CHIESA E STATO STUDIO SOCIOLOGICO - STORICO
OPERA OMNIA DI
LUIGI STURZO
PRIMA SERIE OPERE VOLUME VI
PUBBLICAZIONI A CURA DELL'ISTITUTO LUIGI STURZO OPERA OMNIA - PRIMA SERIE - VOLUME SESTO
L U I G I STURZO
CHIESA E STATO STUDIO SOCIOLOGICO - STORICO VOLUME SECONDO PRIMA EDIZIONE ITALIANA RIVEDUTA
ROMA 2001 EDIZIONI DI STORIA E LETTERATURA
Prima edizione italiana riveduta: Zanichelii, Bologna 1959 Prima ristampa: Zanicheili, Bologna 1978 Seconda ristampa: Edizioni di Storia e Letteratura, Roma 2001
11volume è stato realizzato con il contributo del Comitato Nazionale per lo Studio e la Valorizzazione delle Opere di Luigi Sturzo, Ministero per i Beni Culturali e Ambientali, Ufficio Centrale per i Beni Librari, le Istituzioni Culturali e l'Editoria
O Istituto Luigi Sturzo EDIZIONI DI STORIA E LETTERATURA 00186 Roma - Via Lancellotti, 18 Tel. 06.68.80.65.56 - Fax 06.68.80.66.10 e-mail: edi.storialett@tiscalinet.it www.weeb.it/edistorialett
PIANO DELL'OPERA OMNIA DI LUIGI STURZO PUBBLICATA A CURA DELL'ISTITUTO LUIGI STURZO
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v-VI VI I VI11 IX X XI XII
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PRIMASENE: OPERE L'Italia e il fascismo (1926) La comunità internazionale e il diritto di guerra (1928) La società: sua natura e leggi (1935) Politica e morale (1938). - Coscienza e politica. Note e suggerimenti di politica pratica (1953) Chiesa e Stato (1939) La vera vita. - Sociologia del soprannaturale (1943) L'Italia e l'ordine internazionale (1944) Problemi spirituali del nostro tempo (1945) Nazionalismo e internaziondismo ( 1946) La Regione nella Nazione (1949) Del metodo sociologico (1950) - Studi e poIemiche di sociologia (1933-1958)
SECONDA SERIE:SAGGI - DISCORSI - ARTICOLI - L'inizio della Democrazia in Italia. - Unioni professionali. Sintesi sociali (1900-1906) - Autonomie municipali e problemi amministrativi (1902-1915) - Scritti e discorsi durante la prima guerra (1915-1918) - I1 partito popolare italiano: Dall'idea al fatto (1919) - Riforma
statale e indirizzi politici (1920-1922) -
11 partito popolare italiano: Popolarismo e fascismo (1924)
- Il partito popolare italiano: Pensiero antifascista (1924-1925) - La libertà in Italia (1925) - Scritti critici e bibliografici (1923VI11 IX-XIV -
1926) Miscellanea londinese (1926-1940) Miscellanea americana (1940-1945) La mia battaglia da New York (1943-1946) Politica di questi anni. - Consensi e critiche (1946-1959)
TERZASEME: SCRITTI VARI I1 ciclo deila creazione Versi. - Scritti di letteratura e arte Scritti religiosi e morali Scritti giuridici Epistolario scelto: 1. Lettere a Giuseppe Spataro (1922-1959) 2. Luigi Sturzo - Mario Scelba. Carteggio (1923-1956) 3. Luigi Sturzo - Alcide De Gasperi. Carteggio (1920- 1953) 4. Luigi Sturzo - Alcide De Gasperi. Carteggio (1920-1953) (ed. Morcelliana) 5. Luigi Sturzo - Maurice Vaussard. Carteggio (1917-1958) - Scritti storico-politici (1926-1949) - La mafia - Bibliografia. - Indici -
CHIESA E STATO STUDIO SOCZOLQCZCO -STORICO
1 - S ~ c a z o- Chiesa e stato
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11.
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GIANSENISMO GIURISDIZIONALISMO ILLUMINISMO
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38. Appena morto (nel 1713), il cadavere d i Luigi XIV Tu abbandonato dalla enorme schiera d i cortigiani: solo il confessore, padre Le Tellier, e il capitano delle guardie lo accompagnarono a St. Denis; la folla lo insultò come se fosse stato la peggiore canaglia. Intanto il duca d'orléans, divenuto reggente per la minore età di Luigi XV, si affrettò a fare annullare dal parlamento di Parigi il testamento che limitava i suoi poteri a favore del duca di Maine, figlio adulterino del Grande Re, datogli dalla Montespan. I1 parlamento concesse l'annullamento con tanta maggior premura in quanto riprendeva visibilmente un potere che Luigi XIV aveva ridotto e mortificato. Nello stesso tempo il reggente, tipo irreligioso e spregiudicato, per marcare un mutamento nella politica ecclesiastica dominata allora dai gesuiti, pose il cardinale di Noailles a capo del consiglio di coscienza, una sorta di dicastero ecclesiastico assai potente e influente. I l Noailles aveva favorito i giansenisti ed era malvisto d a i gesuiti. Luigi XIV aveva lasciato la lotta anti-giansenista in una fase assai acuta, che aveva avuto origine nel 1703 a proposito del celebre caso di coscienza. Un nipote di Pascal, il canonico Périer, figlio della sorella, presentò per iscritto alla facoltà teologica della Sorbona un caso d i coscienza per averne una risposta autorevole. Quei dottori erano tutti fatti per discutere i casi più sottili. Era passato il tempo in cui si discuteva se le cinque proposizioni fossero o no nell'Augustinus di Giansenio; Roma aveva
risposto che non solo ella intendeva condannare le proposizioni, ma le intendeva condannare nel senso di Giansenio. I giansenisti non si davano per vinti; il canonico Périer poneva il caso che s i potesse assolvere un prete che avesse accettato la condanna delle cinque proposizioni e avesse firmato il formulario senza riserve nè restrizioni ; ma, non essendo certo che le proposizioni fossero proprio in Giansenio, su questo punto sottile egli serbava una sottomissione, non di convinzione, ma solo di rispetto e di silenzio. Oggi, a due secoli di distanza, non può comprendersi come una tale questione possa avere avuta un'importanza pubblica; allora era ben diverso. Quaranta dottori della Sorbona firmarono una decisione a favore dell'assoluzione d i un tale prete così agitato in coscienza; la cosa si svolgeva fra il Périer e i teologi, come in una specie di sacra congregazione di penitenzieria ; però, per un'indiscrezione, certamente non involontaria, la decisione fu conosciuta e diffusa. S'infiammò di sdegno Bossuet che inviò al cardinale di Noailles uno scritto polemico dal titolo: Réflexions sur le cas d e conscience. Non mancò la denunzia al papa, il quale subito inviò due brevi di disapprovazione del parere della Sorbona, uno all'arcivescovo d i Parigi, l'altro a l re, ordinando che i dottori firmatari avessero u n castigo esemplare, per cui s'invocava l'aiuto del braccio secolare. Tutti i dottori, meno Petitpied, professore di Scrittura, ritirarono la firma. I vescovi, cui il re aveva comunicato il breve, si affrettarono a pubblicarlo accompagnato da speciali ordinanze; però i magistrati, molti dei quali erano giansenisti o loro amici, sollevarono la questione che i brevi del papa, per avere effetto, dovevano essere muniti di lettere patenti del r e registrate dal parlamento. Luigi XIV riconobbe il suo torto: la regola gallicana e pubblicistica era quella; le pubblicazioni dei vescovi erano nulle, i brevi senza effetti legali. Ma egli provvide subito a togliere tale soddisfazione ai giansenisti, pregando il papa di mettere fine (così credeva), con una bolla solenne, alla vertenza. Clemente XI pubblicò nel 1705 la Vineurn Domini Sabaoth, e il re stesso, mandando la bolla ai vescovi, scriveva che « était m ses instances que le Jansenisme venait d'&tre à nouveau condamné par le pape n ; e secondo l'uso gallicano u il adressait à I'assemblée une copie de cette consti-
tution ; il exhortait les députés à délibérer incessamment s u r l'acceptation de l a constitution, afin de faire expédier au plus t6t les lettres patentes nécessaires à l'éxécution n. Tanto i l re quanto l'assemblea del clero, accettando l a bolla ebbero cura di riaffermare nei loro atti la dottrina e l a prassi gallicana; ma vi furono vescovi, con a capo il cardinal de Noailles, che insinuarono delle riserve gianseniste, sicchè l'efficacia della bolla creduta definitiva fu ridotta al punto che, invece d i sopire le controversie passate, ne riaccese un'altra ancora. Non è da credere che tutta la Francia fosse allora eccitata per sapere fino a qual punto la grazia o il libero arbitrio avessero prevalente o concomitante efficacia. Perchè una tesi, sia essa teologica o filosofica o scientifica, arrivi ad appassionare u n largo e complesso pubblico, deve finire per toccare corde sensibili i n una larga zona di opinione e divenirne u n motivo psicologico. I1 giansenismo aveva a suo favore elementi mistici che concordavano con la tradizione ascetica medievale, e quel suo rigorismo etico era diffuso presso i l clero di campagna, nelle classi borghesi di provincia, i n certi ordini religiosi, fra i quali gli agostiniani e i domenicani, nel ceto medio intellettuale. Costoro avevano in orrore il lassismo confuso con la casuistica, erano maldisposti verso i gesuiti, quali si presentavano alla fantasia popolare: confessori d i re, di nobili, di uomini di corte, d i donne mondane; educatori della classe ricca e signorile, che affluiva nei loro collegi e nelle loro chiese; non mancavano gesuiti dediti alle scienze profane, scrittori e polemisti di vaglia. Nell'assemblea del clero del 1700 Bossuet, che aveva redatto e fatto condannare altre cinque proposizioni affette d i giansenismo, ebbe cura, per controbilanciare la situazione, di far condannare ben centoventitrè proposizioni tratte dai K casuisti rilassati n . Dietro questi ultimi c'erano i gesuiti, i quali menavano a fondo la battaglia anti-giansenista, non solo nelle tesi teologiche sulla grazia, ma anche nei presupposti gallicani, dei quali i giansenisti si servivano per frustrare le condanne di Roma e rendere vani gli sforzi dei vescovi francesi e della corte per ridurli a disciplina. La posizione più incomoda era quella dei vescovi francesi; costoro in maggioranza erano contro i giansenisti e col papa per
l a parte dogmatica, ma erano contro i gesuiti e i n dissenso con la curia romana per il loro gallicanesimo ; onde per condurre la lotta antigiansenista avrebbero avuto bisogno, non solo dell'appoggio della corte, ma d i quello della Sorbona, dei parlamenti e dei tribunali; ma mentre la corte era contro i giansenisti, gli altri erano a favore; l'azione dei vescovi ne riusciva paralizzata. L'intrecciarsi d i sentimenti, interessi e passioni politiche con le questioni teologiche e con le posizioni ecclesiastiche rende spiegabile come fino a dopo la metà del secolo XVIII, in u n eri odo d i cultura intellettualistica e naturalistica, la Francia sia stata tanto agitata dalle lotte giansenistiche. I n fondo c'era anche un inconscio e istintivo risentimento del basso clero vivente in difficoltà economiche verso l'alto clero ricco e aulico, della borghesia che lavorava per guadagnarsi la vita verso la nobiltà sfruttatrice delle campagne abbandonate e dell'erario reale sul quale spesso viveva; della classe lavoratrice agricola, dell'artigianato e dell'operaio delle industrie incipienti, che vivendo più a contatto con la bofghesia, consideravano con diffidenza la nobiltà piena di debiti e lontana dalla provincia. Non si può fare una netta distinzione fra le zone sociali gianseniste e antigianseniste; non c'è nè un determinismo economico, nè u n idealismo religioso che possa regolare in forma fissa movimenti principalmente psicologici e istintivi. I sentimenti sono sempre fluttuanti e perciò è fluttuante l'opinione pubblica, fino a che non arrivi, per avvenimenti eccezionali, a polarizzarsi verso un termine decisivo. 'Una di tali fasi f u quella della ribellione alla bolla «Unigenitus » con la quale Clemente XI aveva condannato nel 1713 cento e una proposizione dell'oratoriano Quesnel allora capo dei giansenisti. I vescovi avevano accettato quella nuova bolla e il parlamento l'aveva già a malincuore registrata, quando la Sorbona espresse la sua aperta opposizione; la magistratura condannò a l fuoco le ordinanze vescovili favorevoli; il fermento fu tale in tutta la Francia che gli stessi vescovi domandarono chiarimenti a l papa e quattro di loro, con l'adesione della Sorbona e d i molti preti e frati, si appellarono a l futuro concilio, mentre furono iniziate conferenze fra giansenisti e ortodossi per un'intesa. Intanto era morto Luigi XIV, e il reggente - a cui tutto quel
tramestio ecclesiastico urtava e dava noia, ma che non poteva dominare, nè voleva urtare il papa che nel 1718 aveva condannato gli appellanti - decise da un lato di non pubblicare la condanna papale e dall'altro ordinò a tutti di non parlare più nè a favore nè contro la bolla Unigenitus. Come era prevedibile, dato il generale eccitamento, nessuno gli ubbidì. A Clemente X I succedette, nel 1721, Innocenza XIII; il reggente voleva che fosse elevato a cardinale quell'abate Dubois suo ministro, la cui condotta morale lasciava molto a desiderare; i gesuiti ne favorirono la nomina, contando su d i lui per avere la corte favorevole nella lotta contro il giansenismo e neutralizzare l'influenza del cardinale de Noailles. Il futuro papa s'impegnò assicurandosi così l'appoggio della Francia ;Dubois divenne cardinale e nel 1723 venne eletto presidente dell'assemblea del clero. I vescovi speravano ch'egli ottenesse loro l'appoggio della corte nella lotta co&o il parlamento; ormai la loro posizione era tale che tutto dipendeva dal re. Così li aveva ridotti in soggezione Luigi XIV, così continuarono sotto la reggenza. Appena divenuto maggiorenne Luigi XV, essi gli scrivevano: u Sa Majesté est très humblement suppliée de vouloir faire attention aux affronts qu'a recu le Clergé de France en ces dernières années, par une foule d'arrèts qui sont autant d'entreprises sur les droits les plus sacrés de l'Episcopat, et qui ne tendent à rien qu'à saper par le fondement toute l'autorité de I'église D. E i vescovi continuavano la loro lamentela al re: a On s'en est pris personnellement aux évèques; on a fait saisir leur temporel, on les a menacés des plus grandes peines; leurs mandements sur des points de doctrine ont été déclarés abusifs ou supprimés; des particuliers de l'un et de l'autre sexe ont été autorisés à se soulever contre les mandements de leurs évèques, unis au Saint-Siège Des prètres, des curés mème, se font un titre de ces arrèts pour mépriser les censures dont ils avaient été liés par leurs supérieurs et ont continué impunément, sans s'en faire absoudre, I'exercice des fonctions les plus saintes; ...p lusieurs arrèts ont été rendus sur le réquisitoire des procureurs et avocats généraux qui combattent par des propositions téméraires, fausses et erronées, la doctrine que les evèques enseignent à leur peuple D. In conclusione, quei poveri vescovi aulici, privi oramai d i
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autorità effettiva sui loro preti e sul popolo, finivano per domandare a l re un tribunale indipendente dal parlamento, presso .cui portare le contestazioni, dovute ad appelli ab abusu o ad altre ragioni, contro le stesse ordinanze dei vescovi date in esecuzione delle bolle papali. Com'era leguleia e meschina la mentalità d i quei vescovi gallicani! Una questione di convinzione spirituale, d i disciplina religiosa e in gran parte una malattia psicologica a i loro occhi era divenuta una questione di competenza giuridica di un tribunale regio, ch'esaminasse i ricorsi contro i loro atti. I loro poteri apostolici di fronte a u n clero ribelle s i riducevano a denunziare al re l'ingerenza dei parlamenti che sostenevano i giansenisti. Non vedevano il fondo del problema, che toccava il vecchio organismo gallicano, non comprendevano il conflitto spirituale di tanti fedeli in buona fede; d a u n lato eccitavano l'autorità papale, dall'altro invocavano l'autorità reale, quando di fatto mancavano di una vera autorità pastorale, non nel senso giuridico e formalistico, ma nel senso d e l ministero paterno e qpostolico. La loro azione era, di fatti, inficiata d i gallicanismo e riusciva impotente. Vi era un'irnpossibilità morale a far valere la loro autorità episcopale. Mentre per l'esecuzione delle bolle Vineam Domini Sabaoth e Unigenitus essi inculcavano non solo la sottomissione ma l'adesione intellettiva alla condanna papale & jure e 0% facto, essi stessi erano poi quelli che dopo la eondanna papale delle quattro proposizioni gallicane del 1682, agivano nello spirito e nella lettera di quelle proposizioni non ostante che molti di essi ne avessero sottoscritta la revoca fin d a l 1693 e dichiarato di sottomettersi al papa. Tale sottomissione era stata d i fatto esteriore e formale, con maggiori riserve teoriche e pratiche che non quelle dei giansenisti indicate nel caso di coscienza del canonico Périer. Quei vescovi non si accorgevano della loro falsa posizione; Clemente X I li aveva rimproverati aspramente nel gennaio 1706 perchè pretendevano levarsi a giudici delle bolle papali. Ma i vescovi tenevano alla dottrina e alla prassi gallicana e non avrebbero mai rinunziato all'esame delle bolle stesse, benchè finissero oramai per convenire col papa, che del resto essi e l a corte avevano spesse volte sollecitato a pronunziarsi.
La bolla Unigenitus era stata finalmente ricevuta come legge del regno; ma poichè molti erano quelli che vi si opponevano copertamente, il vescovo di Amiens diede ordine nel 1746 che, prima di dare il viatico e l'estrema unzione i preti richiedessero esplicita adesione alla suddetta bolla a quei moribondi, dei quali si avessero dubbi su quel soggetto; l'eventuale rifiuto dei sacramenti comportava anche la privazione della sepoltura ecclesiastica. Misure analoghe furono prese i n quegli anni da molti altri vescovi francesi e dall'arcivescovo di Parigi, monsignor de Beaumont. I giansenisti ne furono commossi e il parlamento li sostenne a l punto che nell'aprile 1752 arrivò a proibire ai preti de faire aucun refus public des sacrements sous pretexte de défaut de billet de confessions » ( i l biglietto era necessario quando il prete che dava i l viatico e l'estrema unzione fosse diverso da quello che aveva confessato e assolto il moribondo e quindi, secondo i l caso, domandato l'adesione alla bolla). Non basta: nel mese seguente un'assemblea generale delle camere del parlamento, convocata per la stessa questione, denunciò al re l~arcivescovodi Parigi come autore di scisma; e questi a discolparsi presso il re, i1 quale arriva ad impedirgli d i pubblicare la discolpa. L'azione del parlamento continua senza attenuazioni: pro. cessi e condanne di preti, di capitoli intieri; l'arcivescovo d i Parigi bandito; impedita la pubblicazione della lettera circolare dell'assemblea dei vescovi riuniti nel 1755. I1 re, sempre a metà fra clero e parlamento, finiva per dare ragione a l parlamento. Finalmente, verso la fine del 1755, intervenne i l papa Benedetto XIV, il quale decise in un suo breve che solamente ai « notoriamente refrattari » si dovesse domandare l'adesione esplicita alla bolla Unigenitus prima d i dare gli ultimi sacramenti; e per giunta restrinse i casi di notorietà a l punto di rendere l a .dichiarazione una ben rara eccezione; così egli diede implicitamente torto ai zelanti. Ma neppure di ciò fu contento il parlamento, che non volle registrare il suddetto breve, e Luigi XV si limitò a trasmetterlo ai vescovi con divieto di farne uso pubblico. I1 papa seguente, Clemente XIII, insistette perchè si eseguisse il breve di Benedetto, ma invano. Intanto molti erano stati i preti messi al bando o flagellati, i vescovi privati delle temporalità, i
loro fautori perseguitati in tutte le province francesi. Questo triste momento d i lotte religiose in Francia coincide con altra lotta più acuta ed estesa contro i gesuiti, che può dirsi l'epilogo della resistenza ch'essi avevano sostenuto apertamente contro il giansenismo e copertamente anche contro il gallicanismo, che, non ostante le dichiarazioni eslorte, di cui abbiamo fatto cenno più sopra, non potevano non combattere, sostenitori come essi erano dei diritti del papa.
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39. I1 carattere giansenista delle lotte che da un secolo si sviluppavano in Francia, non deve far perdere di vista clie i l fondo delle vertenze fra stati cattolici e la chiesa era di natura più generale e toccava la struttura ecclesiastica post-tridentina. Quelle vertenze si sogliono chiamare sotto nomi diversi: nel secolo scorso e recentemente, scrittori come Hinschius, Scaduto, Ruffini l'hanno caratterizzate come lotte d i giurisdizione, donde il nome, divenuto comune presso i cultori di diritto ecclesiastico, d i giurisdizionalismo. I1 punto di vista è giuridico e formale, anzichè sociologico e sostanziale, ma giova a mettere in evidenza molti elementi strutturali dello stato e della chiesa e a dar ragione delle reciproche posizioni assunte. I1 giurisdizionalismo, preso genericamente, non è una fase particolare del secolo XVIII, ma può dirsi nato al momento in cui stato e chiesa assumono l'uno rispetto all'altro posizioni giuridiche da far valere, sia per salvaguardare la propria autonomia sia per affermare il proprio diritto d'intervento nella sfera dell'altro. Tuttavia il tipo dei rapporti fra stato e chiesa secondo il giurisdizionalismo si distingue ( e sotto alcuni aspetti si oppone) a quello dei sistemi cesaropapista e teocratico. Mentre in questi sistemi si ha un assorbimento e una confusione sistematica o a vantaggio del potere secolare o a vantaggio del potere spirituale, un regime giurisdizionalista implica una coordinazione, con sfere ben definite di competenze e separazione di attività e di fini. illa questa è teoria; nel fatto storico si può notare la tendenza alla coordinazione, però tale tendenza non può svolgersi che in un complesso storico, dove il passato ora teocratico ora cesaropapista formano il fondo stesso delle lotte giurisdizionali. E poichè l e rivendicazioni di giurisdizione erano prevalenti in nome dello stato, così spesso il
giurisdizionalismo si confonde col regalismo e col gallicanismo; mentre le rivendicazioni della chiesa di Roma vengono caratterizzate come curialismo. Ciò non ostante, il giurisdizionalismo non è sempre lo stesso;. varia secondo le epoche, perchè le teorie sulle quali si appoggia e le rivendicazioni alle quali mira variano anch'esse attraverso i secoli. I n tanto emerge una tale concezione in quanto lo stato cerca di disfarsi della sua bardatura cesaro-papista verso una concezione meno teocratica e più giuridica; e in quanto la chiesa va disimpegnandosi dalle posizioni politiche feudali e internazionali e ripiegandosi sulla interpretazione giuridica dei suoi diritti spirituali e temporali. Sotto questo punto d i vista, un certo giurisdizionalismo può trovarsi verso la fine del medioevo, e man mano prende aspetti diversi sia nel periodo immediata. mente antecedente alla riforma, sia in quello susseguente. Durante la controriforma i principi cattolici cercavano di ottenere dal papato quanto più diritti e privilegi possibili, mentre difendevano fortemente i diritti tradizionali delle loro case e dei loro stati, allo scopo di formare delle unità religioso-politiche per meglio consolidare i troni e le dinastie. Ma c'era anche in loro un senso religioso che li faceva zelatori della fede cattolica, odiatori dei protestanti, diffidenti del papa, ritenuto debole, e di quei vescovi ch'essi sospettavano d i poca ortodossia. Per la Spagna e i suoi possessi, per Napoli, Milano e Sicilia, per il Portogallo e per i l Tolosano, l'inquisizione, a caratiere misto ecclesiastico-politico, completava talmente il sistema. che il re poteva veramente reputarsi un vescovo esterno proprio jure e u n legato apostolico perpetuo e quindi indipendente. Tale concezione, combattuta dai curialisti e sostenuta dai regalisti per lo più ecclesiastici, fu tollerata dal papato, sia per mantenere salda la cooperazione del potere secolare all'estinzione dell'eresia, che comportava anche i rischi di guerre e di rivolte, sia per f a r rimanere il clero di ciascuna nazione unito a l centro, nel modo possibile allora, attraverso i dicasteri ecclesiastici delle singole monarchie e le sottili influenze romane nelle nomine e nelle promozioni. Abbiamo più volte messo in luce la confusione di poteri che ne derivava: i giuristi delle due parti avevano u n gran lavoro per evitare che si oltrepassasse di una linea la tra-
dizionale demarcazione dei diritti e delle competenze, donde volumi su volumi per le più piccole e insignificanti vertenze. Le teorie che si formavano a sostegno delle posizioni della curia o delle monarchie, per quanto riproducessero le tesi medievali e si appoggiassero sopra i più antichi documenti, pure non potevano non prendere il carattere del tempo e sentirne l'influsso. Non per nulla era passato sul mondo cattolico l'ondata protestante che sembrò sommergerlo ; le tesi giurisdizionaliste che si andavano sviluppando accusavano non lievi influenze protestanti; per reazione, le tesi curiali accentuavano le rivendicazioni medievali. E benchè la curia fosse praticamente sulla difensiva, teoricamente si manteneva inflessibile. La sua debolezza pratica verso le monarchie mano mano aumentava, perchè il papato non aveva a favore delle sue tesi, nè la cultura generale che diveniva laica, nè i cleri nazionali (tranne qualche eccezione); ma solo un ben disciplinato corpo diplomatico, il clero romano allenato nello studio del diritto e nelle controversie giuridiche e una parte degli ordini religiosi, fra i quali in prima linea i gesuiti, come polemisti, come organizzatori e come uomini di cultura. Le teorie anticuriali dominanti fino all'inizio del secolo XVIII possono distinguersi senza molta precisione in « regalismo » e K gallicanismo D; - il primo si poggiava sulla funzione dei re quali protettori della chiesa, custodi della disciplina, vindici dell'eresia e degli scismi; una funzione integrativa dell'autorità spirituale dei vescovi e del papa, giudicata necessaria al bene della chiesa e dello stato, e in quanto tale sotto certi aspetti autonoma; il gallicanismo conteneva tutto ciò ma aggiungeva una posizione episcopalista strettamente concomitante. I1 clero gallicano aveva assunto una propria posizione nominalmente autonoma d i cooperazione con i l papa nella parte dogmatica e con il r e nell'esecuzione pratica e disciplinare, s ì da formare una triplice autorità sulla chiesa di Francia. Perciò i gallicani sostenevano la teoria che il concilio era superiore al papa, e che il papa non avesse diritto a deporre i vescovi, e che le bolle papali dovessero essere discusse dalle assemblee del clero per la sua adesione, prima che il re potesse munirle delle lettere patenti; tale era la sostanza dell'epis~o~aiismo. Bossuet, dopo la
condanna delle quattro proposizioni del 1682 e la ritrattazione ordinata nel 1693, scriveva che sia quel che sia tutto ciò « m a m t inconcussa et censurae omnis ezpers illa sententia parisiorum n. Anche il regaiismo fuori d i Francia aderiva alla maggior parte delle tesi gallicane; vi erano delle differenze circa l'organizzazione del clero e le teorie episcopaliste. Per un certo tempo vi furono discordie sulla questione dell'origine popolare del potere regio, fino a che i gallicani finirono per far propria la tesi della monarchia d i diritto divino, che già prevaleva in tutti gli stati europei. I1 giurisdizionalismo del secolo XVIII nel campo religioso subisce l'influsso del giansenismo, e in quello giuridico-politico l'influsso del giusnaturalismo. Ne viene fuori un giurisdizionalismo ibrido, la cui ala estrema ha un fondo anticattolico. Senza tener conto della lenta ed equivoca evoluzione storica, possiamo distinguere quel giurisdizionalismo che nella coordinazione dei poteri d i stato e chiesa tende ad attribuire allo stato, tuttora confessionale, la prevalenza sulla chiesa anche i n materie religiose e disciplinari ; d a quel giurisdizionalismo che tende a mettere la chiesa sotto il controllo o la vigilanza dello stato per pure ragioni politiche o di polizia; in tale seconda fase lo stato va passando dal tipo confessionale a quello giusnaturalista laicizzante. Chi non afferra questo lento processo disgregativo del passato e trasformativo verso un altro termine, in cui lo stato è l'obiettivo centrale, non comprende il significato delle lotte fra chiesa e stato nel secolo XVIII, nè la crisi che si è andata maturando; confonderà così il giurisdizionalismo di questo periodo con quello che antecede e segue il concilio di Trento. Fra i più famosi ecclesiastici giurisdizionalisti occorre segnare Zeger Bernard van Espen d i Lovanio (1648-1728), il cui Juris Ecclesiastici universi hodiernoe disciplinae ebbe una larga diffusione e una grande influenza; e Nicola Hontheim, meglio conosciuto sotto il nome di Justinus Febronius (donde Ia sua teoria prese il nome d i Febronianismo); egli nel 1743 pubblicò il De presenti statu Ecclesiae deque kgitima potestate Romani Pontif i c i ~che fece testo. L'episcopalismo, che il concilio di Trento aveva mortificato, non aveva mai cessato di serpeggiare o di affermarsi sotto diversi aspetti. I1 gallicanismo era il più cono-
sciuto i n quanto aveva potuto formularsi come dottrina, alla. quale il nome della Sorbona aveva dato autorità. C'era d i fatto anche un episcopalismo in Spagna, in Austria, e negli altri stati cattolici; ma non avendo un carattere proprio e marcato, si confondeva con la tendenza delle chiese nazionali e con la tesi del concilio superiore al papa. I1 giansenismo, nella sua resistenza ostinata e capziosa alle condanne papali e nella sua lotta contro i gesuiti, si appoggiava ora ai vescovi ora ai principi e alle. corti; onde molti loro scrittori furono a un tempo episcopalisti e giurisdizionalisti. Con l'episcopalismo si cercava di risolvere il problema costituzionale della chiesa, fino allora insolubile per coloro che accettavano i n pieno la teoria conciliare, perchè praticamente era impossibile (come si vide nel concilio d i Basilea) che il governo diretto della chiesa risiedesse nelle mani di un'assemblea conciliare. Qualche giansenista, durante la vertenza per la bolla Unigenitus, avanzò l'idea che gli atti del papa, per potere obbligare tutti i fedeli, dovessero avere il consenso della chiesa; ma quale consenso in via pratica? Alcuni si fermavano all'episcopato (prassi gbllicana), altri arrivavano al clero inferiore, curati e coadiutori, dando al presbiterato una funzione di. governo; non mancavano coloro (ben pochi) che sotto influsso. protestante parlavano anche d i un consenso di fedeli. Questo punto dà la spinta verso una concezione democratica della chiesa; si desidera una nuova riforma, si sostiene il diritto. elettivo in base ad un ritorno del cristianesimo della prima era, quando clero inferiore e popolo partecipavano alle elezioni dei presbiteri e dei vescovi e quando le chiese locali, pur riconoscendo i l primato d i Roma, si sviluppavano e si amministravano con una quasi ininterrotta attività conciliare. Tutto ciò potrebbe sembrare un ritorno anacronistico al periodo precedente la riforma, se non fosse stato unito ad altri elementi che sottolineavano il carattere giurisdizionalista della pretesa riforma democratica della chiesa. Anzitutto l'accettazione e difesa del controllo dello stato sulla disciplina ecclesiastica, sugli atti del. magistero e sull'amministrazione dei sacramenti. Ciò poteva essere accetto ai febroniani come tradizionale cooperazione del monarca alla edificazione della repubblica cristiana n, ma ciòera anche ammesso come difesa della monarchia e dello stata
dall'ingerenza della curia romana, dall'influenza dello stesso episcopato e clero nazionale. Certo che riforma democratica e controllo statale non erano facilmente conciliabili; ma le idee, anche se non coerenti fra loro, si facevano strada. La spiegazione speciosa che ne davano certi giurisdizionalisti era che il popolo avesse perduto il diritto d i nomina e d i controllo col cederlo ai monarchi, che lo avevano così jure proprio e non per concessione episcopale. I n secondo luogo i febroniani erano concordi con i regalisti nell'accettare l'attenuazione o anche la soppressione dei privilegi e diritti della chiesa in materia d i immunità e civili e criminali, nella stessa amministrazione dei beni, negli acquisti, nei lasciti, nelle vendite. E ciò al doppio scopo d i accentrare nello stato la maggior somma dei poteri, sopprimere la dualità d i competenze e promuovere senza impacci le riforme civili, penali; amministrative ed economiche, che i n quel periodo venivano reclamate da ogni parte. Per arrivare a uiò bastava la teoria che tali diritti erano stati dati alla chiesa a per benevola e revocabile concessione d i principi ». I1 movimento episcopalista e quello giurisdizionalista, con ispirazione diversa, si appoggiavano a vicenda, perchè avevano in comune l'obiettivo d i ridurre la potenza del papato, che dal concilio d i Trento era uscito fortificato e che aveva rassodato il suo potere nell'esecuzione ferma e decisa della controriforma, attuando, per quanto gli era stato possibile, il pi8 largo accentramento a Roma. I1 secolo XVIII non fu il più fortunato per gli otto papi che si succedettero da Clemente XI a Pio VI; solo Benedetto XIV fu largo di mente e comprese i tempi, ma fu anche lui debole perchè sentì di non potere essere forte. La posizione difensiva era ormai obbligatoria per Roma. Le rivendicazioni dei diritti tradizionali del papato, oome quello di deporre i re e sciogliere i sudditi dal giuramento, che i curialisti non cessavano di ricordare nei loro libri (come faceva il francescano Gian Antonio Bianchi di Lucca nella sua Della potestà e della politica della chiesa, 1743) suonavano anacronistici, quando i papi erano costretti a cedere alle corti europee le cui pretese crescevano ogni giorno fino alla soppressione dell'ordine dei gesuiti; e quando i monarchi rivendicavano impunemente i
diritti di.controllo sull'attività sacramentaria e devozionale della chiesa, fissando perfino i luoghi e le ore della confessione e proibendo l'introduzione della festa del Sacro Cuore. Ci sembrano oggi ridicoli simili atti; tali non erano giudicati allora. Si trattava di consolidare, garantire e perpetuare il potere ad una classe o categoria di persone, a determinate famiglie, a ceti tradizionali, che facevano capo alla corte o a i vari organismi statali. Ogni estranea ingerenza, ogni segno d'indipendenza, ogni pretesa di autonomia faceva ombra, destava sospetto, ingelosiva. Gli ordini religiosi alla dipendenza di Roma erano troppo potenti e troppo ricchi per poterli lasciare senza freno e senza controllo. Una delle aspirazioni episcopaliste era l a completa soggezione dei frati ai vescovi; ciò coincideva col desiderio dei governi di non volere nè che soggetti stranieri divenissero capi provinciali degli ordini, nè che i frati e religiosi dei loro stati dipendessero dai generali residenti per lo più a Roma o in altre città straniere. La proibizione della devozione del Sacro Cuore era dovuta all'opposizione giansenista, che sfruttava i risentimenti dei vescovi in urto con i gesuiti, o dei governi in cerca d i pretesti per farsi valere sulla curia romana. Nel periodo in cui s'iniziava la grande industria e i commerci si sviluppavano con maggiore rapidità, era veramente sentita la necessità di riforme economiche. Gli stati avevano già una finanza e un tesoro proprio, non confuso con quello privato dei monarchi; u n certo sistema si andava introducendo con teorie più logiche e basate sull'esperienza. Era evidente che nel moto d i riforma dovesse entrare il regime della proprietà ecclesiastica che per diritto canonico era inalienabile e immune da tasse e gravami fiscali. La manomorta metteva fuori commercio terre, case, redditi sugl'immobili, titoli enfiteutici; i governi intervenivano a regolare e a limitare le donazioni e i lasciti fatti a chiese e conventi. Molte erano le fraterie e numerosi i monasteri e conventi femminili, affollati d i cadetti di famiglie nobili, che per il diritto di maggiorasco non avevano altre risorse che di prendere la carriera militare o la religiosa. I governi cercavano di provvedervi, ma avrebbero dovuto in tempo abolire il maggiorasco o regolare meglio il sistema dell'eredità; essi credevano che bastasse limitare i l numero dei conventi, e dei frati e
delle monache per ciascun convento. Presa la strada, l'intervento dei governi arrivava perfino alla vigilanza sulla disciplina e sui buoni costumi delle case religiose, specialmente quando si temeva che s'insegnassero massime curiali e pericolose ai diritti dello stato o che vi si annidassero elementi politicamente sospetti. Non mancavano d'intrecciarsi nelle case religiose interessi di famiglie potenti e insidie di persone ambiziose e cortigiane. L'immunità fiscale dei beni della chiesa fu sempre malvista dalle monarchie; la storia delle controversie dovute a tale immunità è lunga e irritante. I n Francia il clero spesso cedeva alle istanze del re per contributi d i guerra e per altri bisogni del tesoro; di tanto in tanto gli faceva doni spontanei per propiziarselo. Questo sistema era divenuto comune nei paesi cattolici. Quando occorreva, si richiedeva i l consenso o il permesso del papa. Però ciò non soddisfaceva nè i re che dovevano dipendere dalle assemblee del clero alle quali dare ragione delle richieste; nè l e classi abbienti che si lamentavano degli oneri fiscali sui loro beni; l'opinione pubblica e la tendenza riformistica erano contrarie a i privilegi fiscali del clero. La lotta contro l'immunità dei luoghi sacri fu molto forte; lo stato non tollerava più il sistema di asilo presso le chiese dei conventi e dei vescovadi, dove si nascondeva spesso gente faziosa, briganti e ladri o perseguitati politici; si tendeva a sottoporre tutto il territorio, senza eccezioni nè privilegi, alla sorveglianza della polizia statale. Bisogna convenire che in quel tempo il sistema di polizia era molto elementare; i cittadini non avevano garanzie sufficienti contro gli arbitrii del potere e delle famiglie dominanti; quei luoghi immuni potevano avere ancora una certa funzione sociale, che doveva man mano venir meno con una migliore organizzazione statale. I1 clero per lo più non guardava il problema sotto l'angolo sociale, ma dal punto d i vista del diritto canonico e della tradizione; perciò resisteva ai governi la cui azione egli considerava come un'ingerenza illecita e una violazione dei privilegi della chiesa. Più forte fu la resistenza alla ingerenza statale nell'ambiente del foro ecclesiastico, nei paesi dove ancora era in pieno vigore ;perchè in questo periodo troviamo in Francia preti condannati alla flagellazione e al
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Chiesa e stato
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bando dai tribunali regi e dai parlamenti; in Spagna e altrove l'inquisizione, tribunale misto in mano ai monarchi, aveva diritto d i sottoporre il clero, compresi i vescovi, alla sua competenza. Ma i l foro ecclesiastico vigeva in tutti i paesi cattolici non solo per i reati comuni o disciplinari del clero, ma anche per determinati reati di laici, come il concubinato. La resistenza della chiesa su questo punto fu tale che gli stati cattolici del secolo XVIII non arrivarono all'abolizione del foro, ma solo a qualche riforma particolare, per limitarne le competenze ecclesiastiche. Nel sistema di stato confessionale e per le antiche tradizioni regaliste, gli atti papali erano soggetti all'exequatur e a l placet regio. Durante il periodo giurisdizionalista questo sistema viene esteso anche agli atti che non avevano alcun carattere legislativo, nè impegnavano le rendite delle chiese, nè provvedevano a benefici riservati a l papa, ma erano semplici concessioni di favori personali, d i permessi ecclesiastici o di dispense disciplinari; anche tali atti dovevano passare sotto il controllo governativo che diveniva vessatorio. I divieti a i vescovi, a l clero e ai fedeli d i comunicare ,direttamente con Roma erano comuni. Si tendeva ad accentrare gli affari ecclesiastici nei dicasteri governativi o consigli reali creati appositamente. Per evitare gli effetti delle scomuniche e degli interdetti, che i papi solevano minacciare per la tutela dei propri diritti o per colpire ecclesiastici indisciplinati, i governi si appoggiavano alle teorie giurisdizionaliste, le quali affermavano che le censure non legavano in coscienza ma erano solo di carattere esterno, legalistico o ritualistico. Dato il turbamento che portavano gli interdetti nella vita pubblica ed economica di un paese, i giurisdizionalisti contestavano a i papi o vescovi tale diritto per materia ritenuta politica, ed esigevano il previo consenso del potere secolare nel caso di materia strettamente ecclesiastica. La lotta giurisdizionalista era giuridica per la forma, ma veramente politica ed economica nella sostanza. Per potere sempre e con sicurezza difendere le posizioni dello stato nelle vertenze o con Roma o con vescovi curialisti, occorreva avere un clero non solo non ostile, ma convinto dal punto di vista giuridico e teologico che lo stato fosse nel suo diritto. Donde la cura dei governi nelle nomine d i vescovi e beneficiati,
la stretta sorveglianza a che non si pubblicassero nel regno nè circolassero libri come quelli del Santarelli (di cui abbiamo parlato altrove) o del francescano Bianchi, per citare i più odiati; e soprattutto il controllo dell'insegnamento non solo nelle università ma nei seminari vescovili e nelle scuole dei conventi. Le dottrine comuni erano quelle regaliste, gallicane e febroniane. Non mancavano attenuazioni (spesso di forma) e controversie sui punti più ostili al papato e poco conformi alle decisioni tridentine; ma in generale l'educazione del clero secolare e regolare era orientata verso il giurisdizionalismo statale. Nella vertenza tra Benedetto XIV e la repubblica di Venezia circa il decreto del li54 limitativo di molte facoltà del clero, in base ad una stretta concezione regalista, molti ecclesiastici furono per la repubblica, la quale cedette al successore solo perchè veneto (papa Rezzonico che prese il nome di Clemente XIII), affermando però nell'atto di ritiro del decreto che il papa « riconosceva la facoltà legislativa nata con la repubblica e sempre da noi esercitata D. La situazione che si era andata formando obbligava a giovarsi dei ripieghi diplomatici e delle occasioni propizie che potevano venire dai dissensi fra gli stati e dal bisogno, nelle loro continue guerre, di appoggi da parte del papa. Ma spesso le vertenze con Roma prendevano un aspetto sgradevole e dispettoso e i ministri e i monarchi stessi assumevano un tono arrogante. I papi erano messi in sempre più difficile situazione e risospinti sopra un terreno man mano più ristretto. I loro mezzi divenivano meno efficaci; non erano più i tempi delle scomuniche e degl'interdetti; e i diritti feudali ch'essi eventualmente rivendicavano non avevano più il significato d i un tempo. Quando l'imperatore Carlo VI accordò all'elettore Federico I11 di Brandeburgo il titolo di re (1700), Clemente XI vi si oppose sia per i diritti della Santa Sede su quell'elettorato, sia perchè gli Hohenzollern erano protestanti. Ma la protesta del papa non ebbe alcun effetto; all'Austria interessava l'amicizia della Prussia e gli ottomila soldati promessi per la guerra della successione spagnola che stava per iniziare. Lo stesso Clemente XI fu obbligato con le armi a riconoscere all'hustria la successione al trono di Spagna, Napoli e Sicilia (1709); donde le ire di Filippo V e di Luigi XIV, che si riper-
cossero sulle questioni in corso di carattere ecclesiastico. Intanto, con l a pace di Utrecht del 1713, la Sicilia fu data a Vittorio Amedeo I1 d i Savoia; risentimento del papa, che aveva sulla Sicilia i l diritto d i sovranità feudale. La vertenza si complicò a l punto che Clemente lanciò l'interdetto sull'isola, e Vittorio Amedeo rispose cacciando via ben tremila ecclesiastici. I1 regno di Vittorio Amedeo fu breve, e nel 1718 dovette lasciare la Sicilia e accettare in compenso la Sardegna, il cui titolo reale rimase alla Casa Savoia fino all'unificazione del regno d'Italia. Ma la questione d i Napoli e Sicilia non era chiusa. Innocenza XIII nel 1722 ne confermò alla casa d'Austria l'investitura, e per rassodare il diritto papale misconosciuto, rinnovò l'uso dell'of. ferta annuale al papa, a titolo di tributo feudale, della mula bianca (chinea). La casa d'Austria poco dopo perdette Napoli e Sicilia, per i l trattato dell'Escuriale del 1733, il quale legava Spagna, Francia e Savoia contro d i essa. Carlo di Borbone (più tardi Carlo I11 di Spagna) divenne re, e Napoli e Sicilia furono riconosciute come reame autonomo.La questione della chinea turbò più volte i rapporti di quel reame con la Santa Sede, finchè per decisione unilaterale fu soppressa. I1 vecchio diritto feudale che tanti disturbi diede a Roma venne così a cessare. F u in Napoli che sorse uno degli scrittori più rappresentativi del tempo, che alla concezione giurisdizionalista dello stato univa un odio speciale per il papato, Pietro Giannone, nato nel 1676 ;egli può dirsi un volterriano avanti lettera. Scrisse la Storia del Regno d i Napoli come un libro d i battaglia (1723); l'opera ebbe gran successo e fu tradotta nel 1729 in inglese, nel 1738 in francese, nel 1758 in tedesco. Costretto a lasciare Napoli, andò a Vienna. Scrisse un altro libro antipapale, ZZ Triregno. Perseguitato si rifugiò a Ginevra, dove cadde nelle insidie del re di Sardegna, d'intesa con Roma. Tradotto in prigione, vi rimase sino alla morte, nel 1748. Pietro Giannone, tanto per i giurisdizionalisti quanto per gli enciclopedisti e le correnti anticlericali del tempo, fu un martire e uno dei più forti campioni dell'illuminismo italiano (*). (*) La critica del prof. Carrnelo Caristia ha messo neila sua giusta luce l'opera di Giannone sia circa la mancanza di originaiità e l'abuso dei plagi, sia per le inesattezze storiche e le tendenmiosità poiemiche.
I n quel periodo Benedetto XIII, ch'era un papa debole e che aveva lasciato gli affari politici in mano a persone infide, come il cardinal Coscia, pensò di mettere fra i santi Gregorio VII, forse per divozione verso il gran papa, forse anche per rievocare, in mezzo a tante debolezze, un papa forte rivendicatore della superiorità della chiesa sul potere secolare. Ma fu una protesta generale da parte delle correnti gianseniste e febroniane; i governi si opposero formalmente al culto del nuovo santo e impedirono che se ne dicesse la messa e l'ufficio. I1 papa resistette e con atto del 1729 annullò tutti i decreti dei vari stati. (Era I'epoca in cui i re non volevano che fosse cantato il magnificat a causa del versetto: (C Ha deposto i potenti dal trono e ha esaltato gli umili D). I n questo periodo Roma si andò persuadendo ch'era assai meglio ricorrere a i concordati con gli stati cattolici per fissare i limiti ai diritti e alle concessioni reciproche. Dopo il concilio d i Trento un solo concordato era stato stipulato, quello del 1640 fra Urbano VI11 e l'imperatore Ferdinando 11, per regolare le questioni ecclesiastiche della Boemia. Solo nel 1727, dopo le aspre vertenze con casa Savoia in Sicilia e Sardegna, venne da Benedetto XIII stipulato il primo concordato dell'epoca moderna. Ma le vertenze con casa Savoia erano così continue che al primo ne seguirono altri quattro nel 1741, 1742, 1750 e 1770. Nel 1736, Clemente XII stipulò un concordato con la Polonia. I più importanti furono quelli con la Spagna nel 1737, con lo stesso papa, e nel l753 con Benedetto XIV, il quale nel 1741 aveva regolato la nuova situazione del regno di Napoli e Sicilia, e nel 1757 quella del ducato di Milano, con tale condiscendenza da fare mormorare contro d i lui i suoi cardinali. Si sperava così che fissando i termini dei rapporti fra la chiesa e i singoli stati, si eliminassero i motivi di urto. Purtroppo, la sistemazione giuridica d i tali rapporti tezldeva a eludere i problemi che sorgevano dalle diverse e spesso opposte concezioni e dal fermento delle nuove idee.
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40. La lotta contro i gesuiti per la loro soppressione ebbe il triplice carattere anticuriale, giansenista e illuminista. Fin dal suo apparire la compagnia di Gesù fu avversata; ma le lotte
provocate o subite da quel nuovo tipo di congregazione avevano assunto o il carattere interno ecclesiastico d i gelosie fra ordini religiosi di diversa tendenza, owero quello di controversie dogmatiche, moralistiche e ascetiche. Molti fra gli ecclesiastici, vescovi e cardinali e anche qualche papa, furono ostili ai gesuiti per una o per altra ragione che qui è inutile precisare. Molte ostilità vennero dai principi o perchè sostenevano i diritti del papato avversando le tesi regaliste e galiicane, o perchè erano fautori della tesi dell'origine popolare del potere e d i quella più ardita del tirannicidio. Non mancavano gelosie contro i gesuiti per la loro intraprendenza e spirito di corpo. Non pochi erano urtati dalle loro polemiche ardenti e qualche volta mordenti, contro avversari della chiesa, veri o creduti tali, specialmente per il loro iristancabile combattere contro il giansenismo e i giansenisti. Ma quel che rendeva a certa gente e temibili e deiestabili i gesuiti, era il loro potere nelle corti, come confessori, consiglieri spirituali e politici, tramite di grazia o disgrazia reale; donde invidie, rancori, adulazioni e intrighi. Ma fin qui, a parte le umane debolezze dall'una parte e dall'altra, errori e malevolenze, nessuno nel combattere i gesuiti intendeva colpire la chiesa cattolica come tale; anzi si credeva (sia pure in buona fede) che fosse un bene per la chiesa ridurli a soggezione, tenerli nei dovuti limiti e perfino mandarli via dai luoghi dove essi avessero sollevato delle tempeste. Che questi provvedimenti venissero dal papa o dai vescovi o dai monarchi e parlamenti, ciò non aveva importanza per le concezioni allora correnti sull'esercizio dell'autorità nella chiesa e sui diritti, effettivi o no, del monarca cattolico. Nel secolo XVIII, il naturalismo filosofico, il riformismo politico e l'illuminismo enciclopedico, trovando nella struttura ecclesiastica della società un ostacolo assai forte, diedero, per la prima volta, alla lotta antigesuitica un colore anticattolico. Non tutti videro questo sfondo del quadro, per il fatto che i risentimenti di quasi un secolo di urto contro la compagnia si erano accumulati e facevano pressione ;i pretesti politici non mancavano; e non pochi furono quelli che credevano di difendere gl'interessi religiosi pregiudicati dall'azione sconsiderata e soverchiante dei gesuiti; lo sviluppo della corrente giansenista nel clero cattolico (non solo in Francia ma altrove)
e del febronianismo anticuriale, misero fuori luce i motivi antireligiosi di quella lotta nella quale furono impegnate a fondo le monarchie cattoliche. La vertenza per le colonie indiane del Paraguay, fondate e amministrate dai gesuiti sotto il nome d i « riduzioni », diede motivo a forti risentimenti nei governi d i Lisbona e Madrid. Già da tempo portoghesi e spagnuoli dell'America del Sud desideravano distruggere le « riduzioni D, le quali erano u n ostacolo a l lucroso trafico degli scliiavi, e f r a quelle colonie costituivano uno « scandalo » per la loro prosperità economica, la correttezza amministrativa e lo spirito d i cc socialità cristiana » avanti lettera (errore parlare di comunismo) che si era così largamente sviluppato e consolidato. Un primo tentativo fu quello di incitare i N mamelucchi », specie di briganti indigeni, ad assalire qualcuna di quelle colonie. I gesuiti da principio cercarono d i portare i n centri più sicuri le popolazioni di confine esposte alle incursioni; ma molestati e assaliti d i nuovo, domandarono al re di Spagna la concessione di armarsi e difendersi. I1 che fecero con molta abilità, con buona tecnica e discreto armamento. Sfortunatamente la Spagna, volendo nel 1750 regolare le questioni di confine con le colonie portoghesi, cedette una porzione del Paraguay ; fu quella una buona occasione per distruggere le riduzioni, le quali opposero una ben organizzata resistenza armata. Ora spagnoli ora portoghesi dovettero ripiegare d i fronte al fuoco degli indian i ; finchè gli uni e gli altri, riunite le loro forze, diedero u n assalto definitivo e arrivarono a soggiogarli. Alla fine d i u n episodio così romantico, i gesuiti furono accusati di gravi imputazioni, per ribellione, per mancata corrisponsione d'imposte in rapporto a l reddito commerciale, per stipulazione di trattati con le tribù vicine, per rifiuto di obbedienza ai governi di Lisbona e Madrid e perfino per avere battuto moneta con l'effigie di un certo padre Nicola. La corte portoghese aveva altre imputazioni da fare a i gesuiti. Essi erano divenuti così potenti in quel regno, da essere ritenuti uno stato nello stato; legati au'aristocrazia, valevano più dei ministri. I1 re, Giuseppe I, non contava: egli era malaticcio e lasciava a i ministri la cura dello stato; amava più i divertimenti e le donne che gli affari. I1 ministro Pombal, bor-
ghese d i nascita, sprezzato dall'arisiocrazia, imbevuto delle idee enciclopediche, era in urto con i gesuiti, che all'inizio della carriera l'avevano protetto. Ai primi del 1758 egli ottenne da Benedetto XIV, poco prima che questi morisse, la nomina di un visitatore per le case dei gesuiti; di ciò fu incaricato il cardinal Saldahna. I n seguito a ciò, fu loro proibito di predicare e confessare in tutto l'ambito del patriarcato lisbonese (regno e colonie); i confessori del re e della corte vennero mandati via e si attendeva una decisione più radicale, quando capitò a l ministro Pombal la buona occasione che precipitò gli eventi. I1 giovane marchese di Tavora, risentito per le relazioni illecite del re con la marchesa sua moglie, in una delle visite clandestine gli tirò u n colpo d i carabina che andò a vuoto. A corte, dietro il Tavora si videro subito i gesuiti, pensando ch'egli mai avrebbe osato tirare sul re senza un forte appoggio. Ecco imbastito un processo contro i padri Malagrida, Matti e Alessandro, che furono torturati e poi messi a morte dall'inquisizione portoghese ; duecentoventuno padri furono tenuti in prigione in una nave ancorata sul Tago; tutti gli altri, compresi quelli delle colonie, espulsi dal regno. Invano il nuovo papa Clemente XIII domandò di giudicare egli stesso i colpevoli e fece istanza di grazia per gli altri tenuti prigionieri. Alla risposta negativa, protestò contro i provvedimenti presi; allora il nunzio papale fu espulso e furono rotti i rapporti diplomatici tra il Portogallo e la Santa Sede. Dopo i l Portogallo, la Francia: qui il risentimento contro i gesuiti era sempre andato aumentando per il doppio contrasto con i gallicani e con i giansenisti; ora si aggiunsero l'odio degli enciclopedisti e i risentimenti della corte, specialmente della Pompadour che dominava completamente Luigi XV. I n quel tempo il problema della comunione pasquale del re (pubblicamente adultero) dava molto da fare ai confessori; non mancò d i complicarsi con i pettegolezzi di corte per il rifiuto d i dare la comunione alla Pompadour; la Pasqua era per essi una convenienza sociale più che un dovere religioso che esigesse una condotta morale. Piccole e grandi cause alimentavano i risentimenti. Si aggiunse, per colmo, il processo contro il gesuita Lavalette, direttore della colonia della Martinica, il quale, per assicurare un reddito a quelle missioni, aveva intrapreso degli affari com-
merciali. Essendo stati certi carichi catturati dagl'Inglesi, il padre Lavalette non potè fare fronte ai pagamenti. Allora una casa di Marsiglia intentò un processo all'ordine dei gesuiti, ma i l provinciale rispose di non essere in obbligo di pagare i debiti d i Lavalette, tanto più che le regole proibiscono ai padri ogni atto di commercio. La sentenza di Marsiglia fu contraria all'ordine, che avanzò appello a l parlamento d i Parigi, il quale obbligò i gesuiti a produrre le loro regole e, mentre rigettò l'appello, denunziò alcune delle disposizioni delle suddette regole come immorali e pericolose per lo stato. Nelle polemiche e nelle conversazioni di Parigi e fuori, ritornarono allora a dibattersi le vecchie questioni del fine che giustifica i mezzi, della restrizione mentale, della morale lassista, del tirannicidio. I1 parlamento intervenne, ordinando di bruciare i libri pubblicati dai gesuiti dal 1590 in poi - un gran falò d i libri in folio - proibendo le lezioni pubbliche date da gesuiti, ordinando alle famiglie di ritirare gli alunni dai loro collegi. I1 re fece convocare i vescovi che iniziarono subito l'esame delle accuse morali contro i gesuiti. Questi ultimi credettero opportuno emettere una dichiarazione di fede gallicana, non molto difforme dalle precedenti, delle quali abbiamo fatto cenno, con la differenza che nel passato vi erano stati costretti e ora si spingevano avanti quasi a propiziarsi i vescovi; e con l'aggravante deplorevole di dichiarare in quell'atto che avrebbero insegnato sempre (C la doctrine établie par le clergé de France dans les quatre propositions à l'assernblée de 1682, et que nous n'enseignerons jamais rien qui y soit contraire P, dimenticando così la condanna del papa e l'obbligo fatto ai vescovi della ritrattazione. Ma simili dichiarazioni erano fuori data; la situazione era cambiata; non ostante che i vescovi fossero in gran maggioranza contrari all'espulsione dei gesuiti, i parlamenti (Parigi prima, la provincia dopo) decisero che la compagnia dovesse essere soppressa, i membri espulsi, i beni incamerati. Luigi XV, che aveva bisogno del parlamento per mettere nuove imposte e che era dominato dalla Pompadour e dal ministro Choiseiil, finì col firmare i l decreto. Protesta del papa Clemente XIII, la cui bolla Apostolicun pnscendi del 9 gennaio 1765 in Francia non fu mai pubblicata e non ebbe vigore.
Segue tosto la Spagna. Carlo I11 veniva da Napoli alla cui corona aveva rinunziato per succedere nel regno spagnolo; passava per r e illuminato, paternalista ma assolutista. I1 celebre Bernardo Tannucci era stato suo tutore e ministro ;egli aveva ombra dell'enorme potere dei gesuiti e non ne amava i metodi. Si temeva in quel periodo una rivolta, alimentata da opuscoli e fogli che circolavano clandestinamente; la corte e la polizia ci vedevano la mano dei gesuiti. L'incidente dei cappelli ebbe un esito catastrofico. La polizia aveva notato della gente che vestiva con cap. pelli a larghe falde e con enormi mantelli; la cosa faceva impressione ;un decreto taglia corto e proibisce quei vestiti sospetti; ma che è? un giorno si vede per le strade di Madrid una folla d i cappelli a larghe falde e di enormi mantelli. Era una dimostrazione? l'inizio di una rivolta? La folla non si disperde non ostante l'intervento delle guardie e la promessa del re d i mandar via il ministro delle finanze autore del decreto dei cappelli. Finalmente arrivano dei gesuiti che persuadono i dimostranti a tornare alle loro case. Troppo efficace era stato un tale intervento, troppo rapida l'acquiescenza della folla per non sospettare che dietro tutto ciò non vi fosse la loro mano. Non mancò l'accusa che si preparasse un complotto. I1 ministro Arandha era anche lui del tipo di Tannucci, Pombal, Choiseul; l'esempio del Portogallo e della Francia dava coraggio a tentare un colpo anche in Spagna; ma Carlo I11 voleva agire senza nè agitazioni nè discussioni nè processi. Nel 1767 i governatori del regno ebbero consegna di aprire certe lettere sigillate nella notte dal 2 a l 3 aprile e di eseguire immantinente il comando reale in essa contenuto ; per tale comando i gesuiti furono Ia stessa notte espulsi dalle loro case; trasportati ai centri d'imbarco, furono caricati su una nave e inviati fuori del regno. Dove? Napoli si rifiuta d i riceverli; Civitavecchia, città del papa, li respinge; approdano in Corsica, che ancora apparteneva alla repubblica di Genova. I1 papa intervenne, ancora una volta inutilmente. Alla Spagna fanno seguito i satelliti Napoli e Sicilia, Parma e Piacenza, e anche di là i gesuiti sono espulsi. Nell'anno seguente sale al trono papale il francescano Ganganelli, che prende il nome d i Clemente XIV. Durante i1 conclave le corti cattoliche avevano fatto conoscere il loro desiderio, anzi l a loro volontà, di finirla con i gesuiti. La scelta del
papa era stata condizionata da questa politica. 11 papa tardò quasi cinque anni, sia ordinando inchieste e studi, sia cercando d i placare le corti; più volte dichiarò che voleva il consenso preventivo di tutti i sovrani cattolici, e Maria Teresa d'Austria resisteva a dare il suo, non ostante le pressioni del figlio Giuseyp e I1 allora coreggente con la madre negli stati ereditari. Magonza e Baviera, per una o per altra ragione in urto con i gesuiti, consentirono, e finalmente anche Maria Teresa cedette. I1 papa non ebbe altre scuse politiche per ritardare ancora il provvedimento, che già da cinque anni pendeva sull'ordine; i seminari d i Roma e degli stati pontifici furono chiusi e il 21 luglio 1773 fu promulgata la bolla Dominus ac Redemptor con la quale h decretata la soppressione della compagnia d i Gesù. Tutti gli stati cattolici si affrettarono a riceverla nelle forme legali, con gran gioia ,dei nemici dei gesuiti; la Prussia di Federico II e la Russia d i Caterina I1 vollero mostrare di essere estranei alle bolle papali e agli odii delle corti cattoliche, ricevendo i gesuiti profughi; ma l'ordine come tale giuridicamente cessò d i esistere. Clemente XIV è l'ultimo fra i papi verso i quali senza riserva anche da parte d i storici cattolici si esercita un'aperta critica su atti della sua autorità. Da Pio VI in poi essi usano piuttosto l'apologia. Fortuna che esiste questo precedente verso un papa recente, sì da non poter essere tacciato d'irriverenza chi usasse lo stesso metodo storico con qualcuno dei successori. Nel fatto, ci sono tre appunti da muovere a Clemente; il primo, di avere subito nel conclave le condizioni imposte dalle corti; il secondo, di avere subordinato il SUO provvedimento al consenso di tutii i sovrani cattolici; il terzo, di avere motivata la soppressione dell'ordine per salvaguardare gl'interessi della chiesa e assicurarne l'unità di spirito nel vincolo della pace. Si suole attenuare l a responsabilità di Clemente con le tristi condizioni dei tempi e la congiura delle corti; nessuno storico ragionevole può pensare diversamente. Però sarebbe stato più rispondente al carattere della crisi una riforma della compagnia per eliminare quegli inconvenienti ai quali avevano dato luogo la sua potenza e ricchezza. Per far ciò, a parte le sue qualità di uomo di governo, Clemente XIV doveva disporre di un episcopato libero e indipendente, doveva avere il coraggio di affrontare il problema di
una più larga riforma, di romperla con il vincolismo giurisdizionalista, rinunziando a salvaguardare una serie di diritti, ch'erano per la chiesa delle catene. Si sarebbe ripetuta, in altre condizioni, la situazione della lotta del papato con l'impero; occorreva però un nuovo e più fortunato Pasquale I1 che avrebbe abbandonato quel che alla chiesa pesava di troppo d'interessi mondani. Alfonso de' Liguori, uno dei più noti santi dell'epoca, diceva: Povero papa, che poteva fare egli nelle circostanze difficili in cui si trovava, quando tutte le corone gli domandavano di concerto la soppressione? » E il gesuita padre Cordara scriveva che, al posto del papa, egli avrebbe fatto lo stesso. A parte queste difese, che non eliminano la responsabilità del papa, bisogna convenire che un certo numero di gesuiti avevano preso una posizione di tanta importanza sia come confessori di corte, sia per i rapporti con famiglie aristocratiche, favorendo o avversando ministri e uomini politici, certo a scopo religioso, ma in modo da accentuare in un clima torrido odi e rancori. Tale modo di intervenire nella vita pubblica quando da un singolo ecclesiastico, sia anche cardinale come furono Richelieu, Mazzarino o Alberoni, passa ad uomini legati da disciplina in un ordine esteso, ricco e protetto, che si perpetua al di là del periodo della vita d i un uomo, dà facile posto all'accusa d i essere uno stato nello stato o una chiesa nella chiesa. A loro merito si deve riconoscere che in tutto il periodo della controriforma vi furono gesuiti di grande santità, d'intelligenza e d i cuore, veri apostoli o martiri, gente distaccata dal mondo p u r vivendo nel mondo e i n esso lottando; ma ve ne furori.0 anche d i quelli di mentalità ristretta, intransigenti e ostinati, polemisti aspri e satirici; purtroppo fra tanti grandi e generosi non mancarono i piccoli e gl'intriganti. I1 loro zelo era multiforme e straordinario così come la disciplina ferrea e volitiva. Era impossibile ch'essi non portassero con sè i difetti di un attivismo che vuole il fine ad ogni costo, e che non ingrandissero troppo lo spirito d i corpo reso acuto dalla sua potenza, dai suoi successi e dalle sue lotte titaniche. Tutto ciò, pur senza una mira prestabilita, portava ad uno spostamento del campo di lotta dal papato a i gesuitismo. 11 papato, fatto per riunire attorno a sè i lottatori d i tutti i settori, restava indebolito; il gesuitismo, in
quanto caratterizzato da un ordine particolare, produceva il distacco di quanti (clero secolare, ordini religiosi, istituti e gruppi in seno o in margine alla chiesa) dissentivano dalle sue teorie o dai suoi metodi o dalle persone preminenti che lo dirigevano e rappresentavano. È vero che i gesuiti erano nello spirito e nell'intenzione di tutti i membri un ordine fedele a Roma e difensore dei diritti della chiesa; è vero che i papi molto confidavano nei gesuiti, per ottenere o con lotte aperte o per vie coperte e influenze nelle corti, quel che essi non riuscivano ad ottenere attraverso i loro diplomatici o vescovi; ma ciò indeboliva la curia romana - specialmente quando dagli avvenimenti era obbligata a doverli sconfessare, ovvero ad avallare metodi e vie che non erano le migliori per limpidità e dirittura morale. I1 periodo di soppressione fu per i gesuiti una prova e una purificazione; ma per il papato fu un'umiliazione che non gii giovò ad acquistare prestigio nè a guadagnare la benevolenza e fiducia delle monarchie. Queste erano su una via di sempre maggiore disimpegno da Roma, verso un'autonomia statale e una pienezza e assolutezza di poteri ch'esigevano l'assoggettamento completo della chiesa e la sua eliminazione da ogni interferenza politica. I1 riformismo tendeva a questo termine; ma a Roma davano ancora maggiore importanza ai rapporti con i sovrani e loro ambiente, che alle nuove correnti che si andavano sviluppando e che tendevano a disintegrare tanto l'assolutismo dei monarchi quanto l'autoritarismo ecclesiastico. La concezione autoritaria della società era così radicata ( e i gesuiti del secolo XVIII vi avevano notevolmente contribuito) che non si concepiva che la chiesa potesse muoversi altrimenti che ricercando, in tutti i metodi e con tutti i sacrifici, l'accordo e l a collalorazio~e dei principi.
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41. Come nei paesi protestanti era awenuto nel secolo XVII u n mutamento di orientamento e una trasformazione interiore, i cui riflessi erano arrivati nei paesi cattolici; così nel secolo XVIII avveniva una trasformazione nei paesi cattolici che si ripercuoteva in quelli protestanti. I1 centro di questa crisi fu la Francia. Quivi i l fermento delle idee era più vivo perchè la classe intellettuale era più larga ed erano continui i contatti con
l'Olanda, l'Inghilterra e la Germania; il grand siècle aveva lasciata una feconda eredità di lettere e di filosofia; Parigi era il centro della vita europea, Versaglia la gran corte; mentre Roma, Venezia, Firenze da un lato, Madrid dall'altro non avevano più il ruolo internazionale di un tempo, e Vienna cominciava allora, sotto Maria Teresa, a emulare le grandi capitali. Si era stanchi, fra gli uomini di cultura, di polemiche strettamente religiose e dogmatiche, come quelle sulla grazia e il libero arbitrio fra giansenisti e gesuiti; la curiosità del pubblico che leggeva era volta ai problemi concreti del sapere e della vita terrena, per renderla meno triste, per arrivare a un ordine nuovo, con aspirazioni verso riforme in tutti i campi, perchè dappertutto si sentiva il peso di un mondo vecchio e in contrasto con le aspirazioni generali. L'idea che affascinava era quella di natura; u n naturalismo fondamentale, che ora prendeva aspetto sentimentale, ora filosofico, ora artistico, che s'insinuava in tutte le pieghe del pensiero di allora, come la rivelazione di un mondo felice, al quale contraddiceva il sistema del tempo, basato sulle monarchie assolute e sulla religione d i stato dogmatica e autoritaria. La concezione d i natura, presa come un complesso d i buone qualità dell'uomo in astratto, derivava da quella d i ragione come sicuro lume d i verità e da quella di diritto di natura base della socievolezza umana. Descartes e i razionalisti, Grozio e Pufendorf. e i giusnaturalisti avevano contribuito a fare della natura un elemento ideale e quasi mistico; il naturale tendeva a soppiantare il soprannaturale; la ragione prendeva un posto più importante della fede; anzi si andava sviluppando fra questi termini una crescente opposizione. I1 confronto era fra l'ideale di una natura dotata di ragione e di tutte le qualità atte a fare l'uomo felice, e la società reale piena di diseguaglianze, d'ingiustizie, di vincoli, di oppressioni e di miserie. Letterati, giornalisti e filosofi che dovevano combattere con la censura ecclesiastica e politica per pubblicare i loro libri o per avere quei libri la cui circolazione era proibita, se la prendevano con il sistema autoritario. La crisi economica dovuta al malgoverno, alle guerre, alle sperequazioni dei tributi e fiscalità delle esazioni, spingeva allo studio delle riforme. I1 sistema giudizia-
rio civile e criminale si presentava illogico, barbaro, venale e ingiusto. I metodi educativi delle scuole e dei collegi, basati sulla disciplina autoritaria e sulla costrizione, l'insegnamento dogmatico e classico fatto di retorica e di scolastica, erano reputati i n contraddizione con la concezione naturalistica e sentimentale che si andava maturando. E poichè tutto il mondo di allora si presentava prevalentemente sotto aspetto religioso, dal potere del re derivante da Dio, all'insegnamento in mano a ordini religiosi e a vescovi, perfino alla ripartizione dei carichi fiscali alla quale presiedeva i l parroco; e nella Sorbona o negli stati generali o nei consigli reali, non c'era posto dove il clero non fosse presente, legato intieramente al regime e con esso solidale al mantenimento della struttura economica e politica del paese; così la formazione delle correnti naturalistiche si andava orientando contro la dominazione del clero, contro il contenutci dell'insegnamento cristiano, contro la fede stessa. I n regime di censura e di polizia, chi scriveva apertamente contro la fede finiva alla Bastiglia o in esilio e i suoi libri venivano bruciati per mano del boia. C'erano mille modi per evadere da quei pericoli, qualora le critiche fossero sottili e insinuanti, la satira garbata e mai diretta, fatta per analogia, da comprendersi da tutti meno che dal censore; sia che si trattasse del regno dei Persiani o della storia di Maometto, delle opinioni inglesi o di quelle degli antichi greci e romani, o dello studio di società ipotetiche di oltre oceano, canadesi e australiane. Quel che interessava era mettere in luce la società naturale, la morale naturale, la religione naturale, e criticare le superfetazioni della società attuale, i pregiudizi, le superstizioni, le crudeltà, le tirannie. Tale critica insinuante e persistente veniva qualche volta giudicata come empia, contraria alla fede e dannosa al trono. Ma le repressioni non erano tali da impedire la circolazione clandestina di quei libri e libelli, che perciò stesso erano più ricercati e gustati, ed eccitavano la curiosità d i collegiali sorvegliati e di ragazze sveglie. Le polemiche non mancavano: libri di confutazione molto pesanti e libri anch'essi vivaci e sarcastici, giornali e riviste, libelli e fogli; neppure mancavano ordinanze vescovili che avvertivano i fedeli del pericolo e che proibivano i libri più perico-
losi. Sfortunatamente, gli scrittori tradizionali non erano i più brillanti nè per le idee nè per l'arte; mancavano quasi tutti di comprensione dei motivi psicologici che favorivano l a corrente naturalista, e per lo più mantenevano così stretto il nesso fra religione cattolica e ordine stabilito, da rendere, secondo i punti d i vista, antipatica o la causa della religione o quella dell'ordine. Non si comprendeva che si era maturata una crisi d i pensiero, che si cercava u n nuovo orientamento morale e politico, u n rinnovamento profondo nella struttura sociale. A qualche scrittore cattolico moderno è sembrato per lo meno strano che, mentre la chiesa e il clero, alto e basso, per motivi giurisdizionalisti e per pretese politiche, erano trattati dai governi e dai parlamenti nella maniera più opprimente, potessero essere criticati dagli enciclopedisti come dominatori autoritari, come coloro verso i quali doveva riversarsi l'odio degl'innovatori. Chi fa simile rilievo non tiene presente che mentre le liti gIurisdizionaliste erano fra il potere civile e l'ecclesiastico e fra la Sorbona o il parlamento e i vescovi, la lotta filosofica morale e giuridica degli enciclopedisti era contro l'intolleranza religiosa, contro l'arbitrio del potere, contro i metodi giudiziari, contro quello ch'era o era stimato superstizioso, contro i metodi educativi, lo spirito dogmatico, l'autoritarismo intellettuale. Filosofi, politici, economisti, storici, romanzieri, letterati e polemisti, orientandosi verso l'ideale di una natura buona, di u n ordine terreno migliore, di u n diritto uguale a tutti, aguzzavano lo spirito d i ricerca e di critica, sognavano utopie generose e società idilliache; perciò stesso disprezzavano il passato, tutto il passato, anche quello religioso cristiano che veniva rigettato per incomprensione, mentre la storia greca e romana e una pretesa preistoria erano le favorite. I1 loro odio per la chiesa, il risentimento contro l'ordine civile e la satira demolitrice mancavano di base storica. Una delle ragioni più profonde del contrasto fra u n razionalismo logico d'idee semplici e chiare e un utopismo pronunziato, fra il bisogno d i riforme e la demolizione dell'ordine spirituale e civile, si può trovare in una certa mancanza di senso storico dell'illuminismo. Quando si ha la prospettiva di una palingenesi, di una trasformazione messianica, non si comprende più
il passato, si vuole incominciare con l'anno uno ; ma la negazione del passato è nel fatto e nell'idea la negazione della storia. Questo fatto avverrà nella rivoluzione francese, ma spiritualmente è preparato nell'enciclopedia. Può sembrare strana la nostra affermazione in un periodo in cui la reviviscenza degli studi storici aveva dato uomini come Leibniz, Muratori, Mabillon e Vico, quest'ultimo il vero creatore della storia ricostruttiva e filosofica. Ma l'opera di Vico non fu conosciuta che tardi, e i grandi filologi che gettavano allora le basi razionali della costruzione storica non influivano ancora sulla formazione del senso storico dei contemporanei. Voltaire, che aveva le qualità di uno storico, ne scrisse (come fanno i letterati ancora oggi) a scopo polemico e per motivi estrinseci. La storia e la filosofia erano allora distaccate ed opposte; perciò l'illuminismo non poteva comprendere il vero spirito della storia. Una storia che sconosce le ragioni del passato e la nega non è più storia; una ragione umana che si rivela a se stessa come una novità palingenetica negando i l passato che l'ha portata a quel punto, non è più una ragione umana ma una rivelazione, sia pure laica, da contrapporre a quella religiosa; manca l a continuità, legge storica messa in evidenza da Leibniz; manca il processo interiore, legge storica intuita da Vico. Dall'altro lato coloro che conibattevano gli enciclopedisti in nome del passato, della tradizione, del potere assoluto e della chiesa, presentavano la risultante storica come qualche cosa di fisso, d'immutabile e di astratto dalla realtà dinamica, avulso dal mutare degli uomini e dal succedere degli eventi. È vero che Bossuet nel suo DUcours sur l'histoire universelle non ometteva di accennare allo « spirito dei tempi e delle nazioni » per mettere in evidenza che oltre la Provvidenza vi erano le cause seconde; ma a parte l'insufficienza di spiegare il movimento interiore di tali cause e le leggi della loro contingenza e continuità, al moto riformistico veniva opposia una stabilità immutabile, a l bisogno d i libertà un'autorità assoluta, all'impulso della ragione l'applicazione di una legge soprannaturale esclusiva e non comprensiva. Così anch'essi erano fuori della storia e precipitarono il cozzo di due mondi, concepiti entrambi fuori della relatività temporale: il mondo di
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- STURZO - Chiesa
e stato
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una natura razionale e buona e i l mondo di un cristianesimo assolutista e anchilosato. Quando nel 1748 apparve 17Esprit des lois di Montesquieu, i l successo fu enorme; l'interdizione d'introdurlo in Francia fu tolta presto; la Sorbona pensava di censurarlo ma soprassedette. Più che per il suo contenuto costituzionale e il valore costruttivo, il libro fu apprezzato per il suo spirito riformistico, per il modo con cui metteva in luce problemi sentiti nella vita pratica, tutti elementi adatti a polarizzare l'attenzione acuta e la curiosità ridestata del gran pubblico. Secondo la concezione autoritaria, la legge veniva da Dio e il re n'era i1 ministro e la manifestazione; nella impostazione di Montesquieu la legge prendeva il carattere relativo d i un costume adatto alle condizioni particolari d i un popolo, al tempo, al clima, alla cultura. L'idea d i bene e d i male non si riferiva più ad un complesso di precetti e di proibizioni venuti dall'alto, ma all'utilità che un costume o una legge poteva recare al gruppo sociale. La critica di Montesquieu era poggiata sull'idea dell'utilità sociale; sono inutili e dannose l'intolleranza, la tirannia, la schiavitù, il servaggio: onde la necessità d i riformarle o abolirle. I1 suo restava Un pragmatismo riformistico, che non arrivava a cogliere nè i valori permanenti nè l a continuità storica della vita dei popoli. Se questo era il Montesquieu per i suoi contemporanei, altro sarà per il pubblico di mezzo secolo dopo. Lo stesso capita a Rousseau. Egli, per i suoi contemporanei, più che l'autore del Contrat Social è l'autore dell'Emile e de La Nouvelle Héloise e più tardi delle Confessions. La concezione della natura d i Rousseau è la stessa di quella di tutta la letteratura naturalistica del tempo. L'idea d i una natura inizialmente felice senza bisogno di leggi fa pendant con quella di una società felice ed equilibrata sotto il regno della ragione; concezione mistica e statica, da essere elevata come contraltare a quella cristiana fra due paradisi, l'Eden di Adamo e il Cielo promesso. Ma p e r i naturalisti occorreva eliminare non Dio (per loro bastava u n vago deismo e una cosidetta religione naturale), sì bene la colpa di origine, la redenzione, Cristo e la chiesa, i premi e le pene nell'altra vita; tutto ciò per essi era legato alla intolleranza dogmatica e all'assolutismo tirannico in nome del sopran-
naturale. Rousseau volgeva tutta l'attenzione sull'educazione; gli uomini non erano cattivi per natura ma corrotti dalla falsa educazione e dalla società; occorreva rifarne l'educazione e informarne la società; i buoni sentimenti, l'amore, la fraternità, la solidarietà saranno quelli che porteranno gli uomini ad un vivere felice. Gli enciclopedisti, e Voltaire su tutti, con opere originali, studi, storie, critiche, lavori di volgarizzazione, libelli polemici, poesie, romanzi e satire, diffondono largamente lo spirito d i rivolta al passato religioso, d i divinizzazione della ragione, d i aspettazione di un migliore avvenire attraverso i nuovi metodi di educazione e di studi, le riforme sociali e politiche, lo schiacciamento della potenza della chiesa. L'immagine prediletta era quella della luce della nuova filosofia di fronte all'oscurantismo e alla superstizione rappresentate dal cristianesimo; perciò si parla d i secolo dei lumi; la nuova corrente dagli italiani fu detta illuminismo, dai tedeschi Aufklorung, .dagli inglesi enlightenment. L'azione di Voltaire fu la più efficace a causa di più d i mezzo secolo di scritti di ogni natura, tragedie, commedie, poemi (egli aspirò invano al titolo di poeta eroico con la m a Enriade, con cui voleva gareggiare con Virgilio e Tasso), le sue lettere sull'Inghilterra, 1'Esprit des moeurs e su tutti Candide e L'Ingénu, che satireggiavano insieme l'opera di Dio e quella dei governi. Ma ai suoi scritti, che circolavano in tutto il mondo, per la verve mordace e per la limpidità di stile, egli aggiunse, e fu a suo vantaggio e a suo merito, la difesa e la riabilitazione di condannati ingiustamente. I1 caso del protestante Calas, condannato a morte sotto l'accusa di avere ucciso il figlio che si voleva fare cattolico, quello della famiglia protestante Sirven condannata in contumacia per avere annegato nel pozzo la figlia che si era convertita al cattolicesimo, quello del cavaliere de la Barre condannato per sacrilegio, e altri ancora, diedero occasione a Voltaire di presentarsi come difensore dell'innocenza dei condannati e accusatore dei difetti e delle colpe del sistema giudiziario e della intolleranza religiosa. L'effetto fu enorme i n Francia e altrove, e diede nuovi motivi alla lotta antireligiosa. La pubblicazione dell'Enciclopedia. cominciata nel 1751 e finita nel 1765. nonostante tutte le difEcoltà incontrate dal lato
ecclesiastico e da quelio politico, segna il punto saliente di questo movimento d i pensiero e orientamento del secolo XVIII. La diffusione delle cognizioni scientifiche e pratiche, storiche e morali, letterarie e artistiche, religiose e politiche, fatta con grandi pubblicazioni analitiche e alfabetiche, non era nuova. Di Ciclopedie, Enciclopedie e Tesauri, più o meno farraginosi e indigesti, se n'erano composti. Ma la pubblicazione dell'Emyclopédie du Dictionnaire Universel des Arts et des Sciences fu un avvenimento unico nel mondo della cultura e fu stimato da molti come una vera macchina d i guerra contro la chiesa e il governo dispotico. Clemente XIII la condannò nel 1759, durante il periodo della soppressione della pubblicazione ordinata dal parlamento di Parigi. La sospensione fu revocata per la protezione della Pompadour, del ministro Choiseul e di Malesherbes, durante la fase d i tensione che precedette l'espulsione dei gesuiti. 11 successo dell'Encyclopédie fu internazionale. Essa ebbe traduzioni ed edizioni all'estero, e non mancarono le imitazioni. L'Encyclopedia Britannica iniziò la pubblicazione nel 1768. Al vedere un movimento così serrato d'idee e di fatti, che scuoteva le basi della chiesa e dell'ordine tradizionale, si è voluto pensare ad una causa occulta, ad una congiura ordita, che si sviluppasse verso un termine preciso. Si è pensato alla frammassoneria che proprio allora si andava diffondendo in Francia, importatavi dagl'inglesi rifugiati con Carlo Stuart a Saint-Germain. Sembra che le prime affiliazioni rimontino al 1736; la curiosità era destata dalla regola del segreto. Nel 1737 il cardinai Fleury, allora ministro di Luigi XV, interdisse le assemblee delle logge già stabilite qua e là in Francia. Clemeute XII nel 1738 emise una bolla: I n eminenti apostolatus specula, con la quale, sulla base delle voci diffuse circa la nuova società, egli u pensando ai gravi danni che potrebbero essere portati non solo alla tranquillità della società temporale, ma anche alla salute spirituale delle anime I), invocava d i procedere contro i frammassoni sotto il titolo de haeresi vehementer swpectos, invocando, se del caso, il braccio secolare. La condanna di Clemente non ebbe grande eco; il governo di Luigi XV fu assai tiepido al riguardo; i più erano convinti della innocuità della frammessoneria, molti della
nobiltà ne facevano parte, con buon numero di preti e frati; grandi dame costituivano le logge femminili. Nel 1751 Benedetto XIV tornò alla condanna; anche lui non fu ascoltato più di Clemente XII. Anzi, da quell'epoca in Francia i processi assai blandi contro .qualche fxammassone si fanno assai rari, e rare sono le voci dei vescovi che se ne preoccupano. La Sorbona interviene nel 1763 a lanciare la sua condanna; ma sotto le frecce degli enciclopedisti la Sorbona andava perdendo credito e autorità. Non mancano dissensi tra i fratelli: rito inglese e rito scozzese non vanno d'accordo; espulsioni dalle logge e reazione del Grande Oriente di Francia che condanna e fa sparire la Grande Loggia. Nel 1773 Gran ~Uaestro ne è il duca di Chartres ( i l futuro Filippo-Egalité). L'abate I. P. Lapanze, prete molto stimato, è il venerabile della loggia di rito inglese di Bordeaux e nel 1782 presiede la loggia generale; i preti frammassoni non avevano paura di dirsi tali, anzi se ne facevano un' onore. Una corrente occultistica s'insinuò nella massoneria francese, importata dalla Germania e fermentata localmente, con mescolanze di misticismo cattolico, di visionarismo (come quello deg17illuminati di Baviera) e di templarismo e occultismo magico. Più tardi si troverà Giuseppe de Maistre « grande oratore » della loggia di Chambéry, di tipo u martinista (da Saint Martin) del ramo lionese. Nel secolo XVIII i l movimento massonico francese era come quello inglese: deista, illuminista, riformista e misticizzante, e seguiva la massima prudente: nihil de principe parum de Deo. Attribuirgli il ruolo di elemento attivo e propulsore, centro d i una battaglia contro la chiesa e il potere, è fame un mito. Durante il turbine della rivoluzione francese, qualcuno cominci5 a pensare che la frammassoneria c'entrava per qualche cosa, e a poco a poco, dopo che essa prese nel secolo XIX un atteggiamento apertamente anticattolico, fu creduta la causa occulta di tutti i rivolgimenti. Ma storicamente può dirsi dimostrato, nonostante qualche voce in contrario, che il ruolo della massoneria sia stato allora e anche dopo quello della mosca cocchiera, e anche questo attribuitole post factum. LE massoneria era allora un segno dei tempi, figlia di quel periodo, animata da quello spirito. Se preti e frati e cattolici
praticanti ne facevano parte, non era perchè essi chiudessero gli occhi al male che vi si perpetrava, ma perchè non vedevano che male fosse il diffondere quel ch7essi credevano essere idee .sane e sentimenti onesti. I1 segreto, che insospettiva gli estranei e le autorità, dava una certa soddisfazione a117istinto critico che c'è in fondo all'animo di ognuno e a l desiderio di credersi importanti. Molti, mancando loro gli slanci mistici e le aspirazioni ascetiche, si contentavano dei surrogati simbolici; e quelli che facevano del misticismo d i più o meno cattiva ,lega, tentavano spesso di rimediare a l vuoto lasciato dal formalismo religioso della loro educazione; se non credevano più ai misteri della Trinità e dell'Incarnazione, si contentavano del deismo e umanitarismo d i moda. I1 poter comunicare in segreto faceva loro sentire una specie di liberazione dalla sorveglianza del potere politico, di quello ecclesiastico, della Sorbona, dei parlamenti, della polizia. Una piccola evasione da u n mondo di costrizioni in un mondo ritenuto di libertà. Tutti motivi oscuri e subcoscienti che poi si tramutarono in movimenti di ribellione e di lotta.
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42. I1 movimento enciclopedico e le conventicole massoniche non erano solo della Francia, nè venivano solo dalla Francia. I1 flusso e riflusso di quelle idee, tendenze, sentimenti: aspirazioni avevano origine generale nei due secoli precedenti di riforme e controriforme; di guerre di religione, di egemonia, di successione; di assolutismi politici e d i intolleranze ecclesia stiche; lo sbocco nel razionalismo e naturalismo segnava storicamente il fallimento della stretta unione e confusione della religione con i1 poiere monarchico, della chiesa con lo stato, sotto il segno del conformismo politico e del17autoritarismo sistematico. Perciò dall'Inghilterra alla Germania, dalla Spagna all'Italia, dal17Austria alla Polonia, con diverse gradazioni e secondo le condizioni particolari di ciascun paese, troviamo nel secolo XVIII le stesse correnti che in Francia. I1 tipico rappresentante inglese di p e s t o periodo fu i1 filosofo, storico ed economista, David Hume (1711-1775) che passò parecchio tempo in Francia, viaggiò in Italia, Austria e altrove. La sua filosofia, un radicalismo gnoseologico e un seosismo fondamentale, lo portava a fissare, come principio della morale,
la simpatia, ossia il sentimento di socievolezza (fellow feeling) e a trovare nel sentimento più che nella ragione il fondamento della religione. È curioso che nei suoi Dialogues on Natura1 Religion, pubblicati dopo la sua morte, sembra ch'egli si sia rappresentato non in Demes ( i l religioso mistico sentimentale), ma in Cleonte, che propugna un deismo razionalistico, con qualche inclinazione verso Filone, il quale è ora scettico ora naturalista. Hume fu anche economista, libero scambista, e precorse il suo celebre amico Adamo Smith (1723-1790), la cui Tlzeory of mora1 sentiments (1759) fu influenzata dal pensiero di Hume. Il sentimento morale per Smith sorge soltanto quando l'uomo vive in società, in base alla simpatia istintiva; egli rigetta le tesi della moralità come egoismo e della moralità come ragione, ma non nega l'importanza della ragione nello sviluppo del sentimento morale: la ragione coopera nella generalizzazione, non nella percezione del bene e del male. Tommaso Reid, capo della scuola scozzese (1710-1796), per combattere la filosofia di Hume si pose sul terreno dell'esperienza sia dal punto di vista psicologico che da quello storico; ma l'esperienza veniva spesso limitata a l campo limitato dei fatti senza una integrazione nel complesso religioso ed etico anch'esso sperimentale. Questi orientamenti filosofici spiegano la decadenza della chiesa aglicana, la mancanza di una seria speculazione teologica e l'abbandono in cui erano lasciate le chiese e le pratiche del culto, mentre essa godeva della protezione della monarchia, dell'appoggio del parlamento e di una privilegiata situazione economica. Come reazione, nel 1729 s'inizia a Oxford un movimento pietista da parte di alcuni studenti pieni di zelo (principali ispiratori Charles e John Wesley) che per la loro cura di darsi un metodo di vita furono chiamati n metodisti D. I1 fondo religioso è dato loro dall'esperienza e da un entusiasmo devoto e sentimentale più che dai dogmi. Essi abbondavano in sermoni e cantici spirituali; Charles ne fu il poeta e ne scrisse più di seimila. I metodisti ebbero i loro profeti, i loro convulsionari, come l'ebbero in quel torno di tempo i giansenisti di Francia. Si separarono dalla chiesa nfociale e ne costituirono una propria per impossibilità di convivenza; poi si divisero e suddivisero in molte altre chiese; il metodismo si diffuse largamente in Ame-
rica. Esso ha dato l'impronta alla religiosità anglo-sassone del XIX secolo. Un altro movimento, detto degli evangelici, si sviluppò in quel tempo nella chiesa anglicana; in contrasto con la corrente liberale, che riduceva i dogmi a simboli delle verità naturali e semplificava i1 cristianesimo a livello d i religione naturale, gli evangelicals tentarono un rinnovamento spirituale in base alla conversione individuale alle credenze soprannaturali. I n Germania troviamo un movimento analogo a quello dei metodisti e evangelici inglesi nel pietisno, che si diffonde quasi dappertutto e reagisce tanto all'indifferentismo delle chiese protestanti &ciali, quanto a l razionalismo e naturalismo dell'Au/klaerung, mentre prepara il terreno a l cattolicesimo romantico. Ma l'dufklaerung è così diffusa presso l'elemento colto che seduce la nobiltà, trascina il clero, influisce nelle corti e ne sono toccati gli stessi cattolici, che non hanno in quel periodo grandi personalità. Ciò non vuol dire che manchi in Germania la resistenza all'ondata illuminista, come non mancava del resto in Inghilterra e neppure in Francia; ma l'opposizione nel campo della speculazione e della polemica era impari; mentre in quello politico, con le misure restrittive, si aveva spesso l'effetto contrario. Christian Wolff (1678-1754) fu il continuatore e il volgarizzatore d i Leibniz; per il suo metodo d i semplificazione e chiarificazione, recò più danno che vantaggio al maestro. Egli per i1 primo scrisse d i filosofia in tedesco, come aveva fatto il Thomasius per il diritto (si deve a Wolff la formazione terminologica della filosofia tedesca); e diffuse in Germania la speculazione europea sicchè divenne il rappresentante più noto del razionalismo. Egli non negava la teologia cristiana; voleva spiegarla razionalmente con il principio leibniziano della « ragione sufficiente (che prendeva in lui quasi aspetto deterministico) e col ridurre i fatti soprannaturali a simboli naturali. I pietisti d i Halle gridarono al pericolo; e quando Wolff fece l'elogio di Coufucio e della purezza d i quella morale, si scatenò una tempesta ; Federico Guglielmo I lo destituì da professore e lo mandò via. Ma poi lo richiamò ad Halle, dove continuò a scrivere fino alla morte.
Presto venne la reazione contro il razionalismo wolffiano. L'influsso della filosofia inglese prima, l'influsso di Rousseau in seguito, richiamarono ai problemi dell'individuo e allo studio della psicologia e alla valutazione dell'esperienza. I1 pietismo, come deviazione dal dogmatismo luterano e reviviscenza del sentimento religioso, poteva essere guardato come un riflesso dello psicologismo che andava divenendo teoria filosofica. Dal razionalismo cartesiano si ripiegava sull'esperienza del concreto; ma ogni esperienza contiene una critica sia degli strumenti con i quali si esperimenta sia delle cose sperimentate. Baumgarten nel 1750 pubblica la sua Aesthetica: il termine rimarrà a indicare la dottrina del bello, nel vocabolario filosofico e artistico. Egli concepiva l'estetica come esperienza delle rappresentazioni oscure (conoscenze inferiori) a differenza della logica che ci dà le regole delle visioni chiare (conoscenza superiore). I1 suo lavoro era un indice del posto che prendeva nella speculazione filsofica il sentimento quale C una facoltà di apprezzamento », come allora lo definiva Moses Mendelssohn. Emanuele Kant (1724-1804) portò al suo culmine il criticismo e con esso la revisione di tutte le posizioni del pensiero contemporaneo. Nell'apparenza esterna, e anche nella convinzione d i molti, i problemi religiosi ed etici venivano guardati alla luce di un vago deismo e il cristianesimo non era per essi un nemico da combattere, come per Voliaire e gli enciclopedisti francesi, ma un'esperienza da superare o un fatto storico da interpretare, ovvero un contenuto simbolico da decifrare. Però il naturalismo illuminista, lo psicologismo sensista e il criticismo razionalista portavano verso una specie di panteismo oscuro e larvato che pullulava da un'anima misticizzante quale la germanica. Lessing (1729-1781), con l'idea dello sforzo verso la verità quale motivo del dinamismo umano, pose un principio attivista nella intima insoddisfazione della mente e della volontà; gli era impossibile pensare un Dio personale e perfetto; preferiva una divinità in rapporto immanente col tutto in un perpetuo moto verso una completezza mai raggiungibile. Wolfgang Goethe (1750-1832) basa il suo Faust sopra una dualità: natura infinita ed eterna, uomo immortale ma non eterno: immortale nella sua essenza spirituale, non nella sua figura o materia. La natura incosciente, l'uomo co-
sciente; la natura serena, l'uomo inquieto nel volere essere se stesso ;la natura innocente, l'uomo soggetto all'errore. Da ciò un conflitto interiore che si rinnova sempre e che tende ad una pacificazione (salvezza) nella dialettica del bene e del male ovvero nella dedizione completa dell'uomo alla natura. Un panteismo poetico e simbolico quello di Goethe, che esprimeva un lato non indifferente del pensiero tedesco d i allora, ondeggiante fra u n razionalismo alla Wolff e un immanentisrno alla Lessing. I n Italia, dopo il gruppo dei filosofi meridionali d i Telesio, Bruno e Campanella e dopo Galileo Galilei che apriva una nuova era nel campo delle scienze, pareva che tutto lo sforzo di speculazione, d i poesia e di arte del rinascimento si fosse esaurito; restavano solo a rappresentarlo i grandi architetti, pittori e scultori del barocco e i musicisti che prendevano il primo posto nell'espressione del sentimento e della cultura italiana. L7influsso cartesiano non manca; gli scritti dei giusnaturalisti di oltre Alpe sono letti, la filosofia inglese penetra, Leibniz è conosciuto da qualche intellettuale. Più di tutto si diffonde lo spirito scientifico, l'esperimentalismo pratico, la ricerca storica e filologica; mentre lo studio del diritto canonico e la filosofia aristotelica mantengono 'intatto il loro dominio nelle scuole in gran parte in mano ad ecclesiastici. Giambattista Vico di Napoli (1668-1744) non ebbe un ambiente che potesse apprezzare i l suo genio nè comprendere le sue profonde intuizioni, che avrebbero dovuto creare una nuova corrente filosofica in Europa. Egli ebbe la sorte, comune a molti geni, d'essere riscoperto più di mezzo secolo dopo la sua morte; è allora che si comincia a comprenderlo (non intieramente nè rettamente) e le sue teorie trovano un ambiente meglio preparato a riceverle. Egli è anticartesiano; per lui l'uomo non ottiene la conoscenza mercè le idee semplici e chiare, che possono rappresentare tanto il vero che i l falso, ma divenendo egli stesso in certo modo causa del fatto in cui si converte il vero. Dio conosce le cose perchè ne h a l'idea archetipa realizzata con il suo atto creativo. L'uomo conosce realmente quello ch'egli fa (che è l a storia) perchè egli la f a ; l'uomo conosce la natura per quel ch'egli arriva a fare o ricreare della natura con la sua esperienza ed attività; l'uomo conosce Dio per quel ch'egli esperimenta -
della Divinità o come coscienza storica (l'opinione comune deI genere umano) o come coscienza individuale (noi diciamo oggi esperienza del divino) o come rivelazione (ebraismo-cristianesimo). Vico, pertanto, considera la storia non come una narrazione di fatti e successione di date, ma come una continua creativa conoscenza da parte dell'uomo. Egli non considera il passato (come faranno gli enciclopedisti) quale un cumulo di barbarie e di superstizioni da combattere e dimenticare, ma quale la stessa sapienza umana vestita di fatti anche barbari e superstiziosi. Egli non concepisce la natura come un mito benigno dal quale deriva all'uomo tutto i l bene, ma come elemento di conquista e d i creatività dell'uomo stesso; noi diremo come condizionamento all'energia creativa dell'uomo. Vico incontra nell'uomo storico tutto l'universo conoscibile e perciò conquistabile, e solo.partendo da questo arriva alla sua natura, alle sue leggi, alla sua destinazione e trascendenza. Da questo centro focale egli emana fasci d i luce su tutto il moto del pensiero della sua epoca, sulla storia, sulla filologia, sul diritto naturale, sul problema della religione naturale e della rivelazione, sull'etica e sulla politica. Non sempre h a fasci di luce; vi sono tanto nel suo pensiero quanto nel suo stile delle opacità che lasciano perplessi e delle lacune incolmate. I n politica Vico è portato a non urtare i l regime del suo tempo e a indulgere un poco all'adulazione, che nel periodo d i Carlo 111 d i Barbone rispondeva ad uno stato di euforia nazionale e paternalista del nuovo regno autonomo delle due Sicilie. Ciò nonostante egli non lascia d'impostare il problema delle libertà civili e dei regimi democratici, rifacendosi alla Grecia e a Roma. Nel complesso, la speculazione di Vico prestava un potente ausilio a superare vigorosamente I'astrattismo razionalista di Cartesio, i l naturalismo sentimentale di Rousseau e tutta la corrente antistorica dell'illuminismo enciclopedico; a patto però di lasciare da parte l'arido scolasticismo formalista e aristotelizzante e sviluppare una robusta filosofia storica platonizzante e rinnovare i vecchi strumenti delle scienze giuridiche e politiche. Per tutto ciò occorreva non solo tempo per maturare, ma simpatia; il campo degli studiosi cattolici italiani era troppo retorico, avviato verso un'apologetica verbosa e tenuto fermo
dalla paura che, lasciando le posizioni tradizionali della cultura generale, si potesse cadere in errori teologici. Onde, non solo non fu fatto buon viso all'apparire della Scienza nuova (1725) tranne con qualche superficiale elogio; ma coloro che teniarono d i combatterla furono ecclesiastici di una certa levatura, e proprio dal punto d i vista della tradizione cattolica. Bisogna aggiungere che in quel periodo non sarebbe bastata una filosofia, sia pure quella di Vico, a bene orientare il pensiero dei cattolici; occorreva lo spirito audace di riforme pratiche in tutti i campi. I1 clero ne aveva paura trovandosi sotto la pressione del giurisdizionalismo giansenista e del riformismo illuminista ; esso era così legato a tutto il mondo del passato, sotto il segno della controriforma, da avere quasi perduto l'iniziativa adatta ai crescenti bisogni della vita culturale e politica di allora. I movimenti spirituali che controbilanciavano le correnti naturaliste si limitavano, in Italia, al campo dell'istruzione e della pietà popolare, per ravvivare lo spirito religioso delle campagne, all'assistenza caritativa e all'educazione della gioventù. Fra gli apostoli e i santi ch'ebbero in Italia grande influenza sono da ricordare san Giovanbattista de' Rossi (1698-17641, detto il Vincenzo de' Paoli d i Roma ;san Leonardo da Porto Maurizio francescano (1677-1751), predicatore delle missioni popolari; san Paolo della Croce (1706-1773), fondatore della congregazione dei Passionisti, ch'ebbe rapida diffusione e grande considerazione nel popolo. Su tutti emerge sant'tllfonso de' Liguori napoletano (1696-1787) come teologo, apostolo e fondatore dei Redentoristi. Egli diede un'impostazione definitiva al problema del probabilismo, risollevò la casuistica dal discredito in cui era caduta, e combattè il rigorismo giansenisteggiante che si era diffuso presso il clero meridionale. Difatti il giansenismo in Italia, se fu un fenomeno tardivo e importato, trovò un certo rigorismo allo stato latente e se ne fece il punto di appoggio; I dibattiti sulla grazia restavano nel campo dei teologi (non tutto il clero era fatto d i teologi), ma il rigorismo trovava motivi di svilupparsi nel vedere il contrasto tra i giansenisti rigorosi e certi abati letterati e cicisbei, monsignori d i curia ambiziosi e mondani, un'aristocrazia rilassata e inerte (quale la satireggiò Parini nel Giorno), in una società
senza slanci generosi. Però il giansenismo italiano, quello che scriveva e si agitava, era un movimento riformista, giurisdizionalista e anti-romano, rappresentato specialmente dal vescovo d ì Pistoia Scipione de' Ricci (1741.1810) e dall'abate Pietro Tamburini di Pavia (1737-1827). Non in questa direzione poteva svilupparsi il pensiero italiane dell'epoca, ma sotto l'influsso dell'enciclopedismo francese ;Montesquieu, Voltaire e Rousseau erano molto letti dalla gente colta e dagli studiosi. I1 marchese Cesare Beccaria (1738-94) sentì forte l'influsso delle Lettres persanes: egli, insieme con i fratelli Pietro e Alessandro Verri, pubblicava a Milano il Cagè, giornale che propugnava le riforme civili e diffondeva le nuove idee. Come protettore dei carcerati, egli, a contatto con l'ingranaggio della giustizia criminale, ideò il lavoro: Dei delitti e delle pene (1764) ch'ebbe u n successo straordinario. I n poco tempo le edizioni si susseguirono: tradotto i n francese fu stampato tre volte in due anni (1764-1766) ; Voltaire ne fece un commento. La traduzione inglese fu pubblicata nel 1768. I1 lavoro è principalmente una forte critica contro i sistemi criminali per l'insufficienza e incertezza delle prove, l'abuso della tortura, la barbarie delle pene e soprattutto la pena d i morte irragionevole e inutile. I1 principio su cui Beccaria basò il suo lavoro era essenzialmente naturalista, cioè che il contratto sociale è basato sul fine d i arrivare al massimo d i felicità divisa per il maggior numero d i uomini. La pena d i morte veniva combattuta sulla base del principio che nessun uomo, nel contratto sociale, avrebbe concesso ad altri uomini, sia pure quali rappresentanti di tutti i contraenti, la facoltà di togliergli la vita per punizione, perchè contraddice alla natura stessa del contratto sociale, che è u la somma d i minime porzioni della privata libertà di ciascuno D. Ma se ciò corrispondeva allo spirito del secolo XVIII, la sostanza etica del libro era superiore alla sua formulazione e perciò rimase come punto d i partenza del diritto penale moderno d i tutti i paesi. Se la pena di morte, della quale fino allora si abusava, fu ristretta a casi eccezionali o fu abolita del tutto, benchè a gran distanza dall'anno 1764, si deve a questo primo grido umano e illuminato. L'orientamento naturalista e riformista non fu in Italia molto
diffuso; ma coloro che si sollevavano dalla comune mediocrità, ne divenivano esponenti ed esercitavano una indiscussa influenza, come Filangeri e Romagnosi. Coloro che fecero ridestare dal sonno alla poesia gli italiani, l'abate Parini e Vittorio Alfieri, con la satira l'uno e l'altro, e il secondo con le sue tragedie, fecero sentire sentimenti umani, il disgusto della servilità morale e dell'asservimento politico e la necessità di riforme etiche e sociali. In fondo, un vecchio stoicismo italico si univa al naturalismo dell'epoca e l'allontanamento dalle fonti cristiane mostrava la profondità del distacco che si operava in Italia fra l'elemento colto e le masse popolari.
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43. A far fronte a un movimento di pensiero e a una propaganda larga e continua contro il cristianesimo (assimilato, e per errore e per partito preso, con le posizioni politiche tradi-. zionaliste, autoritarie e antiriformiste), i cleri invocavano l'intervento secolare per l'esecuzione delle leggi proibitive ; e molte volte non mancava, là dove la violazione delle leggi era troppo aperta, o si temeva che le nuove idee scuotessero il trono, e quando l'influenza ecclesiastica o il tornaconto del potere secolare ad avere con sè il clero, creava un legame più stretto fra i due poteri. Altre volte avveniva il contrario; i reclami del clero restavano senza effetto; anzi i governi sembravano alleati a coloro che più sottilmente combattevano la chiesa e i dogmi, Lo stato non è un'astrazione, ma una risultante delle forze concrete della società; lo stato, nonostante il nome, non è statico ma dinamico; si muove come si muovono le correnti d'idee, d i sentimenti e d'interessi nel paese; perciò l'oscillazione che notiamo, nel conflitto culturale religioso e riformistico del secolo XVIII, era dovuta a l fluttuare dei venti tempestosi che si sprigionavano dalle due concezioni, la tradizionale e la naturalista; l'una a sostenere le posizioni sociali acquisite e a immedesimarsi in esse; l'altra a scalzare tali posizioni cercando d i svalutare il cristianesimo stesso. Come aumentava la disaffezione p e r la chiesa, specialmente nei paesi cattolici, aumentava il risentimento contro l'esercizio dei diritti ecclesiastici e dei metodi autoritari, e quindi il desiderio d i porvi dei limiti e dei freni, e di eliminare quei diritti che erano in contrasto con le proposte d i
riforme civili, economiche e culturali. I1 riformismo era concepito come il toccasana d i tutti i mali. Non a i può disconvenire che d i riforme c'era veramente bisogno; coloro che vi si opponevano, in nome dello staticismo sociale, facevano una dannosa confusione fra quello ch'era veramente cristiano e quelio ch'era sovrastruttura storica da rinnovarsi o eliminarsi. In quel periodo tutti i re, anche i meno intelligenti, erano dei riformatori più o meno intinti d'illuminismo. I più famosi resteranno Federico il Grande d i Prussia (1712-1786) e Giuseppe I1 d'Austria (1741-90) detto dai curialisti r e sagrestano. Anche Ferdinando VI di Spagna passava per principe illuminista, ed ebbe urti con la stessa inquisizione della quale egli era il capo politico; dopo di lui Carlo I11 che gli successe; e perfino Carlo IV, piuttosto despota e imbecille; Luigi XVI, certo malgré lui, spintovi dagli eventi e anche dalla regina Maria Antonietta che veniva piena delle idee della corte di Vienna, dovette iniziare il suo regno con delle riforme; cominciò col ridare vita ai parlamenti che il suo avo nel 1771 aveva sciolto. I1 nuovo ministro Turgot portò avanti le riforme economiche e finanziarie, destando il malcontento di molti, finchè egli e Malesherbes furono mandati via. I n Austria Maria Teresa aveva cominciato le grandi riforme che preludiavano la trasformazione del regime feudale in uno stato amministrativo e di diritto pubblico. Seguì Giuseppe I1 suo figlio, che prima co-regnante e poi imperatore, rivolse ogni sua attività a rinnovare la macchina statale e a orientarla secondo le teorie prevalenti nella finanza, nell'economia, nell'amministrazione e nel diritto civile e penale. Abbiamo sopra accennato al suo rigido, invadente ed eccessivo giudisdizionalismo; egli cercava d i porre lo stato al disopra di ogni influsso ecclesiastico e a controllare la chiesa come un ramo della sua amministrazione. La riforma che in Francia, in Austria e i n altri paesi cattolici dipendenti da Vienna, agitò per un certo tempo le diverse correnti, fu la introduzione della tolleranza dei culti, Un secolo prima aveva agitato l'Inghilterra, l'Olanda, l'America del Nord, la Germania, solo nell'interesse delle varie chiese protestanti, con l'esclusione dei cattolici ch'erano sempre rimasti in quei regni o i n condizioni d'inferiorità legale e morale, ovvero in
situazioni già consolidate favorevoli o non secondo i casi. I n Francia la spinta fu data dalla condizione nella quale si trovavano allora i protestanti. Per la dichiarazione di Luigi XV, del maggio 1724, fu stabilito i l principio di presunzione juris et de iure ch'essi dovessero essere riguardati tutti come nuovi convertiti. Per tale fictio legalis, ogni atto di culto protestante doveva essere punito come reato di apostasia; nessuno poteva contrarre matrimonio se non davanti al prete cattolico; le unioni fatte senza i1 rito cattolico erano considerate come concubinato; i figli si registravano come bastardi e dovevano essere battezzati cattolicamente; non si riconosceva a loro vantaggio l'eredità legittima. I pastori protestanti continuavano a benedire le nozze in segreto; tali unioni furono dette mariages d u désert D. Gli effetti morali e civili di tale stato di cose per circa un milione di abitanti erano gravissimi. Oggi fa meraviglia che ministri e vescovi non si siano resi conto del danno sociale che portava la dichiarazione di Luigi XV ; si arrivò a credere di riparare al male aumentando le pene, come si fece col decreto del 1770. Quale bazza per una campagna in nome del diritto naturale! Montesquieu, da pragmatista, si limitava a dire che tali pene sono affatto inutili e inefficaci; egli riteneva savia legge politica che u n governo, nel caso che potesse scegliere fra ammettere o non una nuova religione nel regno, fosse per la negativa; ma se la religione è già stalilita, deve consentirne la tolleranza. Rousseau, al contrario, partendo dal diritto naturale, sosteneva la più completa libertà in materia religiosa. Nella polemica che si destò, molti intervennero pro e contro la tolleranza. Turgot, Voltaire, Marmontel, d'Holbach, Condorcet certo ebbero più effetto che non il vescovo d i Agen e I'abbé de Concirac ed altri d i parte cattolica tradizionale rimasti ignorati. I processi di Calas e Sirven (dei quali abbiamo fatto cenno) servirono a interessare il gran pubblico a1 problema della tolleranza. La questione dei matrimoni per ordine di Luigi XV f u esaminata dal consiglio di stato e da alcuni vescovi, ma senza seguito. I parlamenti, prima d'essere sciolti, nel trattare simili questioni si mostravano piuttosto liberali; il movimento per la tolleranza prese uno slancio maggiore sotto il nuovo regno di Luigi XVI.
Non sarebbero state vinte le ultime incertezze ed esitazioni in Francia se Giuseppe I1 non avesse promulgato la ToleranzPatent dell'ott.obre 1781 per l'Austria e l'altra del successivo novembre per la Transilvania; nonchè l'estensione di tali provvedimenti alle Fiandre e alla Lombardia. Nel maggio 1782 Luigi XVI decretò di cessare d'iscrivere negli atti di nascita come bastardi i figli dei protestanti e finalmente nel novembre 1787 fece promulgare 1'Edict du roi concernant eeux qui ne font pus profession d e la religion catholique, con il quale fu regolata la situazione civile dei protestanti. Nonostante il risentimento sia dei cattolici sia degli stessi protestanti (che non avevano ottenuto quanto speravano) il parlamento di Parigi prima e poi gli altri parlamenti registrarono l'editto; ma già si era alla vigilia della rivoluzione. La patente di tolleranza di Giuseppe I1 era più larga d i quella .di Luigi XVI; nell'Austria molto fu il favore e poca l'opposizione; così anche in Lombardia e negli altri paesi soggetti agli Asburgo, meno che nelle Fiandre, dove l'opposizione fu così forte che Leopoldo (successo a Giuseppe) dovette nel 1792 riti. rare la patente; fu per poco tempo perchè soprawennero i francesi a portarvi la rivoluzione. A Roma si sentiva la tempesta che si approssimava, ma il movimento riformista spesso si confondeva con quello giurisdizionalista, e le questioni morali e sociali che il primo sollevava erano viste in termini .giuridici. Pio VI, di fronte alla doppia azione d i Giuseppe 11, di riforme che toccavano i diritti tradizionali della chiesa e introducevano la tolleranza dei culti, e quella giurisdizionalista di sottoporre al controllo dello stato lo stesso organismo interno della chiesa e la sua attività apostolica e sacramentaria, si decise nel 1782 a fare un viaggio a Vienna per indurre l'imperatore a recedere dalla sua via. I1 poeta Vincenzo Monti celebrò il fatto con il Pellegrino Apostolico: ma il viaggio papale non ebbe serio risultato. I1 movimento di tolleranza nei paesi cattolici non si era sviluppato per concezioni religiose, come in parte avvenne nei paesi protestanti, ma solo per lo sviluppo delle idee giusnaturaliste ;nel decreto di Luigi XVI era detto che la concessione ai non cattolici riguardava u ce que le droit nature1 ne nous permet pus & lui 49 4
- STuazo
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Chiesa e stato
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11.
refuser ».Queste idee erano fermentate nel secolo precedente in Olanda, Inghilterra e Germania, pur mescolate alle teorie religiose, che non mancano nè in Grozio nè in Hobbes nè in Pufendorf; ma nella Francia della fine del secolo XVIII si andava verso la disintegrazione dello stato confessionale e quindi il diritto naturale appariva non un alleato alle chiese cristiane, ma un avversario e u n concorrente. In Austria, invece, prevalendo le correnti giusnaturaliste germaniche e presso il clero le teorie di Febronio e di van Espen, lo stato si manteneva confessionale pur essendo anticuriale. Però, mentre i paesi cattolici concedevano la tolleranza ai loro antichi avversari, i protestanti d'Inghilterra e d'Olanda mantenevano ancora per i cattolici le inabilità civili e religiose. I n Irlanda, la quale solo nel 1782 dopo agitazioni e rivolte arrivò a d ottenere un parlamento proprio (benchè con u n potere esecutivo subordinato a Londra), i cattolici furono esclusi perfino dal voto, che fu loro concesso nel 1793 sotto l'influsso della rivoluzione francese. Solo in Prussia Federico il Grande, fin dall'inizio del suo regno, s'ispirò alle idee illuministiche della completa toileranza verso le religioni. Nel decreto del 15 giugno 1740, con il quale egli autorizzò l'italiano e cattolico Antonio Rumi ad accettare la proprietà lasciatagli da suo fratello in Francoforte sulI'Oder, Federico scriveva che u tutte le religioni sono eguali e buone in quanto coloro che le professano sono persone oneste; e se i turchi o pagani venissero e desiderassero popolare il paese, noi saremmo disposti a fabbricare le loro moschee e templi D. Secondo lui lo stato doveva curare che le varie religioni e sette cc vivessero in pace e lavorassero insieme e in egual misura al bene dello stato D. Ciò egli fece con i cattolici a Berlino nel 1746, permettendo loro di edificare le chiese e dando il terreno necessario; e come abbiamo notato, egli si mostrò benevolo anche con i gesuiti perseguitati. Quando conquistò la Slesia, lasciò che la religione cattolica fosse la prevaiente e concesse la tolleranza ai protestanti. F u però il suo successore Federico Gugiielmo I1 che, ad imitazione d i Giuseppe I1 e di Luigi XVI, con un decreto del 1788 detto Editto religioso di Woellner, regolò la tolleranza in tutti i suoi stati, mettendo le varie religioni cristiane sul terreno dell'eguaglianza, e insieme mantenendo i privilegi delle varie
chiese. A parte ciò, Federico il Grande fu un precursore dello stato moderno; benchè la sua concezione fosse quella di un paternalismo assolutista, pure il suo riformismo precorse quello degli altri stati, sia dal punto di vista amministrativo e giudiziario che da quello religioso e militare. Non ostante le resistenze ovvie della tradizione assolutista e del suo legame con le chiese cristiane, la concezione politica si andava spostando a poco a poco verso un largo costituzionalismo ; e apparivano di già i primi segni delle nuove democrazie. L'influsso del parlamentarismo inglese era stato notevole da quando se ne cominciò a scrivere in Francia e altrove. Benchè non si pensasse a trarne motivo pratico d'imitazione, pure se ne vagheggiava confusamente l'ideale, dal giorno che il diritto divino dei r e non aveva più eco nel pensiero comune, ed era solo lasciato in mano ai giurisdizionalisti come arma utile nei loro dibattiti con la curia di Roma. Nè valeva più l'assolutismo di Hobbes, dal momento che la natura non fu concepita selvaggia e animalesca, ma buona, idilliaca e felice. Avevano più valore la concezione individualista di Locke, quella organica di Thomasio, quella personalista di Pufendorf; solo che ad esse mancava una mira riformistica che andasse al di là delle costruzioni teoriche e toccasse nella pratica i diritti individuali e i limiti del potere. Montesquieu precisò per il primo la divisione dei tre poteri, il legislativo, il giudiziario e l'esecutivo; e per quanto non li abbia armonizzati in un elemento unificatore, che senza invaderli nè confonderli ne fosse sintesi risolutiva, pure egli fece fare un passo enorme sia alla tecnica sia alla caratterizzazione dello stato moderno. Si voleva l'eliminazione dell'arbitrio dal concetto del potere; l'arbitrio è meno nel fare le leggi, perchè il legislatore considera i casi generici, i costumi, gl'interessi della collettività nel suo futuro e ne precisa le norme. Ma altri saranno gli organi che applicheranno le leggi ch'essi non hanno fatto e non possono fare; così divengono ministri della legge, soggetti e non superiori alla legge; l'organo che applicherà le leggi di amministrazione e di polizia, e l'altro, indipendente anch'esso, che pronunzierà giustizia k a i privati e assegnerà le pene ai criminali. La divisione e indipendenza dei tre poteri è la salda base
dello stato di diritto, base che fino allora non si era trovata che idealmente, come un problema metafisico, nello studio dell'origine del potere dal popolo, nella precisazione dei diritti individuali e nella ricerca della natura d i tali diritti. Ma fino a che tali speculazioni non arrivavano a trovare una forma d i concretizzazione, rimanevano come elementi fluttuanti anche nei paesi dove esisteva una tradizione parlamentare. Era necessario non solo temperare l?assolutismo monarchico (allora in Francia o in Austria o in Spagna nessuno pensava ad una repubblica) con una partecipazione al potere da parte di corpi elettivi; ma occorreva creare la logica interiore dello stato di diritto, per il quale la legge fosse sovrana, il diritto venisse rispettato, l'individuo potesse far valere il suo diritto, nessuno potesse assumere un potere arbitrario senza trovare un ostacolo legale. La teoria d i Montesquieu si presentava come una meccanica d i equilibrio sul piano del diritto; perciò doveva sedurre. Si affacciò subito il problema della sintesi dei tre poteri; Montesquieu non arrivò a risolverlo, perchè non risolse il problema della sovranità. I1 monarca non può averla che o da Dio o dal popolo. Una investitura storica non soddisfa; ha una base pragmatistica, ma non teoretica, relativa ma non assoluta. Se la legge è i1 costume e questo, sia pure relativo ai luoghi e ai tempi, è espresso tramite il consenso dei più, si deve arrivare ai più (cioè al popolo) per trovare nella loro volontà il valore della legge; il popolo sovrano sarà la nuova sintesi dello stato di diritto. I1 teorico della sovralxità popolare fu Rousseau ; il potere, tutto il potere indivisibile, inalienabile, permanente è nella somma delle volontà degl'individui; può essere espresso, per decisione comune, dalla maggioranza degl'individui; non può mai essere delegato nè a monarchi nè a parlamenti. I1 Contratto Sociale di Rousseau (1762) fu come un fortissimo colpo dato a un pendolo che arrivò all'estremo opposto prima di ritornare alla sua oscillazione centrale ed equilibrata. L'aspetto tecnico del potere del Contratto Sociale di Rousseau non regge d i fronte all'esperienza, mentre quella di Montesquieu era ideale e pratica allo stesso tempo; ma Rousseau diede una nuova base assoluta che mancava in Montesquieu. La sovranità popolare alla Rousseau presupponeva la natura buona e il libero
contratto fra gli uomini a vivere in società; la volontà collettiva essendo buona e indivisibile non ha limiti a l suo potere ed è per se stessa intrinsecamente etica; essa diviene contrattualmente legale in quanto ciascuno si è obbligato da se stesso attraverso la volontà collettiva. Con questo solido blocco la divisione dei poteri diveniva una questione tecnica, così come tecnica divenne anche quella delegazione dei poteri che, negata nella rigida concezione di Rousseau, fu sentita come mezzo di conciliare i l principio con la pratica attuazione. Gli uomini di chiesa e i cattolici tradizionalisti non si accorsero che con Rousseau ritornava, sia pure deformata e alterata, la vecchia teoria popolare e contrattuale della società, che era stata sostenuta nel medioevo e nella rinascenza, e che certi curialisti nelle polemiche contro i regalisti, sostenitori del diritto divino, ripetevano come semplice metafisica del potere. Essi a!lora e dopo, fino ai nostri giorni, contrastarono alla teoria contrattuale di Rousseau perchè la confusero con le sue premesse teoriche; la natura buona che negava il peccato originale; I'assolutezza della volontà popolare che negava i limiti etici obiettivi; la inalienabilità del potere che negava non solo la delega ma anche la stabilità della sovranità e degli istituti sociali; l'origine del potere nel popolo concepito come antitesi alla derivazione del potere da Dio. La teoria di Rousseau rispondeva alla corrente naturalista del secolo XVIII, alla lotta contro l'assolutismo dei r e e l'autoritarismo della chiesa, contro i vincolismi politici, economici, religiosi e feudali del tempo. I1 punto fermo della lotta e delle riforme si trovava nel popolo, a l quale si dava, non la sovranità originaria alla Hobbes per perderla subito dopo, nè una specie di titolo storico di sovranità originaria, di5cilmente attualizzabile, secondo i teologi della controriforma, ma un potere attuale, permanente e completo. Quando si produceva simile orientamento nella concezione dello stato, la chiesa si trovava legata dal giurisdizionalismo, scossa dalla questione gesuitica, impoverita da uomini di pensiero e d i cultura atti a far fronte alle correnti illuminintiche di tutti i paesi.
PARTE TERZA
LO STATO LAICO E LA CHIESA
DALLA RIVOLUZIONE ALLA SANTA ALLEANZA
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44. Col riconoscimento dell'indipendenza degli Stati Uniti d i America con il trattato di Parigi del 3 settembre 1783, con la costituzione federale del 1787, e finalmente, nel 1789, con la nomina di Giorgio Washington a primo presidente, veniva reintrodotto fra i grandi stati il sistema repubblicano, governo rappresentativo di popolo senza monarca. Dopo la caduta della repubblica romana e l'instaurazione dell'impero con Ottaviano Augusto, il principio monarchico aveva trionfato nel mondo. Le repubbliche medievali furono di carattere cittadino; solo le città marinare assursero a potenza militare e commerciale; Venezia, acquistando in terra ferma e mantenendo u n governo aristocratico e chiuso, per più di sei secoli divenne potenza di primo ordine. Firenze repubblicana ebbe una grandezza eccezionale fra il medioevo e la rinascenza, si da poter superare economicamente e politicamente i più grandi reami del tempo e tenere testa a papi e imperatori; ma la repubblica più volte cadde e risorse, minata sempre da lotte intestine e da guerre esterne. La storia del medioevo e della rinascenza italiana non aveva alcuna presa sull'animo dei borghesi, dei mercanti e degl'intellettuali europei del secolo XVIII; Roma e Grecia valevano di più. Per i popoli d i razza anglo-sassone l'idea di parlamento e di libero cittadino primeggiava sulla tradizione monarchica, che in rapporto alla famiglia degli Hannover, poteva dirsi quasi priva di significato. I coloni americani erano assai lontani dalla Gran Bretagna, amavano i loro metodi e le loro libertà, non tolleravano l'ingerenza di Londra nei propri affari ; durante la
guerra dei sette anni, avevano acquistato coscienza della propria potenzialità militare e politica, che prima d i quell'esperimento non sentiveno di possedere. La rivolta e la guerra d'indipendenza - alla quale diedero appoggio Francia, Spagna e Olanda nemici tradizionali della Gran Bretagna - creò una nuova realtà politica: gli Stati Uniti di America. Verso la fine del secolo XVLII la concezione della monarchia di diritto divino poteva dirsi tramontata; il giusnaturaliamo l'aveva colpita a morte; sussisteva solo come tradizione popolare, come rito religioso, come titolo giuridico. I n Gran Bretagna ii parlamento partecipava alla sovranità monarchica e tale diarchia, se da u n lato aveva mortificato ogni pretesa di diritto divino alla Stuart, aveva dall'altro lato immunizzato la monarchia dalla corrosione del potere. La creazione della repubblica d i oltre l'Atlantico non scosse, perciò, la monarchia britannica, ma diede un colpo fatale all'assolutismo dei sovrani d'Europa. I1 loro diritto era colpito da quello del popolo a crearsi un proprio regime, darsi una costituzione, n ~ m i n a r s iun capo. La dichiarazione d'indipendenza e dei diritti, fatta dal congresso d i Filadelfia nel luglio 1776, precede di tredici anni l a dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittudino fatta dall'assemblea nazionale di Parigi dell'aagosto 1789. Ambedue mettono in evidenza certi principi giusnaturalisti allora diffusi dappertutto, circa la eguaglianza civile e politica degli uomini, e i loro diritti naturali inalienabili, l'indipendenza e libertà originaria, il potere e sovranità diretta o rappresentativa del popolo. L'una e l'altra dichiarazione fecero passare dal piano teoretico delle scuole universitarie e del dibattito fra intellettuali, al piano pratico delle assemblee politiche e della formazione legislativa, quanto in materia era venuto maturando da più di un secolo. Le differenze fra le due dichiarazioni derivano dai presupposti storici che formavano le premesse di quelle formule pressochè astratte e dalle finalità pratiche alle quali si voleva arrivare. I1 congresso americano tendeva alla liberazione di un popolo dalla soggezione ad un altro, creava il primo atto di emancipazione coloniale; l'assemblea francese tendeva ad annullare i diritti feudali e politici della monarchia e delle classi privilegiate (nobiltà e clero) e creava il primo titolo pubblico per
l'emancipazione del terzo stato. I n America si voleva arrivare alla repubblica, solo mezzo per disimpegnarsi dall'Europa. In Francia in quel momento si voleva ridurre la monarchia a semplice organo della nazione. Dal punto di vista religioso, gli americani godevano da quasi un secolo del regime di tolleranza inglese del 1689; solo i cattolici erano stati trattati come cittadini e sudditi di secondo rango e spesso indesiderabili; ma a l momento .della insurrezione la distinzione confessionale veniva superata dal bisogno d i unione nella resistenza e nella lotta. Invece in Francia il problema religioso comprendeva molti altri problemi spirituali, politici ed economici ; fra concezione cristiana - cattolica o protestante e concezione naturalistica e razionalistica, si era formata un'antitesi spirituale e storica che in America non era affatto sentita. Se nella dichiarazione dei diritti dell'uomo non si trova altro che i l tenue riflesso dell'articolo 10: « nessuno deve esser, molestato per le sue opinioni, anche religiose, purchè la manifestazione di esse non turbi l'ordine pubblico stabilito dalle leggi »: pure, fra poco, insieme a quello monarchico, il problema religioso diverrà il più importante per la rivoluzione francese. Dietro la monarchia c'erano i privilegi feudali, dietro il clero c'era la proprietà di manomorta; dietro l'uno e l'altro c'era il sistema autoritario e intollerante; perciò presto la rivoluzione francese divenne antimonarchica e anticattolica. I n ogni rivoluzione la parte che la promuove s'identifica con la nazione; il terzo stato, trattato dagli altri due come parente povero, per una serie di piccoli eventi, che divennero significativi per lo spirito di riforme che soffiava da tutte le parti e per il fermento delle masse popolari, arrivò a togliere ogni iniziativa alla nobiltà e al clero, come stati, e a parlare a nome della nazione. I n un primo momento la borghesia aiutata dal clero parrocchiale pose in minoranza la nobiltà e l'alto clero, pose in iscacco la monarchia e acquistò autorità sulle folle tumultuanti. Successo politico che valse a creare l'ambiente adatto per l'abolizione, con o senza riscatto secondo i casi, delle Eeudalità, l'abolizione delle decime ecclesiastiche prima dichiarate riscattabili e poi senza indennità; poco dopo I'indemaniamento d i tutti i beni della chiesa d i Francia con la formula ch'essi veP
nivano posti u à la disposition de la nation 1). In compenso furono messe a carico del bilancio dello stato le spese di culto. Con la vendita dei beni del clero e della corona e con lo sviluppo delle terre soggette a feudalità fu formata una massa di proprietari fondiari legati per un interesse stabile e permanente alla rivoluzione e ai regimi da essa prodotti. La nuova classe liberale era creata, rafforzando allo stesso tempo i vecchi elementi della borghesia mercantile e dando la spinta allo sviluppo industriale. Era necessario legare al nuovo regime anche il clero, che pur avendone votato le leggi non era sicuro, sia perchè diviso da varie correnti, sia perchè, nel fondo, monarchico e reazionario. La sospensione dei voti solenni aveva resi liberi quei religiosi che volevano secolarizzarsi ( e non furono pochi); gli altri furono riuniti in un certo numero di conventi per lasciare liberi gli edifici da mettersi in vendita. I1 clero non resisteva a questa ondata che alterava le leggi tradizionali della chiesa, portato com'era dalla pressione rivoluzionaria e dal sentimento nazionale; non pensava neppure che la Santa Sede avesse diritto a interloquire in merito, date le teorie gallicane tuttora vigenti. La popolazione non vedeva in quei provvedimenti alcun carattere antireligioso; nobili e clero si fecero compratori dei beni della chiesa senza alcuno scrupolo d i coscienza. Alle leggi sugli ordini religiosi non fecero seria resistenza i rappresentanti ecclesiastici, anche per una celata antipatia del clero secolare verso il regolare. La soppressione dei beni della chiesa ebbe l'effet~o politico d i togliere ogni ragion d'essere allo stato » del clero, come l'abolizione delle feudalità lo toglieva allo « stato » della nobiltà. La rivoluzione di classe era già avvenuta. Caduta la posizione politica, restava quella ecclesiastica nei rapporti con la « nazione »: da un lato il bilancio di culto, dall'altro un clero di stato. L'idea rientrava nei criteri della chiesa gallicana; un passo logico per quei legisti che mettevano la totalità dei poteri nello stato, non per coloro che professavano l'universalità nella chiesa. Prevalsero da un lato la corrente giansenista, che ancora niltriva risentimenti contro Roma per la non dimenticata bolla Unigenitus, e dall'altro gli eredi degli enciclopedisii che si esprimevano come Mirabeau: Il faut décatholiciser la France. I vescovi, messi in condizione d'inferiorità, nulla po-
tevano contro quel Comité Ecclésiastique dell'assemblea che fu incaricato di preparare la « nouvelle charte d u clergé ».Per tale costituzione civile del clero (luglio-novembre 1790), non solo furono ridotte di autorità, senza il consenso del papa, le diocesi in modo che corrispondessero ai dipartimenti civili - a l doppio scopo di accentramento amministrativo e d i economia d i spese - ma le elezioni dei vescovi e dei curati, per rispondere a l nuovo sistema, vennero stabilite come quelle dei deputati e dei funzionari (decreto del dicembre 1789); sicchè si arrivò all'assurdo che elettori dei vescovi cattolici fossero anche protestanti e giudei. I1 vescovo eletto, se non fosse stato ricevuto dal me~ropolitae dagli altri vescovi della provincia perchè non giudicato idoneo, aveva i1 diritto di ricorrere ad abusu a l tribunale del dipartimento, che giudicava sui motivi del rifiuto. Sottoponendo l'alto clero all'elettorato lo si distaccava dalla monarchia e dalla nobiltà; mettendolo sotto il controllo dello stato lo si separava da Roma; si consentiva solo di comunicare la nomina avuta al papa K come capo visibile della chiesa universale in testimonianza della unità della fede ». I vescovi da principio si rifiutarono di discutere il progetto e proposero l a convocazione di u n concilio nazionale. Rigettata questa proposta, i pareri rimasero divisi. I1 re, preso consiglio dagli stessi vescovi, firmò il decreto dell'assemblea e pregò il papa di non condannarlo; anche il nunzio papale fu del parere del re. Ma presso i vescovi stessi deputati all'assemblea costituente prevalse la tesi opposta; trenta di essi nell'ottobre 1790 pubblicarono una Exposition des principes sur la constitution d u clergé, alla quale aderirono tutti gli altri, meno quattro, denunziando i punti contrari alla dottrina cattolica. A questo atto l'assemblea risponde con il fare obbligo agli ecclesiastici reputati funzionari dello stato d i giurare fede alla costituzione. I1 r e esita, ma finisce per fumare il nuovo decreto. I1 clero tosto si divide in jureurs e insermentés. Nel marzo 1791 Pio V I condanna la costituzione civile del clero dichiarandola scismatica ed eretica e fa obbligo ai jureurs di ritrattarsi entro quaranta giorni sotto pena di sospensione a divinis. I1 clero ortodosso si stringe al papa. I1 clero costituzionale allo stato; la chiesa ufficiale di Francia, dall'aprile 1791 al concordato napoleonico,
per dieci anni, fu unicialmente scismatica. Ma la maggior parte del clero rimase nel170rtodossia, prendendo la via dell'esilio, nascondendosi, assistendo i fedeli con mille pericoli, affrontando la prigione e la morte a migliaia. La fase persecutrice della rivoluzione francese, per esser compresa, va messa nel quadro degli avvenimenti. Non è qui il caso di accennarli, tanto sono noti. I1 timore di u n ritorno a l passato e di perdere quindi i benefizi della abolizione delle feudalità e delle decime, della liquidazione dei beni della chiesa, legò la borghesia e parte della nobiltà di campagna alla rivoluzione. I1 timore era reso più vivo dalle voci che circolavano, di una offensiva armata dei nobili fuggiti presso le corti estere per restaurare l'ordine; tali voci avevano la parvenza di essere vere, sia per l'opposizione dei principi tedeschi possessori dei diritti feudali di Alsazia che, basati sul trattato di Ryswick, domandavano l'intervento dei garanti Austria, Russia e Svezia; sia perchè Luigi XVI si era rivolto a Vienna, e più ancora l a regina Maria Antonietta non cessava d'invocare l'aiuto del fratello imperatore. Oggi gli storici possono mettere a posto i fatti e, fino a u n certo punto, attribuirvi il loro vero valore; ma nell'ambiente arroventato della rivoluzione, fra i sospetti, le ambizioni, le ire e gli odi, era, se non impossibile, assai difficile discernere il vero dal falso. La condanna del papa unita alla questione del contado di Venaissin e Avignone, la resistenza del clero al secondo giuramento imposto a tutti, i rifiuti del re a firmare nuove leggi, si univano ai tentativi di alleare le potenze contro la Francia rivoluzionaria e domarla con le armi. Intanto tutti manovravano perchè una guerra scoppiasse, pensando, ciascuno a suo modo, che la guerra avrebbe portato la soluzione dei nodi che la rivoluzione aveva così inesorabilmente intrecciati alla corte, agli emigrati, ai partiti e agli uomini che vi si agitavano. Anche una parte del clero pensava alla guerra come alla salvezza; per essi la salvezza era il ritorno al passato. Nonostante le false manovre della corte e quelle degli emigrati, la guerra non sarebbe scoppiata se non l'avessero voluta ' i rivoluzionari d i Parigi o se non fosse morto il prudente imperatore Leopoldo di Asburgo. All'ultimatum della Francia del
marzo 1792 rispose Vienna molto fermamente (era allora saiito al trono il giovane Francesco 11): reintegrare i principi imperiali nei loro diritti in Alsazia, dare soddisfazione al papa per l'occupazione di Avignone, riordinare il governo per evitare i pericoli di disordine negli stati vicini. Luigi XVI il 20 aprile propose la guerra a117Austria; la folla è in delirio, solo sette deputati ebbero la fermezza di votare contro. Ma la guerra degli alleati - Austria, Prussia e Piemonte - era resa difficile sia dalla mancanza di veri obiettivi politici, sia dall'intrigo di Caterina di Russia e d i Federico Guglielmo di Prussia riguardo la Polonia, intrigo che Vienna voleva sventare senza riuscirvi. Così la E'rancia ebbe tempo di riorganizzare alla meglio i suoi eserciti, di mettere in chiaro la trama della corte e dei nobili che si nascondeva dietro la cortina della guerra. Ciò spinse la monarchia verso la rovina e il paese verso il Terrore. Così sorse la repubblica francese, storicamente la prima repubblica. La parola repubblica non era intesa allora esattamente come governo di popolo senza re, ma piutiosto come governo misto, indipendentemente dalla forma di governo, con la pariecipazione dei vari ordini cittadini. Jean Bodin aveva scritto verso la fine del secolo XVI il suo « Libri sex de republica D. I rivoluzionari per essere chiari non dicevano di volere stabilire la repubblica; nessuno degli oratori della convenzione del 21 settembre 1792 pronunciò tale parola; essi domandavano «l'abolizione della monarchia n, dicevano di volere «: la nazione sema re », ovvero « la nazione sovrana D. La parola repubblica fu imposta dal popolo che vuole idee chiare e formule nette. Con l'abolizione della monarchia decretata dalla conveuzione, sorse in Europa la nuova forma di governo repubblicana popolare, alla vigilia della caduta di Venezia, che rappresentava allora la senile repubblica aristocratica, oramai senza forza, nè ideali, nè vita.
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45. L'esperienza della rivoluzione francese, circa i problemi dello stato, della chiesa e della loro interferenza, può riguardarsi in senso ristretto al periodo rivoluzionario, in senso lato all'epoca moderna fino ai nostri giorni. I1 primo aspetto c'interessa solo per precisare i motivi che vennero ad inserirsi nel processo stori-
co e metterne in evidenza la connessione con il passato. Come l'umanesimo non fu il distacco dal medioevo, ma il suo storico sbocco, così la rivoluzione più che il distacco fu lo sbocco storico dell'ancien régime. Tutti convengono che l'accumularsi di crisi economiche, dovute alla enorme sperequazione dei beni, ai vincoli dei commerci, alla estensione della manomorta, alla pressione delle feudalità ancora rimaste, alle continue guerre, avevano acuito la sensibilità delle crisi morali e politiche. I1 razionalismo o il giusnaturalismo avevano posto una nuova base alla concezione morale della vita e a quella politica dello stato. I1 cattolicesimo si trovava minato dal giansenismo come sistema dogmatico-etico, dal gallicanesimo come disciplina gerarchica, dal giurisdizionalismo come sistema giuridico. La rivoluzione coine turbine ruppe il fragile equilibrio della vecchia struttura sociale: dallo sconvolgimento degli ordini stabili, delle economie assicurate, delle teorie tradizionali, emersero alcuni elementi che, negati in linea di principio o di fatto, sopravvissero alle ingiustizie, alle rivolte, alle guerre, alle stragi, agli orrori di un decennio inaudito. La chiesa passò per tre stadi: quello dei culti ufficiali (17891795), quello della separazione (1795-1801), quello del concordato (1801-1814); in tutti i tre stadi vi furono persecuzioni contro il clero refrattario o non patriota o non imperiale; in tuizi i tre stadi i papi ehbero la loro parte: occupazione di Avignone e di Roma, prigionia di Pio VI a Valenza, di Pio VI1 a Savona. Lo scisma non era una novità per la chiesa, non lo era la persecuzione al clero, non l'occupazione di Avignone e di Roma, non l'esilio o la prigionia dei papi; neppure l'affermazione d i una chiesa nazionale e i decreti sulla costituzione del clero, i quali erano nella tradizione gallicana dalla prammatica sanzione di Bourges in poi. Quel ch'era nuovo per la chiesa era la laicizzazione del potere statale. Il giusnaturalismo aveva separato, in principio, l'idea d i stato dall'idea di chiesa; il giurisdizionalismo li manteneva uniti, stato e chiesa, in una monarchia tradizionale di carattere sacro. La rivoluzione prima riduce il re a funzionario della nazione, poi io elimina; viene a mancare quel u vescovo foraneo » della chiesa, che segnava il ponte fra il potere spirituale e il potere
secolare. Tutti quei diritti ecclesiastici delle monarchie cattoliche, sia che fossero privilegi accordati dalla chiesa, come ritenevano i curialisti, sia che fossero originari del potere regio, come sostenevano i regalisti, non potevano essere riconosciuti ad un'assemblea popolare volubile e faziosa, dove il credente e il non credente, il cattolico, il protestante e l'ebreo avevano gli stessi diritti; dove spesso il miscredente, l'uomo di passione e di sangue, quali un Danton, un Robespierre, prevalevano su tutti gli altri. Dall'altro lato, quelle assemblee, fatte e disfatte sotto la pressione del moto rivoluzionario, avevano tutte come base l a concezione egualitaria naturale; niente privilegi, solo diritti e aventi tutti origine dal popolo e dalla sua volontà interprete della natura. I1 trionfo pratico della teoria della sovranità popolare e la caduta della monarchia portavano le basi dello stato sopra u n nuovo piano; la laicizzazione del potere politico era inerente alla nuova concezione dello stato, e si sarebbe affermata anche se la persecuzione e le stragi fossero state evitate. Ciò non significava che il popolo francese pensasse di staccarsi dalia religione cristiana, nè che gli stessi capeggiatori della rivoluzione intendessero creare uno stato senza religione. Si cercava una sistemazione religiosa conforme alla nuova concezione dello stato. Questa sistemazione fu concretizzata nella costituzione civile del clero, la quale non potè divenire definitiva per la condanna del papa e la lotta del clero refrattario. I due episodi del culto della dea ragione e del culto dell'ente supremo, miranti a sostituire il culto cristiano nel posto che esso aveva d i culto ufficiale della nazione, furono storicamente efhmeri e s'inquadrano nella lotta contro il cattolicesimo romano che resisteva. Essi non ebbero altro significato che quello di ricerca di un segno religioso che potesse rappresentare in momenti di passione la novità di uno stato politico basato sulla natura. La dea ragione e l'ente supremo furono il segno della laicizzazione del potere; i segni caddero subito. ma la laicizzazione rimase, perchè aderente alla logica della nuova esperienza. Le fasi successive della lotta tra stato e chiesa, prima la separazione poi i l concordato, ne confermarono l'avvento. La separazione dal 1793 a l 1801 h un espediente; caduti nel vuoto i
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Chiesa e stato
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culti surrogati, resa difficile per la resistenza passiva dei fedeli la posizione del clero giurato, si cercava di uscire da un punto morto, e la separazione sembrava la via adatta. Non lo fu; le misure protettive del clero giurato e le persecuzioni contro gli awersari segnano subito un ritorno all'ingerenza dello stato, che, i n così grandi difficoltà, trovava difficile tener testa alla continua recrudescenza di questioni religiose. Man mano che gli avvenimenti portavano verso il direttorio, sì da dare I'impressione di esservi una mano ferma al timone della cosa pubblica, prende figura l'idea di un concordato. Ma un concordato con chi? Non piu con la nazionalità cattolica D, come quelli del 1418 fatti da Martino V, non più con il « sovrano cattolico u come quello fra Leone X e Francesco I d i Francia. La laicizzazione del potere sovrano portava con sè la cessazione dello stato confessionale pur rimanendo, in confronto alla chiesa cattolica, stato giurisdizionalista. Questa è la seconda novità, che deriva dalla rivoluzione francese nei rapporti fra chiesa e stato. Abbiamo accennato più sopra alla seconda fase giurisdizionalista che nel secolo XVIII portava lo stato verso il disimpegno dello stato dalla chiesa, pur accentuandone il controlio. Il disimpegno si operava sotto due aspetti; quello della tolleranza dei culti, pur mantenendo una religione di stato, e quello della laicità delle riforme legislative. La rivoluzione (dopo i tentativi dei culti ufficiali) fece un passo avanti; abolì la religione di stato e i residui della legislazione canonica, formando il proprio codice civile. Ma se cadde lo stato confessionale, il giurisdizionalismo sopravvisse come ingerenza e controllo del potere laico nella chiesa, sotto l'aspetto di polizia statale. Dal punto di vista della chiesa cattolica, la rivoluzione ebbe due grandi effetti. Primo, la liquidazione del gallicanismo legato alla monarchia e all'amien régime; cadute le impalcature degli stati e la base economica della proprietà ecclesiastica, non restava che la concezione episcopalista della chiesa. Ma questa (e fu il secondo effetto) ebbe un grave colpo, sia dal fatto che i vescovi si unirono al papa per difendere la chiesa di Francia durante le persecuzioni rivoluzionarie e lo scisma del clero giurato, sia in seguito per la necessità di stipulare un concordato fra Parigi e Roma. I1 colpo più grave all'episcopalismo gallicano fu dato
d a Pio VI1 quando in esecuzione deleoncordato obbligò i vescovi legittimi a dimettersi, e in caso d i rifiuto li ritenne deposti d i ufficio. La teoria episcopalista perdeva la sua base. Gallicanismo ed episcopalismo dureranno ancora in Francia, ma come elementi incoerenti di teorie sorpassate, mentre si svilupperà, da oggi in poi, l'ultramontanismo e il papalismo. Alle nostre affermazioni si potrebbero opporre vari passi del concordato, ma la lettera conta poco quando lo spirito non c'è più. La frase del preambolo che a le gouvernement de la République francaise reconnait que la religion catholique apostolique et romaine est la religion de la grande majorité des franpais » giustifica il concordato, ma non ristabilisce la religione d i stato. L'altra Gase del preambolo che la religione cattolica attende il più gran bene dal ristabilimento del culto (C et de la profession particulière p ' e n font les consuls de la République », non significa che il potere dei consoli non fosse un potere laico, solo perchè il papa riconobbe che gli attuali consoli erano cattolici (come lo erano certamente per il battesimo), tanto che lo stesso concordato all'articolo 17 prevede il caso di u n primo console non cattolico. Dall'altro lato, non è a credere che la chiesa gallicana fosse stata ripristinata perchè all'articolo 4 è detto che l'istituzione canonica dei vescovi sarebbe fatta C( suivant les formes établies par rapport à la France avant l e changement de gouvernement D. Tutta la base strutturale dello stato era cambiata e la Santa Sede coll'articolo 13 del concordato prestava acquiescenza alla abolizione della proprietà ecclesiastica, impegnandosi a non turbare la coscienza degli acquirenti e loro aventi causa. Vescovi, parroci, preti cessarono di essere un ordine economico-politico per divenire funzionari dello stato, pagati sul bilancio pubblico, soggetti alla disciplina del nuovo sistema; il sistema divenne duro sotto Napoleone. Per controbilanciare l'ingerenza dell'amministrazione e della polizia non restava che appoggiarsi a Roma attraverso la cui i d u e n z a riacquistare la personalità perduta. Gli altri vescovi e preti che, memori della vecchia monarchia o ancora imbevuti di gallicanismo, si asservirono al dominatore, ne subirono tutte le umiliazioni. I1 concordato napoleonico fu il primo d i tipo moderno fra
Roma e uno stato laicizzato, fatto su una base giurisdizionale in forma contrattuale. Era naturale che il papa pensasse ( e molti con lui) che quello costituiva il primo passo per il ritorno al sistema antico; il tentativo della restaurazione vi diede una certa conferma, per quanto illusoria. Le concessioni fatte da Pio a Napoleone e le disposizioni strappategli a forza e con l'inganno, mostrarono invece come nessun'altra idea che la politica aveva mosso a stipulare e attuare quel concordato. Gli articoli organici annessivi furono fatti per ristabilire i diritti dei re assoluti sulla chiesa gallicana; quali (fra i più noti) la verificazione n degli atti della Santa Sede e dei decreti dei concili; l'interdizione ai vescovi di riunirsi in concili o d i uscire dalle diocesi anche per recarsi a Roma senza l'autorizzazione governativa; il ripristino del ricorso ab abusu la cui decisione spettava al consiglio di stato; l'obbligo ai professori di seminario di sottoscrivere la dichiarazione dei quattro articoli gallicani del 1682 e simili; una rinascita del gallicanismo fuori stagione. Pio VI1 prima protestò contro la doppiezza del Bonaparte, poi cercò le vie diplomatiche ; nulla ottenne. Divenuto imperatore, Napoleone volle servirsi della chiesa per consolidare il suo potere personale, usando delle promesse e delle intimidazioni. Temendo che sotto il nome di Pères de lu Foi si nascondessero i padri della disciolta compagnia di Gesù, ne decretò l'interdizione, e così di ogni altra associazione religiosa non autorizzata; le formalità processuali criminali vi diedero il carattere di associazioni illecite. Intanto egli cercava di attirare i1 papa a Parigi. Far di lui uno strumento del suo impero e avere d i fronte alle corti e alle popolazioni europee l'appoggio morale della prima autorità religiosa del mondo, anche per Napoleone non era un'idea da disprezzare. Pio VII, dopo molte esitazioni, accettò di recarsi a Parigi nella speranza di ottenere il ritiro o la modifica sia degli articoli orgnnici, sia del decreto contro le congregazioni e del divorzio ammesso nel codice civile; ma nulla ottenne. Fatta l'incoronazione deil'imperatore, a Notre Dame, egli stesso a gran pena potè partire da Parigi dopo cinque mesi d i soggiorno che potrebbero dirsi di larvata prigionia. I1 controllo governativo sulla chiesa di Francia e degli altri paesi annessi all'impero si fa sempre più forte, e arriva a una persecu-
zione misurata e legalizzata, e al tempo stesso alla manomissione delle scuole ecclesiastiche, del clero e delle parrocchie. Nel catechismo ufficiale per i cattolici francesi c'è questa domanda: « Que devons-nous a notre Empereur? - Nous devons à Napoleon l'amour, le respect, l'obéissance, le service militaire. Honorer et servir notre Empereur, c'est honorer et servir Dieu lui-méme D. La rottura con la Santa Sede non poteva mancare; avvenne sopra un fatto politico: il blocco antinglese. Pio VI1 rifiutò di eseguire gli ordini che da Monaco di Baviera nel 1806 gli mandava Napoleone nella sua qualità di (C protecteur du Saint-Siege et d7Empereur D. Napoleone, incoronato imperatore dal papa, aveva assunto il titolo carolingio di protettore della Santa Sede; ma a lui mancava la stoffa del cristiano e al suo impero la fede del secolo IX. I l suo poteva dirsi un impero laico-gallicano: Nè da parte sua Pio VII, con il prestarsi all'incoronazione, credeva ricostruire la cristianità e far di Napoleone il Carlomagno del secolo XIX. Quell'impero improvvisato ed effimero (cosa che allora poteva non vedersi) era basato sui principi della rivoluzione già propagati in Europa e resi di attualità con le vittorie francesi. La gloria e la dittatura delle armi crearono a Napoleone un potere personale internazionale ch'egli fece servire a suo vantaggio così come voleva a suo vantaggio il potere della chiesa. Se Pio VI1 si era prestato all'atto religioso dell'incoronazione di chi, secondo le teorie di curia, doveva riguardarsi come l'usurpatore del trono d i Francia e di altri troni, ciò aveva fatto forse per evitare mali maggiori, che si temevano nel caso di rifiuto; e forse anche perchè molti erano allora grati a Napoleone per aver posto fine all'anarchia sanguinosa del dominio delle assemblee e per aver t o l ~ olo scisma conchiudendo il concordato. A distanza di tempo si può dire che Pio VI1 sia stato debole; ma in un periodo in cui i l mondo tremava davanti a Napoleone e i l clero di Francia mostrava di aver perduto il coraggio dei giorni della rivoluzione in una continua adulazione e i n una soggezione completa, le oscillazioni, titubanze, debolezze e scoraggiamenti di Pio VI1 si comprendono. Egli riscattò in parte l'atto d i avere coronato Napoleone sia col resistergli nella que-
stione del blocco anti-inglese, non volendo trascinare la Santa Sede in guerra, e sia, a causa dell'annessione dello stato pontificio all'impero, lanciandogli la scomunica. Napoleone mostrò di farsi beffe della scomunica, fece prigioniero il papa, continuò a vessare la chiesa, e atteggiandosi a capo, a dirigere lui stesso comitati ecclesiastici e concili; ottenere l'annullamento del matrimonio da un tribunale ecclesiastico diocesano, evitando così i l giudizio della Santa Sede; strappare al papa, suo prigioniero, consensi alle sue proposte, ottenere aggiunte a l concordato. Quando comprese che il papa se ne sarebbe pentito e avrebbe ritirato il consenso dato, cose che fece rifiutando la ratifica del nuovo testo, egli lo promulgò e lo pose in vigore di sua autorità. Pio VII, ripresosi dal nuovo atto di debolezza, continuò la sua resistenza, dichiarando nulle le nomine che sarebbero state fatte d a i metropoliti, intrusi i vescovi nominati, scismatici i vescovi consacratori. Gli avvenimenti precipitarono; il papa ritorna nei .suoi stati quando Napoleone abdica a Fontainebleau. Questi avvenimenti storicamente tragici, non sarebbero stati dissimili da altri del medioevo se vi fosse stata la stessa fede e s e l'impero napoleonico avesse avuto solo un poco del carattere religioso del Sacro Romano Impero di altri tempi. Ma questo nuovo impero ( a parte la caducità per mancanza d i solidità d i struttura e d i tradizione) puramente militare e personale, non poteva prendere i caratteri nè dell'impero di Carlomagno nè di quello di Luigi XIV. Napoleone falsò il processo storico creando vertenze ecclesiastiche fuori del tempo e ripristinando teorie che non avevano più un reale significato. Quel che rimase dell'esperienza napoleonica, nei rapporti Era stato e chiesa, fu da una parte la laicizzazione del potere assoluto che faceva seguito a quella del potere democratico - nonostante la parata dell'incoronazione a Notre Dame e altre superficiali manifestazioni religiose che egli stesso svuotava di significato; dall'altra parte la realizzazione di u n concordato che durò quasi un secolo e il sistema di controllo sulla chiesa di un carattere poliziesco ben perfezionato, utile per i nuovi governi laico-giurisdizionalisti del secolo XIX. Alla scomparsa di Napoleone si credette possibile cancellare l a prima repubblica, il direttori0 e l'impero; rimettere tutto a posto: confini statali, privilegi, diritti, situazioni politiche, eco.
nomiche, culturali, religiose; come se dal 1789 al 1815 fossero passati invano venticinque anni da potersi togliere dal processo storico e ricordarsi solo come un sogno pauroso e lungo fra l a vigilia della sera e la nuova alba che si apriva su Waterloo.
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46. Lo stato che veniva formandosi attraverso la cruenta esperienza della rivoluzione e delle guerre napoleoniche non poteva più riportarsi nè all'antico carattere delle monarchie assolute nè a l riformistico della seconda metà del secolo precedente. Nonostante tutto, una nuova democrazia era nata. Non si creda che la democrazia sia uscita bella e fatta dal cervello dei rivoluzionari francesi come Minerva dalla testa di Giove. La democrazia nel concreto è anch'essa esperienza, e i l suo processo continua tuttora; un secolo e mezzo non basta a far cambiare la storia politica di millenni, nei quali le forme democratiche appaiono come rare oasi in un vastissimo deserto. Dopo le repubbliche popolari del medioevo, e sotto certi aspetti dopo Roma repubblicana, la repubblica di Francia può dirsi il primo esperimento d i democrazia; bisogna rifarsi ad Atene per averne qualche termine d i paragone; ma nè Roma e Atene con i loro schiavi ed iloti, nè le repubbliche medievali con la campagna dominata dai castelli e le corporazioni, possono fornirci dei paragoni possibili con quella che fu la prima repubblica francese o quella del19America del nord; solo da queste ha origine I'egperienza delle democrazie contemporanee. La pratica storica avrebbe messo in luce i problemi nascenti delle democrazie e i vari tentativi di soluzione. L'abolizione del passato portava la Francia a sciogliere tutte le forme organiche sociali, che si erano anchilosate e producevano distacchi e vuoti ostacolanti la circolazione della vita nel corpo statale. Ma abbattuti tutti gli ordini, le gilde, ed altri organismi particolari, restavano solo gl'individui di fronte allo stato. La lotta si polarizzò fra i due termini: l'individuo, che volendo divenire onnipotente, trasformò la libertà in licenza; lo stato, che dovendo vincere la disgregazione individualistica, trasformò il suo democratismo in tirannia. Se si potesse guardare quel periodo come un fenomeno fisico-meccanico, si potrebbe dire che la rottura delle vecchie dighe sociali scatenò le forze natu-
rali in contrasto, che lottarono per un equilibrio raggiungibile solo gradualmente. Non si trattava d i un fenomeno fisico; la mente e la volontà umana vi entrarono per assai più che non si creda; ma l'una e l'altra vanno a tentoni nelle nuove esperienze della vita sociale realizzate in mezzo al ribollimento di grandi passioni. Fra stato e individui, mancava l'intermediazione; e poichè non è possibile che la vita sociale si sviluppi senza una progressiva articolazione, così sorsero spontaneamente fazioni, clubs, direttori, partiti - organismi variabili, instabili, sia perchè fondati sulla passionalità delle folle e su situazioni precarie, sia perchè mancanti di fondamenti economici e giuridici quali la proprietà, la corporazione, lo stato sociale. Gli aggruppamenti temporanei e passionali facevano da mediatori fra l'individuo e lo stato; ma poichè mancava una tradizione, tutto veniva creato ex-novo; solo lentamente si poteva formare una coscienza unitaria che legasse i cittadini in una comune aspirazione. Onde la variabilità dei gruppi, la creazione e dissoluzione dei partiti, le difficoltà pratiche da superare portavano a rifare le costitu; zioni, a rinnovare gli uomini rappresentativi, a eliminare anche con la ghigliottina coloro che in u n dato momento sembravano pericolosi per lo stato. L'instabilità portava a riversare sopra i pochi il cumulo dei poteri; così si preparava come sbocco o soluzione delle successive crisi, il direttorio, il consolato e l'impero. I1 primo esperimento di democrazia individualista inorganica doveva fallire nella demagogia e nella tirannide. Ma se fallì la democrazia perchè inorganica, ne rimasero gli elementi sì da fecondare nuove forme, da rifare le esperienze e da vincere le difficoltà pratiche. Il risveglio della coscienza popolare e la proclamazione dei diritti dell'uomo e del cittadino restano alla base di tutti i nuovi regimi statali dei paesi civili; criticati, negati, calpestati, i diritti fondamentali risorgono per,chè ne sopravvive la coscienza di averli e di doverli esercitare. A parte le formule che subiscono I'ilsura della storia e l'adattamento agli avvenimenti, resistono l'idea dell'uguaglianza degl'individui e quella dei diritti politici ritenuti come inerenti alla persona dell'uomo in quanto cittadino. Napoleone non potrebbe spiegarsi se non attraverso queste due idee fondamentali:
l'eguaglianza individuale (codice civile) e i diritti politici (potere di origine popolare) che resistono anche quando egli, in nome delle sue vittorie e del suo genio, trasformò di fatto il suo potere da popolare in personale e da libero in autoritario e poliziesco. Quella fase non fu la negazione del principio del potere di origine popolare e di quello dell'eguaglianza, ma la contropariita degli eccessi e delle degenerazioni della democrazia. Dalle due fasi emergono ora l'idea di nazione ora quella d i stato, come al di fuori e al disopra tanto della volontà collettiva incerta e fluttuante, quanto di una volontà personale geniale ma transeunte. La struttura amministrativa e militare dello stato, che comprende u n tutto spersonalizzato e reso realistico dalla burocrazia di comando e da quella di esecuzione, rispondeva alla necessità di surrogare gli organismi e le gerarchie sociali soppressi, e di provvedere una nuova articolazione alla vita collettiva. Non più eserciti mercenari e professionali, non più guardie reali svizzere o di altra nazionalità; l'esercito è della nazione, l'esercito è la nazione; tutte le persone abili debbono portare le armi, la coscrizione sarà obbligatoria, si formeranno gli eserciti stanziali permanenti. Questa trasformazione non è nè simultanea nè identica in ogni paese; la storia non si fa a colpi di bacchetta magica. Ci sono paesi, come l'Inghilterra e l'America, nei quali fin oggi non è stata introdotta la coscrizione obbligatoria permanente; condizioni geografiche politiche ed economiche non l'hanno resa necessaria, ma tali nazioni non mancano di armate navali e di eserciti coloniali. A parte però le differenze fra paesi e paesi, non è meno vero che la concezione dello stato moderno porta verso l'esercito nazionale e in via generale verso la coscrizione obbligatoria. L'accentramento statale ha due cause: il potere personale e l'individualismo democratico ; il. dominio personale di Richelieu e di Luigi XIV aveva abbattuto la resistenza di principi vassalli, di città indipendenti, di cleri e di corpi autonomi. La rivoluzione e Napoleone compirono i l resto. La Francia da allora in poi divenne lo stato più accentrato che si potesse imma,'amare, non solo amministrativamente, ma politicamente, ecclesiasticamente, culturalmente. Parigi dominò e sopraffece tutte l e altre città. Mancava una polizia accentrata e perfezionata e uno spio-
naggio d i stato: Napoleone vi supplì, e li rese il nesso più effettivo dell'accentramento allo stesso tempo statale e personale. Posto come base sociale l'individuo, distrutti o ridotti a elementi formali tutti i nuclei intermedi, attribuita al popolo l'origine del potere (aia pure un'origine incomoda), non restava che accentrare e controllare la vita statale e sociale, e chiamare il popolo, con plebisciti e con votazioni elettorali, ad esprimere la volontà collettiva, si da dare una specie d i titolo effettivo (per quanto senza valore intrimeco) al potere conquistato o usurpato. Napoleone fece scuola. Entra in questo quadro d i accentramento statale e d i primi tentativi d i nazionalizzazione il controllo della scuola autonoma religiosa e privata. Sotto l'ancien régine nessuno contestava alla chiesa il compito d'istmire e di educare. Gli stati, o meglio le monarchie, cercavano di garantirsi contro l'invadenza del papato prescrivendo le teorie da insegnare riguardo i diritti regalisti ;le università dichiaravano le teorie ufficiali in materia ecclesiastica e proscrivevano le teorie contrarie alla religione e ai buoni costumi. La proibizione data ai gesuiti d i Francia d'insegnare e tenere scuole era un'eccezione, dovuta all'urto con la Sorbona. Con la democrazia non poteva non introdursi l'istriizione obbligatoria. La scuola d i stato ne fu una conseguenza; Napoleone la trasformò i n una scuola per lo stato. L'ordinamento f u basato sull'accentramento. La vecchia Sorbona divenne l'università di stato; sotto di essa tutte le scuole di Francia, perfino le elementari, metodi, programmi, gradi, tutto veace unificato, tutto statizzato, tutto destinato a formare il cittadino soldato e suddito. Lo stato dell'ancien régime era basato sull'etica della religione cristiana e sul diritto canonico, secondo la confessione prevalente e ufficiale. La scuola era perciò i n qualsiasi sistema strettamente confessionale. La concezione del diritto d i natura come autonomo, antecedente e indipendente dalla religione cristiana diede il motivo al distacco culturale; la democratizzaziorie dello stato laicizzato rese effettivo tale distacco con la scuola d i stato; l'autoritarismo napoleonico vi aggiunse la finalità, per lo stato. La chiesa, sotto Napoleone, cercò la collaborazione in una scuola di stato confessionalizzata; collaborazione d i servitu, che continuò sotto la restaurazione. Storicamente, il monopolio
scolastico statale è il punto di partenza di una nuova lotta f r a chiesa e stato per l a rivendicazione della libertà scolastica, lotta che dura ancora e d i cui non si vede la fine. Lo stato o la nazione, alternativamente o congiuntamente,. non potevano basare la propria autonomia e la propria laicità che sopra una filosofia che ne riconosce la realtà; tale dottrina, per conciliarsi con la chiesa, avrebbe dovuto ammettere una dualità; con ciò stesso ne avrebbe attenuata l'autonomia, mentre a l contrario la tendenza del pensiero e della realtà sociale andava verso la nazione concepita monisticamente; della sua potenzialità lo stato sarebbe la realizzazione. La rivoluzione francese concepì la nazione come una volontà comune, una sovranità di popolo, una solidarietà collettiva da contrapporsi alla volontà di pochi (oligarchia), alla sovranità di u n solo (monarchia), alla divisione in stati (gerarchia). Napoleone con tutte le sue vittorie consacrò questa idea nazionale, che gli sopravvisse. Nonostante che vi fossero stati (come ci sono sempre) coloro che volevano monopolizzare l'idea di nazione assimilandola a l proprio gruppo politico, l'idea rimase come a l di fuori e superiore anche allo stato, una specie di ipostasi del popolo collettivamente preso nella sua caratteristica d i gente, razza, lingua, storia. Non solo a proposito della Francia, una politicamente, ma anche della Germania e dell'Italia divise in vari stati indipendenti fra loro, si potè parlare di nazione. Anche a proposito delle popolazioni di razza e di lingua diverse, soggette a poteri stranieri, si parlò d i nazioni dal momento che si andava formando la coscienza della propria personalità nazionale. A poco a poco si svilupparono due sentimenti, che divennero teorie e movimenti politici; quello della nazionalità come personalità propria da rivendicare contro governi stranieri, e quello della nazione come ordinamento politico nel quale il popolo, collettività vivente e una, fosse l'elemento costitutivo e finalistico. F. G. Fichte con le lettere a l popolo tedesco, allora soggiogato e reso impotente da Napoleone, non solo eccitò alla riscossa politica per conquistare la propria indipendenza civile, ma preconixzò nella nazione una vitalità caratteristica, un'unità di pensiero vissuto, quale partecipazione ad un'anima unica, quella del a germanesimo n. Essa veniva concepita come entità pantei-
stica nella quale e per la quale ciascuno esauriva la propria esistenza fenomenica. Fino a Fichte le concezioni correnti quali libertà, eguaglianza, fratellanza, nazione, popolo, parlamento, sovranità, chiesa, stato erano state quelle elaborate dal giusnaturalismo e dall'illuminismo del secolo XVIII. Fichte introduce u n elemento nuovo che dà una sintesi alla volontà collettiva e popolare di Rousseau. Questa, presa come volontà implicita, non avrebbe modo d i essere intesa; presa come volontà esplicita diverrebbe la volontà di un'oligarchia o di un tiranno; Rousseau portò alla convenzione prima, a Napoleone dopo. Fichte invece creò una mistica che diede la base alla nazione come idea-forza di un popolo che doveva ancora trovare la sua unità e attuare la sua unificazione morale e politica; Fichte concepì panteisticamente la nazione che i rivoluzionari francesi avevano concepito razionalisticamente. Le due idee non potevano fondersi, la nazione concepita razionalisticamente s'integrava nel17idea internazionale o umanitaria, mentre la nazione concepita misticamente non aveva ulteriore integrazione che in se stessa. e nella sua esaltazione. La nazione razionalisticamente concepita diveniva un principio attivo di assimilazione interna più che di differenziazione esterna. La politica internazionale doveva essere orientata alla nuova concezione irenica. Le guerre sarebbero state fatte non per la grandezza della dinastia, perchè Ga le nazioni non potranno esservi lotte e guerre che nascano da interessi occulti e da gelosie di case regnanii, nè da spirito di conquista o d i sopraffazione, ma solo dalla difesa della propria integrità. Nel dichiarare la guerra a117Austria, l'assemblea nazionale d i Parigi il 20 aprile 1792 proclama che u conforme alle massime consacrate dalla costituzione, le quali vietano alla Francia l'intraprendere guerre a scopo d i conquista o d i adoperare le proprie forze contro la libertà di alcun popolo, la nazione francese prende l e armi solo per la difesa della sua indipendenza; la guerra in cui è stata costretta non è guerra di nazione a nazione, ma la giusta difesa di u n popolo libero contro l'ingiusta aggressione d i un re D. È vero che questa magnifica etichetta copriva una merce avariata, cioè una guerra provocata dai vari partiti e dalla corte,
per scopi di politica interna; ma è anche vero che la Francia in quella guerra non aveva affatto scopi di conquista, nè tentava di togliere ad altre nazioni la libertà e l'indipendenza; sotto certi aspetti tutelava la propria indipendenza. A parte ciò, in dati momenti storici, le parole significano assai più d i quel che valgono gli uomini che le pronunziano, anzi assumono un carattere oggettivo che supera le intenzioni per le quali furono pronunziate. Possono paragonarsi alla profezia dell'asina di Baalam. Sarebbe stato impossibile che un monarca assoluto avesse detto quelle parole; egli era obbligato a pensare il bene del paese in funzione del bene della sua casa. La nuova concezione internazionale si affacciava nel mondo in forma pratica ( e non più teorica) proprio quando nei fatti veniva violata dagli stessi assertori. Cosa non rara (la Santa Alleanza ne sarà altro esempio) ma tale da creare possibilità per l'awenire. Emanuele Kant con il suo Saggio sulla pace perpetua (1795) pubblicato a tre anni di distanza dalla suddetta dichiarazione, dava uua base liberale all'ideata organizzazione internazionale. Ancora la parola liberale (come aggettivo d i libertà a significato politico) non era nata, ma il liberalismo del secolo XIX aveva in Kant il suo primo e più grande filosofo. I singoli stati per costituire una federazione dovevano avere un proprio governo popolare libero e accettare i principi di non intervento di uno stato nell'altro; uno statu quo internazionale garantito dalla volontà popolare di non farsi guerra per cupidigia di conquiste o violazione di diritti. Allora si credeva che i motivi di guerra fossero dovuti solo alle ambizioni e gelosie delle case regnanti e al loro assolutismo. La costruzione internazionale di Kant deriva direttamente dalla concezione che egli ha dello stato. Questo deve essere uno stato di diritto, che rende possibile con il vincolo giuridico la coesistenza degli individui eguali e liberi, in base al principio: cc agire esternamente in modo che il libero uso dell'arbitrio possa accordarsi con la libertà di ognuno in armonia con le leggi generali n. I1 che presuppone l'altro principio kantiano che N il diritto consiste nella possibilità dell'accordo di una coazione generale e reciproca con la libertà di ognuno n. Tali principi gettano luce sulla concezione dello stato liberale, nel quale il benes-
sere è cercato dall'iniziativa dei singoli che in tanto potri sviliipparsi in quanto non solo esiste un ordine giuridico che lo stato può fare rispettare coercitivamente; ma anche perchè i singoli sanno di dover godere della libertà in modo che l'uso della propria libertà si possa accordare con quella degli altri. L'intima concezione del dovere coincide con la razionalità e libertà dell'uomo-noumeno; l'attuazione sul piano giuridico dello stato d i diritto porta la coesistenza dei singoli, cioè la possibilità dell'accordo della coercizione con la libertà. Trasportata questa concezione sul piano internazionale, la federazione fra gli stati non si concepisce più in base ad interessi egoistici da far valere gli uni contro gli altri, ma in base al diritto e libertà dei singoli reciprocamente riconosciuti e rispettati. I1 piano di Kant domandava anzitutto una trasformazione dei regimi interni dei singoli stati; la repubblica americana e la francese apparivano allora come il primo inizio di tale trasformazione. Ma la concezione liberale dello stato di diritto esigeva una lunga maturazione e un superamento delle demagogie trionfanti; la pace perpetua non poteva esserne che una conseguenza e un coronamento. Kant non era un sognatore nè un mistico: ma al momento in cui cadevano tutte le barriere che limitavano l'attività umana e si creava lo spirito popolare-nazionale, il concetto di libertà si presentava in maniera mistica come una liberazione dalla soffocazione politica, civile, ecclesiastica, economica del passato. La libertà prendeva l'aspetto di un bene per sè stesso; libertà per gli individui, libertà per gli stati; non come u n dono esterno, ma come uno sviluppo interiore della propria personalità; sia la personalità del cittadino di fronte ai poteri, che quella dello stato di Gonte agli stati. È la visione individuo-umanità che prende nel suo binomio tutta la realtà sociale e la riduce a libertà e diritto. Dentro questa visione si era levata gigantesca l'ombra di Napoleone che sembrò distruggerla. Egli chiuso nell'isola di Sant'Elena scrisse che il suo ideale era quello d i formare una confederazione stretta insieme dall'unità di codici, di principi, di opinioni, di sentimenti e d'interessi D. Vero o no, Napoleone passò, la visione rimase.
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P?. L'impero napoleonico e i troni da lui assegnati e i regni improvvisati sotto lo scoppio delle fulminee vittorie, non potevano formare una costruzione duratura nel campo politico nazionale e internazionale; essi mancavano d i due fattori necessari: una tradizione che rispondesse a i sentimenti e agl'interessi delle popolazioni sui quali appoggiare il nuovo ordine, e un equilibrio internazionale dentro il quale trovare la stabilità nell'urio delle forze e degli egoismi europei. Come con la fortuna delle armi era sorta, con la sfortuna delle armi doveva crollare. Si domandano storici e filosofi: che cosa sarebbe accaduto se Napoleone avesse vinto a Waterloo? La domanda, sul terreno dei fatti è oziosa tanto quanto le altre: che sarebbe avvenuto se Cesare non fosse stato ucciso; se a Lepanto avesae vinto la Mezzaluna; se la Germania fosse uscita vincitrice dalla grande guerra. Dal punto di vista sociologico però si può rispondere che, nonostante la supposizione di un avvenimento contrario a quello di fatto avvenuto (che sarebbe solamente il rovescio di un episodio ritenuto decisivo), i fattori sociali erano tali che nè un uomo d i genio nè una situazione acquisita avrebbero fatto deviare di molto il processo storico; in modo che, per un'altra serie di avvenimenti che non possiamo precisare e con altri uomini al comando, si sarebbe arrivati ad una soluzione sociologicamente analoga. Con o senza Waterloo, la costruzione napoleonica internazionale, con un ritmo più o meno accelerato, doveva arrivare a cadere o a trasformarsi. Quel che i vincitori d i Napoleone compresero male e tutti i restauratori del passato non ebbero chiaro o non afferrarono con occhio previdente, fu la necessità di utilizzare gli elementi costruttivi che si erano accumulati attraverso l'esperienza rivoluzionaria. I1 periodo che va dalla rivoluzione americana al congresso d i Vienna fu un quarantennio di elaborazione delle teorie politico-sociali nell'arduo terreno sperimentale pratico, alla cui elaborazione furono chiamati tutti, r e e papi, nobili e clero, borghesia e plebe, generali e soldati, uomini politici, letterati, filosofi, corti, università, clubs, partiti, in un terribile e tragico crogiuolo. Pensare che dopo quarant'anni di rapide trasformazioni, d i rivoluzioni e di guerre, si potesse tornare tranquilIamente al passato, sotto l'idea di restaurazione, era ammet-
tere la riversibilità della storia, troncare u n processo iniziato, fare che il fatto non fosse avvenuto, cancellare gli avvenimenti dalla memoria e dal cuore di quasi due generazioni. Gli uomini responsabili del congresso di Vienna si rendevano conto bene o male d i quel che era successo; ma riuniti per risolvere dei problemi politici, dinastici e internazionali, li guardavano con mentalità inadeguata alla situazione. Essi pensavano ad una Europa d i corti e di dinastie, di equilibrio e di alleanze, di egemonie statali; sfuggiva loro l'Europa delle nazionalità e l'Europa del popolo. I1 principio basilare affermato a Vienna fu quello della legittimità dei sovrani. L'idea di legittimità è insita in quella di potere; è impossibile concepire u n potere che non sia legittimo; se non è tale, se si tratta di usurpatore, non può essere riguardato come potere ; occorrerà o la restaurazione dell'antico potere o la legittimazione del nuovo. I1 problema sta nel criterio per il quale u n potere possa dirsi legittimo o possa legittimarsi. Per coloro che stimano che ogni potexe sovrano si risolve nella volontà popolare, a parte le teorie che suffragano la tesi, la legittimità e la legittimazione sono due aspetti, uno regolare e l'altro irregolare, della proclamazione dell'investito del potere; il primo è legittimo perchè secondo le leggi tradizionali che in fondo sono leggi del popolo con un consenso effettivo o presunto; il secondo lo sarà nel caso di legittimazione perchè il popolo ratifica l'usurpazione awenuta, dandovi valore. A Vienna questa tesi non aveva posto; si affermò colà il diritto storico delle dinastie europee come inerente alle famiglie sovrane, indipendentemente dalla volontà popolare. I diritti storici si combinavano, nel fatto, con i diritti di conquista (caso della Polonia) e con gli interessi dei vincitori; titoli tutti di carattere dinastico e di diritto tradizionale adattati alle circostanze, perchè l'invocazione dei principi accettati veniva fatta solo quando essi coincidevano con gl'interessi delle grandi potenze vincitrici e loro alleati e non negli altri casi come quelli d i Venezia, Genova, Sassonia. Quando a Vienna si discuteva se conservare o no il reame della Sassonia, all'osservazione d i Alessandro I d i Russia che i sassoni volevano rimanere uniti, Francesco di Asburgo risponde che u un prince peut, s'il
le veut, céder une partie de son pays et tout son peuple; s'ii abdique, son droit passe à ses héritiers légitimes. I1 ne peut pas les en priver et 1'Europe entière n'en a pas le droit ». Talleyrand, basandosi sul principio di legittimità, difese i diritti di Luigi XVIII re di Francia. I diritti storici di legittimità e d i eredità, i diritti di conquista, scartando ogni consenso popolare, su quale principio poggiavano? Alla sovranità popolare non c'era altro da opporre che la sovranità di Dio, di cui i principi si sentivano investiti. I tre firmatari della Santa Alleanza, i sovrani di Austria, Pnissia e Russia, dichiaravano di considerarsi « comme délegués par la Providence pour gouverner trois branches d'une mème Iamille. n. L'appello della Santa Alleanza fu detto la dichiarazione dei diritti di Dio contrapposta alla dichiarazione dei diritti dell'uomo. Non c'era altra scelta: o un potere sovrano laico che, sia pure attraverso un diritto storico, trovasse la sua origine nella nazione o popolo; ovvero un potere sovrano reso religioso perchè basato sull'autorità di Dio e appoggiato in quanto tale dalla chiesa ufficiale. La teoria scolastica contrattuale che conciliava le due teorie era stata messa a tacere anche dai suoi tradizionali e vivaci difensori, i gesuiti, fin da prima di essere soppressi; gli altri, per paura di Rousseau, non la facevano più valere. Nè in quel tempo sarebbe stata compresa da coloro che volevano cancellare i ricordi della rivoluzione e ricostruire il potere assoluto dei re. I1 papato, che, nel caso di Napoleone, incoronandolo aveva riconosciuto il principio del governo di fatto legittimato dal volere della nazione, ora non poteva che gioire dell'aperto riconoscimento che i l potere sovrano derivava da Dio. Al tempo stesso stava guardingo che non si mettessero sul conto dell'autorità di Dio tutte le ingiustizie che stavano per commettere gli uomini, compresa quella verso la Santa Sede, i cui diritti storici vennero messi in dubbio, per le intese di Vienna con Murat, allora re di Napoli. Eliminata la vertenza con Roma, rimaneggiata la carta d'Europa, consentiti certi parlamenti con poteri ristretti e come concessione sovrana ( a parte quello tradizionale della Gran Bretagna che allora attraversava anch'esso u n periodo reazionario), la risultante pratica fu l'affermazione dell'assolutismo dei re, pog-
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Chiesa e stato
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11.
giato sul principio religioso dell'autoriià divina e mantenuto con la stretta unione del trono con l'altare. Una variante storica dell'antico diritto divino, non più contrapposto alla chiesa e a l papato, ma messo i n contrasto con il diritto del popolo e della nazione. Legittimità, assolutezza e religiosità del potere monarchico venivano concepite allo stesso tempo e come base di ogni singolo stato e come elemento comune di una unione europea o lega di re. Per garantire il mantenimento del nuovo assetto politico e internazionale, derivante dal patto di Vienna, dal trattato d i Parigi e dal proclama della Santa Alleanza, occorrevano anche mezzi coercitivi, sia contro sovrani fedifraghi sia contro popolazioni ribelli. Onde la costituzione dei grandi quattro stati vincitori a capo della nuova Europa: Austria, Gran Bretagna, Russia e Prussia; dopo un primo periodo d i prova, ai quattro venne associata la Francia. I piccoli stati furono messi in secondo ordine, alla dipendenza dei grandi; l'Austria ne fece un sistema d i equilibrio politico ed ebbe la parte del leone; la confederazione germanica da un lato, gli stati italiani dall'altro. A questo sistema l'impulso mistico era dato anzitutto dal bisogno di pace, vivissimo dopo ventitrè anni di guerre portate su tutta l'Europa e in America, con grandi eserciti per mare e per terra. Una pace organizzata, quale essa sia, ha sempre un'accettazione sentimentale da parte delle masse. Alla pace si univa i l ritorno dei sovrani spodestati tradizionalmente legati a metodi paternalistici, in mezzo a popolazioni di contadini, come nei principati germanici. Robili ed ecclesiastici esiliati che tornavano, chiese che si riaprivano o si restauravano, culto tradizionale ristabilito; anche in Inghilterra il governo si diede a fabbricare o restaurare templi e a migliorare le condizioni della chiesa ufficiale. L'unione aperta delle chiese con i sovrani dava a molti un senso di stabilità e sicurezza sociale, che si trasformava in una specie di concezione ideale. I1 principio di autorità, ristabilito nel suo doppio carattere naturale e soprannaturale per coloro che avevano sofferto delle rivoluzioni e delle guerre, era una ragione per avere fiducia nell'avvenire. Tutto ciò costituiva un necessario presupposto per lo sviluppo di un sentimento mistico se vi fosse stato qualcuno e qualche cosa
che l'avesse destato. La Santa Alleanza si presentò come un messaggio divino, una parola ispirata dall'alto; si sentì parlare di Dio, di Gesù Cristo, dell'amore, della giustizia, della pace, in un documento di re. Alessandro I di Russia ne fu il profeta (prima di divenire anch'esso un tiranno) vagando fra l7umanitarismo e il Vangelo, il liberalismo e i l diritto divino dei re. Non mancò la profetessa, Madame de Kruedener, nel ruolo d'ispiratrice. Goethe giudicò quell'atto « la chose l a plus bienfaisante qui eut jamais été essayée dans l'humanité n ; molti furono dell'opinione di Goethe. Ma la Gran Bretagna non aveva apposta la sua firma; Castlereagh voleva trattare affari, non proclamare principi. I1 papa aveva rifiutato di mettere la sua a lato di quella di due capi religiosi, uno luterano e l'altro ortodosso, in u n appello al Vangelo. Tutti gli altri stati venivano considerati come minorenni o di secondo rango; e non furono invitati a firmare. Per giunta il ministro dell'impero austriaco valeva di più del suo imperatore; Metternich era del parere di Castlereagh anzichè di quello di Alessandro I ; per lui il manifesto della Santa Alleanza e tutte le feste propizialorie che l'accompagnavano contavano assai meno degli accordi militari e di polizia internazionale sui quali basare il nuovo ordine autoritario per imporre all'Europa il volere delle quattro grandi potenze vincitrici e soprattutto dell'Austria. La Santa Alleanza, idealizzala e sentita come un'aspirazione che si andava realizzando nonostante le contingenze storiche, gl'intrighi diplomatici e le incomprensioni degli uoi~iini della Realpolitik, poteva credersi un passo in avanti, non un ritorno al passato; u n motivo mistico che toccava i popoli, non un semplice tornaconto o diversivo dei sovrani. Essa conteneva u n principio necessario alla salute d'Europa; la solidarietà internazionale basata sopra u n fondamento etico-giuridico. Essa, che voleva essere la negazione del prossimo passato, ne conteneva qualche elemento. La necessità di trovare un terreno comune che superasse gli interessi e gli egoismi delle dinastie, portava a fissare principi morali d i carattere generale. Su questo piano gli oppositori dell'assolutisiuo dinastie0 e gli assertori delle nazionalità trovavano motivi di polemiche e basi reali per le loro costruzioni antitetiche. Due mistiche si ponevano di fronte come
pensiero alimentato da sentimenti e orientato alla pratica politica: quella degli assertori della Santa Alleanza e quella dei sostenitori e rivendicatori delle libertà. Questa tendeva a rivedere le posizioni democratiche per una maggiore valutazione delle libertà personali, più apprezzate ora che erano perdute; l'altra, orientandosi verso il valore dell'autorità tradizionale, voleva ristabilirla, come un principio d'ordine e d i salvezza. Libertà e autorità vennero concepite come antitetiche; i cattolici come tali si lasciarono trascinare dagli idealisti dell'autorità. Uno dei rappresentanti più noti e certo il più interessante dell'epoca fu il savoiardo Joseph De Maistre (1754-1821). Egli passò per una specie di santo padre laico della reviviscenza e della reazione cattolica assolutista; ma egli fu più che questo; ebbe una parte considerevole nella elaborazione del pensiero antirazionalista storicistico e romantico del suo tempo. Egli combattè la sovranità popolare e la teoria contrattuale dell'origine del potere, sostenendo una specie di trasmissione mistica da Dio ai monarchi per partecipazione provvidenziale. Questa tesi non è da prendersi isolatamente: faceva parte del sistema del tradizionalismo filosofico o fideismo, il quale insegnava che la nostra conoscenza naturale non è autonoma, ma deriva da una rivoluzione primordiale; così come la società è un'istituzione divina, il potere è anch'esso una partecipazione divina. I1 valore di una tale tradizione è indistruttibile per l'azione diretta della Provvidenza. Se questa permette il male, non manca d'intervenire per castigarne gli autori, servendosi del diavolo o degli stessi uomini cattivi: se dilaziona il castigo è per renderne più salutari gli effetti. Sotto questo aspetto la rivoluzione era stata uno strumento della Provvidenza. I1 cristianesimo, perfezionando la tradizione primitiva, è l'elemento perenne d i unificazione delle società umane. Quest'opera si compie per mezzo della chiesa cattolica. Le altre chiese, appena staccate dalla cattolica, perdono le caratteristiche dell'integrità della fede e dell'apostolato. Solo la chiesa cattolica le conserva e le aumenta perchè al centro c'è il papa; le chiese nazionali, come la gallicana, sono degenerazioni del vero cattolicesimo, perchè limitano i poteri del papa e ne contestano l'infallibilità. Il papa, nel pensiero d i De Maistre, è un principio vitale di conservazio-
ne e rinnovazione sociale, perchè incarna nel più alto senso l'autorità di Dio. I1 papa, non il tale o tale altro papa con i suoi difetti e le deficienze umane del suo governo, è il principio attivo dell'unità religiosa che deve divenire il principio attivo dell'unificazione del mondo. De Maistre, nella sua forma eccezionale e profetica, pur esagerando il suo tradizionalismo a danno della ragione, faceva opera costruttiva, perchè rimetteva al suo posto la continuità storica che gli enciclopedisti avevano sotto certi aspetti misconosciuta, dava una ragione d'essere al processo storico, ch'egli interpretava apocalitticamente, e lo incentrava nel cattolicesimo e quindi nel papa, quale massima espressione organica e quale suprema autorità della chiesa. L'idea che una nuova cristianità emergeva dal caos della rivoluzione francese, permessa da Dio per purificare la società, a ricrearla con il sacrificio di molti, è il fondo mistico-storico-romantico del pensiero d i De Maistre. Egli del resto non era solo; il conte De Bonald aveva fatto seguaci in Francia e fuori, ispirando con il De Maistre una larga schiera di scrittori e letterati e filosofi del movimento pre-romantico, sui quali primeggia Chateaubriand. Tiene un posto a parte e assai elevato Maine de Biran (1776-1824); questi, lasciato il sensismo condillachiano, riprese in filosofia la linea interrotta di Malebranche e Pascal. Nel suo spiritualismo inteso come esperienza di una vita superiore, la grazia, nel senso cristiano, compie e trascende la natura, le cui potenze irrazionali non sono dominabili dalla pura ragione, dal semplice allenamento della volontà. L'esperienza storica del cristianesimo coincide con l'esperienza interiore del cristiano. Maine de Biran, come spesso avviene, non ebbe grande influsso nel suo tempo; ma più tardi, quando si maturava una nuova reviviscenza spiritualistica contro il piatto positivismo, la sua psicologia entrò nella corrente del pensiero moderno. Quel che allora era interessante ( e il concorso di lui fu prezioso) era la rivalutazione storica, psicologica e letteraria del cristianesimo come elemento integratore della società, contro la dissociazione razionalistica e naturalista del secolo XVIII tuttora trionfante; e come conciliazione della natura con la grazia nella realtà umana e storica, contro il distacco fra umanità
r cristianesimo. A questo movimento diede la prima parte della sua attività di scrittore De Lamennais, che divenne famoso con il suo Essai sur l'indiférence en matière d e religion. Sventura volle che un tale movimento fosse in gran parte autoritario e reazionario negando al popolo ogni diritto; la società fu guardata sotto l'aspetto gregario, l'individuo concepito come u n eterno minorenne. Secondo De Bonald l'uomo è nato per essere istruito e guidato; chi insegna e conduce, cioè la monarchia, G considerata di un ordine quasi extra-umano come la chiesa; Ia monarchia preesiste alla società poichè la costituisce; il suo titolo è esclusivamente un titolo divino; la tradizione divina ne è la base. L'eiemento tradizionalista antirazionale, autoritario e religioso, è l'anima del pensiero bonaldiano. La sua filosofia della conoscenza è espressa in questa proposizione (che i cattolici non possono accettare): u Pour toute connaissance, meme profane, la foi précede la raison pour la former, et la raison suit la foi pour I'afimer D. L'origine sociale è analoga all'origine gnoseologica. Così quel movimento misticizzante e storicizzante dei cattolici pre-romantici, per la fede attenuò e negò la ragione, per l'autorità attenuò o negò la libertà; per la tradizione attenuò o negò l'iniziativa storica. E come la Santa Alleanza dissipò subito lo slancio mistico che non aveva solida base, e si rivelò quel ch'essa era, una politica reazionaria e utilitaria; così quel movimento dei tradizionalisti cattolici mancò di nutrimento mistico, e cessato il profetismo e il lirismo dei pionieri, divenne per i molti una concezione reazionaria e utilitaria della religione quale strumento delle monarchie assolute.
I MOVIMENTI LIBERALI NAZIONALI E SOCIALI LA REAZIONE POLITICA E RELIGIOSA
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48. Dal 1815 in poi la reazione politica imperversa. Dove è possibile, anche dove non è utile o riesce dannoso, vengono distrutte istituzioni e aboliti provvedimenti attuati in Europa nel periodo precedente. Non ostante che qualche uomo prudente avesse a Vienna raccomandato ai principi di usare moderazione nei cambiamenti, quasi tutti, e più degli altri i meno intelligenti, pensarono che il modo migliore di governare fosse il ritorno al passato, perfino nel modo di vestire e di esprimersi. Vengono rimessi in onore i calendari di corte e i privilegi dei nobili. I n Roma si rinchiudono i giudei nel ghetto; Ferdinando d i Spagna ripristina l'inquisizione e ordina la riconsegna dei beni agli ordini religiosi, togliendoli agli acquirenti e possessori. La situazione europea prendeva allora aspetti molto marcati. In mezzo secolo d i esperienza vari fattori avevano cambiato le basi della società; tra di essi, di effetto a lunga portata, l'abolizione dei privilegi fondiari e dei vincoli commerciali e professionali e l'eguaglianza dei cittadini davanti alla legge. Ciò portava allo sviluppo dell'industrialismo nascente, alla libertà dei commerci, all'affermazione della classe borghese e alla proletarizzazione dell'operaio. Tentare di ridurre questi movimenti all'impotenza era un'impresa disperata; i principi non se ne accorsero che con ritardo e a loro danno. Questo substrato civile ed economico della situazione si presentava sotto aspetto politico, perchè sul terreno politico si af-
fermava la reazione contro il passato da parte dei principi assoluiisti, delle corti nobilesche, dei cleri avversi alle novità. La battaglia si sviluppò per conservare e riottenere le costituzioni e le libertà politiche. In Spagna, dove fu restaurato il governo assoluto, si vuole la costituzione del 1812; i partiti delle due parti vengono chiamati servi1 l'autoritario, liberal il costituzionale. CoSì fu introdotta in Europa la qualifica di liberale e poi il sostantivo di liberalismo, che in quel tempo presso certe sfere faceva l'impressione che oggi fanno le parole bolscevismo e bolscevico. I liberali di quel tempo erano dei costituzionalisti; la borghesia voleva partecipare a l potere per limitare l'assolutismo dei monarchi, per impedire il ritorno ai privilegi di classe, per non essere spossessati dei beni ottenuti durante la rivoluzione o per riaverli, come in Spagna, e per assicurarsi la libertà e I'uguaglianza civile e religiosa. Sarebbe stato possibile u n sistema costituzionale e una partecipazione del popolo al potere, senza la libertà di opinione, di associazione, di parola e di stampa? cioè senza quei mezzi congrui e diretti per far valere i propri diritti e interessi? Queste libertà venivano reclamate e difese con tanta più forza in quanto erano proprio quelle che la reazione negava ovvero limitava al punto da renderle ineffettive ritenendole causa di disturbi, della instabilità, delle rivolte. Da qui un contrasto insanabile sia con i governi assoluti, sia con la chiesa che tali libertà avversava, perche implicavano la libertà dei culti e della diffusione delle teorie contrarie alla fede e alla morale cristiana. Pio VII, nella lettera a monsignor de Boulogne del 29 aprile 1814, aveva protestato contro i l progetto di costituzione che Luigi XVIII aveva fatto preparare, perchè all'articolo 22 si permetteva « la liberté des cultes et de conscience D. Egli scriveva: « Par celà m6me qu'on établit la liberté de tous les cultes sans distinction, on confond la vérité avec i'erreur, et I'on met au rang des sectes hérétiques et m6me de la perfidie judaique, I'Epouse sainte et immaculée du Crist, I'Eglise, hors de laquelle il ne peut y avoir de salut ».E più sotto aggiungeva: u Notre étonnement e1 notre douleur n'ont pas été moindres quand nous avons lu le 28" article de la constitution qui mantient e t promet la liberté de la presse, liberté qui menace la foi et les moeurs
des plus grands périls et d'une ruine certaine n. Luigi XVIII non accettò tale e quale la proposta di costituzione e vi fece introdurre varie modifiche. La carta concessa proclamava l a eguaglianza dei cittadini, la libertà di stampa (con il correttivo della caiizione e della censura governativa) la libertà dei culti, dichiarando allo stesso tempo la religione cattolica quale religione dello stato. Era impossibile allora per la Francia non tenersi a questo minimo, e fu necessario riaffermare ancora una volta (dopo i l concordato napoleonico) che la vendita dei beni nazionali era irrevocabile. Si aggiunse anche, per dare tranquillità al paese, che veniva interdetta la ricerca delle opinioni espresse e dei voti emessi da ciascun cittadino sotto i precedenti regimi rivoluzionari. Si sperava così di arrivare alla pacificazione, pur lasciando alla pubblica opinione un certo slogo, per quanto limittato, a mezzo della stampa e del parlamento. Contro ogni costituzionalismo si affermava la corrente più attiva e intransigente del clero cattolico e della gerarchia che si stringeva ai partiti reazionari e alle corti assoiutiste, specialmente alla corte di Vienna. Per Roma e per i cattolici intransigenti Vienna prendeva un nuovo aspetto nella difesa del cattolicesimo. Per tre secoli era stata considerata come la difesa più valida di fronte al luteranesimo germanico, al pericolo islamico e alla invadenza slava ortodossa. Ora Vienna, cessando d i essere la corte riformata e illuminata di Giuseppe 11, era divenuta il centro dell'antiliberalismo. Vienna prendeva così un quarto ruolo nella politica cattolica europea. La Compagnia d i Gesù, ricostituita da Pio VI1 nel 1814, mostrò subito tanta vitalità da potersi dire che non avesse mai cessato di esistere, tanto presto aveva ritrovato lo spirito e la disciplina del suo fondatore. Nella lotta, i gesuiti furono in gran parte con gl'intransigenti, con gli ultras, con i reazionari, come venivano nominati nei vari paesi, e, cosa naturale, divennero i più odiati. Erano perseguitati dai liberali e nello stesso tempo non ben visli dai governi assoluti e dai cleri nazionali, i quali conservavano il ricordo di un tempo non molto lontano. Le monarchie volevano bensì I'appoggio delia chiesa, erano disposte a ripristinare lo stato confessionale abbattuto dalla rivoluzione, ma volevano vescovi e parroci a servizio del loro
governo, il monopolio della istruzione di stato anche per i serninari vescovili e in genere i privilegi del sistema giurisdizionalista. Laddove, come in Francia, vi era un minimo di costituzionalismo, i governi per tenere buoni i liberali e gli oppositori di tradizione rivoluzionaria, ponevano dei Iimiti all'attività del clero dove essa potesse recare molestia, sia nel campo della difesa religiosa e morale a mezzo della stampa e dell'associazione, sia nel campo dell'istruzione scolastica e perfino nella predicazione delle missioni spirituali. Queste, d'altro lato, non sempre erano tenute sul campo religioso, ma con uno zelo spesso eccessivo e inconsiderato, menavano una campagna di intransigenza .e di reazione politica, non sempre d'accordo con le autorità ecclesiasiiche e del luogo. Non vi fu posizione più incomoda d i quella della chiesa d i Francia. Ufficialmente legata alla monarchia borbonica sotto il motto di unione del trono con l'altare D, e sotto certi aspetti impedita nel suo ministero o impacciata dalla politica di reazione, l'odiosità che investiva gli uomini di governo, ricadeva anche sulla chiesa che lo sosteneva; e dall'altro lato le intemperanze degli ultras minacciavano il sistema &la monarchia costituzionale. Così cresceva l'irreligiosità e l'indifferentismo nei ceti colti, nella borghesia e perfino nelle masse popolari, che si credeva potere riportare alla religione con l'appoggio del potere. Le condizioni nei paesi a governo assoluto non erano meno difficili che quelle di Francia. Roma cercò di ripristinare la gerarchia dove mancava, di risistemare i rapporti con gli stati a mezzo di nuovi concordati; come fece con la Russia, la Baviera, la Polonia, Napoli e Sardegna, ovvero con altre forme d'intesa, quale la bolla d i modus vivendi con la Prussia e altri stati germanici. Roma agevolò in tutti i modi il ritorno degli ordini religiosi, riapri seminari; scuole, collegi, diede appoggio alla nuove istituzioni religiose. Ma tutto ciò a prezzo del ripristino dei vecchi legami giurisdizionalisti dello stato in materia ecclesiastica e dell'appoggio della chiesa alle monarchie per tenere a freno i popoli soggetti. Le direttive politiche della Santa Sede coincidevano allora con quelle dei governi assoluti, e benchè Roma cerrnsse di mantenere il suo intervento nell'ambito religioso, pure
non mancava di favorire i governi nel loro ingrato compito d i reprimere i moti rivoluzionari. Tanto più che nello Stato Pontificio non mancavano malcontenti, congiure e propaganda liberale. Le condanne della carboneria e delle altre società segrete rispondevano alla tradizione di curia e all'avversione del cattolicesimo per ogni sorta di misticisuio criptico e rituale; i carbonari venivano indicati non solo come nemici del trono e dell'altare, ma come gente rotta al delitto che non risparmiava la pistola e il pugnale. I1 cardinal Consalvi, esperimentato nella politica, aveva dissuaso Pio VI1 dall'accentuare la repressione di polizia, tanto più che a Vienna i principi stessi si erano preoccupati del tenore preso a Roma, sotto la direzione dei cardinali Rivarola e Pacca. Egli riuscì parzialmente a far dare un'amnistia politica; ma non riuscì a tenere a freno i sanfedisti (specie di fascisti clericali avanti lettera) che terrorizzavano le città e i villaggi col pretesto di combattere liberali e frammassoni. F u allora che la frammassoneria ebbe dalla reazione cattolica attribuita una potenza straordinaria, a l d i là della realtà stessa (che in certi paesi non era poca), eccitando l e fantasie e i sentimenti popolari. Ai cattolici bavaresi fu proibito d i dare il giuramento per la costituzione, senza le riserve esplicite di fare salvi i diritti divini. Consalvi, per trovare una via d'uscita di fronte alla minaccia di un conflitto, ottenne dal re di Baviera una dichiarazione che i l giuramento alla costituzione riguardasse solo la vita civile .del paese, non la legge di Dio nè la dottrina cattolica. A parte questo episodio che denotava la giusta preoccupazione di non confondere le libertà, civili con le teorie naturaliste alle quali era uso allacciarle, ogni aspirazione verso forme costituzionali, verso l'indipendenza politica e l'emancipazione d i classi soggette - anche se promossa o favorita da cattolici e da preti -, veniva spiata, denunziata, repressa. L'inquisizione funzionava di nuovo a Roma e in Spagna mentre negli altri stati cattolici la Santa Sede dava ai governi l'appoggio della sua autorità per la repressione della propaganda liberale. La preoccupazione politica in molti paesi e presso non pochi vescovi sembrava soverchiare la stessa cura pastorale e la difesa dei principi. Allora Roma credeva che si potesse ritornare, anzi che si fosse ritornato al sistema dello stato confessionale; e che con il
metodo della doppia repressione religiosa e poliziesca si potesse ottenere l'eliminazione dell'elemento fazioso, e il ritorno alla tranquilliià, l'ordine e il buon regime paterno; e a poco a poco si potessero restringere l e stesse concessioni fatte dai parlamenti e le libertà popolari. Questo contegno sempre più rigido della Santa Sede e di molti vescovi, legati ai monarchi e imbevuti ancora di vecchie teorie assolutiste e regaliste, sostenuto dai gesuiti e da altri ordini religiosi, portò a confondere il costituzionalismo legittimo e le libertà politiche moralmente accettabili, con le filosofie naturalistiche e rivoluzionarie dalle quali si facevano derivare. I1 che contribuiva a creare una divisione ancora più profonda Era la chiesa e coloro che aspiravano alla libertà e che, come liberali, passavano per anii-religiosi e anticattolici, quando molti di loro non erano diversi dagli stessi reazionari, parecchi dei quali si appoggiavano alla chiesa per farsene uno strumento di potere o un mezzo di lotta. Lo staio confessionale ripristinato nei paesi cattolici non era che formalista ed equivoco. I monarchi e gli uomini di governo potevano essere intimamente più o meno religiosi d i quelli di prima della rivoluzione, ma il distacco fra religione e politica si era di già operato, nè poteva essere colmato dalla cosidetta unione del trono con l'altare. La vecchia struttura dello stato confessionale era crollata, la nuova struttura era incerta e senza base solida. I1 legittimismo impacciava la chiesa con i legami verso determinate dinastie, l'assolutismo faceva rivivere le tendenze delle chiese nazionali verso l'episcopalismo e il gallicanismo, e dava armi in mano alle non sopprimibili tendenze del giurisdizionalismo laicizzante. La consacrazione di Carlo X di Borbone a Reims volle essere il simbolo della reviviscenza monarchico-cattolica della Francia. Corsero fiumi di retorica ; molti vecchi ecclesiastici, in buona fede, avevano le Iacrime agli occhi per la gioia, e sognavano chi san Luigi IX e chi Luigi XIV. Non mancavano coloro che a tale consacrazione davano il significato di una riparazione al sacrilegio della esecuzione di Luigi XVI. Ciò nonostante c'era stata di mezzo l'incoronazione di Napoleone fatta da un papa; a due decenni di distanza non era possibile che amici e avversari e di Napoleone e del papato l'avessero dimenticata.
In questa imbarazzante unione di stato e chiesa, mancava l'elemento connettivo che legasse i popoli al potere assoluto e religioso. Non era la chiesa che si faceva mediatrice tra il popolo e il potere, nè lo stato mediava tra il popolo e la chiesa: i due uniti insieme aumentavano il distacco dal popolo con le leggi di rigore, i metodi d i polizia, le ripetute condanne (sia pure intercalate di amnistie), senza tener conto delle esigenze delle classi medie e popolari che si agitavano. La serie di rivolte e repressioni in tutta Europa e le rivolte del centro e sud America che continuavano dal periodo napoleonico, null'altro insegnavaiio ai dirigenti che la paura dell'avvenire e l'aumento dei mezzi di repressime. Lo stato pontificio ne era uno dei più affetti, perchè i metodi amministrativi erano arretrati, la legislazione incoerente, il sistema di dare le cariche civili e politiche ad ecclesiastici, inadeguato e pericoloso per il carattere misto di sacro e d i profano, paterno e inquisitoriale, sacerdotale e poliziesco. Briganti e sanfedisti, massoni e liberali tenevano in .agitazione quel piccolo principato, che avrebbe dovuto essere il modello degli stati. A tanti mali si aggiungeva l'Austria, che pesava con la sua politica sul papa-re o meglio sul papa e r e di Roma. Vienna con Metternich fu nel periodo della restaurazione quel che Madrid era con Filippo I1 all'epoca tridentina, con la differenza che Metternich non rassomigliava a Filippo nè per la fede nè per il misticismo, ma solo per la sovrapposizione della politica particolare dell'Austria alla cattolicità; politica che egli credeva coincidesse con la salvezza dell'Europa. Non migliore era la situazione religiosa dei paesi protestanti e ortodossi. Quelle chiese ufficiali non avevano subito le crisi di persecuzione e di separazione come nei paesi dove dominavano la rivoluzione e Napoleone; esse mantenevano i vecchi privilegi della unione con lo stato e la dipendenza dai monarchi come capi religiosi. Però il movimento dissidente aumentava ogni giorno più, presentandosi qua e là come moto liberale politico e religioso; l'indifferentismo aveva preso classi alte e masse operaie, ed era tale da preoccupare gli stessi governi. Questi nel doppio esercizio del potere spirituale e temporale usavano ogni sorta di pressione e oppressione. Anch'essi avevano paura delle rivolte. i1 sistema poliziesco trionfava in Prussia, il terrorismo
in Riissia, la tirannia in Turchia e sulle altre popolazioni soggette a Costantinopoli. La Gran Bretagna, che manteneva in onore il parlamento, anch'essa attraversava un periodo assai difficile, di miserie e di torbidi. La crisi economica, seguito delle guerre napoleoniche, s'intrecciava con un'agitazione politica e sociale assai pronunziata per delle riforme a tendenze democratiche. La monarchia era in dissoluzione, con Giorgio 111 folle e il reggente (che fu poi Giorgio IV) dissoluto e impopolare. L'aristocrazia era incapace a far fronte alle agitazioni ed aveva paura del popolo. Mancava di una polizia organizzata, specialmente nelle grandi città, che potevano divenire preda delle folle esasperate e della « jacquerie » dei contadini nel periodo della caduta dei prezzi agricoli, specialmente del frumento. Le dimostrazioni che portavano in trionfo il berretto frigio e il tricolore facevano allora molto più paura che quelle del nostro dopo-guerra con l a falce e il martello dei bolscevichi. Ne seguivano repressioni sanguinose e cieche reazioni caratterizzate da Peterloo e dai Sir Acis. Fortunatamente u n gruppo d i uomini d i valore e d'iniziativa, Ga i quali Robert Peel, William Huskisson, George Canning compresero che dovevasi ritornare alla tradizione di Pitt e affrontare coraggiosamente le riforme interne, fra l e quali il sistema elettorale, quello penale e quello fiscale; e cambiare orientamento nella politica estera, fin allora legata, con le solite oscillazioni, a quella reazionaria del continente. Così i l governo inglese rifiuta d'intervenire nella Spagna che si era rivoltata per ottenere i l ritorno alla costituzione del 1812, appoggia la rivolta della Grecia contro la Turchia, si stacca dal concerto delle grandi potenze sotto il nome ormai sciupato di Santa Alleanza e con Canning inizia una politica liberale negli affari esteri.
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49. Nel 1830 si poteva constatare con sufficiente certezza il fallimento della politica del 1815, sia nel campo internazionale che i n quello dei singoli stati; allora Metternich non era più in grado di creare iin nuovo sistema europeo, Carlo X cadeva e Luigi Filippo prendeva la corona d i Francia laicizzandola; Cristina e Isabella avevano il sopravvento con l'appoggio dei liberali; il Belgio si staccava dall'olanda e conquistava la sua indi-
pendenza dandosi una costituzione; l'Irlanda, guidata da O'Connell, aveva guadagnato la battaglia per l'emancipazione dei cattolici; la Gran Bretagna era alla vigilia della riforma politica del 1832; in Italia erano scoppiate rivolte a Bologna, Modena, Parma, costituendo governi provvisori presto sopraffatti dagli eserciti austriaci; in Piemonte era succeduto a l trono Carlo Alberto; a Varsavia era scoppiata la rivolta che fece perdere ai polacchi le franchigie avute durante il congresso di Vienna; la Grecia aveva già avuto la sua guerra d'indipendenza; Bolivar moriva dopo aver conquistato l'indipendenza alle colonie spagnole d'America; il Brasile era stato dichiarato stato indipendente, pur avendo un imperatore della casa regnante portoghese; l'Argentina aveva la sua repubblica, il Messico i suoi dittatori. L'aspirazione all'indipendenza dei popoli soggetti a governi stranieri - come i Greci sotto la Turchia, gl'Italiani del Lombardo-Veneto sotto l'Austria, le colonie dell'America Latina sotto la Spagna e il Portogallo, i l Belgio sotto l'Olanda - presupponeva due principi: quello della nazionalità e quello dell'autodecisione; tali principi traevano alimento da quello della sovranità popolare. A distanza di tempo si può trovare non necessario i l legame fra i due principi, ma allora esso era nella logica del processo storico. L'idea d i sovranità popolare, presa come un diritto generico del popolo e come coscienza della sua personalità, non derivava necessariamente da una teoria particolare, come quella di Rousseau, ma non poteva prescindere dalla tradizione giusnaturalista e dalle reminiscenze contrattualiste, che avevano tanti secoli dietro a sè e che avevano avute tre conferme storiche di grande portata: la vittoria del parlamento inglese sulla monarchia stuartiana nel 1688, la indipendenza delle colonie inglesi del nord America nel 1783, il trionfo della democrazia francese sulla monarchia nel 1792. La restaurazione, che negando il diritto dei popoli attribuiva tutto ai sovrani, anche la facoltà di disporre a loro arbitrio di regni e province, nel dare il colpo di pendolo verso un estremo spingeva il movimento di oscillazione tutto dal lato opposto. L'idea d i nazionalità, che nel secolo XIV aveva come sua concretizzazione le monarchie autonome di fronte all'idea dell'impero, e le chiese nazionali d i fronte al papato medievale,
all'inizio del secolo XIX veniva vivificata come personalità e volontà popolare di fronte alle monarchie assolute. E già si andava precisando una propria teoria della nazionalità, distaccata dal giusnaturalismo razionalistico e astratto, basata sopra u n concreto fatto storico nazionale che emergeva dalla coscienza d i ciascun popolo. Gli enciclopedisti avevano costruito una società razionalisticamente a priori sopra una natura sana e buona, quale fonte d i diritti, e su d i essa edificavano i diritti individuali, le forme di governo, i caratteri della società. La concezione della nazionalità invece si basava sul passato storico d i ciascuna nazione o popolo, col suo carattere particolare, con la sua lingua, letteratura, religione, mitologia. Così la storia non veniva più considerata come una sequela di fatti e di dati quasi esteriori a l popolo, ma come la vita del popolo; la sua anima, la sua formazione mentale, i suoi sentimenti, i suoi bisogni, le sue aspirazioni e realizzazioni; la teoria di Giambattista Vico riviveva spontaneamente; i molti la ignoravano ma la mentalità era matura perchè teoria e fatti trovassero una convergenza inattesa. Prima che si avesse coscienza del valore di tale teoria, occorreva che il pensiero, sotto l'impulso del romanticismo, facesse u n tuffo nell'irrazionalismo, nell'intuizionismo, nel misticismo, con un disordine d'idee e una passionalità di sentimenti, che indicavano una fase spontanea nuova, e perciò spesso imcompleta, dell'orientamento generale. 11 romanticismo non fu u n semplice movimento letterario; ebbe la sua espressione e il suo nome nella letteratura e fu conosciuto come tale, amato, adorato, travisato, esaltato, combattuto, denigrato. Ma il romanticismo fu qualche cosa di più profondo e d i più interessante di qualsiasi movimento letterario. La letteratura si distacca dalle correnti di pensiero e di arte quando è tenuta chiusa in circoli estetici o accademici e diviene esercitazione raffinata e criptica. La vera letteratura è mescolata agli avvenimenti e alle correnti vitali, sente l'influsso, partecipa a l pathos della storia. Allora essa non è letteratura nel senso stretto che si suole dare, qualche volta anche dispregiativo, ma è poesia, musica, pittura, storia, filosofia, politica, tutto ciò che l'uomo pensa ed esprime in un dato modo, sotto dati impulsi, verso finalità più o meno intuite ed espresse.
Sotto l'aspetto letterario, il romanticismo fu il moto d i liberazione dalle regole classiche del comporre, dall'ordine logico .del discorso, dalle unità limitative della tragedia; fu lo sbrigliamento del fantastico, l'evasione dal presente, l'adorazione del passato, il salto nell'irreale; fu l'irrazionale volto al sensuale, il mistico confinante con l'orgiastico, la sostituzione del passionale nel lirico, l'abbandono dell'idea per l'esperienza del concreto, Tutto ciò portava confusione, ma dava il modo di rinnovare il materiale e la tecnica dell'espressione poetica e artistica e segnava a modo suo un passo verso una concezione d'arte che poteva dirsi anch'essa nazionale e liberale. Nazionale, perchè cercava nelle saghe e nei miti nazionali, nei fatti eroici e nei sentimenti tradizionali, religiosi e politici del popolo un'ispirazione alla poesia, al romanzo, alla storia, alla pittura o scultura; liberale perchè nel rigetto dei vincoli classici e dello stile accademico c nella liberazione dalla censura ecclesiastica e politica, idealizzava i l popolo libero e indipendente, con le sue passioni, i suoi sentimenti, la sua storia di dolori e d i glorie, come un essere che si sveglia dopo un lungo letargo all'ebbrezza di u n mattino pieno di sole. Tutti gli eccessi letterari e artistici del romanticismo, liberali, fantastici, antireligiosi, troppo religiosi, corrispondevano agli eccessi che i n politica fecero i rivoluzionari: cioè una negazione per eccesso degli stessi motivi che li avevano spinti ad agire, per quella mancanza di freno che si avvera quando l'ambiente sociale è sconvolto. I1 fondo delle esigenze che rappresentava il movimento romantico era sano - i l ritorno ai valori storici, tradizionali, etnici, religiosi, popolari; non il ritorno ad un medioevo deformato dalle esagerazioni e incongruenze di pseudo storici e d i romanzieri fantasiosi, nè il ritorno d i strutture sociali superate, ma la reviviscenza di elementi umani che dal passato traevano motivo di ripresa e di ulteriore svol,'wnento. Ma tale equilibrio fra il passato e il presente non poteva farsi se non attraverso una forte scossa che nell'impeto suo travolgesse le posizioni stabilite e cristallizzate. Le passioni nazionali e politiche, già destate nei ceti borghesi e negli ambienti letterari da quarant'anni di rivolgimenti, sono ravvivate dalle manifestazioni di pensiero, di poesia, di
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stato
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arte. Nonostante la censura, la polizia e le barriere doganali, è larga la diffusione degli scritti ribelli; impossibile tenere in cerchi chiusi e in campi sorvegliati questo bollore d i spiriti e d i fantasia. Libertà! domanda il romanticismo letterario, libertà, fanno eco le classi medie, libertà reclama il mercante e il viaggiatore. I1 motto è di nuovo contro il tiranno e l'oppressore, contro la polizia e il prete che vi si lega; tale motto non più in nome d i un'umanità astratta, come alla fine del secolo prece-. dente, ma in nome della nazione che rinasce, della storia che rivive, delle minoranze oppresse, dei popoli languenti sotto il giogo straniero. I1 movimento romantico fu .in fondo un movimento d i liberazione cattolica, sia pure nell'enorme confusione di idee e d i sentimenti e nello scatenamento d i passioni e nelle più marcate deviazioni e deformazioni. In Francia ai pre-romantici De Maistre e Chateaubriand seguirono Lamennais, Victor Hugo, Alfred de Vigny, Lamartine, Montalembert. I n Germania il cattolicesimo esercita nuova attrattiva sia come chiesa medievale sia come liturgia e come tradizione vivente. Ai nomi d i Stolberg, Schlegel, Werner, convertiti, si uniscono quelli di Gorres, C. L. de Haller, Adam Muller, che presero una posizione nuova per i cattolici nel combattere i principi egoistici e assolutistici della restaurazione a nome sia del medioevo germanico sia anche a nome d i una concezione cattolica dello stato. I1 razionalismo era allora la bandiera del protestante, tenuta alta da Voss, mentre la reviviscenza dell'anima germanica avveniva attraverso il romanticismo dei cattolici. Si apparenta il romanticismo inglese con quello tedesco; ma quello inglese prende un proprio volto più intimo e più mistico, nel tentativo di rappresentare la realtà d'ogni giorno come a romantica e soprannaturale » (Wordsworth) e il romantico e soprannaturale u come espressione di realtà » (Coleridge). I1 tentativo d i evasione dalla piatta e formalistica vita sociale e da un puritanesimo per molti divenuto esteriore, portava verso i1 fantastico e simbolico » colorito d i realtà storica (W. Scott), verso la negazione passionale e frenetica (Byron), verso l a idealizzazione mistica (Shelley), verso l'estetismo (Keats), o l'apocalittismo
(Coleridge), o il criticismo moralistico del Sartor Resartus del ,Carlyle della prima maniera. I1 fondo religioso si perdeva nell'eccesso degli elementi estetici, filosofici e passionali, che vi fermentavano; I'Apostolic Church di Coleridge non aveva base; Emerson veniva dall'America a portare una parola spirituale di elevazione. I n quel periodo si sviluppa il movimento di Oxford con Pusey, Keble e Newman, come un vero soffio di spiritualità, una reviviscenza religiosa, che, senza confondersi, entra ancli'essa nello spirito romantico del tempo e si cattolicizza. Newman passa di fatto a l cattolicesimo e ne è per molti anni il leader intellettuale e morale. Anche da parte protestante si ha lo sviluppo di quel movimento ritualista e dogmaticizzante che fu detto anglo-cattolico. I n Italia due grandi romantici, fra una larga schiera d i scrittori, attirarono l'attenzione generale; essi influirono enormemente sul pensiero e l'indirizzo del risorgimento: Alessandro Manzoni e Giuseppe Mazzini. I1 prima arrivò ad esprimere il romanticismo cattolico e politico, il più sano, equilibrato ed elevato che si possa concepire, con opere di genio quali i Promessi sposi, le Tragedie e gl'lnni sacri. L'altro concepiva una nuova religione sintetizzata dal motto « D i o e popolo D, una specie d i teocrazia popolare, dove il popolo esprime e attua i l volere divino; tale religione per lui non era avulsa dalla storia, ma era la continuazione storica del cristianesimo, secondo il moto d i progresso indefinito della umanità, che deve arrivare a formare una famiglia d i tutte le nazioni. I principi di libertà e d i nazionalità sono strettamente legati con la riforma individuale etica e l'affratellamento umano, tutti derivanti da Dio e dalla idea divina, misticamente vivificati. Quello di Mazzini fu una specie di profetismo laico dove, insieme ad intuizioni geniali e a convinzioni profonde, si hanno contraddizioni insanabili ed incomprensioni storiche e religiose dovute al suo anti-cattolicesimo. Ma l'influsso di Mazzini venne principalmente dalla sua personalità che faceva delle sue idee la leva dei più ardenti sentimenti etici e politici. Del pensiero romantico liberale veniva impregnandosi la vita politica e sociale. Due le grandi correnti di riforma: una liberale delle classi borghesi, l'altra collettivista o comunista o so-
cialista delle classi operaie. I1 primo movimento aspira a prendere le leve d i comando dello stato, l'altro a trasformare le condizioni economiche del lavoro. Ambedue si sviluppano con idee più o meno utopistiche e con teorie improvvisate, per arrivare - prima il movimento liberale e poi il movimento operaio attraverso varie esperienze e convulsioni sociali, a risultati concreti. La classe borghese, vedendo l'irrequietezza delle classi operaie e ricordando gli scatenamenti delle folle durante la rivoluzione, cercava di limitare la portata della cosidetta sovranità popolare, pur avendo bisogno di poggiarsi su di essa per potere correggere la sovranità dei monarchi. Beniamino Constant (17671830) fu il teorico del costituzionalismo liberale Gancese e le sue teorie passarono le frontiere. Egli aveva combattuto, sotto Napoleone, la sovranità popolare che serviva a giustificare il potere dit-tatoriale, con il ripiego della delega del potere avuia dal popolo. Dopo i l 1814, egli sostenne che la base teorica del potere era veramente la sovranità popolare, intesa però, non come una sovranità operante in atto, sì bene come fonte di potere; nessuno potrebbe arrogarsi la sovranità se non la riceve dal popolo o come suo delegato (il deputato al parlamento) e come suo alto rappresentante (il monarca). Beniamino Constant ha cura d i lirnitare la portata del potere politico: esso non è una totalità sociale, i diritti individuali lo limitano; questi debbono valere contro ogni sovranità che li violi, sia quella del popolo, sia quella del sovrano. Onde, alla divisione dei poteri (teoria d i Montesquieu) si deve aggiungere il principio inglese della separazione del potere regio da quello dei ministri. La formula fu fissata da Thiers nel 1830 con la celebre frase: il re regna e non governa. Come il popolo è sovrano e non governa e la sua sovranità si esprime nei comizi elettorali, nei plebisciti, nei referendum, così il monarca ( o presidente) diviene il simbolo dello stato, l'elemento equilibrante i poteri divisi in legislativo, esecutivo e giudiziario, l'elemento attivo nelle crisi della vita pubblica; ma egli è al d i sopra della responsabilità politica, di cui sono investiti i ministri che rispondono allo stesso tempo a lui e al popolo, rappresentato dal parlamento o chiamato nei comizi elettorali.
Luigi Filippo, nell'emanare la nuova carta del 1830, alle parole « r e per grazia di Dio D aggiunse « e per volontà della nazione n. Così cadde la teoria legittimista e trionfò quella contrattualista. Nella costituzione belga non fu posta la frase « per grazia di Dio », non perchè si volesse disconoscere l'autorità d i Dio, ma perchè nessuna casa regnante poteva rivendicare un diritto storico (che si presentasse come una missione ricevuta d i Dio); solo i rappresentanti del popolo belga sceglievano la nuova monarchia. Tanto nella Francia di Luigi Filippo quanto nel Belgio indipendente come nell'Inghilterra di Guglielmo IV, e là dove esistevano parlamenti, la base costituzionale era data dalle classi censitarie più o meno largamente valutate; era una élite che rappresentava il popolo; le classi lavoratrici non avevano i diritti politici, e l e loro agitazioni sociali vagavano fra gli esperimenti di utopisti e d i teorici come Saint Simon, Fournier e Robert Owen, o fra le iniziative umanitarie e pratiche come fratellanze operaie, mutui soccorsi e altre associazioni educative che rispondevano agl'ideali di Mazzini, ovvero tentativi di movimenti rivoluzionari ai quali Iiarl Marx dava il suo profetismo teorico e pratico. Fra le due ali, la liberale conservatrice e l'operaia rivoluzionaria, si andava inserendo la corrente democratica. Tocqueville, nella sua Démocratie en Amérique, cercò d i dimostrare alla borghesia francese -. che ancora aveva vivi i ricordi della costitutuente e del direttori0 e che già presentiva il movimento delle masse operaie - ch'era possibile organizzare una democrazia su basi razionali, senza cadere nell'anarchia o nella tirannide. La democrazia, per essere un governo vitale, deve realizzarsi in regime di libertà; allora la dialettica dei partiti, quali in Inghilterra, sarà efficace, atta ad evitare la demagogia della folla. Un partito non s'improvvisa, è di lenta formazione, raccoglie forze mano a mano che si alimenta delle aspirazioni, degli interessi e dei bisogni di gruppi, famiglie e correnti, ch'esso esprime sul terreno politico, elettorale e parlamentare. Solo così un partito sopravvive ai colpi di fortuna, crea una tradizione, s'inserisce nella vita dello stato liberale-democratico. L'idea d i partito faceva spavento a molti, sembrava loro la condensazione
delle malvage aspirazioni di dominio, mezzo di divisione del paese; l'abate Rosmini, che auspicava un'Italia libera, voleva esclusi i partiti dalla sua costituzione ideale, come Platone voleva esclusi i poeti dalla sua repubblica. Ma la realtà vince i pregiudizi ; dagl'ideoli politici, religiosi, sociali, vengono create correnti diverse e forze in conflitto le quali, per esprimersi sul terreno politico, hanno bisogno di partiti. Più questi sono bene organizzati e meglio rispondono a quella mediazione organica fra l'individuo e lo stato, ch'è una necessità sociologica. La democrazia moderna parte da una concezione ugualitaria individualista ; i l regime di libertà è poggiato sulla libera espressione della volontà popolare. L'individuo isolato non avrebbe alcuna potenzialità per far valere i propri bisogni; la volontà popolare non potrebbe arrivare ad esprimersi come totalità O maggioranza se non passando per diversi stadi della sua formazione. Se questi sono fissati a priori, meccanicizzati, senza una sufficiente elasticità, non rispondono alla mobilità popolare e possono dar luogo a delle forti crisi; lo stesso è dei partiti quando divengono consorterie chiuse o rigidi direttori. Al contrario, nella rivoluzione francese, mancava i l partito organizzato, era rapido e fazioso il movimento dei clubs, dei gruppi, dei comizi; non poteva non degenerare in anarchia e in tirannia. I1 1848 fu in Europa l'anno storico dei moti rivoluzionari, quasi dappertutto. Dal 1830 in poi le agitazioni, le congiure, le rivolte non erano qua e là mancate a segnare l'inquietudine dei popoli e l'instabilità dei governi e delle monarchie. L'Inghilterra aveva superato tanto l'agitazione delle classi medie che ottennero la legge elettorale con la vittoria dei Whigs nel 1832, quanto la campagna dei Chartists (1835-41) che non riuscirono ad ottenere il suffragio universale da essi domandato. Ma il malumore operaio rimaneva vivo, e si alimentava delle notizie del continente. L'America, che si era separata dall'Europa, aveva con la dot:rina C i Monroe segnato il suo diritto e la sua volontà di difendersi di fronte a possibili rivendicazioni; allo stesso tempo, l'Europa della restaurazione segnava la sua disfatta. L'indipendenza della nazionalità, dove non è ancora conquistata (come in Grecia), viene proclamata, voluta, rivendicata; dove non vi sono costituzioni, queste vengono ottenute o strappate con
le rivolte. I n Francia cade la monarchia ed è proclamata la seconda repubblica democratica. Dappertutto i moti politici e sociali si affermano con originalità di pensiero e vigore morale; in Francia, in Italia, in Germania la migliore storia, filosofia e poesia viene da uomini di queste correnti. Anche l'Inghilterra ha la sua reviviscenza cattolica ; ma non mancano simili movimenti presso i protestanti di tutti i paesi. Nello stesso 1848 si afferma il comunismo internazionale col celebre manifesto redatto da Karl Marx, nel quale si fissano tre punti fondamentali che daranno la base al movimento socialista internazionale: la lotta di classe quale realtà e storia della società; il capitale prodotto dal lavoro dei molti a favore di pochi privilegiati; l'abolizione della proprietà privata per fare sparire i conflitti di classe e le lotte fra nazioni. Ogni particolare movimento aveva le sue cause; non erano sullo stesso piano quelle politiche e quelle sociali; non si rassomigliavano affatto la guerra civile di Spagna, l'insurrezione della Polonia sotto la Russia, i moti nei vari stati d'Italia, la rivoluzione repubblicana di Francia. Ma dappertutto le aspirazioni alla libertà, l'esaltazione nazionale, i movimenti degli operai e gli ideali romantici si intrecciavano con i vari interessi dei singoli gruppi e popoli, sì da aversi un insieme tale da causare l'entusiasmo delle speranze e gli abbattimenti delle delusioni. I1 1848 non fu e non poteva essere un momento risolutivo; fu una scossa, un'affermazione, un monito; come tale segna una data storica indelebile, che marca ancora più fortemente il principio di nazionalità e indipendenza, i l sistema politico di libertà, le aspirazioni democratiche della borghesia e le rivendicazioni dei lavoratori.
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50. I movimenti dei cattolici basati sulle libertà civili e politiche, a favore delle indipendenze nazionali e per rivendicare allo stesso tempo le libertà religiose, venivano seguiti a Roma con un misto di favore e di preoccupazione. Mancava allora una visione d'insieme di carattere storico economico sociale; predominava naturalmente la preoccupazione degli interessi religiosi e il timore che le teorie tradizionali e la prassi cattolica venissero alterate da novità perniciose. Onde i vari movimenti
venivano giudicati nella loro individualità particolare. I1 primo storicamente fu l'irlandese: la rivendicazione della libertà religiosa, in nome dei diritti civili, sostenuta da O'Connell, rispondeva a l civis romanus sum di san Paolo; e benchè Roma inclinasse, nella nomina dei vescovi irlandesi, a concedere a l governo inglese una tal quale ingerenza che fu detta impropriamente veto, pure seguì con favore crescente la forte campagna d i O'Connell poggiata sul motto u Dio e libertà ». La parola libertà suonava diversa di qua e d i là della Manica, e quindi si ripercuoteva con diverso timbro sulle rive del Tevere, tanto più diverso in quanto le risonanze locali presso vescovi e cattolici tradizionali avevano piani di rifrazione di carattere tutto proprio. In Francia Lamennais, lasciato il rnonarchismo tradizionale, aveva ripreso i l motto d i O'Connell, messo in testa a l suo giornale I'Avenir; in esso i giovani Lacordaire e Montalembert erano alle loro prime armi in una lotta ingaggiata a fondo contro gli avversari della chiesa e contro gli avversari della libertà. Fra questi ultimi erano molti del clero, sia il gallicaneggiante legato al potere tradizionale, che mal vedeva la monarchia di luglio ed era perciò mal disposto verso Roma che aveva riconosciuto quale re quello che per essi era l'usurpatore Luigi Filippo d i Orléans; sia anche il clero ultramontano, che menava la lotta antirivoluzionaria e antiliberale d'accordo con i gesuiti. Lamennais aveva scritto, rivolgendosi a quel clero: « Voi tremate dinnanzi a l liberalismo; cattolicizzatelo e la società rinascerà N. L9Avenir aveva accettato la monarchia di luglio, ma domandava il riconoscimento della libertà religiosa da parte del governo che aveva atteggiamenti gallicaneggianti; preferiva perciò il distacco della chiesa dallo stato, l'abolizione di rutti i legami giurisdizionali e combatteva la troppo pregiudizievole e incomoda alleanza del trono con l'altare. La formula montalembertiana di libera chiesa nello stato libero precorse quella cavouriana. 11 giovane Montalembert si era affermato vigorosamente al senato quale pari d i Francia, nella questione della libertà d i iiisegnamento, questione che allora era divenuta una delle più gravi fra quelle che furono agitate in Francia e poi nel Belgio; il suo discorso fu uno di quei successi che segnano una data. Egli aveva conchiuso: a I o gioirò tutta la vita di avere potuto consacrare i
primi accenti della mia voce a domandare per la mia patria l a sola libertà che possa rafforzarla e rinvigorirla. E gioirò parimenti sempre di aver potuto rendere testimonianza nella mia gioventù al Dio della mia infanzia. D. Roma, che aveva accolto con entusiasmo l'emancipazione dei cattolici in Inghilterra e in Irlanda in nome della libertà; che si era compiaciuta del distacco del cattolico Belgio dalla protestante Olanda, sia pure attraverso una rivoluzione, e che d'altro lato non aveva approvato l'insurrezione dei cattolici polacchi contro la Russia, si preoccupava assai della campagna condotta dall'dvenir; tanto più che non mancavano da parte del governo di Parigi e da parte di vescovi, reclami e rimostranze presso la S. Sede, anche per la vivacità delle polemiche giornalistiche. Prima di allora Lamennais, giovane ultramontano, era stato i n alta considerazione a Roma e la sua attività era stata seguita come quella di un apostolo. La successiva fase liberale disorientava parecchi; il padre Gioacchino Ventura, filosofo, oratore e uomo politico, già noto come liberale e in relazione con Lamennais, già aveva avvertito che a Roma la campagna per la libertà sembrava eccessiva. I n queste circostanze, la decisione presa da Lamennais di andare a Roma e rimettere al papa la decisione se 17Avenirdovesse o no continuare, fu inopportuna e imprudente. O'Connell prima, Windthorst dopo, evitarono simili ricorsi, che impacciano I'autorità e non favoriscono l'iniziativa audace e particolare, confondendone le responsabilità e aggrovigliandone le situazioni. I tre (C pellegrini della libertà n, come furono chiamati Lamennais, Lacordaire e Montalembert, si recarono a Roma nel 1832 e hrono ricevuti benevolmente da Gregorio XVI; tosto si awidero che il mondo romano non era quello d i Parigi, e che i problemi vi erano visti in u n modo diverso e sotto aspetti più caratteristici. La fiducia d i un'approvazione si cambiò nel timore d i una sconfessione. I1 15 agosto 1832 il papa pubblicò Z'enciclica Mirari vos, che suonava in sostanza una condanna delle tesi sostenute da l'dvenir. L'atto di Gregorio XVI era nella linea tradizionale della chiesa cattolica, e voleva essere un'affermazione generale della dottrina con chiari riferimenti (senza però nominare alcuno) alle tesi sostenute da Lamennais e altri, e in generale alle tesi di coloro che
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più tardi furono detti cattolici liberali. Gregorio prende l'idea d i libertà nel suo lato negativo, come abolizione di ogni legame e freno, e l'applica alla disciplina ecclesiastica, al matrimonio, all'ordine civile e politico, ai rapporti tra stato e chiesa. Egli fa derivare la libertà di coscienza dall'indifferentismo, il quale non fa discriminazione fra errore e verità; donde (egli aggiunge) « la ricerca della libertà assoluta e senza freno D. Altrove dice « una libertà che osa tutto D o u la libertà più sfrenata n. Nei documenti papali non si parla mai contro la libertà in genere, ma contro la libertà qualificata in questo o in altro simile modo. Gregorio, pur nel chiamarla senza freni, si riferiva alla libertà che allora i liberali rivendicavano e della quale erano sostenitori smza riserve Lamennais e gli altri. Dirigendosi a coloro i quali sostenevano che la libertà di stampa sarebbe giovata alla stessa verità che poteva essere difesa e propagata più facilmente e senza ostacoli civili, Gregorio, dopo aver chiamato tale libertà « la più funesta ed esecrabile », si appella alla tradizione della chiesa primitiva, ai concili Lateranense V e Tridentino, per riaffermare il diritto della chiesa a censurare i libri e le stampe e impedirne la diffusione. L'altra tesi d i Lamennais, la separazione dello stato dalla chiesa, è trattata dal papa assai nettamente; egli nega che essa sia utile all'uno e all'altra e riafferma la necessità e i l dovere della più stretta concordia che (egli soggiunge) è stata sempre così salutare e così felice per l'uno e per l'altra. Precedentemente aveva condannato le dottrine che scuotono la fedeltà e la sottomissione dovuta ai principi accendendo dappertutto le fiaccole della sedizione, ed aveva inculcato il dovere di ubbidienza ai poteri stabiliti da Dio. (C Les droits divins et humains s'élevent donc contre les hommes qui, par les manoeuvres les plus noires de la revolte et de la sédition s'efforcent de detruire la fidelité due aux princes et de les renverser de leurs trones D. L'ala conservatrice accolse le parole del papa con sollievo; i « pellegrini della libertà a, ch'erano a Bfonaco d i Baviera (centro della corrente romantico-liberale dei cattolici tedeschi), pur non nascondendo il turbamento d'animo, si sottoposero e cessarono la pubblicazione de I'Avenir ; i loro avversari giubilarono gridando vittoria. Purtroppo, Lamennais defezionò e lasciò la
chiesa. Les paroles d'un croyant manifestarono la sua intima tragedia, la quale ebbe principale origine da una falsa nozione dei problemi contingenti; egli inclinava a trasportare il relativo nell'assoluto. Lamennais credette prima che il principio monarchico, dovesse salvare la Francia e la società, e ne fu il gran sostenitore ; quando vide che nè Napoleone nè la restaurazione avevano avuto la possibilità di adempiere a tale compito, si rivolse a Roma, al papa di De Maistre, che doveva restaurare la società sconquassata ; idea generosa, ma concepita ibridamente, confondendo il piano religioso con quello politico, il piano soprannaturale e mistico con quello naturale e realistico, non differenziando la virtù intima del cristianesimo e del papato dagli atteggiamenti umani del-. la politica dei papi: una specie d i teocrazia irrealizzabile. La Roma ideale e cristiana cozzò in lui con la Roma terrena, quale la vide col suo spirito critico e disilluso, e la lasciò. Ricorse al popolo; la democrazia £u la sua terza visione; ad essa domandò la virtù palingenetica che non trovò nel principio monarchico e nella politica di Koma; e fallì la terza volta domandando quel che l'umano, il contingente, lo storico non poteva dare. L'enciclica d i Gregario XVI, occasionata da fatti politici, non era ispirata a idee politiche contingenti, e sul terreno politico non contribuì molto ad arrestare il moto verso la libertà. Essa doveva servire di orientamento ai cattolici nel guardare quei problemi dal punto di vista etico-religioso-tradizionale. Come era naturale, i cattolici mantennero le loro divisioni nel campo politico e sociale. I tradizionalisti si legarono ancora di più alle forme assolutiste e alle monarchie reazionarie ; i cattolici detti liberali furono più cauti nel parlare e nello scrivere, evitarono di confondere la propria filosofia con quella dei liberali, studiarono meglio i problemi costituzionali e sociali, subirono con pazienza e umiltà i colpi che venivano dall'alto, come quel generoso padre Ventura, allora generale dei Teatini, che scontò l'amicizia mal pagata di Lamennais con l'allontanamento da Roma (si rifugiò a Modena presso quel duca); richiamato poi, gli fu perfino vietato di continuare i suoi diletti studi di filosofia ; e l'altro grande, l'abate Rosmini, che si sottopose subito al decreto dell'indice condannante ii suo opuscolo: Le cinque piaghe della Chiesa. Una pausa, una fase di scoraggiamento, di riflessione. Gli avve-
nimenti portavano verso il moto liberale; i cattolici vi erano interessati ed era impossibile abbandonare i problemi di libertà reli. giosa, scolastica, politica e sociale in mano ai nemici della chiesa, e restare fissi nella difesa dell'autorità. Schiere d i scrittori cattolici, storici, pensatori, politici, contribuivano a l nuovo orientamento. Solo in Italia, a i nomi famosi d i Manzoni, Rosmini, Gioberti, Ventura e Pellico, si univano quelli di Nicolò Tommaseo, di Cesare Balbo, di Cesare Cantù, di Carlo Troya, del Padre Tosti e altri ancora. Quivi il problema dell'unità politica, e dell'indipendenza dal17Austria si univa a quello della libertà. La corrente che poi fu detta « neo-guelfa avrebbe voluto un'Italia confederata con a capo il papa. Gregorio XVI credeva che con il rigore si potessero frenare i movimenti politici; mentre Vienna vegliava a che in Italia non s'infiltrassero le idee nuove e ne venissero colpiti i fautori, specialmente cattolici e preti. Mentre in Italia maturava il problema nazionale, e il neoguelfismo dei cattolici vi contribuiva, preparando l'atmosfera per l'indipendenza e l'unità d'Italia (furono nel 1843 pubblicati il Primato morale e civile degli italiani di Gioberti e Le Speranze d'Italia di Cesare Balbo); in Francia i cattolici, con a capo Montalembert, combattevano per la libertà scolastica e difendevano i gesuiti minacciati d i una nuova espulsione. La restaurazione aveva ereditato da Napoleone il monopolio scolastico organizzato e diretto dallo stato ; mons. Frassinous, eletto gran maestro dell'università, aveva accentuato tale monopolio con il motto « pour Dieu et pour l e roi D; Lamennais si era posto in urto con il potente monsignore che tendeva a imporre le idee gallicane delle quali era iìnbevuto. I1 primo discorso di Montalembert alla camera dei pari era stato sulla libertà d'insegnamento. Nel 1840 il ministro Villemain sottopose i seminari al più stretto controllo statale, il che urtò i vescovi i quali protestarono mettendosi sul terreno del diritto canonico. Montalembert portò la lotta sul terreno politico della libertà non solo per i seminari, ma per tutto l'insegnamento dei collegi e delle scuole, incitando i cattolici a organizzarsi e lottare. I n un opuscolo che ebbe grande risonanza egli scriveva: « i cattolici non hanno nulla da sperare nè dalla camera nè dalla corona. Da troppo tempo essi hanno preso l'abitudine di contare su tutti tranne che su stessi » e aggiungeva: u per noi cattolici
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c h e in tanti stati moderni siamo in minoranza e che, anche dove siamo in maggioranza, non abbiamo da essa nè i diritti nè la forza, la libertà di stampa è u n bisogno di primordine. Essa è la libertà di critica; la critica è la leva che rovescia le mura delle eittadelle e delle prigioni D. I1 governo e gli pseudo-liberali della monarchia d i luglio reagirono. Le Journal des Debats scriveva: « è vero che la carta prospetta la libertà d'insegnamento, ma la carta è stata fatta non per essi (cattolici) nè da essi, ma contro d i essi ».Ai Montalembert, Ozanam, Lacordaire, Froisset, Veuillot, de Parisiis, Dupanloup, che lottavano e incitavano i vescovi a farsi valere, la stampa avversaria opponeva i motivi d i ubbidienza, sottomissione alle leggi, rispetto all'autorità, che i cattolici dovrebbero inculcare, secondo le encicliche papali. E quando si accorsero che in bocca loro questi argomenti suonavano falso, Villemain nel 1844 propose addirittura un progetto di riforma scolastica, che aumentava le catene del monopolio mentre si scatenava l'offensiva anticlericale con i processi. Reagì Montalembert con un potente discorso in cui fece suo il motto dei polacchi contro Caterina 11: « noi amiamo la libertà più di ogni cosa al mondo e la religione più della libertà », aggiungendo: (( noi non cospiriamo, noi viviamo alla luce delle libertà costituzionali e la libertà è i l nostro sole, che nessuno deve sottrarci n. La legge antiliberale fu approvata, benchè non con quella maggioranza che il governo si aspettava. Lamartine ebbe a dire: « Cosa strana: da cinquant'anni noi avevamo dato la libertà a tutti, escluso Dio » ! Questa lotta completava quel che dal 1830 si era andato maturando, e che l'dvenir aveva sostenuto in forma assoluta (il che fu suo errore): il distacco della chiesa d i Francia dai legami con la monarchia. Nel 1838 Federico Ozanam (i1 generoso fondatore delle conferenze d i S. Vincenzo de' Paoli, diffuse ora in tutto il mondo, compresi i paesi di missione) poteva scrivere in una lettera, antiveggendo: « Pour nous Francais, esclaves des mots, une grande chose est faite: la séparation de deux grands mots qui semblent inséparables, le tr6ne et I'autel n. I1 che corrispondeva all'altra affermazione d i Dupanloup, fatta in una lettera alla principessa Borghese ( 2 nov. 1843): « Le Gallicanisme se meurt infalliblement, il n'y a pas huit éveques gallicans moderés en France D.
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I1 16 giugno 1846 Pio IX veniva eletto papa; l'entusiasmo fu enorme in Italia e in Europa; e insieme a giuste speranze, vi fu un eccesso romantico, dovuto all'atmosfera del tempo. I liberali antireligiosi, o poco religiosi, furono più entusiasti degli altri. Guizot salutò « Pie IX accomplissant la réconciliation de 1'Eglise catholique avec la societé moderne ». Certo, più che qualche cosa era cambiato nell'orientamente dei cattolici e del papato; i l tentativo di conciliare la libertà alla chiesa era lo sforzo degli uni, mentre gli altri pretendevano conciliare la chiesa alla libertà quale da loro concepita. I1 padre Ventura, ch'era andato a rivedere i suoi nella sua Sicilia e vi era rimasto per una frattura del braccio, fu richiamato subito a Roma e divenne il consigliere politico fidato e intimo di Pio IX. Egli fu incaricato di esporre le idee cattoliche sulla libertà e lo fece con due discorsi a Sant'Andrea della Valle prendendo occasione dall'elogio di O' Connell, il 28 e 30 giugno 1847. I suoi discorsi erano. stati rivisti dal papa, e potevano essere presi come pensiero autorizzato, benchè i gesuiti della chiesa del Gesù (che rivalizzavano con la vicina S. Andrea della Valle dei Teatini) ne avessero fatto una critica abbastanza forte in una pubblica predica. Il padre Ventura, vivendo in periodo rivoluzionario, segna l a prima distinzione: resistenza attiva no, resistenza passiva si; l a prima è per lui la rivolta violenta all'oppressione: « Ma il dramma dell'oppressione è quasi sempre lo stesso. Lo schiavo divieai tiranno, e tiranno lo schiavo n. L'altra, accompagnata da quella ch'egli chiama obbedienza attiva, è per lui la resistenza alle leggi contrarie a Dio e alla coscienza, e il lavoro di trasformazione morale e politica dello stato: « L'insegnamento cattolico non proscrive l'azione. Nel vietare che si resista con la forza, non proibisce che si reclami per le vie della legalità e della giustizia D. Questi principi sono per il padre Ventura la base necessaria della libertà; egli aggiungeva, con un certo volo lirico, che fu la chiesa a sostenere la libertà metafisica dell'anima, quella domestica della donna, quella civile degli schiavi e iloti: « così solo la chiesa potrà proclamare la libertà politica, fissando i veri, i giusti limiti dell'ubbidienza e del comando, i veri e giusti diritti, i veri e giusti doveri del popolo e del principato D. Quindi abborda il tema della libertà di coscienza; nel senso assoluto essa ;t
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.certo indifferentismo, empietà e negazione della rivelazione divina; ma nel senso relativo, cr cioè, rispetto alla potestà civile, <he non ha avuto da Dio la missione di predicare e d'interpretare il Vangelo, è un principio cattolico, che la chiesa ha professato, ha difeso ».Che dire allora dell'unione dell'altare e del trono? Che abbiano collaborato insieme per il bene comune e che lo possano ancora, è giusto pensarlo, ma sarebbe gravissimo errore pensare che caduto il trono per ciò stesso debba cadere l'altare; sarebbe far dipendere la fede del popolo « dal buono o reo volere del principe » ciò che sarebbe, con le sue parole, voler distrutto fin l'ultimo vestigio della dignità umana ».I discorsi di padre Ventura varcarono le frontiere e furono per qualche anno la parola più autorevole presso i cattolici d'Europa che allora guardavano a Roma nella speranza dei più grandi avvenimenti che la storia abbia avuto. Tornava per essi un medioevo ingentilito e rifatto a rigenerare l'Europa moderna. Nel 1848 l'insurrezione italiana si fece al grido di Viva Pio IX, così come in Francia i preti benedicevano gli alberi della libertà, e la seconda repubblica nacque con la partecipazione dei cattolici. I n Germania fu l'abate Ketteler che rivendicò la libertà a nome della chiesa. « Le libéralisme de 1848 (egli scriveva pochi anni dopo) était une déclaration de guerre au vieux despotisme né du XVIe siècle et repandu sur toute 1'Europe. I1 combattait loyalement pour la liberté de tous. I1 n'avait, il est vrai, qu'une idée imparfaite de la vraie liberté... le jeune libéralisme de 1848 avait l'honneteté de reconnaitre la liberté de l'église ».(Das Kulturkampf in La lutte religieuse en Allemagne). L'idillio d i libertà e chiesa, come impostato nel periodo romantico del 1848, finì presto. L'esperimento della politica liberale d i Pio IX non fu felice per una serie di difficoltà pratiche interne e internazionali, che non potevano essere risolte senza uomini adatti, visione sicura, decisione rapida. La guerra nazionale contro l'Austria non poteva essere voluta da Pio IX; nè egli poteva compromettere i diritti del papato alla sua indipendenza religiosa per una situazione nella quale la sua sovranità restava puramente nominale e poteva essere del tutto soppressa. Oggi a distanza d i tempo possiamo dire che fu mal consigliata la sua fiiga a Gaeta, e ancora più il suo ritorno a Roma con le armi francesi.
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Allora gli avvenimenti incalzavano, e la politica internazionale premeva sulle decisioni. I cattolici di tutti i paesi, specialmente di Francia, furono commossi dagli avvenimenti di Roma, tanto più in quanto Pio IX era divenuto in due anni l'uomo più popolare del mondo. Col cambiamento di orientamento politico, chesegue alla repressione dei moti del 1848 in tutte le capitali d'Europa (meno Torino), compresa per ultima la Francia col colpo d i stato del 1852, vien fatta una revisione del problema della libertà. e del sistema che aveva preso il nome di liberalismo.
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51. Che cosa s'intendesse precisamente per liberalismo D,. a favore e contro il quale si combatteva così accanitamente fra la prima e la seconda metà del secolo XIX, non può facilmente dirsi, perchè tanto coloro che lo sostenevano quanto quelli che lo com-battevano, erano trascinati dalle teorie, dai pregiudizi e dagli avvenimenti, a complicarne i l significato. Del resto, così avviene sempre di tutte quelle parole che in dati periodi storici sono coniate a indicare una tendenza, un ideale e un sistema da realizzare. I n Inghilterra il liberalismo si presenta anzitutto sotto l'aspetto economico. The Petition of Merchants del 1820 è una specie di catechismo dell'economia. La libertà commerciale vi è rivendicata i n tutta la sua larghezza, contro ogni sistema d i vincoli e privilegi, ch'era la tradizione ancora vigente in tutti i paesi, La libertà fu rivendicata non solo nel commercio, ma in tutto il campo economico della produzione e del lavoro. Non più corporazioni miste d i operai e padroni, nè libere associazioni d'operai, non prezzi di mercato, non tariffe doganali, non metodi protettivi; tutto doveva essere libero e lasciato alla iniziativa privata. Cobden e la scuola di Manchester esprimevano un momento necessario nel passaggio dalla piccola alla grande industria, dal commercio monopolizzato al commercio libero. L'opposizione conservatrice non se ne rese conto, e fu sopraffatta dalla combattività dei primi liberali (noi diciamo liberisti); nel 1846 il parlamento. inglese vota l'abolizione del dazio sul grano e inizia l a grande politica del libero scambio. I1 liberalismo economico conteneva in sè il suo terribile awersario, il socialismo dell'operaio, che andava divenendo quel che fu chiamato proletario in opposizione a proprietario. L'abolizio-
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ne del sistema corporativo era stata resa necessaria dall'anchilosamento delle gilde, le quali del resto di loro natura erano adatte all'artigianato e all'industria casalinga, non mai alla grande industria. Era impossibile che sopravvivessero dato il bisogno di riforme economiche più adatte al nuovo ritmo. Ma l'operaio isolato di fronte al padrone diveniva una semplice merce, da offrirsi sul mercato sotto l'impero della concorrenza; salari bassi, ore di lavoro prolungate e notturne, abuso del lavoro di donne e fanciulli, disoccupazione, abitazioni insufficienti, agglomerazione nelle sale di lavoro, ne furono le conseguenze immediate; la reazione non poteva mancare. La libertàhvocata dai padroni non era divisibile dalla libertà invocata dagli operai contro la scuola di Manchester. L'operaio prese parte a l movimento Chartista, accettando, per le sue rivendicazioni, il terreno politico offerto dalla C( Carta del Popolo D, la quale domandava il suffragio universale e i parlamenti annuali. I1 Chartismo non ebbe successo; gli operai, per ottenere il riconoscimento dei propri diritti, si sarebbero dovuti riunire in proprie associazioni sul duplice terreno economico e politico. Onde occorreva u n compromesso fra le teorie liberali e l'intervento di stato; liberale in quanto gli operai reclamavano il diritto di libera associazione, interventista in quanto domandavano allo stato legale protezione contro gli abusi della libertà economica. Negli Stati Uniti d'America i l problema dell'economia liberale veniva complicato da quello della schiavitù dei negri, che ancora resisteva alla propaganda antischiavista. Gli stati del sud invocavano per i bianchi la libertà di tenere gli schiavi e non mancavano i facili teorici a dichiarare la schiavitù non essere contraria al diritto naturale nè alla legge cristiana. Ci fu un momento che, in nome della libertà, l'Inghilterra stava per entrare nel conflitto a favore degli stati del sud, i quali resistevano con le armi alla esecuzione con la forza dell'dct of Abolition. Fortunatamente Gladstone e altri compresero che la libertà di mantenere i negri in schiavitù non poteva invocarsi, così come non poteva invocarsi la libertà di far lavorare sedici ore al giorno gli operai inglesi; nè (come si era fatto) si poteva invocare la libertà per obbligare il governo cinese a lasciar libero il commercio dell'oppio. Mentre i l liberalismo inglese si affermava nel suo aspetto eco-
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Chiesa e stato
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nomico e trionfava delle varie opposizioni, pur cercando d i contenere il fermento operaio e d i limitare l'intervento statale, in Francia il liberalismo si affermava sotto l'aspetto politico, come sistema di garanzia della classe borghese di fronte alla monarchia, come svincolo delle imposizioni e dei privilegi della chiesa, come mezzo di tutela dei propri interessi. I1 diritto di proprietà , nel carattere individualistico fissato dal codice napoleonico, era al centro della concezione politico-economica del liberalismo francese: donde il suffragio limitato ai censitari, la ferrea disciplina contro il diritto di associazione degli operai e la resistenza alle loro rivendicazioni, il monopolio di stato dell'insegnamento e il giurisdizionalismo ecclesiastico airermato contro il movimento dei cattolici liberali e degli ultramontani. La caduta della monarchia di luglio, la proclamazione della seconda repubblica democratica, patrocinata dai cattolici, il suffragio universale, le rivolte operaie, la nomina d i Luigi Bonaparte a presidente ne furono le logiche conseguenze. Come il liberalismo economico non aveva carattere assoluto, ma era solo una delle fasi transitorie e alternate della economia moderna fra l'iniziativa privata e l'intervento statale; cosÏ neppure il liberalismo politico aveva carattere assoluto. Dato il diritto al voto, perchè limitarlo ai proprietari? perchè s d o agli uomini e non alle donne? Ammessa la facoltà di costituire dei partiti politici (cosa che non poteva essere impedita se non nagando la libertà di voto) perchè e come impedire che si formassero partiti operai? I1 liberalismo economico appellava il sindacato operaio; il liberalismo politico appellava i partiti del lavoro. Fino a che la borghesia negò l'uno e l'altro, ebbe a soffrire le sollevazioni delle masse, i moti anarchici, ovvero dovette rinunziare ai vantaggi della libertà cercandosi un dittatore. I1 colpo di stato del 1852 i n Francia fu una rivoluzione borghese, mentre in I n ghilterra il governo alternato di conservatori e di liberali segui la linea della resistenza e del compromesso con la classe operaia. Neanche il liberalismo etico poteva resistere alla prova se veniva concepito in linea assoluta. La libertà di parola e d i stampa non poteva arrivare fino all'apologia del reato, alla propaganda oscena ed empia, alla diffamazione privata che contrasta il fondamento della vita associata. Si riconosceva la necessità dei limiti
dati per legge perchè l'autolimitazione non poteva essere la condotta d i tutti i cittadini, nè la educazione pubblica poteva tenere a freno gli ex-lege. Leggi preventive o repressive? I1 liberalismo teorico ammetteva solo leggi repressive; i governi del tempo esperimentavano vari sistemi dando luogo ad un continuo succedersi di leggi e decreti sulla stampa. Gl'intenti non erano sempre a scopo etico ; nella maggior parte dei casi, erano a scopo politico o di parte, per garantire il governo in carica e per proteggere la borghesia contro il proletariato, i conservatori contro i radicali, gli anticlericali contro i clericali. Anche il liberalismo religioso, proclamato dallo stato laico con la separazione dello stato dalla chiesa, non ha mai avuto un'attuazione completa e assoluta. Nonostante la restaurazione e le fasi successive di unione del trono con l'altare, non ostante il mantenimento delle chiese ufficiali, dei concordati, dei bilanci d i culto, lo stato nel secolo XIX non si allontana mai dall'ideale e dal contenuto di laicità.. La separazione legale o di fatto dello stato dalla chiesa è avvenuta in casi particolari per periodi parziali, spesso con carattere antireligioso o anticlericale; solo nell'America del Nord si è formata e mantenuta una separazione neutrale e rispettosa, con un fondo di idee cristiane ammesse dagli uomini politici, che in via generale non hanno mai nè rinnegato nè combattuto le loro chiese rispettive. Ma nel caso americano la separazione fu voluta insieme alla proclamazione della confederazione sotto i l regime di libertà di coscienza e di culto; i rapporti morali fra lo stato e le chiese prevalenti nei vari stati di allora non sono mai venuti meno, anzi hanno influito a mantenere un'atmosfera religiosa, che solo il positivismo filosofico e l'ateismo pratico, diffusi nella classe colta e tra emigrati europei, hanno potuto rendere meno efficiente. Storicamente il movimento liberale europeo ebbe nel secolo XIX tre caratteri; il primo negativo contro il sistema d i vincoli politici, economici e religiosi che derivavano dall'ancien régime, soprawissuti alla rivoluzione o ripresi con la restaurazione; il secondo politico di carattere pratico, per la partecipazione costituzionale dei cittadini alla vita dello stato e la limitazione e controllo del potere sovrano; il terzo teoretico, cercando la vera libertà individuale in una filosofia fondata sull'autonomia della
ragione dalla fede e della personalità umana da ogni potere eteronomo. L'uomo in virtù della libertà non solo acquista l'abito di determinarsi da sè, superando i legami che la vita pratica gl'impone, ma diviene autonomicamente autorità e legge a sè stesso, perchè esso si concepisce in forma universale. La chiesa cattolica e anche le altre chiese cristiane, limitatamente alle condizioni particolari di ciascuna, si opposero a l movimento liberale, tanto al negativo quanto al positivo o al teoretico. La chiesa cattolica più che le altre era contraria a l liberalismo negativo perchè colpita per esso nella sua struttura giuridica ed economica, con le leggi d i soppressione degli ordini religiosi, del privilegio del foro e delle competenze giuridiche dei vescovi, e di tutto quel complesso organico tradizionale riguardo il patrimonio ecclesiastico e i poteri papali, per i quali la chiesa lottava da due secoli. Si oppose anche a l liberalismo positivo politico, perchè si presentava come sovversivo dell'ordine stabilito e basato sopra l'esercizio di libertà quali quelle di coscienza, d i culto e d i stampa, ritenute anticattoliche o perniciose, e che implicassero premesse e teorie filosofiche e teologiche che la chiesa non poteva approvare. L'esperienza del 1848: e degli anni seguenti, dove le forme d i governo liberale rimasero in atto, come nel Piemonte fino all'unificazione dell'Italia, nella Francia fino al 1852, e altrove, con le varie vicissitudini dell'epoca, aveva reso Roma guardinga e sospettosa dello stesso movimento liberale dei cattolici e degli uomini, per citare i più noti, quali Padre Ventura (già andato in esilio in Francia per la parte da lui avuta sotto la repubblica romana nel 1849), Io stesso Rosmini, malvisto dai gesuiti per la sua filosofia e il suo preteso liberalismo, Montalembert, da cui Veuillot si staccò per seguire una linea sempe più antiliberale e intransigente. È l'epoca in cui i preti liberali delle province sottoposte al dominio austriaco vengono processati e condannati a morte, fra i quali celebri l'abate Tazzoli, professcre del seminario di Mantova, e Bartolomeo Grazioli, arciprete di Revere (1852-53). Gli awenimenti incalzavano; l'esperimento liberale era in atto, con tutte le difficoltà dell'ora; una parte di cattolici, ptir fedeli a Roma, ne sentivano insieme la necessità e il vantaggio
politico e religioso; i non conformisti o riformatori dei paesi protestanti, s'incanalavano in quel moto di libertà. Parecchi lo facevano per resistere all'ondata antireligiosa che portava con sì: un movimento d i origine razionalistica. L'anno 1859, che vide la pubblicazione dell'origin of Species di Darwin, vide anche quella del saggio di Mi11 On liberty. I1 problema religioso, che pareva a molti fosse divenuto trascurabile ed eliminato dal dibattito politico, ridiveniva centrale, o come presupposto o come finalità sia per i fedeli che per gli avversari. I n Francia e nel Belgio si presentò in modo acuto come questione della libertà scolastica; ma si sa bene che una libertà non è mai sola ;essa fa parte d i un sistema o non è libertà. In Svizzera, dove la guerra civile aveva dato la sconfitta al Sunderbund dei cantoni cattolici, la costituzione in senso unitario voluta dai radicali vincitori, diede motivo ai cattolici di affermarsi sul terreno delle libertà religiose e cantonali. Libertà volevano i cattolici d'Inghilterra e di Olanda per il ripristino della gerarchia episcopale; e quelli di Germania perchè i l clero fosse facoltato a sorvegliare l'insegnamento religioso nelle scuole, perchè fosse abolito il placet alla nomina dei vescovi e fossero ammessi i gesuiti e i redentoristi. I n Italia molti cattolici partecipavano a l moto per l'indipendenza dall'Austria e per l'unità nazionale. I1 neo-guelfismo con: federale era caduto, l'unificazione si voleva con la soppressione degli stati particolari; e i cattolici erano combattuti fra il iegi:timismo particolarista e l'ideale unitario. I1 problema per loro angoscioso era quello del potere temporale; riconoscevano il diritto del papa alla indipendenza, e non potevano conciliarla con l'idea di una Italia divisa in due tronconi. Intanto non mancavano nel parlamento subalpino cattolici che, pur accettando la base costituzionale dello stato moderno, cercavano di contenere l'a&clericalismo e anticattolicesimo che si andava sviluppando in italia. Uomini antiveggenti e degni del nome cattolico vi furono nei due parlamenti d i Torino (1848) e di Firenze (1861-70): fra i più noti Manzoni, Cantù, Balbo, i l siciliano barone Vito d'Ondcs Reggio, il filosofo Augusto Conti, Lampertico, Toscanelli e altri, che auspicavano l'intesa con il papato che portasse ad una uuiiìcazione religiosa con l'Italia una e libera. -
Ma mentre i cattolici attivi erano pochi e divisi, e la gerarchia ecclesiastica diffidava di tutte le forme di liberalismo, gli avvcrsari della chiesa, in tutti i paesi, aumentavano di numero e di audacia nel condurre la lotta sul terreno teologico, filosofico, scientifico, morale e politico. I cattolici reazionari ne traevano motivo per sostenere i poteri assoluti e l'uso dei mezzi repressivi; gli altri, i liberaleggianti e democratici, per una più coraggiosa azione di difesa e di conquista della libertà. A stabilire uua intesa e u n programma fra i cattolici di azione di tutti i paesi, fu promossa una riunione tenuta a Malines, nel Belgio, nell'agosto 1863;vi parteciparono fra gli altri mons. Manning d i Westminster (non ancora cardinale), fra i più convinti alti ecclesiastici impegnati nell'azione sociale. Vollero i promotori che fosse presente Montalembert, il quale, pur ammalato, ci andò. I: suoi due discorsi d i Malines si possono paragonare ai due discorsi del padre Ventura del 1847. Nel primo trattò del regime politico libero e della posizione dei cattolici: « La vita pubblica, questo glorioso appannaggio delle nazioni adulte, questo regime d i libertà e di responsabilità che insegna all'uomo l'arte d i confidare in sè e di controllarsi da sè, ecco ciò che manca, fuori del Belgio, ai cattolici moderni. Essi eccellono nella vita privata, ma soccombono nella vita pubblica. Essi sono senza tregua e dappertutto dominati, sorpassati, vinti o giocati dai loro emuli, dai loro antagonisti ed oppressori, siano increduli o protestanti, democratici o despoti ».Aggiunse in seguito: « La società nuova - la democrazia, per chiamarla con il suo nome - esiste: in una metà d7Euzopa essa è già sovrana; nell'altra lo sarà domani Io guardo dinnanzi a me e non vedo che ovunque democrazia Nel nuovo ordine i cattolici avranno da combattere, ma nulla da temere D. I1 suo concetto era quello di correggere la democrazia con la libertà e di conciliare i l cattolicesimo con la democrazia. Perciò col secondo discorso, affronta il problema della libertà di coscienza. Comincia con respingere la ridicola e colpevole dottrina che ritiene che tutte le religioni siano egualmente vere e buone in sè e che l'autorità spirituale dell a chiesa non obblighi in coscienza )).Distingue l'intolleranza dogmatica dalla tolleranza civile: « l'una necessaria alla verità eterna, l'altra necessaria alla società moderna D. Per lui la rivendicazione della libertà d i coscienza non è contro la chiesa, ma
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contro lo stato. Donde Montalembert deduceva che la chiesa può accordarsi con l o stato moderno che ha per base la libertà religiosa e che ciascun cattolico è libero di trovare lo stato moderno preferibile a i precedenti. I1 successo dei due discorsi fu straordinario; ma subito si scatenò l'offensiva dei cattolici reazionari; costoro portarono sul piano strettamente teorico quel che Montalembert affermava sul piano storico, e davano u n carattere teologico a quel ch'egli adfermava da un punto di vista politico. Pio IX credette fosse quello il momento di dare una chiara direttiva ai cattolici pubblicaado l'enciclica Quanta Cura (1864); seguiva un elenco, detto Sillabo, di ottanta proposizioni, che, estratte da precedenti sue lettere, allocuzioni ed altri atti, erano dichiarate erronee e da condannarsi. I1 rumore che sollevò il Sillabo fu enorme; l'opposizione da parte d i liberali, protestanti e di varie zone cattoliche fu di una portata eccezionale. La parola « Sillabo » divenne per molti oggetto di odio; nè allora nè dopo gran numero d i persone mai lesse o capì il Sillabo, ma ebbe sempre verso di esso un oscuro risentimento, al punto che più volte scrittori cattolici e devoti alla chiesa, sentirono e sentono il dovere di discolpare Pio IX, di giustificarlo, di spiegarne il documento, perchè ancora non è del tutto cessato fra cattolici il disagio di parlare del Sillabo. Le ottanta proposizioni si possono dividere in tre categorie; quelle contenute nel paragrafo primo che riguardano il soprannaturale della fede, l'esistenza di Dio e della Provvidenza, la costituzione della chiesa e gli errori che vi contraddicono, panteismo, naturalismo e razionalismo assoluto. Nella stessa categoria si possono mettere le proposizioni che condannano gli errori circa il potere spirituale della chiesa limitato o negato dal giurisdizionalismo antico o moderno. Nella seconda categoria vanno le proposizioni riguardanti gli errori moderni d'infiltrazione protestante, fra i quali l'indifferentismo, il latitudinarismo e simili. Nella terza categoria le proposizioni che condannano errori O enunciati erronei riferentisi allo stato moderno che veniva allora teoricamente concepito sulla base di tesi filosofiche o sociologiche che pregiudicano i diritti tradizionali della chiesa, e la subordinazione del temporale allo spirituale. La formulazione delle proposizioni fu fatta con speciali
cautele per mantenere la condanna sul terreno teologico ed ecclesiastico; ma in sostanza, oltre che il panteismo, il razionalismo, ii naturalismo e l'indifferentismo, errori antichi sebbene i n veste moderna, si condannava la concezione moderna dello stato e gli errori sostenuti in nome delle allora vaghe parole d i liberalismo, socialismo e simili, che suonavano diverse secondo i climi e gli ambienti. Di fronte al sollevarsi dell'opinione pubblica, la Civiltà cattolica, l a nota rivista dei gesuiti trasportata da Napoli a Roma dopo il ritorno di Pio IX da Gaeta e messa sotto la protezione e ispirazione del Vaticano, mise innanzi la distinzione della tesi e della ipotesi, distinzione non nuova ma non così chiaramente e autorevolmente affermata; per essa in teoria la concezione dello stato moderno come un ideale da perseguirsi è erronea e condannabile; ma se concretamente tale stato viene ad attuarsi o è attuato, non può rigettarsi come un male ma può essere tollerato caso per caso e con le riserve necessarie, usando i mezzi legali in esso consentiti al fine del bene morale e religioso, oltre che del bene politico ed economico del paese. I termini d i compromesso con lo stato moderno non debbono ledere i principi, perciò occorre partire dal rebus sic stantibus per la rivendicazione ulteriore dei diritti della chiesa in regime di libertà. Mons. Dupanloup vescovo di Orléans si appigliò alla distinzione della tesi e della ipotesi nel suo opuscolo La convention d u 15 septembre e t l'encyclique d u 8 decembre 1864 D. Egli fece l'esame dei vari articoli del Sillabo, confrontandoli con il contesto dei documenti dai quali erano estratti, per stabilirne il senso vero senza le deformazioni polemiche di quei giorni, e conchiudeva ch'era dovere dei cattolici, basandosi sullo stato di fatto, adattarsi alle condizioni del momento e lottare con le armi moderne della libertà di coscienza, di stampa e d i voto. Pia IX gii spedì u n breve di felicitazione e più di 600 vescovi di tutto il mondo aderirono alla sua chiarificazione. Le spiegazioni del vescovo Dupanloug sul Sillabo d i Pio IX erano più o meno nello stesso spirito di quelle di mons. De Parisiis sull'enciclica Mirari vos di Gregorio XVI. Ma i due documenti papali sono in sostanza la condanna dello stato laico che si affermava per soppiantare del tutto il vecchio stato con-
fessionale. Lo stato laico veniva in nome della libertà e della democrazia; la condanna non era rivolta nè alla libertà nel suo significato genuino, nè alla democrazia come uno dei tipi d i regime statale, ma certamente colpiva il sistema liberale e la democrazia del popolo sovrano. Dall'altro lato, lo stato confessionale si presentava storicamente legato alle monarchie e ai regimi autoritari; non perciò la chiesa intendeva legare i due termini indissolubilmente, per quanto ne facesse una difesa terrena per impedire la prevalenza delle correnti antireligiose e rivoluzionarie che si affermavano sempre di più. Le posizioni dei cattolici detti liberali, nonostante la distinzione della tesi e dell'ipotesi, divenne sempre più debole, mentre quella degl'intransigenti aumentava d'influenza e di combattività, tanto più che dal campo politico si passò a quello religioso con le due questioni allora agitate dell'infallibilità pontificia e del potere temporale.
DAL CONCILIO VATICANO ALLA CONDANNA DEL « MODERNISMO B
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52. I1 28 giugno 1868 Pio IX indisse un concilio ecumenico da riunirsi in Vaticano per 1'8 dicembre 1869. Invito speciale fu fatto agli orientali dissidecti (orlodossi), u n altro a tutti i cristiani separati, cioè ai prolestanti; richieste indirette furono avaczate agli anglicani. Nessuno accettò. o mostrò desiderio d'intervenire; i protestanti tedeschi, per affermare la propria personalità, fecero grandi feste a Worms. Non furono invitati i capi d i stato o principi cattolici, come era uso dire i n curia. Diversi ne furono i motivi e varie le interpretazioni. Quali dei capi di stato potevano dirsi cattolici e quali no? Poteva essere invitato l'imperatore d'Austria che con le leggi costituzionali aveva violato il concordato del 1855? O Vittorio Emanuele di Savoia, che aveva annesse le Legazioni della Romagna appartenenti al papa, ed era incorso nella scomunica? O Napoleone I11 che non aveva permesso la pubblicazione del Sillabo in Francia? Quale di questi e altri monarchi poteva dirsi padrone di sè e non dipendere invece da parlamenti in maggioranza anticlericali e contrari all'indirizzo del papato? I1 non invito era un atto prudente, avute presenti le condizioni di fatto; opportuno per sottolineare l'autonomia della chiesa cattolica dal potere civile, nel momento in cui le dottrinc politiche prevalenti contestavano alla chiesa una propria originaria personalità morale, giuridica e sopranazionale. Non fu quello u n distacco della chiesa dagli siati; fu il segno che gli stati moderni, di carattere laico, si erano distaccati essi stessi dalla chiesa, non ostante i rapporti formali che mantenevano con la curia romana.
I vari gabinetti d'Europa non furono contenti della convocazione del concilio ; il principe Hohenlohe, ministro degli esteri in Baviera, propose agli altri governi un passo diplomatico presso Roma. Vienna, Parigi e Berlino furono di parere contrario; però indirettamente tutte le capitali s'interessavano a l concilio e all'atteggiamento che prendeva l'episcopato. L'attenzione era destata soprattutto dalle polemiche assai vivaci, sia dei cattolici fra d i loro, sia con protestanti, ortodossi, liberi pensatori, liberali e moderati, i quali, per un fenomeno naturale, proposero vecchi e nuovi problemi, che in gran parte si aggiravano sulla natura della chiesa, la sua storia, il suo centro in Roma e i l suo principale rappresentante, il papa. Tre punti formavano oggetto principale d i studi, discussioni e polemiche ardenti: i rapporti fra stato e chiesa, l'infallibilità pontificia, il potere temporale. I1 concilio vaticano sembrava una protesta contro il mondo razionalista; dava l'idea che si ripetesse la sfida di Bonifacio VI11 alle autorità secolari e che si volesse instaurare una teocrazia piÚ autoritaria dell'antica. C'erano gli estremisti del positivismo, gonfi della loro scienza, che irridevano alle grandi assise di Roma, come di u n mondo morto che facesse mostra di vivere, ombre del passato clie si agitavano, in mezzo alla realtà , con gesti senza contenuto e parole senza significato. I n questa asprezza di opposizione si rivelavano sia l'odio verso un nemico lorte da combattere per far prevalere i propri sistemi, sia la preoccupazione di un raEorzamento del partito intransigente e d i una nuova intesa reazionaria fra il papato e i sovrani assoluti O quelli che da poco e a malincuore avevano concesso le costituzioni. 11 trionfo completo delle idee liberali o dei movimenti socialisti era legato per molti al dominio della scienza ritenuta inconciliabile con la fede, al progresso che trovava nella chiesa ostacoli insormontabili per l'oscuran~ismo e per la soggezione in cui erano mantenute le folle dei fedeli. Per i liberali o radicali italiani la preoccupazione mag,'=iore era quella del potere temporale; Roma era stata proclamata capitale d'Italia dal parlamento nel 1861; Garibaldi aveva ten:ato nel 1867 di prenderla con le armi, ma era stato respinto dalla truppe francesi che la difendevano. Le missioni
segrete e officiose fra i l governo italiano e la segreteria di stato erano fallite, Pio IX aveva pronunciato il non possumus, affermando il suo dovere di difendere i diritti del papato all'indipendenza, legata all'esistenza di una sovranità territoriale. Se il concilio avesse proclamato la necessità assoluta del potere temporale, l'Italia avrebbe trovato un ostacolo nella oppolizione dei cattolici d i tutto il mondo, i quali avrebbero interessato i loro governi a proteggere lo stato pontificio. Donde risentimenti, preoccupazioni, propositi audaci, odi ed ire di cui la stampa quotidiana e periodica si faceva portavoce. Per costoro la caduta del potere temporale significava il crollo definitivo del papato; Pio 1X sarebbe stato l'ultimo papa. I1 concilio era una chiamata d i rinforzo per evitare, se possibile, la catastrofe. Mentre i protestanti rinnovavano i loro attacchi contro Roma, rievocando l e questioni che secondo loro invalidavano la supremazia e l'autorità del papato, i nostalgici del gallicanismo e febronianismo rimettevano in circolazione le teorie del concilio superiore al papa, contrastando la teoria dell'infallibilità papale senza o fuori del concilio. L'opposizione cattolica era divisa in due correnti; la prima contestava la definizione sul terreno storico-critico; la seconda riteneva inopportuna una decisione conciliare. Dall'altro lato, i sostenitori ch'erano i più numerosi, sia fra i vescovi e il clero sia tra i fedeli, erano anch'essi divisi in due correnti: coloro che attribuivano al papa l'infallibilità in senso lato, anche in materia non rivelata e razionale, e coloro che la limitavano alla rivelazione, quante volte i1 papa parlasse ex cethedra come dottore universale. A Roma non si era inteso convocare il concilio per rimettere in causa una dottrina ritenuta dogma per lunga tradizione. Pio IX aveva esercitato il suo privilegio nel 1834 quando aveva definito ex cathedra il dogma dell'Immacolata Concezione con l'adesione dell'intero episcopato cattolico. Ma l'opposizione dei vescovi in Germania e di alcuni in Francia e altrove, fra i più colti e i più noti quali Dupanloup, Darboy, Strossmayer, Maret, Hefele, Ketteler; quella di scrittori e apologisti quali Dollinger, Gratry, Newman e fra i laici Montalemberì, lord Acton e altri assai influenti, fece volgere i propositi del Vaticano ad affrettare la definizione dell'infallibilità papale.
11 concilio, dopo avere approvato la costituzione & fide catholica, lasciate le questioni disciplinari, passò alla costituzione della chiesa. Gli avvenimenti incalzavano; Napoleone ritirava le truppe da Roma, scoppiava la guerra fra la Prussia e la Francia, i l governo italiano invadeva alcune zone dello stato pontificio e si preparava a prender Roma; le faticose sedute delle commissioni e dell'assemblea conciliare si succedevano. Lo schema di costituzione del 13 luglio ebbe 451 placet, 88 non placet, 63 placet juxta modum e 80 astenuti. Nella sua forma definitiva la costituzione Pastor Aeternus » fu votata il 18 luglio 1870 con 533 voti contro 2 ; la vigilia un gruppo di 55 vescovi dissenzienti si era allontanato per non partecipare alla votazione. I n tale costituzione si affermava che il concilio non innovava ma fissava la tradizione cattolica nel-definire che l'infallibilità del papa è legata alla funzione di dottore supremo della chiesa, non mai a quella d i pontefice, di giudice e di legislatore; che nei decreti dogmatici dei papi solo le definizioni sono articoli d i fede quando il papa parla ex cathedra su materie di fede e costumi contenute nella rivelazione divina. Le esagerazioni degli uni e le inconseguenze e preoccupazioni degli altri fra i cattolici e gli attacchi degli avversari erano valsi a turbare gli animi al punto che tutto il concilio ne fu agitato. Questo si svolse in una atmosfera di sospetti; la minoranza fu ridotta quasi all'impotenza attraverso le limitazioni d i procedura e per la insofferenza della assemblea ad ascoltare critiche e proteste. Pio IX esercitò u n influsso personale che sembrò eccessivo. Dopo il concilio vi furono tentativi scismatici tanto presso la chiesa latina che presso l'orientale; ma non era più il tempo di veri scismi e i così detti vecchi cattolici a poco a poco perdettero consistenza, rimanendo un nucleo limitato e protestaatizzante. Fu detto e ripetuto allora che la definizione dell'infallibilità papale avrebbe arrestato il moto verso Roma, paralizzato l'attività dei cattolici, allargato il fossato tra la chiesa cattolica ed il pensiero moderno: tali profezie si sono dimostrate fallaci. Quel che non percepivano bene gli oppositori del papato in genere e anche parecchi fra i cattolici antinfallibilisti era la profondità spirituale da cui partiva il movimento che arrivò al
concilio vaticano. Essi vedevano la superficie; erano turbati dalla parte umana che accompagna tutti i concili, come ogni altra attività della chiesa ( e d i questa parte umana è fatta molta parte della storia religiosa) ; essi erano assordati dalle polemiche e dalle esagerazioni degl'intransigenti, esagerazioni delle quali il concilio stesso, non intenzionalmente ma obiettivamente, fece giustizia, quando nel precisare il carattere soprannaturale e i limiti dell'infallibilità papale, lasciò cadere tutta la parte mondana ch'essi pensavano attribuirle. Per comprendere bene la portata del concilio ( e ora si può farlo meglio di allora) occorre tenere presente il moto verso Roma che cominciò in Francia con la rivoluzione, e, dando i primi colpi al gallicanesimo, orientò molti cattolici verso il cosidetto ultfamontanismo e alle lotte per la cessazione dello scisma; continuò in Germania con il romanticismo cattolicizzante, in Irlanda con la rivendicazione dei diritti dei cattolici, in Inghilterra con il movimento d'Oxford e la conversione a l cattolicesimo di una eccezionale élite, fra cui i più noti Newman e Manning nominati cardinali. Allo stesso tempo il così detto liberalismo cattolico in Italia, Francia, Belgio, Svizzera,. Germania e Spagna diede uomini di primo piano, difensori soprattutto della libertà religiosa; i nomi di Manzoni, Montalembert, Lacordaire, O'Connell, Rosmini, Ventura, Ketteler, Balmes e molti altri, non possono scompagnarsi dalla reviviscenza cattolica e dalla idealizzazione del papato nel pensiero e nel cuore dei cattolici del secolo scorso. Montalembert si lagnava negli ultimi anni della sua vita delle esagerazioni di una parte della stampa e del clero francese, sì da scrivere che de tous les mystères qui presente en si grand nombre l'histoire de I'église, je n'en connais pas qui égale ou dépasse cette translormation si prompte et si complète de la France catholique en une basse-cour de l'anticamera d u Vatican (nov. 1869). Egli vedeva le esagerazioni perdendo d i vista la sostanza d i quel movimento di liberazione della chiesa (specialmente in Francia), movimento al quale egli stesso aveva così potentemente contribuito. Se il clero francese esagerava, era perchè esso sempre aveva esagerato dal lato dell'autorità sia monarchica sia papale. Col ristabilimento quasi dappertutto della Compagnia d i
Gesù, la creazione di nuovi ordini religiosi e la rinnovazione degli antichi, con i concordati, la riorganizzazione della gerarchia, la spinta alle missioni, si diede in quel periodo inizio ad una vera rinascenza cattolica spirituale in tutti i campi. Nella educazione primeggiò Don Bosco, e vicino a lui Rosmini; nel campo caritativo fu meraviglioso su tutti il Cottolengo a Torino; sotto altri aspetti Ozanam a Parigi; poco dopo padre Ludovico da Casoria a Napoli. In quello della cultiira i padri Gratry e Capecelatro dell'0ratorio (quest'ultimo poi cardinale); nelle missioni il cardinal Lavigerie, fondatore dei Fratelli Bianchi e delle Sorelle Bianche, e molti altri, in .ogni campo e in ogni paese, cui sarebbe superfluo accennare; e uno sciame di nuovi ordini femminili per tutti i bisogni spirituali e materiali dell'umanità con una spontaneità, virilità e bontà straordinarie. È d i quel tempo il sorgere di associazioni cattoliche per la formazione cristiana del laicato, l'educazione giovauile e le scuole, la preparazione alla vita civile, l'assistenza operaia, la difesa del dogma, della morale cristiana e dei diritti della chiesa. Questo movimento utilizza i margini di libertà che i nuovi regimi lasciavano ai cattolici, spesso trattati da nemici e da paria della società moderna ; ma era quel poco che i governi assoluti non avevano mai concesso e che con i governi liberali anche nemici si aveva, così da creare un'opinione pubblica verso Roma, quale mai c'era stata prima di allora. Pio VI morto in esilio, Pio VI1 in lotta con Napoleone, avevano destato sentimenti di ammirazione e di pietà filiale verso d i loro. I papi successivi, legati alla politica della restaurazione e di Vienna, non ebbero grande popolarità, ma il movimento verso Roma li circondava di un'aureola che i papi del secolo precedente non ebbero mai. Pio IX fu i l papa del popolo; i l suo liberalismo iniziale destò deliri di entusiasmo, e non ostante il cambiamento di rotta e l'odio dei rivoluzionari, egli rimase sempre il papa popolare, il papa dei pellegrinaggi, delle grandi manifestazioni religiose, del dogma dell'lmmacolata Concezione. Se ci furono eccessi sia da parte di Roma in atti di autorità come da parte dei cleri e dei cattolici in un culto del papato, denunciato come papolatria, in parte fu per 2'attrattiva personale di quel papa e per le circostanze eccezionali del suo pontificato,
ma più che altro per reazione contro la campagna antipapale d i denigrazione, che prendeva motivi dal Sillabo, dall'infallibilità e dal potere temporale in una lotta vivacemente anticattolica. La caduta del potere temporale che seguì il concilio (già sospeso di fatto per gli avvenimenti politici e poi rinviato con bolla del 20 ottobre) sembrò il segno del.fallimento della politica di Pio IX, l'umiliazione dopo il trionfo; per i cattolici intransigenti il colpo mortale al sistema autoritario di cui erano essi gli ultimi paladini; per i francesi, cattolici o no, un7altra ferita al loro orgoglio; per l'Austria una nuova preoccupazione; per i fedeli d i tutto il mondo un lutto. Nello schema prosinodale del concilio Vaticano era stata introdotta una dichiarazione sul potere temporale, ma il concilio non ebbe i l tempo nè l'opportunità di pronunziarsi su di essa. A parte le variazioni d i forma, la dichiarazione rispecchiava la tesi sostenuta dai papi fin dal giorno in cui tale potere era stato messo indiscussione: « Ut autem romanus pontifex primatus sibi divinitus collati munus, uti par est, adimpleret, iis indigebat praesidiis quae temporum conditioni et necessitati congruerent » (*). Questo principio allora servì a difendere l'esistenza dello stato papale, quale era nel 1870; lo stesso principio è stato alla base della creazione della Città del Vaticano con il trattato del Laterano del 1929, poichè quel che formava il centro della dichiarazione era il fine, a l quale il potere temporale doveva servire di mezzo, secondo le varie condizioni storiche cioè: u quo romanus Pontifex ... nulli principi subjectus, supremam. potestatem per universum orbem plenissima libertate exercere... posset » (%). Era naturale che Pio IX, dopo aver rifiutato qualsiasi trattativa che comportasse la spontanea cessione di Roma, dopo aver rifiutato di accettare la legge delle guarentigie, si fosse chiuso in Vaticano prigioniero volontario, ed avesse fatto presentare le sue proteste ai governi d'Europa. Questi però, uno
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(*) C Affinchè il Romano Pontefice potesse, come conviene, adempiere ali'ufficio assegnatogli divinamente, aveva bisogno di quei presidi che eorrispondessero alla condizione e necessiti dei tempi D. (**) « Affinchè il Romano Pontefice non soggetto ad alcun principe potesse essere in grado di esercitare il potere supremo... in piena libertà in tutto il mondo n.
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per uno, riconobbero il fatto compiuto pur mantenendo le rappresentanze diplomatiche presso il Vaticano allo stesso tempo che presso il Quirinale, dove il re d'Italia si era trasferito. I1 popolo romano, convocato in plebiscito, diede il suo voto per l'unione di Roma allo stato italiano; a parte il valore d i simili .atti, era quella una formalità giuridica, alla quale fecero seguito le elezioni generali per la nuova camera. Da parte del Vaticano si rispose con il consiglio dato ai cattolici di astenersi dalle can.didature e dal voto, implicando ciò il riconoscimento dell'occupazione di Roma e della violazione dei diritti papali; cosi il non expedit, inteso e voluto come una proibizione, allontanò per ,quasi mezzo secolo i cattolici italiani dalla vita pubblica. I n quel periodo si era formata in certe zone cattoliche un'atmosfera di aspettazione misteriosa come d i un miracolo, che dovesse restituire Roma a l papa; si contava sopra la debole struttura del uuovo regno, sui dissensi dei partiti, sull'intervento dell'Austria o della Francia, sull'imprevisto, come una prova ,della volontà divina. Dal lato opposto si gridava che il papato e r a finito, Pio IX era l'ultimo della serie, che moriva maledicend o alla società moderna. Fortunatamente i visionari ebbero un solenne colpo dal fatto che, morto Pio IX, il conclave si potè riunire in tutta libertà, che un altro papa potè essere eletto, il quale, pur rimanendo prigioniero in Vaticano e rivendicando il potere temporale, ebbe un pontificato dei più lunghi e tranquilli, dei più celebrati e umanamente parlando dei più gloriosi. Quel che cadeva nel 1870 non era il papato, ma u n particolare mezzo di garanzia dell'indipendenza del papato, che non si adattava più alla cc temporum conditioni et necessitati D, per usare i termini della dichiarazione prosinodale. I1 riconoscimento d i questo dato d i fatto non poteva essere immediato, nè fatto dagli uomini che avevano difeso il potere temporale contro la violazione di un diritto sacro, che per non pochi era stata voluta in odio a l nome cattolico e come tale celebrata nelle manifestazioni settarie che ne seguirono; nè da quegli altri che ritenevano questa fosse la verità e l'avevano affermata prima e dopo il 1870, perchè neanche essi erano stati immuni dalle passioni e dai pregiudizi dell'epoca. I n un'Europa libera e costituzionale, era impossibile che
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- Sruazo
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Chiesa e stato
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Roma restasse assolutista come Pietroburgo degli czar e Costantinopoli dei sultani, anch'essi capi religiosi e politici, costretti dal loro sistema alle repressioni sanguinose e ai metodi tirannici. Roma aveva seguito dal 1814 al 1870 la politica di repressione che aveva fatto tanto male al papato. Consentire una nuova costituzione più o meno calcata su quella del 1848 era per il papa un esporsi a nuove difficoltà o probabilmente alla necessità di ritirarla dopo poco con quale danno del suo prestigio non è da dire; nè quella sarebbe stata una costituzione che poteva corrispondere ai voti dei liberali romani, che avrebbero preso il sopravvento. Di più, l'attrazione di Roma verso lo stato italiano e d i questo verso Roma era innegabile. Dopo Venezia ricongiunta nel 1866, Roma era divenuta l'obiettivo della volontà di gran parte degli italiani. Quel che successe nel 1870, per la favorevole coincidenza della guerra franco-prussiana, sarebbe successo non appena possibile in altra occasione; nè il papa poteva restare a lungo sotto la protezione dell'esercito francese, nè la Francia poteva a lungo mantenere un atteggiamento ostile verso l'Italia. Quel che sembrò e fu allora una disfatta, a poco a poco divenne un nuovo motivo d i maggiore simpatia del mondo cattolico, e d i quello non cattolico di buona fede, verso il papato. Tolto il peso del principato terreno, sembrò a molti che il potere papale si fosse, anche nelle apparenze, più spiritualizzato; certo esso fu meno preoccupato degli affari dello stato, che rendevano la curia sempre circospetta e legata alla politica delle potenze e agli interessi delle classi dominanti; per quanto nel fatto le preoccupazioni politiche e diplomatiche del Vaticano non siano cessate mai, sia che si pensasse alla restaurazione del potere temporale, sia che si cercassero i termini di una conciliazione, sia che si guardasse d i non pregiudicare l'avvenire, in una attesa d i riserva, non completamente passiva. Allo stesso tempo, era nell'interesse della chiesa trovare un modus vivendi amichevole con il nuovo regno d'Italia. Fin dal 1867 era stato fissato un accordo verbale e &cioso e non pregiudizievole alle due parti, circa la nomina dei vescovi che per precedenti concordati con i vari stati d'Italia erano in gran parte d i nomina regia. Le congregazioni religiose erano state soppresse, i voti non più legalmente riconosciuti, i beni venduti; per mette-
re in regola i compratori che erano incorsi nella scomunica senza che si desse un riconoscimento pubblico alle leggi eversive, la S. Penitenzieria usò larghe facoltà per « i componimenti di coscienza » fatti caso per caso con i singoli fedeli. Pochi anni dopo gli ordini religiosi si andarono ricostituendo, senza alcuna opposizione da parte del governo ( e in certi casi con visibile favore) come società d i fatto, e con elementi più scelti e sicuri di quel che non fossero non pochi d i quei frati e monaci ch'erano stati dispersi con la soppressione dei conventi e monasteri. I1 governo costituì un fondo per il culto per le chiese povere e assegnò ai parroci dei supplementi di congrua, forse per rendersi amico il basso clero, mentre l'alto era in maggioranza ostile al nuovo ordine d i cose, tranne pochi, tra i quali mons. Calabiana, arcivescovo d i Milano, e il celebre mons. Bonomelli, vescovo d i Cremona. Non mancarono urti aperti fra il governo italiano e il Vaticano, manifestazioni anticattoliche e antipapali a Roma stessa, fra i quali i più clamorosi, il tentativo d i profanare il cadavere d i Pio IX, che veniva d i notte trasportato dal Vaticano a san Lorenzo fuori le mura; e dell'inaugurazione solenne del monumento a Giordano Bruno, il frate filosofo del secolo XVI condannato al rogo quale eretico. Ciò nonostante, il fatto nuovo ed originale - la coesistenza di due sovrani, due corti, due rappresenlanze diplomatiche nella stessa capitale, sotto la figura di usurpatore e di usurpato, o meglio, in quella d i un re nazionale e di un papa cattolico cioè universale - è potuto durare per più di mezzo secolo, senza portare ad un conflitto acuto, anzi con graduale adattamento, tanto da potersi sopportare il periodo della guerra mondiale solo con qualche incidente d i secondaria importanza, inferiore certo agl'incidenti occorsi ai papi durante le guerre del passato, siano le napoleoniche o le guerre per la successione austriaca o spagnola. I n compenso la libertà d'associazione, di parola e d i stampa fu largamente usata dai cattolici, sia pure con quelle limitazioni che venivano loro create dal gioco della politica partigiana che non rispetta l'eguaglianza degli avversari davanti alla legge. Sul piano della libertà essi poterono a poco a poco conquistare quelle posizioni che avevano perduto, accusati com'erano di essere temporalisti e aniinazionali. L'accusa d i antinazionalismo pesò sui
cattolici italiani e ne paralizzò il lavoro, tanto più ch'essi, per il non ezpedit, non potevano farsi valere sul piano elettorale e parlamentare e passavano come cittadini d i seconda classe.
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53. La caduta del potere temporale dei papi, mentre permise d i completare l'unità d'Italia (salvo le province irredente d i confine), coincise con la caduta in Francia del secondo impero e con l'avvento della Terza Repubblica (ch'ebbe come inizio la comune del 1871) e con la proclamazione dell'impero germanico. L'Austria, che era stata al centro della reazione anti-liberale ed era stimata il baluardo del cattolicesimo, era stata colpita doppiamente, con l'estromissione dalla confederazione germanica e con la perdita delle provincie della Lombardia e del Veneto e dell'influsso preponderante in Italia dalle Alpi alla Sicilia, Nello stesso periodo, più o meno, il sistema costituzionale si generalizza e si afferma in Europa come in tutto il continente americano, con una progressiva democratizzazione verso il suffragio universale (era stata del 1867 la riforma di Disraeli in Gran Bretagna per il suffragio allargato, e del 1866 J'introduzione del referendum in Svizzera). Dai paesi scandinavi alla Spagna i parlamenti erano in grande onore; mentre si agitava il problema dell'Home-rule per l'Irlanda, tornavano a sollevarsi i Polacchi; Croati, Boemi e Ungheresi rivendicavano la loro personalità nazionale dentro l'impero asburgico, i paesi balcanici rivendicavano la loro autonomia contro il Turco. Contemporaneamente al trionfo del costituzionalismo liberale e alle riaffermazioni democratiche e nazionali, prendono vigore i partiti operai, che comunemente assumono il nome di socialisti e comunisti. Essi formano due correnti; la legalistica o pratica ; la rivoluzionaria o messianica. Per un periodo d i tempo gli elementi estremi prendono la mano e terrorizzano i vari paesi d'Europa. In tanto si moltiplicano le iniziative pratiche, sindacati e cooperative, che già prosperano ai margini dello stato liberale, il quale inizia la sua politica d'intervento sociale. Dal punto di vista religioso la laicizzazione dello stato prosegue senza arresti sotto molti punti d i vista, nonostante che nella maggior parte degli stati sia ancora riconosciuta per legge la religione d c i a l e , cattolica, protestante, ortodossa. In Francia, contro
la chiesa, Gambetta lancia il grido: « Le cléricalisme, voilà l7ennemi! », mentre per i cattolici intransigenti la repubblica non può essere che antireligiosa e sarà la monarchia a salvare la Francia. La vittoria definitiva del partito repubblicano è legata a l celebre Seize mai (16 maggio 1877) e alla caduta del maresciallo Mac-Mahon ( 3 gennaio 1879); come conseguenza si ha l'inizio delle leggi scolastiche, laiche e anticongregazioniste. Lo stesso fenomeno si ha i n Italia, dove nel 1876 arriva al potere la sinistra storica la quale, legata alla massoneria, accentua la politica anticlericale per colpire il « temporalismo 1) del clero e dei cattolici. In Spagna è i l carlismo dei cattolici ch'è combattuto più o meno con le stesse armi. L'Austria dopo il concilio vaticano aveva denunziato il concordato, già decaduto di fatto, e poscia sostituito con le leggi del 1874, ed aveva riconosciuto il regno d'Italia, cosa che aveva destato gran malumore presso i cattolici. Nel Belgio i liberali menavano una lotta a fondo contro i cattolici sul problema scolastico. Le repubbliche latine della America alternavano le persecuzioni religiose e le lotte anticlericali, con i favori alla chiesa e al clero, secondo i l ritmo dei partiti; la prevalenza anticlericale era data dall'influsso della massoneria. Nei paesi protestanti, dove esistono chiese ufficiali, i loro rapporti con lo stato sono formalmente gli stessi; ma la loro importanza va diminuendo man mano che le classi lavoratrici si allontanano dalla vita religiosa, lo stato controlla la scuola e la laicizza, la propaganda anticristiana invade la famiglia e altera i costumi, la cultura si fa pagana e la critica storica e biblica tende a demolire i presupposti del cristianesimo. Le chiese protestanti non solo oppongono debole resistenza, ma sono pervase da un liberalismo razionalista nella loro stessa cultura religiosa e indeboliscono la loro struttura per il continuo frazionamento di chiese e di gruppi. Cercano, per diversivo, una stabilità fittizia nella lotta a l cattolicesimo, dopo la proclamazione dell'infallibilità papale, e i piccoli scismi locali, come quello dei vecchi cattolici, hanno un motivo di più per le polemiche interne. I n Inghilterra, perfino Gladstone indulge a scrivere contro la infallibilità (è il momento in cui la parola papismo ha preso una virulenza eccezionale); gli risponde Newman con una confutazione
decisiva. I n Inghilterra il carattere aconfessionale della scuola d i stato, introdotto dall'Educationa1 Act del 1870, fu il risultato di una pressione da parte dei non-conformisti, la cui influenza era aumentata con ogni ampliamento della franchigia. Ma sebbene le scuole confessionali, incluse quelle dei wesleyani e dei cattolici, continuassero a ricevere l'aiuto dello stato, trovarono difficile soddisfare le condizioni sempre più gravose imposte dal governo, ma resistettero per timore che l'aconfessionalità, con la decadenza della fede, sarebbe finita nel secolarismo. Nel frattempo, le scuole cattoliche sostenevano e miglioravano le posizioni, specialmente attraverso l'opera del card. Manning, la cui influenza sulla commissione dell'educazione primaria del 1885 dovrebbe essere generalmente riconosciuta. La sua personalità e la sua prontezza nel collaborare a qualsiasi iniziativa per il miglioramento sociale, dalla Agricultural Labours Union, alla composizione del grande sciopero dei portuali del 1902, gli procurò nel paese una posizione che di per se stessa era vantaggiosa alla causa cattolica. Ma mentre in inghilterra il ristabilimento della gerarchia (nel 1850) dava ai cattolici la possibilità di un'affermazione rapida e vigorosa, sotto l'egida delle libertà civili e politiche, e anche in Olanda i cattolici respiravano, in Germania Bismarck, vittorioso della Francia, sferra la lotta del germanesimo protestante contro il romanesimo cattolico, chiamata lotta per la cultura, Kulturkampf. Egli contava sulle divisioni dei cattolici, causate dalla definizione dell'infallibilità pontificia, e sul fanatismo patriottico per la proclamazione dell'impero ; trovò invece la resistenza dell'episcopato e del clero, che affrontò la persecuzione e la prigione con coraggio e sacrificio; ed ebbe a fare i conti con il Centro e il suo capo Windthorst, che menò la battaglia da gran generale, fino a che Bismarck andò a Canossa. Da allora i partiti cattolici, che avevano avuto timidi e contrastati inizi, verso i quali Roma aveva guardato con diffidenza (ricordare il caso del Belgio), - anche perchè reputava che fossero u n terzo incomodo nei rapporti diplomatici fra la Santa Sede e i governi e le corti dei diversi paesi - si affermano come un nuovo apostolato laico sul piano delle libertà comuni e del sistema rappresentativo. Troviamo, oltre che in Germania e nel Belgio, il grup-
po irlandese alla camera dei comuni in Gran Bretagna, e i primi tentativi di partiti formati da cattolici a scopo di difesa religiosa in Austria, Olanda e Svizzera, e più tardi in Francia. Negli Stati Uniti, dopo la guerra d'indipendenza in base alla libertà dei culti proclamata nella convenzione di Filadelfia nel 1787, fu stabilito a Baltimora il primo vescovo cattolico del 1790, e nel 1808 furono creati altri quattro vescovadi. I preti francesi emigrati là, diedero uno sviluppo notevole al cattolicesimo; ma poco dopo fu formato u n clero e una gerarchia americana, per evitare la propaganda ostile dei protestanti col pretesto del patriottismo americano, allora giustamente difidente dell'Europa, alla cui dipendenza si era sottratto. Gli Stati Uniti rappresentavano il tipo di stato dove non esisteva alcuna chiesa ufficiale, e dove tutti i culti erano uguali. Però l'ambiente era così impregnato. d i tradizione protestante puritana e metodista, che si riversava sulla confederazione e ne caratterizzava lo spirito e la legislazione. Ciò non ostante le altre chiese poterono svilupparsi, con più o meno dificoltà, specialmente quando nel 1847 l'Irlanda, in seguito a l a carestia, iniziò la sua emigrazione transoceanica e portò in America e nel Canadà inglese u n vero spirito di conquista. I1 Canadà francese era già cattolico; ceduto all'Inghilterra con il trattato di Parigi del 1763, fu da questa trattato come se fosse popolazione indigena ;solo nel 1812 fu riconosciuta la gerarchia cattolica; nel 1840 le due provincie del Canadà furono riunite ed ebbero un parlamento. La fase, che abbiamo così rapidamente accennato, dell'orienmento degli stati civili e delle loro rispettive posizioni nei confronti delle varie chiese, coincideva con lo sviluppo e I'adattamento alla realtà delle correnti culturali allora prevalenti, il positivismo di Comte, l'idealismo di Hegel, il socialismo di Marx. Non intendiamo dire con ciò che tutti coloro che attuavano i piani politici andassero a domandare a filosofi e sociologhi le loro teorie, ma queste erano allo stesso tempo ispiratrici d i orientamenti, interpretando situazioni spirituali e sociali, e segnando i limiti che la pratica impone alla teoria. I1 positivismo, come lo concepì Augusto Comte, non è solo una filosofia della scienza, ma una filosofia della società. In questa sono accentuati tre elementi: il predominio deterministico
dell'ambiente sociale sull'individuo, la superiorità dell'esperienza scientifica sui valori metafisici e sulle intuizioni mistiche, l'umanitarismo sulla religione dogmatica. Nel fondo il positivismo trasformava il dogmatismo religioso in quello scientifico, il determinismo della grazia e della predestinazione di tipo calvinista nel determinismo sociologico, il sentimentalismo religioso di tipo metodistico nell'umanitarismo, la disciplina .cattolica nel gerarchismo. L'ordine delle scienze e la loro gerarchia fissati da Comte furono subito criticati dal punto di vista scientifico e furono presto superati dal punto di vista sociologico. Egli fece della sociologia una branca speciale della biologia, trattò i fenomeni sociali come storia naturale, togliendo il suo vero valore alla volontà individuale, ogni reale significato alla libertà, ogni carattere razionale e originario alla storia umana. Presentò, così, l'evoluzione sociale come una continua azione e reazione biolo.gica dell'ambiente all'individuo e d i questo all'arnbiente, ne ricercò le leggi e le inquadrò nel meccanismo dei tre stadi di evoluzione, il teologico, il metafisico, il positivo. Comte naturalmente è i l profeta del passato, nel senso che tutto il passato si spiega in funzione della'sua scienza « positiva », tutto il passalo è un moto deterministico verso questo termine, che per ciò stess o dovrebbe essere completivo, ultimo, definitivo. È perciò ch'egli non poteva prevedere uno stadio ulteriore a quello positivo: se l'avesse previsto avrebbe dovuto orientare a quel termine la sua scienza. È impossibile fare diversamente per chi concepisce una necessità di sviluppo dove l'iniziativa libera dell'individuo non ha più posto. Secondo Comte solo quando si fosse arrivati allo stadio positivo (cioè eliminato ogni teologismo e ogni astratiismo metafisico) si sarebbe avuto un vero progresso dell'umanità, nella preponderanza degli elementi veramente umani. La concezione statale che derivava dal positivismo svalutava l'individualismo e la libertà, già esaltate dalla rivoluzione in poi, e dava tutta l'importanza alla formazione degli ambienti sociali, a l rafforzamento dell'autorità, all'interventismo statale. Comte ammirava il cattolicesimo non per il suo dogmatismo, ch'egli credeva avesse avvilito l'intelletto, ma per la sua disciplina ch'egli concepiva alla maniera detta gesuita, tanto clie Huxley
defbiva il positivismo: Catholicism minus Christianity. Occorreva sostituire all'idea di Dio quella della umanità; questa, nella mente di Comte, era il Grante Ente di cui siamo fenomeni passeggeri, perchè secondo il suo sistema il mondo non è costituito da una moltitudine d'individui ciascuno con propria e libera volontà, ma è un ordinato organismo governato da leggi necessarie. L'organizzazione rituale del culto dell'umanità ideata d a Comte cadde nel ridicolo, ma l'idea positivista di umanità sopravvisse benchè confusa con l'idea razionalista di umanità di cui Victor Hugo fu il poeta, e con l'idea di nazione che prese anch'essa la figura di un'entità vivente, il grande Ente a cui fare olocausto di volontà e di forze umane. Le due correnti, l'umanitaria e la nazionalistica formarono i solchi del positivismopost-comtiano e diedero l'impronta agli stati laici e nazionali della seconda metà del secolo XIX. L'umanità e la nazione, ora l'una ora l'altra ora insieme, prendono l'aspetto di entità esistenti al di sopra dell'individuo; esse sostituiscono, per non pochi, ogni idea religiosa ultra terrena, e ne prendono il posto dell'insegnamento laico. I n nome della libertà di coscienza si esclude dalle scuole l'insegnamento religioso, ma vi si sostituisce la filosofia e la pedagogia positivista. Alla borghesia francese, economicamente florida, politicamente disunita, razionalista e laica, Comte diede una concezione della società e della vita che poteva soddisfare alle sue aspirazioni pratiche e a u n certo bisogno di idee generali. Non era lo stesso per la Germania, che dopo avere oscillato fra il liberalismo kantiano e lo statalismo prussiano, si trovava già ad avere realizzato l'unità nazionale e si affermava nel pieno germanesimo. Hegel era il profeta e l'interprete del nuovo ordine di cose, tanto più che la filosofia hegeliana aveva già orientato il pensiero e la cultura tedesca e si estendeva in Inghilterra, in Italia e altrove, accolta come la filosofia che liberava dal volgare materialismo e dal piatto positivismo, i quali allora trionfavano dappertutto sotto la veste di uno scientismo concreto e inconfutabile. Lo stato hegeliano è la stessa « eticità n che, divenuta autocosciente, si afferma come soggetto supremo di ogni diritto e fine
d i ogni libertà. Per Hegel l'eticità è la costumanza viva di un popolo quale si è concretizzata storicamente, o meglio il modo come un popolo esprime liberamente e consapevolmente la sua sostanza nazionale. L'eticità è organica: la famiglia è sede delI'ethos intimo, la società civile dell'ethos esterno nella cooperazione di ordini e d i classi; solo quando l'eticità diviene consapevole d i sè stessa, si esprime nello stato, ch'è fondamento etico d i ogni altra istituzione. Lo stato appare ultimo nel processo dello spirito, ma è i l primo perchè è lo stesso spirito che si realizza e si esprime nella sua pienezza. Per comprendere simile concezione, bisogna tener presente anzitutto che per Hegel lo spirito assoluto è il soggetto universale che si processualizza dialetticamente, cioè riassumendo e superando le realizzazioni passate e manifestandosi come loro principio. I n simile processo il piano interiore volitivo d i ognuno e il piano collettivo e manifesto di u n popolo fanno tutt'uno, perchè nell'eticità il fine del singolo concorda con la finalità d i tutti, e l a legge ne esprime la volontà. Da ciò deriva la distinzione fra il concetto hegeliano di società civile e quello d i stato; la società civica è un elemento interposto fra l'individuo e lo stato, una specie d i materiale in fermento mosso da u n proprio ethos storicamente vissuto; mentre lo stato è il suo culmine ascensionale, disintegrazione d i quel che la società ha di vieto e d i incongruo, purificazione ideale verso la sostanza finalistica assoluta che si esprime nello stato. I n tale concezione, i parlamenti e le assemblee popolari non sono organi dello stato, ma organi della società, cioè mezzi di esplicare forze brute, volontà incoerenti e parziali, che lo stato deve trasformare, sintetizzare e attuare. Perciò l o stato hegeliano non è una risultante contrattuale secondo il giusnaturalismo di Puferdorf, non è un mezzo per garantire i diritti individua. secondo il liberalismo di Kant, è la realizzazione più perfetta-dello spirito, i l termine del suo processo d i liberazione, è immanenza e totalità. Perchè, secondo Hegel, il diritto astratto o esterno, quale il contratto e la proprietà, è il primo grado della libertà; il secondo è la moralità come interiorizzazione del diritto; e la terza l'eticità come volontà d i tutti nello stato autocosciente e libero. Quale il posto della chiesa in tutta questa concezione? Hegel
tentò di far sussistere lo stato-chiesa quale deriva dalla concezione luterana. Egli affermò che il contenuto spirituale della chiesa e quello dello stato sono identici, il primo in forma emozionale, il secondo in forma razionale; stato-chiesa sarebbero una unità in distinzione, con la prevalenza della ragione sul sentimento. Nel caso di conflitto, deve prevalere sulla chiesa i l diritto dello stato, cioè la ragione. Da simile orientamento filosofico politico, che nella mente di Hegel rispondeva alla posizione dello stato pmssiano, presero allora colorito gli avvenimenti tedeschi; l'impero fu identificato. con l'idea germanica, termine dell'impresa di unificazione del Reich; il sistema autoritario fu combinato con la rappresentanza parlamentare e il suffragio universale, la chiesa luterana rimase come era già soggetta, il cattolicesimo fu prima perseguitato poi tollerato, ma tutto l'ambiente fu più o meno impregnato dall'idea germanica nazionalista. L'interprete della corrente più estrcma fu Heinrich von Treitschke con la sua Storia della Germania del secolo XZX. Le sue idee fondamentali sono centralismo nel Reich con l'abolizione di tutti i piccoli stati germanici, d i tutti i resti di vecchie municipalità di città libere e di tradizioni feudali; l'assimilazione forzata dei polacchi della Pomerania, della Slesia, di Danzica; legislazione antisemita, anticattolica e antisocialista, perchè costoro disgregano e disintegrano con le loro. differenze di religione, di razza e di politica il Reich e ne alterano la perfetta omogeneità. Una terza corrente era nel frattempo divenuta importante ed aveva dato la sua impronta a una parte del movimento operaio europeo, la corrente marxista. I1 socialismo aveva avuto altri padri oltre Marx, aveva preso vari aspetti e nomi, secondo i periodi e i paesi, dalla rivoluzione francese in poi. Ma il marxismo f u lo sforzo della teorizzazione del movimento, il suo inquadramento nella filosofia della storia e il suo lancio verso l'avvenire, spinto da un profetismo che colpiva più che le masse i dirigenti e gli organizzatori. I1 materialismo storico, sul quale si poggia la teoria di Karl Marx, riduce tutti gli altri fattori della società ad un riflesso del fattore economico; questo solo crea la struttura sociale: religione, moralità, cultura, politica sono sovrastrutture formate dalle condizioni economiche. L'indivi-
duale è assorbito nel sociale, questo nell'economico. Poichè c i sono individui che sfruttano e altri che sono sfruttati, la lotta di classe eccita le energie del proletariato per la conquibta d e i mezzi economici; quando tale conquista sarà completa, l'eguaglianza economica assicurata, tutti gl'individui saranno egualmente partecipi e ugualmente soggetti all'impresa comune. 11 trionfo dell'economia collettiva trasformerà in essa gli altri valori che prima riflettevano la disparità economica, quali la politica oggi imperniata nello stato borghese e la religione a tipo d i casta privilegiata e legata al dominio delle classi ricche. Tre elementi principali dominano la concezione marxista: u n determinismo collettivo a carattere materialista, che fa pendant col determinismo positivista a tipo umanitario; una concezione storica a tipo dialettico verso una soluzione di sintesi, che si riallacciava deformandola alla dialettica hegeliana con la variante che invece dello Spirito incontriamo la Materia; infine il concetto d i eguaglianza che dal piano giuridico e politico, dove l'aveva limitata il liberalismo, viene portato sul piano economico. L'eguaglianza economica, assimilando e trasformando le altre eguaglianze, viene a perdere il suo carattere personale. Onde è negata la proprietà ch'b all'origine delle diseguaglianze sociali ; è negata la distinzione d i classe, basata sulla proprietà per la quale è accaparrato il potere; è negato il potere politico come distinto dalla società economica; è negata la chiesa come organismo e autorità spirituale, che dualizzerebbe l'unità economicosociale. La democrazia positivista alla Comte porta allo stato borghese onnipotente; il nazionalismo idealistico alla Hegel allo stato-nazione onnipotente; il socialismo alla Karl Marx allo stato-classe onnipotente. I n tutti e tre c'è la stoffa dello stato monista totalitario, quale si vedrà sorgere dopo la grande guerra, cioè un'idea immanente, in cui si risolve ogni altra, sia l'idea umanitaria della stato laico, sia l'idea mistica della nazione o quella economica della classe; si otterrà un livellamento sociale in tutti gli ordinamenti, un accumulo di potere nei capi, l'eliminazione dell'individuo umano da ogni angolo della vita in società. Nella pratica non si va per applicazione d i teorie, ma per
sperimentazione; le teorie servono o per orientare o per spiegare; mai applicabili nella loro integrità, sempre contrastate d a altre teorie e da altre esperienze. Però può arrivare il momento di qualche loro particolare realizzazione, quando coloro che ne sono convinti possono imporre agli altri il proprio volere e tentano l'attuazione dei loro programmi. Questi saranno più o meno saturati delle teorie alle quali fanno appello, e di fronte all'opinione degli altri ne esprimono il senso e lo spirito. Così poteva dirsi che gli stati della seconda metà del secolo passato erano o liberali, o democratici o nazionalisti, secondo i punti di vista dai quali si partiva, e poteva ben dirsi che le correnti prevalenti erano la positivista, l'idealista, la socialista, con le variazioni e alternanze che presentano i vari paesi d'Europa e di America. L'ambiente era liberale perchè dappertutto erano attuati gli istituti parlamentari e fissate nelle costituzioni le libertà politiche, di coscienza, di culto, di stampa, di riunione, d i arol la. Questo regime formava l'ambiente adatto alla coesistenza e allo sviluppo delle diverse correnti politiche, economiche e sociali; il liberale più che regime doveva dirsi metodo. I partiti prevalenti impregnavano delle loro idealità lo stato liberale che secondo i paesi andava divenendo o democratico, o nazionalista, o imperialista o socialistoide. Là dove (come in Inghilterra) queste correnti accettavano il libero gioco dei partiti cioè il metodo liberale applicato alla lotta elettorale e parlamentare nella adesione agli istituti politici fondamentali, la caratteristica liberale dello stato rimaneva integra e le trasformazioni reali erano più lente e le oscillazioni parlamentari da uno ad altro partito più marcate. L'Inghilterra passò così da un liberalismo economico assai stretto ad un discreto interventismo statale economicosociale; da un elettorato selezionato a l suffragio universale, anche ultimamente, per le donne; ed h a accoppiato la democrazia interna con I'imperialismo coloniale ed espansionista. Le teorie statali continentali hanno avuto poco influsso immediato sulla mentalità degli inglesi, piuttosto pratica e tarda ad interessarsi alle idee generali; l a classe politica vi è formata da lunga tradizione e selezione; la coscienza della propria individualità prevale su quella d i gruppo; la tradizione vince sulle innovazioni,
la formalità agevola la correttezza. Eppure anche in Inghilterra le teorie positiviste, idealiste e marxiste sono penetrate a dare qualche nuovo contenuto ai partiti e ad attenuare le sopravvivenze aristocratiche e conservatrici specialmente nel campo giuridico ed economico. Ciò non ostante, dato lo spirito liberale diffuso in tutte le classi, l'Inghilterra meglio di ogni altro paese ha resistito all'idea che lo stato venisse concepito come una totalità sociale, e alla logica storica delle teorie positiviste hegeliane o marxiste (*). Lo stesso è avvenuto, più o meno, negli Stati Uniti di America, dove alla mancanza d i tradizioni, abitudini e caratteri antichi e feudali, veniva supplito con l'elaborazione di una tradizione propria fatta d'isolzmento politico dall'Europa e di ravvicinamento d'interessi, d i orgoglio di u n pensiero autonomo e della necessità d i dare una propria impronta a quanto veniva loro d'oltre Oceano (**). L'Italia nuova non sfuggì all'influsso positivista ed hegeliano e all'importazione marxista, tanto più ch'essa non aveva creato sistemi politici propri dalla rinascenza in poi ed era stata tributaria all'estero del pensiero politico moderno. I1 risorgimento ebbe una propria originalità per la combinazione del liberalismc francese, del parlamentarismo inglese, del romanticismo tedesco col nazionalismo italiano; l'espressione più completa ne fu 11 conte di Cavour; ma egli rimase una personalità isolata; la destra storica non f u all'altezza del suo compito, e lo sforzo di compiere l'unità della nazione ne esaurì le forze politiche. I1 liberalismo piccolo borghese prevalse in politica e in economia, con un metodo di governo utile al suo proprio dorninio e ai suoi scopi pratici. Così si spiega perchè l'Italia non abbia avuto il suffragio (*) Dopo la seconda guerra mondiale e i l quinquennio dei laburisti al governo (1945-1950), I'attuazione del Welfare State ha contribuito ad alterare la tradizione inglese liberale, ma non cosi che possa dirsi avviata verso lo statalismo socialista che confina con la dittatura. (N. d. A.) (**) L'esito della .seconda guerra mondiale ha obbligato gli Stati Uniti d'America a un continuo intervento politico ed economico non solo in Europa, ma anche altrove dove è reputato necessario ad attenuare pericoli interriazionn!i o regolare sitoazioni difficili, proprio con interventi militari come in Corea. (N. d. A.)
universale fino al 1913 ( e allora quasi d i sorpresa); abbia avuto con ritardo una legislazione sociale, dopo le forti scosse operaie del 1893 e 1898; abbia tenuto strettamente al monopolio scolastico e lo abbia intensificato; abbia evitato ogni utile decentramento e intensificato l'accentramento amministrativo; e non ostante la teoria cavouriana d i a libera chiesa in libero stato D, abbia continuato il vieto e noioso giurisdizionalismo dei r e di Sardegna e di Napoli o dei granduchi di Toscana, con il colorito di un anticlericalismo di stagione. In sostanza, quasi dappertutto andava prevalendo la concezione di stato su quella della libertà. Questa era servita a soppiantare le monarchie assolute, - prima quelle di diritto divino e poi quelle legittimiste - o conservandole le aveva ridotte al tipo costituzionale; a sua volta lo stato, entità positivista o idealista, entità politica o nazionale, andava soppiantando i valori della libertà. Le masse che avevano delirato per la libertà, ora credevano più alla forza delle loro organizzazioni sindacali e di partito ed aspiravano ad uno stato economico e collettivo. In tutte tre le teorie e nella pratica che a tali teorie si orientava, lo stato andava prendendo il carattere di assoluto. Ciò non vuol dire che gli ideali di libertà, di individualità, di umanità si fossero perduti; vivevano anch'essi e si declamava in loro nome nei comizi e nelle assemblee; ma la loro vitalità già si subordinava a l l ' i d a prevalente di stato, e ne era aduggiata dalla grande ombra .che lo stato proiettava su tutto.
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54. In mesto ambiente d'idee in fermento Leone XIII prese posizione, non più i n forma negativa, come avevano fatto i suoi predecessori da Pio VII a Pio IX, ma in forma positiva, per fissare i termini del pensiero cattolico e darvi un indirizzo pratico. Leone non usciva dal binario tradizionale della chiesa, ma scuoteva certe sovrastrutture, rompeva vecchie catene e chiariva le idee antiche adattandole alle nuove posizioni. Anzitutto egli inculcò il ritorno allo studio di S. Tommaso d i Aquino, non solo per la teologia ma anche per la filosofia. L'enciclica Aeterni Potris del 1879 diede un vigoroso impulso al neo-tomismo che già in Italia aveva avuto inizio con Sanseverino e Liberatore; Balmes l'aveva destato in Spagna, e non pochi altri orientavano gli studi
ecclesiastici in Belgio e in Francia. I1 neo-tomismo di allora si chiamava aristotelismo-scolastico, e si presentava come Davide contro Golia, con le armi pastorali di fronte al gigante ferrato di tutto punto; ma nonostante i mezzi e il linguaggio medievale, esso cercava nell'avversario i punti vulnerabili sia nella pura speculazione metafisica sia nell'etica e nella politica. Non era nell'intenzione di Leone XIII togliere cittadinanza alle correnti agostiniane, scotiste e bonaventuriane, nè voleva egli c h e non si tenesse conto di tutti i progressi filosofici storici e scientifici; il ritorno al tomismo voleva essere un orientamento, una sistemazione, un punto di partenza del pensiero tradizionale iu filosofia e in teologia, per tutte le scuole cattoliche, in modo da formare un'opinione e un linguaggio comune e come tale potere influire anche sul mondo della cultura laica. Da allora lo slancio di studi filosofici di cattolici, in m a g i o r parte ecclesiastici, fu assai notevole, sia come tentativo di costruzione di pensiero, sia come critica del pensiero avverso. È vero che, limitati tali studi ad un compito d i adattamento e d i didattica, non si ebbe quel pensatore che emergesse dalla media comune e desse prova di genio creatore; però il lavoro in estensione e preparazione, l'insegnamento nelle università cattoliche, in istituii e accademie tenute da ordini religiosi, valsero a dare una larga reviviscenza al pensiero scolastico, che andò penetrando anche in zone aliene al cattolicesimo. Lo studio filologico e storico dello scolasticismo, e la pubblicazione accurata delle opere medievali ha contribuito assai meglio dei manuali scolastici e delle Summulae dei moderni ripetitori, a far penetare lo spirito e i l valore delle grandi filosofie della scolastica. Aver compreso ciò e aver tracciata la via, senza certe esagerazioni venute dopo, fu il merito di Leone XIII. Le encicliche leoniane, che formano un trittico importante, sono la Immortale Dei sulla costituzione degli stati (1885), la Libertas praestantissimum sulla libertà umana (1888), la Rerum Novarum sulla condizione degli operai (1891). La riafferinazionc dell'insegnamento tradizionale della chiesa vi è fatto in modo. da dare a i fedeli un orientamento positivo sui problemi presenti e impedire le facili escursioni del pensiero e dell'azione in zone non conciliabili con la dottrina cattolica.
I1 problema fondamentale, nella costituzione degli stati, è l'origine dell'autorità; la chiesa insegna ch'essa viene da Dio. Non si nega con ciò che la designazione del soggetto investito d'autorità (personale o rappresentativo, monarchico o repubblicano) possa essere fatta dal popolo, secondo i costumi e le costituzioni dei vari stati; quel che si condanna è la teoria per la quale l'autorità di cui sarà investito il designato del popolo abbia un'origine puramente terrena, negando o pretermettendo il riferimento a Dio; l'intervento popolare designa il soggetto dell'autorità, ma non trasmette ciò che viene comunicato da Dio. Alcuni han dato a questa tesi, esposta da Leone XIII, i l senso di una specie di partecipazione mistica dell'autorità data da Dio all'investito del potere, il che, se piace ai sostentori del monarca di diritto divino, non può avere un equivalente nel caso dei primi repubblicani francesi, dei nazisti e dei bolscevichi. Altri, piG umanamente, hanno interpretato nel senso che l'autorità, come la libertà, come ogni altro elemento della natura sociale umana, deriva da Dio, perciò è dono e facoltà naturale di coloro che debbono esercitarla. Se una città-stato, organizzata per capifamiglia, ha fissato che l'assemblea di costoro decide sul caso di pace e di guerra - nonostante ci sia un presidente o un re nessuno potrà negare che nel far ciò l'assemblea esercita l'autòrità che attraverso il popolo le viene da Dio. Quel che Leone XIII voleva evitare era una concezione pseudoreligiosa (laica) e amorale (utilitaria) dell'autorità. È impossibile nell'ordine naturale avere un capo che rappresenti aè stesso o solo gl'interessi di una classe o casta; il capo deve rappresentare tutti. Però (ecco il punto centrale) nessuno può dare quel che non ha, nessuno può dare autorità sopra un altro. Leone aveva ragione di dire che, se si toglie l'idea di un'autorità divina che si esplica in una legge morale naturale superiore alla volontà dei singoli, non vi potrà essere fra gli uomini vera autorità, ma tirannia. Un passo avanti: le libertà politiche. Leone XIII è sulla linea di Gregorio del Mirari vos e di Pio del Quanta cura; egli li cita per stabilire la continuità di pensiero ed evitare che la stia parola possa intendersi come una variazione o attenuazione. Erano però mutate, in mezzo secolo, le posizioni storiche. Parlando
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d i libertà di culto egli insinua la differenza da farsi fra paesi cattolici e paesi misti, e accenna alla teoria della tolleranza del male come esercizio della virtù di prudenza da parte dell'a.ttori!à civile. Per la libertà di parola e di stampa domanda quei limiti che impediscono ch'essa divenga licenza; nega che in nomc della libertà di insegnamento venga sostenuto l'errore e domaiida allo stato leggi di garanzia. Dall'altro lato, lamentando che tali libertà si usassero a danno della religione e venissero negate alla chiesa, reclama per essa quelle libertà che servono alla dlfesa della verità e della moralità. Circa i rapporti tra chiesa e stato egli ripete, nella m a chiarezza e limpidezza, la teoria gelasiana e tomista deile due società e dei due poteri, chiede che si mantenga la subordinazinne dei fini, la coordinazione dei mezzi, l'intesa concordataria nelle materie miste. Moderato nella forma Leone XIII, benchè noci ratti nè dello stato confessionale, nè del potere indiretto della chiesa sulla società civile, non solo non vi rinunzia ma qua e là le sottintende o accenna sì da non lasciare dubbi sulla teoriil divenuta tradizionale. Egli sapeva bene di non potere domandare a liberali, positivisti, frammassoni, che allora governavano i paesi cattolici, nè il ritorno alla concezione confessionale dello stato, nè il riconoscimento del potere detto indiretto della chiesa in materia temporale; domandava solo concordia, cooperazione, intesa, modi di coesistenza che anch'essi accettavano come espedienti, specialmente per paura dei moti anarchici e dell'influenza sulle masse del socialismo. La religione era per essi un mezzo per tenere soggetto il popolo. Leone XIII non aveva mancato d'inculcare alle masse l'ubbidienza ai poteri costituiti e la rassegnazione più che la rivolta; però, - quel che non avevano fatto finora i papi precedenti egli insistette sulla giustizia di certe rivendicazioni operaie e sulla necessità d i un migliore assetto economico. L'enciclica Rerum No. carum coronò le aspirazioni di cattolici sociali, fra i queii due cardinali e un vescovo di fama europea: Manning, Mermillod e Ketteler; diede così la base teorica e pratica al movimento che prese il nome di democrazia cristiana. Sembrò allora un'audacia che un papa parlasse così forte a favore dell'organizzazione cristiana del lavoro. La resistenza alla parola papale da parte dei
conservatori cattolici fu notevole ; essi ebbero paura dello slancio con il quale il giovane clero e molti del laicato si diedero a organizzare leghe operaie e sindacati professionali, a reclamare giusti salari, a formare una sana coscienza d i classe. I1 termine di democrazia cristiana diede luogo a equivoci sia da parte dei fautori che degli oppositori; in Italia, dove vigeva il non expedit, si temeva prendesse carattere politico; sicchè Leone XIII intervenne con l'enciclica Graves de communi (1901) a dichiarare che la chiesa non ha preferenze politiche per una determinata forma d i governo, e che quindi la democrazia cristiana non poreva intendersi politicamente si bene socialmente, come azione u favore del popolo. Leone XIII, certo, non fermò il corso degli eventi n& nioclificò il carattere dello stato moderno; contribuì a orientare le forze d i resistenza, non solo del pensiero e della propagailda, ma anche dell'azione politica e sociale; incoraggiò i cattolici a partecipare alla vita politica (tranne in Italia) secondo le istituzioni dei vari paesi, per contribuiie a migliorarle e fare buone leggi; a lottare per la difesa della integrità della famiglia, per la libertà della scuola, per la tutela degli interessi delle classi operaie, per la buona amministrazione dei municipi. Non sempre nè dappertutto fu ascoltata la parola d i Leone; la resistenza dei cattolici tradizionalisti fu superiore alle imprudenze dei cattolici democratici e sociali. I1 più noto e clamoroso caso di resistenza fu quello dei cattolici francesi, ai quali Leone aveva suggerito l'adesione alla repubblica. I pochi convinti del ralliement (come fu detto) che volevano applicare integralmente la parola del papa, si trovarono contro gran parte dell'episcopato, gli ordini religiosi alleati ai signori dei Chateaux che mantenevano la resistenza alla repubblica e sognavano il ritorno della monarchia, per mezzo della cosiddetta politica del peggio. Questa politica menavano furiosamente gli anticlericali, i frammassoni, i positivisti della maggioranza governativa, che volevano finirla con le mene monarchiche e la influenza dei vescovi e degli ordini religiosi nella politica. L'affare Dreyfus trascinò passionalmente i cattolici in gran maggioranza dal lato dello stato maggiore; se ne fece non una questione di giustizia, quale doveva essere, ma di dignità dell'e-
sercito e di sicurezza de « la patrie francaise n. La Croix dei padri Assunzionisti conduceva a fondo la campagna antidreyfusarda, come una vera campagna religiosa e patriottica, e il direttore padre Auguste Bailly arrivava a scrivere: a Le libre examen n'est pas permi, dans ces affaires-là n. Dal lato opposto, i dreyfusardi accusavano i gesuiti della scuola di rue de la Poste, donde uscivano gli ufficiali dell'esercito, di essere dietro lo stato maggiore antisemita che negava giustizia ad un innocente. Leone XIII non credette opportuno d'intervenire ad impedire che fosse condotta in Francia dai cattolici una così disastrosa campagna, che pregiudicava la sua politica e, più che mai, gl'interessi della chiesa e la pace religiosa. Le leggi laiche, le leggi di difesa repubblicane e la denuncia del concordato ebbero origine nella opposizione dei vescovi, nel fallimento del ralliement leoniano e nella campagna antidreyfusarda e ultra patriottica della maggioranza del clero e dei cattolici francesi. Pio X (1903-14) ereditò una situazione assai grave in Francia; era la rottura delle relazioni non solo diplomatiche ma religiose, era la separazione dello stato dalla chiesa, una separazione non amichevole ma violenta e di lotta. Egli, con la sua dirittura religiosa, lasciò cadere la struttura economica che il concordato napoleonico aveva facilitato in poco meno di un secolo; comprese ch'era meglio nulla più ritenere a prezzo d'ingerenze politiche e d i vessazioni legali e d i riprendere la libertà apostolica di una chiesa povera. I1 nuovo papa nel caso della Francia vedeva sia il fallimento d i una politica nella quale il clero era stato, non senza propria colpa, direttamente compromesso, sia l'accentuarsi di divisioni profonde nel campo cattolico. Sotto altri aspetti era quello che accadeva in Italia fra cattolici conservatori e democratici cristiani. Gli altri paesi non erano immuni da una certa irrequietezza in tutti i campi del pensiero e dell'attività religiosa. Egli temette che i cattolici, invece di conquistare il mondo alla chiesa, sarebbero stati essi stessi conquistati dal mondo. La corrente di cultura, che poi con un termine convenzionale e comprensivo fu detta modernista, nel campo teologico, esegetico biblico, apologetico, filosofico e storico aveva seguito troppo da vicino gli orientamenti razionalisti e critici. Nel voler mettersi sul mede-
simo terreno degli avversari e nell'averne adottati i metodi, finivano, non tutti certo, per lasciare cadere parecchio della costruzione teologica e filosofica scolastica, dell'esegesi tradizionale e del dogma. Leone XIII aveva dato una grande spinta agli studi storici, filosofici e biblici, il che portò ad una fioritura di produzione e ad una larghezza di critica che prima non si aveva. Rimangono a l primo piano del pensiero cattolico moderno mons. Duchesne, mons. Batiffol, il domenicano Lagrange, il gesuita Prat e altri ancora nei primi ranghi del pensiero cattolico. Non tutti rimasero nei limiti dell'ortodossia tradizionale. Leone XIII, poco prima della morte, aveva costituito una commissione pontificia per gli studi biblici (1902), allo scopo di evitare gli scogli di una critica razionalista. Già Loisy, che dirigeva la Revue d'Histoire et Littérature Religieuse, dava delle preoccupazioni. Lo stesso papa aveva, qualche anno prima, condannato l'americanismo, che in quei giorni passava come un modernismo avanti lettera. Nella lettera ai vescovi americani del 22 gennaio 1899, così Leone XIII riassumeva il nuovo errore: cc Bisogna che la chiesa si adegui maggiormente alla civiltà di un mondo arrivato a117età matura e che, allentando il suo antico rigore, si mostri favorevole alle aspirazioni e alle teorie dei popoli moderni. Ora molti estendono questo principio non solo alla disciplina ma anche alle dottrine che costituiscono il deposito della fede. Essi sostengono infatti che è opportuno, per guadagnare i cuori degli smarriti, tacere taluni punti di dottrina quasi fossero d i minima importanza, d i attenuarli al punto di non lasciar più loro il significato cui Ia chiesa si è sempre tenuta D (Testem benevolentiae). I1 termine americanismo fu foggiato in Francia in occasione della pubblicazione in francese della vita di padre Hecker. Certe tendenze ivi sottolineate, tutte americane nella loro spontaneità e niente affatto filosofiche o teologiche, ebbero allora in Francia. dalle polemiche che ne seguirono, una tinta ereticizzante. Lo stesso Leone XIII ha cura, nella precitata lettera, di affermare che « è lungi dal nostro pensiero ripudiare tutto quello che genera il genio moderno. Noi p l a ~ d i a m oa~l contrario, a ogni ricerca della verità, a ogni sforzo verso il bene, che contribuisce ad accrescere il patrimonio della scienza e a estendere i limiti del
benessere pubblico. Ma tutto ciò, pena il non essere di una reale utilità, deve esistere e svilupparsi tenendo conto dell'autorità e della saggezza della Chiesa » (1. c.). Egli passa, quindi, a riesaminare i punti di critica, cioè il rigetto della direzione esterna delle anime, l'attenuazione dell'intervento dell'autorità per una maggiore libertà individuale, la preferenza data alle virtù naturali, la distinzione fra virtù passive e virtù attive, dando la preferenza a queste ultime, e così via. I vescovi americani furono un po' sorpresi di tanto rumore a Parigi e a Roma e finirono con fare omaggio al papa aderendo alle sue direttive. I1 celebre mons. Ireland, arcivescovo di San Paolo del Minnesota, che si credeva essere stato colpito come uno dei. più ardenti americanisti, scriveva al papa nella sua lettera del 22 febbraio 1899 che mai per un istante la mia fede cattolica e la mia comprensione degli insegnamenti e delle pratiche della Santa Chiesa mi hanno permesso di aprire l'animo a pratiche stravaganti ».La parola americanismo rimase nella cronaca ecclesiastica, ma fu ben tosto soverchiata dalla parola modernismo, che indicò tutte le tendenze a modernizzare la chiesa in materia dogmatica, biblica, storica e disciplinare. Ai modernisti si opposero i cosiddetti integristi; questi non erano altro che l'ala estrema della reazione cattolica, la quale escludeva tutti i temperamenti che aveva portato Leone XIII, e che legava, nel campo politico, le sorti della chiesa con quelle dell'antidemocrazia e della reazione politica ed economica, che s i andava delineando all'inizio del nuovo secolo. Pio X non trovò, certo, la chiesa in mano ai modernisti. Costoro erano pochi in tutti i paesi, e formavano centri d i cultura nelle università, nei seminari, negli ordini religiosi, attorno a riviste scientifiche o storiche, e attiravano a sè le simpatie dei giovani e alimentavano le polemiche ecclesiastiche. Ma Pio X vide il pericolo dell'infiltrazione degli errori caratterizzati come modernismo e ne volle impedire la diffusione e colpirli a fondo. I1 decreto Lamel~tabilidel 3 luglio 1905 contro Loisy, l'enciclica Pascendi del 2 settembre 1907, di carattere dogmatico e disciplinare, e il motu proprio del losettembre 1910 sul giuramento anti-modernista, furono gli atti più significativi di Pio X. Egli
usò mezzi rigorosi, aspri anche; generalizzandone l'applicazione furono anche colpite utili iniziative e uomini profondamente devoti alla causa religiosa. La paura invase gli studiosi cattolici che per u n certo periodo si frenarono dall'affrontare temi ardui e controversi. I n complesso si ebbe u n brusco raddrizzamento seguito da una stasi per una specie di legge di sospetto che si diffuse dappertutto finchè Benedetto XV, appena assunto a l papato, con l'enciclica A d Beatissimi (1914) ebbe a richiamare gli studiosi all'osservanza della legge di carità nelle controversie, ordinando che nessuno si arbitrasse di prendere il posto del magistero ecclesiastico accusando l'avversario di modernismo. I problemi sollevati dal modernismo erano di carattere culturale, critico, e tentavano d i orientare i l pensiero religioso nella vita moderna. Per lo più gli scrittori modernisti erano degli specializzati, specialmente i n studi biblici o storici. Chi coltiva una scienza specializzata e tecnica spesso non vede tutti i legami culturali con gli orientamenti generali del pensiero e della vita umana, ma l i subisce, non importa se costantemente o no. Così avveniva che un misto d i razionalismo critico, d i idealismo hegeliano, d i pragmatismo storico si fosse infiltrato nelle speculazioni teologiche, nell'esegesi biblica e nella critica storica, producendo un'amalgama senza reale contenuto filosofico nè con senso teologico sicuro. La condanna di Pio X servì ad eliminare rapidamente simili infiltrazioni, che in non pochi casi erano superficiali, e a dare un più forte senso d i responsabilità teologica e di probità scientifica e critica. Ed è avvenuto, in u n breve giro di anni, che gli studiosi cattolici, pur controllati fortemente dall'autorità, sono pervenuti a conquistare posizioni più sicure e meglio approfondite. Perfino certe audacie oggi non destano più preoccupazioni, nonostante che l'ala conservatrice se ne mostri sospettosa, e si arriva ad ottenere progressi prima insperati; come è avvenuto con l'opera biblica di un Lagrange e d i u n Prat e con l'opera filosofica di un Blondel, tutti e tre allora considerati come modernisti, mentre nessuno oggi in buona fede più ne sospetta. La stessa Santa Sede si è ben giovata dell'opera di tali
scienziati, come fece a proposito del comma giovanneo, nella dichiarazione del Santo U f i i o del 2 giugno 1927 (*). L'orientamento modernista non rimase nell'ambito degli alti studi superiori come revisione scientifica e critica ; debordò come movimento pratico, fu trasportato nel dibattito della vita vissuta, nella disciplina interna della chiesa, nella sua azione politica, sociale, morale, educativa. Su tutta la produzione volgarizzatrice d i allora emerse come opera geniale Il Santo, di Antonio Fogazzaro. Già celebre per i suoi romanzi, con ZI Santo egli fece epoca. Fogazzaro era cattolico e tale voleva restare; perciò quando Il Santo fu posto all'indice, egli si sottomise, con grave scandalo del mondo letterario e liberale italiano e straniero. Ma la sua idea era la riforma della chiesa dall'interno, non dall'esterna; riforma catiolica, non protestante. Egli criticava i preti ignoranti e politicanti, il clericalismo intollerante delle sue province venete, il residuo di u temporalismo e di mondanità d i certe sfere vaticane, la fobia della cultura moderna. Ma il riformismo fogazzariano e degli altri come lui era troppo mescolato ai motivi della critica teologica, biblica e storica, e ciò creava un malinteso insanabile e aumentava le preoccupazioni delle alte sfere ecclesiastiche. Nello stesso sospetto fu confuso il movimento della democrazia cristiana. Don Romolo Murri a Roma aveva dato impressione di modernismo filosofico e teologico con i suoi discorsi. Colpito da provvedimenti disciplinari egli tentennò e finì per ribellarsi. I n Francia fu sconfessato il movimento del Sillon di Marc Sangnier, che si sottomise; l'abbé Naudet, che aveva diretto per molti anni il giornale democratico cristiano: La Justice Sociale, fu obbligato a l silenzio ch'egli serbò fino alla morte. Questo trasferimento delle preoccupazioni antimoderniste dal campo delle scienze sacre a quello dell'azione sociale, aveva due motivi fondamentali. I1 primo, tutto ecclesiastico e disciplinare, veniva dalla concezione di Pio X di sottoporre ogni iniziaiiva cattolica all'autorità diocesana. Onde egli aveva sciolto l'opera dei comitati e congressi cattolici (che dal 1874 in poi aveva di(*) V . Nouvelle Revue Théologique, Lonvain, novembre 1938, p. 1103, 110-a.
retto il movimento laico di resistenza all'anticlericalismo statale e di difesa dei principi cattolici) credendola troppo autonoma e laica, sottoponendo l'azione cattolica al diretto controllo dei vescovi e trasformando i dibattiti dei congressi in corsi d'istruzione che poi furono detti settimane sociali. L'altro motivo era politico. La democrazia cristiana era apparsa in Francia, in Italia, nel Belgio e altrove, troppo a favore del popolo, aveva agitato idee sociali che venivano qualificate come socialiste. I padroni dicevano: meglio i rossi ( i socialisti) che i bianchi ( i democratici-cristiani) ». In Francia la difesa religiosa contro le leggi anticattoliche veniva presa in mano dalla destra reazionaria, dalle correnti monarchiche, nazionaliste, antirepubblicane, capeggiate da Charles Maurras, allora sostenuto da vescovi e prelati. I cattolici repubblicani e democratici venivano rigettati sotto il sospetto di modernismo. I n Italia accadeva lo stesso, a causa del progresso che faceva il socialismo presso le mabse operaie e per le vittorie elettorali dell?« unione dei partiti popolari », che allora costituiva una specie di fronte popolare, riunendo democratici, radicali e socialisti. Fu allora che Pio X, pur mantenendo il non expedit in linea di principio, lo attenuò con le dispense caso per caso, per permettere ai cattolici di votare nelle elezioni politiche per i candidati favoriti dai vescovi, fra i quali qualclie cattolico militante; i primi gli onorevoli Cameroni, Bonomi, Meda e Micheli. Sotto gli auspici dell'unione elettorale cattolica si arrivò ad un'intesa con il governo presie,duto da Giolitti, e fu attuato il così detto patto Gentiloni, per una concentrazione delle destre e del centro liberale con l'appoggio elettorale dei cattolici. Tutto ciò corrispondeva all'idea direttiva di Pio X di un'intesa fra i cattolici e gli elementi moderati del liheralismo che non avversassero la religione, per potere così far fronte agli anticlericali e ai socialisti e trovare, in un temperamento pratico, una possibile convivenza fra la chiesa e lo stato moderno. Per ottenere ciò, i cattolici, pur proseguendo con prudenza iin'azioiie pratica a favore delle classi operaie, non dovevano eccedere nei metodi e per richieste eccessive, mantenersi dipendenti dall'episcopato in tutto, anche in materia elettorale. Questa idea quasi parrocchiale della vita politica cozzava con l'affer-
marsi allora in tutti i campi dello stato accentratore, che manteneva il dominio spirituaIe della scuola, dell'educazione giovanile fisica e sportiva, teneva eserciti stanziali sotto la bandiera, sviluppava i monopoli economici e sociali, togliendo quel ch'era possibile all'iniziativa privata, sulla quale contavano i cattolici. Questi erano ridotti quasi dappertutto a minoranze trascurabili; dove ancora maggioranza, erano indeboliti dalle divisioni fra conservatori e democratici e dalle controversie moderniste, il che toglieva loro la possibilitĂ di formulare un pensiero politico proprio, che fronteggiasse i tre prevalenti: il positivista, l'idealista e il marxista. Il termine democrazia cristiana divenne allora vuoto di senso e fu eliminato nell'uso corrente; la scuola cristiano-sociale, dopo i lavori di Cathrein, Pesch, Potrier, Vermeersh, Antoine, Toniolo e altri, non produsse che manuali e opuscoli senza importanza. I1 saggio teoretico di diritto naturale del gesuita Taparelli d'Azeglio, pubblicato verso il 1848, era il libro piĂš autorevole e piĂš sostanzioso a l quale si ritornava per u n orientamento giuridico e politico superato dagli avvenimenti d i quasi un secolo.
DALLA GRANDE GUERRA ALLA CRISI DELLA SOCIETÀ DELLE NAZIONI
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55. Una guerra europea, apportatrice della catastrofe della civiltà, si temeva da quasi mezzo secolo e si predicava ad ogni conflitto diplomatico e ad ogni passo verso i l riarmo. I1 congresso di Berlino, la triplice alleanza d i Germania, Austria, Italia, l'alleanza franco-russa, l'entente cordiale tra la Francia e la Gran Bretagna, l'annessione della Bosnia-Erzegovina da parte dell'Austria, le vertenze sul Marocco, la guerra italo-turca sul possesso della Libia, la prima e la seconda guerra balcanica, Serajevo e la guerra austro-serba, la guerra europea e mondiale, con la partecipazione del Giappone, della Cina, degli Stati Uniti d i America. Tutto il mondo (meno pochi neutri) diviso in due campi per terra, per mare e per aria. quattro anni e tre mesi di guerra, la rivoluzione russa, la sconfitta e la caduta degl'Imperi Centrali e delle loro dinastie, lo sconvolgimento economico, politico e morale. È storia nostra vissuta. Dal punto di vista religioso, in tutti i paesi belligeranti dove c'eran differenze e urti fra stato e chiesa, si cercò l'attenuazione e il contatto, sul terreno della resistenza e dell'assistenza morale e religiosa all'esercito. Tale orientamento non fu in tutti i paesi immediato. L'Italia ebbe cura di porre nel patto d i Londra delltaprile 1915, un articolo per evitare la presenza del Vaticano nelle trattative di pace, misura precauzionale che il ministro Sonnino (nella sua ristrettezza mentale) volle prendere temendo u n risorgere della questione romana, ovvero una umiliazione del governo italiano. La questione romana fu considerata
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dalla Germania come una pedina da far giocare contro l'Italia; ma in tempo arrivò la dichiarazione del cardinal Gasparri, che la Santa Sede voleva risolvere tale questione direttamente con l'Italia e con il consenso del popolo italiano. Un problema assai grave per la chiesa cattolica in quel momento era la mobilitazione del clero, sia perchè le parrocchie s'impoverivano d i elementi giovani, sia perchè preti e frati venivano incorporati nell'esercito combattente. I1 conflitto fra chiesa e stato, su u n tale fatto così contrario al diritto canonico e in questo punto reputato di diritto divino, doveva essere assai grave e i n altri tempi lo sarebbe stato; ma nel 1914, d i fronte agli stati laici, la cosa passò con blande proteste, unite a pratiche ufficiose da parte della chiesa e con adattamenti e attenuazioni di fatto da parte d'alcuni stati; preti e frati furono in gran numero addetti ai servizi sanitari, fu ripristinata l'assistenza religiosa dei soldati con le nomine d i vescovi castrensi e di cappellani maggiori e minori; rimasero però, dove più dove meno, preti e religiosi soldati, artiglieri, avieri. Maggiore condiscendenza mostrò la Santa Sede nel tollerare che i cleri di ogni singola nazione partecipassero attivamente alla propaganda a favore della guerra, non solo presso l'esercito combattente, ma anche nel paese, per la cosidetta resistenza interna. Per il clero dei paesi del171ntesa la cosa si presentò moralmente non ripugnante, perchè l'aggressione del Belgio, in aperta violazione della sua neutralità e del patto di garanzia, dava alla guerra un carattere morale: respingere l'aggressore e tutelare il debole aggredito dal più forte. La Francia non credette mai ch'essa avesse delle responsabilità indirette nello scatenamento della guerra, e la parola d'ordine della difesa della patria per essa coincideva con la difesa della giustizia e della civiltà europea; alcuni si spinsero a vedervi la difesa del cattolicesimo contro il luteranesimo; il clero e i cattolici francesi ebbero così dei facili motivi per condurre una campagna molto intensa a favore della guerra. Non si creda che dal lato opposto cattolici e protestanti non avessero trovato giustificata la loro guerra. L'Austria non aveva fatto altro che punire giustamente la Serbia; la Germania si difendeva dalla minaccia della Russia che aveva mobilitato ed
era pronta ad attaccarla; essa aggrediva la Francia per non cadere accerchiata dall'alleata della Russia e passava sul Belgio che, per la sua politica profrancese, aveva perduto il titolo alla neutralità. Così anche là si faceva appello alla morale, sì che vescovi cattolici e pastori protestanti potevano sostenere il buon diritto della guerra e invocare anch'essi Dio sulle armate austrogermaniche. Le chiese protestanti, essendo nazionali o locali, non hanno a priori difficoltà a confondere la loro attività con la nazione alla quale appartengono, ma la chiesa cattolica, per i l suo carattere universale, era scossa da una scissura profonda nel valutare l a moralità di un fatto pubblico, internazionale e gravissimo qual'è una guerra. Tanto più che poteva dirsi fosse la prima volta che nell'evo moderno si poneva apertamente il problema della giustizia in una guerra nella quale venivano alle armi quasi tutti gli stati del mondo, in tale misura da non essere solo una guerra d i eserciti, ma d i popoli intieri. Mentre .dalle due parti i vescovi e i cleri si pronunziavano per la giustizia della guerra del proprio paese, la Santa Sede, sollecitata a pronunziarsi, vi si rifiutò. Benedetto XV volle fare del Vaticano non un giudice della moralità della guerra, ma un samaritano che cura le piaghe, riservandosi, se l'opportunità venisse, il ruolo d i paciere. Quello di Benedetto crediamo sia stato un atto prudente, l'unico possibile ad un papa nelle condizioni in cui si.trovava, perchè la guerra (quando egli f u eletto papa) era già in corso; gli elementi di fatto, che avevano dato motivo alla guerra, erano stati soverchiati dalla estensione presa e dalla impossibilità umana a fermarla. I governi impegnati non avrebbero accettato un giudizio dato dal Vaticano così come non accettavano i suoi appelli alla pace. I governi volevano dal Vaticano un'adesione alla tesi di giustizia della propria guerra per farne motivo di propaganda, come facevano delle lettere collettive dei vescovi del proprio paese. I1 problema della giustizia di quella guerra, venuto a galla dalla profondità della coscienza umana, indicava la maturazione di una crisi morale senza precedenti e senza mezzi sufficienti a risolverla. Abbiamo notato come dalla rivoluzione francese data il passaggio del diritto di guerra dalle mani del re alle mani del
popolo; la moralità di una guerra, riservata una volta al giudizio d i consultori ecclesiastici e legali dei monarchi, passò alla luce delle discussioni delle assemblee. Le guerre della rivoluzione francese, le prime guerre napoleoniche, le guerre per la libertà e quelle di nazionalità furono credute giuste dai promotori, perchè confuse con i sentimenti popolari che le sostenevano, in nome dei diritti da rivendicare o da difendere. La chiesa, per la sua direttiva antirivoluzionaria, fu contraria a tali guerre, mentre f u favorevole alle guerre promosse dalla Santa Alleanza per intervenire a domare le rivolte e a rimettere l'ordine. Le guerre dal 1820 al 1870 facevano parte d i tutto l'ethos rivoluzionario da noi studiato; la loro moralità non fu messa in discussione. Diverso il caso delle guerre posteriori. La guerra anglo-boera fu la prima dei nostri tempi a sollevare una ondata di indignazione contro il governo del Regno Unito, anche fra gli stessi inglesi, dal punto di vista della moralità. La guerra ispanoamericana diede alla pubblica opinione le medesime scosse, benchè meno generali, perchè se ne attribuì, falsamente come si seppe dopo, la provocazione alla Spagna. Questo richiamo della pubhlica opinione alla moralità delle guerre veniva agevolato dalla preoccupazione che destavano gli armamenti in continuo aumento, dall'instabilità dell'equilibrio europeo, dall'insicurezza dei paesi piccoli e deboli, dallo spirito nazionalista ed imperialista dei grandi stati. La teoria della guerra bio-sociologica come necessità d i natura, mezzo di conquista del più forte, era sorta allora a sostituire la teoria della guerra per difesa nazionale proclamata dalla rivoluzione francese o la guerra per la libertà e l'indipendenza del periodo del risorgimento. La sociologia positivista umanitaria e dolciastra dava posto alla sociologia evoluzionista basata sulla lotta per la vita e sulla prevalenza del più forte. Friedrich Wilhelm Nietzsche fornisce l'espressione letteraria e filosofica della rivolta contro l'ordine stabilito per volontà d i potenza. Le virtù cristiane, la bontà naturale, le aspirazioni uma. nitarie sono inadeguate e indegne dell'uomo; solo la sua volontà di potenza lo farà vivere da uomo, distruggendo dentro di sè quel che nella lotta risulterà inferiore: al solo superuomo spetta la vita nel senso pieno della parola. Trasportato il tema dall'in-
dividuo al gruppo sociale, esso fornisce la base alla teoria della razza superiore, del popolo eletto, della eticità della violenza. Simile teoria aristocratica non era allora fatta per le massji (lo diverrà dopo l'esperienza della grande guerra); le masse socialiste volevano la pace: pensavano che la pace si sarebbe potuta avere solo in una comunità socialista, quando gli stati fossero trasformati da borghesi in stati dell'unica classe operaia. Neppure era accettata la teoria della guerra bio-sociologica dalla maggioranza cristiana dell9Europa, benchè essa non fosse pih abituata a pensare cristianamente i problemi politici e in modo particolare quello della guerra. Ma nell'awicinarsi del pericolo e quando già la guerra europea era arrivata come un fulmine, l'idea di moralità e di giustizia emergeva dalla coscienza collettiva: si domandavano tutti in quale misura la loro guerra fosse giusta e morale. La difesa della patria era certo un presupposto istintivo e incoercibile, ma s'identificava questa difesa con la politica del proprio paese? Alle autorità religiose si domandava non di risolvere u n dubbio, ma di confermare che la giustizia era dal proprio lato. Tale risposta venne, uguale per tutti: tutti lottavano per la giustizia. Ecco la crisi morale dell'Europa del
1914. Poteva essere diversamente? Potevano vescovi cattolici e protestanti, a guerra scoppiata, dire ai propri fedeli che la loro era una guerra ingiusta? Se l'avessero pensato e l'avessero voluto dire, quale governo lo avrebbe consentito? Così gli uomini di chiesa, al momento di dover dare un responso morale e reli,'IOS SO, si trovarono legati a i poteri che avevano preparato e scatenato la guerra, o non avevano saputo evitarla; la loro parola sacerdotale non era più libera. Una delle ragioni di tale crisi veniva dal fatto che i teologi e canonisti del secolo XIX non avevano aggiornato la teoria del diritto di guerra; ancora si considerava la guerra quale affare del monarca che in sua coscienza e sentito il consiglio di giuristi e moralisti, giudica della giustizia della guerra; ancora si ammetteva la guerra come mezzo idoneo a difendere il proprio diritto, quando a giudizio dello stesso monarca non vi fosse altro mezzo proporzionato e risolutivo; si arrivava a giustificare l a guerra dalle due parti se, per un errore
invincibile, il monarca avesse creduto alla giustizia della propria causa. In questa teoria non si teneva conto del cambiamento dello stato da assoluto a costituzionale, non della possibilità dei dibattiti pubblici sulle ragioni di una guerra, nei parlamenti e sulla stampa, non della partecipazione attiva dell'opinione pubblica e dell'influsso che può esercitarvi la morale cristiana sostenuta dai cittadini e dai cleri. Nè si pensava che la guerra moderna, con i mezzi scientifici di distruzione, con gli eserciti permanenti e la possibilità di mobilitare tutta la nazione, aveva abbandonato i l carattere di mezzo di garanzia del diritto, per quello più evidente e reale d i mezzo di affermazione di potenza e di egemonia. A questa impreparazione intellettuale, da parte delle chiese, si aggiungeva il loro indebolimento strutturale di fronte allo stato moderno, per cui dal secolo XVII in poi andò decadendo il potere di resistenza alle imprese dei monarchi assoluti e ancora di più dei governi popolari degli stati laici. La resistenza di Innocenzo X I a Luigi XIV e di Pio VI1 a Napoleone sono solo gesti di papi, quando i cleri locali erano allora a fianco di Luigi e di Napoleone. Nel caso della grande guerra, Pio X era alla fine della sua vita quando essa scoppiò; Benedetto XV la trovò iniziata. I1 papato, che avrebbe potuto fare sul terreno religioso un tentativo per impedirla, quando si svolgeva la vertenza austro-serba, non ebbe l'uomo che intuisse la situazione e che potesse agire (*). t*) È nota l'accusa fatta al card. Merry del Val, allora segretario di stato di Pio X, secondo la quale in una conversazione del 29 luglio 1414 coi1 I'incaricato di affari dell'dustria Ungheria, conte Maurizio PaltTy, avrebbe incoraggiato l'Austria a sostenere il suo ultimatum con le armi. I due documenti sui quali si basa i'accusa sono un telegramma deilo stesso Palffy al ministero degli esteri a Vienna e un rapporto telegrafico del barone \'on Bitter incaricato di affari della Baviera presso il Vaticano. Recentemente, nella 2a edizione dell' Irredentismo senza romanticismo, il dr. Mario Alberti, ministro plenipotenziario d'Italia, ha pubblicato tre estratti deUe Memorie inedite del cardinale, che rettificano i telegrammi diplomatici. Nella dichiarazione del 22 ottobre 1923 vi è il seguente periodo che intende precisare l'atteggiamento diplomatico del cardinale segretario di stato: « G verissimo che immediatamente dopo l'orrendo delitto di Serajevo, io dissi ripetutamente che l'Austria doveva tenere forte e che
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Benedetto XV non mancò al suo ruolo di paciere: nel 1916 lanciò u n primo appello che rimase inascoltato. Quindi iniziate non poche e difficili pratiche diplomatiche, che facevano sperare d i essere prese in considerazione, il papa il loagosto 1917 mandò una lettera ai diversi governi proponendo le linee sommarie per u n piano di pace. Egli scriveva: Il punto fondamentale deve essere che sottentri alla forza materiale delle armi l a forza morale del diritto. Quindi u n giusto accordo di tutti nella diminuzione simultanea e reciproca degli armamenti l'istituto dell'arbitrato la sanzione da convenire contro lo Stato che ricusasse o di sottoporre le questioni internazionali all'arbitro o di accettarne la decisione n. Le proposte di Benedetto XV erano già maturate nella coscienza dei popoli in guerra; egli le esprimeva autorevolmente e v'imprimeva i l carattere dell'equità cristiana. I1 bisogno d i una intesa permanente tra i popoli e della ricostruzione d i un'unità morale in base a l diritto internazionale accettato e rispettato da tutti, era già sentito da tempo. Abbiamo già notato come, dalla riforma in poi, si fosse formato il diritto internazionale moderno, e come fosse maturato l'ideale di una organizzazione permanente fra gli stati. Nel 1849 si era tenuto a Parigi u n congresso per la pace, con Cobden come vicepresidente e Victor Hugo come presidente; quest'ultimo coniò la frase: « Stati Uniti d'Europa », nell'attesa del giorno in cui le controversie sarebbero state composte da un arbitrato internazionale, attraverso un « grande senato su. premo ».Uno sforzo verso la comprensione internazionale su basi morali e giuridiche fu fatto più tardi dallo Czar delle Russie, d'accordo con la regina di Olanda ( e con l'adesione di Leone XIII), sforzo che mise capo alle due conferenze del19Aja del 1899 e del 1907, le cui decisioni, per quanto timide e incomplete, segnavano un inizio importante.
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aveva pieno diritto alie più solenni riparazioni ed a salvaguardare e 5 m cemente la sua esistenza. Ma non usai affatto le espressioni attribuitemi nel testo del telegramma dal barone Ritter, nè mai espressi la speranza che l'Austria ricorresse alle armi. Ciò costitnisce una glossa ed una interpretazione che i o non ammetto in nessuna maniera D. Identica dichiirazione fn scritta a nome del cardinale il 18 gennaio 1926 circa la lettera del conte Palffy.
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C l i i ~ s ao stato
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Durante la grande guerra l'idea che questa potesse essere l'ultima fra popoli civili e che si potesse con il trionfo della giustizia e della democrazia costituire u n nuovo ordine internazio-. nale, seduceva pensatori e sacerdoti, uomini politici e capi di partiti di massa. Con tale idea nel 1917 era intervenuto i n guerra a lato dell'Intesa Woodrow Wilson, presidente degli Stati Uniti d'America, e il suo intervento ne aveva deciso le sorti. Con il messaggio de11'8 gennaio 1918 egli fissò in quattordici punti il' piano della pace, completato dai quattro punti del 12 febbraio successivo. I n essi si affermava la costituzione d i una società internazionale, la necessità del disarmo, il principio dell'autodecisione dei popoli, il sistema dei mandati coloniali (più o meno sulla stessa linea ideale delle proposte di Benedetto XV). Tali punti poi formarono il presupposto degli armistizi e dei trattati d i pace, in quanto anche la Germania, l'Austria e loro alleati avevano accettato in principio i suddetti punti. Purtroppo nella conferenza della pace non furono ammessi i paesi vinti; la pace fu imposta, non concordata; nè tutte le proposte d i Wilson nè lo spirito che le animava penetrarono nei trattati. Però, nonostante i molti errori, la Società delle Nazioni con sede a Ginevra, era stata creata « poar dévélopper la cooperation entre les nations et p o m garantir la pabi et la siìreté D. A lato della Società fu costituito un Bureou international d u travail e sopra un altro piano la Cour permanente de justice internationale con sede all'Aia. Una ondata di fiducia e d i speranze passò sopra i vari paesi verso la nuova istituzione, che realizzava i sogni d i due secoli e mezzo, quando William Penn e Charles Irénée ChasteI, abbé de Saint-Pierre, scrissero i primi progetti d i organizzazione internazionale. Dal punto di vista giuridico-politico, lo statuto della Società delle Nazioni tentava d i combinare la sovranità di ogni singolo stato con l'autolimitazione per una reciproca interdipendenza; l'eguaglianza di tutti gli stati fra d i loro con la preponderanza delle grandi nazioni; la legge dei vincitori con la graduale intesa con i vinti. Fin dai primi paesi della nuova istituzione si videro le enormi di5coltà d i simile concezione, ibrida e contrastante. I n tutti i paesi, dopo i primi entusiasmi, si andarono formando due correnti di opinione pubblica, pro e contro Ginevra,
.per motivi diversi e contraddittori, a seconda che si trattasse di paesi vinti o vincitori, d i ambienti nazionalisti o pacifisti; si .andavano così creando due mistiche, una societaria n, l'altra i( anti-societaria n. I cattolici anch'essi si erano divisi pro e contro. I contrari vedevano nell'istituto d i Ginevra u n controaltare al centro cattolico, Roma: Wilson protestante messo d i fronte a Benedetto XV. Questo motivo era alimentato dal risentimento per il fatto che le proposte di pace d i Benedetto non erano ancora siate accettate dalle potenze e che non era stato fatto invito al papa .a farsi rappresentare alle assemblee d i Ginevra, mentre nel 1899 lo Czar e la regina d'Olanda, nonostante l'opposizione dell'Italia, mandarono un messaggio a Leone XIPI e n'ebbero una risposta che lessero i n pubblica assemblea. L'articolo 15 del patto .di Londra non poteva estendersi alla S.d.N., che non era pre.vista, ma gli stati dell'Intesa vollero osservarlo tanto più fedelmente in quanto prevedevano che sarebbero stati infedeli verso altre clausole dello stesso patto. Questi risentimenti andavano attenuandosi col tempo, sia perchè dalle prime mosse del nuovo istituto, già abbandonato dall'America e non ancora completato dalla Germania, si vedeva ehe il rappresentante del papa sarebbe stato d i troppo negli affari d i pura politica, mentre poteva trovarsi la via di cooperazione col papato a mezzo di un diplomatico pontificio accredi,tato presso la Società delle Nazioni. Benedetto XV, nell'enci.elica Pacem Dei del 23 maggio 1920 dichiarava: a Aux nations unies dans une ligue fondée sur la loi chrétienne, l7Eglise sera fidèle à preter son concours actif et empressé pour toutes leurs entreprises inspirées par la justice et la charité ».Nulla c'era nel patto della Società delle Nazioni che non fosse ispirato a criteri di giustizia, d i pace, d i carità, di mutuo aiuto, d i difesa del debole, di elevazione dei popoli non civilizzati; non c'era però alcun riferimento alla legge cristiana. Tale mancanza deri.vava dalla.concezione dello stato laico che poteva dirsi acquisita e incontrastata; la società di tali stati non poteva non essere laica. Ciò non voleva dire che fosse anticristiana, perchè il suo contenuto etico-giuridico non solo non ripugnava alla legge cristiana, ma vi corrispondeva in quanto Iegge etica-naturale. Perciò l'offerta d i Benedetto XV del concorso attivo e premuroso
della chiesa è bene caratterizzata per quanto riguarda tutte le iniziative ispirate a giustizia e carità: sia perchè in tutte le istituzioni umane (anche quelle fondate esplicitamente sulla legge cristiana) possono darsi delle iniziative non ispirate a giustizia e carità, sia per tenere estranea la chiesa da questioni strettamente tecniche e politiche. La mancanza di un'idea religiosa e dell'invocazione ufficiale a Dio padre di tutti gli uomini, fu la colpa di origine della Società delle Nazioni, perchè contrastava con un minimo di religiosità sociale. I cristiani vi han riparato promuovendo azioni liturgiche e preghiere pubbliche a Dio nell'occasione di assemblee solenni della Società. Per iniziativa del barone di Montenach svizzero, di monsignor Beaupin francese, e del marchese Alessandro Corsi italiano, e di altri, e con l'approvazione e l'incoraggiamento del papa, fu fondata nel 1919 1'Union catholique d'études internationales per contribuire alla formazione di una mentalità giuridica cristiana circa i problemi internazionali e per appoggiare le giuste iniziative d'intesa fra i popoli. Altre associazioni per la pace sorsero prima o poi promosse da cattolici, o interconfessionali o neutrali, sul piano della propaganda, come la League of nations union, ch'è la più diffusa e la più autorevole; altre anche di carattere strettamente pacifista sul principio della non-resistenza al male in base alla cosiddetta obiezione di coscienza, e altre ancora, come i1 Rassemblement pour la paiz, man mano che i problemi della pace venivano portati alla pubblica discussione.
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56. La rivoluzione russa del 1917 aveva dato il potere ai bolscevichi iniziando il governo dei soviet, soldati e contadini. La Russia era stata sottoposta a un regime assoluto quasi sempre tirannico ; il tentativo parlamentare della Duma era fallito ; il dominio feudale pesava sui contadini, il nichilismo delle correnti anarchiche intellettuali e popolari era la contropartita del terrorismo di governo. I1 popolo era stanco della guerra che non era animata da nessun reale sentimento e ch'era condotta dai capi militari e dalla corte con una sprezzante noncuranza del combattente e in una crescente indisciplina del fronte e del paese, che preludiava lo dacelo. Un uomo ben preparato, Lenin, approfittò
delle circostanze favorevoli e dell'appoggio dei nemici, per far cadere il colosso dai pié d'argilla, dopo che Kerenski ne aveva scosso le basi. I1 successo definitivo del bolscevismo (statalismo e socialismo uniti insieme e dagli occidentali classificati quale comunismo) diede inizio in Russia ad un'esperienza politico-economica unica nella storia. La frase sintetica atta a definirla fu quella di dittatura del proletariato; il fatto più complesso: l'espropriazione e collettivazione dei beni privati; l'unificazione d i tutti nella sola classe d i lavoro e la conseguente eliminazione delle altre classi; la costituzione di un solo partito ufficiale come organo di rafforzamento dei poteri pubblici e di mediazione fra governo e popolo, caratterizzarono il nuovo stato. Allo stesso tempo, per evitare reazioni avversarie, si procedette all'espulsione o esecuzione su larga scala dei membri delle vecchie élites politiche, militari, aristocratiche, ecclesiastiche, intellettuali, che non erano fuggiti all'estero. Per creare una larga base di opinione pubblica favorevole, di propaganda, d i sostegno e d'iniziativa rivoluzionaria, fu creata la I11 Internazionale comunista, con sede a Mosca, che fu di fatti e intenzionalmente un contraltare alla I1 Internazionale, l a socialista di Amsterdam. Con la caduta degl'Imperi Centrali caddero gli ordinamenti autoritari, aristocratici, militari che li sostenevano; il sobillamento delle masse portò alle varie rivolte comuniste, spartachiane, anarchiste, che scoppiarono qua e là tentando d i costituire governi provvisori, finchè gli elementi socialisti e radicali, con l'appoggio dei cattolici-sociali ( i l centro in Germania, i cristiano-sociali in Austria e in Ungheria) poterono costituire governi più stabili e fissare in nuove carte i principi democratici ai quali essi s'ispiravano. I nuovi stati sorti dopo il crollo e i piccoli stati ingranditi, dal Baltico all'Egeo, si diedero costituzioni democratiche assai larghe, per contentare le masse operaie e i combattenti reduci dalla guerra, in gran maggioranza socialisti, che credevano fosse scoccata l'ora della riscossa. Nei paesi vincitori e nei paesi rimasti neutri durante la guerra, la crisi delì'immediato dopoguerra fu meno acuta, l e istituzioni sociali resistettero quasi dappertutto. I1 periodo dei grandi scioperi operai (dovuti a l passaggio rapido dall'economia di guerra a
quella di dopoguerra), fu, con maggiori o minori scosse nell'ordine interno, e spesso con buona volontà delle due parti, rapidamente superato. Al tempo stesso che si rafforzavano le correnti socialiste e ultrademocratiche, prendevano novello vigore le nazionaliste e si organizzavano le associazioni dei combattenti. Si sentiva il bisogno di una reazione interna economica e politica, mentre si prendeva coscienza dei nuovi orientamenti internazionali verso una lega d i stati. I partiti detti cattolici, nei paesi dove esistevano, i n Germania, Austria, Ungheria, nel Belgio, nell'olanda, nella Svizzera e nei nuovi stati costituzionali formati dopo la guerra, prendevano più o meno posizione centrale fra il socialismo e le destre nazionaliste e borghesi, e arrivavano in certi casi a collaborare con i socialisti per organizzare i nuovi stati, come fu in Germania, nella costituente di Weimar. Prima della guerra tali partiti si erano limitati alla difesa della religione, della morale e della scuola libera e a sostenere e difendere le leggi protettrici del lavoro e dei sindacati professionali. Negl'imperi centrali, Germania e AustririUngheria, tutti i partiti avevano un ruolo ben limitato, essendo il governo extra-parlamentare; in Olanda e Svizzera i cattolici .cooperavano con i protestanti per una saggia politica conservatrice d i destra, ma socialmente aperta; nel Belgio i cattolici da lungo tempo erano soli al governo, dopo aver vinto la battaglia per la libertà scolastica, ma l'indirizzo politico prevalente era conservatore a tipo clericale. Dopo la guerra, ad essi e ai cattolici dei diversi paesi continentali ed a quelli dell'Irlanda del sud, s'imponeva una partecipazione più larga e una maggiore responsabilità nella vita pubblica; s'imponeva quindi una revisione della loro concezione politica e delle loro posizioni sociali. Fu allora che i cattolici italiani, dopo aver ottenuto dal Vaticano la promessa che i1 non expedit sarebbe stato tolto, si coslitiiirono in partito e con il pubblico appello del 18 gennaio 1919, presero il titolo di Partito Popolare Italiano. A poca distanza d i tempo segui la fondazione del partito popolare bavarese, del partito sociale spagnolo, del popolare czeco, dcl democratico popolare polacco, lituano e più tardi del democratico popolare francese; e si arrivò a costituire un segretariato inter~azionale
dei partiti democratici d'ispirazione cristiana con sede a Parigi
(1925). L'orientamento dei partiti popolari e cristiano-sociali del dopo-guerra differiva da quello precedente, non tanto per avere sottolineato di più il disimpegno dalla gerarchia ecclesiastica e i l proprio programma sociale, quanto per il tentativo d i formare u n proprio pensiero politico sul problema dello stato. I cattolici liberali alla Montalembert avevano accentuato l a nota della libertà, ch'era il problema del giorno; i democratici cristiani alla Decourtins avevano messo in valore le riforme sociali, i popolari mettevano in primo piano la riforma dello stato. Le libertà civili e politiche erano acquisite e allora nessuno le discuteva; le leggi sociali erano già iniziate e i movimenti operai ne sollecitavano l'attuazione; la crisi principale era quella istituzionale e funzionale dello stato, che si ripercuoteva anche sulle libertà politiche e sulle riforme sociali. Nell'appello del gennaio 1919 del partito popolare italiano era stato scritto: « Ad uno stato accentratore tendente a limitare e regolare ogni potere organico e ogni attività civica e individuale, vogliamo sul terreno costituzionale sostituire uno stato veramente popolare, che riconosca i limiti della sua attività, che rispetti i nuclei e gli organismi naturali - la famiglia, le classi, i comuni che rispetti la personalità individuale e incoraggi l e iniziative private 1) (*). I1 nome dato a tale concezione fu popolarismo: n e fu spiegata la ragione: « Le mot ' peuple ' avec la signification qu'il a dans l'expression latine Senatus Populusque Romanus, a toujours plu aux catholiques pour indiquer à la fois la volonté collective et la hiérarchie sociale, un principe d'ordre et de consentement classique au sens positif du mot. Mais le mot ' peuple ' sert aussi à tous les développements de la démagogie et fut rendu par là assez suspect. Pour indiquer le régime populaire, on employa de préférance le mot grec démocratie ' qui est resté en usage, tandis que dès le Moyen Age, on parlait en Italie de régime populaire ou de gouvernement du peuple et autres expressions semblables » (**). (*) L. STURZO, Il Partito Popolare Italiano, vol. I, p. 67, Bologna, 1956. (**) L. STCRZO, « Popularisme D, in Politique, Pans, 15 aont 1928.
I1 popolarismo è democratico, ma differisce dalla democrazia liberale perchè nega il sistema individualista e accentratore dello stato e vuole lo stato organico e decentrato; è liberale (nel senso sano della parola) perchè si basa sulle libertà civili .e politiche, che afferma uguali per tutti, senza monopoli di partiti e senza persecuzioni di religione, di razza e di classe; è .sociale nel senso d i una riforma a fondo del regime capitalista attuale, ma si distacca dal socialismo perchè ammette la proprietà privata, pur rivendicandone la funzione sociale; afferma il suo carattere cristiano, perchè non vi può oggi essere etica e civiltà che non sia cristiana. I1 popolarismo era l'antitesi dello stato totalitario; nacque nell'immediato dopo guerra, perchè si presentiva che la crisi più grave era la crisi dello stato, il quale andava verso le concezioni totalitarie. Più volte nel corso di questo studio, esaminando il carattere dello stato moderno e del suo sviluppo logico verso lo stato laico, ne abbiamo intravisto, come sbocco naturale, lo stato totalitario ; questi si presenta come una concezione antitetica a quella d i stato di opinione o liberale. Storicamente non è mai esistito, nè idealmente può esistere, un puro stato liberale, senza una qualifica che rendendolo concreto non lo limiti o lo modificlii. Solo il metodo della libertà resiste alla prova, mentre possono variare i dati delle libertà concrete. Spesso neppure il metodo della libertà è rispettato nei regimi democratici, mentre viene abolito senz'altro in quelli autoritari o misti. Così l'antitesi ideale fra stato liberale e totalitario viene superata appena il metodo della libertà cessa di funzionare. Il bolscevismo russo, divenuto il regime dei soviet, quando conquistò il monopolio dei potere a nome del partito socialista, perseguitò, espulse, debellò le altre classi, i partiti e gli eserciti avversi; sottopose il paese ad una ferrea disciplina, abolì ogni libertà che non fosse quella arbitraria dei capi di partito, negandola rigorosamente ai dissidenti dello stesso partito. Lo stato totalitario era nato; non si chiamava così perchè voleva essere la dittatura del proletariato a carattere socialista (comunista). La parola totalitario applicata a stato nacque in Italia nel 1926, quattro anni dopo che il fascismo aveva preso il potere con la marcia su Roma (1922), dopo avere esperimentato un governo di
apparente collaborazione con uomini d i altri partiti (1922-24), dopo aver fatto le elezioni col sistema di un premio di maggioranza dei tre quarti d i posti al partito più favorito (che naturalmente fu il fascista - 1924), quando per piegare le opposizioni tuttora forti, prima fu limitata ogni libertà di discussione e d i stampa (1925) poscia abolita; furono soppressi tutti i partiti, tutte le associazioni libere e indipendenti e proibita ogni iniziativa politica (1926). Allora fu proclamato i1 principio: « nientefuori dello stato, niente sopra lo stato, nè contro lo stato; tutto nello stato e per lo stato D; allora lo stato basato su tale principio fu detto dai fascisti e dal loro capo: stato totalitario. L'attuazione d i tale stato è proseguita attraverso esperimenti graduali. Facile l'abolizione della libertà politica, la riduzione del parlamento a semplice corpo decorativo e formale, la trasformazione delle elezioni politiche libere a semplici plebisciti forzati su liste imposte dal centro e votate per sì e per no, senza possibilità d i discussione e di propaganda, nè di qualsiasi affermazione contraria. Quando si ha una milizia di partito e la polizia ha, come organo permanente, un corpo d i spionaggio politico perfezionato, si può imporre al paese il regime totalitario con poca o nessuna resistenza; si può abolire il parlamento elettivo, come i n Italia nel 1938, e sostituirlo con un consiglio d i corporazioni di nomina governativa. Ma lo stato totalitario esige non la rassegnazione, bensì il consenso; non la sorda opposizione, ma la dedizione gioiosa. Così sono passate i n mano allo stato tutte le più interessanti manifesiazioni di vita collettiva e personale: educazione giovanile e infantile, sport, radio, cinema, giornali e pubblicazioni di ogni genere, scuole private e pubbliche di ogni grado e qualità. Non basta: occorre creare una disciplina dell'intelletto, della volonlà e del corpo: la militarixzazione di tutti, dai bambini di sei anni agli adulti d i cinquantasei; e ciò per ottenere due effetti: uno interno di mancipio allo stato, l'altro esterno per la creazione di eserciti numerosi e ben preparati. L'economia è un campo in cui il proprietario può avere ancora iniziativa e libertà, ma dove l'operaio h a da rivendicare diritti e tutelare interessi. Il bolscevismo ha soppresso il proprietariato. e vi ha surrogato lo stato (salvo attenuazione d i com-
promesso); il fascismo ha svuotato gran parte dell'economia del contenuto privato e vi ha sostituito istituti para-statali e capitale di stato. Inoltre ha organizzato le corporazioni quali organi burocratici delle varie branche dell'economia, sotto la dipen.denza e direzione dello stato, perchè l'economia è ancli'essa nello stato e per lo stato. La crisi economica ha agevolato tale manomissione dell'economia privata con la necessità dell'intervento finanziario dello stato; questo è divenuto azionista, imprenditore, commerciante, monopolista; la necessità d i avere moneta estera ha fatto nascere il monopolio dei cambi e poi anche del commercio estero. L'Italia ha così applicato un regime di socialismo di stato, mentre la Russia ha applicato quello del collettivismo di stato o comunismo. L'idea comunista si è presentata in Russia sotto il segno del materialismo e dell'ateisnio. La liberazione dalle catene dello zarismo (dell'aristocrazia che manteneva una specie d i servitù della gleba, della chiesa che si reggeva per ignoranza) trovò i suoi motivi nel duplice scopo d i una prosperità materiale e d i una rivolta religiosa. I soviet russi prima tentarono la formazione di una chiesa di stato, producendo una scissura fra clero ortodosso rimasto in patria. Contemporaneamente laicizzarono lo stato, ruppero tutti i vincoli legali fra il popolo e la chiesa, chiusero monasteri e conventi, abbatterono o trasformarono per usi profani gli edifici di culto e favorirono la propaganda antireligiosa ed empia. Caduto il tentativo d i una chiesa bolscevizzante, infierì la persecuzione contro tutti i cleri, fu impedito il culto, si volle la scristianizzazione della Russia. Ai periodi di lotta seguirono periodi di tolleranza più o meno malevola; di tanto in tanto si riparla d i libertà d i culto, se libertà vi può essere sotto le dittature; molti preferiscono le sette cristiane segrete, che si vanno sviluppando nel sottosuolo sovietico. La Russia, nel favorire il fanatismo empio delle leghe dei <r senza-Dio D, ha voluto farei una mistica del marxismo, dcificando il lavoro, la scienza liberatrice, il collettivismo egualitario, facendo d i Lenin un mito nell'immenso maus~leodove giace il suo corpo, per attirarvi le folle e inorgoglirle. I1 comunismo è un motivo d i distacco da tutto il mondo, per ottenere
una struttura omogenea dell'immenso impero russo, e farne un centro di forza per attirare le folle, anche straniere, verso la I11 Internazionale di Mosca, come un faro di novella civiltà. Filosofia, cultura, educazione, letteratura, arte propria (per quanto discutibili) si sono contrapposte a quelle del passato e del presente della nostra civiltà, come espressione d i una nuova civilizzazione dei popoli. La propaganda comunista in ogni paese è servita al doppio scopo antireligioso e politico presso quelle masse che si vanno formando alla mistica di Mosca. Altri tentativi di governi dittatoriali, dopo quelli della Russia e del171talia, sono stati quello di Kemel Ataturk in Turchia, d i Primo de Rivera in Spagna, di Pilsudski in Polonia, di Calles nel Messico, di Carmona e Salazar nel Portogallo, del re Alessandro in Jugoslavia e d i Dolfuss i n Austria. Altre simili iniziative si sono avute in Grecia, Albania, Bulgaria, Lituania, Finlandia; il male si è propagato nell'America del sud, con fasi più o meno transitorie, che mancano d i originalità. Alcune di tali dittature sono cadute, altre sopravvivono, secondo le fasi della politica locale. Ma anche là dove sono cadute, per dare luogo a governi rappresentativi, lo spirito di sopraffazione di parte e la tendenza dittatoriale permane e torna a prevalere. Quel che da un ventennio va succedendo presso tali stati non è solo l'affermarsi d i una concezione filosofica politica, ma addirittura il rovesciamento, di valori politici e morali, per l'affermazione dei mezzi di forza per la conquista del potere in mano ad un partito o a u n gruppo o ad una persona, il disprezzo del diritto della personalità umana e delle minoranze dissidenti, l'annullamento delle libertà, l'accentramento politico, giuridico, amministrativo e morale dello stato, l'accaparramento nelle mani di uno solo o d i pochi di tutti i mezzi atti a influenzare la pubblica opinione. La più imponente esperienza è quella che viene a compiersi in Germania dal 1933 in poi. I1 sistema dittatoriale social-nazionalista è pressochè similare a quello fascista, salvo che è più accentuato e più brutale; un solo partito armato, accentramento statale completo, tutta l'economia del paese in mano allo stato e diretta a scopi statali, militarizzazione generale permanente, educazione, scuola, cultura, stampa, sport, cinema, teatro tutto diretto dallo stato e per lo stato, soppressione violenta della
libertà personale e politica; o.gni manifestazione di volere popolare, come plebisciti ed elezioni, non è altro che manipolazione del partito e dello stato in completa fusione d i organi e d i fini, persecuzione implacabile contro gli avversari di razza o d i partiti, fino alla violenta soppressione (come nella notte del 30 giugno 1934); nessun dominio morale riservato alla coscienza individuale, che non sia requisito dello stato, con polizie e ci di spionaggio che arrivano alla montatura di delitti mai commessi. Le differenze fra la Germania e l'Italia fino all'inizio del 1938 erano date dalla lotta antisemita, dalla concezione d i razza e da un certo simbolismo religioso che si era creato in Germania. I1 nazismo voleva divenire un sistema di civiltà proprio del popolo germanico, per esprimere la sua essenzialità e la sua potenza. C I1 sangue e il suolo n, cioè la razza e la terra che l'ha alimentata, l'ambiente dove si è radicato, sono all'origine di questo popolo superiore, unico dominatore. Questo segna il distacco voluto dalla civiltà cristiana sulla quale è stata creata l'unità spirituale dell'occidente. La Germania fu quella che ne promosse la prima rottura con il luteranesimo, il quale, nonostante il distacco, conservò il legame di una fede cristiana, per quanto subiettiva, ma basata sulla Bibbia, libro santo per tutti. La comunità europea rifatta dopo la pace d i Westfalia su certi principi etici e politici, sugli scambi culturali e sulla solidarietà d'interessi, ebbe il primo colpo dalla politica bismarckiana e i l secondo dalla grande guerra, ma sperava d'aver trovato finalmente il terreno comune di cooperazione democratica e intcrnazionale; Locarno e l'entrata della Germania nella società delle nazioni n'erano le prime fasi. Ora non più: la Germania, per affermarsi tale, h a promosso una nuova rottura in tutti i campi, basandosi sopra la negazione della religione, dell'etica e della cultura europea, per chiudersi in uno sforzo titanico d i autopotenziamento sopra un concezione di vita che l e dia una personalità superiore e un dominio incontrastato in tutto i l mondo. Da questo punto di vista il nazismo sostiene una politica di differenziazione dalle altre razze, la espulsione, la segregazione, l'assoggettamento della comunità di razze differenti, specialmente gli ebrei, proclamati nemici del popolo tedescv e tali da essere
annientati senza pietà. Impone sistemi eugenetici e la sterilizzazione obbligatoria, per ottenere la migliore selezione e la più perfetta omogeneità fisica del popolo germanico, nonchè un'educazione e un allenamento caratteristico adatto a formare una mentalità corrispondente. Tutte le popolazioni tedesche che sono sotto altro stato debbono formare un unico sistema politico come formano un'unica razza e un'unica anima germanica. Onde il riarmo febbrile e vertiginoso, per imporsi al mondo, la tensione spasmodica per guadagnare tempo e distanza contro i futuri nemici, un titanismo mistico, come una corsa alla morte e alla deificazione. Per creare un simile movimento è utile una religione che ne interpreti, simbolizzi ed esalti i sentimenti. È perciò che, per quanto grossolani possono essere i simboli delle vecchie divinità germaniche, essi hanno incontrato favore presso larga schiera di gioventù; essi interpretano l'essenza del germanesimo D. la divinità che si.deve adorare; da qui una irosa e odiosa propaganda anticristiana, che trova preparate tanto le masse già materializzate dal socialismo e comunismo, che le élites intellettuali educate nel positivismo scientifico e nell'idealismo filosofico. I tedeschi rimasti fedeli al cristianesimo sono divisi in due larghe schiere; coloro che sentono il contrasto fondamentale insanabile tra la fede di Cristo e la concezione razzista e che, restando fedeli alla prima, cercando di combattere come possono contro la seconda, o almeno se ne mantengono spiritualmente distaccati e affrontano il disprezzo dei molti e le persecuzioni del partito; gli altri, i quali pensano che sarà possibile trovare quelle attenuazioni dall'una parte e dall'altra per ottenere una conciliazione pratica. Questi ultimi falsificano cristianesimo e razzismo, confondendoli con l'idea di rivendicazione dei diritti della patria, della grandezza e forza pubblica della Germania, della sua superiorità d i razza e di cultura. Hitler, arrivato al potere, cercò d i rompere l'opposizione delle chiese cristiane alle sue teorie e a l suo partito; e dichiarò che il suo governo avrebbe rispettato le due chiese cristiane del Reich, la protestante e la cattolica. Per la protestante tentò l'unificazione obbligando tutte le chiese particolari a formare la chiesa del Reich. Trovò ostacoli di uomini e di indirizzi; le dif-
fidenze furono aumentate dalla propaganda anticristiana favorita dal partito nazista e dalla soppressione di ogni libertà anche nel campo ecclesiastico. È superfluo accennare alle lunghe ver-. tenze h a la chiesa, il ministro dei culti e il vescovo del Reich, mai completamente riconosciuto. Nel fatto non può dirsi che s i sia ottenuta fin oggi nè un'unificazione spirituale nè un'unificazione organica, e i n certe zone protestanti il favore iniziale ver-so il nazismo si è cambiato in sorda opposizione religiosa. Delle due più eminenti figure di pastori protestanti, il Barth fuggì in Svizzera e Niemuller fu messo in u n campo di concentramento, La chiesa cattolica aveva già stipulato quattro concordati con. i vari stati della Germania d i Weimar; Hitler volle fonderli in uno per tutto il Reich, sì da dare l'impressione che tra lui e il Vaticano vi fossero accordi e simpatie. Dai vescovi furono ritirate (si disse: sospese) le condanne emanate contro il movimento. dei nazisti, fu affrettato lo scioglimento del Centro, fu data l'adesione d i alcuni sindacati cristiani agli indirizzi sociali del nuovo governo, il nunzio favorì l'intesa dei capi cattolici con i nazi, sì che pochi mesi dopo si potè stipulare il nuovo concordato (1933). Ma nè la chiesa protestante nè la cattolica hanno avuto. tregua nella lotta, sia per le scuole confessionali, sia per l'organizzazione giovanile cattolica, sia per gli ordini religiosi, si& per la stampa o soppressa o ridotta in soggezione; s ì che la condizione delle chiese cristiane in Germania andò sempre peggiorando. La situazione che si è creata è di una insidiosa e per-. manente persecuzione anticristiana, per l'affermazione titanica del germanesimo nazista.
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57. I1 fascismo italiano da principio non aspirò allhniver-. salismo come Mosca, nè al predominio razziale come Berlino; il fascismo italiano prese carattere nazionale e politico; fare dell'Italia una potenza imperiale. A tale scopo era necessaria una mistica: - lo stato fascista, nazionale e imperiale, f i ~ degli e italiani; ogni altra idealità e attività, quale essa sia, mezzo a questo fine. E la religione cattolica e il papato? A essere conseguenti. nella idealizzazione superba dello stato fascista, sono anch'essi mezzi al fine. Non sarebbe una novità, perchè la religione instrumentum regni è concezione antica, rinnovata di epo-
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c a in epoca. I1 fascismo, avendo fatto del suo stato una concezione etica totale (noi diremo panteista), ha cercato in tutti i modi di inserirvi la chiesa, senza perciò perdere il suo carattere laico: questo il compromesso unilaterale e paradossale del fa.scisma. A impedire che la chiesa v i si opponesse e lo contraddicesse, sta nel fondo della mentalità fascista la minaccia tacita e sottintesa (qualche volta affiorata) di una lotta senza limiti. E poichè il fascismo ha potuto progressivamente conquistare tutti i .gangli della vita pubblica e privata e sottoporre gl'italiani ad una disciplina fatta d i soggezione e di paura nei tiepidi e d i entu.siasmo e superbia nei seguaci, così h a sottoposto al medesimo trattamento politico e mistico il clero e gli organismi ecclesiastici, non mancando d i usare con loro i favori e di farli vigilare dall'ovra. Simile compromesso lo abbiamo qualificato come unilaterale, perchè non poteva essere quello del papato nè quello dell'episcopato italiano e dei fedeli organizzati nella chiesa, quale l'azione cattolica e le opere parrocchiali o diocesane. Donde un sottile duello, tutto italiano, di compromessi parziali fatti con riserva, di sottintesi inespressi ma chiari agl'iniziati, d i affermazioni generali ed involute ma buone a toccare il segno, lotte sorde, tregue di apparente amicizia, elogi reciproci, doni generosi .e perdite gravi dall'una parte e dall'altra. I1 papato è abituato tanto alle lotte frontali, quanto alle costruzioni pazienti, alle lunghe attese, ai vantaggi reali con le perdite apparenti; la sua resistenza di quasi due millenni lo rende immune dal timore di perdite irreparabili e di complete catastrofi. B perciò che la sua posizione vis-à-vis del fascismo ha un estremo interesse, più nei riguardi del fascismo che in quelli del papato. I1 problema che più interessava il papato, all'avvento del fascismo, era la soluzione della questione romana e la sistemazione, a mezzo di un concordato, dei rapporti giuridici ed economici della chiesa con lo stato italiano. Da un lato si voleva cogliere l'occasione di un governo autoritario e personale per troncare tutte le opposizioni della opinioae pubblica italiana nutrita di pregiudizi anti-vaticani ed educata alla paura del clericalismo. Dall'altro lato si sentiva il bisogno di affrettare una definizione contrattuale delle varie questioni maturate in mezzo secolo, di
fronte ad uno stato totalitario senza più limiti e freni che aveva soppresso ogni forma di libertà civile e politica. Papato ed episcopato non avevano più quei mezzi che dal 1860 in poi avevano usato per difendere se stessi e i diritti della chiesa e dei fedeli e per sostenere apertamente i principi cristiani, sia contro i privati che contro il parlamento e il governo. Pio XI ebbe facilitato il suo compito dagli avvenimenti, ma egli vi aggiunse una volontà decisa a superare ogni ostacolo. I1 cardinal Pietro Gasparn - che aveva preparato il piano della soluzione della questione romana durante la guerra, che aveva tentato pratiche ufficiose con i ministri Vittorio Emanuele Orlando e Francesco Nitti nell'immediato dopo guerra e che abbondava d i cultura giuridica e di capacità diplomatica - era il collaboratore ideale per Pio XI. Appena finita la guerra, Benedetto XV tolse il divieto di ricevere i n Vaticano i capi d i stati cattolici (ritenuti storicamente tali) che fossero venuti a Roma; abolì anche il non expedit che aveva impedito ai cattolici italiani la partecipazione alla vita pubblica. Erano gesti significativi, ma i governi liberali-democratici temevano d i compromettersi, non ostante che reputassero matura un'intesa con il papato. Pio XI, eletto papa (febbraio 1922), volle ripristinare l'uso sospeso dopo il 1870 d i benedire la folla dalla loggia Vaticana; il che era stato accolto con estremo favore dall'opinione pubblica. Nel giugno 1921, Benito Mussolini, allora deputato, parlando alla camera aveva detto testualmente: « Se il Vaticano rinunzia definitivamente ai suoi sogni temporali, l'Italia profana e laica dovrebbe fornire al Vaticano gli aiuti materiali, le agevolazioni materiali per scuole, chiese, ospedali e altro, che una potenza profana ha a sua disposizione. Perchè lo sviluppo del cattolicesimo nel mondo, l'aumento dei 400 milioni di uomini che in tutte le parti del mondo guardano a Roma, è d i un interesse e d i un orgoglio anche per noi che siamo italiani D. Questa profana e larga visione ben poteva contrapporsi a quella giurisdizionalista piccola e gretta che i governi liberali avevano verso il papato (di cui l'ultimo esempio era stato l'articolo 15 del patto d i Londra); Mussolini, che nel 1919 aveva messo nei suo programma l'abolizione del fondo per il culto e altre proposte anticlericali, nel 1921 voleva saltare il fosso, a condi-
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zione della rinuncia definitiva ai sogni temporali n. Leone XIII era stato troppo preso dagli avvenimenti della caduta del potere temporale, per arrivare ad una soluzione che ne implicasse la rinuncia; ma da Pio X in poi « i sogni temporali n erano ormai fuori tempo. Pio XI, nella sua prima enciclica del 23 dicembre 1922, protestava a contro una tale condizione di cose, non già per vana e terrena ambizione della quale arrossiremmo, ma per puro debito di coscienza, perchè la natura della chiesa richiede che la Santa Sede sia ed appaia indipendente e libera da ogni umana autorità o legge, sia pure una legge che annuncia guarentigie N. Per quattro anni, dalla marcia su Roma (ottobre 1922) alla fine del 1926, non si parlò più di questione romana. Furono gli anni di consolidamento del regime fascista, contro l'opposizione dei socialisti, dei popolari e di una frazione di democratici-liberali ;gli anni dell'uccisione di diciannove operai a Torino creduti comunisti, della nuova legge elettorale,.della statizzazione della milizia fascista, dell'assassinio di Matteotti, dell'Aventino, della soppressione delle libertà di riunione e di stampa, dello scioglimento dei partiti avversi e della proclamazione dello stato totalitario. Le trattative segrete fra Mussolini e il Vaticano a mezzo di giuristi delle due parti, durarono più di un triennio ; il segreto fu mantenuto anche con cardinali d i curia, fino a che fu assicurata la riuscita dell'iniziativa. I1 trattato detto del Laterano fu firmato 1'11 febbraio 1929. I termini del trattato sono noti. Da parte del Vaticano si voleva una zona territoriale sulla quale affermare la sovranità effettiva, perchè secondo i criteri giuridici prevalenti nella curia, la sovranità non potrebbe scompagnarsi dal territorio, nè potrebbe darsi libertà ed indipendenza della Santa Sede senza sovranità. La zona vaticana distaccata dal territorio del regno d'Italia fu dichiarata città-stato indipendente sotto la sovranità del papa; uno stato simbolico più che reale e una città sui generis dove i cittadini ben numerati confondono la loro volontà con quella del papa unico e vero cittadino e sovrano insieme. Tutte le disposizioni di diritto civile amministrativo, finanziario e penale di tale città sono degli adattamenti necessari allo stato di fatto che il Vaticano è un recinto o clausura dentro Roma capi-
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tale d'Italia e che la sua vita materiale e civile dipende dai buoni rapporti fra il Vaticano e l'Italia. La indipendenza e libertà reale e visibile della Santa Sede, rivendicate da Pio XI, sono sostanzialmente giuridiche e tale è la situazione che risulta dal trattato; non sono politiche perchè non si tratta d i uno stato nel vero senso della parola, nel quale ci sia un popolo che affermi la sua essenzialità politica in un territorio sufficiente e garantito; e neppure internazionale, perchè manca qualsiasi titolo di riconoscimento e di garanzia da parte d i altre nazioni. In queste condizioni occorreva un elemento morale permanente a completare il carattere strettamente giuridico della nuova posizione del papato. Fu perciò che Pio XI pose come condizione sine qua non la stipulazione di un concordato che assicurasse I'influenza cattolica nel regno d'Italia. Le principali disposizioni concordatarie riguardano il regime matrimoniale (soppressione del matrimonio civile per i cattolici, giurisdizione ecclesiastica del vincolo, divieto d'introdurre il divorzio), l'insegnamento religioso nelle scuole, l'assistenza religiosa nell'esercito, marina ed aviazione, nella milizia e nelle formazioni premilitari, libertà scolastica e riconoscimento degli istituti cattolici compresa la università d i Milano, riconoscimento dell'azione cattolica, riorganizzazione del patrimonio ecclesiastico e d i culto, abolizione dei vecchi divieti e controlli giurisdizionali, quali il placet, l'ezequatur e le tasse speciali sui benefici, ripristino della personalità morale degli ordini religiosi e validità civile dei loro voti, abolizione del diritto d i patronato e regolamentazione delle nomine dei vescovi e dei parroci, d'accordo fra l'autorità religiosa e la civile, con la introduzione del giuramento, d a parte dei vescovi, d i lealtà allo stato. I1 Vaticano cercò di dare allo stato italiano l'impronta cattolica per garantirsi che la religione cattolica fosse effettivamente e non solo di nome la religione dello stato. Però, mentre i termini concordatari sono a prevalente carattere confessionale, lo spirito dello stato fascista rimaneva inalterato, e il suo capo cercava con astuzia e audacia il modo di svalutare quel confessionalismo che la stampa cattolica del mondo celebrava, esaltando il nuovo Costantino che aveva dato la pace alla chiesa. Ciò egli fece nel suo discorso alla camera dei deputati del maggio
successivo, nel quale egli rivendicò il ruolo di Roma e dell'impero romano col dire: <r Questa religione è nata nella Palestina, ma è diventata cattolica a Roma. Se fosse rimasta in Palestina, molto probabilmente sarebbe stata una delle tante sette che fiorivano in quell'ambiente arroventato, come ad esempio quella degli Esseni o dei Terapeuti, e molto probabilmente si sarebbe spenta, senza lasciare traccia di sè... r. I1 malumore del fascismo si manifestò apertamente contro l'organizzazione della gioventù cattolica, che andava prendendo uno sviluppo eccezionale ed attirava l'attenzione e le simpatic di molti; le manifestazioni esterne, cortei, pellegrinaggi, feste, erano sempre affollate, e si temeva che le famiglie preferissero inviare i loro figli presso i cattolici anzichè presso i fascisti. L'urto fu inevitabile; dal marzo 1931 in poi si ebbero assalti armati contro i circoli cattolici, stampa inferocita che ne domandava la chiusura, molestie nei cortei e all'uscita dalle chiese, giovani feriti, preti. oltraggiati, bandiere stracciate, da un capo all'altro d'Italia, come se si ubbidisse ad una parola d'ordine. La solenne e imponente commemorazione dell'anniversario della enciclica leoniana Rerum Novarum, alla quale presero parte molte delegazioni estere, quando Pio XI promulgò la sua enciclica commemorativa, la Quadragesimo Anno (che insieme con la prima forma il codice sociale dei cattolici) diede l'impressione ai capi fascisti che essi dovessero colpire a fondo per impedire una reviviscenza d i forze cattoliche, che potevano essere pericolose per uno stato totalitario. I circoli furono chiusi e fu fatta proibizione di riaprirli; il materiale fu sequestrato. I1 papa scrisse allora la sua famosa enciclica: N Non abbiamo bisogno n, del 29 giugno 1931. Temendo egli che ne sarebbe stata impedita la pubblicazione in Italia e che la polizia italiana si sarebbe i m ~ a d r o n i t a delle copie dell'Osservatore romano relative al documento, mandò messi speciali all'estero con le traduzioni i n diverse lingue, sì da ottenersene la pubblicazione contemporaneamente al testo d c i a l e italiano. I n tale enciclica Pio X I condanna apertamente la teoria fascista dello stato quale fine dell'individuo, deplora la manomissione dell'organizzazione giovanile cattolica e la difende dall'accusa di voler fare della politica, riconosce la situazione angosciosa dei
iedeli obbligati al giuramento fascista e dichiara autorevolmente che tale giuramento si può tollerare a condizione che nell'emetterlo ciascuno intenda fare riserva dei diritti di Dio e della coscienza, riserva da esprimersi apertamente se la necessità lo imponesse, a togliere equivoci sulla professione della fede e l'osservanza della morale cattolica. La vertenza durò altri tre mesi, finchè per l'intromissione del gesuita Tacchi-Venturi, si arrivò a fissare i termini d i un accordo fra il Vaticano e il governo fascista, con i1 quale il governo si obbligò a far riaprire i circoli cattolici e a consegnare il materiale sequestrato e a non opporsi all'attività dell'azione cattolica in genere e della giovanile in particolare; il Vaticano attenuò il carattere nazionale di tali organismi e ne accentuò quello diocesano, consenti che la bandiera fosse la nazionale e non una speciale e che si evitassero cortei e pubbliche dimostrazioni, si da evitare l'impressione di voler fare concorrenza alla gioventù fascista. L'episodio, comunque chiuso, servì a marcare le posizioni dualistiche dei due poteri e a fare cadere l'illusione, che ingenuamente si coltivava da parecchi, che il fascismo potesse cattolicizzarsi. Mussolini si guardò bene dal fare quel che aveva preconizzato col discorso del 1921, temendo che una Roma cattolica potesse fare ombra a l suo sogno di grandezza. Che al Vaticano appartenesse un angolo di Roma, passi; ma la Roma nuova è e deve essere la Roma fascista. Egli continua così la tradizione della terza Roma dal 1870 in poi, con la differenza che la Roma liberale misurava le spese perchè borghese, la Roma fascista non le misura perchè imperiale. In ambedue vi si trova la volontà decisa di oscurare i l Vaticano, che, avversario o amico, fa ombra non tanto all'esterno con una grandezza spettacolare e mondana, quanto nella concezione antitetica ch'esso rappresenta nella sua permanente affermazione cristiana, espressa anche nel suo silenzio. La storia dirà se la soluzione data alla questione romana 1'11 febbraio 1929 resisterà per lungo tempo al dualismo fondamentale fra stato totalitario, qualunque esso sia, e papato. Scoppiata la prima vertenza, Pio X I ebbe a dichiarare che trnttato e concordato sono talmente legati insieme che o entrambi stanno o entrambi cadono; perchè il concordato deve creare quell'ambiente morale, nella professata pubblica fede cristiana,
si da rendere consoni moralmente, come sono vicini materialmente, il Vaticano e il regno d'Italia. La violazione del concordato sarebbe implicitamente e moralmente, se non giuridicamente, una violazione del trattato. Quali, però, le conseguenze, se ambedue cadono, dal punto di vista della questione romana? Non il ritorno allo stato quo unte, cioè alla legge delle guarentigie, perchè mai accettata dal Vaticano, e già abrogata dall'ltalia senza alcuna condizione. Neppure il ritorno alle posizioni di entrambi al momento della breccia di Porta Pia, perchè il papa nel trattato del Laterano ha dichiarato definitivamente e irrevocabilmente a composta la questione romana D ed ha riconosciuto « i l regno d'Italia sotto la dinastia di casa Savoia con Roma capitale dello state italiano D. La denunzia del concordato da una delle due parti ne imporrebbe giuridicamente la revisione per un nuovo accordo, e moralmente il riesame di tutti i rapporti.fra il papato e l'Italia; fuori di una revisione amichevole per una nuova intesa generale, fra d i essi nulla vi sarebbe di comune. I1 Vaticano, giustamente, si appoggia sul diritto divino della libertà e indipendenza pontificia, al quale corrispondono sia un diritto storico alla sovranità territoriale, sia il costume internazionale positivo che riconosce al papa il carattere di soggetto di diritto internazionale pubblico, non per le leggi italiane (guarentigie o leggi di ratifica del trattato del Laterano), ma per il consenso tradizionale delle nazioni che mantengono con il papa (abbia o no u n vero stato) relazioni diplomatiche da sovrano a sovrano e che occasionalmente stipulano trattati, concordati e modus civendi. L'Italia non poteva negare questa base granitica del diritto papale, ma nel trasformarlo in trattato non volle darvi nessun altro carattere che quello d i contratto bilaterale, e da parte sua basato sul diritto nazionale, con esclusione di qualsiasi riconoscimento o garanzie internazionali. Poichè il diritto nazionale italiano proviene dalla volontà popolare a costituirsi in stato unitario comprendendovi tutto il territorio della penisola, così il distacco della città del Vaticano dal territorio statale dovette essere approvato con legge di stato e ratificato da una forma d i plebiscito. Tale signifcato fu dato alle elezioni
politiche del 24 marzo 1929, con l'aperta adesione dell'azione cattolica e del clero, che incitarono i fedeli a parteciparvi votando in senso favorevole. I1 plebiscito del 24 marzo 1929 corresse o completò, secondo le varie opinioni, quello del 2 ottobre 1870. Da1 punto di vista sociologico tali plebisciti per lo più non liberi, o almeno senza sutficiente libertà a votare contro, non sono mai espressione reale della volontà collettiva, ma solo titoli giustificativi per quei regimi che fanno originare il loro diritto, dal popolo o che dal popolo ne esigono il riconoscimento, pur originandosi da altre cause storiche. I1 fascismo, che fa originare il suo regime da una rivoluzione ancora in marcia, non può rinunziare a riunire insieme due principi che formano il proprio diritto: quello della forza dei capi che s'impone e quello della volontà popolare che vi consente; la contraddizione sta in ciò che, quanto più valida è la forza in mano ai pochi, tanto più tenue e incerta e inefficace è la volontà del popolo. La prova della soluzione giuridica e concordataria della questione romana (nonostante le difficoltà teoriche e pratiche) potrà resistere fino a che la situazione politica europea si manterrà sopra l'attuale equilibrio instabile. Due cause minano tutta la costmzione attuale: il totalitarismo statale e la rottura dell'equilibrio internazionale. È possibile opporre una diga morale e religiosa, da parte della chiesa cattolica e delle altre chiese cristiane, contro le passioni nazionali rese sfrenate dal totalitarismo e contro la corsa agli armamenti e più che altro contro la preparazione spirituale per una guerra distruttrice della nostra civiltà? (*)
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58. La preoccupazione che si arriverà presto o tardi a una nuova guerra europea più grave e più tragica della precedente è aumentata dal giorno in cui la Germania è divenuta stato totalitario sotto i1 segno della croce uncinata; ma lo spettro della guerra era rinato fin da quando furono firmati il trattato di Vert*) La interrogazione era stata fatta per la evidente preparazione di una guerra ad oltranza da parte del governo hitleriano, al quale non resistevano piU i grandi stati in singolo nè la S.d.N. (N. d. A.)
saglia e gli altri trattati detti di pace, perchè mancò in essi lo spirito di concilazione e di compromesso atto a generare una pace che non fosse solo la legge del vincitore, ma l'accordo reale del vincitore ed il vinto. Si credette che a quel che mancava a Versaglia, nei riguardi della Germania, si fosse supplito a Locarno. Non fu così perchè per le tappe successive, dallo sgombero della Kenania alla liquidazione delle riparazioni, occorsero sette lunghi anni, discussioni penose e decisioni tardive, dovute alla politica ostinata della Francia a non volere riconoscere la realtà della situazione, e alla condotta incerta del171nghilterra che rendeva equivoci gli accordi e le intese. I1 punto cruciale era quello del disarmo; la Germania domandava la parità, la Francia esigeva la sicurezza; il duello fu mortale. Accordata la parità di diritto nel 1932, subordinatamente alla sicurezza, non solo non fu mai precisato in che consisteva la sicurezza, ma furono mantenute nel progetto di disarmo le clausole militari del tratiato di Versaglia che negavano d i diritto e di fatto la parità; dall'altro lato, mentre le discussioni si facevano lunghe e senza sbocco, la Germania riarmava. I n tutto questo periodo, la S. d.N. era nel pieno d i un'attività fiduciosa, in continue assemblee, consigli, comitati, congressi, conferenze, nella stesura d i trattati, protocolli, patti regionali e generali, studi tecnici, schemi di disarmo, piani per l'unione europea, progetti d i assistenza reciproca contro l'aggressore. Nelle lontane Americhe era stata fondata l'unione pan-americana fra tutti gli stati, e con il patto Kellogg-Briand si istituiva un legame sottile fra Ginevra e Washington. Tutto ciò dava il senso d i un'euforia straordinaria e la confidenza che la conferenza sul disarmo (alla quale partecipavano gli Stati Uniti e la Russia nonostante che non appartenesse alla lega) sarebbe arrivava a fissare l e basi di un equilibrio internazionale nella collaborazione di tutti. Tre fatti non potevano sfuggire all'osservatore comune il quale forse non vi aveva dato la dovuta importanza -: che la Società delle Nazioni aveva nel suo seno due stati che per la loro struttura negavano i principi sui quali essa era costruita: il Giappone e l'Italia fascista; che la Francia, pur sostenendo i principi d i Ginevra, contava assai più sulle sue alleanze poli-
tiche e militari, perchè la Germania, pur essendo stata ammessa al consiglio ginevrino, alimentava Io spirito di rivincita appena attenuato dalle forme democratiche del suo regime d i allora; infine, che il governo inglese, non volendo impegnarsi troppo, tendeva a ridurre al minimo le obbligazioni societarie e di altri patti che si andavano stipulando. La costruzione giuridica d i Ginevra non aveva il consenso reale d i tutti gli stati, o meglio ne aveva nel limite di quanto corrispondesse agl'interessi di ciascuno. I sentimenti potevano essere onesti, gli scopi di ogni singolo stato legittimi, ma la fede era debole e senza fede non solo non si muovono le montagne, ma neanche si affrontano rischi. Vi era, inoltre, qualche stato in mala fede. I1 Giappone stava muto e preparava il colpo sulla Manciuria; al momento opportuno, quando i dissensi europei erano più acuti, dimenticando gli impegni sottoscritti d i rispettare l'integrità territoriale degli stati soci, d i rinunziare alla guerra a scopo nazionale, e nel caso di tutela della propria sicurezza, d i sottoporsi alla procedura del couenant, il Giappone manda eserciti , e - nuovo metodo - senza dichiarare una guerra, ma con misure di polizia, occupa la Manciuria, ne fa uno stato vassallo, ne fissa le leggi e si fa giustizia da sè. Ginevra non mancò d'intervenire con una lunga serie d i riunioni e di voti e d i messaggi diretti ai due stati in contesa e con una commissione d'inchiesta inviata sul posto; ma poichè nè la Francia, nè l'Inghilterra vollero agire sul serio e di concerto con gli Stati Uniti (che ne avevano preso l'iniziativa) per fare rispettare i patti internazionali, così la Società delle Nazioni si limitò alla deploraxione, perdendo il Giappone come proprio membro. L'esempio fu contagioso. Arrivato Hitler al potere, volle fare della Germania uno stato totalitario (spiritualmente in contraddizione con l'internazionalismo di Ginevra); ruppe tutti gli indugi sulla parità di diritto e di fatto, rinunziò all'ipocrisia della conferenza del disarmo, che di fatto stava diventando una conferenza per il riarmo, e abbandonò Ginevra. La reazione degli altri stati della Società stessa fu debole e insignificante. Si pensò di ripescare Hitler con una politica di condiscendenza e di manovre; Francia e Inghilterra non furono mai pienamente d'accordo. Così nulla si fece per impedire il riarmo
della Germania, nulla per chiarire le posizioni morali e giuridiche delle due parti. Si tollerò la persecuzione contro gli ebrei, senza un passo diplomatico nè una protesta nè da parte degli stati singoli nè da parte di Ginevra; nulla si fece per attenuare la lotta contro la chiesa e quella contro i partiti. L'abisso morale che si apriva fra la Germania e i popoli civili era sentito da tutti, ma nessun governo voleva confessarlo pubblicamente. Nello stesso tempo la Russia si avvicinava a Ginevra e batteva alle porte della Società delle Nazioni; non perchè essa avesse grande fede nei principi internazionali che aveva scrediizto per tanti anni nella sua propaganda all'interno e all'ester o ; ma posta Ga il Giappone e la Germania, ambedue disposte a far guerra per la loro politica totalitaria, credette di utilizzare le alleanze europee con l'appoggio e sotto l'egida della Società. E questa, nell'accettare i Soviet, nulla domandò che potesse formare un piano etico comune con gli ~ l t r stati; i non la libertà religiosa e civile, non la rinuncia ai metodi di violenza, non l'attenuazione del suo totalitarismo e della sua propaganda di lotta di classe. E come avrebbe potuto far ciò la Società delle Nazioni quando aveva tollerato l'Italia fascista, la quale fin dalla prima vertenxa (quella di Corfù nel 1923) ne aveva escluso l'intervento, e spesso, in discorsi ufficiali, ne aveva minimizzato gli ideali, deriso gli sforzi d i disarmo, inneggiando ai « cannoni n, alle (C baionette n, a i (C moschetti e perseguendo una politica di militarizzazione spirituale della gioventù? I1 governo fascista aveva diritto d i fare una politica propria e il dovere di tutelare gli interessi italiani, tanto più che Francia e Inghilterra' agivano nel loro interesse e non tenevano conto deli'Italia che per l'appoggio chc potevano ricavarne; ma l'Italia non era leale verso Ginevra. facendo una politica di sabotaggio degl'ideali internazionali, pur restandone dentro. E venne la volta anche dell'Italia. L'incidente di Oual-Oual del 4 dicembre 1934 aprì la via alla vertenza abissina che già maturava da quaiche anno. Per I'accordo di Roma del 7 gerinaio 1935 la Francia diede a1171talia mano libera in Abissinia, il governo acquistò in Lava1 u n abile e spregiudicato manorratore a Ginevra.
Prima fase: il reclamo del Negus non trova alla Società delle Nazioni che mezzi dilatori per evitare l'applicazione del patto; mancanza di appoggio per l'invocato arbitrato a cui aveva diritto per il trattato italo-abissino del 1928; ingiusta limitazione sia della materia da arbitrare e sia dei poteri degli arbitri nella ricerca della sovranità territoriale su Oual-Oual; applicazione ed effetto unilaterale dell'embargo sulle armi, che lasciava disarmata 1'Abissinia proprio nello stesso tempo che la S.d.N. non era riuscita ad ottenere daI1'Italia la sospensione dell'invio di truppe e munizioni in Eritrea e in Somalia. Fu durante quesLa fase che Hitler diede un'altra forte scossa a l sistema dei trattati di pace, annunziando ufficialmente il riarmo della Germania in violazione delle clausole militari del trattato di Versaglia. Francia, Inghilterra e Italia, riunite a Stresa, ciascuna con propria intenzionalità, deliberarono di invitare la S.d.N. a deplorare l'azione della Germania o a dichiarare finalmente che non sarebbe stata più tollerata alcuna violazione di trattati sotto la minaccia di applicare i mezzi repressivi. Strano a dirsi, nessuna delle tre potenze era immune dall'aver violato o non osservato i trattati (speciamente la clausola sul disarmo), e l'Italia già violava parecchi trattati nel preparare una guerra che andava divenendo inevitabile a vista d'occhio. Nella seconda fase è Londra che agisce, il che dà l'impressione ch'essa, pur dicendo di voler difendere i l patto della Società, non faceva che tutelare i propri interessi, che potevano essere compromessi dall'iniziativa italiana. I1 viaggio di Eden a Roma, il risentimento della stampa inglese, le conversazioni a tre di Parigi, che parvero far rinascere l'accordo tripartito, l'invio della flotta inglese nel Mediterraneo, resero acuto il dissidio Roma-Londra, facendo passare in seconda linea i principi eticogiuridici del patto della S.d.N. e la tutela dello stato che stava per essere aggredito. Finalmente l'epilogo: il governo fascista non volle mai prectsare gli scopi della sua azione diplomatica e militare contro 1'Abissinia; rifiutò tutte le proposte fatte a nome di Londra e d i Parigi o a nome della S.d.N.; per giustificarsi presentb un memoriale contro 1'Abissinia. Ammettendo come provati i vari capi d i accusa (fra i quali la schiavitù e il traffico degli schiavi),
accorre fare distinzione dei casi occorsi o aventi origine prima d e l 1922, quando l'Italia (d'accordo con la Francia) appoggiò l'istanza del19Abissinia di far parte della S.d.N. - che con quest'atto venivano evidentemente 'condonati o riconosciuti condonabili - da quelli occorsi da allora fino al 1928, quando l'Italia concluse un nuovo trattato di amicizia con 1'Abissinia e s'impegnò a dirimere con l'arbitrato le divergenze che sarebbero nate in seguito. Solo gli ultimi casi potevano portare ad una guerra legittima, dopo che fossero stati definiti dall'arbitrato e solo nel .caso che 1'Abissinia avesse rifiutato di eseguirne le decisioni e fossero state eseguite le procedure fissate dal patto della S.d.N. L'Italia, invece, bruciò le tappe, e senza nè ultimatum nè dichiarazione di guerra, invase con le sue truppe il territorio abissino e condusse la guerra con i mezzi più rapidi e micidiali, compreso i'uso dei gas asfissianti e i bombardamenti aerei contro le popolazioni inermi. L'assemblea di Ginevra, appena scoppiata la guerra, dichiarò che l'Italia aveva violato il patto, e mentre decise d i applicare le sanzioni economiche e finanziarie, continuò le trattative che portarono al progetto Laval-Hoare, respinto dal19Abissinia, respinto anche dall'Italia e ritirato moralmente (se non legalmente) d a l consiglio della Società. Questo continuò nel sistema equivoco .di voler trattare a l tempo stesso in cui minacciava l'intensificazione delle sanzioni, sempre affermate e sempre dilazionate. Ne era tempo: Hitler, colta l'occasione, fece il suo colpo maestro, occupando la zona demilitarixzata del Reno, in violazione del patto di Locarno (7 marzo 1936). Le proteste del governo francese contro tale violazione trovarono tiepida Londra ad agire, così come la Francia era stata tiepida ad agire contro l'Italia. La preoccupazione di una guerra europea fece passare in secondo piano la guerra abissina, che precipitò verso la fine, con la disfatta del Negus, la sua fuga e la presa di Addis Abeba. Dopo di che l'assemblea della S.d.N. prese atto dell'insufficienza dell'azione collettiva a impedire la guerra e a garantire l'integrità territoriale d i uno stato-membro, tolse le sanzioni qualche mese dopo che il governo fascista aveva proclamato l'annessione dell'Abissinia e nominato il re d'Italia imperatore. Quest'epilogo segno una grave disfatta dell'idea della sicu-
rezza collettiva basata sulla moralità e sul diritto internazion'ale ; tolse definitivamente alla S.d.N. il carattere d i universalità con il quale era nata e al quale aspirava; diede nuovo impulso a tutti i paesi, compresi i più pacifisti come l'Inghilterra, il Belgio, la Svizzera, ad un riarmo sollecito e completo, obbligando a ritornare senz'altro al sistema dell'ante-guerra, delle alleanze militari, delle neutralità o dell'isolamento secondo i casi; a negare l'aspirazione dei popoli alla solidarietà internazionale e alla limitazione degli armamenti e alla messa fuori legge della guerra, di ogni guerra. L'Italia pretese il riconoscimento del nuovo impero e il rifiuto al Negus di partecipare alle assemblee della Società delle Nazioni; non avendo ottenuto soddisfazione, dopo vari tentennamenti, decise di ritirarsi da Ginevra. La crisi internazionale segnava una nuova fase più grave della precedente. Gli avvenimenti del dopo-guerra avevano posto sotto una particolare luce i rapporti fra la chiesa e la società internazionale, la chiesa e gli stati singoli, sia riguardo alla costruzione eticogiuridica della pace sia riguardo a casi di guerra. Un problema nuovo si poneva: C( Se e fino a qual punto la chiesa può e deve accettare e appoggiare moralmente l'ordine internazionale come u n ordine d i diritto n. La chiesa considera lo stato come un istituto naturale necessario e comanda d i rispettarne l'autorità e l'ordine giuridico; donde la celebre risposta di Gesù Cristo: (C date a Cesare quel che è di Cesare D. Una società internazionale, stabilita su basi di etica naturale, partecipa all'autorità dello stato e al suo carattere di custode dell'ordine? I1 problema è nuovo, non perchè non fosse stato posto e risolto nel passato: - la cristianità nel medioevo con la diarchia papa-imperatore era una società internazionale -, ma perchè quella del passato era basata sulla concezione cristiana, mentre la S.d.N. è di carattere laico; quella era legata strettamente al papato, da cui prendeva origine, questa è al d i fuori di ogni ingerenza della chiesa. Quel che si dice della S.d.N. si può dire dell'unione pan-americana, che ne ha lo stesso carattere etico-giuridico. Queste società sono contrattuali, positive e, per l'incertezza della politica, possono considerarsi più o meno temporanee. La chiesa può e deve tenerne conto come di mezzi per creare un diritto internazionale
e darvi efficacia, come di organi giuridico-contrattuali e in tanto provvisti di autorità in quanto si crea per esse e in esse l'interdipaidenza internazionale ch'è una limitazione reciproca della sovranità. I n quanto per tali società e unioni d i stati si creano vincoli giuridici, si promuovono opere utili, s'impediscono l e guerre a mezzo d i procedure obbligatorie, arbitrati e decisioni d'autorità; la chiesa non può non riguardarli come esercizio in comune dell'autorità di cui gli stati sono investiti; fino a che esse non ledono la giustizia e la morale, meritano quell'appoggio che la chiesa dà ad ogni singolo stato per il bene comune ch'è suo fine specifico. Nel dire così non s'intende affatto che la chiesa si frammischi alla politica internazionale, come non si frammischia alla politica nazionale; ma solo che, allo stesso modo ch'essa difende presso ciascuno stato la religione, la morale e il diritto, ne appoggia le buone iniziative volte a tale scopo, così opera, per quel che le è possibile, nel campo più vasto e coordinato delle unioni e società degli stati. Mai la chiesa cattolica h a lasciato questa sua alta funzione sociale e civilizzatrice, neppure sotto il pretesto che gli stati moderni sono laici -. pretesto che cattolici mal consigliati han diffuso a proposito della laicità della S.d.N. - perchè là dove la morale si può difendere e il diritta consolidare, è funzione e dovere della chiesa cattolica dire la sua parola. Questo è stato l'indirizzo dei papi da Leone XIII in poi, sia a favore delle intese e unioni fra gli stati, sia della formazione e del consolidamento del diritto internazionale, sia nell'appoggio delle iniziative di disarmo. Le altre chiese hanno apertamente e senza restrizioni sostenuto le nuove iniziative internazionali. Dove l'opera della chiesa corrisponde più da vicino allo spirito del Vangelo e ai bisogni del mondo attuale, è nel promuovere e contribuire al disarmo morale, ad attenuare le cause di guerra, a sostenere e a prendere , se occorre, le iniziative di pace facendo apprezzare i valori morali sopra gl'interessi egoistici dei popoli. E poichè il caso di guerra è il punto centrale delle attuali costruzioni internazionali (Società delle Nazioni e Unione pan-americana) così la chiesa, senza essere legata alle loro politiche particolari, non può non appoggiare i principi atti ad
evitare l e guerre: l'osservanza dei patti, la necessità dell'arbitrato, l'equità delle revisioni fatte in tempo, l'eliminazione dei motivi di guerra, la condanna di coloro che si fanno giustizia da . sè, trarcinando i popoli negli orrori della guerra. Sotto questo aspetto il caso della guerra italo-abissina fu per la chiesa cattolica più grave che non quello della guerra mondiale. Le altre chiese protestanti e ortodosse non erano direttamente interessate, tranne la chiesa copta-egizio-etiopica, che naturalmente era per la giustizia della difesa dell'Abissinia. Contro la guerra promossa dall'Italia e quindi per la difesa del popolo aggredito e della legge internazionale, si posero le chiese protestanti, tranne la tedesca, la ungherese e la francese, dalle quali non si ebbero pubbliche dichiarazioni. Pio XI si trovò in posizione assai delicata e fu accusato da vescovi protestanti di essere favorevole al governo fascista. Egli era legato dall'articolo 24 del trattato del Laterano, con il quale u la Santa Sede in relazione alla sovranità anche nel campo internazionale, dichiara ch'Essa vuole rimanere e rimarrà eslranea alle competizioni temporali fra gli altri stati e ai congressi internazionali indetti per tale oggetto, a meno che le parti contendenti facciano concorde appello alla sua missione di pace, riservandosi in ogni caso di far valere la sua protesta morale e spirituale ». Per quest'ultima riserva il papa, nel discorso del 27 agosto 1935 precisò il suo pensiero sul conflitto che stava per portare alla guerra: se essa è, come si pensa all'estero, una guerra offensiva, sarebbe « vraiment une guerre injuste ».Ed a,,'valunse : « Nous ne croyons pas, nous ne voulons pas croire à une guerre injuste ».I n Italia si parla di una guerra di difesa e di bisogno d i espansione, continiiava Pio XI, ma « si le besoin d'expansion est un fait dont il Eaut ienir compte, le droit de défense a des limites et des modérations qu'il doit garder afin que la défense ne soit pas coupable N. Una susscpente precisazione ufficiale dell'osservatore Rornano chihriva che: « il bisogno di espansione non è un diritto di per sè; è un fatto di cui bisogna tener conto, ma che non si identifica con il diritto ».I1 papa infine raccomandava agli uomini responsabili di non far nulla «. che potesse aggravare la situazione e irritare gli spiriti », di non « perdere un tempo prezioso » e d i fare u opera di pacificazione D.
Così egli indirettamente fissò le posizioni dell'Italia, degli stali interessati e della Società delle Nazioni. I n questo discorso non vi era alcun accenno all'obbligo morale dell'osservanza dei patti e dell'arbitrato preventivo, che vincolava l'Italia con 1'Abissinia. Però tale posizione etico-giriridica era stata alterata dal consiglio della S.d.N. che aveva limitato l'arbitrato ed aveva promosso la riunione a tre (LondraParigi-Roma) con esclusione del vero interessato, I'Abissinia, trattata peggio d i una minorenne. La cura di escludere ogni implicazione morale e ogni richiamo ai patti, per poter piazzare il conflitto italo-abissino sul piano politico come un affare delle tre grandi potenze interessate, fu l'errore iniziale, etico e psicologico, a l quale si prestarono la segreteria della S.d.N. e i rappresentanti degli altri stati piccoli e grandi. I n antitesi con tale posizione equivoca e utilitaria, veniva sollevato nell'opinione pubblica un conflitto di coscienza sulla uatur a della guerra, prima ancora che l'assemblea della S.d.N. avesse dichiarato l'Italia violatrice del patto, e quindi stato aggressore. Era troppo evidente, all'occhio semplice di quanti non erano turbati da passioni immediate o da particolari interessi, vedere nella condotta del governo fascista il proposito d i una conquista, al!a quale l'incidente di Oual-Oual, chiuso con un arbitrato di non colpevolezza dalle due parti, non dava sufficiente pretesto. Perciò da molti si sollecitava Ginevra a fare opera efficace e pronta per impedire la guerra anche con le sanzioni, che, nel caso, si giudicavano legittime non solo dal punto d i vista formale, trattandosi di violazione chiara e voluta del Covenant, ma anche dal punto d i vista morale, trattandosi indubbiamente di guerra di aggressione e di conquista. Che essa fosse preparata e voluta fin dal 1932, è confessato dal generale De Bono nel suo libro « La conquista d i un impero D. Ciò nonostante i vescovi, il clero e la stampa cattolica italiana presero una posizione netta a favore della guerra e contro l e sanzioni. Dall'abbondante documentazione si possono rilevare tre posizioni prese di fronte al problema etico-giuridico che la guerra sollevava: 1) che il governo di un paese era l'unico giudice della giistizia della propria guerra e che il popolo è obbligato a ubbidire; 2) che la guerra d'Africa era una guerra per la
Roma dai singoli governi, nè dal consiglio della S.d.N., forse perchè è notorio che grandi e piccoli stati fabbricavano gas più deleteri per la prossima guerra ;ma da parte dei cleri e dei fedeli questa sarebbe stata una occasione opportuna per levare la voce contro un terribile mezzo di distruzione di vite umane, senza distinzione possibile £ra belligeranti e popolazioni civili. L'episodio rivelò l'inizio di una crisi morale senza precedenti. Senza dubbio essa può riallacciarsi alla crisi morale, psicologica e politica dovuta alla guerra mondiale; ma la nuova fase è caratterizzata dalla formazione degli stati totalitari. Questi - pur nelle loro diversità d i programma e di atteggiamenti vanno dando l'impronta ad un'epoca con la soppressione di ogni libertà, con il monopolio d i tutti i mezzi dell'opinione pubblica, con la manomissione delle anime giovanili, con l'accaparramento di ogni attività intellettuale, di ogni iniziativa personale o di gruppi in tutte le branche, anche le più distaccate dalla politica; col predominio nel campo della stessa economia e dei suoi fini, della vita domestica e religiosa; con la militarizzazione d i tutta la nazione e il riarmo continuo senza più limiti. Essi vanno così creando una struttura di ferro per tutta la società. Nessuna meraviglia che la società internazionale ne fosse stata scossa, non tanto perchè essa non era riuscita ad impedire una guerra d i aggressione, quanto perchè non aveva avuto la forza di difendere integralmente e a tempo i principi etico-giuridici sui quali venne fondata. Gli uomini responsabili pensavano ai problemi della guerra italo-abissina in termini politici più che in termini morali; essi, nella loro povertà spirituale, non sapevano bene apprezzare gli effetti politici che derivano dalla morale pubblica. D'altro lato le chiese non hanno una tale voce, nel mondo attuale della politica, da essere ascoltate, e spesso ecclesiastici e fedeli sono trascinati dalle passioni politiche che fermentano nel mondo.
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59. Non era ancora chiuso il periodo della guerra abissina, che scoppia in Spagna la rivolta dei generali, la quale subito si trasforma in guerra civile e poco dopo in una camuffata guerra internazionale con riflessi d i guerra religiosa e di lotta ideologica, che si fanno sentire in tutto il mondo. Quale connes-
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Chiesa e stato
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sione d i politica e d i intrighi possa avere la guerra di Spagna con quella di Abissinia non è facile dire e non è importante a i fini della nostra indagine. Gli storici futuri potranno avere in mano documenti o giovarsi di rivelazioni che noi non abbiamo per risolvere o tentare di risolvere tale problema. Quel che oggi può affermarsi con sicurezza si è che il governo italiano aila fine della guerra abissina si trovava ad avere u n debito d i gratitudine verso Berlino e un forte risentimento contro Londra e Parigi. Le intese tra Roma e Berlino portarono ad una modifica della politica italiana nel centro Europa. L'l1 luglio 1936 Hitler riceveva i l cancelliere austriaco, Schuschnigg, a Berchtesgaden, per stipulare il primo accordo: la politica estera dell'Ausiria fu sottoposta alle direttive di Berlino, mentre il governo d i Vienna si riconciliava con il regime nazista. Quale fosse la ripercussione nel Mediterraneo della nuova politica, che più tardi doveva essere definita l'a Asse RonaBerlino n, poteva già intuirsi dal rafforzamento militare della Libia, delle isole del Dodecanneso, dell'isola di Pantelleria in rapporto con la Sicilia, e più tardi della Sardegna. Circostanza sfuggita all'attenzione del pubblico; l'assemblea della S.d.N. che decide il ritiro delle sanzioni contro l'Italia e allo stesso tempo il non riconoscimento dell'annessione dell'abissinia ebbe luogo il 4 luglio; l'accordo austro-germanico d i Berchtesgaden fu l'l1 luglio; la data dell'ordine dato agli aerei dell'esercito italiano d i recarsi nel Marocco spagnolo si ebbe quattro giorni dopo, il 15 luglio; questi aerei resero possibile lo sbarco in Spagna delle truppe del Marocco (*). Infine il 17 luglio ci fu il pronunciamento militare del generale Franco in Marocco e il 18 luglio l a sollevazione militare a Madrid e nelle provincie spagnole. Si disse che la rivolta fosse stata decisa in seguito alI'uccisione di Calvo Sotelo, awenuta il 14 luglio, quale rappresaglia degli agenti di polizia amici del sottotenente della guardia di polizia,
( 8 ) Tale data fu rilevata dalle autorità francesi nei documenti di due piloti italiani che atterrarono per errore in Algeria. L'utilizzazione degli aerei italiani per Io sbarco di troppe marocchine in Spagna fu resa pubblica dai giornali, ed è stata confermata da libri e da articoli in riviste italiane (V. Gurno 31amro~r,L'Aviazione Legionnria in lspagna). ( N . d . A.).
Castillo, ch'era stato ucciso pochi giorni prima dai fascisti spagnoli. Ma ormai nessuno può mettere in dubbio che la rivolta era stata già decisa parecchio tempo prima, e che fu anticipata solo di qualche settimana o poco più in seguito al precipitare ,degli avvenimenti. Anche se si arrivasse a dimostrare che la connessione polit.ica dei fatti in Spagna con la situazione creata dalla guerra abissina, sia stata meno stretta di quel che pensiamo, ciò non .diminuirebbe la verità della nostra affermazione circa l'inizio e le causalità della nuova crisi. Anzitutto, è il clima di guerra che si espande in Europa: la paura di una guerra generale si fa più sensibile; il conflitto di ideologie, dal piano delle discussioni teoriche, delle lotte elettorali e delle preoccupazioni economiche, passa sul terreno cruento di guerra. Russi, Tedeschi e Italiani provano in Spagna le armi di nuova fabbricazione, aerei e carri armati; si misura la reazione delle invenzioni belliche i n paesi europei, civilizzati e allenati alle guerre di usura. Volano gli aeroplani da bombardamento su città conosciute e amate, popolose e piene di opere d'arte: Madrid, Toledo, S. Sebastiano, ,Granata, Siviglia, Bilbao, Oviedo, Valenza, Barcellona. Le brigate internazionali si formano, di qua spontanee e senza attrezzatura; di là, in parte spontanee e in parte comandate e bene attrezzate... Al tipo di guerra guerreggiata si aggiungeva, nel caso spagnolo, la ferocia d i una guerra civile con tutti i riaentimenti, dalle due parti, propri di chi trova una resistenza inaspettata e forte, e di chi è sorpreso dal tradimento e dall'abbandono di gente che credeva sicura e fedele. La rivolta dei generali contro il governo della repubblica ebbe, nei primi mesi, tre aspetti caratteristici: quello della disorganizzazione rapida dei quadri statali a causa del passaggio i n massa ai ribelli dell'esercito, di parte della polizia, di molti impiegati civili e diplomatici, del clero e dei ricchi proprietari e di molta gioventù borghese; l'altro aspetto, quello della resistenza accanita delle masse operaie, senza organizzazione militare, senza armi sufficienti, in un ambiente anarchizzante, nel quale la formazione d i nuclei mobili, violenti, decisi a tutto, sostituivano l'autorità che non riusciva a tenere in mano le direttive della resistenza; infine, terzo aspetto, la persecuzione
religiosa con assalto alle chiese, ai presbiteri, ai conventi, con incendi, uccisioni, senza più controllo, come per l'esplodere d i un fanatismo lungamente covato e con la voluttà di una vendetta agognata e solo possibile quando le barriere legali erano cadute a causa della doppia rivoluzione. In tale clima, l'impunità dei delitto, di ogni delitto, era condizione della stessa resistenza. Questi aspetti iniziali della rivolta danno il colore della guerra civile e creano l'atmosfera passionale nella quale tutto iI mondo segue, commenta e spiritualmente partecipa a tale gueira. Per i partigiani del governo tutti i vescovi erano dei ribelli che congiuravano con i generali; i preti tiravano dai campanili sulle folle; i conventi tenevano in deposito armi e munizioni. Per i partigiani di Franco tutti i repubblicani erano comunisti, spinti e aiutati da Mosca per preparare un complotto SU tutta la Spagna, sopprimere la proprietà, uccidere preti e frati, proibire il culto religioso e bolscevizzare la nazione ;Franco arrivò in tempo con la sua contro-rivolta. Se questa degenerò in guerra civile, prolungata per quasi tre anni, ciò fu colpa della Russia e della Francia, che hanno aiutato i l governo repubblicano ed obbligato Franco a ricorrere agli aiuti dell91talia e della Germania. Contro quest'ultima affermazione i primi rispondono che l'intervento del171talia era stato assicurato molto prima della rivolta, mentre al tempo stesso si era ottenuto un benevolo appoggio da parte di Hitler ; e, soprattutto, che Franco ha avuto un aiuto militare estero almeno venti volte superiore di quello avuto dai repubblicani. La stampa internazionale è stata piena, per più di due anni, di queste reciproche accuse, che formavano il materiale di una intensa propaganda la quale serviva a procurare alle due parti aiuti in denaro, in uomini, armi e munizioni e, dal punto di vista umanitario, medicine, cibarie e vestiario. Così dal 1936 ad oggi la guerra in Spagna è la guerra più popolare e passionale che sia mai stata combattuta per una causa ideale; e insieme la più feroce e inumana guerra che abbia insanguinato i1 suolo europeo. Per trovare un riferimento storico occorre rievocare la rivolta spagnola del 1820 per il ristabilimento della costituzione, l'intervento armato della Francia in nome della Santa
Alleanza, i l rifiuto della Gran Bretagna a intervenire, la reazione antiliberale a nome del cattolicesimo e gli orrori della guerra carlista e della reazione che ne segui. Oggi, al posto della Francia (che era allora gelosa della Gran Bretagna) è l'Italia (gelosa della Francia) a mandare le sue truppe, i suoi militi e i suoi volontari; al posto dell'antiliberalismo di un secolo fa vi è l'anti-comunismo di oggi. Allora non mancarono l e atrocità della reazione antiliberale, come oggi non mancano quelle della reazione antifascista; ma le folle fanatiche di allora stavano assai più con la reazione, mentre oggi sono assai più dalla parte repubblicana. I terribili momenti dei primi sei mesi della guerra civile, con recrudescenze nel 1937, possono trovare un riferimento storico nel Terrore della rivoluzione francese. Anche un secolo fa Europa e America erano divise pro e contro i liberali in Spagna, pro e contro i governi autoritari della Santa Alleanza, perchè i fermenti liberali erano diffusi in tutto il mondo e l'episodio spagnolo dava qua e là speranze e timori, orientamenti politici e sussulti religiosi. Anche allora, come oggi, gli ecclesiastici d i Spagna erano in maggioranza dal lato della Santa Alleanza, e prendevano parte attiva alla guerra civile, facendo subire alla chiesa le conseguenze di tale atteggiamento. Questa volta l a subitanea e violenta persecuzione contro il clero, le uccisioni in massa di preti e di religiosi, gl'incendi d i chiese, sotto l'occhio impotente o passivo o connivente del governo, hanno dato un motivo immediato al clero per schierarsi dall'altra parte. La Santa Sede protestò presso Madrid, ma non ebbe alcuna risposta. Pio XI, ricevendo i vescovi, preti, religiosi e laici esiliati dalla Spagna il 14 settembre 1936, fissò, in u n interessante discorso, i caratteri della resistenza della chiesa: martirio dove questo era la testimonianza della fede perseguitata; resistenza dove questa poteva farsi senza eccessi; preghiera anche per gli avversari accecati. Circa la difesa è ben riportare il testo della dichiarazione papale: « Compito, dicevamo, difficile e pericoloso, anche perchè troppo facilmente l'impegno e ia difficoltà della difesa la rendono eccessiva e non pienamente giustificabile, oltrechè non meno facilmente intenzioni non rette ed interessi egoistici o di partito subentrano a intorbidire e alterare tutta la moralità dell'azione e tutte le responsabilità. I1
Nostro cuore paterno non può dimenticare, anzi ricorda più che mai in questo momento e coi sensi della più sicura riconoscenza paterna, tutti quelli che, con purezza di intenzioni e con sinceri propositi, hanno cercato di intervenire in nome della umanità. La Nostra riconoscenza non si è menomata avendo dovuto constatare la inefficacia dei loro nobilissimi conati ». Seguono parole di amore per i figli traviati, per i persecutori della chiesa, che è bene rileggere per ridare a molti il senso della carità cristiana. L'Osservatore Romano del 18 settembre 1936, distinse tre fatti: 1 il pronunciamento militare e la guerra civile a scopi politici; 2 lo scatenarsi delle masse rivoluzionarie contro le chiese, i conventi e i fedeli; 3 la difesa legittima d i questi. Riguardo la legittima difesa L'Osservatore Romano, dopo aver ~ i p r o d o t t ole parole pronunciate da Pio XI nella sua allocuzione del 14 settembre, aggiungeva: « Ecco fissata la ragione e il limite dell'azione dei cattolici a presidio della loro fede. Il diritto d i difesa - diceva un anno fa il Santo Padre in altra occasione ha dei limiti e delle moderazioni che si devono rispettare affinchè la difesa sia incolpevole. Lo stesso principio viene oggi ribadito mentre si benedicono coloro che hanno versato il loro sangue per la fede. E non solo questi, ma anche coloro che, per il Padre Comune vuole miserevole cecità, l a odiano l a fede, pure u amarli d'un amore particolare fatto di compassione e d i misericordia, amarli e, null'altro potendo fare, pregare per essi ». I1 ricordo delle parole pronunciate dal Papa nell'agosto 1935, a proposito della guerra dell'Italia contro l'Abissinia, non fu senza intenzioni. L'ipotesi della difesa legittima applicata all'Italia non poteva comportare la conquista dell'impero avversario; come la difesa legittima dei cattolici assaliti e uccisi per la loro fede e delle chiese bruciate, non può comportare una guerra civile di sterminio che dura ormai da più di due anni e mezzo. Ma tale posizione fu presto superata dalI'atteggiamento di quei cattolici che sostennero a fondo la legittimità della rivolta militare. Questa tesi era per sè molto contestabile. Poco dopo, nel marzo 1937, Pio XI, scrivendo ai vescovi del Messico una deiIe sue più grandi encicliche (Nos es muy), ebbe occasione d i
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fissare le linee maestre del diritto di rivolta, i suoi caratteri e i suoi limiti: ed è stata la prima volta, negli annali della chiesa dal tempo in cui i papi medievali scioglievano i cittadini dal giuramento di fedeltà verso i governi, che un papa abbia affrontato l'ardua tesi e data la soluzione più equa sia per l'autorità che per i cittadini, fissando di proposito una distinzione tra questi e il clero e l'azione cattolica (*). Che le norme tracciate da Pio X I per il caso di rivolta siano state quelle che i cattolici legati ai generali hanno seguito nel caso della rivolta spagnola, sarebbe arduo dire; tanto più che questa era stata preparata da lungo tempo più per rovesciare l a repubblica che per ostacolare il governo uscito dalle elezioni del febbraio 1936. Ma tale fase fu presto superata dalla seconda, quella della resistenza armata dei cattolici assaliti dalla folla nelle loro chiese e conventi, la sospensione del culto, l'uccisione dei preti. Secondo L'Osservatore Romano, i cattolici non fecero che opporre una legittima difesa. Ora questo poteva dirsi, e fu così, caso per caso, nei singoli momenti in cui all'assalto della folla si opponeva, dove era possibile, una difesa armata, che non eccedesse di fatto i limiti di un'« inculpatae tutelae n. Ma non fu il caso della Spagna nella seconda metà del luglio 1936; la difesa singola contro la folla era quasi impossibile; solo la fuga fu spesso utile; l'uccisione di migliaia di ecclesiastici e d i cattolici o di gente ritenuta nemica del popolo si abbattè come una tempesta. Non ci fu reale resistenza agli eccessi della folla; ci fu il rapido pronunziarsi di qua e là per le due parti; formando fronti di guerra, province contro province, città divise, vi1:nggi conquistati: la rivolta divenne in pochi giorni guerra civile. La terza fase, quella della guerra, fu così rapida, data la volontà decisa della popolazione repubblicana e operaia a difendersi ad ogni costo, e data la volontà dei capi ribelli a vincere ad ogni costo, che nessuno ebbe il tempo di misurare la responsabilità che si assumeva, neppure gli uomini di chiesa, i vescovi specialmente, quelli che avevano lasciato le loro diocesi per Politics i*)Vedi sn questo tema: LUIGISTURZO, Oates & Washboorne) pp. 206-212.
riitd
Moruliiy (Biirns,
rifugiarsi nel campo dei ribelli, o all'estero, e sfuggire o ad una morte certa o ad una terribile prigionia. Così la maggior parte della gerarchia spagnola (eccetto pochi fra i quali il cardinale di Tarragona era il più autorevole e il piìi noto) optò per l a guerra così detta nazionale e vi dette il proprio appoggio. F u allora che in Spagna e all'estero presso cattolici e cleri si fece strada l a teoria della guerra santa. I1 padre Mendendez-Reigada, domenicano, dichiarò in u n articolo di Ciencia Tomista d i Salamanca (diffuso poi in un opuscolo): « La guerra nacional espafiola es guerra santa y la màs santa que registra la historia D (*), mentre un altro filosofo, molto più noto nel mondo della cultura, Jacques Maritain, sostenne la tesi opposta con uno studio che fu pubblicato dalla iVouuelle Reuue Francaise e poi ampliato e messo come prefazione al libro di Mendizàbal « Les origines d'une tragédie D. È superfluo dire che la tesi della guerra santa, sia l'attuale d i Spagna sia qualunque altra del passato o del futuro, non si sostiene nella dottrina cristiana. L'idea di guerra santa è tutta mussulmana, è la conquista alla fede per mezzo delle armi; la società temporale e militare assume come suo compito la propaganda religiosa, l'instaurazionè del regno .di Dio nel mondo, con la distruzione materiale d i ogni altra fede. È un errore; le crociate furono guerre bandite dai papi, con privilegi spiritaali ai combattenti, per raccogliere eserciti e spingerli alla difesa della cristianità. Tali guerre non uscivano dal quadro fondamentale della guerra giusta e della guerra di difesa. I1 motivo religioso non poteva eliminare la pregiudiziale della guerra giusta. Se lo stato pagano avesse avuto una causa giusta per promuovere la guerra contro uno stato cristiano, questo avrebbe dovuto rendergli giustizia ed evitare la guerra. Se tra i motivi di guerra vi fosse stata una questione religiosa (come a i tempi delle guerre di religione fra cattolici e protestanti), il primo dovere sarebbe stato quello di eliminare il fatto religioso dai motivi di guerra, non mai quello di farlo divenire motivo prin-
(*) La guerra nacional espaiiola unte
manca, 1937.
la moral y e1 &rec/co, Sala-
cipale, per eccitare in nome della religione i peggiori isiinti di uccisione e di sterminio. Quel che accadde in Spagna, fu che il fattore religioso, da motivo eccasionale o concomitante alla resistenza nei giorni della rivolta, divenne per molti motivo predominante o assimilato e consociato a quello politico-sociale di rovesciare il governo repubblicano di sinistra e di instaurare un governo autoritario o di destra. I1 motivo religioso spingeva molti ad aderire a i generali e loro seguaci e li sosteneva nella guerra civile che si comprese ben presto dovesse essere lunga e difficile; ma la differenziazione dei campi in guerra fu intrinsecamente politica e sociale. Repubblicani e autonomisii, baschi e catalani di qua, monarchici, carlisti, falangisti d i là ; masse operaie socialiste, comuniste, anarchiche di qua ; capitalisti e proprietari di là ; anticlericali e liberi pensatori di qua, clericali e gente di chiesa di là. Le divisioni non sono assolute; tanta gente si trovò di qua perchè le forze del governo potevano tenere le posizioni; altra si trovò di là perchè i ribelli con rapide mosse s'impossessarono di posizioni importanti. Così venne a crearsi i l caso personale che ciascuno cercò di risolvere secondo la propria coscienza o i propri interessi. Mentre la massa del clero, meno i preti baschi e qualche catalano o madrileno, furono con Franco, non pochi cattolici credettero di non potere rifiutare la difesa armata del governo legittimo, non ostante che i l culto pubblico fosse stato violentemente soppresso dalla folla. Altri arrivarono a fuggire ed arruolarsi a fianco d i Franco, i l quale, sia per convinzione sia per vantaggio, non ha cessato di proteggere la chiesa e allo stesso tempo di servirsene. Data la incertezza dell'opinione dei cattolici stranieri sui fatti di Spagna, i vescovi spagnoli furono invitati dal governo di Burgos a scrivere una lettera collettiva ai vescovi del mondo cattolico, per spiegare il loro atteggiamento e difendere la tesi della guerra nazionale. Tutti, meno il cardinale di Tarragona e il vescovo di Vittoria, vi aderirono. Fortunatamente, nella lettera che uscì il 1 luglio 1937 (*), essi non fecero propria la tesi (*) Lettre collecnve d e s Evéques Espagnols à ceux du monde entier à propos de la guerre en Espagne, luglio 1937, Paris S.A.I.E., 71, rae dz Rennen, 1937.
della guerra santa, ma si basarono sulla tesi che il trionfo della parte d i Franco fosse un bene nazionale e religioso per la Spagna. Essi si difesero dall'accusa di avere fomentato l a rivolta contro il potere costituito della repubblica ( a l quale i vescovi spagnoli avevano già aderito come a governo legittimo) e d i avere voluto la guerra, mentre loro aspirazione era stata quella della pace: u Lorsque la guerre éclata, nous l'avons déplorée plus que personne, parce qu'elle est toujours un mal des plus graves, bien rarement compensé par un bien problématique, et parceque notre mission est toute de reconciliation et de paix D. E appresso: « L'église n'a pas voulu cette guerre, et elle ne l'a pas du tout cherchée et nous ne croyons pas nécessaire de défendre l'église d'Espagne des accusations de belligérance portées contre elle par certains journaux étrangers. I1 est exact que des milliers de ses fils, obéissant aux injonctions de leur conscience e t de leur patriotisme et sous leur responsabilité, aient pris les armes pour sauver les principes de religion et de justice chrétienne qu'avaient, séculièrement, formé la nation; mais ceux qui l'accusent d'avoir provoqué cette guerre ou d'avoir conspiré en sa faveur, ou meme seulement de n'avoir pas fait tout ce qu'était en son pouvoir pour I'éviter, ceux là méconnaissent ou falsifient la vérité D. I vescovi, d'altro lato, esaminando i fatti precedenti al luglio 1936, credettero di potere giustificare la rivolta e la guerra civile che ne segui, sia come misura atta a prevenire il complotto comunista che, secondo loro, era stato preparato tra Mosca e Madrid per bolscevizzare la Spagna, sia per sostituire un poverno che non aveva più autorità e non poteva più ritenersi legittimo. Lasciando la parte polemica della lettera e delle analisi dei fatti, che in varii punti difficilmente può resistere ad una critica oggettiva, quel che a i vescovi interessava era di mettere in luce i l movimento detto u nazionale D, come completamento rispondente a i principi cattolici; perciò lo difendevano dalle accuse d i ingiustizia e di atrocità. Quanto all'awenire u nous nous fions à la prudence des hommes de gouvernement, qui ne voudraient pas accepter de moule étranger pour I'éta? espagnol futur; au contraire, ils n'oublieront pas les exigences profonde8
de la vie nationale, ni la ligne suivie par les siècles passés L'allusione al fascismo e al nazismo è molto chiara (*). Quel che dispiacque a molti cattolici esteri, nella predetta lettera, fu l'accenno ai baschi. I vescovi scrissero: « Toute nostre admiration pour les vertus civiques et religeuses de uos frèras basques. Toute notre charité i o u r le grand malheur qui les. afflige et que nous considérons comme notre puisqu'il est celui de la patrie » (pag. 27). Ma i vescovi accusarono i capi baschi di acciecamento affermando di essersi messi dal lato del comunismo contro quello del cattolicesimo. Ora la tesi che da un lato non c'è che il male (comunismo) e dall'altro non c'è che bene (cattolicesimo e patriottismo) e che « l a guerre de 1'Espagne est le résultat de la lutte de deux idéologies inconciliables (pag. 6) è, secondo noi, una tesi oratoria e non storica. Circa i baschi, non si è tenuto conto del rifiuto ostinato dei capi nazionalisti e delle destre spagnole, prima ancora della rivolta e alla vigilia della rivolta, del riconoscimento dei diritti storici di qucl popolo. Di tali diritti i vescovi non fecero alcun cenno per am-
(q 11 cardinale Goma, nel novembre del 1938, nel suo appello in occasione del « Crusader's &y », scrisse quanto segue: « E non saremo neanche capaci di esser liberi se non conserviamo la specifica fisionomia dataci dal nostro carattere e dalla nostra storia, togliendoci da dosso ogni giogo d i un ordine spirituale o sociale che tenterebbe di assoggettarci a dogmi, abitudini e orientamenti in contraddizione con lo spirito cristiano, che ci ha fatto quello che siamo stati D. Non molto tempo dopo, padre Merklen, editore de « La croiz u di Parigi, parlando del gen. Franco scrisse: « Lo spirito di rivendicazione e di odio spinto fino al suo estremo sviluppo, gli renderà difficile restaurare una unione morale L'influenza hitleriana, da parte sua, guadagna giornalmente terreno nell'ambiente del generalissimo. Se la condanna del razzismo da pane del Pontefice è passata quasi inosservata in Spagna, gli scritti di Hitler, Rosemberg, Streicher, sono tradotti in spagnolo e largamente diffusi. Serrano Suiier, suocero di Franco e ministro deli'interno nel suo governo, non nasconde ai suoi visitatori la sua simpatia per la Germania nazional-socialista, e il cardinale arcivescovo di Toledo è stato obbligato a ricordargli che, per essere un vero cattolico, non basta chiamarsi spagnolo cattolico: bisogna essere un cattolico romano. Fra due falsi misticismi, due concezioni unilaterali ed erronee della società e della vita, non abbiamo scelta. Siamo cattolici: non abbiamo niente altro da fare che rimanere noi stessi r> (La Crok, 15 dic. 1938).
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metterli come legittimi in un futuro d i pacificazione, mentre Franco e il suo governo han sempre negato di riconoscerli, così come hanno stabilito di sopprimere i diritti dei catalani. I vescovi d i tutti i paesi risposero a i loro confratelli di Spagna con missive personali e collettive, per nazioni o per regioni, aderendo al loro punto d i vista. Questo plebiscito episcopale fu mano a mano registrato dall'Osservatore Romano, che mai prima o poi diede il testo della Lettera del 1luglio 1937. Era naturale clie tutta la stampa cattolica si fosse uniformata agl'indirizzi segnati dalI'episcopato spagnolo. Non mancarono riserve, osservazioni, critiche rispettose, anche dal lato cattolico; specialmente in Francia, dove scrittori e pensatori come Jacques Maritain, Frangois Mauriac, Edouard Mounier, e lo spagnolo Alfredo Mendizibal, presero posizioni molto chiare e coraggiose contro l'identificazione della chiesa e delle sue ragioni supreme spirituali con il nazionalismo spagnolo, e contro la giustificazione religiosa e politica della guerra civile, impressioni che diedero all'estero difensori maldestri della posizione dei vescovi spagnoli. Tali apologisti arrivarono a difendere i bombardamenti aerei sulle popolazioni civili, a credere giustificabili le esecuzioni dei prigionieri di guerra e della popolazione civile, specialmente dei baschi, contro i quali l'odio e il rancore dei .nazionalisti è stato ed è implacabile; a opporsi a ogni proposta d i mediazione d i tregua e di armistizio, non vedendo altra salute per la chiesa e per la Spagna che in una completa e totale vittoria di Franco con lo schiacciamento dei repubblicani da loro chiamati rossi o comunisti. Le iniziative per una pace di conciliazione si fecero strada fin dai primi del 1937, quando un gruppo di spagnoli all'estero, @dati dal prof. Alfredo Mendizibal, costituì a Parigi il Comité pour l a paiz civile en Espagne. Essi la chiamarono pace civile D per opporla a guerra civile D. Poco dopo un gruppo d i francesi (in maggioranza cattolici) costituirono un proprio comitato, aggiungendo, nel loro titolo: per la pace civile e religiosa in Spagna, volendo sottolineare così che sarà impossibile l a pace civile senza quella religiosa, con l'intenzione di aiutare gli sforzi di quei cattolici che, dal lato governativo, hanno cercato e cercano d i ristabilire in quelle province il culto pubblico.
Un simile comitato fu formato a Londra; altro ancora a Ginevra, e il movimento ebbe corrispondenti amici in diversi paesi (*). Forse nell'ultimo periodo della resistenza della Catalogna il governo repubblicano avrebbe accettato d i trattare una pace onorevole; l'appello del 1 maggio 1938 del presidente N e g i n poteva esserne un segno. Ma troppe erano le differenze e gli odi perchè ciò potesse avvenire. Per dippiù fin da allora il generale Franco si sentiva troppo sicuro della vittoria finale, dato l'appoggio aperto e deciso dell'Italia e della Germania, sì che avrebbe rigettato qualsiasi proposta d i mediazione. Ciò non ostante, l'idea di una pace di conciliazione aveva in sè tali profonde basi morali e religiose (non ci sarà mai vera pace se non si arriva ad una conciliazione), che l'iniziativa è rimasta valida anche dopo la vittoria di Franco, come una necessità alla quale non si potrà sfuggire, se veramente si otterrà una Spagna riunita e pacificata (**).
(*) n comitato francese è presieduto da Jacques Maritain, e ne fanne parte l'accademico Louis Gillet, i professori della Sorbona di diritto internazionale Louis Le Fur e Georges Seelles, Mgr. E. Beaupin. Presidente del comitato inglese è Wickham Steed, e ne fanno parte Lord Cecil of Chelwood, Harold Nicolson, N. P., Mrs. V. M. Crawford, Mrs. Corben Ashby, Prof. Gilbert Murray, Richard R. Stokes, M. P. composto di cattolici e non-cattolici in pani egaali. (p*) I1 cardinal Goma, nell'appello citato, nel novembre 1938, diihiarava che u la Spagna non ritornerà una senza una riconciliazione di tutti gli Spagnoli. A tale scopo invece della sconfitta degli awersari, invochiamo la loro integrazione nel vero spirito della nazione, mentre attendiamo a braccia aperte il giorno in cui come spagnoli tatti noi scambieremo il bacio della santa fratellanza, come figli dello stesso Padre e della stessa Patria D. Nel gennaio 1939 apparve un articolo dell'Osservatore Romano con le iniziali M. C. (Mariano Cordovani, Maestro dei SS. Palazzi), il quale biasimava La Croiz per avere riprodotto senza riserve un ordine del giorno del prof. Mendizibal nel quale si affermava che a devant la magédie espagnole, les catholiques, en tant que tels, demenrent libres de manifester lenr préférence et d'accorder leur sympatie à l'un on à l'aatre camp n. La Croiz chiarì l'equivoco e si affrettò ad accettare il punto d i vista di M. C. che n l'unico e vero atteggiamento di giustizia e di carità che devono assumere i cattolici è quello di cui il Santo Padre stesso (Pio XI) ci ha dato l'esempio ne& sua memorabile allocnzione di Castelgandolfo ai profughi spagnoli
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60. La guerra civile di Spagna con l'intervento straniero creò un nuovo caso politico, che non poteva non essere portato davanti alle assise d i Ginevra. Ma la Società delle Nazioni era uscita così indebolita dall'avventura italo-abissina, che un nuovo sforzo per rimettersi in sella non poteva venire che dalla Gran Bretagna e dalla Francia se unite insieme e decise a fondo. La Francia attraversava una fase di conflitto tra il mondo capitalista e quello operaio, acutizzato dalle elezioni che avevano visto la vittoria del Fronte popolare e l'insediamento del governo Blum ; fughe di capitali, scioperi operai, occupazioni di officine; vi si inserì una specie di congiura di avventurieri di destra in com-. butta con l'estero: i cagoulards. In Gran Bretagna la morte di re Giorgio, la successione di Edoardo VI11 e la questione del suo matrimonio con una divorziata, assorbiva le cure del gabinetto Baldwin. Per giunta l'affare spagnolo non fu visto nel suo pieno significato: fu creduto uno dei tanti sollevamenti che sarebbe finito in due o tre mesi. Per evitare complicazioni internazionali la Francia si era affrettata verso i primi di agosto a proporre all'Inghilterra un accordo di non intervento. Alla proposta della Francia e dell'hghilterra aderirono con più o meno. sincerità e con riserve fra Ie righe la Germania, l'Italia, la Russia, il Portogallo; seguirono la politica anglo-francese, l a Cecoslovacchia, l'Olanda, il Belgio. Queste potenze formarono a Lon-
(settembre 1936), che costitnisce la carta del pensiero cristiano e papale a questo riguardo D. La stessa Croix pubblicò nel n. del 26 gennaio una mise au point del prof. Mendizibal sulla portata esatta della frase biasimata nel snddeno ordine del giorno, redatto in fretta, come egli afferma: ma che però non implicava nè l'accettazione del comunismo nè I'approvazione o la tolleranza dei delitti delle folle (come sembrava a M. C-). Il prof. Mendizibal intendeva invece riassumere la frase dell'arcivescovo di Parigi, card. Verdier, dell'agosto 1938. Questi, a proposito deile a divergences qui séparent les catholiques francaise au sujet de la qnestion espagnole D, aveva dichiarato che « l a hiérarchie ne se prononce pas dans ce domaine D. L'Osservatore Romano prese atto della dichiarazione della: Croix, e in un successivo articolo in corsivo ebbe occasione di biasimare quei giornali che avevano preso questa occasione per attaccare La Croix. In taIe controversia « la pace per conciliazione n, aostennta da Mendizibal e dai comitati snccitati, non fn mai messa in causa, come qualcuno aveva; creduto.
dra il comitato di non intervento, del quale fu dato notizia alla S.d.N. Ma l'ingerenza delle potenze straniere in Spagna era evidente fin dai primi mesi. I tentativi del governo spagnolo di far prendere l'affare in mano a Ginevra (nell'assemblea del settembre-ottobre 1936) con l'intenzione d'impedire ogni aiuto straniero alla parte ribelle, non ebbero effetto pratico. La paura di una bolscevizzazione della Spagna fu per molti governi decisiva, dato l'intervento politico, più che militare, di Mosca; e l a paura di una fascistizzazione dell'altro lato premeva assai meno. Molti pensavano che la Spagna, come il Portogallo in mano alla borghesia, sarebbero ben presto tornati a essere economicamente e politicamente legati all'hghilterra. Poco dopo, l'occupazione di Maiorca da parte di forze intervenute in aiuto del generale Franco, aveva grandemente disturbata l'Inghilterra, che provocò ripetute assicurazioni del governo italiano ch'esso non aveva mire territoriali in Spagna. Si arrivò il 2 gennaio 1937 a firmare un accordo detto Gentleman's Agreement, per il quale lo statu quo mediterraneo non doveva essere alterato e doveva essere ripresa la collaborazione fra Inghilterra e Italia. Ma proprio lo stesso giorno sbarcavano a Cadice 4000 italiani, dopo che 6000 erano sbarcati il 22 dicembre. La finzione politica del non intervento, con tutte le fasi di debolezza, di furberia, di condiscendenza, di resistenza, continuò a mettere in rilievo l'intesa Roma-Berlino, che venne chiamata l'Asse Roma-Berlino. I1 patto anticomunista concluso tra Berlino e Tokio divenne patto a tre, con l'intervento di Roma. F u allora che cominciarono ad apparire nel Mediterraneo sottomarini che andavano alla caccia delle navi che portavano viveri e merci alla Spagna repubblicana. Nello stesso tempo Tokio iniziava un'altra e più larga occupazione militare in Cina. Un'altra guerra d i aggressione nell'estremo Oriente, che scosse le posizioni delle grandi potenze (la qual cosa entrava nel piano dell'Asse) e che sottopose la Cina ad una più terribile e lunga prova di sangue e d i fuoco. La Cina, come l'Abissinia, batte di nuovo alla porta d i Ginevra per avere aiuto morale, e Ginevra riconosce che la Cina è ingiustamente aggredita; ma le sue dichiarazioni del settembre 1937 valgono meno di quelle di cinque anni prima per l'affare della Manciuria. Le potenze signatarie
del patto del Pacifico si riuniscono a Bruxelles, ma non arrivano a nulla di pratico per impedire la guerra, nè per limitarla, nè per garantire l'equilibrio nel Pacifico; lasciano che il Giappone continui la sua marcia in Cina, i suoi bombardamenti inumaiii sulle popolazioni civili, gli esodi di popolazioni senza aiuto. È la crisi di una morale internazionale altamente proclamata, che si estende dall'occidente all'oriente. Intanto Inghilterra e Francia erano alle prese con la piraieria mediterranea. Tutti sapevano a chi appartenevano i sottomarini sconosciuti e nessuno aveva il coraggio di dirlo. Rapidamente l e potenze interessate riunirono una conferenza a Nyon in Svizzera. Furono fissati gli accordi per reprimere rniliiarmente l'oeiensiva dei sottomarini. Questi sparirono di botto. Il rapido successo di tale mossa spinse i gabinetti di Parigi e di Londra a domandare a Roma una riunione a tre per risolvere subito il problema del ritiro dei volontari, sul quale punto si era fermata la politica del comitato d i non intervento. L'iniziativa veniva dal minisiro Eden, che voleva mettere Mussolini nella morsa di una scelta decisiva. Ma questi, più abile, da un lato rispose di rimetlersi al comitato di non intervento per la questione spagzola, e daIl'altro si mostrò disposto a trattare un accordo con 1'Ingliilterra per il Mediterraneo e il Mar Rosso. I1 momento era arrivato per Hitler. Tutta la campagna anticomunista condotta dalla Germania, il rafforzamento dell'Asse Berlino-Roma, l'appoggio a Tokio, l'intervento in Spagna, avevano maturato il disegno della manomissione dell'Austria. Le dimissioni di Eden dal gabinetto Chamberlain perchè rifiutò di accettare l'ora o mai di Mussolini p= trattare il nuovo accordo, prima di sistemare l'affare di Spagna, e l'orientamento di Chaxuberlain favorevole a un'intesa con la Germania ad ogni costo, disinteressandosi del centro Europa, precipitarono gli eventi. Hitler il 17 febbraio 1938 chiama Schuschnigg a Berchtesgaden per intimargli di prendere come ministro dell'interno e della polizia Seyss-Inquart, un nazi-cattolico che gli serviva come cavallo di Troia. I1 disgraziato cancelliere austriaco, sotto la minaccia hitleriana, cede. Poi, pentitosi, ordina un plebiscito: ma Hitler ha buon gioco per un'invasione armata. L'I1 marzo tutto cade, governo e presidente lasciano i posti, chi è arrestato, chi
fugge. Hitler annette l'Austria al Reich, ne fa una provincia chiamandola Ostmark. I gabinetti di Europa e di America non hanno una protesta da fare, constatano i l fatto compiuto, ritirando i loro diplomatici da Vienna; la Santa Sede ritira il Nunzio, Ginevra tace, non ha più nulla da dire dopo la Manciuria. I'Abissinia, la Spagna, la Cina; solo è costretta a registrare che l'Austria, membro della S.d.N., non esiste più. I1 gioco politico si fa ancora più serrato. L'accordo angloitaliano è firmato il 15 aprile. I1 comitato di non intervento il 6 luglio fissa le linee dell'accordo per i l ritiro delle truppe straniere dalla Spagna. I1 partito nazista dei Sudeti si agita per otte.. nere un regolamento d i autonomia in Cecoslovacchia. I1 governo inglese manda un paciere a Praga: lord Runciman; mentre Elitler mobilita più di un milione d i soldati per le manovre estive. Siamo in settembre: i capi sudeti rifiutano ogni accordo di autonomia e domandano l'annessione a l Reich; minaccia di Hitler di occupare la Cecoslovacchia con le armi. Viaggio di Chamberlain a Berchtesgaden: accordo dei governi di Londra e di Parigi per invitare Praga a cedere. Nuovo viaggio di Cliamberlain a Godesberg. Sembra che la guerra sia inevitabile: mobilitazione in Cecoslovacchia, mobilitazione parziale in Francia, misure di precauzione in Inghilterra. Nuova riunione a quattro a Monaco di Baviera: Germania, Inghilterra, Francia e I ~ a l i a si mettono d'accordo per imporre al governo di Praga la cessione delle zone dei tedeschi sudeti, dando una inoperante garanzia per le nuove frontiere. Ma la Polonia e l'Ungheria reclamano i loro territori; minaccie armate e invasioni parziali. La Cecoslovacchia è fatta a pezzi e sei mesi più tardi sarà occupata d a truppe tedesche. La Slovacchia diviene stato autonomo pur legato nominalmente a Praga. Folle di rifugiati all'estero; poyolazioni costrette a subire nuovi governi senza loro volontà. La Germania domina da padrona; è la sua marcia verso l'est; Francia e Inghilterra tenute in disparte assistono impotenti e inquiete alla caduta di tutto i l sistema centro-europeo del dopo guerra. E mentre prima la Gran Bretagna e poi la Francia scambiano con la Germania dichiarazioni di amicizia e patti di non aggressione, e cercano di tenersi buona l'Italia con il riconoscimento dell'impero di Abissinia nelle lettere di accreditamento dei pro-
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- S r ~ n u ,- Chiesa e rtoto - IL
pri ambasciatori presso il re-imperatore (tutto ciò accade nel novembre 1938), la corsa agli armamenti si fa più intensa; l'Inghilterra sarebbe persino disposta a introdurre la coscrizione obbligatoria se il servizio volontario fallirà. La minaccia di una guerra generale, con le pretese italiane sulla Tunisia, Gibuti, Corsica, Nizza e Savoia e le manovre tedesche, torna a pesare sull'Europa disorientata, agitata e insanguinata. Questi gravi avvenimenti, dei quali abbiamo tracciato la linea storica, non avrebbero interesse per noi se non contenessero in sè una profonda crisi morale, che tocca tanto l'ordine temporale (stato e società di stati), quanto quello spirituale (chiesa e chiese); cioè la nostra intera civilizzazione. Chi crede che nei fatti narrati non ci sia altro che una connessione politica, o addirittura una coincidenza occasionale e di cronaca, s'illude sulla realtà vera d i quel che succede, e che arriva alla profondità della nostra civilizzazione e ne tocca le sue stesse radici. Come le rivoluzioni d'America e di Francia della fine del secolo XVIII, se guardate nel loro carattere politico, segnavano la fine dell'ancien régime europeo e coloniale, e come tali potevano essere detestate o esaltate, guardate invece nel profondo loro significato etico, mettevano in valore non pochi principi cristiani benchè ripresi sotto angolo naturalistico e perfino presentati in contrasto con il cristianesimo; così è awenuto dopo la grande guerra. I valori di cooperazione internazionale (S.d.N.), d i giustizia interstatale (corte dell'Aja), d i cooperazione internazionale del lavoro con il capitale (u5cio internazionale del lavoro), il sistema dei mandati coloniali per la elevazione delle popolazioni indigene e per la loro progressiva autonomia, l'ideale d i pace universale, furono principi acquisiti nella coscienza comune, pur presentati insieme ai trattati di pace che contenevano ingiustizie e che erano la legge dei vincitori. L'esperienza dei venti anni decorsi, pur essendo limitata nel tempo, ha distrutto il sistema societario; ciò in politica deve portare alla formazione d i un altro sistema, sia quello dell'egemonia di una potenza o gruppo di potenze, sia quello del19eqi?ilibrio, sia un altro qualsiasi, perchè è impossibile che il mondo non abbia un sistema internazionale. Ma quel che interessa per la civiltà si è che questo sistema sia basato su principi morali, e come tali cristia-
ni, perchè non c'è una moralità umana che non sia implicitamente cristiana; non c'è immoralità che possa essere sostenuta a nome del cristianesimo. Ed ecco la tragedia di oggi. Nazioni come la Germania e l'Italia (per non parlare del Giappone) si vanno sempre più consolidando su principi anti-cristiani. Per esse, distruggere il sistema di Ginevra è stato un interesse di politica attuale. Bla come distruggerlo senza negarne i principi etici fondamentali? Dire che Ginevra era la custode ipocrita delle ingiustizie della vittoria dell'Intesa, creata in nome della giustizia e della moralità, e che perciò bisognava distruggerla, poteva reggere, se i principi che portavano a negare Ginevra fossero stati quelli di giustizia e di moralità. Ma i principi messi avanti sono stati quelli dell'aggressione, come nel caso della Manciuria, dell'Abissinia e della Cina ; sono stati quelli della rivolta, dell'intervento armato e della guerra civile come in Spagna; sono stati quelli della invasione e annessione violenta come in Austria; sono stati quelli della violazione dei patti di alleanza e dello smembramento violento e a mano armata di uno stato, come nel caso della Cecoslovacchia. Nel fondo c'è la sostituzione della forza al diritto, la minaccia permanente di ricorrere alla guerra per indurre le potenze minacciate a cedere e per obbligare i piccoli e i deboli a subire la legge del più forte; c'è l'esaltazione della razza e della nazione come principio ultimo di moralità al quale sono sottoposte le persone singole e le collettività. Questo principio giustifica la lotta di razza contro gli ebrei, la lotta di religione contro i cristiani, la lotta politica contro i dissidenti e perfino contro i non conformisti. Tale lotia importa la soppressione di ogni libertà, della libertà stessa, e il dominio incondizionato o divinizzato di una persona o di un partito. I1 totalitarismo è come tale immorale, perchè ammette la subordinazione di tutto a un potere irresponsabile: anima e corpo, beni morali e materiali, interessi nazionali e internazionali. Dal giorno dell'avvento di Hitler al potere e della proclamazione del principio di razza, si è abbattuta sulla Germania la persecuzione antisemita. Questa è stata l'indice di una crisi di civiltà perchè si è creato un principio di discriminazione che
deve arrivare fino in fondo. Infatti la persecuzione si è estesa ai cristiani, protestanti e cattolici, che rivendicano il principio d i fratellanza umana davanti agli uomini e davanti a Dio. La persecuzione antisemita si è estesa mano a mano che è aumentato il potere e l'influenza della Germania nazificata: Sarre, Austria, Danzica, Polonia, Ungheria, Romania. Quando l'Austria è stata annessa, le leggi antisemite e quelle anticattoliche vi si sono abbattute con tutto il furore. Pareva che l'antisemitismo e il razzismo non dovessero varcare le Alpi. Ma no: anche Mussolini è preso dalla frenesia delle leggi antisemite e dei principi di razza, e si urta perfino della pietà che manifestano gl'italiani verso gli infelici perseguitati. Ora la Cecoslovacchia si è messa al passo e perseguita i giudei; anche in paesi come la Francia e la Gran Bretagna arriva l'ondata antisemita e conquista certa stampa germanofila e certe zone politiche filo-fasciste, che danno l'impressione di un contagio tanto più pericoloso quanto più incosciente, specie presso i cattolici. I1 pogrom germanico contro gli ebrei si è avuto a un mese di distanza dalla resa a discrezione delle potenze democratiche nell'affare cecoslovacco e in piena campagna per il ritorno delle colonie. Contro la nuova barbarie non è mancata la voce civile di protesta. Non sono stati solo i partiti laburisti e socialisti, non solo i partiti e la stampa democratica cristiana dei cattolici di Francia, Belgio, Olanda e Svizzera, ma tutta l'opinione civile (meno poche eccezioni) che si è sollevata. I1 presidente degli Stati Uniti, Roosevelt, con il richiamare gli ambasciatori da Berlino prima e da Roma dopo, ha espresso in modo molto significativo la riprovazione dell'antisemitismo barbarico elevato a metodo di governo. Le nazioni civili che ancora possono essere considerate tali, per iniziativa dell'olanda si sono messe d'accordo per accogliere e assistere i profughi delle persecuzioni antisemite. I1 che ha reso i dittatori più corrivi e più feroci nei loro propositi d i sterminio. L'organo hitleriano Schwarze Korps arrivava a scrivere nel novembre 1938 queste ciniche linee: u Gli ebrei devono essere relegati in strade speciali, devono essere contraddistinti da segni speciali e privati del diritto di possedere un terreno o una caea ».Questo il primo passo; essendo esclusi da ogni occupazione redditizia gli ebrei saranno costretti a diventare dei criminali.
Quando saranno giunti a questo punto, noi ci troveremo nella necessità di sterminare il mondo ebreo con i metodi che usiamo sempre nella lotta contro i criminali, cioè con la spada e con il fuoco. I1 risul~atosarà la fine completa degli ebrei in Germania, la loro distruzione totale D. Tutte le chiese crisliane si sono levate contro tali mostruos~ià. Ma su tutti Pio XI ha preso una posizione eminente, con autorità, continuità e inflessibilità. Basta ricordare la circolare della congregazione dei seminari e università, con la quale si precisano otto proposizioni del razzismo e totalitarismo statale da essere confutate nell'insegnamento ecclesiastico, sia scientificamente, sia teologicamente. Quando il papa seppe che il razzismo veniva introdotto in Italia, in un discorso del 15 luglio volle precisare il punto di vista cattolico. a L'universalità della chiesa cattolica (egli disse) non esclude certo l'idea di razza, di casata, di nazione, di nazionalità; ma il genere umano, tutto il genere umano, non è che una sola e universale razza umana. Non vi è posto per le razze speciali. Ci si può dunque domandare come mai l'Italia ha avuto bisogno di andare a imitare la Germania n. Più forte ancora si è levato contro l'antisemitismo. Questo già nella forma moderna era stato condannato dal Santo Uffizio nel decreto del 25 luglio 1928 (*). I1 papa ha voluto rivendicare per i cristiani una progenie semitica, come fece S. Paolo: tutti figli di Abramo. Pio XI, in u n importante colloquio con pellegrini belgi il 6 settembre 1938, spiegò altamente questa progenie gloriosa e terminò commosso fino alle lagrime con la frase: « L'antisémitisme est inadmissible. Nous sommes spirituellement des sémites » (**). Citare i discorsi di Pio XI del 1938 su tali questioni occuperebbe alcune pagine; egli ha riunito insieme la condanna al a
(*) A proposito della soppressione dell'dssociazione degli amici di Israele, il Santo liffizio così scriveva nel sno decreto: « Qua cantate permota Apostolica Sedes enndem popnlnm contra injnstas vexactiones protexit, et quemadmodnm omnes invidias ac simuitates inter popnlos reprobat, ita vel maxime damnat odinm adversns popuinm, olim a Deo electum, odium nempe illnd quod vulgo antisemitismo i> nomine nane significari soiet D. (m) Cité Nouvelle, Bruxelles, l 5 settembre 1936.
razzismo, all'antisemitismo e a l nazionalismo, che egli ha definito esagerato: e ne ha notato tutto il pericolo per la nostra civiltà cristiana. Nel resoconto fatto dall'Osservatore Romuno del discorso del 16 luglio, notiamo questo passaggio significativo: u Il sommo Pontefice aggiungeva d i non aver mai pensato intorno a queste cose con tale precisione, con tale assolutezza, si direbbe quasi con tanta intransigenza di formule. E giacchè Dio gli fa la grazia di tale chiarezza, Egli vuole farne partecipi i figli, avendone tutti bisogno particolare in questo tempo in cui queste idee fanno tanto rumore e tanto danno ». E pochi giorni dopo, ricevendo gli alunni del collegio di Propaganda Fide, a proposito del nazionalismo che arriva anche in paesi d i missione, così si esprimeva: « Le nazioni esistono, e il naxionalismo pure; ma le nazioni sono state fatte da Dio. Vi è dunque posto per un nazionalismo giusto, moderato, associato a tutte le virtù; ma guardatevi dal nazionalismo esagerato come da una vera maledizione. Ci sembra disgraziatamente che i fatti ci diano ragione quando diciamo (C vera maledizione » perchè esso è causa di continue divisioni, quando non addirittura di guerre D. Questa è la crisi morale d'oggi del rapporto fra nazioni, popoli e razze, la crisi.della negazione dei valori permanenti della civiltà cristiana che ancora sopravvivono negli stati laici moderni e nella Società delle Nazioni, e che formano il sano fermento delle correnti religiose nelle varie chiese cristiane, e soprattutto sono rivendicate dalla suprema autorità del cattolicesimo; valori che i paesi totalitari negano per una politica di rivendicazione e di predominio, e i paesi detti democratici apesso tradiscono per dissensi, per debolezza, per interesse, per viltà.
LA SITUAZIONE ATTUALE NEI RAPPORTI FRA CHIESA E STATO
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61. Per potere precisare le condizioni attuali dei rapporti fra chiesa e stato, occorre valutare i principali elementi dell'influsso e dell'antagonismo reciproco dal punto di vista della sociologia storica. Lo stato laico fin dal suo inizio (che abbiamo fissato, come punto di riferimento, con le rivoluzioni della fine del secolo XVIII) ha recato non pochi cambiamenti nel carattere e nel valore di tali rapporti ed ha creato nuove ragioni di antagonismo. L'esperienza attuale ci porta a mettere in maggiore rilievo il fatto che lo stato laico, per conquistare la sua completa autonomia da ogni altro elemento che potesse in qualsiasi modo dualimare il potere, si è andato orientando sempre più verso una specie d i K confessionaliemo » proprio, al quale la chiesa serve secondo i casi di contrapposto o di presupposto, di termine di lotta ovvero di elemento costruttivo. È perciò che gli stadi per i quali è passato lo stato laico, osservati nell'insieme, ci sembrano oggi di una perfetta logicità storica, di una connessione razionale rigorosa, mentre, guardati parzialmente, periodo per periodo, ovvero negli stati d'animo di coloro che l'hanno attuato, o nelle teorie che l'hanno preconizzato e sostenuto, ci appaiono incoerenti, qua e là contraddittori e di una realtà discontinua. I1 significato storico della conquista della libertà di coscienza, di culto, riunione, parola e stampa, fu superato quando lo stato laico potè vincere i residui dell'assolutismo e confessionalismo dell'ancien régime, apparsi con la restaurazione. Poco dopo i termini cominciarono a rovesciarsi: in tutte le varie e confuse esperienze del nuovo stato veniva a introdursi una specie di
u confessionalismo laico D, in quanto lo stato, per difendersi dagli antichi e nuovi antagonisti, negava loro le libertà sulle quali esso era costruito. Usiamo la parola di u confessionalismo laico D, invece di quella piii in uso di u conEormismo statale », per notare la tendenza dello stato laico ad ottenere dai cittadini più che una adesione formale ed esterna (che potrebbe bastare per un certo conformismo), un'adesione convinta e totale, che meglio è espressa dalla parola confessionalismo »: invece d i confessare la fede in Dio e in una chiesa, si dovrebbe confessare una specie di fede nello stato laico. Man mano che questo andò coprendo il dominio dell'attività individuale, con il controllo e con il monopolio nel campo culturale ed educativo e i n seguito anche i n quello economico e politico, le libertà venivano o falsificate o soppresse. I1 rovesciamento della situazione si è andato compiendo con gli stati detti totalitari. La chiesa, che tra la fine del XVIII e l'inizio del secolo XIX, combatteva l'introduzione delle libertà politiche, nel successivo periodo d i larvata o aperta separazione e di lotte, fu costretta dagli avvenimenti a domandare per essa quelle libertà al posto dei vecchi privilegi soppressi, per potere esplicare l a sua attività religiosa. Ma le libertà sono coerenti o non 'sono; se si negano alla chiesa come awersaria dello stato laico, presto si negheranno a tutti coloro che sono considerati avversari dello stato (quale che sia la sua caratteristica prevalente) fino a lasciarne il monopolio al governo e alla sua fazione. Se d'altra parte l a chiesa le domanda per sè, ammette o suppone che le libertà siano un dominio generale per tutti gli altri. La tendenza d i negare le libertà agli antagonisti del potere, principalmente alla chiesa, ritenuta tale per la sua posizione storica, derivava proprio dal concepire lo stato con un contenuto etico, autonomo e totale. Ciò era insito.nello stato laico dal secolo XIX, ma non se ne aveva coscienza. Questo fatto ha caratterizzato i rapporti attuali fra chiesa e stato; la situazione che n'è nata non ha confronti nella storia del cristianesimo. Nel suo primo periodo, la chiesa rappresentava la predicazione di una minoranza esotica che s'insinuava nell'impero romano, e veniva perseguitata come perturbatrice ed empia. Per quanto l'impero romano fosse autoritario, spesso
tirannico, e obbligasse i popoli al culto dell'imperatore e della dea Roma, pure non era affatto uno stato nè laico nè totalitario, come lo concepiamo noi oggi. Da Costantino alla riforma, la base cristiana dello stato fu una conquista sempre crescente. Originariamente al di fuori della chiesa, il potere secolare divenne cooperante e spesso dominante all'interno della chiesa, lavorando ai fini religiosi, siano questi intesi dalle varie correnti fuori dell'unità con Roma ovvero dell'ortodossia cattolica. Negli stati riformati, pur avversandosi reciprocamente cattolici e protestariti, la base religiosa cristiana del potere politico non fu mai negata; anzi l'unione dell'elemento temporale con lo spirituale fu così stretta che lo spirituale ebbe a soffrire della tutela, del .controllo e della sovrapposizioiie reciproca che finì per confonder.e i caratteri e le finalità dei due valori in un confessionalismo politico-religioso. Per reazione si arrivò prima alla tolleranza, poi alla laicità con o senza formale separazione dello stato dalla chiesa. Ma lo stato moderno, nato con la rinascenza e maturato con la riforma, rivendicò i suoi titoli di origiue e, pur volendo in fondo la separazione, proclamò la sua a u t o ~ o m i ain nome del diritto naturale, autononiia che divenne distacco in nome della libertà, opposizione in nome della democrazia, laicità in nome dei radicalismi borghesi ed operai, totalità in nome dei nazionalismi e razzismi e dittature di ogni sorta. Ciascuno d i tali principi negava il cristianesimo sotto particolari aspetti: il giusnaturalismo come diritto naturale separato dal soprannaturale; la libertà come autonomia della ragione; la democrazia come origine dell'autorità dal popolo sovrano (prescindendo da Dio o negandolo); i l radicalismo come rivendicazione dei diritti umani e sociali (non riconosciuti dai poteri politici e religiosi legati insieme); il nazionalismo e il razzismo e il comunismo come costituenti un tutto sociale, zie1 quale si confondono sommergendosi gli individui con tutti i loro valori, compresi quelli spirituali e soprannaturali. Questo processo, come ogni processo storico, non è stato nè lineare, nè senza contrasti e senza ritorni. In tanto è processo in quanto vi sono stati i contrasti, che però non ne hanno arrestato il cammino. Gli elementi immessivi dentro dalla resistenza e dalla penetrazione della chiesa, vi hanno aggiunto delle note
particolari, che sarebbe vano misconoscere e minimizzare e prendere come scorie da eliminarsi nel tormento del crogiolo storico. Lo stato laico sviluppò u n notevole elemento etico impregnato d i valori cristiani. È vero che i presupposti teorici e le finalità di tale etica erano in prevalenza naturalistici; ma i principi del rispetto della personalità umana, della libertà individuale, dell'eguaglianza legale, della giustizia e dei rapporti privati senza differenze di classe, dell'abolizione della schiavitù e delle servitù legali, erano impregnati di cristianesimo. F u errore quello di molti il non riconoscerlo, per difendere a fondo quella posizione storica alla quale era allora legata la chiesa. I diritti sociali della classe lavoratrice si affermarono ben presto a controbilanciare gli errori del liberalismo economico che venne a creare l'esercito dei proletari. La teorizzazione marxista e i movimenti anarchici che accompagnarono e spinsero le rivendicazioni operaie non avrebhero dovuto far disconoscere gli elementi cristiani ch'esse contenevano, come giustizia e come carità. Di ciò si accorsero uomini avvisati come Lacordaire, Montalembert, Ketteler, Windthorst, Manning, Balmes, Mermillod, La Tour du Pin, Vogelsang, Winterer, Decourtins, Toniolo e altri, prima che Leone XIII prendesse in mano la causa operaia; il tempo che è passato dal manifesto comunista alla Rerum novarum, quasi mezzo secolo, ha ancora oggi u n peso nella scristianizzazione delle masse lavoratrici. I n f i ~ e ,la pace internazionale e la società dei popoli erano idee cristiane che la rivoluzione francese fece proprie e la Santa Alleanza riprese a profitto della reazione politica. I n seguito, trasformate per il loro naturalismo fondamentale in pacifisko umanitario, furono avversate dagli scrittori cattolici, finchè, scoppiata la guerra mondiale, la catastrofe le richiamò alla realtà del pensiero cristiano che Benedetto XV fissò in termini imperituri nella lettera del lo agosto 1917. Questi e altri e!ementi cristiani penetrati nello stato laico, sotto caratteri naturalislici, sono negati dallo stato totalitario, non sola in quanto non si riconoscono più i valori morali che essi contengono, ma principalmente in quanto si suborciiriano al valore supremo dello stato. Questo processo è stato parziale nelle precedenti forme di stato laico, ma sempre progressivo con
l'assorbimento di ogni valore autonomo nell'unico valore totale. Tutti gli sforzi della chiesa per dare un contenuto religioso alle conquiste etiche, sociali e internazionali moderne, si sono infranti contro la volontà antagonista dello stato di assorbire tutto e tutto . ridurre nell'unità statale. La lotta fra chiesa e stato, che durante la riforma ebbe per principale oggetto una confessione particolare, quella accettata e sostenuta come religione di stato, e nel periodo delle rivoluzioni mirò in fondo alla difesa dei diritti storici della chiesa contro una separazione larvata o aperta, oggi è sul terreno morale, nel contrasto fondamentale tra la morale del cristianesimo e la morale dello stato. Sarebbe insensato dire C( morale di stato » ; in fondo si tratta dello stato etico alla Hegel. Pochi conoscono a pieno la teoria hegeliana dello stato, non tutti la intendono allo stesso modo; ma quali che siano i suoi presupposti metafisici, in realtà le correnti di pensiero, l'orientamento pratico dei governi e dei partiti prevalenti, la formazione dell'opinione pubblica tendono ad identificare i fini politici dello stato con la concezione etica della vita. Questa implica la frase stato etico n: origine e fonte di libertà, di moralità e di diritto, lo stato norma e finalità di ciascun individuo che in esso si unifica e si sublima. I1 cristianesimo è minacciato da un antagonista possente, il quale, senza essere nè religione nè divinità, ne prende i caratteri per annullarli in se stesso, se fosse possibile, certo per assorbirli o dominarli. I1 cristianesimo, quale lo abbiamo studiato dal punto d i vista sociologico, ci apparve come religione personale, universale, autonoma. Lo stato, come fine di ogni attività, rivendica oggi per sè la persona umana e ne sopprime ogni libertà, per trasportare la religione di libertà nel gruppo sociale ch'esso rappresenta. Lascia è vero la libertà di culto (anche in Russia nominalmente, in Germania con limitazioni, i n Italia effettivamente), ma cerca d i sterilizzarla disimpegnando la morale dal culto e liberando la morale statale da ogni vincolo eteronomo di provenienza diversa dallo stesso stato. Prima ad essere proclamata autonoma fu la morale individuale. Come lo stato poteva reggere senza una morale che desse la base al vivere sociale? Quale autorità attribuire ai codici e alle leggi? L'insufticienza della volontà individuale e le difficoltà
cli conciliarne l'autonomia nel subordinarla per fini sociali allo volontà delle maggioranze, fece concepire lo stato come totalità vitale e perenne degli individui stessi. Questo il titolo dello stato perchè sia detto etico; esso solo sarebbe perciò veramente libero, perchè nessuno gli potrebbe dar norma e nessuno lo potrebbe vincolare nè internamente nè esternamente; essendo libero l o stato sarebbe esso stesso morale in quanto stato. La morale della chiesa o coincide con quella dello stato OVvero va eliminata. Lo stato non solo non ne tiene conto nelle sue leggi, le quali possono introdurre istituti anticristiani quali il divorzio, la legalizxazione dell'aborto, la sterilizzazione eugenetica, l'educazione obbligatoria laica, nazista, fascista o comunista ; ma si sovrappone di autorità trascinando le chiese ad appoggiare apertamente gli atti del potere politico sia pure immorali, come la violazione dei trattati, la guerra ingiusta, l a guerra civile, la propaganda di odio, la persecuzione di minoranze religiose, politiche e di razze. L'esaltazione di tali misfatti oggi è tale, ed è così grave il £anatismo che si desta nelle masse, che l'idea di gruppo sociale (stato, nazione, classe, razza) rende difficile concepire una religione personale che imponga di rinnegarne la legge e di purificarsi dai delitti e dai misfatti compiuti per esso. Così viene negato in radice il carattere di religione personale che ha avuto il cristianesimo fin dal suo apparire. L'universalità del cristianesimo può essere contrastata da1 potere politico o sul terreno gerarchico, o su quello dogmatico, o su quello morale. Gli stati confessionali attentarono sempre all'universalità della chiesa sul terreno gerarchico e di conseguenza su quello dogmatico, dando motivi a eresie e scismi; solo per via indiretta ne fu tocca la morale cristiana, per cause di divorzi di re o di simonie nell'investitura dei benefici o per il concubinato dei preti. Ma in tali casi nessuno pretendeva creare una morale nuova, nè proclamava il divorzio, il concubinato o la simonia quali atti di una morale superiore e perfino eroica, derivanti da una concezione etica superiore alla cristiana. Lo stato laico, proclamando una morale propria, creò un dualismo insanabile con la morale cristiana; ma fino a che lo stato lasciava ai singoli cittadini la libertà di professare, propagare e difendere i propri ideali morali e politici, veniva elimi-
nato il pericolo di uno scisma etico tra i fedeli d i uno stato e la chiesa. Quando però lo stato laico pretese imporre a tutti la propria morale in nome o della volontà del popolo (come nelle democrazie radicali) o della volontà della nazione o della classe o della razea, come negli stati totalitari, allora l'apostasia inizialmente limitata al potere centrale divenne apostasia della massa. Per conseguenza l'autonomia, ch'è la terza nota sociologica del cristianesimo in quanto religione personale e universale (cioè al disopra dei gruppi sociali: famiglia, nazione, stato, società di nazioni), viene a subire nel campo etico una limitazione di una portata eccezionale, poichè ogni stato particolare pretende imporre la propria morale, che consiste nella divinizzazione di tutto il mondo nuovo che esso vuole incarnare. « L'uomo che in ogni nazione prega il Dio della pace non fa un dio della propria nazione n, scriveva Pio XI colla sua lettera Caritate Christi compulsi. Oggi gli stati totalitari educano le masse a fare della propria nazione un dio. Si attenta così al cristianesimo nelle sue tre note caratteristiche di religione personale, universale e autonoma.
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62. La conquista dello stato sulle anime è in continuo progresso, sia là dove l'evoluzione verso io stato totalitario si va compiendo, sia dove lo stato, pur non essendo tale, mira a dare una propria impronta alla formazione educativa e culturale del paese. È compito di tutte le chiese cristiane di resistere: quanto più le chiese possono contrapporre una formazione cristiana veramente moderna, tanto meglio potranno far fronte al nuovo pericolo. È stato facile per esse organizzarsi sul terreno educativo e culturale moderno negli stati dove la libertà è data a tutte le iniziative e dove lo stato non ha nessuna ingerenza determinante nell'educazione e nell'insegnamento, come negli Stati Uniti di America, e, a parte alcune differenze, nella Gran Bretagna; anche nell'olanda e nella Svizzera dopo vinte le ultime resistenze del protestantesimo; infine nei paesi scandinavi quando sono cadute le ultime barriere messe dalla riforma ai movimenti culturali liberi. I1 Belgio fu celebrato per la lunga lotta dei cattolici per la conquista delle libertà scolastiche; la Francia, no-
nostante il suo laicismo positivista, ha potuto fin oggi salvare le scuole confessionali e aprire varie università cattoliche, che hanno influito non poco a contrastare il terreno alla scristianizzazione della gioventù studiosa (*). La formazione delle élites intellettuali e d i azione cattolica promossa dappertutto, anche in paesi di missione, è una delle più notevoli iniziative prese dalla chiesa cattolica. Ne abbiamo già notato l'inizio fin dalla metà del secolo scorso, segnalando la posizione da essa allora presa, tra la reazione antiliberale e la tolleranza politica in regime di libertà, e in seguito quella sociale nel campo operaio o democratico cristiano. Fu Benedetto X V che nel 1915 unificò il movimento italiano dandogli il nome d i azione cattolica (già usato da Pio X) e poscia disimpegnandolo dalle iniziative elettorali. Pio X I ne ha confermato più nettamente e autorevolmente il carattere di apostolato laico alle dipendenze della gerarchia, ne ha promossa la formazione in tutti i paesi e ne ha fatto materia d i concordato. 11 richiamo all'esempio della chiesa primitiva, quando laici e donne cooperavano alle fatiche apostoliche e alla propagazione del Vangelo, è fatto sovente da coloro che vedono nella scristianizzazione della società moderna un ritorno al paganesimo e nell'azione cattolica una cooperazione a l sacerdozio. Non può mettersi in dubbio che da un secolo a questa parte il laicato cattolico maschile e femminile abbia dato molteplici esempi d i elevatezza spirituale, coraggio e combattività; non sono mancati fiori d i santità, quali in Italia Giuseppe Toniolo, il teorico della democrazia cristiana e per mezzo secolo cam-
(*) In Italia, in regime educativo liberale, la libertà non fn mai conquistata, i cattolici rimasero fuori della vita politica, e la questione romana preoccupò i governanti. Ciò nonostante, le scuole cattoliche private sorsero e molte ottennero la parificazione con le scuole statali. Una delle più vigorose battaglie del partito popolare, fin dalla sua fondazione, fu per ottenere l'esame di stato, che avrebbe posto termine al monopolio scolastico. Al tempo stesso, per iniziativa privata, fu fondata l'università Canolica di Milano, inaugurata nel 1921 da un ministro popolare. Fu il governo fascista a riconoscerla come una pubblica istituzione e a convalidarne i titoli di studio rilasciati, sottoponendola però alla vigilanza statale e aìia regolamentazione zccademica di stato.
pione dell'azione cattolica, Vico Necchi e Pier Giorgio Frassaii, ambedue dell'azione cattolica e del partito popolare ( i loro processi informativi per eventuale beatificazione sono in corso), e in Francia Marie Pauline Jéricot, Léon Harmel e Mario Gonin, a non contare i grandi del passato, noti a tutti: O'Connell, Montalembert, Windthorst. I recenti movimenti di gioventù operaia cattolica, quale quello dei Jocisti (*) e altri simili, vanno assumendo uno slancio che supera quello che ebbe quarant'anni fa la democrazia cristiana, e che ricorda sotto certi aspetti i movimenti medievali del terziariato francescano. Le chiese protestanti non hanno nel loro seno simili movimenti: alcune di esse, organizzate congregazionalmente, hanno mantenuto costante il contatto di cooperazione tra i fedeli; altre, ufficialmente legate allo stato, hanno inaridito ogni iniziativa in una situazione senza contrasti e senza attività d i apostolato. Non mancano però, ai margini delle chiese, movimenti a carattere particolare. L'Esercito della Salvezza ha dietro di sè più di sessant'anni d i lavoro indefesso. Per un certo periodo fece rumore il cosiddetto movimento dei gruppi di Oxford. Lo scopo era quello di riportare gli uomini di oggi, assordati dalla vita esteriore, ad una interiorità spirituale basata sulla purità, l'amore, l'onestà, e il disinteresse. Dal punto di vista cristiano tale movimento, non essendo una chiesa, potrà influire solo individualmente nella vita delle varie confessioni in cui è frazionata la religiosiià anglo-sassone. L'azione cattolica non ha caratteri politici e non tende a sostituirsi ai partiti politici formati da cattolici, là dove esistono ancora, come nel Belgio, in Olanda, in Svizzera, nè a prenderne il posto là dove non esistono più, come in Germania, Italia, Austria, Cecoslovacchia. Per comprendere lo spirito dell'azione cattolica bisogna rifarsi all'idea dell'apostolato cristiano in seno ad uno stato moderno, democratico o totalitario, nel quale la politica intacca l'essenza dell'iinera vita. L'apostolato laico non è mancato mai nella chiesa, sia in quella cattolica che nelle chiese dissidenti, secondo i bisogni dei tempi e gli atteggiamenti (*) Fondato nel Belgio e diffuso altrove. Jocisti, daiie iniziali J. O. C. (Jeunecse Onvrière Catholiqne).
della cultura. I1 concetto fondamentale dell'azione cattolica è l a stessa formazione cristiana di tutti e d i tutte le classi ed età, a cominciare dalla fanciullezza, per potere cooperare con il ministero sacerdotale e partecipare alla sua stessa missione. È naturale che l'azione cattolica si occupi della formazione del cristiano quale cittadino, per dare una chiara visione dei problemi nazionali ed internazionali, politici e sociali in modo che non solo non conlraddica ai principi cristiani, ma risponda allo spirito stesso del cristianesimo che è quello della verità e dell'amore. È inconcepibile che un uomo di azione cattolica accetti le concezioni etico-politiche del naturalismo, del razionalismo, del poaitivismo, dell'hegelismo, allo stesso modo che non può accettare le realizzazioni pratiche del liberalismo, comunismo, socialismo, fascismo e nazismo, per quello che esse contengono di teorie erronee e anticristiane. I1 cristiano ha una concezione propria della vita mondana e di quella soprannaturale, che deve affermare nella sua vita di cittadino e nel suo apostolato di azione cattolica. Questo significa fare della politica? Difatti, l'accusa contro le organizzazioni cattoliche che si ripete adesso in Germania ed Austria è la stessa d i quella che indusse in Italia nel 1898 il governo conservatore a scioglierle tutte per decreto, nonostante la protesta d i Leone XIII. L'Italia di Mussolini fece lo stesso nel 1927 con tutte le associazioni sportive e in modo violento, nel 1931, con i circoli di gioventù cattolica, e nell'estate del 1938 tornò a minacciare provvedimenti d i rigore contro l'azione cattolica, perchè si era opposta alle teorie razziste, che il governo di Roma aveva fatto proprie (*).
(*) Pio XI, nell'allocuzione al collegio dei cardinali fatta il 24 dicembre 1938, accennando al decennale della data del trattato del Laterano e del concordato con l'Italia, u per debito di apostolica sincerità e verità, come per la edificazione di cui anche per la nostra età siamo debitori n, diceva ch'esso gli arrecava u vere e gravi preoccupazioni e amare tristezze D. u Amare tristezze invero n - egli continuava - u quando è i l caso di reali e molteplici vessazioni - non diciamo che esse siano proprio generali ma certamente molto numerose e ricorrenti in molti luoghi - contro l'azione cattolica, che è noto essere la pupilla dei nostri occhi. L'azione cattolica - un fatto che ha dovuto essere riconosciuto e confessato come risaltante dal sequestro di molte delle sne sedi e archivi - non impegna politicamente nè porta con sè
Nel fondo c'è un equivoco insanabile. Lo stato moderno vuole essere una Weltanschauung, una concezione del mondo e della vita, in sostanza una religione. I1 cristianesimo anche è una Weltanschauung, oltre che una religione soprannaturale. Fra cristianesimo e stato moderno, concepito come una Weltanschauung, il conflitto è insito e inevitabile. Esso potrà svolgersi in una maniera civile nei paesi dove lo stato applica lealmente il metodo della libertà; diviene invece lotta aperta dove lo stato nega alla chiesa le sue libertà; o quando, peggio, è soppressa per tutti ogni libertà, e l'ingerenza dello stato si estende al complesso della vita umana. Allora la chiesa è perseguitata, perchè anche nelle catacombe fa paura (come avviene oggi in Russia); perchè, priva di ogni risorsa umana e confinata neìle chiese a pregare, fa ancora paura (come oggi in Germania e in Austria); perchè, anche se solo protesta contro la teoria erronea o contro una violenza morale, fa pure paura (come oggi in Italia). La chiesa è sempre l'antagonista spirituale di uno stato che tende a diventare il tutto. La Santa Sede ha cercato e cerca d i evitare i conflitti religiosi con gli stati totalitari, cedendo fin dove le è possibile, per non dare motivi e pretesti a persecuzioni. I1 metodo concordatario è oggi il preferito, allo scopo di precisare le posizioni reciproche e riportare sul terreno giuridico le vertenze che potessero nascere. È questo un metodo ripreso largamente dal concordato napoleanico ad oggi per parare i colpi degli stati autoritari e per sistemare le posizioni ecclesiastiche compromesse nn'indesiderabile rivalità, ma si sforza soltanto di formare buoni cristiani che vivano il loro cristianesimo, e con ciò stesso elementi di prim'ordine per il bene pabblico, specialmente in un paese cattolico come l'Italia, e come i fatti hanno provato. Notando lo zelo negli strati inferiori, sembra troppo chiaro che benchè l'azione cattolica fosse distintamente presa i n considerazione nel nostro patto di conciliazione, vi debbono essere vasti - o piuttosto segreti atti di permesso e di incoraggiamento dall'alto, per cui queste vessazioni sono incessanti in vari posti da nn capo all'altro della penisola. E non solo in piccole o trascurabili località. Ieri abbiamo parlato di Venezia, Tonno, Bergamo. Oggi è Milano, e precisamente nella persona del suo cardinale arcivescovo, colpevole di nn'allocnzione e di nn insegnamento che rientra precisamente nei suoi diritti pastorali, e che noi non possiamo .C approvare D.
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Chiesa e s t a t o
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dal laicismo moderno unito ai residui del giusnaturalismo antico. Dopo la guerra mondiale si sono avuti due tipi d i concordato: uno quale modus oicendi portante alla regolamentazione yerarchica culturale e scolastica della chiesa cattolica con uno stato laico e con uno stato non cattolico in cui vi sono province cattoliche; quali i concordati con i tre stati della ex piccola Intcsa e quelli con alcuni stati particolari del Reich di Weimar; l'altro invece a carattere più largo, nel quale oltre la parte regolamentare vi è sottintesa una specie di cooperazione della chiesa a i fini dello stato dittatoriale: tali i concordati con l'Italia del 1929 e con la Germania nazista del 1933, che già abbiamo esaminato. Nel dir ciò non s'intende sottovalutare quel che di buono possono recare tali concordati; si vuole solo mettere in rilievo che gli stati i quali esigono una simile cooperazione lo fanno per il loro intrinseco carattere totalitario; e da parte loro non possoncr non subordinare l'accettazione e l'esecuzione del concordato ai fini statali. I canonisti d i curia un tempo, di fronte ai regalisti, sostenevano che i concordati non erano contratti nella parità delle parti, ma concessioni graziose della Santa Sede, per le quali essa volontariamente si legava agli stati. Oggi i teorici degli stati totalitari rovesciano le posizioni, e sono gli stati che graziosamente si legano alla Santa Sede, fino ri che ciò va d'accordo. con la loro politica totalitaria. La Germania mette in atto tale concezione, violando apertamente e senza alcun ritegno quel concordato che giovò al riconoscimento morale del dominio di Hiiler, preparandosi a denunziarlo. L'Italia ha quasi sempre osservato il concordato (meno recentemente per le leggi antisemite circa il matrimonio), ma a condizione che la chiesa non ne disturbasse le imprese. Si vide, infatti, quel che poteva nascere fra l'uno e l'altra nella primavera del 1931 a proposito della gioventù cattolica. Se per caso un certo numero di vescovi italiani avessero fatto ostacolo alla formazione militare dcll'infanzia (una delle peggiori disposizioni del regime), ovvero avessero fatto semplicemente delle riserve sulla giustizia della guerra d'Africa, allora, nonostante il concordato, avrebbero provato i fulmini del fascismo. Nel marzo 1937 Pio XI pubblicò tre encicliche, a distanza di una settimana l'una dall'altra, che formano un insieme impo-
nente e tale da caratterizzare la situazione presente del cristianesimo di fronte agli stati totalitari. La prima, Divini Redemptoris, è non solo una ripetuta e più amara condanna del comunismo ateo (visto nella esperienza del regime bolscevico e della sua propaganda nel mondo operaio), ma una spinta alla ricostruzione della società del lavoro su basi cristiane ed umane, alle quali il .capitalismo oppone i suoi Forti tentacoli invadendo del suo spirito materialistico le classi possidenti. La seconda, Mit brennender Sorge, è la difesa del cattolicesimo perseguitato in Germania, e la condanna delle teorie naziste e razziste in nome delle ,quali è scatenata la persecuzione. Senza nominarle, ma precisandole, vi sono condannate le teorie fasciste che divinizzano stato e nazione, quali già furono rilevate dall'enciclica Non ab,biamo bisogno del giugno 1931 contro le persecuzioni fasciste in Italia. La terza, Nos es n u y , diretta a i vescovi del Messico, è sulla resistenza alla scristianizzazione della vita del loro paese, sui diritti dei cristiani in quanto cittadini, sui caratteri e limili della resistenza ai poteri costituiti, suIl'azione cattolica e suoi compiti. In tutte le tre encicliche dominano due temi fondamentali: quello della concezione soprannaturale integrale, in tutte le fasi della vita privata e pubblica, economica e politica, per combattere e superare il materialismo, l'ateismo e il panteismo, oggi predominanti nelle teorie e nelle attività degli stati; e quello dell'azione dei cattolici che, come i primitivi cristiani, con il loro apostolato e il loro sacrificio debbono salvare le classi, gli stati, le società, i fratelli tutti trascinati nell'errore e nell'iniquità. Dal marzo 1937 fino alla sua morte (alla fine del 1938) Pio X I è andato prendendo una posizione sempre più marcata e più decisa nel conflitto ideologico che imperversa nel mondo. Alla settimana sociale dei cattolici di Francia del luglio 1937, nella quale fu trattato il tema della personalità umana oggi in pericolo, egli indirizzò una lettera tramite il suo segretario d i stato card. Pacelli, esaltando i l valore umano e cristiano della persona, considerata come fine dello stato C di ogni altra società e non viceversa. Nella settimana sociale dei cattolici francesi del luglio 1938 si trattava della libertà. La lettera inviata dal papa, per il solito tramite del card. Pacelli, è
uno dei documenti più luminosi sulla vera libertà, ove si nota questo passaggio significativo: « On ne s'étonnera pas que l'église soit restée le seul et le plus grand défenseur de la vraie liberté ». L'esperienza del totalitarismo bolscevico faceva credere che il rimedio alle agitazioni operaie ispirate al comunismo fossero i regimi totalitari di destra. Donde il favore che trovarono il fascismo e il nazismo presso i capitalisti industriali e agrari (che furono larghi d i aiuti economici al loro inizio), ma anche presso la media borghesia e presso zone cattoliche che risentono dell'influsso delle classi possidenti. Abbiamo visto che i vescovi tedeschi (tranne poche eccezioni) furono ostili ai nazisti; anche quelli italiani non furono favorevoli ai fascisti, ma una volta che questi furono arrivati al potere, si credette che potesse esperimentarsi una nuova unione del N trono con l'altare n, cioè della dittatura con la chiesa. L'esperienza del nazismo germanico è stata negativa. La Baviera cattolica ha perduto tutte le scuole confessionali; l'Austria cattolica in pochi mesi è stata spiritualmente devastata, per la fiducia dei vescovi in Hitler e la poca resistenza morale dei cattolici; caratteristica in Austria l'apostasia di centinaia e centinaia di fedeli dalla fede cattolica per un nazismo concepito come totalità spirituale. In Italia non mancano gravi preoccupazioni. L'esperienza d i queste forme d i totalitarismo ha fatto rivalutare presso le gerarchie ecclesiastiche i regimi liberi: onde abbiamo avuto le dichiarazioni collettive dei vescovi di Francia, d i Svizzera, di Olanda e del Belgio a favore dei regimi dei propri paesi, che sono regimi democratici, dove ancora esiste la libera manifestazione delle proprie idee e dei propri convincimenti e la libera organizzazione. il card. Dougherty d i Filadelfia, nella sua lettera pastorale del novembre 1938, augura che gli Stati Uniti divengano « la fortezza della democrazia alla svolta della storia mondiale, e che combattano energicamente coloro che anche i n America ridicolizzano, attaccano e mettono i n pericolo tali principi. Bisogna preservare la libertà e combattere le dottrine sowersive che minacciano d i distruggere tutto ciò che è giusto e nobile nella terra della libertà che è l'America D. Questo movimento d'opinione nella gerarchia cattolica dei paesi liberi non significa affatto che la chiesa, e per essa la Santa
Sede, muti il tradizionale sistema d i trattare con tutti i governi e di continuare le relazioni anche con i governi che la combattono, come oggi in Germania e nel Messico. Non mancherà un'azione della Santa Sede perchè nella Spagna repubblicana si ricostituisca il culto e la gerarchia. Un primo cauto accenno per la riorganizzazione del culto si è avuto verso la fine del 1938. Anche con la Russia la Santa Sede riprenderebbe i contatti. Quando la delegazione russa dei Soviet intervenne alla conferenza di Genova, nel maggio 1922, Pio X I mandò spontaneamente un proprio rappresentante, il card. Pizzardo (allora monsignore della segreteria di siato) per conferire con il ministro degli esteri del tempo, Cicerin. Ma la chiesa ha bisogno di libertà, ed è suo diritto richiederla: oggi, solo la libertà può essere una garanzia contro la corrente totalitaria che minaccia il mondo. Le chiese protestanti dei paesi totalitari, non avendo, come la cattolica, un unico organismo d i dottrina e d i disciplina per tutto il mondo, si trovano isolate di fronte ai poteri politici. Certe chiese aderiscono completamente ai regimi politici del paese per potere conservare la propria personalità, (così avviene in Italia), o per averne dei vantaggi momentanei, come recentemente in Austria, o dove clero e fedeli sono divisi fra i sostenitori del regime e gli oppositori, come in Germania. Quelli che lottano con coraggio e perseveranza, hanno la simpatia e la solidarietà delle chiese protestanti e riformate dell'estero, specialmente anglo-sassone di qua e d i là dell'oceano; e attraverso queste, possono riaffermare i principi di libertà, moralità e autonomia della coscienza religiosa dal potere politico e dalle concezioni totalitarie e razziste sulle quali esso si appoggia. Un posto a parte si deve fare alla posizione della chiesa d'Inghilterra. Per quell'istinto di conservazione e tradizione, che è tutto proprio di questo paese, la chiesa d'Inghilterra si trova, nelle sue posizioni formali, quale era nel passato, senza altre modifiche che di adattamento regolamentare nei rapporti con la corona e il parlamento. ,Però la sostanza è andata mutando man mano che dal regime di tolleranza si passò a quello di libertà per tutti i culti, compreso il cattolico romano, e man n a n o che Io stato prese quei provvedimenti civili circa il divorzio, la scuola neutra, la libertà di insegnamento, la non pu-
nibilità dei reati contro la religione e ultimamente della bestemmia, che ne completarono (senza renderla esplicita) la secolarizzazione o laicità. Ciò non ostante l a chiesa anglicana è rimasta legalmente e amministrativamente ufficiale; il re è consacrato religiosamente (come quelli ortodossi) ed emette il giuramento di lealtà alla sua chiesa; i vescovi sono nominati dal suo governo, il parlamento decide sulle proposte dell'assemblea della chiesa in materia di dottrina, di formulari e di giustizia ecclesiastica. Quel che fece rumore, ed ha fornito motivo per riesaminare il problema dei rapporti h a chiesa e stato, fu la vertenza per il Prayer Book, libro liturgico che contiene la sostanza tradizionale delle credenze e del rito anglicano. Le assemblee ne proposero le modifiche che rispondevano alle esigenze e correnti attuali del clero e del laicato, specialmente circa la comunione e la conservazione della eucarestia. I1 parlamento, per una specie di tutela del sentimento comune più che per un controllo dogmatico e liturgico, del quale non potrebbe dirsi competente, aveva il diritto di accettarlo o rigettarlo in blocco. Decise in maggioranza contro le innovazioni al testo del 1662; fra i deputati votanti vi erano coloro che non appartenevano alla chiesa d'Inghilterra. I1 risentimento del clero favorevole a l nuovo Prayer Book fu così notevole da adottare il nuovo libro nelle proprie chiese. I vescovi, per uscire d'imbarazzo, autorizzarono, in seguito, l'uso del nuovo libro in attesa di una nuova procedura legale a tempo opportuno; questa decisione fu criticata come illegittima. Si riprese allora la discussione altra volta fatta, se i rapporti della chiesa d'Inghilterra con lo stato dovessero essere modificati o se fosse meglio arrivare alla separazione (disestablishment). Contro l'idea di separazione si sono levati molti, sostenendo la necessità del mantenimento della chiesa established D, sia per i privilegi ch'essa ha su tutte le altre, sia per paura di aumento d'influenza della chiesa romana (e), sia per mantenere il carattere cristiano alla corona del Regno Unito e allo stesso impero britannico. (*) « The Church of Rome would gain mncb gromd and claim more v. in Church and State, del vescovo di Norwich, 1936, p. 11.
Niente da meravigliarsi se in mezzo a tante variazioni e sconvolgimenti, la chiesa d'Inghilterra continui a rispettare le alitiche posizioni; essa non può dirsi, dal punto di vista interno, di avere u n credo comune e fisso; la corrente teologica razionalista (detta liberale o anche modernista) vi e assai forte e ne scalza ogni dogmatismo; l'altra corrente dclla chiesa alta (High Church). cerca di far rivivere i riti anteriori alla riforma e accetta da Roma molti usi divozionali (anche il culto del S. Cuore). Dove manca un'unità interiore supplisce l'unificazione esterna e formale nello stato e nella gerarchia che ne dipende. Tutto ciò corrisponde allo spirito di vaga religiosità e all'individualismo pronunziato dei paesi anglosassoni, sì che nè la chiesa nè lo stato vi rappresentano unificazioni collettive complete, ma solo ne sono come centri di carattere amministrativo, organico e politico. Quivi ogni individuo è per sè stesso il suo stato e la sua chiesa (*). Non è lo stesso in Scozia, dove la chiesa è indipendente dalla corona e dal parlamento, pur essendo riconosciuti la sua esistenza e i suoi diritti. Lo spirito congregazionalista e puritano vi si è conservato contro tutte le imposizioni dei re riformatori dei secoli XVII e XVIII, e non ostante l'introduzione del regime di libertà. Recentemente la Estahlished Church e la United Free Church di Scozia si sono riunite assieme, ma il loro senso d i autonomia è sufficiente a garaiitire la personalità di ciascuna. I1 regime delle scuole popolari è quello ufficiale, però tutte le chiese (compresa la cattolica) ne nominano i consigli per l'educazione con il sistema della rappresentanza proporzionale. Con la formazione dello Stato Libero d'Irlanda (ora Eire) e la resurrezione della Polonia, presso una certa corrente di cattolici si credette possibile il ritorno allo stato confessionale, detto per eufemismo stato cristiano o stato cattolico. Costoro non sapevano bene cosa fosse lo stato cattolico; ma nei due casi, venivano legati insieme i l cattolicesimo e u n nazionalismo tipico fondato sulla tradizione cattolica del paese. Nel fatto, nè l'uno nè l'altro potevano iscriversi sul passato di lotte storiche oonfessionali e (*) Questo poteva affermarsi senza difncoltà nel 1939, ma non suona lo stesso nel 1959. ( N . d . A.)
p l i t i c h e oggi sorpassate. L'Irlanda instaurava le forme democratiche e la tolleranza interconfessionale. Non mancò qualche tentativo di introdurre nella vita pubblica un certo controllo ecclesiastico, ma cadde nel vuoto perchè sfruttato dai due partiti, che, a parte le differenti concezioni, sono ambedue cattolico-nazionali. La Polonia passava rapidamente dalle forme ultrademocratiche a quelle dittatoriali. I1 cattolicesimo tradizionale era sfruttato dallo spirito nazionalista nella lotta contro gli ucraini della Galizia. L'antiseinitismo e l'influsso del nazismo germanico e il nazionalismo anti-ucraino hanno creato in Polonia una situazione assai d a c i l e alla chiesa. Dopo gli accordi del Laterano, una certa stampa estera, ingenua e poco accorta, parlò dello stato cattolico dell'Italia fascista: l'ilksione durò poco, tranne presso alcuni che ancora prendono i loro vani desideri per realtà. L'idea di stato cattolico veniva ripresa nella esperienza niente felice dell'Austria d i Dollfuss e di Schuschnigg. Questi, buoni cattolici, ma mediocri uomini d i stato, s'illusero nella loro politica anti-socialista, autoritaria e filo-fascista, di potere realizzare il sogno di uno stato cattolicosociale, basato sulle encicliche Rerum Novarum e Quadragesimo Anno, e ci fu all'estero gente che vi prestò fede e ne scrisse con entusiasmo. Tali persone non si rendevano conto però dell'equivoco fondamentale d i un governo d i minoranza formato da non più di un terzo d i cattolici, e fra loro non d'accordo, che voleva imporre agli altri due terzi (socialisti, pangermanisti e nazisti) un tipo di stato senza proprie tradizioni, come piovuto dall'alto. Non compresero che l'appoggio dell'Italia fascista era condizionato all'introduzione di un sistema antidemocratico e autoritario, allo schiacciamento del socialismo (donde la rivolta sanguinosa del febbraio 1934), e che il nazismo minava l'indipendenza austriaca. I n tale clima il tentativo d i una riviviscenza di patriottismo austriaco e cattolico ( d i dubbia tinta asburgica) e d i un corporativismo imposto dall'autorità, benchè vestito di £rasi papali, non era che una pia illusione. Dollfuss cadde vittima di un sicario; Schuschnigg perdette l'Austria ed oggi soffre ingiustamente della vendetta politica di Hitler. Coloro che cercano ancora lo stato cattolico e corporativo al giorno d'oggi vanno in Portogallo a studiare l'esperiment'o d i
Salazar. Costui, ottimo amministratore e dittatore silenzioso, ha il merito di aver risanato le finanze di quel paese. Le sue corporazioni risentono del clima dell'autoritarismo d i stato nel quale sono nate e del quale sono emanazione. La chiesa del Portogallo ha potuto prendere una posizione autonoma ed efficace da quando, seguendo le norme di Benedetto XV, accettò lo stato repubblicano senza sottintesi dinastici e senza attaccamenti all'antico regime, e da quando la repubblica abbandonò l'anticlericalismo sul quale era sorta, abbattendo la monarchia. È da augurare che l'esperienza tutta personale di Salazar non porti a lungo andare a una nuova ondata anticlericale. Perchè il Portogallo è a metà strada tra l'Europa e l'America latina; e in quei paesi si va facilmente dal concordatismo ad un anticlericalismo fanatico, così come si va facilmente dalle forme democratiche alle false dittature e viceversa. Infine resta la Spagna: quelli stessi che si erano illusi sullo. stato cattolico dell'Austria o del Portogallo, erano pronti a credere su un futuro stato cattolico della Spagna sotto Franco vittorioso dei rossi; i l quale vi instaurerebbe un corporativismo cristiano, in stretta unione con la chiesa. Tutti gli atti del generale Franco sono stati improntati all'ideale di una Spagna nazionale e cattolica. Le ombre del falangismo, che, sorto ad imitazione del fascismo, andò poi sempre più orientandosi verso i l nazismo, furono avvertite dalla gerarchia ecclesiastica. Ma le necessità di guerra portarono a minimizzare i pericoli del totalitarismo. I n questa illusione dello stato cattolico (o cristiano), c'è in fondo una visione inesatta della storia: questa non è riversibile; il processo storico, non ostante le sue involuzioni, va sempre avanti. Ad un'esperienza ne segue un'altra, e ciascuna è quella, nel suo proprio carattere. Lo stato cristiano del secolo XX non potrebbe essere nè quello corporativo del medioevo, nè quello confessionale della riforma e controriforma, nè l'unione del trono con l'altare, propria della restaurazione. Oggi abbiamo l e dittature totalitarie, o le democrazie a tipo liberale o le forme intermedie ed equivoche che finiscono per essere piuttosto governi instabili e arbitrari o demagogie transitorie e anarcoidi. La chiesa non ha da scegliere, perchè non è suo compito la scelta del tipo politico dello stato, ma essa non può confondersi
con lo stato totalitario, sol perchè vi sono governanti cattolici (quali Franco o Salazar, e prima Dollfuss e Schuschnigg) senza assumersi le responsabilità dell'oppressione della popolazione dissidente a nome non solo di un governo totalitario, ma a nome della religione che il governo totalitario fa sua. Questo pericolo è oggi tanto maggiore quanto più è larga la zona della popolazione che non pratica alcuna religione, a parte quella che segue altri culti. Ma c'è d i più: ogni totalitarismo si basa su alcuni elementi mistici (razza, classe, impero, nazionalità e simili); non potrebbe esserci nulla di più pericoloso di un totalitarismo che si basasse sul cattolicesimo o che unisse il cattolicesimo al proprio mito mondano. Come la chiesa è rimasta al di sopra del liberalismo, del democratismo e del socialismo del secolo XIX, così deve restare al di sopra del totalitarismo del secolo XX. Essa non può che trattare con gli stati laici, quali essi siano, sulla base della morale religiosa e del rispetto della personalità umana, che sono alla base del cristianesimo. E mentre per la chiesa è necessario concedere allo stato, o meglio alla società temporale, tutto quello che non ripugna all'essenza del cristianesimo, dato che tale società è oggi fondamentalmente laica, essa non può che mantenere sempre più visibile e forte la propria personalità e autonomia. Questo stesso criterio è adottato dalla chiesa in paesi di missione, che hanno una loro civiltà e un proprio organismo politico, il quale crea dei veri rapporti fra chiesa e stato. I riti pubblici nazionali, nella Cina, nell'India e nel Giappone e presso altre popolazioni di antiche civiltà, sono stati sempre d i carattere religioso, così da non poter permettere che i cristiani vi partecipassero. Questa proibizione dava alla conversione al cristianesimo il carattere d i una snazionalizzazione, di una rinnegazione della casta, della razza, della patria, d'un disimpegno dalla società presa nel suo complesso. Donde un insormontabile ostacolo (non il solo) alla propagazione del Vangelo. I1 tentativo d i compromesso dei gesuiti missionari in Cina, che tanto rumore destò nel secolo XVIII, cadde completamente per decisione d i Roma. La situazione è oggi cambiata, sia per la caduta dell'impero cinese, sia per le recenti pubbliche dichiarazioni delle autorità statali del Giappone e del Manciukuo, affermanti che le
cerimonie nazionali « non hanno assolutamente alcun carattere religioso D. I n una lettera del vicario apostolico del Manciukuo del marzo 1935, diretta al cardinale ~ r e f e t t odella congregazione di Propaganda Fide, si riferiva il parere di quei vescovi circa il contegno che i cattolici dovevano tenere in tale materia ; i provvedimenti adottati hanno ottenuto l'approvazione di Roma (*). L'Osservatore Romano, nel pubblicare il 2 luglio 1936 I'interessante documento, faceva osservare: a I n tempi anche recenti certe cerimonie civili apparivano troppo connesse con superstizioni e perciò si credettero interdette ai cattolici. Se non che in questi ultimi tempi è avvenuta nell'estremo oriente u s a evoluzione profonda nel pensiero e nei costumi. L'atmosfera che nei secoli scorsi era come impregnata di senso superstizioso, è stata diradata e trasformata dal pensiero laico e dalla libertà religioea importata dall'occidente D. È evidente, difatti, l'influsso del pensiero laico per la conquista della libertà religiosa anche là, come negl'imperi del Levante, dove la concecione religiosa è strettamente legata al carattere divino o quasi divino della dinastia. Dal disimpegno del carattere civile da quello religioso, il cristianesimo ha tutto da guadagnare; come difatti può notarsi oggi che i rapporti del cattoiicesimo con quegli stati sono sopra un piano di libertà e d i amichevole intesa. L'altra difficoltà, grave ancora, per la predicazione missionaria nei territori occupati dagli stati europei, viene dallo sfruttamento che vi si fa delle razze di colore, oppure dai metodi politici e polizieschi usati per tenere soggette popolazioni già mature per la loro indipendenza. Non è mancato da parte degli stessi missionari un nazionalismo imprudente e un attaccamento inopportuno alla propria bandiera, che ha recato pregiudizio ad un apostolato che doveva essere avulso da ogni legame con il (*) I cattolici sono autorizzati a tollerare: 1) che l'immagine di Confncio abbia nn posto nelle loro scuole, anche in una nicchia se ciò viene ordinato, a patto che si dichiari che gli onori resigli sono onori civili, e che non si erigano altari davanti a lui; 2) che nfnciali civili e militari possono andare fisicamente nelle pagode al seguito delle autorità, a patto che non prendano parte ai canti religiosi ma solo ai canti civili e patriottici, e a patto che non partecipino alle vittime eacrificali, ecc.
paese d i origine. Perciò la chiesa cattolica insiste nella formazione di cleri indigeni ed è arrivata a nominare vescovi di colore, là dove i nuclei dei fedeli hanno una preparazione tale da assicurare la tradizione dogmatica e morale. La formazione d i élites missionarie indigene è largamente usata anche dai protestanti. Ditficilissima è la posizione delle missioni cristiane d i fronte allo sfruttamento economico degl'indigeni da parte d'imprese autorizzate dai governi delle colonie; il lavoro forzato ( d i questo si tratta) è grave di conseguenze d i carattere morale, familiare, sociale, igienico: i missionari, se parlano, sono spesso malvisti dai rappresentanti governativi, e se non parlano tradiscono il loro dovere in difesa degli oppressi. La propaganda religiosa ne è compromessa. I1 problema non può risolversi spesso nè sul terreno della politica metropolitana, nè su quello della politica della colonia. L'intervento della Società delle Nazioni è su questo punto più necessario che mai. Purtroppo, l'indebolimento della Società si estende anche al campo coloniale, nel quale oggi si fan valere assai poco le obbligazioni assunte dagli stati sotto la figura del mandato. Questo, applicato agli stati tolti alla Turchia e alle colonie dell'impero germanico, doveva essere il primo passo per un processo di elevazione morale, economica e politica dei paesi soggetti, verso la loro autonomia in un sistema internazionale di diritti e verso l'equiparazione civile tra paese coloniale e paese metropolitano. Basi principali per questo processo erano l'abolizione della schiavitù, la proibizione di reclutare soldati per i paesi mandatari, la proibizione d'installarvi basi militari e navali, e così via. Oggi si discute della retrocessione incondizionata e senza ingerenze di Ginevra delle colonie alla Germania, come se si trattasse di titolo di proprietà, di cui possano disporre a volontà le potenze mandatarie; non si tien conto nè della volontà degli indigeni, nè del carattere morale dei diritti della Società delle Nazioni, nè dell'osservanza dei principi stabiliti nella creazione del mandato. Questo passo indietro è tutto a danno di una più larga intesa internazionale, non solo sul problema della militarizzazioue degli indigeni, ma sugli altri problemi civili e morali, quali quelli dei lavori obbligatori (o forzati), della schiavitù e della
tratta, quella della colonizzazione bianca, della porta aperta e così via. I1 cristianesimo, come religione missionaria, vi è talmente interessato, che non può vedere che con rincrescimento la eliminazione di un'azione internazionale intelligente e onesta: quale quella della Società delle Nazioni, e l'aumento del potere politico dei paesi totalitari o imperiali (anche se democratici) orientati allo sfruttamento delle colonie, e oggi più che mai a scopo militare. Anche qui, la crisi della morale politica nel campo internazionale si- riversa sulle più importanti e caratteristiche funzioni della chiesa e altera la struttura della civilizzazione cristiana nel mondo.
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63. Nell'insieme delle esperienze dello stato laico, sia liberale e democratico, sia autoritario e totalitario, la chiesa ha perduto la posizione diarchica già conquistata nel medioevo in forma più o meno teocratica (cesaro-papismo od organizzazione latina) e poi mantenuta nella riforma e controriforma con il carattere prevalente di confessionalismo nella a chiesa-stato n protestante o d i giurisdizionalismo nella chiesa cattolica. Ciò non ostante si è insinuata una terza specie di diarchia, che abbiamo chiamata N individualista D nei suoi inizi protestanti e oggi con più ragione, perchè il potere diarchico della chiesa si esprime principalmente in forma spirituale sui singoli fedeli, più che sugli stati in via autoritativa e giuridica. Abbiamo visto come la tolleranza prima e il laicismo dopo, abbiano disciolti i legami politico-giuridici dello stato con l a chiesa e come si sia arrivati a negare alla chiesa qualsiasi partecipazione organica e autoritativa negli affari dello stato. Anche là dove si sono ripresi i rapporti concordatari (per la chiesa cattolica) o dove ancora esistono rapporti ufficiali e formali (per alcune chiese protestanti e per la chiesa anglicana) l'etica dello stato è fuori dell'orbita del cristianesimo e di ogni concezione religiosa soprannaturale; il distacco dei due poteri è sostanziale, a parte le soprawivenze e le sovrastrutture esterne e di forma. Se oggi a buon diritto si può parlare ancora di diarchia chiesastato come dualità di poteri, è perchè la chiesa mantiene un potere religioso suo proprio che, esercitato sui fedeli ed espresso in forma d'ineegnamento e di precetti pubblici, continua ad in-
fluire sulla società, sia che si trovi in buoni rapporti con i governi, sia che vi contraddica. La chiesa, nonostante la mancanza di appoggi statali ( e in certi casi non infrequenti per effetto di tale mancanza) h a potuto mantenere ed accrescere la sua potestà religiosa sulle coscienze dei fedeli, sicchè essi le danno un'adesione talmente convinta da poter resistere occorrendo alla propaganda ostile e all'influsso del laicismo antireligioso sostenuto in nome e con i mezzi dello stato. Quanto più tale coscienza è viva tanto più la diarchia sarà efiicace; al contrario, se la coscienza si attenua e si estingue, la diarchia perde o viene meno; perchè, dal punto di vista sociologico, il potere sociale è coscienza collettiva d i possede~loprima ch'esso potere sia mezzo organico per manifestarsi e prima ch'esso divenga forza p e r imporsi. Questa coscienza oggi i l fedele l'ha in comunione con gli organi autoritativi della chiesa; se questa non ha che solamente mezzi spirituali per fare valere la sua potestà, pure I'efficacia morale rimane integra e si sa bene che tale efficacia non manca d'effetti sociali e politici. È una abitudine mentale quella di volere ridurre tutto a schema giuridico, abitudine dovuta in gran parte alla tradizione medievale, quando, concepiti tutti i rapporti umani (anche i pubblici e gli ecclesiastici) sotto un aspetto contrattuale privato, era solo la forma giuridica che valeva a fissarli. Con l'affermazione del diritto pubblico e il concetto di sovranità la forma privatista venne a cadere, il contrattualismo si trasformò in giurisdizionalismo. Ci volle l'esperienza laicista per dare maggiore valore a l carattere morale dei rapporti fra stato e chiesa e per mostrare come la diarchia chiesa-stato sociologicamenie sia radicata in un piano più profondo di quello di una partecipazione giuridica all'organizzazione della società. La curia di Roma, per la sua tradizione, che in questo punto si riattacca a quella del diritto romano, tiene molto alla formulazione giuridica (sempre chiara e precisa); ma nel campo pubblico oggi gran parte dei criteri e delle disposizioni del diritto canonico resterebbero unilaterali se non venissero tradotte o in compromessi amichevoli con le autorità civili, ovvero in istruzioni morali e disciplinari a i fedeli, a parte quelle disposizioni concordatarie che si concretimano in competenza giuridica, come
oggi in Italia per le questioni matrimoniali. Pio IX con il non expedit invitò i fedeli a non partecipare alle elezioni politiche del nuovo regno d'Italia. L'invito fu interpretato quale obbligo (anche prima della successiva dichiarazione papale del 1895) e fu più o meno osservato, secondo che i fedeli si rendevano conto della sua importanza, cioè se prevaleva nella loro coscienza l'idea d i obbligo religioso m quello d i carattere civile. Pio XI condannò I'Action Francaise e vietò ai preti e ai fedeli d i appartenervi. Sotto l'ancien régime quella disposizione avrebbe dovuto essere redatta in bolla; questa doveva passare attraverso il consiglio di stato o il parlamento francese, essere pubblicata per ordine del re e solo allora sarebbe divenuta legge dello stato; mancando d i tali formalità poteva dare luogo ad una controversia giurisdizionalista. Nei due casi citati, l'efficacia delle disposizioni papali, non è stata sul piano giuridico, ma su quello spirituale; però i loro effetti morali arrivarono a modificare (sotto certi aspetti) la situazione politica dei paesi relativi. I1 campo familiare ed educativo è quello su cui oggi maggiormente si affrontano la chiesa e lo stato: queeto armato di leggi, di mezzi economici e di forza coercitiva, l'altra di armi spirituali e d i consensi spontanei. La chiesa cattolica, più efficacemente che tutte le altre, condanna i l matrimonio laicizzato (detto civile), il divorzio, l e misure anti-concettive, la sterilizzazione autorizzata o peggio imposta. Essa ha lottato da più di un secolo e lotterà a difesa dell'istituzione sacramentale del matrimonio, come ha lottato e lotterà per l'educazione cristiana della gioventù. Se può intendersi con lo stato, bene; se no, fa appello a i fedeli, fa loro presente la grave responsabilità che hanno d i resistere, anche con sacrifici personali, perchè ciò tocca la radice della morale cristiana. Pio XI ha ripreso i temi che i suoi predecessori avevano anch'essi trattati a fondo (specialmente Leone XIII e Pio X) per mettere a punto la dottrina cattolica e la sua applicazione nei tempi presenti, nelle due encicliche Divini illius Magistri, sull'educazione della gioventù (31 dicembre 1929), e Casti connubii, sul matrimonio cristiano (31 dicembre 1930). Questa posizione antagonista della chiesa e dello stato si riattacca a un principio fondamentale della sociologia, quello della
limitazione del potere. Non vi è potere illimitato nel mondo; il potere illimitato sarebbe non solo tirannia sociale, ma assurdo etico. I1 problema che lo stato moderno ha posto consiste proprio in questo. Esso ha negato una limitazione esterna, d i un principio diverso dal suo (eteronomia dicono i filosofi); perciò il pensiero laico ha affermato l'autonomia dello stato. Per poterne limitare i poteri, si è fatto appello aiia libertà del popolo: e poichè ogni libertà si risolve in potere, tutto il potere fu attribuito al popolo. Non potendo questo esercitare il potere in atto, n'ebbe solo il titolo originario e la potenzialità; mentre l'attualità passò allo stato, quale potere legislativo ed esecutivo. La limitazione reciproca fra il popolo e lo stato, finì per essere u n fatto formale e organico, senza una sostanza etica. Questa veniva ricercata volta per volta e si risolveva in pragmatismo positivista. Tale processo è stato arrestato da due forze che si credevano estranee allo stato e ridotte all'impotenza: la chiesa e la coscienza popolare. La prima come una voce perenne d i moralità superiore, spesso inascoltata, o che sembrava inascoltata, negletta, disprezzata, contraddetta, svalutata dagli avversari, alterata o attenuata da molti fedeli, e pure voce insistente ed efficace, perchè voce perenne dello spirito che mai tace. È l a chiesa eteronoma allo stato? Dal punto d i vista legale, come principio di una diarchia giuridica, oggi che lo stato è fuori e non dentro la chiesa, ed ha un gran numero d i cittadini che non appartengono ad una data chiesa o sono estranei ad ogni chiesa, può dirsi eteronoma allo stato. Ma come voce espressa dalla coscienza dei fedeli, che sono cittadini, che operano da cittadini, essa non è estranea, bensì entra nello stato, partecipa ai suoi fini etici, coopera a l benessere della nazione e contribuisce alla limitazione intrinseca, interiore dei poteri statali. Quando i cristiani come cittadini fanno valere la concezione morale della vita pubblica, in pace e in guerra, nella questione educativa e in quella familiare, nella tutela del lavoro e dei lavoratori e nella lotta contro gli eccessi del capitalismo, e così via, essi limitano quel potere che vuol divenire illimitato, assorbente, totalitario. Nel medioevo i l papato interveniva d'autorità presso i re e i popoli: poteva annullare una legge, deporre un sovrano, sciogliere i l popolo dal vincolo del giuramento di
fedeltà al proprio re: era quello che si diceva potere diretto. Nell'evo moderno si attenuò questo potere, fu disciplinato da concordati e da regole di giurisdizione: i teologi lo chiamarono potere indiretto, nel senso che toccava la materia temporale come effetto della difesa di principi religiosi. Oggi vive ancora questo potere, sia diretto o indiretto; ma non può avere efficacia sullo stato laico; esso fa appello alla coscienza dei fedeli; potrebbe chiamarsi potere direttivo: la sostanza è identica, la forma diversa. È la diarchia individuale che prevale, è il potere persuasivo delle coscienze che ha valore, è l'efficacia del cittadino cristiano che arriva a far piegare il potere statale, ovvero a opporsi ad esso a nome della morale cristiana, cioè a nome di un principio etico che pervade la vita collettiva e non può che essere interiore e formativo di uno stato o di una civiltà. Quanto più efficace ed estesa è l'azione della società cristiana e dei singoli fedeli dello stato, tanto più la chiesa, pur senza autorità nè controllo giuridico, concorre alla formazione della vita pubblica e al fine del bene comune temporale; quanto invece è debole e incerta tale azione, tanto più prendono sopravvento gli orientamenti statalistici, i quali oggi assumono carattere di mito religioso e di etica originale, tali da soppiantare la religione cristiana e la sua morale. I1 dualisrno chicsa-stato che si sviluppa nella diarchia individuale è una naturale conseguenza della doppia concezione etica che viene sostenuta a nome dei due principi che si oppongono. Non sono mancati, nel campo cattolico come in quello protestante, uomini di studio e d'azione, ai quali un dualismo riesce così urtante da cercare sempre una conciliazione, un reciproco adattamento. Nel periodo liberale si sosteneva la necessità che la chiesa si adattasse al progresso dei tempi. Oggi, in pieno fascismo, si ripete la stessa cosa, con tanta più insistenza quanto più si nega al fascismo un contenuto teorico e quindi una propria etica. Lo stesso si è fatto con il nazismo, al quale non poteva farsi il torto di non avere una teoria, dato che la cosa più facile ai tedeschi è dl creare una teoria. Onde non è mancato un gruppo di teologi, di cui si fecero eco Kuno Brombacher ed Emil Ritter nel 1936, a lanciare un messaggio dei tedeschi cattolici a i loro compa-
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Chiesa e stato
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trioti e correligionari (*). I n Austria si è formata una comunità d i lavoro per la pace religiosa. Le due iniziative sono state squalificate dai vescovi, ma hanno trovato appoggio presso preti e fedeli, che non sanno concepire un conflitto etico se non in termini politici, e quindi vorrebbero ridurne la portata con un passaggio dell'etica cristiana nella politica laica. Ci sono invece stadi di lotta nei quali occorre riassumere tutti i valori in termini etici per potere fare ostacolo a l soverchiamento della politica. È questo i l processo di spiritualizzazione della vita sociale, mondanizzata dalle passioni, dagl'interessi, dalla potenza. Per questo ora la chiesa come istituto religioso, ora i fedeli come azione cattolica, o perfino come partito politico, han preso parte alle lotte sul terreno creduto riservato alla politica. Per quanto ciò possa destare equivoci, risentimenti, lotte, non può l a chiesa rinunziarvi, non possono i fedeli non prenderne a volte le iniziative e le responsabilità. Si comprende bene come, sul piano etorico, ciò porti a vittorie e a sconfitte, a eccessi e a debolezze; e la chiesa come organismo storico ne subisce tutte l e conseguenze, quali ne abbiamo visto nel corso d i duemila anni; ma è questo che dà vitalità, forza, esperienza; questo che seleziona uomini, fa nascere nuovi istituti, promuove lo sviluppo della dottrina, l'adattamento della prassi, il superamento delle posizioni invecchiate e il rinnovamento spirituale dei centri militanti. Era stata idea accarezzata da certe correnti mistiche quella d i mantenere le rispettive chiese al di fuori delle passioni politiche. L'idea liberale della separazione dello stato dalla chiesa e la concezione della religione quale affare privato sembravano rendere realizzabile una simile aspirazione. Dall'altro lato, l a fiducia nella ragione umana o meglio nel razionalismo, la sicurezza del progresso per la scienza, l'ideale di libertà spinto fino all'autonomia della persona, facevano credere alla realizzazione di una civiltà affrancata dalla chiesa, non anti-cristiana, ma semplicemente umana. Prevaleva allora la concezione d i uno stato guardiano delle libertà ed esecutore delle leggi nella più larga espansione possibile d i vita individuale. Questa visione non rispose alla (*) Aschendorff, MPnster in Westphalen, 1936.
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realtà; il progresso fu troncato presto, la scienza fu usata a scopo di potenza e di guerra. Sopravvennero le grandi agitazioni operaie, la propaganda anarchica, le preoccupazioni di un conflitto europeo. Poi, la guerra, le agitazioni del dopo guerra, la rivoluzione russa, il comunismo, il fascismo e il nazismo, le nuove guerre, il pericolo di un'altra guerra generale, le barbarie antisemite, la violazione di ogni diritto, l'odio che ha invaso il mondo. L'idea di una qualsiasi chiesa al di fuori della politica. cioè separata dalla vita vissuta, dalle sue lotte, le sue crisi, le sue delusioni, le sue tragedie, non sarebbe nè concepibile storicamente, nè realizzabile spiritualmente. Oggi più che nel passato, gli stati hanno monopolizzato quasi tutta la vita sociale o gran parte di quella individuale, hanno preso nelle loro mani gl'indirizzi del pensiero e dell'orientamento del proprio paese e si sono trasferiti dal piano della politica come tecnica a quello della politica come concezione della vita nel mondo: una Weltanschauung. Le chiese o si rassegnano o vivere al margine della società, conforto spirituale di pochi fedeli che nessuno disturba perchè da se stessi messi fuori di ogni attività reale, ovvero, potendo restare al centro della vita culturale e morale della società, debbono partecipare su1 piano religioso a tutte le iniziative e a tutti i conflitti del dinamismo attuale. E poichè la politica è saturata di tutti i valori etici, è alla politica (non alla tecnica della politica, nè agli interessi terreni che la politica contiene, ma presa come una delle espressioni totalitarie della vita sociale) che le chiese debbono accostarsi, e affrontarne, al momento giusto e con visione spirituale, le lotte titaniche. Diciamo con visione spirituale per sottolineare il carattere tutto religioso dei fini e dei mezzi con i quali la chiesa arriva a prendere contatto con la politica considerata nel suo valore etico e sociale. Purtroppo, in ogni tempo non sono mancati ecclesiastici di vari gradi che nei contatti della chiesa con la politica hanno cercato di utilizzare la potenza religiosa ai fini terreni; altri hanno utilizzato i mezzi terreni ai fini religiosi, e, reputandoli necessari, anche se non perfettamente morali, vi sono rimasti intricati. Gli uni e gli altri hanno mancato di visione spirituale nei fini e nei mezzi. Nessuna meraviglia ; gli ecclesiastici sono anch'essi uomini che cedono al così detto realismo politico, in buona o cattiva
fede, come la storia ce lo mostra in tanti avvenimenti. Per questo si suole accusare la chiesa di far della politica, di essere legata a considerazioni terrene, di volere mantenere il suo prestigio e i mezzi finanziari dei suoi istituti con compromessi nei quali va d i mezzo la spiritualità del cristianesimo. Questa impressione è aumentata dal fatto dello sfruttamento che nazionalisti e fascisti e loro governi fanno della chiesa, i n particolare per mezzo di certa stampa che, pur essendo laica e pagana, si atteggia a sostenitrice della religione. Da parte d i costoro ( e di una corrente che serpeggia nel clero conservatore nazionalista) si vorrebbe che la chiesa non solo si legasse ai governi dittatoriali per combattere il bolscevismo e le correnti democratiche avanzate, ma che formasse una specie d i lega, come a i tempi dclla riforma per le guerre di religione o della Santa Alleanza per l'unione del trono e dell'altare e le guerre antiliberali. Mancando oggi tanto la difesa dello stato confessionale quanto la difesa del principio di legittimità, si vorrebbe mettere i n valore il principio d i conservazione sociale. La chiesa dovrebbe appoggiare la borghesia e il militarismo per impedire il passo al proletariato e togliere, là dove ancora esistono, le libertà civili a favore di una dittatura di destra. Le persecuzioni contro la chiesa i n Russia, nel Messico, nella Spagna sarebbero la giustificazione di una benevola politica nei confronti delle dittature anti-bolsceviche, come quella di Hitler, nonostante il paga. nesimo della concezione di razza, nonostante l'antisemitismo e la propaganda anticristiana dei suoi più validi sostenitori. L'appoggio di parte dell'episcopato e dei cattolici italiani alla guerra d'Africa, la partecipazione aperta da parte del clero alìa guerra civile di Spagna dal lato degl'insorti, dà a simile orientamento una prova di fatto, che crea motivi ed accuse contro la chiesa, come se fosse legata con tutti i Eascismi, anche nelle sanguinose esperienze di rivolte e di guerre. Una certa critica non è infondata, ma generalizza troppo e non tiene conto anzitutto che l'attuale esperienza storica è assai breve i n confronto alle altre esperienze che l a chiesa ha subito. Ma era bastato questo primo periodo al papa Pio XI, che aveva vissuto fin da principio una tale crisi profonda, per averne realizzato man mano e praticamente tutti i pericoli. h m e enci-
eliche e i suoi discorsi toccavano tutti i punti di questa azione dello stato moderno sulle anime. Chè se non tutti i fedeli nè tutti gli ecclesiastici si sono resi conto del valore dottrinale e pratico di tali documenti, ciò è dovuto al fatto che la crisi ha invaso la società intera, della quale, ecclesiastici o fedeli, tutti facciamo parte, e di cui respiriamo l'aria infetta. Fortunatamente non mancano le reazioni salutari delle correnti mistiche, le voci ripetute d i cardinali come Faulhaber, Cerejeira, Verdier e Plassa, di gioventù generosa e combattiva, d i uomini d i scienza e d i fede pensosi delle sorti della chiesa e della società. Pio XI, nel suo ultimo anno d i vita, non cessò d i insistere sul pericolo di apostasia dalla fede cristiana di tali correnti ultranazionaliste. Egli aveva convocato i vescovi italiani, in occasione del decimo anniversario del trattato del Laterano, per un discorso al quale teneva tanto, da pregare il medico d i pròlungargli (se possibile) la vita fino a quel giorno. Egli mori alla vigilia, il 10 febbraio, e il suo discorso non fu noto al pubblico. Era forse una nuova e più larga protesta contro le leggi matrimoniali introdotte i n Italia, in forza di misure razziste e antisemite, con violazione aperta del concordato annesso al trattato del Laterano. Forse era anche un richiamo alla realtà spirituale della situazione italiana, compromessa dal nazionalismo esagerato, che è arrivato a intaccare una larga zona di cattolici e di clero. I1 conclave con una rapida unanimità elesse a suo successore il cardinale Pacelli già segretario di stato (il che non era nelle tradizioni romane), forse per far marcare la continuità d i governo. E questi, forse per la stessa ragione (omaggi personali a parte) ha preso il nome d i Pio XII. I1 suo primo messaggio è stato un messaggio d i pace a tutto il mondo; esso è arrivato opportuno in un periodo di turbamenti e di ansietà crescenti; a! momento in cui tutto il mondo ( e non solo i cattolici) si è inchinato commosso davanti alla salma di Pio XI, detto il papa della pace, ed ha salutato con larga fiducia il nuovo papa. La missione della pace è intrinseca alia natura del cristianesimo, e il papato non può non recare tutto il peso della sua autorità morale non solo per la pace interiore delle anime, ma anche pcr quella dei popoli, come opera di giustizia e d i carità, come ricostruzione di un ordine nuovo.
Jacques Maritain, i l . noto filosofo tomista francese, distaccatosi daI1'Action Francaise dopo la sua condanna, è venuto maturando sempre più profondamente il suo pensiero verso i problemi politici dell'ora presente in rapporto alia concezione tradizionale cattolica. Egli ne cerca in san Tommaso una adeguata comprensione e soluzione; il suo sforzo qualche volta sembra troppo aderente alle formule scolastiche, ma attraverso una tale veste egli tende a superare le vecchie posizioni giuridiche per dare maggiore valore a quelle culturali e morali. Egli esprime i1 pensiero di molti che vorrebbero rivaiorizzare la civiltà cristiana, nel suo complesso ecclesiastico e laico, culturale e caritativo, mistico e di azione, per potere influenzare le varie correnti moderne (che con una parola impropria alcuni chiamano civilizzazioni) quasi tutte o cattoliche o anticattoliche, s ì che il cristianesimo penetri nel loro ambiente, ne prenda quel che v i è in esse di valore positivo per raddrizzarlo e purificarlo. Tale visione comporta due momenti: quello della penetrazione, l'altro della purificazione. I1 comunismo, il fascismo, il nazismo dovrebbero sentire il lievito cristiano. I1 mondo non è trattabile come se fosse fatto a compartimenti, come coesistenza di gruppi senza comunicazione e d i metodi contraddittori; esso è fatto di sintesi vitali e di organismi attivi. Se noi insistiamo sulla dualità d i chiesa e stato, non è perchè soprawalutiamo la chiesa, che oggi ha diminuito di molto il numero dei suoi veri fedeli, per l'apostasia delle élites e delle masse, ma perchè l'una e l'altra rappresentano sintesi permanenti e indistruttibili. Chiesa e stato non significano solo due poteri, guardati nel loro diverso compartimento di competenze e giurisdizioni; significano due principi, il monista e il dualista, I'immanente e il trascendente, il naturalistico e il soprannaturale, con la loro reciproca influenza e reciproca lotta, non formale, ma sostanziale, anzitutto dentro la nostra stessa coscienza. La chiesa non vuole nè può operare il distacco del fedele dal cittadino; lo stato invece, nella maggior parte dei casi sia che lo dicano governanti e partiti, sia che non lo dicano oggi influisce sul distacco e sull'apostasia del cittadino dal fedele. Ecco perchè l'altro filosofo francese, Etienne Gilson, ha gettato il suo grido d i allarme perchè i cattolici rinserrino l e
lile e creino un'organizzazione culturale e scolastica propria, atta a renderli uomini convinti, viventi nel mondo, ma distaccati dal mondo, per potere con il loro spirito veramente cristiano vincere il mondo. Forse fra i due (Maritain e Gilson) non c'è differenza d i punti d i vista, che possono essere solo differenze di esperienze personali. Nel fatto, fino a che i cristiani, specialmente i cattolici, continuano a trattare i problemi politici con la mentalità tecnica d i problemi di amministrazione, d i finanza, d i elettorato, di forma di governo, ovvero se ne disimpegnano come da materia infetta, o peggio fanno atto di fiducia ai governanti (specialmente dittatori) e non arrivano a vedervi i l fondo etico, che altera tutti i valori della vita sociale compresi i religiosi, non sarà possibile nè la penetrazione e purificazione delle correnti moderne, nè la lotta e la conquista della società presente al cristianesimo. Maritain, nel suo Humanisme integrai, affaccia la visione d i una « nouvelle chrétienté », non come la ripetizione d i quella medievale (la storia non è reversibile) ma come concevable aujourd'hui 1): - « Ce ne serait plus (egli scrive) l'idée de l'empire sacré que Dieu possède sur toutes choses, se serait plutòt l'idée de la sainte liberté de la créature que la grice unit a Dieu N. Maritain inserisce la nuova cristianità in una società temporale, nella quale la coesistenza dei nuclei di diverso sentire sia assicurata dalla tolleranza civile, il potere mantenga la sua autonomia, la personalità umana veda riconosciuti i suoi diritti e le sue libertà, l'economia sia affrancata dal giogo capitalista, si da potere costruire quella ch'egli chiama (C democratie personnaliste )) tendente verso la realizzazione di una (C communauté fraternelle 1). La convivenza nella cc cité temporelle dei credenti e dei non credenti, sarà frutto di questa fraternità, nella quale i credenti apporteranno quei valori morali propri del cristianesimo e utilizzeranno e purificheranno quegli altri che, derivati dalla civilizzazione cristiana, vengono messi in rilievo dai non credenti nel loro carattere naturale e ai fini della società temporale. I1 tentativo di Maritain è doppio: quello d i attenuare l'autonomia attuale fra società politica e chiesa, e l'altro d i orientare verso una presa di coscienza dei credenti per un avvenire nel
quale tale dialettica venga superata nella dialettica della a libertà-grazia D. Il problema della società politica, d i epoca in epoca, ora in una maniera ora in un"altra, si è presentato a molti come irriducibile a l pensiero cristiano; lo abbiamo notato piU volte. I padri videro nel potere (come nella proprietà) una conseguenza del peccato d i origine, la privazione di un bene completo, un dualismo inunificabile, che sant'Agostino trasportò sul piano mistico della città di Dio e della città terrena. Dopo l'esperienza medievale (incompleta e turbata da violente passioni) per la quale lo stato da fuori della chiesa passò dentro di essa e anche per certi aspetti sotto la sua tutela, si riapri i l vecchio problema, perchè si tendeva a purificare la chiesa della sua mondanizzazione,: lo stato, nella riforma, ebbe tutto il potere esterno, anche quello ecclesiastico, e la chiesa ritenne solo il potere spirituale interiore. Le conseguenze, anche nel campo cattolico, maturarono con le concezioni giusnaturalista dello stato e razionalista della società. Queste sono all'origine del tentativo di separazione del naturale dal soprannaturale, sforzo di due secoli per arrivare all'assorbimento - se fosse possibile - del soprannaturale nel naturale. Lo stato oggi si presenta di nuovo irriducibile a l pensiero cristiano, più ancora che non lo fosse ai tempi dei padri e della riforma ; perchè per i primi i l problema era come ridurre il potere da pagano a cristiano, e M rispose tutta l'esperienza medievale; per la seconda era come rifare pura la chiesa mondanizzata, e vi risposero i tentativi protestanti e la riforma cattolica detta controriforma. Oggi invece il problema è come impedire l'assorbimento del soprannaturale nel naturale e della chiesa nello stato totalitario. Maurice Blondel ha costruito una filosofia che tenta colmare il distacco sempre più aperto e irriducibile (nel pensiere moderno) fra la natura e l'esperienza cristiana. A differenza di molti filosofi spiritualisti che nel loro astrattismo razionale uniscono Aristotele e Cartesio, egli si appoggia interamente alla realtà concreta, e seguendone tutte le manifestazioni ne fa emergere la presenza del Pensiero, il valore dell'Essere e la creatività dell'Azione. Sotto questo triplice aspetto, che non ne fa che uno, si trova, fra la realtà e le sue esigenze, un dualismo per-
manente, che spinge ad ulteriori realizzazioni, un'etcrogeneità, che tende verso una sintesi, un'incompletezza che esige il suo completamento (pacificazione, dice Blondel con una immagine espressiva). Ogni grado superiore d i pensiero, di realtà, di azione, si può considerare come u n completamento della esigenza inferiore, ma tale completamento non è che di quel grado; esso esige pertanto una nuova elevazione. Di queste esperienze è vissuta e vive la storia umana. Possiamo guardarla solo come un'esperienza razionale senza i1 suo lato mistico? come un'immanenza che si va completando in se stessa senza una trascendenza? il inondano senza il divino? Nella filosofia hlondeliana, i1 cristianesimo appare sotto tre aspetti: come un'esperienza storica continuativa e indistrutti:bile; come integrazione spirituale non della natura in astratto ma della grazia iniziale; come un orientamento al quale si dirigono anche coloro che ne son fuori per la luminosità della sua dottrina e delle sue opere. L'esperienza della realtà naturale nella unione della natura con il cristianesimo si trasforma in esperienza spirituale ; ciò avviene per la comunicazione della grazia, che Dio volle donare all'uomo fin dal suo primo apparire sì da potersi dire che mai esistette un momento strettamente naturale dell'umanità che non fosse allo stesso tempo graziosamente soprannaturale. Blondel si riallaccia alla tradizione leibniziana e sotto certi aspetti al pensiero d i Vico. I1 suo potrebbe dirsi un platonismo benefico adatto a l pensiero moderno e interprete delle ansie del mondo colpito da u n separatismo innaturale e infecondo. L'insistere, come fanno molti, sui motivi razionali e naturali, sia per l'astrattismo speculativo sia per semplice criterio metodologico (allo scopo utile di non confondere i due piani: i l naturale e i l soprannaturale), rende meno atti a vedere i valori sintetici della realtà e a combattere il separatismo originale ch'è alla base della crisi moderna. Secondo la concezione cristiana, tutto l'essere e l'attività umana sono da riportarsi sul piano della redenzione: « chi non è con Me è contro di Me ».Fuori del Cristo non vi è la natura ma la negazione della natura. Tuiti gli uomini, secondo la teologia cristiana, vivono del soprannaturale, sotto l'influsso della grazia, anche coloro che non hanno conosciuto il crisiiaiiesimo.
Di questi ultimi, a coloro che adempiono la legge morale e ascoltano la voce interiore della coscienza, non manca la grazia che Cristo ha ottenuto per tutti con il Suo sacrificio. Al contrario, coloro che operano male, abbiano o no la fede, sono fuori del corpo mistico di Cristo, e perciò stesso sono indegni del carattere umano. La chiesa visibile, con il magistero della rivelazione, la comunicazione della grazia sacramentale e la partecipazione alla comunione dei santi, promuove e realizza il passaggio di ciascuno dal dominio del peccato alla vita del corpo mistico d i Cristo. Tale visione teologica abbraccia, non solo i fedeli (che hanno legami e doveri maggiori per la copia degli aiuti ricevuti) ma tutto il mondo che misticamente è conquistato da Cristo e potenzialmente vive d i esso. L'errore fondamentale è quello di concepire separatamente umanesimo e cristianesimo; di mantenere distaccati i vaIori, di contrapporli spesso, infine di eliminare uno dei due dalla sintesi redentrice. Ma mentre i che non hanno ancora avuto la luce dal Vangelo, non conoscono i due termini della sintesi, e le loro aspirazioni soprannaturali sono infette di superstizioni, che inficiano anche le conoscenze e i sentimenti naturali; i popoli che hanno avuto l'esperienza cristiana, non possono piu separarla dai valori umani; vi sono legati: per quanto siano agitati da terribili crisi che scuotono la struttura etico-religiosa, non manca mai il ripullulare del piccolo seme evangelico e il ritorno all'esperienza cristiana. Natura e grazia non si possono più separare; la negazione della grazia è l'errore, l'immoralità, l'odio, l'ingiustizia, tutti dati negativi che nessuno, sano di mente, attribuirà alla natura. La crisi naturalistica del secolo XVIII non ebbe alla base una sana concezione della natura. Leviathan non è cristiano, ma Leviathan non è neppure naturale; forse che lo stato è necessariamente Leviathan? Guardandone la storia, si potrebbe dire che sotto certi punti di vista, lo stato per un suo intrinseco carattere tende a divenire Leviathan, cioè tende a essere concepito monisticamente perchè il potere è di sua natura unificante. Non solo è monista lo stato moderno (sia esso tollerante o liberale o concordatario), nè solo lo stato totalitario è monista, ma anche quello dell'arrcien régime, medievale, l'impero romano cristiano erano nel loro fondo mo-
nisti, come i vecchi imperi e gli stati pre-cristiani. Se questo ci appare solo più tardi, al lume di una critica storico-sociulogica più sviluppata, e ci dà la chiave della storia dei rapporti fra stato e chiesa, non per questo potrà dirsi non essere esatto. Diciamo che solo sotto certi aspetti lo stato tende ad essere Leviathan, perchè la coscienza umana si solleva contro la manomissione costante dei suoi diritti, la violazione della morale, l'assoggettamento della religione (che danno il caraltere vero alla concezione leviathanica), e tende a conservare in ogni struttura sociale i margini di libertà, di resistenza e di rifugio: crea così un dualismo sociologico fondamentale e insopprimibile. La chiesa cristiana ha polarizzato questo dualismo, l'ha reso duraraturo e permanente e vi ha dato la luce di una verità soprannaturale: date a Cesare quel ch'è d i Cesare e a Dio quel che è di Dio D. Questa concezione è stata alla base dell'esperienza cristiana; ogni volta che di qua e di là si sono voluti passare tali limiti, si sono violate le leggi della natura e quelle della rivelazione. La dualità non significa dualismo, non può arrivare al dualismo; non è sempre diarchico, ma diviene diarchia: è la storia di duemila anni quella che abbiamo schizzato. La diarchia ammette una graduazione d i poteri, un'unificazione di tendenze, di realtà e d i fini; la dualità postula una sintesi; il dualismo invece è un momento più o meno transitorio d i lotta. Secondo le epoche e secondo le posizioni storiche dei vari popoli, abbiamo tutte e tre tali esperienze nei rapporti fra chiesa e stato. Provvidenziali esperienze, che hanno reso possibile ed effettiva una costante elevazione della società dalle stasi monistiche al dinamismo dualistico, dalle forme immanenti alle aspirazioni trascendentali, dallo spirito mondano al divino. L'antitesi che si è tante volte sprigionata nelle lotte fra chiesa e stato ha dato alla nostra civilizzazione cristiana, specialmente l'occidentale, i motivi delle più alte speculazioni, l'impulso verso più ampie aspirazioni e crisi più profonde e più utili a l progresso umano. I1 combattimento sostenuto dalla chiesa, per non essere assoggettata dal potere secolare, per liberarsi dalla manomissione avvenuta, per non confondersi con lo stato, ha dato alla coscienza umana i piÙ,gandi momenti di elevazione ed ha mantenuto fermi i valori della personalità umana.
Nelle lotte titaniche tra le forze mondane e le spirituali, nessuna meraviglia se l e chiese, divenute ricche e potenti, d i tanto in tanto si siano messe dal lato del potere secolare ed esse stesse ne abbiano rappresentato gl'interessi, finchè un soffio d i correnti mistiche, che non mancano mai, ne h a ravvivato il fuoco sacro; iìnchè la società intera è stata percossa da fremiti morali e da convulsioni rinnovatrici. È questo il periodo che oggi attraversiamo: l'apostasia delle masse e quello delle élites hanno accentuato l'antagonismo dello stato e della chiesa e ne hanno resa più profonda la separazione. Per questo fatto, la morale anche naturale nel campo politico, nazionale e internazionale, è in crisi profonda, perchè mentre da sè non è capace di resistere i n forma autonoma, nè come morale personale nè come morale collettiva; non è più sorretta dalla fede cristiana. È questo il campo nel quale la chiesa riprende la sua posizione d i orientamento e la sua funzione ristoratrice e integratrice. Al suo influsso morale, sprigionante correnti mistiche, si ridesteranno l e coscienze oppresse, riprenderà vigore la personalità umana affranta dal peso immane del potere statale; una nuova diarchia s i andrà formando nella coscienza collettiva, sui ruderi dell'individualismo già superato e del totalitarismo che dovrà essere vinto. Quale diarchia di chiesa-stato possa essere quella di domani non è dato oggi prevedere; non è azzardato dire fino da ora ch'essa sarà sul terfeno etico-sociale; perchè le masse operaie reclamano una giustizia che è loro dovuta, le nazioni aspirano alla cessazione delle guerre, degli armamenti, delle gelosie e ad una pace benefica; i ceti intellettuali sentono il vuoto del positivismo, le insufficienze dell'idealismo, la superficialità del fenomenismo, l'aridità dell'estetismo. I1 concetto superbo di uno stato superiore a tutti, centro di unificazione completa, fonte di eticità, espressione della volontà umana comune, aspirazione mistica dell'unità d i un popolo, è caduta nel mostro totalitario, comunista, nazista, fascista che in triplice nodo oggi lega 1'Europa e la soffoca. Un nuovo soffio di spiritualità mistica e di riorganizzazione purificatrice dovrà venire ( e non potrà non venire) dal cristianesimo, nella sua caratteristica di religione personale,
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universale e autonoma, profondamente sentito, e vigorosamente attuato dai fedeli, participi al corpo mistico di Cristo, perchè la chiesa e lo stato riprendano il ritmo di dualità sociale verso le piÚ pure aspirazioni di unificazione spirituale.
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La biblwgrafia di aggiornamento, curata dal Proj. EUGENIO MASSA, essendo risultato di proporzioni maggiori del previsto, verrà pubblicata a parte.
INDICI
INDICE ANALITICO
ACTIONFRANCAISE », vol. 11: 153, 239, « CASTICONNUBI D, enciclica, vol. 11: 246. 239. D, enciclica, vol. 11: CASIJISTICA,vol. I: 279, 281-283. AD BEATISSIMI CATARI,vol. I: 81-84, 143. 151. « AETERNIPATRIS D, enciclica, vol. I1: CATTIVITÀBABILONESE, vol. I: 129-134. CATTOLICILIBERALI, vol. 11: 103-112, 143. ALBICESI,vol. I: 81-84, 143, 149. 116-121. ~ ~ M E R I C A N I S M O ,VOI. 11: 149-150. CAVALLERIA, vol. I: 70. ANTI-SEMITISMO, vol. I: 149-151; vol. CENTRUM,partito tedesco, vol. 11: 11: 87, 211-214. 134. « APOSTOLICUM PASCENDI n, bolla, vol. CESARO-PAPISRIO, vol. I: 26-51; vol. 11: 11: 25. 237. - bizantino, vol. I: 29-32. ARLES,concilio di, vol. I: 15. ARYINIANESIMO, vol. I: 259-262, 264, - luterano, vol. I: 177-182. - controriforma spagnola, vol. I: 269, 272. 218.219. AUSBIJRC,dieta di, vol. I: 204. AUTORITÀ,teorie della, vol. I: 19-20, « CLERICISLAICOS D, bolla, vol. I: 96, 34-35, 42-45, 58-68, 91.92, 93-94, 97, 99. 185; vol. 11: 145. CODICI,vol. I: 21, 68-69. AZIONECATTOLICA, vol. 11: 179-180, COLLEZIONE ISIDORIANA, vol. I: 39, 45222-225. 46, 68. COLO~YIZWZIONE, diritto di, vol. I: 170-173. BARBARI, vol. I: 32-35. BASILEA,concilio di, vol. I: 135-136, COMUNI,vol. I: 69-70. 138-343, 152, 165, 233; vol. 11: 14. COMUNISMO,VOI. 11: 132, 227-228, (C BOLLA D'ORO n, vol. I: 132. 246. B o ~ s c ~ v ~ s nvol. ~ o , 11: 164-165, 168- CONCILI(v. sotto i nomi delle loca171. lità). CONCORDATI, vol. I: 166-169; vol. 11: 65-70, 128, 174-182, 190, 225-226. CALVINISMO, vol. I: 182-186. C o ~ ~ ~ s s i o x ~ ~vol. r s ; 11: ~ o ,215-216. CARMELITANI, VOI. I: 198. CONTRATTUALISMO, vol. 11: 101. C A R T ~ S ~vol. I O , 11: 102.
CONTRORIPORMA, vol. I: 189-212, 213253. CORRENTE mistica, vol. I: 58. --organizzativa, vol. I: 58. .COSTANTINO, donazione di, vol. I: 39, 93. COSTANZA, concilio di, vol. I: 135, 141, 143, 152-166, 233, 234. CROCIATE, vol. I: 70. - contro gli Hussiti, vol. I: 148. - coniro gli Albigesi, vol. I: 83-84.
« DE CIVITATE DEI P, vol. I: 22-23. DEMOCRAZIA, vol. 11: 71-78, 101.102, 118, 217. - CRISTIANA, vol. 11: 134, 146-154, 221-225. DIARCHIAchiesa-stato, vol. I: 26-51, 52; vol. 11: 237-253. D I C H I ~ ~ I Odei N Ediritti dell'uomo e del cittadino, vol. 11: 58. - di indipendenza e dei diritti, vol. 11: 58-59. DIRITTOcanonico, vol. I: 67-68. - divino dei re, vol. I: 67, 75, 265, 285, 287; vol. 11: 58. - naturale, vol. I: 260-261, 265-266; vol. 11: 13, 49, 58, 64, 66, 95, 217. DISARMO, vol. 11: 183-185. « DIVINIILLIUS MACISTRI D, enciclica, vol. 11: 239. - REDEMPTORIS n, enciclica, vol. 11: 227. « DOMINUS AC REDEMPTOR B, enciclica, vol. 11: 27. DOPPIAgiustificazione, teoria, vol. I: 195. - verità, teoria, vol. I: 164. DRAGONNADES, vol. I: 286-287. DUE SPADE, teoria, vol. I: 45, 66, 97. vol. I: 149-151; vol. 11: 87, 211-214. EFESO, concilio di, vol. I: 19. ENCICLOPEDISTI, vol. 11: 32-36, 38, 45. &REI,
EPISCOPALISMO, vol. 11: 13-18. ERASTIANESIMO, vol. I: 264. ERESIE,vol. I: 14-16, 36, 80-86. EVANGELICI, vol. U: 40. FASCISMO,vol. 11: 169, 174-182, 185193, 224, 226, 232, 241, 246. FEBRONIANISMO, vol. 11: 13-15, 19, 21. FERRAEA, concilio di, vol. I: 140. FEUDALESIMO, vol. 1: 52-56, 68-72. FIRENZE,concilio di, vol. I: 140, 152. FLACELLANTI, vol. I: 128, 133, 143. FRANCESCANESIMO, vol. I, 83-86. FRANCHI, vol. I: 37-51. FMTICELLI,vol. 1: 96, 143. GALLICANESIMO:
- nel Rinascimento, vol. I: 165. - nella Controriforma, vol. I: 283. - sotto Luigi XIV, vol. I: 284-288. - nel XVIII secolo: vol. 11: 12, 19, 22.
- post-rivoluzionario,
vol. 11: 66-67. GESUITI, vol. I: 196, 197, 208, 215, 231.246, 251, 280, 281, 284, 286, 293; vol. 11: 21-29, 89. GIANSENISMO, vol. 1: 279-283, 286-288, 293; vol. 11: 3-10, 14, 21, 44. GIURISDIZIONALISMO, vol. I: 284; vol. 11: 10-19, 53. GIU~NATURUISMO, vol. I: 260-261, 265-266, 268-269, 271-278, 294; VOI. 11: 13, 49, 58, 64, 66, 95, 217. GRANDE scisma, vol. I: 134-152. « GRAVESDE WMMUNI P, enciclica, V O ~ . n: 147. GUELFIe ghibellini, vol. I: 76. GUEREA, giustizia deiia, vol. 11: 156162, 200. - italo-abissina, vol. 11: 185-193. - mondiale (prima), vol. 11: 155164. - spagnola, vol. 11: 193-206. - dei Trent'anni, vol. I: 213, 246247.
GUERREdi religione, vol. I: 222-223, 246. HEGELIANESISIO, vol. 11: 135, 137-140. HUSSITISMO,vol. I: 147-149, 176.
ILLUMINISMO, vol. 11: 20-21, 29-53. « IMMORTALE DEI », enciclica, vol. 11: 144. IMPERO romano, vol. I: 6-25. - romano-germanico, vol. I: 55-56, 94, 115-116. INDICE dei libri proibiti, vol. I: 195. « INEMINENTI APOSTOLATUS SPECULA O, bolla, vol. 11: 36. INFALLIBILITÀ papale, vol. 11: 123-128. INQUISIZIONE, vol. I: 82-86, 128, 219220, 223. ISLAM,vol. I: 37, 128.
KULTURKAMPF, vol. 11: 134.
« MACNACHARTA n, vol. I, 118. MANICHEISIO, vol. I: 24. ~ ~ A R X ~ S M vol. O , 11: 103, 139-140, 218. RIASSONERIA, 11: 36-38.
I: 109-113. METODISTI, vol. 11: 39. MILANO, editto di, vol. 11: 12, 14. « MIRARI vos », enciclica, vol. 11: 105. 120, 145. . MISSIONI,vol. 11: 234-237. MODE~INISMO, vol. IL, 148-154. MONACHESIMO, vol. I: 24, 41, 57, 71, 196.197. MOLINISMO, vol. I, 280. MONARCOMACHI, vol. I: 230. NANTES,editto di, vol. I: 223, 228. NAZIONALIT~, vol. I: 141.143; vol. 11: 73-78, 95-96. NAZIONALISMO, vol. I: 131-132, 151152; vol. LI: 153, 245. NAZISMO,vol. 11: 171-174, 182-185, 208-214, 226-228, 232, 246. NEO-CUELFI,vol. 11: 108. vol. 11: 143-144. NEO-TOMISMO, NICEA,concilio di, vol. I: 14. NOMINALISMO, vol. I, 117-119. ' « NON ABBIAMO BISOGNO n, enciclica, vol. 11: 179, 227. « NON EXPEDIT D, VOI. 11: 129, 132, 176, 239. NORMANNI, vol. I: 59, 62-63, 75-76, 87. n NOS ES MUY n, enciclica, vol. 11: 227.
LAICISMO,vol. 11: 215-221, 237. LASSISMO, vol. I: 282-283. LATERANO, concilio del, vol. I: 139. - , trattato del, vol. 11: 128, 176-182, 190. LATITUDINARISMO, vol. I: 262, 264, 265, 267. LEGALombarda, vol. I: 77, 87. LEGITTIMISMO, vol. 11: 80-86, 92, 101. LIBGRALISMO, vol. 11: 77-78, 87-121, 141-143, 217, 218, 234. a LIBERTAS PRAESTANTISSIMUM D, enciclica, vol. 11: 144. LIBEROarbitrio, vol. I: 280. LIBERTÀ,concezione della, vol. I: 1011; vol. 11: 88-121, 141-143, 145146, 227.228. - di coscienza, vol. 11: 88, 131, 215. - di stampa, vol. I: 264-265; vol. H: ORGANIZZAZIONE latina, vol. I: 26-51 ; 88-89, 114, 131, 146, 215. vol. 11: 237. LOXDRA, concilio di, vol. I: 146. LOXGOBARDI, vol. I: 36-40. a PACEM DEI D, enciclica, vol. I: 163. LOTTAper le investiture, vol. I: 58- PACANES~MO, VOI. 1: 13-17. 63, 168. PAUGUAY,« riduzioni D, vol. 11: 23LGTER.~;\-ESIMO, vol. I, 175-183. 24.
« PASCENDI D, enciclica, vol. 11: 150151. u PAX AUCUSTANA D, vol. I: 205. PELACIANESIMO, VOI.1: 23-24. PESTE nera, vol. I : 132-133. PJETJSMO, vol. 11: 40. PlsA, concilio di, vol. I: 135, 136, 138, 140, 143, 152, 232. POPOWRISMO, vol. 11: 166-168. POSITIVISMO, vol. 11: 135-137, 140. POTERE, origine popolare del, I: 265-266, vol. 11: 100, 217. - , teoria dualistica, vol. 1: 19-20, 65, 93-94; vol. 11: 51-52, 100, 237242. DIRETTO, vol. I, 67; vol. 11: 241. i n Innocenzo 111, vol. I: 78-79. - in Innocenzo IV, vol. I: 90-92. - i n S. Tommaso, vol. I: 93-94. - in Bonifacio VIII, vol. I: 95100. in Dante, vol. I: 101-105. in Giovanni da Parigi, vol. I: 100-101. nella teoria conciliare, vol. I: 137-140. nei papi della controriforma, vol. I: 232-233. - in Snarez, vol. I: 231-232. INDIRET~O, vol. 11: 241. - i n Bellarmino, vol. I: 233. - nella teoria gallieana, vol. I:
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236-246.
- - in Santarelli, vol. I: 242-244. - - i n Leone XIII, vol. 11, 145-148. - DIRETTIVO, VOI. 11: 241.
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VOI. I: 33, 36, 93; vol. 11: 123-132. « PRAEMUNIRE n, statuto di, vol. I: TEMWRALE,
131, 135.
PRAMMATICA sanzione d i Bonrges, vol. 1: 165, 167, 169. « PRAYER BOOKD,controversia, vol. 11: 230.
PROBABILIS~IO, vol. I: 281-282.
E<
PROVISORS D, statuto di, vol. 1: 131.
QUACCHERI, vol. I: 266, 268, 271, 272. « QUADRACESIMO ANNO D, enciclica, vol. 11, 179. « QUANTACURA D, enciclica, vol. 11: 119, 145. QUESTIONE romana, vol. 11: 155, 175. 182. QUIETISMO(vedi MOLINISMO).
ficloN d i stato, vol. 1: 162-1637 211, 247-253. RALLIEMENT n, vol. 11: 147-148. ~ ~ T I S B O N Adieta . di, vol. I: 194, 203.
I: 278-279, 283, 289-292; vol. 11: 29-46. RAZZISMO,vol. 11: 172-174, 211-214, 227. RECALISMO, vol. 11: 12, 19, 22. RELIGIONE d i stato, vol. I: 180-182, 224-226, 255; vol. 11: 89. u RERUM NOVARUM D, enciclica, vol. 11: 144-146, 179, 218. RESTAURAZIONE, vol. 11: 79-86, 215. RIFORMA,vol. I: 174-189, 221, 227230, 255. origini, vol. I: 174-189. - in Germania. vol. I: 176-182. - i n Scandinavia, vol. I: 182. - in Olanda, vol. I: 182. - in Svizzera, vol. 1: 182, 186. - in Inghilterra, vol. I: 186-189, 221, 226. - in Francia, vol. I: 215, 221-223, 227-230. R~NASCI~~ENTO, vol. 1: 152-164, 201. RISORGIMENTO, vol. 11: 142-143. RIVOLUZIONE francese, vol. 11: 57-78, 218. - russa, vol. 11, 164-165. ROMANTICIS~TO, vol. 11: 96-100. ~ZIONALIS~~O vol. ,
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« SACERDOTIU~I n RECNUM D, vol. I: 57-58, 63-67, 72-73. SACRORomano Impero, vol. I: 44. SANTA Alleanza, vol. 11: 81-86, 218.
SCHMALKALDA, lega di, vol. 1: 194, 204. SEPARAZIONE di chiesa e stato, vol. I: 19-20, 65, 93-94, 178-179; vol. 11: 51-52, 65, 100, 237-242. SERVO arbitrio, vol. I: 177, 200. « SILLABO P, vol. 11: 119-122, 128. « SILLON P, vol. 11: 152. SOCIALISMO, vol. 11: 99-103, 132. S~CZANESIMO, vol. I: 256-258, 260, 262, 267, 269, 278. SOCIETÀdelle Nazioni, vol. 11: 162164, 182-193, 206-211, 214, 236-237. SOPRANNATURA (rapporti con la natura), vol. I: 26; vol. 11: 248-253. SOVRANITÀ, teorie sulla, vol. I: 122125, 223-231, 248-253, 271-272, 287; vol. 11: 65, 80-86, 100. SPIRITUALI, vol. I: 119-122, 125, 126, 128, 137, 170. STATO(concetto di), vol. I: 123-126, 184, 246-253, 261; vol. 11: 71-78, 133.134, 143. - carolingio, vol. I: 47-49. - laico, vol. 11: 215-221, 237. - totalitario, vol. 11: 168-174, 221234, 237, 248. - etico, vol. Il, 219-221. TEMPLARI, vol. I: 70. TEORIA conciliare, vol. I: 137-140, 143, 285. TIRANNICIDIO, vol. I: 234-246. TOLLERANW, vol. I: 12-18, 229, 246, 253, 254-294; vol. 11: 237. - i n Olanda, vol. I: 258-261. - in Germania, vol. I: 271-276. - in Inghilterra, vol. I: 262-270; vol. 11: 229.
- in Scandinavia, vol. I: 276. - in Svizzera, vol. I: 276-278. - negli Stati Uniti, vol. I: 270-271; vol. 11: 59. nel171mperoAustriaco, vol. 11: 4751. TOMISMO, vol. I: 93-94. TOTALITARISMO, vol. 11: 168-174, 221234. TRENTO,concilio di, vol. I: 195, 199, 202-205, 207, 209.218.
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UCONOTTI,vol. I: 222-223, 229-230, 286-288. ULTRAMONTANISMO, vol. 11: 126. UMANESIMO, vol. I: 109-115, 129, 153, 154. « UNAMSANCTAM D, bolla, vol. I: 73, 94, 99. « UNICENITUS D, bolla, vol. 11, 6-9, 14, 60. VALDESI,vol. I: 288. VATICANO, concilio del, vol. I: 139; vol. 11: 122-128. VIENNA,congresso di, vol. 11: 79-87. VIENNE,concilio di, vol. I: 128, 13'7, 139, 165. a VINEAMDEISABAOTH n, bolla, vol. 11, 4, 8. WESTPHALIA, pace di, vol. I: 213, 221, 253, 272, 273, 275, 289. WORMS,concordato di, vol. I: 190, 192. - , pace di, vol. I: 60. WYCLEFFISMO, vol. I: 144-148, 176.
INDICE DEI NOMI
ACTONlord John Emerich, 124. AGOSTINO di Ippona, santo, 248. ALBERONI cardinal Giulio, 28. ALBERTIdr. Mario, 160 n. ALESSANDRO, r e di Jugoslavia, 171. ALESSANDRO I, imperatore di Russia, 80, 83. ALESSANDRO, S. J., 24. ALFIERIVittorio, 46. ANTOINEPaul-Gabriel, S. J., 154. ARANDHA Pedro Pablo Aborca de Bolea, 26. ARISTOTELE, 248.
BAILLY Anguste, 148. BALBO conte Cesare, 108, 117. BALDWIN Stanley, 206. BALMES Jaime Luciano, 126, 143, 218. BARRE,cavaliere de la, 35. BARTHKarl, 174. BATIFFOL mons. Pierre Henri, 149. BAUMGARTEN Alexander Gottlieb, 41. BWUMONT, Christophe de, arcivescovo di Parigi, 9. BWUPIN,mons. Eugène, 164, 205 n. BECCARIA-BONESANA, marchese Cesare di, 45. B E ~ E T TXIII, O papa, 21. BENEDETTO XIV, papa, 9, 15, 19, 21, 24, 37.
BENEDETTO XV, papa, 151, 157, 160. 161, 162, 163, 176, 218, 222, 233. BIANCHIGian Antonio, 15, 19. BISMARCK, Otto von, 134. BLONDEL Maurice, 151, 248, 249. BLUMLéon, 206. BonrN Jean, 63. BOLIVAR Simone, 95. BONALD Louis-Gabriel, visconte di, 85, 86. BONIFACIO VIII, papa, 123. BONOMELLI mons. Geremia, 131. BONOMIIvanhoe, 153. BOSCO,san Giovanni, 127. BOSSUETJacques Bénigne, 4, 5, 12, 33. BOULO~NE mons. Étienne Antoine, 88. BROMBACHER Kuno, 241. BRUNO Giordano, 42, 131. BYRON lord George Gordon, 98.
CALABWANazari mons. Luigi, conte di, 131. CALASJean, 35, 48. CALLESPlutarco Elias, 171. CAMERONI Agostino, 153. CAMPANELLA Tommaso, 42. CANNING George, 94. CANTÙCesare, 108, 117. CAPECEUTRO cardinal Alfonso, 127. CARISTIA prof. Carmeio, 20 n. CARLO Alberto di Carignano, 95.
CARLOVI di Asburgo, imperatore, 19. CARLO li, re di Francia, 92, 94. CARLOI11 di Borbone, re di Napoli e poi di Spagna, 20, 26, 43, 47. CARLOIV di Borbone, re di Spagna, 47. CARLO STUART,36. CARLOMAGNO, 69, 70. CARLYLE Thomas, 99. CARMONA Antonio Oscar, 171. Caso~rr,padre Ludovico da, 127. CASTLEREAGH, Robert Stewart, marchese di Londonderry, 83. CATERINA la Grande, Imperatrice di Russia, 27, 63. CATERINA 11, Imperatrice di Russia, 109. CATHREIN, padre Victor, S. J., 154. CAVOUR, Camillo Benso, conte di, 142. CERWEIRA, cardinale Manuel Gonplves, 245. CHAMBERLAIN Neville, 208, 209. CHASTEL,abate Charles Irénée, 162. CHATEAUB~IAND,Francois-Réné, visconte di, 85, 98. CHELWOOD, lord Cecil, 205 n. CHOISEUL,Étienne Francois, duca di, 25, 26, 36. CICERIN,Boris Nikolaevic, 229. CLEMENTE XI, papa, 4, 6, 7, 8, 15, 19, 20. CLEMENTE XII, papa, 21, 36, 37. CLEMENTE XIII, papa, 9, 19, 24, 25, 26. CLEMENTE XIV, papa, 26, 27. COBDEN Richard, 161. COLERIDGE Samuel Taylor, 99. COMTEAnguste, 135, 136, 137, 140. CORBE~T ASHBYMargaret, 205 n. CONCIRAC, abate di, 48. C O ~ ~ O B CMarie-Jean, LT, marchese di, 48. CONFUC~O, 235 n. CONSALVI cardinal Ercole, 91. CONSTANT Benjamin, 100.
CONTIAugusto, 117. CORDARA, padre Giulio Cesare, S. I., 28. CORDOVANI Mariano, S. J., 205 n. CORSIprof. Alessandro, 164. COSCIAcardinale Nicolò, 21. COSTANTINO, imperatore, 178, 217. COTTOLENCO, beato Giuseppe, 127. CRAWFORD V. M., 205 n. CRISTINA,regina d i Svezia, 94.
DANTON Georges-Jacques, 65. DARBOY Georges, arcivescovo di Parigi, 124. DARWINCharles, 117. DE BOROmaresciallo Emilio, 191. DECOURTINS Gaspard, 167, 218. DE RIVERAPrimo, 171. DESCARTES René, 30, 43, 248. D r s r u ~ ~Benjamin, l 132. DOLFUSSEngelbert, 171, 232, 234. DOELLINGER, Johann Joseph, 124. D'ONDESREGCIO,barone Vito, 117. DOUCHERTY, cardinal Demis, 228. DREYFUS Alfred, 147, 192. DUBOIS,cardinal Guillaume, 7. DUCHESNE,mons. Louis Marie Olivier, 149. DUPANLOUP Félix, vescovo di Orléans, 109, 120, 124. E EDENAnthony, 186, 208. EDOARDO VIII, re d'Inghilterra, 206. EMERSON RaIph Waldo, 99. ESPEN, Zeger Bernard van, 13, 50.
FAULHABER, cardinale Michael von, 245. FEBRONIUS - Justinus (Nicholas Hontheim), 13, 50. FWERICO-GUGLIELMO di Prussia, 40, 63.
F~DERICO-GUCLIELMO 11 di Prussia, 27, 47, 50, 51. FEDERICO I11 di Brandeburgo, 19. FERDINANDO I1 d7Asburgo, imperatore, 21. FERDINANW VI, re di Spagna, 47. FERDINANDO VII, re di Spagna, 87. FICHTE,Johann Gottlieb, 75, 76. FILANGIERI Carlo, principe di Satriano, 46. FILIPPO11, re di Spagna, 93. FILIPPOV, r e di Spagna, 19. FILIPPO-ÉCALITÉ, duca di Chartres, 37. FLEURY, cardinale André Hercule de, 36. FOCAZZARO Antonio, 152. FOURNIER Francois, 101. FRANCESCO I di Francia, 66. I1 d'Asburgo, imperatore, FRANCESCO 63, 80. FRANCO generale Francisco, 194, 196, 201, 202, 203 n., 204, 205, 207, 233, 234. FRASSATI Pier Giorgio, 223. FRASSINOUS, mons., 108. FROISSET. 109.
GALILEIGalileo, 42. G A M B E Léon, ~ A 133. GARIBALDI Giuseppe, 123. GASPARRI cardinal Pietro, 156, 176. GENTILONI conte Vincenzo Ottorino, 153. GIANNONE Pietro, 20. GIANSENIO Cornelio, 3, 4. GILLETLouis, 205 n. GILSONÉtienne, 246, 247. GIOBERTI abate Vincenzo, 108. G r o ~ i mGiovanni, 153. GIORGIO I11 d'Inghilterra, 94. GIORGIO IV d'Inghilterra, 94. GIO~GIO V d'Inghilterra, 206. GIUSEPPEI di Portogallo, 23.
GIUSEPPEI1 d'Asburgo, 27, 47, 49, 50, 89. GLADSTOXE William Ewart, 113, 133. GOERRES Johann Joseph von, 98. GOETHEWolfgang von, 41, 83. GOMAcardinal Tomas, 203 n., 205 n. GONINMarius, 223. GRATRY Auguste Alphonse, 124, 127. GRAZIOLI don Bartolomeo, 116. GRECORIO VII, papa, 21. GRECORIO XVI, papa, 105, 106, 107, 108, 120, 145. GROZIOHugo (Hugues van Groot), 30, 50. GUGLIELMO IV, re d'Inghilterra, 101. G U I ~ OFrancois-Pierre, T 110.
Kari Ludwig von, 98. HALLER HARMEL Léon, 223. HECKERpadre Isaac Thomas, 149. HEFELEKarl Joseph von, 124. HECEL G. Friedrich Wilhelm, 135, 137, 138, 140, 219. HINSCHIUSPaul, 10. HITLERAdolf, 173, 174, 184, 186, 187, 194, 196, 203 n., 208, 209, 211, 228, 232, 244. HOBBES Thomas, 50, 51, 53. HOHENLOHE Chlodwig, principe di, 123. HOLBACH Paul Henri, barone di, 48. Huco Victor Marie, 98, 137, 161. HUMEDavid, 38, 39. HUSKISSON William, 94. HUXLEY Thomas Henry, 136.
INNOCENZO XI, papa, 160.
INNOCENZO XIII, papa, 7, 20. IRELAND rnons. John, 150. ISABELU 11, regina di Spagna, 94.
JERICOT Marie-Pauline, 223.
Lvicr IX, re di Francia, 92. L u r c ~XIV, re di Francia, 3, 4, 6, 7, KANTEmannel, 41, 77, 78, 138. KEATSJohn, 98. [CEBLE John, 99. KEMELAtatnrk, 171. KERENSKY Alexander, 165. KETTELERWilhelm Emanuel, barone von, 111, 124, 126, 146, 218. KRUDENER Barbara Juliana, baronessa von, 83.
LACORDAIRE Jean-Baptiste, O. P., 104, 105, 108, 126, 218.
LAGRANGE, padre Joseph Marie, O. P., 149, 151.
LS~~ARTINE, A.M.L. de Prat de, 98, 109.
L~n~~nihiais, Huguet-Félicité de, 86, 98, 104, 105, 106, 107, 108. LAMPERTICO Fedele, 117. LAPANZE, abate I. P-, 37.
LA TOURDU PIN, Charles Hnmbert René, conte di, 218. LAVAL Pierre, 185. LAVALLETTE, S. J., 24, 25. LAVIGERIE cardinal Charles, 127. LE FUR Louis, 205 n. LEIBNIZGottfried Wilhelm, 33, 40, 42. LENIN,Vladimir Ilych Ulianov, 164, 170.
LEONEX, papa, 66. LEONEXIII, papa, 143, 144, 145, 146, 147, 148, 143, 150, 161, 163, 189, 218, 224, 239. L ~ o n a a wda Portomanrizio, santo, 44. LEOPOLDO di Asburgo, imperatore, 49, 62. LESS~NG Goithoid Ephraim, 41, 42. LE TELLIER,padre Michel, 3. LIBERATOXE Matteo, 143.
LIGUORI,sant'Alfonso de', 28, 44. LOCKEJohn, 51. Lorsr Alfred, 149, 150.
19, 70, 73, 92, 160.
LUIGIXV, re di Francia, 3, 7, 9, 24, 25, 36, 48.
Lvrci XVI, re di Francia, 47, 48, 49, 50, 62, 63, 92.
LUIGIXVIII, re di Francia, 81, 88, 89. Lurci Bonaparte, 114. LUIGI-FILIPPO, 94, 101, 104.
MABILLON Juan, 33. MACMAHON, maresciallo Marie Edme Patrice, 133. MAINE, Luigi Angusto di Borbone, duca di, 3. MAINEDE BIRAN,Francois-Pierre, 85. MAISTRE,Joseph de, 37, 84, 85, 98, 107.
M~LAGRIDA Gabriele, S. J., 24. MALEBRANCHE Nicolas, 85. MALESHERBES,Chrétien Guillaume, 36, 47.
MANNING,cardinale Henry Edward, 118, 126, 134, 146, 218.
MANWNIAlessandro, 99, 108, 117, 126. MARET,Henri Louis Charles, vescovo, 124.
MARIATERESA d'Austria, imperatrice, 27, 30, 47.
MARIA ANTONIETTA, regina di Francia, 47, 62. I(IARITAIN
Jacques, 200, 204, 205 n.,
246, 247.
MARMONTEL Jean-Francois, 48. MARTINOV, papa, 66. MARXKarl, 101, 103, 135, 139, 140. MATTEOTTIGiacomo, 177. MAni, S. J., 24. MAURIAC Fransois, 204. MAURRASCharles, 153. MA~ZARIKO Giuseppe, 99, 101. MWAFilippo, 153. MEKDELSSOHN Moses, 41.
MENDIZABAL Alfredo+ 200, 204, 205 n., 206 n. REICADA, P. I., 200. MENDENDEZ MEUKLEN, padre, 203 n. MERMILLOD cardinal Gaspard, l%, 218. MERRYDEL VAL cardinal Raphael, 160 n. METTERNICHprincipe Clement, 83, 93, 94. MICHELIGiuseppe, 153. MILLJohn Stuart, 117. MIRABEAU, Honoré Gabriel Rigueti, conte di, 60. MONROE James, 102. MONTALEMBEBT, Charles Forbes de Tryon, conte di, 98, 104, 105, 108, 109, 116, 118, 119, 124, 126, 167, 218, 223. MONTENACH, barone di, 164. MONTESPAN, Francoise Athénais, marchesa di, 3. MONTESQUIEU, Charles de, 34, 45, 48, 51, 52, 100. MONTIVincenzo, 49. MOUNIEREdouard, 204. MUELLER Adam, 98. MURATGioacchino, re di Napoli, 81. MURATORI Ludovico Antonio, 33. MURRAY prof. Gilbert, 205 n. MURRIdon Romolo, 152. MUSSOLINI Benito, 176, 177, 180, 208, 212, 224.
NAPOLEONE Bonaparte, 67, 68, 69, 70, 72, 73, 74, 75, 76, 78, 79, 81, 92, 93, 100, 108, 127, 160. NAPOLEONE 111, 122, 125. NAUDET,abate Pani Antoine, 152. NECCHIVico, 223. NECRINJuan, 205. NEWMAN, cardinal John Henry, 99, 124, 126, 133. NICOLSON Harold, 205 n.
18
-
-
S~unm Chiesa e stato
-
11.
NIEMOELL.~, pastore, 174. NIETZSCHE Friedrich Wilhelm, 158. NITTI Francesco SayeM, 176. NOGLLES,cardinal Lonis Antoine, de, 3, 4, 5, 7.
O' CONNELL Daniel, 95, 104, 105, 110, 126, 223. ORLANDO Vittorio Emanuele, 176. ORLEANS, Filippo 11, duca di, 3. OTTAVIANO AUCUSTO,imperatore, 57. OWENRobert, 101. OZANAM Frédéric, 109, 127.
PACCA cardinal Bartolomeo, 91. PALFFY conte Maurizio, i60 n., 161 n. PAOWdella Croce, san, 44. PARINI Giuseppe, 44, 46. P ~ I S I I S Pierre , Louis, vescovo di Arras, 109, 120. PASCAL Blaise, 3, 85. PASQUALE 11, papa, 28. PEELRobert, 94. PELLICO Silvio, 108. PENNWilliam, 162. PERIER, canonico, 3, 4, 8. PESCHHeinrich, 154. PETITPIED,dottore della Sorbona, 4. PILSUDSXImaresciallo Josef, 171. PIOVI, papa, 15, 27, 49, 61, 64, 127. PIO VII, papa, 64, 67, 68, 69, 70, 88, 89, 91, 127, 143, 160. PIO IX, papa, 110, 111, 112, 119, 120, 122, 124, 125, 127, 128, 129, 131, 143, 239. PIOX, papa, 148, 150, 151, 152, 153, 160, 177, 222, 239. h o XI, papa, 176, 177, 178, 179, 180. 190, 197, 198, 199, 205 n., 213, 221, 222, 224 n., 226, 227, 229, 239, 244, 245. PIO XII, papa, 227, 245. PITT WiUiam, 94.
PIZZ~RDO cardinale Ginseppe, 229. PLATONE,102. PLASSA,cardinale, 245. POMBALSebastao José de Cervalho, marchese di, 23, 24, 26. POMPADOUR Jeanne Antoinette, madame de, 24, 25, 36. POITIER Antoine, 154. PRAT Ferdinand, S. J., 149, 151. PUFENDOBF Samuel, 30, 50, 51, 138. PUSEY (Edward Bouverie), 99.
QUESNEL,padre Pasquier, 6.
REIDThomas, 39. Riccr Scipione, vescovo di Pistoia, 45. RICHELIEU,cardinal A m a n d Jean dn Plessis de, 28, 73. RITTER Emil, 241. RITTERvon, 160 n., 161 n. RNAROLA cardinale Agostino, 91. ROBESPIERREMaximilien de, 65. ROMAGNOSI Gian Dornenico, 46. ROOSEYELT Franklin Delano, 212. ROSEMBERG Alfred, 203 n. ROSMINISERBATIAntonio, 102, 108, 116, 126. ROSSI, san Giovanni Battista, de', 44. ROUSSEAU Jean Jacques, 34, 35, 41, 43, 45, 48, 52, 53, 76, 81, 95. RUFPINXFrancesco, 10. RUMI Antonio, 50. RUNCIMAN lord Walter, 209.
s SAINT-SIMON, Clande de, 101. SALAZAR Antonio de Oliveira, 171, 233, 234. SALDAHNA, cardinale, 24. SANGNIER Marc, 152. SAN~EVERINO Gaetano, 143.
SANTARELLIAntonio, S. I., 19. SCADVIW Francesco, 10. SCELLESGeorges, 205 n. SCHLEGEL,Karl Wilhelm Friedricb von, 98. SCHUSCHNICC Kurt von, 194, 208, 232, 234. SCOm SU Walter, 98. SEYSS-INQUART Arthur, 208. SHELLEY Percy Bysshe, 98. SIRVEN,famiglia protestante, 35, 48. SMITH Adam, 39. Sommo Giorgio Sidney, 155. SOTELO Calvo, 194. STEEDWjckham, 205 n. STUKESRichard R., 205 n. STOLBERG Friedricb, 98. STREICHER Julius, 203 n. STROSSMAYER, vescovo di Bosnia e Slavonia, 124.
TACCHI-VENTURI Pietro, S. J., 180. TALLEYRAND-PERICORD, Charles Ma&ce, de, 81. TAMBURIN~, abate Pietro, 45. TANNUCCI Bernardo, 26. TAPARELLID'AZEGLIOLuigi, 154. TAVOIU,marchese, 24. TAZWLIdon Enrico, 116. TELESIOBernardino, 42. THIERSAdolf, 100. THOMASIUS Christian, 40, 51. T O C Q U ~ LAlexis E, de, 101. Niccolò, 108. TOMMASEO TOMMASO d'Aquino, san, 143, 246. TONIOLO Giuseppe, 154, 218, 222. TOSCANELLI, 117. TOSTI,abate Luigi, 108. TREITSCHKE Heinrich von, 139. TROYA Carlo, 108. TURGOT Robert Jacques, 47, 48.
U U m w o VIIl, papa, 21.
VENTURApadre Gioacchino, 105, 107, 110, 111, 116, 118, 126. VERDIERcardinale Jean, 192, 206, n., 245. Arthnr, 194. VERMEERSH VERBIAlessandro, 45. VERRIPietro, 45. VEUILLOTLouis, 109, 116. Vlco Giambattista, 33, 42, 43, 44, 96, 249. VICNYAlfred, de, 98. VILLEMAIN Abel-Francois, 108, 109. VITTORIOAMEDEOI1 di Savoia, 20. I, re d'Italia, 122. VITTORIO EMANUELE VOCELSANG barone Karl, 218.
Francois-Marie Aronet de, VOLTAIRE, 33, 35, 41, 45, 48. Voss Johann Heinrich, 98.
WASHINCTON George, 57. WERNER Friedrich Ludwig Zacharias, 98. WESLEYCharles, 39. WESLEYJohn, 39. WILSONWoodrow, 162, 163. WINDTHORST Ludwig, 105, 134, 21:. 223. WINTERERabate Landelin, 218. WOLFFChristian, 40, 42. WORDSWORTH William, 98.
INDICE
TAVOLA DELLE MATERIE Cap. X
- Giansenismo
-
Giurisdizionalismo
-
Zlluminismo.
-
38. La lotta anti-giansenista e la monarchia di Francia Il cr caso di coscienza n La bolla Unigenitus, gli C appellanti n e i vescovi gallicani I1 rifiuto dei sacramenti, i provvedimenti dei parlamenti e dei tribunali e la bolla di Benedetto XIV Pag.
-
-
.
.
39. 11 giurisdizionalismo pre- e post-tridentino e suoi vari caratteri Teorie anticuriaii sulla chiesa e sullo stato, regalismo, gallicanismo, febronianismo Ii giurisdizionalismo del secolo XVIII, le riforme statali e interferenza sui diritti ecclesiastici Vertenze del papato con gli stati cattolici e i vari concordati
-
3
-
-
.
-
40. La lotta contro i gesuiti Le ÂŤ riduzioni P del Paraguay Espulsione dal Portogallo Lotte ed espuisione dalla Francia Espulsione dalla Spagna, Napoli, Sicilia, Parma e Piacenza Elezione di Clemente XIV, bolla Dominus ac Redemptor e soppressione della compagnia di GesĂš
-
-
10
D
21
D
29
n
38
-
-
.
.
.
.
.
41. Sviluppo del razionalismo e naturalismo
-
.
- Periodo detto
deU'Illuminismo Mancanza di comprensione deila storia Montesqnien e 1'Esprit des lois Voltaire e gii enciclopedisti e le riforme La frammassoneria
-
D
-
-
. .
-
42. L'ÂŤ Enlightment n in Inghilterra David Hnme, Adam Smitb Movimenti religiosi, i metodisti, gli evangelici L'a Aufklaernng n in Germania Christian Wolff e il razionalismo L'influsso del sensismo inglese Tendenze panteistiche, Lessing, Goethe In Italia, Giambattista Vieo e la sua filosofia Movimenti spirituali, giansenismo L'iliuminismo, Beccaria, Parini, Alfieri
-
-
-
-
43. I1 riformismo di stato
-
-
- La tolleranza
-
-
.
.
religiosa nei paesi
-
cattolici - Viaggio di Pio VI a Vienna L'inizio della tolleranza verso i cattolici nei paesi protestanti Infilnazioni constituzionaliste e la nuova concezione statale Montesquieu e la divisione dei poteri, Rousseau e la Pag. 46 sovranità popolare
-
.
PARTETERZA. LO STATO LAICO E LA CHIrSA Cap. XI
. . . .
- Dalla rivoluzione alla Santa Alleanza.
44. La dichiarazione d'indipendenza e dei diritti (Filadelfia 1776), la dichiarazione dei diritti dell'uomo e del citLa tadino (Parigi 1789), loro significato e differenze caduta dell'ancien régime in Francia e la costituzione civile del clero
. . . . . . . . .
45. I tre stadi dei rapporti fra stato e chiesa durante la rivoluzione: culti &ciali, separazione, concordato Loro motivi, significato ed effetti; laicizzazione dello stato Napoleone e Pio VI1
-
.
.
.
.
.
.
-
.
46. La democrazia individualistica e l'accentramento statale dalla rivoluzione a Napoleone L'idea di stato e l'idea di nazione, la teoria di Fichte Lo stato liberale e la pace internazionale secondo Kant
-
-
47. La caduta dell'impero napoleonico
. . . . . e la restaurazione -
Principio di legittimità e l'unione del Trono con l'Altare I1 congresso di Vienna e il proclama della Santa Alleanza Movimenti miseci e tradizionalistici: De Bonald, De Maistre, Maine de Biran e altri
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Cap. XII I movimenti liberali nazionali socioli politica e religiosa.
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La reazione
48. La reazione politica in Europa, motivi economici e civili dei movimenti liberali Pio VI1 contrario alle libertà di culto, di coscienza e di stampa e diffidente delle costituzioni Tentativo di ritorno allo stato confessionale e giurisdizionalista Situazione delle chiese protestanti e ortodosse - Situazione in Inghilterra ,
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49. L'idea moderna di nazionalità e sua realizzazione Le due correnti di riforme, la liberale delle classi borghesi e la sociale delle classi operaie Il moto romantico liberale, nazionale, religioso Le rivoluzioni liberali del 1830 e nuove affermazioni democratiche I1 1848 e il manifesto comunista
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50. Movimenti cattolici a favore della libertà: O' Conneil
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in Idanda, De Lamennais e l'dvenir in Francia; l'enciclica Mirari Vos di Gregorio XVI Ripresa dei movimenti cattolico-liberali: i neo-guelfi in Italia: Manzoni, Gioberti, Rosmini, Balbo e altri La monarchia di luglio e i cattolici di Francia L'elezione di Pio IX e i discorsi di padre Ventura sulla libertà I1 1848 e i cattolici La crisi, la fuga di Pio IX a Gaeta e suo ritorno a Roma Pag. l03
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51. I l « liberalismo » e i suoi significati, il liberalismo economico in Inghilterra, il cartismo e la reazione operaia I1 liberalismo politico deUa borghesia francese; limiti del liberalismo etico e religioso Caratteri dell'opposizione della chiesa cattolica e delle altre chiese al liberalismo Ripresa dei cattolici liberali in Europa, congresso di Malines del 1863 e i due discorsi di Montalembert L'enciclica Quanta cura e il Sillabo di Pio IX
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52. I1 concilio Vaticano, mancato invito dei monarchi cattolici Le polemiche anticattoliche e la divisione fra i cattolici La definizione dell'infallibilità del papa e gli scismi susseguenti Portata del concilio e culto del papato La caduta del potere temporale e sne conseguenze religiose e olit ti che
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53. La terza repubblica in Francia, il nuovo impero germanico, l'Italia una I sistemi liberali costituzionali d'Europa e d'America e la Iaicità dello stato Le tre teorie di orientamento sociale-politico: la positivista di Comte, l'idealista di Hegel, la socialista di Marx
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Cap. XIII Dal concilio Vaticano alla condanna del modernismo di Pio X .
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54. Leone XIII tenta una ricostruzione cattolica richiamando al tomismo (Eterni Patris, 1879), precisando i caratteri dello stato e della libertà (Zmrnortuk Dei, 1885) - (Libertas praestnntissimum, 1888), dando le basi all'azione cristiano-sociale (Rerum novmum. 1891) - La democrazia cristiana La politica del ralliement, l'affare Dreyfus e la separazione in Francia Americanismo La crisi modernista; Pio X
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Cap. XIV Dalla grande guerra alla crisi della Società d e l k Nazioni.
55. La posizione della chiesa nel conflitto mondiale - Il problema della giustizia della guerra e l'adesione dei cleri alla guerra nazionale - Benedetto XV e le sue iniziative
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di pace - Woodrow Wilson, la Società delle Nazioni e suo carattere laico Riserve dei cattolici e loro iniziative Pag. 155
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56. La rivoluzione russa, la caduta degli imperi centrali; i movimenti sociali democratici del dopo-guerra I partiti popolari di ispirazione cristiana e il popolarismo Le varie esperienze dello stato totalitario: bolscevismo rnsso, fascismo italiano, dittature diverse, nazismo germanico - Tentativi di scristianizzazione .
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Ii fascismo e il papato La soluzione della questione romana e la creazione della cinà-stato del Vaticano I1 concordato fra il papa e il re d'Italia Lo stato fascista, l'enciclica di Pio XI « Non abbiamo bisogno » e gli accordi del settembre 1931 Quali gli effetti giuridico-politici della denuncia del concordato Esperimenti in corso
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58. La crisi della pace: conferenza del disarmo; Giappone e Germania lasciano la S.d.N. - I soviet sono ammessi a Ginevra senza condizioni, 1'Italia vi rimane nonostante l e violazioni del patto La guerra italo-abissina, l'Italia stato aggressore, le sanzioni, le trattative, l'epilogo Posizione della chiesa di fronte alla organizzazione internazionale La chiesa e la guerra italo-abissina Dichiarazioni di Pio XI Atteggiamenti dei cleri e catCrisi morale . tolici italiani e degli altri paesi
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59. Rivolta in Spagna, massacri, guerra civile; intervento estero, allocuzione papale e mise-au-point dell'Osservatore Romano Situazione dei cattolici Teoria di guerra santa e di crociata: lettera dei vescovi spagnoli Atteggiamento di cattolici in altri paesi, costituzione di comitati per la pace, di conciliazione civile e religiosa
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60. Situazione internazionale susseguente alla guerra spagnola Non intervento Gentlemon's Agreement angloitaliano Asse Roma-Berlino Asse Roma-BerlinoPirateria mediterranea e accordi di Nyon Tokio Guerra cino-giapponese Occupazione della Cecoslovacchia Persecuzioni anti-semite - Crisi di valori morali internazionali e ripercussioni sulla civiltà cristiana per sostituzione della forza al diritto Posizione adottata da Pio XI sul nazionalismo esagerato, razzismo e antisemitismo . .
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Cap.
XV
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- La situazione attuale nei rapporti fra chiesa e stato.
61. Lo stato laico verso nn confessionalismo proprio e la posizione della chiesa sul terreno della libertà L'etica
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laica impregnata di valori cristiani: personalità umana, giustizia sociale e pace internazionale, resi inefficaci dalla concezione dello « stato etico » Lotta della chiesa con lo stato sul terreno morale in difesa del cristianesimo quale religione personale, universale, autonoma Pag. 215,
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62. Resistenza della chiesa agli stati totalitari con la formazione di élites intellettuali e di apostolato Azione cattolica, il suo carattere, importanza e funzione negli stati moderni concepiti come Weltanschauung in conflitto con il cristianesimo Situazione attuale della chiesa cattolica e delle altre chiese i n vari paesi dell'Europa e del17Ameriea; l'Inghilterra e la controversia sul Libro La chiesa in paesi di missione Tentadi Preghiere tivo di cosidetti « stati cattolici »: Irlanda, Polonia, Austria, Portogallo, Spagna Problemi politici delia chiesa in paesi di missione e colonie
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63. La diarchia individuale, tipo moderno di diarchia chiesa-stato: suoi caratteri Carattere sociologico di limitazione del potere politico da ragioni morali Vari aspetti storici di tale limitazione per la chiesa attraverso potere diretto, potere indiretto, potere direttivo - Funzione dell'azione cattolica: penetrazione e pnrificazione (Jacques Maritain), distacco per la conquista (ktienne Gilson) Come e perchè lo stato si presenta di epoca in epoca irriducibile al pensiero cristiano; l'errore del separatismo del naturale dal soprannaturale, deli'umanesimo dal cristianesimo La filosofia di Maurice Blondel nell'orientamento della cultura moderna
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BIBLIOGRAFIA (pubblicata nell'edizione
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inglese)
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Finito di stampare nel mese di novembre 2001 presso la ETT in Torino
ISBN 88-8498-009-7