CARTEGGIO
2. Luigi Sturzo 11871-1959).
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LUIGI STURZO - MARIO STURZO
CARTEGGIO
A CURA DI
GABRIELE DE ROSA
ROMA 1985 EDIZIONI DI STORIA E IETERATURA ISTITUTO LUIGI STURZO
Tutti i diritti riservati
EDIZIONI D I STORIA E LETTERATURA Roma - Via Lancellotti, 18 ISTITUTO LUIGI STURZO Via deiie Coppeiie, 35 - 00186 Roma
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1 - Duemilacentoventi, tante sono le lettere e le cartoline, per lo più cartoline postali, che i fratelli Mario, vescovo di Piazza Armerina, e Luigi, il fondatore del partito popolare italiano, in esilio a Londra, si scambiarono in a m i convulsi e drammatici della storia d'Europa, dal 1924 al 1940, I1 carteggio si impone non solo per il livello culturale delle discussioni che tennero i due fratelli e che toccavano la storia, la mistica, l'ascetica, la letteratura, ma anche, se non soprattutto, per la sua spiritualità: lo si direbbe il diario di due'anime timorate di Dio, oltre che un testo di meditazioni filosofiche e morali. Mario e Luigi contavano allora rispettivamente 63 e 53 anni; ma se Mario aveva già alle sue spalle un'esperienza filosofica, consegnata in vari saggi, Luigi incominciava allora in quel di Londra, il lavoro di ricerca che doveva sboccare nella pubblicazione delle opere di maggiore valore scientifico: La Comunità internazionale e il diritto di guerra (1928); La società: sua natura e leggi (1935); Chiesa e Stato (1939). Nell'esilio, riprese ad andare in biblioteca, a frequentare i librai di Londra e Parigi, a tenere conferenze dotte nelle principali città europee, a partecipare a congressi internazionali, fra i quali quello di Oxford, in cui incontrò Benedetto Croce, a seguire riviste di filosofia francesi e inglesi: immagino che la sua stanza di lavoro al 213 B Gloucester, poi a Notting HiU doveva essere come quella delle Canossiane a Roma, che occupò al ritorno dall'esilio, con il tavolo colmo di carte nel « suo » ordine e pile di libri e fascicoli in ogni angolo. Dove andava, nasceva subito con lui la stanza-laboratorio con l'archivio e i volumi che comprava o si faceva venire, tramite il fratello, dalla sua casa di Caltagirone. Questa corrispondenza non era destinata ad essere pubblicata, essa cominciò ad enuclearsi per ragioni molto personali: sulle prime, per la piena dell'affetto fraterno - il desiderio di Mario di fare
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sentire il meno possibile la solitudine al fratello Luigi, costretto dal fascismo all'esilio - poi per le esigenze di ricerca che incominciarono ad affiorare, quando prima Mario, poi Luigi intrapresero a scrivere saggi che richiedevano un forte sforzo teoretico. Che il carteggio non fosse destinato alla stampa risulta evidente dallo stile delle lettere, immediato, senza molta cura della forma, familiare, costruito per intendersi in due, quindi con linguaggio spesso allusivo e non facilmente decifrabile da chi non era partecipe della vita di famiglia. Qui e lì si incontrano grumi di lessico dialettale: « Ora io non arrivo a prendere in che cosa noi differiamo »; « spero da poterci trovare finalmente d'accordo »; « ho un arretro di corrispondenza da liquidare»; «non sono arrivato a prendere esattamente il tuo punto di partenza »; « oggi ho tentato di fare un passeggio D. Luigi conservò le lettere del fratello e copie delle sue - era diligentissimo nel conservare le minute o più spesso l'intero testo della propria corrispondenza - perché gli servivano per i suoi lavori e le consultava quando doveva riprendere il filo del discorso con Mario. Finita la guerra e rientrato in Italia, Luigi Sturzo ri~inì i due gruppi di lettere, quelle da lui dirette a Piazza Armerina, dove era stato vescovo il fratello Mario, e le lettere del fratello, spedite a Londra o a Tolone o a Bad Nauheim o in Svizzera, ecc., ma non mi risulta che mai abbia pensato di pubblicarle. L'ampia corrispondenza fu però consultata da Felice Battaglia, che l'utilizzò per il suo volume sui rapporti fra Benedetto Croce e i fratelli Sturzo ', dal prof. Alfred Di Lascia, che ne tenne conto per il suo magistrale lavoro sulla filosofia politica di Luigi Sturzo 2. Non escludo che altri possano avere guardato il carteggio, con quale intendimento non saprei dire. Fatto sta, lacune ci sono nella corri1. FELICEBATTAGLIA, Croce e i fratelli Mario e Luigi Sturzo, Longo editore, Kavenna 1973. 2. ALFREDDI LASCIA,Filosofia e storia in Luigi Sturzo, Edizioni Cinque Lune - Istituto Luigi Stuno, Roma 1981. Anche se il volume di Di Lascia uscì solo nel 1981, quando era già pronto per la stampa alcuni anni prima, egli fu certamente il primo a servirsi della corrispondenza inedita dei due fratelli Stum per l'analisi del pensiero filosofico di Luigi. Cfr. A. DI LASCIA,op. cit., p. 53, n. 41. La corrispondenza fu suddivisa in pacchetti contrassegnati con lettere da A a O. Osserva giustamente Di Lascia: « Come con molti altri filosofi, così con Don Luigi la conoscenza deila corrispondenza è indispensabile per capire l'evoluzione logica e psicologica, e per molte delie sue idee fondamentali che spesso rimangono celate nel linguaggio ermetico degli scritti pubblicati ». lbidem, p. 54.
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spondenza e diremo presto per quali anni. Alcune cartoline o lettere andarono smarrite quando gli Sturzo erano ancora in vita: « è strano che da un certo tempo parecchie lettere si sono smarrite scriveva Luigi al fratello il 2 1 maggio 1931. Forse Luigi sospettava la censura fascista, tanto più che lo smarrimento delle lettere si verificò dopo che Mario dovette firmare la « ritrattazione » voluta dal Sant'Offizio. Per chi viveva in esilio, come Luigi, anche le ombre potevano prendere corpo. La censura italiana trattenne qualche altra cartolina di Luigi agli inizi del conflitto mondiale, prima che l'Italia entrasse in guerra? Sento un po' di ironia in quanto scriveva al fratello: « Forse, scrivendo di teologia la censura mette da parte le cartoline per un accurato esame » (lett. del 17, XI, '39). Altri smarrimenti possono essere awenuti nel trasferimento delle carte da Piazza Armerina a Roma, al convento delle Canossiane, dove abitò Luigi dopo il rientro dall'esilio. Le lettere ci permettono di chiarire l'origine delle principali opere di Luigi Stuno, sociologiche e storiche, come le concepì e studiò, quali influssi di pensiero avvertì maggiormente, quali i suoi dubbi e i suoi rovelli culturali, come il fratello l'aiutò con la sua mentalità speculativa e il suo rigore logico. Solo da questo carteggio abbiamo potuto valutare quanto il vescovo di Piazza Armerina abbia giovato a Luigi Sturzo nell'elaborazione dei suoi più importanti libri: dal saggio sociologico (La società: sua natura e leggi) ai due volumi di Chiesa e Stato. È vero che i contrasti, le divergenze di opinioni, gli irrigidimenti metodologici dell'uno e dell'altro furono frequenti, al punto che talvolta ritenevano inutile proseguire nella discussione. Ma poi riprendevano lo scambio di idee dal punto più facile, meno controverso, perché il loro desiderio comune era di intendersi. Quanto le loro divergenze fossero dovute al diverso linguaggio o alla difficoltà di capirsi, essendo tanto lontani, e quanto erano invece dovute alla loro formazione filosofica, al loro modo di leggere e valutare le grandi correnti di pensiero degli anni Trenta, dall'idealismo all'intuizionismo? Luigi era convinto che le incomprensioni fra lui e il fratello nascessero molto spesso dal diverso senso che essi attribuivano a certe parole ed espressioni (lett. del 9, VIII, '31)' ma appare anche chiaro che non si trattava sempre o solo di incomprensioni, si trattava anche, come vedremo, di mentalità, di sistema, di metodo. Antagonismi
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che facevano però parte di un progetto di collaborazione intellettuale di altissimo livello culturale e morale, che durò con la stessa intensità e con lo stesso ritmo per ben sedici anni: nessuna questione gratuita, formale, di maniera, ma tutte scaturite da una riflessione costante e impegnata sul rapporto fra fede e pensiero moderno, fra storicismo idealista e sociologia vecchia e nuova, fra neo-scolastica e logica post-Kantiana; sul rapporto Stato e Chiesa nell'età contemporanea che vedeva il dilagare dei metodi e dei sistemi totalitari; sull'influenza del << sociale » (strutture, mentalità, circostanze politiche nuove, ecc.) sulla morale tradizionale. Non si parla di politica nel carteggio, se non raramente e per lontani o indiretti riferimenti: eppure, pensando alla biografia di Luigi Sturzo, fondatore del primo partito democratico e di massa di cattolici, costretto all'esilio per la sua opposizione al fascismo, ci si aspetterebbe una corrispondenza, se non tutta, certo ben nutrita di fatti e pensieri politici. Se si eccettuano k prime lettere, nelle duemila e più che formano il carteggio, la politica non si affaccia mai, come mai si fanno richiami espliciti ai pur drammatici eventi degli anni Trenta: dall'avvento di Hitler al potere alla guerra di Etiopia, all'assassinio di Dollfuss, alla guerra civile di Spagna, alla crisi della Società delle Nazioni, alla Conferenza di Monaco, al patto MolotovRibentropp, ecc. Solo qualche cenno, qui e H, come in questa cartolina: <( Prego il Signore Dio che illumini tutto il mondo così in disordine, in agitazioni, in rivolte D (lett. del 10, X, '34). È vera. mente superfluo ricordare che su tutti questi eventi Luigi Sturzo intervenne con articoli impegnatissimi, con un'attività di livello internazionale, consacrata in documenti pubblici, ma nelle lettere al fratello la politica è assente. I1 perché si capisce: se avesse scritto di politica, probabilmente nessuna lettera sarebbe pervenuta al vescovo di Piazza Armerina. Anzi, per evitare ogni rischio della censura, i fratelli Sturzo decisero di scrivere su cartoline, per lo più cartoline postali. Lo spazio per ragionare e discutere diventava così magro quando invece ci sarebbero voluti fogli e fogli specialmente per fare della filosofia. L'uso della cartolina li obbligò a una scrittura fitta; ogni angolo doveva essere occupato, per il tormento naturalmente dei futuri lettori e interpreti. È tutta qui la corrispondenza fra i due fratelli? Non possiamo giurarlo: noi ~ubblichiamole cartoline e le lettere che abbiamo
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trovato nelle carte dellYArchiviolasciato da Luigi Sturzo. La nostra impressione è che parecchie cartoline mancano: a parte i sospetti di Luigi Sturzo sulle possibili sottrazioni da parte della censura fascista, c'è, ad esempio, da chiedersi come mai le lettere di Luigi incominciano solo con il gennaio 1926, quando dal testo delle cartoline o lettere di Mario si capisce che questi fu in corrispondenza con il fratello sin dai primi giorni dell'esilio londinese. Smarrite, perdute o sottratte? Altra considerazione: il materiale epistolare di Mario e di Luigi è discontinuo: dall'inizio della corrispondenza fino al giugno 1925 scrive solo Mario; la prima lettera di Luigi, come si è detto, è del gennaio 1926; non vi sono lettere di Mario per tutto il 1926 e il 1927, fino al maggio 1928. Come spiegare queste lacune? Sulle poche lettere iniziali di Mario Stuno abbiamo già scritto nella nostra biografia Sturzo 3: esse si riferiscono al viaggio a Londra, quando fu « consigliato » dal cardinale Pietro Gasparri, Segretario di Stato, a lasciare l'Italia 4. Da quanto scrive, si capisce che Mario era convinto che per il fratello si sarebbe trattato di un breve soggiorno, per motivi di studio: « Un po' di relativo riposo ti farà bene - scriveva a Luigi il 1" novembre 1924 -. Io son contento del tuo viaggio in cotesta città ». I dubbi sulla natura del « viaggio D incominciarono a venire a Mario alcuni giorni dopo (lett. del 10, XI, '24). Già il 16 novembre del 1924 Mario gli chiedeva perché aveva scelto Londra, supponeva « per ragioni morali », e aggiungeva: « ma non so se si crede che il tuo sia un viaggio determinato da motivi di studio ». Il giorno appresso aveva già deciso di scrivere « lettere a modo di giornale, cioè, diario personale e lascerò cadere sulla carta i pensieri come vengono » 3. G. DE ROSA,Luigi Sturzo, Utet, Torino 1977, pp. 262-271. 4. Luigi Stuno ha sempre insistito, anche con il fratello, che fu lui stesso a decidere del viaggio a Londra per ragioni di opportunità, cosi si deduce anche da una lettera di Mario del 22 novembre 1924: «Mi ha poi recato tanto piacere sentire che partisti, perché lo credesti opportuno, non perché ti fosse stato imposto D. 5. Nella lettera del 22 novembre 1924 spiegava ancora come intendeva tenere il « diario personale » con Luigi: « Riprendo i fogli, dove butto i miei sentimenti con vivo desiderio; interrompo lo scriverti con rammarico; ogni briciolo di tempo di cui dispongo, è per te, anche quando mi sentirei stanco per altri lavori. Per ora contengo il mio pensiero dentro certi limiti, imposti dall'abitudine di scriver lettere e un giornale; appresso non so dove mi menerà questo nuovo bisogno di parlar con te. Quando ho la penna in mano per te, tu non sei più assente; sei là; io non più scrivo, ti parlo. E N mi rispondi; sempre più misurato di me, più pa-
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Con il 1926 la struttura della corrispondenza cambia del tutto: gli accenni alla vicenda politica personale di Luigi scompaiono, solo raramente e in maniera nascosta si richiama qualche situazione ingrata per motivi politici, come nella lettera di Luigi del 28 marzo 1929: « È bene che, proprio in questi giorni, tu sappia che io da alcuni mesi vado soffrendo una pressione alquanto angustiosa, da parte di quelle persone che tu sai, e che facevano già la seconda prova con me quando tu eri a Roma, e andasti a parlare e con l'una e con l'altra persona. H o ceduto su tutto, ma l'ultima richiesta mi ha lasciato perplesso ed ho preso tempo, in vista della tua prossima visita a Parigi. Onde, passando da Roma prima vedrai l'amico che verrà a trovarti subito e del quale oggi non ti faccio il nome, ma lo saprai quando arriverai a Roma; e poi vedrai o l'una o I'altra. Tutto a titolo di semplice informazione (che io non ti posso dare di qua) ». Probabilmente Sturzo alludeva alle pressioni che vennero esercitate su di lui, direttamente o indirettamente, da autorità della Santa Sede perché, dopo il Concordato dell'll febbraio 1929, cessasse da ogni attività politica anche all'estero. I1 racconto è sfumato, non ci sono nomi, si parla genericamente delle « persone che tu sai »: forse il card. Gasparri? Secondo l'ultimo richiamo avrebbe dovuto cedere anche nell'attività pubblicistica, invece resistette ma lasciò di interessarsi della parte organizzativa, che delegò all'amico Francesco Luigi Ferrari, compagno d'esilio. Carteggio, dunque, non politico, ma di cultura, prevalentemente filosofica, con indagini, esplorazioni, viaggi nelle aree dello storicismo idealista, dell'intuizionismo e della sociologia positivistica, ma con l'occhio sempre attento anche a quanto avveniva nel pensiero cattolico. Nei primi anni, fino alla crisi del 1930, quando Mario fu costretto a porre fine alla sua « Rivista di autoformazione », fu lui a proporre al fratello temi di ricerca, tutti convergenti nel suo « neo-sintetismo »: « Ho, per ora, come un'idea fissa, la quistione [...l della concretezza - scriveva a Luigi il 2 gennaio 1925 - in opposizione all'eccesso d'astrattezza a cui si abbandonarono gli scolastici del medio evo [...l.Quando avrai tempo e sarai disposto, mi farai piacere se su questo punto mi dirai il tuo pensiero ». Mario drone del tuo pensiero; più oggettivo, sempre contrario a certi eccessi di stile, che io non sempre so evitare, nemmeno scrivendo filosofia D.
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incominciò a spedire al fratello i capitoli della sua opera, Il problema della conoscenza, per avere consigli, impressioni, suggerimenti. Avrebbe voluto saperne di più in filosofia, e lo confessava in tutta sincerità al fratello, perché era convinto che la filosofia menava il mondo, e questa non era scritta dai cattolici: « La nostra s'è beata e ciò non vede - contenta di stare in chiuse stanze, come stanno le mummie nei musei archeologici » (lett. del 15, IV, '25). L'aiuto che prestò Luigi al fratello fu notevolissimo 6: gli rilesse i manoscritti che gli inviava, gli indicò le correzioni, avanzò critiche, gli suggerì letture, gli trascrisse passi di testi che Mario non riusciva a trovare in Italia, come nel caso del libro di Delbos sulla filosofia francese, gli raccomandò di non volere essere a tutti i costi originale e di tenere conto di quanto era stato scritto prima di lui anche fuori d'Italia sui meccanismi della conoscenza (lett. del 111, '27). E poiché gli sembrava che fosse utile a Mario collocare la propria ricerca filosofica in un ambito più largo, meno da « addetti àl lavoro » e più europeo, gli indicava nuovi punti di riferimento: « Non è il caso di guardare quale vantaggio possa recare la teoria di Einstein alla gnoseologia e alla cosmologia? » (lett. del 21, 111, '27). Carteggio filosofico, animatissimo e continuamente problematico, dunque, ma con incursioni anche nel campo della letteratura, soprattutto nei casi in cui l'opera, il libro aveva rapporto con la fede o con la storia. Si leggano alcuni loro giudizi su Giovanni Papini, lo scrittore cattolico allora al culmine della sua fortuna:' « Del Gog di Papini posso dirti che non l'ho letto, benché sia sul mio tavolino dal dì della sua pubblicazione, e che forse non lo leggerò mai. Dai giudizi della stampa ho cavato che è una specie di romanzo con propositi apologetici, con posizioni impossibili, e anche con pagine magnifiche. I o poi, dopo la faticosa lettura della Storia di Cristo e Gli operai della vigna, non sento troppa simpatia pel Papini. Non è filosofo, non è teologo, non è storico; è artista, ma a suo modo, ed è interessante quando dimentica di voler riu6 . Luigi e Mario Stuno tennero sempre una corrispondenza di pensiero, anche prima che Luigi partisse per l'esilio, ma è indubbio che questa corrispondenza divenne più nutrita e organica negli anni « londinesi » di Luigi: cfr. per il periodo precedente: ANTONIO BRANCAFORTE, Luigi Sturzo lettore e critico di Mario Sturzo: sette lettere inedite dello statista siciliano, in «Archivio Storico per la Sicilia Orientale », 1971, fascicolo 2-3, pp. 334-343.
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scir tale; il guaio è che egli posa a filosofo, teologo, storico e che so io » (lett. di Mario del 29, V, '31). Luigi considerava quello su Gesù un libro, che rispondeva aila voga del tempo nel quale i giudizi estetici si confondevano con quelli morali, psicologici, politici: « quando gli elementi che l'hanno fatta, cadranno, la voga .diminuirà o- verrà meno del tutto » (lett. del 25, IV, '33). Più duro ancora il giudizio di Mario sul Dante vivo: « Una delusione. Si potrebbe, anzi, dovrebbe chiamare il Dante morto, perché non si cerca che pura cronaca, senza visione alcuna di valori storici, col cattivo gusto di spiegare alla luce del sole i cenci, veri o no, del grande poeta » (lett. del 2, VI, '33). Può sorprendere il giudizio di Luigi sulle poesie del Manzoni: « Le poesie quasi tutte hanno già le rughe. Liricamente si salvano il 5 maggio, la Pentecoste e l'Ermengarda, ma non sono sempre eguali in bellezza; anche qua e là si vedono le rughe. E poi è un verseggiare troppo sonoro, troppo melodico e il nostro orecchio non lo sopporta. Ciò non vuol dire che non gusto le bellezze disseminate nelle varie poesie » (lett. del 10, V, '29). Infine, la lettura de1,carteggio ci permette di awicinarci sino alla soglia della spiritualità dei mie fratelli: le manifestazioni di affetto sono in ogni cartolina e lettera; qui e lì affiora la grafia lineare e semplice della sorella gemella Nelina, che appena le era possibile, raggiungeva Luigi a Tolone, durante l'estate, per un po' di mare. Continue le apprensioni per la salute di Mario per Luigi, di Luigi per Mario e Nelina. Nelle sue cartoline il vescovo curava che ci fossero notizie della famiglia, di Piazza Armerina e del suo Seminario; di Caltagirone, della loro casa e dei loro amici e antichi collaboratori: dal solerte e delicatissimo Luigi Caruso al premuroso e diligente Vincenzo Fondacaro. Gli descrive la visita pastorale che compie nella diocesi, comunicandogli la profonda commozione che suscita in lui; gli parla delle processioni calatine, deile feste religiose, degli oblati di Piazza Armerina. Luigi aveva bisogno dei ricordi della sua terra, per sopportare meglio il peso dell'esilio. Sognava talvolta Caltagirone: « Di tanto in tanto io sogno Caltagirone e sempre con un cielo luminoso. Non sogno mai il panorama di altra città, ma solo delle località particolari. Ma di Caltagirone il panorama, che del resto è bello » (lett. del 26, IV, '34). Anche il passato gli tornava alla mente con vivezza di particolari, come
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se non fosse passato: « quarant'anni come oggi - scriveva al fratello
il 19 febbraio 1933 - fu tenuta nella cattedrale di Caltagirone la solenne accademia in onore di Leone XIII. H o presente quel giorno e ricordo come ieri le varie fasi del programma, il discorso di Mineo, la musica, ecc. Entusiasmi giovanili. Non ne ho mai avuto il ~icordo così vivo come l'ho oggi, e non mi rendo conto del perché ». Dunque, ricordava, ricordava per sentirsi più vivo, ancora con il cuore nella sua terra: « [...l è vero, i ricordi sono diversi dalla realtà, ma sono anch'essi una realtà. E certi giorni vivo di ricordi, tanto più cari quanto le speranze di questa terra sono lontane e ormai per me non esistono più. Mi è più soave sperare d ' a l di là, e sentire la fine vicina. I1 mio lavoro mi è dolce compagno; però qualche volta mi fa soffrire fisicamente e qualche volta anche moralmente. Studiando storia si diventa sempre più filosofi e studiandola ancora si sente sempre più il bisogno di rifugiarsi nella preghiera e nelle consolazioni della fede » (lett. del l", V, 1933). Sturzo aveva d o r a 62 anni, si sentiva sempre più stanco, temeva per il suo cuore, tuttavia dispiegava un'energia incredibile, viaggiando, intervenendo in incontri, conferenze, congressi, pubblicando articoli su giornali e riviste francesi e inglesi, e lavorando a opere di pensiero, che sarebbero state le maggiori della sua vita. Si era impegnato anche in un'ambiziosa opera drammatica, Il Ciclo della Creazione, che Darius Milhaud avrebbe dovuto musicare. Pregava, faceva ritiri, si era iscritto alla Lega diocesana dei sacerdoti per l'adorazione perpetua del Santissimo e all'unione apostolica del cuore di Gesù, viveva in unità spirituale e di fede con il fratello. Ambedue avrebbero voluto santificarsi: « La santità sia nei nostri voti - scriveva Mario -. Piace a Dio, Dio la vuole; a noi è possibile almeno nei limiti segnati da Santa Teresa di Avila, di perfetta conformità alla volontà di Dio e carità pura, prescindendo dai carisrni gratis dati » (lett. del 17, XI, 1935); ed il fratello Luigi: « Sì, vorrei essere santo, ma la via è lunga e io vedo che non progredisco e chissà che non vado indietro. Tu preghi per me, e te ne sono grato assai; nella comunione delle preghiere vi è un conforto reciproco per una più intensa vita spirituale » (lett. del 19, IV, '33). Devozione anche ai santi, amore, che è un misto di grazia. e di cocente nostalgia, per le processioni sacre della propria terra ', 7. « Sento ancora i1 profumo deiie rose della processione [del Corpus Domini]
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culto puntuale, ricorrente, mai formale per i propri defunti, sentimento religioso del tempo, misurato sui rintocchi delle campane della chiesa matrice, ma niente devozionismo, nessuna organizzazione barocca nelle manifestazioni di fede, una pietà intima, raccolta, sorvegliata, che contrasta con le altre forme di religiosità meridionali, più carnali e spettacolari; « I o ho bandito dalle chiese - informava il vescovo di Piazza Armerina - le oleografie e le statue di cartapesta, resistendo a tutte le proteste o preghiere delle case di Roma e di Lucca. E posso dire che oramai su ciò la nuova coscienza è formata » (lett. del 9, V, '31). Ed ecco la risposta di Luigi: « apprendo con gran piacere che hai abolito tutte quelle statue e oleografie che per me sono una profanazione e che vorrei eliminate dalle chiese » (lett. del 15, V, '3 1). I due fratelli credono negli angeli custodi; le preghiere che si comunicano attraverso le lettere, le loro invocazioni a Dio e le speranze nell'al di là sono limpide, serene, semplici: « Prega che io possa guardare il Crocifisso con la fede e la fiducia di un bambino nell'ultimo momento della mia vita » (lett. di Luigi del 22, XI, '32). Nel 1939 quando Luigi aveva sessantotto anni e Mario dieci in più, e ancora discutevano sulla cognizione iniziale di Dio, a proposito di un libro del Picard, il vescovo di Piazza Armerina, un po' sorridendo su tutti i lunghi e complicati discorsi filosofici che per quindici anni aveva condotto con il fratello, gli scriveva: « Caro fratello, in Paradiso non ci augustieremo più -.a sapere come si conosce Dio, perché lo vedremo nella luce della gloria, e perciò più che cercarne la cognizione nei libri, cerchiamola nell'amore, nelle buone opere, affinché Egli per la sua misericordia ci accolga tra i suoi figli nel S. Paradiso » (lett. de1'23, 111, '39). La guerra avrebbe provocato di li a un anno la fine del « cartolinare » con il fratello Luigi: non si sarebbero più rivisti alla fine del conflitto, il vescovo morì il 12 novembre 1941 allorché Luigi di ieri e un po' il profumo della grazia. Spero che l'anima tua abbia avvertito il tocco delle divine misericordie » (lett. di Mario del 5, VI, '31). E Luigi: « A me sembra però di essere a Caltagirone e di assistere alla processione per l'Immacolata, e sento dalla mia stanzetta le belle campane di S. Francesco. Che poesia » (lett. dell'8, XII, '28). In altra lettera: « I...] penso alla prccessione del Cristo morto a Caltagirone, e mi pare di essere là, in mezzo ai miei amici e con la folla dei miei ricordi (lett. del 29. 111, '29); «Domani è la S. Bambina: festa intima per noi con i più soavi ricordi di nostra giovinezza » (lett. del 7, IX, '29). 8. La notizia veniva trasmessa dai prefetto Sandonnino al Ministero deu'in-
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era passato nel suo duro esilio da Londra a New York. Leggiamo quella lettera come il congedo discreto e sorridente dal mondo, di un grande sacerdote e uomo di pietà, figlio devoto della Chiesa di Roma, che per questa Chiesa accettò umiliazioni e sconfitte, rinunciando, come segno della volontà di Dio, anche alla propria vocazione di filosofo cristiano.
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2 - Possiamo distinguere nel carteggio due fasi: la prima che va dall'ottobre 1924 all'aprile 1931; la seconda dal 1931 al 1" novembre 1940, che è la data dell'ultima lettera di Luigi. Le due fasi sono segnate daiia fine imposta alla « Rivista di autoformazione » e dalla ritrattazione cui fu obbligato il vescovo Mario, dopo il richiamo del S. Offizio (8 aprile 1931). I1 colpo fu grave per Mario, almeno sul momento; ma fu grave soprattutto, perché privava la cultura cattolica di una voce nuova e anticonformista, e negli anni Trenta non si può dire che la ricerca filosofica nel mondo cattolico brillasse per originalità e che si avesse cura di uscire di trincea per cercare qualche, sia pur cauto, ammodernamento. Dal testo della « ritrattazione » sembrerebbe che il vescovo fosse accusato di avere pubblicato nei suoi libri e nelle riviste « Autoformazione D e « Tradizione » scritti « contro la dottrina cattolica e contro ciò che la Santa Sede e i Sommi Pontefici, specialmente negli ultimi tempi, hanno inculcato, raccomandato e comandato per lo studio della Filosofia Scolastica nei Seminari » 9. L'accusa rivolta a Mario sarebbe stata di « crocianesimo e di relativismo » e di deviazione dalla dottrina cattolica ovvero in sostanza dalla filosofia scolastica. terno, direzione generaie dei culti, con telegramma di poche parole, in data 13, XI, '41: « Monsignor Mario Sturzo Vescovo Piazza Armerina deceduto ieri », Archivio Centrale dello Stato, Fondo Culti, volume 114, fasc. 270. 9. Diamo il testo integrale della comunicazione del S. Offizio cod come a p parve neli'« Osservatore Romano » del 19 aprile 1931: «La Suprema Sacra Congregazione del S. Offizio comunica: Sua Eccellenza Rev.ma Mons. Mario Sturzo, Vescovo di Piazza Armerina, dietro richiamo della Sacra Congregazione del S. Offizio ha inviato la seguente ritrattazione: "Io sottoscritto intendo di ritrattare, come di fatto ritratto coUa presente, tutto ciò che ho scritto e pubblicato nei libri, nella Rivista di autoformazione e nella Rivista La Tradizione di Palermo contro la dottrina cattolica e contro ciò che la Santa Sede e i Sommi Pontefici, specialmente negli ultimi tempi, hanno inculcato, raccomandato e comandato per lo studio della Filosofia Scolastica nei Seminari, in conformità anche del canone 1366. Piazza Armerina, 8 aprile 1931. Firmato t Mario, Vescovo" ». Sulla fine della « Rivista di autoformazione » e sdia « ritrattazione » del vescovo Stuno, cfr. ANTONIO BRANCAFORTE, Benedetto Croce e Mario Sturzo vescovo di Piaua Armerina, in «Vita e pensiero », 1962, n. 2, pp. 156-161.
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Rileggendo gli scritti di Mario Sturzo appare molto difficile sostenere che la filosofia del vescovo di Piazza Armerina fosse crociana e relativista. Già il filosofo Felice Battaglia, che godette della stima di Luigi Sturzo, esaminando questi scritti, affermò che l'approdo di mons. Mario era stato lo storicismo, ma « non lo storicismo assoluto di Croce, bensì lo storicismo umanistico alla Vico, se si vuol trovare un precedente, essendo di esso strumento il concetto puro, già acquisito alla nuova logica dell'idealismo » lo. È vero che il Battaglia sostiene, poco dopo, che il pensiero di Mario si inscriverebbe « per vari aspetti nel sistema crociano » e farebbe capo « al nuovo concetto del concetto quale appare nella Logica, e tanto faticosamente acquisito dal Croce » ". I1 che è forse un po' spinto; lo stesso Croce,' del resto, si limitò a dire, con certa aria di condiscendenza, che Mario Sturzo, « pur oppugnando » la sua concezione filosofica, « aveva accettato di essa alcune parti nei concetti estetici e nelle distinzioni delle forme logiche e voleva inserirli nella scolastica tradizionale, introducendo modificazioni in questa » ''. La risposta poi di Mario Sturim a una lettera di Croce in occasione della « ritrattazione » ci sembra racchiuda in poche righe la esatta posizione del vescovo nei confronti del filosofo napoletano e del suo sistema: « I o Ie sono tanto vicino col cuore quanto il mio modo di pensare è lontano dal suo. Ma io con vera simpatia accolgo del suo pensiero, quanto reputo conquista che sorpassa i limiti del sistema. Di ciò mi si accusa, ma l'accusa è sciocca. La mia fede supera le contingenze degli umani contrasti e mi pone in una sfera, dove è pace e concordia » 13. 10. FELICEBATTAGLIA, O P . cit., p. 16. 11. Ibidem, p. 17. Più corretta ci sembra la valutazione di Di Lascia: « l a filosofia di don Mario era di fatto inaccettabile sia ai tomisti ortodossi, per l'utilizzazione dialettica che faceva di taluni temi idealistici, sia agli idealisti intransigenti per i suoi residui scolastici e il suo trascendentalisrno teistico ». Cfr. A. DI LASCIA, o p . cit., p. 24. 12. Così nello scritto Esuli, datato Sorrento 1944, riportato in appendice da F. BATTAGLIA, O P . cit., pp. 134-135. Continuava Croce a ricordare: « Gli mandai, nell'occasione di quella disgrazia da me involontariamente procuratagli, qualche parola di affettuosa simpatia, pur con riserbo evitando ogni parola contro i suoi superiori per non offenderlo nella sua condizione di prete; ma quei superiori me li conciò lui per le feste, nel rispondermi, adornandoli di confacenti epiteti, perché i preti si conoscono tra loro e di rado tra loro si amano D. 13. La lettera di Mario Sturzo, datata Piazza Armerina 30 aprile 1931, conservata neU'Archivio Croce, riportata da F. BATTAGLIA, O P . cit., p. 141.
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Che il vescovo, dunque, abbia adottato forme del linguaggio e della logica crociana per tentare di innestarli nell'albero della scolastica, è un conto; altro è dire che egli sarebbe da considerarsi un crociano. D'altra parte, come si vedrà dall'esame del carteggio, specialmente nelle discussioni con il fratello sulla intuizione e sulI'intuizionismo, la posizione filosofica del vescovo Mario appare decisamente dualista e molto poco coerente con la dialettica crociana. Tutti i luoghi che egli considerava limiti insuperabili dell'idealismo vi sono elencati e più volte ribaditi anche se di Croce e della sua <( Critica D il vescovo di Piazza Armerina, ma non da meno il fratello Luigi, fanno un costante punto di riferimento nelle loro discussioni filosofiche. Nel corso della corrispondenza Mario spiega al fratello il senso della sua adesione parziale a Croce, spiega più volte fin dove arriva il suo consenso, ma spiega anche la sua opposizione. Mario è convinto che la storiografia moderna ha superato l'errore di quella medioevale, che spiegava la storia con la teologia, ma è anche convinto che la storiografia moderna <( è caduta in altro errore, perché ha negato Dio trascendente e personale, e ha posto in sua vece il divino nell'umano ». Questo errore, secondo Mario, non si superava tornando alla teologia, <( ma ponendo il divino-rivelato-mistero, come elemento reale sì, ma non risolvibile (lett. del 4, VI, '32). In altre parole, Mario ammetteva la coerenza dell'idealismo, che escludeva la pensabilità del trascendente, ma aggiungeva che se il trascendente non era pensabile, era però credibile: <( A te poi faccio notare - scriveva al fratello Luigi - che l'errore di Croce circa la non pensabilità del trascendente, di cui il miracolo sarebbe una manifestazione, implica una verità, cioè, che il puro mistero non è pensabile D. Ma se Dio non era pensabile, nel senso che non è credibile, << è credibile per fede, non conoscibile per ragionamento né risolvibile in storia (lett. del 14, VII, '32). Per questa fede non risolvibile in storia, non pensabile, ma credibile, Mario inventò il concetto di soprastoria, che, a ragione Luigi riteneva un'escogitazione meccanica, artificiosa, che non stava né in cielo, né in terra. Come vedremo, la questione della soprastoria tornerà più volte nel corso della corrispondenza, in particolare negli anni in cui Luigi lavorava alla sua sociologia storicista. Qui a noi preme rilevare, che l'arbitrarietà del concetto di soprastoria, che in fondo riportava nel giudizio sulla storia l'idea agosti-
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niana della Prowidenza che Mario riteneva per altro verso superata dalla filosofia moderna, è però la spia della estrema difficoltà del vescovo di accettare lo storicismo crociano: egli pensava che fosse sufficiente mettere a fianco di esso la cosidetta soprastoria per risolvere ogni dubbio. La istanza dualista, propria della tradizione filosofica cristiana tornava a riaffacciarsi, nonostante il gran parlare di Mario sull'originalità della sua soluzione sintetista. Ma, per quanti dubbi possano nascere sulla coerenza del sistema filosofico del vescovo di Piazza Armerina, è certo però che il suo generoso sforzo di pervenire, attraverso l'identificazione di filosofia e storia, a una nuova sintesi mediatrice di intuizione e concetto, di individuo e società, non si può mettere in dubbio che il suo avvicinamento alla filosofia di Croce fosse dettato dall'ansia di t r a vare un terreno di incontro fra la filosofia moderna, scaturita dal « Cogito » cartesiano, e le esigenze e verità del cristianesimo. C'$ una sua lettera al fratello, di poco più di un anno successiva alla <t ritrattazione », molto bella, perché rivela in maniera semplice e chiara il suo tormento di filosofo credente, ma consapevole al tempo stesso della forza del pensiero moderno, della inesorabile logicità della sua gnoseologia: C Per qual via - si chiedeva - i filosofi son venuti alla negazione del dualismo cristiano? Questo io vado cercando da tanto tempo. Più studio, più mi convinco che la filosofia moderna deriva da un riesame del problema della conoscenza. È solo errori la nuova filosofia? Solo odio alla Chiesa? No. Non lo dico io, non lo dici tu. Tra le loro conquiste, conquista, per loro, centrale è quella che il conoscere è fare o farsi, cioè, pensare, nel senso stretto di esprimere quel che è nel soggetto. Dice Croce: supporre un mondo diverso dal nostro, è supporre l'inconoscibile, l'impensabile. Per l'uomo l'inconoscibile è come se non fosse. Croce dice: non è. Croce continua: uno storico parla di miracoli e reca testimonianze molteplici e chiare. Tempo perduto. I1 miracolo non è pensabile. Dunque non è. La storia e la filosofia sono un andar avanti e non un tornar indietro. Avanti si va accettando la parte di vero del presente, nel quale, come tu dici, è anche il passato. Per me il nodo si scioglie riconoscendo che la fede non è pensabile, ma solo credibile; non è filosofia, ma solo fede. La fede, però, senza risolversi in filosofia e storia si unisce all'una e d'altra nello spirito pensante e credente; e ne nasce la storia, ecc. » (lett. del 26,
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VII, '32). Luigi Sturzo fu richiamato a riflettere su questa lettera del fratello, che lo sollecitava ad approfondire, come vedremo, il rapporto fede e storia, ma un'osservazione subito gli mosse: perché Mario teneva conto solo dell'idealismo conie se fosse un sistema filosofico universale da tutti conosciuto e accettato? Perché non allargava il suo orizzonte alle altre filosofie moderne, che avevano anch'esse investito il problema gnoseologico? « I1 dubbio moderno, che in sostanza è uno scetticismo, parte da Kant - scriveva Luigi -. Circa le correnti moderne, oltre l'idealista, che ha perduto molto anche in Germania (in Francia ed in Inghilterra è stata sempre una scarsa minoranza) esistono il neo-realismo (diffuso in Inghilterra e America), l'intuizionismo (diffuso in Francia sotto l'aspetto bergsoniano) e altre correnti secondarie 14, che spostano notevolmente il problema gnoseologico. Dico questo non per non tener conto degli sforzi dell'idealismo per trovare una maggiore corrispondenza alla realtà conoscitiva, ma per evitare la sopravalutazione di una sola corrente. Ma questo è detto en passant. I1 punto centrale è per me la pensabilità naturale (filosofia) dell'esistenza di Dio, in base al processo di trascendenza. Questo processo, del resto, è anche quello degli idealisti, che solo per via di trascendenza arrivano si concepire uno Spirito unico. È vero che essi risolvono il loro processo in una realtà immanente, ma al grave prezzo di sopprimere tutta la realtà estra-soggettiva e rinchiuderla nel soggetto, completamente isolato » (lett. del 30, VII, '32). Perché la fine imposta al vescovo della « Rivista di autoformazione » e perché una « ritrattazione » così pesante? Si poteva parlare di scritti « contro la dottrina cattolica » in una ricerca così aperta e problematica? Secondo Felice Battaglia, non piacque ai censori la tesi del vescovo di Piazza Armerina che non vi sarebbe una filosofia, nemmeno quella scolastica, da accreditare sulle 14. Già due anni prima Luigi Stuno aveva scritto al fratello sulla estraneita deilo storicismo fra i filosofi francesi: « [...l i filosofi francesi in genere e i cattolici in speciale mentre hanno discusso e discutono a fondo il problema della scienza della natura (fisica e naturale in genere) e mentre han creato (bene o male) la scienza sociologica, nel senso della struttura e delle leggi della societa (awicinandola prima d a biologia, poi alla sociologia fino a farne poi una scienza originale) sono rimasti estranei alla corrente dello stoiicisrno come studio del valore della storia nella filosofia. Per essi la frase la storia 2 filasofia è incomprensibile perché estranea al loro pensiero [...l » (lett. del 23, VI, '30).
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altre: « Né Aristotele né San Tommaso godono presso mons. Sturzo di alcun privilegio, sia per quanto si riferisce alla gnoseologia del primo, sia per ciò che attiene alla grande sintesi operata dal secondo » '', senza che perciò possa dirsi che il vescovo fosse ostile al tomismo. Un articolo polemico con la « Civiltà cattolica », che aveva sostenuto essere la scolastica la « sola e vera filosofia », chiarisce la posizione di Mario Sturzo. I1 vescovo era d'accordo con l'affermazione che la scolastica era « la sola filosofia che s'accorda in tutto coi dati della rivelazione », ma quanto al resto, ch,e fosse anche « la sola e vera filosofia ì> era cosa che, « per lo meno », aspettava d'essere provata; comunque sia, a Mario sembrava che un'affermazione del genere non fosse accettabile sul piano del metodo. E poiché l'articolista della « Civiltà Cattolica » contestava in blocco il metodo storico, Mario Sturzo sottolineava come nemmeno S. Tommaso fosse giunto a tanto, di condannare il metodo storico, ma che anzi seguì Aristotele proprio in questo modo: « Oggi però - scriveva il vescovo - non c'è studioso degno di questo nome, che ignori come il metodo storico sia necessario alla retta comprensione non solo della filosofia, ma delle scienze e delle stesse arti. Non dunque il metodo storico doveva condannare l'articolista, ma il suo non retto uso nelle scuole ». Ma il colmo sembrò a Mario che si sostenesse nell'articolo essere male minore che si togliesse dall'insegnamento nelle scuole statali, ogni insegnamento di filosofia, piuttosto che gettare i giovani « in balia dello scetticismo o di teorie che insegnano a sragionare ». Commentava il vescovo che l'articolista non aveva considerato che « son filosofia le lettere, i romanzi, i giornali! la tradizione, la storia, da cui non si può uscire e in cui, più o meno, da tutti si vive D 16. Ce n'era abbastanza per attirarsi addosso inimicizie e sospetti: si incominciò a indagare sul « neo-sintetismo » del vescovo e se ne scoprirono « i pericoli ». I1 vescovo non cercò di eludere lo scontro e nella sua rivista continuò a insistere nella difesa del metodo storico, a rifiutare privilegi di dottrina, ed a polemizzare, con fine ironia, contro coloro che chiamava « i fossili », e che così descriveva: « Chi si serra dentro la cerchia delle sue idee, appunto perché 15. F . BATTAGLIA, OP. cit., p. 19. 16. M. STURZO,La filosofia e le filosofie, in «Rivista di autoformazione n, rnaggic-giugno 1927, anno I, fasc. 2, pp. 49-74.
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ivi si serra [si noti la parola serrarel, non vede ciò che ferve attorno a lui, o, se lo vede, lo vede in funzione delle sue idee » 17. I « fossili » evidentemente non la perdonarono al vescovo. Si chiese Felice Battaglia fino a che punto non poterono influire sull'intervento del Santo Offizio « risentimenti o almeno riserve politiche conseguenti all'azione e al pensiero del minore fratello, esule dal 1924, ma in continuo contatto con mons. Mario, anche con riferimento alla Rivista » l" Cosa che non è da escludere, sebbene la lettura del carteggio non sembri confortare questa supposizione. Sappiamo, però, da fonte sicura che dopo l'avvento del fascismo al potere, il vescovo di Piazza Armerina fu indicato nelle relazioni del Prefetto di Caltanissetta come un nemico del fascismo, giungendo a chiedersi di lui anche il trasferimento di sede lg. Nel giro di venti anni, dagli inizi del secolo all'avvento del fascismo, si era verificato un netto capovolgimento di posizioni dell'autorità politica nei confronti di mons. Mario Sturzo; nella nota informativa della Procura del Re di Caltagirone alla vigilia della sua nomina a vescovo, di lui si diceva che possedeva « una vasta cultura in ambo le discipline teologico-morali, propugnatore appassionato dei principi che governano la democrazia-cristiana, egli si è fatto un propagandista instancabile » 'O. Si dava quindi il nulla osta alla sua nomina a vescovo. Anche in prosieguo di tempo, quando il vescovo, una volta insediatosi nella carica, intraprese una ferma politica nei confronti di certe frange del clero locale, riottose all'autorità diocesana, e poco inclini ad accettare trasferimenti, nomine, rigori disciplinari decisi dal vescovo, l'autorità politica continuò a dirne bene, nonostante le manifestazioni di piazza avverse, . 17. M. STURZO, I pericoli del sintetismo in « Rivista di autoformazione D, gennaio-febbraio 1930, anno IV, fasc. 1, pp. 48-49. OP. cit., p. 22. Sui rapporti fra Croce e i fratelli Sturzo, 18. F. BATTAGLIA, cfr. ANTONIOBRANCAFORTE, Benedetto Croce e Mario Sturzo, vescovo di Piazza Armerina in « Vita e pensiero », n. 2, 1968, pp. 156-160. 19. Cfr. Archivio Centrale dello Stato, Fondo Culti, cit. 20. Ibidem, Lettera del Procuratore del Re di Caltagirone, in data 8 maggio 1903. I n altro rapporto (del 1919) del Prefetto di Caitanissetta alla Procura locale, a proposito di una dimostrazione contro il Vescovo si leggeva: «La condotta morale del vescovo è ottima sotto ogni rapporto; la sua condotta politica è poi assai encorniabile; mons. Sturzo è prelato dottissimo, un briuante conferenziere, un cultore delle scienze sociali, durante la guerra e& ha pronunziato discorsi ispirati ad alta fedeltà patriottica [...I n. Si diceva nel rapporto dell'esistenza di una corrente ostile al vescovo. I1 rapporto reca la data del 10, VI, '19.
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di cui talvolta fu fatto oggetto, e gli esposti che furono presentati contro di lui alla magistratura. Ma dal 1924 in poi, che è l'anno della partenza del fratello Luigi per l'esilio, l'atteggiamento dell'autorità di polizia, del governo e della magistratura mutò radicalmente, e quel che una volta erano i suoi meriti divennero demeriti. Una relazione della sottoprefettura di Terranova alla Prefettura di Caltanissetta si apriva così: « Mons. Mario Sturzo, vescovo della diocesi di Piazza Armerina, che comprende i Comuni di questo circondario, è fratello di fuoruscito' d. Luigi Sturzo e non può quindi non condividerne i sentimenti e l'indirizzo politico » e più in là si precisava che l'opinione pubblica riteneva il vescovo « come nel passato, un seguace fedele delle idee del proprio fratello e che, per quanto non si sia abbandonato ad aperte manifestazioni ostili, non nutre certamente sentimenti di simpatia verso l'attuale governo » 'l. I1 sottoprefetto di Piazza Armerina inviava un rapporto ancora più duro, scrivendo che il vescovo Mario seguiva « l'ostinata intrasigenza del fratello, sperando in un facile ritorno dell'antico regime nel quale la provincia di Caltanissetta e più specialmente i circondari di Piazza e Terranova costituirono le cittadelle del popolarismo ». Lo si accusava in particolare di mantenere rapporti segreti con l'on. Aldisio e con il prof. Caristia e di preparare un viaggio in Francia per incontrarsi con il fratello, si dava notizia degli atti che il vescovo stav'a preparando per acquistare certe terre di Luigi « allo scopo di frustrare le disposizioni della nuova legge sui fuorusciti che sancisce la confisca dei beni ». Naturalmente si mandavano agenti ad ascoltare le sue prediche e conferenze; si ricordava il discorso che tenne il 5 aprile del 1926 in Seminario nel quale « tratteggiò la lotta tra Chiesa e potere laico nel secolo di S. Francesco d'Assisi, mettendo in evidente rilievo che il trionfo della Chiesa nel secolo XII significa trionfo definitivo del potere ecclesiastico su quello laico ». I1 vescovo avrebbe quindi accentuato « tale concetto, adattandolo anche ai tempi moderni con evidente significato all'attuale regime ». I1 sottoprefetto concludeva ritenendo « imprescindibile necessità che il vescovo Sturzo ed il vicario generale Vincenzo Fondacaro » fossero « trasferiti in sede lontana dalla Sicilia e posti in condizioni di non potere svolgere la 21. Ibidem, relazione dei sottoprefetto di Terranova Sicilia, in data 10 marzo 1926.
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loro opera perniciosa » così come la svolgevano « in questa diocesi U. Dunque, tutto era contro il Vescovo, gli si rinfacciava il suo passato di democratico cristiano, la sua simpatia per il popolarismo, ma soprattutto di essere fratello del fuoruscito Sturzo. Di questa pesante situazione di sospetti, denunce, insinuazioni Mario non fece mai parola con Luigi. La <( ritrattazione impostagli dal S. Offizio e la fine della rivista facevano parte della guerra mossagli dal fascismo, per il fatto di chiamarsi Sturzo? I due episodi sembrano estranei l'uno all'altro, niente lascia indovinare un qualche collegamento, anche se a Piazza Armerina più d'uno possa avere gioito dell'intervento del S. Offizio. Mario cercò di tenere all'oscuro il fratello sulla difficoltà dei suoi rapporti con la Santa Sede a causa dei suoi scritti filosofici, con le tesi sul tomismo e sull'idealismo e sull'insegnamento nei seminari. Era stato ammonito a non continuare nei suoi tentativi << sintetistici » e poiché si vedeva nella rivista Autoformazione >> <( non un servizio, ma una lotta D, decise di sospenderla. Di questo gran questionare Luigi seppe colo attraverso la stampa, tanto da lamentarsene con il fratello vescovo, il quale così gli scriveva il 9 aprile '31: Hai ragione. Di tante cose non ti ho scritto, benché tu me ne abbia richiesto più volte. Spero però che tu ne abbia indovinata la ragione. Aspettavo di prendere una decisione, 'per la quale avevo ragioni pro e contro. L'ho presa ora. Sospendo.la pubblicazione della rivista, perché in essa si vede, non un servizio, ma una lotta. Certe tue previsioni di molti anni fa, si son purtroppo awerate. I o sono sereno e rassegnato. Spero ottenere con la preghiera, quel bene che non ho saputo attuare col mio povero lavoro. Non mi ha fatto prendere questa decisione il contegno dei nostri buoni amici, ma qualcosa di più alto e autorevole. Tu intendi ». Mario si augurava che, sospendendo la rivista e piegandosi a << ritrattare D non ci sarebbe stato clamore. Pensava, insomma, che non si sarebbe data pubblicità al suo gesto; con rammarico, invece, vide che il 19 aprile '31 la << ritrattazione richiestagli dal Sant'Offizio apparve suli'« Osservatore Romano D. Luigi, dal suo canto, ¶uando lesse il documento pubblicato, provò gran dolore, come risulta dalla lettera del 24 aprile. 22. Ibidem, relazione del sottoprefetto di Piazza Armerina, in data 9 aprile
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Mario, nella sua cartolina del 9 aprile, aveva accennato a certe previsioni del fratello <( di molti anni fa D. In effetti Luigi (lett. del 15, IV, 1931) ricordò di avere presentito D, non molti anni addietro, ma nell'estate del '30, quando scrisse la cartolina del 3 settembre da Oxford D, quel che sarebbe accaduto al fratello. Ma la lettera da Oxford lascia indovinare al più una resistenza da parte degli organizzatori del Congresso di filosofia ad ammettere la lettura della relazione sul neo-sintetismo, inviata da Mario Sturzo. Dice il passo della lettera di Luigi: i(sono qua al Congresso di filosofia. Italiani solo Croce, Ferretti, Enriques e De Ruggiero. La tua relazione non fu compresa: il presidente della Commissione amico personale di Croce, anticlericale e non comprende bene l'italiano. Preconcetto: bisogna far posto o alle notabilità o ai professori delle varie Università D. Sembrerebbe, dunque, che la resistenza ad ammettere la relazione di Mario Sturzo al Congresso di Oxford, se stiamo al testo della lettera di Luigi, sia stata dovuta a << preconcetto anticlericale », di natura accademica: non si accenna ad altre ingerenze estranee all'ambiente. I n una successiva lettera del 6 settembre, Luigi dà un breve resoconto del Congresso di Oxford, ma non accenna più al <( preconcetto anticlericale D. Mario poi, pur constatando amaramente che il suo <( neo-sintetismo » non interessava ancora i filosofi, dichiarava che non si sarebbe arreso e avrebbe continuato a lavorare [lett. del 7, 111, '30). È difficile, dunque, ricostruire sulla base delle lettere scambiate fra i due fratelli Sturzo in che cosa consistevano esattamente le c previsioni D: interventi nascosti di natura politica per impedire ai fratelli Sturzo di prendere la parola? Tuttavia Luigi parlò anche del neo-sintetismo D. Comunque sia, Sturzo ritenne che la decisione del vescovo di Piazza Armerina di porre fine alla rivista e di firmare la ritrattazione fosse la sola che si poteva prendere, date le circostanze >> (lett. del 15, IV, '31). La reazione di Mario, a decisione presa, rivela la sua nobiltà d'animo, la sua grande spiritualità, la profondità della fede. I1 12 maggio 1931 scriveva al fratello: <( Si licet magna componere parvis, a questa volta m'è toccato far come Socrate: confortare, quando avrei io dovuto ricevere conforto. E ciò è avvenuto senza sforzo o posa, perché io veramente non ho avuto bisogno di conforto, e ringrazio Dio e lo prego per te D. Oramai ha deciso, si dedicherà pienamente e con passione alla vita pastorale:
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« O h la vita pastorale! I1 buon Dio mi compensa. Superabundo gaudio. Tra tanta luce, la sola ombra è il pensiero di chi, dopo Dio, più amo in terra » (lett. del 22, V, '31). La crisi gli tolse « il genio delle speculazioni filosofiche ed il gusto », facendolo passare « in altrò stato di mente ». Si sentiva preso ora dai doveri pastorali in modo intenso » e come se incominciasse ora « a fare il vescovo D (lett. del 29, V, '3 1): « Sto bene, - aveva scritto al fratello il 6, V, '31 - ho l'anima in festa. Né crederai che io esageri. Quel che $ avvenuto non ha fatto che spegnere una serie di pensieri in me, per destarne altri in una pace, in un gaudio e fervore di attività di cui io stesso non mi saprei render conto, se non sapessi che Dio ci ama più di quanto noi amiamo noi stessi ». una conseguenza ci fu della crisi anche nella storia del carteggio: le parti fra i due fratelli si rovesciarono e, mentre prima era Mario, che poneva domande per le sue opere filosofiche al fratello, ora era Luigi che chiedeva al fratello di leggere i propri scritti e di dargli un-apporto critico U.
3 - I1 29 maggio 1928 Luigi informa il fratello di avere finito di leggere Prière et Poésie di Henri Bremond ": « È un li23. Scriveva Luigi il 18, V, '31: « Hai ragione; è strano che abbiamo cambiato le parti fra me e te; ma tu sei ben Socrate, con l'aggiunta di una grazia speciale che trasforma i sentimenti umani ». 24. La Poesie pure, Prière et poésie, Racine et Valéry non sono certo fra gli scritti di Bremond quelli che hanno più resistito al tempo. Alla lettura essi rivelano la loro occasionalità e indulgenza alla mondanità. Goichot con molto acume ne ha analizzato, in margine al suo lavoro più ampio su Henri Bremond, historien du sentiment religieux, l'origine e la struttura linguistica. Goichot, anzitutto, rileva come la triade suddetta è costituita dai residui del naufragio di un libro che Bremond aveva sognato e che non arrivò a condurre in porto: Emmaus, «volume de théorie sur les trois expériences, mystique, religieuse, poétique D, come scriveva lo stesso Bremond a Blondel, l'esperienza poetica permettendo, ma anche le altre due ma sotto forma più fuggitiva, di raggiungere « l e fond de I'ame s'ouvrant au don en éclair de présence ». Secondo Goichot il progetto bremondiano delI'Emmaus rappresenterebbe nulla di nuovo rispetto alla riflessione mai interrotta, che presiede alla genesi della famosa Histoire du sentiment religieux. I n effetti, per la parte essenziale, Prière et poésie era già scritta nel 1914, neli'introduzione teorica aii'Histoire, ma Bremond non volle perdere l'occasione, che gli venne offerta dall'Accademia di Francia di tenere una lettura, per tentare un'uscita clamorosa, in pubblico, del suo progetto di ricerca e di quanto era venuto rimuginando sulla poesia pura. Ma forse l'accoglienza ambigua che n'ebbe lo fece rimeditare sull'idea di spingere, oltre i propri limiti di fine interprete della sensibilità religiosa, nel campo più teorico le proprie idee sulla mistica: « Certains enthousiasmes autant que certaines résistances lui montrèrent que le projet te1 qu'il l'avait envisagé était prématuré, que le genre meme de l'essai, suggérant des vues qu'il
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bro che ha molti pregi: sono in dubbio sulla sua tesi che l'esperienza mistica ha un fondo simile con l'esperienza o ispirazione poetica [...l. I1 fondo filosofico del libro è credo l'intuizionismo bergsoniano I > . Dunque, la prima opera di Bremond che Sturzo legge è Prière et Poésie e non ancora i volumi dell'Histoire du sentiment religieux en France, di cui erano già usciti sei. Alla fine del 1928 uscirono il 7" e 1'8" volume. Sturzo però possedeva sicuramente il primo volume, 1'Humanisme Séudt, fra i più belli e originali della vasta opera di Bremond, anche se non aveva avuto ancora « il tempo di leggerlo » (lett. del 17, X, 28). Poiché il fratello non manifestava alcun parere, il 25 giugno 1928, Sturzo gli chiedeva: « Hai letto Bremond? Prière et Poésie? ». Non rilevando ancora segni di interesse da parte di Mario, torna a ricordargli La Poésie Pure e Prière et Poésie, e la discussione che ne era seguita in Francia: « Leggendoli si capisce meglio il così detto impressionismo dell'arte francese attuale, dalla musica alla pittura alla poesia: e si capisce la reazione contro la fredda poesia ragionativa e classica della Francia » (lett. del 23, XI, '28). Qualche giorno dopo forniva a Mario l'indirizzo della libreria parigina, dove avrebbe potuto trovare Poésie Pure, con l'indicazione anche del prezzo, 16 ne pourrait déployer dans toute leur ampleur ni assurer en doctrine, l'exposait à etre compris à contre-sens ou, ce qui serait plus dangereux encore, à &re compris trop vite ». Come aveva previsto Bergson, Bremond, dopo Poésie Pure e Prière et poésie si sarebbe dovuto inoltrare in una speculazione filosofica: una prospettiva non allettante per Bremond che avrebbe dovuto mettere in bilancio lo scontro con i teologi, che lo tenevano già sotto tiro: « Mieux valait continuer - gli consigliava Bergson - à faire prudemment "figure d'historien, non pas de docteur", constituer un corpus historique incontestable, laisser en somme les "saints" formuler eux memes leurs "méthaphisique" » (p. 220). Cfr. EMILEGOICHOT, La Poésie pure ou Emmaus. L'enjeu d'une querelle littéraire, in « Travaux de linguistique et de littérature P, pubblicati dal « Centre philologique et de littérature romance de 1'Université de Strasbourg », XVIII, 2, 1980, pp. 193-220. Prière et poésie solo recentemente è comparsa in traduzione italiana con il titolo, Preghiera e poesia, a cura di Wanda Rupolo, ed. Rusconi, Milano 1984. Cfr. la mia recensione Preghiera e Poesia in « I1 Tempo», 16 giugno 1984. - È evidente che S t u m non era interessato a partecipare in alcun modo alie polemiche e anche ai pettegolezzi che vennero fuori con la pubblicazione del libro-scorribanda di Bremond. È importante invece cogliere come egli reagisse al progetto bremondiano positivamente, in quanto ne vide subito i riferimenti sul piano storico e speculativo, per lui di enorme importanza. . In Italia il saggio più approfondito e ampio sul pensiero religioso di Bremond è di Armando Savignano, Henri Bremond. Preghiera-poesia e filosofia della religione, editrice Benucci, Perugia, 1980.
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franchi. Ancora un mese o poco più di silenzio, poi Mario deve avergli scritto (la lettera purtroppo non si è trovata) dimostrando di saperla lunga su Bremond: aveva appreso che nel 1913- insieme con le Annales de philosophie chrétienne, di cui era segretario di redazione Laberthonnière, era stato messo all'iridice il libro di Bremond sulla Sainte Chantal: sembra che l'accusa fosse di immanentismo 25. I1 contenuto della lettera di Mario, che non avrebbe mai immaginato che un incidente del genere sarebbe toccato a lui di D a qualche anno, si deduce dalla risposta che gli indirizzò Luigi e che è molto importante per capire la disponibilità e apertura mentale con le quali egli leggeva gli scritti del grande storico francese, i cui meriti scientifici erano indiscutibili e le cui tesi sull'umanesimo devoto stavano aprendo nuove prospettive di ricerca in Francia: « Di Bremond - scriveva Luigi Sturzo - non so nulla all'indice, forse, mi dicono, la sua vita sulla Santa Francesca Chantal. Ma la produzione del Bremond è tanta e cosi accreditata nel mondo cattolico e in quello semplicemente letterario, che quel ricordo, se c'è, non desta nessuna preocciipazione contro. A parte ciò io non comprendo l'accusa di irnmanentismo, nel senso gnoseologico della parola, se non come non-espressionismo o antiespressionismo. Ora a 25. Anche su Blondel e sulla sua opera L'Action Mario aveva sollevato sospetti, tanto che Luigi gli scrisse il-26 marzo 1929: « Blondel fu minacciato di vedere il suo libro sottoposto al S. Ufficio; ma Pio X gli concesse di no, se egli ritirava le ultime copie rimaste in circolazione e di non farne (per d o r a ) altra edizione. Blondel secondò i desideri di Pio X. Passate le preoccupazioni modemiste, e anche l'offensiva deil'dction Francaise, che allora passava per difensore della Chiesa, la posizione ortodossa di Blondel si è rafforzata ed ora non solo circolano le edizioni dell'kione, ma i commenti di alunni e ammiratori. Blondel cerca di deviare le correnti bergsoniane, che sono fortissime, anche presso i cattolici, come tu vedi nel Bremond. Di fronte vi sta Maritain, ma con la caduta dell'tlction Franqaise la stella di Maritain va tramontando. Che mélange di filosofia, politica, arte! Ma cosl è stato sempre in Francia più che altrove ». I n altra lettera di poco successiva cosi Luigi ricordava i suoi primi effimeri approcci d a filosofia di Blondel: « Un tempo (circa 28 anni fa) ne [di Blondel] ero entusiasta; e più di me.Torregrossa. Poi ebbi dei dubbi e poi non me ne interessai più. Da tre anni vi è in Francia fra i cattolici un risveglio di blondelismo, un po' per reazione al tomismo stretto di lì, e un po' per contrapposizione ali'intuizionismo di Bergson. Egli, qual professore dell'Università di Aix, ha formato una scuola (piccola ma fedele) attorno a sé. Io riconosco che la volontà è facoltà conoscitiva pratica, come tu sostieni molto bene nel tuo lavoro; ma la tendenza ali'infinito è in essa, cioè anche in essa; altrimenti saremmo soddisfatti dei beni finiti. Nel tuo concetto sintetico non dovresti demarcare cosl mente e volontà da assegnare l'infinito alla prima e il finito d a seconda (lett. del 5, IV, '29).
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me non sembra che possa ciò dirsi del Bremond. Di Laberthonnière io ho un ricordo languido. Fra i miei libri di Caltagirone ce ne deve essere uno del Laberthonnière, ma non ricordo più nulla. I1 problema sollevato da Bremond, e meglio nel Prière et Poésie, anziché nel Poèsie pure, che è un fastidioso libro di polemiche francesi, m'interessa e dal lato estetico e da quello mistico » (lett. del 5, I, '29). I richiami a Bremond abbondano nelle lettere di Sturzo, in tutte le annate dei carteggi, prova che il suo non fu un interesse passeggero, né una curiosità. I1 fratello non condivise mai questo interesse, anzi manifestò, ogni volta che se ne offerse l'occasione, una forte resistenza, se non un rifiuto, ad accettarne le tesi, tanto sulla poesia, quanto sulla mistica. Ma questo rifiuto non è da vedersi in rapporto alla questione della messa all'indice del libro sulla Sainte Chantal e nemmeno sulle vociferazioni clericali di un Bremond cripto-modernista, ma in rapporto a tutto il problema della valutazione della filosofia intuizionista e delle correnti letterarie e storiche che in qualche modo da essa discendevano. Sturzo non era un bremondiano, come non era un bergsoniano o un seguace di Blondel. Da giovane si entusiasmò per l'autore de L'Action, ma f u entusiasmo di stagione, che non lasciò segno. Ora in Francia si occupava di Bremond, di Bergson, di Blondel 26 e ancora di Rudolph 26. Sturzo nutrì molta stima per Blondel. Recensendo La Pensée affermò che quest'opera rivelava la « maturità del suo sistema, con una continuità meravigliosa daiia sua prima intuizione ad oggi, e con una coerenza intellettiva e una scrupolosità scientifica che meritano tutta l'attenzione non solo del filosofo, ma di ogni persona colta ». A Sturzo interessava l'analisi che Blondel faceva deii'irrazionale nella conoscenza umana, «una delle vedute fondamentali della storia blondeliana che lumeggia tutta la costruzione ». Cfr. L. S., « Maurice Blondel's La Pensée »: the Philosophy of « L'Élan Spiritue1 », in « The Hibbert Journal », aprile 1936. - Quanto ai rapporti di Bremond con Blondel, si rinvia ai tre volumi della Correspondance, curata da A. Blanchet, ed. Aubier, 1970-71. Bremond seguì le lezioni che il giovane professore Blondel (1861-19491, teneva nel 1897 alla Università di Aix-en-Provence. Come ha osservato Emile Goichot, confrontando i primi articoli di Bremond, negli anni dei suoi incontri con Blondel, si resta colpiti dalla permanenza di alcuni motivi, che erano già presenti nel Bremond lettore e amrniratore di Newman e che egli ritrovò in Blondel: « il (Bremond) exalte l'inquiétude religieuse opposée aux trompeuses sécurités du dogmatisme ou d'un "christianisme bourgeois"; la connaissance réelle, le real assent, opposée à la connaissance notionnelle. Ce que condensent déjà, en un double devise, les phrases qu'd mettra en exergue de son premier recueil (intitulé précisément L'lnquiétude religieuse): l'adage newmanien T o be at ease is to be unsafe, et celui de saint Anselme Non in diaìectica complacuit Domino saìvum facere populum suum. C'est dire qu'il retrouve chez Blondel ce qu'il avait découvert chez Newman ou plut6t qu'il se retrouve
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Otto, come interpreti di un'esigenza di spiritualità moderna, come documento di una diffusa esigenza di superare le riduttività della filosofia a pura gnoseologia. Certo, a Mario doveva sembrar singolare che il fratello si attardasse a difendere l'opera di Bremond, anche quando Luigi si sforzava di fargli capire che era ben lungi dall'essere un adepto dello scrittore francese: « io non sono d'accordo con il Bremond, parlando di io superficiale e di io profondo, come due mondi: - scriveva Luigi - e poi la terminologia è superficiale e non profonda. Però non potendosi negare la natura di quella che si dice intuizione estetica o intuizione mistica diversa dalla semplice conoscenza o diretta o ragionativa di una verità, si deve trovare la via della spiegazione e della differenziazione » (lett. del 6 , 11, '29). Dava, dunque, Luigi un valore autonomo a quella che il fratello chiamava la subcoscienza? « Per intenderci - gli rispondans Blondel comme il s'était retrouvé en Newman D (p. 32). I n una pagina molto bella e chiarificatrice Goichot, analizzando il senso dell'adesione di Bremond a Newman e a Blondel, sulla scorta anche delle ricerche finora compiute, osserva che L'Action, l'opera principale di Blondel, nel suo tentativo di determinare in maniera rigorosamente filosofica le condizioni necessarie per il raggiungimento dell'azione umana, non avviava alcuna specie di pragmatismo apologetico, in quanto essa era animata da una ambizione di ordine ontologico: liberare l'agire dalla incrinatura, dalla mancanza essenziale, dail'esigenza e dail'insoddisfazione egualmente irriducibile, che l'obbligano a cercare al di là dei limiti naturali il proprio punto di equilibrio: « L e newmanisme, le blondélisme peuvent bien se présenter comme de pédagogies de l'inquiétude; mais à I'évidence, ni Newman ni Blondel ne sont des inquiets, et l'art de persuader ruse ici pour communiquer des certitudes sereines. Chez Bremond, I'inquiétude est vécue et première » (p. 292). Presso a poco negli stessi termini si esprime Emile Poulat: « [...l s'il [Bremond] a été lié à Blondel "qui est, B mon sens le contraire d'un moderniste" -, i1 n'a jamais été blondélien: le blondélisme ceste sur le plan théorique où se situe le modernisme. L'un et l'autre ne pensent qu'à expliquer le réel, le vécu. Bremond, lui, ne s'intéresse qu'aux 6tres qui ont vécu cette réalité - mystiques et poètes - ou, inversement, aux Critique et mysliqzie. discoureurs qui n'ont pas su la vivre ». Cfr. EMILEPOULAT, Autour de Loisy ou la conscience catholique et l'esprit moderne, le Centurion, Paris 1984, p. 72. Su Bremond e il modernismo si veda anche dello stesso E. POULAT,Une Oeuvre clandestine d'Henri Bremond. Sylvain Leblanc, un clerc qui n'a pus trahi. Alfred Loicy d'après ses mémoires (1931), Edizioni di Storia e Letteratura, Roma 1972. Sylvain LebIanc fu lo pseudonimo adoperato da Bremond in questo scritto su Loisy nel quale, come ha scritto Poulat, obbedì a tre sentimenti: « honorer une amitié, acquitter une dette, servir la justice~ (p. 8). Bremond, infine, non si preoccupò di alcun approccio razionale, filosofico al problema antico, che già aveva interessato Pascal, dell'inquietudine, non cercò conforti, istituzioni, formule dogmatiche. La domanda di Bremond era altra, agli inizi, più empirica si direbbe: che cosa c'era di realmente profondo, autentico, nell'esperienza della preghiera? Cfr. EMILEGOICHOT,Herzri Bremond historien du sentiment religieux, Edition Ophrys, Paris 1982.
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deva Luigi sub-coscienza non è una facoltà a sé, come non è, per me, facoltà la coscienza » ed aggiungeva una critica, che a Mario non piacque: « C ...l tu tendi troppo a risolvere i dati della coscienza in conoscenza, cioè intellettualizzi troppo quel che ha un valore completamente sintetico e inscindibile. Così tu riduci la sub-coscienza in memoria » (lett. del 12, 11, '29). Ma è nella lettera del 10 maggio 1929 che L. Sturzo spiega il metodo che egIi seguiva nella lettura tanto di Blondel, quanto di Bremond: « Da quello che ho potuto cogliere le volte che sono stato in Francia, o leggendo qua e là, io credo che il tentativo di Blondel, ripreso ora con tanto ardore, come tutta la produzione di Bremond, che è importantissima, risponde ad un bisogno molto sentito, per loro, cioè quello di superare l'intellettualismo cartesiano, molto arido, che ha formato gran parte della mentalità francese; inoltre il toinismo è per loro (e per molti) troppo intellettualistico e razionalistico, e perciò molto arido. Non è rispondente alle correnti mistiche che oggi affiorano dappertutto. E poiché le teorie non solo valgono per quel che contengono ma anche per gli stati d'animo che rappresentano, così non si può negare valore a quella di Blondel D n. Si è fatto il nome di Rudolph Otto che ricorre nei primi anni al pari di quello di Bremond, suscitando le stesse perplessità nel fratello Mario: « Sul problema del sacro - scriveva Luigi il 16 settembre 1928 - io desidero precisare che non è la stessa cosa della conoscenza di Dio, ma è una categoria speciale del nostro ruolo di conoscere e sentire. L'oggetto che può destare un tale modo di conoscenza è indirettamente o per conseguenza Dio. I1 primo fondamento, secondo Otto, di tale categoria è quello che egli chiama il senso creaturale cioè il sentirsi creature limitate, dipendenti da un essere riconosciuto; o da forze superiori. L'altro è il senso del Numen (perciò numinoso) cioè il sentire questa potenza inconosciuta e il temerla. Da ciò il senso della Divinità, anche se l'oggetto, i termini e le connotazioni siano errate; e il senso opposto della energia'o demonità ». A questo punto, nuova sottolineatura della 27. Luigi insisteva ancora suii'importanza deiie correnti volontariste e mistiche nella lettera del 22, V, '29: «Dal punto di vista del pensiero religioso le correnti volontariste e mistiche hanno un valore molto maggiore di queiie puramente intellettuaiistiche. La ripresa deI Tomismo dal XIX in poi è un effetto a distanza di tempo del neo-razionalismo dei secoli XVII e XVIII. Dico neo-razionalismo, perché quelio degii scolastici, da Abelardo in poi, fu a modo suo un razionalismo D.
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lettura di Otto, come di Bremond, in quanto espressione o esigenza di uscire dalla riduzione dei fatti della coscienza (e subcoscienzaj a pura gnoseologia, a logicismi, di qualsiasi provenienza, idealistica o tomista: « Non è possibile concepire un uomo primitivo senza questo senso della Divinità: è l'uomo razionalista e intellettivista Csicl, che giuoca troppo sulla logica o su metodi scientifici limitati che nega Dio; e non sempre per solo errore intellettivo, ma principalmente per errore morale. Io m'ingannerò, ma dò molta importanza a quanto ti scrivo ». Certo, questo richiamarsi all'antropologia culturale, con il senso del Numen di Otto, e alla storia della preghiera di Bremond come aiuti, mezzi di un discorso filosofico, doveva sembrare al vescovo di Piazza Armerina, impegnato nella difesa del suo neo-sintetismo, una contaminazione inaccettabile. Mentre per Mario il sacro non era che una deduzione logica della idea di verità, per Luigi Sturzo esso stava allo stesso livello del vero e del bello: « Tu credi - insisteva Luigi in altra lettera del 26 settembre 1928 - che la realtà esterna non ci dà l'idea del sacro che come una deduzione logica della idea di verità, cioè intellettualizzi completamente il sacro, e ne fai una semplice deduzione ragionativa e logica. Ora la vita dei popoli ci manifesta in tutta l'attività religiosa un complesso di sentimenti intuitivi, primordiali, fuori di un nesso logico determinato, prevalentemente mistici D. Ora il ruolo autonomo assegnato al sacro, il riconoscimento di valore dato al primordiale, alla mistica, in una parola al mondo della coscienza (e subcoscienza) immediata, sembravano a Mario affermazioni teoricamente estranee al corretto filosofare. Non che Luigi Stuno fosse sempre chiaro e coerente: le sue valutazioni erano talvolta piuttosto grezze, provvisorie, incerte, dando la sensazione di un cercare a tentoni, di un provare e riprovare per un impulso dettatogli dall'esperienza, da una verifica con la pratica, con il vissuto quotidiano. Questa provvisorietà traspariva dai suoi tentativi di classificazione: « Se una classifica si dovesse fare - scriveva il 27 settembre 1928 - io metterei il Bene e il Vero in una classe superiore e più generica; il Bello e il Sacro, in una seconda classe, più specifica: in quanto in tutte le relazioni umane esistono implicite od esplicite le idee di Vero e Bene, e non così di Bello e di Sacro P. A Mario questa idea dell'autonomia del sacro, primo o ultimo in classifica, non era assolutamente convincente. Intanto, contestava
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che la prima cognizione dell'uomo, primitivo o barbaro che fosse, potesse legarsi al sacro: « Per me prima è la cognizione del divino, poi quella del sacro, cioè, il sacro è dal divino. È certo che I'uomo non nasce con l'idea di Dio. Ed è certo che, senza l'istruzione, l'acquista tarduccio. Dunque per degli anni è possibile essere privi di tale nozione? » (Iett. del 2, X, '28). Ma Luigi, di rimando: « il sacro è per me prima del divino, e appreso direttamente dai fatti e dai sentimenti naturali, ed è in tutti i popoli, in tutti i tempi e in tutte le persone in embrione come l'idea del bello 1.. .l. I1 divino, cioè l'idea di Dio deriva da tutto il complesso delle idee fondamentali di essere, di vero, di buono, di bello e di sacro » (lett. del 6 , X, '28). Talvolta, nella polemica fra i due, sembra ci siano più fraintendimenti che diversità. Si legga la lettera di Mario del 12 ottobre 1928: « Prima di conoscere Dio I'uomo ha, non il sacro, ma il pio, la pietà, che è cosa diversa. L'idea di Dio dei barbari è antropomorfistica [sicl. Al concetto veramente filosofico di divino non si arriva che per l'esigenza dialettica del contingente, del limitato, di ciò che comincia e finisce ». Luigi replicava che egli non confondeva il sacro con la nozione, filosofica o teologica che fosse, di Dio; il sacro era una categoria per lui che conduceva all'idea di Dio: « Io non fo dell'idea del sacro una prova dell'esistenza di Dio, ma un cammino verso » (lett. del 2, XI, '28). Qualche tempo dopo, Mario doveva ammettere che per il momento non c'era possibilità di intendersi nella questione del sacro: « Circa il sacro siamo su due piani diversi e forse non c'incontreremo mai: tu sei su un piano che vorrei chiamare poetico, io in uno che penso sia fìlosofico » (lett. del 18, XI, '28). La polemica era venuta crescendo lettera dietro lettera fra i due fratelli: più di una volta l'accordo o la comprensione reciproca sembrò impossibile, ma poi, dopo una pausa, riprendevano lo stesso tema e cercavano di trattarlo ancora con la massima volontà di intendersi. In effetti, nel loro discutere non era tanto questione di scegliere fra Bremond, Blondel e S. Tommaso, quanto di capire che cosa stava accadendo nel pensiero moderno e se era possibile e fino a che punto una conciliazione fra il cattolicesimo e le grandi correnti fìlosofiche a loro contemporanee, dall'idealismo all'intuizionismo. Ambedue non erano scolastici, ma amavano rifarsi nelle loro discussioni alla Summa di S. Tommaso, che conoscevano bene.
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S. Tommaso, scriveva Luigi Sturzo, « è come Dante, vale sempre meglio e più dei suoi commentatori » (lett. del 4, XI, '27). Entrambi i fratelli avevano netta la sensazione, che la scolastica avesse troppo razionalizzato il processo della fede e che vi fosse sul terreno filosofico bisogno di una nuova sintesi e di una nuova gnoseologia. La discussione, pertanto, non era sui nomi, ma di fondo e più generale. Potremmo dire che fu Luigi ad aprirla, con la lettera del 10 luglio 1928, allorché, dopo un batti e ribatti con ii fratello sull'uso moderno della parola intuizione, se ne uscì con questa dichiarazione, che suonò sfida ai modo di pensare di Mario: « [...I oggi aggiungo altra idea, che da parecchio tempo mi frulla, senza precisazione: cioè che nella conoscenza, in ogni conoscenza, c'è sempre un margine di non razionalità, non logicità, che è sentito, intuito diciamo noi, senza una spiegazione logica possibile, anzi contro il normale corso ragionativo ». I1 passo, con quel richiamo agli atti non-logici, potrebbe far pensare a Pareto '*,senonché l'irrazionale per Luigi era anche una forma di conoscenza: « Non può disconoscersi che per quanto l'uomo sia sapiente - scriveva il 30 luglio 1928 - non solo non conosce che piccola parte deilo scibile, ma quello che conosce non è tutto categorizzato o categorizzabile. I1 margine quindi di a-razionalità, a-logicità è grande, direi infinito, certo indefinito: e pure questo elemento giuoca la sua parte nella vita degli uomini, ed è parte grandissima ». La risposta di Mario fu categorica: « Non condivido le tue idee circa l'irrazionale. Non si dà che o il noto o l'ignoto. L'ignoto non è irrazionale, ma ignoto ». A Mario sembrava proprio che il fratello scrivesse e parlasse disinvoltamente di concetti e che gli facesse difetto la conoscenza 28. Non si dimentichi che sul terreno sociologico, almeno, il richiamo a Pareto non è superfluo. Ha rilevato già Gianfranco Morra: « La tradizione, cui espressamente la sociologia di Sturzo si ricollega, non è quella inglese del neutralismo pragmatico, né quella tedesca della sociologia speculativa, né quella francese del "fatto sociale". La tradizione di Sturzo è quella propriamente italiana, di Vico e Cattaneo, Pareto e Mosca: la tradizione storicistica ». Dall'intervento alle « Tre giornate sturziane n (26, 27, 28 novembre 1979) in « Sociologia n, gennaio-agosto 1980, p. 134. Si veda anche di G. MORRA,Luigi Sturzo sociologo della libertà, in M . D'ADDIO,A. DI GIOVANNI, E. GUCCIONE, G. MORRA,A. PALAZZO, Politica e sociologia in Luigi Sturzo, Editrice Massimo, M a n o , 1981, pp. 168-182, nel quale Morra rilevava ancora che Sturzo richiamò « l a sociologia italiana alla propria tradizione, che non è né queiia "positiva" dei francesi, né quella "pragmatica" degli angioamericani, né quella "speculativa" dei tedeschi, ma queiia "storicistica" di Vico e Cattaneo, Pareto e Mosca n (p. 171).
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della filosofia: « Credimi, tutto questo arruffi0 di parole e di concetti deriva da deficienze filosofiche » (lett. del 3, VIII, '28) 29. 11 linguaggio si fece perentorio, risolutivo fra i due: « A Dio (conoscenza) non si arriva per intuizione (percezione), ma per ragionamento. Ecco la limitazione e la mediatezza. Chi dice il contrario 2 o idealista o immanentista » (Mario, lett. del 28, VIII, '28); « Oggi siamo su due punti differenti, a parole credo: ma non c'è più modo di continuare la conversazione epistolare. Ci ritornerò più in là. L'irrazionale è la costante ombra della conoscenza; è subiettiva, non obiettiva e non è l'ignoranza: questa è vincibile, l'irrazionale non è mai vincibile » (Luigi, lett. del 28, VIII, '28); ed ancora: « Il Sacro investe tutti i rapporti con la Divinità; a Dio non si arriva solo col ragionamento, ma principalmente; altrimenti si cade nell'intellettualismo » (Luigi, lett. del lo, IX, '28). Mario si ribellava all'accusa di intellettualismo: aveva sempre sostenuto nei suoi discorsi filosofici essere l'atto conoscitivo unità sintetica. C'era bisogno di un'altra conoscenza per comprendere il sacro? A lui sembrava proprio che Luigi rifiutasse la priorità unificatrice dell'operazione intellettiva, mettendo al di fuori dell'unità sintetica una realtà che era solo sensazione: « Con ciò - aflermava ancora una volta - voglio dire che prima di aver conosciuto Dio, non si hanno esigenze di Lui. L'uomo tende a Dio, quando lo ha conosciuto [...l. L'uomo poi arriva a Dio per esigenze intellettive, cioè, perché vuole spiegarsi ii fatto del cominciamento. Ne deduco quello che già ti scrissi, che la categoria del divino non è primitiva, come quella del vero, ecc., ma derivata » (lett. del 6 , IX, '28). Che era proprio il rovescio di 29. Luigi Sturzo ammetteva di non essere un aosofo sistematico: « T u sai scriveva al fratello - quanto piacere mi fai a scrivermi di aosofia, ed io lo stesso, benché c'è una differenza: io la studiai nel passato e ora la rivivo secondo le occasioni di studio e fuori sistema, tu invece in maniera sistematica e a un fine preciso » (lett. del 2, VIII, '28). I1 27 ottobre 1928 ribadiva al fratello: « tornerei volentieri alla filosofia, ma dovrei rimettermi a un lavoro molto pesante ». Ha già osservato Angelo Gambasin: « Don Sturzo non pretende collocarsi tra i sociologi, i teologi, i filosofi, i teologi di professione I...]. A don Sturzo non interessavano le discussioni teoretiche dei neotomisti, le crisi dei modemisti, i dilaceramenti dei filosofi. Era attento e acuto osservatore dei fenomeni religiosi e dei rivolgimenti politico-sociali, ma non fu teologo o filosofo di razza ».Cfr. A. GAMBASIN, Spiritualità e politica in don Sturzo, in AA.W., Luigi Sturzo nella storia d'Italia. Atti del Convegno internazionale di studi promosso dali'Assemblea Regionale Siciliana (Palermo-Caltagirone, 26-28 novembre 1971), Edizioni di Storia e Letteratura, Roma 1973, vol. 11, p. 245.
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quanto sosteneva Luigi, con l'aiuto di Bremond e di Blondel. Nella lettera del 5 settembre 1928, Mario rinviava alla lezione del suo Neo-sintetismo, che pure aveva suscitato tanti buoni ed entusiastici apprezzamenti nel fratello: « Con ciò siamo venuti alla conclusione, quanto mai interessante, che nell'uomo non c'è che una sola funzione conoscitiva, e questa è la intuitiva-idealizzante-ragionante. L'uomo coglie la realtà fisica per via di intuizione e idealizzazione e coglie la realtà spirituale per via di ragionamento sugli elementi dell'intuizione. Coglie le sue esigenze pratiche sensitive per via di sensazione, le sue esigenze pratiche volitive per via d'intelle~ione»~'. Luigi era ben consapevole dello sforzo del fratello per superare le strettoie dello scolasticismo e pervenire a una nuova teoria della conoscenza, capace di riunificare l'origine della sensazione con I'origine delle idee, senza cadere nell'idealismo: « Tutto considerato aveva premesso Mario al suo Neo-sintetismo - sembra che una soluzione soddisfacente o più prossima alla verità non possa essere che sintetistica come processo e dualistica come conoscenza; sintetistica per l'unità inscindibile del soggetto e l'organicità degli oggetti; dualistica pel fatto che la conoscenza umana avendo un principio, non può spiegarsi che per un progetto che vada dall'oggetto al soggetto; e per l'altro fatto che implicando opposizione tra io e non-io, il non-io non può essere che un estrasoggettivo in rapporto col soggettivo. La qual teoria, per quello che contiene di diverso, la chiameremo neo-sintetismo » 3'. Luigi era d'accordo o no con la nuova soluzione « sintetistica » proposta dal fratello? Che ci fosse apprezzamento ed anche entusiasmo per l'opera di Mario non vi è dubbio: ne fa fede, come vedremo, il gran da fare di Luigi per fare conoscere in Francia, in Inghilterra e in Germania il Neo-sintetismo. Tuttavia, ci sembra evidente dalle lettere che Luigi Sturzo riscontrava nella ricerca del fratello una certa limitatezza di orizzonte, il fatto che la sua filosofia si confrontasse solo con i problemi dello scolasticismo e dell'idealismo e non tenesse conto di quanto invece stava avvenendo in Francia in quegli anni con la ripresa dell'intuizionismo e con i discorsi di Bremond, di de Guibert e di Picard sulla mistica. Mario aveva la sensazione che, contro le apparenze, il fratello non fosse in fondo in fondo d'accor30. M. STURZO, Il ne~sintetisrno,Vecchi e C . Editore, Trani 1928, p. 340. 31. M.S.,op. cit., p. 12.
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do con la sua « nuova teoria sintetistica »: che se ne occupasse per farla conoscere agli amici francesi era un conto, ma che ne condividesse l'impianto, ne dubitava. L'intesa mancava proprio sul pro. blema della conoscenza, che era il principale dei problemi filosofici per Mario. Gli scriveva il 30 novembre 1928: « Tu non sei più per il tomismo e nemmeno pel mio sintetismo e sei in uno stato di eclettismo non molto determinato » 32. In realtà le differenze non erano così nette, come vedeva Mario. Le riserve e le preoccupazioni di Luigi sono chiaramente espresse nella lettera del 19 gennaio 1929: « Io insisto sul problema dell'intuizione, perché è molto diffzsa l'influenza dell'intuizionismo e merita di essere ben chiarita, 32. Come si è accennato, Luigi si adoprò intensamente per interessare il mondo culturale francese ali'opera del vescovo di Piazza Armerina, Il neo-sintetismo. Puntò in alto, rivolgendosi a Gilson per convincere l'editore Vrjn a pubblicare il libro in traduzione francese (lett. del 30, VII, '28). E fu la prima delusione, perché Gilson rispose a Mario, che gli aveva inviato il volume, « tra svogliato e scortese » (Mario, lett. 6, IX, '28). Commentava Luigi: « Gilson forse teme compromettere il suo nome di tornista, benché non visto bene dal campo ortodossissimo. Cercheremo un altro. Si spunterà » (lett. del 16, IX, '28). Si rivolse all'abbé Alphonse Lugan, perché parlasse nella sua rivista dell'opera di Mario: in effetti Lugan trovò il libro « molto interessante ». Consigliò a Mario di spedire il voIume a Blondel, «per avere una prefazione » (lett. del 29, IX, '28), ma realisticamente Mario non credette opportuno rivolgere tale richiesta al filosofo francese (lett. del 5, X, '28). A farla breve, non apparve nessuna traduzione del Neosintetismo né in Francia, né in Inghilterra, dove Sturzo aveva interessato I'amico Angelo Crespi. Luigi cercò anche di fare accogliere da Lévy-Bruhl, direttore deila « Revue Philosophique », un articolo del fratello di una trentina di pagine sul Neo-sintetismo. Lévy-Bruhl lesse l'articolo, gli piacque e pregò Luigi Sturzo di fare tradurre l'articolo. Ma i1 3 Iuglio 1930 il filosofo francese, dopo avere riconosciuto che l'articolo era scientificamente valido, si dichiarava dispiaciuto di non poterlo accettare « à cause de sa forme, ou, plus précisément, à cause des connaissances qui sont nécessaires pour comprendre la position des problèèes que Mgr Sturzo trait avec tant de vigueur, et les termes memes dont il se sert P. Luigi non nascose il proprio di~appunto~nella risposta a Lévy-Bruhl, ,anche perché la traduzione deli'articolo del fratello gli era costata cara: «Certo avrei gradito meglio che, come Le scrissi in aprile, Ella avesse visto l'articolo prima di farlo tradurre (il che mi è costato 3 lire sterline), tanto più che Le avevo indicato (nella medesima lettera) tanto la teoria gnoseologica quanto il tema speciale deli'articolo n (lett. a Lévy-Bruhl del 5, VII, '30). Fu lo stesso filosofo francese a interessare, ma vanamente, come sappiamo, Gilson per la pubblicazione dell'articolo di Mario su altra rivista. La corrispondenza Luigi Sturzo-Lévy-Bruhl, in Archivio Stuno, Carte Ferrari, fasc. 58 A. Fedelmente Luigi raccontava al fratello lo scambio delle lettere con il filosofo francese. Cfr. la lettera dell'll luglio 1930, da Parigi. Finalmente fu lo stesso Luigi a far conoscere il pensiero del fratello con una lunga presentazione del Neo-sintetismo sulla « Dublin Review »: L. STURZO,Theory Knowledge in Neo-Synthetism, in « The Dublin Review », ottobre-dicembre 1930.
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utilizzando quel che c'è di buono e rigettando quel che invece nasconde di errore. Oggi si può dire che l'arte e la poesia sono influenzate dall'intuizionismo, mentre la storia è influenzata dall'idealismo e la pedagogia dal positivismo. I1 neo-scolasticismo non ha, fin oggi, nessun campo di influenza, meno che nella teologia cattolica. Purtroppo è cosf. I1 neo-sintetismo può essere il passo decisivo del neo-scolasticismo verso le attività extra-filosofiche; cioè per la ripresa di influenza nel pensiero e nella cultura. Ma deve tener conto di tutta la corrente intuizionistica e mistica, non puoi perciò trascurarla. Tu hai una difficoltà pregiudiziale verso l'intuizionismo, cioè che riduci tutti i valori conoscitivi al ragionamento. E .ciò ti porta a negare all'intuizione qualsiasi elemento conoscitivo diretto, e ridurla al grado di semplice percezione sensitiva, pur ammettendo in ogni atto dell'uomo la sintesi sensitiva-intellettiva. Ora, pensandoci bene, tu nel tuo sistema hai tutti gli elementi per affrontare il problema dell'intuizione e proiettarlo nella vita dell'arte e della poesia. E credimi che è di grande importanza quel che ti scrivo » 33. A una prima lettura potrebbe sembrare che effettivamente ci fosse in Mario una tendenza « a intellettualizzare troppo la conoscenza » a scapito di quel « dinamismo interiore », a cui il fratello teneva tanto e che era la via per dare spazio a quanto l'intui33. Luigi Sturzo non si fermava a Btemond e a Blondel nella visione che aveva deila corrente 'intuizionistica. Scrisse al fratello il 22 dicembre 1929: « Sto leggendo l'lntroduction à la Philosophie de la prière di H. Bremond: non tutto mi piace, specialmente nel suo stile, ma m'interessa molto, e vi sono delle cose profonde e viste con un intuito speciale. Egli sostiene che la così detta preghiera pratica, non è per sé preghiera, ma ascesi; e chiama asceticismo (nuova parola) l'eccesso dell'uso della preghiera pratica e la confusione con la preghiera pura. La seconda parte è di testi scelti che si riferiscono a questa teoria, che tenderebbe a risolvere la vecchia questione fra gesuiti e antigesuiti. I n questo rifiorire di studi mistici, è interessante vedere l'appassionamento di gente anche estranea alle abitudini e d e polemiche religiose. I n fondo del pensiero di Bremond c'è sempre un presupposto intuizionista, che oggi circola neli'aria, e che è pura reazione contro il razionalismo sia dogmaticizzante sia antidogmatico. È un fenomeno che merita di essere studiato nelle sue cause e nelia sua portata. A questo fenomeno si attacca i1 tifiorire del pensiero liturgico specialmente in Germania ». Si veda, come si è già del resto rilevato, l'insistenza con la quale S t u m si richiama a considerazioni fenomenologiche - « l'appassionamento di gente anche estranea alle abitudini e alle polemiche religiose », il « rifiorire di studi mistici », l'atmosfera generale favorevole all'intuizionismo - per cercare di entrare nelle difese del fratello e convincerlo deli'opportunità di tenere conto di questi fatti nuovi; un argomentare che a Mario non piaceva, ritenendolo estraneo alla logica del suo discorso filosofico.
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zionismo recava con sé della vita della gente semplice ". C'era ancora il Dio trascendente nel neo-sintetismo? La domanda era certamente impropria per Mario, che teneva ben distinti i due piani, il filosofico-gnoseologico e il religioso. Ma potevasi mantenere questa distinzione senza correre il rischio di cadere in quel « separatismo », che era stata la ragione della speculazione di Mario? Luigi metteva a nudo la sua preoccupazione intima, potremmo dire sacerdotale, che lo rendeva cautamente critico verso il neo-sintetismo: « Ora a me sembra che tu intellettualizzi troppo: io non vorrei togliere d'uomo nessun mezzo per arrivare a Dio, e non vorrei ridurre Dio a semplici idee. Ci sono anime a cui questo modo di parlare e di intendere Dio ripugna. Le correnti antintellettualistiche sono, bene o male, molte e forti nell'epoca presente. Perché non tenerne conto? Perché fare della filosofia un ostacolo ad avvicinare Dio? Ecco una mia impressione. Valga come impressione; ma mi è stata ripetuta anche da filosofi come da anime semplici » (lett. del 22, VIII, '29). La risposta arrivò subito da Mario, netta e asciutta. Che cosa c'entravano nel discorso filosofico le anime semplici e il desiderio di Dio? Nel filosofare poi, specialmente se si trattava di gnoseologia, che senso potevano avere le lamentele di Luigi, così lontane dal rigore della dialettica delle idee? Ma ecco il testo della risposta di Mario: « E ora rispondo alla tua circa il problema della conoscenza di Dio. La filosofia ignora la parola "inconveniente" ed ha per motto: cerca il vero e avvenga che può. I1 filosofo non ha diritto di lagnarsi se la via per conoscere Dio è una o un'altra. Le anime poi si assicurino: a Dio si arriva senza bisogno di sistemi filosofici. Io son egualmente nemico del feticismo del vecchio e del nuovo [...l. Esser nuovi non significa accettar tutto il moderno senza riserve e critiche. I o poi (e siamo sempre lì) studio il problema gnoseologico, non il morale. L'uomo a cui la società nulla dicesse di Dio, arriverebbe a questa cognizione, non per la supposta tendenza pratica, ma per la dialettica delle idee. Quando poi Dio è conosciuto (vi si creda o no), si arriva al possesso pratico di Lui 34. Scriveva Luigi al fratello il 20 agosto 1929: « Quel che a me sembra, da tutta questa interessante discussione è che tu tendi a meccanicizzare (dico una parola impropria, ma non trovo altra) e a inteilettualizzare (secondo Bergson a simbolizzare) troppo la conoscenza; e non dai il valore che merita all'elemento dinamico interiore [...].
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per le vie etiche [...l. Ho presenti i vari appunti da te fatti ai vari miei lavori, son sempre quelli. Noi stiamo ancora agli antipodi (relativamente, s'intende): e credo che non ci accorderemo mai, dato che cinque anni non sono bastati per accordarci » (lett. del 28, VIII, '29). In realtà, vero accordo non ci fu mai; ci fu attenuazione della polemica, anche per il soprawenire di altri argomenti di discussione, si arrivò anche a qualche reciproca ammissione, si direbbe piti per affetto che per intima convinzione 35. Su un punto Mario aveva sicuramente ragione: Luigi rifiutava di entrare d'interno del suo sistema filosofico, lo criticava in nome di tendenze pratiche, anche se si trattava di una pratica così nobile come la preghiera 36. In buona sostanza a Mario sembrava che il fratello stesse abbandonando la via della cognizione di Dio attraverso la dialettica delle idee, che era stata sempre la via maestra dello scolasticismo vecchio e nuovo, introducendo nella logica una considerazione etica, pratica, di cui egli considerava l'importanza, ma su tutto altro piano: « le anime poi si assicurino, a Dio si arriva senza bisogno di sistemi filosofici n. Luigi Sturzo, dunque, intuizionista? L'affermazione del fra tello che egli indulgesse troppo al moderno è più effetto di irritazione per non averlo con sé, che giudizio meditato. Luigi, dunque, scrive e obbietta al fratello potremmo dire politicamente, con valu35. Scriveva ancora Mario il 15 dicembre 1929: « l a tua del 9 mi dice più chiaramente delle precedenti che il nostro accordo suii'intuizione è più apparente che reale ». 36. Tuttavia nel suo articolo sulla « Dublin Review » Luigi aveva mostrato di avere ben compreso il sistema filosofico del fratello, che così riassumeva: « 1. Dopo un'accurata analisi egii arriva alla conclusione che non è il senso che sente, né l'intelletto che conosce, né la volontà che vuole, ma il soggetto, l'uomo che in unità sintetica sente con i sensi, conosce con l'intelletto e vuole con la volontà I...]. 2. Quindi non può esserci né conoscenza senza sensazione né conoscenza senza volontà né volizione senza sensazione e conoscenza [...l. 3 . La base della conoscenza, infatti, è un'esperienza simultaneamente sensitiva e classificatoria, affettiva e volitiva, teoretica e pratica. E tale base E..] viene chiamata "esperienza"; è una e sintetica poiché è esperienza del molteplice ridotto a unità [...l. 4. Secondo il neosintetismo poi, il processo conoscitivo è un processo di sintesi o di integrazione che fa capo a una sintesi completa. 0, piuttosto, è un'unica sintesi in cui il processo di integrazione è soltanto un processo dalla potenza all'atto D. Citiamo daii'originale in italiano deii'articolo: Theory Knowledge in Nedynthetism, cit., conservato nell'hchivio dell'lstituto L. Stuno. Per un'attenta analisi del nmsintetismo di Mario S m o rinvio a ALFREDDI LASCIA, OP. cit., pp. 65-83.
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tazioni che nascono dall'esperienza quotidiana, da ciò che egli chiama l'atmosfera generale, non rispondendo così alle domande sempre più incalzanti di Mario. Politicamente,in questo caso vuol dire direzione di un'intelligenza che vuol rendersi conto ragionatamente, esistenziaImente di ciò che muta nella realtà storica e di tendere ad adeguare al mutamento ogni costruzione concettuale 37. Sturzo avverte che la fenomenologia ha una parte importante per correggere o integrare la logicità del vecchio filosofare. Filosofare per Luigi Sturzo significa, anzitutto, comprensione del proprio tempo, ragionare per la vita; « la società - scrisse anni più tardi - non esiste, né può esistere senza la dimensione temporale, come non può esistere senza la dimensione spaziale: la società vive nel tempo e nello spazio. Studiare la società come se fosse fissa, senza dina37. Sturzo nel suo fondamentale saggio sociologico, che pubblicò in francese nel 1935, ricordò come « l'esperienza nel campo sociale-organizzativo, in quello della pubblica amministrazione e in quelio politico gli era stata utilissima all'elaborazione delle teorie sociologiche e storiche P, alle quali si era dedicato «nel lungo soggiorno all'estero ». Quindi affermò: « Le mie prime intuizioni sociologiche, fecondate dalla esperienza attiva e dalla meditazione elaborativa, ebbero quasi mezzo secolo di maturazione », (L. S., La società: sua natura e leggi in Opera Omnia, Zanichelli, Bologna 1960, p. XIV). Si rilevi come nel giro di poche righe ricorrano le parole esperienza, elaborazione (meditazione elaborativa), che ci dicono molto sulla premessa storico-pratica dei discorsi filosofici-sociologici di Sturzo. Si rilevi ancora che Sturzo fa riferimento al lavoro organizzativo, a quanto egli accumulò appunto di esperienza con gli interventi nelle lotte contadine e amministrative, non fa riferimenti a dottrine e a testi di sociologia, che lo colleghino a qualche indirizzo di scuola: in tutto il volume Giuseppe Toniolo è nominato una sola volta, per dire che a lui dedicò il saggio del 1901 suli'Organizzazione di classe e le Unioni professionali. Già Vincenzo Filippone-Thaulero aveva colto la connotazione socioconoscitiva fondamentale in Luigi Sturzo, « l'importanza che aveva per lui l'azione e l'elemento attivo-concreto della realtà sulla rappresentazione e sulla costruzione astratta; non soltanto perché la stessa fisionomia del pensiero sturziano, l'andamento giovanile, teso, del suo pensiero sociologico lo fa in certo modo derivare dall'esperienza del giornalismo politico e dall'oratoria politica; ma soprattutto perché esperienza reale e decisione contingente sono il fondamento della sua riflessione; la quale se trovò sostegno e conforto nella esperienza religiosa, non la intese tuttavia in tutta la sua complessa verità naturale oltre che soprannaturale. Sturzo, inoltre, non si mosse sul piano deiia meditazione contemplante che ricava dalla intuizione intellettuale diretta e dal dialogo con i classici (e dunque: in una terminologia vagliata a livello tecnico) i suoi assiomi ed i suoi coroiiari. In Sturzo domina il piano della risposta rapida e del dettato della soluzione contingente che sembrano essere le caratteristiche dell'uomo di azione, la cui esperienza e le cui decisioni denotano il grande ingegno D. Cfr. V. FILIPPONEM U L E R OSociologia , ed-esperienza religiosa e politica in Luigi Sturzo, in AA.VV., Luigi Sturzo nella storia d'Italia, cit., pp. 220-221.
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mismo e senza processo, è fare uno studio analitico, morfoIogico e perciò astratto dalla realtà » 38. LO stesso metodo di osservazione egli adopera nella lettura anche di Bremond. A lui non interessava verificare se le tesi di Bremond fossero filosoficamente esatte 39 e neppure se in lui ci fosse più letteratura, che religiosità, come sospettò Giuseppe De Luca 40, quanto studiare il fenomeno di un 38. Cfr. L. S., Del metodo sociologico, in Opera Omnia, Zanichelli, Bologna 1950, pp. 49-50. Anche Di Lascia sottolinea l'importanza dell'esperienza politica e della considerazione temporale nell'elaborazione del pensiero sturziano: « Anche se abbiamo già rilevato che il pensiero sturziano è profondamente condizionato dalla sua esperienza politica, è importante notare che probabilmente l'occasione che lo spinse a indagare suiia natura del tempo fu la sua esperienza politica delle esigenze pratiche del presente, e la sua opposizione a coloro (specie cattolici) che consumano la loro vita in un nostalgico attaccamento al passato. Può anche aiutarci il notare che, come Agostino, anche Sturzo era un uomo soprattutto pratico sempre sensibile ai pressanti problemi politici del momento. Condizionati da esigenze pratiche, entrambi insistono sul presente come l'unico momento deila realtà, ed entrambi considerano il tempo atto costitutivo della coscienza. A differenza di Agostino tuttavia Sturzo non è interessato aiia dimensione psicologica ed escatologica del tempo: il suo interesse è prevalentemente pratico-storico». Cfr. A. DI LASCIA,OP. cit., p. 110. Qualche osservazione: non parlerei proprio di un condizionamento della esperienza politica, anche se questa è stata importante in Sturzo; l'esperienza politica sarebbe rimasta inerte, improduttiva, se non fosse intervenuto quel che Sturzo chiamava la « meditazione elaborativa ». Ritegno meglio riferirsi a una « direzione deli'intelligenza » sturziana verso il processo storico in atto, che potrebbe tradursi anche con la sua tendenza al « relativismo storico ». L'insistenza sul presente non deve intendersi come cronaca, ma come « coscienza della realtà della vita sociale che fluisce e vive D, dove appunto l'accento è posto sui termini qualificanti di flusso e vita. Del resto, come lo stesso Di Lascia sottolinea in uno dei capitoli più acuti e penetranti del suo volume, per Sturzo fattore determinante della società è la coscienza, che egli chiamava inter-individuale e collettiva solo per avere una formula comprensiva (A. DI LASCIA,OP. cit., p. 181). 39. Scriveva al fratello Mario il 20, XII, '33: «La tesi di Bremond m'interessa, più che dal lato se sia o no filosoficamente esatta, quanto dal lato di tendenza a esplicare gli stati d'animo mistici che contiene l'arte in genere - l'arte è poesia ». 40. Giuseppe De Luca (1898-1962), lo storico della pietà, fondatore delle Edizioni di Storia e Letteratura e dell'« Archivio italiano per la storia della pietà m, entrò in rapporti con Bremond, tramite i buoni uffici di Giuseppe Prezzolini, nell'agosto del 1929, anche se a Bremond e alla sua Histoire du sentiment religieux si era già interessato da tempo. È ben curioso il fatto che l'attrazione di De Luca verso Bremond awenga presso a poco negli stessi anni in cui Luigi Sturzo veniva conquistato dalla lettura di Prière et Poésie e della Poésie pure. Eppure fra i due, che sarebbero diventati grandi amici al ritorno di Sturzo dall'esilio, non ci furono rapporti negli anni dell'esilio del sacerdote calatino, che però, come si rileva dal carteggio, leggeva gli articoli di De Luca sull'« Osservatore Romano » e ne teneva molto conto. De Luca, dunque, ebbe molta stima di Bremond e deiia sua opera,
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così largo successo, che, come riteneva Sturzo, corrispondeva a uno stato d'animo diffuso di rivolta contro il troppo intellettualizzare la vita della fede. Sturzo, in altx parole, non entrò mai nella struttura dell'opera di Bremond con strumenti filosofici, alla stregua dei suoi oppositori (il Cavallera, ad esempio), o di stretta filologia, alla maniera del De Luca; si interessò, invece, d'intuizione - e gli parve nuova - del grande scrittore francese che faceva rivivere il « sentimento religioso », gli stati mistici, la preghiera in una dimensione storica e spirituale che dal Settecento in poi non si era mai vista. Nella corrispondenza con il fratello, Bremond appare come un segnale, per Luigi, che si stavano facendo largo nella storia del pensiero moderno, anche le correnti mistiche e che il razionalismo, sia nella tradizione cartesiana che in quella scolastica, non dettava più legge. I1 vantaggio che presentava « il sentimento religioso » di tanto da considerarlo fra i suoi «maestri »: gli altri erano Wilrnart e de Guibert, quest'ultimo più volte citato in questo carteggio. Quando Bremond mori, De Luca ne scrisse sulla «Nuova Antologia » uno dei suoi migliori articoli in quello stile particolare, inimitabile, ricco di volute, fuoco interiore e baluginamenti che lo rendono riconoscibile al primo incontro: « F u [il Bremond] teorico finissimo della "inquiétude religieuse", appunto perché egli stesso non era quieto I...]. Amante della poesia, ma condannato a girarvisi intorno, perpetuamente, ora come critico, ora come psicologo (filosofo, no: egli stesso rifiutava le blondeliane e bergsoniane ascenderne o collateralità, per rifarsi a Newman), ora infine come amico di poeti. I1 suo è stato un lavoro dannato, a modo di quei malinconici vecchi e cari asini che girano girano attorno al pozzo, e ne cavano acqua che non è per loro. Letteratissimo fu sempre, sino d a cima dei capelli, e senza distrazioni; ma poeta, mai I...]. Psicologo, della scuola di Newman e di Saint-Beuve; e letterato, di grazie e arguzie settecentesche ma di gusti e opinioni romantiche, nelle sue disamine sul sentimento religioso gli mancò sempre, e non è poco, anzi è quasi tutto in codeste faccende, gli mancò sempre il senso teologico, e qualche volta fin quello semplicemente ecdesiastico ». Cfr. Don Giuseppe De Luca et l'abbé Henri Bremond (1929-1933). De « I'Histoire Littéraire du sentiment religieux en France » à « L'Archivio italiano per la storia della pietà » d'après des documents inédits, Edizioni di Storia e Letteratura, Roma 1965, pp. 153-154. I1 volume uscì anonimo, ma autori ne furono Bernard-Maitre e Romana Guarnieri. Hemi Bernard-Maitre credo sia stato fra i pochi, se non il solo, a tentare di far conoscere agli storici francesi i rapporti Bremond-De Luca. I n un convegno che si tenne a Parigi nel 1967 egli richiamò l'attenzione sulle riserve che De Luca formulò sui termine « sentimento religioso D, che egli sostitui con il termine pietà. Ricordò poi che lo stesso Bremond, riconoscendo i limiti letterari della propria opera, diceva a De Luca: « Debremondisez-vous D. Cfr JEAN DAGENS-M.NEDONCELLE, Entretiens rur Henri Bremond, Ed. Mouton, Paris 1967, p. 222. Per il concetto di storia della pietà, così come fu formulato da De Luca, cfr.: G. DE LUCA,Introduzione alla storia della pietà, Edizioni di Storia e Letteratura, Roma 1962, dove, chiedendosi, fra l'altro, di chi avrebbe voluto essere alunno, De Luca rispose indicando Bremond (p. 131).
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Bremond, rispetto alla scelta modernista, era che il monopolio neoscolastico era per così dire aggirato dall'esterno 41: non c'è nessuno scontro teorico, dottrinale, sul piano della dottrina cattolica, raccontando la storia dell'esperienza religiosa mistica del XVII secolo. Bremond non si interessa né di infallibilità, né di dogmi, né di storia biblica, di tutto ciò si dichiara incompetente, anzi, con una luc,idità tutta pratica, egli riprende e rilegge alla sua maniera tutta la letteratura devota e misticheggiante francese, quella di Bérulle, che aveva l'avallo dell'ortodossia. La storia del XVII secolo 'religioso francese era stata dominata fino ad allora dall'opera di ~ a i n t - ~ e u vsue Port-Royal, nella quale la questione della grazia era « la chiave di volta dell'edificio teologico e spirituale » ". Nella prospettiva bremondiana, non sottovalutando il ruolo storico delle 41. Emile Goichot ha con fine analisi studiato la questione del « modernismo in Bremond e i suoi rapporti con Alfred Loisy e G. Tyrrell, per concludere così: «Or, à double titre, Bremond "n'est pas, n'a jamais été" en effet modemiste: parce qu'il a vite compris que I'institution ne pouvait accueillir un nouveau discours; surtout parce qu'ii s'est définitivernent dépris du discours, quel qu'il soit, qui lui paralt toujours fdacieux, infidèle par nature au réel. Le modernisme a rempli ici une fonction cathartique; il l'a d'une certaine facon libéré en lui montrant que cette impression d"'asphyxieW éprouvée jadis pendant les classes de théologie devant le déroulement des déduaions, ce goiìt d'amertume laissé par les argumentations scolastiques, ne provenaient pas seulement d'une infirmité personelle, mais déjà du sentiment confus de l'imposture du discours. Mais ce n'est pas pour lui substituer un contre-discours, un nouveau système accommodé au goiìt du jour. Cet apophatisme doctrinal peut paraltre intenable: il aurait répondu sans doute que ce n'était pas "son problème" - ou, selon la formule qu'il affectionnait, non omnia possumus omnes. Mais, du meme coup, Dieu ne parle plus - ou on ne parle plus réellement de Lui - dans le texte habituel de la vie de I'Eglise, dogmes, histoire, rites, disciplin es... Plus de ces discours-relais, plus du moins d'écho perceptible qui viendrait compenser le silence de la prière désolée - sauf précisément le discours mystique, parce que ce n'est pas un discours comme les autres ». Cfr. EMILEGOICHOT, Henri Bremond historien du sentiment religieux, Edition Ophrys, Paris, p. 307. Del resto lo stesso Bremond scrisse a un amico rimasto sconosciuto a proposito della sua posizione rispetto al modernismo: « Quand je d i ~ :je ne suis pas, n'ai jamais été moderniste, cela veut dire d'abord que pas une ligne imprimée de moi ne soutient, ne suggère, ni de près, ni de loin, les idées des modernistes. Ce que je pense à part moi ne regarde personne. On ne juge un écrivain que sur ses écrits [...l. Toute ma vie d'écrivain est commandée par la distinction de Newman entre rea1 et unreal assent: toute ce que j'ai écrit va, d'une manière ou d'une autre, mais va toujours à élucider l'adhésion réelle à une vérité, à une réalité quelconque opposée à la notion d'adhésion irréelle, c'est-à-dire conceptuelle [...I ». La lettera è riportata da EMILE POULAT,Critique ef mystique, le Centurion, Paris 1984, pp. 71-72. 42. Dali'intervento di Henri Gouhier ai già citati Entretiens sur H. Bremond, p. 217.
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discussioni sulla grazia, appare un altro polo dell'esperienza religiosa: « le mystère du pur amour, source de querelles qui ont commencé aussitot après I'oeuvre de saint Francois de SaIes, au temps meme de Bérulle » 43. Amore puro, fondato sull'abbandono a Dio, sulla rinuncia al proprio io, sul disaffezionamento di sé. Luigi sapeva tutto questo, aveva registrato gli echi della « scoperta » di Bremond nel panorama degli studi storici e fra i teologi francesi; è vero che l'ambito sociale della mistica bremondiana era un po' ristretto, nel senso che il terreno dove si miete la produzione letteraria mistica è quello delle città, degli studi, delle congregazioni, dei conventi, non è il terreno della mistica popolare, dei santi e dei venerabili che parlano senza cultura, così come ce n'erano tanti nella storia del Mezzogiorno. Ma ripetiamo, Sturzo, come al solito, si pone dall'esterno: non diviene bremondiano, non si interessa se l'autore di Prière et poésie sia o non sia blondeliano; non si lascia impressionare dai sospetti di Mario, anzi suggerisce a lui di prendere in considerazione l'operazione culturale di rottura che va compiendo Bremond, quasi volesse fargli capire che sarebbe meglio per il vescovo-filosofo mettersi su un piano diverso da quello della battaglia per una nuova gnoseologia di mediazione fra idealismo crociano e neoscolastica su cui si è incamminato. A differenza, infine, di Bremond, Luigi Sturzo non guarda tanto agli effetti della scoperta dell'« Umanesimo devoto )j nel versante della vita religiosa, per lo meno non guarda solo a questo aspetto: ciò che a lui interessa, anche o maggiormente, è l'aspetto socioIogico. In altre parole, sembra che l'opera di Bremond l'abbia convinto della necessità oramai di una sociologia capace di liberarsi dalla ipoteca positivistica: ne ha gli strumenti per impostarla e costruirla e ne ha la profonda convinzione. La lettura, dunque, che Luigi fa di Bremond e della sua opera è diversa da quella che potevano fare i suoi amici francesi, è più storica e per nulla psicologica; è in un certo senso isolata e astratta dalla temperie post-modernista, come anche è diversa da quella che sta facendo negli stessi anni don Giuseppe De Luca, più filologica e teologica insieme. Bremond, insomma, gli serve per uscire dal provincialismo di una cultura religiosa nostrana, un po' troppo casalinga, soffocata dal paternalismo idealistico o da quello 43. Ibidem.
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ancora più astratto dei neo-scolastici; gli serve per costruire un nuovo metodo sociologico, di segno decisamente antropologico e volontarista: qualcosa che nemmeno Bremond avrebbe potuto immaginare.
4 - I temi che si dibattevano nel carteggio non furono scelti, dunque, a caso o perché piacesse di fare così a Mario e Luigi Sturzo: i temi si formavano a poco a poco in relazione per lo più alle ricerche e al lavoro in corso di uno dei due fratelli. Così la voluminosa discussione su storia e soprastoria prese corpo mentre Luigi scriveva il saggio, che s'intitolò poi La società: sua natura e leggi, e l'altra opera, forse, la più importante dell'esilio, Chiesa e Stato. Queste lettere ci consentono di vedere dall'interno la nascita, spesso molto combattuta e controversa, delle idee fondamentali che sostengono l'impalcatura delle due opere. L'avvio alla discussione fu dato dalla pubblicazione dell'articolo di Sturzo Éloge du présent, su « La Vie intellectuelle » del 1.0 ottobre 1931 44. « Che cosa è 44. Riportiamo tradotti i passi dell'articolo di Sturzo. « La Vie intellectuelle », fondata dal domenicano francese Vincent Bernadot, apparteneva, come scrive Walter Crivellin, « alla famiglia delle pubblicazioni domenicane francesi, famiglia antica, per la quale tuttavia i decenni compresi fra le due guerre mondiali furono, almeno sul terreno culturale, un momento particolarmente fecondo (p. 13). Le origini della rivista vanno collegate, come ricordò lo stesso Bernadot, citato da Crivellini, alla condanna dell'Action francaise da patte di Pio XI nel dicembre 1926, condanna pienamente condivisa da Luigi Sturzo, come attestano i suoi articoli e il carteggio con il fratello (cfr. la lettera del 5, I, '27 e le pagine dell'indice onomastico. Sulle reazioni in generale dei cattolici alla condanna dell'Action francaise, cfr. GIORGIO CAMPANINI, Chiesa fascismo e Action francaise, rel. al V congresso di Storia della Chiesa, che si tenne a Padova nel 1977, in « Civitas », agosto 1777, pp. 3-21). La rivista durò dal 1928 al 1956. Dapprima mensile, divenne quindicinale dal 1932, in concomitanza anche con un ampliamento del programma: non soltanto elaborazione dottrinale, ma anche indagine sui problemi concreti della politica e dell'organizzazione economica del mondo contemporaneo, semCattolici francesi e pre secondo un'ispirazione religiosa (cfr. WALTERCRIVELLINI, fascismo italiano. « La V i e infellectuelle », Franco Angeli ed., Milano 1984, con pref. di F. Traniello). Con il numero del 15 marzo 1940, la rivista modificò il titolo: si chiamò «La Vie Intellectuelle et revue des jeunes », assorbendo appunto la « Revue des jeunes ». Nell'articolo di presentazione della rivista, il p. Bernadot aveva annunciato l'indirizzo generale in questi termini: « La pensée catholique, nous la proposerons, selon l'exigence meme du catholicisme, comme une pensée véritablement universeiie, et non pas comme une pensée particulière parmi d'autres. Nous nous intéressons à tout ce qui préoccupe les esprits contemporains, aoyants ou non, à l'étranger comme en France. La pensée catholique a droit sur tout, et tout ce qui est humain est notre ». L'équipe dei collaboratoti risultò sempre varia
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dunque il presente? - si chiedeva Sturzo -. Sembra che sia un istante. Eccolo, e già non è più! E pertanto esso è, perché questo istante che è passato, che si perde con gli anni nell'abisso del passato, è quello stesso che si è risolto nell'istante presente e continua a risolversi negli istanti successivi dell'avvenire. L'unico, il vero esistente, è il presente, e il presente non è altra cosa che il risultato complesso e totale del passato P. Solo apparentemente una gran parte del passato è morto, a causa della nostra maniera di intendere il passato dalla nostra breve esperienza personale: « Noi dimentichiamo molto o crediamo di avere molto dimenticato, perché molto del nostro passato non è più attuale alla nostra memoria. In realtà, quel passato è talmente trasformato nel nostro presente, è in noi così attuale, così intimo, che non possiamo più distinguerlo da ciò che noi siamo oggi ».Questa risoluzione del passato nel presente non era per Sturzo solo la base psicol.ogica dell'identità dell'individuo, ma componeva anche l'identità collettiva o sociale: era nelle « abitudini analitiche della nostra cultura distinguere l'individuo dalla società, di fare della società un'entità a parte ». La coscienza della realtà della vita sociale come insieme di tradizioni, abitudini, idee, sentimenti, concretizzate nelle istituzioni pubbliche o private - famiglia, religione, stato - nella cultura, nelle arti, nella vita economica e materiale stessa, questa era la storia. In quel che segue, è interessante rilevare i contenuti che Sturzo assegnava alla storia: « Si dice che un popolo senza storia è un popolo che non e numerosa, di chierici e di laici insieme. Fra gli altri indichiamo Sertillanges, Maritain, Congar, Gilson, Daniel-Rops, Prélot, Tolédano, Guitton, Goyau, M. J. Lagrange, Paul Claudel, Guillemin e gli italiani Stuno, Ferrari e Domenico Russo. (Di Russo ho rilevato un solo articolo, che è poi una lunga recensione: L'ariathe de nos « Pères ». Réflexions sur un liwe de Cumont, in « La Vie Intellectuelle D, 10 dicembre 1930, pp. 420-447). Dopo l'articolo Éloge du présent (10, X , '31), Sturzo pubblicò nella rivista Travoillisme et catholicime (10, 111, '32); L'État totalitaire (25, I , '36, pp. 236-259); La charité chrétienne et la politique (10, V , '36, pp. 409-436); Le droit de révolte et ses limites (25, X , '37, pp. 165-184). Probabilmente è di Sturzo anche l'articolo, firmato con tre asterischi, Le fascisme et le Vatican en 1938 (10, 11, '39, pp. 325-350). Presumo l'attribuzione a Sturzo O anche a F. L. Ferrari' poiché l'articolo dimostra una conoscenza molto sicura e particolareggiata, di chi ha fatto diretta esperienza deiie cose politiche italiane, come la visita del presidente della Repubblica francese in Italia del 1904, che suscitò vaste reazioni fra i cattolici soprattutto intransigenti. Quale fu l'influenza della «Vie intellectuelle » negli ambienti cattolici italiani? La rivista era letta e conosciuta, non vi è dubbio, per quanto non creda che gli articoli più politici dei coliaboraton italiani abbiano avuto una significativa influenza.
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ha coscienza di se stesso. Ciò è vero, in quanto storia significa sforzo di vita collettiva, lotta per la propria esistenza, conquista o difesa della propria autonomia, primato delle forze morali e culturali, movimento progressivo; e dunque sintesi dei due elementi: realtà del passato nel presente, e memoria attuale del passato D. Dopo avere respinto ogni teoria deterministica della storia, Sturzo scriveva che l'errore fondamentale dei determinismi consisteva nel creare la forza di unificazione dello sviluppo storico « al di fuori degli uomini, che precisamente fanno la storia, e a concepire la natura come una forza puramente materiale ». La storia, asseriva, « non è qualcosa di extra-umano, ma solamente di umano ovvero dell'umanità. Ciò che non è umano può diventare storia, ma solamente dopo essersi trasformato in valore umano ». La stessa morte è, per coloro che restano, « un fattore di questo condizionamento umano, e per colui che se ne va, una trasformazione del nostro modo di essere. I1 pensiero della morte, che nessuno di noi può schivare, contribuisce all'orientamento del nostro modo di agire, e così anche la morte è materia di storia D. Concludendo Sturzo sosteneva c h e il presente non era altra cosa che la nostra stessa coscienza: senza questa coscienza, niente presente, niente storia, ma solo materialità dei fatti bruti, che di per sé non sono né conoscenza, né storia: « La storia, dunque, è il pensiero umano che si realizza nell'azione; la filosofia è l'azione umana interpretata dal pensiero. Conoscenza l'una e l'altra attuale, presente, perché non è che nel presente che l'uomo pensa e agisce. I1 passato non esiste e non è conosciuto che nella misura in cui esso è realizzato e pensato nel presente ». I1 linguaggio non è sempre evidente, anzi qui e lì è contraddittorio o eclettico, come avrebbe detto il fratello Mario: definire prima la storia « coscienza della realtà della vita sociale come insieme di tradizioni, abitudini, idee, sentimenti, ecc. D, poi « pensiero umano che si realizza D non è la stessa cosa. La prima definizione fa pensare a una storia dove l'elemento antropologico-sociale è prevalente, l'altra definizione ha una certa assonanza con lo storicismo crociano. Ma confrontando l'Elogio del presente con altri testi sturziani, si vede più chiaramente che quando Luigi parla di coscienza storica intende riferirsi a una coscienza collettiva o sociale. E non vi è dubbio che al successivo chiarimento Sturzo arrivò nel corso delle vivaci discussioni con il fratello.
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Come nacque questa sua difesa della storia coscienza della realtà della vita attuale D, come passato ripensato e risolto attraverso la coscienza collettiva nel presente? Nell'articolo della <( Vie intellectuelle non c'è una citazione di autore; d'altra parte al fratello che glielo chiese, Sturzo rispose che non si era rifatto specificatamente ad alcun autore. Ma se non sono citati autori, ci sono suggestioni, riecheggiamenti, espressioni, che fanno pensare all'ambiente culturale parigino fra la fine degli anni venti e gli inizi del nuovo: di nuovo Bremond, certamente, a cui I'awicinava la curiosità psicologica e antropologica, l'esigenza del concreto e l'immaginazione. Nelle note preliminari alla sua Histoire Bremond aveva spiegato il senso della sua storicizzazione degli stati mistici, in termini che Sturzo avrebbe sottoscritto: <( Nous le verrons, l'extase ne fait pas le vide dans l';me du mystique. Quoi qu'il en soit du mystérieux enrichissement qu'elle apporte au centre meme de cette ;me, elle stimule toutes les facultés et devient par là un facteur historique du premier ordre D. Mermazione importante, perché confermava in Sturzo, l'impressione che un vasto mondo della mistica, si faceva storia, e trattavasi di un mondo fino ad allora escluso, ignoto, senza appunto la coscienza storica. Continuava Bremond: << L'action intense des mystiques et leur influence, voilà des faits qui, d'une manière ou d'une autre, ont marqué dans le développement de notre civilisation, et qui, de ce chef, doivent retenir d'historien, croyant ou non. Nul bon esprit ne met aujourd'hui ce principe en doute. Les mystiques ont aussi contribué au progrès de la langue et des lettres. Si leur expérience est ineffable, intraduisible, les idées, les imaginations et les sentiments qu'elle fait naitre, ne le sont pas 45. Dunque, idee, immaginazione, sentimenti, un complesso psicologico e spirituale fino ad allora scartato, entra nella storia. Poco prima Bremond aveva spiegato che la sua sarebbe stata una storia letteraria e non tout court una storia del sentimento religioso e che pertanto le sue fonti sarebbero state letterarie: libri di pietà, saggi di iilosofia devota, di morale o di ascetica, sermoni, poesie cristiane, <( laissant aux érudits les autres sources moins accessibles au vulgaire: testaments, fondations, contrats; diaires tenus par le directeur d'une paroisse, d'une confrerie, d'un pèlerinage; en 45. H . BBEMOND,Histoire littéraire du sentiment religieux en France depuis la fin de Guerres de Religions jusqu'à nos jours, vol. I , Notes prehinaires, p. XXI.
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un mot toutes les pièces d'archives qui, par elles-memes, n'ont communément rien de mystique, mais qui fournissent des indications abondantes sur Ies habitudes et les tendances religieuses d'un époque 46. Cioè Bremond premetteva di non prendere in considerazione proprio quel materiale che avrebbe costituito la fonte primaria di Gabriel Le Bras per la sua sociologia religiosa. La sua era una scelta precisa, consapevole, che restringeva il campo della sua ricerca alla letteratura, sia pure a quella devota e popolare. Sturzo non si pone un problema di fonti, perché il suo non era un problema di storiografia religiosa, quanto dello spazio che nella struttura del discorso storico avrebbe dovuto essere riservato a quanto aveva definito la coscienza storica delle realtà. Egli era spinto a cercare un concetto della storia oltre le fonti letterarie, comunque sia fondato su un'antropologia sociale di vasto respiro: un modesto operaio o agricoltore - scriveva al fratello nel 1930 (lett. del 4, VII, '30) - con la sua opera personale nulla contribuisce (così sembra) allo sviluppo del pensiero e quindi alla vera storia; ma anche egli partecipa agli infinitesimali della vita sociale, che dà gli elementi della storia. Tutto è quindi nella storia e si storicizza. I1 pensiero crociano parte da un dato per lui definitivo; il suo sistema interiore: quelli che vi sono dentro sono nella storia, gli altri sono... gli infedeli ...1. I1 mio [sistema] invece è relativo D. Da dove scaturiva questo suo interesse per un tipo di storia sociale, che parecchio più tardi avrebbe preso sviluppo in Francia e senza che mai abbia mostrato interesse per la vicenda del gruppo di Strasburgo, da Bloch a Febvre, Le Bras, a Les Annales? 46. Idem, p. XI. Già Lucien Febvre, giustamente considerato il padre incontestato delia a nouvelle histoire D francese, aveva osservato che uscendo dalla lettura deU'Histoire di Bremond si sarebbe potuto dire: <( C'est beaucoup, ce n'est pas assez. Et comme j'en voudrais plus, et cent fois plus, et mille fois plus encore n. Poiché, appunto, ciò di cui Febvre sentiva l'esigenza era una storia che scavasse nella vita religiosa, nel mondo delle devozioni e della pratica religiosa di altri tempi: u N'est-il pas incroyable qu'une histoire comme celie de la première communion reste tout entière à faire? que sur les prières, les pratiques pieuses, les dévotions Ies plus importantes et les plus répandues; surtant de grands pèlerinages eux-meme, nous soyons réduits à totaliser de brèves indications, dispersées dans des articulets de revues introuvables et trop souvent dictées par des préoccupations étrangères à, l'histoire [...l D. Cfr. L. FEBVRE,L déootion en France aux X V I e siècle, in « Revue de Synthèse », juin 1932, ora in L. FEBVRE,Au coeur religieux du XVIe siècle, Bibliothèque génhrale de I'École des hautes Ctudes en sciences sociales, Parigi 1983, pp. 441-445.
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Anche nel caso della definizione della storia occorrerà tenere conto della esperienza politica di Sturzo e del carattere del suo popolarismo, partito che aveva dato coscienza a una massa di esclusi dal processo di unificazione capitalistica del paese: contadini espulsi dalla terra, artigiani declassati, coltivatori di agrumeti disastrosamente impoveriti; si aggiunga l'isolamento della montagna, la crisi della struttura parrocchiale con la sua emarginazione nel contesto egemonico della politica risorgimentale e post-unitaria, tutti motivi della operazione di recupero e politicizzazione condotta da Luigi Sturzo nell'età giolittiana di una realtà sociale ai margini della coscienza storica e di nuovo rifiutata dal fascismo. I1 popolarismo era stato, tutto sommato, questo tentativo di reinserire storicamente e culturalmente nell'organizzazione dello Stato moderno un complesso di abitudini, di sentimenti, di tradizioni, che fino ad allora aievano costituito solo la base materiale per una scienza del folklore e delle tradizioni popolari. Doveva essere facile a Sturzo, pertanto, con questa esperienza singolare e unica alle spalle, simpatizzare o sentirsi attratto verso quei discorsi culturali, che avrebbero potuto conferire un avallo scientifico alla sua operazione di recupero degli esclusi, operazione che implicava a livello concettuale la possibilità di una storia della fede a livello popolare, di pratica e di ascetica quotidiana, la critica e il superamento degli eccessi di una mentalità scolastica, la critica di ogni settorializzazione dei processi storici, l'ammissione di una storicizzabilità persino del sentimento della morte, e la proposta stupisce considerando che di un tal genere di ricerca ancora non si parlava. Dunque, non parlerei ancora una volta di bremondismo sturziano, ma di una nuova fase di riflessione a livello scientifico dell'esperienza personale, a cui la lettura di Bremond dava una consapevolezza storica che prima non aveva e che, comunque sia, superava il livello letterario per diventare appunto lo storicismo, che elaborerà nelle discussioni con il fratello, entro una prospettiva o schematizzazione concettuale singolare, che Achille Ardigò preferirebbe definire forse metateoria sociologica ».
5 - Anche nella ricerca consensuale di una definizione della storia i due fratelli questionarono a lungo senza arrivare a un accordo. I1 problema dei problemi era: che posto aveva la fede nella storia?
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Secondo Mario la fede era sopra-storia, pertanto non processuale, non storicizzabile (lett. del 28, IX, '31). Per Sturzo, che pensava non esserci nulla che non si storicizzasse, la fede, a meno che non si trattasse di visione beatifica, era « realtà storica spirituale, e come ogni realtà storica spirituale s'estrinsecava in atti esterni ». Mario era anche perplesso per la definizione che Sturzo aveva dato della storia nell'articolo Éloge du présent come « coscienza della realtà della vita sociale che fluisce e vive » owero « realtà del passato nel presente e memoria attuale del passato ». Una definizione di partenza inaccettabile per Mario: come la coscienza poteva trasformare in storia un fatto, che in quanto tale doveva considerarsi esaurito e non più risolvibile nel presente? « Or il fatto - asseriva dal momento che è un fatto, cioè, un atto esaurito, non è più un processo » (lett. del 17, XI, '31); e poco più in là: « il dato della storia umana vive nella coscienza perché è dato umano, perché, come tale, è cosciente. Ma per chi non è attore, per chi è assente, per chi l'ignora, il dato cosciente è come ogni altro dato » (lett. del 9, XII, '31). Più chiara la lettera di Mario del 16 febbraio 1932, che accusa il fratello di soggettivismo in quanto riduceva la storia alla coscienza storica: « Io la (la storia) estendo a tutto ciò che accade, a tutto ciò che è ed è conoscibile. Per te l'accadimento non conosciuto o dimenticato non è storia. Per me è storia, storia non conosciuta, dimenticata. Se oggi scoprissimo un libro di storia antica ignota, certo di quella storia-accadimento-oggettoacquisteremmo coscienza. Ma non per questo diremmo che si fa storia oggi. Era storia, era perduta, oggi sarebbe stata ritrovata. Gli arcani di Dio, i puri misteri, son Dio, la sua vita, la sua storia non processo-attività temporale, ma, come dice Agostino nel De Civitate Dei, processo-attività divina. Storia d'altra natura, sopra-storia, cioè, sopra natura, di cui noi sappiamo quanto ce n'è rivelato, ma questo sappiamo per fede, non per scienza, in termini analogici, non propri. Si storicizza l'analogico, non il proprio. I1 proprio resta ignoto [...l. È la fede che si unisce, senza confondersi, con la storia, e fa la vera storia, che è unità di cognizione di divino ed umano». Luigi capiva che il fratello l'accusava di fare in sostanza della pura soggettività distaccata dall'accadimento, per cui si preoccupò di chiarire in qual modo egli intendesse il rapporto fra accadimento e coscienza storica: « I o non considero - gli scriveva - i fatti passati come esauriti (quasi pezzi
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anatomici da museo), ma come sempre viventi o sempre in possesso in quel che si sono storicizzati, e quindi partecipanti alla realtà presente. Quando non partecipano più alla realtà presente, cioè che la loro vitalità originaria non si partecipa più al mondo che vive, cessano di essere storicizzati e perdono ogni realtà presente. Tu dici: ma la loro realtà è stata nel passato, Chi lo nega? però la loro non è più storia. Se qualcuno la riesuma e la fa rivivere ad altri e ad altri, ecc., allora tornerà a storicizzarsi. Tu soggiungi che si può pensare alla realtà passata anche se non storicizzata, in quanto è storicizzabile. Nessuno nega ciò; ma quel tale pensiero non è ancora storia, ma un pensiero generico sul passato sotto l'idea generica di storicizzabilità » (lett. del 22, 11, '32). Un discorso ostico all'orecchio di Mario: un accadimento, un pensiero, ancorché non partecipasse alla realtà presente, poteva essere storicizzabile, ma non era storia; ma come poteva tornare a essere storicizzato? Attraverso la coscienza? E chi è il « qualcuno » che lo riesumava e lo faceva rivivere nel presente? I1 fatto, osservava Mario, « non si trasporta , n'ella coscienza, ma si conosce restando fuori come reaità fisica o nell'altrui coscienza come realtà psichica » (lett. del 22, 11, '32). Per Mario, insomma, ogni accadimento era storia, in sé e per sé, prescindendo dalla ricostruzione riflessa. Negava poi che diventasse storia il processo per la coscienza couettiva, perché tale coscienza non esisteva per lui che in astratto. Altra cosa era la coscienza del collettivo. Per Mario, infine, la vera storia era la storia-accadimento, non quella riflessa attraverso la coscienza: « Lo storico non si può dir che crea la storia, ma deve dire che la conosce, ne indaga il processo, ne cerca il valore, ne ricostruisce il corso [...l. Come essere la storia sta, è quella che fu. Come cognizione è, si rinnova, si risolve incessantemente. La storia non muta, non si evolve, proprio perché f u » (lett. del lo, 111, '32). A questo punto Luigi aveva ragione di osservare che le due posizioni non erano conciliabili: « ciò posto, non si può andare avanti; o tu persuadi me o io persuado te; altrimenti non faremo che ripeterci » (lett. del 7, 111, '32). È a questo punto cruciale della loro corrispondenza che Mario chiese al fratello di indicargli « qualche autore grave » che sostenesse le sue idee, rivelandogli schiettamente la « insoddisfazione mentale » che aveva provato leggendo l'articolo Éloge du présent (lett. del 12, 111, '32). Ed ecco la risposta di Luigi: « Non ho
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nessun autore da indicarti, che sia del mio modo di concepire la storia. I1 mio è un tentativo originale ». Ricordava due suoi articoli pubblicati sul tema della storia: Historismus und Trascendenz, comparso nel volume annuale (1930) della Gorres Gesellschaft e il già più volte citato Éloge d a présent, che rivelava di avere scritto « dopo un discorso del filosofo cattolico tedesco Hildebrand contro lo storicismo » (lett. del 17, 111, '32). Dunque, la lettera offre un elemento di analisi importante: Sturzo non sa indicare un autore o un insieme di autori, un qualche indirizzo a cui possa collegarsi la sua teoria 47. Si premura di spiegare al fratello che gli articoli suoi sono originali, il che vuole anche dire che non fanno parte di alcuna scuola. In effetti, I'Eloge du présent ha tutta l'evidenza di un articolo scritto di getto, senza preoccupazioni filologiche e nemmeno bibliografiche. Ma noi sappiamo che Luigi ha scritto nel clima della polemica anti-storicista di quegli anni, e che era disponibile all'ascolto di Bremond, Blondel, Bergson, con un'attenzione nuova, come si è detto, al problema della storicizzazione e attualizzazione di quelie realtà sociali e sentimentali, che attraverso la coscienza collettiva, avrebbero potuto risolversi nel presente 48. Mario naturalmente si trovò ancora più a disagio con l'aflermazione del fratello che non aveva autori cui appoggiarsi. Restava in lui ancora più acuto il disagio per non riuscire a individuare la radice di quella concezione della storia, che il fratello definiva storicista, nonostante le sue riserve sullo storicismo tanto positivista che idealista. Per caso, non era più coerente Croce con la sua concezione della storia? In quei giorni - siamo nel marzo del '32 Mario stava leggendo la Storia d'Europa, e questa lettura gli dette lo spunto per riprendere da un altro versante la discussione con il fratello: « Per Croce non è storia ogni coordinazione dei fatti umani, ma solo quella coordinazione che s'ispira al concetto di attività interna e processuale. Questa è la storia; ogni .altra maniera di esporre i fatti è cronaca o filologia. Fatte le debite riserve, questo modo di parlare mi sembra più logico del tuo. Infatti cronaca, fdologia, storia non sono concepite che come tre maniere di esporre 47. Già Di Lascia osservò come S N ~ >«raramente» indugiasse sulle fonti OP. cit., p. XXV. fonnative del suo pensiero, cfr. A. DI LASCIA, 48. «Non definisco la stona - scriveva Sturzo al fratelio Mario il 19 aprile 1932 - coscienza collettiva, dico che la storicizzazione dei fatti del processo umano avviene per via delia coscienza collettiva o sociale o comune p>.
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l'accadimento storico, e possono riguardarsi come storia o suoi elementi o suoi gradi C ...l. Tu, invece, poni l'accadimento semplice e l'accadimento storicizzato; neghi che il primo sia storia, e vuoi che sia storia solo il secondo » (lett. del 22, 111, '32). Mario era molto preoccupato del « tentativo originale » del fratello, temeva che esso potesse gettare un'ombra sulla solidità scientifica del lavoro in corso: il trattato di sociologia storicista (lett. del 23, 111, '32). Di qui le sue lettere incalzanti per mesi e mesi, sempre con la stessa tesi: che non era la coscienza collettiva a fare la storia, che la vita umana era « da sé storia » e che la coscienza riflessa aveva un senso solo metodologico. Continuava poi a stupirsi che Luigi non accettasse il concetto della « soprastoria », che era poi in sostanza la fede. « La fede in chi crede non si risolve tutta in storia; e l'opera storica di chi crede si distingue da quella di chi non crede. Chi non crede pretende risolvere in storia anche la para fede e la contamina, e contamina di errori anche la storia. I1 concetto vero di storia non si ha che quando si reputa storia la vita vissuta e soprastoria la pura fede, e quando l'unità si ha dalla sintesi e non dalla risoluzione » (lett. del 6, V, '32). Ma su questo punto la risposta di Luigi era recisa: « I1 problema della cosidetta soprastoria è per me un falso problema, perché la parola sopra-storia conduce ad analogie erronee. Tutto è storia quaggiù, anche la soprannaturale; il cristianesimo è storia; l'azione della Grazia nelle anime, spingendo a lavorare nel bene, può divenire storia, storia di bene; coloro che resistono alla Grazia fanno del male, e la loro attività può divenire storia, storia di male. E poiché bene e male sono sempre misti, la storia è storia di bene e di male. Ma io penso che la storia è coscienza collettiva: così non possiamo intenderci » (lett. del 26, V, '32). Confessava Luigi la sua dif£ìcoltà nel concepire una fede, che era nella storia, come cosa superiore alla storia, quindi fuori dal processo degli avvenimenti. La storia per lui era l'agire umano (in società). « Gesù Cristo è storia: avvenimento, attività, pensiero. Dire che nella storia esiste la fede è lo stesso che dire esiste la giustizia, la religione, l'amicizia, ecc. » (lett. da Losanna del 4, VIII, '32). Non si intendeva con il fratello, eppure avrebbe voluto comprenderlo appieno, seguirlo nei suoi ragionamenti, ma non avrebbe potuto sospendere la sua singolare natura critica, che lo conduceva sempre, costantemente a riferire i concetti, i principi, le ipotesi alla
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realtà ovvero a quel che chiamava « il reale umano presente »: « La critica è in me un abito troppo vecchio e che mi ha sempre contrastato il lavoro di pensiero creativo. Ma ciò è sforzo di comprensione. La ragione è che sotto l'elemento astratto, io ho bisogno di avere il concreto, il reale; se questo c'è, lavoro alacremente nel campo dell'astrazione; ma se mi manca non riesco ad andare avanti » (lett. del 15, VIII, '32). Quanto a Croce, Luigi si dichiarava d'accordo lì dove affermava che « il pensiero è sempre collaborazione », ma poi aggiungeva: « non sono di accordo quando dalla collaborazione (che è lo stesso della mia coscienza sociale o collettiva) salta allo spirito del mondo, che per lui vuol dire lo Spirito. I1 concetto di società è falsato tanto da coloro che la risolvono in un'entità metafisica (quale lo spirito degl'idealisti), quanto da coloro che la risolvono in un'entità bio-fisica, come i positivisti. La società è lo stesso individuo associato ad altri in una coscienza comune, cioè partecipante l'un l'altro allo stesso o simile pensiero come elemento, questo, originario di tutta la nostra attività. Quindi pensiero collaborante » (lett. del 3, VI, '32). Giudizio complesso, non proprio chiaro: che cosa fosse quest'individuo che partecipava « l'un l'altro » allo stesso pensiero e come questo fosse elemento originario « di tutta la nostra attività » non si capiva dalla lettera di Sturzo, di qui le nuove obbiezioni del fratello. In una lettera successiva, del 9 giugno 1932, Sturzo dava la definizione del suo storicismo, che avrebbe poi travasato nella sua sociologia: « È evidente che la storia senza Dio è inesplicabile, come è inesplicabile la natura senza Dio. Io, che accetto lo storicismo come sistema, ma non lo storicismo idealistico, lo definisco: la concezione sistematica della storia come processo umano, realizzantesi per forze immanenti, unificate dalla razionalità; però da un principio e verso un fine trascendente-assoluto » 49. 49. Testualmente la stessa definizione si legge nel saggio suiia sociologia: « Per noi lo storicismo è la concezione sistematica della storia come processo umano,
realizzantesi in virtù di forze immanenti, unificato nella razionalità, però da un principio e verso un fine trascendente assoluto ». Cfr. L. S., La società: sua natura e leggi, cit., p. 18. I1 corsivo è nel testo. C'è una variante: nella lettera si Iegge « unificato dalla razionalità », nel saggio; « unificato nella razionalith ». Anche sull'uso del termine storicismo Mario aveva obbiettato al fratello: « Tu adoperi neil'introduzione la parola storicismo (è anche nel titolo) in senso dualistico. Ora la parola storicismo non è comune come la parola storia, ma speciale, ed indica il modo moderno di concepire la storia, cioè, di concepirla come sviluppo per interna
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La lunga e movimentata discussione con il fratello non fu inutile per Luigi, alle prese con il suo lavoro sulla sociologia storicista: è vero che la soprastoria non entrò a fare parte del suo vocabolario sociologico, che però accolse la sollecitazione di Mario al chiarimento sul rapporto fede-storia. I1 dibattito sulla soprastoria divenne i1 problema dell'inserimento delle forze extra-storiche nella storia: « Però il principio (creazione) e il fine (destino soprannaturale dell'uomo) non sono storiche ma extra-storiche, da e verso il principio assoluto. Gli storici che credono non sia loro compito ammettere un principio e un termine extra-storico, non possono spiegare il divino nel processo umano, e quindi sono costretti a umanizzarlo al punto da ridurlo ad una pura invenzione umana, come la leggenda, il mito, la superstizione; ovvero ad una forma infantile e popolare della concezione filosofica immanentista. Ciò facendo, riducono il razionale all'irrazionale, negano l'unificazione delle forze immanenti del processo umano, e perciò stesso negano il processo umano nella sua vera natura » 'O. Nella lettera del 3 gennaio 1932, Luigi aveva scritto che il concetto di società era falsato dagli idealisti, in quanto la risolvevano in un'entità metafisica, giudizio che Mario riteneva erroneo e fondato su una conoscenza approssimata dele collettiva attività, per cui il tutto è tutto e l'individuo è nulla. Croce dice che non Descartes rinnovò la filosofia, ma lo spirito. 11 dualismo per il pensiero moderno è antistorico. Dire che ci sia uno storicismo dualistico è dire che ci sia uno storiasmo antistoricistico. Quel che dice Croce, prima lo disse Hegel e lo dicono gli altri. Credo che tu debba levare quella parola e usarne una che non generi equivoci » (lett. del 19, 111, '32). Luigi rispondeva il 22 agosto '32: « io pertanto uso il termine storicismo e lo giustifico perché ammetto questa specie di immanenza del soprannaturale ». 50. L. S., op. cit., p. 21. Aveva scritto al fratello Mario da Losanna il 23 luglio 1932: « Io non lascio fuori la fede (che fuori dell'uomo credente è un'astrazione), ma la metto come un elemento dei pensieri, dei sentimenti e delle azioni umane che sono la storia. L'errore dei moderni, da Descartes in poi, è voler fare della pura stona (che non è storia) e della pura filosofia (che non è filosofia). Come sezionare l'uomo? I1 vero, l'unico concreto è l'uomo e questi ha in sé la fede (se l'ha) e agisce sotto tale impulso; e se non l'ha, avrà quel che sostituisce la fede, quei tali elementi religiosi, che dipendono da una fede-tradizione, sia pure primitiva o giudaica o deformata o superstiziosa: ovvero da filosofie che prendono il posto di religione e i caratteri di fede. Mettere da un lato la pura ragione (filosofia-storia) e dali'altro la fede (soprastoria) è per me una concezione derivante da uno sfono analitico che dal pensiero astratto si vuole trasportare neiia realtà concreta ». - Sulia relazione immanenza-trascendenza nel pensiero di Luigi Sturzo, cfr. ROSSANA CARMAGNANI, Trascendenza e libertà nella concezione della storia di L. Stuno in « Soaologia *, maggiodicembre 1981, pp. 3-26.
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l'idealismo: « La società per gli idealisti, da Hegel a Gentile, dico per gli hegeliani in senso stretto - scriveva a Luigi - non è un'entità metafisica, come tu dici. L'entità che conta anche per loro è l'individuo, perché l'idea solo in lui si trova e funziona. La società per loro è quello stesso che è per te: "una risultante ... di coscienza degli individui consociati". Ma c'è degli autori massimi chi concepisce la società come un'entità reale? Io ne dubito. Simili sciocchezze non le dicono che i ciabattini della scienza [...l. Ti ho scritto e ti ripeto: lascia i volgarizzatori, prendi le opere di Hegel e se vuoi di Croce e Gentile e d'inglesi di primo ordine [...l. Tu fai deduzioni indebite. Gli idealisti, per es., parlano della natura come ne parliamo noi. Negano però che esista come realtà distaccata dall'uomo, a conto suo. È il punto specifico. Ma alla natura danno tutti gli altri attributi che diamo noi, sempre però come atto del pensiero soggettivo-oggettivo. Così è della società. Esiste nella coscienza individua collettivizzata, non come di individui personali reali, con anima immortale, ma come oggetto inseparabile dal soggetto pensante » (lett. del 16, VII, '34). La critica del fratello era forte; Luigi vi faceva la figura di uno scolaretto che, per far presto, si era affidato ai « ciabattini della scienza ». Nella sua risposta, senza permali, pacatamente elencava i nomi degli autori cattolici che si erano messi sulla via di una teoria sociologica « nel vero senso della parola » (Delos e Renard); accennava a Durkheim, come l'esponente più alto della sociologia positivista, ribadiva che la teoria << metafisica » aveva nello stesso tempo origini hegeliane e storico-positive, rivendicava l'originalità della sua posizione, citando come precursore di essa il teologo svizzero Rodolphe Vinet del secolo scorso (lett. del 21, VII, '34). Negava che per gli idealisti la società fosse la stessa che per lui: una risultante di coscienza degli individui consociati; per gli idealisti non c'erano veri individui, né vera coscienza personale, pertanto non ci potrebbe essere una risultante: « onde in fondo per essi non c'è che Idea o Spirito o Atto realizzantesi nel molteplice fenomenico, che è da noi appreso ora come natura ora come società D. Ammetteva che gli idealisti usassero « lo stesso fraseggio nostro », ma con un significato così diverso che per essi era « un abuso » (lett. del 24, VII, '34). I1 concetto, l'immagine che Luigi si era fatta dell'idealismo, ribatteva il fratello, non era esatta: « questo non è l'idealismo degli idealisti, ma dei loro avver-
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sari », ed aggiungeva acutamente: « Se così fosse, saremmo in un panteismo dualistico: l'Idea e il fenomenico. Invece per loro c'è solamente l'Idea che è unità di se stessa e del suo oggetto, che non è altro da se stessa. Essi, ciò affermato, concepiscono l'individuo non come un essere che è, ma come un individuo che si fa. Sta attento, che tutto qui è il punto. Noi concepiamo (e facciamo bene) l'individuo come una realtà posta, come un essere che è quello che è, così concepiamo il mondo. L'oggetto noi lo concepiamo bensì in relazione col soggetto, ma fuori di lui. Gli idealisti dicono che se così fosse, conoscenza dell'oggetto non sarebbe possibile. È lo stesso problema posto da Platone e ripreso da S. Agostino, ma svolto in modo diverso. Di qui, cioè dal problema della conoscenza, dovrebbero ricominciare tutti i filosofi. Fu la mia idea fissa » (lett. del 31, VII, '34). Tacito rimprovero al fratello Luigi che non l'aveva aiutato nello studio del problema gnoseologico e che invece si era avventurato in un discorso confuso, secondo il convincimento di Mario, dove la filosofia si mischiava con la sociologia. Di qui il « certo disagio » che provò Mario nel leggere l'introduzione di Luigi al saggio (27, VII, '34). È vero che nelle lettere di Mario si avverte una viva irritazione per la sociologia, irritazione comune anche agli idealisti. I1 problema era di riuscire a svincolare la sociologia dall'ipoteca del positivismo, come prospettava Luigi: « I sociologi disprezzano i filosofi e viceversa. Secondo me non può esistere vera sociologia che non sia filosofia. Perciò il mio sforzo è ricercare gli elementi sociologici che non patiscono ulteriore risoluzione. Lì s'incontra la filosofia, cioè si fa della filosofia facendo della sociologia. Non sono due scienze né opposte né indipendenti ». Seguiva, quindi, nella lettera un'affermazione importante per capire il suo nuovo modo di considerare la funzione della sociologia: « la sociologia è una branca della filosofia e si appoggia su tutte le indagini, che sono fornite dalle scienze positive. Io non la chiamerei sociologia, ma antropologia sociale. Tutto quello che tu attribuisci alla sociologia appartiene in proprio o alla psicologia o alla biologia o alla etnologia ed altre scienze » (lett. del lo, VIII, '34) 51. Era, dunque, 51. Ardigò, sottolineando la centralità dell'affermazione sturziana della sociologia come antropologia sociale, ritiene che più di una sociologia vera e propria, come la si intende oggi, si debba parlare a proposito della Società: sua natura e leggi di una « meta-storia sociologica »: « Il concetto che a mio awiso - scrive
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Luigi tanto poco organicista da risolvere la sociologia in branca della filosofia, da negarle una vera autonomia 52: avrebbe preferito chiamarla antropologia sociale, appunto perché incentrata nell'uomoindividuo operante in concreto nella società. Quest'affermazione è da collegarsi alla critica che egli fece del « finalismo sociale » di molti sociologi cattolici: « La posizione da me presa - aveva scritto al fratello il 23, V, '33 - è in opposizione a quei sociologi cattolici che caratterizzando la società dal fine, ne fanno un fine esterno all'individuo ed implicitamente (o anche esplicitamente) eteronomo; onde senza avvedersene e pur volendo confutare le teorie che fanno della società un'entità reale a sé stante, ci cadono dentro [...l. Tutti coloro che fanno della società un'entità distinta dall'individuo sono costretti a subordinarvi i fini individuali; e viceversa coloro che reputano che non vi siano altro che fini individuali (sotto il doppio aspetto subiettivo e sociale) sono costretti a risolvere la società negli individui ». Non sembra che a Mario interessasse molto questa riduzione che operava il fratello della sociologia all'antropol~gia sociale; il punto era che Luigi continuava a perseguire, a suo modo di sentire, un'idea sbagliata dell'idealismo, desunto dalla lettura di qualche « ciabattino della scienza »: « TLIhai un'antipatia eccessiva per l'idealismo e lo giudichi con eccessiva severità. Bada, io sono Ardigò - fonda questa metastoria è quello di ambivalenza. Un concetto cui da tempo sono affezionato perché ci viene da Pascal. Che la società sia centrata su due valori, due poli opposti e però complementari che devono crescere insieme, è un'intuizione sturziana forte. Essa si colloca come discriminante fra due opposte alternative: da una parte una teoria nomologica, deterministica: il positivismo; e dall'altra la dialettica vera e propria, sia idealistica o di idealismo rovesciato nel materialismo storico. I1 livello dell'ambivalenza resta a livello metateorico ». Dall'intervento di Achille Ardigò alle « Tre giornate sturziane », cit., p. 113. 52. Nella prefazione all'edizione italiana deii'Essai de Sociologie, che è del 1949, e che apparve con il titolo La società: sua natura e leggi, Luigi Sturzo sosteneva ancora che la sociologia era « una scienza in cerca del suo oggetto e del suo metodo », anche se ammetteva che si era compiuto un gran lavoro per dare ad essa « carattere autonomo, disimpegnato quindi da qualsiasi altra scienza ». Cfr. L. S., op. cit., p. XIII. Giustamente Ardigò ha osservato a proposito di questa affermazione di Sturzo: « Sebbene nel Metodo sociologico si sia confrontato con il lavoro dei sociologi del suo tempo, la sociologia di Sturzo è rimasta una introduzione concettuale d a teoria sociologica; e ciò spiegherebbe l'affermazione, altrimenti incredibile, che egli fa: essere la sociologia una scienza in cerca del suo oggetto e del suo metodo [...l ». Dall'intervento di Achille Ardigò alle « Tre giornate sturziane », cit., p. 113.
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tutt'altro che tenero per questo sistema, ma non posso riputarlo una puerilità o un gioco. È un grande sforzo per superare le difficoltà del problema della realtà e della conoscenza » (lett. del 4, VIII, '34). Gli sembravano luoghi comuni, superficialità, disinformazione le tesi di Luigi che le teorie sociologiche dello Stato etico, del determinismo storico, del nazionalismo prendessero le mosse dallo storicismo hegeliano. La polemica andò avanti ancora per sei mesi, fino a che qualche dubbio incominciò a insinuarsi nelia mente di Luigi, che prendeva la decisione radicale di abolire quasi tutti i riferimenti all'idealismo dal lavoro sociologico, quando stava già procedendo alla revisione della traduzione francese: « H o tolto quasi tutte le referenze all'idealismo e ogni discussione a fondo. H o lasciato solo accenni generali alle teorie metafisiche (le chiamo così) della sociologia. Sulla questione dell'idealismo quando avrò studiato di più la materia farò un breve saggio a parte » (lett. del 25, 11, '35) 53. Anche sulla questione del giudizio sull'idealismo, dovremmo, dunque, ricollegarci alle considerazioni che già svolgemmo sulla 53. In effetti le « referenze all'idealismo » sfumarono nell'introduzione al saggio di sociologia in forma molto generica: « È per questo che, parallelamente alla sociologia positivista, si è svolta una concezione della società che chiameremo metafisica. La società non sarebbe concepita materialisticamente come un'organismo biopsichico o come un meccanismo associativo, ma piuttosto come principio, volontà forza, idea, spirito che da sé si attua e si realizza nelle varie forme di vita umana. I n questa seconda concezione la storia, come espressione unica e complessa del divenire, prende un posto prevalente e ha dato luogo alla formazione delle teorie storiciste [...l. Tanto la sociologia positivista quanto queiia che chiamiamo metafisica, neli'attribuire alla società (sotto qualsiasi nome concepita: stato, nazione, rnzza, popolo o classe) un'entità e un valore per sé stante, fanno dell'astrattismo; cioè deducono o dalla realtà biopsichica degli individui o da queila storica di essi, la esistenza di un principio extra e superindividuale, a carattere monistico ». Cfr. L. S., op. cit., pp. 4-5. Non abbiamo la risposta di Mario alla decisione del fratello di sospendere le ostilità contro l'idealismo, per mancanza momentanea di munizioni, però ci sembra molto corretta quella che potremmo considerare la conclusione delia polemica e che con accenti che rivelavano un travaglio interiore, Mario esponeva in una lettera del 26 febbraio '35: « Per me l'idealismo, più che una costruzione ontologica, è uno sforzo per spiegare la conoscenza. Inteso cosi, non va deriso ma studiato e superato. Studiato per superare certe nostre costruzioni aristoteliche insostenibili. Bisogna un po' tornare a Platone e a S. Agostino, ma in ultimo, bisogna rassegnarsi. I l problema della conoscenza serba un lato oscuro e misterioso. Ai fini della sociologia, ti ripeto, basta sapere che gli idealisti negano una realtà concreta alla società come ente, e pongono la realtà vera unicamente nell'individuo, nel quale 6 solo l'idea, quella benedetta idea che tu ipostatiui contro le loro affermazioni D.
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questione dell'intuizione e delle correnti mistiche. In questo come nell'altro caso i punti di riferimento di Sturzo non si lasciano facilmente individuare: nel saggio di sociologia storicista non si citano mai i nomi, che pur abbiamo incontrato più volte nelle lettere al fratello, di Rudolph Otto, di Bremond, di Blondel; non si cita nessun sociologo positivista, nemmeno Durkheim, neppure un sociologo « metafisico », non c'è il nome di Croce, solo quello di Gentile, ma con riferimento alla dottrina del fascismo, non v'è nemmeno il nome di Vinet, che pure figura nelle lettere al fratello. Ma sono proprio queste lettere a rivelare che Sturzo aveva in mente di elaborare una sociologia teoreticamente nuova e che questa elaborazione scaturiva dalla preoccupazione politica, che fu sempre presente in lui, sin dalle prime esperienze sociologiche accanto a Giuseppe Toniolo, di superare il condizionamento positivistico e materialistico e di immettere nella struttura della ricerca sociologica anche la valutazione di quelle che chiamò le forze extrastoriche come forze culturalmente autonome. Si ricordi l'articolo dell'Éloge du présent, da cui prese l'avvio tutta la disputa con il fratello. Ma perché tanto accanimento contro lo storicismo hegeliano e le sue derivazioni idealistiche? I1 fratello avrebbe voluto condurlo a discutere sul problema della conoscenza, perché era convinto che qui si era verificata, da Descartes in poi, la frattura con la tradizione del pensiero cristiano e che perciò fosse fondamentale e prioritario rispetto a ogni altra questione capire che cosa era accaduto nella filosofia nell'età moderna. Luigi, pur accettando la lezione potremmo dire filologica di Mario (ricostruire il pensiero idealista secondo quel che era e non secondo il metodo approssimativo dei « ciabattini della scienza D), era invece premuto da due problemi, che ancora una volta nascevano dalla sua analisi del concreto, del « reale umano presente » e questo « reale umano presente » era il mondo politico che vedeva intorno a lui, mondo di barbarie, di eresie filosofiche e sociologiche, che facevano da rincalzo ai tentativi di unificazione sociale definitiva nello Stato totalitario, e nella figura dello Stato totalitario Sturzo comprendeva il comunismo, così come lo vedeva realizzato nella Russia di Stalin, e il fascismo. « Poche persone vedono oggi nella crisi della democrazia e nell'ingrandirsi mostruoso dello stato totalitario - scrisse nelle ultime pagine del suo saggio - un problema fondamentale
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etico e culturale che non può essere risolto da una democrazia individualista 'o razionalista, né da uno stato totalitario, preteso stato etico e mistico. Quel che si dovrebbe ritenere dello stato moderno è il suo valore strutturale, il progresso dei mezzi di tutela, di ordine e di difesa, lo sviluppo degli strumenti di cultura e di attività, i dati materiali di un'evoluzione evidentemente utile e degna dell'uomo [...l. Ciò che deve invece essere assolutamente respinto è la pretesa etica dello stato, la concezione monista del suo carattere sociologim, il suo conseguente e assurdo totalitarismo, in una parola: l'unificazione forzata delle società nello stato e l'affondamento in esso della personalità umana » %. Sturzo era convinto, insomma, che un nesso legava le concezioni « metafisiche » dello stato con le concezioni organicistiche della società e che fosse pertanto necessario elaborare una scienza sociologica, (più antropologia sociale che sociologia positiva), capace di contrastare iI passo alle correnti che vedevano nello stato l'unico potere unificante della società. Ancora una volta era un problema concreto e del suo tempo, del tempo delle infatuazioni totalitarie, delle false mistiche nazionalistiche e razziali, da cui l'Europa sembrava dovesse essere travolta, e non di pura teoria, che lo aveva spinto a scrivere ".
54. L. S., OP. cit., pp. 268-69. 55. «Lo Stato - si legge ancora nel saggio - non è un termine dell'attività umana, ma solo un mezzo; esso non è una sintesi sociologica, ma una delle forme di socialità. I n rapporto all'attività umana tali forme possono essere considerate o come organismi associati o come condizionamento e mezzo di attività, o come finalità particolari. Lo stato moderno non esce da questo quadro; ogni sua amplificazione teorica e pratica, fino al sistema totalitario, è destinata a faliire, con tutte le conseguenze che una perversione di fini e di mezzi naturali porta con sé. I1 peggiore danno verrà recato d a personalità umana, la quale, invece di avere nello stato un mezzo per progredire, vi troverà un ostacolo quasi insormontabile P. L. S., op. cit., p. 270. L'Essai de sociologie fu accolto in Francia con qualche riserva proprio dalla rivista «La Vie intellectuelle P d a quale Stuno pur collaborava. La recensione è di R. Troude, che così scriveva: On est surpris de ne pas voir figurer dans les formes essentieiies de la socialité les sociétés économiques. Don S t m o classe i'économie dans les formes secondaires, en compagnie des groupements internationaux et intranationaux comme viuages et vilies, universités, classes et partis. Les raisons qu'il donne de ce classement restent assez obscures. Sans doute 1'Economie se mele à tout, elle s'immisce dans la ville de Ia Famiiie comme dans.celle des États et des Églises. Estce un motif suffisant pour nier son originalité et contester son importante? [...l. Ici encore l'auteur n'aurait-il pas emporté trop loin par son désir de réagir contre le marxisme et le libéralisme économique, ou contre
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6 - Mentre Sturzo era impegnato a rivedere la traduzione francese del saggio di sociologia, contemporaneamente lavorava a Chiesa e Stato, l'opera sua forse più importante, certamente più vasta, che uscì per la prima volta a Parigi nel 1937, dopo circa otto anni di studio. Nelle lettere al fratello si intrecciavano pertanto le questioni sulle due ricerche, creando difficoltà talvolta al lettore per individuare a quale delle opere esse si riferiscono per la similarità di certi argomenti. La verità è che il testo dell'Essai de sociologie fu pensato come una lunga premessa metodologica ai volumi di Chiesa e Stato 56: difatti nel saggio Sturzo elaborò quel concetto di diarchia, che poi utilizzò nella ricostruzione che fece dei rapporti fra Chiesa e Stato, ricostruzione che non voleva avere carattere istituzionale, ma storico-sociologico, mirando a far comprenles essais récents de corporatisme? D. Cfr. la recensione di R. Troude in <(La Vie intellectuelle», 25 gennaio 1937, pp. 279-282, in particolare p. 282. Alberto Di Giovanni, conoscitore profondo dei testi sturziani, ha osservato come effettivamente nella sociologia storicista di Stuno, l'economia <( non dà luogo ad una forma sociale propria, entrando piuttosto "in tutte le forme di socialità come condizionamento d'esistenza e ailo sviluppo di ciascuna forma di socialità" [...I. Sarebbe, quindi, gravissimo errore sociologico il pensare, come fanno i vari marxismi, che nella società tutta la struttura sociale si riduce ail'economicità [...l. Benché forma solo secondaria del vivere sociale, il condizionamento che l'economia esercita è però importantissimo ed universale, attingente ognuna delle forme associative fondamentali: famiglia, stato, religione ». Cfr. ALBERTODI GIOVANNI, Per una coscienza morale nella politica: attualità di Luigi Sturzo, in AA.W., La presenza della Sicilia nella cultura degli ultimi cento anni, Palumbo ed., Palermo 1977, vol. 11, pp. 952-985. L'economista Giuseppe Palladino, che è stato vicino a Luigi Sturzo negli ultimi anni di vita, ha già osservato che per il sacerdote di Caltagirone, come per i canonisti, le leggi economiche hanno un valore normativo, se desunte dail'ordine naturale, che è ordine creato, quindi morale D. Dail'intervento di G. Palladino aile «Tre giornate sturziane» (26, 27, 28 novembre 1979) in <( Sociologia D, gennaioagosto 1980, p. 85. Anche Ardigò rileva: <( L'economia, in quanto è solo interesse, non può essere assunta, per Stuno, a funzione fondamentale come invece è stato per famiglia e religione ». Dall'intervento aile <(Tregiornate stuniane P, cit., p. 117. 56. Nella prefazione &edizione italiana di Chiesa e Stato, siglata da Eugenio Massa, si legge: << Per il lettore di oggi avra poca importanza un dettaglio che potrebbe interessate i filologi e i sociologi, c i d che il volume Essai de sociologie, pubblicato nel 1935 a Parigi, fu concepito e scritto in prima stesura come una lunga introduzione al lavoro su Chiesa e Stato S. L'edizione in lingua italiana uscì solo nel 1958, perché per vari anni Stuno fu perplesso se aggiungere qualche capitolo di aggiornamento. Non trovandone mai il tempo, dopo il suo rientro in Italia, si decise a pubblicare l'opera cosl com'era nata, accettando solo che si aggiungesse una bibliografia curata da Eugenio Massa, collaboratore e amico di Giuseppe De Luca, ai quale Sturzo si affidò per ogni consiglio editoriale. Cfr. L. S., Chiesa e Stato in Opera Omnia, Zanichelli, Bologna, vol. I, pp. XI-XIII.
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dere meglio la natura e i fattori socio-culturali dei rapporti fra Chiesa e Stato: <{ Se noi insistiamo sulla dualità di Chiesa e Stato scrisse a conclusione del suo lavoro - non è perché soprawalutiamo la Chiesa, che oggi ha diminuito di molto il numero dei suoi veri fedeli, per I'apostasia delle élites e delle masse, ma perché l'una e l'altra rappresentano sintesi permanenti e indistruttibili. Chiesa e Stato non significano solo due poteri, guardati nel loro diverso compartimento di competenze e giurisdizioni; significano due principi, il monista e il dualista, I'immanente e il trascendente, il naturalistico e il soprannaturale, con la loro reciproca influenza e reciproca lotta, non formale, ma sostanziale, anzitutto dentro la nostra stessa coscienza D ". La storia dei rapporti fra Chiesa e Stato diventa pertanto storia nel concreto di questo conflitto che non è di netta separazione: c'è lo Stato, che tende ad essere Leviathan, ma non lo è necessariamente, perché incontra sempre la coscienza che resiste alle manomissioni dei suoi fondamentali diritti, ma che tende anche a conservare in ogni struttura sociale i margini di libertà, di resistenza e di rifugio: si << crea così un dualismo sociologico fondamentale e insopprimibile. La chiesa cristiana ha polarizzato questo dualismo, l'ha reso duraturo e permanente e vi ha dato la luce di una verità soprannaturale: "date a Cesare quel ch'è di Cesare e a Dio quel ch'è di Dio". Questa concezione è stata alla base dell'esperienza cristiana; ogni volta che di qua e di là si sono voluti passare tali limiti, si sono violate le leggi della natura e quelle della rivelazione. La dualità non significa dualismo, non può arrivare al dualismo; non è sempre diarchico, ma diviene diarchia ". Merito del cri57. L. S., op. cit., vol. 11, p. 246. 58. L.S., op. cit., vol. 11, p. 251. Nel saggio sociologico Sturzo aveva definito i due termini della dualità-sociologica <( come due correnti, l'una organizzativa e l'altra mistica », mettendo sotto la prima «coloro che lavorano neiia pratica struttura sociale; sotto la seconda tutti coloro che agitano idee che rivelano le miserie del presente e spingono d e riforme in nome di un qualsiasi ideale ». Queste correnti - scriveva S t u m - <( agitano le istituzioni e si manifestano nelle opere di pensiero e di arte, nell'attività religiosa e politica, creano i gruppi attivi dall'una parte e dd'altra D. Le due forze in lotta, secondo Sturzo, non dovevano concepini come due astrazioni o posizioni logiche: <( sono individui di qua e di là, e ciascuna parte esprime quel che può di fattori ideali od organizzativi per resistere e per vincere. Sicché l'interferenza delle correnti è costante; vince quella che può trascinare con sé il maggior contenuto di elementi sociali sotto un ideale dinamico (anche se pseudmrazionale), perché è quella che ha potuto, nello stesso tempo, porsi sul terreno deiia realtà organizzativa. In sostanza, è l'organizzazione che fissa l'ideale mistico nelle istituzioni, ed è lo stesso ideale che rende viva e progre-
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stianesimo, in sintesi, è d'essere riuscito a sottrarre la coscienza dell'individuo a quella totalizzante della polis ". Con questa chiave interpretativa Sturzo ripercorre tutta la storia della Chiesa dall'impero romano sino al XX secolo, alla nascita degli stati totalitari: <( La conquista dello stato sulle anime - scriveva Sturzo in Chiesa e Stato - è in continuo progresso, sia là dove l'evoluzione verso lo stato totalitario si va compiendo, sia dove lo stato, pur non essendo tale, mira a dare una propria impronta alla formazione educativa e culturale del paese. È compito di tutte le chiese cristiane di resistere: quanto più le chiese possono contrapporre una formazione cristiana veramente moderna, tanto meglio potranno far fronte al nuovo pericolo D @'. Dunque, la connessione fra le ricerca di un nuovo metodo sociologico e la ricerca storica è in Sturzo molto stretta; non è una connessione pura, astratta, speculativa, ma pratica e dettata dal riconoscimento di un pericolo gravissimo, che sovrasta non solo la chiesa, ma la stessa libertà, di pensiero, di fede, di arte, politica e civile, quindi le basi stesse, i presupposti di quella diarchia o dualità dinamica, che Sturzo considerava come il motore della storia. I1 carteggio con il fratello ci dice parecchio sull'occasione dell'opera e sulle fasi di lavoro: è indubbio che l'idea prese considiente l'organizzazione. Da questo processo si sviluppa la "diatchia sociologica" D. Cfr. L. S., La società..., cit., pp. 229-230. Sulla diarchia Chiesa-Stato, cfr. EUGENIO GUCCIONE, La diarchia Chiesa Stato, in D'ADDIO,DI GIOVANNI, GUCCIONE, MORRA, PALAZZO, Politica e sociologia in Luigi Sturzo, cit., pp. 183-214. In generale sui rapporti Chiesa-Stato nel pensiero di Sturzo, si leggano: S. BELLIA,La Chiesa e lo Stato nel pensiero di Luigi Sturzo, pref. di F. Della Rocca, Torino 1957; E. DI CARLO,Chiesa e Stato nel pensiero di L. Stuuzo, in AA.W., Chiesa e Stato nell'ottocento, Padova 1962, pp. 105-121; M. CONDORELLI, Chiesa e Stato in L. Sturzo, in AA.VV., Luigi Sturzo nella Storia d'Italia, Edizioni di Storia e Letteratura, Roma 1973, vol. I, pp. 311-327; C. VASALE,Società e politica nel pensiero di G. Capograssi, Ed. di Storia e Letteratura, Roma 1972, pp. 295-335. 59. Afferma Mario D'Addio: << Dopo il cristianesimo per Sturzo la comunità politica non può più reclamare una partecipazione "totale" degli individui, sì che nella stessa comunità ritrovino il fine ultimo della loro vita. I1 cristianesimo ha sottratto per sempre l'anima dell'individuo alla "polis", ha scoperto in lui la coscienza, ciò che fonda la vera identità deu'individuo; e i valori proposti dal cristianesimo fanno della cosaenza un principio che non pub in alcun modo essere isolato dalla politica B. Dall'intervento di Mario D'Addio alle «Tre giornate sturziane » (26, 27, 28 novembre 1979), promosse dall'Istituto Sturzo, i cui atti sono stati raccolti nel numero citato, gennaio-agosto 1980, della rivista « Sociologia », p. 43. 60. L. S., Chiesa e Stato, cit., vol. 11, p. 221.
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stenza in Sturzo, all'amuncio della Conciliazione (11 febbraio 1929). Scriveva a Mario il 12 febbraio 1929: « Ho cominciato lo studio del tema Chiesa e Stato ». I1 21 dicembre del 1931 comunicava al fratello che stava terminando la prima stesura del nuovo libro. I1 24 febbraio 1932 annunciava di avere ripreso il lavoro su Chiesa e Stato « per la revisione definitiva », ma aggiungeva di non aver fretta: « [...l cammino a passi lenti e ci vorrà tutto l'anno e forse più. Del resto non ho fretta; è un lavoro che va pensato pagina per pagina. E poi debbo leggere ancora parecchi libri e fare molti riscontri ». A mano a mano che procedeva nelle ricerche, i problemi si accrescevano anche per le domande sempre incalzanti del fratello Mario, al quale doveva sembrare certamente un po' strano che Luigi si imbarcasse in un'opera del genere, di carattere storico, che esigeva soprattutto per la parte medievale conoscenze e studi anche eruditi. Si ripristinava così quel giro di domande e risposte, che già sappiamo, e che rendeva spesso molto ardua la loro reciproca comprensione. Non. seguiremo battuta per battuta la discussione che per quasi ogni lettera del 1932 si intrecciò fra i due fratelli: lo abbiamo fatto nelle note delle lettere. Ci sembra però importante sottolineare un chiarimento di Sturzo sulla visione storicista dei rapporti fra Stato e Chiesa, e che però era un'ovvia conseguenza delle riflessioni che nello stesso tempo veniva svolgendo nel saggio sociologico: « I1 tema della storia della Chiesa è per me interessantissimo e di attualità per il mio lavoro. Una questione pregiudiziale. Io non distinguo che solo per materia e metodo la storia civile da quella della Chiesa. La storia è una, quella che è stata. I1 cristianesimo è entrato nel processo storico come fattore di primissimo ordine, che ha cambiato le civiltà antiche ed è sempre operatorio. Non può essere storicamente messo da parte come estraneo alla storia civile né accantonato ad una storia particolare, quella della Chiesa. Natura e Soprannatura nel processo storico sono unite. Chi non capisce ciò, non comprenderà mai la storia » (lett. del 15, IV, '32). Una messa a punto lineare, aperta e moderna, che dà la misura dell'intelligenza storica di Sturzo, per altro non preoccupato di collocarsi in alcuna tendenza storiografica del suo tempo. Non gli interessava di avere il consenso degli storici, anche se teneva ben presente Croce, la sua Storia della storiografia e la sua Storia d'Europa. I1 fratello compì un buon lavoro di spoglio delle
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storie di autori italiani, gli consigliò o gli sconsigliò questa o quella lettura: ma Luigi dava sempre l'impressione di perseguire un suo pensiero, di non rinunciare a nulla che lo potesse confermare nella sua difesa di una storia come coscienza sociale in processo, conformemente a quanto aveva già scritto nella « Rivista di autoformazione » nel 1929: « Qual'è allora il fine della storia? Lo stesso che la sua natura, cioè, quello di essere un processo C ...1. Il processo storico non è che la successione di atti, cioè la continua attualizzazione di potenzialità, azione e reazione dei soggetti operanti » 61. La sua idea della storia è ottimista, perché si fonda sulla libera volontà degli uomini e sulla loro naturale tendenza a consociarsi: la storia non è al di fuori degli uomini, come un ente metafisico; non c'è una Provvidenza al di sopra degli eventi, che guida tutto; non c'è un Fato che rende ineluttabili i processi; la storia, d'altra parte, non è per Sturzo un insieme di fatti, i quali, poiché avvenuti, sono come fossili da museo, che non servirebbero agli uomini contemporanei; la storia si fa con gli uomini, con le loro abitudini, con le loro tradizioni, con la loro coscienza, lo aveva scritto e sostenuto sin dal famoso articolo Éloge da pvésent. La lettura delle sue opere, so: ciologiche e storiche, dà l'impressione che Sturzo abbia intuito i diversi livelli o piani nei quali la storia cammina: il livello più profondo, di ciò che resta e lentamente si trasforma con l'esperienza degli uomini, e non solo dei grandi uomini, ma anche dei tanti, infiniti uomini quotidiani, operai, contadini, intellettuali, un livello che oggi forse si chiamerebbe, secondo un vocabolario alla moda, di mentalità; e il livello di superficie, delle manifestazioni e degli eventi che a lui si presentavano come il frutto di un contrasto perenne fra le due correnti, l'organizzativa e la mistica. Oramai per lui era inconcepibile una storia scissa dalla sociologia, ben si intenda da una sociologia dualistica, quindi lontana dallo strutturalismo del Durkheim, e questa inseparabilità delle due scienze era già una acquisizione corrente, ancorché nuova e recente, della storiografia francese. Come si è già detto altrove, non ci sono riferimenti testuali che consentano di affermare una dimestichezza di Sturzo con altri scritti, che non fossero quelli di Bremond. Ma i1 clima generale era quelio, ed egli deve averlo awertito. Il superamento oramai 61. S . S., Storicismo e trascendenza, in « Rivista di autoformazione », luglie agosto 1929, p. 201.
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della sociologia toniolina, di cui si era nutrito negli anni giovanili, non poteva non essere più radicale. Dunque, la sua ricerca non si volge più, a questo punto, all'interno della storia del movimento cattolico; le sue ansie come i suoi interessi si sono allargati sino a comprendere la sorte delle civiltà europee. Chiesa e Stato non è un'opera che richiama temi risorgimentali, ma è un'opera europea che vuole offrire nuovi mezzi di lettura della storia del profondo, di quel che Sturzo chiama il dualismo sociologico delle due tendenze egemoniche dello Stato-Leviathan e della Chiesa, con nel mezzo la difesa e la tutela della libertà dell'individuo. La sua prospettiva storica, come si è detto, è ottimistica. Nonostante i totalitarismi imperanti, le pseudo mistiche nazionalistiche, il dilagare di forme e scenografie paganeggianti, Sturzo non è convinto del tramonto dell'occidente, non si chiude in sdegnata solitudine profetica, ma si apre ancora alla speranza, perché crede, infine, e con una forza che stupisce pensando alle condizioni del suo esilio, alla superiorità culturale, spirituale e civile del retaggio cristiano. C'è un luogo cruciale nella sua storia dei rapporti Chiesa-Stato, su cui si intrattennero in maniera particolare i due fratelli e che lascia capire con quale apertura di mente Sturzo procedeva nel suo lavoro: il giudizio su Lutero. Tanto Mario quanto Luigi mostrano insoddisfazione per le tesi correnti nel mondo cattolico sul promotore della Riforma, sono critici della biografia scritta dal Grisar: « H o finito di leggere il Lutero del Grisar - scriveva Mario il 2 1 novembre 1933 -. Son circa 600 pagine fitte di cronaca, ma non c'è una sola pagina di storia. La cronaca segue Lutero anno per anno, fatto per fatto, scritto per scritto. Di qui un senso di pesantezza, un fastidioso sentir ripetere, più o meno, le stesse cose in tempi diversi. Finita la lettura non si ha avanti nessuna sintesi, nessuna vera valutazione storica. L'autore si mostra sorpreso che i protestanti d'oggi trascurino il vero Lutero e si fermino al solo fatto dell'emancipazione da Roma. Ma che cosa vive di Lutero tranne questo? Che cosa sono per lo storico le colpe e le incoerenze di Lutero? Lutero fu un rivoluzionario dell'autorità del papa con tutte le conseguenze connesse ». In altra lettera del 9 dicembre 1933, Mario rifiuta la tesi del Grisar secondo cui Lutero « teoricamente » non dipenderebbe da nessuno, parendogli invece il contrario: « La avversione contro il Papato per motivi politici, filosofici e anche
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religiosi era già in quella che tu chiami coscienza collettiva. Poco importa che Lutero abbia preso le mosse dal fatto delle indulgenze e dalle sue preoccupazioni personali circa la salute dell'anima. Nel fatto egli si inserisce nel processo storico, in quella corrente di opposizione. Grisar accentua parecchio il fatto dell'anormalità psicologica di Lutero. Anche questo mi sembra errore ». Luigi rispose il 20 dicembre 1933, condividendo pienamente il giudizio del fratello: « Le tue osservazioni sul lavoro di Grisar sono esatte. Grisar è per me un gran filosofo, ma non un vero storico. Purtroppo presso il clero, regolare specialmente, si hanno grandi studiosi di fonti e di documenti storici, ma pochissimi veri storici e forse ancora più pochi filosofi della storia. Eppure come è necessario volgere l'attività costruttiva alla storia ». Sturzo cercava libri nuovi su Lutero e sul Concilio di Trento e si lamentava che non ne trovava di sua soddisfazione. Nel suo Chiesa e Stato non ci sono ricostruzioni storiche su fonti inedite, non ci sono precorrimenti di quelle indagini di Jedin sulle correnti spiritualiste e riformatrici che prepararono la Controriforma, non ci sono nemmeno accenti, richiami, riflessioni che possano far pensare a una conoscenza degli studi di Hauser, di Renaudet sulla pre-riforma e sulla vita spirituale nel XVI secolo, e nemmeno v'è sentore di una lettura del Martin Lutero di Febvre, uscito nel 1928; però circola sottilmente la preoccupazione di uscire dai complessi della demonizzazione di Lutero e di ricondurre la figura del frate agostiniano nel più largo movimento di rivolta che scosse gli inizi del XVI secolo. Sturzo rovescia per così dire I'impostazione alla Grisar, sostenendo che ci sarebbe stata più meraviglia se un uomo, come Lutero non fosse comparso: « In quella fioritura di grandi individualità, nella libertà - e anche licenza - intellettuale e morale che la rinascenza aveva assicurata con l'appoggio di re e papi, di principi laici ed ecclesiastici, non poteva mancare l'uomo che conducesse alla rivolta aperta e sowertisse tutto l'occidente » ". L'ultima opera sociologica, di cui il carteggio ci parla, è La ueva vita. Sociologia del soprannatzrrale, che sotto il titolo The trae life. Sociology of the supernatural vide per la prima volta la luce negli Stati Uniti nel 1943, presso The Catholic University of Arne62. L. S., Chiesa e Stato, cit., vol. I, p. 174.
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rican Press (Washington) 63. Per quale ragione non si sarebbe dovuto estendere lo studio della sociologia - si chiese Sturzo - a quella vita soprannaturale « che forma una speciale sintesi sociale, anzi la sintesi finalistica e pacificatrice della società » 64? La domanda scaturiva dalla concezione che Sturzo aveva della sociologia, niente affatto strutturalista, ma scienza morale: « La vera sociologia è la scienza della società nel suo concreto esistenziale e nel suo svolgimento storico - leggiamo nell'introduzione -. Se la soprannaturalità è un fatto storico e sociale essa può formare oggetto di indagini sociologiche D 65. Sturzo incominciò a pensare a una ricerca del genere nell'ottobre 1936, almeno secondo quanto ne scrisse al fratello: « Vorrei fare un libro mezzo ascetico e mezzo filosofico sulla vita interiore. H o delle idee fluttuanti. Aiutami con i tuoi consigli e le tue preghiere >> (lett. del 10, X, '36). Era ancora alle prese con la correzione delle bozze, l'indice dei nomi e « gli scrupoli dell'ultima ora » di Chiesa e Stato, che già pensava al nuovo libro, invece di darsi un periodo di riposo, come gli suggeriva Mario: « Tu mi dici - scriveva Luigi - di non pensare per adesso ad un nuovo libro. Ed hai ragione: un po' di riposo mi fa bene, per quanto ancora non sono terminati i lavori del libro in corso, fra i quali l'indice dei nomi e la correzione delle bozze e gli scrupoli dell'ultima ora danno tanto daffare. Ma io desidero ordinare le mie letture in questo periodo di mezzo riposo al fine del nuovo libro. Perciò è necessario avere presente un tema che possa attirarmi. Io vorrei scrivere, a modo mio, sulla Vita interiore. A modo mio, cioè non facendo un libro di ascetica o di precetti di ascetica, ma una specie di filosofia religiosa per laici. Te ne tornerò a scrivere » (lett. del 7, XI, '36).
63. Cfr. L. S., La società..., cit., prefazione alla prima edizione italiana, p. XI. I1 volume La vera vita. Sociologia del soprannaturale usci in italiano nel 1947 presso le Edizioni di Storia e Letteratura, infine fu inserito neli'opera Omnia, nel 1960, con una appendice di articoli a carattere spirituale (1925-1943).La prima copia del volume in italiano fu consegnata a Giuseppe De Luca, che era il fondatore delle Edizioni, dal fratello Luigi De Luca, proprietario deli'Istituto Grafico Tiberino, il 5 maggio 1947. Citiamo dall'edizione del 1947. 64. Cfr. L. S., La vera vita, cit., p. 10. 65. Ibidem.
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Un'altra lettera di Luigi, datata 24 febbraio 1937, è importante perché per la prima volta Sturzo precisa il titolo della nuova opera che si accinge a scrivere e perché mette in correlazione stretta la nuova idea con i due libri già scritti; il Saggio di sociologia e Chiesa e Stato: « I1 mio nuovo lavoro dovrebbe essere la continuazione dei due precedenti. I1 Saggio di sociologia è stato il tentativo di precisare le leggi sociologiche naturali di una società umana ch'è stata chiamata a un fine soprannaturale. Chiesa e Stato è lo studio, sul piano storico, delle leggi di rapporto fra la società a fini terreni e quella a fini soprannaturali, il loro cozzo e i vari tentativi di coordinazione. Vita soprannaturale sarebbe (ancora in idea) lo studio delle leggi sociologiche e delle esperienze storiche nel piano spirituale della Grazia. Cosl completerei il mio pensiero, se Dio mi dà le forze e l'aiuto ». Nemmeno un mese dopo, Sturzo aveva già abbozzata l'introduzione e dimostrava di avere chiaro lo svolgimento del lavoro: « I1 mio punto di partenza è dato dalle conclusioni dei libri precedenti. I1 Saggio di sociologia finisce con l'appello che la vita sociale fa alla trascendenza; Chiesa e Stato con la constatazione che umanesimo e cristianesimo sono storicamente inseparabili come natura e sopranatura. I1 terzo lavoro partirà (nell'intr~duzionegià abbozzata) dal principio che non si dà in concreto una natura completa, perfetta, valevole ai fini dell'uomo, ma che elevata d'ordine soprannaturale, decaduta e restaurata, la natura è talmente legata al soprannaturale da non essere più autonoma. Fuori della sintesi natura-sopranatura si avrà di qua la decadenza, di là I'annichilazione. Tale sintesi è individuale-sociale (lett. del 16, 111, '37). I due fratelli non discussero a lungo questa volta, come invece era awenuto per le due opere precedenti; non mancarono, è vero, i fraintendimenti, ma senza conseguenze. Mario ricordava al fratello che la vita individuale e sociale di per sé « non appella il soprannaturale, ma il trascendente » e che la natura anche nel Cristianesimo resta sempre imperfetta « e sempre aspira a una perfezione che in terra non si raggiunge »: << la perfezione della natura non è suo svolgimento, ma dono di Dio » (lett. del 25, I , '37). Se Luigi voleva fare un libro di sociologia, non poteva arrivare che a postulare il trascendente, quindi poteva solo fare filosofia pura (lett. del lo, IV, '37). Le risposte di Sturzo ripetevano forma e
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sostanza del discorso che aveva già tenuto con il fratello durante l'elaborazione delie altre opere: la società storica cristiana non è divisa in due società, una naturale, l'altra soprannaturale; era giusto rilevare e distinguere le due nature, con i loro caratteri e i loro limiti, « ma nel concreto individuale e in quello sociale, le due nature formano un'unica entità psicologica, morale e storica » 66. Emergeva infine la medesima preoccupazione scientifica, che più volte aveva manifestato al fratello: « I1 separatismo intellettuale ci ha portato al naturalismo razionalista o al supernaturalismo fideista; quello pratico ci ha portati al laicismo di stato e alla religione della sacrestia e della chiesuola » (lett. del 6 , IV, '37). Ma non chiedeva troppo Sturzo alla sociologia per superare il « separatismo inteltuale » e pervenire a un nuovo storicismo, capace di unificare il contingente nell'assoluto? Ritornavano sempre i dubbi in Mario sulla tesi di Luigi che l'assoluto potesse storicizzarsi nel contingente; temeva anche che il fratello si lasciasse tentare da un linguaggio improprio, desunto da altre filosofie, come l'idealismo, quindi motivo di equivoci e fraintendimenti.
7 - Anche dopo la fine della « Rivista di autoformazione D, il carteggio degli Sturzo, come abbiamo rilevato, continuò ad essere fitto di domande, dubbi, problemi, giudizi su questo o quel personaggio e continuò a conservare quella vivacità polemica, prodotto di una straordinaria tensione morale. La novità, da allora, era nel fatto che gli argomenti furono proposti da Mario non più in relazione a un articolo o a un libro di filosofia che avesse avuto in corso di preparazione: aveva abbandonato la causa del « neosintetismo » ovvero non ne parlava più, non aveva più il gusto dello speculare come già scrisse al fratello, non affiorò in lui più la preoc66. Gianfranco Morra ha così sintetizzato la tesi sociologica sturziana della Vera Vita: « I1 soprannaturale, infatti, non è il solo fondamento della salvezza escatologica, ma anche la garanzia della sociologia critica, fondata sul rifiuto d'ogni progetto di perfezione politica o sociale. Lo stesso progresso, che è il fine sempre incompiuto di ogni azione umana nella storia, trova nel soprannaturale il suo terminus ad quem, che consente di valutare cosa, nel processo sociale, è stato positivo secondo la legge del "moto verso la razionalità", che cosa, invece, appartiene anche al residuo irrazionale. I1 soprannaturale, in breve, è garanzia di libertà, di difesa dei diritti deli'uomo nei confronti dei totalitarismi di vario colore, ma tutti figli delia concezione panteistica e monopolistica della società o dello stato ». Dall'intervento alle « Tre giornate sturziane », cit., pp. 136-137.
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cupazione di trovare una gnoseologia conciliabile con l'idealismo. Tuttavia, gli rimase il desiderio di discutere con il fratello, come anche di affrontare temi particolarmente gravi, che erano da congiungersi con la sua attività pastorale. Non più un discutere, quindi, in rapporto a un problema filosofico, ma nemmeno spirito di vaghezza spingeva Mario a intrattenere il fratello. La questione più grossa che discussero i due e che si prolungò per due anni fu il « mendacio ». Fu Mario ad avviare la polemica con la lettera del 19 gennaio 1935: « Nelle serate di studio che da qualche tempo ho istituito tra gli oblati, i professori del Seminario e i seminaristi studenti di teologia e filosofia si è discusso il problema della menzogna ». Chiedeva Mario: si doveva stare con S. Agostino, che asseriva la menzogna non doversi dire mai o con S. Tommaso che ammetteva la « dissimulazione nei casi in cui debba custodirsi il segreto »? Mario affacciava qui la sua teoria, che il « mendacio » non è intrinsicamente « malo », in ogni caso: « Per me - scriveva - la menzogna è come l'omicidio. Questo è consentito nell'ingiusta aggressione però cam moderamine inculpatae tutelae; in altre parole, in date circostanze sociali, si sarebbe dovuto ammettere la menzogna quanto basti a custodire il segreto » (lettere del 19 gennaio e del 20 febbraio 1935). A parere di Luigi, se si doveva ammettere, come voleva Mario, che le circostanze sociali erano da tenere presenti nella valutazione della menzogna, allora i casi dovevano estendersi oltre a quello del segreto: bastava pensare alla guerra guerreggiata, quando i rapporti sociali fra gli uomini sono rotti e diventano leciti, l'uccisione, l'inganno, la frode, la menzogna. « Gli atti immorali fuori dei fini della guerra restano immorali e proibiti ». I n questi casi eccezionali rientravano lo spionaggio ordinario e militare, organizzato dallo Stato, come anche le finzioni per sottrarsi alle persecuzioni, pubbliche e private: « Riassumendo, - questo era il pensiero di Luigi - io direi che sia sul piano della difesa sociale (polizia, magistratura, diplomazia, guerra), sia sul piano della difesa personale (persecuzioni, vendette, aggressioni) i legami sociali sono attenuati e rotti e quindi il dovere-diritto alla verità come mezzo del vivere sociale sarebbe attenuato in proporzione » (lett. del lo IV, '35). La risposta di Luigi sembrò al fratello che autorizzasse a ritenere valida una distinzione fra menzogna formale e menzogna materiale, la prima si ha quando implica cognizione e volontà, la
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seconda, quando colui che deve dare una risposta, ma al tempo stesso non deve rivelare il segreto, è costretto a mentire oppure a ricorrere alla restrizione mentale, che per Mario era uguale alla menzogna materiale, fatta di parole e a parola legata. Distinzione e formule che non convincevano Luigi, il quale preferiva parlare di ricorso a formule evasive od equivoche, come quelle adoperate da S. Atanasio in un caso famoso. La discussione'andò avanti per mesi, senza mai attenuarsi, rivelando in Luigi una rigidità di cui Mario si stupiva e lamentava: la verità è che dietro la questione dell'ammissibilità o meno della menzogna materiale, Luigi avvertiva alla lontana il pericolo che si insinuasse la teoria del h e che giustifica i mezzi e che, dando il via alla restrizione mentale, si tornasie alla morale lassista del XVII secolo: « Tutta la questione della menzogna sta qua: - scriveva a Mario - essa è un'azione in sé completa e caratterizzata, è menzogna. Non può ammettersi che se detta per ottenere l'approvazione della riforma teresiana [la riforma del Carmelo patrocinata da S. Teresa] sarebbe lecita; se detta per comprare una casa, sarebbe illecita. Se fosse così il fine caratterizzerebbe la moralità del mezzo; il che è inaccettabile » (lett. del 13, 11, '36) 67. L'ultimo tema discusso nel carteggio fra i due fratelli riguardò il rapporto fra ascetica e mistica, tema che si ricollegava all'altro sull'intuizione e sul ruolo del « sacro D nella filosofia moderna, che fu dibattuto con particolare vivacità alcuni anni priina e che prese avvio, come si ricorderà, dalla valutazione dell'opera di Henri Bremond. La discussione, questa volta, trasse spunto dal volume di 67. I n altra lettera del 20 agosto 1936, Luigi ribadiva il suo pensiero: « La questione della menzogna utile per un nucleo sociale (anche per un ordine ecclesiastico) si confuse con il problema della ragion di Stato. Sotto I'idea di segreto di Stato, segreto diplomatico, segreto di polizia, segreto amministrativo, ecc. Tutta la questione è per me fino a quali limiti si può arrivare per salvare questi segreti. La non comunicabilità della verità non può mai divenire fabbrica di menzogna. Non si può &e che uno è onesto cassiere per nascondere il fatto che egli ha rubato la cassa pubblica. O arriviamo alle frasi d'uso, aile frasi evasive, owero cadremo neiia restrizione mentale: non vedo via d'uscita ». I n un'altra sua lettera Sturzo accennò brevemente d ' u s o che fece delia « restrizione mentale » nel passato, un uso limitato, tuttavia sempre a lui ripugnante: «Fin oggi specialmente nel difficile periodo deiia mia attività passata, ho seguito sempre la teoria della restrizione, per quanto mi ripugnasse, solo per un apprezzamento riflesso, dato il peso deli'autorità che la suffraga ». L'autorità alla quale si riferiva Sturzo era naturalmente S. Tommaso (lett. del 21, IV, '36).
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Garrigou-Lagrange sulle tre età della vita spirituale, nel quale il vescovo di Piazza Armerina aveva trovato conferma in quanto aveva già scritto nella lettera pastorale Suggerimenti sul modo di fare la orazione: che l'asceticn e la mistica non sono separabili, ma costituiscono « un sol corpo in due stadi » (lett. dell'8, VII, '37)' tesi che il fratello non condivideva. « Io parto da un altro punto - gli scriveva Luigi (lett. del 14, VII, '37) - che l'ascetica in genere (non la cristiana in ispecie) ha per suo fine la formazione della personalità o di una personalità determinata, per la correzione degli istinti vigorosi o contrari al fine voluto. In quanto tale non ha rapporto alla mistica, tranne che la mistica non sia implicata alla formazione della personalità, allora sarebbe mezzo volontariamente ordinato a questo fine. L'ascetica cristiana è pure ordinata alla conquista di Dio e ogni conquista di Dio (per la grazia) è uno sviluppo mistico. Vorrei su ciò il tuo pensiero ». Ma il suo pensiero Mario lo aveva già espresso nella lettera citata dell'8 luglio, lo ribadiva nelle successive: l'ascetica essere sostanzialmente funzionale alla mistica. Luigi invece escludeva che ascetica e mistica fossero gradi di un solo processo spirituale. L'ascetica era vista da lui come « esercizio per l'acquisto di un abito », come « purificazione per la vita dello spirito ». C'era pertanto un'ascetica naturale, potremmo dire laica (quella dello scienziato per la legge), l'ascetica stoica, quella musulmana o buddista, ecc. (lett. del 28, VII, '37). Ma su questo punto, sulle diverse ascetiche e sull'ascetica come base della mistica, l'intesa fu presto raggiunta fra i due fratelli, non così sulla sistemazione filosofica della mistica, una questione che si dirama logicamente dalla precedente, che a sua volta richiama la discussione sul « sentimento religioso » di Bremond. Mario ricordava, secondo la dottrina comune, che l'anima, essendo unita al corpo, non poteva avere per natura la cognizione strettamente intuitiva di Dio, ma solo discorsiva; « ora - spiegava al fratello - viene la mia teoria che ammette come supremo grado d'unione mistica la intuizione di Dio, recante, come fatto naturale, l'alienazione dai sensi. Se questa manca, non si parli d'intuizione pura, ma di visioni o d'altre grazie (lett. del 16, XI, '38). I1 punto di divergenza era nel dubbio che nutriva Luigi che fosse possibile l'alienazione dai sensi, anzi che questa fosse una condizione necessaria organica per aversi l'intuizione di Dio. Ma poteva ammettersi « la sospensione di tutta la
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vita cognoscitiva che derivi dai sensi (esterni ed interni) e affetti la normale intellezione D? Luigi Sturzo guardava con diffidenza alla tesi che Mario derivava da S. Agostino, sulla « dissociazione D, tesi che definiva « separatista » (lett. del 30, XI, '38). C'era in Luigi una impossibilità naturale, di capire l'alienazione dei sensi ovvero la dissociazione fra anima e corpo nella comunicazione mistica con Dio: « Non si può concepire il composto umano che sinteticamente. Se la funzionalità di un organo o complesso di organi è sospesa a vantaggio di altri, ciò è insito all'economia del composto e non è affatto una dissociazione. Per mio conto non ammetto la possibilità dei concetti puri senza qualsiasi aiuto sensibile. Per me ogni concetto si incarna. Quindi io sono per la impossibilità naturale della intuizione pura di Dio » (lett. del 7, XII, '38). Per cui non' di dissociazione, non di disintegrazione organica del composto si trattava, ma di integrazione della facoltà superiore, sulla scorta del pensiero del teologo gesuita de Guibert, finissimo storico della spiritualità ignaziana: « purificazione spirituale (e anche corporale per l'ascesi e la notte dei sensi) per arrivare ad una intuizione pura di Dio (qui oscura, transitoria, ma immediata) se a Dio piace concederlo. È il peccato e le sue conseguenze che vanno eliminate in questo processo mistico, non mai il corpo, che resta sempre sulla terra, integrante la nostra personalità, anche negli stati mistici [stessa lettera1 a.
68. I n più passi delle sue lettere, Mario confermava la sua tesi della necessità della dissociazione di anima e corpo per aversi l'intuizione di Dio: « Se la sensibilità non è del tutto sospesa, l'anima non può esercitare il suo potere intuitivo puramente spirituale » (lett. del 9, XII, '38); « I o ritengo che in questi stati i mistici conoscano con lo spirito, cioè con l'anima, senza alcun concorso delle facoltà sensitive, né delle facoltà intellettive sorrette dai fantasmi, ma dalle facoltà intellettive pure da ogni corporale contagio » (lett. del 10, VI, '39). Ma Luigi, in una deile ultime lettere del carteggio, ribadiva il suo pensiero: « Io non arrivo a comprendere una vera dissociazionc delle facoltà dell'anima dai sensi, che non sia una dissociazione dell'anima stessa » (lett. del 23, 111, '40). Tutte le opere maggiori di Luigi Sturzo, soprattutto La vera vita, sono invece pervase daiia convinzione che per aversi la intuizione pura di Dio non sia necessaria la dissociazione dal corpo, come non & necessario che ogni santo sia un mistico. Una scelta dei pensieri religiosi di Sturzo su mistica, ascesi e santità è stata fatta da: F. D'AMBROSIO, Pensieri religiosi di Luigi Sturzo, La Nuova cultura editrice, Napoli 1969.
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8 - Nel carteggio c'è posto anche per un'opera molto diversa da quelle di filosofia e sociologia, che impegnarono per parecchi anni i fratelli: Il Ciclo della Creazione, Tetralogia cristiana, poema drammatico in un prologo e quattro azioni, che vide la luce a Parigi, nel 1932, presso la Librairie Bloud et Gay, con una prefazione di Maurice Vaussard. A Luigi era tornata quella passione drammatica che aveva vissuto in giovinezza, quando scriveva poesie e commedie, come La Mafia, per i suoi seminaristi e giovani amici democristiani di Caltagirone. Sturzo ha sempre creduto di avere scritto una grande e bella opera, degna di essere musicata e di essere portata sulle scene. Ancora prima di pervenire alla stesura definitiva del poema, Sturzo consegnò il manoscritto a Benedetto Croce approfittando del fatto che il filosofo napoletano si trovava a Londra per il congresso di filosofia, che si tenne a Oxford dal loal 3 settembre 1930. L'episodio è stato narrato dal filosofo napoletano nel suo scritto sui: Era allora [Sturzo] raccontò - tutto preso, negli sforzati ozii dell'esilio, in un suo poema drammatico: Il ciclo della creazione, che avrebbe desiderato per mio mezzo pubblicare in Italia, il che se anche gli fosse riuscito di fare, ne sarebbe venuto come conseguenza che i suoi versi (è così facile dir male o parodiare i versi, anche buoni) sarebbero stati chiassoso ludibrio di tutti i giornali. Quando me ne fece leggere la prima parte in cui si rappresentava la zuffa degli angeli ribelli, destinati a diventar diavoli, con gli angeli fedeli, gli dissi: "Don Sturzo, non vi pare che i vostri angeli ribelli dicano parole e formule ed emettano gridi assai fascistici, che pare strano che già risonassero, in tempi così remoti, prima della creazione del mondo?". Ed egli rise ed ammise: "La lingua batte dove il dente duole" » *. Sturzo pubblicò due anni dopo, il Ciclo della Creazione a Parigi in lingua italiana; ne inviò copia a Croce, tramite il conte Sforza, con una sua lettera di accompagnamento. « La mia, - scriveva Sturzo - è certo, un'opera religiosa nel senso più schietto della parola. Ma non è, come potrebbe credersi, un Mistero [...l. È, invece, una traduzione subiettiva e personale, e quindi emotiva e lirica, della vita cosmica e religiosa » ' O . Nella lettera Sturzo pregava 69. L'episodio di Esuli è riportato da F. BATTAGLIA, op. cit., pp. 134-135. 70. La lettera di Sturzo a Croce, datata lo settembre 1932 su carta intestata Hotel de YAvenir, 65, me Madame, Paris, in F. BATTAGLIA, OP. rit., p. 143.
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Croce di leggere la scena del Filosofo: « Quando la scrissi pensai al suo atteggiamento e alla sua figura nella presente situazione » 71. Quando Luigi Sturzo, rientrato oramai dall'esilio, seppe della versione che Croce aveva dato della conversazione londinese n, con grande signorilità non volle entrare in polemica, ma la contestò in una lettera riservata che inviò all'amico Massimo Petrocchi, figlio di Giuseppe, uno dei più affezionati e stimati popolari. I1 ricordo di 71. La parte seconda del poema, intitolata L'Anticristo, si apre difatti con la scena del Filosofo, il quale, sollecitato a cedere d e lusinghe del «nuovo Nume », così risponde: « I l sangue umano i fiumi - tinge e le valli inonda. - Qual diritto egli invoca se non se stesso? E a miiie mille gemono, - nelle aspre prigioni e nelle isole, - rocce oscure vulcaniche - dal sol bruciate, - nell'arsura perenne i suoi nemici ». AU'amico che gli chiede che cosa speri di ottenere con il suo atteggiamento di rifiuto, il Filosofo replica: « È il suo [del nuovo Nume] poter menzogna, menzogna il don di giovinezza e i riti - del culto, egli stesso è menzogna Ch'io lo possa gridare - non agli uomini vili, - agli ingordi deil'oro, - ai macchiati di fango; ma gridarlo d a illusa gioventù, - che inneggia gaia e spensierata al nuovo - sole e l'adora ». Guardando poi alla gioventù festosa, che passava per la strada, il Filosofo commenta: « Essi ignorano il dono sacro, divino - di libertà; essi non han provato - le gioie del sapere; - l'intimo gaudio della verità. - Essi son nelle tenebre; le tenebre coprono il mondo ». E evidente che il « nuovo Nume » doveva corrispondere al tiranno owero a Mussolini, se il Filosofo doveva corrispondere a Benedetto Croce. Cfr. L. STURZO,Il Ciclo della Creazione, cit., pp. 215-218, cfr. la lettera di Sturzo a Croce, cit. 72. Benedetto Croce ricordò l'incontro con Luigi Stuno al congresso filosofico di Oxford e la sua conversazione sul Ciclo della Creazione in una breve recensione, comparsa in un numero della « Critica » del 1950, del volume di MASSIMO PETROCCHI, Miti e suggestioni nella storia europea, Firenze, Sansoni, 1950. In questo volume di curiosità storiche, il Petrocchi dedicava sette pagine al pensiero di Sturzo sulla storia, come confutazione dello storicismo, procurandosi i commenti ironici di Benedetto Croce, che scriveva essere quelle di Stuno pure « escursioni », « dilettamenti di chi si riposa dalle fatiche di una sua opera pratica ». E a questo punto, riportava l'episodio delle battute intercorse fra lui e Sturzo sul Ciclo, ricostruzione che lievemente differisce da quella deil'inedito Esuli, riportato da F. Battaglia: « e io ricordo - scriveva Croce - che quando egli [Sturzo] a Londra, esule, mi &e a leggere il prologo del suo dramma Il ciclo della Creazione, gli feci osservare, dopo la fatta lettura, che mi pareva che i suoi Angeli ribelli, seguaci di Lucifero, parlassero in un tono un po' troppo simile a queiio dei giornali fascisuci. Egli mi rispose: che cosa farci? La lingua batte dove il dente duole E io gli replicai: - Sì, ma addirittura prima deiia creazione del mondo... - Con questi ricordi in mente non può farmi altro che piacere di leggere ciò che don Sturzo scrive intorno alla storia; ma l'autore aveva il dovere di ricorrere ad altre autorità in questa materia », La nota di Croce fu poi ristampata in B. CROCE,Terze pagine sparse, Bari, Laterza, 1955, pp. 111-113. Ci sembra un di più, tanto n 2 l'owietà, ché i cosiddetti « dilettamenti » storici di Stuno non presumevano di avere alcuna autorità accademica, nascendo dal vivo di una esperienza civile e p* litica, nel cuore del dramma europeo degli anni Trenta, esperienza certamente diversa da quella, se si vuole, più solenne e distaccata del filosofo napoletano.
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Croce, scrisse Sturzo, non era esatto: « A parte l'equivoco assai facile tra il Prologo "la Creazione", e la la Azione, "Gli Angeli", la conversazione cadde su altro tema: se il "Mistero cristiano" poteva essere materia di opera d'arte; e qui tornò in ballo il "romanzo teologico" della Divina Commedia. Altro rilievo: la poesia italiana ha un suo linguaggio letterario che deriva da Petrarca; mentre quello di Dante, linguaggio letterario e sciolto, non ebbe seguito. Come e perché Croce abbia l'impressione di aver notato che i miei angeli del lato luciferiano [sicl parlassero come i giornali fascisti (cosa che nessuno troverà esatta), non riesco a rendermene conto. Può darsi che Croce non ricordasse bene una mia lettera con la quale gli inviavo copia del Ciclo, e pregavo di leggere il dialogo tra il Filosofo e l'amico nell'Apocalisse (che egli non aveva letto) dicendo di averlo scritto pensando a lui. In quella pagina non gli angeli fascisti, ma ci è il pensatore che invoca la libertà; l'allusione è chiara » n. Due versioni diverse della conversazione londinese: come che sia, è evidente che Croce dette un giudizio negativo sul Ciclo della Creazione. Prevalse su di lui l'impressione di un eccesso di politicizzazione? (gli angeli ribelli che emettevano gridi fascistici). C'è quel riferimento di Sturzo all'altro argomento della conversazione - se il Mistero cristiano poteva essere materia di opera d'arte - che potrebbe aiutarci a capire meglio il senso del suo poema e le critiche di Croce. Scrisse Vaussard nella prefazione che Sturzo tentò di offrire a un musicista di genio il tema di una tetralogia più universale di quella di Wagner 74. Naturalmente, come aveva fatto per gli altri 73. La lettera di Sturzo a Massimo Petrocchi, datata Roma 3 ottobre 1951, è conservata fra le Carte di Giuseppe De Luca. Nella lettera Sturzo aggiunse il se-
guente post-scriptum: « Ti prego di non pubblicare la presente, ma di tenerla fra le tue carte ». Stuno chiaramente non desiderava suscitare polemiche suli'episodio londinese. Fra l'altro, dalle affermazioni di Croce sul suo poema non si ritenne punto offeso, tanto che nella stessa lettera, a chiusura, scrisse: «Ti scrivo ciò per la esattezza di una grata conversazione dell'esiliato con una persona stimata (a parte le differenze di idee) quando i contatti sono cercati per conforto reciproco neii'amore della patria e della verità D. 74. L. S., I2 Ciclo della Creazione. Tetralogia cristiana, Librairie Bloud et Gay, Paris 1932, p. VII. Nella recensione che Barbara Barday, scrittrice e preziosa collaboratrice di Sturzo, scrisse sul Ciclo della Creazione possiamo più chiaramente cogliere l'intento ambizioso deii'autore: « Sa [di Stuno] pensée plus intime, le fond de son inspiration, se faisait jour en lui parfois, mais restait sans expression. Et ce qui donne au Cycle de la Création un intértt tout spécial, c'est que dans ce
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suoi lavori, Luigi sottopose all'esame del fratello il testo della Tetralogia cristiana, ancora manoscritto: « Quando riceverai la T'etralogia cristiana - scriveva al fratello - ti prego di leggerla e di scrivermi non solo le tue impressioni, ma le tue critiche. Bada che si tratta di un testo provvisorio, come è messo in calce. Non c'è fretta » (lett. del 24, I , '30). Luigi non pensava, al principio, alla possibilità di musicare il poema, almeno la cosa non lo interessava ancora: « Circa la Tetralogia cristiana non mi interessa affatto la questione del musicista. È difficile che ci si riesca, e forse è meglio che resti quel che è » (lett. del 15, V, '30). Mario fece pervenire al fratello le sue osservazioni sul poema e sembra che Luigi ne abbia tenuto conto: « Tengo conto delle osservazioni che fai » (lett. del 22, V, '30) ". Appena qualche giorno dopo, e già Luigi sembra inclinare all'idea di cercare il musicista; pensa a Lorenzo Perosi: l'opera « può avere le due caratteristiche di dramma sacro e di oratorio; e se avrà buona musica, potrà divenire un numero costante nelle esecuzioni del periodo della Passione e Settimana Santa. Come penso a Perosi! che peccato la sua malattia » (lett. del 25, V, '30). Da questo momento incominciò la ricerca del musicista, di cui abbiamo già scritto nella già citata biografia di Sturzo ". I1 musicista occorreva anche per cinematografare il poema, come a un certo punto si prospettò a Sturzo. Dopo diversi sondaggi, l'accordo fu raggiunto con Darius Milhaud, il quale si era già cimentato in p~~rtiture politonali, adatte al Ciclo della Creazione. Ora il carteggio ci dice qualcosa che non sapevamo ancora: che Milhaud arrivò a musicare poème i'auteur se révèle tout entier, jetant son trésor à pleines mains à la foi philosophe, artiste, théologien et mystique [...l. Le sous-titre, Tétralogie chréfienne, montre bien que l'idée de la Tétralogie de Wagner n'était pas loin de la pensée de son auteur. Ce fut en effet en entendant cette oeuvre magistrale, qui touche à de telles profondeurs et ouvre de si vaste apercu, que l'idée lui vint d'une tétralogie plus vaste encore, plus profonde, plus vraie, qui serait fondée non sur une mythologie, viciée par le culte de la force, mais sur la genèse et i'eschatologie chrétienne. C'est son espoir de voir surgir un grand musicien, un Wagner de nos jours, qui saurait la revetic de musique; mais le sens de la musique pénètre la conception meme du poème ». Cfr. BARBARA BARCLAY CARTER, Le Cycle de la Création, in « La Vie Inteiiectuelle », n. 3, 10 febbraio 1933, pp. 483-489. 75. Neiia stesura del poema Sturzo non riversò su Eva tutta la responsabilità del peccato originale. Rispondendo probabilmente a un'osservazione del fratello scriveva: « I n genere a me ripugna dare tutta la responsabilità a Eva (com'è tradizione moralistica dei padri) e diminuire quella di Adamo » (lett. del 27, X1, '30). 76. G. DE ROSA,OP.cit., pp. 375-379.
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il prologo, Angeli e Adamo, che rappresenta più di un terzo del poema e che Sturzo ne ascoltò al piano, eseguita dallo stesso Milhaud, l'esecuzione: « I n questi giorni è stato qui il musicista Darius Milhaud, che ha finito di scrivere la musica per il prologo, Angeli e Adamo. Mi ha fatto sentire al piano la primizia. Ci sono cose bellissime, altre mi sono rimaste oscure, ma tornerò a sentirle tra poco. La musica sarà pronta in marzo, ma è difficile trovare i mezzi per una esecuzione. I monaci dell'abbazia di Einsiedeln avrebbero proposto di eseguire l'opera all'aperto nel piazzale della Badia, ma ciò sarebbe impossibile per ragioni acustiche » (lett. del lo, 111, '35). I tentativi per eseguire il dramma di Sturzo continuarono ancora per diversi anni, senza esito, per difficoltà economiche n. Rappresentare con la musica un'opera del genere non era impresa da poco. Sturzo era molto affezionato al suo progetto, lo seguiva amorevolmente e con costanza. Confessava al fratello Mario: « Solo prego Dio che non lasci inutile voce di fede la mia, essendo stata per me un mezzo di esprimere tutti i miei sentimenti religiosi di / timore amore adorazione a Dio » (lett. del 13, IX, '32). Si pensò anche a una trascrizione cinematografica della Tetralogia sturziana sempre con la musica di Milhaud. Chi prese a cuore la cosa fu Filippo Del Giudice, amico di Sturzo, affettuosamente chiamato Del, divenuto abile produttore cinematografico, managing director della Two Cities films Ltd. Ma le cose andavano per le lunghe, anche per una serie di complicati problemi contrattuali. Rientrato in Italia dall'esilio, le speranze di Sturzo, come risulta dalla corrispondenza scambiata con la sua segretaria a Londra, Bertha Pritchard, incominciarono ad affievolirsi, finché non se ne parlò più. Ma se il dramma di Luigi Sturzo con la musica di Milhaud non poté essere rappresentato, né trascritto in film, doveva però esistere la partitura di Milhaud, ed è questa la novità rivelataci dalle lettere. Quando mi occupai la prima volta della vicenda del Ciclo della Creazione, nella biografia che scrissi di Sturzo, ero convinto che la partitura non fosse stata ultimata e che forse sarebbe stato 77. Ancora il 4, VI, '35 Luigi scriveva: « Non ti ho più scritto delia Teiralogia, perché le difficoltà economiche sono insormontabili. La musica del Prologo, Angeli, Adamo è pronta ed è bella; ma ... P.
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impossibile recuperarla. Messo sull'awiso da quanto Luigi scriveva al fratello - che Milhaud aveva suonato al pianoforte, nella sua casa di Londra, la musica per Il Ciclo della Creazione - ripresi le ricerche e questa volta, con l'aiuto del prof. Antonio Braga 78,biografo di Milhaud, ha potuto accertare che la partitura non è andata smarrita, esiste, conservata a Parigi dalla vedova di Milhaud, signora Maddalena. Al recupero si è pervenuti proprio alla vigilia della stampa di questo carteggio, per cui si è potuto darne solo una rapida informazione. È indubbiamente eccezionale questo incontro fra un musicista moderno, raffinato, fra i primi e forse il primo ad adoperare la politonalità, sempre legata al testo e alla forma drarnmatica, e un uomo, come Luigi Sturzo, politico di razza, fondatore di un grande partito di massa, sociologo e storico, che non aveva sino ad allora tenuto alcun rapporto con il mondo dei musicisti, e a quel livello. Forse l'incontro dei due fu favorito da una loro affinità di uomini del Sud, essendo nato Milhaud ad Aix en Provence: della sua musica, per altro, si è detto che aveva un'espressività « mediterranea ». Può anche essere awenuto che Milhaud sia stato suggestionato dal tema biblico, lo stesso che l'aveva attratto verso le opere di Paul Claudel. Comunque sia, è oggi certo che la partitura esiste e che può essere eseguita 79. C'è un nesso fra il Ciclo della Creazione e la riflessione storicosociologica di Luigi Sturzo, come l'abbiamo conosciuta attraverso il carteggio? Alla domanda dette una risposta in una lettera al fratello, che gli aveva chiesto spiegazione proprio sul titolo e sulla necessità o meno di conservare il Prologo: « Non credo poter sopprimere il Prologo - scriveva -. Sento che nell'economia del lavoro si deve cominciare e finire con Dio. La creazione non può mancare. 78. Antonio Braga, che fu amico e allievo di Milhaud, ha cosl scritto a proposito del dramma di Sturzo: « Un'altra opera biblica per la scena fu Il Ciclo della Creazione su testo di don Luigi Sturzo. La partitura non è stata, sin oggi, rappresentata ». Cfr. ANTONIO BRAGA,Darius Milhaud, Edizioni Federico e Ardia, Napoli 1969, p. 106. Sulla base di questa indicazione mi misi alla ricerca della partitura. 79. P. Collaer riporta la partitura come opera 139, 1935, i, Cycle de la Création (Dom Luigi Sturzo). L'opera è catalogata come « musique de scène » e si dà, come data il 1934, luogo, Aix en Provence, composta per « 2 flfites, 1 hautbois, 2 clarinettes, 2 bassous, 1 cor, 2 trompettes, 1 trombone, 1 tuba, timbales, batterie, harpe, cordes D. Cfr. P. COLLAER, Darius Milhaud, nouveile édition révue et augmentée, Editions Slatikine, Genève-Paris 1982, p. 522.
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Perciò l'ho chiamata Ciclo della Creazione da Dio a Dio. È la linea del mio storicismo trasportata nel ciclo cosmico-angelico-umano (lett. del 29, XI, '32). Croce, quando lesse il poema di Sturzo nella prima stesura, esatta o meno che fosse la sua battuta sul linguaggio fascistico degli angeli ribelli, non vi trovò poesia. Era la sola chiave di lettura che avrebbe potuto adoperare: non aveva orecchio per gli aspetti teologici e mistici che sono invece presenti, dal Prologo al Giudizio, e che invece erano fondamentali per Luigi. Riuscire a scrivere un poema ispirato e di alta poesia a Sturzo, con ogni probabilità, interessava meno che esprimere la propria « voce di fede » in termini simbolici. E nel suo simbolismo c'era un Giudizio finale molto diverso da quello deli'Apocalisse giovannea: né fuoco, né sconvolgimenti cosmici, ma una luce folgorante, di natura mistica, che sanzionava la vittoria defìnitiva del Bene sul Male, e la rivelazione dell'altra vita. Preziosa, sotto questo punto di vista, la spiegazione che dette al fratello di questo finale luminoso del mondo: « Oggi ho ripreso in mano la Tetralogia. A me sembra che tutte le altre azioni sono in funzione dell'ultima; e quindi occorre rifarsi da questa. Prima di rivedere la concezione estetico-drammatica occorre riesaminare la sostanza mistico-teologica, A me sembra che la fine del mondo non possa concepirsi come un evento storico che metterebbe fine alla storia; né come un processo fisico-cosmico che metterebbe fine alla vita; né come un atto negativo della Divinità, che distruggerebbe la sua creazione; ma solo come un'epifania mistica, cioè il culmine della lotta fra il male e il bene, e il loro coronamento di giustizia e di rivelazione dell'altra vita. Proprio come è dato dal Nuovo Testamento nel suo doppio carattere escatologico e simbolico. Ciò posto, non mi sembra che si possa sfuggire d'elemento simbolico, comunque concepito, e alla accentuazione della lotta del male, che è più terrenamente sensibile e quindi più rappresentabile, mentre il bene si presenta come elemento di contrasto, di tendenza e di sopravvento finale » (lett. del lo, VIII, '30). Anche nella visione finale, dunque, Sturzo si mantiene coerente con il suo metodo di indagine e con quella sua idea, che mantenne sempre viva nelle discussioni con il fratello, dell'importanza della funzione della mistica come via per arrivare a Dio, per mi la iine del mondo gli appare come un'epifania mistica, come visione ed esaltazione cioè
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della sconfitta definitiva del male e trionfo della giustizia. Non c'è, insomma, una fine storica, databile, un'apocalisse preannunciata da particolari segni fisico-cosmici; essa arriva attraverso la progressiva illuminazione mistica, che squarcia l'oscurità che grava sul mondo. Il suo simbolismo non è né onirico né fantastico, ma, come si esprime, terrenamente rappresentabile. I n altra lettera, di poco successiva, Luigi risponde così a una richiesta di chiarimento del fratello: « Tornando al tema: escludo che la fine del mondo possa concepirsi come un evento storico, né come un processo fisico-cosmico, né come un atto negativo deila Divinità. Come ti scrissi, io credo che debba concepirsi quale il culmine della lotta fra il bene e il male, e la finale prevalenza del bene. Tu, invece, a quel che posso dedurre, riporti la fine del mondo sul piano storico. Che cosa sarebbe l'attività di Elia verso l'ordine e la normalità se non storia? Invece per me Elia è I'annunziatore della catastrofe e quindi nel regno del mistero e del simbolo fuori della storia. Così tu dici: "Elia non riesce perché è la fine". L'idea di riuscire è storia, dinamica, volitiva, umana, la fine è statica, fatalistica, non umanamente volitiva, perché divina. Dato il tema della fine, non possono concepirsi che due epifanie: il massimo del male (l'anticristo) e il massimo del bene (i tre vegli, la domanda di perdono della folla, la giustizia divina - compimento dell'opera di redenzione). Fuori di questi termini, io non vedo una esatta concezione teologica della fine del mondo, ma un contrasto fra la storia che deve continuare e la fine che sopprime la storia, e questo non è concepibile » (lett. del 12, VIII, '30) 80. 80. Le discussioni sul Ciclo della Creazione e sulla fine del mondo si intrecciano con quelle suila via o sulle vie per arrivare all'Assoluto, che Luigi ebbe con il fratello neli'ultimo anno di vita della « Rivista di autoformazione ». Le discussioni presero spunto da due postille che Luigi redasse sul tema dell'Assoluto in polemica con gli idealisti: « quando gli idealisti concepiscono lo Spirito come l'assoluto che si realizza, fanno una mistura di processo e di attualizzazione, c'è contingenza, limite, relatività; e non può esserci insieme l'Assoluto che come tale nega ogni processo, ogni limite, ogni contingenza ». (Cfr. S. S., Il relatiuo in funzione delZ'Assoluto e ZI puro Assoluto, in « Rivista di autoformazione », luglio-agosto 1930, fasc. 4, pp. 240-244; novembre-dicembre 1930, fasc. 6, pp. 319-326). Conformemente aiie sue convinzioni, che già manifestò al fratello Mario a proposito delle correnti intuizionistiche e del ruolo del « sacro », Luigi vi sosteneva l'importanza della mistica, come sforzo, processo di « avvicinamento e quasi una partecipazione dell'Assoluto, che attraverso i valori di verità e di bene si mette in comunicazione con noi » (cfr., Il relativo in funzione deli'Assoluto, cit., p. 244). Ma quante vie bisognava ammettere per arrivare alla scoperta dell'Assoluto? Questa era la domanda di Mario: « Circa poi l'altra questione - rispondeva Luigi - se sia, cioè,
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I1 diverso modo di valutare la poesia religiosa fra Croce e Sturzo si può leggere in alcune lettere. Sturzo, che era un attento lettore della « Critica », trovò questo giudizio del filosofo napoletano: « [ ...1 la religione, contrariamente a quel che taluni si piacciono di asserire, non solamente non è poesia (evidentemente perciò stesso che è religione), ma non si porge docile alla poesia e tale non diventa se non umanandosi ossia andando a sperdere sé medesima [...l. Nonostante la pia unzione e le artificiose esaltazioni, la poesia che regna nel nostro ricordo e vive nella nostra coscienza, non s'inizia con i libri della Bibbia (dove certamente non si vuol negare che ve ne siano sparsi tratti), ma con i poemi omerici, di quell'omero tanto poco religioso quanto Guglielmo Shakespeare » 'l. Letto l'articolo, Luigi lo commentò così al fratello: « Ho letto in "Critica'' La poesia e la letteratura: mi è piaciuto per vari motivi, ma non posso accettare quel che dice a pag. 434, sulla poesia religiosa e la Bibbia. L'errore è che se umanizzata (egli dice umanata) perde la natura religiosa: invece intanto può essere poesia (o musica, pittura, etc. sacra) in quanto è insieme religiosa ed umana » (lett. del 15, XII, '35). In una lettera successiva, in polemica con il fratello che difendeva il concetto di poesia in Croce, Luigi ribadiva il suo punto di vista, aggiungendo che se si fosse accettato il giudizio di Croce, « si dovrebbero annullare tutte le opere d'arte religiosa, le chiese stesse, le pitture e sculture, etc. E assurdo, al contrario si deve conchiudere che la religione divenendo poesia si umanizza ma non si perde » (lett. deil'l, I, '36) 82. 9 - L'ultima cartolina da Londra reca la data del 18 luglio 1940, quando l'Italia era già entrata in guerra da più di un mese. Luigi riuscì a scrivere al fratello grazie d'intervento di « persone », di cui non fa il nome. I1 suo pensiero è ancora per la sorella gemeluna sola la via della scoperta o ve ne sono più, io propendo per la molteplicità delle vie, e non per I'unicità deila via, non solo come fatto storico, ma come processo mentale. Altrimenti tu dovresti ammettere che non ci sono, nel tempo e nello spazio, diversi sistemi filosofici, ma un solo sistema filosofico; non diversi cammini per arrivare alla verità, ma un solo cammino » (lett. del 18, VIII, '30). 81. B. CROCE,La poesia e la letteratura, in « La Critica », 20 novembre 1935, p. 434. 82. Si veda anche la lettera del 28 gennaio 1939 a proposito del giudizio di Croce sul Dies irae.
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la Nelina: « Fai sapere a Nelina quanto io la penso e come sempre prego per lei; e che stia per me tranquilla e fiduciosa in Dio. Tutto ciò che può accadere a me non sarà che !a volontà di Dio, d a quale io aderisco di cuore, nel più completo abbandono e nella più filiale fiducia. Aiutiamoci con le preghiere e nell'unione ai Cuori di Gesù e Maria ». Seguiva un P.S.: « Ti accludo la Notice sur 1'Archiconfrérie du Coeur Agonissant de Jésus per diffonderla nella tua diocesi, in questo periodo in cui tanti e tanti muoiono senza assistenza ». Ancora due lettere da New York, dove Sturzo si era trasferito da Londra poco dopo lo scoppio della guerra, quindi fra i due fratelli più nulla. Come era nelle loro preghiere, si sarebbero incontrati nell'al di là. Si conclude qui l'itinerario epistolare di due spiriti eccezionali, che nelle loro lettere riversarono affetti, ansie, pensieri della loro condizione umana, ma anche la piena di una fede grandissima, in un tempo di sospetti e di stravolgimenti della ragione. Spiati, per potere corrispondere si vietarono la politica, immergendosi però nelle profondità di una ricerca sui processi conoscitivi moderni, sul rapporto storia e rivelazione, su Dio e libertà, nei quali pur la politica si confronta e si misura. Ad ambedue fu chiesta una obbedienza, che parve troppo dura e severa: accettarono di obbedire, ma nell'umiliazione seppero sempre ritrovare il conforto di una fede altissima e di una libertà tutta interiore, che restituì loro nuova speranza e nuova vita. Intellectus quaerens fidem si potrebbe dire dei due fratelli. Mario, quando fu obbligato a ritrattare, accantonò ogni orgoglio per dedicarsi interamente alla cura d'anime, e qui ritrovò tutto se stesso. Ritenne la sua trasformazione opera della Grazia. Luigi anche nell'esilio continuò a vivere intensamente il presente come tempo costitutivo della coscienza e a riflettere sui pressanti problemi politici del momento, sulla natura dei totalitarismi di massa, sulla libertà della Chiesa, sui pericoli di guerra e sul diritto internazionale. La sua spiritualità non si dissociò dalla « meditazione elaborativa » sul reale. La costruzione della città non era separata in lui dalla fede in Dio. Conosceva molto bene, come il fratello, la Summa di San Tornrnaso, ma non ne fece mai una gabbia ideologica. Rifiutò i glossatori scolastici per i loro eccessi razionalistici. Di Luigi si potrebbe dire che fu l'ultimo agostiniano, l'ultimo grande esempio di una cultura politica e religiosa mediterranea, ricca di
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luce interiore, luminosa nella sua visione rasserenante del rapporto di Dio con l'uomo; cultura, che non solo alla mistica, ma anche alla politica assegnava una dignità elevatissima, di promozione insieme dell'intelligenza civile e spirituale. Non può destare meraviglia che egli pensasse che la città potesse avvicinarsi a Dio non attraverso la catastrofe cosmica, ma attraverso una progrediente illuminazione mistica, attraverso il dilatarsi di una grande luce di carità, che avrebbe alla fine oscurato e cancellato il male. I1 lavoro di sistemazione delle lettere e l'elaborazione di parecchie note sono state difficoltose, per la genericità dei riferimenti da parte dei due corrispondenti o per richiami a situazioni familiari e locali troppo lontane dall'oggi. Jn questa ricerca mi sono stati di aiuto don Francesco Sinatra di Caltagirone, il prof. J. Prévotat di Parigi, la prof. Silvana Casmirri; il gruppo redazionale delle Edizioni di Storia e Letteratura (le dr. Michela Picchi, Donatella Rotundo e Maria Grazia Spinedi) ha compiuto la revisione dei testi, la collazione con gli originali e la compilazione degli indici dei nomi e dei luoghi con la sua ben nota scrupolosità e diligenza. L'indice sistematico teologico-filosofico è a cura della prof. Anna Giannatiempo Quinzio. A tutti i collaboratori il mio più sincero ringraziamento.
Gabriele De Rosa
AVVERTENZA
Questi quattro volumi raccolgono le lettere scambiate tra Luigi e Mario Sturzo negli anni 1924-1940, ora conservate nell'Archivio dellJ«Istituto Luigi Sturzo » di Roma. Il testo delle lettere è stato riprodotto integralmente e fedelmente dagli originali. Sono stati mantenuti grafie e modi di dire propri dei due fratelli Sturzo (per es.: parole come « trutina », « arranciatino », « rimparti » che non hanno riscontro sui uocabolavi; la doppia grafia per « di accordo » e « d'accordo », « neviga D e « nevica », « fatighe » e « fatiche », « segrezione » e « secrezione », « constatare » e « costatare » che sussistono a volte nella stessa pagina; locuzioni come « mi conforto a questa volta... »; « anche a questa volta ... », ecc.); si è lasciata anche qualche forma verbale non proprio esatta (e se tu vorresti dirmi ... mi faresti ») e l'uso personale delle doppie (« commune », « caminare », « Tomaso D, « dommattina »). Anche l'uso delle maiuscole è personale e non sempre uniforme. Sono state tacitamente corrette le sviste e le grafie errate di nomi propri. Per comodità di lettura sono state sciolte le abbreviazioni (nomi propri puntati, riviste e giornali nominati con le sole iniziali), dove, naturalmente, l'interpretazione era certa. Le date, ad inizio di lettera, sono state uniformate, e cioè scritte a piene lettere, sostituetzdo, dove occorreva, il nome all'ordinale del mese. La città di provenienza, quando non è indicata nell'originale ed è stata ricavata dal testo o dal timbro postale, è posta in parentesi quadra: allo stesso modo ci si è regolati per le date mancanti nell'originale. Le aggiunte, anche se apposte nei margini superiori delle cartoline o lettere, sono riprodotte come poscritti. I puntini in parentesi quadre sostituiscono le parole illeggibili o indicano lacune dovute a mutilazioni negli originali, cosi come si specifica di volta in volta in nota. Le parole a cui gli autori hanno voluto dare particolare rilievo, sottolineandole una o pih volte, sono state rese con il corsivo. È nostro invece il corsivo di alcuni
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titoli di libri e quello di parole latine. Nostre sono anche le virgolette che racchiudono le riviste e i giornali citati. Le lettere sono numerate progressivamente, seguendo l'ordine di data. Alcune scritte da Mario, come un diario (per es. febbraio 1925), nello spazio di due o tre giorni, ma sugli stessi fogli, sono state poste sotto un unico numero; mentre cartoline postali scritte nello stesso giorno, recanti le parole: « I" cartolina » « 2" cartolina » hanno un numero progressivo.
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Piazza Armerina, 27 ottobre 1924 1
Carissimo fratello, facendo l'indice mi sono accorto d'un errore di numerazione nella sezione seconda. Se si è a tempo, fallo correggere. A pag. 38 (della numerazione delle pagine delle bozze) si legge: 5 - La nozione del concetto; a pag. 40: 6-9 tipi. Bisogna correggere il 5 in 6, e il 6 in 7. Circa otto giorni fa mandai l'originale della quarta sezione, subito dopo mandai le bozze della seconda sezione (impaginata) corretta; e dopo parte delle bozze della terza sezione in prima lettura, e l'originale del compendio della terza e quarta sezione. Scrissi che il compendio delle quattro sezioni, si stampi in appendice unica in fine del volume, sotto unico titolo: Compendio schernatico. Non aggiunsi, come tu desideravi, un capitoletto sul problema della Storia, benché lo avessi pensato, perché è uno di quei problemi che danno luogo a discussioni; e io, finito il trattato, non volevo dare appiglio a discussioni non strettamente necessarie. Come nel correggere le bozze della seconda sezione, così nel correggere quelle della terza (di cui mi restano le ultime pagine) ho tenuto in gran conto le tue osservazioni, sempre giuste, ma a volte cagionate da errori di stampa. Spero d'aver migliorato il lavoro e contentato le tue acute esigenze. Domani manderò il resto delle bozze e l'indice. L'indice viene un po' lungo. Ma è necessario che sia completo '. Ricevetti la tua raccomandata '. Trovo saggia la decisione e uti* Tutte le lettere del 1924, tranne la n. 3 e la n. 4 che sono prive di intestazione, sono scritte su carta intestata: « I1 Vescovo di Piazza Armerina ». LETTERA1. 1. Mario si riferisce al suo lavoro di carattere filosofico il problema della conoscenza che sarà pubblicato nel 1924 dalla Società Editrice Libraria Internazionale di Roma. I1 volume è, appunto, diviso in quattro sezioni: I - Della sensazione; I1 - Della natura del concetto; I11 - Delta natura del soggetto; I V Della genesi del concetto. 2. Tale lettera è stata già pubblicata in L. STURZO,Scritti inediti, vol. ZO: 1924-1940, a cura di F. Rizzi, Roma 1973, p. 2. Ne diamo qui i passi principali: « 18 ottobre 1924 - Carissimo fratello, godo assai che hai terminato il tuo lavoro, e che stai bene. Sono stato tanto in pena per te, temendo per la tua fragile salute.
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LUIGI E MARIO STURZO
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le. E ti auguro ogni bene. Prego per te come meglio posso. Più volte ho applicato per te la S. Messa. Sto bene. E comincio a pensare al problema della morale, che dovrò dettare quest'anno (nella seconda metà) ai miei alunni. Non credo che il mio trattato in corso di stampa non si possa consigliare come testo nei licei. Tu dici: è troppo ampio e alto. I1 più sarebbe difetto, se il problema non fosse ancora problema e se non imperasse l'idealismo. Un compendio si potrebbe fare. Ma, in primo tempo, ci voleva il trattato. I professori potranno fare studiare i paragrafi che vorranno. Però, senza il resto, non credo che saprebbero superare le esigenze fatte dai libri di Croce e Gentile, specialmente. Questo concetto è bene tenerlo presente nella reclame. Sto bene. Sento rinascere la volontà del lavoro.. I1 problema della morale mi seduce. E c'è molto da rinnovare o precisare. Aiutami con le tue preghiere. A Nelina dì le cose più affettuose. E tutti e due ricevete un caldo fraterno abbraccio. Tuo aff .mo fratello t Mario
Piazza Armerina, 29 ottobre 1924
Amatissimo fratello, la parola di Dio ti riempie il cuore! Come t'ammiro e t'amo di più. La mia parola (povera parola) non ti giunse... Ne sento Per desiderio della nota persona [Card. P. Gasparri] fra giorni parto per Londra, dove mi fermerò il tempo necessario, che oggi non posso precisare, forse fino a tutto gennaio e ho una lettera di presentazione per il Card. Bourne, e avrò alloggio presso una casa religiosa. Ragioni anche di sicurezza personale in periodo che si teme difficile, inducono a ciò. [...l Sto cercando di sistemare le mie cose e le mie opere per quel che mi 2 possibile. Attendo il tuo ultimo manoscritto per dare gli ordini definitivi di stampa. Lo leggerò di sicuro e ti manderò le mie osservazioni. Per il resto raccomando ogni cosa al Prof. Dore (che dirige la Società) e a Don Giulio De Rossi che mi sostituisce nella presidenza. Io vado a Londra anche per ragioni di studio. Ho chiesto ed ottenuto dal Vaticano il Passapmto diplomatico. Mi farò accompagnare da un amico, e appena possibile ti manderb di là il mio indirizzo. [...l Luigi D. 3. Nelina era il diminutivo di Emmanuela. Da Felice Sturzo e Caterina Boscarelii, nacquero sei figli: Margherita (1860-1922); Mario (1861-1941), vescovo di Piazza Armerina; Remigia (1863-1928), che si fece suora, figlia delia Carità, con il nome di Giuseppina; Rosa, che morì bambina; Luigi (1871-1959) e appunto EmmanueIa (1871-1948), gemella di Luigi.
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una pena indicibile. Ma in parte tardai a scriverti per amor tuo, tutto preso nello espletare il lavoro di correzione delle bozze, estensione dell'appendice e dell'indice. Mi lusingavo che avresti scritto (come promettevi) ancora una volta non certo proprio sul partire. Aspettavo di trovare lo spunto in quell'altra lettera ... Però ti sono stato vicino con la preghiera e ti sono così sempre allato. I1 buon Dio ti aiuterà come ti ha aiutato sempre. Ier sera scrissi a Nelina. I1 n. del 2 ottobre dell'« Unità Cattolica » pubblicò una recensione del mio libro, abbastanza ben fatta e molto favorevole anche come giudizio di ortodossia l . Chi lo scrisse? Lo sai? Ora forse sarebbe opportuno che tu ispirassi una prima recensione, ora che conosci tutto il lavoro. Gioverebbe a incanalare bene le possibili critiche. Se conosci qualche opera classica moderna circa il problema morale, fammi il piacere di segnalarmela. I o ho Farges, Morale e Libertà '; Fonsegrive, Essai sur le libre arbitre 3; Ribot, Les maladies de la uolonté 4, oltre i soliti nostri libri, poveri e fossilizzati. Ritengo che questo problema meriti la nostra attenzione. H o anche le cose di Croce e Gentile. LETTERA 2. 1. Cfr. Un'importante pubblicazione del vescovo di Piazza Armerina, in «L'Unità Cattolica P, 2 ottobre 1924. Riferendosi al volume di Mario, Il problema della conoscenza, cit., l'anonimo autore della recensione osserva che il lavoro «basato suiia filosofia tradizionale ma condotto con saggia libertà e originalità ha dato agli insegnanti e agli alunni un volume rispondente insieme alle esigenze moderne e a quelle della dottrina cattolica D. 2. A. FARGES, La libertà e il dovere: fondamenti della morale e critica dei sistemi della morale contemporanea, Tipografia Pontificia S. Bernardino, Siena 1909. Albert Farges (1848-1926) filosofo neoscolastico, diresse il Seminario di S. Sulpizio e i'Istituto cattolico di Parigi. Insieme a D. Barbedette pubblicò un fondamentale compendio di Philosophia scholastica. Della sua abbondante produzione ricordiamo Matière et forme (1890), La vie et réuolution des espèces (1890), L'idée du continu (1892), L'idée de Dieu ( 1894), Les phénomènes mystiques (1921). Essai sur le libre arbitre, Alcan, Paris 1887. George Pierre 3. G. FONSEGRIVE, Fonsegrive-Lespinasse (1852-1917), studioso di filosofia, apologista e scrittore, cercò di armonizzare l'aristotelismo tradizionale e il pensiero moderno. Direttore della rivista « Quinzaine » dal 1897 d a sua cessazione (1907), scrisse vari volumi dedicati alle questioni sociali esaminate da un punto di vista cattolico e progressista. 4. T. RIBOT,Les maladies de la volonté, Gemer Baillière & C , , Paris 1883. Théodule Armand Ribot (1839-1916), psicologo positivista, iniziatore in Francia della psicologia sperimentale, scrisse numerose opere, la maggior parte delle quali fu anche tradotta in italiano. Tra queste ricordiamo L'hérédité psycologique, Brodard, Paris 1882; Les maladies de la mémoire, Alcan, Paris 1885; La psycdogie des sentiments, Alcan, Paris 1896; Essai sur les passions, Brdard, Paris 1907.
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LUIGI E MARIO STURZO
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Ti parlo di me! Mentre non dovrei parlarti che di te. Ma penso che anche ciò ti piaccia, perché mi ami assai. I1 22 settembre ebbi una lettera del Cardinale Gasparris. Mi si ordinava di comunicarti di lasciar tutto, anche Roma. Risposi il 23 osservando che non mi sembrava senza inconvenienti una tal comunicazione che poteva esser presa come sconfessione della tua opera. Con franchezza facevo notare che non ti si poteva condannare all'inerzia, e che, se mai, era giusto assegnarti altra via. Non ho ancora avuto risposta. Spero che la tua decisione non sia connessa con questo fatto, perché conchiudevo, che dopo ciò, avrei fatte le comunicazioni che mi sarebbero state ordinate. Comprendo che bisogna pregare molto. E io poveramente prego, e spero. Dio non abbandonerà i suoi servi. Ora ti abbraccio attendendo con ansia tue lettere. Tuo aff.mo fratello t Mario
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Carissimo fratello, ricevo la tua, tanto attesa, tornando dalla Cattedrale. Oggi è Ognissanti. È il mio natalizio, il mio sessantesimo terzo natalizio. Che gioia leggendo la tua. Frattanto udienze e cresime. E siamo a dopo il pranzo. Ma non posso trattenermi dal risponderti. Tu certo oggi avrai pregato per me... La tua lettera è stata per me l'augurio più gradito. Godo assai nel leggere che stai bene nel corpo e nello spirito. Un po' di relativo riposo ti farà bene. Io son contento del tuo viaggio in cotesta. Son contento che rileggerai la 4" sezione l . Spero che confermerai il tuo primo giudizio. 5. Pietro Gasparri (1852-1934), cardinale, Segretario di Stato di Benedetto XV e di Pio XI, artefice dei Patti Lateranensi e del Codex Juris canonici, promuIgato nel 1917 e andato in vigore i1 19 maggio 1918. Sulla lettera del card. Gasparri cui Mario accenna si veda lettera 6, testo e n. 2. LETTERA 3. 1. Mario si riferisce alla quarta sezione della sua opera I1 problema della conoscenza, cit., dedicata alla Genesi del concetto. Cfr. lettera 1, n. 2.
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Io sto bene. Dal lavoro di circa cinque mesi, pieno di ansie nel timore di non finire, e di tensione nel desiderio di far presto, sono uscito, non stanco, ma rifatto. Rare volte mi son sentito atto al lavoro come ora. H o già dato mano al trattato del problema della conoscenza. Se continuerò come ho cominciato, spero finirlo prima di natale. A misura che scrivo, il problema si colorisce. Sento un fascino indicibile. La mattina mi alzo alle 5 % e alle 8 sono a tavolino col brio dei miei migliori anni. Che tipo! Eh! Aiutami con le tue preghiere. Questo problema è forse più importante dell'altro. I o non confido che negli aiuti dall'alto. Non vado oltre perché l'ora per me non è adatta al lavoro di penna. Ho però scritto ora, perché non mi sentivo d'aspettare sino a domani. Ieri celebrai per me (non potendo oggi, che celebro pro populo) e per te. Ti amo assai, caro fratello, e ti desidero felice in Domino. Ti abbraccio. E ossequio il prof. Crespi '. Tuo aff .mo fratello
Piazza Armerina, 6 novembre 1924
Amatissimo fratello, grazie dei tuoi affettuosi auguri. Io conto assai sulle tue preghiere e sul tuo affetto. Aspetto con ansia tue nuove circa la nuova
2. Si tratta del prof. Angelo Crespi (1878-1948). Filosofo, saggista e giornalista, visse nei primi anni del secolo l'esperienza modemista, collaborando a « I1 Rinnovamento », « Nova et vetera », « Coenobium D, « La Cronaca contemporanea » e « La Nuova Riforma ». Collaborò anche all'« Unità » di Salvemini e all'« Azione » di Donati. Trasferitosi a Londra, insegnò presso quella Università e fu corrispondente del « Corriere della sera D e del « Popolo ». Antifascista, fu molto vicino al fuoruscitismo italiano. Scrisse su « La LibertA », organo della Concentrazione parigina, sull'« Observateur », sul « Pungolo » di Donati e su « Res Publica » di F. L. Ferrati. La sua abitazione londinese si trovava presso il Convento dei Serviti, a Fulham Road, dove Luigi Sturzo aveva preso dimora. Angelo Crespi costitui un punto di riferimento anche finanziario per gli esuli antifascisti e la sua abitazione divenne un punto di incontro degli italiani. Tra le sue opere sono da ricordare: Le vie della fede, Roma 1908 e il volume autobiografico Dall'io a Dio, Modena 1950, con una prefazione di T. Gallarati Scotti.
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residenza. Ebbi la lettera del 27 ottobre e poi la cartolina. Ti ho scritto tre volte; questa è la quarta. Spero che abbi ricevuto regolarmente le mie. Ho anche avuto due lettere della cara Nelina. L'avevo invitata a passar da me questo tempo o almeno parte. Mi dice che preferisce Roma, perché così ti è più vicina. Ed ha ragione. Le tue lettere impiegano cinque giorni a arrivare in questa. Sto benissimo come mai. Lavoro col solito fervore. Ho cominciato le mie lezioni sul mio libro. I ragazzi mi seguono e profittano. Certo che è superiore a classi comuni. I seminari son altra cosa. Però il professore può far saltare le pagine più complesse, senza danno. Tu hai presente il libro. Ciò che è fondamentale è detto in capitoli o paragrafi speciali. Ciò vorrei fosse notato nella reclame. Intanto la tipografia va a rilento. A momenti ho fatto un telegramma di sollecito. Aspetto ancora le bozze della 3" sezione impaginate per la seconda lettura e quelle della 4" per la prima l . Se tu scrivi, dì che non perdano tempo. I1 materiale è tutto a Roma da parecchi giorni. I1 28 ottobre ebbi da quei Conti che tu conosci uno spiacevole incontro '. Ma non ci furono conseguenze. Te ne scrivo, perché i giornali ne hanno parlato e potrebbero venire nelle tue mani. Ma fu cosa da nulla, per grazia di Dio. Se ricordi, te ne feci un cenno a Roma. Si tratta di un beneficio, la teologalia, che volevano conferito al fratello. Avevo già detto che bisognava fare il concorso, prescritto dai canoni. I1 28 mi appostarono che tornavo da passeggio e minacciarono. Rimasi calmo. Ripetei che avevo per legge solo la coscienza. Uno alzò il bastone, ma non osò colpire. H o sporto querela per tutela della mia persona e della mia coscienza. La città e la Diocesi si sono strette attorno a me con uno slancio insolito. Tutti reclamavano il ricorso alla giustizia e ne era tempo. Tu sta' tranquillo perché non è niente. Io non ho sofferto nulla. Anzi mai come ora sono stato così bene e di così buon umore. 1
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LETTERA 4. 1. Cfr. lettera 1, nota 2. 2. I1 28 ottobre Mario aveva subito un tentativo di aggressione ed era stato fatto oggetto di gravi minacce da parte dei fratelli Cimo i quali da tempo soliecitavano la nomina di un loro fratello a teologo della Cattedrale di Piazza Armerina. Gli aggressori furono messi in fuga darintervento di mons. Fondacaro, Vicario generale, che accompagnava mons. Sturzo e dall'arrivo dell'arcidiacono deiia Cattedrale. I1 fatto destò una viva impressione e provocò al prelato numerose attestazioni di solidarietà. Cfr. U n sacrilego affronto a rnons. Mario Sturzo, in a I1 Popolo D, 7 novembre 1924.
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Scrivimi, caro fratello, e prega per me. Scrivimi a lungo; parlami di te, delle tue occupazioni, delle tue nuove relazioni. Ti abbraccio con vivissimo affetto, tuo t Mario 5* [Londra, s.d.1
Addoloratissimo attendo notizie. Luigi
Piazza Armerina, 10 novembre 1924
Fratello amatissimo, ricevo la tua tanto desiderata. Ho contato i giorni. Tra andata e ritorno ne occorrono dieci. Come siamo lontani! Mi sembra che tu sia anche più là dell'America. Però godo, pensando che hai un po' di tranquillità, mentre la povera Italia si fa sempre più agitata. Son poi felice nel saperti ospite degli Oblati di S. Carlo l , del cui tenor di vita spero mi parlerai, affinché me ne giovi pei nostri Oblati. Questi crescono di numero e di bontà. Parlami più a lungo di te e delle tue cose. Desidero sapere, come ti scrissi, se la tua decisione di recarti in codesta dipende da comunicazioni della segreteria di stato, posteriori alle comuni-
LETTERA5. * Minuta di telegramma di pugno di L. Sturzo. LETTERA6. 1. Appena amvato a Londra, Luigi Sturzo, dietro interessamento del card. Bourne, si stabilì presso il convento di S. Maria degli Angeli a Bayswater, ospite degli Oblati di S. Carlo dove rimase per circa tre mesi. Daiia fine del gennaio 1925 si trasferì presso i padri Serviti in Fulham Road. Qualche tempo dopo, tuttavia, gli fu fatto capire che doveva andarsene. In seguito egli seppe che Mussolini a Roma aveva minacciato i Serviti di non concedere loro il beneficio di alcuni edifici di S. Marcello se i confratelli di Londra avessero continuato ad ospitare Sturzo. Cfr. G. DE ROSA,Sturzo mi disse, Morcelliana, Brescia 1982, p. 100.
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cazioni fatte a me (22 settembre); circa le quali io feci delle umili ma franche osservazioni, che non ebbero più risposta 2. H o letto sull'ultimo numero della « Rassegna Nazionale » l'articolo di Carmelo Caristia sui tuoi libri 3. Impacciato, astruso, incerto, benché in fondo favorevole. Forse ciò è effetto del mal d'occhi che travaglia questo nostro amico, e che lo costringe, più che a scrivere, a dettare. Credo che la notizia del mio incidente del 28 ottobre l'abbia, prima che nella mia lettera del 6, vista sul « Popolo » 4. Spero che non ti abbia cagionato troppe preoccupazioni. È un male dal quale il buon Dio ha fatto derivare molto bene. Mai la diocesi intera mi è stata così vicina e così concorde. Io sto sempre benissimo; lavoro con entusiasmo giovanile senza ombra di stanchezza. Come ti scrissi, dal lungo lavoro intorno al problema della conoscenza sono uscito
2. La lettera del card. Gasparri reca la data non del 22, ma del 16 settembre 1924. Ecco il testo della lettera del Segretario di Stato della Santa Sede a mons. Mario Sturzo: « Sopra tutto in questi momenti di guerra civile dichiarata in Italia, la iscrizione dei sacerdoti ad un partito politico è in contraddizione con la loro missione sacerdotale e di ministero universale, e può presentare gravissimi pericoli non solo per essi personalmente, ma anche per la Chiesa in Italia. Quindi è necessario che i sacerdoti lascino la direzione o comunque la collaborazione di un giornale politico, ed escano da qualsiasi partito, liberi di votare in tempo di elezioni secondo la loro coscienza. Questo desiderio o meglio quest'ordine del S. Padre sarà comunicato direttamente a Don Giulio De Rossi per il « Popolo » e il partito popolare e a mons. Pucci per il « Corriere » ed il nuovo partito (allusione al centro nazionale, al quale aderivano cattolici che avevano già fatto parte del P.P.I. e che erano orientati a sostenere la politica di Mussolini, n.d.c.): e non vi è dubbio che vi ubbidiranno. Ma per uno speciale riguardo a V. S. ed al suo fratello Sua Santità vuole che Ella stessa trasmetta al fratello questa pontificia volontà, cioè che egli cessi dalla direzione e qualsiasi collaborazione al Popolo, esca dal partito e si allontani da Roma; che se la S. V. si rifiutasse di farlo, l'ordine verrà trasmesso direttamente ». I1 testo della lettera del card. Gasparri in: GIUSEPPECARONIA, Con Sturzo e con De Gasperi, ed. Cinque Lune, Roma 1979, pp. 323-24. Sulla questione della partenza di Sturzo dall'Italia fece poi da intermediario fra il card. Gasparri e il sacerdote di Caltagirone l'avv. Del Giudice. Non si parlò di esilio o di allontanamento da Roma, ma di una temporanea permanenza all'estero per ragioni di studio. Su tutta la vicenda, cfr. G. DE ROSA,Luigi Sturzo, UTET, Torino 1977, p. 255. 3. C. CARISTIA, Idee e programmi politici, in « Rassegna Nazionale », ottobre 1924, pp. 3-14. Carmelo Caristia (1881-1969), nacque a Caltagirone, fu professore ordinario di diritto pubblico presso YUniversità di Catania, militò nel Partito Popolare. Ritiratosi dalla politica per i contrasti con il regime fascista, tornò dal 1944 a svolgere attività politica ed entrò nella Democrazia Cristina nelle file della quale fu eletto deputato. 4. Cfr. lettera 1, n. 2.
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così fresco, come se fossi stato a villeggiatura. Soffersi un po' in settembre. Ma quello fu caldo affricano. I1 problema della morale già si comincia a concretare. Ho scritto i primi paragrafi e non mi pare d'aver cominciato male. Però non concepisco il trattato come si usa dai nostri. Faccio precedere la psicologia degli appetiti e della volontà. Vorrei qualche lavoro recente su questo punto, specialmente circa la quistione della conoscenza della bontà degli oggetti. Io di questa conoscenza ho una teoria propria e forse nuova. Dico forse perché le nostre biblioteche son sempre povere. La teoria è questa, che la bontà dell'oggetto non è conosciuta per mezzo dei sensi detti esterni, perché non sono appetiti; né gli oggetti son conosciuti dagli appetiti, perché non sono facoltà intuitive. L'intuizione, per la risonanza dei centri relativi, impressiona i centri volitivi, 'e questi, reagendo, esprimono affettività. I1 soggetto, facendo le sintesi, conosce che quel dato piacere o dolore, deriva da quel dato oggetto. Poi, per via d'esperienza, trova se l'oggetto gli conviene o gli è contrario. Quando si parla delle attrattive del bene, si parla di un fatto di associazione e di memoria, e non d'un fatto originario. Le ripercussioni di questa teoria sulla direzione delle azioni umane, sull'influsso della volontà sugli stati affettivi, degli stati affettivi sulla volontà, sono notevoli. Ora penso così. Quando arriverò, scrivendo, a questo punto, saprò cosa m'insegnerà il calamaio. Penso anche che dei sistemi empiristi bisogna trattare con giudizio e cavare il profitto che sempre si cava dalle ricerche scientifiche o, comunque, sperimentali. I libri di Ribot mi aiutano assai '. Tu, caro fratello, procura d'aiutarmi, perché il compito è arduo, mentre una migliore impostazione del problema è necessaria. Ieri mi sono arrivate le bozze di metà della quarta sezione. Mi si scrive che il libro potrà esser pronto nella seconda quindicina del mese. Però io vorrei prima vedere le tue osservazioni. Procura di non perdere tempo. Quest'anno ho limitato il mio insegnamento alla filosofia solamente del secondo e terzo anno. I1 primo anno lo fa un mio disce5. Sulle principali opere delio psicologo Théodule Ribot, cfr. lettera 2, n. 4. Crediamo che l'« aiuto * fornito a Mario dai libri di Ribot consista nel metodo di carattere sperimentale adottato dallo studioso francese.
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polo, fedele al mio trattato. Per ora ci aggiustiamo con le bozze e il manoscritto. Nelle classi c'è molto entusiasmo. I1 seminario fiorisce. Abbiamo circa 80 seminaristi, e tutti buoni. H o chiamato nuovi professori: uno è il sac. Ferdinando Quattrocchi, già laureato in lettere. Anche la mia letteratura è dettata da altri professori, convinti del sistema. E anche qui c'è molto entusiasmo. M'inviti d'andare a Roma. Come lascerei il mio lavoro e il mio seminario? Poi a Roma tu non ci sei... Oh no, non ci andrò fino al tuo ritorno. I o prego assai per te; a volte applico per te la S. messa. Spero che possa tornare presto, e presto rivederci. Più mi sei lontano col corpo; più mi sei vicino al cuore. Rileggo i tuoi libri. Molte pagine mi gioveranno pel problema della morale. Allora mi par di parlar con te. Carmelo Caristia dice che a volte sono trasandati nella forma. Non son d'accordo con lui. La forma è quale domanda il pensiero. A volte si colorisce e riscalda. Sempre è lucida e attraente. Che Dio ti benedica. Gli amici parlano spesso di te. Tutti ti augurano ogni bene. Ed ora che la carta è finita, ti abbraccio in Corde Jesu affettuosamente. Tuo Mario
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Piazza Armerina, 15 novembre 1924
Carissimo fratello, penso che il tuo affettuoso telegramma sia stato fatto dopo la lettura della mia del 6 e che quella lettura ti abbia anche rassicurato sul conto mio. Ti scrissi del fatto, perché già ne parlavano i giornali. E sarebbe stata più forte l'impressione sul tuo animo sensibilissimo, se io non te ne avessi scritto l. Ora ti prego di star tranquillo. Tutto si è risoluto pel meglio: quel fatto è giovato a rompere l'incantesimo che si trascinava da circa quattordici anni. I o sto benissimo, come ti ho scritto; meglio che negli anni scorsi. Questo fatto non mi recò nessun disturbo; e mi consentì di poter prendere provvedimenti, che senza di esso, non sarebbero stati possibili. Ringrazia con me il buon Dio, e sta tranquillo. LETTERA 7. 1. Cfr. lettere 4 e 6 .
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Nelina mi ha fatto un cenno della causa che determinò la tua partenza. Se tu non me l'avessi nascosta, ti avrei subito risposto e dato quel conforto che le circostanze e la lontananza consentivano. Torno ancora su questo punto, perché non so rassegnarmi al pensiero d'esser apparso trascurato con te, che amo quanto l'anima mia. 16 novembre 1924
Ma ti avrei scritto che la volontà dei superiori è volontà di Dio, e che è meglio obbedire che offrir sacrifizi. Non è questa la parola che, partendo, ti riempiva di sé il cuore? Come vedi, riprendo la penna dopo un giorno. Ed è la prima cosa che faccio mettendomi a tavolino, mentre il primo raggio d'un bel sole tripudia di fronte a me. Ieri mandai il resto delle bozze della quarta sezione. Non mi resta da vedere che l'appendice e l'indice, che ancora non sono arrivati. H o fatto le correzioni col pensiero a te; ma le tue osservazioni non le ho avute. Quando arriveranno, non so se sarò a tempo per giovarmene. Come occupi la tua giornata? Ma come fai senza vedere il ciel sereno? Che non sarebbe meglio venire nella tua bella Sicilia? Penso che hai scelto Londra più che altro per ragioni morali. Ma non so se si crede che il tuo sia un viaggio determinato da motivi di studio *. Poi penso che metteva il conto di vivere cin po' in Inghilterra. Quasi sento la tentazione di venirti a trovare. Certi momenti, pensando a te, mi commuovo. Come è difficile che i grandi ideali si attuino! Ma com'è amaro lottare contro la incomprensione degli uomini! Poi penso che tu sei più forte degli eventi. Li hai sempre dominati, o, almeno, non ti sei mai fatto travolgere dagli eventi contrari. I1 2 1 inaugurerò la cappella del mio palazzo. Tu ricorderai che avevo per cappella accomodato la stanza vicina allo studio. Ora la vera cappella è messa su discretamente. C'è un bell'altare di marmo: me lo diede il comm. Ing. Valente. C'erano nella chiesa di S. Giovanni di Rodi, per tuo interessamento, restaurata, due altari minori, sopraggiunti. Furono levati. Uno fu dato alla cattedrale; 2. La partenza di Luigi Sturzo per Londra era stata, infatti, casi motivata, d'accordo con la Santa Sede. Cfr. lettera 6 , n. 2.
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uno a me. I1 21 è la festa della Madonna degli Oblati: la Presentazione. E saranno due feste. Ricordo il discorso che facesti quando s'inaugurò il palazzo vescovile a Caltagirone, e ricordo il programma delle feste, carico, impossibile. Ci fu di veramente interessante il tuo discorso. Qui non faremo che una festa tutta intima. I o dirò la messa e terrò ordinazione, prima dello spuntare del sole. I1 seminario sarà tutta la gente che parteciperà alla festa. Oggi è domenica; è la prima ora del mio lavoro; non son pressato d'affari. Son con te. Ti scrivo come detta il cuore, come se fossi con te, rari e cari momenti, a parlarti delle cose mie; a desiderar, come sempre, di sentir te parlarmi, meno avaramente del solito, delle cose tue. I1 problema della morale ora occupa il mio pensiero. Però lavoro da gran signore, senza fretta e quando lo spirito è disposto. Per fortuna è disposto sempre, benché non sempre io sia libero da altre cure la mattina. Ora scrivo del piacere e del dolore, problema vecchio, ma, come parmi, sempre mal posto. È però di somma importanza circa il fatto delle volizioni. H o scritto sino ad ora poche pagine; ma son come il fondamento. Credevo, prima di prender la penna, che avrei tenuta una via. Ora m'accorgo che ne terrò un'altra. Ogni pagina che scrivo, è come la premessa delle pagine che scriverò. È come un lavoro di scoperta quello che faccio, che a volte, mi reca sorpresa. Spero di non uscir di via. E a questo fine ora indirizzo tutte le mie preghiere. Penso che un libro circa la morale fondamentale, fatto fuori dei vecchi schemi, tenendo conto delle esigenze del pensiero moderno, delle giuste esigenze, debba far del bene. Anche qui lavoro come se facessi opera strettamente religiosa. I1 mio lavoro è come una particolare preghiera. E sento che le vedute, che a me sembrano nuove, non son frutto dei miei studi e del mio poveyo ingegno, ma dono del buon Dio, che ama servirsi degli strumenti meno atti per le opere sue. I1 foglio finisce. Io però non penso di chiudere qui la lettera. Non so staccarmi da te. Non è vero che tu mi sei presente? Non sei là, invisibile, che guardi il corso della mia penna e sorridi? Però smetto, per riprendere o più tardi o domani. 17 novembre 1924
Stamani il sole non spunta. Piove e c'è la nebbia, come a Caltagirone, come a Londra. Io ho bisogno di molta luce per scrivere.
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E mi metto vicino al balcone, a un tavolino di riserva. Come fai costà senza sole? Quando fui a Faenza, la nebbia perenne mi faceva soffrire assai. Tornando, quando, presso Firenze trovai il cielo sereno e il sole, mi parve di rinascere. Con te farò come Eugénie de Guérin con suo fratello Maurizio 4: scriverò le lettere a modo di giornale, cioè, diario personale. E lascerò cadere sulla carta i pensieri come vengono. Se non ci sarà molto costrutto neli'insieme, spero ci sarà molta espressione d'affetto. Certo io non ho le grandi notizie da darti. H o però da starti vicino. E tu ricevendo un letterone fatto a Arlecchino, avrai da star con me un bel pezzo, allegramente. Gli alunni di filosofia sentono l'entusiasmo, che a scuola è contenuto, ma a passeggio trabocca. Le campagne intorno sono stordite dal vociare concitato dei nascenti filosofi che vorrebbero pigliare il cielo a pugni. Se il libro fosse elementare ciò forse non sarebbe possibile. Comunque, io per ora osservo e noto. La posta mi recherà tue lettere stamani? Se sapessi! Quando verso le nove D. Giovanni, col suo passo concitato, entra e mi reca la posta, provo un brivido di attesa che non vorrebbe esser delusa, ogni giorno. So che è stoltezza aspettare ogni giorno lettere da Londra; ma il sentire non è come il sapere. Guardo a una a una le soprascritte... e poso deluso il fascio delle lettere sul tavolino, cominciando svogliatamente a aprirle e scorrerle... Ma stamani una tua ci dovrebb'essere ... Una risposta alla mia del 6. I dieci giorni son passati ... Mi parlerà a lungo di te? Lo spero. Torno dalla scuola. Trovo la posta. La sospirata lettera non c'è. La tua ultima mi giunse il 10. Son dunque sette giorni che non ho tue nuove. Ieri ho dato via le ultime copie di Rivali Me ne restano due 3. Eugénie de Guérin (1805-1848), scrittrice francese, sorelia di Maurice; dopo la morte fu pubblicato il suo diario (Journal, 1862) e l'epistolario (Lettres, 1865) tenuto con il fratello. 4. Maurice de Guénn (1810-1839), scrittore francese, fu professore nel collegio Stanislas, subi l'influenza di Lamennais. Oltre al diario e all'epistolario con la sorella Eugénie, scrisse Le Centaure, La Bacchante. 5. Mario aveva pubblicato vari racconti e romanzi di carattere psicologic~sociale, tra cui Rivali, sul giornale « La Croce di Costantino D, di cui fu attivo collaboratore. Organo dei comitati diocesani e interparrocchiale di S. Giorgio di Caltagirone il giornale, di cui fu ispiratore e direttore Luigi Sturzo, iniziò la pubblicazione il 7 marzo 1897. Mario pubblicava i suoi romanzi a puntate sotto lo pseudonimo di
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solamente. I1 lavoro ha i vizi d'origine, cioè, d'essere stato pensato e scritto volta per volta. Tu lo sai. Ha però il valore di documento storico d'un momento della tua attività così interessante, gravido di tutte le conseguenze che conosciamo. Non sarebbe da ripubblicarlo sul testo della riproduzione s d ' « Osservatore Cattolico »? Mette il conto? È possibile trovare un editore? Giro a te queste domande, e aspetto risposte rigorosamente oggettive. Un simil pensiero m'era anche venuto un tre anni fa. Rilessi il romanzo. Son sincero: non mi dispiacque. Vorrebbe solo un'arrangiatina. E si farebbe. Certo è che ancora c'è qualcuno che lo cerca. Sorridi? Ti parrà strano che a quest'età pensi anche a romanzi! Ma per me questo è una storia, non un romanzo. Riprendo il foglio dopo varie interruzioni di udienze, e di lavoro attorno al problema della morale. I1 problema del piacere non mi pare che si possa trattare come fanno gli scolastici compreso Mercier 6 . Per questo il piacere è un modo d'essere dell'appetito in presenza del suo oggetto. A me pare che il piacere non sia nell'appetito, ma nella sensazione; e l'appetito l'esprime appetitivamente. Infatti il piacere può esser cercato per se stesso, come afferma lo stesso S. Tommaso, cioè, può essere oggetto d'appetizione. L'appetito del cibo, per es., è una data esigenza, tendenza. Soddisfatto col cibo, cessa. Però il piacere della gustazione c'è, se ancora si prende cibo gustoso; tranne il caso di pienezza di ventre, che provoca il disgusto. Ti occuperai di questo problema? Mi faresti grande favore. Come vedi, si tratta di precisare la funzione del piacere, che ha tanta parte anche nella vita morale e nell'educazione. Enelèo. Cfr. L. STURZO,« La croce di Costantino ». Primi scritti politici e pagine inedite sull'arione cattolica e sulle autonomie locali, a cura di G. De Rosa, Edizioni di Storia e Letteratura, Roma 1958, pp. XXVII-XXIX. I1 romanzo Rivali comparve nel 1901 in un volume di 574 pagine, al costo di lire 3,50, presso la Tipografia ed. Giustiniani di Caltagirone. Alm racconti di E.NELEO,Il figlio del ruauo, romanzo di 320 pagine, 1900; Adelaide, bozzetto, 104 pagine, 1901, presso la stessa tipografia. Di questo bozzetto la « Civiltà Cattolica » nel quad. 1252, 16 agosto 1902, scriveva: « questo racconto è la storia di un amore contrastato e di una conversione, e si raccomanda per la bontà della lingua, la bellezza dello stile e la sobrietà dei sentimenti ». 6 . Désité Mercier, filosofo neo-scolastico (1851-1926), cardinale primate del Belgio fondò la scuola di Lovanio detta Institut siipérieur de philosophie. A lui si deve in origine la ripresa di studi tomistici e il tentativo di ripensare la filosofia neo-scolastica alla luce del pensiero moderno e delle sue istanze fondamentali.
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Vorrei cianciare ancora. Ma è tardi. Penso che sarà meglio lasciar partire la lettera. Tanto, breve non è. Intanto ti abbraccio forte forte in Corde Jesu. Tuo aff.mo fratello t' Mario
P. S. - T. Ragusa ' mi telegrafa prendendo viva parte alle proteste contro l'incidente del 28 ottobre, e mi scrive che vuol esser riammesso nel numero dei miei amici, reputando chiuso l'incidente, e chiedendo perdono. Gli ho risposto che son quello stesso del 1903 e che lo ricevo tra le mie braccia in osculo pacis. Siamo poco prowisti di messe. I1 Santo Padre ci fa scrivere che ci aiutiamo da noi. Sarebbe possibile averne costà? Non voglio però che ti dia pena per questo. Ma se ti sarà possibile aiutarci, avrai le benedizioni di tanti poveri sacerdoti che stentano la vita. Addio.
Piazza Armerina, 18 novembre 1924
Sto benissimo su incidenti ti scrissi giorno sei ho anche scritto giorno di,eci et ieri. t' Mario
7. Tomrnaso Ragusa, amico di Luigi Sturw. Originario di Mazzarino si laureò a Roma in Diritto canonico. Istitutore presso il Collegio Pignatelii di Gela, venne chiamato da Mario Stuno presso la Curia di Piazza Armerina per affidargli una rettoria. Nel 1907, quando Stuno era prosindaco di Caltagirone, fu il Ragusa ad awertirlo del pericolo di un prowedimento disciplinare ecclesiastico tendente ad affermare l'inconciliabilità fra gli &ci di sindaco e di sacerdote. Trasferitosi a Roma, come awocato della S. Rota, morì nel 1956. Circa l'« incidente » cui Mario si riferisce in questa lettera, si tratta, probabilmente, di un dissidio con il Ragusa sorto dopo la pubblicazione di un opuscoIo di quest'ultimo dal titolo I mali e Dio, Scuola tipografica « Boccone deI povero P, Palermo 1922. Sulla tesi sostenuta in questo scritto e sulie critiche che mons. Sturzo gli mosse, cfr. lettera 15, testo e n. 4. LETTERA8. * Telegramma.
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Amatissimo fratello, il mal tempo di ieri è passato. Oggi il sole brilla in cielo più terso di prima. Rivedere il sole dopo l'oscurità della nebbia e della pioggia è come rinascere. Stamani comincio con la poesia, o meglio, con dei versi. Ricordano certi momenti dello scorso maggio in Roma. Ancora un altro maggio A1 terrestre soggiorno, Prima che spunti il giorno Dell'estremo viaggio, E che di morte il gelo Senta lo stanco core, E rinasca all'amore Che fa beato il Cielo. È ver, più non ha il prato Per me l'antico incanto, Degli uccelletti il canto Più non mi fa beato, Più non sospiro l'ore Della notturna brezza, Non sento più l'ebbrezza Della campagna in fiore. O forse che il diletto Del pensiero che abbonda Ha disseccato l'onda Che nutre ogn'altro affetto? O forse che la vita Che al termine declina, Senza vigor s'inclina, Qual pianta inaridita? Però verso la sera Allor che come pianto Dell'usignolo il canto C'invita alla preghiera,
Con altra melodia Che suona in fondo all'alma In quella ora di calma, Al tempio di Maria Desioso intorno, Ove di mille fiori S'intrecciano gli odori, E mille faci intorno Al profumato altare Guizzan tristamente E l'animo gemente Invitano ad amare. Sale tra le volute Dell'odorato incenso, S'erge pel celo immenso Infra le stelle mute Con accento d'amore, Della folla che crede, I1 canto della fede, E mi va dritto al cuore. Subitamente l'occhio S'abbassa riverente, E tra l'umile gente Al suo1 piego il ginocchio, Mentre nel cor si desta L'ansia della preghiera; E qual di primavera Che la natura in festa,
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Di memorie lontane, D'ardor di giovinezza Si desta anche l'ebbrezza E le speranze arcane. Ma non son della terra, Sì del Ciel che m'invita E dell'eterna vita Le porte mi disserra.
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Non guardo al campo brullo Ricoperto di gelo Che mi sta dentro, al Celo Con occhio di fanciullo, Con l'ingenuo desio Di quell'età felice Di rimirar mi dice E sospirare a Dio.
Arriva la posta. Due buste con gli amati caratteri tuoi e di Nelina. Che gioia. Leggo prima la lettera di Nelina. Si lagna che non ha tue nuove da cinque giorni. Leggo la tua. Che schianto! ... Ma sii più forte, tu che hai tanta forza d'animo nelle lotte della vita! I n quanto a me, credimi, amato fratello che non penso che a te, cui tanto amo. Ti ho scritto il 28 e il 29 ottobre, il lo, il 6, il 10, il 17 di questo mese. Questa è dunque la settima lettera che ti scrivo. ~ell'inci'dente non ti scrissi prima, perché speravo che i giornali non ne avessero parlato. « L'Ora » infatti non ne parlò. Poi, a evitare ogni sorpresa, te ne scrissi il 6. Avresti dovuto ricevere la mia lettera 1'11. Ma forse Crespi, in casa del quale era indirizzata, te la avrà trasmessa tardi. Tornai a parlartene nella mia del 10 che certo avrai ricevuta. Comunque, ti ho fatto subito un telegramma per rassicurarti. Credimi, caro fratello, non ho sofferto nulla, né nello spirito né nel corpo. E sto benissimo come mai. Dall'incidente poi è venuto bene e non male. Stai tranquillo. Le cattive nuove, Dio guardi, le reca l'uccello. 19 novembre 1924
Oggi comincio con gli auguri. Questa, se parte questo stesso giorno, come spero, ti arriverà il 24; ce parte domani, il 25. Parta oggi o domani, ti arriverà opportunamente per farti sapere come t'amo e quanto ti voglio felice. Stamani ho celebrato per te; per te e per Nelina celebrerò, a Dio piacendo, il 26. Per quanto io, a volte, mi studii d'ingrandire nella mia fantasia la tua figura; sempre in fondo al cuore prevale il piccolo Lallà. La tua grandezza la penso; la tua fraternità che in me ha del paterno, la sento. Questo spiega perché nei dì felici (chiamiamoli così) o almeno, normali, ti scrivevo di raro e breve, e ora, ecco che ti scrivo ogni giorno e a
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lungo, almeno nella somma dei giorni che fa la lettera nella sua figura d'Arlecchino. La tua di ieri mi rese pensoso tutta la giornata. Tornava al mio spirito con molta insistenza la parola del Vangelo: Ibant Apo-
stoli gaudentes a cospectu Concilii, quoniam digni habiti sunt pro nomine Jesu cunctumeliam pati '. E spero che anche tu, dopo la sorpresa, avrai pensato a questo passo e lo avrai meditato con sentimento forse non mai provato per l'innanzi. Non è vero che siamo più portati a seguire nostro signore sul Taborre anzi che sul Calvario? Pure al Taborre non si va che per le vie del Calvario. Mi fai un favore? Lo puoi, perché questa di cui ora ti parlo, è la tua materia. Desidero conoscere il tuo pensiero circa il principio d'autorità del Governo della umana convivenza, non in quanto storico, ma in quanto filosofico. Se questo principio risiede, naturalmente, negli uomini in quanto associati, una data attuazione storica può generare veri diritti contro la società governata? Esempio. Data collettività è in atto governata da un re assoluto'. I1 governo è buono, lo stato pacifico. Però il popolo (presa questa parola in senso lato) si sente evoluto e atto a una forma più democratica; vorrebbe, per es., un governo costituzionale. Ha diritto di adoperare a questo fine i mezzi proporzionati (s'intende leciti)? E se ha questo diritto, il sovrano assoluto, in possesso del suo diritto, potrebbe opporvisi sino alla resistenza estrema? Dal diritto al fatto. I mutamenti avvengono. Date le teorie tradizionali del pensiero dei nostri, non ci sarebbe di tali diritti nel popolo. ~ u & d i buoni (cioè seguaci delle dette teorie) stanno da parte. I mutamenti si attuano anche per via di rivoluzione. Dopo il fatto, pure condannando la teoria dei fatti compiuti, tutti si accomodano al nuovo stato di cose, approvano il fatto, facendo delle riserve sul modo. Ti par giusto questo portamento? Non sarebbe più giusto l'attività regolata dei buoni, anziché la passività spettatrice, che poi diventa partecipazione (nel fatto) a ciò che, data quella passività, nacque viziato, nel modo, almeno? Torno dalla scuola. Che piacere parlare a numerosa scolaresca, che ascolta premendo il respiro! Spiego la terza sezione 2, sulle LETTERA 9
1. « IUi quidem ibant gaudentes a conspectu concilii D, Atti 5, 41. 2. Si tratta deiia terza,sezione del volume Il problema della conoscenza, cit., dedicata alla Natura del soggetto (cap. I : Della conoscenza che il soggetto ha di
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bozze per ora. È la più difficile. Pure la scuola pulsa fortemente. Un trattato più elementare non potrebbe ottener ciò. Ma tu credi che i manuali in uso nei seminari presentino meno difficoltà? Tu facevi leggere la Psicologia di Mercier 3, nonostante il suo metodo induttivo, che accresce le difficoltà. Ma insomma si può sapere qualcosa del tuo tenore di vita costà, delle tue occupazioni, dei tuoi rapporti? Ti metterò in castigo, se non soddisfi questo fraterno desiderio del mio cuore, non ti scrivendo che a telegramma come quando eri a Roma. Mi preme far partire questa lettera oggi stesso. Però, devo dirlo? La mia vena oggi è esaurita, e per giunta l'orologio batte le dodici. Lasciare una pagina bianca non mi piace. Dunque ... spremerò dal mio cervello il sugo, e qualcosa spunterà. I1 momento più grave dell'incidente del 28 ottobre fu quando guizzò nell'aria un bastone. Io però rimasi tranquillo. I1 pensiero di ricorrere a un qualche espediente, non mi passò nemmeno per la testa. Sentivo che non c'era nulla da concedere, e perciò, che occorreva ricevere i colpi come sarebbero venuti. Pensai però che poteva quella esser l'ultima ora, e levai la mente a Dio. Forse questa mia tranquillità fece colpo nell'animo dell'assalitore. Comunque, tutto finì lì. Ripensandoci, non so come ringraziare il Signore, non tanto d'avermi protetto, quanto d'avermi sostenuto. Che non sarebbe stato bello comparirgli innanti per aver patito per la giustizia? Ma ora tutto è finito. E tutti lodano Dio, non solo perché l'incidente non ebbe gravi conseguenze, quanto perché così s'è rotto un vecchio incantesimo. L'uno latitante, l'altro sospeso, la giustizia garantita. Non puoi credere che dimostrazioni d ' d e t t o mi si fanno ogni giorno. Ora fo punto davvero. Ti assicuro che sto bene, anzi benissimo. I1 mio vecchio incomodo è molto diminuito, quasi non lo sento più. Lavoro come un giovane; faccio le mie lezioni con vero entusiasmo, e scrivo c?n tale entusiasmo intorno al problema della morale. Appena sarà pronta, te ne manderò una copia. Ma quando sé; cap. 11: Della conoscenza riflessa che ii soggetto ha di sé; cap. 111: Segue della conoscenza riflessa che il soggetto ha di sé; cap. IV: Della facoltd e delle categorie). 3. Fra le opere di Mercier segnaliamo la Logique (1897), la Psychologie (1892), la Criteriologie générale ou Théorie générale de la certitude (1899), la Métaphysique générale ou Ontologie (1902). Cfr. lettera 7 , n. 6.
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sarà pronta? Ora non posso dirlo. Ci lavoro, sì, con entusiasmo, ma anche con moderazione. Mons. Fondacaro4 ti fa un mondo di cose affettuose. Con lui spesso parliamo di te e rievochiamo i tempi dell'iddlio. Vieni tra le mie braccia, caro fratello. Senti come batte il mio cuore e prega pel tuo aff.mo fratello Mario
Piazza Armerina, 21 novembre 1924
Amatissimo fratello, le mie lettere-giornale hanno una lacuna. Ieri non scrissi nulla per te, non però per negligenza, ma perché il tempo di cui dispongo fu preso da Nelina, a cui feci anche gli auguri pel suo natalizio e parlai di te. L'inaugurazione della Cappella del mio palazzo è riuscita veramente solenne. La sera, presente tutto il seminario coi superiori e professori, feci un discorso e diedi la trina benedizione col Santissimo; stamani, prima di giorno, vi ho tenuto ordinazione. H o l'anima piena di santa gioia. I vescovi futuri avranno un bel palazzo e una bella cappella. Credimi, caro fratello, la cappellina è un amore. L'altare poi è di una finezza e d'un effetto mirabile. Non dirò più la messa in una stanza fatta a cappella, ma in una chiesetta, bella, raccolta, mistica. Quando ci dirai anche tu la messa? Presto, caro fratello, perché l'aria di Londra, penso, non deve essere la migliore per te.
4. Vincenzo Fondacaro, di Caltagirone (1882-1956). Allievo deI Seminario di Caltagirone, discepolo di mons. Mario Stuno, fu ordinato sacerdote nel 1907 da mons. Damaso De Bono. Collaborò con Luigi Sturzo neli'amministrazione comunale di Caltagirone e con Mario nel governo della diocesi di Piazza Armerina. Nel 1918 venne nominato vicario generale di Piazza Armerina e rettore del seminario, carica che ricoprì fino al 1942, aiiorché venne nominato dal nuovo vescovo, mons. P. Capizzi, delegato vescovile dell'amministrazione apostolica. Fu sacerdote di rara finezza spirituale, di carattere rigido e severo. Mantenne sempre rapporti di profonda amicizia con i fratelli Stuno. Su di lui si veda: G. DE ROSA, Storia del movimento cattolico in Italia, vol. 11, Il partito popolare italiano, Laterza, Bari 1966, p. 473.
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Iersera lessi nel « Popolo D il discorso di Rodinò '. L'allusione a te, in lontano paese, solitario e pensoso mi cagionò tanta mestizia. Oh! solitario e pensoso tu, che sei nato al lavoro turbinoso e sempre eccessivo! Ma, è Dio che l'ha voluto, e sarà per la sua maggior gloria e pel tuo maggior bene. Oggi è l'anniversario, il 37" anniversario del mio ritorno al seminario. Celebro questo giorno sempre con animo riconoscente. Come fu buono il Signore con me! Fuori del sacerdozio io non avrei avuta pace. Penso al buon P. D'Andrea. Che lacrime versò quel giorno parlando al seminario che l'ascoltava commosso, mentre io, ancora in abito secolare, stavo a piè dell'altare, confuso! Tu non c'eri col corpo. Ma c'eri con lo spirito, ed esultavi. 22 novembre 1924
La posta del pomeriggio di ieri mi recò la tua carissima del 16, e fu il più bel coronamento della festa. Ieri fu anche la festa della titolare della casa madre degli Oblati, questa che nasce la prima. Credo che non si poteva trovar titolo più opportuno di quello della Presentazione. C'è stato un triduo predicato da tre giovani oblati, due suddiaconi, uno prossimo ad esserlo. Ed è stato come il primo frutto, assai promettente, della lor preparazione ascetica e letteraria. Potrei dire: una rivelazione e affermazione d'un modo più vero di concepire l'educazione e l'istruzione. Si, caro fratello, dici bene: l'insegnamento pastorale prima del letterario e filosofico. La tua lettera, dico, coronò la festa. Per quanto la desiderassi, non l'aspettavo. E perciò mi recò più gioia il riceverla. Sono stato tutta la sera con te; ti ho sentito così vicino; mesto un po', ma mestizia contenuta e profumata di pietà. Mi ha poi recato tanto piacere sentire che partisti, perché lo credesti opportuno, non perché ti fosse stato imposto. La mia risposta al Santo Padre per mezzo del Cardinale Gasparri era chiara e ferma, ma rispettosa e umile a un tempo; io mi dichiaravo, nella fine, pronto, dopo aver parlato da vescovo e da fratello, a far quelle comunicazioni che si LETTERA 10. 1. Giulio Rodinò (1875-1946), marchese di Sangineto, awocato napoletano e uomo politico, fu tra i fondatori del Partito Popolare. Fu ministro deiia guerra (secondo gabinetto Nitti) e ministro di Grazia e Giustizia (gabinetto Bonomi). Cfr. G. DEURINGER - F. FIORE- M. R O D I N ~Un, uomo e un'idea. Documentazione deUa vita politica di Giulio Rodinò, L'Arte tipografica, Napoli 1956.
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sarebbero volute '. Non avrei certo meritato lo sgarbo d'esser sorpassato, facendosi la comunicazione direttamente (come era stato affermato se io mi fossi ricusato). Lo credetti ai cenni fattimi da Nelina, vaghi e incompleti. Ora son felice di poter credere diversamente. Così non mi è preclusa la via di tornar sull'argomento in un tempo più opportuno. Ti mando una mia fotografia. È di parecchi anni fa, ma è abbastanza vera. I o ho nel mio studio la tua fotografia con la fascia sindacale (ottobre 1905) e un bell'ingrandimento della tua fotografia di profilo nel salone, che tutti ammirano. Ti guardo ogni giorno, anzi ogni volta che torno a tavolino o vado nel salone. I1 buon Dio ci ha voluto divisi, quando avevamo' passato i primi anni così uniti. Fiat. Al leggere che desideri la mia fotografia mi commossi. Perché? Non cerco con gli sguardi e col cuore, spesso, la tua? Insomma, rivivere con te sì affettuose comunicazioni, più intense, più vere, nella misteriosa azione del pensiero che mi ti rappresenta diverso dal consueto, forse pel fatto d'una, non del tutto voluta, lontananza, d'una lontananza che ha sapore d'esilio, è tal cosa, che rende oggetto di particolari commozioni del mio cuore, tutto quanto ti riguarda. Questo spiega perché ho sentito il bisogno di trasformare le mie lettere in giornale. Riprendo i fogli, dove butto i miei sentimenti con vivo desiderio; interrompo lo scriverti con rammarico; ogni briciolo di tempo di cui dispongo, è per te, anche quando mi sentirei stanco per altri lavori. Per ora contengo il mio pensiero dentro certi limiti, imposti dall'abitudine di scriver lettere e un giornale; appresso non so dove mi menerà questo nuovo bisogno di parlar con te. Quando ho la penna in mano per te, tu non sei più assente; sei là; io non più scrivo, ti parlo. E tu mi rispondi; sempre più misurato di me; più padrone del tuo pensiero; più oggettivo; sempre contrario a certi eccessi di stile, che io non sempre so evitare, nemmeno scrivendo filosofia. Voglio far partire la fotografia ora stesso. E perciò mi fermo qui per ora. Stamani ho celebrato per te. Ieri, prima messa nella nuova cappella, celebrai pro populo, essendo festa soppressa; oggi 2. Sulla corrispondenza tra Mario e il card. Gasparri si veda la lettera 6, n. 2.
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per te. Non potevo meglio compire l'inaugurazione della mia Chiesetta, tutta bella, tutta mistica, tutta piena di Dio. Ti abbraccio e mi raccomando alle tue orazioni. Tuo t Mario
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Amatissimo fratello, voglio ad ogni costo cominciare la giornata con te; ma lo spirito, forse per l'abitudine di consacrare la mattinata della domenica allo scrivere filosofia, non seconda il cuore; e corre ostinatamente al paragrafo rimasto interrotto. Più volte ho ripreso e riposto questo foglio; presi e riposti i fogli del problema della morale, non mi sapendo rassegnare a far una vacanza per te. È un po' fantastico questo tuo vecchio fratello. Ma, che fare? Questo è il mio carattere. Comunque, ora che ho cominciato, torno alla filosofia, sperando di trovar più tardi qualcosa da dirti, che non sia una frasca. Questa sera faccio un'eccezione, breve del resto: prendo Ia penna per dirti che finalmente s'è costituita la prima conferenza di S. Vincenzo dei Paoli maschile. La femminile c'è da tempo. Iniziatore è stato il prof. Marino, da Caltagirone. 2 un mio antico voto che si compie. Son pochini per ora. Ma non importa. Tutto sta nel cominciare in certe opere. A pranzo ho pensato sempre a te. Ho anzi meditato sul fatto, che, tu, tagliato dal lavoro della tua anima e del tuo genio, per la chiesa e la patria, porti la pena con una pace invidiabile. Altri avrebbe riempita l'Italia coi gridi del suo dolore. Ho proposto d'imitarti. Dio benedica il mio proponimento. 24 novembre 1924
È appena spuntato il sole, un bel sole sotto un cielo turchino purissimo. Mando a te, che sei diventato anche tu mattiniero, il buon giorno. Bada però che non ti noccia il mutar di ore. Dici la messa alle 7? Ma a quell'ora nemmeno qui è spuntato il sole. Irrompe nella mia mente il problema della Provvidenza nella
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storia, in quanto speciale intervento di Dio nei fatti di vita collettiva. Nei fatti individuali questo intervento, benché spesso incontrollabile, pure spesso è anche chiaro abbastanza. Invece nei fatti collettivi è meno chiaro. A studiar la storia sotto questo rispetto, pare che si possa venire alla conclusione che Dio con provvidenza speciale intervenga più nei fatti individuali che nei collettivi: e che pei fatti collettivi preferisca la provvidenza ordinaria, cioè, il corso delle leggi di natura e il loro intrecciarsi. I1 miracolo è l'intervento più caratteristico e più speciale. Moltissinli sono i miracoli di guarigioni e conversioni; assai rari i miracoli a favore di popoli interi. E si resta altamente colpiti dal fatto che le apostasie delle nazioni, dagli scismi d'oriente alle rovine del protestantesimo e del razionalismo, sono avvenuti e durano, o parzialmente si risolvono per vie ordinarie. Gli stessi fatti provvidenziali (speciali) come il sorgere dei grandi santi: S. Benedetto, S. Bernardo, S. Gregorio VII, S. Francesco d'Assisi, S. Vincenzo de Paoli, il Ven. D. Bosco, rientrano poi nella attività normale, in quanto il loro influsso sulle condizioni sociali rare volte si esercita per vie miracolose. Forse uno studio della Provvidenza sotto questo aspetto non sarebbe superfluo. E forse non sarebbe inutile un più sereno studio della Provvidenza ordinaria, che coincide con l'attuarsi normale delle libere attività umane, in quanto elementi animati da principi immanenti (le leggi) che seguono, p u x nella libertà, le vie da cui la stessa libertà non esce. Sotto questo rispetto tutto è provvidenziale nel mondo, e tutto è naturale. E sarebbe da chiarire il valore del giudizio ascetico e del giudizio filosofico. Asceticamente noi diciamo, e diciamo bene, che non cade foglia che Dio non voglia. Filosoficamente diciamo, e diciamo bene egualmente, che non cade foglia senza una causa naturale che la faccia cadere: l'aridità del ramo, la grandine, il temporale di vento, l'azione dell'uomo. Clemente XIV soppresse la Compagnia di Gesù. Così Dio volle, dice il cristiano che sente asceticamente. Errore effetto d'altri errori, dice il cristiano che sente filosoficarnente. Tutti e due dicono bene. Però, penso, che il sentire ascetico non debba nuocere ai giudizi storici. Che Clemente XIV abbia commesso un errore, conseguenza fatale d'altri errori, non è certo un fatto che rientra nella Provvidenza l, intesa LETTERA11. 1. L'« errore » di Clemente XIV sarebbe, appunto, il prowedimento con cui nel luglio 1773 soppresse la Compagnia di Gesù.
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come particolare intervento di Dio nel governo del mondo, ma nella Provvidenza, intesa come armonia di cause e d'effetti, nell'ordine e nel disordine morale, imputabile o no. E allora io non dirò che l'atto di quel Papa fosse voluto da Dio; e nemmeno dirò che fosse permesso, perché chi permette, in qualche modo vuole; nemmeno che fosse non impedito, perché non necessario il dirlo, è sempre espressione che fa pensare un particolare intervento di Dio. Del resto chi crede a Dio e alla Provvidenza, crede anche che Dio non è mai assente dal creato, perché non può essere. Invece d'usare una o un'altra di queste espressioni, il meglio, a parer mio, è che quando non costa d'un qualche particolare intervento divino, si parli delle vicende storiche puramente col linguaggio della storia. Ciò non solo è conforme a ragione, ma, in tempi di poca fede, come questi, giova a impedire apprezzamenti non cristiani degli awersari. Se, scrivendomi, avrai tempo di dirmi il tuo pensiero su ciò, mi farai cosa grata. Lessi il libro del Vismara '. Non mi piacque. Ci sono poi un mondo di inesattezze filosofiche. La « Civiltà Cattolica », parlandone, si fermò solo al concetto di scienza, e scrisse una pagina per dire che scienza e storia son termini inconciliabili, perché l'impedisce il fatto del libero arbitrio; confondendo la libertà come volere non determinato, con le azioni, come, pure liberamente, regolate nel libero determinarsi, dagli antecedenti, siano convinzioni, siano fatti ambientali. Se la parola della « Civiltà Cattolica » dovesse prendersi alla lettera, la libertà diventerebbe sinonimo di disordine: dico meglio: sinonimo del puro imprevedibile 3.
2. S. VISMARA, Il concetto della storia nel penisero scolastico, Vita e Pensiero, Milano 1924. 3. La recensione al volume di Vismara è in «La Civiltà Cattolica », 4 ottobre 1924, pp. 61-62. Vi si legge, tra l'altro, « ...mentre degno d'ogni lode è il tentativo di sollevare la storia al grado di scienza, non possiamo, con nostro rincrescimento convenire col dotto p. Vismara e classificare, com'egli fa, la storia, in quanto storia, come scienza subordinata d a metafisica, in quanto gli awenimenti umani siano in ultima analisi, retti e governati dal sommo Ente metafisico, Iddio, e da certi principii universali di logica, di fisica, di etica, ecc. » (p. 62). E ancora << La storia è quella che è: è il fatto immutabile del passato da scandagliarsi neile sue cause prossime e remote, inferiori e superiori, naturali o soprannaturali, ma tutte individuali e determinate, come i personaggi che vi operano, dei quali non si può far filosofia se non astraendo daiia loro individualità, vale a dire rinnegando il loro vaIore storico dell'hic et nunc » (ibidem).
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Ricevo la tua cartolina. L'unica lettera smarrita è quella del 6, proprio quella in cui ti davo notizia dell'incidente. L'l1 non ti ho scritto, ma il 17. Si tratta d'errore del telegrafista. Di che altro ti abbia parlato nella mia del 6 non lo ricordo. Solo ricordo che ti ringraziavo degli auguri pel mio natalizio. Poi ti ho scritto a lungo il 19 e il 22. Come vedi sono così in vena di scriverti che forse finirò con stancarti, tanto più, che non sempre mi è possibile dirti cose interessanti. Ti ringrazio assai della diligenza con la quale hai riletto la Quarta Sezione. La conferma del primo giudizio mi conforta assai. Non ho potuto far tesoro delle tue sagge osservazioni, perché ho dovuto consentire che le correzioni in seconda lettura le facciano a Roma. Ciò, s'intende, per evitare nuovi ritardi. Tanto, non si tratta di cose gravi. Alcune osservazioni derivano da errori di stampa. Delle altre, quelle circa Rosmini son correzioni di colorito; e le altre di chiarezza. Che ci si fa? I1 contesto spiega molte cose. Dice Papini che il libro si comincia a scrivere quando s'è finito di scrivere. E dice bene. Allora è il periodo della lima, che è I'ultirna creazione. Manzoni c'impiegò una dozzina d'anni in quel lavoro. E diede la forma definitiva al romanzo. Se Dio mi dà grazia, spero prendere anch'io la lima. Ciò però sta in rapporto alla buona accoglienza del libro, e alla prossimità o no d'una seconda edizione. Tu sai quale è stato il mio lavoro: credevo di ritoccare il già fatto; e invece, in gran parte, ho fatto un nuovo lavoro, senza il tempo di considerarlo nel suo insieme. Parmi però che circa la sostanza qualche contributo lo rechi. Ciò non è poco. Ora lavoro attorno all'altro problema, quello della morale. E qui si tratta di prima creazione. Lavoro però col pensiero a Dio. Strumento inutile, se Dio vorrà, anche qui spero recare qualche contributo. Vorrei posare il foglio, per continuare domani. Penso però che è meglio lasciarlo partire con due pagine bianche. Non si tratta di dirti cose straordinarie, ma di farrniti presente i1 più spesso possibile. Amami, caro fratello, e prega per me, come io faccio per te, sempre. Tuo aff .mo fratello Mario
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Piazza Armerina, 26 novembre 1924
Carissimo fratello, torno dalla Cappella, dove ho celebrato la S. Messa per te e per Nelina. Che il buon Dio vi benedica e conservi lunghissimi anni. Ieri non scrissi nulla per te: non ne ebbi il tempo. Però ti ebbi più sensibilmente presente nelle preghiere, specialmente ier sera nel recitare il breviario. Abbiamo avuto una settimana di gran freddo, insolito per la stagione. Ci ho preso un raffreddore, leggiero però, che ho passato impiedi. Ora è finito. I giornali dicono che è stato generale questo freddo. H o pensato a te. Chi sa che gran freddo hai avuto. C'è, è vero, il riscaldamento; ma il gran freddo è sempre tale per tutto. Assicurami che non vi hai sofferto nulla. E siamo a sera. I l lavoro è finito. Vado in cappella pel rosario. Come si prega bene in questa cappella! Non vien voglia d'uscirne. Pregherò di nuovo per te e per Nelina; suggellerò così gli auguri, che con affetto fraterno vivissimo vi ho inviati lungo la giornata sulle ali della carità di Gesù Cristo che non conosce distanze. I l buon Dio renda a te codesto periodo di relativo riposo, fecondo di bene più del passato e cagione di bene maggiore e più universale. 27 novembre 1924
Quando c'è la nebbia, come stamattina, penso a te, caro fratello, condannato a vederla forse tutti i giorni. Che almeno non sia nebbia di tedio. Gli avanzi della flussione son cessati. E sto benissimo. 28 novembre 1924
Quasi mi vergogno di me stesso posando gli occhi sulle poche righe scritte ieri. Ma che farci? Sento che la vena s'è esaurita; non in quanto non abbia proprio nulla da scriverti, ma in quanto non trovo cosa che ti possa interessare. Scrivendo a te, amato fratello, sento vivamente la tua personalità. I n te tutto è attività, tutto è guardato dal lato della dinamicità; tu non fosti mai fanciullo; tu non sei come gli altri uomini. I1 tuo amore è il tuo lavoro. E il tuo
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lavoro, ahimè, è come infranto! Se fossi uno dei tuoi collaboratori nel campo della tua azione, troverei bene la materia da scrivere, e solo potrei provare la difficoltà della scelta. Invece il Signore ci destinò in due campi tanto diversi ... Parlarti di frasche mi ripugna, perché sarebbe un toglierti il tuo tempo, che anche nel forzato riposo, sarà tutto occupato, se non altro, a scrivere intorno a ciò che non ti è concesso agitare con la tua multiforme e instancabile azione. 29 novembre 1924
L'ultima lettera per te partì il 24. Son dunque cinque giorni che non t'invio lettere. È troppo. Questa dovrà partire oggi stesso a ogni costo, anche a costo di restar breve e poco significante. Ho visto sul « Popolo » un'offerta con le parole: al grande esule l . Non so decidermi circa la loro opportunità. Forse sarebbe stato meglio non pubblicarle. Esule! Che dura parola! Ma tu non sei esule, perché per tutto è patria, quando c'è la carità di Cristo che affratella. I1 tuo è un periodo di riposo in Cristo, nascosto in Lui, per sentire, come non si può col solo pensarci, come il vero luogo d'esilio è la terra. Leggo in questi giorni, cioè, mi è letta a tavola, la vita di Federico Ozanam di Mons. Baunard 2. Mi ha fatto tanto pensare il capitolo che parla della vita politica di quel grande e delle sue idee democratiche, e della lotta che gli fecero Montalembert 3, Veuillot e altri. LETTERA12. 1. Per i nostri «fondi segreti », in « I1 Popolo », 23 novembre 1924. Neìi'elenco delle sottoscrizioni a favore del giornale del P.P.I. figurano diverse offerte per Luigi Sturzo. Quella cui si riferisce Mario è così riportata « Verona: A.M. Con l'abbonamento invio in omaggio al Grande Esule &, 100 ». 2. L. BAUNARD, Federico Ozannm dalla sua corrispondenza, Marietti, Torino 1915. Antoine-Frédéric Ozanam (18 13-1853), storico e apologista cattolico, fondatore delle Conferenze di S. Vincenzo de' Paoli, esponente dell'ultramontanismo con il Lacordaire in Francia; fra le sue opere vanno ricordate La civilisation au Ve siècle (1856) e Les poètes franciscains en Italie au XIIIe siècle (1952). 3. Charles Forbes conte di Montalembert (1810-1870), uomo politico e scrittore francese, fu uno dei massimi esponenti del cattolicesimo liberale francese. Fondò l'« Avenir », con Lamennais e Lacordaire, che fu condannato da Gregorio XVI. A differenza di Lamennais fece atto di sottomissione e si adoperò aila formazione di un partito cattolico di cui poi divenne il massimo rappresentante. Oltre ad una vasta pubblicistica vanno ricordate fra le sue opere la Storia di Santa Elisabetta d'Ungheria (1836) e Monaci dell'Occidente da San Benedetto a San Bernardo (1860). 4. h u i s Veuillot (1813-18831, giornalista e scrittore francese, fu uno dei più importanti esponenti del cattolicesimo intransigente ultramontano. Come scrittore si ricordi Il profirmo di Roma (1862).
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Ozanam vedeva giusto, forse con certa ingenuità e primitività. Egli, studioso di storia, nella storia vedeva il dramma della vita, e lo comprendeva. L'autorità non è un'enfiteusi, ma un'esigenza della società. La società nel suo evolversi prepara a se stessa il suo regime. Questo in fondo è il pensiero d'ozanam. Ma non fu compreso. Del resto i francesi non compresero nemmeno il consiglio di Leone X I I I '. Ma perché ci devono essere tali incomprensioni con le conseguenti lotte anche tra coloro che professano la stessa fede cattolica e leggono lo stesso Vangelo? Come si diventa mesti quando si medita su queste miserie umane. Si apprende però ad amare meglio il Cielo, e a lavorare con più pura visione del dovere, anche sapendo che, dopo si raccoglieranno spine! ... Torno dalla scuola. Vedo la posta. Da Londra nulla! La tua cartolina del 19 mi giunse cinque giorni fa. Cinque giorni non son troppi. Pure io speravo riceverla una lettera stamani. Nelina mi scrisse l'altro giorno. Povera sorella, come soffre della tua lontananza! Scrivo più spesso del solito anche a lei, per confortarla. Ma anch'essa sa trovare in Dio il vero conforto. Recentemente ho creato una nuova parrocchia a Riesi. L'ha dotata un vecchio sacerdote del luogo, il quale ha anche fondato una scuola popolare. Son grandi misericordie di Dio per quel luogo! Tre nuove parrocchie ho creato a Mazzarino. Me le ha dotate il popolo. Che popolo generoso! E ora ne vogliono un'altra ancora. Fo punto, se no oggi la lettera non parte. Sto benissimo. I1 seminario, che pensa tanto a te e per te tanto prega, prospera che è una gioia. Spero che il mio volume di filosofia veda la luce tra giorni. Però tutto questo ritardo è dovuto, non più a me, ma alla tipografia. Ora ti abbraccio con vivissimo affetto e ti lascio nel S. Cuor di Gesù. Tuo Mario
t
5. Aiiude ali'invito di Leone XIII ai cattolici francesi di abbandonare la pregiudiziale rnonarchica e di aderire alla Repubblica (1887). Cfr. G. DE ROSA,Storia del movimento cattolico in Italia, vol. I , cit., pp. 215-216.
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Carissimo fratello, or che D. Tommaso Ragusa s'è ravvicinato a me, ecco una nuova tribolazione: il vicariato gli ordina di lasciar Roma, perché non è romano. È desolatissimo. Gli ho subito mandato una lettera di raccomandazione al Card. Vicario. E spero che lo lascino in pace. Siamo in Avvento! Come è soave il ritorno di questo tempo! L'anima si schiude alla poesia natalizia che culmina nella sacra notte. Tu avrai il piacere quest'anno di sentir come vibra l'anima inglese... Certo che ha caratteri propri, non credo meno delicati del carattere dell'anima latina. I1 buon Dio, fatto bambino, ti compensi, amato fratello, con la soavità della sua ineffabilmente bella nascita nel tempo.
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La tua lunga lettera del 26 novembre che ricevo a momenti, tornando dalla scuola, mi ha dato istanti di felicità. Come mi è dolce, dopo tanti anni di comunicazioni quasi sempre a mo' di telegrammi, e sopra tutto, nell'ansia del lavoro premente, ricevere delle lettere che son tranquille e affettuose conversazioni, benché velate di mestizia. Ma la tua è una mestizia che edifica, perché è santificata dal: la carità di Cristo, e rende anche pensosi. Com'è inadeguato tutto ciò che non è per Dio! E com'è misera la terra, che pure tanto amiamo e alla quale siamo tanto attaccati! Dacché sei a Londra, questa nota di mestizia insapora le mie povere preghiere e rende desiderato il tempo che passo in cappella, più desiderato del solito. Fuori della cappella è il turbinio degli affari. Penso anche allora spesso a te; ma è un pensiero superficiale. Son con te quando son con Dio. I1 pensiero di te m'aiuta a pregar meglio. E s'accorda così bene alla penombra in cui tengo la cappella. Entrandoci, mi par d'entrare nel mistero dell'altro mondo. Nella messa l'oscurità me la dà l'ora, perché celebro prima di giorno. La messa di Beethoven! Come l'ascolterei volentieri! Mandami
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i due libri indicati. Me li leggerà il Can. Luigi Caruso ' che conosce bene l'inglese. Io, come ti scrissi, lavoro attorno al problema morale con assiduità pacata. Non solo per non mi stancare, ma, sopra tutto, per aver tempo di considerar bene i vari problemi. Ne sorgono a ogni passo. Sino al presente non sono scontento di quel che ho scritto. I1 volume sulla Conoscenza penso che debba esser già pronto. Leggo una monografia sulla Controriforma nella « Critica », fascicolo di novembre. È di B. Croce '. Ed è quanto mai insidiosa. Penso di scrivere un articolo di critica per la « Rassegna Nazionale ». Se lo scrivo, lo manderò a te. Tu lo manderai alla « Rassegna », se ti parrà passabile. È che manca il tempo! Vedrò. Ma una risposta parmi necessaria. C'è tanta incomprensione, in tale monografia, di ciò che fu veramente la Controriforma e di ciò che anche oggi è la Chiesa Cattolica. La mia fotografia te la mandai, credo, il 24-11. Non è recente, ti dissi. Una nuova fotografia ci vuole, perché son già vecchio, e occorre che tu mi veda quale son oggi e non qual ero dieci anni fa. E me la farò. E te ne manderò una copia. LETTERA13. 1. Luigi Caruso, nato a Caltagirone (1877-1967). Ordinato sacerdote nel 1900 a Catania, studiò e si laureò all'Apollinare di Roma, ove ebbe tra i condiscepoli anche Eugenio Pacelli. Predicatore e uomo di vasta cultura, venne nominato da Pio XI « Missionario apostolico D. Tenne quaresimali in Sicilia, Calabria, Tunisia ed altre località. Nei suoi numerosi viaggi visitò l'Irlanda, l'Inghilterra, la Francia, la Germania, Malta e più volte si recò in Terra Santa. Di questi viaggi ha lasciato numerose descrizioni e ricordi (La Via Crucis del pellegrino a Gerusalemme, Caltagirone 1929; Viaggi e pellegrinaggi. Reminiscenze, Caltagirone 1958). Appassionato studioso dclla sua città natale, scrisse, con lo pseudonimo di Calrtintrs, numerosi saggi sulla storia religiosa, civile e artistica di Caltagirone: Reminiscenze e visioni paesane, Caltagirone 1931; Caltagirone etrcaristica, Caltagirone 1937; Caltagirone eucaristica mariana, Caltagirone 1950; La Chiesa di Santa Maria degli Angeli in Caltagirone, Caltagirone 19322; 11 Santuario del SS. Crocifisso del soccorso in Caltagirone, Caltagirone, s.d.; La Chiesa di Santa Chiara e Santa Rita in Caltagirone, Napoli 1957. Fu collaboratore deila « Croce di Costantino » ed amico ed estimatore di Luigi e Mario Sturzo, ai quali ha dedicato interessanti e documentati saggi biografici: Luigi Sturzo sacerdote sfudioso e artista e uomo d'azione, Caltagirone 1944; 11 sacerdote statista e i germani Sturzo Boscarelli, Caltagirone 1960. Nel volume Spigolature nel campo del minisfero della parola (Caltagirone 1959) vi sono due capitoli dedicati all'attività letteraria di L. Sturzo e al suo impegno nella istituzione di una pia fondazione per le vocazioni sacerdotali e religiose. 2. Cfr. B. CROCE, Controriforma, in « La Critica», 20 novembre 1924, pp. 321-334.
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Lo penso anch'io, e te ne ho scritto, che un po' di riposo ti farà bene. Penso che è anche bene che sia assente in un momento così gravido d'avvenimenti. Tu ora gioverai, spero, alla causa del bene, pregando e soffrendo, e offrendo a Dio il martirio del tuo spirito. Spero che verrà, e presto, tempo migliore. E tu tornerai ad altro lavoro o altro momento di lavoro, ringiovanito e meglio compreso. Nel campo nostro son così pochi quelli che non son d'altro tempo! 2 dicembre 1924
I versi ti piacciono letti; pensati no. Direbbe Croce che pensati non son più poesia. I1 bel saluto che ti do col nuovo giorno! ... Ma dimmi: fosti a visitare il Cardinale? Penso di sì. L'avevi nel programma dei primi giorni. Sarei curioso di sapere come ti accolse. Dimmi ancora: hai bisogno di danaro? Scrivimene con fraterna confidenza. Vorrei che costà non avessi a soffrire per limitatezza di mezzi. Bastano i dolori dello spirito. Leggesti la lezione di Biavaschi alla Settimana Sociale di Torino sul principio d'autorità? Io ne vidi un sunto. Non mi piacque. I principi democratici sono messi sotto luce mezzo sinistra, attribuendo alla democrazia ciò che è dall'umanità decaduta e dai tempi. O forse che sotto le monarchie non ci furono disordini sociali e lotte o guerre civili? Ma dai sunti non si può fare giudizi sicuri. Aspetto di vedere il testo, perché penso che le lezioni saranno raccolte e pubblicate per intero. Conosci il libro di Biavaschi sullo stato? Certo! Mangano vi fece più volte cenno nei suoi discreti articoli prima della settimana anzidetta. Forse è un po' troppo infarcito. Penso che ai nostri fa pregiudizio quello che chiamerei pregiudizio scolastico o tomistico. Tutto vogliono pensare in funzione della scolastica. E fanno i libri a più facce, e senza freschezza, e senza efficacia circa le esigenze, gli errori, le conquiste attuali. Questo inizio mi par che culmini nel Vismara e nello Zamboni. Non so se sei dello stesso avviso. Certo tu guardi queste quistioni con molta maggior comprensione e oggettività e serenità che io non faccia. Per il mio volume sul problema della conoscenza non potresti scrivere anche al P. Busnelli della « Civiltà Cattolica », o, se non ci
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hai rapporti, al P. Barbera, perché interessi il P. Busnelli 3? Preme che dai nostri il libro sia considerato come strumento di lotta contro i sistemi contrari e dannosi alla fede e alla stessa ragione; cioè, che le stesse critiche alla parte caduca della scolastica siano giudicate sotto questo profilo. Io scriverò al P. Cordovani dell'università del S. Cuore per la « Rivista di Filosofia Neo-Scolastica ». Scrissi già ai Salesiani. Mi è stato promesso il loro interessamento. Ma io temo che l'indole del libro non debba rendere, non dico ostili, ma ritenuti i nostri. Comunque, io mi accinsi al lavoro con gli occhi al Cielo. Ora che è il momento cimentoso, levo egualmente gli occhi al Cielo e sto tranquillo. Stamani siamo seppelliti nella nebbia. Quanta nebbia quest'anno, insolita per queste parti. Mi fa pensare a te la nebbia, a te e a codesta Città. Allora mi si stringe il cuore. Ma poi penso quanta è la forza del tuo spirito. E spero che la nostalgia sia sempre lontana da te. E prego a tal fine. I1 Signore è buono. E ti darà altra nostalgia: quella del Cielo. E frattanto ho come la certezza che non durerà a lungo il tuo riposo; e presto tornerai al lavoro. I1 buon Dio non lascerà inesaudite le molte preghiere che al tal fine si fanno da moIti. Son quattro giorni che non partono di qui mie lettere per te. È già troppo. E perciò fo punto. Sto benissimo. Le nostre cose vanno bene. Dopo l'incidente tutto è tornato tranquillo e sicuro. E tu conservati e godi in Domino del ben della prova. Dammi un abbraccio e prega pel tuo t Mario
14 Piazza Armerina, 3 dicembre 1924
Fratello amatissimo, dice F. Ozanam: Dio non vuole che ci abituiamo troppo al clima di questa terra. È tanto buono il Signore! E ci vuol sempre 3 . I1 6 febbraio 1925 Filippo Del Giudice scriveva a L. Sturzo, a proposito del libro di Mario, quanto segue: « [...l Per la recensione del libro di tuo fratello iMons. Mario non è stato possibile fare quanto tu desideravi. "La Civiltd Cattolica", e per essa il P. Busnelli, non potrebbe fare a meno di rilevare quanto in materia teologica discutibile - si discosta dalla dottrina di S. Tommaso. E perciò, pregai di prendere solo nota del libro nella rassegna bibliografica, senza muover critiche
[...l >>.
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preparati all'estremo viaggio. Questi e simili pensieri ieri a pranzo furono i miei compagni. Ma tu tenevi il posto d'onore, a cui il buon Dio oggi più che mai fa sentire com'è poco adatto al nostro spirito il clima di questa terra. Gli aneliti di giusta libertà che provengono dagli spiriti magni, come son belli! Quante speranze dorate destano! Ma poi vien la signora storia a turbare la poesia del momento. La nostra patria da troppi secoli ignora la carità di Cristo in quanto anche elemento di vita sociale. E io volgo malinconicamente il pensiero all'InghiIterra, non però, bada all'Inghilterra d'Enrico e d'Elisabetta, o in quanto tiranna dell'Irlanda. È altra saggezza quella che ci fa quasi invidiosi. Ma ... speriamo. Ecco la grande virtù che sorregge le generazioni. Speriamo che venga l'era della vera e onesta tolIeranza, almeno questa; e che segua quella del pieno affratellamento in Cristo. Credo che non ci sia uomo oggi che non viva di speranza a questo modo. Desidero che mi parli della tua salute con cenni meno fuggevoli. Come stai? Come ti trovi col clima e coi cibi e col tenor della vita tanto diversi dall'ordinario? A 50 anni non si muta vita senza soffrire. I o voglio saperlo senza eufemismi. Soffri del tuo solito incomodo allo stomaco mangiando? Mangi? Ora che nessuno ti accudisce, come faceva Nelina con tanta sollecita premura fraterna, ti usi da te i necessari riguardi? Ed è possibile usarteli in codesta casa? Pensa, caro fratello, che il Signore ti ha dato dieci talenti, affinché gliene riporti venti. Che nessuno venga seppellito in terra straniera. Tornerai al tuo lavoro, spero, presto. Dovrai tornare, non solo sano, ma rifatto. Se ti entrano nel cuore, nelle ore meste, altri pensieri, cacciali come tentazioni. La patria guarda a te con ansia trepida, e ti aspetta, e aspetta per lunghi anni ancora l'opera tua. Non mi fare stare in pena per te. E dimmi ogni cosa che ti riguardi da vicino, e ogni bisogno. Per quel che mi è possibile, conta su di me senza limitazioni. 4 dicembre 1924.
I giornali parlano di grandi tempeste nella Manica. Penso che anche a Londra ci sarà stato mal tempo. C'è stato anche qui. Questa notte ha imperversato un orribile libeccio. Le mie stanze che guardano il lontano orizzonte senza veruno ostacolo, ricevono i venti di Sud con tutta la lor furia sfrenata. Sorridi? Tu che non ci badi
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al tempo? I o bado sopra tutto al sole: quando manca, come in questi giorni, lavoro male. Oh il sole! I1 grande amico dei miopi come me! Comincio con le frasche oggi. È un fatto. Volendo dirti qualcosa ogni giorno, non sarà possibile evitare le frasche. Nello studio di B. Croce sulla Controriforma, di cui ti feci cenno nella mia spedita il 2 corr. è ricordato il fatto dei monaci che radevano le pergamene antiche per scrivervi delle leggende l . Mi son ricordato dei versi del B. Jacopone: L'uomo che non sa radere - Disonora le carte! Pure se non fosse stato per quei bravi monaci, addio opere dei grandi dell'antichità. Ecco un'altra frasca. A me, caro fratello, è toccato in sorte d'avere dei buoni e cari amici, i quali però si son ricordati di me più nei loro giorni mesti che nei lieti. Ed io, che avrei tanto desiderato vivere del commercio epistolare con loro, sopra tutto per la vita dello spirito, nulla o quasi di luce ho ricevuto dai miei amici; e invece ho loro dato, e con tutto il cuore, conforto nel dolore. Anche coi vescovi, miei confratelli e amici, è andata così. Eppure sarebbe stato tanto utile consigliarci a vicenda, almeno negli affari più gravi! Dunque il povero Puccini è morto '! È però morto munito dei sacramenti. Oh questo si che mi ha tanto consolato. Io, vedi, mi interesso ancora dei maestri. Della musica non più. Non è più possibile. È una fonte di gioie spirituali inaridita per me. C'è però nei nostri monti la musica della natura, che in primavera si fa deliziosa. Credo che in pochi luoghi ci siano tanti usignoli quanti ce ne sono qui. Oh la musica della natura, anche la musica tacita delle albe serene e dei tramonti infocati, m'interessa tanto, mi fa tanto palpitare. Appena mi alzo, cerco il cielo. I n questi mesi splende sul cielo di levante la steUa di Venere! Oh che incanto! E come ha sempre una nuova parola da dirmi! Quando però il cielo è nuvoloso, sento come una pena che non si dice. Quando nelle LETTERA 14. 1. Cfr. B. CROCE,Controriforma, cit. Mancando nel citato articolo di Croce ogni riferimento esplicito ai monaci, possiamo supporre che Mario intendesse riferirsi ai seguente brano: «Tratti romantici sono stati additati neiia Rinascenza e neila Riforma; ma nessuno ha mai neppur tentato di additarne neiia Controriforma, più assai deila Rinascenza e deiia Riforma spietata verso il Medioevo, come, a non dir altro, provano i suoi monumenti, coi quali, pur di raggiungere gli effetti pratici avuti di mira, essa distruggeva e, peggio ancora, contaminava i monumenti deiie età precedenti e delia veneranda cristianità medievale » (p. 327). 2. Giacomo Puccini mori a Bnixeiies il 26 novembre 1924.
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litanie lauretane diciamo: Stella rnatutina... e Janua Coeli, le due immagini in me si fondono in una: e penso la Vergine Santissima come una porta di luce, tremula, soave come la luce di Venere. E mi conforto considerando che per altra porta dacilrnente si entrerebbe in Cielo; mentre la porta di Maria, che è madre, non si chiuderà ai figli che l'hanno invocata e onorata tutta la vita, e sotto il suo patrocinio, hanno impetrato il perdono delle lor colpe. Le mie lettere dovrai leggerle nelle ore d'ozio, quando si ama parlare del più e del meno; passeggiando per la stanza, come facevi quando concedevi a me qualche quarto d'ora delle tue faticose giornate. Così l'illusione della mia presenza accanto a te, sarà più viva. E così mi perdonerai di tutte le cose frivole che lascio cader dalla penna. Certo, quando si parla del più e del meno, spesso non si parla che di cose frivole. Pure fa bene allo spirito: è una delle maniere di riposarsi un po'. 5 dicembre 1924
H o da due anni nel mio breviario un ricordo della tua ordinazicne sacerdotale. Lo trovai tra le carte della cara e buona sorella, che ora ci protegge dal Cielo. E lo presi per me. È ricordo di te e di lei. È nuovo, bianco, pulito, come se ora uscisse dal negozio. Lo guardo ogni giorno, aprendo il breviario; e ogni volta penso a Margherita e a te. Nel mezzo campeggia il calice; attorno sono l'uva e le spighe. I1 calice! Ogni volta che lo rimiro, mi fa sussultare. Ecco: il nostro sacerdozio è un calice. È però il calice del Sangue di Gesù Cristo, che fu versato tra ben altri tormenti. Ma come fu amato e desiderato da Nostro Signore per nostro bene! Dacché sei a Londra, guardo il tuo ricordo, lo rivolto e vi rileggo il tuo nome, la data del 19 maggio 1894, e sento tanto arcano conforto. La grazia che io fanciullo tanto sospirai, d'aver un fratello, venne e larghissima; questo fratello mi seguì nel sacerdozio; mi precedette; e il suo sacerdozio fu, è, tutto un perenne sacrifizio. Oh il calice del tuo ricordo quante cose mi dice ogni giorno. E io, dico per te qualche cosa ogni giorno: accenti di preghiera, spesso soperchiati dalla commozione; preghiera che chiede a Dio le cento volte la stessa cosa: il tuo bene, il tuo maggior bene in Domino. Non so, ma la lontananza mi ti rende più vicino; il dolore mi ti fa più caro, quasi sacro; e il mio pensiero torna a te tutte le ore; mai però come quando apro il bre-
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viario e cerco con certa ansia il ricordo della tua prima messa e delle lacrime con le quali bagnasti la preziosa pianeta il giorno dopo, quanto io ti parlavo - commosso anch'io - dal pulpito del Salvatore. Che giorno! Che memorie! Ma che strazio e che dolcezza insieme. Caro fratelIo, fratello si me carissimo, com'è dolce esser sacerdoti! Come ringrazio Dio d'averci fatta tanta grazia. Aiutiamoci alla corrispondenza, maggiore di giorno in giorno, mentre i capelli si fanno bianchi e l'eternità si avvicina ... Ti abbraccio. Tuo t Mario
Piazza Armerina, 6 dicembre 1924
Amatissimo fratello, se nelle mie lettere dimentico di farti cenno della mia salute, non te ne preoccupare. Lo stesso scriverti è notizia di buona salute. Spero però non dimenticarmene, per non darti pretesto di stare in pena per me. Ancora. Le mie lettere, che vogliono esser lunghette e frequenti, non tutte pretendono risposta; solo pretendono di recarti qualche conforto. Certo che quando mi arrivano le tue lettere è per me una festa. Ma tu hai ben più alta missione che scriver lettere. Quindi mi rassegno a averne rare e brevi, se così i tuoi lavori richiedono, purché il raro non diventi issimo, e il breve non implichi scarsezza delle notizie della tua salute e dei tuoi bisogni. Desidero però che cominci le tue lettere con dirmi quante mie lettere hai ricevute e quale fu l'ultima data. Ciò, affinché nel caso di smarrimento, possa ripeterti cose importanti, posto che di cose importanti ti abbia scritto. 7 dicembre 1924
La posta nel pomeriggio di ieri mi recò la tua del lo. Che piacere! E anche che sorpresa: era solo da cinque giorni che non mi scrivevi. Dunque hai visto il sol di Londra? Povero fratello, condannato a veder il sole così di raro, tu, che, figlio della Sicilia, devi avere il bisogno di vederlo spesso! Ma nello spirito ti brilla altro sole e scorre altro calore di ben più alta virtù ...
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Desidero sapere se sei stato ricevuto dal Cardinale. Le tue osservazioni sul problema della Provvidenza, che-ho letto con viva soddisfazione, sono giustissime. E an&e giusta è la tua aflermazione che la soluzione da te accennata è acquisita al pensiero cattolico. Però credo che tale acquisizione sia nel campo rigorosamente dottrinale. Nel campo apologetico, ascetico, storico di parte nostra, comune, credo che ci siano delle deficienze, che vorrebbero esser superate. Ricordi come, per es. a Caltagirone si diceva che il Papa lo fa lo Spirito Santo? Ebbene, quando venni a Roma, credo nel 1922, il Conte Carlo Santucci ', che è quanto colto, altrettanto pio, mi diceva proprio (parlando della elezione di Pio XI): il Papa lo fa lo Spirito Santo; queste parole diceva, non come fede, ma come di una tradizione. Mons. Orazio Mazzella in un certo Catechismo della guerra, diceva che la guerra delle nazioni europee del 1914 e seguenti, fu castigo di Dio; aggiungendo che Dio punisce nel tempo le nazioni, perché non essendo persone individue, non vanno all'altro mondo, dove è l'ultima giustizia. È poi comune il proverbio: Gli uomini si agitano, Dio li muove. E l'altro: Dio conduce le nazioni. E parmi che in queste vedute relative, le quali, come tu dici, ben intese, son giuste, la vera ragione della Prowidenza rimanga come annegata. I1 linguaggio è pensiero e rifluisce sul pensiero. Questo linguaggio deficiente storpia il pensiero di molti. C'è un opuscolo di Mons. De Ségur, dove è sostenuta la tesi che il male fisico non è da Dio, ma dalle cause seconde o dal Demonio 3. COSIcrede consolare le anime afflitte dal dolore. E non era LETTERA15. 1. I1 conte Carlo Santucci (1849-1932) fu tra i partecipanti alle riunioni di Casa Campeiio (1879) e tra i fondatori del Partito Popolare, presente fin dalle riunioni del 23-24 novembre 1918 presso l'Unione Romana. Presiedette la Piccola Costituente, l'organismo che portò alla formazione del partito. Dopo la marcia su Roma si rese interprete dell'ala conservatrice partecipando al gruppo dissidente del Centro nazionale che propugnava un compromesso con il fascismo. Cfr. G. DE ROSA,I conservatori nazionali, Morcelliana, Brescia 1962. 2. Orazio Mazzella (1860-1939), arcivescovo di Taranto dal 15-2-1900, accademico per l'Italia deli'Accademia romana di S. Tommaso d'Aquino. Scrisse le Praelectiones scholastico-dogmaticae (Torino 1921) e uno scritto sulla guerra dal titolo La guerra nel dogma, nella morale, nella storia della Chiesa (Taranto 1936). 3. Louis-Gaston Adrien conte De Ségur (1820-1881), ecdesiastico, protonotario apostolico e canonico vescovo del capitolo di St. Denis (non fu, tuttavia, consacrato), fu autore di diverse opere apologetiche e ascetiche. Fra i suoi scritti più famosi ricordiamo Il Papa. Questioni odierne per mons. De Ségur, tipografia della «Civiltà Cattolica », Roma 1860 e Risposta alle obiezioni che si fanno più frequentemente contro la religione, Marietti, Torino 1888 (tr. it. della 206a edizione francese).
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questa la tesi di T. Ragusa nell'opuscolo che cagionò quel dissidio, e che tu, credo, non leggesti? I1 De Segur, Ragusa e tutti quelli che hanno ribrezzo di riferire a Dio il male fisico, prendono una posizione antitetica, anch'essa deficiente, ma che si spiega, considerata come reazione al primo modo di sentire intorno la Provvidenza. L'esserci di tali scrittori, e non pochi, prova che la stortura che io deploro c'è. E così ce ne sono due. Ma se non ci fosse la prima, nemmeno ci sarebbe la seconda. Sera
Domani, a Dio piacendo, nella cappella del seminario promuoverò al S. diaconato tre alunni. Due son già oblati. La funzione comincerà alle 6 nella pace dell'ora. Quando ti giungerà la presente, i miei cari diaconi porteranno la stola da più giorni. Avranno però bisogno di preghiere. E tu ti ricorderai di loro nelle tue. Io ora passo in cappella, nel dolce silenzio della mia cappella, a preparare il mio spirito alla grande cerimonia. Ti avrò presente e compagno di preghiere, mentre anche tu sarai oggetto delle mie suppliche al Signore, affinché ti conceda le grazie necessarie e abbondanti richieste dalle particolari circostanze in cui ti trovi. Quando prego con te, prego meglio. Stasera però c'è l'attesa della 4. Mario si riferisce aii'apuscolo di T. RAGUSA, I mali e Dio,cit., cfr. lettera 7, n. 7. I1 tema centrale dello scritto di Ragusa è il problema del male e delle sue cause. Egli intende, infatti, confutare la tesi di quanti ritengono che il male procede da Dio e fornire una spiegazione aii'interrogativo «perché Dio non impedisce il male? ». Dopo aver esaminato le varie forme in cui si manifesta il male fisico (la morte, le malattie, i fenomeni meteteologici e il lavoro) e aver messo in luce alcuni «vantaggi » prodotti dal dolore (impulso ai progressi della scienza, purificazione morale, stimolo alla produzione artistica, ecc.), Ragusa conclude che l'origine del male sta neile cause naturali, immutabili ed eterne, le cosiddette « cause seconde ». « Dio affidò il mondo a leggi immutabili, e se volesse fermare una rotella de& grande macchina dovrebbe fermare le altre... Dio non deve, come un mediocre meccanico, assistere il meraviglioso congegno per correggerne i guasti; né può rabberciare, sospendere o cambiare le leggi secondo i bisogni e i desideri umani... » (p. 11). Per quanto riguarda il male morale l'autore oppone alla spiegazione di S. Agostino per cui Dio non impedirebbe il male « perché sa di essere così sapiente e potente da ricavarne bene », la propria tesi per N «Dio permette il male morale perché rispetta la libertà umana, come rispetta tutte le facoltà degli altri esseri; quindi operando con essi si conforma alla loro natura. Per questo rispetto della libertà ha quasi legata la sua onnipotenza con un vincolo morale onde preferisco dire - ch'Egli non può, moralmente, impedire il peccato anche per aver diritto alla sanzione col premio e con la pena nella seconda vita » (p. 51).
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ordinazione che fa vibrare il mio cuore, e lo rende meno freddo. Non s'impongono le mani senza commozione. S.
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La S. funzione è riuscita solenne. Mi pareva d'essere ai primi tempi, quando i ss. ordini si davano nelle catacombe; quando vescovo e martire erano quasi sinonimi. Il raccoglimento e l'ordine sono stati mirabili. Viene un seminarista, uno dei grandi, a domandare d'esser ammesso nella congregazione degli Oblati. È buono ed ha ingegno. Certo riporterà i voti favorevoli necessari all'ammissione. I1 progredire della nostra piccola congregazione è visibile. E ora tutti guardano agli Oblati, come ai futuri apostoli del rinnovamento della diocesi. Ti parrà un po' strano che io tenga le ss. ordinazioni quasi di notte. Ne tengo anche di giorno. I1 19 luglio la tenni in Cattedrale nel pontificale del Sinodo. E fu solennissima. Quando però posso tenerle primo mane - che sembra notte - ciò avviene nell'inverno, - provo una gioia tutta speciale. Io voglio il sole quando scrivo. Ne voglio molto, anche a costo di sentir caldo. Quando celebro la messa preferisco le tenebre della notte. I1 mistero dei misteri è luce a sé stesso; la luce del giorno quasi mi disturba. Quando vien l'estate per me è una pena dir messa col sole là, che fa festa. Allora abbasso persiane e portali. Oh la dolce poesia della notte in cappella! Perciò amo assai la notte di Natale. S'avvicina già. Penso alla mia bella cattedrale. Ma giusto quella notte si accendono troppi lumi. I o ho fatto fare le possibili sottrazioni. Pure ne resta ancora troppa. Comunque, è notte, e mi basta. E mi sento in Cielo. Grazie a Dio sto bene. Del mio male non ti parlo. Quasi non lo sento più. Sarà grazia delle tue preghiere per me. Sì, caro fratello, prega per me sempre e molto. Ne ho tanto bisogno. Sono ancora tanto lontano dalla santità propria dei vescovi. I o prego per te sempre. E non occorre ripeterlo. Però provo tanta gioia a dirtelo. I o ti amo assai. Lo sai. Ora ti amo di più. Ti ammiro di più. La tua calma solenne quasi mi fa paura. Che
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Dio sia benedetto. Abbracciami, caro fratello, come io ti abbraccio in corde Jesu. Tuo t Mario
Piazza Armerina, 9 dicembre 1924
Amatissimo fratello, il giorno che scrivo a Nelina è passato vuoto per te. Spero non sia più così. Stamani dunque, dopo una discreta lettera per la cara sorella, due parole anche per te. Iersera ho inaugurato il corso di conferenzine settimanali ai 'miei Oblati. Lo scorso anno le facevo in qualche scuola o, a volte, nel mio salone. Ora c'è la mia Chiesina. Iersera l'argomento non poteva esser dubbio: parlai del sacerdozio, parlando del diaconato conferito la mattina a due di loro. E fu la festa della crescente famigliola .quella di iersera. Io mi sentivo meno vecchio in quel bel momento. Come vibrava il mio cuore! Tra padri, novizi e aspiranti son 22. Prega, amato fratello, affinché il Signore me li conservi tutti e me li moltiplichi. Non so se preferisci vedere il mio studio sul problema morale quando sarà finito ovvero a misura che lo vado scrivendo. H o già pronto il primo capitolo, che è venuto un po' lunghetto 31 pagine -, e lavoro attorno al secondo. Con questo finisce la parte che riguarda l'appetito sensitivo. Poi seguiranno due capitoli circa la volontà e la libertà. E con questi finirà la prima sezione. Aspetto che mi risponda. 10 dicembre 1924
Rileggo il tuo Riforma statale l, a tavola, s'intende; cioè, ne riodo la lettura. Ho bisogno in questo tempo di starti più vicino, non solo con la preghiera e con le lettere, ma anche con rivedere le tue cose. Avevo notato in Popolarismo e Fascismo i termini con cui esprimi la teoria del principio d'autorità *. Torno a far le stesse LETTERA16. 1. L. STURZO, Riforma sfatale e indirizzi politici, Vaiiecchi, Firenze 1922. Popolarismo e 'fascismo, Piero Gobetti ed., Torino 1924, p. 10. 2. L. STURZO,
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osservazioni ora. A pag. 19 tu dici che l'autorità e la sovranità risiedono nel popolo non in modo assoluto; non in quanto il popolo sia l'unica fonte dell'autorità e della sovranità come principio etico 3. I o comprendo bene l'atteggiamento del tuo pensiero. Tu non puoi confondere la tua teoria con le teorie liberali o idealiste. Però le parole che usi sono assolute. E si può domandare: se il principio d'autorità e sovranità (ovvero I'autorità e sovranità abituale) non è tutto nel popolo (cioè, nella società, o consociati, ecc.) dove sarà l'altra parte? I1 re costituzionale è già una designazione, un fatto storico. Guardiamo il principio, pensiamo la società in astratto, sul punto di costituirsi. C'è altro che la sola società (il popolo)? Se non c'è altro fattore, bisogna cercar nel popolo tutto il principio d'autorità e di sovranità. Ciò ammesso, pare si debba ammettere il diritto nei consociati di mutar regime quando a ciò si sentiranno maturi, conforme quanto ti scrissi accennando a Ozanam. Su questa quistione desidero una risposta convincente, senza fretta, ben inteso. La parola primo etico credo abbia senso solo nel concetto idealistico della realtà; perché secondo questo sistema farsi e moralità sono la stessa cosa. Non mi pare si possano usare con proprietà negli altri sistemi, molto meno nel nostro. Ieri scrivendo a Suor Giuseppina, le ho raccomandato di far qualche eccezione per te, mentre starai in codesta, scrivendoti meno raro del solito. Ma quella cara sorella è sorella del fratello Luigi: tutta presa del suo lavoro, poi non trova tempo per buttar sulla carta due parole ... Da più giorni abbiamo maltempo: piogge dirotte, incessanti, vento, freddo, nebbia. Mi sento a Londra. E però questa di qui una Londra dove invano cercherei la casa oblatizia di Santa Maria dell'hgelo (o degli Angeli?).
3. Cfr. Riforma statale e indirizzi politici, cit., p. 19, dove si legge: Anche sulla teoria della sovranità popolare occorre fare una descriminazione tra noi e i liberali; noi ammettiamo che il popolo, partecipando ali'atto formativo del regime e costitutivo dell'organo legislativo, eserciti un atto di sovranità [...l e quindi in questo senso si può parlare di sovranità popolare in regime costituzionale. Noi non ammettiamo che sia fonte assoluta di autorità e di sovranità il popolo come principio eticegiuridico; d o stesso modo che non ammettiamo che lo sia il Monarca o 1'Imperatore [...l ».
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Torno alla quistione dell'autorità. Tu parli del diritto di natura, e sta bene. Ma questo è pensamento astratto. I n concreto non ci sono che gli uomini e i loro rapporti. Del resto le leggi che altro sono se non i rapporti necessari che derivano dalla natura delle cose? Gli uomini devono convivere: a ciò li spinge la natura. La convivenza non è possibile senza autorità, cioè senza chi comandi con autorità. Dunque i conviventi non possono non volere chi li governi. Ma nemmeno i singoli possono arrogarsi da sé il comando. Nel fatto ciò potrà avvenire: i più arditi comandano sempre; ma è un'usurpazione. Regolarmente la forma di governo e la persona - per puro diritto di natura - (sembra a me) non possono esser designati che dai conviventi. Però questo è un diritto teoretico. In pratica, credo, le cose siano andate diversamente: il padre diventa patriarca; l'autorità paterna diventa autorità civile. I1 patriarca sceglie il suo successore, trasmette il suo diritto. Un tal processo è anche naturale, perché, nei primordii, le società non sono che grandi famiglie. Quando però il fatto di famiglia si risolve nel fatto di una società, i diritti fondamentali, non potuti esplicare nel primo periodo, si esplicano nel secondo: la società modera il suo governo, ne muta le forme, ne segna i confini. Questo diritto non cessa mai, salvo che si esercita regolarmente quando i rapporti tra società e dato regime son così mutati, che la collaborazione al fine del vivere sociale non è più normale ovvero non è più nella giusta armonia. Storicamente troviamo però che chi, in qualunque modo, giunge al comando, lo difende come un diritto esclusivo della persona o della dinastia o della casta ecc.; per difenderlo e mantenerlo, diventa centralizzatore e anche oppressore. La schiavitù venne di qui. Chi è governato, quando la pressione è eccessiva, diventa rivoluzionario. Questi fatti si spiegano data la natura dell'uomo. E forse anche date le teorie sociali e politiche, a favore dell'autorità; e, per l'opposto, date le altre a favore della rivoluzione. Se delle teorie più naturali fossero state divulgate con chiarezza e libertà, forse il ritmo della storia che oscilla tra la tirannide e le rivoluzioni, si sarebbe di molto modificato. Oggi poi abbiamo di qua teorie panteistiche dello stato, da là teorie democratiche. Penso che ci vorrebbe una teoria media.
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L'idealismo mena allo Stato-dio; le democrazie però menano a un concetto d'antitesi tra il popolo dei lavoratori e le classi borghesi. Come posizioni storiche s'intendono. Non così, parmi, come teorie giuridiche. Non si tratta solo di far entrare il popolo lavoratore a far parte del governo; ma di far concorrere al governo tutta la società, non in quanto classi che lottano, ma in quanto collettività che aspira al suo meglio. Così i partiti non sarebbero distinti dalle classi, ma dai programmi (come del resto in parte avviene). Non credo però che si possa mai arrivare a una società veramente ideale. Credo invece che i fatti prenderebbero un andare meno egoistico e mezzo fazioso. Comunque, io guardo al diritto, alla filosofia dell'autorità. Se c'è un concetto più vero, occorre volgarizzarlo, anche con poca speranza di giovamento. Faccio punto, perché una lettera tutta fatta di quistioni speculative diventa assolutamente antipatica. Però mi son permesso queste osservazioni, perché tu ti occupi del problema nel libro che prepari, e io, forse ne dovrò far cenno nel problema morale. Dico forse, perché non so se toccherò la parte speciale. Ti ripeto che le mie lettere mirano a confortare la tua solitudine, non a importi il fastidio di lunghe risposte. Quando rispondi a me pensa a parlarmi della tua salute e un po' del tuo stato di spirito. Quanto al resto fa come le condizioni di spirito e di lavoro ti consentono. Sto bene. Lavoro sempre a modo. Sento che Natale s'avvicina. Pregusto le gioie di questa solennità. Chi sa con quali particolarità si celebra costà il Natale? Ti lascio con Nostro Signore. Tuo t' Mario
Piazza Armerina, 14 dicembre 1924
Fratello amatissimo, scrivo breve perché non ho tempo. Mons. Fondacaro, che bada al disbrigo di tutti gli affari di trutina, è assente; quindi il mio lavoro è cresciuto. Così sino a Natale. La tua del 7 mi ha tanto consolato. Dunque la tua giornata, anche costà, è piena. Sì, tu porti in te il lavoro. I1 saperti già am-
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bientato, o meglio, rassegnato, mi conforta, ma non mi sorprende. Questo in te è dono di natura e di grazia. Che il buon Dio ti conceda anche le gioie del nuovo lavoro. Le tue osservazioni sul principio d'autorità sono esattissime. Mi resta a sentire il tuo pensiero sul diritto della società a mutar regime. Certo conoscerai la teoria di Suarez, per la quale in Francia l'opera sua fu abbruciata in pubblico per ordine del sovrano. Così come la espone De Scoraille ' (non l'ho visto in fonte) mi sembra un po' semplicistica. Sto bene. Ti anticipo gli auguri per le prossime sante feste. Mi raccomando alle tue orazioni. E ti abbraccio. Tuo t Mario
Piazza Armerina, 17 dicembre 1924
Amatissimo fratello, grazie assai delle notizie particolareggiate della tua salute che reca la tua del 12 recapitata a momenti. No, la mia non è stata diffidenza, ma bisogno di notizie più complete. E possono esser tali senza troppe parole. Sopra tutto ringrazio Dio che ti mantiene sano. Stamani per Don Giovanni c'è un gran da fare, una specie d'affare di stato: spedire a Londra, a te, un pacco di torrone. Si va alla posta, si torna, si porta il primo bollettino che riempio; poi se ne portano tre altri, da riempire in francese; poi, poi ... Giovanni coi suoi nervi e col suo d e t t o mi tien la casa a terremoto stamani, benedicendo a tutte le burocrazie e a tutte le pedanterie. Comunque, il pacco partirà oggi. È torrone piaggese, fatto espressamente per te. E questo fu un altro affare gravissimo per Don Giovanni, ma felicemente superato. Ora è orgoglioso di mandare oltre Manica roba piaggese ma di quella buona. E dire che delle cose di Piazza non è mai contento, né delle cose né degli uomini, eccetto il torrone. Tu lo gradirai per quel che è, come torrone, e per quel che significa, come spedito da Don Giovanni. LETTERA17. 1. Cfr. R.
DE
SCORAILLE, Francisco Suarez, 2 voli., Paris 1911.
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E forse hai ragione di proporti il problema dell'opportunità parlando della ripubblicazione di Rivali l . Infatti, questo non sarebbe il momento più opportuno, perché non si potrebbe rimettere fuori quelle pagine, senza riferimenti a chi animava quel periodo di storia. Aspettiamo. Come ti scrissi nella mia del 14, Fondacaro è assente, e perciò il mio lavoro è cresciuto. Ne porti tu la pena, perché mi manca il tempo di scriverti a lungo come vorrei. Supplisco con la preghiera al Signore, più intensa, per te. Ieri è cominciata la novena del S. Natale. A Piazza non c'è angolo senza cappelline e senza musica. Dalle 16 alle 20 è un incessante succedersi di canti e luminarie. Anche luminarie, non per la luce, ma pel calore. Ardono bei falò, e i musicisti, attorno, suonano e cantano. E c'è tanta ingenua poesia. Nel Seminario si celebra con dei sermoncini, che recitano i piccoli. È un gusto a sentirli. I grandi predicano a turno il giovedì. Costà ce ne sono cornamuse? Che canti fanno pel Natale? Ecco: viene il vice-cancelliere, che fa anche da vice-segretario, perché il cancelliere e il segretario sono malati. È necessario che smetta. Senza cancelliere, senza Vicario generale, senza segretario, con un vice segretario che esercita così bene la mia pazienza; comprendi che non è scusa il dir che mi manca il tempo per scriverti a lungo. E fo punto di gran malavoglia. Poso la penna. Già ancora non la poso. E penso a te. Penso a te in codesta vasta solitudine, occupato sempre, ma, ciò non ostante, non così occupato, da non sentire la solitudine; penso a te, a cui potrei tener compagnia meno affrettata; e pure, devo avere fretta, e, quel che è peggio, far punto. E fo punto dawero, mentre ti lascio nella sacra grotta a considerare il mistero che tutti in questi giorni consideriamo, e che ci commuove tanto e tanto ci dispone alle grazie. Tuo t Mario Mi avvedo d'aver saltato questa pagina. Ma è troppo tardi. Vuol dire che la salterai anche tu *. LETTERA18. 1. Su1 romanzo di Mario, Rivali, cfr. lettera 7, n. 5. 2. Queste parole sono scritte sul terzo foglio della lettera lasciato bianco.
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Piazza Armerina, 20 dicembre 1924
Amatissimo fratello, comincio la lettera ma forse oggi non la finisco, perché son troppo occupato, come già ti scrissi, per l'assenza di Fondacaro e la malattia del segretario. Veramente gli affari di pura trutina sono quanto mai antipatici, ma son necessari. E sotto questo rispetto per me fu una fortuna avere con me Fondacaro che da otto anni fa da Marta e lascia me far un po' da Maddalena. 21 dicembre 1924
Ieri la mia lettera rimase appena cominciata. Sento come un rimorso. Oggi son quattro giorni che non partono lettere per te. Quattro giorni! Son troppi. E penso che il ritardo a te sarà penoso, oramai abituato a ricever mie lettere ogni due o tre giorni. Penso però che la troppa regolarità nella corrispondenza tra parenti che vivamente si amano nemmeno sia buona: un ritardo desta mille preoccupazioni. Dopo quindici e più giorni di mal tempo d'antica: pioggia continua, vento, nebbia, freddo; stamani il cielo è terso come il cristallo, il sole brillante come di primavera. Mi sento rina. scere io che vivo di sole. Tutte le imposte sono spalancate: occorre che il sole entri « a ristorare » i mali dell'umido. Più tardi spero potere scappare. È tanto tempo che non esco di mattina. Qui non ho i tuoi parchi: ci sono però le nostre belle campagne e i nostri Stradali, tenuti come Dio vuole, sempre buoni però pel passeggiante, quando c'è il sole, e non son troppo fangosi. Come la farei volentieri con te 1; mia straordinaria passeggiata! Ricordo quel giorno dello scorso maggio che insieme sul meriggio andammo a Villa Umberto. Ahimè! tu non ti effondi nemmeno nei momenti di vero riposo. L'animo tuo, o mi pare, resta sempre come assorto in profondi pensieri, o come attento d'eco dei pensieri che si vorrebbero far tacere, o come chi, sconsolato, dice alla gioia che vorrebbe entrar per occhi o per l'orecchie: non sento di poterti accogliere intera. Ma vedi che chiacchiere ti faccio! Non so, ma da un pezzo in qua, non ti so pensar che così: come chi nasconde un grande dolore,
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lo domina, ma restando in uno stato di serenità mesta, o di mestizia serena, fatto di virtù, che però traspare dal viso e da tutti j tuoi atti. Per questo penso a te più spesso che prima non facessi, e prego per te tutte le volte che prego. Tu non senti nemmeno il desiderio del ritorno? O h Dio come deve esser tormentoso questo stato di sublime rassegnazione. Però, sollevando la mente più verso le sfere del soprannaturale, penso che il buon Dio ti darà altre gioie, e penso, anzi credo, che l'animo tuo vi si effonderà tutto! Certo, quanto meno ci attira la terra, tanto più ci rallegra il pensiero del Cielo. I1 nostro povero cuore non può vivere senza gioie. Quando leggo nel Salmo quelle parole: Delectare in Domino, et dabit tibi petitiones cordis tui l , provo sempre un brivido di grato entusiasmo. I1 buon Dio non ci vuol senza gioie: non si vive senza piacere: il piacere è la stessa vita che pulsa nella normalità del suo ritmo. Dio lega le sue grazie al piacere che prendiamo nell'amarlo, cioè, all'amore gioioso, ricco di vitalità col quale l'amiamo. Entra Don Giovanni. Un povero - importuno - chiede, non veramente l'elemosina, ma le buone feste. Gliele faccio molto più volentieri del solito. O h sarebbe orribile non consolare chi soffre molto più di noi, quando la mia penna filosofeggia, non so quanto opportunamente, per consolare te e me nello stesso tempo, a cui il Signore buono tante grazie ha sempre fatte nel tempo e in rapporto all'eternità. Ieri finalmente arrivarono le prime due copie del mio libro. Le guardai senza la solita gioia che desta il libro attorno al quale tanto si lavorò e che finalmenoe è libro. Anzi guardando quei volumi ebbi una stretta al cuore: non ebbero le tue cure premurose sino alla fine. Oggi non mi par d'aver preso la buona via scrivendo. E se continuo non so quali altri tasti mesti toccherò. Forse sarebbe bene questa buttarla al cestino ... Ma, in tal caso il giorno passerebbe vuoto per te; e domani non so se avrei il tempo di scriverti a lungo. E perciò fo punto, sicuro che tu saprai trovar passabile anche ciò che non è, quando parte dal fratello che ti ama. Tuo t Mario
LETTERA19. 1. Salmi, 36, 4.
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Piazza Armerina, 24 dicembre 1924
Carissimo fratello, eccoci alla vigilia del S. Natale. Più tardi riceverò gli auguri del clero e delle comunità religiose; stasera quelli del seminario e dei secolari. Formalità! Però se si trascurano, sentiamo che si manca a un dovere. Dunque non pura formalità o non sempre. Le grandi feste vogliono esser godute nella comunicazione degli spiriti, nella riaffermazione dei rapporti. Godere insieme è un bisogno. Però certi messeri che oggi ti presentano mille auguri, quando ieri o anche un momento prima, t'imprecavano mille mali, fa disgusto vederli. Pure bisogna sorridere anche a costoro. Sono i pensieri e i sentimenti che rinascono in me, sempre, nei giorni, faticosi,. degli auguri. Dopo c'è la beata notte, che tutto cancella e tutto purifica. A Dio piacendo, dopo il pontificale, subito dopo, stanotte, dirò le altre due messe, come faccio da più anni, nella mia cappella, nel sacro raccoglimento della notte, in compagnia degli angeli, col pensiero al Cielo. Ieri ricevetti la tua cara, lunga, deliziosa lettera. Te ne sono gratissimo. Giustissimo quel che tu scrivi. È il tuo pensiero, presso a poco, come è espresso nei tuoi volumi sullo Stato e sul popolarismo '. C'è qualche nota di più, che certo in quei volumi non entrava. È una quistione questa che mi appassiona come mai. Come ti scrissi, ho riletto i tuoi due volumi qui accennati. Li ho riletti pel bisogno di star con te, e anche pel bisogno di trovare la soluzione dei problemi dell'autorità, ecc. Oggi comprendo meglio l'utilità del tuo bollettino bibliografico 2. Ho letto già la tua nota su croce e Manacorda 3. Lucida, ma forse troppo breve, troppo sintetica. Certi problemi, anche se si tratta di recensioni, vogliono esser LETTERA 20. 1. Mario si riferisce agli scritti di Luigi, Riforma statale e indirizzi politici (1922) e Popolarismo e fascismo (1924), cit. 2. Sturzo fondò un « Bollettino bibliografico di scienze sociali e politiche » nel 1924. La pubblicazione, edita dalla Società Editrice Libraria Italiana, fu soppressa dal governo fascista nel 1926. Cfr. G. DE ROSA,Storia del movimento cattolico in Italia, vol. 11: Il Partito Popolare, cit., p. 404. 3. L. Sturzo, Nota dedicata ai volumi di B. CROCE, Elementi di polifica, Laterza, Patria, Nazione, Stato, a Polemica B Editrice, Napoli Bari 1924 e G. MANACORDA, 1924 in u Bollettino bibliografico di scienze sociali e politiche *, a. I., novembre-dicembre 1924, pp. 262-269. Nello scritto sono poste a confronto la teoria dello Stato
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lumeggiati più ampiamente &ché chi non è del tutto della materia, ne cavi qualche vantaggio. A me pare che Croce miri a superare il semplicismo delle astrattezze e a precisare il valore del concreto. Teoricamente chi gli darebbe torto? Prescindo dal suo sistema, e mi fermo al punto dello studio della realtà. La realtà è sempre concreta. Però non è compresa, se non si arriva d'astratto. Se poi si abusa dell'astratto, come fecero i filosofi del medio evo, il vero senso della realtà si smarrisce o si deforma. Tu scrivi: c'è la società, in opposizione a me che avevo scritto: ci sono uomini. La realtà è che ci sono uomini che vivono insieme, perché sono relativi gli uni agli altri. La legge di natura non è che i rapporti razionali, necessari, che derivano dalla natura degli uomini. Quando pensiamo società, e legge di natura, passiamo nel campo delle astrattezze. Però senza queste astrazioni, non si mmprenderebbe l'uomo e la sua vita di relazioni. D'altra parte senza partir dall'uomo, e dai rapporti di uomo a uomo, non si arriva a un giusto concetto di società e di leggi. etico di Croce per il quaie « Io Stato è una ipostasi mentale, una categoria spirituale, una metafora retorica » e la concezione dello « Stato aistiano » di Manacorda, fondato suli'« amore » e sulla « fede ». Scrive S t u m : « La differenza fra l'idealismo di Croce ed il misticismo di Manacorda sta nel fondo delle filosofie di ciascuno; Croce è monista, e quindi risolve nello spirito fenomeni esterni; Manacorda è dualista e risolve il creato nell'increato, la realtà contingente nell'assoluto. Per il primo lo Stato, non potendo essere l'ipostasi etica di Hegel, diviene uno schema ideale che si risolve nell'incarnazione dell'ethos umano; per il secondo lo Stato non è che una impalcatura momentanea particolaristica politicesociale, che non può essere distinta dalla reaItà etica dei singoli componenti (aspiranti d'amore, alla Libertà in Dio) e che dovrà essere superata dall'universale spirituale. Croce non valuta la ragione finalistica dell'attività individuale nella vita di relazione e riduce tutto a relazione ed a processo di relazione; Manacorda non valuta a sufficienza la ragione finalistica delie attività sociali della vita terrena, e tende a ridurre ogni attività a pura realtà spirituale e quindi mistica ». E conclude, con un chiaro richiamo ai problemi posti dall'attuale momento storic*politico: « I1 problema dello Stato, non più sotto la visione banale e superata di una divinità da adorare e di un mito da valorizzare, ma sotto la visione di una realtà umana relativa da disciplinare, è oggi divenuto nuovo e di attualità perché gli uomini, nei momenti più agitati di lotte sociali, hanno bisogno di ritornare sui propri schemi, che servono da impalcature d e realtà contingenti, e trovare la legittimazie ne dei propri contrasti. Ed oggi si battaglia non solo attorno d a conquista dello Stato, non solo attorno alle forme giuridiche e costituzionali dei regimi, ma anche attorno alle teorie che giustificano forme nuove ed aspirazioni antiche, per le quali l'uomo individuo sente che la sua cerchia di relazioni e di attività ogni giorno au.menta per la conquista, e si restringe per la difesa » (pp. 268-269).
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Gli scolastici parlano di umanità e di lume divino segnato nella mente degli uomini, che dicono essere la legge di natura. Considerano perciò la legge come posteriore alla libertà. Di qui le conseguenze che tu conosci, gravissime in teologia morale, tra cui quella del principio del possesso. E cercano quando possiede la legge e quando la libertà. Superando quella maniera di pensare, si trova che la legge è nell'uomo, e che una libertà antecedente alla legge (di natura) è un assurdo, perché sarebbe come concepire l'uomo, prima fuori delle relazioni, poi, per un fatto positivo, nelle relazioni; cioè, prima assoluto, poi relativo. Considerando la realtà nella sua concretezza, e l'astratto in dipendenza e subordinazione al concreto, si arriva a porre la morale (anche sociale) tutta nell'uomo come individuo di fronte a individui; e non è possibile concepire doveri o diritti sociali in contrasto coi doveri essenziali dell'individuo. I1 concetto dei delitti di stato considerati come retti da altra morale, non è più possibile. Il concetto dell'autorità sociale acquista tutta la luce, sino al diritto a cambiare regime. Invece il concepimento astratto dello stato, ecc. mena sino alla conculcazione delle minoranze, sino al diritto della forza, alla moralità della forza in quanto forza, in quanto consenso dei più. Io sento una gran simpatia per questo lavoro di valorizzazione del concreto ,e di concretamento dell'astratto, o meglio, di più giusta visione della realtà. E credo che sia, oggi, il metodo più efficace per correggere molte inesattezze vecchie e nuove. I libri inviatimi da te non sono ancora arrivati. E il mio torrone t'è arrivato? Spero che almeno non tardi troppo. Ancora non mi arrivano le copie delIa filosofia per i miei aiunni. Dopo le prime due copie, ricevute giorni fa, come ti scrissi, poi più nulla. Se ci fossi stato tu, non avremmo avuto tanto ritardo. E ora è necessario che smetta, perché cominciano le visite. Non ti parlo delle lettere d'auguri. È un turbine tanto penoso. Però io, con le mie teorie d'arte, ho lentamente ottenuto che queste lettere siano brevi: poche linee. Da principio era uno sfinimento: arrivavano lettere d'auguri di quattro o sei pagine. Chiacchiere e retorica. Ma la retorica l'ho trattata come merita. E ora, sia a voce che in scritto, si va per 1e spiccie.
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Caro fratello, abbiti di nuovo i più fervidi auguri. Amami quanto t'ama il tuo aff.mo fratello t Mario Piazza Armerina, 27 dicembre 1924
Carissimo fratello, ho già ricevuto i due volumi sulla morale. A momenti arrivano le copie della filosofia per le mie classi. Finalmente! I1 volume si presenta bene. Ora vedremo l'incontro che avrà. I1 mio lavoro sul problema morale, stante l'assenza di Fondacaro, giace interrotto da oltre quindici giorni. Ora Fondacaro è tornato, ma io non son ancora così libero, da poter tornare a quel lavoro. E forse mi passerà qualche altra settimana. Tanto, il lavoro diverso è riposo. « La Civiltà Cattolica », facendo cenno nella sua (misera) bibliografia, d'un opuscolo (insignificante) del prof. Naddeo del seminario di Salerno, dopo (come sempre) aver lodato, fa delle riserve per una frase che suonava riconoscenza del contributo recato alla cultura moderna dagl'idealisti nostri l. Così « La Civiltà Cattolica )> ha salvato la fede! È lo stesso atteggiamento di Mons. (vattelo a pesca), ah già Mons. Masini, direttore degli studi al Seminario di Firenze. Costui lo scorso anno, inaugurando le scuole, fece un discorso sul tema che noi bastiamo a noi, e nulla abbiamo da prendere dai nostri avversari, anzi, nulla possiamo prendere, perché in filosofia bisogna (d'un sistema) ou tont prendre, ou tout laisser. Che non c'è da piangere? ! 28 dicembre 1924
Oggi è il 16" anniversario del terremoto che distrusse Messina. Noi lo commemoriamo in Cattedrale verso sera con predica e LETTERA21. 1. P. NADDEO,Una novella aurora del sole d'Aquino, Saierno 1924; recensito in « La CiviltA Cattolica », 20 dicembre 1924, pp. 535-536. « L'Autore fa vedere molto bene il dissidio profondo tra la filosofia di S. Tornmaso e l'idealismo - si legge nella recensione -. Ma noi non siamo persuasi, come pare egli di "queli'incremento apportato alla cultura nazionale" dai maestri del nuovo mostruoso errore. Non possiamo tacere di qualche involontaria dimenticanza del chiaro professore a riguardo dei benemeriti deila rinascenza di S. Tommaso. Almeno potevasi ricordare il P. Liberatore » (p. 536).
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benedizione solenne. Interviene molta gente, come nelle grandi solennità. Più o meno si tratta intorno ai misteri del tempo e dell'eternità. È una predica molto utile. Ricordo ancora il terribile momento: erano le 5%; io mi vestivo. Ricordo anche il racconto che tu mi facesti delle tue impressioni (eri a Caltagirone). Credevi che la casa crollasse. Le mie impressioni non furono così gravi. E ora son costretto a far punto. Spero all'altra volta aver un po' più di tempo. Sto bene. Solo da alcuni giorni avverto un po' di stanchezza al cervello. I1 medico dice che è nulla, e che occorre un po' di riposo. E infatti lavoro quasi nulla in questi giorni. Ti abbraccio. Tuo t Mario
22 Piazza Armerina, 29 dicembre 1924
Fratello amatissimo, Nelina mi scrive che ti fermerai costà due altri mesi. Tu mi scrivi che desideri vederci tutti in Roma per l'anno santo, compresa Suor Giuseppina. Spero che il buon Dio ci faccia questa grazia. Scrivendo a Suor Giuseppina, la vorrò esortare anch'io a non mancare all'appuntamento. Però dovremmo far insieme le visite delle basiliche. Spero che tu non mancherai a questo appuntamento. A momenti ricevo la tua del 23 che mi colma di gioia. Passo a Mons. Fondacaro le due incluse. Ecco: a te l'arrivo del mio libro reca piacere puro; a me, come ti scrissi, recò un senso di viva mestizia: non ebbe le tue cure sino alla fine! Ti ringrazio assai di quanto hai fatto affinché il libro possa esser accolto benevolmente. Ieri ti scrivevo che ero un po' stanco. Te lo scrissi per esser sincero sino allo scrupolo. Stamani sto meglio. I1 medico pensa che si tratti di puro fatto accidentale, cagionato da una cura di ioduro, che mi era stata prescritta da Cirincione per gli occhi. Giusto tale sofferenza coincise con l'assenza di Vincenzino Fondacaro. Invece di riposo mi toccò del sopralavoro. Ora ho smesso la cura, e ho preso del riposo. Ma stamani mi sento meglio assai. Spero di poter tra breve riprendere in mano il manoscritto sul problema morale, che giace inoperoso da circa venti giorni. E spero di tornare a quel lavoro con rinnovata lena. Comunque, sono tranquillo. Se a Dio
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piace che questo nuovo lavoro vada avanti, piacerà anche a me. Se invece il buon Dio disponesse diversamente, non muoverei un sol lamento per questo. Della tua recensione al libro di Croce ti parlai in una mia precedente, forse quella del 24. Ho finito la rilettura del tuo Riforma Statale e indirizzi politici '. Ma perché del magnifico discorso sul Mezzogiorno non facesti un opuscoletto a parte per propaganda? Questo tuo libro, riletto dopo la rilettura di Popolarismo e Fascismo mi ha entusiasmato. I due libri sono un contributo di prim'ordine. I1 primo (Riforma statale) mi è sembrato più importante. Ho però notato che ha periodi troppo vasti. Chiari sempre. Ma i periodi complessi, pei meno abituati allo studio, forse nocciono alla comprensione delle idee. E stiamo agli antipodi. Tu ti lagni del mio stile schematico; io (a volte) mi lagno del tuo stile ampio e complesso. E forse un po' del tuo fare nel mio, e del mio nel tuo, gioverebbe a tutti e due. Mi preme che questa parta oggi stesso, perché temo che sia preoccupato per la mia salute. Se avessi atteso un giorno ancora, l'accenno di ieri al mio male non l'avrei fatto, perché, come ho detto, oggi mi sento meglio. I1 nuovo anno ti rechi nuove benedizioni del Cielo. E serbi a tutti noi di riunirci a Roma in primavera a far il giubileo; cioè, a pensare un po' più e un po' meglio al Cielo, sentendo un po' meglio sulla terra la gioia santa della fraternità. Abbracciami, caro fratello, con l'affetto col quale io ti abbraccio in Corde Jesu. Ossequiami il Prof. Crespi, le cui corrispondenze leggo sul « Popolo ». Tuo t Mario LETTERA 22. 1. Cfr. L. STURZO,Riforma statale e indirizzi politici, cit., ora anche in L. STURZO,Il Partito Popolare Italiano: Dall'idea al fatto (1919) in Opere, serie 2a, vol. 111, Zanichelli, Bologna 1958. 2. Mario si riferisce al discorso su « I1 Mezzogiorno e la politica italiana », tenuta da Luigi a Napoli il 18 gennaio 1923. E considerato l'espressione più organica del pensiero e del programma meridionalista di Sturzo. I1 testo è riportato in L. STURZO,Riforma statale e indirizzi politici, pp. 261-312. Sull'importanza del discorso si vedano G. DE ROSA,L'utopia politica di Luigi Sturro, Morcelliana, Bresui 1978, pp. 35-62; G. DE ROSA,Sturzo, cit., pp. 219-224. 3. L. STURZO,Popolarismo e fascismo, cit., ora anche in L. STURZO,Il Partito Popolare Italiano: Popolarismo e fascismo (1924) in Opere, serie 2a, vol. IV, Zanichelli, Bologna 1958.
Piazza Armerina, 2 gennaio 1925
Carissimo fratello, volevo scriverti ieri, ma non ne ebbi il tempo, tra pontificale e ricevimenti. È però la prima lettera che scrivo in questo nuovo anno, e, come vedi, è per te. A momenti ricevo la tua cartolina da Brighton. Godo dei tuoi piccoli diversivi, e sopra tutto, che stai bene. I o sto meglio. Ancora però non ho ripreso il lavoro. Del resto, dati i giorni, non sarebbe stato possibile. Le ultime lettere, le scrissi il 28 e il 29 dicembre. H o per ora, come un'idea fissa, la quistione, di cui ti feci cenno, della concretezza, in opposizione all'eccesso d'astrattezza a cui si abbandonarono gli scolastici del medio evo. Anche l'attualismo di Gentile, mi pare, si può considerare come una reazione, più che come una pura teoria. Nella realtà non c'è che l'atto. Quello che chiamiamo potenza, nella realtà, non è che un dato atto che sarà altro atto. Gli scolastici direbbero, per esempio, che l'alunno è professore in potenza. Invece l'alunno è l'uomo che studia, che ha ingegno o non ne ha, che profitta poco o molto. Dire che è professore in potenza, è pensare astrattamente. Non è professore, ma si fa professore, studiando. E quando sarà professore sarà tale perché è passato d'atto in atto. Ci si dirà che è passato d'atto in atto, perché aveva la potenza di passarci. Ma questa potenza non sussisteva da sé come potenza, direbbe Gentile, ma come altro atto. L'alunno è professore in potenza nel mio pensiero astratto; la potenza, in concreto, è la sua intelligenza che intende bene, la sua forza volitiva, che si attua con fermezza, il suo comprendere, il suo lavorare. Se io considero l'intelligenza, il genio, la forza volitiva, l'assiduità, fuori degli atti, non considero nulla di reale, perché fuori degli atti non c'è nulla. * Le lettere del 1925 sono in prevalenza scritte su carta intestata « U Vescovo di Piazza Armerina » o « Vescovado di Piazza Armerina ». Si segnalano solo i casi diversi.
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Or questo modo di considerare la realtà, parmi buono, perché fa meglio precisare gli elementi reali. Non è però da escludere il pensamento astratto, perché senza di esso, la scienza non è possibile, anzi nemmeno è possibile la vita razionale. È però da considerare come pensamento della realtà; e non come realtà. Cosa che agli scolastici non sarà possibile, perché per loro l'intelletto percepisce l'universale e non lo forma. Quando avrai tempo e sarai disposto, mi farai piacere se su questo punto mi dirai il tuo pensiero. Ripeto: non si tratta di sostanza, ma di atteggiamento di pensiero, o meglio, di metodo. Però in filosofia il metodo spesso si risolve in sostanza. C'è anche questo, che ci rende più agevole la vera penetrazione del pensiero degl'idealisti. Qui fo punto per non dar pretesto alla stanchezza. Ti abbraccio e mi raccomando alle tue preghiere. Tuo t Mario
Piazza Armerina, 5 gennaio 1925
Carissimo fratello, i.primi giorni di gennaio rinasce ogni anno più viva in me la memoria della nostra cara e santa madre. I1 dieci fa ventott'anni che è in Cielo l . Nei primi otto o dieci anni la sognavo ogni notte; però la sognavo sempre malata. Povera mamma! La sua vita, più o meno, fu una continua malattia! Fu una speciale grazia del Signore per noi, caro fratello, nascere da donna così santa, esser formati ai suoi esempi santissimi. Credo d'averla conosciuta più di te, perché più di te godetti della sua presenza. Aveva il genio dell'educazione, il genio della formazione. Tutto in lei era caratteristico, incisivo, formativo. Non ebbe studi, ebbe poche letture, poche relazioni. Pensò molto, elaborò i suoi pensieri in una sintesi profonda e quanto mai personale. Nel suo spirito c'erano veri trattati di morale, d'ascetica, e anche d'arte. Le sue massime uscivano più dai suoi occhi che dalla sua bocca; LETTERA24. 1. Sulla madre di Stuno, Caterina Boscarelli, cfr. G . DE ROSA, Slurzo, cit., p. 2 e 4.
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e trovavano la via del cuore. Io profittai più d a sua scuola che a quella dei maestri, in tutto. Ma il suo genio lo ereditasti tu, caro fratello. Ciò sia detto a gloria di Dio. Era il genio Boscarelli che culminava in una donna, ultimo rampollo della illustre stirpe. Con che santa gioia soleva raccontare il tuo misterioso rapimento a cinque mesi. Stavi guardando fisso in un punto. Che cosa? Non si sapeva. Si copriva ai tuoi occhi quel punto, e tu piangevi. Si levava l'ostacolo, e tornavi a contemplare. Cerca e cerca... miravi il crocifisso, il bel crocifisso d'ottone che pendeva dal muro, che poi io portai sempre sul petto quando predicavo i santi esercizi. Verso gli undici anni, o forse prima, io un pomeriggio andai a passeggio col figlio del muratore che lavorava in casa, un ragazzo poco più grande di me. Non presi permesso. Ricordo bene che per questo non ebbi gioia in quella ricreazione. Tornato a casa, la buona e cara mamma nostra mi parlò in modo - poche parole, ma di quelle che non si dimenticano più, che generarono in me la convinzione d'evitare i compagni, convinzione che fu sempre fedelmente osservata, che non fu mai, da quel giorno, mai più violata. Allora non comprende;o tutto il perché dei materni rigori; sentivo però che non potevo non ubbidire. I1 bene che la mamma mi fece, lo compresi dopo, molto dopo, lo comprendo ora. Quando ci parlava dei santi, sapeva scegliere i santi più rappresentativi, più atti all'insegnamento che si proponeva darci, che efficacemente ci dava. Nessun libro mi parlò mai della vocazione, dei diritti dell'anima quanto alla vocazione, come me ne parlò la mamma che forse pochi libri del genere aveva visti. Quando venne Mons. Morana * tu avevi pochi mesi. Eravamo a villeggiatura nella villa dello zio Chiaromonte. Monsignore passava di là ogni giorno, perché andava a visitare nella sua villa il Ciantro Carmito. La mamma lo aspettava sempre sulla via e ne chiedeva la benedizione con pietà che si irradiava fuori e agiva sul mio cuore in modo ineffabile. La sua passione, l'unica sua passione erano i figli. Non li
2. Mons. Antonino Morana, nato a Modica il 16 giugno 1824, fu vescovo di Caitagitone fra il 1872 e il 1879. Su mons. Morana cfr. G. DE ROSA,Chiesa e religione popolare nel Mezzogiorno, Laterza, Bari 1979, pp. 159-160 e Sturzo mi disse, cit., pp. 79, 83 e 84.
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lodò mai in loro presenza. Io notai in essa un lampo di materna soddisfazione quando fui nominato vicario generale. Sul morire disse al reggente Lanza, non come un desiderio, ma come una certezza: non vorrei morir ora; vorrei arrivare a veder vescovo mio figlio. I1 buon Reggente me lo disse dopo che la cara mamma era morta. I1 giorno dieci celebreremo la messa per la sua anima. Sto meglio. Ti abbraccio. Tuo t Mario
Piazza Armerina, 9 gennaio 1925
Carissimo fratello, stamani ho applicato la S. messa per l'anima dei nostri cari: papà, mamma, sorella. Anche domani, che è il giorno anniversario della morte della buona mamma, celebrerò per loro. I o non applico la S. messa mai per uno dei nostri cari, trascurando gli altri: applico sempre per tutti insieme. La nostra santa madre (non lo ricordi?) aveva il genio delle intuizioni e della critica. Correva, al tempo della sua giovinezza, l'opinione che per la vita religiosa bastasse mezza vocazione. Doveva essere una derivazione della dottrina di S. Tommaso, che tutti gli uomini hanno 1a.vocazionereligiosa, e quindi, che per farsi religiosi basti volerlo. Ricorderai che la mamma si sentì più chiamata al chiostro che al mondo; e perciò avrebbe dovuto trovar buona quella opinione. Invece non cessava di farne la critica, e con che acume e forza! Quei vecchi teologi non capivano che la vita perfetta è più ardua, quindi più difficile della comune, né avevano badato al senso intero della teoria tomistica. Voler farsi religioso è averne la vocazione, se la volontà è amore profondo e non velleità passeggiera. Se io allora avessi avuto più giudizio, avrei scritto i materni discorsi. Ora li cerco nella mia memoria, ma non vi trovo il colorito, la vita che tutti li animava. Nella mia mente son più concetti, che fremiti del cuore da cui sgorgavano. Sto bene. La stanchezza cerebrale, certo cagionata dal ioduro, e che mi ha tenuto un mese lontano dai miei amati studi, è cessata. H o ripreso il lavoro da tre giorni con rinnovata lena.
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Hai visto l'articolo dell'on. Anile sul mio libro? Non credo si potesse desiderar cosa più favorevole. Anzi mi è parso troppo favorevole, e mi ha fatto soffrire, come sempre mi fa soffrire un misterioso tormento la lode eccessiva. In questi casi cerco di ristabilire l'equilibrio del mio spirito pensando a Dio. Lasciando da parte il mio signor me stesso, e pensando al bene che il libro potrà fare, ringrazio Dio che ha ispirato a questo nostro amico sentimenti così favorevoli. L'articolo gioverà sicuramente alla rapida diffusione del libro. Disgraziatamente il numero che lo recava fu sequestrato. Sarebbe bene riprodurlo, fatta un po' di calma. Tu, scrivendo all'on. Anile e ringraziandolo, potrai dirgli anche ciò l . Che giorni grigi, caro fratello. Ma speriamo nel Signore. H o ricevuto la tua cartolina del 27 (dal seminario) dopo deila lettera del lo. Non ti parlo della quistione dell'astratto e del concreto, perché te ne scrissi nella mia del 2. Quel che tu scrivi intorno a questo problema è giustissimo. Però dovrai riconoscere che i conati dei filosofi moderni, di ricondurre il pensiero a1 concreto, che è la realtà, affinché l'astratto non ne sia una deformazione, siano degni d'alta considerazione. Sì, prego per te sempre. Spesso nel giorno dico la preghiera pro fratribus nostris absentibus. La dico sempre ogni volta che p a r d o la tua fotografia. Ora ti abbraccio in corde Jesu. Tuo t Mario
LETTERA25. 1. L'articolo dedicato al volume di mons. Sturzo, Il problema della conoscenza e firmato da Anile apparve con il titolo Le frontiere dello spirito. Il problema della conoscenza suil'« Ora » di Palermo del 2-3 marzo 1925. « Noi attendevamo da parecchio un libro simile - scriveva, tra l'altro, Anile - I...]. Da quando l'idealismo è diventato filosofia ufficiale e gli epigoni si sono moltiplicati e la meditazione soIitaria è parsa insufficiente ai più ed i valori pratici sono diventati una cosa sola con i valori ideali, e filosofare e politicare si sono fusi con un'unica attività, molto si è perduto di quello che si era guadagnato [...l. L'autore [...l pure avendo un suo sistema, non chiude la porta ad alcun pensatore [...l.Opera dunque serena ed essenzialmente chiarificatrice >>.
LUIGI E MARIO STURZO
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Piazza Armerina, 11 gennaio [l9251
'
Carissimo fratello, ricevo a momenti la tua cartolina del 6 corr. Godo nel sentire che stai bene. Io sto meglio. La stanchezza va passando. Ti scrissi il 2. Ti parlavo della quistione dell'astratto e del concreto come metodo. Poi ti scrissi il 5. Ti parlavo della santa memoria di nostra madre, l'anniversario della cui morte cadde ieri. Finalmente ti scrissi il 9. Tornavo a parlarti della mamma. Ti dicevo che l'on. Anile aveva scritto molto favorevolmente sul mio libro. Però il foglio non andò a destinazione. Ti dicevo che faresti bene a scrivere all'on. Anile che lo facesse ripubblicare. Dore * non mi ha scritto nulla. Non so quindi se hanno venduto molte o poche copie. Tu sai qualche cosa? Se sì scrivemene. Le tue cartoline potrebbero essere scritte più strettamente: così potresti dirmi qualcosa di più. Gli amici ti ossequiano e pregano Dio per te, come faccio io ogni giorno. Ti abbraccio. Tuo t Mario
Piazza Armerina, 13 gennaio 1925
Carissimo fratello, ieri Vincenzino ' ricevette la lettera aperta. Quel che tu dici circa il problema del concreto e dell'astratto è giustissimo. Però parmi che lasci immutato il mio pensiero, circa la ragione di metodo o meglio di reazione (e non circa la dottrina idealistica nella sua sintesi). Quando di un aspetto delle cose s'è usato troppo e un po' abusato, la reazione ha il suo senso e il suo valore. Per me la reazione contro l'astrattismo ha un valore speciale, perché
LETTERA 26. * Cartolina postale. 1. M. Sturzo scrive erroneamente 1924. 2. Si tratta di Giarnpiero Dore, tra i migliori e più fedeli collaboratori di Sturzo. LETTERA 27. * Cartolina postale. 1. Mons. Fondacaro.
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gli scolastici facevano derivare l'astratto da una percezione intellettuale delle essenze. Stabilire bene i rapporti tra concreto e astratto è dovere di chi si occupa di queste quistioni, perché l'eccesso dell'uno o dell'altro nuoce alla giusta conoscenza della realtà. I o sto benino. La stanchezza a volte fa capolino. E forse sarà bene far un qualche viaggio, che mi costringa a stare lontano dai libri. I1 tempo veramente non invoglia. Basta. Vedremo. Frattanto io qui ho il mio bel giardino, Vi scendo appena spuntato il sole. E poi procuro di andare a tavolino il meno possibile. Altre volte ho avuto di simile stanchezza. E poi è passata. Se Dio vorrà, passerà anche a questa volta. Godo che tu stai bene. Prego assai per te. Ti abbraccio. Tuo t Mario L'articolo di Anile sul mio libro è stato ripubblicato nel numero dell'l l *.
Piazza Armerina, 16 gennaio 1925
Amatissimo fratello, le ultime, tra lettere e cartoline, portano le seguenti date: dicembre 23-26-29; gennaio 1-6-7-10. Godo nel sentire che stai bene, e ne ringrazio il Signore. E mi fa piacere sapere che il sole, benché senza calore, si fa un po' vedere su codesto cielo. Io sto ancora meglio. Ma ritengo che non si è trattato d'effetti di troppo lavoro, ma d'intolleranza del ioduro, come ti scrissi. I1 19 festa di S. Mario, è anche festa dei miei oblati. Gli aspiranti rinnovano il lor voto, che è temporaneo e va dal 19 luglio, anniversario della mia consacrazione, al 19 gennaio mio secondo onomastico. Queste solennità intime e tutte spirituali son per me quanto di meglio si possa desiderare in questo povero mondo. Avrai visto che l'articolo d'Anile sul mio libro è stato riportato nel n. dell'll. Gli amici, che non lasciano di pregare per te, ti salutano. I1 24 è l'anniversario della morte di papà. Lo celebre2. Cfr. la lettera 25 e la nota 1.
LETTERA 28. * Cartolina postale.
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remo con lo stesso affetto di figli. Tu l'avesti compagno di lavoro in quei begli anni di lirico entusiasmo. Benché così avanti negli anni, pure non rifiutò quel lavoro; e con che amore vi si era consacrato. Quando io prego per le anime dei nostri cari, finisco sempre con raccomandarmi alla loro intercessione. Ti abbraccio caro fratello, e ti lascio con Gesù. Tuo t Mario
Piazza Armerina, 20 gennaio 1925
Carissimo fratello, ti scrissi l'ultima volta il 16, su cartolina. Ti diedi le date delle tue lettere dal 23 dic. al 10 corrente, sette in tutto. Oggi speravo ricevere tue nuove. C'è però ancora la posta del pomeriggio. È tanto antipatico scrivere su cartoline! Ieri il mio secondo onomastico fu celebrato nella santa intimità della preghiera e nelle cordiali manifestazioni degli amici. Ebbi financo una visita di Mons. Mineo l, Can. Compagno, Can. De Francisci, venuti apposta in auto. Immagina che piacere per me. Sto anche meglio. Però mi astengo dal lavoro, perché ritarda la completa guarigione. Non mi privare delle tue nuove. Amami quanto io t'amo, e prega per me. Tuo aff .mo t Mario LETTERA 29.
Cartolina postale. 1. Mons. Mario Mineo Janny (1846-1927), nato a Caltagirone da Luciano e da Rosa Janny, formatosi nel seminario di Caltagirone, con la guida del vescovo mons. Luigi Natoli, venne ordinato sacerdote il lo febbraio 1870, quando Caltagirone era sede vacante (1867-1872) e in un momento di grande tensione tra Chiesa e Stato. Insegnante di teologia dogmatica, S. Scrittura ed Eloquenza per quarant'anni presso il medesimo seminario, ebbe fra i suoi allievi Mario Sturzo, Luigi Sturzo, il can. dr. Filippo Interlandi, il can. prof. Giuseppe Montemagno. Frequentò la casa di Emanuele Taranto, autonomista siciliano e cattolico papale. Svolse per ventiquattro anni azione pastorale nella parrocchia dell'ex-Matrice. Scrisse numerose opere, fra cui va ricordata La Chiesa e il Papato in collaborazione con i sacerdoti Redazzini e Leonardi. Fondò e diresse la «Poliantea Oratoria » e collaborò alla « Croce di Costantino ». Apologista e insigne oratore religioso, predicò il quaresimale nel Duomo di Milano nel 1883. Fu in fraterni rapporti con don Davide Albertario.
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Piazza Armerina, 24 gennaio 1925
Carissimo fratello, l'altro ieri, proprio nel pomeriggio, ricevetti la tua carissima del 18. Ti ringrazio di cuore degli auguri. H o mandato al P. Busnelli il mio volume l , come mi hai fatto scrivere da Nelina. Gli ho anche mandato un biglietto nel quale dico che il libro mira a far del bene nei licei, e chiedo la sua cooperazione. Domani che non ho scuola, spero scriverti una lunga lettera. Sto assai meglio, quasi bene del tutto. H o finalmente da più giorni ripreso il mio caro lavoro attorno al problema della morale. Ora la penna corre, come più non faceva da tempo. Però mi uso riguardi, per non far un nuovo recidivo. Ma ti ripeto anche una volta che si è trattato di male sintomatico del ioduro. Vorrei questo nuovo trattato scriverlo in un giorno. Ma la materia mi cresce a misura che vado avanti. E come diventa sempre più interessante. Aiutami con le tue preghiere, come certo fai. Essendomi rimesso, non penso per ora a viaggi. La gioia del lavoro mi dà la vita più che la gioia del viaggiare. E ora questa gioia la sento più viva, come del resto avviene sempre nelle convalescenze. Gli amici pensano sempre a te e pregano per te e ti ossequiano. I o ti abbraccio. Tuo t Mario
Piazza Armerina, 27 gennaio 1925
Carissimo fratello, nella cartolina del 24 (l'ultima scrittati) ti dicevo che il giorno dopo t'avrei scritta una lunga lettera. M'è mancato il tempo. Questa non so se potrà riuscire lunga; a ogni modo, è lettera e non povera cartolina. Ieri ricevetti la tua del 22, chiusa. La lessi con quel piacere tutto speciale, con cui leggo sempre i tuoi ragionamenti. Sempre precisi, sempre ben fatti. Che Dio ti benedica. 1. Cfr. lettera 13, n. 3.
LETTERA30. * Cartolina postale.
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Aggiungo una sola parola a chiarimento del mio pensiero. Quando io parlo di metodo, non intendo parlar del metodo in astratto, ma d'un metodo in concreto, temporaneo, ordinato a superare gli errori del presente o, comunque, presenti. Positivismo e idealismo si combattono in nome del concreto. Andiamo al concreto, per metterne in chiaro la natura e passiamo all'astratto - ben delineato - per metterne in chiaro i rapporti col concreto gnoseologici e metafisici. A proposito di metafisica, parmi che chiamarla col Wolff ontologia sia stato errore l . Già sembrami errore dire che è la scienza dell'ente reale. L'ente universale, non è reale, ma astratto. I o la chiamerei il sistema delle conoscenze astratte, presa 'la parola astratta nel suo giusto senso di pensamento dei predicati essenziali generici e trascendenti. Vedi, siamo già nel cuor della quistione che ho chiamata di metodo. Gli scolastici e i neoscolastici vogliono che oggetto della metafisica sia l'ente reale, dunque concreto. Ma l'ente in concreto non c'è; ci sono invece gli esseri o enti che dir si voglia. Nel fatto la metafisica non studia il reale, ma i concetti puri pei quali è solo possibile conoscere razionalmente il reale. Lascio la filosofia, per non mi far ripetere che bisogna che riposi. Sì, riposo e lavoro, cioè, lavoro poco e con cautela, e poi cerco sole e aria quanto mi è possibile. Né il sole manca da oltre un mese. Mi sento in piena primavera. E già le campagne soffrono. Non so se te l'ho domandato altra volta: desidero sapere se il mio libro si vende; se le richieste sono discrete. Di questi giorni a tavola ricevo lettura dello Smiles, Il Dovere *. Tu lo sai nella mia tavola si legge sempre. Se mi manca LETTERA 31. 1. Christian Wolff (1679-1754), fu il massimo esponente deii'illuminismo tedesco e deiia filosofia dogrnatica da cui Kant prese le mosse. Scrisse Philosophia rationalis, sive logica methodo scientifica pertractata et ad usum scientiarum atque vitae aptata, 1728. 2. Sarnuel Smiles (1812-1904), scrittore, giornalista, amministratore di diverse società, fu il promotore di un orientamento ideologico basato su& profonda convinzione che il successo nei vari rami deii'attività umana - e in particolar modo in quella economico-produttiva - è dovuto esclusivamente aii'impegno individuale e che Ia società moderna fornisce a tutti gli uomini i mezzi e le condizioni per conseguire il successo economico e il prestigio sociale (cosiddetta teoria del self-help). Le sue opere più famose sono Self-Help, London 1859 (trad. it. Chi si aiuta Dio l'aiuta, Editori della Biblioteca Utile, Milano 1867); The Character (1871) (trad. it. Il carattere, Barbera, Firenze 1872); The Duty (1886) (trad. it. Il dovere, Barbera, Firenze 1887).
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la lettura quasi mi manca l'appetito. È un libro che non mi piace. Poca esattezza filosofica, sa più di giornale che di libro. Sarà forse vizio (O virtù) dell'anima inglese. Tu puoi saperlo. Ma dimmi: com'è stimato costà questo scrittore? I1 suo libro più noto è Il Carattere. I libri del Prof. Crespi li ho mandati al Can. L. Caruso che ha accettato di leggerli e darmene conto. I1 Comm. Barletta mi dice che ti ha scritto tre volte, senza aver avuto il piacere di vedere una tua risposta. Che si tratti di smarrimento? I1 24 celebrai con viva commozione, come sempre, l'anniversario della morte di papà. Quando penso a lui, lo penso nel suo povero studio, a tavolino, con l'Imitazione in mano, intento a meditare '. Uomo quanto mai abnegato: sceglieva sempre le cose più umili per sé. Oh quella stanzuccina! Quando la rivedo, mi pare impossibile che egli l'abbia abitata con tanta pace, senza mostrare mai fastidio della piccolezza, della non buona esposizione, dell'essere stanza di passaggio! Mi sento umiliato ciò pensando. Trovo che io non ho quella virtù ... Ah, tu forse non lo conoscesti appieno. ~scoltava'lamessa al Purgatorio o al Coretto, in ginocchio, sempre. Nei suoi dolori non fiatava mai. Soffriva muto e solo, sempre. Forse questa virtù tu la ereditasti da lui ... Sì, hai ragione, occorre vivere in modo che la morte ci riunisca tutti intorno ai nostri genitori, nel Cielo. Fo punto perché mi manca il foglio e il tempo. Sto bene, già lo intuisci. Mi raccomando assai alle tue preghiere. I o prego per te, direi, continuamente. Ti abbraccio. Tuo Jy Mario 32 " Piazza Armerina, 31 gennaio 1925
Carissimo fratello, ti scrissi una lettera il 27. Poi sono stato con febbre reuma3. Sul canonico Luigi Caruso (Calatinus), cfr. lettera 13, n. 1. Si veda pure G. DE ROSA,Sturio, cit., passim. 4. Gasparc Barletta, uno dei cari amici di Caltagirone di Luigi Sturzo. 5. Si riferisce ovviamente all'lmitaiione di Cristo di Tommaso da Kempis.
LETTERA32. * Cartolina postale.
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tica. Ora sto bene. Ieri ebbi la tua cartolina da Oxford. Aspetto le promesse impressioni. Nella mia lettera di straordinario non ti dicevo nulla. Ti facevo alcune mie osservazioni suIla quistione dell'astratto e altre piccole cose. Spero che ti sia arrivata. Lo Smiles sarà protestante. In questo libro sul dovere non mostra critica storica. Giudica dell'inquisizione con i soliti criteri. Ripeto che è un libro che mi piace poco. Aspetto il tuo giudizio. Mi raccomando alle tue preghiere. E ti abbraccio. Tuo t Mario
Piazza Arrnerina, 4 febbraio 1925
Carissimo fratello, ieri ricevetti la tua del 29-1. Ho letto con vivo piacere i cenni su Oxford. Sono così interessanti. I1 titolo del libro d'Aliotta restò nella penna '. Fammi il piacere indicarmelo. Vuoi sapere se fo scuola? Si, ma solo di filosofia. La patita stanchezza non mi fece lasciare che una sola lezione. Dettando il mio libro, rifletto sullo stesso. Penso a correzioni d'espressione e a qualche capitolo complementare. Dato l'impegno, tu lo sai, dovetti scrivere a passo di bersagliere. Ora però è puro lavoro di pensiero. Non prenderò la penna per fissarlo che quando avrò finito il lavoro sulla morale. Questo mi viene più vasto che non credessi. Sento che non bisogna lesinare con le pagine, perché il problema è gravissimo. I1 mio incomodo di cui chiedi notizie è passabilissimo. Non ci penso nemmeno. Tra qualche giorno affronterò, a Dio piacendo, il problema della libertà. H o un certo pensiero, che formulato come lo penso, non mi par d'averlo letto in verun libro. La libertà per me non è LETTERA 33. ' Cartolina postale. 1. Antonio Aliotta (1881-1964), fu professore di filosofia teoretica prima a Padova, poi a Napoli. La sua filosofia caratterizzata da uno sperimentalismo e un senso della evoluzione che lo awicina a Bergson, si è sviluppata daiia critica alI'idealismo italiano e si è evoluta verso uno spintualisrno cristiano. Si ricordi L'estetica di Kant e degli idealisti romantici (1942); Il problema di Dio e il nuovo pluralismo (1924); Critica dell'esistenzialismo; L'estetica di Croce e la crisi dell'ideaIismo itaiiano (1951); I1 nuovo positivismo e lo sperimentalismo (1954). Probabilmente il volume a cui Mario si riferisce è Il problema di Dio e il nuovo pluralismo.
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nella spontaneità dell'atto, ma nella riflessione. L'atto spontaneo è sempre determinato. Atto libero puramente elicito non se ne dà. Riflettendo sugli atti spontanei possiamo volerli o no. Ciò è riflessione, e qui solo è libertà. Altra libertà non mi par ce ne sia. Non ce ne può essere, perché (nel contingente qual è l'uomo) ogni atto è determinato da uno stimolo, è una relazione. Vedrò quel che in merito mi saprà dire il calamaio. Tu se hai tempo, dimmi il tuo pensiero. Sto bene. Le f,ebbri reumatiche, come ti scrissi, passarono. Abbiamo, da ieri, la neve. C'è però il sole. Ti abbraccio Mario
t
Piazza Armerina, 9 febbraio 1925
Carissimo fratello, son in ritardo con te; ne sento rimorso. Ma sono stato troppo occupato. H o ricevuto la tua cartolina del 3. Sento che sei stato raffreddato. E sono stato raffreddato anch'io. Anche Nelina scrive d'essere stata raffreddata. Si vede che ci amiamo assai da sentire insieme il gioco della stagione. Tu però usati riguardi, perché non sei nel tuo clima. Hai visto sulla « Rassegna Nazionale » di gennaio lo studio del P. Bizzarri l ? A un punto dice che la verità non può esser relativa. Non vedi qui l'abuso dell'astrazione? Per gli scolastici la verità è adeguati0 rei et intellectus. Ma l'intelletto è il divino: lato concreto. Lato astratto: la verità per l'uomo è equazione conoscitiva. I n astratto una tal equazione è assoluta. Però in concreto la nostra conoscenza non è che relativa. Dunque l'equazione non può esser che relativa. Tale l'equazione, tale la verità. Però per verità s'intendono anche le relazioni astratte. Queste son bend assolute, ma non sono la conoscenza, ma rapporti dei predicati della conoLETTERA 34. 1. F. R. BIZZARRI, Fisica e rnetafiica - Ai prof. Giuseppe Filiasi, in « Rassegna Nazionale », gennaio 1925, pp. 3-25. Tra i vari appunti che Bizzarri muove ali'opera Firica e metafisica di Filiasi uno riguarda la seguente affermazione deli'autore: « La nostra verità è relativa: essa è posta tra l'assurdo o subverità e il trascendente o superverità D. In proposito Bizzarri obietta: « Ora io capisco come si possa parlare di vari gradi di certezza, di maggiore o minore comprensione di tale o tale altro processo o del mondo intero: ma ciò che è vero è vero per me, per te, per tutti, in qualunque luogo e in qualunque differenza di tempo » (p. 8).
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scenza, considerati in astratto. Col metodo da me accennato tutto si fa chiaro. Nel puro astrattismo metafisico non è così. Tu dirai che questo astrattismo è affare delle scuole chiesastiche. E sta bene. Ma proprio qui occorre portare un soffio di visioni nuove. H o ragione? La nostra corrispondenza per cartoline s'è fatta fredda. Non è vero? Bisogna tornare alle lettere. Io sento, più per te che per me, il bisogno d'affetto. Povero fratello, così solo tra tanta gente, e così lontano! Però per me c'è stata l'attenuante della stanchezza, che ora è passata. Ma fo con misura tutto, per evitar che ritorni. Anche attorno al problema della morale lavoro con misura. I1 cervello non è più stanco. E solo mi è rimasta una certa stanchezza generale, però, solo in rapporto allo studio. Quanto al resto sto bene, e fo le mie passeggiate sempre con lo stesso passo accelerato che esclude ogni senso di stanchezza muscolare. H o letto sulla « Rassegna Nazionale » di Novembre uno studio di Caristia '... Non mi è piaciuto. Già il povero Caristia, da quanto soffre agli occhi ed è costretto dettare, non è più lui. Tutti i suoi scritti accusano poca preparazione e poca elaborazione. Effetto del dettare. Dettando si pensa male e non si torna sui propri passi. Se il Signore mi dà forza e grazia, vorrò scrivere una sintesi di metafisica. Lo reputo necessario. Lo farò (se potrò) attuando il metodo di cui più volte ti ho parlato. Ora tiro avanti pianino pianino il mio lavoro sulla morale. Anche in questo, come ne1 problema della conoscenza, c'entra tanta metafisica. Sicché poi non avrò a fare che raccogliere, sistemare, completare in forma sintetica. Penso che la metafisica (rinnovata) vada studiata dopo e non prima. Anche questa è ragion di metodo. Prima sarebbe come un lavorare campati in aria. Gli alunni intenderebbero poco, male, e con pena. La mia esperienza me lo afferma. Ora fo punto, benché contro voglia. Stamani, oltre alla lezione, che fo alle prime ore, ho dovuto passar la mattinata scrivendo lettere d'affari. Se continuo, mi stanco. Però continuo a parlarti col cuore, come faccio ogni giorno. In anticamera c'è un tuo ritratto: quello che ti rappresenta leggendo. Passo dall'anticamera 2. C. CARISTIA,Idee e programmi politici, in « Rassegna Nazionale », ottobre Dall'idea al fatto, 1924, pp. 3-14. Si tratta di un commento alle opere di L. STURZO, Ferrari, Roma 1919 e Riforma statale e indirizzi politici, cit.
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molte volte al giorno. Passando ripeto sempre - sempre - la preghiera pro fratribus absentibus. E così ti sto vicino nel modo più utile e anche più confortante. Ti abbraccio forte forte. Tuo JF Mario
Piazza Armerina, 10 febbraio 1925
Carissimo amatissimo fratello, ier sera, recitando il breviario, la soave immagine di S. Scolastica, destava nel mio cuore le immagini di Suor Giuseppina e di te, soavemente, spiritualmente, come una elevazione nella preghiera. Oh! le sante gioie fraterne in Cristo, la gioia della unione, breve, fugace, dopo lunga separazione per Cristo. Poche volte nel mio spirito il divino e l'umano si sono fusi in così celestiale unità. Leggo un articolo di G. Menara sull'« Unità Cattolica » contro gli ammiratori di Rabindranath Tagore, il poeta indiano l. Dice: un sol dei nostri santi vale mille volte Tagore. Dice che è stata umiliante per gli Italiani l'ammirazione. Non ci vedi l'intolleranza a cui si formano gli alunni nelle nostre scuole? E non ci vedi l'influsso della nostra metafisica che ignora il relativo? Sorridi? I n me ci vedi un'idea fissa? Sì, se qualche cosa gli uomini fanno di sodo, dipende dalle idee fisse. Ho letto il tuo articolo circa la proporzionale '. Quando scrivi di tali materie, sei pienamente al tuo posto. Si legge, intende, approva, ammira, e si vorrebbe leggere ancora. Quando leggeremo lo stato moderno?
LETTERA 35. 1. G. MENARA, Religione e mwale in Tagore, in « L'Uniti Cattolica », 7 febbraio 1925. L'articolo accusa il « neebuddismo tagoriano » di ateismo e panteismo e ne sottolinea « la morale egoistica che comincia, si svolge, si esaurisce nell'uomo D. Rabindranath Thàkur (Tagore), (1861-1941) scrittore e poeta indiano, premio Nobel per la letteratura nel 1913: fra le sue opere si ricordino Le lettere di un viaggiatore in Europa (1881); Canti della sera, Canti del rnattzno (1881-1883); Offerta di canti (1910), SZdAanZ (1913). 2. L. STURZOpubblicò il lo febbraio 1925 su a La Rivoluzione Liberale m, un articolo dai titolo La proporzionale risorgerà contro la legge Acerbo (18 novembre 1923) con la quale Mussolini introduceva il principio maggiontario (cfr. L. STURZO, Miscellanea londinese, Zanichelli, Bologna 1965, vol. I, p. 7 n.).
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- CARTEGGIO 11 febbraio 1925
Ricevo a momenti una lettera di Suor Giuseppina. O h la buona, la cara sorella! Pensavo ancora a S. Scolastica quando ho ricevuto la lettera. Che Dio lo benedica quest'angelo di sorella. G. Menara nel cennato articolo dice che solo i cristiani cercano Dio non cercando se stessi '. Srniles, nel libro sul dovere, dice la stessa cosa, con espressioni meno passabili. Dice che la simpatia ci fa uscir da noi e entrar negli altri 4. IOvedo per tutto l'ombra della metafisica astrattistica. Noi non trascuriamo noi, neanche quando c'immoliamo per Dio. I1 puro altruismo è una parola vuota di senso. Come conoscere è insieme conoscenza del soggetto e dell'oggetto, così l'amore è insieme amor di sé e degli altri. Come non si esce dalla conoscenza di sé, così non si esce dall'amor di sé. Amar Dio per sé, senza badare al premio, è amar Dio nostro bene, e quindi nostro premio. Cosa fa Luigi all'estero? mi domanda Suor Giuseppina. Povera cara sorella, non lo sa! Glielo farò un po' intendere, rispondendole. Così pregherà per te con più fervore. Mi suona ancora nell'anima la parola, riportata dal a Popolo da un giornale inglese: esule semi involontario! Non m'attrista però; solo mi fa soavemente mesto, e mi eleva a Dio. Beati quelli che soffrono per la giustizia, dice il Vangelo. È dif?ìcile farla propria questa parola, in senso pieno. Ma più si cerca di viverla, e più se ne comprende il senso divino. Leggo nel giornale di stasera che è morto il baritono Kaschmann L'udii all'Apollo nella primavera (o forse inverno) del 1886, poco prima che quel teatro fosse demolito. Fu quella una delle ultime volte che andai a teatro. La vocazione già m'incalzava, e sentivo già disgusto di tutto ciò che in qualunque modo me ne potesse distogliere. Dunque udii allora Kaschmann nel Tannhauser. Era meraviglioso. Ora è volato - lo spero alme-
'.
3. << Mancano in essa (morde di Tagore n.d.r.) - scrive Menara - moventi d di fuori di noi: è un ripiegamento sul nostro io che diviene origine e termine d'ogni Religione e morale, cit.). azione individuale (G. MENARA, 4. S . SMILES, Il dovere, cit., p. 136 (cfr. lettera 31, n. 2). 5. Giuseppe Kaschmann (1850-1925),baritono, studiò a Miiano con A. Giovannini.
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no - a sentire ben altra musica e ben altri cantori, e anche a cantare con ben altra voce. Beato lui se dawero ha imbroccato la buona via dell'eternità! Sento a volte desiderio di buona musica. Resta desiderio. Qui non abbiamo che musiche ed esecuzioni mediocri. Però quando son nella mia cappella, sento a volte con lo spirito le armonie del cielo che suonano senza suono. Nessuna musica del mondo le eguaglia. 12 febbraio 1925
Torno al concetto, per me errato, del puro altruismo. Qualunque cosa noi amiamo, anche quando pensiamo d'amarla puramente per sé, perché buona da sé, l'amiamo. Ciò che si ama, si ama come bene. I1 bene che si ama, non è un bene puramente metafisico; è sempre un nostro bene e l'amiamo e possiamo amarlo proprio perché bene per noi. Se fosse possibile pensare un bene non bene per noi, ma puramente tale da sé, noi non potremmo amarlo. Sicché, in conclusione, il puro altruismo altro non è che l'amore che non cerca compensi immediati e che non teme sacrifizi, nemmeno la morte. Caro fratello, fratello del mio cuore, quando scrivo di simili quistioni, non pretendo insegnare agli altri, ma cerco convincere me stesso della verità nei nostri libri, spesso, espressa in maniera deficiente. Quando scrivo a te, vorrei dirti le cose più interessanti. Ma qui sta il punto. Quali sono queste cose interessanti per te? Però mi quieto, pensando che tu cerchi solo il mio d e t t o . E questo c'è tutto, anche quando scrivo delle cose che non hanno molta conclusione. Dimmi, caro fratello, parli già l'inglese? Penso di sì. Però desidero sentirmelo affermare da te. Pensarti, come ho fatto da principio, in paese straniero, ignaro della lingua, è stata per me cosa molto mesta. Mi sono state di conforto le tue assicurazioni di pace, tranquillità e dolce abbandono tra le braccia della Prowidenza; ma è stato un di quei conforti che non tolgono il dolore, ma solo lo santificano. I1 mio lavoro riprende abbastanza la sua normalità. I1 fatto stesso del prendere ogni giorno (come vedi che torno a fare) la
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penna per te, ne è segno. Spero che non ci siano più recidive. Par-
mi di poterlo affermare che non ce ne saranno, perché il lavoro non lascia traccie di depressione. Tu aiutami con le tue preghiere. 13 febbraio 1925
Ier sera nelia cappella del seminario ci fu il solito sermoncino del giovedì. Lo fanno a turno i seminaristi teologi e filosofi. Ier sera parlò un giovanotto di fantasia esuberante. Parlò abbastanza bene. Però il giovedì precedente questo stesso giovanotto aveva esagerato sino a provocare il riso. E bada che i miei seminaristi portano in cappella un contegno sobrio, sempre, e raccolto. Io chiamai l'inesperto, gli feci le osservazioni del caso, e gl'imposi di preparare altro sermoncino pel prossimo giovedi, che fu ieri. La prova riuscì. Io, come norma generale, dico ai miei ragazzi, di dar metà di quel che credono di poter dare, predicando. È una norma ascetica e estetica a un tempo. I giovani quasi sempre vogliono far le loro composizioni quanto più perfette. Di qui l'esagerazione e il retorico. Aver la modestia di non cercare questo massimo, equivale aver equilibrio etico e estetico. Uno degli esperimenti meglio riuscito fu quello di ier sera. Altro esperimento feci la scorsa settimana con un diacono che doveva predicare in una chiesa. Mi presentò il suo lavoro. Era buono guardato con occhi correnti. Ma era quella bontà che può anche chiamarsi accademia. Gli consigliai di lasciar quel lavoro e farne altro più modesto. E la prova riuscì, e, quel che più conta, ne fu contento lo stesso neopredicatore. Oggi la posta mi recherà qualche tuo scritto: è la scadenza. Pure questa la fo partire, perché mi preme più che tu la riceva un giorno prima, anzi che la riceva con la risposta alla tua arrivatura lettera. Sto bene. Te lo dice tutta la lettera. Voleva esser più lunga; ma, chiacchiera più, chiacchiera meno, è lo stesso. È il venerdì. Domando al S. Cuore ogni grazia per te. E ti abbraccio. Tuo aff.mo fratello t Mario
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Piazza Armerina, 18 febbraio 1925
Amatissimo fratello, ho ricevuto la tua cartolina del 9 da Dublin. Godo che stai bene e ti diverti. Ti ho scritto due lettere il 9 e il 13. Ti ho parlato del più e del meno. Aspetto qualche tua lettera: le cartoline mi lasciano freddo. Sto bene. H o ripreso il lavoro nella sua piena normalità già da molti giorni, e ringrazio il Signore. L'inverno da Natale a ora volge tiepido come una primavera. L'altro giorno il termometro segnava 16. Ricordi d'una quistione psicologica da me accennata forse in dicembre, circa la non cognizione deli'oggetto da parte degli appetiti? Tu mi dicesti che era pura quistione psicologica senza importanza pel mio problema. Il punto dove sono arrivato nel mio lavoro mi dimostra che presentivo bene: quella quistione è fondamentale per le prove della libertà. Lo vedrai quando leggerai la prima sezione che è a buon punto l . Accenno solamente: se i giudizi teoretici fossero conosciuti dagli appetiti spirituali in quanto appetiti (e lo sarebbero, se fosse provato che gli appetiti sensitivi conoscessero l'oggetto e la sua appetibilità, in sé), i giudizi assoluti cagionerebbero necessariamente date volizioni. Gli amici ti salutano e pregano per te. Io penso con nostalgico desiderio al tempo che le quaresime mi davano le gioie dell'apostolato della parola. Ti abbraccio t Mario
Piazza Armerina, 20 febbraio 1925
Amatissimo fratello, ricevo la tua carissima del 15. È sera. Tu sai che di sera mi astengo dallo scrivere per non affaticare gli occhi a luce artificiale. Ma faccio una eccezione, per altro breve, e prendo la penna per te. Non so perché la tua assenza da Londra mi è sembrata come assenza da Piazza. Ed ho contato i giorni ... Benché sapessi più o meno LETTERA 36. * Cartolina postale. 1. Si tratta del volume Il neo-sintetismo, Vecchi e C., Trani 1928. La prima sezione tratta Della conoscenza puramente sensitiva, p. 2 ss.
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il turno delle tue lettere, pure ho con ansia sfogliata la posta mattina e sera... Pure questo viver d'affetto mi fa tanto bene, anche quando mi fa soffrire. Sto bene. I1 primo corso di filosofia sino al presente lo ha fatto un mio alunno formato alla mia scuola. Ha svolto la parte più facile del programma. Ora ho preso io anche il primo corso. Lo ridarò al suo professore al momento della ripetizione. La scuola mi fa bene al corpo e allo spirito. È un'ora di gaudio indicibile. Mi giova anche per la rielaborazione del mio pensiero e la correzione d'alcune pagine che meritano d'esser meglio esposte. Così preparo di lunga mano la 2" edizione (se il libro avrà questa sorte). I1 lavoro pastorale e di tavolino è già, non solo normale, ma fecondo. L'unico riguardo che mi uso è una bella passeggiata nel nostro giardino allo spuntar del sole. Posso dire che il mal sofferto non ha lasciato traccia di sé. Ciò mi conferma nel mio giudizio, che fu mal sintomatico. È passato senza medicamenti, perché ogni medicina mi è stata contraria, col solo riposo, relativo, e con la cura, che come ho detto, continuo, della passeggiata al sol nascente. Ringrazio Dio e te delle preghiere a tal fine. Lavoro attorno al problema della morale, che mi cresce sotto gli occhi, con la gioia del giovane. I1 pensiero fluisce, tanto che spesso mi faccio minute. Le quistioni e i problemi, tutti belli e interessanti, pullulano, e le soluzioni (parmi almeno) vengono pronte e soddisfacenti. Confido in Dio e nella preghiera ... Spero di compire questo mio lavoro entro maggio. 22 febbraio 1925
Le udienze fecero interrompere la lettera cominciata con tanto desiderio. Ieri la giornata fu troppo piena. E siamo d a domenica. Ciò che mi scrivi della santa memoria di zio Luigi Sturzo mi recò tanto soave piacere. Di questo santo religioso avevo letto un bel necrologio poco dopo la sua morte. Lui e l'altro fratello P. Franco furono due veri fratelli nella santità l. Che il lor esempio ci stimoli all'imitazione. A P. Busnelii mandai il libro con un biglietto *, dove dicevo LETTERA 37. 1. Luigi e Franco Sturzo furono ambedue gesuiti; il primo svolse la sua opera in Irlanda e in Australia, il secondo in Portogallo e poi in Sicilia presso il collegio Pennisi di Aciteale. Cfr. G. DE ROSA,Luigi Sturzo, cit., p. 1. 2. Cfr. lettera 13, n. 3.
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che avevo scritto pei giovani, insidiati fortemente da libri avversari, soggiungevo che occorreva la cooperazione dei nostri alla sua diffusione. Aspetto le critiche con grande tranquillità. Un giornale bibliografico di Palermo ha su questo libro cenni altamente favorevoli. Anche da qualche professore ricevo espressioni di soddisfazioni. L'ansia della rinnovazione c'è e forse è forte. Ma penso che ci sia anche del timore. Troppo, caro mio, s'è insistito sulla perfezione definitiva del così detto tomismo. Tomismo! Ma c'è un vero tomismo? C'è una vera filosofia di S. Tommaso? Ecco quello che bisognerebbe metter in chiaro. La filosofia detta perenne merita questo nome in rapporto alla teologia, in quanto ne sostiene con la ragione, non sempre bene, la verità. Per esempio, si suo1 paragonare la generazione del Verbo alla generazione del nostro pensiero, e non si considera che i termini sono antitetici; infatti il nostro pensiero è conoscenza, non persona; conoscenza dell'oggetto, e non consustanziale autoconoscenza. Guardo la tua immagine nel giornale che mi hai mandato. Mi sembri più pingue; ma mi par di cogliere nell'aria del tuo volto una serietà non solita, un certo senso di mestizia contenuta. Che il Signore ti compensi coi gaudi dello spirito che vive per Lui e di Lui! Le due tesi come tu le proponi mi pare che abbiano... 23 febbraio 1925
... Vedi che interruzione brusca. Segno di lavoro intenso; e questo segno di buona salute. E ringrazio il Signore. Per le esigenze della scuola stampo a fascicoli anche il trattato sulla morale. Però se ne tira un numero limitatissimo di copie e non si mette in vendita. Ciò mi giova per le migliori correzioni quando sarà il momento della stampa del libro. A te dunque manderò i fascicoli della prima sezione appena saranno pronti. Riattacco il filo. Le due tesi, come tu le proponi, non mi par che abbiano altra importanza che di giudizio su un fatto: il fatto della legittimità o no dell'autorità. I o torno a quanto ti scrissi, mesi fa, su tale argomento, cioè, a riproporre il quesito se gli oppressi possano scuotere un regime oppressore. Questo, secondo me, è il punto che non è stato forse affrontato in pieno da altri che da Francesco Suarez.
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Le interruzioni si moltiplicano. Ora che posso riprender la penna per te, penso di chiuder la lettera e farla partire, perché son già cinque giorni che non ti scrivo, e non voglio far passare un altro giorno ancora. Ho anche da quindici giorni ripreso a far ai miei cari seminaristi la predichina della domenica. Ier sera fu la terza. Questo è per me un dovere grave e gradito. Se sapessi come stanno attenti i ragazzi. E come son buoni. Vengono spesso a conferire con me dei bisogni delle loro anime. Ed è un'edificazione sentirli. Mi parlano con semplicità (oh la semplicità! Ci insisto tanto ...) e con confidenza, come a confessore. Nel tempo della stanchezza la maggior pena per me era poter poco occuparmi dei miei birichini. Non li voglio come mummie; e voglio che facciano il chiasso quando ne è tempo, e che siano buoni per convinzione, buoni da ragazzi che hanno l'argento vivo. Ti abbraccio, caro fratello, e ti lascio nei sacri cuori di Gesù e di Maria. Prega pel tuo aff .mo fratello Mario
t
Piazza Armerina, 25 febbraio 1925
Carissimo fratello, ricevo a momenti la tua del 20. Quando le tue lettere m'arrivano la mattina, è doppia gioia per me. Oh! la mattina, il sole, il tepore del mio studio! Sia benedetto il Signore che dà ai suoi servi tante gioie soavi. Scrivo il mio nuovo libro per le mie scuole. Però lo scrivo come l'altro, lasciandomi menare dalle esigenze del mio pensiero. Libri puramente scolastici ora non posso farne, perché io non raccolgo, ma rifaccio. Senza ampiezza le innovazioni, le critiche, ecc. non verrebbero prese, e non agirebbero né sui nostri né sugli avversari. I puri manuali possono venir dopo, desunti dalle trattazioni. Però la mira scolastica mi giova spesso per precisare il pensiero, senza parer pedante, come parrei, se lo facessi senza mire scolastiche. E poi, ho detto, io scrivo per le mie scuole. Comunque, come ti dissi nella mia del 23, ora stampo il libro a
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fascicoli. Tu lo vedrai e dirai la tua saggia e autorevole parola per la preparazione alla stampa. Atto spontaneo non è solo sensitivo, ma anche spirituale quando è puramente diretto. E ci sono le volizioni spirituali spontanee. In queste non c'è libertà. La libertà è nel soggetto che può riflettere; c'è quando riflette e sceglie. S. Tommaso pone la libertà nella visione della ragione universale di bene in rapporto ai beni particolari. Non è così. La ragione universale di bene non è conoscenza appetitiva: l'astratto non è il bene, ma il pensamento del bene. L'uomo è libero, non puramente perché spirituale. In Cielo non c'è più libertà, perché il bene infinito è presente e concreto. L'uomo è libero, perché i beni son contingenti e egli è capace di riflessione. Solo nella riflessione si esercita la libertà. Di questa soluzione non dubito. Per me è evidente. Né è problema puramente nostro. I1 problema della libertà o della determinazione oggi più che mai è vivo nell'idealismo e nel resto di positivismo. Tratto questo problema quanto più accuratamente posso, perché è cardinale. 26 febbraio 1925
Stamani sul mio altare D. Giovanni ha messo i primi fiori primaverili: mazzi bellissimi di boluco doppio (viole a ciocca) di color rosa, quello che le nostre monache mettevano nel sepolcro del giovedì santo. Questo fiore mi ha fatto sentire la settimana santa e la primavera insieme. La settimana santa che vive indelebile nel mio spirito, è quella della chiesa del Salvatore, nei miei primi anni, quando l'ansia di servire all'altare era forte come un istinto, soave come una visione. Anche la primavera che rivive in me coi primi fiori è quella dei miei primi anni. Quella è la più poetica, la più bella, senza ombre, senza contrasti, solitaria contemplazione del verde dei campi, della nostra villa, di questa villa che allora era tanto bella, tanto seducente. Ora poi cosa ne hanno fatto, non si sa più. Rientro a studio dopo aver assistito alla conferenza del caso morale. Rigiro a te la quistione che si è lungamente dibattuta. Ecco i1 caso: Tizio si confessa a un forestiero. Dice di congiurare a danno della patria e che non può dar indietro. Resta inassoluto. Dopo alcuni mesi, scrive al confessore, che è tornato in patria, riespo-
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nendo il suo caso, senza verun richiamo o riferimento alia confessione, e aggiunge che il danno alla patria è imminente. I1 confessore resta perplesso se debba servirsi di questa notizia per scongiurare il danno della patria. Questo il caso. I pareri divisi. I più vogliono che la lettera si connetta con la confessione e perciò che cada sotto il segreto sacramentale. Qualcuno sostiene che connessione con la confessione non ce n'è, perché la lettera non ricorda la confessione, ma narra ex nouo il fatto; perché la lettera non è mezzo ordinato alla confessione. Si tratta della stessa notizia avuta in confessione, ma fatta fuori confessione, e perciò non soggetta al segreto sacramentale. La soluzione è stata rinviata al prossimo mese. I o trovo preferibili le ragioni dei meno. Tu vorrai dir la tua parola? 27 febbraio 1925
Torno dalla scuola. Siamo alla Quarta Sezione. S'è parlato della teoria di P. Zamboni circa la genesi del concetto l . Se avessi visto come vibrava la mia scolaresca (son circa venti). Immagina ciò che di più convinto e vibrante puoi; aggiungi che io ne ho ricevuto vivo il riflusso; vibro ancora quasi giovenilmente... È un piacere, sai, far così la scuola. Ci si ringiovanisce. L'unita stampa è la correzione a uno sgorbio delle nostre morali (tutte) circa la classificazione del segreto, dettata da me in una LETTERA38. 1. Giuseppe Zamboni (1875-1950), professore di filosofia, fece parte del Corpo Accademico deli'università Cattolica del S. Cuore di Milano. La sua filosofia può essere ricondotta al vasto movimento della ripresa del Tomismo. Fra le sue opere si ricordi La gnoseologia dell'atto come fondamento della filosofia dell'essere (1923); La persona umana (1940); La dottrina della coscienza immediata e la scienza positiva fondamentale (1951). Si fa riferimento alla teoria per cui nella formazione dei concetti appare fondamentale l'esperienza del proprio io. Essa è intesa come l'unica esperienza diretta della sostanza che consente quindi la conoscenza delle altre sostanze e la formazione dei concetti. 2. Ecco il testo della bozza a stampa allegata: « I1 segreto si suole distinguere dai teologi in naturale, commesso e promesso. Questa divisione deve essere riveduta. Più esattamente il segreto si distingue in naturale e convenzionale in quanto il primo dipende daila natura delle cose, i1 secondo dalia libera volontà degli uomini. Una cosa è naturalmente segreta quando non è conosciuta che da uno o da pochi. È convenzionalmente segreta quando pure essendo pubblica liberamente si promette di non parlarne. Il segreto naturale si divide in semplice e d'ufficio. È semplice quando non interviene nessun contratto con riferimento sociale che imponga il silenzio intorno a ciò che per sé è occulto; è d'ufficio quando alcuno riceve notizia di cosa naturalmente segreta per ragione del suo ufficio, o per amicizia che socialmente si reputa
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deile passate conferenze di casi morali. I1 caso (cioè, la soluzione) fu stampato nel bollettino. Questa è la mia correzione, che ho fatto estrarre così, a h c h é sia inserita nei libri di testo. Ce ne vorrebbero molte di tali correzioni... Ma, dice Lehmkuhl 3, i teologi son come i somari: vanno l'uno dopo l'altro, l'uno copiando l'altro. E dice verissimo. Nelle conferenze dei casi morali ora c'è un po' di vita. Da principio no. Non prendeva la parola nessuno. Udita la soluzione si restava lì, anche se si fossero uditi spropositi. I o a poco a poco ho abituato i miei sacerdoti d a disputa. Non ho ottenuto l'entusiasmo, ma un po' di vita. Però se manco io, si torna all'antico. Piazza, dicono, non è aria di dotti. E forse è vero. Però il piazzese è pratico e fa bene i suoi affari, più del caltagironese. Attaccato al passato, misura bene il presente, e non sogna progresso. I1 suo sogno è che il presente sia come il passato. È una pena star in un tal ambiente. Ma che ci si fa. Ogni città ha il suo bene e il suo male. Sto bene. Lavoro con entusiasmo. I1 lavoro, come ti scrissi, mi cresce sotto gli occhi. Quando è la sera, sogno il mattino. Se mi sveglio qualche ora prima dell'alzata, (cosa rara) è difficile che mi riaddormenti, perché il pensiero corre dove certo la notte non è bene correre, corre al tavolino. Ridi? E ne hai ragione. Ma se io non vibro, non sto bene. Fo punto per far partire oggi la lettera. Ti abbraccio. Tuo t Mario Come si pronunziano i seguenti nomi: Smiles 4, Byron5, Pusey 6, Tyrrei17? ufficio. La promessa si può anche fare di ciò che naturalmente è segreto. I n questo caso nasce in colui che ha promesso, un nuovo dovere proprio per virtù della promessa, e conforme al contenuto della medesima P. 3. August Lehmkuhl (1834-1918) teologo autore fra l'altro di Die Katholische Moralfheologie und das Studiurn derselben (1901). 4. Cfr. lettera 31, n. 2. 5. George Gordon Byron (1788-1824), il noto poeta inglese. 6. Edward B. Pusey (1800-1882), teologo inglese di Oxford, fautore deila riconciliazione fra chiesa anglicana e romana, autore deii'Eirenikon. 7. George Tyrrell (1861-1909), teologo e filosofo irlandese, si convertì dall'anglicanesimo al cattolicesimo, partecipò ai movimento modernista, fu espulso daiia Compagnia di Gesù di cui faceva parte per i suoi convincimenti modernisti. Si ricordano Religion as a factor of life (1902); Mediaevdisrn, risposta ai card. Mercier (1908) e Chtirtianity at the cross-roads (1909).
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Piazza Armerina, 28 febbraio 1925
Amatissimo fratello, tu mi dai idee e fatti, e sta bene; sono tanto interessanti; son per me specialmente interessanti, perché mi vengono da te, che tanto amo. Ma i tuoi sentimenti, i sentimenti che suscita in te la vita in terra straniera, che non son fatti? Quando, a volte, la tua penna scivola in questo campo, dove è tutto il mio Luigi che tanto amo, tu non puoi credere la gioia che io provo. Parli già l'inglese? Questa domanda te l'ho fatta già altra volta. Intendi codesta lingua, quando la senti parlare? Penso di sì; penso che dalla preparatoria sia passato già alle classi superiori. Ieri si compì il quarto mese della tua dimora in Inghilterra. In quattro mesi tu molta lingua avrai appreso. Lo credo. 1 marzo 1925
Marzo comincia con un giorno soavemente primaverile. Vengo dalla mia passeggiata al primo raggio del sole, nel nostro giardino. Fiorisce già l'iride, o giglio fiorentino o giaggiolo, bianca. La vista di questo fiore, delicato come un velo leggermente ricamato, e bello, mi ricorda le soavi impressioni primaverili dei miei primissimi anni. Cosa curiosa! Allora questo fiore, non mi piaceva per le sue foglie rivoltate. Sopra tutto non mi piaceva il bianco. Ora è il bianco che mi piace sopra tutto. Passeggiando ho cercato la spiegazione del fenomeno. Come ora mi ricorda quel lontano passato come incantevole, quando allora la vista di questo fiore mi cagionava disgusto? Prima ho creduto che si trattasse di un'anomalia. Poi parmi d'aver trovato la soluzione. Si tratta del ricordo, non del piacere del fiore, ma del piacere della villa verde e del cielo tiepido e sereno, associato alla memoria del fiore. 2 marzo 1925
Ieri la mattinata fu presa dal Cav. Russo e dal Commissario del Comune di Castrogiovanni. Fatto il ricorso in Cassazione, essi si sono giustamente preoccupati per le spese. I1 giudizio presso la 5" Sezione del Consiglio di Stato loro costò lire 20 mila. E hanno
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proposto un accordo. Dopo non molto discutere, si è venuti a una conclusione tutta in favore della Chiesa. Così, avuta l'approvazione del Ministero, che non potrà mancare, finisce uno stato di cose molto lungo e seccante. La conclusione è questa che io ho ottenuto con questo accordo ancora più di quanto mi aveva dato il decreto reale. Godine meco e confortati del dolore della sentenza del Consiglio di Stato. 3 marzo 1925
Ieri a Piazza Armerina banda, placardi di tutti gli evviva, movimento di popolo. Cos'era successo? Nulla. Era stato sfondato il traforo del tronco Piazza-Caltagirone che passa sotto la villa. H o pensato! Gli evviva ai duci! Se mai, agli operai. Già, è così nel bene e nel male; la gente cerca i maggiori esponenti. I n un certo tempo di lotte a Caltagirone (ricordi?) un fulmine colpì un bel pino della villa. I1 buon Vincenzo Petralia, di santa memoria, passando di là con degli amici, si fermò a contemplare l'albero inaridito, ed esclamando, disse: Ci colpa ... Chi, chiesero gli amici. E Petralia: Luigi Sturzo! Le mie note si son fatte brevi. Ne sento quasi rimorso. Questa è scritta di sera. Ma che vuoi! Le forze son tornate così, che mi consentono lavoro lungo e intenso. E perciò mi rifaccio dei due mesi passati senza far nulla a cagione della stanchezza. L'ansia del lavoro è tale che non mi consente tregua. Stanotte ho sognato e pensato alle pagine che dovevo scrivere, e ho scritto, stamani. I1 mio cervello è assetato di lavoro. Se non avessi il giudizio dei capelli bianchi, mi chiuderei in camera, e non scriverei che filosofia. Manco male che questo po' di giudizio non l'ho ancora perduto. Del resto, son sicuro che ciò non ti farà dispiacere, e che la pena della macrezza delle lettere ti sarà compensata dal pensiero che lavoro anche per far piacere a te. Sono in vena, caro fratello, come mai. Scrivo intorno al problema morale con la foga dei migliori anni, scrivo, quasi non dissi, senza pensare. E che gioia che provo! Oh quanti problemi, e di quale importanza e bellezza! Faccio bene il mio dovere? Non lo so. Spero di non farlo troppo male, e aspetto con ansia il giorno che leggerò le tue saggie osservazioni. Aiutami con le tue preghiere: è una battaglia pel bene che combatto. Che non abbia a lavorare indarno. Se il Signore
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m'assiste, debole e inadatto come sono, qualcosa farò, o meglio, farà Dio per me. Vorrei scrivere a lungo, ma è sera. Né aspetto il nuovo giorno a continuare questa lettera, perché son quattro giorni che non ti scrivo. Dunque, mi fermo qui. Aspetto le tue lettere con vivo desiderio: quando giungono, faccio festa come un ragazzo. Che non sono un ragazzo? Salvo che ho i capelli bianchi. Abbracciami, fratello del mio cuore, come ti abbraccia il tuo &.m0 fratello t Mario
Musica d'altro tempo
A te ritorna assiduo Tra i fremiti del core, Ritorna tutte l'ore I1 mio pensiero a te, A te, cui l'ansia trepida D'un awenir mal fido Lungi dal patrio lido Volse l'errante piè. Non fu viltà, ma libero Voler che in alto mira, Che, se resiste all'ira, È docile al dover. Non ti travaglian le ansie Più del lottar severo; Bastano al tuo pensiero Le sante ansie del ver. Te, cui dell'alma patria La porzion migliore Nelle più trepide [ore] Plaudendo seguì, Quando domo l'orgoglio Della tedesca terra, Più fier grido di guerra In fra di noi s'udì,
Appella invan nell'arduo Nuovo cimento... B l'ora. Né che la patria plora E leva al Ciel le man... Passa siccome fremito, Vola di lido in lido Invan l'ansioso grido... Troppo or tu sei lontan. Pure a te giunge il sonito Del fraterno dolore E ti ferisce il core Come infocato stral. Ma se nell'alto Empireo Altro decreto è scritto, Ahimè! del cor trafitto I1 lamentar che val? Dunmi, l'occhio tuo linceo, I1 tuo lungi-mirante Occhio, scorge l'istante Dell'atteso awenir, Che dia fine allo strazio Della fraterna guerra Ed alla patria terra Dia libero gioir?
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Tu non rispondi. Estraneo Suolo t 'accoglie. L'ora Non giunge ancor. T'accora I1 libero esular? Che pensi tra le tacite Pareti, ove, silente, Senti l'estranea gente Libera affaticar? Geme, al contrasto, indomito I1 tuo spirto? Dispera Della Patria? ... Ah! non era Sì tristo il suo destin! No, tu sollevi il fervido Cor alla prece. Iddio Non lascia nell'oblio Dei popoli il destin. Più dal mattino al vespero Non c'è ressa a te intorno, Né ti rimena il giorno Incalzante lavor. Sol son con te gli Spiriti Che, chiusi in ampio velo, Invisibil, del Cielo Riportano al tuo cor
La tua prece, di balsamo Celeste irnpreziosita, Che di novella vita Ti desta il palpitar, E riportan solleciti L'affamo, la preghiera Del cor che in Dio sol spera E in Dio sa tutti amar; Tutti amar, anche gl'intimi Che ti tradir. I1 core Che si desta d'amore, Non ignora l'arcan Del perdono, del gaudio Celeste del perdono. .. Ah! questo eccelso dono Non si domanda invan. Chiuso nel tuo silenzio, E nel voluto oblio, Più non cerchi che Dio, Non cerchi che il suo amor. Alla sua luce leggere Nell'avvenir lontano Tu sai. Non spesa invano Quando in Dio spera il cor.
Piazza Armerina, 4 mano 1925 Carissimo fratello, penso che la lettera che ti ho spedito ier sera ti farà ridere un po' sulle fantasie del fratello. È un fatto, vivo ancora di brio, e guai se mi mancasse l'entusiasmo. Quando io non sento entusiasmo, non son buono a nulla. Per ora mi tiene in brio il mio lavoro sulla morale. Ne vivo intensamente, ci penso tutte le ore che non son costretto a pensare a altre cose. Quando prendo la penna, vola sulla carta e le ore passano come il vento. Quando il tempo è passato e devo smettere, è come se mi si strappasse un bran-
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dello dal cuore. Credo però che questo sia una legge. Penso che nessuno, che fa cose di suo genio, lavori senza entusiasmo e si dimentichi del suo lavoro quando bada a altro. Lasciamo questo punto, ché non la finerei. Sto bene, e ringrazio Dio. Infatti la malattia non s'accorda né con l'entusiasmo né col lavoro. E tu? Spero che stia sempre bene e che il raccoglimento dell'esilio (lascio correre la parola) ti giovi all'anima e al corpo. Ricevetti la tua cartolina del 24 febbraio. Attendo la lettera promessa. Però ti ripeto che non voglio esser pretenzioso. Purché non mi faccia mancare le tue nuove, e poi, se hai tempo, scrivimi lettere, se non ne hai o non ti senti, bastano le cartoline. La mia scuola di filosofia - ora che sto bene - è molto più animata. L'interesse dura e cresce. Spero tra un mese cominciare le lezioni di filosofia morale, sulle dispense. Per me quell'ora - è la prima - è di gaudio vivo. « L'Ora » di Palermo ha l'altro giorno riportato intero l'articolo di Anile sul mio libro '. A Roma dal 15 al 20 aprile ci sarà un congresso tomistico. I1 tema principale è il problema della conoscenza. Uno dei punti è questo: « se occorre proporre una nuova soluzione ». I1 promotore principale è Mons. Talamo '. Se non ci sarà feticismo, qualche cosa spunterà. I o son tentato d'andarci. Poi penso che mi strapperebbe il lavoro nel meglio. Io vorrei finire prima che venga il caldo, e non far come lo scorso anno. Basta, vedremo; c'è ancora tempo a pensarci. LETTERA 40. 1. Cfr. lettera 25, n. 1. 2. Salvatore Talamo (1844-1932), filosofo neo-tomista, discepolo del Sanseverino, professore di filosofia del diritto aii'dpoliinare, segretario dell'Accademia filosofica-teologica di S. Tomrnaso di Napoli e segretario deii'Accademia romana di S. Tommaso. Diresse con Toniolo la «Rivista internazionale di scienze sociali e discipline ausiliarie D. I1 Talamo fu autore di importanti opere sull'aristotelismo e sul neotomismo (cfr. Il rinnovamento del pensiero tomistico e la scienza moderna, Roma 1927, 3a ediz.). Di lui ha scritto Francesca Duchini: 4 Il progetto sociale che emerge dal complesso degli scritti di Talamo è, per certi aspetti, ancora legato all'idea di restaurazione di una "società cristiana" propria dei suoi tempi; valutati in una più ampia prospettiva storica i suoi scritti appaiono però elementi fondamentali (anche se non sufficientemente apprezzati dalla storiografia) di quella azione di promozione e di rinnovamento culturale che diede al movimento cattolico la possibilità di aprirsi alie esigenze di una società pluralistica moderna ». Cfr. Dizionario storico del movimento cattolico in Italia, vol. I1 S. v .
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5 marzo 1925. Sera
Oggi è il 49' o 50' anniversario del mio chiericato. È un pezzo che ne ho smarrita la data precisa. Fu il 5 mano 18752 Fu il 1876? Invano confronto fatti con fatti. Comunque, o nozze d'oro, o il 49" anniversario, è giorno sacro per me, e lo celebro con la più viva commozione, anche pel fatto che il buon Dio mi mantenne la vocazione non ostante Ia mia birichinata. Ricordo che presi il santo abito di domenica; assistetti in Cattedrale alla messa cantata e mi fu fatto tenere, al lavabo, il vassoio col manuterzio. I o ne fui orgoglioso, stimando che mi si usasse quella distinzione pei miei meriti, quelli almeno, d'esser di nobil casato. Ma vedi che razza di sentimenti avevo in quel santo giorno! E che bel titolo di preferenza essere figlio di papà! Ecco: la data - che ora invano cerco - m'è sfuggita; quella miseriola invece mi è così presente, come se fosse di ieri! E mi son presenti tutte le circostanze. Dunque oggi o celebro le mie nozze d'oro chiericali, o entro nell'anno giubilare. Sia l'uno o l'altro, voglio cavarne il maggior profitto possibile. Voglio cercar di far meglio i miei doveri e di prepararmi al giubileo della morte con la maggior diligenza possibile. Sacerdos in aeternum in Coelo! Oh che sorte; Che il Signore mi conceda le grazie necessarie al fine. 6 marzo 1925
Ier sera la lettera fu interrotta dalle udienze. La più importante fu quella concessa a un seminarista novello che io vedevo da vicino per la prima volta. Mi parlava delle sue pene, perché, sentendosi chiamato darvita missionaria, il padre gli aveva negato il permesso di seguir la sua vocazione. Questo ragazzo di soli 14 anni, che sotto un testone smisurato ha un visino d'angelo, parlava con l'ansia che tradisce un grande amore. I suoi occhi avevano lampi, il suo atteggiamento aveva guizzi che non si osservavano senza commozione. Forse mai ho visto ragazzi più buoni, più puri, più trasparenti, più ardenti, più convinti. Cosa curiosa! Ripensando poi a lui, e considerando la sua età di 14 anni, mi son ricordato che io avevo 14 anni quando entrai nel santuario. Dunque vi entrai nel 1876 e non nel 1875. I o mi guardavo bene allora d'apparire più grande che non fossi. Se nelia mia
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memoria l'età di 14 anni scatta fuori con certezza, i 14 anni li avevo certamente compiti nel novembre precedente, cioè, nel 1875. Ecco trovato quel che cerco da più anni. Le mie nozze d'oro chiericali dunque cadranno l'anno venturo. 7 mano 1925
Ieri aspettavo tue nuove. Spero me le rechi la posta d'oggi. Oggi è S. Tommaso. I1 seminario ha vacanza, e a buon diritto. Io invece ho lavoro più lungo, perché non devo far lezione. Certo dovrei anch'io prendermi la vacanza in onore del Santo della mia materia. Penso però che l'onoro meglio lavorando. Non fu Egli modello insuperabile di strenuo lavoratore? E mi propongo d'imitar la serena calma di Lui. Io, spesso lavoro con troppo ardore e continuità, cose che fiaccano anche i giovani. Vediamo se riesco a lavorar calmo e a interrompere opportunamente per qualche tempo il lavoro, per riprenderlo dopo aver respirato. Ricevo la tua. Che piacere! Son felice di sentire che la nuova abitazione ha tanti vantaggi, non ultimo per la salute la buona esposizione. Aspetto con vivo interesse le tue impressioni su Chesterton. La tua affermazione che non ci sia conoscenza negli appetiti e che venga da altre facoltà, così, puramente e semplicemente, non so accettarla. Però, siccome questa quistione è da me trattata nei suoi vari aspetti, nel nuovo lavoro, così mi astengo di tornarvi su per lettera. Quando tu avrai visto intero il mio pensiero su tal quistione, potrai meglio farne la critica. È già tardi. La lettera fu interrotta. Ora la chiudo e la mando alla posta. Io penso a te, nella tua popolata solitudine. E vorrei scriverti un passio ogni giorno. Se potessi scrivere con la rapidità dell'elettrico, credi pure che non ti darei più tregua. Ma ho solo una mano per scrivere, e devo far gli affari l'uno dopo l'altro. Contentati dunque di questa chiacchierata, considerando, che quello che la penna non arriva a dirti, te lo dice il cuore, che batte sempre - e con che forza - per te. Ti abbraccio. Tuo f Mario
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Piazza Armerina, 10 marzo 1925
Carissimo fratello, dopo tante lettere una cartolina non guasta, e può piacere come una varietà. H o ricevuto la tua del 2 corrente. Io ti ho scritto il 7 e il 9. Desidero sapere se hai ricevuto queste lettere. Dimmi, il ritratto del buon P. Luigi l , a quale dei fratelli assomiglia? Parmi aver sentito che quel santo nostro zio assomigliava al fratello Croce. Ricordi lo zio Croce? Cieco? È vissuto sin due anni fa, sino ai novanta e forse più anni, sempre presente a se stesso e in pieno possesso delle sue facoltà mentali. Tra giorni nella mia scuola h i s c e lo studio del problema della conoscenza (per queili di 2" e 3" anno). Subito comincerò a dettare il problema della morale. Le prime dispense son pronte. L'impressione degli ultimi capitoli tra gli alunni è vivissima. È come la soddisfazione d'una prova lungamente attesa e anche come la sorpresa di cose che non si attendevano. La S. quaresima trascorse nel raccoglimento e nelle mortificazioni vivificanti. Che tempo prezioso! Dio si sente più vicino, la Chiesa ha più incanto - mesto per ora -, poi sarà come l'erompere della gioia attesa. Allora è la Pasqua, la sempre desiderata e sempre nuova Pasqua. Sto bene. Lavoro di lena. Vivo della gioia delle tue lettere e anche di certo tono minore che esse suscitano o accentuano nel mio spirito pensando a te. Ricordati di me nelle tue preghiere, come sempre fa il tuo &.m0 fratello t Mario
Piazza Armerina, 15 marzo 1925
Carissimo fratello, ti ho scritto il 7 e il 9 ; poi il 10 ti ho mandato una cartolina. Poi non ho avuto più tempo da riflatare. E siamo alla domenica. LETTERA 41. * Cartolina postale. 1. Cfr. lettera 37 nota. LETTERA42. Cartolina postale.
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Per non farti stare in pena, giacché nemmeno oggi ho tempo da scrivere una lunga lettera, mi contento di questa cartolina. Ricevetti la tua carissima lettera - credo del 5 (non ho tempo di riscontrare la data; quella di mezzo foglio). Godo nel saperti sano e occupato. Ti spedirò i primi fascicoli appena arriva il terzo (e certo arriverà lunedì). Gli atti spontanei della volontà son la base degli atti riflessi, perché riflessione senza spontaneità non è concepibiie. Però, normalmente, son l'inizio degli atti, perché l'inibizione o la sospensione o la scelta, sopravvengono con grande immediatezza. Son tutti gli atti che gli asceti chiamano tentazioni non ancora consentite né respinte. Sono una parte di quelli che i moralisti chiamano atti dell'uomo (la parte che promana dalla pura volontà, come per es. l'orgoglio). Breve: sono il muoversi della volontà prima che sorga l'attenzione in qualche modo riflessa. Sto bene. Siamo piombati nel più crudo inverno, con gran vento e neve. I1 mio lavoro procede sempre rapido pieno di gioia. Prega assai per me, come io faccio sempre per te. Ti abbraccio t Mario
Piazza Armerina, 18 marzo 1925
Carissimo fratello, eccomi di nuovo con una cartolina. Dopo quella del 15 speravo di scriverti una lunga lettera. Mi sono ingannato. I1 lavoro m'incalza, da non mi lasciar tempo di respirare. Però sto bene. Mi conforto a questa volta pensando che ieri ti ho fatto spedire i primi tre fascicoli del mio nuovo lavoro. Possono bene valere per una lettera. Appena si stamperanno gli altri, ti saranno subito spediti. E parmi che la tipografia non perda tempo: ne dà due la settimana, su per giù. H o tante cose da scriverti, e spero aver più tempo nei giorni che verranno. Però, come ti scrissi, mentre sono in vena, non tolgo al mio lavoro né tempo né forze. Credo che tu approverai. Ti prego di por mano finalmente al tuo lavoro sullo stato moderno. È dovere che non differisca più, perché quello è un libro che manca. Risolviti almeno per far piacere a me. I o spero trovarvi LETTERA 43. * Cartolina postale.
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la soluzione di molti problemi che tormentano da tempo il mio spirito. HO letto il tuo studio sulla « Rassegna » l . Veramente bello. H o letto l'articolo di A. Crespi '. Gli son grato. Ringrazialo da parte mia. Venerdi, a Dio piacendo, farò la prima lezione sul problema della morale. Caro fratello, ti abbraccio nel S. Cuor di Gesù dove ti lascio. Tuo t Mario
Piazza Armerina, 22 marzo 1925, di sera
Carissimo fratello, ho ricevuto le tue del 6, 10, 15 corrente. Io ti scrissi l'ultima cartolina il 18. E torno con le cartoline. La ragione la sai. Delle tue lettece, sempre più intime e soavi, ti ringrazio. I o tornerò alle lettere quando la foga del comporre si sarà attenuata. Musica d'altro tempo si chiamò così, per omaggio al tuo giudizio su quegli altri versi; ti fecero l'impressione d'udire « musica d'altro tempo D. Ora, essendo lo stesso lo strumento e il suonatore, la stessa doveva esser la musica. Mi pare. Fu messa fuori il giorno otto, in una epica lotta tra la filosofia e la poesia, perché ognuna voleva per sé il tempo del mio lavoro; e ne ebbero un po' per una alternativamente. Di Varisco ti scriverò l . Domani, spero, arriverà la 4" dispensa, e ti sarà subito spedita. Ti prego, leggendo le dispense, di badare al lor valore in rapporto al libro, che ne uscirà. Io mi lusingo di non aver a fare come lo scorso anno, cioè di non dover rifare il lavoro. Ma io sono giudice e parte. E aspetto il tuo giu1. L. STURZO,Per lo studio di un fenomeno etico-psicologico, in «Rassegna Nazionale », febbraio 1925, pp. 73-86. Dall'antico al nuovo realismo, in « Rassegna Nazionale D, febbraio 2. A. CRESPI, 1925, pp. 87-95. Si tratta di una recensione al volume di Mario Il problema della della conoscenza, cit. Secondo Crespi con quest'opera l'autore « s'è accinto... a riporre la scolastica nella corrente del pensiero moderno, dimostrando d'avere in sé il criterio di orientazione di cui tutte le varietà del pensiero filosofico moderno, da Descartes in poi, vanno, più o meno consaputamente in cerca » (p. 94). LETTERA44. * Cartolina postale. 1. Bernardino Varisco (1850-1933), professore di filosofia teoretica a Roma. I1 suo pensiero si sviluppò dal positivismo ad un coscienzialismo idealistico ed al teismo. Si ricordino le opere Scienza e opinioni (1901); I massimi problemi (1910); Sommario di filosofia (1928); Dall'uomo a Dio (1939).
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dizio sul riguardo e sui possibili ritocchi, nel caso che tu giudichi definitivo il lavoro. Sto bene. Lavoro, grazie a Dio, di lena, senza affaticamento. Ti sto vicino col cuore e specialmente nella preghiera. Tu prega per me, e specialmente &ché il buon Dio benedica il mio lavoro che è tutto per Lui. Ti abbraccio. Tuo Mario
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Piazza Armerina, 30 mano 1925
Carissimo fratello, la tua cartolina mi arriva a momenti. Ti arriverà a Parigi questa mia risposta? Lo spero. Sto, grazie a Dio, benissimo; lavoro sempre con lo stesso fervore. La prima sezione è a buon punto. Verrà lunga più che non credessi - verrà circa 300 pagine di stampa come quella di Problema della Conoscenza. E si presenta come un lavoro compito in se stesso. Si potrebbe intitolare « Il problema della volontà » e stampare subito. L'altro volume - che forse avrà la stessa estensione - s'intitolerebbe « I1 problema della morale ». Ti dico questo, &ché tu legga il lavoro sotto questo rispetto, e possa fare il tuo giudizio circa il merito e circa l'opportunità di stamparlo a conto suo. Ti abbraccio. Tuo Mario
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Domani ti scriverò a Londra.
Piazza Armerina, 2 aprile 1925
Carissimo fratello, ' questa sicuramente ti troverà ritornato a Londra. A Parigi ti scrissi il 30, appena ricevuta la tua cartolina. Ti dicevo che il giorno dopo ti avrei scritto a Londra; ma sino a ora mi è mancato ii tempo. H o ieri letto suil'« Ora » un cenno abbastanza largo della LETTERA 45. * Cartolina postale. LETTERA46. * Cartolina postale.
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sua interessantissima conferma a Parigi l. Ho letto sul Bollettino ecc. la tua recensione sul libro di B. Croce 2. Fatta benissimo nel senso più stretto della parola. Del tuo articolo sulla « Rassegna Nazionale » ti feci un cenno già 3 . Sì, compresi. È una risposta a quell'articolo d'agosto. Ed ha un bel tono, alto, fermo. La ragione fondamentale è saldissima, invincibile. Mi parve meno forte e forse anche un po' debole quando comincia a discutere le ragioni e gli stati soggettivi. Ti sei ricordato allora d'esser teologo moralista. Invece avresti dovuto condurre quel punto in altro modo, cioè, indicando per esempio il dovere di superare il puro stato soggettivo e il modo come superarlo. E se in tal senso scrivessi uno studio di proposito, renderesti un grande servizio alla causa della morale pratica o meglio vissuta. Sto bene. I1 mio lavoro volge al suo termine cioè, la prima sezione. Ti scrissi già quel che in merito penso. I1 tipografo è stato occupato in altri lavori. Però il 5" fascicolo è già pronto. Ti abbraccio. Tuo t Mario
Piazza Armerina, 7 aprile 1925
Amatissimo fratello, . questa ti reca gli auguri della S. Pasqua, tutti pieni di fraterno vivissimo affetto. Come prego, commosso più del solito, per te in questi ss. giorni, fratello del mio cuore! Che il buon Gesù, che ci precedette con la croce sulle spalle nel cammino del Calvario, ma che poi risuscitò pieno di gloria, conceda a te l'abbondanza delle sue benedizioni, a te che soffri per la giustizia, e non ti neghi la grazia d'un ritorno, non lontano, nella patria terra. Son desideroso, ansioso di tue nuove. Dopo la tua cartolina del 28-3, da Parigi, non so più nulla di te. Credo però che sei 1. Una conferenza di D. Sturzo a Parigi sulla situazione italiana, in « L'Ora », 31 marzo 1925, p. 3. 2. Fra il 1924 e il 1925 Luigi Stuno pubblicò sul «Bollettino bibliografico di scienze sociali e politiche » due recensioni su Croce, la prima riguardante il volume Elementi di politica, uscita nel numero di novembre-dicembre 1924 (cfr. lettera 20, n. 3), la seconda riguardante la Storia del Regno di Napoli, uscita nel numero di gennaiefebbraio 1925. 3. Cfr. lettera 43, nota 1.
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già ritornato a Londra, contento del tuo viaggio in Francia, del quale i giornali ci hanno trasmesso l'eco. Sto bene,. Lavoro sempre a un modo. Come ti dissi nella mia cartolina del 2, il mio lavoro sulla morale (I1 problema della volontà), volge al suo fine. Ti dissi anche come penso di farne due volumi, il lo col cennato titolo: Il problema della volontà, il 2" col vecchio: I l problema della morale. Due volumi, perché un solo verrebbe troppo vasto; e, sopra tutto, perché veramente son due problemi; ed è meglio, per lo studio e pel volgarizzamento delle idee, presentarli distinti. Su ciò, come ti dissi anche, aspetto i: tuo parere, dopo che avrai letto tutto questo primo volume. Te ne sono stati spediti cinque fascicoli sino a questo momento. Questo primo volume avrà o lo stesso numero di pagine di Il problema della conoscenza, o poco meno o forse anche poco più. Al punto che sono non posso far giudizi più precisi. Quel caso morale di cui ti scrissi, credo, in febbraio, è vero, verissimo, reale, storico: solo il fatto è vestito in una concretezza diversa dalla reale, come fatto, identica come valore, e ciò per giusti riguardi di prudenza. È stato discusso di nuovo l'ultimo giovedì di marzo, ed ha prevalso l'opinione che giusto coincide coi criteri da te accennati. Al congresso non andrò, e quindi - per ora almeno - nemmeno a Roma: l'ho già scritto a Nelina. Se il tuo discorso fatto a Parigi è stato stampato, mandamene copia l . Capisco che è stato uno sforzo leggere a Parigi un diLETTERA 47. 1. Si tratta della importante conferenza tenuta da Sturzo a Parigi il 30 marzo 1925 su iniziativa del « Comité National d'études sociales et politiques » presso 1'Institut Catholique, già citata alla nota 1 della precedente lettera. I1 testo della conferenza fu pubblicato in «La Jeune République », Paris 12 f e b braio 1926 (cfr. L. STURZO,Miscellanea londinese, Zanichelli, Bologna 1965, vol. I, p. 98 ss.). Nel discorso L. Stuno critica una opinione corrente d'estero che tendeva a legittimare il fascismo come unica forza che potesse ricondurre l'Italia al risanamento economico e d'ordine. Tale opinione veniva ritenuta meschina e ingiusta rispetto ad un paese che vantava oramai una tradizione di stato unitario e il superamento felice della crisi della grande guerra. Sturzo ammonisce a non considerare il fascismo un fenomeno transitorio e di superficie; ne rileva le influenze non solo politiche, ma anche morali e la necessità di combatterlo in polemica con l'attendismo di un Giolitti o di un Croce. Colto così il fenomeno fascista, si indicano le condizioni che lo resero possibile neli'annullamento deiie differenze fra i partiti dopo il dibattito fra destra e sinistra storica, nel giolittismo, nei caratteri protezionistici di una borghesia pronta a tutto pur di conservare il potere. Cfr. G. DE ROSA,Sturzo, cit., p. 277 ss.
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scorso in francese; ma è stato uno sforzo - credo - utile: cosi ti sarai convinto della necessità di conoscere almeno alcune lingue delle viventi. Aspetto più ampie notizie di questa tua gita a Parigi. A me è parso quasi di rivederti: eppure le lettere impiegano quattro lunghi giorni ad arrivare. Come l'affetto con la fantasia agiscono sulla realtà! Poi vedesti Chesterton? Io spero di compire questo primo volume del mio lavoro sulla morale fra una quindicina di giorni. Poi andrò un po' in S. visita; poi a Caltagirone per le feste centenarie della Cenadomini a fine maggio. Vi predicherò un triduo (o forse anche tutta la novena). Così darò un po' di riposo al mio pensiero, per ripigliare il lavoro intorno al secondo volume nella pace delle vacanze. Caro fratello, amami quanto io t'amo. Prega assai per me e per la mia diocesi. Io pregando, ho sempre il tuo nome nel cuore e sulle labbra; sempre, anche quando non prego, sol che levi gli occhi a qualche sacra immagine o che passi avanti alcuno dei tuoi ritratti. Ti abbraccio. Tuo t Mario
Piazza Armerina, 13 aprile 1925 sera
Amatissimo fratello, ricevo a momenti la tua cartolina del giorno otto, che mi annunzia il tuo ritorno a Londra. Grazie degli auguri pasquali. I miei - fatti per lettera - spero ti siano arrivati ieri. Io non ho nessuna fretta che tu legga le dispense. Le mando, perché le hai tu chieste: diversamente le avrei mandate poi tutte insieme. Quel che mi preme è che tu legga questo mio nuovo lavoro nei momenti di maggior disposizione, per giudicarne con tutta esattezza ed oggettività. 11 libro, come è venuto (sono alle ultime pagine), non è scolastico. E cosi va considerato. Un manuale scolastico si può desumere da esso. I1 libro vuol essere un contributo. La Rivista dei Giovani » (Salesiana) ha un cenno sul mio libro sul problema della conoscenza, molto affrettato. In generale apprezza il LETTERA48.
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libro. Fa però degli appunti circa la genesi dei concetti, fraintendendo nel modo più completo. E volge (s'intende all'autore) due domande. Pensi che metta il conto rispondere? La risposta non potrebbe che rilevare la gaffe. Attendo il tuo consiglio. Sto bene. Ti abbraccio con vivissimo affetto. H o letto sui giornali il rapporto della tua conferenza. Tuo t Mario
Piazza Armerina, 14 aprile 1925 sera
Amatissimo fratello, sento così vivo bisogno d'intrattenermi con te per mezzo di lettere ... e devo soffocare la voce del cuore, tanto, dall'altro lato il lavoro m'incalza. Quando avrò finito questo primo volume, come spero, sarò meno attanagliato, e potrò tornare alle letteregiornale. Giustissimo quanto mi scrivi circa l'interpretazione di S. Agostino .al fatto di Giacobbe. Quel che poi è graziosa, è la teoria della metafora! Quando nel breviario incontro di simili lezioni, dico: Ma non si potrebbe trovar di meglio nei Padri? Ci sono tesori, e noi, spesso, siamo costretti a subire la scoria. Hai ricevuto l'« Unità D l ? Un articolo chiaritivo non sarebbe superfluo. Certo Crispolti ha ragione quando dice che i c~munisti farebbero dell'anticlericalismo 2. Ma non è questo il problema, sibbene un altro. 15 aprile 1925 sera
Leggo sull'« Ora » un cenno della tua intervista col corrispondente della Stampa >> 3. Aspetto che tu mi mandi - se ti sarà posLETTERA49. 1. Mario si rife~isceal quotidiano cattolico intransigente <( L'Unità Cattolica ». 2. F. CRISPOLTI,In vista d'un anticlericalismo futuro, in <( L'Unità Cattolica », 31 mano 1925. «Se per pubblica sventura - scrive Crispolti - una reazione, o meglio, una rivoluzione sowersiva, avesse da impadronirsi del paese, essa si darebbe all'anticlericalismo, qualunque sia stato il contegno del governo verso la religione e qualunque il contegno degli uomini religiosi verso il governo [...l D. 3. Una intervista parigina con don Sturzo, in <( L'Ora D, 14-15 aprile 1925, p. 6.
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sibile - il testo in francese. Vedo che tocca un punto quanto mai interessante. Sento leggere a tavola la vita della B. Veronica da Binasco 4, una delle sante del medio evo di vita altamente mistica. Mi fa l'effetto d'un ritiro spirituale. Dawero, caro fratello, quanto più ci accostiamo a Dio con pensiero amoroso, tanto più le cose di questa terra, compresa la scienza, impallidiscono e conservano un valore tutto relativo. E beati coloro a cui Dio concede di viver tutti per Lui! St,aserati si spedisce il 6" fascicolo del problema della morale. Dura ancora il 2" capitolo, e durerà, credo, per altro fascicolo e mezzo. Con questo finisce la parte che tratta dell'appetizione. Gli altri capitoli trattano della volizione. Nel leggere è bene che ti metta nelle condizioni di pensiero corrispondenti al lavoro. Non ricordo se te ne ho già scritto. I1 problema delle volizioni implica tutto il problema della conoscenza, perché appetire e volere è conoscere appetitivamente e volere. E perciò il problema della conoscenza vi viene ripreso e trattato in modo completamente integrale; senza di che non sarebbe possibile trattar bene il problema delle volizioni. Ma così questo problema si presenta in tutta la sua importanza caratteristica, come non mi pare che si trovi nei trattati che conosco, tranne i trattati idealisti. Sotto questo rispetto è più una seconda parte del problema della conoscenza, che una la parte del problema della morale. Questo penso ora che il mio lavoro è quasi finito; però non mi trovo fuori via, perché, senza che io lo volessi in antecedenza, questo ho fatto. Se tu convieni con me in questo giudizio, scriverò la lezione introduttiva, che ancora manca, illustrando questo punto. I1 titolo del volume però, sarà semplicemente - Il problema delle volizioni -. Dico delle volizioni, e non della volontà, come già ti scrissi, per rapporto al titolo del volume già stampato, che è - i l problema della conoscenza - e non dell'intelletto. Solo non so ancora decidermi se debba dire - delle volizioni - owero - della uolizione -. Su ciò aspetto di leggere il tuo parere. Affinché poi non si perda tempo ho deciso - appena avrò finito - di mandarti subito tutto il manoscritto non ancora pub4. Canonizzata nel 1521 da Papa Leone
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blicato in fascicoli. Così tu potrai leggere subito tutto il lavoro e giudicare sul suo merito e decidere se e come debba procedersi alla sua pubblicazione a libro. I o da febbraio lavoro attorno a questo trattato con una celerità per me insolita. Come ti accennai, così il buon Dio mi ha concesso di rifarmi del tempo perduto nèi due mesi di stanchezza. Dopo però che avrò finito mi prenderò un paio di mesi di riposo; riposo, s'intende da scrivere filosofia. Se Dio vorrà, darò mano al problema della morale nelle vacanze. Io non son giudice spassionato, perché son l'autore. Ma, per quanto mi è dato di spogliarmi della passione d'autore e considerare il lavoro oggettivamente, credo di non avere scritto in modo da far disonore al fratello maggiore; anzi forse gli ho dato un fratello un po' più arranciatino, e credo che il libro non sia privo d'importanza né di vedute originali. Però non posso in tutto riposare sul mio sentire; e aspetto il tuo giudizio, che sarà spassionato non solo, ma competente. Fratello amatissimo, mi pento di non mi esser consacrato prima alla filosofia. Vedo, non dico la sua importanza, in sé considerata, ma la necessità di trattazioni vive di attualità, perché, dicasi quel che si vuole, è proprio la filosofia che mena il mondo; e per nostra vergogna, la filosofia che da secoli mena, agita, sconvolge, riordina il mondo, non è la nostra. La nostra - s'è beata e ciò non vede - contenta di stare in chiuse stanze, come stanno le mummie nei musei archeologici. Stasera il seminario celebra l'onomastico (trasferito) del rettore. Son dunque tutti laggiù, seminaristi, sacerdoti paesani e forestieri, ecc. ecc., compreso il mio inseparabile don Giovanni. Nel palazzo non ci sono che io, solo come un romita. Ecco perché consacro a te quest'ora di tempo, quantunque lo scrivere di sera non si convenga ai miei poveri occhi. Ma ogni legge ha la sua eccezione. Questa eccezione poi mi è dolcissima, perché davvero che avevo bisogno di trattenermi con te un po' più a lungo del solito. A scuola già detto i fascicoli; credo che te lo abbia scritto. Con questi l'interesse della scolaresca è cresciuta. E ciò mi conferma nel giudizio sopra cennato sulla connessione integrativa del problema della conoscenza col problema della volizione.
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Ah! buon Dio! Se tu giudichi così il mio lavoro, che faranno gli altri che non hanno il tuo ingegno? Ti vorrei dire: Tornaci su... Ma conosco abbastanza il tuo spirito. Sei, come S. Tommaso dice degli Angeli: questi, secondo lui, una volta giudicarono e vollero; e fu per sempre. L'Angelo non si muta. Per questo tu sei uomo d'azione e capo di organizzazioni. Ciò non ostante vorrei dirti: Torna a studiare il problema delle appetizioni. Forse, superando la vecchia mentalità della scuola, vedrai che ho ragione. E se non arriverai al consenso, resteremo divisi; giacché io sento di esser certo della soluzione del mio problema. La sensitività è nei nervi, l'organo è un apparato nervoso, ricevitore. E anche l'appetitivo è uno o più sensi - per necessità -. Senso, perché sistema di nervi sensitivo-appetitivi. Su questo punto la fisio-psicologia non ha dubbi -. L'appetito non può essere cieco: sarebbe allora funzione fisiologica. L'appetibilità non può esser conosciuta prima dell'appetizione, perché, in tal caso, I'appetizione sarebbe la prima conoscenza -. Ma io così ripeto il già detto nel I capitolo e certo meno bene. Dunque ripeto la mia preghiera: torna sul capitolo; rileggilo o ripensalo senza preconcetti. Spero che mi darai ragione. Dall'insieme della tua lettera parmi cavar questo, che la prima impressione di questa parte del lavoro non è stata favorevole, o almeno, non è stata molto favorevole. Forse ciò in altro tempo mi avrebbe raffreddato l'entusiasmo del lavoro. Ora no, forse perché sono agli sgoccioli. Comunque; se il lavoro - quando l'avrai letto tutto - da te non sarà giudicato bene (e ci tengo che il tuo giudizio sia rigoroso), io semplicemente lo metterò da parte, salvo a riconcepirlo in altro modo, perché ho questa - virtù o vizio - di non mi stancare attorno a un lavoro, sino a che non mi pare d'aver concluso qualche cosa. E ora ti abbraccio con vivissimo affetto. Tuo t Mario
Piazza Armerina, 18 aprile 1925
Carissimo fratello, sono ancora sotto l'impressione cagionata in me dall'insieme delle tue osservazioni al capitolo primo. Ritengo che il tuo giudi-
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LUIGI E MARIO STURZO
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zio circa il punto centrale del problema delle appetizioni derivi dallo stato del tuo spirito in rapporto alla maniera come i libri da te a suo tempo studiati, pongono questo problema. Ma lo pongono nel suo aspetto veramente specifico questo problema i nostri libri? Nemmeno quelli che ne trattano di proposito, come Farges (Volontà e libertà) e Fonsegrive (Saggio sul libero arbitrio), si propongono il vero aspetto del problema. Questo, secondo me, si riduce ai seguenti termini: il soggetto non può conoscere la convenienza appetitiva degli oggetti, cioè, gli oggetti in quanto buoni, per mezzo delle facoltà puramente percettive. Se ciò si ammette con gli scolastici, ne viene che la relazione d'appetibilità si attua tra le facoltà puramente percettive e l'oggetto. Ma attuare questa relazione è già appetire. Se è questo, le facoltà percettive son anche facoltà appetitive. Gli scolastici negano ciò, ed a ragione, perché ad atti diversi devono corrispondere potenze diverse. Dunque la ragione di bene non la colgono che le facoltà appetitive. Come la colgono se non sono sensi esterni? Ecco il problema. Quando te lo proposi, credo in novembre, mi rispondesti in modo un po' semplicistico. Il problema è gravissimo. E per me ad esso è legato il problema della libertà. Gli scolastici affermano, ma, a rigore, non provano la libertà. I1 mio povero lavoro è tutto informato della luce di questi due problemi. A me pare che la mia teoria risolva tutte le difficoltà in modo soddisfacente. Se però tu me ne neghi il principio, mi condanni tutto il lavoro. Ecco perché ieri ti scrissi che il tuo primo giudizio, se l'avessi ricevuto, come sempre ricevo il tuo pensiero, mi avrebbe levato tutto l'entusiasmo. 19 aprile 1925
Scrivi: « Si parla di appetito o senso di appetizione, come fatto sensitivo, ma non di sensi che indicano una facoltà concreta e analitica che non esiste; tranne che a riferirsi alle sensazioni nervose e muscolari, dirette o riflesse; la facoltà o le facoltà appetitive, non sono organi speciali né si distinguono dai sensi esterni e interni, e psicologicamente non hanno sede specifica tranne i centri nervosi del cervello e del gran simpatico ». Sono sicuro che quando scrivesti queste parole non avevi chiaro il concetto da esprimere. La sensività è nei nervi. Ogni sistema di nervi che ha una funzione sensitiva si chiama senso: e tutti i sensi sono interni; esterno o meglio,
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periferico c'è solo l'organo di dati sensi. E così noi chiamiamo sensi specifici la fantasia e la memoria - e tu non diresti che sono gli stessi sensi detti esterni - proprio perché son centri nervosi che hanno funzioni sensitive specifiche. Or l'appetizione è funzione diversa dalle altre sensazioni - ma è funzione sensitiva - diversamente sarebbe incosciente - e perciò domanda uno o più sistemi nervosi con funzione specifica, cioè, uno o più sensi. Questo è anche affermato da Mercier, la cui autorità fisico-psicologica ha valore, perché egli, più che filosofo, è scienziato. Tu continui: « I sensi volitivi dove sono? Come si individuano? La fisio-psicologia non ti può dir altro che parlarti dei così detti centri volitivi ». E ti par poco? Sono appunto i centri volitivi (o appetitivi che fa lo stesso, e non occorre avere scrupoli). Ma io non so, caro fratello, come tu, sempre così aweduto, a questa volta te la sia presa coi sensi volitivi, che - tu pure riconosci - parlando dei centri. Credo che si tratti d'altro, cioè, dell'impressione di urto che ti abbia fatto il nuovo. Eppure è necessario. E io ci tengo tanto, quasi più alla soluzione del problema della genesi del concetto. E dubbi non ne ho. Anzi per me il fatto è evidente. 21 aprile 1925
Insisto sull'argomento, e spero che ciò non ti recherà fastidio, giacché si tratta di cosa di tanto rilievo. L'appetizione, in quanto atto psicologico, è e non può non essere, atto conoscitivo. Però ciò che il soggetto conosce per mezzo dell'appetito non è ciò che conosce per mezzo dei sensi puramente percettivi. Tra l'altro, sarebbe un duplicato inutile. La potenza appetitiva coglie il rapporto d'appetibilità, che non può cogliere la potenza puramente percettiva, proprio perché puramente percettiva. Se tu unifichi la potenza, devi pure unificare il rapporto; e così si cade nell'errore di G. Gentile. Tu invece mantieni la distinzione tra teoretico e pratico, e concedi ai sensi detti esterni la funzione di conoscere l'essere e il bene. Non vedi che ripugna? E ripugna perché il bene non è l'oggetto in quanto è - cioè in quanto è in rapporto con le facoltà puramente percettive; ma l'oggetto in quanto è conveniente, cioè in quanto è in rapporto conoscitivo-appetitivocon gli appetiti.
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I1 tramite di comunicazione con gli oggetti è uno: quello dei sensi puramente percettivi. La conoscenza appetitiva è conoscenza di conoscenza: l'oggetto percepito come esistente, è percepito come buono; cioè, meglio, la percezione dell'oggetto in quanto è diventa oggetto della conoscenza appetitiva. E proprio perché si tratta di percezione d'oggetto e non d'oggetto in sé, l'appetito non può cogliere - in quanto facoltà - che l'elemento - sia pure specifico, del piacere. Prova di risolvere in altro modo questo problema. Ma non troverai questo modo, perché tutte le vecchie soluzioni battono, più o meno, contro lo stesso scogIio. Per ora fo punto, in attesa delle tue controrisposte. Ti abbraccio. Sto bene. I1 lavoro è quasi finito. Tuo t Mario
[Piazza Armerina], 27 aprile 1925
Carissimo fratello, ricevo la tua del 22. Rispondo per cartolina per rispondere subito. Sto bene. Son così preso dal lavoro, che non ho tempo per scriverti lunghe lettere, come vorrei. Ho ricevuto il numero della « Rivista Rosminiana ». La critica è debolissima; è però serena l . Appena avrò un po' di tempo, risponderò con pari serenità. E son lieto d'aver motivo per tornar su tale argomento. La tua ripresa non mi convince. Ti scriverò le ragioni appena avrò il tempo. Ricevetti il libro. Cara sorpresa. Lo sto leggendo: me ne restano circa 70 pagine. Ti scriverò le mie impressioni. Posso però sin da ora dirti che son favorevolissime e più favorevoli di quelle avute alla lettura separata. Non tutto però mi era noto. Il mio lavoro è presso alla fine. Ti sono stati spediti i fasc. 7 e 8 credo il 23 corrente. Tra due giorni ti saranno spediti il 9 e il 10. Pare che il tipografo abbia ripreso l'aire. Come credo averti scritto, alla fine di maggio a CalLETTERA51. * Cartolina postale. 1. Cfr. recensione a M. STURZO, II problema della conoscenza, cit., in «Rivista rosminiana », fasc. IV, 1924, p. 237; cfr. anche G. PUSINERI, Il pnrno problema secondo rnons. Mario Sturzo, in « Rivista rosminiana », fasc. 11, 1924, p. 128.
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tagirone si celebrano feste centenarie alla Matrice. I o vi predicherò forse un triduo o forse la novena tutta. Prega per me. E credimi aff.mo fratello t Mario
Piazza Armerina, 29 aprile 1925
Carissimo fratello, stasera sento un vivo bisogno di intrattenermi un poco con te. Che pena esser divisi e così lontani! E per quanto tempo ancora? Sono alle ultime pagine di Pensiero Antifascista l . Questo libro mi sembra più uguale degli altri: più libro e meno polemica. Mi piace oltre ogni dire. Ci sono studi di somma importanza, come quelli che riguardano la coscienza, I'unità, quello su Mosca, sul laburismo ecc. Alcuni della terza parte, troppo brevi, e troppo oggettivi, mi hanno fatto l'impressione di riempitivi. Quello su Vismara ' mi ha cagionato lo stesso senso di disagio che mi cagionò quando lo lessi la prima volta, lo stesso disagio che mi cagionò la lettura del libro del Vismara. Quando io provo, leggendo, certo disagio indefinibile, certo senso di oscurità mentale invincibile - I'esperienza mi dice - che nelle pagine che ciò mi cagionano ci dev'esser qualche vizio o d'ordine o di sostanza. Forse il vizio è nello sforzo di far entrare nella Storia l'universalità. L'universalità o filosofia domina tutto il pensare umano, a patto di non assorbirlo, perché in questo caso non resta che la pura filosofia o metafisica che dir si voglia. Certo quel lavoro del Vismara ha molti difetti e molte inesattezze. Tu fosti troppo benevolo nelIa critica. Vorrei poi sapere in che tu distingui la filosofia dalla ontologia, dalla metafisica? Vi accenni in uno degli studi di Pensiero Antifascista. Per sé son parole sinonime. Ontologia è parola nuova e reca inesattezze
LETTERA52. 1. Si tratta di una serie di saggi del 1924-1925 che si possono leggere nel volume I11 de Il Partito Popolare Italiano d i Luigi Stuno; pubblicato da Zanicheili nella seconda serie deli'opera Omnia (Bologna 1957). Sia Popolarismo e fascismo che Pensiero antifascista furono pubblicati per la prima volta a Torino da Piero Gobetti fra il 1924 e il 1925. 2. S. VISMARA, Il concetto della storia nel pensiero scolastico, cit.
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nuove, ma si usa per indicare la metafisica, o questa per indicare la filosofia prima o semplicemente filosofia, in quanto scienza delle relazioni universali (e non delle cause universali come dici tu, ripetendo la formula scolastica). Breve. I1 libro reca un vero contributo. Ora aspetto con ansia lo Stato Moderno. Questo non avrà il peccato d'origine di non esser nato libro. I o ti assisto con le mie povere preghiere. Due parole sulla tua critica al primo capitolo. Ripeto la mia impressione: tu dovesti leggerlo in un mal momento. Diversamente certe critiche non le avresti fatte. Per esempio disapprovi la citaz. di S. Tommaso a p. 48. Se avessi badato bene, avresti notato che non è citato come prova S. Tommaso ma come autorità ammessa da Mercier. Infatti prima è detto: Nel probl. della conosc. fu provato... Dunque la prova fu data, e la prova è prova. E a chi vuol anche l'autorità, si dà l'autorità. E così di molte delle osservazioni particolari e secondarie che non ribatto, perché non mette il conto. I n quanto alla teoria principale, nella tua ultima lettera, tutto sommato, accedi al mio modo di pensare. E vi accedi quando ti proponi il problema e vuoi darne la soluzione. Ciò mi ha fatto tanto piacere. La logica ti ha condotto dove la critica ti aveva allontanato. I o premetto l'analisi, come la premetto anche nel Problema della Conoscenza 3. Senza l'analisi non si comprende il processo conoscitivo o volitivo né la sintesi. Né io tendo a separare le facoltà o a esagerarne l'importanza; anzi tutto il contrario. E mi sorprende come tu lo abbia potuto pensare. Ma ora che il tuo pensiero indagante ti ha menato nel cuore della mia teoria, mi sento più tranquillo; giacché questa teoria - che per me è evidente - anima tutto il mio lavoro. Ora non farò più controsservazioni sino alla fine. Riceverò le tue critiche, ci mediterò su e aspetterò. A lavoro finito e a critica finita - se ci sarà bisogno - ti scriverò il mio pensiero. Ora ho bisogno di rimeditare sul fatto per dir a me stesso se e quali ritocchi son da fare. Bada: non ho finito ancora, benché non abbia interrotto il lavoro nemmeno un sol giorno. Spero però finire fra tre o quattro giorni. 3. M . STUBZO,Il problema della conoscenza, cit.
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Ho letto l'articoletto che ti riguarda sul giornale francese che mi mandasti. Com'è fatto bene! Aspetto il tuo consiglio su quanto ti scrissi circa la « Rivista dei Giovani D. Ora fo punto. È sera e non bisogna abusare. Sto bene. I n complesso son contento del mio lavoro sul problema della volizio?ze (questo è il titolo definitivo). Ma non basta che io ne sia contento ora che ho la mente in vibrazione; e bisogna che ne sia anche contento dopo. E sopra tutto occorre che ne siano cont,enti gli altri, e tu prima di tutti. Quel che credo come certo è questo, che qui ho dato l'ultima mano alla critica dell'ideal'ismo, e in generale, che ho completato (salvo il lavoro di lima) il problema della conoscenza. Prega per me, come io faccio per te tutte le ore. Tuo &.m0 fratello t Mario
Piazza Armerina, 6 maggio 1925
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Fratello carissimo, pensando che oggi avrei ricevuto qualche tua lettera (che poi non è venuta), ho ricordato che io non ti scrivo dal 29-4 - cioè, da sette giorni. È enorme! Ma, credimi, non ho avuto coscienza del tempo che passa come il vento. E mi rincresce tanto: perché tu, che sei solo e lontano, senti la pena delle tardate notizie, più fortemente. H o ricevuto la tua del 26. È una pagina mirabile di filosofia. Io però non dico cosa diversa. I o faccio l'analisi, per comprendere la sintesi. Senza la conoscenza della funzione analitica non c'è scienza né psicologia, né base di filosofia. Ti sono stati spediti i fasc. I X e X; tra domani e doman l'altro, ti saranno spediti I'XI e il XII. I o non ho ancora h i t o . Son però certo alle ultime pagine. Verso il 20 andrò a Caltagirone, a Dio piacendo, per predicarvi la novena della Cenadomini. Domando l'aiuto delle tue preghiere. H o ricevuto il n. dell'«Italia». L'art. di G. Petrocchi parmi il più giusto fra tutti, quello che ha visto meglio ciò che il libro volle essere. Sto bene. Nella scuola cresce il fervore e la comLETTERA 53. * Cartolina postaie.
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prensione. Tu dunque ancora aspetti che si mostri il sole? Come ciò mi fa pena. Se te ne potessi mandare un po' del nostro che ne abbiamo oramai troppo! Ti abbraccio. Tuo Jy Mario
Piazza Armerina, 9 maggio 1925
Carissimo fratello, ho ricevuto la tua cartolina del 3. Mi ha fatto tanto piacere sentire che leggi I massimi problemi di B. Varisco l . ~ e f i amia cartolina del 6 dimenticai dirti che T. Ragusa, prima ancora che tu me ne scrivessi, era stato lasciato libero '. Ciò feci per essermi stato presentato un certificato medico, ecc. Quando non si può, perché mancano le forze, cioè, la salute, certo l'obbedienza non ha più luogo, e io la ritirai. Son dolente però, perché egli avrebbe fatto del bene laggiù. Ho letto il tuo articolo sulla nomina del vecchio maresciallo a presidente della repubblica germanica 3. Molto giusto. Spero nell'entrante settimana aver tempo da scriverti una lunga lettera. Quando scrivo a te, tu non mi sei lontan'o. Sei là che mi ascolti e quasi mi rispondi. Benedetto tempo, che fugge come il vento. Ogni giorno penso che l'altro giorno sarò pih libero. Ma i giorni per me son tutti dello stesso colore. Come ti scrissi il 19 andrò a Caltagirone. Vi starò sino al 30. Tienlo presente per la corrispondenza. Sto bene. Desidero tue LETTERA54. * Cartolina postale. 1. B. VARISCO,I massimi problemi, Libreria Editrice Milanese, Milano 1914. 2. Cfr. lettera 7 nota 7. 3. Luigi Sturzo pubblicò nelia « Reynolds Illustrateci News » un articolo sulia elezione di Hindenburg, che comparve anche, con lievi varianti e con il titolo Hindenburg Reichspraesident, nel « Corriere del Mattino* di Verona, inserito infine nella Miscellanea londinese, vol. I (anni 1925-30), cit., pp. 42-45. L'articolo di Sturzo fu lungimitante. Si legga questo passo: « Sarebbe un errore sia esagerare le conseguenze, sia volersi chiudere gli occhi, perché questo avvenimento, e particolarmente lo spirito che esso manifesta, rivela la forza di una corrente che può diventare un grosso pericolo per 1'Europa. I1 primo effetto in Germania e altrove sarà puramente psicologico. I1 nazionalismo guadagnerà rinnovato vigore, e lo stato generale d'animo in quelia nazione, per quanto incapace di alterare l'attuale situazione nello stabilimento delia cosiddetta pace, sarà meno disposto a piegarsi alle sue esigenze ». Ed ecco la domanda centrale dell'articolo: « Può una Germania profondamente divisa e internamente agitata collaborare alla pace europea? D.
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nuove e non solo tuoi pensieri. Sia pure in forma tacitiana, ma le desidero. Tu però me ne sei così avaro. Ora prega per me, specialmente perché il buon Dio benedica il mio povero lavoro a Caltagirone. Ti abbraccio. Tuo t Mario
Piazza Armerina, 13 maggio 1925
Amatissimo fratello, questa ti arriverà il 18, cioè, la vigilia del XXXI anniversario della tua consacrazione sacerdotale. Ti reca auguri e felicitazioni quali possono partire da chi tanto ti ama. I1 19 celebrerò per te, caro esule volontario, af?inché il buon Dio che ti volle tutto per sé, ti colmi tutto di sé e ti faccia sentire come in Lui tutte le distanze si avvicinano, tutti gli abissi si colmano, tutte le patrie diventano una sola patria. Quel giorno, a Dio piacendo, sarò a Caltagirone, e mi sentirò più vicino a te, perché sarò nel luogo dove ricevesti il sacerdozio. Come son felice pensando che tu sei sacerdote come me, che mi sei fratello d'amore anche in questo! Ogni mattina noi siamo insieme allo stesso altare che è Cristo, e viviamo della stessa vita, che è vita di Cristo, e sospiriamo alla pienezza di tal vita in Cielo. Oh il Cielo, amato fratello, fratello del mio cuore! Ivi le spine della vita saranno i titoli più belli della nostra felicità, che speriamo nella infinita misericordia nel nostro buon Dio. Il giorno 10 scrissi l'ultima pagina di Problema della volizione. E ho preso un relativo riposo. Ma questo riposo non è bello come il lavoro incalzante. Anzi è fastidioso, amaro. Dopo la tensione, per me almeno, la detensione è così triste, così triste anche fisicamente, da non si dire. Ho offerto l'opera mia al buon Gesù. Per lui la cominciai, per lui l'ho terminata. È sua, qualunque essa sia. Li abbia o no pregi, lo diranno gli altri, prima degli altri, lo dirai tu. Per me è buona, perché l'ho fatta per Dio. Fuori di questa visione ora che ho finito, non so far giudizi, non voglio farne. Parmi che quasi più non mi appartenga. La guardo come un x ignoto e oscuro.
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Penso che potrò aver buttato il mio tempo. Questo penso senza volontà di pensarlo. È più un sentimento che un pensiero. Ci si mescola il tuo giudizio intorno al quale abbiamo discusso. Se qui ho preso un granchio, tutto il lavoro sarà un granchio. Ciò non ostante non parmi d'aver perduto il mio tempo, quando penso che ho creduto di compire un dovere. E fo punto. Alle osservazioni che tu mi andrai facendo, non risponderò: e aspetterò il giudizio conclusivo. Così non penserò per nulla al mio lavoro. Solo penso che avrei dovuto parlare di A. Rosmini. Ha teorie così curiose. Per esempio ammette un senso spirituale. Forse scriverò un altro paragrafo per colmar questa lacuna, che poi, se il lavoro si stamperà, prenderà il suo posto. Oggi aspetto tue nuove. Le desidero. E saranno belle e confortanti. Le aspetto come balsamo in queste ore di curiose sofferenze. Come son fantastico, non è vero! E sono stato sempre così. Dopo gli esami di licenza liceale questo tormento che segue la detensione dello spirito, mi durò ben 15 giorni! E fo punto, perché non mi pare che sia questo il miglior momento per dirti cose piacevoli. Sto bene però, e tutto sommato, questo fastidio che soffro, mi fa meglio gustare la pace della unione con Dio. Sì, Dio solo dà al cuore vera pace e gaudio vero. Ti abbraccio con vivissimo affetto e ti lascio nei SS. Cuori di Gesù e di Maria. Tuo aff.mo fratello i. Mario
Piazza Armerina, 15 maggio 1925
Carissimo fratello, hai ragione. Dopo la mia del 29 aprile non ti ho più scritto sino al 6 maggio. E te lo dissi già: non mi ero accorto del ritardo. L'ansia del lavoro mi aveva fatto perdere la misura del tempo. Altra cartolina ti scrissi il 9, e una lettera il 13. E spero di non ti far più aspettar troppo le mie nuove. Le sofferenze della detensione del mio spirito pel cessato sopra-lavoro son finite mercé nuova tensione. Così son fatto: la mia vita è il lavoro. Penso che quando non avrò più forze per stare in tensione, sarà la fine. Dunque tu dici che ti saresti espresso cosi male da affermare il
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contrario delle tue idee. No, caro fratello, tu ti esprimesti con la solita precisione. Solo non vuoi vedere che i nostri pensieri coincidono, almeno nella sostanza. Ecco le tue parole: « Levando le parole: conoscere esse bonum, si potrebbe dire che - l'appetito avvicina l'oggetto al soggetto sotto la sensazione del piacere; o meglio, l'oggetto conosciuto come essere, vien peraepito, attraverso le appetizioni, come piacevole ». Or se tu badi al contesto del mio lavoro, trovi che non dice cosa diversa. Ecco perché ti scrissi che tu accedevi al mio modo di pensare su questo punto. E aggiungo, dacché mi trovo d'aver aperto la discussione, che il processo non può esser che questo, senza il tuo timore, cioè, che io ipostatizzi la facoltà. Le facoltà esprimono la molteplicità del soggetto unità, e rispondono alla molteplicità dei rapporti. La vita del soggetto è sentire, appetire, pensare, volere. Tanti rapporti, tante facoltà o potenze o virtù o capacità che dir si voglia, tutte nell'unità del soggetto e non fuori. Ora come nessuno dirà che udire sia vedere, così nessuno dirà che intuire sia volere. La trasposizione dei sensi è fatto patologico che si spiega con la sensitività e inerzia dei centri, e non turba per nulla la teoria delle facoltà. E come il soggetto intuendo semplicemente intuisce, anche se la volizione avvenga simultaneamente; così è necessario dire che volendo vuole per una speciale facoltà. Lo stesso si dica del fatto sensitivo dell'intuire e dell'appetire. Qui dunque tu certo non dissenti. Che resta? Spiegare la genesi dell'appetizione e della volizione. L'appetito non è senso esterno. Questo è certo. Dunque non coglie l'oggetto né come buono né come esistente. Resta o ammettere con gli scolastici che la ragione di bontà sia presentata agli appetiti dai sensi, alla volontà dall'intelletto; e in questo caso la relazione appetitiva prima si pone tra l'oggetto e le facoltà intuitive, poi tra gli atti di queste facoltà e le facoltà appetitive. Cioè si pone una relazione unica con tre termini!. .. Non vedi l'assurdo? Ciò escluso, resta ammettere che il soggetto uno e molteplice, colga l'esse per mezzo delle facoltà puramente conoscitive, e l'esse bonum per mezzo delle facoltà appetitive, non però nell'oggetto, ma nelle percezioni di esso soggetto. Perché ciò avvenga occorre un termine comune. Questo è il piacere, che nella relazione conoscitiva riguarda puramente l'essere, nella relazione appetitiva riguarda puramente la ragione d'appetibilità dell'oggetto cui già il soggetto conosce.
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LUIGI E MARIO STURZO
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Cosa qui io ipostatizzo? Nulla, caro fratello. E mi sorprende come tu e io per una cosa così chiara abbiamo consumato tanto inchiostro. Ora aspetto alla tua prossima risposta una tua parola che mi assicuri che veramente siamo d'accordo su questo punto. Questa lettera ti compensi della pena dell'attesa delle mie nuove. Aspetto con vivo desiderio di leggere il tuo nuovo articolo di cui mi parli, sulla « Rassegna » l . Hai ragione nel dire che questa materia merita particolare attenzione. E io ti ripeto che occorre che tu ci consacri il tuo tempo e le tue forze. Sì, un bel volumetto sulle quistioni morali-sociali-politiche... Sarà un bene per tutti. Salvo che certi parrucconi non intenderanno, perché non son capaci d'intendere. Caro fratello, amami quanto io t'amo. E riceviti un caldo amplesso in Domino. Tuo Mario
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Piazza Armerina, 19 maggio 1925
Carissimo fratello, il 19 mi trova ancora qui, perché Michele oggi non poté mandarmi l'auto, e me lo manderà domani. Ho celebrato per te la S. messa. Che il buon Gesù ti riempia di sé in modo da non ti lasciar più sentire le deficienze umane. I1 mio silenzio non fu cagionato dal troppo lavoro, ma dallo smarrimento della misura del tempo, certo per effetto del lavoro continuo. Vedi: son quattro giorni che ti scrissi la mia ultima, e ritenevo che ne fossero passati appena due. A Caltagirone troverò Mons. Carabelli Amministratore Apostolico. Mons. De Bono, più stanco che vecchio, si ritira. LETTERA 56. 1. L. STURZO,Il problema morde della collaborazione politica, in « Rassegna Nazionale », maggio 1925, p. 85. Nell'articolo L. S t u m prende in considerazione alcuni problemi morali scaturenti dalla collaborazione politica con forze i cui ideali possono essere in contrasto con la dottrina cattolica. In particolare dali'articolo risultano motivi di conflitto più profondi nei confronti del fascismo e del clerico-fascismo, che non nei riguardi delie forze socialiste.
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Ho ricevuto le tue tre cartoline. Ti ringrazio delf'affetto che mi dimostri non mi facendo desiderare le tue nuove. Dunque già il sole si mostra su codesto cielo. Temo però che presto si farà troppo caldo. Qui abbiamo larghe piogge, con della. grandine e tuoni fragorosi e umidità e scirocco. E desideriamo il bel tempo che ci fu anticipato in febbraio. Però le campagne sono maravigliose. I1 congresso tomistico di Roma conchiuse i suoi lavori deliberando una edizione comparativa della Somma teol. e di non voler delle opere degli avversari nessun contributo, nemmeno di critica. Va pensiero sull'ali dorate! Gentile l'ispirazione; fredda e stentata l'attuazione. Tu nelle passate lettere, polemizzando con me, hai più volte parlato di adeguazione conoscitiva. Certo la tua è pura rerniniscenza, cioè, puro uso abituale di formule famose; e critica non è. La conoscenza per gli scolastici si fa per assimiliazione e per equazione. Non mi par che dicano bene. La conoscenza è espressione del dissimile. Se ciò non fosse, conoscenza d'oggetto non ce ne sarebbe. Ed è relazione dell'identico generico: (azione degli stimoli fisici; nozione dell'organo dei sensi), ed espressione del dissimile in rapporto alla natura dell'azione ricevuta e alla propria natura di sensiente; rapporto che mai arriva alla pura equazione, perché l'oggetto nella sua oggettività non è e non sarà mai identico all'oggetto nella espressione conoscitiva. Sto bene; lavoro con molta discrezione, da poter dire che riposo. I1 tormento della detenzione è cessato del tutto ed è anche cessato il bisogno morboso di nuova tensione. Sono entrato - a dirla con una frase - in quell'aurea mediocrità in cui consiste la virtù. A Caltagirone dunque riceverò le tue nuove e saranno, come mi annunzi un po' meglio di pure cartoline. Oh, costà dove l'oro abbonda, manca forse la carta; infatti le cartoline inglesi son poco più della metà delle nostre. E mi convinco, caro fratello, che la nostra è la nazione della carta. Prega assai per me; e riceviti in corde Jesu un caldo fraterno amplesso. Tuo t Mario
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58 Caltagitone, 21 maggio 1925
Amatissimo fratello, son da ieri in patria. Com'è brutto entrare in casa e trovarla muta! Manco male che subito dopo mi giunse una cartolina di Nelina. E poi trovai nebbia e pioggia e freddo, cioè quanto di mesto si può trovare in questa città. Stamani c'è il sole; ma il cielo non è limpido; c'è ancora dell'umidità ... Pure è la patria ed ha il suo incanto. È la casa paterna dov'è quel cuscino di cui parla Giusti sul quale si riposa in modo diverso, unico; e tripudia l'aria al siiono delle campane della Matrice, e la Madonna ci chiama al monte. Stasera farò, a Dio piacendo, la prima priedica. La tua stanza, il tuo tavolino, i tuoi libri quante cose arcane mi hanno dette! ... E non si sa ridirle! Non darò mano al problema della morale per ora. È bene che lo spirito riposi; e poi ora c'è il lavoro di chiusura dell'anno scolastico e degli esami. Pure faccio qualche lettura preparatoria, e, sopra tutto, penso. Qui ho trovato .il Petrone, Etica l . Ha belle cose. Ancora non l'ho visto tutto. Forse - a quel che parmi non dà una soluzione soddisfacente del problema. I nostri, più o meno, pongono il problema in modo teologico. L'indagine filosofica - lo dice lo stesso Mercier - non può cominciar da Dio. I o ancora non trovo il centro della quistione. La mia mente vaga come tra un cielo nuvoloso. Se tu vorresti dirmi come poni e risolvi il problema, mi faresti piacere. 22 maggio 1925
Iersera feci la prima predica. Folla mai vista. Già c'è anche la reazione: aperta la Madonna fu trovata spoglia dell'argento della così detta Macchinetta. Ora è un accorrere senza fine lassù, e ciascuno porta a Mons. Mineo per la nuova edicoletta da fare, oro e argento. Che gara! I o alla Madonna nostra ho offerto una mia croce pettorale LETTERA 58. 1. I. PETRONE, Etica, Remo Sandron, Milano 1918.
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con la catena. Cosi Essa mi voglia guardare con più affetto e farmi ricco dei tesori delle grazie divine! Ho letto altri capitoli di Etica del Petrone. Quanti errori! E che povera filosofia! Per lui << I1 dovere è relazione di obbiettivazione e di eterenomia e di trascendenza: emozione e passione del soggetto verso l'oggetto, è dominio ed imperi0 dell'oggetto sul soggetto. È relazione di assolutezza e di assoluto comando a cui corrisponde un'assoluta obbedienza, è forma essenziale dell'attività pratica: la quale in tanto opera in quanto pure proietta nell'obbiettivo la sua stessa soggettività operante ». Considerato ciò in rapporto a quanto ha detto prima, ci si trova dell'immanentismo che nega Dio e pone il divino derivante dall'uomo. Quanto a me (per quello che sono in grado di pensarne oggi) il dovere va considerato sotto il rispetto teoretico e sotto il rispetto pratico. Sotto il primo rispetto è una serie di giudizi tutti teoretici, universali o particolari. Qui è bene notare che secondo me tutti i giudizi che precedono le volizioni sono teoretici. E perciò teoretico è il giudizio universale: Bisogna agire conforme ragione: e teoretico è il giudizio: Questo furto hic et nunc non va fatto perché è contro ragione. I giudizi pratici sono le stesse volizioni. - Sotto il secondo rispetto il dovere consiste nelle stesse volizioni, che son sempre del particolare. - Le valutazioni etiche le fa il soggetto in quanto teoretico. Fatte le valutazioni, l'oggetto in atto appetibile come bene fisico, diventa appetibile come bene morale. Come bene fisico è appetibile per la pura affinità fisica (o forse meglio: psichica): ciò deriva dai rapporti d'armonia puramente psicologica. Vista teoreticamente l'armonia razionale (etica); quest'armonia apparisce appetibile, o meglio, diventa appetibile, anche quando psichicamente la volontà provi ripugnanza. Esempio. Andare alla guerra esponendo la propria vita per la patria, eticamente è dovere. Così giudica l'uomo teoreticamente. Praticamente la volontà sente la ripugnanza del sacrificio della vita. Pure il soggetto si decide pel sacrificio di sé, perché questo sacrificio è un bene etico: giova alla patria ora; gioverà al soggetto poi, quando sarà il momento della finale remunerazione. E l'uomo va alla guerra, sentendo nello stesso tempo ripugnanza e h i t à : ripugnanza sotto il rispetto immediato; volontà sotto il rispetto mediato. Vuole così, perché è capace d'autodeterrninazione. riflessa di fronte alle deter-
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minazioni spontanee avvenute in lui per l'azione eccitatrice dei vari oggetti concreti in atto agenti su di lui. Che ne dici? Aspetto la tua promessa lunga lettera. Qui le giornate son così lunghe! È un fatto! La giornata è lunga o breve secondo il lavoro che ci occupa. Sto bene. Ti abbraccio e ti assicuro che prego per te in modo speciale in questo periodo di feste patrie alla nostra cara Cenadomini. Tuo t Mario
Caltagirone, 24 maggio 1925
Carissimo fratello, ieri ricevetti la t i i a del 19. Mons. Mineo ti ringrazia del saluto e ti fa un mondo di cose come sa farle lui. Che uomo meraviglioso! Ha 80 anni, e ancora non è vecchio, anzi ancora è giovane: predica, lavora, sente, sente come nella giovinezza e cosi esprime i suoi sentimenti. Ti ricambiano i saluti il Can. L. Caruso e il Ciantro Caruso, vecchio a 81 anno, e veramente vecchio, e molti altri sacerdoti tuoi amici e ammiratori. I1 Can. Luigi Caruso mi dà lettura di quello dei due volumi inglesi che mi mandasti tu, che ha il carattere d'istituzione. È del Seth '. Dai primi capitoli vedo che come storia è fatto molto bene. Temo che non si possa dir lo stesso circa il suo pensiero intorno alla soluzione del problema del dovere. Che problema dif-' iicile! Eppure è così facile comprendere quel che sia il dovere. Interruzione. - Viene quell'uomo che fu costà in aprile (non mi ha detto come si chiama). Reca i tuoi saluti. Che uomo curioso! Non sa parlare. Ha parlato Franco che l'accompagnava.
LETTERA59. 1. James Seth (1860-1924), idealista inglese, autore di Freedom as Ethical Postulate (1891) e Study o/ Efhical Principles (1894). Sotto il cognome di Seth Pringle-Pattison è conosciuto il fratello Andrew (1850-1931), filosofo, sostenitore di un idealismo personalistico.
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Tu dunque trovi delle difficoltà nel tuo lavoro sullo stato moderno? Non mi sorprende. Sono le difficoltà del cominciare; e passeranno appena avrai impostato bene il primo capitolo. I o torno a pregarti di non più differire. Tu ci darai il libro che ci vuole. Hai presente suor Teresa del Bambino Gesù, ora Santa Teresa? Io la invoco da molti anni. E ho, per sua intercessione, ottenute per me e per gli altri molte grazie. Una delle più segnalate fu la guarigione d'un seminarista già quasi in agonia che ora è sacerdote e fa tanto bene. La mia mente torna al problema del dovere. Non mi par ben detto - filosoficamente - che la morale non si spiega senza Dio. Senza Dio non si spiega nulla. Però altra cosa è la ragione di Causa Prima, altra cosa lo studio dei rapporti umani immediati. Come genesi, prima è la conoscenza delle cose create, poi la conoscenza del Creatore delle cose; prima la conoscenza e la pratica del dovere, poi la conoscenza della sua ragione suprema. Come ti scrissi nella mia del 21-22 corrente, per me il dovere non deriva dalla potenza volitiva, ma dalla conoscitiva. L'uomo, in quanto volente, non può volere che beni concreti, attualmente in rapporto con lui. I1 dovere, per sé, è una nozione astratta, e, in quanto tale, non è oggetto di volizione. I1 concetto di dovere nasce dalla conoscenza dell'ordine razionale dei rapporti volitivi. Riguarda le volizioni, quando l'uomo passa a giudizi particolari circa le azioni da fare o da non fare, cioè circa la scelta. L'uomo oltraggiato, per esempio, si sente spinto alla vendetta. Sceglie il perdono, perché giudica la vendetta come atto disordinato razionalmente; cioè, perché tra la vendetta e il perdono giudica, non semplicemente preferibile questo o quella, ma perché giudica male la vendetta e bene il perdono; e ciò fatto, giudica dovere il perdonare. Così giudicandolo, egli non si sente eticamente libero di far diversamente. Tutto questo processo valutativo è teoretico. Diventa pratico, in quanto il perdono di fronte alla vendetta è avvertito come appetibile; diventa praticamente dovere, perché l'uomo avverte che il perdono non solo è appetibile, ma deve da lui, hic et ntlnc esser voluto. Questo però è giudizio teoretico. Se dunque l'uomo sceglie il perdono, non lo sceglie, perché puramente appetibile, giacché per lui è anche appetibile la vendetta; ma perché l'uomo, in quanto unità vivente sintetizza perdono appetibile col giudizio teoretico: Perdono do-
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verosamente appetibile, perdono da doversi preferire alla vendetta assolutamente. Come vedi, qui c'è tutta la mia teoria della genesi delle appetizioni e delle volizioni. Se fosse come vogliono gli scolastici, l'intelletto presenterebbe alla volontà il perdono come bene e come bene-dovere. I n questo caso ci sarebbe il dovere, ma mancherebbe la libertà, perché il giudizio teoretico circa il dovere è assoluto. Questo parmi abbia visto G. Gentile, quando dice: conoscere il male e volerlo non è possibile per la contraddizion che no1 consente; quando l'uomo vuole il male, non lo sa; se lo sapesse, non lo vorrebbe. Però nemmeno si può accettare la teoria idealistica, perché pone la volizione come libertà estrinseca e necessità intrinseca, e pone la volontà come fine a sé stessa. B l'errore di Kant, spoglio dai resti di dualismo in cui svolge. B. Croce distingue tra la forma economica e la morale. La prima è la volizione particolare, utilitaria; la seconda è la volizione universale, etica. Però una volizione fuori d'ogni eticità non è concepibile, come non è concepibile una volizione universale. Questi errori sono come una reazione alla teoria scolastica. I n questa c'è anche il germe della teoria crociana. S. Tommaso riprende e fa sua la distinzione di bene onesto, utile, e dilettevole. Non è esatta. I1 bene onesto è anche utile e dilettevole, almeno remotamente. La vera utilità e il vero piacere sono anche onesti. Non resta che ammettere nel suo giusto significato la distinzione delle potenze conoscitive e volitive. Ciò che è è conosciuto per le potenze conoscitive; ciò che è buono è conosciuto per le potenze volitive, non come processo parallelo, ma come processo evolutivo nella più assoluta unità. Ma il soggetto, per quanto uno, non è unità semplice, ma unità molteplicità. Conosce i rapporti come dovere, ma non sente il puro dovere come puro bene. Se cosi lo sentisse, cioè meglio, avvertisse, o non sarebbe libero o, per lo meno, non troverebbe difficoltà a praticarlo. Invece awerte il bene e le proprie esigenze più o meno fortemente; nello stesso tempo e per mezzo d'altra facoltà, giudica del dovere, e fa forza a se stesso, per attuarlo. E se non riflette bene e non fa forza a se stesso, agisce secondo le sue esigenze volitive e non secondo le
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sue visioni etiche. E non è quello che succede ogni giorno a noi e agli altri? Se fosse come dicono gli scolastici, il dovere si compirebbe come tutto ciò che è profondamente voluto, voluto come esigenza volitiva. Se fosse come vogliono gl'idealisti, vero male nel mondo non ce ne sarebbe. Invece le cose vanno in ben altro modo. La storia impone alla filosofia e non questa a quella. Dico alle costruzioni filosofiche dei filosofi. E la storia domanda la costruzione che io ho cercato di esprimere come meglio ho potuto, e, pare a me, resiste a tutte le altre costruzioni. Che lunga lettera! E forse monotona. Non però, credo, senza importanza. Tu mi risponderai dicendomi il tuo pensiero. E sarà, io penso, definitivo. Sto bene. Ho fatto già tre prediche. Folla ogni sera e tanto raccoglimento. La gente si confessa. È una nuova Pasqua che si celebra. Starò qui, credo sino al 31. Subito dopo tornerò in sede. Ti abbraccio forte forte e ti lascio con la tua Piccola Santa. Tuo t Mario
[P. S.]
Caltagirone, 24 maggio 1925
La Sig.ra Maddalena Montemagno, sorella del fu notaro, morendo, ha lasciato i suoi beni, come eredi universali a te e all'avvocato Scillamà. Ci sono legati pei parenti. I1 resto è fiducia. Dunque più esecutori che eredi; o meglio, eredi per la figura civile. Se vuoi accettare - e io consiglio di sl - potrò rappresentarti io che ho la tua procura a vendere e Piazza che ha l'altra procura. È stato chiesto il beneficio d'inventario. Io, presumendo il tuo sì, (senza tuo pregiudizio, s'intende), ho dato a Scillamà i miei consigli. La risposta la manderai a Piazza Armerina.
Caltagirone, 26 maggio 1925
Carissimo fratello, avrai certo ricevuto le mie del 15, 19, 22, 24 corrente e i fascicoli sino al XII.
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La lettura del Seth continua, lenta però. Confermo il mio giudizio: è, più che altro, una bella indagine storica. Non vedo ancora chiaro il suo pensiero personale. H o letto altre pagine del Petrone. E anche qui confermo il mio giudizio. I libri che in merito ho letto mi danno l'impressione di chi gira attorno al problema ed evita il punto centrale; ovvero lo studia in modo inadeguato. La difficoltà che non vedo risoluta in nessun di questi libri è questa: come il dovere diventi volizione. Se il dovere è un comando, è cosa estrinseca. Se è intrinseco, come diventa dovere? Come lega? Ci son di quelli che pongono l'obbligatorietà nella sanzione finale. Non mi pare esatta filosoficamente. Se fosse così (mi par di avertelo scritto), i primi atti, prima d'arrivare alla conoscenza di Dio e del fine ultimo, sarebbero fuori del dovere. Così non è. I1 dovere, per me, è un giudizio teoretico che nasce dalle relazioni razionali. Obbliga quanto obbliga serbare quest'ordine. Diventa volizione, perché l'uomo Èr unità di teoretico e pratico. L'uomo che conosce i rapporti razionali come rapporti importanti, dovere, è l'uomo che vuole e sceglie. A vista del dovere, la scelta s'impone. Se si agisce contro il dovere si sa di aver agito male. La nozione del fine ultimo non crea il dovere, ma mette l'uomo nella condizione di sapere che se lo viola, sarà punito; cioè, lo mette in condizione di far forza a se stesso - se sa rifiettere e volere conforme il dovere, e perché il dovere è dovere e perché le ultime conseguenze sarebbero fatali e irreparabili. E fo punto perché è tardi. Tanto non si tratta che di farmi vivo e darti le mie nuove. Sto bene. La novena trova il terreno assai disposto. Folla enorme ogni sera. È una gioia dell'anirna. Che buon popolo il nostro! E che gran lavoratore questo vecchio di 80 di Mons. Mineo! Che la Madonna lo colmi delle grazie divine. Ti abbraccio. Tuo t Mario
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Piazza Armerina, 1 giugno 1925
Carissimo fratello, eccomi in sede. Appena giunto mi arriva la tua del 25-5. Sento con vivo piacere che hai terminato la prima parte del tuo nuovo lavoro. Come son desideroso di leggere questo tuo nuovo lavoro! Ricevetti a Caltagirone l'esemplare del tuo discorso. Grazie. Lo leggerò subito con grande attenzione. L'argento della macchinetta della Cenadomini fu rubato da ladri ancora ignoti. La reazione è stata maravigliosa. Culminò ieri con comunioni senza fine e poi nella processione. È stato un risveglio di fede veramente straordinario. I1 concorso alla novena è stato costante e crescente. Ieri al pontificale la Chiesa era gremita sopra tutto da uomini. E stavano bene; tanto che potei far l'omelia. La nostra Caltagirone mostra la sua vecchia fisionomia, tutta fatta di religione. Ora son tornato al mio solito lavoro. Sabato, a Dio piacendo, ordinerò tre sacerdoti e due suddiaconi. I1 Diaconato lo dò in dicembre. E siamo quasi agli esami. Sto bene. Questa risposta mi è giovata tanto. Tutti i parenti e gli amici ti fanno un mondo di cose. Come sei desiderato! Battezzai il primo nato di Guglielmo. Prega per me. E abbiti le più affettuose cose. Tuo t Mario
Piazza Armerina, 5 giugno 1925
Amatissimo fratello, ricevo la tua cartolina del 31 maggio. Ricevetti il tuo discorso. L'ho già letto. È degno compagno degli altri tuoi lavori simili. H o anche letto l'articolo su Serpieri l. Credo che sia il più LETTERA61. * Cartolina postde. LETTERA62. 1. Si riferisce alla recensione che Luigi Sturzo scrisse del volume di Anigo Serpieri, La politica agrarin in Italia e i recenti provvedimenti legislativi, Federazione Italiana dei consorzi agrari, Piacenza 1925, in « Bollettino biblie grafico di scienze sociali e politiche », maneaprile 1925, ristampata in L.S., Lo battaglia meridionalista, a cura di G. DE ROSA,Bari, 1979, pp. 116-124. Sturzo nel suo articolo criticava la tesi di Serpieri, secondo cui una politica agraria vera e
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riuscito dei tuoi lavori del genere e come contenuto e come forma. Alla gloria di Dio! Delle quistioni che ci ti propongo, non ti dar troppo pensiero. Mi risponderai se e quando ti sarà possibile senza fatica e senza noia. A Caltagirone più sere, d'uscire dalla Matrice dopo la predica fui salutato da applausi. Però si gridava anche: Viva D. Luigi Sturzo. Ma tutta la dimostrazione di memore affetto e desiderio era per te: io ero l'occasione. Tra i tuoi libri c'è il Gratry Le Sorgenti '. Più volte nel passato presi questo libro, ma non mi fu possibile leggerlo: alle prime pagine mi arrestavo disgustato. Ora me lo son fatto leggere a tavola. A tavola sopporto anche i libri noiosi. Certo ha delle pagine interessanti. Senza di questo non si spiegherebbe la sua fama. Ma nell'insieme è un libro tra vecchio e semplicistico. Circa la eredità Montemagno posso dirti che ci sono pretese di parenti, che si dicono poveri o si sentono trascurati o vantano diritti. Il fatto più serio è questo: tra parenti ci furono vendite fittizie. Compratrice, tra gli altri, fu la defunta. Seguì una lite strepitosa. La Montemagno fu condannata. Però Emilio Reale, che sarebbe l'interessato, dice che - in coscienza - avrebbe altro da pretendere. Ciò ti scrivo, affinché tu sappia che l'affare non è spiccio. E sarà necessario esaminare le richieste dei parenti e prendere delle risoluzioni. Ciò non ostante io confermo il mio primo consiglio. Tu accettando, ti adopererai a render morali le disposizioni della Montemagno se tali non furono; o anche a implorare dalla S.S. la moderazione, se così tu ti convincerai, dopo d'aver tutto conosciuto e ponderato. Però è necessario che ci sia in Caltagirone chi ti rappresenti e, nel caso, sia in grado di fronteggiare la situazione. Io proporrei Michele Gravina, al quale faresti propropria era incominciata in Italia solo con il fascismo che tendeva a contemperare liberalismo e interventismo ai fini della produzione. Snuzo rispondeva invece che l'agricoltura, per riprendere il suo posto a fianco dell'industria, avrebbe dovuto attuare tre condizioni, impossibili sotto il fascismo: organizzarsi socialmente, indusmalizzarsi economicamente e tentare le grandi lotte con l'industria: « Per ia mancanza di questa lotta, di questa coscienza e di questa solidarietà di dasse - egli scriveva - l'agricoltura rimane prevalentemente a tipo domestico, non s'industrializza, non si evolve che Ientissimamente S. 2. A. GRATRY, Le sorgenti, Libreria Editrice Milanese, Milano 1909.
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cura speciale. Michele, s'intende, eseguirebbe quanto tu gli comunicheresti, dopo d'aver preso conoscenza di tutto quanto riguarda l'eredità. Se consenti, scrivine subito a Michele. Avuta la sua adesione, scriveresti all'avv. Scillamà, per aver da lui gli estremi per la procura. Per tutto quello che potesse valere l'opera mia, non hai che a farmene cenno. Questo è affare di coscienza, e forse anche di giustizia o di carità: e io non voglio negare l'opera mia. È tardi; ho interrotto la lettera molte volte; mi preme che parta. E perciò fo punto. Sto benissimo. Predicai la novena con pienezza di forze e senza scapito della salute, anzi con vantaggio. Alla Madonna per la edicoletta da rifare offersi due delle mie croci e una catena d'oro. Che la buona Madre, or che son vecchio, porti essa per me la mia croce. Ti abbraccio. Tuo t Mario
Piazza Armerina, 7 giugno 1925
Amatissimo fratello, ieri promossi al sacerdozio i tre nostri diaconi, due dei quali sono Oblati di Maria. Stamani ho fatto assistenza pontificale con omelia nella cappella del Seminario, alla messa del novello sacerdote Velardita, assistito dagli altri due novelli sacerdoti. Tutti e tre son ben formati e promettono molto. Le due funzioni mi hanno riempito l'anima d'arcana gioia. Non so come ringraziare il buon Dio dello stato presente del Seminario. Trattare coi superiori e coi chierici è una continua edificazione. I caratteri più spiccati sono semplicità e docilità in una intima volontà di bene. Mercoledì, a Dio piacendo, andrò a Mazzarino per benedire la prima pietra dei lavori dell'acqua, veder come funzionano le nuove parrocchie (son tre), e sistemare un nuovo istituto di educazione popolare femminile affidato alle Figlie di M. Ausiliatrice e far delle cresime. Starò pochi giorni. Ho letto l'articolo bibliografico dell'ultimo numero del « Bollettino » firmato L.S. È tuo certamente. Ci si fa la critica del libro
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di G a g e '. È uno dei tuoi articoli meglio fatti e più utili. Perché mettere solo le iniziali? Forse per non dare la sensazione che ci siano pochi collaboratori? Caro fratello, il tuo nome, e la gloria sia tutta per Dio, è tale, che più si mostra e più attira e soddisfa. Penso però che tu debba lavorar troppo. E ti esorto a serbare la misura in cui consiste la virtù, come dicevano gli antichi. Ricordi il Cav. Ignazio Biscari, il marito di Donna Angelina? Ricordi costei? Le sue pene, perché il P. Gangarelli non intendeva come lei l'azione femminile, ecc.? Or ecco la novella: il cav. si è fatto barnabita a Monza, e Donna Angelina, che anche chiamavano principessa, s'è fatta teresiana scalza a Modena. Cose da medio evo; sublimi sempre però. I o avevo visto il cavaliere l'ultima volta nell'ottobre '923. Era un altro. Dacché la Madonna di Lourdes gli concesse la salute d'un male dichiarato inguaribile, era diventato tanto pio da comunicarsi ogni giorno. Oh! non poteva più restare nel mondo! E il buon Dio diede la vocazione anche alla moglie. Come mi commuovo di santa gioia al pensarci! 8 giugno 1925
Leggo sui giornali il canto di G. D'Annunzio: « Al Re giovane ». Qui e là belle o forti espressioni. Nell'insieme non mi piace. Forse a te piacerà. C'è dell'artificioso, dello sforzato e... del LETTERA 63. 1. Recensione a F. GAIFFE,L>envers du Grand Siècle. Étude historique et anecdotique, Albin Michel, Paris 1925, in « Bollettino bibliografico di scienze sociali e politiche », maneaprile 1925. Cfr. anche L. STURSO, Miscellanea londinese, vol. I , cit., p. 309. Effettivamente questa asciutta e acuta recensione rivela in Sturzo capacità non comuni di giudizio storico. I1 Gaiffe, nel suo volume sul Grande Secolo, indugiava nel disegnare un quadro nero dell'epoca, quasi che i mali e le miserie d i quel secolo fossero sufficienti a condannarlo in foto. « C'è un errore di prospettiva - scrive Sturzo - che è insieme errore storico e psicologico. Molti dei mali che si narrano, sono i mali dell'urnanità di ogni tempo. Se i futuri democratici o liberali esalteranno il secolo XIX e XX, come un gran secolo di libertà e di democrazia, i futuri storici antiliberali e antidemocratici potranno anch'essi scrivere un libro dal titolo l'envers du siècle liberal, e raccontare tutte le depravazioni e le immoralità del tempo, le corruzioni politiche, le grandi speculazioni, i disordini amministrativi, le miserie delie plebi e così via. L'acume storico sta nello scrivere quel che è dovuto a cause speciali, che si rialiacciano alie condizioni dell'epoca o agli ordinamenti politici ed economici prevalenti; e quel che invece è l'aspetto perenne dei mali sociali e morali che affliggono l'umanità [...l. Ogni epoca ha i suoi mali: la struttura politica ed economica risponde a determinati processi sociali, che hanno la loro ragion d'essere; e che quindi producono quel tanto di bene e di male, che da ogni difettoso ordinamento ne consegue [...l. L'opera degii uomini non esce da questi limiti [...l D.
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vuoto. Sarà moderno; non discuto. I1 bello però non è legato né al moderno né all'antico. È però legato all'uomo. In questo canto l'uomo c'è tutto, c'è tutto D'Annunzio. Ma a me quest'uomo non piace, perché in tutto il suo essere è sforzato e gonfio d'orgoglio fastidioso. La tua ultima cartolina portava la data del 31 maggio. Tu scrivi normalmente ogni cinque giorni. Oggi son ben otto giorni. Perché questo ritardo? Vedi, io non pretendo lunghe lettere; ma desidero che le cartoline non me le faccia troppo aspettare. Comincio ad esser preoccupato. Ma la posta d'oggi ... certo mi recherà le tue nuove. Sto bene. E ti lascio aspettando. Ti abbraccio. Tuo Mario
Piazza Armerina, .9 giugno 1925
Carissimo fratello, ieri, per un equivoco curioso, ti scrissi che da otto giorni non ricevevo tue nuove. Già, quando io viaggio, perdo il conto dei giorni. La tua ultima cartolina, portando la data del 31-5 era giunta a me il 5 di questo mese. Io, rivedendo la data, confusi la partenza con l'arrivo, e cominciai a sentire l'ansia dell'attesa. Poi ripensando, mi awidi dell'errore. Scrivo la presente per non mettere te in pena, e anche pel piacere di trattenermi con te un istante. È tanto dura la separazione. Ma la vuol Dio, e sta bene. Ti sono stati spediti i fascicoli sino al 18". I1 19 e il 20 son già pronti. A finire ne mancano solo otto. Spero che il lavoro sia tutto stampato nei primi di luglio. Io non penso più a questo lavoro. La mente si rivolge al nuovo, che, a Dio piacendo, sarà scritto nelle vacanze. Per ora medito e leggo. Quanti problemi! E quante posizioni storiche da superare! Domani, come ti scrissi, [andrò] ' a Mazzarino e [vi starò] pochi giorni. Sto bene. Stamani ho fatto l'ultima lezione del programma. Vedo che il profitto è molto. I n parte lo ascrivo d'ampiezza della trattazione. Certo che esige magLETTERA 64. * Cartolina postale. 1. Le parole in parentesi quadra, qui e di seguito, integrano la parte di testo coperta dal francoboiio.
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giore sforzo, ma il compenso è grande. I miei alunni sanno dawero un po' di filosofia. Sto bene. Penso spesso a te. E prego assai per te. Ti do l'appuntamento a pie' di nostro Signore. E ti abbraccio. Tuo .f. Mario
Mazzarino, 10 giugno 1925
Fratello amatissimo, eccomi a Mazzarino. Sono arrivato poco fa. H o questo istante libero. Lo do a te. H o fatto ottimo viaggio in auto: un'ora e mez, zo. Partii alle 8. Giorno sereno e fresco; campagna verde e fiorita. Un incanto. Ti scrivo di morale. Cos'è la moralità dell'atto? Dicono: la conformità con la retta ragione. Quando la ragione è retta? Bisogna dimostrarlo. Dunque questa definizione non è vera definizione. Oltre a ciò noto che non è ben detto: con la retta ragione; e bisognava dire: con l'atto; perché la ragione non è che potenza. Però così si cadrebbe in altro difetto. Non parlo delle definizioni degli altri. Accenno solo a Croce e Gentile: per loro è morale l'atto universale. Ma l'atto universale è ogni atto. Dunque ogni atto è buono. E vengo alla ricerca d'una nuova definizione. Penso che la moralità dell'atto possa riporsi nell'armonia di gitidizi teoretici e volizioni. Quanto ai singoli atti, cioè, al puro fatto soggettivo non ci sarebbe da ridire. Per l'uomo che in atto agisce, è moralmente buono quel che così giudica con la mente e vuole in conformità... Quanto alla moralità in astratto questa definizione non sembra adeguata, giacché il giudizio dell'uomo è soggetto a errore. Così sarebbe onesta la schiavitù per chi così la reputa; mentre in se stessa è disonesta. Forse si potrebbe completarla, dicendo: L'armonia di giudizi normativi veri e volizioni. Però per non cadere in uno sconcio per averne evitato un altro, occorrerebbe dar due definizioni: una della moralità in universale; l'altra della moralità in particolare. Credo però che dal concetto d'armonia di teoretico e pratico non si debba uscire. Circa quel po' che conosco intorno a questo punto, posso affermare che le più gravi divergenze e i più gravi errori derivino dal non saper trovar l'accordo tra il puro concetto di moralità e la mo-
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ralità dei singoli atti nei singoli uomini owero le norme morali vigenti nei vari popoli. Quando avrai tempo, mi farai il favore di dirmi su ciò il tuo pensiero, che certo sarà, come sempre, chiaro e preciso. Ti abbraccio nel SS.mo cuor di Gesù. E mi raccomando assai alle tue orazioni. Tuo aff.mo fratello t Mario vescovo
P. S. - Ripensando, credo che dire: la moralità dell'atto consiste nella conformità del pratico al teoretico, sia dir bene e dir completo; giacché se la relatività del giudizio può darsi in concreto, non può ammettersi in astratto. Del resto spiegando la definizione, si potrebbe dire: in astratto il teoretico coincide (deve coincidere con i giudizi veri) in concreto no: si posson dare giudizi errati; questi, per l'atto hic et nunc ponendo sui giudizi normativi da seguire, come se non fossero errati, giacché, in atto, l'uomo altra norma non ha che il proprio giudizio, qualunque esso sia. Definire così la morale gioverebbe a sfatare l'accusa che noi poniamo la norma fuori di noi, cioè, la poniamo come cosa estrinseca e sovrapposta.
Mazzarino, 12 giugno 1925
Carissimo fratello, ieri feci assistenza pontificale e aprii la S. Visita. Com'è soave la liturgia di questa solennità. E come è dolce parlar dell'eucaristia il giorno del trionfo della stessa eucaristia, a un popolo che ascolta con molta attenzione. A vespro si fece la funzione della benedizione della prima pietra del serbatoio dell'acqua civica. Molto popolo e abbastanza ordine. Anche in questa funzione parlai al popolo. A sera ricevetti - rigirata da Piazza Armerina - la tua cartolina del 6. Fascicoli te ne sono stati spediti sino al XIX. Starò qui sino a domenica. Lunedi, a Dio piacendo, tornerò in Sede per gli esami. Nelle mie precedenti ti ho parlato del problema del dovere e della moralità, cioè, ti ho comunicato lo stato del mio pensiero
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che cerca. Ora mi awedo di aver dato ai due problemi la stessa soluzione: sintesi di teoretico e pvatico, o meglio, conformità di pratico a teoretico. Questa definizione sta bene per la moralità. Pel dovere mi sembra monca, perché vi manca la nozione d'obbligatorietà. Però osservo che l'elemento essenziale è sempre questa conformità; e il termine normativo è sempre il teoretico. Se il teoretico è puro giudizio d'armonia, abbiamo la moralità pura: fare un bene o un altro, liberamente. Se poi il teoretico è giudizio esprimente obbligatorietà, abbiamo il dovere morale. E resta a spiegare come un giudizio possa esprimere obbligatorietà; né ciò sarà difficile; giacché il giudizio è circa dati rapporti; e ci sono rapporti che implicano la nozione di obbligatorietà. Cosa dirai di questo picchiare sempre sullo stesso punto? Già io non so se tu hai circa questi problemi le mie ansie. Però non ho fretta di conoscere il tuo pensiero: questo è bene tenerlo presente. A momenti ho fatto un discorsetto ascetico a clero secolare e regolare. È tanto bello parlare a sacerdoti! È certamente più utile, perché il riferimento a sé è più naturale e diretto. La vita pastorale è molto più bella della vita dello scrittore; molto più bella, non nel senso del piacere umano, ma nel senso dell'intima consolazione dell'anima. Sopra tutto è bello predicare la parola di Dio. Dico: La parola di Dio. È la parte più importante dell'apostolato nostro. Certo Gesù Cristo legò speciali grazie alla parola predicata. Quando dicono (si dice ancora), che se S. Paolo fosse sorto a questi tempi, si sarebbe fatto giornalista, dicono uno sproposito. I1 giornale è un mezzo vivamente dinamico di vita naturale. La vita soprannaturale è altra cosa. Del resto, anche umanamente, la voce viva ha più forza della parola scritta. Oggi S. Paolo avrebbe, come allora, fatto il predicatore. Predicai la novena della Cenadomini a Caltagirone con gioia sempre più intensa. Quello però è sempre un popolo profondamente religioso. Basta cavare pochi centimetri, e si trova l'antico suolo, santificato dai nostri padri nel sacerdozio, uomini di santissima vita. E credimi, mi è rimasta una certa nostalgia - spirituale - della patria nostra.
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Dunque hai ripreso la lettura del mio lavoro? Io, come ti scrissi, per ora non ci penso, e penso poco al nuovo lavoro che dovrò fare. Ora tutto il mio spirito vive di vita puramente pastorale. Questo è un momento di tregua: attendo che Giovanni chiami a tavola. E parlo a te. E vivo accanto a te, sentendo con te tutta la mestizia dell'esilio! Come mi commuovo quando ci penso con intensità! Tu invece, non pensi all'esilio, pure vivendone; sei forte, e ti ammiro; e prego affinché il buon Dio ti conservi sempre forte e sempre pio. I1 21 è S. Luigi. Gli auguri formali te li farò a suo tempo. Ora te ne anticipo un saggio. Prego sempre per te; e sempre torno a raccomandarmi alle tue orazioni. E ti abbraccio forte in C. Jesu. Tuo aff.mo fratello 1- Mario
Piazza Armerina, 16 giugno 1925
Stamani aspettavo tue nuove. Nulla. Spero nel pomeriggio. Tornai da Mazzarino ieri. Sto bene. Trovo la «Rassegna Nazionale D. Leggerò subito il tuo studio l . Davvero che una tua lunga lettera la desidero: è parecchio che leggo semplici cartoline. Qui siamo in periodo di esame. Puoi pensare se ho tempo. Tanto, una cartolina ogni tanto, non guasta. A Mazzarino si preparano feste per l'ottavo centenario del rinvenimento della pittura della Madonna del Mazzaro. Ho avviato i preparativi verso visioni meno vecchie. Ci sarà un convegno diocesano d'azione cattolica, una giornata eucaristica, la consacrazione della matrice ecc. e poi un po' di rumore fuori e di luce ... I o la sera della scorsa domenica feci a tal fine un discorso nel bel foyer della Cassa Cattolica. Molta gente e molta attenzione. Non ho letto tutto l'articolo de << Italia che scrive * LETTERA67. * Cartolina postale. 1. Cfr. lettera 56, n. 1. 2. Cfr. la recensione a M. STURZO, Il problema della conoscenza, cit., in <( L'Italia che scrive D. e I l problema deiia conoscenza è trattato d d o Stuno con ordine e con indipendenza di giudizio - si legge neiia breve recensione -. L'orientamento
sul mio libro. Potevano però cercar meglio. C'è per esempio I'articolo di Fenu su « Gioventù Italica » che ha una grande importanza per la giusta comprensione del libro, più degli articoli di Crespi e Petrocchi. Ti abbraccio. Tuo t Mario
Piazza h e r i n a , 17 giugno 1925
Amatissimo fratello, questa ti reca i più fervidi auguri pel tuo onomastico. I o non so pensare al 21 giugno senza commozione. E mi tornano al cuore le feste che ti si facevano. Ce ne fu una - indimenticabile - a S. Bartolomeo. Quanto affetto ti circondava! Era il giorno della riconoscenza pel bene da te fatto ... Ebbene! Spiritualmente il 21 giugno di quest'anno non sarà diverso. Ti si guarda ancora con lo stesso affetto, anzi con affetto pih vivo. E si prega ancora tanto per te. Io prego per te - assai - ogni giorno. Però il 21 pregherò con rinnovato ardore. Che S. Luigi dal Cielo ti protegga e benedica e ti faccia sempre più degno del nome che porti. Ieri ricevetti la tua desiderata lettera. Ha la data del 12. Ti ringrazio della sollecitudine a leggere il mio lavoro. I1 tuo giudizio mi conforta assai. Le tue osservazioni sono anche le mie. I1 1"cap. è troppo analitico; il 2" vuol esser rifatto sotto miglior luce. Credo però che abbia la sua importanza, e molta. Ora non si rileva intera per difetto di luce. Io ho presente come debba esser rifatto. È vero che la teoria - in sé - è poco interessante; ma ci sono vedute che hanno tutto il valore di contributo di rinnovazione. Tutto il lavoro domanda la lima. È un primo getto. Del resto il libro allora si comincia quando si finisce, dice Papini. Ed è così. Scrivo a Michele GCravinal per l'eredità Montemagno e all'avv. Scillamà. Accetto volentieri di occuparmene. è verso un realismo deiia conoscenza che riconosce la sensazione come origine di tutta la conoscenza D. La parte storica del volume è ritenuta a molto discutibile (...) specialmente per ciò che riguarda Kant, il positivismo e Rosmini a. 3. Cfr. E. Fenu, recensione a M. STURZO,Il problema della conoscenza, cit., in u Gioventù italica », maggio 1925, p. 51.
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Riposo dal 10 maggio, giorno che finii il mio lavoro sulla volizione. Spero passar l'estate a Terranova a prendere i bagni di mare. I1 lavoro pel problema morale, a Dio piacendo, lo riprenderò verso ottobre. Ciò non tanto pel bisogno di riposare - che non sento - quanto per l'urgenza di lavoro pastorale. Sto bene. Son tutto preso dagli esami. Oh i libri di teologia! Come son vecchi! Ti abbraccio con vivissimo affetto tuo t Mario
Piazza Amerina, 19 giugno 1925
Amatissimo fratello, la tua del 14 che ricevo a momenti è stata per me una cara sorpresa, giacché non l'aspettavo, avendo ricevuta l'altra tua due giorni fa. Te ne ringrazio anche per l'affetto col quale ti occupi del mio lavoro. In massima approvo le tue osservazioni. Molte le avevo gih fatte io. Alcune non le accetto, perché non mi riguardano, come quella circa le espressioni di pag. 51, giacché « relativamente spirituale » e « iperfisico » son espressioni di Mercier, di cui è tutto tratto. Dd'altro volume « iperfisico » fu tolto; qui se ne fa la critica. Circa altre trovo da discutere o di spiegarle. Di tutte ho preso nota; le terrò in gran conto, quando farò la correzione di tutto il lavoro. S1, certe deficienze son dovute alla fretta (l'anno scolastico incalzava); certe altre però son dovute proprio al primo getto. Io son fatto cosl, che per creare, non mi devo fermare; se mi fermo, badando troppo al particolare, la vena si arresta. Posso badarci nella revisione. Io avevo visto quasi tutti i tuoi rilievi, e forse ne ho visti di più. Appena i fascicoli saranno tutti stampati, mi occuperò della correzione, che per me è un lavoro meno pesante. Mi domandi se lo pubblicherò pel nuovo anno. Parmi avertelo scritto che per decidermi su ciò aspetto il tuo giudizio ultimo a lavoro finito. Se tu giudicherai che il lavoro, debitamente corretto o rifatto (secondo il bisogno) possa presentarsi al pubblico, lo stamperò; in caso contrario, no.
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I1 lavoro sulla Morale (terzo lavoro, come tu dici) lo comincerò dopo il riposo delle vacanze, verso ottobre. Frattanto, nel tempo che mi avanza, mi vado preparando il materiale e ordinando le idee. Lo scriverò, a Dio piacendo, indipendentemente dalla sorte di questo secondo, giacché mi bisogna per la scuola. Ed eccomi daccapo con l'acqua alla gola. Questo è il mio destino: lavorare incalzato. E se incalzato non sono, non cavo un ragno dal buco. Son già pronti i fascicoli XXI e XXII. Col fascicolo XXIII comincia l'ultimo capitolo, che dà la soluzione del problema. Finirà col fascicolo XXVIIII . Domenica qui ci sarà l'inaugurazione del monumento ai caduti, con la presenza del Duca di Pistoia. I o farò la benedizione. H o assistito agli esami di teologia dommatica. Si studia il Tanquerey, libro diffusissimo, poco profondo, molto antiquato. Negli esami ho provato torture di pensiero indicibili. Lo staticismo in filosofia si ripercuote in tutte le nostre discipline. Né c'è speranza, almeno prossima, di rinnovamento; giacché i nostri professori rifuggono da ogni concetto di rinnovamento centrale, e accettano solo il rinnovamento che chiamerei periferico. Voglio dire: la metafisica dev'esser quella e non altra; per la parte scientifica accolgono quanto è progresso. Presso a poco così fu formulato il voto finale del congresso tomistico di Roma. Sicché, mentre la pura filosofia resta quale fu 7 secoli fa, la parte scientifica a volte segue le troppo nuove ipotesi. E il contrasto è grande. Io vado cercando se si trova altro libro per la teologia dommatica, che sia meno antico e più teologico. Ne conosci tu? Sto bene. Penso a te sempre con un senso arcano di dolore. Oh caro fratello! ... Ma il buon Dio ti darà certo il suo conforto e le sue gioie. Prega per me, come io faccio per te sempre. Tuo f Mario
London, 7 gennaio 1926
Carissimo fratello, ho finito di leggere o meglio studiare il tuo lavoro e ti scrivo le mie impressioni e osservazioni, come mi vengono, senza ordine prestabilito: voglio fissarle subito perché non si perdano. Il lavoro è convincente e raggiunge completamente lo scopo: taglio, metodo, chiarezza e calore, tutto vi contribuisce. Per il pubblico in genere, è assai più rispondente questo tipo, che non il tuo volume sulla conoscenza, che era un quid medio tra il libro per lo scolaro e quello per l'insegnante *. Questo è un libro per lo studioso sia un filosofo sia un lettore comune: ed è ciò un pregio notevole. Ciò posto vengo prima alle impressioni e poi alle osservazion i particolari. Impvessioni. 1) I1 taglio del lavoro ti porta a ripete= troppo spesso alcune frasi basilari come unità-molteplicità, ovvero facoltà separate, ecc. che possono fare l'effetto di voler tenersi alle formule per tenersi saldo, e per dar colorito a un ragionamento povero - non è così, ma è solo un'impressione: perché,questo usa proprio chi ha poche ragioni, e gira attorno ad alcune frasi fatte. Togliendo certe ripetizioni - e si può fare facilmente omettendo delle non complete sintesi storiche, ovvero certe insistenze didattiche - come se si avessero avanti degli alunni - si toglie una * Le lettera del 1926 sono in prevalenza scritte su fogli bianchi. Si segnalano solo i casi diversi. LETTERA70. 1. Questa lettera è stata gentilmente fornita da Salvatore Latora. La lettera era conservata da mons. Gioacchino Federico, attualmente parroco délla Chiesa madre di Gela. Mons. Federico è stato discepolo di mons. Mario Stuno, da cui ha ricevuto l'ordinazione sacerdotale. Fu rettore del Seminario di Piazza Armerina. I1 vescovo Stuno lo ebbe tra i suoi collaboratori più stretti. 2. Si riferisce molto probabilmente al volume del fratello Mario, Il problema della conoscenza. Laioni di filosofia per i licei secondo i nuovi programmi. Mario deve aver inviato a Luigi il manoscritto della sua nuova opera Il neo-sintetismo come contributo alla soluzione del problema della conoscenza, Vecchi e C . =tori, Trani 1928, al quale fece le osservazioni che qui si leggono.
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causa di pesantezza, e fa acquistare più interesse alla stessa trattazione. 2) La parola mono-intuizionismo mi lascia perplesso: tu hai bisogno di spiegare che sorta di monismo sia il tuo; è oramai nell'accezione pubblica un significato scientifico e ultra filosofico della parola monismo, che non è il tuo: - tu puoi credere che entri nel significato filosofico il tuo specifico che riguarda la gnoseologia, sol per indicare un principio uno? Inoltre mono-intuizionismo uniti insieme significherebbe unico intuizionismo, la parola mono specifica la seguente: - ora il tuo concetto si è di unica conoscenza prodotta o derivata dall'intuizione: e allora io preferirei Intuizionismo - senza il mono o Intuizionismo conoscitivo, owero Noointuizionismo, dove la parola Noo verrebbe dal greco conoscere. A te il decidere. Ma io non insisterei sulla parola monismo, a cui tu dai un significato limitato e non usato; perché lJismo indica un sistema di unico principio. 3) Qua e là tu parli e insisti opportunamente sulla distinzione tra filosofia perenne o del buon senso e sistemi filosofici: e sta bene; - ma perché il tuo riesce infine ad essere una sistemazione, io non direi (come più volte accenni) che la tua è una posizione definitiva. Nella tua difesa o nei tuoi attacchi, la tua teoria è presentata come superamento del passato (ed è posizione giusta) ma altre volte come filosofia del buon senso (e può essere giudicata come posizione equivoca o presuntuosa). Io credo che quando demolisci il passato fai della filosofia del buon senso; e quando costruisci fai del sistema, che è un superamento. Bastano pochi ritocchi a dare questa impressione, specialmente qualche taglio a certe insistenze sull'argomento. Dico che è il tuo un sistema e un superamento non perché non lo creda una vera soluzione; ma perché è una soluzione che si presenta la prima volta, e perché può essere accusata di semplicismo. Dico può essere accusata, non dico che l'accusa abbia consistenza. Si tratta di impressioni che potrà avere il lettore comune. Egli può dire che ridurre il fatto conosciti90 alla equazione di un atto umano (sensitivo-intellettivo) può essere una petizione di principio. È lo stesso che dire che la vita è il principio o l'atto dell'essere vivente. Così non avremmo, come non abbiamo, la spiegazione della vita. Sotto un certo aspetto l'atto conoscitivo ha lo stesso mistero dell'atto vitale. Questa mia osser-
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vazione non toglie nulla del senso di sicurezza che dà la tua soluzione. Solo tende ad inquadrarla nella sua più esatta cornice. 4) Altra impressione: - tu spesso rifai delle sintesi storiche, per vedere quali gli elementi di progresso o di regresso: io trovo che più che sintesi storiche sono sintesi ideologico-sistematiche, di alcuni autori fondamentali (tra i quali non è certo Zamboni): quindi non le chiamerei sintesi storiche che mi sembra troppo pretenzioso: - e neppure insisterei se nella storia della filosofia tal ideologia o sistemazioni si possono chiamare progresso o regresso dal punto di vista storico: mentre mi limiterei all'analisi di quel che tu reputi che sia accettevole o da respingere, come fai nella [...l 3. 5) Nella parte esemplificativa usi spesso accennare all'e categorie della fisica aristotelica di inorganici, vegetali, animali, uomini (o i loro astratti). Ora questa distinzione, come categorie esistenti in re, come meri segni, o principii di individuazione soffrono molti dubbi nella scienza moderna. Quello che noi chiamiamo individuo può rappresentare una federazione o cooperativa di individui: la cellula ha la sua vita e il suo ciclo; molti animali e vegetali vivono dentro gli animali più grandi e complessi una vita ciclica o autonoma (la teoria di Leibniz merita di essere ristudiata). Noi viviamo nel complesso della terra e non sappiamo quanto contribuiamo a farne durare la vita, e non sappiamo quale vita essa viva. Non possiamo assolutamente escludere certe sensitività a individui chiamati da noi vegetali: e non sappiamo se nei minerali vi sia un processo vitale e quale. Tutto ciò io ti scrivo, da orecchiante in materia, per concludere che le categorie aristoteliche furono, come tu ben dici di altre, sistemazioni, approssimazioni, sintesi mentali; che hanno elementi notevoli, ma non definitivi, nel reale. È bene evitare quindi che tu al riguardo accetti completamente C ...l sistema. 10 gennaio 1926
Ripiglio la penna, e proseguo nelle mie impressioni. Torno a insistere sul punto 5): la teoria di Einstein in fisica si va facendo 3. I puntini in parentesi quadre segnalano qui e di seguito le parole mancanti per il taglio delle fotocopie.
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strada: si tratta in sostanza di relatività nel mondo fisico, che dimostrano che non vi sono leggi assolute ma approssimative, e che la manifestazione fisica non esce dal fenomenico, e che noi la sostanza fisica non la conosciamo; e che infine ogni fisica postala la metafisica: gli einsteiniani sono in sostanza dei metafisici o tendono alla metafisica. I1 positivismo fisico viene così superato. Una recentissima pubblicazione inglese (del 1925) ha raccolto quel che di più recente vi è sulle tendenze naturali: ogni capitolo è fatto da uno specialista. I1 titolo è « Evolution in the Light of Modern Knowledge. A Collective Work », cioè « l'evoluzione al lume della scienza moderna - opera in collaborazione ». Se hai modo di fartelo leggere te lo manderò. Forse sul riguardo ti gioverà il libro di Meyerson, se ti è arrivato. La mia idea si è che la distinzione fondamentale di inorganicità e organicità, di sensitività e razionalità è una distinzione reale, ma non è individualmente assoluta e pura; che vi è la scala degli esseri, ma non è divisa da abissi; che gran parte di tali conoscenze sono [...l. Infine che la nostra conoscenza è relativa a noi, e quindi coglie quella parte che a noi si riferisce. 6) Ed entro così nell'altra mia impressione. Tu accenni bene alla relatività della conoscenza umana e alla sua verità in rapporto a noi: ma questo punto non mi sembra svolto a fondo, come merita: il che darebbe al tuo lavoro un altro aspetto interessantissimo. 7) 'Due o tre volte accenni alla conoscenza dell'anima e di Dio, come impliciti nelle intuizioni e quindi come derivati da essa (per quanto in u n punto sembra che così neghi). Inoltre accenni, per la conoscenza di Dio, alla prova di causaiità. Perché non vi possano essere ombre al riguardo credo che queste questioni dovrebbero essere non accennate, ma svolte più largamente e di proposito. Sul riguardo ti manifesto qualche mio dubbio o veduta diversa. Per l'anima possono trovarsi nella intuizione gli elementi della sua esistenza, ma possono trovarsi gli elementi della sua esistenza sostanziale? può darsi che essa non è materiale, in quanto fa dei ragionamenti ed ha l'idea dell'universale, ma non può affermarsi la sua spiritualità tranne che come una negazione; può così derivare che è immortale? è una conseguenza che è nella premessa
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(da te poste: intuizione) ovvero è dato perché manifestato da una rivelazione primordiale (tradizionalismo)? Se così fosse non tutta la conoscenza umana verrebbe dall'intuizione; ma [ ...1. Passiamo d'idea di Dio. L'intuizione della esistenza del soggetto e dell'oggetto ci dà elementi per indicarne la finitezza; il cambiamento, la contingenza: ciò può portare a postulare, in via deduttiva, la necessità della esistenza di un assoluto: ma non ci porta per ciò alla conoscenza di un Dio personale, spirituale fuori del contingente: può portace al monoteismo o al politeismo o al panteismo: come è storicamente così è logicamente. E allora torna il problema: posta la conoscenza per intuizione solo dell'esistenza dell'assoluto e della sua conoscenza in forma negativa (non in quanto contingente né fenomenico) si può arrivare alla sua conoscenza dedotta e positivamente chiarita? o ciò procede da una rivelazione primitiva (tradizionalismo)? Si insiste sulla prova aristotelica del moto e del primo mobile non mosso: ora ciò dipendeva dal sistema astronomico o cosrnico di Aristotele, che non regge più: inoltre Aristotele ammetteva l'infinità della materia: non ha l'idea della creazione. Quando si parla di causa prima e di cause seconde, si suole fare una confusione tra la natura delle cause: non c'è identità, né proporzione tra l'una e l'altra causa: si deve invece parlare di atto creativo: ora io domando, l'intuizione dà gli elementi dai quali si può dedurre l'atto creativo, che impropriamente si dice atto di causa prima, o mosso da un primo motore immobile come se tutto fosse sul medesimo livello. [ ...l . E non si tratta qui di conoscenza analogica? di deduzione antropomorfica? E se è una deduzione logica, cioè una costruzione intellettiva, un superamento della intuizione, non resta campata in aria? Più forza, secondo me, ha la prova della esistenza di Dio dalla postulazione della esigenza dell'anima (tendenza di S. Agostino, S. Anselmo, S. Bonaventura - negate da S. Tomaso): questa postulazione è un vero elemento di intuizione e la deduzione è inclusa in detti elementi. Sul riguardo Gilson col Le Thomisme ha pagine interessantissime (Lo conosci tu questo lavoro? e quello su S. Bonaventura e l'altro su S. Agostino in S. Tomaso?), Paris, Libraire p]+-
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losophique J. Vrin. 6 place de la Sorbonne (V). Quando avrò tempo leggerò per intero i tre volumi. Mi rifaccio cosi una visione più esatta e completa della scolastica. Ti ho affacciato questi dubbi, perché, credo saranno le difficoltà che ti affacce~annocontro il tuo sistema. 8) A proposito del Gilson - egli afferma che S. Tomaso non si preoccupò molto del problema della conoscenza, egli non fu un criticista, e pose punto di partenza l'essere: solo fissò un punto fermo nella conoscenza, la necessaria origine dalla percezione sensitiva (p. 38). E aggiunge che S. Tomaso rigetta l'argomento di S. Anselmo sulla esistenza di Dio e limita o corregge le vedute di S. Agostino e dei suoi seguaci, proprio per la ragione che ogni conoscenza deve partire dai sensi. Ora ti segnalo ciò a due scopi: primo che mi semo bra un po' fuori posto o almeno non molto intonato al ~ p del libro l'accenno a Olgiati con il ricordo di Munchausen (che io leverei del tutto) pag. 26: io invece mi limiterei, come fai, a far notare che il problema criticista, come tale, non era posto nel Medio Evo e che invece è posto e non risoluto oggi. Quindi la necessità oggi, ma non ieri, di rifarci alla base, non solo come metodo didattico, ma come fondamento filosofico, al problema gnoseologico (problema perciò relativo al tempo e non assoluto). Secondo perché così cercherai di evitare l'insistenza (si tratta di eccesso di ripetizioni) con la quale porti alcuni passi di S. Tomaso alla tua tesi: in sostanza S. Tomaso non avea altro scopo che di dare la razionalità al conoscere umano attraverso [...l. Passo alle osservazioni particolari (se ricordo qualche altra impressione, la segnerò dopo) : a) Cap. 2", § 1 (p. 7) « Quel che deve essere, l'assoluto, 10 riguarda la conoscenza filosofica ». Si può dire con esattezza « l'assoluto »? A me sembra di no: tu stesso dici che la conoscenza è relativa; io aggiungo che anche l'ente è relativo: e di assoluto non c'è che Dio (Altre volte si usa la parola assoluto nel senso su espresso). b) A proposito del canone gnoseologico, come metodo va bene: ma poiché da principio per confutare altre asserzioni ti richiami qua e là al Canone gnoseologico (che poi è dimostrato nel-
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l'ultima parte) cosi si osserva qualche elemento di incertezza metodica. Questo specialmente si dice dal § 3", Cap. 2" (p. 18). C) Tutto per la conoscenza, intendi tutto per mezzo della conoscenza - cioè il conoscere è ottenuto per mezzo dell'atto del conoscere: la formula, cosi, sembrerebbe una petizione di principio. d) Cap. 2", § 3" (p. 15) <{ Per la conoscenza arriviamo a sapere che l'intuizione pura nell'uomo formata non si dà »; - mi riesce un po' oscuro. e) Idem (p. 16) << ... ed è la prova più chiara della sua verità »: l'ometterei. f ) Cap. 2", § 5, a) (p. 20). Come tale ... assoluta D. Eviterei questa parola. g) Cap. 3", § 2, b) (pp. 31-32). I1 tutto da: << Più in questa teoria si va »... fino a << ... non coglierebbe lo spirito ma se stesso D: è un po' affastellato - denso - e stanca, e sembra un volere accumulare errori e conseguenze per meglio colpire: o si svolge più ampiamente e pacatamente, o si sopprime. h) Cap. 3", § 2, C) (p. 84). << Gentile ... come il filosofo dei filosofi... D eviterei questa qualifica: d'estero è valutato assai più Croce che Gentile, che è preso un po' sotto gamba. k) Cap. 3", § 3, a) (p. 36). << Dalla critica ... quale sia la soluzione vera » eviterei il vera o direi <( che ci sembra la vera ». Tanto è lo stesso. 1) Cap. 4, § 3, b), 2, (p. 54). Non farei l'esempio delle bottiglie e delle etichette: mi sembra troppo ed è meglio non varcar la misura della critica. m) Idem, 3 (p. 59). Per la stessa ragione non insisterei nel concetto espresso dal periodo che incomincia Fortunatamente ... tu ammetti le ipotesi di studio, gli stadii storici [...l anche momentanei dei sistemi, e per di più che fortunatamente gli scolastici non sono stati conseguenziari. Ora tu sforzi troppo le conseguenze, almeno verbalmente. Si tratta sempre di misura nella critica. n) Idem, 2" (p. 58). Non me la piglierei né con Tilgher né con De Sarlo: il primo fa opera politica, ed ha il suo ruolo, poiché GentiIe ha voluto fare opera politica. L'altro (mi dici) è un pover'uomo. Salta che è meglio - puoi accennare a quel che intendi, con meno parole e meno calore: oggi avrebbe l'aria di una difesa
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politica fuori posto. Dico politica per la riforma scolastica, cosa che a te non viene in mente, ma ad altri sì. o) Cap. 5, § 1, 3) (p. 69). « ... che sono d'ordine superiore ed hanno una pi2 assoluta universalità ». Non intendo il più assoluta, perché il meno assoluta sarebbe... relativo. Più giù (p. 70) vi è anche il più assolutamente puro. È troppo. p) Idem, idem (testo di S. Tomaso). Tolto il « per utrumque » è negato l'intellettualismo: ma poiché c'è il per utrumque è ammesso l'intellettualismo. Non hai l'aria di stiracchiare un testo, mutilandolo? I o direi che è intravista la vera teoria, ma non affermata completamente perché legata al sistema (così anche a pag. 173 cap. 8, § 5). q) Cap. 5", § 2, n. 1 e 2). Questo numero, per quel che è detto nelle impressioni 4) e perché poi sei costretto a ripetere quello stesso che qui affermi, forse potrebbe togliersi. r) Cap. 5", § 5, n. 4 (p. 91) « solo esiste l'oggetto che è sempre un minerale o un vegetale o un animale o un razionale ». Vale quel che si è detto alle impressioni 5) ma qui è messo in forma troppo recisa. s) Cap. 5, S 5, n. 4, d) (p. 92). « Lo spirito ... non fa atti indipendentemente dal corpo ». È esatto, però è meglio chiarirlo di più, perché l'astrazione, il ragionamento, le deduzioni sono atti spirituali e in quanto li fa si può dire che secundum quid non dipendono dal corpo (ciò non dico io ma potrebbero dire i tuoi oppositori). t) Idem, n. 4, e) (p. 95). « Se la sensazione ecc. - l'una sarebbe una specie di materia prima ecc. ». L'esempio non calza, e per i non scolastici sarebbe un'oscurità che si può togliere. U ) Idem, idem. L'esempio del contadino e dell'orologio sembra non vero: perché il contadino, per quanto isolato vive nel suo tempo, e quindi ha qualche idea di oggetti meccanici. Io lo toglierei. v) Cap. Q, S 1 (p. 102). « ... alla circolarità della filosofia D. Toglierei questa frase - altrove tu esplichi il concetto, come di cosa particolare della filosofia. Ogni trattazione sistematica di qualsiasi scienza e di qualsiasi materia porta al presupposto di vari elementi che poi si spiegano in seguito. E non è cosi anche la vita?
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Tu dai qui l'impressione come di una specialità che non è. Lo stesso vale per le prime battute del cap. i " (p. 129). W) Cap. 6, § 2, a) (p. 103). « I1 categorizzamento »: mi pare più esatto « la categorizzazione ». Vedi che sono pedante! La « tipizzazione » non si usa: « la formazione dei tipi » (!). X) Cap. 6", § 3, b) (p. 113). « L'universale ante res. S'individua ... per creazione ». Ora l'individuo contingente dipende dalle cause seconde e l'individuazione awiene per esse, cioè per processo. La creazione si riferisce non a tutti gli individui, perciò non al principio di individualizzazione, ma alle forze primigenie. y) Id., 5 4, b) (p. 117). Non direi che la teoria rosminiana fu un regresso: tentò di portare Kant sulla strada del realismo, e gli scolastici su quella del sentire moderno. Un nobile tentativo tosto superato. Evita affermazioni recise e inutili. z) Id., 5 4, d) (p. 125). « Le essenze non son conosciute ... il che significa per gli accidenti ». La parola accidenti non è esatta fisicamente e si direbbe meglio fenomeni, e neppure filosoficamente, che si dovrebbe dire attività. Comunque, si può .evitare. aa) Idem (p. 127). « Ricordiamo il passo di S. Tomaso ... D mi pare un insistere troppo: gli scolastici te ne potranno citare contro molti altri passi. Basta aver messo in luce (e lo hai fatto) che S. Tomaso intravide una soluzione migliore che non l'aristotelica. bb) Cap. 7", § 2 (p. 129). Processo storico ecc. (vale quello detto avanti). Eviterei del resto le parole evoluzione e involuzione. Ognuno la chiamerà col nome che crede, secondo le proprie teorie. cc) Id., (p. 131). « È uomo perché pensa ». Direi è uomo (cioè composto) perché sente-pensando e pensa-sentendo. Ma del resto ometterei ciò. dd) Id., § 3 (p. 132). « Che certamente ai bruti mancano (i concetti) ». È vero, ma è ancora da dimostrare. ee) Id., § 4, (p. 133). « Una serva... ecc. ». I1 racconto del Martinengo: lo leverei: oggi non c'è ragazzo che non ha visto i cani o i leoni o le pulci ammaestrate; e il racconto con tanta insistenza sembra ingenuo. ff) Cap. 8, § 3 (p. 165) fine. La battuta finale, ove parli
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di amici e avversari di vita presente ed eterna la leverei: è uno spunto polemico fuori posto e fuori tono. gg) Cap. 8", § 4 (p. 167). Kant è per lo meno ingenuo non lo direi - offende troppe orecchie ed è inutile. Idem (p. 168). « Non abbiamo la pretesa di K. di mettere le brache al mondo D. hh) Idem, idem. Qui parli della causa prima. Vale l'impressione n. 7. kk) Idem, idem. « Né dommatici nel condannare in loro ciò che non entra nel quadro del nostro sistema D. La frase ti si può rivolgere da tutti quelli che hai criticato: e così cade anche ogni sistemazione. È per lo meno superflua - e del resto fuori tono. 11) Id., S 5 (p. 169). « La positività è segno di progresso P. È vero: ma non in senso assoluto. Qui, al primo posto del paragrafo suona un troppo. mm) Id., id., (p. 170). Eviterei il pugno del predicatore. Mi sembra tutto più bello e più convincente se rimani nello stato semplice e piano di tutto il lavoro. nn) Id., § 5 (p. 172). L'affermazione che nell'uomo non ci sia animalità è un equivoco. Animalità viene da anima; ed ha il significato di sensitività e di vitalità insieme. Tutta la vita, biologicamente presa, tutta la parte strettamente fisiologica è uguale a quelle delle categonie dei bruti similari (mammiferi). La frase non è esatta e dà luogo a controversie e qui è superflua. oo) Idem (pp. 174-175). Queste due pagine mi sembrano un po' affrettate e sommarie; le difficoltà si accumulano e si evitano in modo da lasciare perplessi: si direbbe che c'è in fondo un dubbio, che non c'è. Sembra una difesa eccessiva dove non è tale. O semplicizzare o evitare. Bastano (credo) piccoli ritocchi di forma. Perché, per esempio, accennare ad un argomento a priori, e dirlo tale, mentre svolto avrebbe una portata di maggiore importanza? E così del resto. pp) Idem, idem (p. 175). La materia per sé è inintelligibile, né essa nella sostanza diviene intelligibile: invece sono intelligibili i fenomeni, gli atti, le forze della materia. Credo che questo punto dovrebbe essere illustrato. qq) Id., id. (p. 176). « Questo è un punto di altissima importanza e merita di essere studiato ecc. ». Lo toglierei. Sa di cattedra.
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rr) Id., id. (p. 184). La parte morale mi piace assai: mi sembra poco svolta in proporzione. Ma sta bene. Ho solo la difficoltà se è da chiamarsi il dovere sintesi-perentoria. Quel « perentoria » non mi piace. Ci penserò su. SS) Cap. 8", § 7. « Non tutto dall'intuizione perché ci sono esseri cui l'intuizione non attinge, come l'anima e Dio ». O dice poco (essendovi anche l'universale) o dice troppo (perché Dio e l'anima sono attinti non nella loro essenza ma solo nella loro esistenza). Del resto vale il detto al n. 7. E £o punto. Ripensandoci, non mi sembra che vi sia altro da osservare. Circa 19 pagine fitte di critica, ti può sembraae che il lavoro non mi sia piaciuto. No, no: il lavoro è riuscitissiho sotto tutti gli aspetti, è importantissimo. Ho abbondato in osservazioni perché tu possa notare quale potrebbe essere la critica di una parte di lettori anche benevoli: e perché - se lo credi - possa tu evitare alcune impressioni e migliorare alcune parti. I o trattengo il manoscritto e lo manderò d'editore appena tu - dopo letta questa mia - vedi se è il caso di mutare o mantenere il titolo, e se è il caso di fare i ritocchi ora o sulle bozze. Però tu sai che certi editori si fanno pagare le pagine rifatte. Attendo perciò una tua risposta. Oggi è l'anniversario della morte della nostra buona Mamma. H o celebrato per Lei e lavorando tutto il giorno sul tuo lavoro, ho pensato a ~ e i che , ho unito alla tua cara imagine. H o sul tavolo l'ultima tua fotografia (credo fatta da M. Vaccaro), non mi piace e ne desidero un'altra migliore. Me la manderai in compenso di questa lunghissima e affettuosissima lettera. Scrivendo di filosofia ti ho sentito più vicino, e quasi a discutere con me passeggiando per la stanza. Un abbraccio. Tuo Luigi
LUIGI E MARIO STURZO
- CARTEGGIO
London, 13 marzo 1926 (Rirp. alla lett. del 6-3)
Carissimo fratello, scrivo subito a De Ruggiero. Mi fa meraviglia che non ti abbia ancora scritto. I1 mio pensiero è di andare a Parigi 1'8 di aprile e starvi fino al 20 o anche fino al 25, secondo la possibilità di altri impegni. Tu dovresti venire in quel periodo. Mi vuoi dare meno di dieci-quindici giorni? Sarebbe un peccato, dopo sì lungo viaggio. Desidero sapere se vieni accompagnato (come io credo) con qualcuno che sa il francese (come Velardita) ovvero con Mons. Fondacaro. E inoltre dimmi se vuoi stare in una casa religiosa, owero con me e Nelina in una pensione o albergo. Stando in albergo bisogna andare a mangiare in una trattoria. Spiegami tutto per potermi regolare. Non vedo l'ora che ciò si realizzi: è una vera grazia del Signore. H o tanto bisogno dei tuoi consigli e suggerimenti. Sai nulla chi sarà il Vescovo di Caltagirone? H o scritto una lettera a Mons. De Bono l . Dammi notizie continue dei tuoi occhi; mi bastano delle cartoline brevi brevi, ma spesso. Filosofia e Teologia. Sono d'accordo con te, ma non intieramente. Anzitutto io credo che sia quasi impossibile che la filosofia si mantenga immune da errori se non è aiutata dalla teologia: non nego che la ragione possa arrivare a conoscere la verità filosofica; nego che di fatto la verità filosoficamente conosciuta possa essere intiera e immune da errori. Quindi ammetto la funzione tradizionalista della rivelazione sulla filosofia. Tu credo che sei d'accordo con me su questo. È questo un punto a cui tu non ti riferisci nella tua lettera. Altro punto è quello della prova filosofica intorno ad alcune verità razionali, che la rivelazione conferma e illumina: - esistenza LETTERA71. 1. Mons. Pio Damaso De Bono successe al vescovo Saverio Gerbino nel 1898 alla guida della diocesi di Caltagirone. Prelato di alta pietà, appoggiò coz~discrezione l'iniziale azione sociale di Luigi Stuno. Leone XIII condivise tale atteggiamento e tramite il card. Rampolla, Segretario di Stato, gli fece pervenire una lettera in cui si affermava che « l a democrazia sarà cristiana o non sarà ». Cfr. M. PENNISI,Fede e impegno politico in Luigi Sturzo, Città Nuova Editrice, Roma 1982, p. 349.
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di Dio - contingenza e creazione del mondo - immortalità dell'anima - giustizia di Dio - e simili. Se la filosofia arrivasse a dimostrare l'idealismo o il panteismo (quello che si dice monismo di fronte al dualismo), non ci sarebbe più luogo per la religione rivelata; tranne che come una funzione dello spirito, pari all'estetica o all'etica subiettiva. Ma queste verità includono anche dei misteri: la creazione si deduce ma non si spiega, così la infinità di Dio o la spiritualità dell'anima e la sua immortalità; e quindi dove, come, perché, a quale fine possa vivere. Teologia e iilosofia sono interessate a spiegare questi problemi, dai loro punti di vista. Ancora un passo: la così detta esclusione dell'assurdo nel mistero è un motivo polemico, ma non è privo di raziocinalità: è uno stadio dell'animo. Prendi la esistenza del miracolo: fatto inspiegabile; la tendenza umana è incline a rendersene conto: non potendo spiegare le cause, cerca di eliminare le contraddizioni. L'eccesso al quale arrivarono gli scolastici fu un portato del tempo, raziocinante per deduzioni: per cui arrivarono a immobilizzare le loro conoscenze cosmiche e naturalistiche, per spiegare in certo modo i misteri più alti, o meglio per dedurne la non contraddizione. Ma quell'eccesso di razionalismo scolastico, credo, storicamente servì a precisare i termini della rivelazione e la esattezza delle formule del mistero, come a noi dato di conoscerlo. Funzione storica, con tutte le sue manchevolezze ed esagerazioni; non funzione teologica o filosofica nel senso vero della parola. Tanto è vero che nel periodo della Riforma, quando la discussione verteva sui testi biblici, l'orientamento teologico diviene più esegetico e storico e meno scolastico. Oggi sui due sistemi si costituiscono le moderne istituzioni teologiche; ma dovrebbe avere prevalenza il metodo storico e la interpretazione biblica; e la parte filosoficoscolastica, da servire solo come terminologia e precisazione formulistica; senza la pretesa di spiegare il mistero (del resto non l'ha mai avuta) e di darne diciamo così i contorni di quel che è infinito. Una questione di metodo: ma la separazione è impossibile. L'hanno tentata i protestanti, rimanendo sul semplice terreno storico e biblico: ma le loro teologie (a quel che mi dicono) sono una confusione nei termini e nella precisazione tzegativa di quel che è l'oggetto della rivelazione: come per esempio la questione delia personalità in Gesù Cristo.
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LUIGI E MARIO STURZO - CARTEGGIO
Sono d'accordo con te sulle questioni di essenza, sostanza e accidenti. Vedo che il foglio è terminato. Sto bene. Un abbraccio affettuoso . Luigi
Paris, 28 maggio 1926
Carissimo fratello, al momento di partire dalia Francia, ti mandiamo i nostri più affettuosi saluti. Stasera, a Dio piacendo, saremo a Londra. Là spero trovare tue lettere. Spero che il Signore mi assista nelie prossime decisioni, che non so quali saranno. Prega per me. Stiamo bene. Qui non ho trovato l'opuscolo del Pinard sulle esperienze religiose. Neppure il Bibliotecario di questo istituto cattolico ne sapeva qualche cosa. Se hai indicazioni più precise, mandamele. Ancora non ho combinato per la pubblicazione del tuo studio sulla Rivista f.ilosofica di qui. Attendo nsposta e ti scriverò. Dacci tue notizie. Un abbraccio affettuoso Luigi
London, 1 giugno 1926
Carissimo fratello, dopo il 18 maggio ti ho scritto il 24 da Bruxelles, il 28 da Parigi e il 29 da Londra. Stiamo bene: Nelina è in un albergo vicino alla mia dimora (St. George's Hotel H. Bolton Gardens. S.W. 5 ) e a Londra sta meglio che a Parigi. L'aria è mite, benché spirino ancora venti un po' freddi. Umido caltagironese: in complesso benino. I1 Cardinale Bourne ' mi ha offerto il posto di cappeliano di LETTERA73. 1. Sui rapporti del card. Francis Bourne con Luigi Stuno cfr. G. DE ROSA,Sturzo, cit., pp. 257, 265, 270 e 434.
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certe suore in un quartiere periferico di Londra (Ceswick). Nella conversazione egli costatò che il mio inglese è ancora troppo hcerto, per potermi procurare un insegnamento. I o stesso, per questa ragione, l'ho dissuaso a cercare; rimandando ogni discussione all'anno venturo. Procurerò di imparare meglio l'inglese, cosa che non ho fatto fin qui. Riguardo la proposta di cappellano di suore, mi son riserbato di dare una risposta. Sono lieto che l'idea della Rivista filosofica vada avanti, e che De Ruggiero l'abbia accolta. Ne ho parlato con Crespi, che sarà contento collaborarvi, dando informazioni dell'ambiente inglese. Cercherò anche un inglese autentico. Sventuratamente il Prof. Taylor è morto di recente. Credo che sia meglio bimestrale per un regolare contatto con gli abbonati e lettori. Ma anche trimestrale può andare. I1 titolo? - Preferisco uno non significante, come Rivista di cultura filosofica oppure, per allacciarci a Vico: Scienza Nuova. Rivista filosofica o simili 2. Occorre pure un ben chiaro contratto con un editore serio, si che si sappia prima della spesa, e del come distribuire il carico. Non conosco il Prof. Noel di Lovanio 3; ma mi informerò. Appena il Dr. Vittorio Alma ti scriverà dammi sue notizie, che m'interessano molto. Spero che non tarderanno. Sintetismo? La parola è generica; per diventare specifica dovresti scrivere: Il Sintetismo della Conoscenza, o il Noo-sintetismo. Così mi piace assai di più di Noo-intuizionismo, o mono-intuizionismo. 2. Luigi Sturzo si riferisce alla «Rivista di autoformazione » fondata dal fratello Mario nel mano 1927. La rivista bimestrale, che affrontava problemi di carattere gnoseologico, storiografico ed estetico, terminb le sue pubblicazioni nel dicembre 1930. I1 richiamo del S. Uffizio con l'accusa di relativismo, in pratica di crocianesimo, costrinse il vescovo Mario Sturzo nell'aprile 1931 alla ritrattazione. La rivista ospitò di frequente articoli di Luigi Sturzo, firmati S. oppure S.S., articoli che evidenziavano oltre ad una solida cultura in campo teologico, una grande apertura alle diverse correnti della cultura europea. Cfr. F. BATTAGLIA, Croce e i fratelli Mario e Luigi Sturzo, Ravenna, 1973, pp. 22-23. 3. Léon N&l (1878-1955) filosofo neo-scolastico, ha insegnato, oltre l'epistemologia anche la storia della filosofia moderna. Ha diretto i'Institut superieur de Philosophie di Lovanio, dopo la mone di mons. Deploige, che era a sua volta successo a mons. Mercier, fondatore deli'Istituto, allorché questi divenne arcivesce vo di Malines nel 1906. NGl, come presidente dell'Istituto, ha introdotto una serie di riforme di tale importanza che taluni lo hanno considerato come il secondo fondatore dell'Istituto.
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LUIGI E MARIO STURZO
- CARTEGGIO
Che notizie hai dell'editore? Te lo stamperà? e chi dei due? o forse pensi al terzo: Remo Sandron? Abbiti cura degli occhi: se non puoi, detta anche le lettere per me. Raccomandami al Signore. Grazie degli auguri pel 32.mo Sacerdotale. Saluto tutti. Un abbraccio, tuo Luigi
London, 14 giugno 1926
Carissimo fratello, sabato ho ricevuto la tua cartolina dell'8. Aspetto la promessa lettera che fino a stasera non è arrivata. Spero domani. Comprendo che Fabius Cunctator vinse portando le cose alle lunghe. Può essere che ciò mi giovi: ma non si sa mai. Nelina è a 213 B Gloucester Terrace presso una famiglia amica. Fra giorni la raggiungerò: siamo troppo lontani. Tu però mi scriverai sempre al solito indirizzo, e se scrivi a Nelina (o indirizzi a Nelina) scriverai esattamente così: 213 B Gloucester Terrace. W . 2. London. (Siccome vi sono varie Gloucester Terrace, non bisogna dimenticare il W.2). Sarà meglio non usare altri indirizzi per l'Inghilterra; mentre che per Francia 'sta bene quello che hai. Oggi siamo stati a vedere la località, dove è quel Convento di Monache, che vorrebbero avermi per la Messa e Benedizione. A Nelina sembra lontano e fuori mano; e un poco lo è. A me il posto sembra bellino; molto verde; parco e fiume vicino. Vedrò se possibile e te ne scriverò. Ho tra le mani l'ultimo lavoro di B. Varisco, Linee di filosofia
critica '.
Veramente il lavoro è compilato da Castelli, e Varisco ha dato la sua approvazione e il suo nome. È il suo ultimo pensiero. AnLinee di filosofia critica, a cura di E. CaLETTERA74. 1. Cfr. B. VARISCO, stelli, Signoreiii, Roma 1925.
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cora non posso farmene un concetto esatto. Spero di essere, nel mio giudizio, più fortunato, che non fui con Orestano! Riguardo la Rivista credo che De Ruggiero potrebbe darti linee più esatte di me. Certo si dovrebbe fare con una Casa Editrice che ha mezzi; si dovrebbe appaltare o cedere alla Casa la reclame; dare ad essa l'amministrazione, con un percentuale, e avere un preventivo sicuro, si da sapersi esattamente le spese. Poi costituire una società per azioni proprietaria della Rivista; e pagare il deficit eventuale, con le azioni, ovvero dare un utile e fare un fondo con l'avanzo. Il punto di partenza è sapere il costo e trovare la Casa (o meglio viceversa). Accetto il Gnoseo-sintetismo anziché Sintetismo gnoseo-logico; perché quel logico dell'aggettivazione non mi va. Quando mi mandi il lavoro sulla Morale? Godo assai che stai meglio e che il viaggio, le fatiche e le funzioni non ti hanno stancato. Col 1 luglio saremo in Francia per i bagni: l'indirizzo sarà il seguente: Pension de Famille - Villa Yvette - 163 rue de Paris - Paris-Plage (Francia). Stiamo bene. Un abbraccio affettuosissimo Luigi
London, 17 giugno 1926
Carissimo fratello, l'ultima tua arrivata a noi è la cartolina, alla quale ho risposto il 14 di questo mese. E poi nulla. Siamo in pensiero per questo tuo silenzio. Figurati, una sola cartolina in 21 giorni (dal 27 maggio - quando poi sei andato a Caltagirone). E nessuna notizia ha Neliia da Caltagirone. Stiamo bene, e desiderosi di leggere tue notizie. Un abbraccio Luigi
LETTERA75. * Cartolina postale.
LUIGI E MARIO STURZO
- CARTEGGIO
London, 19 giugno 1926
Carissimo fratello, come mi ha addolorato la notizia della morte di Mons. Gibilisco! Per te è una vera perdita. Ma ti aiuterà dal cielo, dove è andato a godere il premio delle sue virtù. Nelina si unisce con me nelle più vive condoglianze. Per potere stare insieme io e Nelina siamo in pensione presso una buona signora. Tu mi scriverai sempre al solito indirizzo e non ad altro. Correggo l'indirizzo di Pavis-plage che ti mandai nell'ultima mia (non era esatto). Eccolo: Pension de Famille, Ville Ma Yette, 16 tue de Paris - Paris-plage (Francia). I1 lo luglio sera saremo là per tutto il mese. Nessuna notizia dell'amico di Roma, e forse è meglio. H o mandato lo studio sulla guerra al Bollettino, che spero ritornerà presto a pubblicazione. Vorrei sull'argomento fare una pubblicazione speciale. Sto leggendo un interessante studio di Vanderpool sul pensiero scolastico riguardo la guerra '. Certo è il migliore e il più completo studio. Te ne scriverò. Dammi notizie di Vallecchi e di De Ruggiero, circa le cose che ti riguardano. Dopo domani, S. Luigi, saremo uniti nella preghiera. Ti unisco due parole per Mons. Fondacaro. Dammi notizie dei tuoi occhi. Non ho ancora conchiuso per l'articolo per la Rivista Francese. Un abbraccio affettuosissimo Luigi
LETTERA76. 1. ALFREDMARIEVA~VERPOOL, Lu doctrine scolastique du droit de guerre, auec une biographie de l'auteur ( E . Chénon), Paris,1925; Le droit de guerre d'après les théologiens et les canonistes du moyen-age, Paris-Bruxelles, 1911. In questa lettera sono i primi accenni al lavoro che SNZO pubblicherà nel 1928 su Lo Comunità internazionale e il diritto di guerra.
3. I1 padre, Felice Sturzo.
4. La madre, Caterina Boscarelli.
5 . La casa natz!e a Caltagirone.
6. La sorella Margherita.
S. La sorella Emrnanuela, detta Selina, gemella
7. La sorella Rernigia, in religione suor Giuseppina.
9. Mario Sturzo, ~ e s c o v odi Piazza A m e r i n a .
11. hlons. Saverio Gerbino, i1 vescovo di Caltagirone che ordinò sacerdoti i due fratelli.
10. Lo zio Emanuele Taranto.
#
& A . .C
Palazzo Reburdone, dal 1886 seminario di Caltagirone.
PROCURA DEL
RE
LL
CALTAGIRONE
3
Informazioni alla Procura del Re di Catania su Mario Sturzo, 1903.
Div. ~ a b3,. I2G i<irpostn a nota 77 UY
25/3/928
204 Gab,
IJSC2'L1T0: LIonsignor Z!ario S t u r z o Vescovo d i L ' i a z z s -4sxcrina
I~ / m o Sig. Prefetto d i
l i i o n ~ i ~ n oIl;ario r Sturzo ,8oscovo I to
/
d i P i a z z a Armorina, si B mantenu=
sonsre p i h a w e r s o n l Ikoirce. T s g a t o p e r r a g i o n i d i p;
t e l a alle
egretario p o l i t i c o
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t e l l o , s p e r n i i d o in un facile r i t o r n o d o l l ' o l i t i c o regime n e l quu=
I
d ~ r di i piazza o
Ih.F.I.Prof. d4
n e l l a ilioceniI ltoctinstn i n t r a n s i g e n z a del fra=
1 polnrlsmo.
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L u i g i S f u r z o , il '~escovo u i I'iazza Armerina ha
-"erranova c o o t i t u l r a n o le cittndelle del po=
IMat ti lo sua D i o c e s i ,che comprende i d e t t i %con=
dari,sui t r e Colleci p o l i t i c i ( R a z z a
- Cnsntrogiovanni - Ter=
(rcnova) n e l l e elrzionl politiche d e l 1919 e d e l 1 9 2 1 ebbe t r e I
"ella sua ozione preorĂ inntn al f i n e d i ntuitensre vivo 1s
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p a r t i t a p o p l a r e e d o s t a a z o l a r e il continuo incremsnto e la con=
tinun ~iffermazioned e l Fascisno; il '~eacovo Yturzo b s t a t o e d
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B coadiuva'-,o d u l
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i c a r i o ~ c - i i e r o l e;;ons. Vincenzo E'ondocaro da
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Cunonico p r i n a r i o anore=
14. Informazioni alla Prefettura di Caltaniqqetta s u Mario Sturzo, 1926.
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15. Lettera di Mario Sturzo del 29 ottobre 1924.
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16. Lettera di Mario Sturzo del 29 ottobre 1924 (verso).
17. Luigi Sturzo. Caricatura di G . Garzia.
18. Luigi Sturzo con gli universitari cattolici del ÂŤCesare BalboÂť, Torino 28 settembre 1924.
20. I1 vescovo Sturzo a passeggio con mons. I_
Vincenzo Fondacaro, suo vicario generale. 19. i.!ons. Mario S t ~ r z one!!a sua vi!la di Caltagirone, nei primi a n n i di episcopato.
IL PROBLEMA DELLA TONOSCENZA
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21. Frontespizio della prima edizione di Il problema della conoscenza.
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22. Carta d'identitĂ di Luigi Sturzo.
23. Cartolina illustrata di Luigi Sturzo del 21 luglio 1927.
RIVISTA
PUBBLJCAZIONE BIMESTRALE A CURA DEGLI STUDIOSI DELL'AUTOFORMAZIONE - PIAZU ARMERNA MARZO-APRILE 1921,
24. Frontespizio del primo numero della «Rivista di Autoformazione ».
COME CONTRIBUTO ALLA SOLUZIONE
25. Frontespizio della prima edizione di IL xeo-sintetismo.
26. Luigi Sturzo a Grado il 25 luglio 1923.
27. Luigi Sturzo con Alcide De Gasperi e Ca17azzon.i nel 1920.