale, cattolica e anti-cattolica. I1 Vaticano sembrò distaccato dalla vita umana agitata e trasbordante. Certo la Santa Sede lascio ai vescovi spagnoli intera la iniziativa cosi come la lasciò ai vescovi italiani durante la guerra abissina. Lo stesso che accadde durante la grande guerra, quando i vescovi tedeschi tentavano di giustificare il loro governo, e i francesi si affermarono solidali col proprio. E' questo il grave problema della chiesa durante le guerre moderne, che assumono un aspetto di moralità propria, e si pongono al di sopra della morale unica e universale, quella cristiana. Né Benedetto XV ne Pio XI hanno risolto tale problema, e l'ambiente cristiano non ci sembra ancora maturo perché il nuovo papa lo risolva e lo faccia risolvere da un concilio. Ci vorrebbe un'organizzazione internazionale d'ispirazione cristiana, che accettasse il principio che solo la guerra di difesa da un'aggressione in atto può essere ritenuta giusta e meritevole dell'adesione del clero e dei fedeli. Si sperava nella Società delle Nazioni e nel patto Kellog, come inizi di una nuova era riguardo alle guerre; ma proprio la guerra abissina e il congegno delle grandi democrazie inglese e francese, han mostrato come sia lungo il cammino per rifare una civiltà moderna, in un mondo agitato dalle ideologie totalitarie, nazionaliste e razziste, bolsceviche e socialiste, nel quale d i stessi cattolici non hanno il coraggio, che domandava Etienne Gilson, di disimpegnarsi da ogni ideologia mondana per affermarsi integralmente cristiani nel loro Spirito e nelle loro azioni. I papi ci danno i loro insegnamenti; ma come nel campo sociale, dalla Rerum Novarum di Leone XIII (1891) ad oggi le realizzazioni cattoliche sono state limitate e contrastate, cosi nel campo internazionale gli insegnamenti di Benedetto XV e delio stesso Pio XI, per divenire sangue del nostro sangue, debbono passare con lunghi sforzi neiia dura esperien-
za della vita mondana. Beati coloro che sanno resistere, lottare e testimoniare la verita. Pio XI con le due encicliche e un gran numero di allocuzioni resta un maestro e un testimone della verita, anche quando i suoi insegnamenti sono stati misconosciuti e dimenticati come quelli precisi e importanti sul diritto di rivolta del marzo 1937 (in piena guerra civile di Spagna) nell'enciclica diretta al Messico (6). Chi non vuole intendere, non intenda.
Per una rivista di politica l'interesse principale dell'attività di un papa si rivolge ai problemi dei rapporti fra la societa spirituale e la societa temporale. Ma chi va oltre il succedersi degli avvenimenti strettamente politici, e riflette quale massa imponente di valori culturali e morali contenga il cristianesimo, e come di tali valori sia impregnata tutta la civiltà occidentale, della quale noi facciamo parte, non può fare a meno di interessarsi agli altri aspetti dell'attività di un papa. Pio XI, in diciassette anni di pontificato, non cesso un momento dal lavoro e dalle iniziative più disparate. Nel campo della cultura scientifica, storica, bibliografica, egli continuò la munificenza papale, amplio la biblioteca vaticana, la specola, gli istituti scientifici; diede ordinamenti ai seminari e alle università cattoliche, istitui una accademia pontificia (trasformando l'antica) che accoglie, senza distinzione di religione e di razza, i migliori scienziati del mondo. Nel campo dell'unione delle chiese e delle missioni, le sue iniziative sono state improntate a larghezza di vedute e a modernità di metodi. I1 museo missionario del Laterano ha un'importanza scientifica di primo ordine. Fra tutte le iniziative strettamente ecclesiastiche e organizzative, non può non farsi cenno de!l'azione cattolica, che egli definì nla pupilla dei suoi occhi)).Egli non aveva inventato questa forma di attività laicale nel campo religioso. La chiesa desto sempre questa specie di apostolato laico, secondo le esigenze dei tempi; così nella metà del secolo scorso sorsero associazioni di laici cattolici, studentesche; operaie, borghesi e simili, al doppio scopo di una preservazione personale dal laicismo e dalla miscredenza diffusi nella societa e di un apostolato presso le masse con i metodi moderni di associazione, stampe e simili. (6) Nell'enciclica Firrnissimam constantiam (28 marzo 1937) rivolgendosi ai vescovi messicani Pio XI aveva dichiarato .che nel caso in cui i poteri costituiti combattono la giustizia e la verita al punto di distruggere i fondamenti stessi deiia verita, non si vede come si possa condannare il fatto che i cittadini si uniscano per difendere la nazione e per difendere se stessi con mezzi leciti e appropriati contro queiii che abusano del mezzo politico per condurre i popoli alla rovina. (cfr. La docfrine sociale de I'Eglise ci travers les siecles, per Arthur F. Utr Herder-Beauchesne, Parigi 1970, tome 11, pp. 1672-1674).
Fu detto che cosi si formava un clericalismo che voleva fare ostacolo al progresso moderno. Ma il vero clericalismo era effetto non di associazioni aperte, spirituali, conquistatrici del mondo studentesco, operaio e agricolo; bensi di cricche borghesi, di conservatori arretrati, di politicanti reazionari. La vera azione cattolica diede luogo a due grandi movimenti di massa: la democrazia cristiana della fine del secolo scorso e il popolarismo del dopo guerra. Ma per l'avvento del totalitarismo statale, l'azione cattolica negò ogni parentela con tali movimenti, dovette persino abbandonare le organizzazioni sociali, sindacali cattoliche, per lasciare ai corporativismi e sindacalismi statali o di partiti (fascisti e nazisti o patriottici alla maniera di Dollfuss e Salazar) ogni monopolio e mettersi dietro la trincea della pura religiosità apolitica. E' quel che fece Pio XI, trattando l'azione cattolica come una branca ecclesiastica e facendola entrare negli articoli dei concordati con i vari stati compresi l'Italia e la Germania. E' vero che, di fronte alla invadenza totalitaria, la chiesa non ha potuto salvare, in Germania, nemmeno le scuole confessionali, in Italia né le organizzazioni sportive cattoliche, ne i centri nazionali di azione cattolica, né I'autonomia degli studenti cattolici obbligati a iscriversi ai vari Guf, e cosi via. Ma ciò non ostante, s'e potuto mantenere, fra i soci dell'azione cattolica e la gerarchia, un contatto attivo con un ritmo religioso, una personalità propria che, nel conformismo politico-culturale e morale verso lo stato totalitario, rappresenta ancora un principio di autonomia e di liberazione morale. E di ciò dobbiamo essere grati agli sforzi di Pio XI, che non ha cessato di insistere fino all'ultimo momento, a difesa dell'azione cattolica, presso vescovi e parroci, per intensificare ogni attività, svilupparla ed estenderla dappertutto, perfino in paesi di missione, come un apostolato religioso. Pio XI lascia una grave eredità al suo successore (che prendendo il nome di Pio XII vuole esserne un continuatore), quella della difesa dei valori della civiltà cristiana minacciata da un'ondata di materialismo economico e da odii e orgogli di razza e di potere, rappresentato dai tre totalitarismi: il russo, il germanico e l'italiano, con tutto il corteggio delle imitazioni degli altri paesi, dal rexismo belga al falangismo spagnolo. Egli lascia, pertanto, un insieme di encicliche e di allocuzioni dalle quali viene fuori contro il totalitarismo una dottrina imperitura; egli lascia nell'azione cattolic~un'organizzazione iniziale importante, che dovrà trovare la sua struttura definitiva, secondo i diversi paesi e i diversi bisogni dell'apostolato cattolico; egli lascia un'esperienza concreta, nelle varie fasi di favori e contrasti, dell'azione del papato all'inizio della grande crisi totalitaria, che pesa oggi sul mondo. Ma la chiesa continua: e il nuovo papa avrà avanti a sé un compito ancora più arduo, se il conflitto di ideologie e di interessi, che investe
il mondo, ci porterà ad una nuova guerra. E anche se la guerra sara evitata o rimandata, la crisi politica ed economica dell'oggi ha tali aspetti morali e religiosi che il papato non può rimanerne al di fuori, ma dovrà parteciparvi con tutto il peso della tradizione e dell'autorità di venti secoli di cristianesimo.
PIO XII (*)
Londra, 8 marzo 1939 Sembra evidente che il conclave, scegliendo con tanta celerità il cardinal Pacelli ( i ) , abbia voluto affermare la continuità di indirizzo con Pio XI; e che il cardinal Pacelli prendendo il nome di Pio XII abbia avuto l'intenzione, non solo di rendere omaggio alla memoria di chi lo scelse segretario di stato e lo nominò camerlengo di Santa Chiesa, ma anche di dimostrarne la solidarietà di governo. Per un secolo si è avuto in Vaticano una specie di governo alternato: due correnti di opinione si sono succedute l'una all'altra. Non che ci fossero fra l'un papa e il suo successore contrasti di programmi o di idee: la chiesa vive dell'insegnamento e della permanenza vivificante di Gesù Cristo e della presenza dello Spirito Santo. Ma i governi papali hanno quel lato umano che non è possibile evitare, che riceve l'impronta propria di ogni papa. Pio IX debuttò liberale, mentre Gregorio XVI era stato antiliberale: Pio X accentuò il lato conservatore mentre Leone XIII aveva accentuato quello sociale e democratico; e così di seguito, non solo nel campo della vita politica, ma in tutti i campi dell'attività e governo di un papa. Pio XII attenuerà la posizione presa dal predecessore sul nazionalismo. razzismo e antisernitismo? Dal punto di vista teorico la questione non può neppure essere posta. Non vi può essere conciliazione fra una concezione pagana della vita e quella cristiana. Cosi non sara possibile ritornare sulle direttive date da Pio XI alle università cattoliche e ai seminari coli la circolare del 13 aprile 1938 contro le suddette teorie, né cancellare quel che è scritto nelle encicliche Non abbiamo bisogno e Mit Brc~~rrlrlr(lc~iSoyye ( 2 ) . Puhblic;ito su I.tr 7Crrc. IValloririe, Bruxelles, aprile-maggio 1939. L'clclionc ;il soglio pontificio del cardinal Pacelli avvenne il 2 marzo 1939. ( 2 ) L'enciclica. ,%li/Brcririerickr Sorge. emanata da Pio X1 nella primavera del 1937 contcneva una severa critica delle teorie razziste ed una energica protesta per le violazioni del concordato da parte del governo na7istn in Germania (Cfr. G . Li \\ 1 op. cit.. pp. 228 39). (*) ( I)
Ma dal punto di vista dell'accentuazione pratica, forse avremo qualche pausa. qualche sosta da parte del nuovo papa. C'è uno stato psicologico diverso fra chi si crede agli ultimi giorni del suo pontificato e della vita e vuole compiere fino all'ultimo il suo dovere di primo testimone della verità e di maestro dei fedeli, e l'altro che ha avanti a se un nuovo periodo (più o meno lungo) e quindi, umanamente parlando, con il tempo :i sua disposizione. Il primo discorso di Pio XII e da ritenersi come caratteristico: egli lo ha pronunziato il 3 marzo ai cardinali ancora in conclave dopo la cosidetta ((terza adorazione)). Egli parlò della pace, per la quale tanto lavorò il suo predecessore; e la sua è stata l'esortazione alla pace cristiana ((coinefrutto di carità e di giustizia)),«pace nella coscienza di ciascuna anima», ((pace nelle famiglie unite nell'amore di Cristo)),«pace fra tutte le nazioni nella fratellanza, l'aiuto reciproco, l'amichevole collaborazione C la cordiale comprensione di tutta la umana famiglia sotto lo sguardo e la protezione della Divina Provvidenza». Con queste parole il suo appello a tutti i capi di stato ha avuto un significato di cristiana e umana benevolenza per tutti senza distinzione politica. Pio XII ha una conoscenza tale dei problemi dell'ora presente in tutto il mondo, e un'esperienza personale dell'amministrazione vaticana che, da questo punto di vista, non poteva trovarsi uomo più preparato di lui. Uno dei tratti piu interessanti della sua personalità e quella specie di candore infantile. che lo faceva amare dai suoi maestri e superiori, insieme ad una penetrazione sicura dei problemi e ad una decisione ferma delle risoluzioni. Qualche volta si direbbe che in lui prevalga insieme il critico che vede: in tutto il buono e il cattivo della realtà e l'uomo di governo che cerca la conciliazione di quei frammenti di bene che la realtà, nel suo momento concreto, ci presenta invece come opposti e irreconciliabili. Ma elevandosi al disopra della contingenza terrena, passa a quella che i filosofi potrebbero chiamare rivoluzione trascendentale: non al compromesso pragmatico, ma e al valore superiore che fa appello. Questo e non altro può essere la scelta del pontefice massimo come è la scelta dell'apostolo e del profeta. Così il pontefice avrà in lui la presa del diplomatico e il diplomatico servirà al pontefice. Per quanto notevoli le qualità diplomatiche del cardinal Pacelli, egli in tutta la sua vita le ha sempre unite a quelle eminenti di sacerdote, perché soprattutto egli e stato sempre un sacerdote della verità. I suoi scritti, i suoi discorsi, i suoi atti, la sua vita ne sono testimonio. Nella ben nota lettera che egli come segretario di stato scriveva al presidente delle settimane sociali dei cattolici francesi nel luglio scorso, vi e questo caratteristico passaggio: «On devra dire avant tout que 1'Etat est d'autant mieux organise que la cooperation des citoyens au bien commun se realise avec un plus grand respect et un plus grand accroissement des qualites propres de I'homme, car l'ordre civil n'est pas celui de la tyrannie et de I'esclavage, qui privent les membres du corps social
des droits propes de la nature humaine, ou bien quin en règlent I'exerciser se telle sorte qu'ils font du citoyen un simple instrument de l'autorité despotique)). Non si tratta di semplice filosofia umana; c'è in queste linee la più grande tradizione cristiana. Questa tradizione oggi ha un ruolo immenso nell'opinione pubblica mondiale. Anche le correnti non cattoliche o fuori del tutto dal cristianesimo ne vedono con compiacenza l'influsso benefico nell'affermazione e difesa di quelle verità fondamentali cristiane che sono a base della nostra civiltà. Nella crisi presente tale riaffermazione e difesa da parte della chiesa cattolica e divenuta urgente. Nei conflitti mondani la parola non e riservata alla ((scienza»(come si credeva infantilmente), né al «progresso» (ch'era divenuto fino all'anteguerra una fede laica); come non è alla «razza»o alla «nazione»che oggi si celebrano e adorano. Bisogna rifare i valori morali dell'umanità. Ridare la pace al mondo non è il gioco di compromessi politici; occorre invece creare una solidarietà umana e civile fatta di comprensione e di amore. Nell'ondata di odio fra le classi, le nazioni, le razze, la parola amore, che Cristo portò come fuoco dal cielo, è la parola unica che può riorientare il mondo. Questo fu il leit-rnotii, del discorso del cardinal Pacelli (allora legato pontificio e oggi papa) alla chiusura del congresso eucaristico di Budapest: l'amore-carità. ((Questoamore - egli diceva - deve essere anzitutto sentimento. moto intimo del cuore. volontà decisa e luneimirante. Ma , sprigionarsi, giorno per dalla volontà 'silenziosa, nota solo a ' ~ i odeve giorno, ora per ora, l'opera amorevole che nelle piccole e nelle grandi unità della società umana, frena e vince i contrasti, gli istinti, l'egoismo)) (L 'Osserilatore Romano, 30 maggio 1938). Questa parola di amore non può essere altra ne diversa da quella detta da Cristo. Si rinnova di epoca in epoca questa parola creatrice, mentre gli uomini si rinnovano nella storia. Essa è la sola che puo far fronte a tutte le baldanze dell'orgoglio, a tutte le ingordigie dell'avarizia, a tutte le sfrenatezze dell'odio. Solo l'amore del prossimo, pari al comando dell'amore di Dio, potrà salvare l'umanità in delirio.
RAPPRESENTANZA PROPORZIONALE REFERENDUM E COSTITUENTE (*)
New York, 28 ottobre 1945 Uomini insigni come Croce, Orlando, Nitti e Bonomi hanno firmato un manifesto contro il sistema della rappresentanza proporzionale, proponendo che sia indetto un referendum popolare circa il tipo di legge elettorale che dovrà adottarsi per la nomina dei rappresentanti alla assemblea costituente (l). Essi assumono che la rappresentanza proporzionale abbassa la dignità dell'eletto, e toglie o diminuisce l'autonomia alla rappresentanza popolare. Per quanto possa essere rispettabile la loro opinione, essa non altera il fatto che paesi liberi come la Svizzera e l'Olanda non abbiano affatto sentore né dell'abbassamento della dignità, né della diminuzione dell'autonomia della rappresentanza popolare. Essi mostrano di credere che col sistema del collegio uninominale l'elettore scelga spontaneamente il suo candidato, e che l'eletto non abbia altri rapporti che quelli personali con il suo collegio. La storia della politica elettorale italiana, che essi conoscono per prova per più di mezzo secolo, è là a dimostrare che con il sistema del collegio uninominale le candidature erano il frutto naturale dell'organizzazione dei partiti di carattere locale o generale, e che quando mancavano i partiti a portata nazionale, era il ministero dell'interno a centralizzare la direttiva elettorale con i metodi che furono famosi sotto De Pretis e Giolitti (2). Se poi guardiamo i paesi classici del collegio uninominale: Gran Bretagna e Stati Uniti d'America, troviamo che i due grandi partiti sono così fortemente organizzati e i capi hanno tanto potere, che dubito se proprio non formino una specie di aristocrazia politica. Infatti più volte si è scritto e parlato, in tali paesi, di ((democratizzare))i partiti. (*) Questo articolo, del 28-10-1945, pubblicato su Italia libera, dicembre 1945, fu scritto durante il suo soggiorno americano. Sturzo infatti, a causa del pericolo crescente causato dai bombardamenti nazisti su Londra, dovette lasciare l'Inghilterra il 22-9-1940 per trasferirsi a New York dove giunse il 13 ottobre. Tornò in Italia solo il 6 settembre 1946. (Cfr. G. DE ROSA,Sfurzo, OP. cit. pp. 403-432, e L. STURZO,La mia battaglia da Nen, York, Garzanti, Milano, 1949). (1) Quando Sturzo scriveva queste righe l'Italia, da 5 mesi liberata definitivamen. dall'occupazion< nazista, era governata dal ministero Parri, rappresentativo delle forze politiche che avevano dato vita al CNL. Le discussioni fra i partiti in quel delicato momento della nostra storia civile avevano come argomento all'ordine del giorno la questione istituzionale e le elezioni, ormai imminenti, dell'Assemblea costituente. (2) Sono note le polemiche condotte da Sturzo contro quello che un altro meridionalista. G. Salvemini, aveva chiamato il wministro della malavitar, Giolitti, accusato di trasformismo, di corruzione e di non aver esitato a ricorrere ai amazzierin nelle competizioni elettorali che si svolgevano in Sicilia e in tutto il meridione (Cfr. L. STURZO,La battaglia meridionalisia, a cura di G. DE ROSA,Laterza Bari 1979).
I1 punto che sfugge di vista agli oppositori della r.p. è che oggi, in base al suffragio universale maschile e femminile, l'elettorato politico copre quasi i due terzi della popolazione di un paese, e quindi deve essere organizzato meglio di quanto non si facesse ai tempi del suffragio censitario o del suffragio ristretto, e anche del suffragio universale solamente maschile. I partiti organizzati suppliscono a questa necessità; ed è provato che le democrazie più stabili sono quelle che hanno partiti tradizionali meglio organizzati. In Francia e in Italia la borghesia, dopo avere tra la prima e la seconda metà del secolo scorso guadagnato il potere e anche tenutolo nobilmente, si spezzò in gruppi e gruppetti per spirito individualistico, per molteplicità di tendenze. L'entrata delle classi del lavoro e delle piccole classi medie nell'agone politico.non fu per tale borghesia salutare; essa non si riorganizzò né riaffermò le sue origini e la sua funzione in nome deiia libertà; si volse prima verso la reazione (stati d'assedio, colpi di stato e leggi eccezionali) e infine verso la dittatura (Mussolini e Pétain). I partiti liberali, che oggi rappresentano quel passato che ci frutto i primi saggi di vivere libero, non debbono far rivivere quel passato nelle sue forme superate, ma debbono riaffermarne lo spirito di libertà nella sua funzione creativa nella vita politica e il valore dell'ordine nel progresso sociale. Per far ciò debbono sforzarsi di rigettare il vecchio sistema di creare gruppi e gruppettini, come sembra che avvenga in Italia, e cercare di formare un solido partito liberale, dove le ditrerenze di uornini e di idee trovino all'interno il campo per quei sani dibattiti che precedono le mature decisioni, imitando così quel partito inglese che si chiama conservatore, ma che ha avuto nel passato e avrà nell'awenire una sua propria funzione progressiva nella tradizione viva e vitale della politica inglese. Anche noi in Italia abbiamo bisogno che sia ripresa la tradizione caratteristica del nostro passato; e questa non fu né socialista né democratica cristiana, ma liberale e mazziniana, perché liberale e mazziniano fu il risorgimento, che diede il carattere all'Italia una: liberali da un lato e repubblicani mazziniani dall'altro, senza restare fissi al passato, ma guardando all'avvenire, rappresentano oggi la continuità del Risorgimento. Questa deve oggi riaffermarsi per due ragioni: innanzitutto per superare lo iato formatosi nel periodo fascista, si che i giovani di oggi diano la mano ai giovani del periodo pre-fascista; poi perché i partiti maturati in questi ultimi cinquant'anni (socialisti e democratici cristiani, .e l'ultimo venuto alla grande ribalta, il comunista), non pretendano (come fece il fascismo) di cominciare con l'anno I: hic incipit vita nova. I cambiamenti anche rivoluzionari (nel senso giusto della parola) sono tanto più duraturi quanto piu si radicano nella vita perenne di un paese. I laburisti inglesi hanno atteso ventun anni dal primo loro esperimento di governo di minoranza, per ottenere una maggioranza dentro il sistema e la tradizione inglese. Ma essi non hanno buttato in aria nulla deiia stes-
sa costituzione. Per avere più voce nella camera dei Lords si contentano di entrarci con la nomina di un certo numero di baronetti presi tra le loro file, come c'erano entrati Snowden e Sidney Webbs nel passato. Ma per far ciò ci vuole quell'attaccamento popolare alla tradizione che solo partiti stabili ed efficienti possono creare, come han fatto per secoli i tories e i whigs (conservatori e liberali) inglesi. In Italia si sente il bisogno di rivivificare il passato e orientarlo verso l'avvenire; perciò e da augurare che tanto il partito liberale (senza le incrostazioni di fasi superate quale il laicismo anticlericale) quanto quello repubblicano (veramente mazziniano) si presentino alla ribalta politica come partiti forti ben organizzati e con larga rispondenza nel popolo. Se questo non fanno, o se il popolo non risponde a loro, qualche cosa della tradizione italiana dovrà passare ai partiti più giovani, e certo passerà.
I firmatari del manifesto antiproporzionalista propongono, come si e detto, un referendum popolare per decidere sul tipo di legge elettorale (3). I1 ricorso al referendum seduce molti; vedo in un articolo del prof. Guido Gonella direttore del Popolo (4) (il cui parere in materia e quello di un tecnico oltreche di un uomo politico) mettere avanti l'esempio francese, che chiamò il corpo elettorale a decidere sul carattere della costituente e sui rapporti fra costituente e governo. Arrivati a questo punto, mi sembra necessaria una digressione sul carattere e i poteri dell'attuale governo italiano, tanto più che la proposta di Croce e altri e le osservazioni di Gonella coincidono con le critiche di Salvemini e quelle di Pacciardi, che non riconoscono all'attuale governo il carattere di rappresentante di fatto (e pertanto legittimo) del popolo. Lo stesso Gonella scriveva il 16 settembre scorso: «Ha provveduto a tutte un governo che non si sa qual volontà popolare esattamente esprima». (3) 1 liberali chiedevano che anche i poteri della Costituente e la forma istituzionale fossero ambedue decisi da un referendum. Le sinistre invece volevano che i poteri della Costituente fossero precisati dal governo e che la scelta istituzionale fosse riservata all' assemblea. La soluzione a cui si giunse, anche per l'opera mediatrice di De Gasperi, fu un compromesso che accettava la tesi liberale, cioè il referendum, per la soluzione del problema istituzionale e la tesi delle sinistre per la determinazione dei poteri della Costituente. Sul contrasto fra Sturzo, di orientamento decisamente repubblicano e De Gasperi che, piu preoccupato di non dividere i cattolici, voiie per la D.C. un atteggiamento aneutrale~cfr. G. DE ROSA,Sturzo OP. cit. pp. 439-447. Sturzo considerò un rpasso pericolosor la decisione di sottoporre a referendum popolare la scelta per la monarchia o la repubblica. (4) ai1 Popolor riapparve nelle edicole, dopo diciannove anni di forzata assenza, il. 6 giugno 1944.
A me sembra che il governo uscito dalla coalizione dei partiti sia quello di Salerno dell'aprile 1944 ( 9 , sia quello di Roma del giugno 1945, attraverso le vicissitudini del momento, pur essendo un governo di fatto, debba considerarsi come rappresentante della volonta popolare, tutte le volte che, mantenendo il suo carattere provvisorio, raccolga i consensi della maggioranza dei partiti coalizzati e trovi l'adesione dell'opinione pubblica. Non mi sembra che questa tesi possa essere invalidata, sol che si consideri essere di diritto naturale che un popolo abbia un governo, e che, nel caso non possa per cause esterne e gravi averlo nelle forme legittime e tradizionali, ne improvvisi uno o implicitamente riconosca quello che e stato improvvisato dai più volenterosi e che si presenta come il piu prossimo alle sue approvazioni. Taparelli ( 6 ) afferma che chi può, in tali momenti, esprimere la volonta di governo, ne ha il diritto temporaneo in quanto polarizza la volonta elementare del popolo, sia che non contrasti sia che vi aderisca. Questa è anche la teoria di Taparelli tradotta in termini correnti. I sei partiti non ebbero investiture ne da Dio né dal popolo; ne dal re ne dagli alleati; si trovarono insieme a collaborare nel periodo della resistenza sotterranea, e avendo marcato da tempo la loro opposizione al fascismo, emersero come forze vitali alla caduta di Mussolini. Se avessero potuto prendere allora il potere, si sarebbero evitati gran parte degli errori del tragico periodo luglio-settembre 1943, per non parlare di quel che successe dall'ottobre 1943 all'aprile 1945. Quale altro partito si presentò allora alla ribalta e si dichiarò pronto a prendere in mano il governo? L'unico altro partito vivente era il repubblicano, che nel mezzogiorno e nelle isole allora liberate non aveva che poco seguito, e che, in ogni caso, si era messo da sé fuori dell'arrengo per la pregiudiziale repubblicana. I monarchici si sono organizzati posteriormente e neppure oggi presentano programma chiaro, nomi popolari e organismo di parte alla luce del sole. Essi stessi non pretendono di essere oggi l'espressione della maggioranza del paese, né da soli, ne insieme ad alcuno dei partiti, che non ha mai mostrato la voglia di allearsi con loro. In conclusione. sino alla verifica popolare, i sei partiti di governo sono di fatto i depositari morali e politici della volontà del popolo, e quindi hanno il dovere di adempiere a tale presente mandato, fino alla prima verifica elettorale. ( 5 ) Si tratta del secondo Ministero Badoglio (22 aprile 1944 - 8 giugno 1944) che, forte della collaborazione dei partiti del CLN. governò provvisoriamente I'ltalia ancora non completamente liberata dalle truppe nazi-fasciste. Prima del governo presieduto da F. Parri (l'armatosi il 20 giugno 1945) si erano succeduti due ministeri Bonorni. ( h ) Luigi Taparelli D'AzegIio ( 1793- 1862) gesuita, redattore della *Civiltà Cattolicaw insiemc con Matteo Liberatore. guida intellettuale del movimento cattolico soprattutto ncllii sila componente intransigente. Come ha documentato G . De Rosa, sul giovane Sturzo influi notevolmente quella scuola neo.tomista della quale i due citati pensatori c;ittolici riirono maestri autorevoli. (Cfr. G . DE ROSA, Sturzo, pp. 41-44).
La verifica più naturale della volonta collettiva e quella del voto per le elezioni politiche. Una indiretta e temporanea verrebbe dalle elezioni amministrative. Qui sorge il primo problema: ha il governo provvisorio diritto di indire le elezioni politiche? con quale sistema elettorale? I suddetti antiproporzionalisti introducono a questo punto la proposta del referendum, perché contestano al governo il potere necessario per approvare la legge elettorale. Data la premessa che il governo provvisorio rappresenta legittimamente la volontà popolare, nel periodo transitorio e a-costituzionale, la proposta del referendum qui dev'essere intesa solo come un mezzo di, scelta, e non mai come una necessità legislativa che, per una riserva esplicita o implicita della volonta popolare, leghi il governo a priori., Dato quindi il suo carattere opzionale, il governo ha la possibilità di sentire l'opinione pubblica sia attraverso l'assemblea consultiva, sia attraverso i partiti politici coalizzati e gli altri fuori della coalizione, tanto sul tipo della legge elettorale che su altre circostanze che riguardano le elezioni politiche (se prima o dopo quelle amministrative, se subito o dopo che le provincie sotto controllo alleato siano liberate, e dopo che la maggior parte dei prigionieri siano ritornati, e simili altre questioni). A me sembra da escludersi il referendum popolare per la legge elettorale per due ovvie ragioni: primo, perché non mi sembra il caso di improvvisare l'applicazione di un istituto come il referendum, che e uno strumento delicato il quale può recare buoni o cattivi frutti a qualsiasi democrazia avanzata (ricordiamo che non esiste né in Inghilterra né in America); secondo perché sui punti fondamentali della legge elettorale: suffragio universale maschile e femminile, segreto e libertà di voto, giustizia elettorale, tutti sono d'accordo: la discussione e solo sul dato tecnico, che non può essere oggetto di referendum ma di studio di competenti. Si dirà forse da qualcuno che proporzionalisti o uninominalisti sono dati politici prima che tecnici, ma costui non considera che il dato politico della legge elettorale, per l'elettore che risponderà al referendum, sarà lo stesso del partito che egli avrà scelto. Non credo che gli antiproporzionalisti vorranno dare un premio politico a coloro che fin oggi fanno gli assenti, gli indifferenti, quelli che aspettano di vedere il vento che spira, i profittatori delle crisi e tutti quegli altri che rifiutano assumersi delle responsabilità nel momento che la patria domanda attività e decisione.
L'idea di indire un referendum preventivo, se o no convocare un'assemblea costituente, oggi in Italia non avrebbe più senso, datqche governo, partiti, comitati di liberazione, opinione pubblica, sono già convinti che non c'è altro modo di uscire dal vicolo cieco nel quale si sono messi (O sono stati messi) nei riguardi del problema istituzionale.
E se la Francia, che in fin dei conti non ha sofferto che quattro-anni di occupazione straniera e il cui governo semi-totalitario ed equivocamente traditore ha piu o meno lasciate intatte le stesse classi politiche e gli stessi istituti dell'anteguerra, arriva a decidere una costituente con il 97 per cento dei voti favorevoli, l'Italia, che ha avuto ventun'anni di dittatura fascista, la sconfitta, la caduta delle vecchie istituzioni, la crisi monarchica, l'occupazione alleata e già due anni di governo provvisorio, ha pieno diritto di rivedere a fondo la sua consistenza politica e di rinnovare i suoi istituti. Questo e tanto evidente, e l'attesa della costituente è tanto acuta, che qualsiasi referendum in materia non solo sarebbe superfluo, ma addirittura un errore politico.
Resta, infine, la piu scabrosa delle questioni, sulla quale mi sembra che il dibattito in Italia sia stato largo fra i governi di diverse tendenze, circa i poteri della costituente, suoi limiti, suoi rapporti con il governo di fatto durante il periodo dell'elaborazione del testo della costituzione. La proposta di Gonella di imitare l'esempio francese non sarebbe da scartare, a condizione di non dar luogo ad un voto equivoco circa il problema monarchia o repubblica. Chiedendo all'elettore di decidere se il governo attuale debba continuare a legiferare e ad amministrare durante i lavori della costituente, si deve supporre che il voto potrà essere tanto favorevole che contrario. L'implicazione in tale voto del problema monarchia o repubblica, per quanto si voglia evitare, sara sostenuta da quei partiti che sono per la tesi che una volta nominata la costituente essa sara sovrana e nessun altro potere starà in piedi che non derivi da essa. In una parola, secondo essi, nominata la costituente dovrebbero cessare luogotenenza e governo dei sei partiti insieme al compromesso derivante dagli accordi con la commissione alleata. Mi sono già pronunziato (7) contro un referendum monarchia e repubblica precedente e limitante la costituente; a maggior ragione sono contrario a qualsiasi formula di referendum che implichi indirettamente lo stesso problema. Circa poi i nostri rapporti con gli alleati, dato che anche oggi e in vigore l'armistizio con le sue clausole segrete, per molto tempo (a parte ogni altra considerazione) e doveroso non tagliare i ponti ne disarmare i vascelli. Io non ammetto che gli alleati possano avere voce ne influire sull'assemblea costituente, ma ritengo (e credo essere nel vero) che essi non vogliano che prima della formazione definitiva del testo della costituzio(7) 11 Mondo, settembre 1945
ne si alteri la presente situazione governativa, derivante dal compromesso del1:aprile-giugno 1944 (8). Si può discutere se il compromesso fu necessario, se fu utile o piuttosto dannoso; ma tale discussione non muta lo stato di fatto. Esso può cadere o per la cessazione totale del regime armistiziale, o per denunzia di una delle parti. I sei partiti della coalizione possono denunziarlo, anche prima del trattato di pace o della concessione della pace provvisoria, ma sono essi che debbono considerarne le conseguenze e assumerne la responsabilità; non mai addossarla al corpo elettorale, attraverso un referendum sui poteri della costituente che porti come conseguenza l'annullamento del compromesso. Nel dir ciò, io non difendo gli interessi della monarchia (tutti sanno che sono per la repubblica), ma difendo gli interessi del popolo italiano. Che se per caso, qualcuno pensi di volere il referendum per aver consolidati indirettamente gli interessi monarchici che causarono il compromesso, e perciò tenta di spingere la volontà popolare a dichiarare indipendente dalla costituente l'attuale governo di coalizione, farà un cattivo affare, perché costringerà il popolo a dare tutti i poteri, anche quelli del governo, alla costituente. Venendo alla conclusione: il mio parere sarebbe che il governo, intesa l'assemblea consultiva, adotti una risoluzione per la quale il compromesso raggiunto con gli alleati duri fino alla firma del trattato di pace nel caso che l'assemblea costituente non abbia in quel momento approvato il testo definitivo della costituzione; ma una volta approvato un tale testo (sia o no segnata la pace) il compromesso s'inte.nderà caduto, e la costituzione andrà in vigore. Se tale deliberazione sarà adottata (come e sperabile) all'unanimità, essa dimostrerà agli alleati che il governo e per esso il popolo, pur rispettando gli impegni assunti, vi assegnano un limite che risponde a ragionevolezza e alle stesse dichiarazioni alleate.
Ci sono gli imprevisti nella politica, ci sono anche gli imponderabili che spesso fanno la storia. Non ostante tutte le precauzioni e tutte le previsioni, si potrà arrivare a una svolta senza uscita e con dietro la folla. Che farà il Luogotenente se gli elettori invieranno all'assemblea costituente tre quarti o quattro quinti di rappresentanti che saranno dichiarati
(8) 11 compromesso che diede origine al 2 O governo Badoglio e al governo Bonomi nell'aprile-giugno 1944 riguardava la nomina di un luogotenente generale (Umberto di Savoia) in sostituzione di Vittorio Emanuele Il1 (che si ritirava cosi a vita privata) e l'impegno di rispettare tutte le clausole dell'armistizio firmato d a Badoglio e di non compiere. fino alla convocazione dell'Assemblea Costituente, atti che, comunque, pregiudicassero la soluzione della questione istituzionale. L'accordo fu il risultato dell'incontro fra i componenti del Comitato Centrale di Liberazione Nazionale, il maresciallo Badoglio e il capo della Commissione alleata di controllo, generale Mac Forlane.
in anticipo repubblicani? e che farà il governo? e che faranno gli alleati? lo penso che tutti e tre troveranno una nuova via per ciascuno d'essi, e non insisteranno a voler far vivere il famoso compromesso un giorno di più. lo penso che l'assemblea costituente dovrà fare il suo lavoro, quello di creare una costituzione veramente fondamentale e stabile, ispirandosi ai due criteri. quello americano, che la costituzione deve restare il saldo fondamento della nazione e che gli emendamenti ne dovranno sviluppare lo spirito e attuarne i principi senza deformarla nella sua struttura, e Ilaltro inglese che la tradizione che il popolo crea con la sua vita e continuità, e essa stessa lettera vivente che contiene tutte le lettere scritte anche le obsolete e le caduche, che potranno a tempo e a luogo rinverdire. Durante questo lavoro, che prima che politico è morale e prima che tecnico e spirituale, I'assemblea non dovrebbe scendere di livello e divenire arena di polemiche di vita quotidiana; lasci l'amministrazione ordinaria al governo che trova. In tal caso, pero I'assemblea costituente dovrà essere sicura che ne alleati. ne luogotenente, ne governo, lavorino contro le linee segnate dal corpo elettorale nella nomina dei propri rappresentanti, né creare stati di fatto pregiudizievoli all'applicazione totale e sincera della nuova costituzione.
IL PROBLEMA DELL'EDUCAZIONE NEGLI STATI UNITI E L'EDUCAZIONE UMANA (*)
L'educazione dell'uomo comune e quella dell'uomo colto hanno una stessa radice e molti lati identici. Sotto questo punto di vista tratteremo prima l'aspetto generale dell'educazione e nella seconda parte quello speciale del campo universitario. 1. L'educazione per tutti
E' da premettere che in un paese civile la scuola è il principale, non l'unico mezzo di educazione, ne essa e appartata dalla societa ma dentro la societa e ne rispecchia idee, tendenze e orientazioni; ne si sovrappone agli organi educativi ma li integra con i suoi mezzi specializzati e il suo lungo travaglio di insegnamento. Parlando di educazione dell'uomo comune, mi intendo riferire in pri(*) 11 lungo articolo, pubblicato su Beyagor, anno 11, n. 2, 5 marzo 1947, mentre l'Assemblea Costituente era nel pieno dei lavori appare un contributo di Sturzo alla discussione sul problema educativo-scolastico maturata in seno all'Assemblea stessa.
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mo luogo alla scuola, ,ma allo stesso tempo alla famiglia, alle chiese, all' ambiente delle comunità locali, alla stampa, alla radio, al cinema, ed altre attività integrative quali le opere sociali e di assistenza, in una.parola a tutto quel che direttamente o indirettamente contribuisce alla formazione infantile e giovanile. Varie le ragioni di simile approccio al problema educativo: prima fra tutte che l'uomo nasce, cresce e si sviluppa socialmente: non esiste né può esistere un uomo educato in segregazione: perderà perfino la nozione dell'uomo. La coesistenza umana è cosi necessaria all'esistenza individuale come e necessaria l'aria per respirare. I1 bambino acquista prima la nozione dell'altro da se - madre, nutrice, infermiera, il compagno o la compagna di giuoco - che la nozione di se stesso. Prima che il bambino arrivi alla scuola ha già subito un processo educativo (o antieducativo) i cui effetti non svaniscono facilmente. Certi insegnanti direttori e direttrici di scuole infantili ed elementari tendono a creare un dualismo tra la scuola e la famiglia, o tendono a sovrapporsi ad essa. Non esamino qui né i pregi e i difetti dell'educazione familiare, ne quelli della scuola. Fisso un punto: né sovrapposizione, n6 opposizione, ma cooperazione tra scuola e famiglia. I genitori che non sentono la responsabilità educativa vi debbono essere richiamati dalla scuola stessa, fino a stabilirsi (dove e come sarà possibile) un nesso educativo similare e a scopi comuni. Altrimenti l'alunno perderà in famiglia quel che avrà guadagnato nella scuola o viceversa, in quanto l'antagonismo dei due centri del suo ambiente sarebbero in contraddizione. I1 fanciullo, mano mano che apre la mente e il cuore alla vita di relazione, tende ad estenderla al di là della famiglia e della scuola, dei compagni di giuoco e delle conoscenze occasionali, e scopre nuovi orizzonti. I1 processo educativo si svolge fra due nozioni fondamentali: sé stesso e gli altri; e può essere prevalentemente egocentrico o altruistico. La società (che mano a mano si allarga alla vista del fanciullo) o è appresa con simboli di affettività e di simpatia ovvero con simboli di diffidenza e di ripugnanza. I1 se-stesso che si sviluppa colla conoscenza deii'altro, tanto più reagisce in senso egoistico quanto l'esterno è appreso come indifferente, estraneo e perfino ostile. Questo punto ha effetti di eccezionale importanza non solo nella formazione etico-pratica dell'alunno, ma anche nello sviluppo della conoscenza intellettiva e nei giudizi di valore che debbono guidarlo nella vita.
A questo punto occorre precisare uno di quegli aspetti dell'educazione moderna che sono decisivi. Nel campo positivista si sta arrivando a tali estremi educativi che non solo si cerca di attenuare ogni giudizio di valore (come inconsistente e arbitrario), ma persino di evitare ogni nozione a carattere ideale come
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virtù, giustizia, equità, moralità, libertà, finalismo e perfino volontà, pensiero, spirito e così via. Costoro accusano di apriorismo la tradizione intellettiva e spirituale sia del classicismo antico, sia del Cristianesimo, sia del razionalismo e dell'umanitarismo, e dicono di basarsi sull'esperienza psico-sensitiva. Ma sono essi a cadere in un apriorismo negativo, per il quale si assume come certo che non esista una base reale alla concezione etico-spirituale della nostra civiltà. In quanto le scuole pubbliche vanno sempre più orientandosi alle teorie e ai metodi del positivismo come oggi e inteso, l'educazione del fanciullo tende a essere ristretta a elementi psico-sensitivi e a trattamenti sperimentali (non di rado di carattere equivoco e con processi che possono danneggiare lo sviluppo infantile); mentre i giudizi di valore o vengono esclusi o sono lasciati senza base, piuttosto per tradizione, che per convinzione. Infatti usualmente sono espressi con una parola magica: «la maniera di vivere americana, o inglese o australianan, il cui carattere empirico si manifesta e si giustifica per la tradizione (buona e cattiva). I1 valore semi-assoluto che vi si attribuisce viene da un consenso artificioso ed esclusivista, che contiene implicitamente un giudizio farisaico: «io non sono come gli altria (i non-americani, i non-inglesi, i non-australiani). Dall'altro lato, anche quando il fanciullo non si rende conto del contrasto fra questa ambientazione fittizia e i valori etici che ancora sussistono nella società, l'effetto anti-educativo di tale contrasto si insinua nel suo sviluppo interiore come un verme che ne corrode insensibilmente la fibra. Se la società segrega i criminali o li mette a morte (i fanciulli apprenderanno .un giorno che vi e una sedia elettrica per gli assassini), questo fatto agirà nella mente del fanciullo allo stesso modo come quei racconti o quei films dove egli apprende che la virtù e premiata e la colpa e punita. Anche nel caso che né la famiglia né la scuola gli comunicheranno principi e sentimenti religiosi sta di fatto che il contrasto fra il metodo positivista e la concezione etica della vita tende a deprimere nel fanciullo i sentimenti altruistici e ad accentuare quelli egoistici facendo dell'uomo il fine di sé stesso.
Non si creda che si tratti dell'educazione morale dell'alunno come cosa a parte della sua formazione intellettuale e della pratica conoscenza delle materie scolastiche. Lo sviluppo delle tendenze altruistiche nel moderare l'egoismo innato desta quella simpatia comprensiva che è fondamentale per una piena conoscenza del mondo in cui viviamo, mondo di uomini e di cose, di idee e di fatti, di viventi (animali e piante compresi) e di materia da vivificare. E' fondamentale in una sana teoria della conoscenza che non si arriva a conoscere se non quel che si ama; quel che si odia si disprezza o si
trascura, quindi, non si conosce appieno; se ne conosce solo e non esattamente quel lato, vero o immaginario, per il quale si rigetta. Cosi e per tutti i rami del conoscere, teoretico e pratico. Lo sa l'alunno che apprende meglio quella materia che egli ama perché vi si sente inclinato o, pur non provandone attrattive speciali, l'ama perché l'insegnante gli fa simpatia o perché vi si e provato ed e riuscito o perché aspira a quella professione che esige la conoscenza di determinate discipline. In sostanza, egli trasporta la sua simpatia - sia pure inizialmente utilitaria o sentimentale - nella materia del suo studio; Cosi noi cerchiamo di conoscere meglio le persone verso le quali ci sentiamo inclinati per simpatia di idee, di sentimenti, di vita, mano a mano che aumentiamo i nostri contatti: mentre non c'interessiamo a quelle altre persone che restano fuori della nostra cerchia. Tutta la vita e selezione fra idee e idee, teorie e teorie, e nella pratica fra cose e cose, attività e attività, uomini e uomini. Non e solo l'intelletto che ci fa comprendere idee e fatti, cose e uomini, né solo la ragione che fa la selezione del vero dal falso, ma agiscono insieme aiutandosi tutte le facoltà umane che avvicinano, illuminano e rendono comprensivo l'oggetto della nostra attenzione, sia esso interno o esterno, astratto o concreto, materiale o spirituale. Cosi l'astronomo conosce le sue stelle verso le quali tende con affetto, e il giardiniere conosce le sue piante cui dedica le sue cure; se così non fosse, né il primo avrebbe certe intuizioni geniali che illuminano di tanto in tanto la scienza, né l'altro avrebbe quei frutti che la sua attenzione costante gli ottiene. La conoscenza comprensiva dell'uomo (individuo e società) e di prima importanza per il giovane alunno, perché tutta la sua vita si svolgerà nella e per la società, in un continuo contatto vicendevole con i singoli uomini ed i nuclei sociali. Se in tali contatti non c'e simpatia comprensiva, non ci può essere vera conoscenza e quindi neppure cooperazione. Invero, una delle cause delle profonde divisioni fra gli uomini sono i pregiudizi che infiltratisi per una o altra via, finiscono col velare la verità, alterare la comprensione, fissare gli stati d'animo. Chi ignora che tali pregiudizi hanno reso difficile in America e per lungo tempo i rapporti con negri, ebrei e cattolici? Purtroppo non solo non sono scomparsi, ma c'è chi li alimenta, nelle scuole o nella stampa, nella pratica sociale economica e politica. In generale questi pregiudizi sono nati dall'istinto di difesa per una paura originaria - piu o meno irragionevole .- tramandata attraverso le generazioni. Quanto più chiuse sono le comunità e alte ne sono le barriere, tanto più prevale l'istinto di difesa contro un nemico immaginario che anche poteva essere reale per il fatto che la reclusione lo faceva tale (1). (1) Cosi nacquero i ghetti ebraici e i serragli umani della poveraglia in certe grandi citta come Parigi ai tempi del Re Sole, certi quartieri della periferia delle grandi citta abitati da folle anarchiche, da ex-legge, bassifondi sociali impenetrabili, dove E bandita
I1 rifiuto di conoscere quel gruppo che si disprezza si qualifica o si discrimina nasce da ignoranza e da mancanza di contatti o di simpatia. I1 pregiudizio invade anche le scuole. Non mancano nel mondo deli'educazione coloro che sono afliitti dallo spirito di esclusivismo: per essi non sono da tenersi che le teorie, gli scritti, gli insegnamenti, la tradizione che essi abbracciano. I1 resto e roba da ignorarsi o disprezzarsi. Essi sono dei ciechi volontari che si rifiutano di vedere alcun bene negli avversari. Se nelle scuole si apprendesse non solo il precetto di amare il prossimo come noi stessi, ma il modo come intendere la societa in cui e per cui l'uomo si evolve e si realizza storicamente, e i mezzi con cui influire perche l'attività dell'uomo sia rivolta al maggiore profitto comune, allora l'alunno comprenderebbe assai meglio se stesso come uomo, la sua ragion d'essere, il momento storico nel quale egli vive, le prospettive di utilità comune e i mezzi per proseguirla effettivamente. Perciò dovrebbero far parte dell'educazione dell'uomo comune (donna compresa) la sociologia - scienza della societa in concreto -, la storia - processo dell'attività umana realizzata socialmente -, gli elementi di politica economica e di opere di assistenza, diretta ad accrescere il benessere sociale, Soprattutto occorre dare, lungo tutto il periodo educativo, la comprensione storica delle cose, che è da riguardarsi come la dimensione temporale della societa, e che dà il senso della realtà concreta quale essa è. C'è uno stato d'animo che bisogna combattere come pericoloso per l'educazione di un paese civile: il rifiuto della conoscenza storica, del proprio paese e degli altri, anzi dell'umanità. La societa e quel che la storia l'ha fatta; noi siamo quel che la storia ci ha fatto. Noi siamo piantati nella storia, come l'albero è piantato nella terra. Quando una popolazione o un uomo emigra in altro paese porta con sé un poco della sua terra, e lascia una parte di se nella sua terra: storia, lingua. cultura, tradizione. Il rifiuto di vedere il mondo di oggi come continua~ionedel passato e cosi bambinesco, come lo sforzo dei rivoluzionari francesi e dei fascisti italiani a segnare il calendario con l'anno primo. L'anti-storicismo di molti oggi deriva dal modo come la storia e usualmente presentata, successioni di guerre, di re e di generali, lotte di partiti senza significato attuale, politica estranea alle concezioni presenti, quasi nulla che possa interessare l'alunno. Peggio poi se della storia si vuol fare un libro di precetti morali, una specie di raccolta di fatti edificanti. La storia è il quadro dell'umanità: un misto di bene e di male. La storia vera non è solo quella detta politica; essa abbraccia tutta I'attivita umana: la religione e l'arte, la letteratura e la poesia, l'industria, il commercio e la scienza. la civilià perché e mancato il raggio dell'amore che guida l'azione sociale (Nota di Luigi Slurio).
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L'alunno apprende& la piccola storia delia sua scuola, deiia Chiesa che frequenta, del villaggio o città in cui vive. Saprà del suo paese; saprà l'origine della sua razza. Bastano pochi tocchi, che destano sentimenti gentili, di un passato di umanità che ancora vive nei ricordi delia piccola gente. E poi la storia della sua nazione e quelle degli altri paesi dai quali si trae l'origine o con i quali si hanno in comune razza, cultura, religione. L'approccio agli altri paesi, alle altre razze, al distinto e diverso anche all'opposto (il nemico religioso, politico o economico) che sia umano, razionale comprensibile: evitare il mito che qua ci siano gli angeli e là i diavoli, tutte le ragioni a noi e ai nostri, tutti i torti agli altri, agii avversari. L'eguaglianza umana ci assomiglia, la fratellanza umana ci avvicina, la comunione fra i simili ci fa comprendere reciprocamente. In sostanza, la storia ci dà il senso della relatività e della continuità, dell'interdipendenza dei popoli e delle loro creatività: ci dice come l'uomo ha superato e vinto gli ostacoli della natura e del vivere insieme; ci fa realizzare quale sia il valore della libertà e della moralità; quale sia stata nei secoli la lotta perenne per il bene, che è lotta per le grandi conquiste della civiltà. E' falso che la storia ci faccia pessimisti; la storia ci rende ottimisti perché ci mostra le enormi possibilità che gli uomini hanno ad intendersi. Chi sa leggere la storia vede che I'odio fra gli uomini è nato dalla paura e l'amore dalla conoscenza reciproca; I'odio dall'egoismo che segrega, e l'amore dall'altruismo che salda i contatti e li rende efficaci. Durante e dopo la guerra non c'è scrittore, uomo politico, insegnante che non ripeta agli americani: dobbiamo comprendere la Russia. E' naturale che sia così, perché la guerra ha portato gli Stati Uniti a contatto con la Russia ed ha fatto divenire la Russia un fattore necessario nella politica internazionale. Ma l'incomprensione non è fra il popolo russo e l'americano, che restano ancora cosi distanti come prima della guerra, ma fra i governi e le loro politiche, fra i mezzi di comunicazione: giornali, radio,'servizi di propaganda (e di spionaggio) - perché c'è una barriera che divide la Russia dal mondo occidentale, la barriera della paura. I1 popolo russo come tale è «incommunicando». storici, letterati, artisti, giornalisti potranno spiegarci la storia, le lettere, l'arte e il giornalismo russo; ma questo vale per la cultura. Quel che oggi e necessario è che coloro che fanno la politica la sappiano maneggiare in modo da attenuare o annullare la paura di un conflitto fra gli Stati Uniti e la Russia. Occorre anche in politica l'approccio umano che e basato sulla psicologia intesa come conoscenza dell'anima umana. Purtroppo, ecco il punto, l'indirizzo positivista ha dato alla psicologia un carattere strettamente sensitivo ed emotivo, dove non giocano più idee, principi, valori morali. L'americano medio ha una fede infantile nei suoi sistemi di psychol0gical walfare, ma ha perduto il contatto con le anime. L'impasto materiale di tale psicologia non penetra il mondo umano onde si disorienta alle reazioni del mondo europeo (Russia com-
presa), perché bene o male tale mondo conserva più efficienti le tradizioni del pensiero razionale e della spiritualità classica cristiana. Si crede che la Russia sia tutta atea, materialista, dedita al culto della scienza che ha sostituito quello deila religione tradizionale, perchi le manifestazioni giornalistiche, letterarie, politiche portano tale impronta. Nel fatto, le cose stanno assai diversamente solo che il popolo non ha voce, o la sua voce, che ha gli echi di dolori repressi, non è sentita dal mondo esterno. Se si conoscesse meglio la storia e si avesse senso storico nel trattare con la Russia, si vedrebbe che i metodi usati dagli uomini politici e quelli della stampa alternando concessioni e minacce e parlando con due mentalità diverse, aumentano il distacco e rendono ancora più diffidenti i popoli fra di loro, preparando le crisi del futuro. Questa stessa incomprensione mostrarono inglesi e americani in rapporto alla Germania nei periodi precedenti alla prima e alla seconda guerra mondiale. Quel che era evidente all'europeo medio, era incomprensibile all'inglese e all'americano medio. Le due guerre potevano evitarsi e non furono prevenute. Mancò, e manca anche oggi, quel senso storico e quell'atteggiamento di simpatia umana che rende possibile la comprensione reciproca e che da la base ai giudizi di valore e alle sane reazioni morali. Se l'inglese avesse avuto la generosità di far comprendere che era suo dovere morale oltre che politico di difendere il Belgio se aggredito, il Kaiser non provocava la guerra. Se l'inglese avesse tenuta fede alla Carta dell'Atlantico, avrebbe parlato un linguaggio comprensibile e identico tanto con l'India che con la Russia; invece l'inglese negò il valore della Carta per l'India - come se i principi etici avessero la loro validità per zone geografiche - e naturalmente non pote sostenerla nei riguardi della Russia. La barriera etica fu innalzata allora, ed e divenuta barriera psicologica per l'oggi e per il domani. Lo stesso vale per l'America, sia l'America isolazionista (e quindi antistorica) del periodo fra le due guerre, sia l'America di dopo la Carta dell'Atlantico, da essa violata a Casablanca, a Teheran, a Yalta e a Potsdam. La Russia politica giuoca lo stesso giuoco con più spregiudicatezza e allo stesso tempo penetra psicologicamente nelle masse europee e sudamericane col comunismo; l'America politica, al contrario, va creando attorno a se il vuoto perché nessuno al mondo è contento di quel che dice, di quel che fa e di quel che omette: manca reciprocamente la comprensione storica, la simpatia psicologica e la valutazione morale. L'economia, se tradotta in politica del dollaro, crea sospetti e non sviluppa amicizie. Lo sanno gli Stati Uniti nei loro rapporti con l'America Latina. Non solo la Russia, ma la stessa Europa è per l'America campo chiuso ed incompreso. E' perciò che l'americano medio va piegando su se stesso, alimentando i due sentimenti egoistici che lo amiggono: la complacency e la despondency.
Perché i giudizi di valore abbiano una consistenza, occorre appoggiarli ai principi. Senza principi non c'e giudizio di valore, in economia il principio è l'utile. Ma se fosse solo l'utile individuale, tale principio si risolverebbe in quello antisociale dell' homo homini lupus. I1 furto, in quanto porta un utile al ladro, sarebbe legittimo e la frode avrebbe per giunta una nota di lode per la capacità d'inganno che contiene. E' chiaro che anche l'uomo di affari deve avere un limite etico sociale alla utilità ch'egli cerca. Sicché quando egli, facendo un giudizio di valore decide a comperare una cosa o a fare una operazione in borsa, vi deve aggiungere l'altro dell'osservanza di quelle leggi etico-sociali, che proibiscono il furto o la frode. Così in politica, nella vita familiare e di amicizia, nella professione e nell'arte, c'è quell'elemento etico-sociale che ci agevola a fare un giudizio di. valore, che ci guida verso la verita e ci regola nella pratica. Storicisti, positivisti, agnostici sostengono che non ci sono principi assoluti nella condotta umana, perché la verità obiettiva o non esiste o è irraggiungibile, e la moralità - che ne dovrebbe derivare - non e che un modo di vivere trovato adatto secondo le condizioni pratiche di ciascuna razza, epoca e popolo. E' perciò che gli americani insistono sulla American way of life. Non e qui il caso di confutare un simile approccio al problema della verita obiettiva e dei principi etici, Chi nei comandamenti di Mosè non vede una morale unica per l'umanità può perfino negare che una moralità esista; in tal caso, che abbia il coraggio di negare che possa esistere un problema umano educativo, che superi il livello della educazione del cavallo, del leone o anche delle pulci. I1 punto interessante dell'educazione generale di un popolo e quello di renderlo convinto dei principi cui aderisce e, quindi, per quanto è possibile, fedele a tali principi. Altrimenti, né un popolo può formare una vera comunità, ne i nuclei umani potranno intendersi fra di loro, ne si potranno trovare punti in comune nella vita internazionale. Tutto si sterilizzerebbe e si risolverebbe nella crisi fondamentale dell'egoismo che porta al solipsismo, e dell'anarchia etica che crea il caos sociale. I1 punto fermo di partenza e la ricerca e l'adesione alla verita come vita e come bene. Sol che si pensi che cosa sia la vita complessiva dell' uomo (conoscenza-amore-attività) si troverà che la conoscenza va verso la verita come l'amore va verso il bene e la vita verso l'attività. Ma ancora un passo: o la verita si ama o perde, per noi, il carattere di verita; o il bene è vero o perde, per noi, l'essenza di bene; o l'attività realizza la verita e il bene nel concreto dei fatti ovvero si lavorerà a vuoto. Donde il senso di disillusione o di fallimento che ci pervade quando la realtà ci si rivela come un nulla. Griderà il sociologo e il psicologo positivista che le categorie di vero e di bene non esistono che nella nostra vuota cultura umanistica, e che la vita non è che sensazioni e reazioni nella loro accumulazione e scarica. Ma egli smentisce sé stesso quando
anch'egli eleva questa sua opinione alla categoria di principio, o di assioma, o di conclusione scientifica, che non potrà essere per lui una menzogna ne una finzione... ma la verita, proprio quella verità che egli crede sia utile alla società, e che perciò diviene un bene sociale, verso il quale sono da indirizzarsi gli uomini. Anche coloro che negano i giudizi di valore arrivano, per conseguenza, a fare i loro giudizi di valore, giudizi negativi dei principi etico-sociali fondamentali ed uguali per tutti e giudizi affermativi delle loro teorie derivate dalla indagine positiva come adattamenti pragmatistici. L'educatore che sceglie questa via dovra accettarne le conseguenze fra le quali quella della incomprensione generale, della instabilità sociale, delle crisi psicologiche, del caos politico; in sostanza del fallimento educativo. Molti vi risponderanno con Pilato: che cosa e la verita? ma costoro fanno pure come Pilato e voltano le spalle senza aspettare la risposta. Un'educazione basata sul dubbio, anzi sulla negazione della verita, non e un'educazione: e il fallimento dell'educazione.
2. L'educazione universitaria Passando all'educazione universitaria, occorre notare che includo in tale classifica ogni educazione di cultura specializzata, perfino I'astronomia o la matematica pura, l'archeologia o i'etnografia, come pure tutti i corsi preparatori alla educazione universitaria, quando sono ordinati a questo fine. Si discute e si discuterà sempre sull'abolizione della cultura umanistico-letteraria, comprendendovi in questa la conoscenza delle lingue greca e latina, della storia mediterranea e filosofia antica, semitico-egiziana e greco-latina. Ci saranno sempre i favorevoli e i contrari. Questo problema e legato al sistema di cultura generale. La differenza che se ne fa - tra l'educazione da dare all'uomo comune e quella della classe universitaria - e che il primo dovra conoscere quel mondo (da cui deriviamo gran parte delle nostre tradizioni e cultura) in modo rudimentale ed esplicativo, piuttosto per referenza: mentre l'alunno universitario dovrà, in tutti i casi, conoscere la storia, la cultura e la civiltà antica, senza la quale la nostra civiltà detta occidentale (e vi si comprende la cultura bizantina e slava) sarebbe incomprensibile. Il distacco dal passato e cosi innaturale, come se fosse possibile all'uomo d'oggi tagliare i rapporti biologici con le generazioni precedenti. I futuristi italiani volevano che si distruggessero musei e pinacoteche, biblioteche e monumenti; essi furono i precursori fanatici del fascismo. Invece, la scienza archeologica moderna scava e scava per riallacciarsi all'uomo di tre, quattro o diecimila anni fa e scrutarne le origini; mentre si raccolgono con suprema cura i resti dei monumenti danneggiati dalla
guerra e dove e possibile si rimettono a nuovo, come a rifare la più sacra eredità dei nostri padri. Non si va contro l'istinto: gli iconoclasti ci sono stati sempre nel mondo, come ci sono stati gli anarchici, i senza legge, gl'ingegni incoerenti e gl'innovatori fanatici. Data la cosi grande libertà della scuola americana, niente meraviglia se un giorno si troverà scritto in qualche scuola modernissima: èproibito conoscere quel che è accaduto più in la di mezzo secolo. L'alunno non sapra nulla di Washington, Lincoln, Jefferson; nulla dei pellegrini di Plymouth, nulla di Cristoforo Colombo. Vedendo una ,chiesa non sapra di quale stile sia, né di quale culto. La statua della Libertà non gli dirà nulla. Aprendo un libro - la Bibbia - non sapra né di Mosé, né dei Faraoni, né di Davide e di Saulle, né di Gesù e di Maria. I poeti americani inglesi, francesi? Gente ignota. Michelangelo e Leonardo nomi strani e insignificanti. Tale ((proibizionismointellettuale))non e esistito neppure presso i popoli antichi, dove il saggio, il prete, il medico, lo scriba, hanno avuto sempre un posto di onore, e dove gli annali del proprio paese erano posti fra i libri sacri, mentre si tramandava per tradizione orale non solo la storia e i detti dei saggi, ma ogni altra conoscenza ritenuta utile all'esistenza omogenea del paese.
Il punto interessante, per orientare l'educazione universitaria, e quello di precisarne lo scopo sociale insieme al fine personale dell'alunno. Che questi cerchi quel complesso di conoscenze che gli serviranno per la professione che egli ha prescelto, e cosa non solo naturale ma necessaria a dare uno scopo realistico agli studi. Il medico, il legale, l'artista, il letterato, lo storico, il sociologo, l'ingegnere nascono di la. Ma a parte le maggiori possibilita professionali che l'università deve offrire, c'e uno scopo sociale, cui l'educazione deve adempiere, formare le élites. Ogni volta che nei miei scritti io parlo di élites sociali, mi arrivano critiche ingiustificate. La società è cosi: non ci e ne ci sarà mai un livellamento generale; la cultura e un elemento di differenziazione fra gli uomini. L'uomo colto ha un vantaggio sugli altri, perché può influire con la sua cultura sia come insegnante 0. scrittore, sia come giudice o legale, sia come esperto o politico. Non si da alle élites di cultura alcun diritto diverso che non abbia lo scaricatore del porto; egli emerge perché ne ha la possibilita. Può invece restare nel suo guscio, chiudersi nella sua sapienza senza dare al mondo nessun contributo: ((morrà come se non fosse nato)). Però, ecco il punto sostanziale, l'uomo colto e i centri universitari debbono entrare nella vita e parteciparvi. Formare un mondo ermetico di gente erudita che sa infarcire i suoi scritti di note, che vengono letti solo fra dotti (e reciprocamente criticati) e diventare dei ierofanti di una scien-
za incomunicata al mondo, ecco l'errore di una parte della classe universitaria americana, che rifiuta la sua missione integratrice e fermentatrice della società, come un tradimento alla scienza «puran alla quale si sono sposati. Per questo, il mondo americano soffre di una divisione netta fra la gente di cultura e il resto della popolazione. I1 libro medio, quel che in Francia si dice «per il gran pubblico))in America e di livello assai basso, di una superficialità intollerabile; i «Magazines»presentano la vita in modo convenzionale, con mezzi prevalentemente «illustrativi»e «crematici» evitando idee e teorie, che possano far pensare, cercando che il lettore non sia obbligato ad alcuno sforzo di memoria, ripetendo perciò ad ogni nome le sue qualità e posizioni sociali. Questa preoccupazione di non far uso del cervello per pensare e della memoria per ricordare e dannosissima per l'educazione che si basa su fattori interiori. Infatti, si tende ad un'educazione e a una vita tutta esteriorizzata. L'ignoranza del medio americano sembra enorme al medio europeo, ma non è ignoranza alfabetica e tecnica, e ignoranza di idee e teorie, di storia e geografia, di arte e di criteri direttivi. AI contrario l'universitario americano nel suo ramo di scienza o lettere ha molte più cognizioni, ed è più preciso ed erudito dell'europeo (con eccezione del tedesco pedante), ma raramente fuori del suo ramo ha una cultura generale ed umanistica. Fra i due mondi, l'universitario e il generale, c'è così profondo distacco che il vuoto culturale e nettamente incolmabile. Ciò deriva dal fatto che quella cultura umanistica che sarebbe il tramite di idee e di sentimenti generali; che un tempo era la cultura comune a coloro che frequentavano le scuole, oggi e riservata ai pochi che vi si dedicano o per professione o per devozione, come a un rito segreto, cercandovi una consolazione spirituale tutta personale: odi profanum vulgus et arceo. *
Potrà sembrare il mio modo di vedere troppo unilaterale; ma non sono proprio mie particolari critiche al tipo di educazione moderna, che vuole essere psicologica, scientifica, pratica, e che riesce semplicemente insufficiente. La colpa non e da assegnarsi alla pedagogia, alla psicologia, ne alle scienze positive, né agli scopi pratici dell'educazione; la colpa e delI'esclusivismo dei moderni educatori per il quale essi rigettano il passato, come se ci fosse una incompatibilità essenziale. Coloro che vogliono iniziare una nuova civilizzazione, basandosi sulle teorie del positivismo materiale e del relativismo etico, cercano un metodo educativo corrispondente, e per questo negano la tradizione umanistica. Ma o non hanno il coraggio di negarla fino in fondo, ovvero non hanno fiducia nel loro metodo per affrontare la crisi attuale, che e la crisi della scienza applicata a fini distruttivi. 11 punto centrale di ogni movimento educativo è quel che si suole chia-
mare in America ahuman relationsn. Gli insegnanti di scuola debbono rivedere il loro programma proprio nel problema delle relazioni umane, dalla piccola comunita locale o dalla formazione nucleare spontanea e occasionale (nuclei di giuoco, o nuclei scolastici o nuclei sociali) fino a quelle stabili: famiglia, Stato e mondo internazionale. Qui si confrontano i due metodi, quello puramente associativo psichico con quello associativo-integrale o umanistico. La teoria sulla quale noi poggiamo tutto l'edificio sociale e quindi quello educativo, è la formazione della coscienza collettiva, sia la piccola collettivà del villaggio o della singola famiglia sia quella della federazione degli Stati o dell'ONU. La coscienza collettiva e basata sopra giudizi di valore correlativi: «la comunita vale più degli individui che la compongono come bene che loro deriva; e gl'individui valgono di più della comunita, come fine per cui la comunità e formata». Se questi giudizi di valore mancassero, nessuna comunita potrebbe essere formata e potrebbe sussistere; le crisi sociali derivano dal fatto che gli uomini conviventi in una comunità non ne hanno la convinzione o non l'attuano nei fatti; la colpa principale sarà delle élites dirigenti o fra queste le élites di cultura. Oggi una nuova grande comunita deve essere creata per salvare il mondo da una distruzione folle ma praticamente possibile: la Comunità internazionale. Questa non potrà neppure arrivare a organizzarsi se mancherà la coscienza collettiva che vi dia essere e funzionalità: occorre quindi il fermento delle idee e l'attività creatrice. Gli uomini di cultura, gli educatori, gli ((scholars)),gli insegnanti, i centri universitari non solo non potranno esimersi dal contribuire a formare tale coscienza, ma debbono prenderne l'iniziativa come loro competenza speciale per il bene sociale. Occorre fare dell'eterogeneo l'omogeneo, del disinteressato 1' interessato, dell'ignorante e incosciente, il conoscitore e l'attore del mondo che va a rifabbricarsi. In ogni tempo e in ogni paese occorre quel minimo di idee generali che formano la base dell'omogeneità negli strati sociali. C'e un'omoge-. neità nelle famiglie e nelle città, dalla lingua al gergo e dai gusti gastronomici e di vestire, al modo di vivere sociale e alle idee (e pregiudizi) prevalenti, che formano la base della similarità comunicativa e cosi via via nella stessa nazione nel gruppo di nazioni affini, nella razza, nei continenti. Coloro che meglio degli altri contribuiscono a formare un minimo comune denominatore di idee e di sentimenti, sono i cleri per il lato religioso e tradizionale, sono gli uomini di cultura per gli orientamenti di pensiero e di educazione, sono i leaders nel campo politico e sociale e cosi via. Ecco la necessità di avere le élites di cultura, pur nella loro estrema varietà, che sappiano interpretare la tendenza dell'omogeneità educativa e orientatrice delle giovani generazioni, in un momento, quello del dopo guerra, che e critico per tutte le nazioni civili.
LA LIBERTA' DELLA SCUOLA (*) Gli articoli 27 e 28 della Costituzione ( l ) circa I'ordinamento scolastico sono stati il frutto di un compromesso politico che, allo stato degli atti, può essere considerato come una sosta a doppio sbocco, sia verso un più deciso monopolio statale sia verso una meno impacciata libertà. Sta a noi preparare e agevolare lo sbocco verso la libertà. I1 presente scritto, sia nella parte critica che in quella costruttiva, non ha altro scopo che di contribuire a formare un'opinione pubblica favorevole alla liberta della Scuola. Invero, senza la formazione di una coscienza collettiva favorevole, sarà impossibile superare i pregiudizi accumulati presso di noi, dal Risorgimento ad oggi, riguardo l'ordinamento della Scuola.
Tre sono state le cause che han portato l'Italia verso un crescente monopolio statale nel campo della Scuola; la prima politica: fronteggiare la Chiesa, ritenuta come un ostacolo alla formazione dello Stato italiano e all'attuazione dei principi liberali e unitari a cui lo Stato si andava informando; - la seconda tecnica: formare un corpo insegnante e attuare un metodo e un'attrezzatura scolastica superiore per numero e qualità di quella che esisteva alla unificazione o che potesse allora offrire I'iniziativa privata in gran parte in mano ecclesiastica; - la terza finanziaria: perche l'unico che avesse mezzi disponibili per diffondere l'insegnamento, riformarne i metodi e creare nuovi istituti adatti alle esigenze moderne, era lo Stato, sia per se stesso sia a mezzo degli enti locali, Municipi e Provincie. Gli ordini religiosi antichi e nuovi mantennero o aprirono collegi e scuole sia gratuite per poveri, sia a pagamento per le classi agiate; ma si trattò di iniziative locali e limitate, con preferenza verso le scuole secondarie a tipo classico. In Italia non furono mai create le scuole elementari parrocchiali, come in America e in Inghilterra. Era naturale che i cattolici difendessero la scuola privata, novanta per cento in loro mano, e cercassero di ottenere dallo Stato quei consensi (*) Pubblicato su Sophia, luglio 1947 e su Idea, n. 7, luglio 1947. (1) L'Assemblea costituente approvò il testo definitivo della Costituzione il 22 dicem-
bre 1947. Essa entrò in vigore il primo gennaio del 1948. Quando Sturzo scriveva, nel luglio 1947, l'Assemblea costituente non aveva ancora terminato i suoi lavori. Gli articoli circa l'ordinamento scolastico, cui si riferisce, nel testo definitivo divennero poi gli articoli 33 e 34 che affermavano la libertà di insegnamento e il diritto di istituire scuole ed istituti di educazione, con la nota formula limitatrice rsenza oneri per lo Stato,.
formali e regolamentari che ne permettessero la esistenza e lo sviluppo. L'istituto della parificazione non fu accetto a molti per le vessazioni ispettorali e burocratiche cui dava luogo; ma altri vi si sobbarcarono per non perdere alunni o credito. Per quanto riguarda la scuola elementare gratuita, i cattolici si limitarono a difenderne la dipendenza dai Municipi anziché dallo Stato e lottarono per ottenere o mantenere l'insegnamento religioso. Due battaglie aspre: la seconda in gran parte perduta nel periodo pre-fascista, la prima perduta completamente durante il fascismo. L'eredità fascista nel campo della scuola e stata disastrosa come quella del campo militare e politico. I1 monopolio statale fu completo; la scuola privata credette giovarsi delle concessioni e dei favori che pagò con la perdita di ogni liberta didattica e funzionale. I1 favoritismo politico e personale divenne metodo, invadendo il campo docente e quello discente. Aumentati gli impieghi dello Stato, del partito unico, degli enti statali e parastatali, centrali e periferici, aumentò la ricerca del posto e quindi di quei pezzi di carta che gli insegnanti concedevano facilmente sia per sfollare le scuole sia per favorire ed essere favoriti. L'esame di Stato fu voluto assai prima del fascismo (e chi scrive era fra i promotori più convinti) come mezzo per arrivare alla liberta scolastica; il fascismo prima lo accettò, poi lo abbandonò, poi lo riprese trasformandolo ai fini dell'assolutismo statale che in materia scolastica divenne un dogma. Non si può affermare che nel quadriennio dalla caduta del fascismo si sia affrontato il problema della Scuola con criteri di larga riforma. Da un lato premevano i problemi di emergenza, creati dalle distruzioni della guerra, dalle occupazioni militari degli edifici, dagli spostamenti delle popolazioni. C'era tutto da rifare materialmente e moralmente, compresi libri di testo e orientamenti didattici. In quel ,caos si e andato creando un certo ordine. I1 problema della Scuola dovrà ancora essere affrontato a fondo; ma il disorientamento persiste, e le linee sostanziali tracciate dagli articoli 27 e 28 della Costituzione, invece di fissare una chiara direttiva accettabile, con il loro pesante impaccio legislativo ne aggravano la crisi.
La scuola di Stato è talmente stabilita nella sua struttura legislativa e burocratica, che sarebbe non solo vano ma sotto certi aspetti anche dannoso tentare di smontarla. Però e necessaria la sua riforma, se si vuole trarne tutti i vantaggi e farla rispondere ai bisogni del paese. Ci sono punti obbligati da risolvere al più presto: primo quello di ridare alla scuola di Stato una effettiva liberta. In Italia non solo non e libera la Scuola in genere, ma neppure è libera la scuola che dipende dallo Stato. Questa è burocratizzata, dalla elementare alla media e sotto molti aspetti anche alla universitaria. Libri di testo, tasse scolastiche, nomine di inse-
gnanti, trasferimenti, esami, concorsi, licenze, permessi, pensioni, tutto e statizzato. Non c'e nessun momento della Scuola che non sia regolato dall'alto, uniformizzato, mortificato. Le Università credono di avere certe facoltà di programmi e di corsi e se le vedono tolte o modificate di arbitrio con intervento legislativo o con decreti ministeriali. Quell'esercito di insegnanti alti e bassi (sotto il fascismo vestivano divisa militare) che dipendono dal Ministero della P.I. non debbono avere ne cervello proprio ne volontà propria. Debbono pensare o volere come pensa e vuole la burocrazia centrale. Ci saranno ottimi direttori generali, di divisione o di sezione; ma lo spirito centralizzatore toglie loro la visione della realtà concreta, quale si sviluppa nell'insegnamento e per I'insegnamento. A non parlare poi della parte d'intrigo e di soperchieria che, volere o no, non può mancare in nessun Ministero che accentra in se tutti i poteri e tutti i favori. Niente di meraviglia: la libertà avrà i suoi inconvenienti; ma questi vengono fuori all'aria libera e possono essere liberamente denunziati e opportunamente corretti. Ma i monopoli e le dittature creano l'aria propizia a tutte le malefatte, senza possibilità di eliminazione. Una delle conseguenze della centralizzazione scolastica e I'uniformità: questa toglie la possibilità dell'iniziativa individuale e locale, costretta a muoversi dentro le barriere regolamentari. Dal punto di vista sociale il maestro elementare, l'insegnante medio, il professore universitario non sono altro che impiegati di Stato; e per giunta impiegati mal pagati, perche lo Stato oggi e in permanente deficit; donde un disagio materiale e morale, che si ripercuote nella stessa scuola. A questo si aggiunge I'ansia di avanzare di grado, di passare da una Scuola all'altra, di ottenere i piccoli e i grandi favori non importa se dal Ministro o da uno dei tanti inquilini di quel falansterio. Le scuole di provincia intristiscono per la instabilità degli insegnanti che vi passano qualche anno senza affezionarsi all'ambiente, col desiderio assillante di andare in un centro piu largo. Cosi nel miglior periodo degli anni freschi, gli insegnanti non arrivano a formarsi quell'ambientazione scolastica tranquilla, effettiva, efficace che crea le stabili tradizioni di un istituto. Nella maggior parte delle scuole medie e per un certo numero di università l'istituto non vive più la sua vita, fatta della piena dedizione degli insegnanti che sanno di passarvi gli anni migliori. Coloro che vi son fissati tengono una specie di monopolio; gli altri, gli uccelli di passaggio, vi hanno poco o nessun interesse. Cosi non c'e istituto che non vada perdendo la propria personalità storica e scolastica. Lo statalismo ha rovinato la scuola secondaria con l'introduzione balorda dell'esame di Stato. Prendiamo un Liceo. Se al primo o al secondo anno l'alunno e bocciato, in molti casi sa quel che deve fare: lascia il corso e si prepara all'esame di Stato nella fiducia che per diritto o per rovescio otterrà l'ambito lascia passare.
Ora la Costituente, con una incoscienza colossale, ha confermato il tipo di esami di Stato, ((nell'ammissione ai vari ordini e gradi di scuole e alla conclusione di essi nonché per l'abilitazione all'esercizio professionale))(art. 27). Vedremo quali saranno le disposizioni di legge che daranno attuazione al superiore disposto. A parte quello per l'esercizio delle professioni, l'esame di ,Stato non ha ragion d'essere e disturba i corsi scolastici, toglie autorità agli insegnanti e rende meno libera la Scuola. Il congegno dell'esame di Stato per ogni ordine e grado di scuole è creato per mettere gli alunni delle altre scuole a pari di quelli deile scuole di Stato. A questo fine basterebbe dare alla Scuola la libertà di esistere, e ad ogni scuola la libertà di selezionarsi i propri alunni. Non c'è bisogno di creare un sistema adattissimo ad aprire a tutti gli asini e gl'indolenti perfino le porte dellYUniversitàa mezzo del bollo di Stato.
Uno dei problemi più gravi e quello dell'eccesso di popolazione sco!astica nei gradi superiori, in rapporto ai mezzi didattici e alle possibilità ambientali. Oggi le università italiane sono così sovrapopolate, che se tutti frequentassero i corsi non ci sarebbero aule sufficienti. L'insegnante non riesce a tenere il contatto personale con tutti gli alunni; manca l'afiatamento di classe; non sono sufficienti i gabinetti scientifici sì che gli alunni non riescono ad averne piena esperienza. A parte i danni prodotti dalla guerra, anche se questi non ci fossero stati, la sproporzione fra popolazione scolastica e impianti scientifici è tale da non potersi colmare. Le Università italiane oggi hanno 236.215 alunni mentre nel 1928-29 ne avevano appena 40.399. Parlando in termini economici, non si vede affatto la possibilità che il mercato italiano della gente laureata possa assorbire tanta merce quanto la macchina universitaria ne va producendo con sempre crescente facilità e rapidità. Per naturale ripercussione aumenta sempre più l'inflazione del personale impiegatizio pubblico e privato, e quindi la moltiplicazione di enti statali, parastatali, di qualsiasi natura e importanza, e anche senza defmita natura e senza alcuna importanza pur che siano pronti ad assorbire una notevole quota di prodotti universitari. Si moltiplicano i giornali, ma non riescono a dar pane a tutti i giornalisti che sono sulla piazza; aumenta la ressa emigratoria dei laureati ma non trovano piazzamento all'estero, che preferisce minatori e terrazzieri. I partiti politici oggi impiantano larghe burocrazie mai immaginate nel passato; aumentano anche quelle dei sindacati e di organizzazioni affini. Ciò non ostante, la disoccupazione della classe laureata ha percentuali altissime.
Questo aspetto della crisi economica deriva in Italia dail'orientamento tradizionale verso l'alta cultura, specie letteraria e giuridica, che non di rado resta allo stato di orecchiamento e di improwisazione. Verso la fine del secolo scorso aumentò la popolazione che frequentava scuole scientifiche, commerciali e agrarie. Ma purtroppo, durante il erio odo fascista, la tendenza verso gli studi superficiali e l'impiego facile (agevolato da preferenze politiche) arrivò al colmo. I1 crollo economico dovuto alla guerra ha reso ancora piu largo il distacco fra il numero laureati annuali e le possibilità di impiego. Nei paesi, come l'America e l'Inghilterra, dove le università non ricevono alunni al di là delle proprie efficienze didattiche e ambientali, la ressa e fermata alle porte universitarie: la selezione e fatta all'entrata; non restano a lungo alunni che non si presentano agli esami o che sono bocciati due volte; la macchina dei laureati gira con più lentezza e produce assai meno. Ciò non ostante, giorni fa leggevo che in Inghilterra si discute se portando a 65.000 il numero degli alunni universitari (oggi e presso a poco di 50.000) I'esubero potrà essere assorbito utilmente dal paese. Che si direbbe dell'Italia che presso a poco ha la stessa popolazione dell'lnghilterra, ma non ha, di sicuro, la stessa industria, ne le stesse colonie, ne gli stessi domini? Ho accennato a questo grave problema sociale, che è stato acuito dai disgraziato andazzo scolastico degli ultimi anni, per far vedere quanto sia importante, oltre che dal punto di vista didattico, anche d a quello generale, riesaminare tutto il sistema della Scuola. Se le università avessero propria autonomia, senza inutili e dannose ingerenze governative e burocratiche, avrebbero la cura di scegliersi una scolaresca intelligente e ben preparata, limitata alle proprie condizioni ambientali e didatGche, mettendo fuori coloro che non sono atti alla cultura superiore. E qui incide un altro problema sociale, che mal viene risoluto dagli esami di Stato per l'esercizio professionale. Invero, e ben duro dire a un giovane, da ventidue a venticinque anni, tu non sei adatto a fare il medico o l'avvocato o l'ingegnere o l'insegnante, e in nome dello Stato ti rigetto fra il ciarpame sociale, perché lo Stato deve garantire il pubblico dei servizi professionali. Sarebbe più utile e meno grave che l'Università dica all'alunno di scuole medie, tu non sei idoneo o non sei preparato o sei meno idoneo e meno preparato di altri, per la cultura universitaria e le professioni cui dà adito e quindi ti chiudo le porte (a). Ogni Università, se veramente autonoma e libera, avrà i suoi criteri più o meno larghi nell'arnrnissione degli alunni; ma per il suo buon nome e la sua tradizione curerà di dare i diplomi a coloro che veramente ne saranno degni. Se invece l'Università e (come oggi) un organo dipenden(a) Nel 194 1 su 186 1 Medici-chirurghi furono dichiarati idonei nell'esame di Stato 1733: i chimici su 274. 250 idonei: Farmacisti su 486. ben 461, e così di seguito; solo nell'Economia e Commercio si ha lo sbalzo di 145 iscritti e 43 idonei nel 1941 e 120 iscritti e 72 idonei nel 1940 (nota di L. Sturzo).
te dal Ministero per la fabbrica dei diplomi, allora avviene quel che si deplora: un'ammissione indiscriminata di alunni, un affollamento antididattico, l'impossibilità a rigettare indietro il flusso crescente di laureandi. Bene o male, oggi o domani, tutti avranno il loro pezzo di carta con firme e bolli in nome ieri del Re e oggi deila Repubblica. Dall'altro lato, una selezione nel campo dell'insegnamento va fatta; e qui si innestano quelle clientele professionali che in ogni ramo di scienza (perfino in filosofia ai tempi di G. Gentile) creano una specie di barriera insormontabile alla liberta scientifica. E' naturale che il professore-medico o il professore-ingegnere o il professore-storico o il professore-filosofo si formi attorno a sé quel gruppo di allievi che lo seguono nel suo metodo e nelle sue teorie, e che domani saranno i suoi assistenti o i divulgatori delle idee ed esperienze del capo Scuola. Guai se nella scienza e nelle arti non ci fosse una simile tradizione. I1 male è che in regime di monopolio statale queste tradizioni culturali vengono deformate da regolamentazioni aprioristiche che per natura negano la liberta, sottopongono l'ingegno ad un insopportabile livellamento, e mettono sotto la stessa valutazione la teoria geniale e la ripetizione accademica. Che fare allora? combinare i concorsi alle cattedre in base ad intrighi; far valere le protezioni abusive dei padreterni della scienza o delle lettere (tante volte gente gonfia tutta boria e vento); attenersi alla lettera dei regolamenti e delle circolari per deprimere gli avversari e cosi via. Vorrei che parlassero le mura delle scuole e quelle del Ministero per rivelarci la storia dolorosa delle libere docenze e dei concorsi per tutti i gradi di insegnamento.
Potrei continuare nella critica al monopolio statale sulle scuole magistrali, secondarie, elementari, accennando ai fattori sostanziali e collaterali che ne caratterizzano la profonda crisi. Non e da darne tutta la colpa alla guerra o al dopo guerra; in molti casi, tali fatti per sé estranei alla Scuola han rivelato quel che era latente e in fermentazione. Un amico del Ministro Gonella (2), il Prof. Umberto Gelmetti, cosi gli scriveva giorni fa sopra ((11Popolo Trentina)): «...non e questo il momento di porre sul tappeto della discussione quei grossi problemi scolastici, che indubbiamente avranno già attirata la tua attenzione, quali: questo mito risorgente di esami quantitativi, contro cui cozzano la pedagogia ed il buon senso, e che, d'altronde, allo stato delle cose, si rendono assolutamente necessari; I'incongruenza di un Magistero Superiore, da cui escono insegnanti di latino coloro che latino studiano a scartamento ( 2 ) Guido Gonella era ministro della Pubblica istruzione nel governo presieduto da De Gasperi e nato da un accordo quadripartito tra DC, PSIUP, PCI e PRI. Capo provvisorio della Repubblica durante i lavori della Costituente fu Enrico De Nicola.
ridotto negli Istituti Magistrali; l'anacronismo di Scuole di Avviamento, che non dànno né carne né pesce; una pletora di programmi in ogni scuola, che costringe l'insegnante a scivolare alla superficie, senza nulla approfondire e l'alunno ad atteggiarsi a magazzino ambulante di nozioni, che durano ((l'espace d'un matin)); e cosi via, grossi problemi, che coinvolgono la necessita di radicali riforme. So che tu ti preoccupi vivamente di questi problemi, e se, modestamente, un suggerimento ti posso dare in proposito, per il momento opportuno, ti sconsiglierei di attingere elementi ed informazioni dall'ambiente della burocrazia, monotono e cristallizzato, ma dalle forze vive della scuola e dall'esperienza vissuta dai suoi uomini anche della lontana periferia)). Lo scrittore usava la pretenzione di questi e altri problemi, per limitarsi a quello dei concorsi ordinari che rimandati di anno in anno e di mese in mese, han finito per essere una vera cancrena della Scuola. Nel subordinare tali concorsi all'esame dei casi dei perseguitati politici sotto il fascismo che o furono esclusi dai concorsi o furono disclassificati o furono dimessi, si tendeva a rendere un atto di giustizia. Anche giustizia c'e da rendere à quei disgraziati che, ritenuti fascisti, sono stati privati delle cattedre e fin oggi non han potuto far valere il loro buon diritto a riprenderle. Quali e quanti impacci burocratici, intrighi personali, confusione legislativa e regolamentare abbiano fin oggi creato il caos in tutte le scuole d'Italia è difficile dire. Siamo li: alla vigilia dell'anno scolastico 1947-48 non si vede un po' di ordine in questa materia, proprio per effetto di quel terribile accentramento di tutti e di tutto nello Stato che purtroppo ara lizza auello che tocca. Giorni fa leggevo che gli abitanti di Riccione, senza aspettare i provvedimenti dello Stato sui danni di guerra e l'intervento del Ministero dei Lavori Pubblici per le ricostruzioni, sono riusciti a rimettere a posto la loro incantevole spiaggia, i loro alberghi, le trattorie, perfino le case rese atte a ricevere i turisti di tutto il mondo come prima della guerra. Nel campo scolastico abbiamo l'esempio dell'universita Cattolica di Milano che terribilmente danneggiata dai bombardamenti, ha rifatto gli edifici crollati o semi-distrutti. Benedetta l'iniziativa privata che non e obbligata ad aspettare i benefici che piovono dall'alto quando gli Dei dell'Olimpo statale, - non importa se democratici o dittatoriali -, riescono a trovare un compromesso fra di loro, come ai tempi di Omero, per poi degnarsi di guardare (non dico osservare) quel che succede nel piccolo basso mondo della realtà vivente!
Un amico, che nell'attesa di riprendere l'insegnamento ha dovuto fare il burocrate, al sentirmi criticare cosi aspramente l'attuale organizzazio-
ne della scuola di Stato, mi domando quali le mie proposte per riformarla.
La mia prima risposta-fu di aprire le finestre e fare entrare una buona corrente d'aria di liberta, altrimenti vi si morrà asfissiati. Come dissi più sopra, la scuola di Stato ha tale, radice e tale ragion d'essere in Italia che nessun uomo ragionevole potrà mai proporne l'abolizione. La riforma si, la trasformazione si, e questa senza improvvisazione e con sani criteri didattici e sociali. Il punto principale è quello dell'orientamento dell'opinione pubblica verso la liberta scolastica e contro il monopolio di Stato. Allo stato delle cose un tale orientamento è difficile,perché sul tema della libertà scolastica si sono accumulati tanti pregiudizi politici e religiosi, che sara difficile sgombrarli. Quando si parla di libertà di Scuola i più intendono la liberta delle scuole private messe in contrasto con la scuola ufficiale. Chi mi ha letto fino a questo punto avrà trovato una novità, essendo la mia prima e sostanziale affermazione a favore della liberta delle e nelle scuole di Stato. Infatti, fin che queste non saranno libere, neppure le scuole promosse e mantenute da altri enti e da privati saranno veramente libere. La liberta in un paese e una e indivisibile. Non si meraviglino amici e avversari se io ripeto qui quel che in pubblico e in privato vado scrivendo e dicendo a tutti: finché la Scuola in Italia non sara libera, neppure gl'italiani saranno liberi; essi saranno servi, servi dello Stato, del partito, delle organizzazioni private o pubbliche di ogni specie, perché il cittadino non ha respirato da bambino e da giovanetto e da giovane che l'aria di una scuola non libera. dove l'insegnante (vesta o no la divisa militare come ai tempi fascisti) e anche lui un salariato, servo dello Stato, che deve ubbidire alle leggi che sono annullate dai regolamenti, e ai regolamenti che vengono modificati dalle circolari, e alle circolari che sono sospese con lettere di autorità ... mentre pesa su di lui lo spettro di una carriera che ad ogni passo e resa incerta da nuovi e improvvisi provvedimenti. La scuola vera, libera, gioiosa, piena di entusiasmi giovanili, sviluppata i n u n ambiente adatto, con insegnanti impegnati alla nobile funzione di educatori, non può germogliare nell'atmosfera pesante creata dal monopolio burocratico statale. Varie riforme si impongono; la prima: destare la coscienza cittadina a favore delle proprie scuole. Gli antichi patronati scolastici furono dal fascismo soppressi e i servizii sociali passarono alla Gil. Ora si ritorna a fondarli: ce ne saranno circa cinquemila, non pochi sulla carta. Ho letto con piacere che si è tenuto un Convegno Nazionale con l'intervento del Ministro Gonella; ma pensare che una città come Napoli non ha ancora un patronato scolastico per il disinteressamento di tutti: insegnanti, famiglie, cittadini. Oggi sono talmente abituati gli italiani a domandare provvidenze al Governo, che tutti aspettano dal centro la pioggia aurea fecondatrice. Purtroppo il centro dà carta, che quando e spedita vale cento e quando arriva sul posto è già ridotta di valore di un terzo o della metà. E più si domanda e piu si dà e più si riduce la moneta, si che il miglior consiglio per tutti i cittadini è quello di rinunziare ad avere carta-
moneta dallo Stato e aprire le loro borse a vantaggio delle scuole. La libertà è costosa per ogni lato; anche per il lato della borsa. E' difficile farlo capire. I cattolici militanti dal canto loro dovrebbero rivedere il proprio atteggiamento circa la libertà scolastica. La loro cura principale e stata fin oggi quella di ottenere per le scuole private quel minimo di favori da non renderle inferiori legalmente alle scuole di Stato; donde i due punti centrali: l'esame di Stato e i pareggiamenti. Purtroppo il pareggiamento mette le scuole private sotto l'ingerenza statale: lo sa bene l'università Cattolica, che ha tanti legami da non potersi muovere liberamente; e I'esame di Stato, come è stato congegnato, si riduce a danno di tutte le scuole, le statali e le private. I cattolici per questo loro atteggiamento privatista, nel senso di difendere, di proteggere e di sostenere scuole in nome della liberta, hanno reso un cattivo servizio alle proprie scuole, che non hanno mai ottenuto la libertà che cercavano e alle scuole di Stato, che sono rimaste oppresse dalla sempre crescente burocratizzazione statale. Oggi gli stessi cattolici, che per anni sostennero che la scuola elementare doveva restare comunale, non hanno più il coraggio di farla ritornare ai comuni (o anche alle regioni), perché vi fa ostacolo l'atteggiamento sindacalista degl'interessati (compresi i maestri cattolici). I1 problema della scuola privata va guardato dentro il quadro scolastico nazionale; la liberta che s'invoca non deve concepirsi, come un tempo, quale somma di concessioni statali a vantaggio delle iniziative private, ma deve tendere al piu largo respiro possibile per tutte le scuole, comprese le statali. Quando l'italiano ,avrà coscienza che non tutelare la libertà in genere senza la liberta scolastica estesa ad ogni ordine di scuole, allora noi potremo dire di essere in vera democrazia; attualmente noi brancoliamo fra ideali democratici e residui fascisti, fra intolleranze totalitarie e aspirazioni demagogiche. Ecco l'aria che si respira. Inserire in questo ambiente alcuni primi saggi di liberta scolastica sarà cosa quasi eroica; ed io fo appello a coloro che sentono gl'impulsi dell'eroismo. portarci tanto Oggi abbiamo l'articolo 2 7 della Costituzione, che a un certo respiro di liberta che a un più duro monopolio statale. Le future leggi scolastiche ci apriranno I'una o l'altra strada. Sarà bene preparare le linee maestre di tali leggi e discuterle su giornali e riviste e farle discutere da tecnici e da politici. Segno qui alcuni concetti fondamentali. Non si potrà mai avere liberta scolastica se gli istituti scolastici, di ogni ordine e grado, non abbiano una loro personalità, continuità, tradizione e vitalità, la quale si basa sopra una vera e propria consistenza finanziaria. Lo Stato paga-tutto, lo Stato paga-sempre, che poi finisce per essere lo Stato paga-male, rovina la personalita reale di ogni singola scuola.
Bisogna cominciare a far breccia in questo punto dando facoltà di opzione alle Università, alle Scuole Superiori e ai Licei e Istituti, che vogliono acquistare la loro piena autonomia. Che lo Stato offra di consolidare come assegno fisso la spesa attuale per l'Istituto richiedente, aggiungendo una quota di maggiorazione per i futuri miglioramenti; e che la scuola che vuole divenire autonoma integri tali assegni con altri mezzi locali, sì da consolidare la propria vitalità. Si creerà cosi l'interesse locale alla prosperità dell'istituto che finalmente arriverebbe cosi ad essere ((maggiorenne)). Mi e stato obiettato che il provvedimento non avrà effetto; non sarà invocato da nessuna Universita. da nessun Liceo o altra scuola. sia Der l'opposizione dei professori, che si sentono più sicuri se non pagati dallo Stato anziché dalla propria amministrazione, sia per il disinteresse degli enti locali e la nessuna abitudine della gente ricca a dotare le scuole. Provare: che, intanto, venga prevista nella legge simile facoltà, che sia consentito questo tipo di scuola sciolta da ogni legame burocratico, didattico, amministrativo si che possa ammettere gli alunni che vuole e selezionarli come vuole; che possa scegliersi i professori che desidera e pagarli come crede meglio; che possa dare diplomi che valgano per sé, perché vengono dalla Universita tale e dal Liceo tal'altro e dalla Scuola Magistrale X, Y e Z. Se nessuna delle attuali scuole avrà la spinta a divenire autonoma, ce ne saranno di nuove che sorgeranno sotto I'insegna della libertà, non poche a tipo speciale, come fece ai suoi tempi Bocconi. La libertà dà i suoi frutti col tempo, ma li dà e assai più duraturi che quelli improvvisati dalle bacchette magiche delle dittature e dei monopolit Si dirà: ma a che gioveranno allora i diplomi scolastici che non portino il bollo dello Stato? Varranno ad attestare che gli alunni hanno fatto profitto negli studi e sono arrivati a tale o a tal'altro grado con o senza licenze. Colui che non avendo finiti i corsi, vuole o deve lasciare la propria scuola e proseguirli in altra (venga dalle scuole autonome o da quelle dello Stato) dovrà sottoporsi all'esame di ammissione. Questo non dovrà essere esame di Stato ma solo esame della scuola che ammette, quale essa sia, statale o no; perché ogni istituto deve avere il diritto di numerare e selezionare i propri alunni. Ci saranno gl'istituti con le breccie larghe e quelli colle breccie strette; ma alla fine i nodi vengono al pettine. Dopo finiti i corsi e ottenuto il diploma di laurea, verrà lo Stato a imporre il suo esame professionale per quelle professioni che si basano sulla pubblica buona fede o per quei posti che riguardano la pubblica amministrazione; coloro che saranno abilitati all'esercizio della professione saranno iscritti nell'albo dello Stato. Ciò non toglie che tanto lo Stato che gli altri enti pubblici e i privati possano fissare ulteriori esami per la scelta ai posti di impiego come e quando lo credano. L'iscrizione all'albo vale come garanzia per i cittadini che avran bisogno di medici, ingegneri, avvocati, insegnanti e simili. Punto. Il resto viene da se. T
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I cattolici che si interessano delle loro scuole mi domanderanno quale sarà la sorte in questo quadro. Per le scuole che ne avranno i mezzi non avrei altra proposta da fare che di spingerle ad ottenere la classifica di Scuole autonome, a cominciare dalla Università Cattolica di Milano e a finire dall'ultima Scuola parrocchiale di Roccacannuccia. Una volta fissata questa categoria, tanto le attuali Scuole di Stato quanto le attuali scuole pareggiate e private potranno aspirarvi; le prime con il concorso dello Stato (com'e detto sopra) e le altre senza alcun concorso statale. Io sarei lieto se vedessi che le scuole senza concorso supereranno le altre per mezzi, attrezzature e modernità. Sarebbe il trionfo dell'iniziativa privata sopra I'incombente statalismo che mortifica in radice ogni spinta individuale e generosa. Le altre, le pareggiate, che continuino il loro attuale sistema con quelle attenuazioni verso la libertà che avranno le Scuole di Stato di simile ordine e grado. Io sono sicuro che l'attuazione delle scuole autonome influirà in senso favorevole alla libertà anche per le altre scuole a dipendenza del Ministero della P.I. e delle pareggiate. Infine, le altre che non saranno ne pareggiate ne autonome, avranno il vantaggio della libertà e lo svantaggio di non dare diplomi. Ma tale svantaggio non porterebbe gravi differenze dato che anche gli alunni di scuole pareggiate o di scuole di Stato se vorranno passare da una scuola all'altra dovranno sottoporsi (diploma o no) agli esami di ammissione, e dato il principio fondamentale che ogni scuola deve avere il diritto di selezionare i propri alunni e di rifiutare quelli che non trovano capienza nelle aule scolastiche. Su questo punto gl'ispettori di igiene e i medici provinciali dovrebbero essere rigorosi e non permettere mai l'affollamento scolastico. In conclusione, la prima a divenire libera deve essere la scuola di Stato, allora anche l'altra sostenuta da enti e da privati diverrà libera; ma se quella di Stato è e rimane regolamentarizzata e burocratizzata e statizzata, anche l'altra non avrà mai la libertà che si invoca. E non l'avrà neppure l'Italia non ostante qualsiasi apparente democrazia.
TEORIE POLITICHE DEI CATTOLICI (*)
E' da escludere che ci sia o ci sia stata attraverso i secoli una teoria politica cui possa darsi la qualifica di cattolica; così come non ci sono vere teorie economiche o teorie sociali che possano dirsi cattoliche. (*) Saggio introduttivo al libro Orientamenti politici dei cattolici italiani dell'ottocenro, a cura E . OMODEI, Garzanti, Milano 1948. I1 volume, che raccoglie antologicamente brevi scritti di A. Rosmini, A. Manzoni, G. Capponi, R. Larnbruschini, B. Ricasoli e Leone XIII. si presenta come una sintesi del pensiero cattolico liberale.
Il punto d'incidenza normale dell'influsso del cristianesimo nell'attivita temporale è di carattere etico o etico-religioso; i punti d'incidenza storici nella varietà dei rapporti della Chiesa con la comunità politica, sono diretti alla salvaguardia degl'istituti ecclesiastici, non che degl'interessi. anche materiali, che tale salvaguardia esige o involve. 1 principi religiosi ed etici sono prevalenti su tutti, nonostante la diversità di aspetti che presentano le loro concretizzazioni sia nel tempo che nello spazio; mentre la salvaguardia degl'istituti e interessi ecclesiastici e subordinata ai primi e quindi è di carattere pratico e contingente. Su queste direttive non si costruisce una teoria politica specifica, che si possa chiamare cattolica, perché non è in causa la costruzione della societa temporale, che precede storicamente il cristianesimo; e perché questo non mira direttamente a dettare norme di vita politica, si bene a inserire nella societa temporale una societa superiore, quella soprannaturale. L'inserzione non si fa che su ciò che è distinto; questa distinzione è alla base di tutto il cristianesimo e fu'data da Gesù Cristo nella celebre risposta agli Erodiani: «Rendete, dunque, a Cesare quello che e di Cesare ed a Dio quello che è di Dio» (Matth., 22, 21). Il dualismo cristiano ha reso possibile una nuova storia della civiltà umana. Già nei Vangeli affiorano le conseguenze di questo dualismo. Parlando del matrimonio e del divorzio, Cristo intima il principio superiore della indissolubilità: «Non divida, dunque, I'iiomo quello che Dio ha congiunto))(Matth., 19, 6), togliendo, cosi, all'autorità umana (la famiglia, la tribù, lo stato) qualsiasi facoltà a consentire o legalizzare il divorzio. Altra applicazione immediatamente dopo Cristo troviamo negli Atti degli Apostoli (4, 18-20), quando i capi del Sinedrio intimarono a Pietro e Giovanni «di assolutamente non parlare e non insegnare nel nome di Gesù». Essi risposero con fermezza: «Giudicate voi stessi se sia giusto dinanzi a Dio l'ubbidire a voi anzi che a Dio)). 11 rifiuto ad ubbidire all' autorita costituita (non importa se monarchica o teocratica) e fissato nel criterio di prevalenza dell'ordine spirituale sul temporale, di Dio su Cesare, della coscienza sulla legge. Tanto Paolo che Pietro toccano i rapporti personali dei cristiani con la societa costituita. Essi come individui non sono fuori dello Stato (come si dice oggi) ma ne fan parte. Paolo come cittadino romano afferma i diritti che gli derivano da tale qualità. Dall'altra parte, i cristiani debbono osservare i doveri di buon cittadino. S. Paolo scriveva ai Romani: «Date a tutti ci0 che è dovuto, a chi il tributo il tributo, a chi il dazio il dazio, a chi il timore il timore, a chi l'onore I'onoren (Rom.,13, 7). Questi capisaldi sono affermati in confronto alla autorita giudaica e a quella romana nelle persecuzioni dei primi tre secoli; i cristiani ubbidiscono fino al limite imposto dalla nuova fede; cercano di sfuggire all'ondata persecutrice nascondendosi nelle catacombe ed evitando i contatti sociali fin dove possibile e infine accettando carceri, torture e perfino la morte a testimonianza della fede.
Era naturale che, uscita la Chiesa vincitice dal conflitto con la vecchia società pagana in nome di un principio etico-religioso a carattere soprannaturale, cercasse d'informare la nuova societa cristiana dei suoi principi. Sarebbe quindi fuori luogo seguirne lo sviluppo storico; quel che risulta dal lungo processo di duemila anni si E la coesistenza dualistica della societa religiosa nella società civile. Tutte le teorie politiche affermatesi dall'epoca giustiniana alla nostra cercano di superare tale dualità verso l'unificazione rappresentata da una autorita suprema. Ma la dualità e insuperabile, perché la natura e i fini della società politica sono diversi da quel1.i della Chiesa di Cristo, e possono venire in conflitto (Cristo lo profetizzo) quando i primi si presentano come assoluti o come antagonisti e intendono invadere il campo della coscienza.
Se guardiamo lo svolgersi delle teorie politiche nei primi secoli del Cristianesimo, dobbiamo convenire che mentre alla superficie sembrava che la tradizione romana persistesse e si evolvesse adattandosi al corso della storia, in profondità si maturavano i germi di un orientamento del tutto nuovo. I due principii, che l'autorità, come la viene da Dio e che l'individuo non e legato di ubbidienza alle autorità terrene quando urge un comando etico-religioso, spostano i cardini della società basata sopra una finalità puramente terrena'di dominio e di godimento o di benessere. E' vero che la filosofia e il diritto romano riconoscevano i principi etici di giustizia e di solidarietà; ma questi venivano subordinati ai fini politici del popolo dominatore del mondo. I cristiani non rinnegarono la costituzione dell'impero romano; anzi trovarono che l'unificazione romana per disposizione provvidenziale avesse preceduto l'avvento del Cristianesimo. «Ad un'opera divinamente disposta era massimamente opportuno che molti regni fossero confederati in un solo impero si che la predicazione destinata a tutti potesse in breve tempo raggiungere i popoli allacciati sotto unico regime)). Cosi S. Leone Magno. All'impero pagano fu sostituito l'impero cristiano; la libertà richiesta dai cristiani sotto le persecuzioni fu poi negata ai pagani che mano a mano si ritirarono nelle campagne e nei villaggi, che rimasero ultimi centri dei vecchi culti. I romani avevano risoluto il problema della tolleranza religiosa ammettendo nel loro Panteon tutti gli dei dei paesi conquistati, e allo stesso tempo obbligandoli a riconoscere la dea Roma o il dio imperatore. Ma con i cristiani non era possibile questo legalismo politeista. Il decreto di tolleranza del 3 13 non era che una tappa verso l'impero cristiano; Costantino lo comprese quando consenti e cercò di influenzare i concili di Arles e di Nicea. Fin da allora erano sorti i conflitti dogmatici, che trascinavano nella
loro passionalità e nei conflitti di fazioni anche le autorità e gli stessi imperatori che parteggiavano ora per l'ortodossia ora per l'eresia. Questo fatto porto all'ingerenza degl'imperatori nelle materie ecclesiastiche ed ai conflitti fra imperatori e vescovi o imperatori e folle. La teoria della tolleranza verso gli eretici fu in un primo tempo sostenuta da S. Agostino, il quale poi cambio parere e domando l'intervento dell'autorità contro gli eretici (e in ciò in disaccordo con Roma) per il fatto che gli eretici usavano mezzi violenti e si imponevano con la forza e col numero. In un mondo laicizzato come il nostro le fazioni prendono il nome e il colore che si danno agli obiettivi economici e politici da raggiungersi, ma non cosi da non essere anche affetti da interessi e passioni personali e religiose (o antireligiose); in un mondo teoricamente e praticamente religioso le fazioni ne prendevano il nome e il colore, ma non cosi da non essere affetti da interessi e passioni personali, politiche ed economiche. E se in via normale si discuteva in concilii e nelle aule imperatorie (come oggi nei parlamenti e nei ministeri) non mancavano conflitti di piazza e di strade, colpi di bastoni e assalti in piene forme, come oggi non sono mancate violenze di partiti politici. Che fa il cittadino normale? invoca l'autorità che ha la tutela dell'ordine; cosi oggi come allora. E se I'autorita parteggia per una fazione contro l'altra, si arriva alle ribellioni, alla guerra civile, ovvero alla perdita della libertà della parte soccombente; coW oggi come allora. I moderni si meravigliano che ciò potesse accadere questionando se Cristo fosse Dio e uomo (cattolici) o solo uomo (eretici) e se si fosse incarnato realmente (cattolici) o apparentemente (eretici). Ma invece di meravigliarsi essi dovrebbero penetrare le ragioni profonde per le quali tutta l'Europa, compresi popoli barbari di recente convertiti, si interessarono a tali questioni si da determinare la politica interna e le lotte fra Oriente ed Occidente. Fenomeno consimile dal punto di vista temporale fu quello della riforma protestante e l'altro recente del razionalismo naturalista cosi com'e oggi quello del comunismo materialista. Non importano i nomi e gli atteggiamenti culturali, importa la sostanza storica. E uno degli elementi fondamentali di questa sostanza comune a tutte le fasi storiche e quello della libertà nell'organizzazione politica e nelle interferenze ecclesiastiche. Sant'Agostino nella sua «Città di Dio» volle delineare, in una sintesi potente, il conflitto fra il bene e il male, rilevando, attraverso la storia, le vie della Provvidenza per il trionfo della Città di Dio. Tale conflitto matura nella societa terrena frutti amari di peccato, mentre la Città di Dio si va formando nell'attuazione della Redenzione e nelle opere dei suoi Santi. I1 libro di Agostino non è affatto una condanna della societa terrena né una teoria per una migliore organizzazione politica; si bene uno specchio dove si riflette attraverso storia, etica e dogmatica, il finalismo della societa umana guidata da una Provvidenza amorevole e giusta. In questo e in altri scritti di Agostino troviamo teorie e affermazioni sul potere politico, sulla libertà, sulla guerra, sulla tolleranza di mali sociali,
e così via, come del resto se ne trovano in Ambrogio (con maggior senso di romanità), in Basilio (con maggior foga oratoria) e in molti altri padri e scrittori dei primi secoli. La tendenza prevalente era quella della coesistenza e cooperazione fra autorità civile e autorita religiosa; ma era ben dificile precisarne i limiti di competenza e regolarne le interferenze. Papa Gelasio I ripetendo quel che aveva scritto Felice I1 dichiarava che i due poteri, l'ecclesiastico e il civile, derivano da Dio, uno nel dominio spirituale, l'altro in quello temporale. I vescovi sono soggetti agl'imperatori in materia temporale e gli imperatori ai vescovi in materia spirituale. Ma il conflitto fra i due poteri ambedue cristiani e supremi non era cessato prima di Gelasio, né cesso dopo.
Il principio paolino che ogni autorità viene da Dio non annullava il principio che dal popolo romano derivasse la potestà imperatoda. Per quanto gli imperatori avessero instaurato il sistema assolutistico, nessuno allora negava la derivazione dei poteri dal popolo romano, ai quali i popoli soggetti partecipavano per estensione di una specie di investitura storica; i cristiani la riconoscevano più o meno come un privilegio provvidenziale. Nel codice giustiniano e fissato, in termini rimasti storici, il passaggio dei poteri dal popolo all'imperatore: «Cum enim lege antiqua, quae regia nuncupabatur, omne jus omnisque potestas populi romani in imperatoriam translata sunt potestatem ...». (Cod. L. 17, 1, 77). I giuristi discussero questo testo per secoli, finché cessato il mito del diritto storico del popolo romano, si prese a parlare dei diritti del popolo, di ogni popolo e della sovranità popolare. Durante i secoli di mezzo, nella disgregazione della società romana imperiale e la conseguente nucleazione di regni e contee, di citta e comuni, di vessivadi e chiese locali, prevaleva la concezione corporativa intrecciata col sistema feudale, mentre il popolo cittadino e artigiano si organizzava in corpi di arti e mestieri, si riuniva intorno al proprio campanile e alla casa del comune, cercava allo stesso tempo appoggio dal Papa o dall'imperatore, da vescovi o da conti e marchesi, per tutelare i propri diritti, che i giuristi classificavano come privilegi. Prevaleva la concezione privatista dei diritti, come rapporti contrattuali, che venivano acquisiti attraverso tradizioni storiche, più o meno documentate d a titoli, che si facevano valere e si difendevano anche con la ribellione e la guerra. Scrittori ecclesiastici e laici, canonisti e legisti, discutevano sui dati di fatto e sostenevano i diritti di re ed imperatori o di vescovi e di papi, sia appoggiando le loro teorie ai titoli storici, sia derivando dai titoli storici le loro teorie. Non ci meravigliamo se Tommaso d'Aquino riconosce alle citta o ai regni che si governano con istituti popolari ed elettivi, il diritto di mante-
nere i loro statuti e di difenderli e rivendicarli contro gli invasori, usurpatori e tiranni; e,allo.stesso tempo riconosce ai sovrani assoluti il loro diritto di sovranità senza limitazione popolare. Prevalendo la concezione etica del potere che doveva esercitarsi per il bene comune, la forma del potere - se popolare, aristocratica o monarchica - era subordinata alla possibilità di ottenere il maggior bene comune. Questa concezione moralistica del potere si appoggiava alla interpretazione del come il potere derivasse da Dio nell'autorità investita del potere, sia di re o imperatori, sia di priori o reggitori di città libere. Durante il Medio Evo furono sviluppate in proposito varie teorie giuridiche, filosofiche e teologiche. S. Tommaso d'Aquino tenne ferma la teoria gelasiana e chiari la derivazione da Dio come titolo supremo nell' ordine della società civile e di quella ecclesiastica per il bene comune enel reciproco aiuto, fissando per quanto possibile i limiti delle due autorità. Ma molti canonisti del tempo avevano introdotto due correzioni a questa teoria: la prima che l'autorità temporale derivasse la sua autorità da Dio per I'intermediazione della Chiesa (il sostenitore più valido di questa tesi fu il papa Innocenza IV); la seconda, che tutti i poteri anche temporali fossero incentrati in modo eminente nel romano pontefice (interpretando in questo senso la motivazione della bolla «Unam Sanctam* di Bonifacio VIII). All'opposto si formò la cosiddetta teoria del «diritto divino dei re», che ebbe lungo seguito e larga letteratura; per essa non solo si affermava che i monarchici ricevessero il potere direttamente da Dio senza alcuna intermediazione ecclesiastica (teoria prevalente fra gli scrittori cattolici), ma che essi non dovevano darne conto che solo a Dio, si che il loro potere non potesse essere limitato ne dal popolo ne dalla Chiesa e fosse di sua natura assoluto. Tale teoria fu mano a mano elaborata da legisti e da ecclesiastici che prendevano le parti degli imperatori e dei re. L7Arcivescovo Giacomo di Capua fu il redattore della collezione di leggi fatta da Federico I1 lo Svevo col Titolo Liber Augustalìs, e ne fu rimproverato da Gregorio IX. Giovanni da Parigi nel suo trattato De potestate regia et papali pur sostenendo il lato monarchico (e la sua teoria per cinque secoli fu la base del gallicanismo) si rifaceva alla linea tracciata da S. Tommaso d'Aquino circa la distinzione dei due poteri e la rispettiva origine da Dio. Ma nel precisarne i limiti e vagliarne i titoli, egli negava molto di quel che 'i canonisti attribuivano al papa sia per una lunga applicazione della bolla di Bonifacio VIII. sia per la pretesa donazione costantiniana. In sostanza, dalla teoria dell'origine del potere si passava alle controversie politiche e storiche che durarono fino ai tempi moderni, dividendo i cattolici in curialisti e anticurialisti. Dante segui il pensiero di S. Tommaso, circa l'origine e la dualità dei poteri spirituale e temporale; fu animato dallo spirito di S. Bernardo nel voler togliere a papi e vescovi le preoccupazioni e le incombenze temporali; e seguiva in parte 1'Arcivescovo di Capua nell'aumentare le compe-
tenze del potere imperiale anche nelle materie miste, ecclesiastico-temporali.
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L'inserzione delle tendenze naturalistiche deila Rinascenza infuiscono a modificare l'orientamento etico, si da concepire la politica come un'arte a sé per l'acquisizione e il mantenimento del potere. Sarebbe ridicolo affermare che nel Medio Evo non ci fossero stati monarchi spregiudicati, tiranni crudeli, governatori che per tenersi in sella non usassero intrighi, doppiezze, frodi senza preoccupazioni del bene comune, curando solo il loro personale vantaggio e il vantaggio dei loro fidi e seguaci. Machiavelli tentò di teorizzare l'arte politica non solo svincolandola dall'etica ma anche facendo servire l'etica (e la religione anche) al successo politico. Se questo successo tornasse al bene comune o al bene privato, se i mezzi a questo successo fossero gli stessi di quelli che avrebbero servito al bene comune ovvero i loro contrari, ciò non importava ai fini politici. In sostanza la teoria del potere per il potere, come più tardi si affermò quella dell'arte per I'arte. Il Machiavelli dell'arte politica scandalizzò non tanto per la sua analisi rigorosa, come quella di un anatomista della società politica del tempo, ma perche ne derivò una teoria perenne, che separava quel che si credeva inseparabile, la politica dall'etica. Cattolici e protestanti tentarono per due secoli di rifare una teoria politica che fosse anche morale. Gli uantimachiavellir abbondarono anche tra i machiavellisti. Ma la lotta fra cattolici e protestanti portò i termini teorici sopra un altro terreno, tanto più che principi e monarchi dell'uno e dell'altro lato, pur aborrendo Machiavelli come il diavolo, usavano a larga mano i metodi descritti da Machiavelli per conquistare, difendere e mantenere il proprio potere e la propria fazione. La tesi della ragione di stato di cui fu portavoce fra i cattolici il Botero (l), riuni in maniera equivoca il principio del potere per il potere con quello del bene comune, dato che nel fatto l'autorità assoluta del monarca Si identifica con lo Stato (potere) e con la ragione di stato (bene comune). Chi ci pativa in tale identificazione era il bene comune e chi si presumeva dovesse avvantaggiarsene era il monarca. Occorreva pertanto rivedere la teoria dell'origine del potere non potendosi accettare una simile unificazione che chiudeva in una morsa tanto le esigenze dei sudditi quanto i diritti e i privilegi dei corpi costituiti, principalmente la Chiesa. Ma su questo piano i cattolici (anti-machiavelli per convinzione morale) si divisero. I più avanzati, rifacendosi alle teorie contrattualistiche del Medio Evo, sostenevano che il potere originariamente risiedesse nel popolo e derivatamente nel principe; una specie di contratto reale o presunto, legava il popolo al principe che possedeva il potere per il bene comu( 1 ) Giovanni Botero ( 1 543-1617), gesuita, storico e politico, fu segretario del cardinale Carlo Borromeo. Sua opera fondamentale e Della Ragione di Stato.
ne. Gli altri, ripetendo la teoria del diritto divino dei re arrivarono a sostenere che tale derivazione fosse non solo generica per sanzionare l'autorità, ma individuale e carismatica su ogni singolo monarca. Onde i primi ammettevano la deposizione dei re ed arrivarono a giustificare la ribellione e il tirannicidio; gli altri invece elevarono il monarca a un grado di rappresentanza divina che poteva dirsi superiore a quella dei vescovi e del papa. Le due correnti ebbero fra i cattolici autori di primo piano e di fama europea. Gli italiani ebbero il Bellarmino (2), ma i due colossi degli opposti campi furono Suarez (3) e Bossuet (4). Purtroppo Bossuet, che sosteneva l'assolutismo dei re anche in materia ecclesiastica, e provò i ngo* della Curia Romana, passò per il più autentico rappresentante del pensiero politico dei cattolici; mentre Suarez fu messo in disparte e per vari secoli dimenticato anche dai cattolici, nonostante che fosse il più grande pensatore, teologo, giurista, politico dall'epoca della controriforma a i nostri giorni. Un altro grande da mettere vicino a Grozio (9,che prevenendolo apri l'epoca del diritto internazionale moderno, fu il domenicano Francisco de Victoria (6). Col ritardo di vari secoli e per merito di giuristi e scienziati di ogni scuola e fede, e stato attribuito al de Victoria quel posto eminente che nel campo del diritto internazionale gli spettava.
Suarez, Grozio, de Victoria e molti altri ?ano i pionieri del nuovo diritto di natura che già fermentava dalla Rinascenza in poi formando due correnti, una verso un più deciso naturalismo che si distaccava e si opponeva al soprannaturale, l'altra che pur coordinandolo al soprannaturale, lasciava aUYelementonaturale una propria consistenza e autonomia. La prima corrente, per lo più fra protestanti, si rifaceva al volontarismo acosmistico, del quale il francescano Occam (7) fu il piY insigne e grande assertore; - l'altra al tomismo che, nel campo cattolico dopo quasi due secoli di oblio, aveva ripreso il posto che gli spettava. Ma gli orientamenti del pensiero dell'epoca della riforma e controriforma erano ben diversi da quelli del Medio Evo; la stessa polemica protestante dava (2) Roberto Bellarmino (1542-1621), cardinale e teologo della ~controriformaw,dal 1930 è venerato come santo dalla Chiesa. (3) Francisco Suarez (1548- 1617), teologo spagnolo. (4) Benigne Bossuet (1627-1704) vescovo francese, difensore dei diritti della Chiesa gallicana e dell'assolutismo monarchico al tempo di Luigi XIV. (5) Huig van Grwt (1583-1645), umanista, giurista, storiografo londinese. (6) Francisco de Victona (1492-1546) - giurista spagnolo, studioso in particolare del diritto internazionale, frate domenicano e professore all'università di Salamanca dal 1526 alla morte. (7) Guglielmo di Occam (1300-1350) precursore del pensiero politico moderno, di nazionalità inglese, accusato di eresia e scomunicato dalla chiesa del tempo.
nuovi elementi a rivedere e riquadrare le antiche teorie rappresentandole sotto nuovo aspetto. Il naturalismo protestante sbocco con Hobbes alla teoria del contratto politico per il quale gli uomini nell'atto di unirsi in societa, per l'insito carattere di questo fatto, si svestono una volta per sempre dei loro diritti individuali che passerebbero al monarca assoluto; con Locke, al contrario, alla teoria di un contratto sempre in atto per il quale gl'individui non si privano dei loro diritti fondamentali, pur convenendo di subordinarli alla società regolata dal principio di maggioranza. Mentre Hobbes arriva a dare al monarca il diritto di fissare la religione di Stato, Locke nega allo Stato qualsiasi diritto sulle anime, contrapponendo alla religione di Stato il principio della tolleranza civile in materia di religione e culto. Tale tolleranza non era vista solo dal lato teologico ma anche da quello politico; cattolici convinti e protestanti convinti non ammettevano la tolleranza degli altri culti diversi dal proprio per il principio che la verità e una e indivisibile. Era difficile per essi fare il passaggio dal piano della società -religiosa, per il quale l'eretico e da espellere, al piano della societa civile nella quale l'eretico o il creduto eretico deve avere rispettati i diritti della personalità umana. La questione interessava anche gli inglesi emigrati nel Nord America, dove costoro tentavano la coesistenza di diverse fedi e chiese sia in gruppi coloniali distinti, sia in una stessa colonia separando per quanto possibile il campo religioso da quello politico. Ma tanto in America che in Europa non si pote arrivare all'attuazione di una tolleranza religiosa nella organizzazione politica, se non attraverso le rivoluzioni alle quali andavano preparando gli spiriti colti sia la stanchezza delle lotte religiose sia la concezione di una natura distaccata dal soprannaturale. Rousseau fu il profeta della natura buona e della societa cattiva; la sua concezione antistorica era quella che faceva presa per preparare la rottura del vincolismo religioso, politico ed economico. I cattolici si trovarono intellettualmente impreparati a fronteggiare gli enciclopedisti con armi adatte e sul piano naturalistico, sia perché impegnati nelle lotte giurisdizionaliste tra curialisti da una parte, gallicani e febroniani dall'altra e nelle lotte teologiche ancora vive contro i giansenisti; sia perche difendendo l'autorità del papa e quella del principe si erano inclinati dal lato dell'assolutismo, mettendo da parte la difesa dei diritti popolari. 1 cattolici italiani avevano Vico da potere contrapporre su due campi distinti a Cartesio e a Rousseau, ma o non lo compresero o lo sospettarono; Vico messo da parte, fu rivalutato ail'estero come alieno dal pensiero cattolico e poscia rivalutato in Italia come precursore deii'idealismo hegeliano. Nel campo più strettamente politico ebbe un quarto d'ora favorevole il siciliano Spedalieri con il suo volume sui diritti dell'uomo; ma fu tosto
avversato dall'ala reazionaria e messo in disparte e quasi da tutti dimenticato. A distanza di mezzo secolo l'uno dall'altro entrambi nella propria sfera di cultura intuirono quale era l'orientamento da prendere senza cadere nel razionalismo subiettivo e nel naturalismo utopistico, e inserendosi nella grande tradizione del pensiero cristiano. Vico giganteggio nel campo storico filosofico; egli diede gli elementi di critica per poter distruggere il castello di carta montato dall'enciclopedia (il romanticismo ne fu la reazione): Spedalieri ridiede alla tradizione cristiana del diritto di natura I'orientazione individualistica (oggi si direbbe personalistica) che rivalorizzava l'uomo nella società.
Nel periodo delle rivoluzioni americane e europee, attraverso le rapide fasi del Terrore, le guerre napoleoniche, le agitazioni delle nazionalità rinascenti e del costituzionismo liberale, si andarono elaborando di qua e di la dell'oceano le nuove teorie politiche e sociali. Era caduto I'ancien régime, il quale, pur nei forti contrasti con la Chiesa e pur subendo I'influsso dell'enciclopedia, manteneva ancora la concezione cristiana del diritto pubblico con alla base il principio della religione di Stato. La dichiarazione dell'indipendenza nord-americana e quella francese dei diritti dell'uomo potevano in sostanza legarsi alla tradizione cristiana: la prima con l'accenno della derivazione da Dio dei diritti dell'uomo, e ambedue per la rivalutazione della personalità umana. Ma nello spirito, la seconda, più che la prima, segno la rottura con la concezione cristiana dello Stato. Le varie fasi della rivoluzione francese ne furono per molti una prova di fatto. Il concordato napoleonico, pur riammettendo la Francia nella famiglia cattolica, manteneva lo spirito laico del codice. Il tentativo austriaco di dominare l'Europa con I'assolutismo si infranse presto. L'Ottocento ci diede i regimi costituzionali a base liberale, la restaurazione reazionaria con l'unione del Trono con ['Altare, la questione sociale e i primi tentativi di democrazia. A questo quadro l'Italia aggiunge la sua unificazione nazionale e la concomitante e conseguente Questione Romana. I1 pensiero politico dei cattolici, come sempre, fu diviso in due correnti: quello progressista-liberaleggiante, che prese diverse guise secondo i vari paesi europei e americani, e quello storico-autoritario che fini per prevalere. Molti in Italia fra i pensatori, scrittori e letterati del primo Risorgimento erano cattolici per. tradizione familiare, per educazione e convinzione. Il romanticismo attirò molti al cattolicesimo e molti dei cattolici furono presi nel vortice di siffatto atteggiamento mistico-fantastico della vita. I problemi politici si mescolavano al nuovo impulso che d'oltre Alpe veniva alla filosofia, alla economia, alla letteratura. I nomi di Manzoni e Rosmini restano nella storia perenne per altre ragioni, che per i loro
atteggiamenti e le loro teorie politiche; ma l'essere stati a favore dell'unità d'Italia e del suo regime costituzionale vale più di quello dei molti cattolici rimasti attaccati alle monarchie assolute. Pellico che sconta nelle prigioni austriache il suo patriottismo, vale per cento che sostengono il dominio dell'Austria sul Lombardo-Veneto. Il neo-guelfo Gioberti del Primato, a parte la retorica, resta nel ricordo di molti anche quando attacca il papato e si sfoga contro i gesuiti. Padre Ventura dei discorsi su O' Connel e i moti di Vienna, vale più dei p. Ventura del quaresimale davanti a Napoleone 111. Tommaseo con tutte le sue ire personali ha intuizioni etiche superiori a quelle di tutti i suoi contemporanei. Pellegrino Rossi, Cesare Balbo, Ruggero Settimo, Emerico Amari, il Canonico Ugdulena, Carlo Troja, e cento altri rappresentano una schiera di pensatori politici, filosofi e storici di non indifferente valore. Di fronte a costoro ci stavano gli uomini della restaurazione tipo Solaro della Margherita (8). cattolici temporalisti e reazionari che sostavano sopra una posizione negativa, quella di ostacolare l'unificazione (che implicava il problema del potere temporale) e di svalutare ogni regime costituzionale basato. sulle liberta politiche perché voluto dalle sette e dai rivoluzionari. Prevaleva quindi la concezione paternalistica e cattolica dello Stato a difesa comune del Trono e dell7Altare. Nel campo della così detta reazione clericale, uno solo in quel tempo tento una revisione teoretica del diritto di natura, il gesuita Taparelli dYAzeglio,la cui opera profondamente pensata e maturata ha delle vedute larghe ed antiveggenti, pur tenendo ferma la tradizione autoritaria e combattendo le aspirazioni verso la democrazia. Nel 1864 Pio IX mise fuori il Sillabo, elenco di 80 proposizioni in cui si raccoglievano gli errori in voga, per segnalarli all'episcopato di tutto il mondo. Il Sillabo fece scandalo nel mondo europeo, specialmente in Francia e in Italia. Da allora, letto o no, non c7è persona di mediocre cultura che non inorridisca a sentire il nome di Sillabo. Lasciando da parte tutti gli errori filosofici e teologici, quali il panteismo, il naturalismo, I'indifferentismo e simili, e restando alle proposizi,oni di colore politico, non si puo negare che Pio IX avversasse le liberta moderne, il tipo di governo costituzionale, la separazione della Chiesa dallo Stato, il principio del non intervento e simili. La lotta che la Chiesa cattolica muoveva al liberalismo era principalmente diretta alle premesse naturalistiche, al contenuto agnostico e all'atteggiamento anti-cattolico assunto da molti, liberali. In fondo nel secolo scorso si discuteva sulla natura della liberta e della verità, come nei primi tempi della Chiesa si discuteva sulla natura ipostatica del Cristo. Il liberalismo politico non aveva una consistenza propria, si presentava in una società ancora cristiana come naturalismo a tipo razionalista o idealista. (8) Clemente Solaro della Margherita (1792- 1863), conte, ministro degli esteri e consigliere privato di Carlo Alberto, cattolico, simpatizzo per il movimento degli oblati fondato dal Lantieri.
L'errore di molti cattolici fu quello di rigettare la libertà politica in nome della religione. e di reputare la struttura storica della societa di ieri - che perclié storica era modificabile - come l'unica o la migliore chc potesse gararitire la società temporale e quella spirituale. Sgoinbrata in gran parte l'aria di passionalità politica che accompagnO il Sillaho per lungo tempo, si può guardare quel documento nella sua scarna enumerazione come una profezia di quel che e avvenuto in quasi un secolo di apostasia politica e sociale dal Cristo. A parte questo caratiere inonitorio. esso (senza le esagerazioni di coloro che lo vollero attenuare e degli altri che ne esagerarono la portata) appartiene alla tradizione ininterrotta dell'atteggiamento della Chiesa contro il naturalismo moderno. Per ben comprenderlo anche oggi occorre tener presente le diverse posizioni che storicamente il papato ha dovuto affrontare, cercando di far cadere quel che poteva essere contingente, storico'e transitorio, per mantenere quello che e perpetuo ed essenziale. Cosi si conciliano il non possunzlrs di Pio IX con il Trattato del Laterano di Pio XI; la G~.ai.esde Comirlui~idi Leone XIII con l'allocuzione sulla Democrazia di Pio X11 (9): il ilon e-upedif di Pio IX. cui Leone XIII diede l'espresso significato di proibizione, con la revoca datane da Benedetto XV; la lunga campagna del clero e di molti cattolici in tutti i paesi contro il voto alle donne. e la chiara aperta esortazione fatta alle donne da Pio XII perché pigliassero la loro parte di responsabilità nella politica del proprio paese. L'elenco può continuare.
La Democrazia Cristiana non e un fatto recente o recentissimo, come si crede da parecchi; il primo ad averne visto cento anni fa la sua esigenza e realtà sociale e storica fu Federico Ozanam, un francese mezzo italiano (era nato a Milano, venne spesso in Italia, scrisse su Dante e S. Francesco) che nel 1848 fu con Lacordaire al Parlamento francese e lottò sotto Napoleone I11 per la libertà e la democrazia. Ma fu solo dopo la enciclica di Leone XIII «sulla condizione degli operai)) che prevalse la tendenza di democrazia cristiana il cui nome indicò il contenut.0 sociale della politica dei cattolici. La parola fu coniata nel Belgio, passò in Francia e arrivò in Italia. Dall'Austria e dalla Germania era venuta la qualifica di cristiano sociale, e venne anche il nome di socialismo cristiano. La parola di socialismo qualificato da cristiano non fu accetta ai cattolici per il fatto che (9) Sturzo si riferisce al radiomessaggio natalizio del 1944 col quale Pio XII fece cadere definitivamente la pregiudiziale della dottrina sociale della Chiesa nei riguardi della democrazia intesa come sistema politico di governo e non solo come azione benefica a favore del popolo, come l'aveva definita Leone XIII nella Graves de Communi (il testo del radiomessaggio in Le encicliche sociali, a cura di I. GIORDANI, Studium, Roma 1948, pp. 710-24).
anche allora (siamo fra l'ottanta e i1 novanta) il socialismo era appreso come marxismo, materialismo, rivoluzione. La maggior parte dei cattolici non era allora assai favorevole alla democrazia e quindi trovava arduo concepirla come cristianizzabile; ma Leone XIII si espresse chiaramente quando disse che se la democrazia fosse divenuta cristiana avrebbe fatto gran bene al mondo. Però egli poco dopo, pur autorizzando i cattolici a qualificarsi, se lo volevano, da democratici cristiani, volle espressamente limitarne il significato sociale escludendone quello politico. La scuola sociale cristiana fu caratterizzata da due correnti: quella che affermava la democrazia come forma politica o politico-sociale; quella che la limitava all'organizzazione operaia e ai provvedimenti legislativi di tutela del lavoro e della famiglia. Un'altra divisione si era formata fra le scuole cristiano-sociali europee, essendovi coloro che appoggiavano la concezione corporativista medievale (che implicava anche una struttura politica connessa; i caposcuola erano Volgesang in Austria e De Mun in Francia), e gli altri, i più, che ammettendo come fatto il tipo individualista della società moderna, favorivano l'organizzazione sindacale nel quadro democratico attuale. In Italia i nomi dei cristiano-sociali sono recenti. Primo su tutti il Prof. Toniolo economista e sociologo, Mons. Talamo (lo) e Vincenzo Mangano ( l l), pensatori e scrittori, Don Albertario (12) che passo dal clericalismo temporalista al movimento sociale democratico e la pago col carcere. Nel campo delle attuazioni politiche restano vivi i nomi dei ministri di prima del fascismo, Meda e Mauri e degli altri del primo gruppo di deputati cattolici; nel campo della polemica don Romolo Murri di. prima della crisi spirituale che lo allontano dalla Chiesa (alla quale ritorno negli ultimi anni); nelle realizzazioni sindacali e cooperative, il Conte Medolago-Albani, Don Cerrutti, G . B. Valente, Mario Chiri, Achille Grandi. Frutto pratico e maturo d.i un quarto di secolo di lotte fu la formazione, nel gennaio 1919, del Partito Popolare Italiano con carattere a-confessionale e programma nettamente costituzionale, politico e sociale. Il partito si affermò contro l'accentramento statale; per la libertà della scuola, per le autonomie regionali e municipali, per le più larghe,forme di liberta politica, per i!sindacalismo operaio e a favore della Società delle Nazioni e la solidarietà internazionale. (10) Mons. Talamo (1854-1932), filosofo neotomista, fu conosciuto da Sturzo negli anni giovanili della sua permanenza romana. Mons. Talamo era allora direttore della *Rivista internazionale di scienze sociali*. (1 1) Vincenzo Mangano, (1886-1940) palermitano, organizzatore del movimento cattolico siciliano, amico di Sturzo, fu tra i fondatori del P.P.I. (Cfr. C. MOCHI, Vincenzo Mangano e il movimento catlolicoparlemitano, Roma, 1977, e G . INTERSIMONE, Vincenzo Mangano, l'uomo e il pensiero, Roma 1968). (12) Don Davide Albertario (1846-1902), leader del movimento cattolico intransigente, nel 1898, in seguito ai moti di Milano, fu condannato, nella generale ondata repressiva che colpi'socialisti e cattolici, a tre anni di detenzione.
Arrivato il fascismo al potere, i popolari nel congresso di Torino (aprile 1923) rialzarono la bandiera della libertà contro la dittatura. Una minoranza tra i popolari si accosto al fascismo e vi collaboro sotto il nome di Centro Nazionale, l'altra resistette alle pressioni e alle minacce. Non mancarono giornalisti e scrittori cattolici italiani ad accettare il fascismo nel suo aspetto economico-sociale(corporativisrno-autarchia) e nel sistema di dittatura paternalistica, foggiandosi pero un fascismo a loro tipo con un pizzico di Stato-cattolico. Gli altri, i popolari veri, dovettero tacere; mantennero pero la loro dottrina e i loro ideali, che prepararono la rinascita della democrazia cristiana sotto l'aspetto del partito venuto poi in luce nel 1943 e affermatosi elettoralmente come principale partito italiano nel dopo guerrra a maggioranza repubblicana (2 giugno 1946). Tra il popolarismo del 1919 e la Democrazia cristiana del 1946 ci sono varie differenze di orientamento e di metodo (l 3), dovute a ventidue anni di dominio fascista che paralizzo le manifestazioni del pensiero politico degli italiani e ne impedì i dibattiti utili; al disastro economico, morale e politico portato dalle guerre combattute all'estero, nelle colonie e infine sul patrio suolo, non che alla necessità di collaborare, in un primo tempo, con il partito comunista, sia nel governo che nei sindacati. Nel campo della teoria politica i cattolici di questo secolo, sia italiani che esteri, non hanno avuto pensatori da potersi paragonare ai grandi del passato. Leone XIII con le sue encicliche segno un passo avanti verso un aggiornamento del pensiero tradizionale della Chiesa circa la costituzione degli Stati, e affermo per primo il diritto e dovere della Chiesa di occuparsi della questione sociale: I papi che gli succedettero in una forma o in un'altra seguirono la stessa via, guidando i cattolici nella difficile revisione dei valori etici della vita pubblica, facendo ora da spinta ora da freno. I cattolici di ogni paese hanno largamente contribuito al riesame nelle questioni economico-sociali con manuali di sociologia cristiana, di economia politica, di diritto sociale, o con studi di particolare interesse sui sindacati operai, il diritto di sciopero, il salario familiare, l'ordinamento di classe, i contratti collettivi; ovvero con studi critici più o meno scientifici sul marxismo, sul comunismo e su altri errori moderni. Ma nel campo delle scienze politiche e sociologiche si hanno pochi libri di scrittori catto( 1 3) La nascita della D.C. (1943) fu il frutto di un compromesso fra i quadri dell'ex Partito Popolare, guidati da De Gasperi, e il Movimento guelfo d'azione, di P. Malvestiti. Quando termino la guerra si inserirono nel nuovo partito persone cresciute sotto il pontificato di Pio XI e maturate nei movimenti intellettuali di A.C. (Fuci e laureati) e nell1Università Cattolica di Milano, tra le quali A. .Moro, G. Dossetti, G. La Pira e A. Fanfani. Preoccupazione costante di A. De Gasperi fu quella di costruire .un pont e fra ~ queste due diverse generazioni. Sturzo in particolare guardò sempre con diffidenza il gruppo dossettiano di #Cronache socialia che accusò di statalismo in politica economica. (Cfr. G. DE ROSA, Sturzo, op. cit. pp. 461-73). Sulle origini della D.C. cfr. G. BAGET B o m , Il partito cristiano al potere, Vallecchi, Firenze 1974, pp. 45-64 e G. SPATARO, I democratici cristiani dalla dittatura alla repubblica, Mondadori, Milano 1968. pp. 195-219.
lici che mostrino originalità di vedute e aggiornamento scientifico e allo stesso tempo mantengano nella loro piena luce la tradizione etica del cristianesimo. Bisogna ricorrere a filosofi come Blondel, Maritain, Gilson, Dempf (14), Dawson (15), e altri per trovare pagine e scritti di interesse sociologico e politico. Gli orientamenti della loro speculazione dovrebbero essere trasportati su terreno proprio e al di fuori dei manuali scolastici di diritto naturale dove abbondano certe vedute interessanti e critiche serrate ai sistemi moderni, purtroppo affogati dal metodo didattico, dalla terminologia scolastica, e dalle reminiscenze di problemi superati o prospettati in maniera antiquata. Le teorie che hanno dato in Francia una certa rinfrescata aiie formule tradizionali del pensiero politico-sociologicodei cattolici sono state quella del pluralismo, purtroppo da molti inteso in maniera sociologicamente discutibile; quella dell'istituzionalismo che ha assunto un carattere giuridico più che politico; quella del personalismo, del quale Mounier si e fatto sostenitore con vedute politiche forse troppo personali. Ma questi sono angoli visuali che particolarizzano il problema della società, pur orientandolo verso nuove soluzioni. Chi scrive non ha mancato di contribuire allo studio della sociologia e della politica, portandovi quel poco che la esperienza gli dettava. Alla visione irenica di una societa perfetta, sia tipico ideale, sia finalistica, egli oppone un, processo dinamico che si dualizza nel conflitto, si diarchizza nella oreanizzazione oratica verso un termine di unificazione che mai si raggiunge al completo e che, per naturale contrasto, porta alla disgregazione dei nuclei sociali. Questi ritornano a ricomporsi nella duaiità operativa, a orientarsi verso nuove unificazioni anche se inattuabili e pur tanto enicaci agli effetti sociali. Dentro questo quadro dinamico la societa si realizza in forme primarie: la familiare, la religiosa e la politica, e in forme secondarie e complementari, la economica e la internazionale. I1 movimento di interferenza delle forme sociali fra di loro, è perenne per via dell'istinto verso I'unificazione; così come è perenne il dinamismo dualistico che va dalla molteplicità dei nuclei anarcoidi fino al tentativo di unificazione morale e politica. Sorreggono questo fluido dinamismo le sintesi fondamentali di autorità-libertà o di morale-diritto, e delle forze diarchiche dell'organizzazione e del potere sociale. Lo Stato moderno ha tentato l'unificazione nazionale assorbendo o regimentando tutti gli organismi della societa; ma esso ha subito e va subendo la usura delle unificazioni internazionali di cui le guerre mondiaL 2
(14) Alois Dernpf (n. nel 1891). medioevalista e studioso di filosofia delle religioni, di nazionalità tedesca. Ha insegnato filosofia a Bonn, Vienna e a Monaco. In Italia e abbastanza noto il suo saggio Sacrum Imperium. (15) C. Henry Dawson (n. nel 1889) scrittore e storico inglese, nominato nel 1943 accademico di Gran Bretagna, si converti ai cattolicesimo e si adopero per la ripresa culturale cattolica in Inghilterra.
li sono fenomeni incoercibili. Perciò lo Stato moderno e divenuto totalitario, e può essere tale anche se mantiene (spesso in apparenza) le forme democratiche, le quali in tanto resistono in quanto sono garantite dallo spirito di libertà. Il processo sociologico-storico sarebbe senza sbocco se mancasse la tendenza di trascendersi. Gli elementi fecondatori della trascendenza umana sono la ragione, l'arte, la santità. La civiltà terrena ha potuto trov%re una nuova forza vitale alla valorizzazione di questi elementi per l'inserzione del Cristianesimo nella storia. Società e Stato moderno sono nel ciclo del Cristianesimo e della sua civilizzazione. I1 dinamismo dualistico della societa in tutte le sue forme, volere o no, e fra le posizioni affermative e quelle negative in rapporto al Cristianesimo.
Alla concezione cristiana della societa e quindi al suo influsso perenne e dinamico nelle varie forme nelle quali la societa si attua (politica compresa) viene opposta la concezione laica, in fondo naturalistica, che per trovare un punto di appoggio cerca di mitizzare l'uomo nei suoi vari aspetti sociali, d'onde sono sorti da un secolo e più l'individualismo (nelle varie forme di liberalismo), il nazionalismo (più o meno assolutistico di cui è derivazione il fascismo), il classismo (socialismo a varie tinte), il collettivismo (comunismo apparente e reale), il razzismo (tipico il nazismo tedesco). Il processo ideologico e quello di fatto di simili mitizzazioni porta verso la deificazione dello Stato, sia come somma di poteri, sia come fonte di diritto, sia come organo di centralizzazione, sia come forza di assorbimento. Quel che gli individualisti (liberali o no) non han voluto comprendere, dopo tante esperienze da Napoleone ad oggi si e che ogni forma di individualismo inorganico porta allo Stato accentratore e questo crea i precedenti verso il totalitarismo. La società ha in se gli elementi che reagiscono alle tendenze accentratrici e alle forme totalitarie; ma non sempre queste sono operative se mancano gli organi adatti alla resistenza e trasformazione, come avviene quando la societa, ridotta alla più sciolta forma individualistica, perde la nucleazione organica che coordina e armonizza la periferia al centro. I liberali dell'Ottocento negavano, in nome della liberta, l'intervento statale in materia economica e si opposero alle leggi sociali; ma non solo dovettero cedere (e certe volte furono essi stessi a prevenire i movimenti sociali che fermentavano) ma finirono con lo scomparire dal campo della politica per dar luogo alle forze reazionarie o agli estremismi demagogici. Cosi, lungo un secolo e più, la societa moderna non ha trovato ne un assetto stabile in politica, né una teoria soddisfacente che dia un orientamento verso una stabilizzazione storica rispondente alle esigenze moderne del popolo.
L'unica reale conquista è stata quella della forma democratica di governo popolare. Le sue attuazioni sono state varie, constrastate e oscillanti ad eccezione della Svizzera (che meriterebbe uno studio a sé) e degli Stati Uniti di America, che in fatto non costituiscono una democrazia, ma un'oligarchia economica democratizzata dalle forme politiche. Il cammino E lungo. Quel che importa e che in concreto ogni forma democratica, per la parte reale di democrazia che essa contiene, e nello spirito cristiano e nell'ambito della civiltà cristiana. La democrazia greca - l'unica che si ebbe prima del Cristianesimo, e che mai più si ebbe in paesi non cristiani dell'era volgare - fu democrazia di elite, quando il lavoro era fatto da schiavi e quindi iloti e schiavi messi insieme superavano del doppio la popolazione cittadina democratizzata. Mancava perciò quella massa di popolo che fa vera la democrazia nell'eguaglianza e nella solidarietà. L'amore e la fratellanza predicati dal Cristianesimo sono l'elemento fondamentale che rende possibile la democrazia, che la preserva dal cadere in demagogia o in dittatura, che la vivifica con la moralità e la solidarietà cristiana. Sotto questo aspetto anche la democrazia può e deve appellarsi cristiana, indipendentemente dal fatto che ci possano essere e ci siano dei partiti che si ispirano alla democrazia cristiana, ne portino o no il nome. Ma al fine di creare una democrazia stabile, eticamente sana, basata sulla fratellanza umana, occorre rivedere le teorie politiche in voga, e ridare posto ai problemi fondamentali sociologici e politici che hanno tormentato gli uomini fin dai tempi antichi quando della repubblica e delle polis discutevano Platone e Aristotile.
LA LIBERTA' SCOLASTICA (*) Certi problemi non trovano mai una soluzione definitiva, sia per la loro complessità, sia perche, in qualche modo risoluti, tornano a ripresentarsi sotto altri aspetti, sia infine perche non resi ((politicamenteattuali» si da esigere una soluzione immediata e completa. La libertà scolastica e proprio uno di questi problemi, sempre in atto e mai politicamente ((attualizzato)),sempre in discussione e mai risolto. Le grandi battaglie per la libertà scolastica combattute nel secolo scorso in Francia e nel Belgio appassionarono dalle due parti l'opinione pubblica europea. Sotto altri aspetti Inghilterra e America del Nord hanno dibattuto il problema scolastico, cercando di inquadrarlo, senza riuscirci completamente, nello spirito delle proprie istituzioni. (*) Prefazione al libro di Mons. GIUSEPPE MONTI, La libertà scolastica, Signorelli, Roma, 1949.
I1 problema interessa le tre forme primarie di socialità: la familiare, la religiosa e la politica. I1 conflitto di diritti, di interessi e di teorie è il più drammatico che vi sia nella storia della societa, perché è conflitto dello spirito sulla materia e perchk nel risolverlo si dovrebbero fissare (cosa difficilissima) i limiti di intervento della famiglia, dello stato e della chiesa nella educazione della gioventù e nello stesso orientamento etico e culturale del popolo. Il dinamismo sociologico delle tre forme primarie di socialità è tale che è difficile mantenere fra di loro un costante equilibrio. La famiglia, che nelle societa primitive e la forma prevalente e sintetizzante, nelle società progredite perde i poteri religiosi e civili, pur restando il nucleo fondamentale e la matrice vitale della societa. I1 cristianesimo mentre attribuisce alla famiglia carattere sacro e compiti spirituali elevatissimi, investe la chiesa di una autorità interiore sull' individuo, sulla famiglia e sulla stessa societa politica, quale mai ebbe nessun'altra religione. Da qui un contrasto storico, di duemila anni, fra lo stato potere politico e la chiesa potere religioso che e alla base di una udiarchia))- chiesastato - insopprimibile, nei paesi cristiani: Le questioni fra potesta spirituale e potesta temporale saranno diverse secondo le epoche e secondo i popoli; si troveranno modi di intesa e di convivenza, nei quali ora l'uno o l'altro dei due poteri dona, accorda, cede; i conflitti si acutizzeranno o si attenueranno. Ma non sarà mai realizzabile il subordinare l'una forma sociale all'altra. né mantenerne una coordinazione che risolva tutti i problemi in anticipo e non ne faccia risorgere di nuovi. Che i due poteri si ignorino e stoltezza pensarlo; come è storicamente inesatto che la separazione legale e formale di stato e chiesa, quale nella maggior parte dei paesi democratici moderni, escluda interferenze dirette o indirette, ne trascuri le diverse funzioni e sopprima la rivendicazione dei risuettivi diritti. Il scolastico di oggi è stato ereditato dall'atteggiamento daicista» del liberalismo naturalista e del positivismo materialista di ieri. Oggi e meno sentito dalle popolazioni sia per l'adattamento allo stato di fatto, sia per il maggiore interessamento ai problemi economico-sociali che a quelli della cultura e della liberta. Per questa ragione, la discussione.sugli articoli della costituzione riguardanti la scuola ufficiale e la scuola libera passarono in Italia con poco rilievo, come una schermaglia fra cattolici e laicisti, che alla fine trovarono un temperamento di compromesso che non può dirsi soddisfacente ne per i diritti della coscienza ne per il metodo di liberta. E' cosi che anche in regime democratico repubblicano, come nei regimi passati dall'unificazione nazionale ad oggi, la battaglia per la liberta scolastica in Italia continua. Il contributo dato da mons. Giuseppe Monti con il suo nuovo volume, wLa liberta scolastica)), è notevole per chiarezza e precisione. I cattolici
vi troveranno indicati i limiti che la chiesa assegna alla famiglia e allo stato in materia di educazione giovanile e i termini sui quali si basa la rivendicazione dei diritti di coscienza. I politici vedranno quali le deficienze dell'attuale legislazione scolastica e quali, gli esempi che ci vengono dai paesi democratici più rispettosi della libertà che non sia stata l'Italia di ieri e che non sia, purtroppo, l'Italia di oggi.
RICORDI DI FIGURE SCOMPARSE (*) (CRESPI- BLONDEL- UNDSET- MOITO) Conobbi personalmente Angelo Crespi (I) arrivando a Londra nel tardo pomeriggio del 27 ottobre 1924; rimasi suo ospite per circa due settimane finché trovai posto in una casa religiosa della zona di Paddington. Eravamo stati in corrispondenza dal giorno che egli, amico di Giuseppe Donati, iniziò la sua corrispondenza londinese per Il Popolo. La mia visita a Londra - si trattava allora di una visita che poi si protrasse per sedici anni, - era stata decisa per partecipare ad un congresso liberoscambista. Crespi, amico di Giretti, era anche lui per il libero scambio e il libero-scambismo ci fece diventare amici. Ben presto ci furono altri motivi a che la nostra amicizia divenisse salda e duratura; Crespi era appassionato ai problemi religiosi; la sua ammirazione per il Barone Von Hugel (2) era pari alla sua fedele amicizia. Andai con lui dal «Barone». LO avevo già incontrato a Roma molti anni prima in casa del genero, conte Francesco. Salimei (mio amico e compagno in democrazia cristiana) e mi interesso rivederlo. Purtroppo Von Hugel era quasi alla fine; mi trattenne a lungo informandosi sulle sorti del partito popolare e più che altro sul mio caso di «prete - sociologo - uomo politico - esule». Lo rividi più volte fino a poco prima della morte. Crespi subì per tutta la su.a vita l'impronta von-hugeliana e il suo problemismo religioso si tramuto in convinzione mistico-filosofica e in pratica cattolica. Qualche residuo modernista non lo faceva cieco degli errori del sistema, mentre la sua critica si svolgeva per certe tendenze di cattolici a rendere la Chiesa solidale con le forme politiche assolutiste ovvero a mantenere tradizioni chiuse di fronte al progresso della critica biblica. L'anno scorso gli segnalai l'articolo del P. Bea pubblicato sulla Civiltà (*) Pubblicato su La Sicilia del popolo, 16.7.1949. (I) La corrispondenza di A. Crespi (1878-1948) con il fondatore del P.P.I. in L. STURZO,Scritti inediti, vol. 2 O , op.cit. (2) Friederich von Hugel (1852-1925), scrittore religioso austriaco: amico di Loisy e G. Tyrrel non aderi tuttavia ai principi del modernismo.
cattolica, riguardo il Pentateuco, e la lettera della Pontificia Commissione biblica al Cardinale Suhard (3), avendo quella materia formato oggetto di nostre lunghe discussioni. Crespi era un formidabile divoratore di libri di alta cultura filosofica, scientifica, teologica, biblica, letteraria e storica. La sua conversazione sempre interessante perché alla passione intellettuale aggiungeva quella storica. La politica la guardava dal di fuori come un osservatore disinteressato; il che lo portava ad amori ed odii passionali, gli uni e gli altri corretti dalla visione di una bonta oggettiva e di una rettitudine ideale non comune. Conversando con lui (e i suoi contatti con uomini di intelletto erano continui) passavano le ore. Certe volte le dispute diventavano incessanti, specie con amici che vedeva lontani dai due ideali della sua vita: Dio e la libertà. Rimproverava agli italiani tutti (salvo poche eccezioni) non solo la responsabilità della avventura fascista, ma anche la congenita colpa della faziosità e della retoricità dei ((bastardi di Enea)). L'impero mussoliniano era per lui la contraffazione di quello inglese che egli ammirava. Ma nel fraseggio rude e caustico si poteva (come da certe sue aspre critiche al cattolicismo latino e irlandese) leggere in lui l'amore e non il distacco. Un giorno che egli tornava da un ritiro spirituale presso una casa di gesuiti (egli era tanto amico e ammiratore di P. Martindale), notai che certe difficoltà su alcuni dogmi come l'infallibilità (difficoltà che io chiamavo letterarie) gli erano cadute non per merito di discussione, ma solo per grazia, quella che viene dall'adesione amorosa. Il suo testo preferito era il passo dell'epistola di S. Giovanni: ((Noi dunque amiamo Dio perché Egli per il primo ci ha amati)). Per circa quindici anni egli attese a scrivere e riscrivere un lavoro cui diede titolo: crDall'lo a Dio)). Mai lo volle pubblicare perché attese a rivederlo, leggendo, discutendo e riscrivendo. Quando ero a Londra, lessi parecchi di quei capitoli, densi di idee e di fatti, sui quali si può discutere e su alcuni dissentire, ma che mostrano una cultura larghissima, una ricerca costante, un amato religioso notevole. Ignoro cosa abbia lasciato e cosa abbja-tolto negli ultimi rifacimenti e negli altri lavori dei quali ebbi solo notizia. So bene che la bonta del suo spirito vi aleggia dentro, pur nelle punte aspre (se son rimaste) della critica. La sua dipartita inaspettata mi ha fatto ricordare Crespi socio del Liberal Club (nella sala dove troneggia il ritratto di Gladstone); egli vi riceveva gli italiani che venivano a Londra, amici e no, e con cui si intratteneva con quella cordialità gentile e infantile che era tutta sua. Molti lo ricordano con affetto. (3) Cardinal Emmanuel Suhard (1874-1949), iniziatore dell'esperienza dei .preti-operain, nella quaresima del 1947 scrisse la famosa pastorale Essor o declin de I'Eglise, che tanto interessò i giovani redattori di ulronache socialir.
Maurice Blondel, scompatso il mese scorso, lascia un tesoro di scritti, tesoro da discoprirsi e ridiscoprirsi, perché il suo pensiero e profondo, perche la sua esposizione e densa, frazionata da innumerevoli riferimenti, come scoli che arricchiscono il fiume del suo pensiero con mille rivoli; e anche perche non poche volte è difficile a prendersi per un periodare e fraseggiare costruito dettando, egli quasi cieco, come uno sforzo della mente che e obbligata a servirsi di un linguaggio non completamente aderente. Amico del genero, Charles Flory, che rivedevo tutte le volte che da Londra andavo a Parigi (le visite erano frequenti), in casa sua trovai il vecchio Blondel. Ma la mia conoscenza e ammirazione per l'autore de Iy«Action»(4) rimonta al 1895, quando Ignazio Torregrossa (con il quale ero in corrispondenza scrivendo di filosofia nel suo periodico edito a Palermo), mi diede a leggere il volumetto di Blondel. 11 mio sogno allora era quello della filosofia; insegnare filosofia, scrivere di filosofia, darmi alla filosofia. Blondel fece colpo; il suo pensiero si insinuò nel mio, non come tesi (della quale io avevo allora i miei dubbi), ma come orientamento. La mia tendenza era quella di ripensare i problemi filosofici oltre che speculativamente, nella concretezza della vita. Vico allora mi attraeva e mi lasciava freddo; Blondel mi servi di spinta per ritornare a Vico; attesi intanto un maturo Blondel che non veniva. Seppi del suo lavoro; ne parlai con i suoi scolari ed amici., il più interessante Paul Archambault. Finalmente lo conobbi, mi parlo dei primi volumi che dovevano venire alla luce; nel 1934 mi mandò con una dedica il primo della serie «La Pensèe))(a). Resi omaggio a Blondel in due miei scritti pubblicati uno su Polirique di Parigi, l'altro sul The Quarterly Review di Londra. Attendevo di scriverne a lungo, ma la guerra interruppe i nostri rapporti. L'ultima volta che lo rividi fu durante il Congresso Internazionale di Filosofia tenuto nel 1937. La grande sala della Sorbonne era affollatissima e la sua esposizione fu seguita con una intensità di attenzione mai vista simile. Dire che fosse stato festeggiato, che il suo fu un trionfo, sarebbe sminuire il significato rivelativo di un pensiero mantenuto sempre nella comunione di un insegnamento orale, direi come un'iniziazione, e fecondato da una spiritualità comunicativa senza pose professorali, senza superbia scientifica; semplice nelle forme come diritto nel pensiero. Non dimenticherò mai l'intervento (in quella assemblea) di P. Boyer della gregoriana che sembro un delicato interrogatorio di ortodossia (3, sui rapporti sulla pura natura e il soprannaturale, al momento che I'esi(4) M. Blondel ( 186 1 - 1949) scrisse L 'Aclion nel 189 1 ; il volume fu poi tradotto in italiano da Codignola nel 1921 per l'editore Vallecchi di Firenze. (a) Col sottotitolo .La Genèse de la pensee et le paliers de son ascension spontanee. (nota di L. Sturzo). (5) M. Blondel fu, forse ingiustamente, sospettato di rnodernismo e costretto, per questo motivo, ad un silenzio che durò diversi anni.
genza di un pensiero e di una vita creata arrivano ai propri limiti e tendono a varcare la soglia del soprannaturale, come un desiderio di beatitudine che marcasse un'esigenza irraggiungibile. Le risposte di Blondel furono chiare e piene di luce, e vorrei riportarle nel testo che più non ho. P. Boyer non ebbe che a sottolinearle con soddisfazione, fra i generali consensi. Quando io andai a trovare Blondel e congratularmi con lui, ne ebbi una forte stretta di mano dicendo: «Mio buon amico, e sempre la verità che vince le avversioni preconcette e sistematiche)). Avversioni preconcette e paura di novità isolarono Blondel dalla cultura moderna. Quando poi ne e apparsa (fuori della scuola e al di là dei suoi fedeli alunni) la grande ricchezza del pensiero, a molti e sembrato l'immissione di un tesoro cesellato mezzo secolo fa, da doversi riadattare al modo corrente di pensare e di vivere. Oggi comincerà questo riadattamento; la rielaborazione di-un modo nuovo di vedere il creato pur nella perenne corrente cristiana dei rapporti dell'uomo col Creatore. Le ultime notizie del filosofo che lavoro fino alla vigilia della dipartita, le ebbi pochi mesi addietro da M. Flory, che venendo a Roma non dimenticò di rendermi visita.
* * * Sigrid Utrdser, premio Nobel (6), scrittrice e romanziera, mi aveva interessato come potente rievocatrice del medioevo scandinavo. La sua conversione al cattolicesimo, che fece rumore nel mondo letterario, la poneva nella scia dei protestanti colti, di fama internazionale, che cercano la verita intravista e desiderata e la trovano a Roma. Un giorno mi arriva una sua lettera chiedendo il permesso di tradurre un mio articolo pubblicato, credo, sulla Dublin Review. Cosi cominciano i nostri rapporti. Avendo ella occasione di passare da Londra, non manca di cercarmi nel mio anguletto di Chepstow Villas. Ora di interessanti conversazioni su temi religiosi e politici. Trovo in lei uno spirito democratico senza ombre, e spontaneamente dà il suo nome al People and Freedom Group già fondato a Londra da Mrs. Crawford e da Miss Carter, che allora sosterievano in Inghilterra la campagna anti-fascista, anti-nazista c per la pace in Spagna. Il tormento di Sigrid Undset era principalmente religioso; ella sentiva forte ripugnanza a tutto ciò che legasse la Chiesa a sistemi dittatoriali e totalitari, e la preoccupazione verso la Germania (che essa negava che avesse mai sul serio amato la libertà) era prevalente in lei, derivando da profonda conoscenza storica. Venne la guerra e l'occupazione tedesca della Norvegia. Lillehammer, dove ella risiedeva, occupata; un figlio morto, l'altro combattente. E lei? ( h ) Sigrid Undset (1882-1949) ricevette il premio Nobel per la letteratura nel 1928: due anni prima si era convertita al cattolicesimo.
Dopo poco il mio arrivo negli Stati Uniti, leggo sui giornali che era arrivata la famosa novellista Sigrid Undset, e abitava in Brooklyn. La sua fuga fu drammaticissima; passò dalla Norvegia alla Svezia, alla Finlandia, alla Russia; prese la transiberiana, credo approdasse i.n Giappone e poi finalmente per mare venne negli Stati Uniti. Ne parlo in un volumetto edito a New York, che vale come un documento. Con pochi tocchi fa vedere una Russia realistica, misera e oppressa. Ci ritrovammo ambedue esiliati e rifugiati, ambedue decisi a lavorare per il proprio paese e per la vittoria alleata. Scrisse molto, ma anche molto lavoro per far conoscere agli americani che pareva non comprendessero allora il pericolo incombente, quel che accadeva in Europa, e ai cattolici quanto fosse deprecabile il nazismo. Quando il gruppo di People and Freedom di New York volle tenere una riunione pubblica per un'affermazione insieme democratica cristiana e in mio onore, la Signora Undset vi partecipo con un breve discorso, affermando la necessita di una nuova Europa ricostruita sui valori cristiani e sulla tradizione della libertà. La Undset parti per la Norvegia pochi mesi prima di me; e da Lillehammer mi scrisse più volte. Ella si era dedicata in pieno a rendere eficiente la piccola comunità cattolica del suo paese, dove rimarrà a lungo il buon odore delle sue virtù e l'efficacia della sua molteplice attività.
Maria Motto figlia di un meridionale (non ricordo se calabrese o molisano) emigrato a Londra, non ebbe occasione di apprendere l'italiano, tranne poche parole, ma ebbe infuso un amore per l'Italia senza confini. Violinista di gran classe, avrebbe preso un posto,notevole tra i concertisti, se avesse condisceso un poco alla mondanità. Donna di eccezionale pietà, di vita cristiana pura, oblata di S. Benedetto, visse per Dio gli amori terreni: il violino e l'Italia, erano per lei sentiti religiosamente, come un tesoro da custodire e non dissipare, rendendolo efficiente senza interesse personale per coloro che erano in grado di parteciparvi spiritualmente. Sentire i concerti di quartetto d'arco (Mott's Quartett) spesso dati in case signorili e a pubblico limitato, era un godimento senza distrazioni. Programmi classici, senso del ritmo, colorito pieno, espressione chiara senza sdolcinature. Qualche volta invitava gli amici in casa sua dando concerti squisiti; andava spesso in chiesa e collegi cattolici a eseguire musica. Una vecchia signora che era tra le ammiratrici di Miss Motto, me la fece conoscere. Da allora l'Italia e la musica si avvicinarono. A quasi cinquant'anni cercò di apprendere l'italiano per visitare 1'Italia e venne a Roma per l'anno giubilare del 1933. Ella mi fece conoscere 1'Abazia di Buckfart e il suo grande abate,
Vonier, che (lo seppi da lui) era stato in Roma mio ((ammiratore))durante gli anni del partito popolare. Miss Motto non cessò mai di scrivermi dal piccolo villaggio dove si era rifugiata durante la guerra; si ricordava di me in tutte le ricorrenze; l'ultima per Pasqua. Non feci a tempo a risponderle. Crespi, Blondel, Undset, Motto, nulla hanno insieme; ciascuno ha un posto nel mio cuore e nella mia memoria, e sono riuniti per amicizia fedele, umanità di modi, ricerca della verità, bontà cristiana, e quella semplicità di animo che li riduce «sicut parvuli)) i piccolini del Vangelo.
Roma, 10 luglio 1949.
FILIPPO MEDA (*) Gli imponenti funerali del defunto Filippo Meda (l), di Milano, il 4 gennaio, sono stati una dimostrazione della profonda stima in cui egli era tenuto dall'intero paese. Con la folla che si era raccolta per rendergli l'ultimo tributo, vi erano delegati della magistratura, dell'avvocatura, delle università, i rappresentanti del re, del papa, del cardinale, dell'amministrazione cittadina e provinciale, insieme con molti deputati e senatori dellyltalia pre-fascista, di ogni partito. Egli può essere definito come l'ultimo dei cattolici liberali di tradizione manzoniana, e al tempo stesso uno dei primi cattolici democratici. Del Manzoni egli aveva il senso della misura, lo spirito libero e sereno, unito ad una fede che penetrava tutta la sua vita. Per molti anni una delle figure politiche di primo piano in Italia, presidente del consiglio provinciale di Milano, deputato, ministro delle Finanze (nelle cui vesti dopo l'ultima guerra fece una visita in questo paese per conferire con la tesoreria inglese), egli fu anche giornalista di grande reputazione. I1 suo ultimo articolo infatti fu scritto due giorni prima della sua morte, avvenuta la vigilia del suo sessantunesimo compleanno. Meda fu tra coloro che sotto Leone XIII, Pio X e Benedetto XV lavorarono per la conciliazione fra il papato e l'Italia, e, benché leader del movimento militante cattolico in un periodo di amari conflitti tra i due poteri, seppe mantenersi egualmente lontano dagli eccessi e dalla debolezza. Quale primo ministro cattolico, durante l'ultima guerra egli affermo la necessita di una intesa fra Italia e papato. Quando fu fondato il (*) Pubblicato sul Manchester Guardian, Manchester, 11 gennaio 1940. (1) Sulla vita e le opere di F. Meda (1869-1939) rimandiamo al già citato volume
di G. De Rosa, F. Meda e l'età liberale, Le Monnier, Firenze 1959.
partito popolare, egli ne divenne subito membro, e ne fu uno dei piu autorevoli e rispettati capi parlamentari. L'avvento del fascismo porto al suo ritiro dalla vita politica, ma egli continuo, in libri, riviste e giornali, a sostenere gli ideali della libertà e della democrazia per quanto le circostanze glielo permisero. Egli approvò il trattato del Laterano, e il suo ultimo articolo, del 28 dicembre, plaudiva alla visita del papa al re e al mantenimento della neutralità italiana nella guerra presente.
PER LA MORTE DI DON FRANCESCO ALBERTI (*) Cari amici di ~ o ~ o el libertà, o permettetemi di associarmi con tutto il cuore al vostro lutto per Ia perdita dell'amato e indimenticabile direttore, don Francesco Alberti. Io ebbi la fortuna di conoscerlo personalmente, in un rapido incontro a Parigi, due anni fa, e in me si accrebbe l'affetto e l'ammirazione per Lui. Vero difensore dei valori cristiani e dell'idea democratica nella vita pubblica, egli vi porto sicurezza di principi, lucidità d'intuizione e grande calore di sentimenti. Così il suo spirito continui ad aleggiare sulla vostra redazione e sul cattolico Ticino. Credetemi cordialmente. LUIGI STURZO Londra, settembre 1939.
DUE DEGLI ULTIMI ((DEMOCRATICI CRISTIANI» (**) ( M o ~ s VANNEUFVILLE . - DON VERCESI) Sono morti, a cinque giorni di distanza, due preti giornalisti, l'uno francese, l'altro italiano, ma ambedue viventi in Italia, ambedue appartenenti all'epoca, all'ambiente e alla tradizione della democrazia cristiana»: Mgr. Gaston Vanneufville (Roma) e Don Ernesto Vercesi (Milano). ('1 Lettera a Popolo e libertà, rivista cattolica di Bellinzona, di cui don Alberti era stato direttore, qubblicata nel settembre del 1939. ('4 Pubblicato su E1 Mati Barcellona, il lo aprile 1936.
A poco a poco i testimoni di quel periodo «epico»,di quegli entusiasmi confidenti nella democrazia cristiana, e nell'influsso sociale del papato, vanno scomparendo. Di nomi di rilievo in Francia esistono ancora Mrg. Six. l'ex deputato Boissard e il prof. Duthoit; in Italia gli ex-ministri, e nel Trentino (allora sotto l'Austria) Monsignor Gentile e più giovane di tutti Alcide De Gasperi (I); in Spagna Don Ossorio Gagliardo e Don Severino Aznar. l due morti erano giornalisti di vaglia; Mgr. Vanneufville corrispondente de L n Croi-v di ,Parigi e Don Vercesi, che aveva girato il mondo come corrispondente dei giornali cattolici d'Italia e dell'estero. «Da qualche tempo)) dice l'Osservatore Romano «la sua firma non compariva più: ma chi lo avvicinava lo trovava sempre arguto e fine osservatore)). Egli era antifascista. e non era piu permesso pubblicare i suoi articoli. Quando amici e ainniinistratori volevano i suo scritti, dovevano mettere dei pseudonimi a nascondere la provenienza della merce proibita. Egli come antifascista non ebbe altre molestie serie; solo una o due notti di prigione per aver detto a un suo collega sacerdote che preferiva il posto dei neo-guelfi (già in prigione e sotto processo) (2), a quello di coloro che li avevano accusati sol per aver diffuso dei foglietti su ((Cristo re e Popolo))! L'avventura piu nota della vita di Don Vercesi fu quella del 1898, quando (per la pretesa rivolta di Milano) il direttore dell'osservatore Cattolico di Milano, Don Davide Albertario, per avere difeso lo sciopero di operai cattolici, fu arrestato, processato e condannato, insieme ai socialisti Turati e Treves e ad altri come istigatori dei disordini. Don Vercesi, che era con lui al giornale e ne divideia fatiche ed ideali, fece una fuga movimentata in Isvizzera. I fatti di Milano del 1898 diedero il battesimo al movimento democratico cristiano d'Italia. La ripresa dell'organizzazione cattolica, dopo lo scioglimento di tutte le associazioni, fu di uno slancio mirabile per convinzione ed ardore. Vercesi contribui con i suoi scritti e le corrispondenze dall'estero a dare ai giornali nostri una-buona conoscenza dei movimenti e degli uomini politici degli altri paesi, che comunemente non si aveva. L'aver girato tanto in Europa gli aveva offerto la possibilità di apprezzare meglio i valori e la vanita del mondo politico, sociale ed ecclesiastico, si ch'egli poteva sembrare, a volte, critico, scettico e realista; ma nelle sue convinzioni religiose e sociali Don Vercesi trovava sempre lo (1) A. De Gasperi, giovanissimo, era stato invitato da Sturzo già nel primo congresso del P.P.I., nel giugno del 1919, a tenere la presidenza dell'assemblea. Era stato in seguito presidente del gruppo parlamentare popolare e dal 1924 segretario del partito. Durante il periodo dell'esilio non interruppe i rapporti con Sturzo (Cfr. L. S r u ~ z oScritti , inediti, (1924-1940). vol. 2O, a cura di F. Rrzzi, Edizioni Cinque Lune, Roma, 1975). (2) I1 movimento guelfo nacque nel 1928 per iniziativa di P. Malvestiti e G . Malavasi. In seguito alla diffusione di un manifesto intitolato acristo Re e Popolon ed a un altro wmmemorativo della Rerum Novarum, il movimento fu duramente represso dalle autorità fasciste. Il 20 marzo 1933 Malvestiti e Malavasi furono arrestati e condannati a cinque anni di carcere.
slancio di attività inesauribile, sia nel suo quotidiano o notturno lavoro giornalistico. sia nei suoi saggi storici che hanno veri pregi di limpidità e di sicurezza. Don Vercesi non fu tra i fondatori del partito popolare (egli era all'estero): i11qualche momento ne fu diffidente, e non mancarono le sue critiche a uomini e a cose; era troppo milanese (noi diremo meneghino) per poter apprezzare tutto quello che si faceva a Roma di qua o di là del Tevere. Ma fu sempre dal lato delle più generose iniziative del partito popolare e l'appoggio nei più aspri combattimenti, nell'ultimo, su tutti, contro il fascismo, nonostante che in questa lotta impari, il partito andò a soccombere. Mgr. Vanneufville, di alcuni anni più anziano di Vercesi, era suo amico: anzi ricordo di avere più volte incontrato Vercesi a Roma nella casa ospitale di Via Vittorio Emanuele, dove abitavano insieme, più di trent' anni fa. tre monsignori stranieri tutti e tre ((democraticicristiani)), Mgr. Glorieux. che mori Vicario generale di Amiens, Mgr. Pottier, il celebre filosofo belga democratico cristiano (che Leone XIII accolse a Roma quando egli dovette lasciare il Belgio perché stimato un socialista - oggi si direbbe bolscevico) e Mgr. Vanneufville, il più giovane dei tre, morto canonico di San Giovanni in Laterano. Era ancora l'epoca ((leoniana))che sopravviveva a Leone XIII, non ostante la lotta antidemocratica che menavano allora i conservatori italiani, durante i primi anni del pontificato di Pio X; costoro fraintendevano le riserve del Papa e le sue preoccupazioni per le infiltrazioni modernistiche, e volevano seppellire la Rerum Novarum. I tre monsignori amici erano fra coloro che seppero tenere alta la bandiera della scuola sociale cattolica, senza attribuirle preferenze politiche e senza macchiarla di modernismo. Essi tenevano su tutto a mantenere all'estero fede nel pontificato romano e nelle sue direttive sociali. Fra l'Enciclica Rerum novarum di Leone XII (1891) e la Quadragesimo Anno di Pio XI (1 93 I). uomini come Vanneufville hanno bene servito alla causa del movimento sociale cattolico, con la fermezza dei principii, con la difesa prudente ed efficace nei momenti difficili, e con la fiducia in un migliore avvenire. Vanneufville, dopo l'avvento del fascismo, più volte ne scrisse a favore; specialmente per la soluzione della questione romana. Egli era di quelli che speravano che i cattolici, entrando negli ambienti fascisti, potessero portarvi un soffio religioso e affermarvi le proprie convinzioni sociali. Perciò l'esperimento corporativo l'interessava molto. Egli non s'illudeva sullo spirito fascista totalitario e pagano, ma contava sull'opera del tempo che corrode le posizioni umane e fa emergere i valori sprirituali. L'avvenire dirà se egli, coi molti altri, s'illudeva oppur no. Come francese, egli fu per la politica di Lava1 nella questione abissina; non insistette sulla immoralità della guerra, ma sulla necessita della pace. Difese con vigore la posizione del Papa, attaccato più volte per non aver
parlato o non aver parlato chiaro o non aver parlato abbastanza. E fu questa una delle sue ultime campagne prima di morire. Ai due amici, Vercesi e Vanneufville, con i quali ebbi cari gl'ideali democratici cristiani e comuni le lotte e le speranze, va il mio commosso saluto. Le differenze di vedute e i motivi di divergenza mai attenueranno fra di noi la stima e I'affetto. Spesso ricevevo da Vercesi saluti e pensieri inviatimi (non per lettera) ma a mezzo di piccioni viaggiatori. Vidi Vanneufville a Parigi pochi anni fa e mi fu conforto notare come fosse vivo in lui l'ardore dei suoi giovani anni e quanto l'affetto verso di me. Egli nel suo ultimo articolo sull'Aube di Parigi prese lo spunto dal mio scritto: «Le sanzioni sono la pace o la guerra)) con un accenno di commossa amicizia.
GIUSEPPE TONIOLO (*) Alla media dei cattolici francesi destano ancora qualche ricordo: La Tour du Pin, Leon Harmel, L'abbe Naudet, Loria ... la Democrazia Cristiana. Strano! Questo nome, che quarant'anni fa ci faceva palpitare pieni di speranze, e che destava tanto odio e risentimento nei buoni cattolici conservatori, questo nome oggi dice ben poco alla novella gioventù. E priprio cosi? ... E se è cosi tornerà più a parlarsi di Democrazia Cristiana? I1 Prof. Giuseppe Toniolo (1) ne fu oltre che un sostenitore il teorico. La qualifica di cristiana alla democrazia (allora tenuta come oggi il comunismo) era apparsa per la prima volta in Italia nell'opera voluminosa del Padre Curci edita nel 1885 dal titolo ((11Socialismo Cristiano)). Ma fu il belga Verhaegen che, nel 1893, fece entrare la parola nell'uso corrente, come un ideale di battaglia: ((Democrazia Cristiana))ebbe il diritto di cittadinanza. Quattro anni dopo Leone XIII, ai pellegrini operai francesi, presentatigli da Leon Harmel diceva: «Io benedico la democrazia cristiana del nord)). In quello stesso anno (1897), Toniolo pubblicava sulla Rivista Internazionale di Scienze Sociali di Roma lo studio dal titolo: ((11concetto cristiano della democrazia)); tradotto subito in francese, fu edito dalla ((Maison de la Bonne Presse, col titolo: «La notion chrétienne de la Democratien. (*) Pubblicato su Black friars, maggio 1936.
(I) Giuseppe Toniolo nacque a Treviso nel 1845 e mon a Pisa nel 1918. Tra le sue opere fondamentali ricordiamo Trattato di economia sociale, Indirizzi e concetti sociali all'esordire del sec. XX, La democrazia cristiana, Il socialismo nella storia della civiltà, Problemi, discussioni, proposte intorno alla costituzione corporativa delle classi sociali, L'unione popolare fra i cattolici di Italia, tutte pubblicate nell'opera Omnia in 20 voll., Città del Vaticano, 1947-1953.
Ricordo: ero quell'anno a Roma (2) studente dell'Universita Gregoriana, quando il Prof. Toniolo, già celebre come titolare della Cattedra di Economia Politica dell'università di Pisa, venne a Roma per tenere un corso di conferenze agli universitari cattolici. La gran sala dellYUnioneCattolica Italiana era affollata di tutti noi, e di molti del mondo internazionale. La figura di studioso e di asceta del Professore Toniolo (allora cinquantenne) s'impose all'ammirazione e all'affetto di tutti. L'occhio rivolto al cielo, più che all'udienza, dava l'impressione di una continua ispirazione. La convinzione profonda del suo dire trascinava all'adesione anche i refrattari. In quei giprni I'appello alla gioventù cattolica verso gl'ideali democratici risuono come una profezia, una speranza, un ammonimento. Da due anni avevo iniziato nel mio paese natale e in qualche luogo della Sicilia (per quel che i miei studi lo permettessero) delle organizzazioni di leghe di operai e di contadini, e la fondazione di cooperative. Erano quelli i primi timidi inizi di azione sociale sotto l'ispirazione dell' Opera dei Congressi. Il movimento democratico cristiano vi diede uno slancio vivace. Eravamo allora nel periodo più acuto delle agitazioni delle masse operaie nel Nord Italia e delle classi paesane del Sud. Dai fasci siciliani del 1893 alle rivolte del 1898 a Milano e altrove, socialisti e democratici cristiani rappresentavano le varie correnti del lavoro, in cerca di una soluzione. La cieca repressione dei conservatori fece vittime in tutti i campi: Don Albertario fu il condannato all'ergastolo (3) dei democratici cristiani, come Turati e Treves lo furono dei socialisti. Chi scrive, allora alle prime armi, se la passò con un processo senza condanna. Tutte le associazioni cattoliche furono disciolte dal Governo, ogni propaganda vietata; Leone XIII protesto invano contro simile abuso. Cessato il panico della classe conservatrice e restituite le libertà politiche, i cattolici poterono riorganizzarsi e riprendere la loro attività, ma la divisione fra conservatori e democratici si fece profonda; in quegli anni tra la fine del secolo XIX e il principio del XX, la crisi si presentava come una divisione insanabile fra gli anziani e i giovani, fra l'opera dei Congressi e le leghe democratiche. I1 prof. Toniolo aveva pubblicato nel 1900 il suo volume: aLa Democrazia Cristianan, edito d d a Società di Cultura fondata da Romolo Murri. I giovani, ch'egli amava con il doppio amore di professore e di apostolo, erano con lui; Leone XIII (che da moltiisimi anni lo appoggiava e che lo aveva fatto lavorare per lui durante il periodo di preparazione della Enciclica Rerum Novarum) spe(2) Sturzo fu a Roma, per frequentare i corsi dell'universita Gregoriana, dal nov. 1894 al 27 luglio 1898 giorno della sua laurea in teologia. Su questo periodo tanto importante per la sua formazione religiosa e culturale cfr. G. DE ROSA, Sturzo, op. cit. pp. 41-64. (3) Sturzo questa volta si sbaglia. Don Albertario fu condannato a tre anni di carcere e dopo un anno di reclusione tomo in libertà.
rava ch'egli riuscisse a sintetizzare l'ardore dei giovani con l'esperienza dei vecchi; e a tirare sopra una via media gli uni e gli altri, intensificando il programma tratto dalla sua grande enciclica. Purtroppo allora si aperse un periodo difficile, che culmini nel conflitto con la tendenza di sinistra, rappresentata dal Murri. Leone XIII intervenne con la Graves de comuni re, a togliere alla Democrazia Cristiana ogni portata politica (i cattolici italiani erano ancora sotto il divieto del ((non expedit))e non partecipavano come elettori né come candidati alle elezioni politiche); e a dare unità d'indirizzo e di pratica al movimento cattolico. Il prof. Toniolo tento su quella base la conciliazione fra destra e sinistra; la sua fedeltà alla Santa Sede e le sue convinzioni democratiche cristiane ebbero in lui la più valida sintesi. Segui il Congresso di Bologna del 1903, dove Toniolo fu acclamatissimo ancora una volta di piu, e seppe spostare una parte dei conservatori cattolici verso gl'ideali sociali e verso il sindacalismo professionale. Ma fu in quel Congresso che l'ala destra dei cattolici, rappresentata dal Conte Paganuzzi, s'irrigidi, e l'ala sinistra di Murri divenne piu aspra e più esigente. Il nuovo Papa Pio X sciolse l'Opera dei Congressi (4). Sopra un referendum generale delle associazioni cattoliche, fu allora costituita l'#Unione Popolareu, che rappresentò il trionfo della tendenza di Toniolo, e fu lui stesso il creatore e il primo presidente. Fin che la salute, fiaccata dai lavori e dai dispiaceri inerenti. ad una tale posizione incomoda per i colpi di destra e di sinistra, l'obbligò a ritirarsi per qualche tempo dalla lotta. Un ricordo personale: avevo sempre stimato Toniolo come il mio maestro in economia e in sociologia; e, quale insegnante allora di questa materia nel gran Seminario di Caltagirone, mi ero mantenuto in corrispondenza e in contatto con lui. Egli mi aveva assai incoraggiato, quando apparve il mio primo studio sulle «Unioni professionali» (1901) (9,e la sua benevolenza non cesso mai fino d'ultimo. Pero in quel periodo fortunoso per l'organizzazione dei cattolici italiani, io mi rifiutai di partecipare alla sua ((Unione Popolare», perché reputavo che i compiti organizzativi erano assai vaghi, e perché nel campo sociale vi erano troppe reticenze. Dall'altro lato, non potevo restare con I'ala di Murri, che già mostrava tendenze modernistiche prima ancora di ribellarsi apertamente alla Santa Sede. Credetti perciò limitare la mia attività al campo tecnico dell'organizzazione cooperativa e sindacale, e a queilo elettorale municipale. Allora ero già sindaco della mia Città, consigliere della mia provincia e consigliere generale dell'Associazione dei Comuni Italiani. (4) Lo scioglimento dell'opera dei Congressi avvenne ufficialmente il 29 luglio 1904 (Cfr. G. DE ROSA,Il movimento cattolico in Italia, Laterza, Bari, 1974, pp. 253-274) Sturzo aveva proposto le dimissioni collettive dei dirigenti delllOperaquando il suo scioglimento era apparso ormai scontato; intese, con tale gesto, esprimere la disapprovazione dei giovani democratici cristiani per la decisione di Pio X. (5) Cfr. L. STURZO, Sintesi sociali (1906) - L'organizzazione di classe e le Unioni professionali (1 900- 1906), Opera Omnia, Zanichelli, Bologna, 196 1.
Toniolo si dolse con me del mio rifiuto con quel suo fare amichevole e paterno, convinto e ispirato, si che stavo per cedere, quando fu lo stesso Toniolo che dovette abbandonare il suo.posto di combattimento. L'unione completa dei C-attoliciitaliani maturo piu tardi. Quando Benedetto XV nel 1915 approvo lo stato della Giunta Centrale dell'Azione Cattolica; presidente ne fu il conte Giuseppe Dalla Torre (6), io fui nominato Segretario Generale. Tale proposta fu fatta a Pisa, sotto gli auspici del Cardinal Mafti e del prof. Toniolo, il quale così rientrò anch'egli nel centro direttivo del movimento cattolico italiano. Molto era maturato nel campo sociale. Il nome di democrazia cristiana cesso di essere (come e tuttora nel Belgio) l'insegna di un gruppo organizzato, e divenne il nome della scuola sociale cattolica, una dottrina e un orientamento. 11 sindacalismo cattolico, tanto avversato, fu finalmente riconosciuto legittimo, e si pote fondare la Confederazione italiana dei Lavoratori, pochi inesi dopo la morte del Prof. Toniolo, che vi aveva molto contribuito, con gli scritti, gl'incoraggiamenti, le polemiche e l'autorità sua personale. Fu per lui, già vecchio e ammalato, il piu gran conforto che dopo quasi venticinque anni di dissensi si era raggiunta l'unità organizzativa e morale fra tutti i cattolici italiani:, egli non manco mai alle riunioni della giunta direttiva finché l'ultima malattia non lo raggiunse. La sua figura cogli anni era divenuta più ascetica: il suo pensiero piu radicato nelle sue convinzioni; sempre forte il suo amore per il popolo lavoratore. e la sua devozione per la Santa Sede. Qualche volta non ci trovavamo di accordo, mai pero venne meno in noi la venerazione per lui: mai in lui l'affetto e la stima per noi. La sua attività di organizzatore, a~ostoloe filosofo della Democrazia cristiana - attraverso ali eventi piu disparati, le lotte e i dispiaceri piu gravi (compreso una transitoria diffidenza per lui in Vaticano ai tempi di Pio X che lo stimava come u n santo) - durarono per circa un trentennio. Egli diede il meglio del suo alla formazione della nuova vita cattolica-sociale d'Italia. u
W
Questo lato fu quello che più colpi noi agitatori e organizzatori delle masse operie e contadine d'Italia; ma il prof. Toniclo oggi resta alla memoria dci cattolici italiani ed esteri e dei cultori delle scienze sociali come I'ccoiiomista eminente e uno dei capi-scuola della economia eticocristiana. Toniolo iniziò la sua cariera di scienziato e d'insegnante, nel periodo del maggior conflitto fra le scuole dell'economia classica individualista e le nuove correnti dell'economia sociologica. Il pensiero germanico era allora diffuso in Italia, sia come hegelianismo filosofico, sia come scuola ( h ) Giuseppe Dalla Torre. nato nel 1885 a Padova e morto a Roma nel 1967, fu per circa quarant'anni direttore dell'*Osservatore Romano.. dopo essere stato presidenMemorie, Mondadori, Milano, 1965). te dell'unione Popolare (cfr. G . DALLATORRE,
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storico-positiva nel diritto e nell'economia. La reazione contro la scuola individualista di Adam Smith coincideva con il movimento sociale destato dai socialisti e dai moti operai; s'invocava apertamente l'intervento dello Stato tanto a favore di dazi doganali protettivi delle nascenti industrie, quanto a favore del lavoro operaio. Furono di quel tempo le celebri inchieste governative sul lavoro nelle zolfare e sulle condizioni del contadino del Mezzogiorno e delle Isole. Toniolo si presenta fin dall'inizio della sua carriera come colui che tenta una sintesi fra le due scuole, superando gli elementi contraddittori e piazzandosi sopra il terreno sodo della concezione dell'uomo integrale. Le scuole individualiste, classica e neo-classica fondavano l'economia sulla concezione dell'uomo individualmente preso, trascurando, più o meno, il suo carattere intrinsecamente sociale. Dall'altro lato, la scuola sociologica, quale si era venuta formando in Francia col positivismo e in Germania con l'idealismo hegeliano, trascuravano l'individuo o meglio assorbivano I'individuo nella società. Occorreva ridare all'uomo il suo duplice e indissolubile carattere individuale e sociale, e non perdere di vista o l'uno o l'altro di tali caratteri che formano una sintesi vivente. Come vivente, I'uomo e sintesi storica, ma come razionalità operante nella storia, anche a scopi economici, I'uomo e sintesi etica. L'economia di. Toniolo, come si e andata svolgendo nel corso di un Tutti i suoi quarantennio, può dirsi economia ((etico-sociologico-storica)). seguaci aggiungono l'aggettivo di ((cristiano)).Tale aggettivo non si adatta all'economia come scienza., ~ . e r c h enon c'è di fatto un'economia cristiana o una politica cristiana, come non c'è una storia cristiana o una sociologia cristiana. I1 cristianesimo e essenzialmente una religione, che come tale informa l'etica e influisce nella vita storica sociale economica e culturale dei popoli, ma non può assumere il carattere di scienza, come tale. Quando diciamo economia sociologica, intendiamo distinguerla da quella individualista, e dicendo economia etica, intendiamo opporla a quella edonistica - e aggiungendo storica, intendiamo riferirla ai vari stadi del divenire umano. L'economia dei ~ a e s cristiani. i storicamente guidata, e influenzata dal pensiero cristiano. Tale influenza non può essere che etica, cioè basantesi sui valori morali dell'uomo-cristiano. Quando nel 1873 Toniolo lesse la sua prolusione all'Università di Padova, per iniziare il suo Corso, egli trattò: «Dell'elemento etico quale fattore intrinseco delle leggi economiche)).Allora il prof. Francesco Ferrara (smithiano classico) si doleva che il giovane professore fosse entrato a piene vele nel ugermanesimo economico)).Egli non vedeva la differenza fra la scuola sociologica tedesca, a tendenze hegeliane e di carattere panteista, e la concezione di Toniolo, etico-sociologica-storica a tendenza cristiana. Questo equivoco di Francesco Ferrara sarà purtroppo il perenne equivoco per il quale la scuola dell'economia cristiano-sociale non troverà
mai un porto adeguato nello svolgersi delle scienze economiche in Europa. Molti dei suoi cultori saranno svalutati come propagandisti ed empirici dell'organizzazione operaia professionale; altri professori e cultori saranno più o meno confusi ora con i neo-classisti ora con gli economisti sociologici, ora perfino con i positivisti, e la loro preoccupazione etica verrà criticata come l'intrusione di un elemento estraneo all'economia, fatto per una deviazione dello scienziato verso l'uomo religioso e il cristiano professante. Toniolo a poco a poco, per la sua cultura, per la sua probità scientifica, scappo a tali accuse (che non gli mancarono in tempi nei quali il nomignolo di ((clericale))bastava a chiudere la via per una carriera) e arrivo alla cattedra di Pisa come professore ordinario, stimato dai colleghi, amato dagli alunni, e desiderato sempre da amici e da avversari per le sue alte virtù morali e per la sua alta intelligenza. Le premesse di ogni seria economia sono sempre di ordine filosofico. Nessuno ci scappa. Gli individualisti e liberisti presuppongono Kant; i sociologi o Hegel o Comte; i biologisti evoluzionisti Darwin e Spencer. La scuola etico-cristiana presuppone la scolastica, personificata in S. Tcimmaso. Fu lavoro famoso al suo tempo il tentativo dell'Abbe Pottier di tirare da S. Tommaso i principi etici e sociali dell'economia. In questo e altri tentativi simili ci fu forse più la necessità di un'autorita indiscussa, che la visione strettamente scientificata dell'economia moderna. Ma la rivendicazione dei valori etici, perenni in qualsiasi economia, riusciva completamente. L'orientamento del pensiero sociologico veniva reso più vivo ed efficace, proiettandolo nel passato medievale, scolastico e comunale, corporativo e affrancato, per avere i motivi di critica dell'oggi e di speranza per l'avvenire. L'insegnamento di Toniolo e tutto impregnato della vita medievale, non come un impossibile ritorno al passato (la storia E irreversibile), ma come un'ispirazione storica dei valori perenni. L'astrattismo razionalista era fuori del suo metodo: egli tirava le sue sintesi dalla esperienza storica, etica, giuridica, economica. Forse cedeva volentieri alle sue complicate costruzioni e trovava spesso un fascio di antitesi e di sintesi, che formavano una specie di labirinto del suo pensiero metodologicamente architettonico, ma egli, cosi, obbligava studenti e lettori alla valutazione di tutti i fattori di ogni sintesi umana e di tutti gli aspetti di ogni sottile analisi del pensiero e della storia. Uno dei giovani economisti italiani seguaci della scuola del Toniolo, il prof. F. Maroncini, riassume il pensiero del Maestro nei seguenti tratti: La società istituto morale provvidenziale necessario, avente come fine proprio di completare il benessere; ma e 1' individuo il fulcro, il centro e la base della vita sociale. Da ciò deriva che nel campo economico sono necessarie allo stesso tempo la fiberta e la responsabilità, si che il tornaconto individuale (molla economica) possa coesistere con il rispetto degli altri.
Perché ci8 avvenga, la società deve essere organica: famiglia, classi, comuni, regioni, Stati; in ogni grado deve esservi il valore di un vincolo sociale legittimo, relativamente e specificatamente autonomo, e coordinato. Oggi nessuno più discute l'intervento dello Stato in materia economica; nella seconda metà del secolo passato, quando Toniolo professava a Padova o a Pisa, era ancora una semi-eresia economica, accettata solo quale ripiego politico. Toniolo non e uno statolatro; tutt'altro. In quel periodo la diffidenza verso lo Stato e enorme, ma egli l'affronta, per ricostruire la vita organica sociale che mette capo allo Stato come centro politico e giuridico. «Lo Stato viene in soccorso alla spontanea attività dei singoli, per il completo raggiungimento dei fini dell'incivilimento». Cosi Toniolo nel suo ((ProgrammaSintetico)).Questo il carattere e questi i limiti dell'intervenzione statale, secondo il Toniolo. Siamo assai lontani da quel che oggi si pensa e si fa, in materia d'intervento statale, fino alla mostruosa concezione e attuazione dello Stato totalitario. Il motto di Toniolo era: ((tuttoper il popolo e tutto per mezzo del popolo». Secondo Toniolo «popolo» voleva dire l'individuo organizzato in famiglie, classi, comuni liberi e Stato integratore. Oggi il motto di Mussolini e al contrario: ((Tutto nello Stato e per lo Stato e dallo Stato; nulla fuori o sopra o contro lo Stato)). L'antitesi è frappante. Ma oggi non c'e posto in Italia per una economia sociale e per un'organizzazione politica quale fu pensata e vissuta da Toniolo. Egli sostenne per quarant'anni le corporazioni autonome, basate sui sindacati liberi; oggi in Italia vi sono le corporazioni di Stato (vere burocrazie inorganiche) basate sui sindacati obbligatori appartenenti a un solo partito, il fascista. Egli voleva la libera iniziativa, sviluppata dentro gli organismi sociali; oggi in Italia tutta l'iniziativa e legata allo Stato e da essa dipende. Egli vagheggio la rigenerazione cristiana e pacifica del proletariato; oggi in Italia il proletariato e incatenato allo Stato per mezzo di un partito che nega ogni libertà. E mentre egli, vivendo nel primo quindicennio di questo secolo, vedeva rinascere l'economia italiana, e solo domandava che fossero migliorate le sorti degli operai, dei contadini, degli artigiani; oggi vedrebbe a quale rovina e portata l'economia italiana di tutte le classi, dalle più agiate alle più diseredate. Toniolo non può dirsi originale nella costruzione di un'economia etico-cristiana; egli da un lato continuò, nel suo proprio campo, lo sforzo di quanti nel secolo passato si sforzarono di far rivivere nelle scienze il pensiero cristiano; e in ciò l'opera sua si lega a quella di Gorres (7), --
(7) J. Joseph von Gorres (1776-1848), scrittore tedesco, in un primo tempo favorevole alle idee illuministiche francesi, si converti al cattolicesimo in Svizzera dove era fuggito perche perseguitato dai reazionari tedeschi.
Ozanam, Balmes (8), Rosmini; dall'altro lato egli portò un completamento sintetico all'economia politica, unendo il lato tecnico a quello etico e sociologico, completando e perfezionando quel che si trova nei pionieri quali (a parlare solo dei francesi) il Conte de Villeneuve-Bargemon, Le Play, De Coux, Charies Périn e coetaneo di Toniolo, ma morto giovane, Claude Jannet, professore allYInstitutCatholique d i Parigi. Oggi, dopo diciotto anni dalla morte del Toniolo, la scuola sociale cristiana o etico-sociale non può. dirsi abbia ancora acquistato quell'autonomia scientifica, che la maturità degli studi e la formazione universitaria cattolica facevano sperare. Quel ch'è peggio, nel campo delle grandi esperienze politiche, gli strumenti adatti-a ciò sono venuti meno. Oggi i sindacati cristiani, per i quali tanto lavorò e lottò Toniolo, hanno perduto le due più grandi organizzazioni, quella tedesca, con quasi due milioni d'iscritti, e quella italiana con un milione e duecento mila iscritti. I sindacati austriaci hanno fallito al loro compito e oggi vegetano, sotto i colpi maldestri dei dirigenti del cosiddetto Stato corporativo cristiano. Solo l'internazionale di Utrecht vive ancora per il merito dei nostri amici olandesi, belgi, svizzeri e francesi. L'altro strumento, quello politico, anch'esso e indebolito con la caduta del Centro in Germania e del Partito Popolare in Italia. Oggi si guarda ai dittatori che, con la verga magica del potere assoluto e personale, dovrebbero fare rivivere le nazioni e conciliare le forze produttive sul terreno nazionale; ma da questo lato e piu prudente preoccuparsi del disastro economico e dell'indebolimento morale di cui sono tristi esempi l'Italia e la Germania.
Ai primi di quest'anno una notizia consolante per quanti ebbimo la fortuna di conoscere e di avvicinare il prof. Toniolo; la Curia Arcivescovile di Pisa aveva iniziato i primi atti informativi per il processo canonico sulle virtu eroiche dell'uomo di Dio. Senza azzardare un giudizio che spetta esclusivamente alla Chiesa, molti erano convinti, lui vivente, che avevano da fare con un santo. Esemplare nella vita privata, nella famiglia, nella cattedra, nell'apostolato; profonda la sua pietà, visibile lo sforzo di mantenersi padrone di se stesso. La devozione verso la Santa Sede fu fatta di convinzione e di umiltà. Soffri assai dell'incomprensione di molti e degli intrighi contro di lui; mai un lamento. La sua vita fu sempre modesta, dedita agli studi e alla meditazione. (8) J. Luciano Balmes ( 1 8 l@ 1848), filosofo spagnolo, studioso di S. Tommaso. Sua opera principale fu E1 protesraritesimo comparado con e1 catolicismo con la quale rispose polemicamente alla Historie de la civilisalion en Europe del Guizot.
Già un professore di Università Contardo Ferrini (9) (che fu amico di Toniolo) e in corso di beatificazione; altro professore universitario, il dr. Moscati - contemporaneo di Toniolo - ha già il suo processo informativo presso la Curia di Napoli. Toniolo sarebbe il terzo di coloro che in un periodo di anticlericalismo politico e di positivismo scientifico, avrebbero saputo essere scienziati di valore e uomini di grandi virtù come quelle dei santi.
L'ABBÈ NAUDET (*) Pochi oggi fra i cattolici ricordano questo nome, perduto fra le memorie di più di trent'anni fa. A questi pochi (fra i quali chi scrive) al suono di un tale nome si risvegliano tutte le sopite gioie e i dolori che accompagnarono il nascere e il declinare del primo movimento deiia democrazia cristiana. L'abbe Naudet (1) fu il più conosciuto, il più fervente propagatore, in Francia, del pensiero sociale di Leone XIII, espresso neli'enciclica Rerum Novarum del 1891, e sintetizzato nelle parole, allora fatidiche, di democrazia cristiana. Questa denominazione del movimento sociale cattolico nacque in Belgio insieme all'altro nome di socialismo cattolico o socialismo cristiano. I sostenitori del motto ndemocrazia cristianar, che rigettarono come equivoci gli altri due, furono l'abbé Pottier nel Belgio, l'abbé Naudet in Francia e il professor Toniolo in Italia. Questi tre pionieri ebbero tre ruoli differenti nella loro vita, ma ebbero in comune uno spirito cristiano profondo, un senso di disciplina e obbedienza alla S. Sede senza obiezioni e con dedizione filiale, e la convinzione fervida del programma sociale cattolico simboleggiato nella democrazia cristiana. L'abbe Pottier perseguitato dai conservatori cattolici, dovette lasciare il Belgio e rifugiarsi a Roma, sotto la protezione di Leone XIII, dove compì il suo insegnamento e la sua attività nel campo sociale. I1 prof. Toniolo dell'università di Pisa fu uno dei teorici più insigni e dei capi più ascoltati del movimento sociale e di azione cattolica in Italia, e ora è in corso il processo diocesano circa le sue virtu e i suoi scritti. DeU'abbé Naudet, che scese l'ultimo dei tre nelia tomba, il 1929, si tacque a causa della condanna del Santo Ufficio del suo giornale la Justice Sociale. (9) Contardo Ferrini (1859-1902), romanista, cattolico, 15 considerato il precursore di quella particolare forma di vocazione religiosa che si definisce laicita-consacrata. Proclamato beato da Pio XII nel 1947 rappresentò il modello ideale di presenza cristiana nel mondo universitario per molti giovani cattolici degli anni venti e trenta tra i quali, in particolare, Giorgio La Pio.. (*) Pubblicato su E1 Matì, Barcellona, 13 aprile 1935. (I) L'abbe Paul-Antoine Naudet nacque a Bordeaux nel 1859 e mori a S. Michel de Fransac nel 1929.
Ch'era awenuto? L'abbé Naudet era stato amato da Leone XIII, che lo aveva designato a direttore del Monde, giornale cattolico sociale di Parigi, che doveva sostenere in Francia il programma del ralliement dei cattolici alla repubblica e il programma sociale della enciclica Rerum Novarum. Egli aveva consacrato le sue forze a questa causa di restaurazione cattolica e di riforma sociale. La sua propaganda, i suoi scritti, il suo insegnamento alla cattedra di dottrina sociale cattolica al ncollège libre des sciences socialesn in Parigi durato circa trent'anni, la direzione di due giornali, Le Monde e la Justice Sociale, i suoi trionfi oratori, i suoi celebri contraddittori con uomini come Laforgue (il genero di Carlo Marx) di Jules Guesde e di Millerand (allora socialista), lo avevano messo in primo piano. Amato dagli operai e dalla gioventu cattolica, egli veniva fatto segno ai rancori ed agli odi della destra monarchica, dei cattolici ostili alle direttive di Leone XIII e dei reazionari di ogni genere. Sventuratamente, egli per la sua natura generosa e per zelo senza limiti, fu attratto nelle discussioni e polemiche moderniste, e vi presto il suo settimanale. Quando Roma colpi inesorabilmente il modernismo volle stroncarne tutti i centri favorevoli e tutte le iniziative simpatizzanti. Così anche l'abbé Naudet, che non era affatto un modernista, ebbe la sua prova: la Justice Sociale il 13 gennaio 1908 fu condannata dal Santo Uficio (insieme alla Vie Catholique dell'abbé Dabry) e fu proibito di continuare la pubblicazione. Quando l'abbé Naudet lesse tale notizia sui giornali di Parigi, senza un movimento di rivolta e con le lacrime agli occhi disse: ((Mettons-nous à genoux ed récitons une priere...n. Subito mandQ al Papa Pio X un atto di sottomissione. E si tacque. Dal gennaio 1907 al 15 ottobre 1929 il suo fu,un sacrificio continuo degli ideali della democrazia cristiana, per la fedeltà alla disciplina cattolica e al sacrificio. Certo e da rimpiangere che il movimento democratico cristiano, sorto con tanto fervore di opere e con tanto entusiasmo di gioventu, abbia dovuto soffrire dell'incontro con il modernismo (il caso Murri in Italia fu più doloroso perché questi non seppe imitare il santo prete francese) e della incomprensione ed ostilità di tanti cattolici ed ecclesiastici ai quali la parola democrazia faceva paura ed orrore. I1 movimento socialista ,non sarebbe stato cosi forte per circa mezzo secolo, se i cattolici sociali avessero potuto dappertutto avere il cammino libero da preconcetti e da ostilità, e senza impacci e turbamenti modernistici. Pero molto si e maturato nella coscienza cattolica e dalla Rerum Novarum siamo arrivati alla Quadragesimo anno ;e da movimenti sporadici ad un complesso di esperienze e di dottrina da poter opporre ai socialisti di ieri e ai fascisti corporazionisti di oggi. Pero questo cammino è stato fatto dal lavoro e dal sacrificio di uomini come l'abbé Naudet, come Pottier e Toniolo, e De Courtins, a parlare dei più noti e dei più grandi, e di una schiera generosa che non e lecito lasciare nell'oblio. 259
Questi ricordi mi venivano (col rimpianto di gioventù) leggendo il libro del dottor Robert Cornilleau (2), uno di quei giovani, ai quali I'abbé Naudet fu maestro e decise della loro vocazione politica e sociale. R. Cornilleau e oggi direttore del partito democratico di Parigi, uno dei capi più ascoltati del partito democratico popolare e uno dei più brillanti scrittori di politica e di questioni sociali; più di altri ha mantenuto senza deflettere gli ideali della democrazia cristiana anche oggi quando nella vita politica la democrazia e in ribasso.
L'ESPERIENZA SOCIALE E POLITICA DI FRANCESCO LUIGI FERRAR1 (*) Lasciando a 36 anni l'Italia in volontario esilio (l), Francesco Luigi Ferrari portava con se una seria maturità di pensiero e una larga esperienza politica. Per i suoi studi, la sua cultura giuridica e la passione per la storia, egli politicamente si avvicinava al pensiero liberale classico, mentre socialmente era stato educato alla scuola democratica cristiana di Toniolo, Mauri e Boggiano. Le due tendenze, la liberale e la sociale, non avevano ancora in Italia, da parte dei cattolici, una sintesi pratica quando il giovane Ferrari si affermava nella sua Modena come organizzatore sociale e come consigliere municipale. Egli, come molti della sua età, cercava la sintesi nel movimento sociale cristiano; ma la guerra tronco quell'attivita. Egli vi andò con entusiasmo, si distinse come combattente per attività, coraggio, calma, e mostrò magnifiche qualità organizzative quale ufficiale di stato maggiore. Ebbe encomi e la medaglia di guerra. Quando, tra la fine del 19 18 e il principio del 1919, i lavoratori cattolici si organizzarono nella confederazione italiana, detta bianca, e poscia sorse il partito popolare italiano, il Ferrari fu tra i primi aderenti e in breve tempo uno dei capi più in vista. (2) Les maitres d'une genèration - L'Abbé Naudet - Librairie Bloud et Gay. (*) Pubblicato su Polirique. Bruxelles. marzo 1934. (N.d.C. - Le note nel testo con lettere alfabetiche sono dell'Autore). (1) F. L. Ferrari lascio I'ltalia nel 1927 e mori a Parigi il 2 marzo 1933, all'eta di 42 anni in seguito ad una grave malattia. La morte di Ferrari, posteriore di soli due anni a quella di un altro upopolaren esule antifascista, G. Donati, lascio un grande vuoto nella vita di Sturzo. Con questi due suoi amici aveva dato vita a Parigi, sin dal 1926, al asegretariato internazionale dei partiti democratici di ispirazione cristianan (cfr G. DE ROSA,OP. cit. pp. 317-24). Sulla vita e le opere di F.L. Ferrari cfr. M.G. Rossi, F.L. Ferrari dalle leghe bianche al partito popolare, Edizioni Cinque Lune, Roma, 1965 e F.L. FERRARI, Il domani d'Italia, a cura di G. Dore, pref. di L. Sturzo, Roma, 1958.
Il problema principale dei popolari italiani era proprio quello di trovare una sintesi pratica fra le tendenze liberali e quelle sociali che agitavano allora la massa dei cattolici italiani. Quando parliamo qui di tendenza liberale dei cattolici, intendiamo parlare del loro atteggiamento verso le liberta istituzionali politiche e rappresentative. Oggi si preferisce parlare di regime di opinione o di sistema democratico. Tutti i termini sono di uso equivoco od incerto; la democrazia può essere illiberale e il regime di opinione può essere non democratico, come fu in Italia fino al 19 13, anno in cui andò in vigore la legge sul suffragio universale. In Italia non si usò mai più parlare di cattolici liberali, dopo il periodo del risorgimento, per la questione del potere temporale dei papi, per cui i cattolici, sotto la regola del non e-upedit, non partecipavano alla vita politica. Quando i cattolici furono abili a costituire un partito lo chiamarono popolare, e cominciarono a sviluppare le loro idee programmatiche e ispiratrici sotto il termine di popolarismo. Congiungere il sistema di stato basato sulle libertà politiche con le attuazioni più ardite nel campo economico-sociale fu l'aspirazione dei popolari e la sostanza del popolarismo. Lo sforzo teorico e quello pratico furono simultanei e portati avanti con vigore in sette anni di lotta contro il socialismo, contro il vecchio liberalismo e contro il fascismo. In questa triplice lotta sul terreno politico e su quello sociale organizzativo, Ferrari porto il suo contributo personale, intelligente e coraggioso, che gli fece prendere la posizione di capo dell'ala sinistra nei congressi e nei consigli del partito. Per comprendere l'atteggiamento di Ferrari occorre chiarire quale era la composizione del partito popolare. Esso veniva formato in maggioranza da cattolici ma su terreno aconfessionale e con l'apporto di molti simpatizzanti. Tre correnti si erano affermate all'interno: una destra che potremo chiamare conservatrice non perché tendesse a metodi autoritari, ma perché cercava un compromesso fra il movimento operaio (dal quale era lontana) e la conservazione del sistema borghese prevalente in economia e in politica. Un centro a carattere schiettamente sociale e partecipante direttamente alle organizzazioni operaie, ma che voleva affermare la personalità politica dei popolari in tutti i campi, e questo era il grosso del partito, del quale chi scrive era il capo. Infine l'ala sinistra che basandosi quasi esclusivamente sul movimento sindacale, spingeva con più ardimento verso le rivendicazioni sociali ed economiche dei lavoratori. Dato il sistema organizzativo del partito, a base dernocratico-rappresentativa, e il sentimento di coesione e di fiducia reciproca, le tre frazioni mantennero sempre l'affiatamento fra di loro, pur discutendo con vivacità, fino al giorno che una parte della destra, durante la lotta al fascismo, si stacco per dissenso politico, e poscia aderi al vincitore. Ferrari fu il leader dell'ala sinistra, conciliante nella forma e fermo nella sostanza, cooperante con tutti nella pratica, vigile sostenitore delle
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sue idee e della sua corrente. Egli si distinse dai molti altri troppo strettamente sindacalisti, e nelle questioni cerco sempre una soluzione che potesse essere valida sul terreno politico. Era questo il travaglio continuo dei popolari d'Italia, come lo fu per molti anni per il Centro germanico: avere per base elettorale le masse operaie, organizzate in sindacati, sostenerne gli interessi morali materiali e professionali, ed essere quindi obbligati a trasportare tutti gli interessi e le aspirazioni sul piano politico e farli valere. Non sempre coincidevano gli atteggiamenti sindacali con quelli politici. La posizione diveniva delicata e piena di responsabilità. Donde sempre si presentava il dilemma: o subordinare gli interessi sindacali alla realtà pratica, ovvero imporli con una soluzione di forza. Due esempi, fra i molti della vita del partito popolare, dimostrano la difficoltà del problema, Durante l'occupazione delle fabbriche, Giolitti promise alla confederazione del lavoro, socialista, di presentare al parlamento un disegno di legge sul controllo delle fabbriche. La confederazione del lavoro bianca (cattolica) che sosteneva invece del controllo l'azionariato operaio, fu dal governo trascurata, la sua proposta non fu tenuta in conto, non ostante che nel ministero vi fossero due ministri popolari. Di qui agitazioni e proteste da parte nostra; si ottenne solo che la proposta dell'azionariato figurasse come documento in appendice al disegno di legge che non ne faceva parola. La sinistra del partito e i sindacati cristiani esigevano un atto di forza: la crisi rninisteriale, mentre la direzione del partito giudico ciò inopportuno, data la situazione del paese. Un esempio dell'altro metodo. Ii partito popolare, di accordo con le organizzazioni contadine, aveva agitato il problema della riforma agraria (patti agrari collettivi, diritto di preferenza ai contadini nelle vendite, frazionamento e colonizzazione del latifondo, ecc.) che toccava sensibilmente il regime di proprietà. Il partito popolare, con una costanza notevole, arrivo a portare il problema alla camera dei deputati e ad imporre (e il termine) la discussione, che avvenne nel luglio 1922. Fu quella una delle tante cause del trionfo del fascismo, al quale i proprietari di terre e i grossi borghesi diedero il loro appoggio e gli aiuti finanziari necessari. In tale costante dualismo si dibatte il partito popolare in tutta la sua breve e agitata esistenza, fra la realizzazione dei suoi ideali sociali e le possibilità della sua posizione parlamentare di centro. Questo stesso dualismo, sotto altro aspetto, travagiiava anche i socialisti italiani, come oggi travaglia i socialisti francesi, se cioè partecipare al governo e assumendone le responsabilità politiche tenere in subordinato le rivendicazioni operaie, come fecero i social-democratici di Germania, ovvero tenersi al di fuori del governo e, pur non riuscendo ad attuare alcuna parte del loro programma, agitare le masse con la propaganda fino al giorno in cui essi potranno dominare la situazione da soli o in posizione preponderante di governo.
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Ferrari fu in un primo tempo contrario alla partecipazione dei popolari al governo e preferiva la tattica dell'opposizione, agitando presso le masse le rivendicazioni operaie. Fu questo nel primo periodo dall'inizio del 19 19 fino all'inizio del 1921 quando sembrava che la maggioranza dei lavoratori fosse a sinistra, e orientati verso il socialismo. Allora i socialisti avevano 157 deputati ed erano uniti con i comunisti e i popolari erano 99. Ma quando, nelle elezioni del 1921 i socialisti tornarono in 121 e e i popolari in 107 e apparvero per la prima volta 35 fascisti, Ferrari, pur dubitando sull'opportunità delle coalizioni governative con i liberali, fu per un'azione politica più decisa per impedire l'avanzarsi del fascismo e per la tutela della libertà. Il metodo di Ferrari e della sinistra e quello della maggioranza del gruppo popolare al parlamento non coincidevano; la prima sosteneva la resistenza sul terreno dell'opposizione governativa, I'altra sul terreno della collaborazione; la prima contava sulla resistenza attiva dei sindacati operai, l'altra sul metodo delle concessioni e l'equilibrio tra i partiti. Tutti volevano il disarmo delle squadre fasciste, i parlamentari credevano alla politica di pacificazione, Ferrari sosteneva la repressione. Ferrari pronto a pagare di persona, lottatore coraggioso, ebbe tre volte assalita la casa dai fascisti e, minacciato a morte, lascio la patria, la professione di avvocato (dove aveva raggiunto una posizione considerevole) e fuggi all'estero il giorno stesso che il partito popolare fu disciolto dal governo di Mussolini.
In esilio ebbe agio di ripensare la sua esperienza pratica, di rivedere le sue idee e di formularsi una teoria politico-sociale ben ferma. Per avere un titolo d'insegnamento (era la sua aspirazione) passo due anni all'universita di Lovanio dove ottenne il dottorato in scienze politiche e sociali e si produsse con una magnifica tesi su Le Régime fasciste italien (a). Scrisse in giornali e riviste (più volte in Politique) e infine diresse per quasi due anni a Bruxelles Res Publica, revue d'etudes politiques internationales ( l 93 1-1933). Prese parte dal 1928 al 1932 ai congressi, consigli e commissioni di studio del segretariato internazionale dei partiti democratici d'ispirazione cristiana, portandovi sempre un pensiero illuminato e pratico. Una delle paghe più chiare, ove egli precisa la sua concezione circa la libertà (che formo il punto centrale della sua attività degli ultimi anni) e la seguente: «La liberte, le "droit à la libertk" qui en est I'expression juridique, la "methode de la liberte" qui en est la manifestation politique, ne sont pas des abstractions. Le philosophe peut les considerer comme des conceptions abstraites et s'en servir pour l'elaboration de ses systè(a) Edition Spes, 1928
mes théoriques. Pour I'homme politique, elles sont des realites actueiies, aussi bien que des "idées forces" destinees a enfanter les realites de demain. Le philosophe peut rever une "cite ideale", au sein de laquelle toutes les exigences de son esprit trouveraient leur pleine satisfaction; pour I'homme politique, la "cite ideale" est celle qui, par I'équilbre des differentes forces socialzs agissant dans une situation histonque particulière, peut garantir le mieux le progres spirituel et matériel de I'individu et de la collectivite. Il s'ensuit que le "droit a la liberte" que reconnaissent les lois ne peut pas Ctre le meme partout, et qu'il ne sera effectif qu'en tant que les forces, dont elle suppose I'existence et l'action, peuvent réellement agir d'une maniere autonome, sens s'eliminer mutuellement et en gardant I'equilibre nécessaire pour la marche reguliere de I'administration publique. «Le vrai homme d'état ne droit pas se borner a constater la realite: il doit aussi agir sur la realite. Le "droit a la liberté" ne serait qu'un element statique de I'organisation sociale, la "méthode de la liberte" et I'emploi de la "méthode de la liberte" sont autant de moyens destines a pefectionner I'education de la nation et a apprendre aux individus, de meme qu'aux collectivités intermediaires, que, dans une societe policee et progressive, la liberte doit, avant tout, Ctre conque comme le devoir del respecter la liberté d'autrui. Il appartient a I'etat de donner I'exemple de ce respect, notamment lorsqu'il s'agit de matières qui, oar leur mature ou selon la conscience juridique de la nation, ne relevent pas et ne peuvent pas relever de sa competencen (b). Cosi esplica, in altro studio, il concetto dinamico della libertà, già accennato più sopra: è «Les individus - elites, classes, nations - reclament la liberte qu'une minorité detient et monopolise comme etant I'apanage inherent a sa situation privilegiée. Celle-ci resiste au nom de I'autorite qui, popr elle, s'identifie avec sa liberte particulière. Le pouvoir une fois conquis, toute classe politique nouvelle defend sa liberte, c'est-a-dire con autorite, contre ceux qui esigent une participation de plus en plus large et effective des masses au bienfaits de la liberté et à la possession des garanties politiques et economiques de cette liberte. Dès que le principe de 1'"universalisation" de la liberte et I'idée de la preeminence de la personnalité humaine sont considéres comme des valeurs aquises par la conscience juridique, le "jeu revolutionnaire" ne peut prendre fin que quand le processus d"'universalisation" de la liberte est accompli et que I'égalité de droit n'admet plus d'excptions~ (C). I1 valore ch'egli dava alla libertà, come base della vita pubblica e comune strumento del divenire sociale, si poggiava sui diritti della personalita umana; aveva quindi una ragione indistruttibile e un dinamismo interiore perenne. (b) (C)
Res Publica, ottobre 1931, pag. 37 Res Publica, agosto 1932, pag. 523
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Tutte le forme di reazione antiliberali non potranno mai annullare l'intimo bisogno alla liberta. L'esperienza fascista, che non e stata bene studiata all'estero, aveva insegnato a Ferrari che un sistema statale senza liberta politiche altera tutti gli altri istituti, perché altera i rapporti della personalità umana. I1 pensiero di Ferrari, in materia di organizzazione di classe, era man mano divenuto limpido: base i sindacati liberi; per questa liberta di organizzazione egli era contrario al monopolio sindacale dei socialisti e al corporativismo obbligatorio e statale dei fascisti. Egli tendeva, come tutti i realisti, alla sintesi dell'elemento politico basato sulla libertà e dell'elemento economico-sociale basato sull'organicità. La sua critica profonda e serena in Le Régime fasciste italien e la conoscenza della storia costituzionale d'Italia lo avevano condotto a valutare tutta l'importanza delle libertà istituzionali in uno stato moderno, anche per gli scopi sociali da raggiungere. La necessità del metodo di liberta in tutti i campi (compresi i rapporti fra chiesa e stato) (d) gli facevano denunziare tutto l'equivoco del vecchio liberalismo italiano, che non fu che un monopolio di potere in mano ad una classe, anzi ad un'oligarchia; come pure tutto l'equivoco del socialismo italiano (e non solo italiano) che invocava la libertà come mezzo per arrivare al monopolio della rappresentanza di classe (cosi fu da noi fino all'avvento del partito popolare) e quindi alla dittatura del ~roletariato. La prevalenza della politica non era per lui quella degli interessi di partito cosi come la prevalenza economica non era certo quella di classe sull'insieme degli interessi del paese. Secondo lui la politica - basata sul libero gioco delle forze sociali - era il piano di risoluzione dei contrasti sociali. Ogni sintesi sociale pratica non essere che il risultato di una cooperazione o di un conflitto; il concetto di cooperazione è più seducente e risponde meglio ai criteri della scuola cristiano-sociale. Ma storicamente il conflitto e più usuale e spesso non porta ad una sintesi, ma solo alla prevalenza dell'uno sull'altro. Qual e il miglior metodo? Quello della liberta anche se qualche volta un problema sociale non può ottenere la sua immediata soluzione, ovvero il metodo autoritario, che può dare delle soluzioni di forza a spese della liberta? C'e un momento in cui ciascuno di noi e obbligato a fare una scelta. Leggendo vari giornali e riviste di nostri amici cristiano-sociali mi sembra di comprendere che molti di essi farebbero la scelta del regime autoritario a tipo paternalista. Ferrari mai ebbe un'oscillazione con le sue idee. La sua esperienza di organizzatore e di uomo politico in Italia e in esilio (nel Belgio prima e poi in Francia) lo portava a preferire il metodo della libertà; e nel suo maturo pensiero egli sostenne la prevalenza della sintesi (d) Res Publica, ottobre 193 1
politica (nel senso ampio e organico della parola) sulle particolarità sociali. La politica è malfamata; il significato comune e vuotato di tutto il valore morale e sociale ch'essa contiene. Per noi, il suo significato e sintetico; politica è l'equilibrio degli interessi particolari nella risultante degli interessi generali dello stato, perché per me lo stato persegue - sul terreno politico - il bene cotnune. Perciò per noi lo stato non e ne totalitario come quello dei fascisti e dei nazi, né individualista come quello del vecchio liberalismo, ma e stato organico, dove gli aggruppamenti particolari, con la loro autonomia, e libertà, danno soddisfazione all'individuale e al sociale insieme, e la formazione gerarchica degli aggruppamenti non e un'imposizione autoritaria, ma svil.uppo libero delle forze sociali. La libertà non può essere apprezzata tanto da chi la possiede quanto da chi l'ha perduta. Noi ci accorgiamo che l'aria ci fa vivere solo al momento quando ci sentiamo soffocare perché l'aria ci viene a mancare. I n Francia non sono pochi quelli che oggi domandano un governo autoritario (2), sia in pura politica, sia in economia, perché sentono l'urgenza della soluzione di determinati problemi. Ma coloro che domandano il governo autoritario non si mettono avanti l'ipotesi che tale governo sia dal lato opposto al proprio partito o al proprio modo di vedere; e non si fanno neppure la domanda, come poi opporsi ad un governo autoritario che farà tutto al contrario di quel ch'essi desiderano, che anzi cercherà di impedire ch'essi parlino, ch'essi si muovano, ch'essi esistano. Ferrari aveva preso impegno con un editore di scrivere un libro dal titolo I / Popolo; su questa parola (che origina quella del nostro sistema politico: il popolarismo) egli trovava la sintesi di libertà e organicita dello stato, il popolo preso non come massa inorganica, né come folla, ne come classe lavoratrice, ma come il comples- vivente degli individui in organismi pubblici fino allo stato e alla società degli stati. La direzione di Res Publica e la malattia gli resero impossibile il lavoro. Ne parlo con me e cercò di indurmi a prendere io quel tema. Egli aveva qua e là nei suoi articoli dato dei motivi interessanti all'argomento. Politique (e) aveva pubblicato «Les dictatures nationalistes et I'unité europénne, l'organisation internationale de la démocratie populaire)),la Contemporary Review di Londra, «The christian worker's internationaln e vari accenni rimangono in Res Publica, in quelle cronache lucide e di notevole intuizione Negli ultimi giorni di sua vita piu volte mi ripetè la sua fiducia nel (2) Nell'anno in cui Sturzo scrive questo articolo, il 1934, la destra francese, da l'Action Francaise a la Croix de Feu, raggiunse la sua massima influenza politica nazionale facendo cadere, dopo appena un giorno di vita, il governo Daladier e imponendo il 7-2-34 un governo, presieduto dal Doumergue, che godette dell'appoggio della destra e di gran parte dei radicali (Cfr. R.A. PARKER,Il XX secolo: Europa 1918-1945, op. cit, pp. 183-88). (e) ~ o l i r i ~ uaprile e, 1932.
crio11l.oJclln libertà. come metodo necessario alla civiltà umana e come csigeiiza spirituale delle correnti cristiane. Queste, che hanno la loro base nella s;iri;i borghesiri e nelle classi lavoratrici, artigiane e rurali, non possoiio rinunziare al compito che loro spetta di tutelare nella vita politica e soci;ile i diritti clella personalità umana garantiti dal metodo della libertà. Essi non debbono perdere il momento opportuno, che oggi si presenta. di una lotta aperta e fiduciosa a favore della libertà, come lo perdettero (non ostante lo sforzo di pochi celebri) nel 1830, nel 1848 e nel 1870. I.'iiltiiiio scritto di Ferrari fu un En inarge di Res Publica, firmato h ~ f o t k ~ . r / i ~egli. ~ i ~ . sn; proposito dell'amnistia fascista per i reati politici, nini1isti;i che rion coiilportava «aucun extentions des libertés rigidement rcsci\ees ;i 1;i niinoritc dominante». terminava con le parole di Victor Hugo: aQuaiiJ la liberte rentrera, je rentrerai)). Nel siio testamento del 15 febbraio, due settimane prima di morire, ricoid<i il popolo d'Italia. per la liberta del quale egli aveva lottato. 1l.l~n'ai rcssentiment pour personne: ce qui m'a anime et me soutient est I';iiiiour pour le créateur et pour ses creatures. Parmi celles-ci le peuplc grniitl ct iiialheureux de mon Italie. Puisse-t-il ;tre libre: Dieu le veutn.
I N D I C I
HEGELfilosofo, 132, 255. HENLEINK., 158 HERBERT A.P., 118. HERRIOTE., 100, 100n. HINDENBURG P., 52, 52n., 57n., 76, 78. HITI.I.:RA.. 9. 1 1 . 15. 57. 69, 6911.. 71n.. 74. 76-78. 80. Rln.. 83-85. 87. 88n.. 90. 92.93. 100. 103. 132. 133. 138. 147. 148. 150. 152. 153. 155. 161: 163. 165. 166. 173. 182. 185. HOARES., 158. HOBBEST., 231. HOOVERpres., 57n. HOWARDOF PENRITH, 98, 99, 101. HUGOV., 267. HUMPHREYS J.H., 124. HUXLEYA., 138. IADESLEIGH, 82. INNOCENZO IV. 228. INNTZER T., 165. J JANNET C., 257. JANSON,127. JEMOLO A.C.. l 13n. K K A A S rnons.. 73. 8 1. 182. KANTE.. 255. K~.:I.L.oG F.B.. 7. KEMELMustafa. 38. KERENSKY A.F.. 84. KETTELER rnons.. 28. 28n. L.ACORDAIRE H.D.. 27. 234. LAFORGUE A.A.. 24 l . L.AMENNAIS H.F.. 27. L.A PIRAG.. I h. 23611. L.A ROQ~JE. generale. 14. 145. 14511. L . ~ S K I H.J.. 88. LA TOURPIN.250.
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Finito di stampare in settembre 1984 per i tipi del Sistema editoriale e litografia Arti Grafiche Italiane Piazza delle Cinque Lune. 113 - 00186 Roma
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