LUIGI E MARIO STURZO
- CARTEGGIO
[London, Paddington], 1 ottobre 1930
Carissimo fratello, che cosa posso fare io al regalo deile tue cartoline? Lasciare ogni altro lavoro e risponderti subito. Così fo: rispondo alla tua del 27. Mi pareva di aver risposto, con la mia del 22 settembre, al tuo quesito fondamentale, negando come fatto la divisione della società in due campi ideali opposti, o meglio riducendo ciò ad una astrazione. Tu invece affermi il fatto, e poi ne trai una legge generale, che, a ben guardarla, svaluta il fatto stesso, al punto da non potere essere altro che un'astrazione. Prendiamo un esempio storico: le persecuzioni dell'irnpero romano. In generale una posizione politica contro una religione mal conosciuta. I n particolare un complesso di odii, ingordigie, orgogli, ecc., insieme a buona fede, ignoranza, legalismo, superstizione subiettivamente invincibile. L'antitesi fra cristianesimo e paganesimo non è sociale, è spirituale, o mistica, al punto che potrebbe darsi che vi siano pagani con un fondo cristiano e cristiani con fondo pagano. Nel fatto l'influsso dei cristiani sui pagani fu tale da trasformare sentimenti, fede, istituzioni, e viceversa, il paganesimo rimase in molti atteggiamenti del pensiero e dei costumi. Perciò ricordo che ti accennavo all'influsso reciproco dei vari atteggiamenti che sembrano opposti. Con la tua legge che io chiamerei di « ipervalutazione teoretica » non dovresti mettere in contrasto, come tu fai, il fatto e la verità, che sarebbero poi tutt'uno; perché un fatto senza interpretazione non si dà, e una interpretazione che non sia, pel soggetto, una verità, non può ammettersi. Così, io direi che noi tendiamo a ipervalutare gli elementi di un fatto fino ad alterarne la realtà, o per preconcetti teoretici o per fini pratici; tendenza che deve correggersi con l'amore alla verità per se stessa, e con una sana metodologia. Per me non c'è altro. Sto bene. Un abbraccio, tuo Luigi Aila tua del 26 risponderò altra volta.
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713 Piazza Armerina, 2 ottobre 1930
Carissimo fratello, leggo la tua carissima del 27. Non devo nulla rileggere delle cose tue circa la presente quistione, perché ricordo bene ciò che mi scrivi non solo ora, ma prima, a partire dal 1924. Allora picchiavi sul punto che, negando, come io facevo, che la prova della libertà data dagli scolastici, sia conclusiva, tu ripetevi che cosl io negavo che quella filosofia fosse, su ciò, conclusiva. Tal quale come ora circa il nuovo problema. Ora i sistemi non son sistemi per un qualche frammento, sia pure essenziale, ma pel principio che li genera. Dunque si può benissimo negare il frammento senza negare il sistema. Quando poi io sostengo l'unicità teoretico-logicocritica della via per arrivare a Dio, sostengo con ciò che tutte le altre vie escogitate e da escogitare, altro non sono che un modo di concretazione o considerazione della via della contingenza. Vuoi farne la contro prova? Supponi per poco che l'uomo non conoscesse ancora la contingenza sua e delle cose. In questa ipotesi egli non porrebbe né il problema del relativo né quello dell'assoluto, perché gliene mancherebbe la possibilità, che è la nozione della contingenza. Se potessi, per poco almeno, abbandonare questa rigidità di pensiero su questi problemi, vedresti che io agito un problema non ancora studiato, il quale dovrà a suo tempo dar tanta luce alla filosofia. Sto benino e tu? Fa caldo già di nuovo. Pazienza per poco ancora t Mario
Piazza Armerina, 3 ottobre 1930
Carissimo fratello, io continuo il mio monologo, sperando che diventi dialogo. Tale diventerà, quando tu, prescindendo dai tuoi schemi, mi seguirai nella mia via senza divagazioni od episodi. Quello di cui io ti vo scrivendo, non è un problema particolare; è invece un problema universale. I1 nostro pensare è dialettico, cioè, processuale per via
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di rapportualità, dderenza, somiglianza, contrarietà. La vera dialetticità è tutte queste cose insieme, ed è sempre costruttiva. Noi non conosciamo la cosa in sé, ma la cosa in noi, cioè, pel nostro processo e ne1 nostro processo. I1 processo è espressione di verità ed anche di errore. Quando è espressione di errore, se è avvertito come tale, è superato; se non è cosi awertito, prende in noi il tono di verità. I1 nostro conoscere, il conoscere di ciascun di noi è sempre un superare I'errore per affermare la verità. E siccome è sintesi, così è un risolvere nel nostro sistema (empirico o logico) tutti gli elementi affini dell'altrui pensare. Sotto questo rispetto è un affermar la nostra sintesi e un negare le altrui. Ma è anche un affermare le altrui, quando ci appaiono A n i alla nostra. Allora il nostro pensare prende l'aspetto di scuola o corrente. Sicché il nostro conoscere ha come elementi dialettici non solo gli elementi dell'intuizione, ma anche quelli della storia, come il ragionamento collettivo. Da questi principi deriva quel che sin ora ti ho scritto e a Dio piacendo, ti scriverò. Sto meglio, ma ancora in cautela. In cautela per abbreviare i postumi del raffreddore, piccola cosa. E tu? Abbracci. Tuo t Mario
Piazza Armerina, 4 ottobre 1930 la cartolina
Carissimo fratello, riprendo il mio monologo, messo ieri nel suo aspetto universale. L'uomo va dall'ignoranza al sapere, dal sapere meno bene al saper meglio, dalla verità alla verità, dall'errore al suo superamento. I1 pensare che è conoscere processuale e sistematico, è sempre esigenza di scienza e di verità. L'ignoranza è vinta per la conoscenza, è vinta a mano a mano; l'errore è vinto per la verità. L'uomo sente la verità come verità, e sente l'errore come difetto di verità. È una sofferenza l'ignoranza; è una maggior sofferenza l'errore. L'uomo non sopporta l'errore, non può sopportarlo. L'errore, nella sintesi conoscitiva è come il corpo estraneo che cagiona dolore. Ma l'errore, conosciuto, con ciò stesso è superato.
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Teoreticamente è impossibile che l'uomo permanga nell'errore. L'errore è l'antitesi, è il nemico eterno. Quando l'uomo bada al pensare altrui, sente come antitetico tutto ciò che non si risolve nel pensare proprio. Perciò lo sente come errore. Se cosi non lo sentisse, nemmeno lo sentirebbe come antitetico. Se le discordanze riguardano l'essenza delle sintesi altrui, condanna le stesse sintesi; se no, risolve nella sua quelle sintesi, purgate dagli elementi reputati antitetici. Questa è la legge. È la legge del pensare processuale, cioè, del pensare del contingente. E impone il dualismo. I1 monismo, se davvero ci fosse, non sarebbe processuale, non conoscerebbe né l'ignoranza né l'errore. Ma questa è anche la prima legge del progresso. L'uomo progredisce perché sente l'ansia del sapere e della verità e trova in sé e attorno a sé ignoranza ed errore. Sto bene. Un abbraccio. t Mario
Piazza Armerina, 4 ottobre 1930 Za cartolina
Carissimo fratello, la tua del 3019 che ricevo dopo avere scritto la mia che chiamo la cartolina mi mette la voglia di proseguire, e scrivo questa che perciò va chiamata 2" cartolina. La posizione storica, critica, sistematica non è un privilegio, ma è il fatto. Ogni uomo che pensa è in detta posizione. Tutto sta a esserci bene. Tu ancora non prendi il mio problema, che è storico, critico e sistematico anch'esso e forse più che non paia. La legge è quella che ho esposto nella la cartolina. Contro la quale pugna altra legge, che è di egocentrismo o meglio egoismo, per cui del proprio sistema si guardano gli elementi chiari e degli altrui gli elementi oscuri, senza troppa critica né dell'uno né degli altri. E si arriva a sdegnare di più studiare gli altrui sistemi antitetici al proprio, e quindi si condannano senza più volerne sapere. È quel che oggi fanno i tomisti per un verso (che in Italia danno spettacolo miserando di feticismo e fossilismo acuto e crescente) e gli idealisti per un altro verso. Ora il problema che io vado studiando, che
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sopra tutto è metodologico, secondo me deve menare a comprendere e attuare bene la legge esposta nella mia 1" cartolina d'oggi. Ciò farà se io arriverò a esporlo come lo sento nell'anima. Secondo me l'intolleranza teoretica che è esigenza sacra, non deve diventare egoistica, proprio perché è la legge e perché è la legge della verità. Essa implica una posizione metodologico-logica di critica serena, per veder nel proprio sistema le ombre e negli altrui le luci, al fine di purgar l'uno e assimilare il vero degli altrui. Tutta la storia comincia egoistica. Esempio le antiche città, chiuse in sé e ostili alle altre. Esempio i numi particolari contro numi particolari. Comincia egoistica e tende all'altruismo. Esempio la formazione delle nazioni. Manca lo spazio e fo punto Mario
Piazza Armerina, 5 ottobre 1930 la cartolina
Carissimo fratello, l'ideale che io vagheggio in questi giorni con passione e che tu non condividi, è qualcosa di simile d'ideale dell'internazionale: unificare senza scaratterizzare. La legge di cui ho parlato nella lacartolina del giorno 4, non è come potrebbe sembrare, legge di particolazione, ma di unificazione. Storicamente ci sono le filosofie; idealmente c'è la aosofia. Ogni uomo che fa filosofia, dice (ci badi o no): la vera filosofia è questa; ciò dicendo pare che neghi le altre filosofie, ma di fatto non le nega, sibbene risolve nella sua. Questo è l'aspetto del problema che ho già studiato. E questa è legge. Se è legge deve avere il suo valore. E il suo valore è lo sforzo diaiettico, naturale, storico anche, di superare il molti e pervenire all'uno. È questa una utopia? Si, se si prende semplicisticamente; no, se si prende come ideale. Sarà mai il mondo una sola nazione? No? Pure occorre tendere a quell'ideale per migliorare lo stato reale. La filosofia idealmente considerata, è positivismo, realismo dualistico, idealismo, immanentismo, ecc. ecc. Tutte queste fiIosofie potranno sintetizzarsi, risolvendosi in unica filosofia? Potranno. Si risolveranno? Ecco il punto. Io nei miei studi son arri-
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vato al concetto di unità di realismo ed idealismo nel neo-sintetismo. Questo infatti è il neo-sintetismo. Ma è anche positivismo ed immanentismo, ecc. ecc. È tutte le filosofie, prendendo di ciascuna l'elemento specifico: la positività, l'imrnanenza, la realtà esterna, la interiorità della realtà nel conoscere e via dicendo. Ed è questo, perché, giusto quanto ho scritto nella 2" cartolina del 4, non si oppone alle altre filosofie per negarle sempliciter, ma per risolverle. E le risolve. Non ti pare che un tal concetto meriti tutta l'attenzione senza i preconcetti che tu vi rechi? Di questi giorni io non vivo che di questo pensiero. Sto bene. Tuo t Mario
Piazza Atmerina, 5 ottobre 1930 2a cartolina
Carissimo fratello, prendo anche oggi la 2" cartolina. Ogni sistema è sempre un aspetto della verità. Ciò che l'uomo scopre di vero nei sistemi altrui, lo risolve nel suo. Se questo non può fare, nega il suo sistema e ne adatta un altro. Anche questa è legge. Più elementi di verità contiene un sistema e più simpatizza con altri sistemi. Un sistema che risolva in sé gli essenziali d'altro sistema non è un sistema diverso, ma tutti e due sono un sol sistema mal compreso, e ciascuno è una sintesi deficiente, mentre la vera sintesi è l'unità dei due. Tale è il caso del realismo e dell'idealismo. Tutti i sistemi veramente filosofici (il materialismo, per esempio non è un vero sistema filosofico) sono un solo sistema, sono la filosofia. Che cosa occorre, perché siano tali in concreto? Nulla più che trovare l'elemento o virtù centrale della sintesi universale. Si mettano per questa via i filosofi e qualcosa otterranno. I1 neo-sintetismo potrebbe essere (e forse è) un primo passo o anche più d'un primo passo. La sua virtù centrale credo che sia l'unità d'intuizione (contro la dualità scolastica) e la realisticità della medesima, cioè la vera oggettività (contro la pura soggettività idealistica). Ciò ho largamente dimostrato nel Pensiero dell'avvenire. I1 neo-sintetismo risolve in sé il positivismo, superandone le angustie, perché tutto il conoscibile lo pone
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nell'intuizione o come esplicito o come implicito per la funzione rapportuale. Risolve in sé l'irnmanentismo; superandolo, perché ha trovato che la realtà per essere conosciuta si deve fare irnmanente per le vie della fisiologicità. Risolve in sé il realismo vecchio e nuovo, perché è intuizionistico - oggettivistico. Risolve in sé ogni forma di idealismo perché pone la conoscenza per espressione trascendente con funzione sui generis, tutta interna. Nega sempliciter il materialismo, perché la materia non ha pensiero. Risolve l'ontologismo in idealismo e per tal via lo risolve in sé. Sarei tentato di prendere la 3" cartolina. Ma scelgo aspettare domani. Tutto tuo
t
Mario
CLondon, Paddingtonl, 6 ottobre 1930
Carissimo fratello, ricevo insieme le tue del 1 e del 2 ottobre. Godo che si è trattato di febbre leggiera e di raffreddore passeggiero: le tue impressioni e il tuo pensiero fraterno come si rassomigliano alle mie. Che Dio ci aiuti. Io ho passato una settimana in ritiro tra me e me. Ogni volta che prendo i vecchi esercizi spirituali del Cimatti (donatomi da P. Barbera) penso di domandarti se ne hai un libro più soddisfacente. Io non l'ho trovato. Leggo la tua del 2 ottobre: essa si è incrociata con la mia del 30 settembre sullo stesso soggetto. Noi siamo su due piani diversi ed è perciò dacile intenderci. Non contesto nel merito il tuo modo di porre e di risolvere il problema; anch'io sono con te pienamente d'accordo. Tu però non devi rifiutarti di guardare anche il problema storico e il problema critico come da me posti; né puoi rifiutarti a considerare che ogni sistemazione logica (e quindi la tua) è anche come un punto di passaggio per un'altra sistemazione futura più adatta alla mentalità e ai problemi futuri. Entro questo tenue ma sapiente relativismo siamo d'accordo; fuori di tale relativismo, cioè in un rigido sistematismo che neghi il passato e il futuro, certo che no. Né credo che tu, tranne che in certe frasi, sei poi così rigido come sembri. Anzi... Nella Postilla di SS. che ti ho mandato c'è un errore di ci-
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tazione che non rilevai l . I teologi dicono che Dio è nel creato per essenza, per presenza e per potenza. SS. invece ha modificato la frase, attribuendola ai teologi. Occorre correggerla benché a me sembri più esatta quella di SS. anziché la tradizionale, dove la parola per essenza non vorrebbe dire altro che per la comunicazione dell'essere, il che è azione creativa - cioè potenza. Comunque è meglio correggerla. Sto bene. Prega per me Luigi
Piazza Annerina, 6 ottobre 1930 la cartolina
Carissimo fratello, che pioggia di cartoline! Io scrivo perché ne sento il bisogno; tu segui il tuo turno, perché non ho fretta d'aver le risposte e delle divaganti o distraenti non ne desidero. Noi non cogliamo tutta la verità, perché siamo contingenti ed anche (e questo va tenuto presente) perché conosciamo le cose per via di rapporti. Che l'uomo intuisca di primo acchito le essenze, fu una bella utopia degli antichi. Ecco perché il progresso conoscitivo è lento, faticoso e incerto e occorrono i secoli per arrivare a certo ordine e sufficiente certezza. Ogni verità che rapportualmente scopriamo, s'inserisce sempre nella serie delle verità già scoperte, si sistema con quelle. Ogni sistemazione è creazione nostra con base oggettiva, e poggia sempre su qualche verità. Se sapessimo evitar l'errore, arriveremo presto al sistema vero ed universale. Ma l'errore non possiamo evitarlo né sempre né presto, perché nasciamo ignoranti e perché non superiamo l'ignoranza che conoscendo e costruendo e sistemando. Appena ci sfugge il rapporto vero (e ci sfugge spesso) le nostre costruzioni deviano o si contaminano di errori creduti verità. Di qui la molteplicità e spesso irriducibilità dei sistemi. L'egoismo ci chiude nelle nostre conquiste e nei nostri errori; non ci chiude la via della universalità che la serenità e la disposizione a lasciar la via presa appena ci apparisce errata. Ma ciò domanda molta virtù teoLETTERA719. 1. Cfr. S.S., Il puro axsoluto, in « Rivista di autoformazione », novembre-dicembre 1930, p. 325.
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retica e pratica. La natura ci fa intolleranti perché la verità è intollerante. Si aggrava l'intolleranza e diventa vizio, quando si cade nel dommatismo; pel quale ciascuno si chiude in se e condanna l'altrui. Quando però noi fissiamo la nostra attenzione al fatto genetico della conoscenza, che è relativo e costruttivo, allora diventiamo universalisti, nel senso che cerchiamo negli altri sistemi la parte di vero che c'è per assimilarlo. Ecco la mia teoria. Sto bene. Tuo
f Mario
Piazza Annerina, 6 ottobre 1930 2a cartolina
Carissimo fratello, lascia che io prosegua il mio monologo. È un bisogno del mio pensiero indagante. L'aspetto storico della iilosofia è l'aspetto processuale. È la visione della verità secondo i vari punti da cui dai vari filosofi è guardata. Ogni nuovo sistema aumenta i punti di considerazione della verità. La verità che conosce l'uomo, è sempre parziale. Per arrivare alla verità totale, dovrebbe arrivare all'essere totale. L'uomo è un essere, ma non ha tutto l'essere. È un uomo non un Dio. La verità è sempre definitiva e non è mai definitiva. E sempre definitiva, perché è sempre un rapporto, e ogni rapporto è sempre se stesso, sempre quel rapporto. Non è mai definitiva, perché nessun rapporto è tutti i rapporti. Dunque la verità è progressiva. I1 progresso non rende errore le verità scoperte, ma le mostra limitate. La verità sta sempre e diviene sempre. Sta perché i rapporti non si annullano; diviene, perché i rapporti non hanno limiti. I sistemi non sono che costruzioni, cioè, sistemi di verità, e perciò son come le verità singole, sempre definitivi e non mai definitivi. Di qui quel che io dico e quel che dici tu, che poi è quello stesso che dico io, limito nella attualità della storia. Ogni uomo deve dire: la uerità è quella che penso io, perché la verità (o sistema) che egli pensa, è quella verità. E questo è quel che dico io. Ma ogni uomo deve anche dire: La uerità è quella che pensano gli altri, perché la verità che pensano gli altri è quella verità. E questo è quel che dici tu. Però siccome nessuna verità è tutta la verità,
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così ognuno guarda in sé la verità sua e degli altri, che fa un unico sistema di verità, e guarda negli altri l'errore, a cui si oppone e deve opporsi. E questo è quel che tu non vuoi vedere. Fo punto. E ti abbraccio. Tuo t Mario
Piazza Armerina, 7 ottobre 1930
Carissimo fratello, la tua del 1" corr. mi è arrivata appena ieri. Non mi pare che io abbia scritto che la società è divisa in due campi ideali opposti. I o ho preso le mosse dalla critica che Croce fa al nostro modo (cioè dei cattolici) di concepire la storia, inserendovi la valutazione morale di buoni e non buoni. Ed ho rilevato (fatto reale) che tal modo di pensare non è proprio di alcuni, ma è di tutti, perché è una legge. Per l'uomo che pensa, la storia è proprio un campo doppio: gli eletti, i reprobi; prendendo per eletti quelli che sentono come lui, e per reprobi quelli che sentono in modo opposto al suo. Solo cangiano i nomi. Pel romano i primi cristiani erano atei e nemici dell'impero; pei cristiani i romani erano non cristiani, cioè nemici di Dio. Per il filosofo sottile ci potevano essere gli uomini onesti e i disonesti, e questi ben potevano trovarsi tra i pagani e tra i cristiani. Così per liberali di mezzo secolo fa i clericali erano i nemici della patria, gli altri erano più o meno, gli amici. La legge è questa che ogni uomo deve necessariamente, per legge di pensiero, opporre l'errore alla-verità, il male al bene, il brutto al bello. Nessuno aderisce al male, all'errore, al bello sapendo di aderire a queste cose. E ciascuno considera come campo opposto, il campo che non è il suo; perché, se così non lo considera, lo risolve nel suo e l'opposizione rinasce sempre. E deve rinascere per la legge della umana limitatezza e della fondamentale umana logicità e bontà. Sto bene. Penso a questi problemi in questi giorni con passione. Ci vedo oscuramente il tema di un lavoro importante. t Mario
LUIGI E MARIO STURZO
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[London, Paddington], 8 ottobre 1930
Carissimo fratello, tra ieri e oggi tre cartoline; grazie! o come mi fanno bene! Ma io non potrò trasformare il monologo in dialogo, perché io convengo in quello che tu hai scritto, e spero poter leggere tutte queste idee in un bell'articolo sull'« Autoformazione ». Solo noto che in risposta a quello che ti ho scritto, tu dici: « La posizione storica critica sistematica non è un privilegio ma è il fatto: ogni uomo pensa che è in detta posizione. Tutto sta a esserci bene ». Ora, io non arrivo a prendere in che cosa noi differiamo (come linea generale) se non forse nel giudizio di valore. Io, per la mia mentalità sono portato a dar maggior valore al relativismo storico e tu al sistematismo dialettica. È questa una prova che la mentalità umana è molto varia e che difficilmente tutti colgono gli stessi punti della verità, che è così complessa. Certo, quel che tu chiami egoismo (inteso non come colpa morale ma come stato d'animo) influisce a non far vedere bene parecchi lati della verità; ma io credo che nemmeno i santi ne sono immuni. Questo dato deve essere riguardato come le possibili variazioni degli strumenti di precisione; si fanno sempre i calcoli di rettifica, che per noi sono i dubbi stessi e il bisogno di dibattere con altri le nostre idee. Tu non puoi credere come Questa corrispondenza cartolilzare mi sia utile! Altra osservazione, io non credo che la storia comincia egoistica e va verso l'altruismo; ma io credo alla contemporaneità permanente delle due tendenze. Ma tutto ciò è al di fuori della questione principale; ti ho già scritto che io non guardo la questione sotto l'aspetto della tolleranza e intolleranza intellettuale o pratica, ma sotto l'aspetto di un moderato rebtivismo. Sto bene. Un abbraccio, tuo Luigi
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724 Piazza Arrnerina, 10 ottobre 1930
Carissimo fratello, l'ultima tua è del lo, ricevuta il 6. S.S. ha mandato una postilla che ho subito letto l . È molto interessante. Non mi pare che porre la prova dell'assoluto come derivante dall'esigenza del contingente sia ben detto, cioè, esatto. Si dovrebbe almeno aggiungere la parola intellettiva, perché è appunto il pensiero che scopre il rapporto. Io come hai visto, specialmente in Pensiero dell'avuenire, preferisco la rapportualità, che del resto in SS. non manca. Solo questa fa scoprire quel che nel contingente non c'è. SS. accenna a una certa immanenza di Dio, e fa bene. Ma questa immanenza non è intuibile né s'intuisce, e solo si deduce. L'unico elemento che mena alla scoperta di Dio è la contingenza-rapportuale: è il rapporto che mostra che il contingente non ha in sé la prima ragione del suo essere. Non aver posto su questa base esplicita il ragionamento, dà alla postilla (tanto efficace per altro) un certo senso d'inefficacia. SS. ci potrà tornare in altra postilla, anche perché l'argomento merita di venire approfondito. Sto bene. Tra giorni verrà Nelina a stare un po' con me. Puoi pensare con quanto desiderio l'attenda. I1 tempo è incantevole. Prega per me e credimi. Tuo
t
Mario
725 [London, Paddington], 10 ottobre 1930
Carissimo fratello, il tuo bel monologo, che mi fa arrivare a due a due le cartoline, mi interessa e mi fa pensare. Su molte cose sono con te d'accordo. Quindi mi fermo, per ora, su quelle che non ho bene compreso, afLETTERA 724. 1. Cfr. S. S., Il puro assoluto, cit., p. 319. Nella pstilla viene criticato il concetto idealista deli'assoluto; in apertura così viene sintetizzata Ia critica: « Quando gli idealisti concepiscono lo Spirito come l'assoluto che si realizza, fanno una mistura di assoluto e di relativo insieme; perché ove c'è dinamismo di processo e di attualizzazione, c'è contingenza, limite, relatività; e non può esserci insieme i'assoluto che come tale nega ogni processo, ogni limite, ogni contingenza ».
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finché tu me le chiarisca. Tu scrivi nella 1"cartolina 5 ottobre « che tutte le filosofie potranno sintetizzarsi risolvendosi in un'unica filosofia ». Su questo motivo continui nella 2" cartolina (5/X), dove aggiungi che per essere une le filosofie « occorre l'elemento centrale della sintesi universale ». Confesso di non comprendere ciò. A tale possibilità ripugnerebbe la processualità del nostro pensiero e quindi la limitatezza e incompletezza delle sue sistemazioni. Tu non solo sei stato di questo awiso (e lo sei), ma ne hai fatto la tua battaglia contro coloro che pretendono ad una sistemazione filosofica stabile e definitiva. D'altro lato, tendere a questa unificazione come pura idealità (come tu accenni) mi sembra uno sforzo sterile. O la risoluzione delle altre filosofie nell'una (la propria) è sintetizzante, cioè trasformazione vitale, e allora quell'una è essa e non più le altre (così il tuo neo-sintetismo) owero le altre restano ancora vive e giustaposte, e si cade nell'eccletismo, e non c'è nulla di più illogico in filosofia. Inoltre: che cosa è « l'elemento centrale della sintesi universale D? È un'idea filosofica che altri può accettare oppure no, secondo il proprio sistema. Ovvero può trasformarla in altra idea come lo Spirito degli idealisti o la Volontà di Schopenhauer e così via. Se i tomisti non credono alla conoscitività del reale concreto, è impossibile convenire sull'interpretazione sintetica e così via via. Tu mi dici di « mettervi tutta l'attenzione senza i preconcetti che (io) vi reco ». Credi che ciò sia possibile? E chi crede che i suoi siano preconcetti e non quelli degli altri? Pensa: io ho tutte le condizioni per comprenderti - adesione al tuo sistema, abito di studio - affetto. - Che dire degli altri? In conclusione: tu costruisci il tuo sistema e se questo risponde alle condizioni storiche del pensiero, svilupperà. E sviluppando si trasformerà. Tutto così è storia cioè processualità, provvisorietà, conquista ... Sto bene. Un abbraccio, tuo Luigi
Piazza Armerina, 13 ottobre 1930
Carissimo 'fratello, ho le tue due cartoline del 6 e dell'8. Pel momento preferisco continuare le mie riflessioni sulla postilla di SS. Se la prova di Dio si pone come effetto di esigenza, non si trascende il creato e non
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si arriva alla prova, perché il contingente non può avere che esigenze contingenti. Per trascendere il creato, occorre trovare nel medesimo qualcosa che lo congiunga all'increato. Questo è il rapporto. Quel che l'esperienza ci dà, è che ogni essere ha la ragione del suo esistere in altro essere. Sorpassiamo la particolarità e prendiamo la totalità, che è il mondo. Se le parti non hanno in sé la ragione del loro essere, il tutto può averla in sé? Certamente no. Dunque, l'ha in un altro che non è il mondo. Ecco il legame. Ciò che ebbe principio postula ciò che è eterno. Io non vedo altra via. E spero che tu convenga meco e che ne parli a SS. perché veda di fare una nuova postilla come prosecutiva della prima, che certo ha il suo valore e non piccolo. C'è qui Nelina. Venne ieri. Sta bene. Puoi pensare come io sia contento. Mi riempie la casa. E giacché mi resta questo spazio, torno al nostro dibattito. Io studio un punto che è sopra tutto psicologico, e che giova allo storico e al critico. E questo è che ogni pensante non può porre nel suo pensiero che la verità, l'errore, il dubbio. E così il problema diventa metafisico, storico, critico. Così non mi pare che sia stato studiato. Ma così acquista in docilità, per la legge storico-critica da te preferita, cioè, si apprende a studiare con benevolenza il pensiero degli altri. Stiamo bene. Abbracci. Tuo t Mario
Piazza Arrnerina, 14 ottobre 1930
Carissimo fratello, le mie cartoline fuori turno non vogliono forzare il tuo turno; son esigenze del mio pensiero e del mio affetto; sono esuberanza. Tu opponi al mio punto di vista, che ti sembra assolutista, il tuo che è di « moderato relativismo ». Dissento. Anche il mio punto di vista è relativistico. Infatti io non dico che tutta la verità è di qui, tutto l'errore di là; ma rilevo che l'uomo, per esigenza dialettica del pensiero, crede che l'aspetto vero sia il suo, in opposizione a tutti coloro che pensano oppostamente. E questo è un fatto - è storia -, ma è relativismo, perché è risultanza di rapporti di opposizione. H o scritto neiie mie precedenti, che questo è un fatto logico, che perciò non può non essere che così; ma ho soggiunto che
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inchiude un vizio - che è di spontaneità - ed è il vizio che tu rilevi. I o affermo il fatto col suo vizio; tu affermi il vizio, e pel vizio, neghi il fatto. Dico bene? Ciò premesso, io soggiungo che è anche legge del pensiero l'autocritica, che però non si attua spontaneamente come la prima, ma per via di riflessione, e perciò non si attua sempre, ma quando l'uomo supera la sua posizione egoistica. Quando si attua, non supera simpliciter la prima posizione, perché non è possibile, ma la modera, nel senso che affermala limitatezza di tutto il conoscere umano, cioè la sua e l'altrui limitatezza, e ciò facendo, cerca l'errore nel suo modo di pensare, e il vero nel modo di pensare altrui, e così purifica le sue conquiste e le allarga. Ciò l'uomo fa sempre, anche quando fa storia. Se ciò tenta di non fare, cade nell'eclettismo e nello scetticismo, facendo non storia viva, ma cosa morta. Stiamo bene. Aff.mo t Mario
[London, Paddington], 14 ottobre 1930
Carissimo fratello, mi accorgo che sono quattro giorni che ti ho scritto; ieri fui molto occupato, ed attesi la tua che è arrivata stamane. Rivedendo la Postilla di SS. trovo che occorre togliere nella citazione di S. Paolo le parole ripetere col poeta, perché le parole del poeta non sono queste ma le seguenti: Ipsius enim et genus sumus. I o direi S. Paolo ... poteva ben dire: ecc. Credo che siamo d'accordo '. Non comprendo perché hai tolta la parola azltocosciente dove è scritto « L'anima è e deve essere autocosciente personale » '. Io LETTERA728. 1. Cfr. S. S., Il puro assoluto, cit., p. 325: « I teologi dicono che Dio è nel creato per potentiam, per praesentiam, per essentiam; essi così affermano non solo la dipendenza del creato, ma il valore di una presenza: in certo modo rivelatrice di sé. Onde S. Paolo, nel doppio senso naturale e soprannaturale, poteva ben dire: In ipso viuimus mouemur et sumus (Act. XVII). I1 che in termini filoscl fici si esprime con la frase che l'assoluto si fa in qualche modo immanente nel relativo, in quanto questo postula necessariamente l'assoluto *. 2. «L'assoluto non può essere che cosciente. Ma se tale, aliora dovrà concepirsi come personale; un cosciente impersonale, nel senso che noi diamo alla parola personale, cioè, come autocosciente della propria realtà, non può concepirsi. L'assoluto è e deve essere autocosciente, cioè, personale n; cfr. S. S., Il puro assoluto, at., p. 321.
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credo che sia meglio conservare la parola e dire autocosciente cioè personale. A proposito di questo punto, nella « Nouvelle Revue Francaise» di questo mese c'è uno studio di Benda che ragiona così '. Se è Divinità è personale, ma se è personale non può essere infinita perché la personalità è determinante. La difficoltà nasce dall'applicare concetti analogici alla Divinità. I1 concetto di personalità è in noi determinante; ma non può applicarsi così a Dio. La difficoltà per noi è concepire un'attualità senza passività, cioè senza processo. Tu dici di aggiungere la qualifica intellettiva alla esigenza dell'assoluto. I o domanderò a S.S. che ne pensa; per me la parola non avrebbe importanza, ma potrebbe ingenerare equivoco, perché anche gli idealisti ammettono l'esigenza intellettiva; però dell'assoluto come indeterminato. I o credo che in tutta la postilla l'idea di rapportualità sia chiara; ma dirò a SS. se vuole tornare su questo concetto. Egli si è fermato alle sue impressioni di Oxford. Ora vorrebbe tornare sulla questione della personalità, che è fondamentale contro tutte le forme larvate di panteismo. H o letto l'« Autoformazione ». L'articolo di fondo già conosciuto e bello. Le Postille interessanti 4, anche per lo spirito di acutezza e di polemica. Avrei evitato la parola eresia, non conducente in sede filosofica. Ricevuta la cartolina del 7. Te ne parlerò in altra mia. Sto bene. Un abbraccio, tuo Luigi
Piazza Armerina, 15 ottobre 1930
Carissimo fratello, rispondo alla tua del 10. Le parole « elemento centrale della sintesi universale » volevano dire la ragione della sintesi (sistema) e la sua estensione e comprensività. Il contesto poteva chiarire forse il mio pensiero. Io penso che un sistema risolve in sé più 3. Cfr. J. BENDA, Essai d'un discours cohérent, in « Nouveiie Revue Fran~aise», 1-10-1930, p. 465. 4. Cfr. « Rivista di autoformazione D, settembre-ottobre 1930. L'articolo a cui si fa cenno è quelio di M. STURZO,IL neo-sintetismo nella dinamica d'immanenza e trascendenza; le postille di M. STURZOsono L.'argomento del moto circa l'esistenza di Dio - L'analitismo gnoseologico di S. Tommaso - L'autocoscienza secondo S. Tommaso.
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LUIGI E MARIO STURZO
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elementi degli altri sistemi, a misura che la sua ragione specifica di sistema è più comprensiva. I o poi non dico d'aspirare a una filosofia stabile e definitiva. Dove hai lette queste parole? Dico invece di aspirare a una unificazione dei sistemi, cioè del patrimonio d'oggi. Domani sarà quel che sarà, quel che logicamente e processualmente dovrà essere. Ma io credo d'aver detto in qualcuna delle mie cartoline, che questo è un ideale da porre, senza lusinga di raggiungerlo, perché l'ideale non è mai raggiungibile. Ciò detto osservo che il mio monologo indica il lavorio attuale del mio pensiero, che vuole approfondire il neo-sintetismo, e ne vuol mostrare l'attualità. Segno d'attualità è questo poter dominare gli altri sistemi. I quali saranno fatti scomparire dal mondo, ma resteranno e pugneranno contro il nuovo avversario. Né dal neo-sintetismo saranno accolti tal quali, giustapposti in modo eclettico, ma saranno risoluti nel neo-sintetismo, cioè, redatti a unica sintesi: il neo-sintetismo. Sarà ciò possibile? Ma a suo modo non fa ciò ogni sistema? E non è ciò quella che io ho studiato per la prima, la legge dell'egoismo teoretico, spontanea e fatale? Certo occorre ancora approfondire l'argomento. Perciò ne scrivo a te e accolgo con gaudio le tue osservazioni, anche quando escono di tono come scatti di ipersensibilità intellettuale. Tuo Mario Stiamo bene.
t
Piazza Armerina, 16 ottobre 1930
Carissimo fratello, tu conchiudi la cartolina del 10 cosi: « Tutto ciò è storia, cioè, processualità, provvisorietà, conquista ». La parola provvisorietà torna in altre cartoline. Credo che non si debba accettare, perché il provvisorio non è il proprio, ma un suo surrogato in attesa di quello. Processo, sì; conquista, anche; provvisorietà, no. Processo dice il proprio di un dato punto dello svolgimento, che sarà seguito dal proprio dei punti successivamente seguenti. È il nostro punto di divergenza. Tu dirai: se il definitivo non c'è, tutto è provvisorio. I o credo che del definitivo ce ne sia. Ti prego di dar il lor senso alle mie parole, perché questo è problema fondamentale. Tutti i
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rapporti nella loro individualità ed immediatezza e semplicità, son definitivi, perché son se stessi. Due via due fa quattro, è un che di definitivo in se stesso. La processualità non è nel semplice ed immediato, ma nel complesso. Ed è movimento, perché mutato un rapporto, il processo prende altro andare. Nel processo ci può essere il provvisorio. Tali sono le ipotesi di studio. L'importanza di questo modo di vedere sta in ciò, che la verità si pone insieme come verità, cioè stabilità, e come conato verso altre verità, cioè processualità. La verità se è verità, dev'essere definitiva. Se non è tale, non è verità. Se la nostra conoscenza fosse totalitaria, sarebbe definitiva e non ci sarebbe processo. Processo e verità si accordano insieme nel conoscere umano, perché la verità è del parziale, il processo del totale, in quanto è passaggio da verità a verità, aspetto di verità ad altro aspetto. I sistemi non periscono, invecchiano. Perisce il caduco o errato dei medesimi, permane il vero. Ecco perché il processo si risolve in progresso. Se tutto fosse provvisorio, ci sarebbe mutazione, senza progresso. Quel che sino ad ora ti ho scritto, è ispirato a questi principi. Stiamo bene. Tuo Mario
t
[London, Paddington], 17 ottobre 1930
Carissimo fratello, ricevo la tua del 13 e rispondo. S.S. mi avea già fatto rilevare che nella sua Postilla la relatività è l'anima e il presupposto di tutto il ragionamento; ma vi è anche esplicitamente. Egli dice « Tale idea (dell'assoluto) non viene da se, a priori, ma sorge dall'intuizione del reale, la cui fenomenalità processuale o contingenza esige un assoluto come una reale necessità. Questa idea perciò deriva in noi dalla proiezione del relativo; è la realtà concreta in quanto relativa, che postulando l'assoluto fa nascere in noi l'idea dell'assoluto » ', ecc. Questo e altri accenni, secondo lui, bastano alla economia della Postilla: il tema della relatività è stato da te più volte svolto, e quindi egli teme di ripetere, e ogni ripetizione non originale guaLETTERA731. 1. Cfr. S. S., Il puro assoluto, cit., p. 323.
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LUIGI E MARIO STURZO
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sta. La sua idea è quella di scrivere sul problema della personalità ma prima vuole il tuo parere. La « Dublin Review » ha pubblicato il mio articolo; appena l'avrò te lo spedirò. Vincenzino vuole anche l'italiano. Vi occorre? I1 Prof. Chevalier dell'università di Grenoble, mi scrive di ringraziarti per l'invio del Pensiero dell'avvenire; e aggiunge: « j'ai adrniré dans cet ouvrage la vigueur et la pénétration d'une pensée ouverte à toutes les suggestions de la pensée moderne et fidèle en meme temps à la grande tradition philosophique de l'humanité que sauvegarde le Christianisme. Je ne manquerai pas de faire connaitre autour de moi, ce Neo-Syntetisme si interessant et si riche, qui vient de fleurir en votre vieille terre italique à la fecondité jamais épuisée ». Tornando alla discussione principale di questi giorni, a me piace molto che tu studi il punto psicologico; ma allora non puoi non tener conto di tutti i fattori psicologicosociali che alterano o modificano, arricchiscono o impoveriscono il pensiero strettamente teoretico. Sto bene. Godo della visita di Nelina. Un abbraccio, tuo Luigi
Piazza Armerina, 17 ottobre 1930
Carissimo fratello, per quanto tu dica che consenti in molti punti, il nostro dissenso è ancora allo stato iniziale, cioè, pieno. Ciò non mi turba. Del resto il problema attorno a cui mi travaglio in questo monologo (ormai un po' lungo), è proprio nato dal fatto che anche con te, che tanto mi ami, ci son dissensi insuperabili. Perché? Io dico: perché la mente umana è fatta così che divide il mondo del pensiero tra verità, errore, dubbio, come se tutta la verità fosse da un lato, e tutto l'errore dall'altro. Tu non ammetti questo, che è zrn fatto, perché poni le conquiste come provvisorie. Ponendole cosl, nessuno avrebbe diritto di dire: « è vero il mio modo di pensare, ed è errato quello degli altri, in quanto è contrario al mio ». Nella mia di ieri io ho esaminato il concetto di provvisorietà e di verità, e spero che non abbia scritto invano. Se tu accetti quanto scrissi ieri, allora sì che l'accordo su questo punto sarà conseguito fra noi. I1 fatto che io studio con certo accanimento, potrebbe enunciarsi in
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modo analogo al tuo enunciato « il relativo in funzione di assoluto ». Si avrebbe questa formula: « il parziale con funzione di totale ». O forse meglio: « il parziale preso per totale; sentito come totale ». Ogni uomo che pensa aderisce alla parte chiara del suo pensiero, e su essa fissa la sua attenzione. La parte oscura resta come trascurata; si evita di fissarla in faccia. Ecco perché ogni uomo in fondo dice, con le parole o coi fatti: « La ragione sta per me, il torto per coloro che dissentono da me D. Così parmi aver trovato la ragione della enorme difficoltà (che spesso è vera impossibilità) da indurre un pensatore ad accettare altro sistema. Nelina ha ricevuto la tua del 6 . Stiamo bene. t Mario
Piazza Armerina, 18 ottobre 1930
Carissimo fratello, continuo il mio monologo, il quale va, come le circostanze lo portano. Nelle due ultime ho parlato della verità. Ecco che sorge questo problema: che cosa è la verità? I o me lo son proposto molte volte, ma non ho ancora raggiunto quella tranquillità mentale, che ci dice: sto proprio bene. Spero che un tal sospirato termine lo raggiunga nel presente monologo. Dati i precedenti miei scritti, parmi che essi precedenti scritti mi impongano la cercata nozione della verità. I o ho detto che la cognizione umana è sempre rapportuale e costruttiva. Cioè io ho negato che la mente colga in sé stessa le essenze delle cose per la illuminazione intellettiva del fantasma. H o anche negato la famosa adeguati0 rei et intellectus. Ciò posto, per me, la verità è « convenienza di rapporti teoretici », come la bontà è « convenienza di rapporti pratici ». Per me il primo atto conoscitivo è affermazione di differenza - questa cosa non è quella -. E questa è la prima verità. Ogni rapporto che si conosce, è una verità che si afferma. Ma la conoscenza non avviene senza catego- rizzazione. Categorizzare è affermar convenienza di rapporti teoretici nella visione logica. È verità. Ed è verità logica, quando si tratta di categorie logiche - le idee vere e proprie; verità empirica, quando si tratta di categorie empiriche. Questa è unità - Verità logica. - Questo è cipresso - Verità empirica. Dunque, la verità per
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LUIGI E MARIO STURZO
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l'uomo non è rapporto di quel che le cose sono nella lor pura oggettività, con la mente, ma rapporto tra fatto conoscitivo e fatto conoscitivo, tra costruzioni e costruzioni, e quindi tra conoscenze precedenti e conoscenze susseguenti. Ecco perché la verità per l'uomo è sempre in divenire (tu diresti provvisoria). Nelina ripartirà domani. Sta benissimo. Sto bene anch'io e aspetto le tue nuove. Tuo
t. Mario
I
[London, Paddingtonl, 20 ottobre 1930 la cartolina
Carissimo fratello, seguo il tuo esempio, oggi due cartoline. Io non sono riuscito a prendere bene il punto centrale del tuo Monologo. Ecco perché cerco di esprimervi attorno alcune mie idee, con un ordine adatto al mio pensiero. 1) Se si tratta di un problema psicologico (che tu chiami intolleranza o egoismo spontaneo, e tolleranza riflessa) in tal caso dovremo prendere in considerazione tutti i fattori che concorrono a creare e sviluppare le teorie e le opinioni umane, in concreto e non più in astratto, cioè non nel campo puramente teoretico. ma nella realtà della vita pratica, che è insieme individuale e collettiva, che si forma per via di tradizione, di influsso di ambienti, di reazioni morali, sentimentali, ecc. Sotto un tale aspetto sfugge l'antitesi teorica di verità e di essere, che si trasmuta in antitesi pratica, morale, utilitaria, ecc. Nel fatto non è una vera antitesi; ma una contrapposizione. 2) Per trovare l'antitesi vera bisogna spogliare gli elementi teorici di tutte le concretezze psicologiche, sociologiche e storiche e ridurli a termini astratti. Allora, però, l'antitesi (se vi è) sarà solo nella nostra mente come una posizione logica. Invero, perché possa esservi antitesi fra due pensieri distinti occorre che i due pensatori siano sul medesimo piano, adottino lo stesso linguaggio e si riferiscano alle medesime teorie (o sistemi). Ciò può avvenire solo in una scolaresca ove la sistemazione teorica si presuppone identica, e l'opposizione logica è solo una ginnastica della mente. Ma altrimenti non si dà. - Segue 2" cartolina. Sto bene, tempo mite. Un abbraccio, tuo Luigi
1. Luigi Sturzo.
2. l l a r i o Sturzo.
DROIT DE GUERRE - 4 Frontespizi delle edizioni inglese e francese di La comt*nitĂ internazionale e d ' d i r i t t o di guerril.
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5. Luigi Sturzo
e Filippo hleda.
6. Mario Sturzo al Congresso Internazionale di Filosofia
a Sapoli.
. Luigi Sturzo e Benedetto Croce nel convento delle Canossiane a Roma.
R . Fleriri Rremond (1865-1933
l .
9. Mario Sturzo con i Padri Oblati al Capitolo Generale.
10. Giuseppe Donati a Parigi negli anni dell'esilio.
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--
11. Luipi Caruso detto Calatinus.
12. Cartolina postale di Mario Sturzo del 1 luglio 1929.
3
Cartolina illustrata di Luigi Sturzo del Satale 1929.
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[London, Paddington], 20 ottobre 1930 2a cartolina
Se noi diciamo: « l'anima è immortale » troveremo altri che dirà: « l'anima non è immortale »; ma quest'altro (se dice così) non concepirà né l'anima né la immortalità allo stesso modo nostro né con gli stessi nostri riferimenti; che se così fosse, allora costui non potrebbe più affermare l'antitesi suddetta. Così tu dici che l'intelletto agente non può esistere, i neo-tomisti dicono che esiste; ma il tuo intelletto agente sarebbe una facoltà spirituale che non conoscerebbe ed agirebbe; quello degli altri, volere o no, si risolve in una illuminazione divina ab esterno (vedere Maritain). 3 ) Poiché i'antitesi logica non esiste nel fatto concreto (psicologico e storico) non fra due pensanti diversi, ma solo può esistere nel pensiero del soggetto pensante, è qui che occorre trovare il punto che interessa noi e gli altri (e che mi sembra il filo sotterraneo del tuo Monologo) cioè il criterio d i verità che, entro noi, ci fa scegliere fra la negazione e l'affermazione. Tale criterio investe i tre lati della verità, lo storico, il critico e il sistematico. Noi dobbiamo poter valutare e scegliere, e dare a quel che si è scelto e a quel che si è ripudiato, il loro valore proprio, astratto e concreto, teoretico e pratico; assoluto e relativo; di approssimazione e di definitezza, ecc. E qui azzardo un'ipotesi: ogni teoria, se pensata dal soggetto (o da lui scoperta o da lui appresa e fatta sua cioè riscoperta) entra nel sistema delle idee del soggetto, come verità, e può o no essere ripensata come valore pratico; - invece quando passa come dominio collettivo, cioè nella vita sociale, allora ha solo un valore pratico. Tornerò a pensarci. Sto bene. Tuo sempre Luigi Ricevuta la tua del 14. Spero arriverà oggi qualche tua cartolina.
LUIGI E MARIO STURZO
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Piazza Armerina, 20 ottobre 1930
Carissimo fratello, ricevo la tua desiderata del 14. Avevo visto lo sbaglio nella citazione di S. Paolo, ma per un curioso disguido non feci la correzione, che ora ho fatto. Accetto « autocosciente, cioè personale D. Circa la esigenza devo farti osservare che la teoria è Kantiana, che pone Dio per esigenza della ragione pratica, e non è conclusiva, perché la esigenza pratica ha la sua direzione in sintesi con la funzione teoretica e per questa. Se nella postilla si dicesse che Io scrittore lavora sulle impressioni di Oxford, nulla ci sarebbe da ridire l . Invece - ciò tacendo - la postilla perde l'aspetto storico (realistico) e conserva l'aspetto logico, e apparisce manchevole. Hai ricevuto le due cartoline del 6? Tu non me ne fai cenno. « La personalità è determinante ».Certamente. L'errore non è qui, ma nel credere che determinazione ed infinitezza si escludono a vicenda. Forse che l'infinito è l'indeterminato? I filosofi del pensiero moderno non ammettono l'infinitezza come attualità pura. Così smarriscono anche il vero concetto d'eternità. Se SS. si occuperà di questo problema, son certo che metterà in tutta la sua luce la nozione di atto puro. Ma c'è un altro problema, che nasce da questo, ed è come s'accordino insieme pura attualità (Dio) e processo temporale (mondo). Questo problema ben posto, credo che verserebbe molta luce sulla questione teologica della predestinazione e della grazia efficace e sufficiente. Nelina è ripartita ieri nel pomeriggio. Sta benissimo. E io sento il vuoto che, partendo, mi ha lasciato. Ma Dio vuol così, e così sta bene. E stata qui una settimana. Dal 13 incluso al 18 ti ho scritto ogni giorno. Ieri pausa. Sto bene. Libri di meditazione buoni non ne conosco. Ti abbraccio. Tuo
1. Mario
LETTERA736. 1. Si tratta ancora della postilla Il puro assoluto, cit.
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[London, Paddington], 21 ottobre 1930 la cartolina
Carissimo fratello, ieri ricevetti le tue cartoline del 15 e del 16; e ti rispondo subito (il freddo sopraggiunto di botto mi ha fatto stare in casa) con ben due altre cartoline. Dopo le quali fo punto e ritorno al mio lavoro; e seguirò il corso normale della nostra così viva corrispondenza. A me giova che mi fa pensare. Non so se le mie cartoline non siano per te un certo perditempo. Voglio sperare di no. Dunque, ecco perché io ho più volte parlato di provvisorietà sistematica: per me ogni uomo ha una sua propria sistemazione di idee (chiara o oscura - perfetta o imperfetta, particolare o generale - coerente o incoerente, teoretica o pratica, ecc. ecc.). Restiamo alla sistemazione teoretica: questa non è mai definitiva, ma sempre in processo, come è in processo l'uomo. Se si arresta, in una parte, questa si risolve in pura reminiscenza a scopo pratico e non è più teoretica; così chi ha studiato filosofia nelle scuole e poi ha cessato di occuparsene, se ne ricorderà se gli occorre qualche dato pratico che vi si riferisce, ma non avrà più un pensiero attivo e quindi critico. Se per caso vi ritorna su con un suo pensiero attivo ha già per questo rifatto il processo e il suo nuovo rivivere al pensiero iilosofico sarà una sistemazione critica, non importa se egli arriverà al punto stesso dove arrivò studente ovvero lo supererà. La sistemazione interiore delle proprie idee essendo vitale è sempre in processo. Benché non sempre in progresso: può essere così involutiua come euolutiua: così parziale come completa; e può risolvere in sintesi le parti incoerenti, o disperdere la sintesi nelle parti incoerenti. Ciò posto, il passato della sistemazione attuale è il provvisorio di fronte al definitivo; ma il definitivo è attualità cioè è il provvisorio di una nuova attualità e così via. La parola provvisorietà sistematica non piace neanche a me e se ne trovi altra migliore io l'accetto. Sto bene. Un abbraccio, tuo Luigi
LUIGI E MARIO STURZO
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[London, Paddington], 21. ottobre 1930
Carissimo fratello, avanti di cominciare la 2" cartolina ho ricevuto la tua del 17. Grazie. Non ti facciano meraviglia il mio insistere e i miei dissensi: anch'io cerco, ed è questo, per me, un metodo buono, che mi giova. Però ciascuno si riferisce al proprio sistema qual esso sia, e assimila come può. In fondo, io credo che la diversità è più sul modo di esprimerci e sui punti di vista da cui si parte, che sulla materia che cerchiamo risolvere. Riprendo il mio filo e rispondo anche alla tua del 17. La prouuisorietà di cui io parlo è del sistema non delle verità; però le verità si producono, vivono e sviluppano entro i sistemi. Così il tuo argomento sulla verità singola (due due) non fa al caso; sia perché si tratta di verità empirica, sia perché è presa in forma astrattistica, cioè fuori di un sistema concreto. Anche le verità matematiche fuori del loro sistema non reggono. Tu sai che i sistemi geometrici o euclidei dimostrano la non conclusività (o provvisorietà) della geometria Euclidea, il cui presupposto fisico è un mondo piano e statico. Quando dalle sistemazioni subiettive teoretiche, si passa alla comunicazione ad altri del proprio sistema (a voce o per iscritto) allora questo sistema comunicato prende una figura a sé documentario-pratica, a cui altri si riferiranno con atteggiamenti pratici (conoscenza - esplorazione - critica - polemica - ecc.) finché il terzo, il quarto, ecc. non arriva a convincersi così del nuovo sistema, già conosciuto a scopi pratici, da modificare la sua precedente sistemazione teoretica sotto l'influsso del sistema nuovamente appreso. Allora egli lo assimilerà, lo trasformerà in sé, e quindi produrrà nel suo interno una sua nuova sistemazione e così via. Tu dici « occorre aspirare ad una unificazione dei sistemi di oggi; domani sarà quel che sarà ». Secondo me ciò non è possibile neanche teoreticamente. Tale ideale preso come termine esterno è sterile e può far deviare. Io credo che tu dici così per un post hoc, cioè dopo aver trovato il sintetismo (principio largo e comprensivo) tu pensi di averne l'ideale. Questo ideale non è, né può essere distinto dalla tua sistemazione, e non è quindi esterno e volitivo, ma è la sistemazione stessa che si rivela nella sua larghezza e profon-
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dità. A me perciò non sembra che sia un parziale per il totale. Sto bene. Un abbraccio, tuo Luigi
Piazza Armerina, 23 ottobre 1930
Carissimo fratello, rispondo alla tua del 17. Le mie osservazioni circa la postilla riguardano le parole: esigenza - postula. Non dico che occorreva ripetere quel che io ho scritto, ma approfondirlo. Lo sento io stesso questo bisogno. S.S. scriva sul problema di Dio personale. E utile, anzi necessario. Le parole di Chevalier: poche ma buone. Io non intendo fare uno studio psicologico sul mio problema; solo ho notato che c'è anche l'aspetto psicologico. I1 mio problema supera di molto l'importanza psicologica. Ed è un problema nuovo. M'inganno. Ed utile. Anzi più che utile. Esso si risolve nel dovere di superare il campo individuale, in cui l'uomo si chiude per esigenza di natura, ed arrivare alla vera visione storico-filosofica, che non fa sdegnare il vero dell'altrui pensare, come se fosse nocivo al proprio pensare. Ciò facendo l'uomo approssimerebbe molto di più che non fa, la verità che ci sfugge per la sua parzialità e per l'apposizione sistematica dei sistemi. Si vuol la traduzione dell'articolo della rivista inglese per comodo di chi non sa quella lingua. Sto bene. Prega per me, come io faccio per te e farò il 25 del corrente mese. Tuo t Mario 740 [London, Paddington], 23 ottobre 1930
Carissimo fratello, . oggi fo una parentesi alla nostra discussione e ti prego di farla anche tu quando mi risponderai. Ti scrissi che avevo corretto Adamo, tenendo presenti tutte le tue osservazioni; e che il punto difficile era la Tentazione. Su questo punto desidero di nuovo il tuo parere. Tu mi scrivevi che avresti voluto Adamo per la obe-
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dienza, Eva per la scienza del bene e del male, Adamo a dissuadere Eva, costei a suggestionarlo; consigliavi pure evitare la scena del serpe e del pomo. Ora, se di fatto Adamo avesse resistito e sola Eva caduta, la posizione sarebbe logica; ma perché Adamo è caduto, occorre un movente immediato che non può essere la sola suggestione di Eva, ma deve essere anche la stessa ricerca della scienza del bene e del male. I1 contrasto che tu suggerisci mancherebbe di psicologia e non sarebbe drammatico ma melodrammatico nel senso cattivo. A me sembra che Adamo debba sentire come Eva, salvo che la sua decisione è presa per la suggestione di Eva, come quella di Eva per il serpe. Data questa posizione, logica vuole che la storia del genesi sia sceneggiata tutta come è nel testo. Ti prego di ripensarci e di dirmi il tuo parere di nuovo; che mi interessa per una mia decisione. Ti spedisco la « Dublin Review ». Ci sono due recensioni di libri filosofici, uno del gesuita d'Arcy dal titolo Thomas Aquinas e l'altro del Dr. O' Mahony sul Desiderio di Dio nella filosofia di S. Tomaso d'Aqtlino. Ti scrissi di spedire il Pensiero dell'avvezzire a Watkin? Se no, ecco l'indirizzo E. J. Watkin esq. St. Mary's Sheringham - Norfolk - Inghilterra; conosce l'italiano. Ho ricevuto la tua del 18, ancora un'altra cartolina; tu mi avvezzi male; non sai che gioia per me! Sono d'accordo con te sulla impostazione del problema delle verità, che si risolve in conoscenza. Ma quale il criterio o i criteri per distinguerla? È quello che penso da un pezzo, e te ne scriverò appena ho maturato il mio modo di vedere. Sto bene. Un abbraccio, tuo Luigi
[London], 25 ottobre 1930
Carissimo fratello, ti arriveranno, forse con qualche giorno di anticipo, i miei più caldi fraterni augurii per il tuo compleanno. Quel giorno celebrerò per te e sarò con te unito nella preghiera. I1 Signore ti ha concesso vigore di forze e di mente, ancor giovane e fresca, per compire un lavoro importantissimo nel campo del pensiero; ma insieme ti ha dato una prova del Suo amore con farti provare le amarezze
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di un lavoro misconosciuto o sospettato. Verrà il tempo quando tutto ciò sarà utile per la Chiesa e per il pensiero umano, non importa se tu lo vedrai o no, perché tu ne avrai un premio imrnensamente più grande e l'unico desiderato e desiderabile. Ieri notte sognai che tu eri in una città vicina ed io mi affrettavo a far le valigie per venire; destatomi mi accorsi che la città è troppo lontana, e oggi fa sei anni che io lasciai la patria. I1 Signore un giorno ci riunirà, qui o in cielo. Ho ricevuto la tua del 20. S.S. mi assicura che egli, quando ha parlato di esigenza, non ha mai inteso esigenza puramente pratica d a Kant; anzi in un punto della postilla egli scrive: « Abbiamo già visto che l'idea dell'assoliito nasce dalla esigenza teoretica di una realtà non risolvibile in altra ». Confronta se nel copiare la parola teoretica sia rimasta o no. Altrimenti egli non comprende la ragione della tua osservazione. I o poi, per mio conto, non credo che la Postilla sia manchevole, per quel che ti ho scritto in altra cartolina. Certo il tuo punto non è in luce, perché è in luce altro punto della questione. S.S. dice che per adesso è occupato, ma per gennaio spera mandare la 3" postilla su questo tema, nella fiducia di contentarti meglio che con le due precedenti. Sto bene. Un abbraccio di cuore, tuo Luigi
742 Piazza Arrnerina, 26 ottobre 1930
Carissimo fratello, la 2" cartolina mi giunse il 23; la lail 25. Rispondo subito. La tradizione, la storia, la realtà intera tu non la trovi - come fatto conoscitivo - che nella' mente dei singoli uomini. Soggetto conoscente di fronte a soggetto conoscente non si dà. Per ogni conoscente il conosciuto è oggetto. La conoscenza non è reciproca visione dell'altrui coscienza, ma risoluzione nella propria sintesi, dico: risoluzione di dati elementi delle sintesi circostanti, siano coscienze, siano oggetti materiali. Le mie ultime cose son piene di questa teoria, e perciò non v'insisto. Nemmeno insisto a far la critica delle tue due ultime cartoline, perché le credo una svista. Ciò affermato, credo che ora possiamo metterci sul medesimo
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piano. I1 mio sintetismo poggia non solo sulla sinteticità della funzione conoscitiva, ma, sopra tutto, sulla interiorità del reale, non come essere, ma come conoscenza. Ciò importa un sano o forse nuovo individualismo. Conoscere collettivo non se ne dà, perché non si dà unità collettiva di soggetti. I1 conoscere è sempre individuale. Ci sono le correnti, ma anche queste sono individuali, e son correnti in quanto si attuano con elementi comuni, i quali poi si differenziano sempre negli individui. Ecco perché io dico che ogni individuo concepisce la realtà storia, politica, arte, morale, teoria, pratica, ecc., come divisa in due campi: la tesi, ' l'antitesi, cioè, ciò che dal soggetto è reputato vero, buono, utile, ecc., e ciò che è reputato il contrario. L'individuo però deve, per via di riflessione, pensare che egli non esaurisce, conoscendo, la realtà, e che gli altri ne posseggono ciascuno un aspetto. Ciò facendo egli allarga e rarnmorbidisce la sfera dei suoi giudizi. Ecco il mio monologo. Sto bene. Tuo Mario
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[London, Paddington],
28 ottobre 1930
Carissimo fratello, né ieri né stamane ho ricevuto la tua solita cartolina, l'ultima è del 20 ottobre, alla quale ho risposto il 25. Temo che sia smarrita ovvero impostata con ritardo; attendo domattina la posta con una certa ansia. Non ho ancora risposto alla tua del 7 di questo mese, come ti avevo promesso, e lo fo stasera. Tu dici: « Per l'uomo che pensa la storia è un campo doppio, gli eletti e i reprobi, ecc. ». A me non sembra così. La storia è per me un risultato di azioni e reazioni così complesso che non può mai ridursi a un campo doppio, tranne che per astrazione teorica o sempiicizzazione pratica. Per me è astrattista chi riduce la realtà concreta ad uno schema astratto; è semplicista chi non vede nella realtà che solamente una determinata superficie. Coloro che reputano vera la teoria del determinismo economico riducono tutti i fatti storici a puro fenomeno economico e sue molteplici reazioni, costoro per me sono astrattisti. Quelli poi che, ammettendo il de-
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terminismo economico, dividono la società (e quindi la storia) in due, borghesia e proletariato in lotta perenne, sono dei semplicisti. Questo vale per ogni teorizzazione (astrattismo) e per ogni riduzione ad un tipo unico di lotta (semplicismo). Le forme antagonistiche della vita sono sempre processuali e risolvibili; perché non sono mai antitesi logiche, ma contrapposizioni concrete di idee, sentimenti e interessi insieme uniti. Perciò la posizione di reprobi ed eletti è per me antistorica. Sto bene. Un abbraccio, tuo Luigi 744 Piazza Armerina, 29 ottobre 1930
Carissimo fratello, riprendo il discorso di ieri. La caduta di Adamo, per me, dev'esser tragica. È la colpa che rovina il mondo; ed è la colpa di chi era in condizioni di non peccare. Deve avere dunque tutti i caratteri della responsabilità; e perciò quella specie di fascino sfibrante dev'essere tolto via. La tentazione non crea gli stati d'animo, ma li acuisce. Essa deve trovare su che agire E qui, penso, deve trovare ansia di scoperta (la scienza del bene e del male) ed orgoglio. Penso ancora che tutta l'azione ha la sua ragione o deve averla, nella caduta. Circa il criterio della verità c'è qualche cosa nella rivista e nel Pensiero dell'auuenire. Preciso come penso in questo momento. La conoscenza è criterio a se stessa. Se così non fosse, non sarebbe conoscenza, ma confusione. La conoscenza è elaborazione-trascendenza dell'oggetto. È sintesitrascendente di oggettività e soggettività. Ed è relativa. I filosofi che cercano il criterio della verità, come mezzo infallibile (assoluto) di discernere la verità dall'errore, da Platone in poi, cercano quel che non si troverà mai. Conoscere è giudicare. Ma giudicare è far la critica, cioè, è atto di criterio. È però criterio che non intercede tra un termine assoluto (le idee di Platone) e il conoscente, ma tra oggetto reso soggettivo e soggetto, nella chiusa rapportualità . Contingente l'uomo, contingente-costruttiva la conoscenza, contingente relativa la verità. Ferma nei rapporti semplici ed immediati, cioè ferma nei frammenti, processuale nelle sistemazioni e costruzioni, parziale sempre. Credo che questo sia il modo meno
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imperfetto di considerare il problema del criterio o dei criteri che dir si voglia. E questo è uno degli aspetti del mio monologo, che è ricerca, e cerca in te lo stimolo e l'aiuto a migliori scoperte. Siamo intesi? Sto bene t Mario
[London, Paddington], 30 ottobre 1930
Carissimo fratello, ricevo stamane la tua del 26; la precedente ricevuta fu del 20: - 6 giorni di vuoto? Temo che ci sia di mezzo qualche cartolina perduta; se è così, ripetimi quel che in essa avevi scritto. Ma se non è così, ti prego di non far passare tanti giorni in silenzio: ne soffro un poco anche fisicamente. Io ti ho scritto il 17 ottobre la risposta di J. Chevalier; la ricevesti? Ora so che P. Valensin di Lione ti ha scritto direttamente; egli ha trovato il tuo libro magnifico. Hai ricevuto la « Dublin Review »? Ne vuoi altre copie? Se non ti interessano non le compro, perché ogni copia costa circa 16 lire italiane. Sto bene. Circa il modo di intendere la storia tu lo sai che non siamo dello stesso avviso. I o che di storia e sociologia ho fatto uno dei miei studi principali, non ho mai risolto la storia concreta in due campi, perché avrei dovuto risolverli in due campi sotto un numero N (infinito) di aspetti. Se fosse legge del pensiero, come tu dici, sarei stato costretto a farlo. La risoluzione che si fa (quando la facciamo) non è della storia concreta ma di dati aspetti astratti che poi erroneamente applichiamo a tutta la storia concreta. Provati a fare la moltiplicazione dei due campi X e X" per N aspetti, e vedrai. I n sostanza il reale storico non è che il complesso di azioni e reazioni individuali (di tutti gli individui) in tutti i sensi. Nel mio libro sulla Comunità Internazionale ' io ho studiato il processo storico internazionale sotto questo punto di vista ed è stato uno dei punti più apprezzati e discussi dalla stampa. È vero che ci sono storici che dividono il mondo in due campi, il proprio e l'opposto; ma costoro non sono veri storici, sono polemisti, apologisti, gente che vuol provare la propria tesi con la storia. Saranno tutto fuorché
LETTERA 745.
1. Cfr. lettera 859 nota 2.
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veri storici. Di altri punti della tua cartolina, ti scriverò altra volta. Spero di non infastidirti. Un abbraccio, tuo Luigi Ti ho scritto il 17, 20, 21, 23, 25, 28. Confronta.
Piazza Armerina, 30 ottobre 1930
Carissimo fratello, grazie degli auguri tanto affettuosi. I1 25 celebrai per te e per tutti i nostri cari. Siamo lontani? l o invece dico che mai noi siamo stati più vicini di ora. E ne ringrazio Dio. Tu non puoi credere quanto mi è stata utile questa fitta corrispondenza che teniamo da sei anni. S.S. stia tranquillo: le sue postille son assai interessanti, né le mie lettere deve prenderle come segno d'insoddisfazione. Esse son segno che noi cerchiamo il meglio sempre; e ciò è un bene. Torno sul tema - criterio della verità. La parola criterio ha doppio senso: mezzo o segno - capacità. Un criterio segno o mezzo non esiste. Resta la capacità, che è la stessa capacità di conoscere. Conoscere è giudicare. Applicare il criterio è giudicare. Dunque la stessa conoscenza è criterio. Ma la conoscenza è contingente. Dunque anche il criterio è contingente. Così solo si spiega la molteplicità dei sistemi e delle teorie. Se il criterio fosse un che di distinto dal conoscere, ci sarebbe nel mondo del pensiero la piena conoscenza. Nel conoscere ci sono delle conquiste che permangono. Permangono anche quando si superano. Perciò c'è il progresso. Se nulla permanesse, non ci sarebbe progresso ma pura mutazione. Ci sono le conquiste che permangono, perché conoscere è conoscere realtà e non pura creazione del soggetto. I1 criterio è il giudizio del conoscere, il giudizio del conosciuto; il giudizio che sistema, il giudizio dei sistemi. I1 criterio dei criteri è rendersi conto di tutto ciò e convincersi che la verità assoluta è in Dio e non nell'uomo. Tutto ciò a me sembra chiaro. A te? Aspetto di saperlo. Sto bene. Son però vecchio oramai. H o molto in mente. Potrò metterlo in carta tutto? Quel che io non potrò, spero lo faccia tu. Perciò ti scrivo tutto quel che penso. Tuo -1- Mario
LUIGI E MARIO STURZO
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[London, Paddington], 31 ottobre 1930
Carissimo fratello, continuo sul tuo Monologo, al quale ho pensato tutto ieri. Sarà il modo diverso di spiegarci, sarà il punto diverso di partenza, ma io non ne arrivo a cogliere l'intima ragione (tranne che come un problema di criteriologia) e perciò a te sembra che io divago o che prendo delle sviste. Tu dici che l'individuo concepisce la realtà (storia politica morale, ecc.) come divisa in due campi. Ora io, che sono un individuo pensante, non la ho mai concepita così in due campi, ma come realtà in un numero indefinito di campi; e più ne arrivo a conoscere e più capisco la realtà. Ecco perché io insisto nel far differenza fra concezione della realtà e astrazione dalla realtà. Inoltre tu dici che « l'individuo può e deve per via di riflessione pensare che egli non esaurisce, conoscendo, la realtà e ciò facendo allarga e rammorbidisce la sfera dei suoi giudizi ». È questo un atteggiamento teorico o pratico? Dalle precedenti cartoline mi sembra che si tratti di praticità; io invece (tenendomi ad un certo relativismo che deriva dalla cosidetta provvisorietà delle sistemazioni, il che tu credi una svista) ritengo che si tratti di teoricità. È questo il punto centrale della nostra divergenza? Se sì, desidero che ti fermi a questo punto ed abbia con me pazienza, perché fino a che non supero il punto contrastato non so procedere avanti. Altra osservazione: tu dici che conoscere collettivo non si dà. Ora io non ho mai inteso ciò per l'atto del conoscere, sarebbe stata grossa; ma ho inteso per il fatto che conoscere è anche e insieme manifestarsi, cioè trasformare il dato teoretico in dato pratico (ogni manifestazione è praticità e non c'è vero pensiero che non sia manifestazione). I1 che costituisce quel c h i noi chiamiamo civiltà, storia cioè attività umana presente (accumulata coi secoli). Su questo tu hai scritto pagine magnifiche. L'individuo che pensa è = a società che realizza, ecc. ecc. Sto bene. Rinnovo gli auguri. Tuo sempre
Luigi
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[London, Paddington], 2 novembre C19301
Carissimo fratello, domani il nostro pensiero è insieme con i nostri cari, che già godono il premio, o vi sono già presso. Come mi sono essi oggi più vivi alla mente che mai; è che il cammino fatto per raggiungerli è già verso il compimento. Come vuol Dio buono e benigno. Ricevuta la tua del 28. Grazie. Appena avrai questa vedi di mandare i tuoi libri di letteratura (e se credi aggiungi quelli di filosofia) al Rettore del St Edward's College - Malta. Quel professore d'italiano non contento dei testi di letteratura ha sentito parlare di una letteratura forse creduta mia e mi ha scritto. Egli vuole vedere se può adottarla. Sarà bene spedirgleli subito (al Rettore) e insieme quelli di filosofia. Grazie delle tue osservazioni e consigli per la Tetralogia. Ho deciso lasciare il prologo; ora che è corretto mi piace. I1 fatto che prima della creatura intellettiva non vi è conoscenza (creata) non mi sembra conclusivo riguardo alla rappresentazione artistica. Se debbo esprimere la Creazione, ogni mezzo adatto a rappresentarla sarà buono; il coro dietro le quinte ha lo stesso valore (come mezzo artistico) della musica dell'orchestra. Torno alla tentazione: per farne una grande tragedia occorrerebbe che Adamo divenisse o Lucifero o Prometeo, ma Adamo della Genesi è altro; temerei di colorirlo più che non è nella tradizione biblica. Ecco la d&coltà. La ricerca della scienza del bene e del male che lo fece disubidiente è di fatto una ribellione a Dio; ma i motivi restano oscuri e misteriosi. Ecco il perché dell'involuto e dell'inerte. Non conosco nulla nei Padri che mi dia lume, perché essi restano al fatto morale e simbolico e non penetrano nella psicologia del primo uomo. È più comprensibile Lucifero con il suo ascendam. I1 « sarete siccome dii D del serpe è una frase di seduzione che manca di risonanza. Ci tornerò a pensare. Sto bene. Un abbraccio, tuo Luigi
,
LUIGI E MARIO STURZO
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Piazza Armerina, 3 novembre 1930
Carissimo fratello, rispondo alla tua del 28-10. Quella che tu chiami astrazione, nel caso, è errore. L'astrazione suppone la cognizione di cui si prescinde. I1 materialista della storia erra. Egli crede che la realtà sia come egli pensa. Farebbe astrazione, se, conoscendo gli altri aspetti, ne prescindesse per una qualche ragione. Le parole eletti e reprobi non son mie, ma di Croce. Io le ho citate, per dimostrare che Croce commette lo stesso errore, che rimprovera agli scolastici, benché sotto altro aspetto. Io persisto nel mio modo di pensare; perché trovo che corrisponde al fatto. Solo occorre non dare alle parole un senso troppo angusto. Ogni uomo non può non opporre la verità all'errore. E ogni uomo crede che quello che egli reputa verità, è verità, e ciò che al suo pensare si oppone, reputa errore, perché, se così non lo reputasse, sarebbe il suo pensare. La quale opposizione è complessa e risolvibile, perché è realistica e non puramente logica. Se tu analizzi la tua cartolina, trovi che attui la mia legge. Tu infatti ammetti la complessità contro I'astrattismo e il semplicismo. Ecco l'opposizione, che è di verità a errore, cioè, di ciò che tu reputi verità a ciò che tu reputi errore. Ti prego di studiare seriamente questo problema, perché spiega molti aspetti della filosofia e della storia. Sto benino. Abbracci del tuo t Mario I1 vaso giace a Ventimiglia. Si è fatto reclamo.
[London, Paddington], 4 novembre 1930
Carissimo fratello, ho ricevuto una lettera del Prof. Brunschvicg deli'Istituto di Francia del lo di questo mese. Egli scrive: « Je suis désolé que votre frère n'ait pas requ ma lettre ... et que vous avez pu me croire indifférent à une oeuvre qui devait m'intéresser au plus
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haute point. J'ai été très frappé de ce qu'il y a d'origina1 et de séduisant dans la conception de la synthèse que y est exposée; mais j'ai trouvé que le jugement sur l'idéalisme il est un peu sommaire et dur. I1 me semble que l'évolution des rapports entre la mathématique et la physique amène l'idéalisme à surmonter, en quelque sorte, sous le dicton de la nature, les objections qui lui sont opposés, et, qu'il mériterait en effet s'il en était resté à sa forme traditionnelle D, ecc. Io comprendo bene la impressione di Brunschvicg e di altri, come Le Roy, riguardo l'idealismo. Per molti francesi e anche inglesi l'idealismo è concepito come una teoria della natura (e non del pensiero puro) ed è in opposizione a un realismo grossolano o a un sensismo materialista. Conosco degli idealisti che sono credenti e credo anche praticanti cattolici come Brunschvicg e Le Roy, o l'inglese (protestante) Webb l . Essi non sono idealisti all'italiana o alla tedesca, logici, consequenziosi fino all'estremo. Essi credono che l'idealismo classico si evolve verso una soluzione media in cui può aver luogo non solo l'idea, ma la realtà di Dio. È interessante studiarli. Tu, credo, non hai letto il libro di Le Roy che ti spedii nell'estate scorsa. Se credi, rispondi al Prof. Brunschvicg così gentile. Finisce la lettera dicendomi di farti le sue scuse, se la lettera non ti è arrivata, ecc. ecc. Ho ricevuto le tue cartoline, e anche quella del 23 ottobre col timbro del 30 ottobre da Piazza, ricevuta ieri. Così ho ricevute tutte anche quella del 30 arrivata oggi. Te ne scriverò in altra, che già questa è piena. Sto bene. Un abbraccio, tuo Luigi 75 1 Piazza Armerina, 4 novembre 1930
Carissimo fratello, ho ricevuto le tue del 30 e del 31 e tutte le altre ricordate nella prima. Io ti ho scritto il 23-10. Questa è la cartolina che non hai ricevuto. Non era delle più interessanti. Ti dicevo: « Le LETTERA 751. 1. Clement Charles Julian Webb (1865-1954),filosofo idealista e spiritualista inglese, fu professore a Oxford. Scrisse fra le altre opere: Philosophy
and Christian Religion (1920);Kant's philosophy of Religion (1926);PascaZ's philw sophy of Religion (1929); Religion and Theism (1934).
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parole di Chevalier, poche, ma buone »; e, che si desidererebbe la traduzione per comodo di chi non conosce l'inglese; ed altre cose di non grande importanza. Altra copia della rivista non occorre. P. Valensin mi scrisse buone parole, generiche. Disse poi che non accettava tutte le mie idee. Su quanto dici nella tua 'del 30, osservo: lo che non ho mai messo in dubbio la tua competenza nella storia; 2" che non è quello il problema che tortura la mia mente; 3" che tu giri attorno al mio problema senza entrarvi dentro. Ciò sia detto per tutte le tue cartoline. Altra cosa è conoscere la storia - è quello che fai tu - e va fatto come lo fai tu, che lo fai benissimo - altra cosa è la classificazione di cui io parlo. Quella è legge della realtà; questa è legge del pensante. La realtà si conosce nel tempo stesso che si giudica. Si giudica sotto molti rispetti : artistico, scientifico, filosofico, politico, sociale, teoretico, pratico, ecc. ecc. E qui è la tua tesi:Ma questi stessi giudizi son involti in giudizi più ampi, che sono i giudizi di verità e bontà, i quali danno luogo al proprio pensare in opposizione a chi pensa oppostamente; cioè, allo stato di mente che dice: questa è la verità e questa è la eticità; quella che non è questa, è l'errore e il male a cui mi oppongo. Sto bene. Tornerò sull'argomento. Grazie di nuovo degli auguri. Tuo t Mario
[London, Paddington], 5 novembre 1930
Carissimo fratello, rispondo alle cartoline del 29 e 30 ottobre circa il criterio di verità. Sono pienamente di accordo con te nell'affermare che il criterio di verità è nella stessa conoscenza e non fuori di essa; e tutto quello che mi hai scritto in proposito nelle due suddette cartoline è esattissimo e vi convengo appieno. Io vi fo un'addizione: le verità si scoprono si pensano e si vivono entro dati sistemi e per essi, siano questi logici o no. Ora è proprio la necessità di verificare i rapporti fra verità singole e sistema cioè delle verità fra di loro e nella loro sistemazione che porta ad afhare e appropriare i metodi di verificazione, Questi sono: sperimentale
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per la scienza, logico per la formalità del pensiero, sintetico (o di armonia interiore) per i sistemi filosofici. A parte i primi due, io ho chiamato il metodo sintetico, di valutazione, cioè valutazione storica, critica e sistematica. Queste valutazioni messe a confronto, cioè verificate l'una per l'altra, dànno per risultato un apprezzamento sintetico dei valori conoscitivi presenti e dei loro possibili sviluppi ulteriori. Ma ciò conduce ad un temperamento relativistico sia circa i valori storici che circa i valori dei sistemi, mentre, come tu ben dici « permangono le conquiste del pensiero anche quando si superano ». A me sembra che da tutto quel che tu mi hai scritto, sorga chiaro anche per te questo relativismo temperato che non conduce né allo scetticismo né all'eclettismo, perché resta fermo il proprio sistema, nel quale si tenta di risolvere quegli elementi (degli altri sistemi) che rispondono al proprio valore sintetico; pur lasciando che la storia, con la sua enorme esperienza concreta, temperi l'assolutezza e la esclusività dei sistemi. Questo per te è stato d'animo o psicologia ed è così; ma non solo cosl, che sarebbe solo praticità, mentre è anche e sopratutto teoreticità. Sto bene. Un abbraccio, tuo Luigi
Piazza Armerina, 5 novembre 1930
Carissimo fratello, spero a questa volta riuscire più chiaro. La distinzione di astratto e concreto l'ho discussa in una delle mie precedenti. Ora discuto la distinzione di teoretico e pratico. Da quel che tu scrivi, desumo che per te il pratico può prescindere dalle leggi del teoretico. Ciò è errore. Qualunque atteggiamento o fatto pratico è sempre entro le categorie del teoretico. Ciò vuol dire che non si dà un fatto pratico preso come vero, quando è nella categoria teoretica di errato. Considerare il pratico come separato dal teoretico, non è realtà, ma astrazione. Se tu accetti queste mie osservazioni, siamo a bun punto. Ripeto poi che i due campi non vanno presi in senso meccanico o pedantesco. E invece bisogna intendere che la realtà storica si categorizza nella nostra mente in
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modo di contraddizione. Voglio dire: quel che regge la dialettica dell'essere contingente e del conoscere, non è il principio d'identità, ma quello di contraddizione: essere, non-essere; verità, errore; bene, male; bello, brutto; opportuno, non opportuno; nuovo, vecchio, ecc. ecc. La qual legge in ogni individuo e perciò anche in te (cerca meglio, e vedrai) si attua così, che l'individuo aderisce a quel che egli crede vero, buono, bello, ecc. e si oppone al contrario. Ecco il senso spirituale dei due campi. Croce erra, quando dice che nella storia entra solo il processo; e che in essa Giuda e Cristo hanno lo stesso valore.. Ma questo sarebbe la conclusione vera, se i1 principio da me sostenuto fosse falso. Vedi ora che si tratta, non di un problema sbagliato, ma del problema dei problemi. Spero che avrò questa volta miglior fortuna. Sto bene. Ti abbraccio. Tuo t Mario
Piazza h e r i n a , 6 novembre 1930
Carissimo fratello, tu non puoi credere di quanta utilità mi sia questo discutere teco, anche quando non c'intendiamo. B. Croce condanna il modo di concepire la storia proprio dei cattolici, cioè, come un campo diviso tra reprobi ed eletti; o meglio, condanna la storia concepita nella sfera della moralità. Perché? Proprio perché egli concepisce la moralità come un fatto tutto individuale e soggettivo, da non potersi risolvere in socialità. Che sia così io lo desumo, tra l'altro, da quanto egli dice nel fascicolo della « Critica » dello scorso settembre a pag. 360: « La teologia morale di S. Alfonso dei Lip o r i » '. Con ciò egli non rinnega il suo concetto che pone la morale universale e l'utile come particolare. La morale per lui è universale in quanto è la morale, ed è individuale, in quanto è la morale deli'uomo che concepisce la realtà in dato modo. Così la morale è campo chiuso; la casistica ne è come la contaminazione, perché tira la morale nel campo sociale e la sottomette a determinazioni normative, che sono coilettività. Con ciò egli nega il conLETTERA754. 1. Cfr. lettera 703 nota.
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cetto cristiano della vita che deriva dal Vangelo, il quale divide il mondo in luci e tenebre, bene e mali, eletti e reprobi, ma non nega il dualismo della stessa vita, sibbene lo sposta, cioè, di oggettivo e sociale, lo fa soggettivo e individuale. Ciò nel rispetto etico, mentre negli altri rispetti, cioè, politici, economici, ecc. ecc. ammette il contrasto dualistico in tutta la sua ampiezza. Qui, secondo me, è un grave errore, che è l'errore dell'idealismo, che occorre superare. A me pare che non si superi che concependo il contrasto, come faccio io, senza la letteralità che tu vi hai introdotta. Per me il rapporto etico è il più ampio, è quello che investe tutti gli altri rapporti, e che caratterizza la vita umana come fa il Vangelo. Pensaci. Sto bene. Abbracci. t Mario
[London, Paddington], 9 novembre 1930
Carissimo fratello, le tue del 3 e 4 corr. m. sono arrivate insieme ieri sera verso le 10; così io sono in ritardo con la mia solita. H o parlato di astrazione in senso astrattistico, o meglio opposto al senso reale o realistico. Così chi crede al materialismo storico (che è determinismo economico) non erra circa i fatti economici che hanno quelle determinate caratteristiche (in astratto), erra nel ridurre tutti i fatti umani (storici) a categorie economiche deterministiche. Allo stesso modo erra il politico se li riduce a caratteri politici, il religioso a caratteri religiosi e così via. Costoro, secondo me, semplicizzano la realtà e la risolvono in schemi astratti, e perciò la realtà scappa dalle loro mani. Ciò mi premeva dirti perché il mio pensiero fosse chiaro. Ciò posto: la realtà storica è per noi al modo come è conosciuta e ripensata; se in modo astrattistico (nel senso suddetto) dobbiamo dire che è un modo unilaterale; se nelle sue molteplici interferenze, dobbiamo dire in modo complesso. Si comprende che ci può essere errore sia nell'unilateralismo come nel complessismo (diciamo così); ma il primo tende all'astrattismo, il secondo al realisticismo. Se un pensatore, sia anche Croce, si mette sopra un sol lato (l'idealismo) e dice: il mondo è diviso in fedeli (idealisti) e reprobi (anti-idealisti) fa un peccato
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di astrattismo (nel senso suddetto) cioè è unilaterale e fuori della realtà. Cioè, è sotto un angolo di vita puramente pensata e non vissuta. Per fortuna la storia è altro. E Croce nella Storia del Regno d'Italia, ha proprio peccato un poco di unilateralismo, ingrandendo il suo idealismo come centro della realtà. Un abbraccio, tuo Luigi I1 seguito in altra cartolina.
Piazza Armerina, 11 novembre 1930
Carissimo fratello, ho ricevuto le cartoline del 4 e del 5. Mi rincresce non aver ricevuto la lettera del prof. Brunschvicg che doveva esser interessante. Gli scriverò. La tua del 5 mi ha recato grande piacere, perché vedo che siamo d'accordo circa un problema così fondamentale e molteplice. La tua addizione non è fuori del mio pensiero, anzi è lo stesso mio pensiero. Con ciò io non modifico nulla di quanto ti ho scritto in questo periodo così intenso di cartoline. Verità, criterio, filosofia, storia son quel che sono, perché il conoscere umano è costruttivo-circolare. Se ci fosse il per sé noto, la verità, il criterio, la filosofia, la storia, avrebbero un altro aspetto, certo meno relativo e meno individualistico. Se conoscere è costruire e sistemare pei rapporti e nei rapporti, e nella contingenza, la verità che ogni uomo singolo raggiunge è sempre parziale e sempre in divenire. Ma è sempre in opposizione alle costruzioni degli altri, in quanto non sono la costruzione propria. Di qui il moto ed il moto crescente col progredire delle scoperte. E di qui anche il graduale superare i contrasti e l'allargare graduale delle proprie visioni'sotto quel rispetto che chiamiamo esperienza storica. Penso che tu non abbia altre diflìcoltà ad accettare questo mio punto di partenza. Ma penso che senza questo punto di partenza, tutto il resto o crolla o resta come campato in aria. I1 che vuol dire che la storia che è la nostra storia, è perenne contrasto di valutazioni, perenne lotta di sistemazioni. E ciò è molto bello. Sto bene. Tuo t Mario
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757 [London, Paddingtonl, 11 novembre 1930
Carissimo fratello, ricevo prima la cartolina del 6 , poi quella del 5; le idee e i motivi del nostro conversare sono così intrecciati, nelle varie cartoline, che temo che non potremo facilmente intenderci e mi pare che ci inseguiamo su due piani diversi. Quando mai io ho concepito un pratico che non derivi da un teoretico? Forse perché ti ho rivolto la domanda se il tuo stato psicologico verso i sistemi diversi e opposti fosse un atteggiamento pratico (cioè prevalentemente pratico).oppure teoretico (cioè prevalentemente teoretico, come il mio che ho definito relativismo moderato)? Se è perciò, devi consentire che scrivendo su cartoline e per intenderci, ci si possa esprimere in forma ellittica. O forse perché dico che la realtà è praticità? anche qui bisogna intenderci. La storia è una realtà in processo, la realtà umana, e, come oggetto della conoscenza, ha il medesimo valore della natura, che anch'essa è realtà in processo. La realtà, come tale, è sempre verità e non può essere mai errore; la realtà non ha antitesi logiche, ha contrasti di forze e di attività, la realtà è attività e trasformazione, azione e reazione, cooperazione e contrasto, sempre in processo. L'uomo che opera nella storia è anch'esso praticità non in quanto non sia anche teoreticità, ma in quanto la teoreticità è trasformata in praticità, altrimenti non sarebbe storia, ma semplicemente pensiero. Anche il pensiero quando si esteriorizza (in libri, discorsi, ecc.) è praticità; e ritorna ad essere teoreticità quando è rivissuto da altri come pensiero. Di ciò ricordo di averti scritto. I o non so se la mia terminologia mi avvicini o mi allontani da te. Ma è così difficile cambiar terminologia che è la forma del pensiero stesso. Onde resto sospeso se fo bene o no a insistere con le mie critiche. Sto bene. Un abbraccio, tuo Luigi
LUIGI E MARIO STURZO
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[London,Paddington], 12 novembre 1930 la cartolina
Carissimo fratello, ho pensato intensamente tutto il giorno a quel che mi hai scritto nelle tue del 3-4-5-6 del corrente mese. Le mie due cartoline del 9 e di ieri sono state per chiarire certe mie frasi, è così anche il mio pensiero, ma con quelle non sono entrato nel centro della questione. Ci tento oggi: la storia o realtà umana, si può guardare sotto due aspetti: quello della conoscenza (passato) e quello dell'azione (presente-futuro); sotto il primo aspetto si risolve nel sistema teoretico . che noi professiamo, sotto il secondo nel sistema etico da noi accolto e realizzato. E tu affermi che teoreticamente la storia si risolve nel principio di contraddizione verità-errore; e praticamente in quello morale bene-male. Ora, riguardo al primo aspetto, io non nego che ciascuno risolva la storia nel proprio sistema conoscitivo, io dico che tale risoluzione può essere generale o parziale, esatta o . falsa, astrattistica o realistica, ecc. perché la realtà è oggettiva e processuale; il sistema è soggettivo e (preso in sé) statico. Se la storia si risolvesse tutta nel pensiero, sarebbe il pensiero stesso (come vogliono gl'idealisti), ma poiché essa è insieme realtà oggettiva, il pensiero non può esaurirla mai e non può risolverla in sé completamente, I1 pensiero è interpolazione e approssimazione della realtà; esso trasforma il dialettica reale contingente processuale in antitetico logico statico rappresentativo. Passiamo al secondo aspetto: l'uomo che opera (e quindi crea la storia) può risolvere ogni sua specifica attività in moralità, in quanto può tutto valutare sotto l'aspetto di bene e di male. Però la sua « attività-prodotto-esterno D cioè elemento storico avrà la caratteristica della natura specifica della sua attività (economia - politica - arte- religione, ecc.). Luigi (segue 2" cartolina).
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[London, Paddington], 12 novembre 1930 2" cartolina
perché la soggettività è divenuta oggettività. E la valutazione di tale prodotto utile o dannoso alla collettività sarà esso pure di carattere specifico e quindi di estra etico. Esempio: può darsi (ed è inutile cercarlo) che i promotori della guerra del 1914 fossero stati in buona fede e avessero creduto difendere la giustizia; la storia registra il fatto, cerca le cause, e studia gli effetti: i danni morali, politici economici religiosi della guerra sono oggettivi e fuori del dato personale di responsabilità etica o meno, allo stesso modo azioni cattive possono storicamente generare effetti buoni, quali le leggi adatte a reprimere ulteriori azioni cattive, ecc. Colpa di Adamo. Venuta di Gesù Cristo. O felix culpa. Conclusione (secondo me): 1) il pensiero individuale non esaurisce la realtà storica, come l'azione morale individuale non esaurisce la realtà storica: questa è il complesso di azioni e reazioni umane che si sviluppano in processo, oggettivizzandosi. 2 ) La storia è la interpretazione di questo processo, la ricerca delle sue leggi, la valutazione della sua realtà complessa e ciò non sotto le categorie soggettive (verità-errore; benemale) ma sotto la categoria oggettiva (realtà-processo). 3) Certo nessuno vieta che la storia serva a scopi pratici per l'arte, la morale, la politica, l'economia, ecc. Sarà sempre questa una utilizzazione della storia (bene o male fatta) su terreno extra-storico. Spero, tentando e ritentando di chiarire così il nostro pensiero, da poterci trovare finalmente di accordo. H o preso nota di quel che ti scrivo in queste due cartoline, e ti prego di citarle se mi rispondi, su tali tre mie conclusioni, perché a distanza di dieci giorni (fra la partenza delle mie e l'arrivo delle tue) è difficile ricordarmi esattamente di tutti i dettagli. Sto bene: tu scrivi che stai benino il che non è bene. Spero che starai proprio bene. Un abbraccio, tuo Luigi
LUIGI E MARIO STURZO
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Piazza Annerina, 14 novembre 1930
Carissimo fratello, quanto tu scrivi nella cartolina del 9, che ricevo a momenti, è vero, se si riferisce a quel che l'uomo dovrebbe essere, è errato, se si riferisce a quel che l'uomo è. Sicuro, l'uomo dovrebbe pensare come tu dici. Invece pensa come pensa. Pensa come dico io, costruendo il suo mondo, ed opponendosi ai concetti del mondo che non sono il suo. Questo è il fatto. Di questo fatto io cerco la legge o le leggi. È il mio monologo. In esso vi è anche quel che tu dici, cioè, il dover essere. Infatti io affermo che l'uomo deve tendere alla giusta valutazione del pensamento altrui, cioè, al Perenne allargamento del suo modo di pensare, al conato perenne verso una migliore comprensione della storia. Io tanto più insisto nel sostenere il mio modo di pensare questo problema, quanto più noto che il sapere mena a ciò che tu chiami astrazione; voglio dire: il sapere cattedratico, il fatto d'esser pensatore o professore. Più h o m o ha un sistema'proprio, più si oppone ai sistemi altrui, e meno è atto a comprendere che anche gli altri hanno la lor parte di ragione. Studiare questo fenomeno nella sua origine, nelle sue leggi, è opera buona, opera educativa, formativa. Ecco perché io ne son così preso. Ma anche ecco perché vorrei che tu mi comprendessi. Te l'ho già scritto. Io oramai son vecchio abbastanza. Avrò le forze di scrivere un libro su questo problema? Io il libro lo vedo. Se io non lo scriverò, ne trasmetto a te il retaggio. Comprendi? Sto bene. Fa gran freddo. Ma il freddo è bello. Ti abbraccio. Tuo t Mario 761 [London, Paddingtonl, 15 novembre 1930
Carissimo fratello, ho ricevuto la cartolina dell'8 c.m. Grazie delle tue osservazioni e dei tuoi suggerimenti per la Tetralogia circa il Prologo; per ora non ci penso più: tu sai che quando la mente è piena di un pen-
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siero, non trova posto per altri che lo modifichino. In fondo io credo che l'irrazionde nell'arte abbia il suo valore. Comunque, sarà meglio ritornarci a suo tempo. Per ora il mio pensiero è sulla Tentazione. I o non mi sento di alterare la figura tradizionale di Adamo. Come spieghi tu le parole di S. Paolo I Tim. 11. 14 « Adam non est seductus, mulier autem seducta in prevaricatione fuit D? Vorrebbe indicare che Adamo aderì ad Eva con piena coscienza di quel che faceva, mentre la donna no, ma per seduzione? Tu che ne pensi? I commenti che ho visti non danno nessuna luce poiché si occupano del tema principale circa il silenzio della donna nell'insegnamento. Ricevo adesso la tua dell'li. Tu dici che la mia addizione (cartolina del 5 ) è « il tuo stesso pensiero » ma tu aggiungi « che tu non modifichi nulla di quanto mi hai scritto ». I o resto perplesso e non arrivo a congiungere le tue proposizioni. Perché nella cartolina del 5 io accenno a quel relativismo moderato, che è stato uno dei punti controversi, anche perché implica la provvisorietà dei sistemi. Per il resto, io mi richiamo alle due cartoline del 12 c.m., che sarebbero (fin oggi) la esposizione più aggiornata ed esatta del mio pensiero in proposito. Ho visto l'aspra polemica di Zamboni contro Cantagalli nella « Rivista Neo-Scolastica ». Non l'ho letta tutta, ma mi sono fermato al N. 10 dove Zamboni riassume il suo pensiero di oggi, che differisce dal suo pensiero di ieri '. Merita di essere considerato. Sto bene, tuo Luigi Quando andrai a Caltagirone? Un abbraccio, tuo Luigi
LETTERA 761. 1. Cfr. G. ZAMBONI,Percezionismo immediato e realismo critico, in « Rivista di filosofia neescolastica D, settembre-ottobre 1930, pp. 339-370. L'autore, prendendo spunto da una polemica di Giulio Cantagalli, apparsa nel fascicolo gennabaprile 1930 della rivista, mostra come le principali dottrine gnoseologiche del Cantagaiii siano insostenibili e precisa la propria posizione su alcuni punti fondamentali deiia gnoseologia, confrontandola con quella della Scolastica medioevale, della filosofia moderna e di alcuni indirizzi della filosofia contemporanea. La citata nota del Cantagalli criticava il sistema gnoseologico contenuto nel volume di Mons. Zamboni, La gnoseologia dell'atto come fondamento della filosofia dell'essere (1922).
LUIGI E MARIO STURZO
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762 Piazza Armerina, 17 novembre 1930
Carissimo fratello, ieri ricevetti la tua dell'ii e la 2" del 12; oggi ricevo la la. Quel che tu scrivi nelle due cartoline del 12 è esatto quanto alla sostanza e concorda col mio pensiero. Trovo da discutere certi punti accidentali che riguardano la terminologia non pura, ma come nozione, o certi punti episodici. Lo farò altra volta. Ora mi preme non divagare dal problema che io ho posto da tanto tempo, e dal quale tu mi hai sempre spinto fuori. I1 qual problema non è il problema della storia, ma, se vuoi, è il problema dell'origine della stessa storia. Premetto intanto che, se tu così vuoi, la discussione possiamo aggiornarla. Parmi che tu abbia per le mani del lavoro premente, e che questa discussione ti reca qualche fastidio. I1 mio problema nacque per caso dalla espressione di Croce - divisione in due campi eletti, reprobi. Per sé è un problema molto più vasto e profondo. È il problema della contingenza, che rende parziale la cognizione della verità e del conoscere costruttivo, e della sua soggettività - trascendenza. È il problema della verità e dei suoi criteri; il problema dell'uomo e della filosofia e della storia. Perché la nostra realtà è questa, con questi caratteri, con queste antinomie? Perché l'uomo vede la verità da un lato, e si oppone alle visioni altrui, contrarie alla sua, ecc. ecc.? Sto bene. Prega pel tuo 1' Mario
[London, Paddingtonl , 18 novembre 1930
Carissimo fratello, la tua solita cartolina non è arrivata, ma io ti scrivo lo stesso. Non ti ho mai risposto circa la questione della casistica. Io sul riguardo ebbi con Croce una ben lunga discussione. Senza per ora riferirmi alle sue critiche ti espongo il mio pensiero. 1) Anzitutto, parlando di casistica ' bisogna fissarsi al periodo che va dalla metà LETTERA 763. 1. Per casistica si intende quella dottrina deiia teologia morale che ha la funzione di studiare l'applicazione ai casi particolari di principi provati e
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del XVI secolo a poco più della metà del XIX secolo: questo può dirsi un periodo di valore storico, in cui la casistica ebbe un significato e una funzione. Da allora ad oggi la casistica è ridotta a pura esercitazione di scuola a carattere didattico, i dibattiti del passato sono superati, il valore del casismo sul pensiero moderno è presso che nullo. 2) Inoltre bisogna distinguere fra casismo e casismo. Ve n'è uno di pura ginnastica mentale, che prescinde dalla realtà psicologica ove ogni atto umano ha la sua sorgente e il suo valore. Tale casistica io chiamerei astrattistica, e se, usata senza le dovute cautele può fare deviare e riuscire nociva. Esempio: può un soldato combattere per una guerra che egli crede ingiusta? Il problema posto cosi è fuori di ogni realtà presente e qualunque soluzione sarà inesatta. Oggi la psicologia generale ci porta o a negare tutte le guerre, ponendosi contro lo Stato (come fanno i così detti « oppositori per coscienza »), ovvero di ubbidire allo Stato, lasciando ai responsabili il giudizio sulla guerra. Come dare una responsabilità al soldato, e non darla ancora di piùl nel caso di guerra ingiusta, a vescovi e parroci, i quali non vi è caso che vi si siano opposti, dalla metà del XVI sec. in poi? E di guerre ingiuste ve ne sono state da allora ad oggi la maggior parte. 3) Vi è un altro casismo che è realistico, in quanto tiene conto dello stato psicologico individuale e collettivo, ma in generale questo è poco diffuso e anch'esso deviato, in quanto lo studio degli stati d'animo, schematizzati in formule non sempre è esatto e arriva al fondo. Per di più, prevale la tendenza a normalizzare la morale, cioè a far passare il valore di coscienza in un dato precettistico, e non al contrario, il dato precettistico in valore di coscienza. Tornerò sull'argomento. La tua fotografia recente è molto riuscita; mi è parso di ricevere una tua visita. Sto bene. Un abbraccio, tuo Luigi
sostenuti dali'autorità di moralisti e teologi riconosciuti, i quali tendono a fondare la morale naturale sull'autorità della Scrittura e deila tradizione cattolica.
LUIGI E MARIO STURZO
- CARTEGGIO
[London, Padcihgton], 21 novembre 1930
Carissimo fratello, ho ricevuto con qualche ritardo la tua del 14 c.m. I o sono convinto che tu puoi fare non uno ma ancora altri libri con il tuo fervore di pensiero. A me basta solo, con le mie difficoltà, darti materia da elaborare. Perciò ti fo una domanda: la legge che tu cerchi per spiegare il modo di pensare la storia come antitesi astratta è, secondo te, una legge gnoseologica? A parte che il fatto su cui tu ti fondi a me non sembra né necessario né costante, io non credo che questo postuli (per essere spiegato) una legge del pensiero (gnoseologica) ma solo degli elementi estrinseci quali l'abitudine, la insufficienza di cultura, l'educazione mentale, i preconcetti, ecc. I o ho provato, da due giorni, di pensare la storia (cioè la realtà umana) come divisa in due campi contraddittori, il mio e il non-mio. Non ci sono riuscito. Se penso realtà concreta (quale essa sia: religiosa, politica, etica, ecc.) la penso si dualisticamente come io e non io, ma non come contraddittoria, solo come distinta o diversa. E ciò senza sforzo, anche in materia che io sento più viva, la religiosa e la politica. Ammetto il contrasto, ma solo pratico. Se penso agli uomini non religiosi (in concreto), io cerco di darmene ragione, di approfondirne il mistero; in fondo sento confusione di me che non corrispondo alla grazia della fede e di pietà per coloro che non credono. E mi rifuggo subito nel pensiero di Dio mistero di giustizia e di misericordia. Tutto ciò è realtà ed è storia. Se poi risolvo questa realtà in pensier logico, allora la mia affermazione circa la fede esclude la negazione: ecco la contraddittorietà. Sono questi timori logici la realtà? Nel mio spirito sono derivati dalla realtà; ma fuori del mio spirito non sono la realtà. Io penso che gli Scolastici non compresero la storia, perché affermarono che l'intelletto conosce direttamente l'astrazione metafisica, e non la realtà concreta. Tu hai superato il problema. Sto bene. Un abbraccio, tuo Luigi
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Piazza Arrnerina, 24 novembre 1930
Carissimo fratello, l'ultima tua è del 18. Quel che in essa scrivi, è interessantissimo, e sarebbe bene farne uno studio. Però non è che un aspetto del grave problema: è l'aspetto del fatto e non considera quello del possibile. Prendo il tuo esempio, cioè, l'esempio della guerra ingiusta e del dovere del combattente. Sempre è possibile che il soldato o l'ufficiale si ponga un tal problema. Posto, domanda una risposta. E sarebbe sciocco rispondere che storicamente il problema più non si pone. Per le coscienze non ci son limiti di storia o di teorie. Al soldato che chiede ciò che debba fare circa una guerra, da lui certamente reputata ingiusta, occorre dare una risposta precisa. Sotto questo rispetto, anche i casi che noi chiamiamo di esercitazione, possono avere la loro importanza e diventare realtà, purché siano nella sfera del possibile. Con ciò non dò ragione a chi tratta malamente di questa materia. Tutt'altro. Sto bene. Un po' stanco, come tante altre volte. Prega per me. Tuo t Mario
[London, Paddington] , 24 novembre 1930
Carissimo fratello, ricevo stamani le tue del 17 e del 20. Grazie assai degli auguri. Non m'infastidisce la discussione, affatto; anzi mi piace. Solo riguardo il tema della storia ti scrissi che sarebbe stato meglio sostare, perché quando le idee sono troppo fissate da lunga convinzione è difficile modificarle senza una lunga e non forzata meditazione. Ma dacché tu mi dici che siamo di accordo nella sostanza con quel che io ti ho scritto nelle due cartoline del 12, non occorre altro e proseguiamo nella discussione. In sostanza il tuo problema centrale è quello che già ti scrissi altra volta, cioè il problema del criterio della verità. Questo può riguardare la struttura umana (problema psicologico) o la formazione ambientale della vita umana (problema psicologico-sociale) o la genesi del pensiero (problema
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LUIGI E MARIO STURZO
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gnoseologico) o la struttura della conoscenza (problema scientificostorico-metafisico). Riunirli insieme questi problemi in unico filosofici-sintetico mi sembra, oggi, lo sforzo del tuo monologo (dico bene?) per darvi una risposta centrale che riguarda il valore (subiettivo-contingente-trascendente) del pensiero. Tu mi dirai se sbaglio nella interpretazione. Può essere questo un tentativo arduo ma certo attira moltissimo. Ora, secondo me, sarebbe fondamentale lo studio del fatto che l'uomo non può pensare che comunicando, che perciò il pensiero è finalisticamente sociale e comunicativo, cioè finalisticamente e quindi originariamente pratico. La sistemazione teoretica è di un grado più sviluppato di civiltà; ma non può non contenere in sé il carattere finalistico del pensiero stesso, in quanto si risolve necessariamente in comunicazione. A me questo sembra un punto di partenza. E a te? Sto bene. Un abbraccio di cuore, tuo Luigi Non mi sembra che il senso di S. Paolo sia quello: forse che l'uomo non si lasciò sedurre dalla doma? e ciò fece avanti la caduta. Qual titolo poteva vantare S. Paolo della fortezza dell'uomo? I1 senso deve essere un altro.
Piazza Amerina, 25 novembre 1930
Carissimo fratello, a momenti ricevo la tua del 21, dove dici cose molto interessanti, che però fiancheggiano solo il mio problema. Ti ripeto ancora una volta che la divisione in due campi va presa in senso lato. Quel concetto, come pure ti ho detto, fu il punto di partenza parlando di Croce. I1 libro che io penso, potrebbe intitolarsi « neorelativismo ». La parola dice tutto e concede a te, quanto è possibile concedere. Dico: «,neo-relativismo» per chiarezza, ed anche per indicare che non è nessuna forma del relativismo degli altri. È il relativismo del neo-sintetismo. Punto fondamentale: la conoscenza umana non coglie la natura delle cose direttamente, ma per via di rapporti, per via di opposizione e differenze e somiglianza. È
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costruttiva e interpretativa. Non vede il nome delle cose, ma dà nome alle cose. Non vede la definizione, ma la elabora. Di qui il mio concetto di verità e suoi criteri. Di qui il concetto di parzialismo e opposizionismo, tendenti verso il totalitarismo, che non sarà mai raggiunto. Di qui la comprensione dell'esclusivismo, la sua critica e la sua valorizzazione. Insomma, di qui il libro che io sogno, che sarà anche educativo, come pure ti ho scritto. Vedi che sono in un campo molto sereno e deferente a tutti i sani concetti, compreso il tuo, che ha tanto valore. Ci penso e ne parlo con te, per aver lumi e stimolo a trovar meglio. Sto bene. Tuo Mario
[London, Paddingtonl, 27 novembre 1930
Carissimo fratello, grazie dei nuovi suggerimenti per Adamo. Per ora sono preso dalla correzione delle bozze e aggiunte per l'edizione francese del mio lavoro di diritto internazionale. Quando tornerò alla Tetralogia terrò presente i tuoi suggerimenti. In genere, a me ripugna dare tutta la responsabilità a Eva (com'è tradizione moralistica dei padri) e diminuire quella di Adamo. In ciò c'è un riflesso della mentalità sociale-familiare del tempo. I o credo che tanto la frase parzialità della verità quanto l'altra provvisorietà dei sistemi non esprimono esattamente il mio e il tuo pensiero. Già ti dissi che io non tengo alla frase, e che nel mio pensiero essa non contiene affatto scetticismo. Anzi parlando di sistemi e non di verità, il relativismo è molto più attenuato. La parzialità di verità postula il completamento che non verrà mai, come la provvisorietà postula la stabilità dei sistemi che non si otterrà mai. Ecco perché io cerco altro termine che non trovo: tu certo lo troverai. Tornando a quel che ti scrivevo il 24 c.m., a me sembra che la convergenza di pensiero in un determinato ambiente sociale non possa essere il prodotto della pura speculazione, che per sé è individuale e soggettiva, ma la risoluzione di questa in praticità. Così si risolve la credenza in religione, la gerenza in economia (utilità), il dovere in obbligazione, l'etica in politica, la contemplazione in arte. La coesione di determinati
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elementi pratici crea quello che si chiama il gruppo omogeneo che si specifica in eterogeneità, il cui contrasto si risolve in assimilazione; e questa in disgregazione, ecc. Il riflesso teoretico di questa praticità è pensiero che torna ad elaborarsi nella sua autonomia soggettiva, fin che tornando ad essere comunicazione diviene praticità; e più il pensiero diviene praticità più si distacca dalla sua originalità teoretica speculativa; e quindi diviene in etica prassi o casismo, in arte imitazione-meccanicità, in politica compromesso, in diritto giurisprudenza, in religione ritualismo, ecc. Sto bene. Un abbraccio, tuo Luigi Piazza Armerina, 28 novembre 1930
Carissimo fratello, ho ricevuto le cartoline del 21 e del 24. I1 26 celebrai la santa messa per te e per Nelina, mettendo anche me in un cantuccio. E così fummo insieme a ringraziare il Signore e a pregarlo che ci usi misericordia e ci congiunga nella beata eternità. Tu dici che la comunicazione è praticità, il pensiero indagante o costruente teoreticità. I o dico, e te ne ho già scritto, che tutto il nostro pensare è insieme l'uno e l'altro. Ora aggiungo che anche il pensiero che non si comunica è pratico quanto quello che si comunica, perché la comunicazione nulla aggiunge al valore del pensiero, come valore. Aggiungo inoltre che il teoretico è come l'anima del nostro pensare, mentre il pratico ne è come la ragione. La realtà è nella praticità; ma la realtà si fa umana per la teoreticità. Conclusione: ai fini del mio problema, questa distinzione e unificazione non ha speciale interesse. I1 mio problema poi s'è andato elaborando e precisando nella disputa, sino alla forma che ti ho indicato nella mia del 25. Aspetto perciò le tue osservazioni, prima d'andar oltre. Ho letto lo studio di Croce pel congresso di Oxford sulla « Critica » l . Pare a LETTERA769. 1. Cfr. B. CROCE, Antistoricismo, in «La Critica D, 20 novembre 1930, p. 401. Neiia relazione, tenuta al VI1 Congresso internazionale di filosofia, Oxford, 3 settembre 1930, Croce criticava un certo antistoricismo che pervadeva la cultura a lui contemporanea e che emergeva in movimenti quali ad esempio il futurismo. Tde antistoricismo si rivelava antiliberde e costituiva per il Croce quasi una infermità deiia cultura, una debolezza morde che si trasformava in aut* ritarismo.
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me che nessun atteggiamento di pensiero si possa reputare antistorico. Tutto ciò che avviene, è storia; e solo potrà esser errore o no, bene o male, utile o dannoso. È poi arbitrario, cioè meglio, parzialismo, dire che l'ideale vero è quello della rivoluzione francese fuso con l'idealismo. È per chi pensa come Croce. Per altri sarà la Controriforma, ecc. Che ne dici? Sto bene. Il tempo è bello. Ti abbraccio. Tuo Mario
[London, Paddington], 29 novembre 1930
Carissimo fratello, spero che la stanchezza di cui mi fai cenno nella tua del 24, ti sia passata subito. Vedi di non sforzarti a lavorare. Quando vai a Caltagirone? Rispondo alla tua osservazione. Io considero la questione non solo nel suo quadro storico ma nella sua possibilità psicologica e nego la possibilità psicologica del caso. Mi spiego: non escludo che ci possa essere qualche rarissima persona che o per scrupoli o per altra malattia spirituale o mentale subisce uno stato patologico; ma allora avvicinerà il sacerdote come un medico e questi saprà bene cosa dirgli. Ma tanto il sacerdote che qualsiasi altra persona non sarà in grado di giudicare della giustizia o no,' e quindi di dar consigli pratici favorevoli o contrari. I1 caso probatorio fu quello dei Vescovi tedeschi riuniti a Fulda nel 1915, quando in un documento pubblico appoggiarono la guerra dell'irnpero. E se c'era una guerra ingiusta era proprio quella: eppure non c'era luogo al caso particolare e di coscienza. Perciò io chiamo il caso astrattistico e inesistente. Diverso era il caso del Medio Evo, quando o il Papa su tutti, o l'Imperatore sui vassalli e stati dipendenti giudicavano della giustizia di una guerra, e quando i corpi liberi, le città e i Comuni, le Abbazie e i Principati decidevano con autonomia se concorrere o no ad una data guerra. Allora emettevano oltre che un giudizio politico anche un giudizio morale. Pensaci e vedrai la impossibilità o patologicità del caso; e così altri esempi. Quando io dico che il casismo astrattistico non è vero casismo, mi intendo riferire non solo al caso che di fatto non si fa, ma alla sua impossibilità psico-
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logica come caso morale. È celebre quello di chi per evitare l'obligo del digiuno o della messa passa la notte in stravizi. I1 casista deve rifiutare di discutere tali scempiaggini, perché non hanno base psicologica. Chi non sente l'obbligo di non fare stravizi non sente neppure quello di digiunare. Ma altra volta ti dirò perché, secondo me, quel caso fu posto e risolto nel sec. XVII. Sto bene. Un abbraccio, tuo Luigi [London], 30 novembre 1930
Carissimo fratello, ho ricevuto ieri sera la tua del 25. Sono molto contento che già ti avvii a scrivere il nuovo libro (vedi di non stancarti). I1 titolo mi piacerebbe, ma potrebbe dare l'impressione di una nuova teoria che faccia duplicità con il neo-sintetismo; e poi due neo non mi vanno. I o direi Relativismo Neo-Sintetistico; owero, Relativismo e Neo-Sintetismo; ovvero il Relativismo del Neo-Sintetismo o Relativismo Sintetistico o altro sempre entro la combinazione dei due termini. L'importante è che si comprenda che il tuo è uno svolgimento e integrazione del neo sintetismo, non una deviazione o un superamento per un nuovo sistema. Circa la materia, sono di accordo con te nel punto di partenza (valore della gnosi) e in quello dello svolgimento (criterio di verità). Non mi piacciono i termini di parzialità e totalità, peggio con l'ismo, perché non esprimono bene il concetto e dànno dei toni falsi. La verità, quella che si conosce come tale, è sempre verità cioè intera; è il sistema entro cui essa è realizzata che ne attenua o ne falsa il valore. I o insisto in questo rapporto fra la verità e il sistema. Non si dà verità fuori di un sistema, né si dà sistema che non abbia alcuna base nella realtà. I1 sistema è l'involucro relativistico della verità, cioè è la rapportualità organizzata. Tale organismo può avere punti erronei e punti veri, ma la verità, come verità, se è tale, è totale, altrimenti non è. I o spero che oltre questa parte tu svolgerai quella alla quale ho accennato nelle cartoline del 24 e 27 circa i rapporti fra teoreticità e praticità. Se mal non ricordo queste mie idee sono tue, perché nei tuoi scritti c'è il germe da sviluppare. I1 fraseggio è mio, ma credo che l'originalità sia tua. Io non
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ho tempo a riscontrare i tuoi libri, ma tu lo saprai. Ti mando un articolo del « Temps » di Parigi, per farti vedere che cosa sia per la corrente francese l'idealismo. Sto bene. Un abbraccio, tuo Luigi
[London], 2 dicembre 1930
Carissimo fratello, grazie della Messa e delle preghiere: io ne ho tanto bisogno. Rispondo alla tua del 28 Novembre. Già te ne scrissi, che io dicendo teoreticità o praticità, intendo mettere in evidenza l'elemento prevalente. Altrimenti, ogni analisi sarebbe impedita e ogni caratteristica soppressa. Io perciò ti ho scritto che « la comunicazione in quanto tale è finalisticamente e quindi originariamente praticità » e non ti ho scritto che è solo praticità. Questo per intenderci. La ragione poi per la quale io insisto su tale distinzione è data dalla ricerca del valore della verità. Tu dici bene quando affermi che il pensiero è individzlalistico (anzi in una tua cartolina tu parli di un tuo individualismo); quanto più il pensiero approfondisce le cose tanto più è individuale. Però, quando il pensiero viene comunicato (nel senso ampio della parola cioè diviene vita-storia!) allora tende alla diffusione (socialità) e quindi a formare i gruppi omogenei. Io dico comzlnicato e non espresso, perché il pensiero, se è tale, è sempre espresso, benché possa restare non comunicato. I1 punto di traduzione dal teoretico al pratico è il punto in cui si supera l'individualità per la socialità. Tu dici che questa distinzione non interessa ai fini del tuo problema; ma io invece ci vedo la chiave della questione che dal principio del tuo monologo ti assillava; cioè l'antitesi teoretica, che per te si risolve in antitesi storica (e quindi pratica) e vice-versa. È quello che io ti ho contraddetto da allora in poi. L'articolo di Croce è la sua relazione al congresso di Oxford. Circa il mio modo di concepire storicismo e antistoricismo ricordo di averti scritto varie cartoline. Anzi, se tu le trovi mi piacerebbe riaverle, perché, tenendo presente le tue proposte e risposte, che ho conservate, potrei cavarvi uno studio a proposito dell'antistoricismo. Sto bene. Un abbraccio di cuore, tuo Luigi
LUIGI E MARIO STURZO
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Piazza Armerina, 4 dicembre 1930
Carissimo fratello, la tua del 29 sul problema della casistica m'interessa assai assai. Tu scrivi cose verissime e importantissime, ma resti parzialista. Nessuno può limitare le esigenze delle singole coscienze umane. Or la prima esigenza è quella di sapere se l'azione che si vuol porre è onesta o no. I1 caso delle esigenze collettive e sociali non è che uno svolgimento del primo. Io escludo le esigenze derivanti da malattia. All'uomo che chiede se può andare a una guerra che egli reputa ingiusta con certezza, una risposta bisogna darla. Gli si dica pure che oggi quel caso non si pone più, perché della giustizia o no giudicano i poteri costituiti. Con ciò non si nega il caso, ma si risolve in un dato modo, cioè, nel modo consono a un dato momento di svolgimento della coscienza etica collettiva. I1 caso di chi va lontano dalla città il sabato, per non sentirsi obbligato la domenica d'andare a messa, è d'altro &ne. Può concorrere quando la legge è considerata formalisticamente, quando si gioca con la coscienza. Che importa? Nato il caso, va cercata la risposta. Dirai a quel coso che egli pecca per più alta ragione. E non è questa già una soluzione e molto più alta? Tu puoi dire che il tempo toglie materia a dati casi, ma non puoi dire che la casistica sia limitata a dato tempo. Sto un po' meglio, cioè meno stanco. Tuo t Mario
[hndon], 5 dicembre 1930
Carissimo fratello, non ho ricevuto la tua solita né ieri né oggi; qualche ritardo è causato dalla nebbia sulla Manica. Riprendo la conversazione sul casismo. In Irlanda due anni fa si ebbe il seguente fatto. Premetto che l3 vi è un partito (che è al governo) aderente alla costituzione dello Stato Indipendente sotto la Corona Britannica e un altro partito repubblicano. Gli uni e gli altri sono in maggioranza cattolici praticanti. Ora, dovendo i deputati eletti, prima di prendere il seg-
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gio fare giuramento di lealtà al Re della Gran Bretagna, altrimenti sono esclusi, avanti le elezioni generali i repubblicani dichiararono che essi avrebbero fatto il giuramento come pura formula, senza sentirsi obbligati alla lealtà verso la Corona, e che in ciò facendo erano sicuri in coscienza. Scandalo da parte inglese, protestanti e cattolici; discussione da parte irlandese. I preti repubblicani giustificarono la decisione. Replicavano gli altri che in ogni caso si trattava o di falso giuramento o di nominare il Nome di Dio invano (il giuramento si fa sul Vangelo invocando Dio testimonio). I vescovi si limitarono, in una circolare, a raccomandare l'osservanza delle leggi di Dio e della Chiesa. Nulla di specifico: nessuna direttiva. I repubblicani fecero come avevano detto con la giustificazione tacita o espressa di giornali cattolici e di preti e religiosi. Tutto ciò per me dimostra che in un dato stato psicologico di un popolo o parte di esso non vale un'applicazione che chiamerei giuridica o casistica delle leggi morali, ma bisogna trasferire tali leggi sul terreno stesso psicologico per poterne esigere la loro applicazione. I1 casismo, come storicamente inteso, in tali casi, non solo non è applicabile, ma fa deviare. Trasportando la questione del giuramento sopraindicato sullo stesso piano collettivo etico-politico (e non in quello giuridico-personale) i Vescovi dovevano consentirvi se lecito, opporvisi se illecito (come è di fatto). Invece si è creato un precedente gravissimo e anche oggi i casisti irlandesi discutono hinc et inde (privatamente) ma preparano così un triste ambiente per le future lotte. Sto bene. Un abbraccio, tuo Luigi
Piazza Armerina, 5 dicembre 1930
Carissimo fratello, ieri abbondanza: una cartolina la mattina, quella del 29, una la sera, quella del 30. Circa il titolo accetto le tue osservazioni. Penso di scegliere: I1 relativismo sintetistico D. Poi, se potrò far il libro, il calamaio darà i suoi consigli. Se non potrò io, lo farai tu, perché l'argomento è di utilità grandissima. Tu dici che la verità o è totale o non è. Sì, questo può dirsi della idea, non però delle singole
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LUIGI E MARIO STURZO
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verità. Ora io parlo di queste, quando affermo la perenne e mai superabile parzialità. Se la singola verità potesse esser totale, sarebbe assoluta. Ma la verità che l'uomo conosce, è relativa; per ciò stesso è parziale, cioè, è un aspetto e non è tutti gli aspetti. Quando sarà altro aspetto, è come altra verità, perché è altro rapporto. I1 punto che mi seduce del mio futuro libro, è proprio questo. Se fosse come dici tu, il mio problema che dovrà generare il libro, svanirebbe. I1 relativismo ben compreso, deve per necessità, render modesti, benevoli, attenti, deve generare la convinzione che ciascuno non possiede 'che parte, cioè, dati aspetti della verità, mentre gli altri ne posseggono altri, e nessuno la possiede tutta, nemmeno la storia, considerata come sintesi universale del pensare individuo. Sto bene, perché la stanchezza non è malattia e va cessando. Tuo
f Mario
Piazza Atmerina, 6 dicembre 1930
Carissimo fratello, quel che tu dici nelle cartoline del 24, 27 è bensi sensazionale, ma non è filosofico. Tu separi troppo il pratico dal teoretico, e poni prima il teoretico e poi il pratico. È analisi, mi dirai tu. Sta bene; ma non è analisi esatta. La vera analisi ti dà il pratico come punto di partenza della conoscenza, e perciò come prima del teoretico. I1 primo analiticamente parlando, è la realtà concreta, il poi è la logicità. Che se ne cava? Che la risoluzione che tu affermi, non si dà. L'etica non si risolve in politica, perché l'etica è l'etica di tutta la praticità, ed è prima praticità, e perciò anche politica (analiticamente) e poi etica. L'uomo, considerato all'inizio primo della vita, prima agisce, poi, dopo del tempo e della evoluzione, afferma I'eticità. Ma questo problema ha poca importanza nel mio futuro libro, perché io fo la sintesi (sintetismo) e miro al concreto vero, che è sempre teoretico e sempre pratico, perché per noi non vive che nella sintesi conoscitiva. Sto bene. La stanchezza entra nel periodo risolutivo. Spero tra breve di metter mano al libro. Tu aiutami con le tue fraterne preghiere. Ti abbraccio. Tuo f Mario
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Piazza Armerina, 7 dicembre 1930
Carissimo fratello, rispondo alla tua del 2. Non io ma tu hai dato al mio monologo come punto centrale l'opposizione teoretica risolventesi in pratica. A me l'aspetto analitico non interessa, perché io non faccio la filosofia del mio problema, ma la sua realisticità sintetica. Nella mia cartolina di ieri trovi la spiegazione di quel che affermo. Dirai che l'analisi è la controprova della sintesi. Ed io ti scrissi ieri che la tua analisi è sbagliata. Né vale la distinzione che fai nella tua cartolina del 2 tra espressione e comunicazione, perché ha poco senso. 1,'uomo non è un essere chiuso che si apre a piacere; invece è un essere sociale, che riceve e dà, e tutto il suo pensare viene dall'esterno e torna all'esterno, ed è sempre esterno-interno. Tu hai ridotto il mio problema a esercitazione accademica. Ti prego di considerarlo nella sua realisticità. Se io presi le mosse dal detto di Croce, ciò feci, perché consideravo quel detto come un fatto. I o parto dal fatto. Ed il fatto è questo, che la nostra conoscenza è fatta di opposizione, differenze, consonanze. E tale è la nostra vita e la nostra prassi. Le cartoline tue le conservo tutte. Ti potrò, se vuoi, mandare le copie. I n tal caso dammi le maggiori indicazioni possibili. Col tempo queste cartoline e le mie, se le hai conservate, potranno esser utili a qualche studio. Sto bene. La stanchezza è nel periodo risolutivo. Prega per me, come io faccio per te. Tuo t Mario
[London], 8 dicembre 1930
Carissimo fratello, ricevo oggi le tue del 1 e 4 c.m. Non credi che per vincere la stanchezza, sia necessario un cambiamento di aria? Intanto abbiti cura, specialmente con le funzioni di Natale ed Epifania. Attendo il libro di Pincherle, quello su Necchi l. Ebbi la fot. su Don Bosco LETTERA 778. 1. Probabilmente si tratta del libro di F. OLGIATI, Un maestro di fede e di vita, Vico Necchi, «Vita e pensiero », Milano 1930. Cfr. lettera 786.
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e scrissi a Nelina per fare le congratulazioni a Vaccaro. Fammi spedire il Corso di S. Spirituali Esercizi pel Clero di M . Pistacchi - Libreria Gregoriana Editrice, Padova, (1930) L. 9. L'« Osservatore Romano » ne dice bene. Vedremo. Riprendo la conversazione sul casismo. Come ti scrissi, non contesto che certe coscienze possano avere bisogni eccezionali, ma vi sono le regole generali che provvedono a ciò. Né contesto che il casismo sano non sia oggi utile, benché non sia più il casismo storico che ebbe una sua funzione culturale e sociale e anche la sua deviazione. I1 punto sul quale io mi fermo è quello che ti scrissi il 18 novembre sulla distinzione fra casismo e casismo. I o non accetto il casismo che astrae dalla psicologia comune per riportare i termini sopra un terreno legalistico o precettistico fuori della realtà, casismo questo che solo cum moderamine può servire per ginnastica mentale. I1 caso della guerra è tipico. Chi oggi dubita, è o un malato o uno che vive sui libri un pensiero medioevale; l'uno e l'altro eccezioni patologiche. I libri che ne parlano ancora, ripetono un passato senza critica. Si tratta adunque di combattere un metodo, non di escludere quei casi eccezionali che si risolvono per semplici richiami al buon senso. Altro punto di vista, per la psicologia collettiva è lo studio delle soluzioni particolari (concrete) per la soluzione generale, atta a formare gli stati d'animo. Durante l'ultima rivolta in Irlanda ', i prigionieri iniziarono lo sciopero della fame e ne fu celebre il caso del Sindaco di Kock. 1 cappellani delle carceri (inglesi) ritenevano trattarsi di suicidio e rifiutavano i Sacramenti, mentre altri preti (irlandesi) pensavano diversamente, e potendo arrivare ai prigionieri portavano la S. Eucarestia. Morto il Sindaco di Kock, un Vescovo fece i funerali come a un martire, e altro si rifiutò perché lo riteneva suicida. Ancora oggi l'opinione dei cattolici è divisa. Dato l'ambiente, il casismo è servito a quella libertà di mosse (che fu la sua funzione originaria) contribuendo con i dissensi a formare una prassi (ancora da venire). Sto bene. Un abbraccio, tuo Luigi 2. Nel 1920 con un trattato con l'Inghilterra fu istituito lo «Stato libero d'hlanda ». Questo trattato poneva alcune Illnitazioni, fra cui il giuramento di fedeltà al re d'Inghilterra e la rinuncia alie sei contee protestanti, che fecero riaccendere la lotta contro gli inglesi e fra le fazioni di E. De Valera e i moderati di A. Griffith e di C o I h .
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[London], 10 dicembre 1930
Carissimo fratello, ricevuta la tua del 5; piace anche a me Relativismo Sintetistico. Non pensare che io possa fare un tale libro, pensa a farlo tu, però senza stancarti; così mano mano e senza farti trasportare troppo dalla febbre creativa. Sulla verità parziale o integrale, può darsi che siamo d'accordo; giudichi tu. Tu affermi che quel che io dico delle verità è delle idee; io affermo che quel che tu dici delle verità è delle sistemazioni. Non credi che ci differenzia la terminologia? Dietro questa c'è però ancora una diversa nuance di pensiero. Le idee non sono mai isolate, ma relative, perché sono giudizi, informi o formati, ma giudizi. È tua teoria. Quando io conosco pietra, la conosco come esistente. È questa verità? Sì; è totale nel suo genere? Sì; ma nella possibile sistemazione o geofisica, o chimica, ecc. è una verità parziale, o incompleta, perché richiede ulteriori determinazioni. Nella tua cartolina tu insisti sulla parzialità delle verità provandola con la relatività; a me sembra che siano due cose ben diverse. La parzialità è tale in riferimento a un integrale idealmente disegnato: (pietra<mineralogia). Mentre il relativo è la caratteristica gnoseologicamente fondamentale della nostra conoscenza. Sarà meglio dire: le verità singole in sé sono rapportuali-integrali (idee); le verità singole nelle loro sistemazioni sono rapportualiparziali o rapportualmente incomplete. Uso la parola rapportuale e non relativo, perché nella impressione di molti la relatività è intesa come attenuazione della verità, che può generare il dubbio. Mentre rapportualità richiama l'attenzione sul rapporto in sé. Infine le sistemazioni, prese come il complesso teorico, entro cui le verità sono coordinate e connesse, sono sempre approssimative e rispondenti a dati complessi del pensiero storico. Quindi io le chiamerei: sistemazioni teoretico storiche. (Così eviterei la parola di provvisorietà dei sistemi). Ti sembro pedante? Io cerco le espressioni che mi soddisfino. Ti spedisco un articolo di A. Lugan. Vedi se ti va e proponi le correzioni che credi opportune. Deve andare in una rivista francese, non so quale. Egli mi scrive dall'America. Sto bene. Un abbraccio, tuo Luigi
LUIGI E MARIO Sl'URZO
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Piazza Armerina, 10 dicembre 1930
Carissimo fratello, io penso che per uno studio sul concetto di antistoricismo crociano non sia necessario ricorrere alle nostre passate discussioni. Anzi, per me almeno, quel momento di pensiero è già superato in virtù del contenuto del mio travagliato monologo. Croce chiama storicismo il momento storico attuale. Ieri uno, oggi un altro; per lui oggi il pensiero liberale-idealistico. Questo è parzialismo. La storia è quello che è, bene e male, verità ed errore, progresso e regresso, positivo e negativo, perché la storia è il fatto in quanto fatto e in quanto pensato, cioè vissuto dall'uomo che è pensante. Antistoricistico ci può essere il giudizio, in quanto giudizio. Per esempio il futurista dice: bisogna romperla con il passato; il fossile dice: bisogna romperla col presente. Dir ciò, è dire cosa antistorica. Ma il fatto di dirlo, è anch'esso fatto storico; sarà o no il negativo, l'errore, ecc. questo e non altro. Circa il caso di cui parla tua del 5, osservo che non sposta il problema. Quello fu un caso alla sua volta. Si resta perplessi? Effetto di sorpresa o impreparazione o timore politico. I o poi domando chi giura dicendo che non intende legarsi col giuramento, giura o no? E rispondo che no. E allora? Ecco un caso specifico, che domanda una soluzione specifica. Errata è solo la casistica assolutistica. Sto bene. Abbracci. Tuo Mario
Piazza Armerina, 11 dicembre 1930
Carissimo fratello, l'argomento della casistica assume ai miei occhi una importanza grandissima. Merita davvero d'essere studiato a fondo. Alla luce del mio relativismo io vedo il problema in modo più adeguato. La casistica s'impone. C'è stata sempre. Ci sarà sempre. Le casistiche particolari hanno i pregi e i difetti di tutte le'opere umane. Occorre dunque studiare la casistica come filosofia e la casistica come fatto nella sua contingenza. I1 lato più grave del problema è quello
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che tu e Croce reputate quasi superato, cioè, i rapporti tra la giuridicità (fatto esterno) e la moralità (fatto interno ed anche individuale). Fu male tendere a normalizzare gli atti? Io penso che fu bene, e che fu il bene che poté solo venire dalla religione cristiana, la quale, per la rivelazione, possiede punti fermi che non potranno mai mutare. Bada però a quel che voglio dire. Io non voglio dire che il caso singolo debba essere così normalizzato, da sopprimere tutta la complessità sua individuale; ma che la tendenza sociale debba inirare a creare nei singoli una coscienza normalizzata. Questo facciamo con le prediche, il catechismo, le pubblicazioni analoghe, ecc. Non questo solo, ma occorre anche (e questo si fa) mettere in migliore evidenza la complessità individuale ed irriducibile degli atti, per giudicar d'essi singulatim in modo non assoluto, ma relativo. Sto bene. Tuo Mario
[Londonl, 13 dicembre 1930
Carissimo fratello, hai letto nella « Rivista Rosminiana » (ott. 1930) la critica che ti fa Pierino Cheula l ? È costui un giovane rosminiano, alunno di Mons. Nicola, che insegna filosofia privatamente e all'università di Padova. A parte la troppo sicurezza giovanile che è insieme una dote e una immaturità, il suo interessamento non mi dispiace. Vuoi che ti mandi la Rivista? Ho avuto con ritardo le tue del 6 e del 7. Dacché non interessa al tuo libro la mia tesi sulla teoreticità e praticità, non vale la pena insistervi, almeno per ora. Solo mi preme che non'ti rimanga l'impressione (come sembra) che io metta nel pensiero prima il teoretico e poi il pratico, mentre ti ho scritto che il pensiero è finalisticamente e perciò originariamente praticità. Tu aggiungi che la mia analisi è sbagliata e potrebbe darsi. Però per me è fondamentale il dato della risoluzione della teoreticità nella praticità, come della individualità nella socialità, e viceversa. Se tutto fosse sempre sintetico-indistinto la risoluzione non LETTERA782. 1. Cfr. P.CHEULA,Il pensiero dell'avvenire, in « Rivista rosminiana m, ottobre 1930, p. 230.
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avverrebbe, il che è contraddetto dai fatti. Tu dici << la nostra conoscenza è fatta di opposizione-differenza-consonanzae tale è la nostra vita e la nostra prassi ». Ora i termini (opposizione, differenza, consonanza) fra conoscenza (pensiero) vita (storia) prassi (etica) non sono univoci, e perciò non risolvibili e risoluti in eterogeneità. Questo mi sembra che tu trascuri. Io non c'insisto più, anche perché tornerò a pensarci. Ti scrissi che pensavo tornare a elaborare il pensiero di storicità, e perciò desideravo le mie cartoline; per fortuna ho trovato gli appunti e quindi non occorre. Tutte le tue cartoline conservo gelosamente. Spero che la stanchezza ti sia scomparsa e potrai lavorare nel nuovo libro! Perché non lo intitoli Monologo e non gli dai un'andatura letteraria facendo quel che si dice in Francia, un libro per il gran pubblico? Sto bene. Un abbraccio, tuo Luigi
[London], 15 dicembre 1930
Carissimo fratello, ricevo la tua del1711. Quando tu dici: << la casistica s'imp6ne, c'è stata sempre » tu dài un significato alla parola casistica diverso da quello che dai critici e storici si suole. Io ti scrissi già che per casistica s'intende quella che va dalla metà del sec. XVI alla metà del sec. XIX ed è quella che si suole combattere o difendere. Mentre tu intendi l'applicazione al particolare delle norme pratiche dell'etica cristiana. Dal punto di vista storico e critico i due concetti non sono identici né completamente convertibili. Nessuno storico dirà mai che nell'epoca dei Padri o nel Medio Evo si faceva della casistica, o casuistica (come più comunemente si dice); ma nessuno negherà che anche allora si faceva della teologia morale. La prima e sostanziale differenza è data dalla formulazione della teoria della probabilità; la quale, in quanto tale, non può essere mai teoretica o di ragion diretta, ma pratica e di autorità. Così mentre la scolastica cercava principalmente le ragioni dell'atto etico o nella scrittura o nella filosofia morale, la casistica le cercava principalmente, o in definitiva, nell'autorità deile scuole e degIi autori; vagliandone come risoluzione il numero e la stima. Due furono gl'influssi sto-
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rici che vi diedero sviluppo: la lotta contro il subiettivismo protestante che fece eccedere a danno di un sano subiettivismo, e l'attenuazione del rigore di vita medioevale sotto l'influsso delle nuove correnti, fra le quali quella detta in Francia dei Libertini. I1 primo portò ad un autoritarismo esagerato; e il secondo al lassismo che fu condannato verso la fine del sec. XVII. Tutte due le correnti tendevano ad esteriorizzare la morale e a renderla quindi giuridica e finalistica. A proposito di normatività, bisogna fare una distinzione tra la legge ecclesiastica, data di autorità, che ha un valore sociale, e che perciò gl'individui debbono penetrarne il valore e lo spirito (pur osservando le forme); e quella che è imposta dal casista, su dati esterni, la quale fino a che non è tradotta in termini interiori, di ragione o di psicologia, resta una formula giuridica vuota. Con ciò non intendo negare i progressi fatti nella Teologia morale a mezzo della casistica; ma ciò è altra questione. Oggi, a me sembra che si impegna un orientamento nuovo della casistica dal punto di vista della psicologia individuale, e collettiva, o da quello della interiorizzazione della morale precettistica. Sto bene. Un abbraccio, tuo Luigi
Piazza Armerina, 15 dicembre 1930
Carissimo fratello, domani comincia la dolcissima novena di Natale. Penso a te e ti anticipo gli auguri. Circa la procura per il momento è bene sospendere. La ragione è la seguente: si addivenne dai fiduciari Montemagno a una transazione sulla parola del vescovo. Questi si rifiutò dare un documento. Di qui il rifiuto di Michele a firmare l'atto. Io persuasi il vescovo a chiedere la sanazione alla S. Congregazione. Si aspetta il rescritto, venuto il quale Michele firmerà. Lasciamo dunque esaurire questa pratica e poi si penserà alla procura. Aspetta perciò mie comunicazioni, e sta tranquillo. Ti ringrazio di quanto mi scrivi nella tua del 10. Son osservazioni che mi fanno bene, perché mi costringono a pensare e precisare. Non posso però accettare il concetto tuo circa la totalità della verità. E nemmeno voglio insistere sulla mia espressione-parzialità. Cerco meglio. H o
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pensato che sarebbe più propria la parola <{ dipendenza D, perché nessuna conoscenza (verità) è indipendente, non essendo assoluta. Sto veramente meglio quasi rimesso del tutto. E ringrazio Dio e te delle buone preghiere. Tu continua a pregare per colui che ti ama tanto, Mario
Piazza Armerina, 17 dicembre 1930
Carissimo fratello, l'articolo di Lugan è limitato al Neo-sintetismo. Fatto con diligenza, meno nell'ultima parte dove parla del problema morale ed estetico. Lugan certo non conosce le mie cose posteriori. Pubblicar così l'articolo, che è importantissimo, sarebbe peccato. Questo gli i-arai osservare. Frattanto dammi il suo recapito, affinché io gli mandi subito le altre pubblicazioni. Comunque, anche com'è, potrebbe andare. Tu distingui tra verità da sé e verità nella sistemazione. Rechi l'esempio della pietra = minerale. La distinzione non si regge, perché conoscenze fuori di una qualche sistemazione non se ne danno né sono possibili. Questo è uno dei meriti del mio relativismo, che pone la conoscenza come rapportuale, escludendo ogni forma a priori e ogni noto per sé. Ora il rapportuale è da sé una sistemazione, rudimentale prima, sempre più complessa poi. Affinché tu arrivi a dire: pietra = minerale, quanto cammino devi percorrere? Quanti altri rapporti sottintendere? Di qui il mio concetto di parzialità, che come concetto sta e deve stare, e solo si può discutere, come discutiamo, circa la parola. I1 problema della sistemazione è come quello del buonsenso. Ma forse che il buonsenso sia il vedere quel che sfugge alla ragione? Non è la stessa ragione il buon senso? È la ragione che si pronunzia nelle verità più semplici. Ma si pronunzia sempre ragionando. E solo deve dirsi che il suo ragionare è semplice, e quindi più sicuro. Sto bene. Buon Natale. Tuo Mario
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786 [London], 18 dicembre 1930
Carissimo fratello, la tua del 10 mi è arrivata dopo quella dell'l l. Sono lieto di quel che mi scrivi che hai superato la tua passata posizione circa lo storicismo e antistoricismo. Però io credo che sarebbe bene ribadire le idee di una sana concezione storicista. L'articolo di S.S. su Storicismo e Trascendenza ' è stato ripubblicato in Germania ed è stato apprezzato come un buon tentativo. Ma il tema è vasto e complesso; tanto più che lo storicismo essendo nato con l'idealismo dai più è guardato con sospetto. È la medesima sorte che toccò alla sociologia, che nata col positivismo per molto tempo fu avversata e non studiata. Torno alla Casistica. Non nego che la questione del giuramento irlandese sia un caso o possa ridursi ai termini di un caso; anzi per i casisti sarà un caso elegante e non semplice come ti sembra. Perché lì il giuramento è imposto da legge e da un Patto fra Irlanda e Corona, e completa il titolo di deputato a cui sono legati i diritti alle immunità e indennità parlamentari e i doveri (e anche diritti) di legiferare e controllare lo Stato. La dichiarazione fu precedente alle elezioni e collettiva; di essa non poteva tener conto il Governatore né il Ministro. Sicché il giuramento sarebbe stato valido agli effetti civili e nullo agli effetti morali e di coscienza. Inutile rifuggiarsi al caso individuale, si tratta di un caso collettivo pubblico, in cui la soluzione individuale non ha senso: occorre la soluzione collettiva, cioè di autorità. Io contesto perciò la mentalità giuridica che evita il problema posto psicologicamente per ridurlo in termini formalistici. Lo stesso valore ha la questione della guerra giusta, dello sciopero della fame per ragioni collettive, ecc. Tu dirai: non sempre si può, né sempre è opportuno legiferare; ed è così ma le posizioni collettive bisogna fronteggiarle con valori collettivi; siano forme di leggi o esortazioni o discussioni, come facevano i padri; allora s'intensifica la vita spirituale. Invece il casismo non bene usato e in tali casi tende a impoverire la spiritualità cercando solo di fissare il limite fra obbligazione e libertà, cioè come difendere l'individuo dalla legge. Ho ricevuto il libro di OlgiaLETTERA786. 1. Cfr. « Rivista di autoformazione », luglio-agosto 1929, p. 191.
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ti che ho letto subito, mi ha ricordato un caro amico così virtuoso ed esemplare. E l'« Autoformazione »? ancora non è arrivata. Sto bene. Un abbraccio e auguri pel S. Natale. Aff.mo Luigi
Piazza Armerina, 20 dicembre 1930
Carissimo fratello, lessi la critica di Cheuia sulla « Rivista rosminiana » che ricevo in cambio. Non te ne scrissi, perché non ne valeva la pena. Circa quel che t*u mi scrivi nella cartolina del 13 circa <( la risoluzione della teoreticità nella praticità » comincio a temere di non ti aver compreso. E ti sarei grato se volessi tornarvi su più ampiamente. Per quel che a me pare di aver compreso, osservo, che la sintesi è sempre unità-distinzione, E osservo che la risoluzione di cui tu parli della conoscenza, vita, prassi, ha luogo, se mai, nel pensare astratto, non nel pensare concreto, cioè, nel pensare la realtà come di fatti è. Nella realtà c'è un'unità-molteplicità; ci son perciò le sintesi, col loro flusso e riflusso. Nella realtà pensata concretamente ci sono le stesse sintesi sistemate. Ora quando io penso prassi, penso etica; una prassi fuori dell'etica, non è pensabile. Quando penso vita, penso storia, perché una vita non storia è anche essa impensabile. E così via. Ma non insisto ed aspetto i tuoi chiarimenti. Hai ricevuto i libri? Aspetto di saperlo. Monologo? intitolar così il libro? Non avrebbe senso. A me pare che « Relativismo sintetistico » sia il più proprio e perciò ~referibile.Fare un libro pel gran pubblico? Credo che il tempo non sia maturo. Ancora pochi prendono sul serio il mio neo-sintetismo. È ancora un ingenuo intruso. Sto bene. La stanchezza persiste. Abbracci. Tuo t Mario
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[London], 21 dicembre 1930
Carissimo fratello, rinnovo gli auguri pel S. Natale; prega per me in questi Santi giorni. Sto bene. Rispondo alla tua del 15. I1 concetto di dipendenza della verità implica il suo condizionamento, che può essere soggettivo o oggettivo; ma non implica né la totalità né la parzialità. Se poi tu intendi la reciproca dipendenza delle verità, cioè interdipendenza, allora ciò implica la sistemazione e quindi il sistema. Io non arrivo a comprendere la ragione che ti fa restio a distinguere il valore della verità in singolo dal valore delle verità nella loro sistemazione e quindi il valore del sistema o elemento sistemante. Noi non possiamo fare a meno di gerarchizzare la verità come è gerarchizzata la realtà, entro i due poli massimi: il soggetto conoscente e l'assoluto. Realmente non può concepirsi una verità analiticamente isolata da questi due termini; ma sia il nostro istinto a praticizzare, sia la nostra difficoltà a coordinare e a ritenere la coordinazione sempre presente in atto, ci leghiamo al particolare come a un tutto (e quel particolare piglia l'aspetto di totale o meglio di arelativo) perché in quel momento non ci richiamiamo ad altri dati relativi da sistemare. Se non fosse cosl, noi avremmo sempre presente il valore complesso della sistemazione, a cui noi siamo giunti, ma è il contrario che avviene; cioè che noi dobbiamo fare uno sforzo ogni qualvolta pensiamo una verità nel suo complesso sistematico. Onde spesso invece di arrivare al vero assoluto, come punto fermo della verità e della realtà, noi trasformiamo il relativo stesso in assoluto, e ne facciamo il punto di appoggio di una sistemazione, che non può essere che transeunte o provvisoria, che ci serva o a progredire o a deviare. Tutto ciò appartiene alla complessa fenomenologia del pensiero come uno dei fattori della nostra psicologia, ma esso non può non influire nella valutazione del pensiero stesso come verità e quindi rappresentazione sui generis della realtà. Forse divago; ma io sento così il tuo interessantissimo problema. Un abbraccio, tuo Luigi
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[London, Paddingtonl, 23 dicembre 1930
Carissimo fratello, rispondo alla tua del 17. A prevenire la tua osservazione, in una mia precedente avevo fatto riferimento d a tua teoria circa la sinteticità e relatività del giudizio. È vero; ogni atto conoscitivo è sintetico e sistematizzante. Ciò non vieta di parlare anche di analisi e di giudizio asistematico. S'intende che noi parliamo di analisi relativamente a data sintesi e viceversa; così parliamo di sistemazione relativamente a dati elementi sistemabili e quindi concepibili come non-sistemati. Del resto, come in scienza vi sono elementi refrattari a un sistema, come in politica vi sono gli apolidi, così vi sono idee non mature a un dato sistema e quindi a-sistematici. S'intende tutto relativamente. Ma c'è cosa nel creato che si possa intendere in via assoluta? Noi usiamo anche dell'idea di assoluto, ma... relativamente. Sarebbe impossibile intenderci se non si facesse così. Ciò posto, io non trovo che abbia mai scritto cosa che ti possa aver dato l'impressione di un qualsiasi apriorismo di per sé noto. I1 dire che la pietra può essere conosciuta fuori di un dato sistema relativamente, e che tale idea può essere approfondita come più è sistemata, non porta che l'idea di pietra sia per sé nota. Un naturalista che scopre un nuovo elemento pripa di classificarlo apprende che è un nuovo elemento; la sua conoscenza di tutti gli altri elementi gli fa classificare il nuovo proprio come nuovo. È questa una sistemazione prowisoria della sua conoscenza, iin che arriva a identificarlo, nominarlo, classificarlo, ecc. In tutto ciò siamo di accordo; ma si tratta di parzialità della verità? no: ogni concetto che il naturalista acquista è in sé completo, anche il più elementare, anche quello di nuovo elemento. È però incompleto in rapporto ad una sistemazione ulteriore e così via. Io contesto non solo la parola ma l'idea di parzialità. Perché (conseguenza inaspettata) la verità sarebbe sempre parziale, sia la sistemazione elementare a), sia la scientifica b), siccome mai si esaurisce la verità nella sistemazione, e siccome non si dà verità fuori di una sistemazione, così la verità sarebbe sempre parziale. Questa tua parzialità, è il
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divenire o processualità o dinamismo del pensiero. Sto bene: prego in questi santi giorni che venga Dio fra noi. Tuo fratello Luigi Lugan è nel Messico.
Piazza Armerina, 23 dicembre 1930
Carissimo fratello, ricevo a momenti la tua del 18. I1 problema della casistica mi interessa vivamente, e son grato a te che mi aiuti così efficacemente ad approfondirlo. Tu trasporti il problema nel campo collettivo. E fai bene. Anche questo va studiato. Esso però non modifica per nulla il primo problema, che è quello che occorre chiarire. I1 dispregio della casistica - in blocco - deriva dalla riforma, dal liberalismo e dall'idealismo. È uno degli aspetti dell'opposizione fra pensiero moderno e pensiero cristiano-medioevale. Noi non possiamo star in quel piano. Noi dobbiamo combattere i vizi della casistica, e rivendicarne le ragioni universali. La morale, anche guardata come collettiva, si risolve sempre in fatto individuale, di coscienza; non di coscienza chiusa, ma di coscienza individuale-sociale. È un fatto naturale. Riguardo le azioni singole volta per volta. È un perenne risolvere casi. La casistica, cosi intesa, c'è stata sempre. I1 concilio degli apostoli non è il primo e più tipico esempio? Tale è anche la lettera a Filemone l . A questa categoria appartiene la lotta circa i relapsi ai tempi di S. Cipriano, e la lotta ai tempi di S. Agostino circa i donatisti 3, pel battesimo dato dagli eretici. L'autorità è sempre ragione, la ragione vista da dati sapienti. E tutta la nostra vita è fatta di autorità, l'autorità della tradizione. Il probabilismo non LETTERA790. 1. Si tratta della lettera di S. Paolo mandata dai carcere a Filcmone, suo amico, per intercedere a favore di Onesimo. 2. Si fa riferimento aile controversie avvenute in seguito d a persecuzione di Decio (250) sulla riammissione nella Chiesa di coloro che avevano ceduto sacrificando agli idoli. S. Cipriano, vescovo di Cartagine (250-258), scrisse un'opera su questo problema dai titolo De lapsis. 3. I donatisti sostenevano i'iivaliditA dei sacramenti amministrati da sacerdoti indegni o anche da sacerdoti che, per debolezza, avevano giurato sugli dei pagani. Contro di loro scrisse e operò S. Agostino.
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è che la sistemazione scientifica di questa legge. Auguri di nuovo fervidissimi. Sto bene. La stanchezza va passando. Tuo Mario
Piazza Armerina, 26 dicembre 1930
Carissimo fratello, la tua ultima è del 18. Ieri notte la seconda messa l'ho celebrata per tutti noi vivi e defunti. Nella soavità del rito, siamo stati insieme. Così il buon Dio ci riunisca tutti nel suo regno beato. I1 caso di giuramento è caso, sino a che si considera di là d'ogni risoluzione pubblica o d'autorità o di ragione. Come caso, riguarda sempre l'individuo. Sarebbe invero cosa strana dire che l'individuo non debba proporsi il caso, come individuo, conforme tu più volte hai scritto. Lo stesso è il caso della guerra. Né giova il tuo ripiego, che l'individuo che tali casi si propone, debba considerarsi come patologico. I1 deputato che si trova nelle condizioni del caso del giuramento, se ha coscienza, deve risolvere o farsi risolvere il suo caso. Può prestare quel giuramento? Non può? E poco importa se le varie soluzioni possano essere discutibili. La casistica non nacque per eludere la legge. Ciò lo dicono gli avversari, che non ne comprendono il perché. Invece nacque per migliore intelligenza della legge. Ma cos'è la legge? Forse è una particolarità che sta sempre come trappola della libertà? S. Tommaso la guardò come legame. Di qui la peggiore equivocazione. La legge è norma rapportuale. Evitata una legge, si ricade in un'altra. Nessuna legge lega, e tutte le leggi son norma rapporto. Però il rapporto esiste, quando esistono due termini. Se un termine, una legge, cade, quel rapporto non c'è. Ma ce n'è subito un altro. Guarda la casistica sotto questa luce, e diviene altra cosa. Sto bene. Torno un poco al lavoro. Prega intanto per me, e credimi tuo f Mario
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[London, Paddington], 27 dicembre 1930
Carissimo fratello, questa ti arriverà o mercoledì o giovedì con i miei più caldi fraterni auguri per il 1931. Ma che cosa è questa stanchezza che non ti lascia? Non è il caso di cambiare aria? Non soffri troppo col freddo di Piazza? Prego per te, sì, caro fratello, assai assai. Ti scrissi di Cheula, sia perché credevo che non lo avessi letto, sia perché si tratta di giovane; io penso che tu fra i giovani farai le tue reclute e i tuoi seguaci; e fra i giovani che nel pensiero sono credenti e cercano con ansia la verità. Solo per questo. Io non insisto circa il libro per il gran pubblico, che attragga anche letterariamente, ma è un'idea. Forse potrebbe servire a divulgare la teoria più che quelli strettamente filosofici; specialmente per il tema che hai da trattare e che ha così vari aspetti. A ogni modo non insisto, perché anzitutto vale la disposizione d'animo dell'autore; ed è quella che detta le leggi. Della questione della teoreticità e praticità ti scriverò altra volta. Questa deve partire subito, altrimenti resta a Londra fino a lunedì mattina. Sto bene. Non ho ancora ricevuto l'« Autoformazione » di dicembre. Perché? Ho ricevuto il S. Agostino che leggerò subito. Un abbraccio, tuo Luigi
[London, Paddington], 29 dicembre 1930
Carissimo fratello, rispondo alla tua del 23. Per poterci bene intendere sulla casistica e fare un utile scambio di idee, occorre che prima ci mettiamo di accordo sui termini e sui fatti. Fino a che tu per casistica intendi l'applicazione delle leggi morali fatta o d'autorità (Concili, Vescovi, Papa) o da teologi o da ciascun fedele, non siamo di accordo. Te ne ho già scritto. Per casistica s'intende un determinato sistema di applicazione sviluppatosi dalla metà del XVI alla metà del XIX sec. Bisogna perciò individuare questo periodo e trovarne le caratteristiche distintive. Così la intendono storici cattolici e acat-
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tolici. La questione che mi sembra tu alludi nella tua cartolina della morale individualistica, in contrasto a quella collettiva e sociale, è ben distinta e da non confondersi con la critica anticasistica. Tu dici che la riforma ha avversato la casistica; è inesatto; la casistica è sorta durante e dopo la controriforma e fu awersata prima da cattolici poi da giansenisti. Nel sec. XVIII furono ripresi i motivi di Pasca1 per ragioni anticlericali e antigesuitici. I1 Liberalismo non ha niente che fare con la casistica ma con l'individualismo etico. L'Idealismo poi non ha ragioni specifiche contro il casismo, ma contro tutta la concezione etica cristiana, come ogni filosofia monista. Croce ne parla, ma egli parla di tante questioni marginali. Io insisto a non volere confondere la casistica con l'applicazione generica dell'etica cristiana, perché io, e con me tutti quei cattolici che criticano non la casistica, ma certa casistica, vogliono distinguere le questioni e arrivare per via di analisi storica a isolare quei punti che costituirono nel passato e possono costituire anche oggi una deviazione dal sano indirizzo etico. Quindi la discussione occorre portarla sui punti concreti della critica cattolica, senza preoccuparsi di tutta la grossa critica anticattolica. Se siamo di accordo in ciò, continuerò le mie osservazioni e ne ho ancora; ma se non siamo di accordo, credo sia meglio che prima di andare oltre, siano dissipati i motivi di disaccordo su questi termini e fatti. Sto bene. Un abbraccio, tuo Luigi
Piazza Armerina, 29 dicembre 1930
Carissimo fratello, questa ti reca i fraterni auguri pel nuovo anno. Tu « non arrivi a comprendere la ragione che mi fa restio a distinguere » tra verità in singolo e nel sistema. Tolgo la parola « valore » che potrebbe complicare il problema. Del resto mi sembra oziosa. Ogni verità è un valore. Su ciò ho scritto le mie ragioni nella cartolina del 17. Se non ti appagano, ne ho delle altre. Ma tu nella tua cartolina a cui rispondo, ed è quella del 21, fai un rilievo assai interessante, quando dici « noi dobbiamo fare uno sforzo ogni volta che pensiamo una verità nel suo complesso sistematico ». Solo la
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ragione che tu porti a spiegare questo fatto non mi pare salda. Tu credi che il fatto provi la tua tesi delle verità in singolo e delle verità nel sistema. Secondo me prova un altro fatto, che è quello che sostengo io. La sintesi è natura, è vita; l'analisi è arte, è, da sé, morte. È mezzo di studio. Ora il nostro conoscere, che è natura, è sintesi. Come sintesi è unità. Come unità è in certo modo indipendenza, o meglio, individualità. Noi conosciamo nel sistema, cioè, sistemando, e pel sistema, ma noi non vediamo il sistema, sibbene il sistemato. Per vedere il sistema, dobbiamo fare lo sforzo a cui tu accenni. Infatti nelle opere dell'uomo, che son arte, cioè, artificiali, cioè, da sé, analisi .e sintesi improprie, perché non viv9no come le cose della natura, noi vediamo insieme la relativa unità e il sistema. Credo che valga la pena approfondire questo fatto, suggerito a me d d a tua fine osservazione. Sto bene. Tuo t Mario
[London, Paddington], 31 dicembre 1930 la cartolina
Carissimo fratello, buona fine - buon principio a. m. D. gl. Concludevo la mia del 13 dicembre sulla questione di teoreticità e praticità che ci avrei pensato. Ora tu mi inviti ad esporre di nuovo (e spero in modo chiaro) il mio pensiero; così lo rifarò in queste cartoline che sono come la chiusa dell'anno morente delle nostre belle conversazioni, per riprenderle nel nuovo anno con più lena e per me con più profitto. Ecco, pertanto, il mio pensiero. Premetto: a) per quanto sintetico il pensiero e sintetica la realtà, per conoscerli bene occorre ridurli nei loro fattori. L'analisi è un buon mezzo per individuarne le caratteristiche; b) non vi è omogeneità né fra il pensiero e i suoi fattori, né fra la realtà e i suoi fattori, né nel rapporto di realtà e pensiero; ma eterogeneità (processo e risoluzione); C) il processo non è da sintesi a sintesi, ma da sintesi dissolventesi a sintesi ricomponentesi; d) per teoreticità intendo la conoscenza presa in sé, per praticità I'attività presa in sé. Quando nel pensiero distinguo teoreticità e pra-
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ticità non fo che analizzare gli elementi prevalenti e determinanti. Ciò posto - I1 pensiero (conoscenza e speculazione) è per sé individuale e soggettivo, ma siccome finalisticamente è praticità così tende alla comunicazione (risoluzione dell'individualità nella socialità) e quindi si risolve in praticità (azione). Anche la semplice comunicazione del pensiero (parlato o scritto) è praticità. Facendo l'analisi di questa praticità nei suoi elementi più caratteristici scrivevo (cartolina 271x1) che la credenza (teoreticità e individualità) si risolve in religione (atto pratico e sociale); la scienza in economia; il dovere in obbligazione; l'etica in politica, la contemplazione in arte. Tu mi contestasti che l'etica si risolva in politica, perciò mi fermo su questo punto. L'etica è (secondo me) la razionalità dell'azione pratica, e per sé è speculativa. Si traduce in atto pratico (socialità - e si può intendere socialità anche tra il primo uomo e Dio), ma come tale sarà o frutto di credenza (morale religiosa) o attrazione di dovere (obbligazione) o legge della società (giure) o attività pubblica (politica speciale). L'etica se non è tradotta in questi termini sociali resta semplicemente una speculazione circa la bontà o no delle azioni. H o usato la parola politica (termine della risoluzione etica) come la più comprensiva di ogni attività collettiva unificantesi, o sociale. Continuo nella Cart. 2". Sto bene. Un abbraccio Luigi
[London, Paddington], 31 dicembre 1930 2" cartolina
Carissimo fratello, tornando al tema, io ti scrivevo (nella stessa cartolina del 27 dicembre) che la praticità (azione o socialità) sempre si riflette nel pensiero che elabora la razionalità della pratica nella sua autonomia subiettiva; perché è la razionalità umana nel soggetto-individuo la fonte unica di ogni sviluppo sociale. E allora notavo per antitesi che quanto più la praticità si distacca dalla sua originalità teoretica, tanto più si impoverisce. E per esempio notavo che l'etica (individuale) diverrebbe prassi o casistica, cioè perderebbe di vista la
razionalità interiore degli atti per esteriorizzarli formalisticamente; l'etica (collettiva) - o politica diverrebbe compromesso (fra la ragione e l'utilità) l'etica (giuridica) o diritto diverrebbe giurisprudenza o adattamento ai casi; come la religione diverrebbe ritualismo (lettera e non spirito-fariseismo) l'arte imitazione e così via. Tutto ciò mi chiarisce la funzione di sorgente di vita che è il pensiero in rapporto all'azione. Data questa jmpostazione era naturale che nella mia del 13, io ti avessi scritto che i termini di conoscenza, vita, prassi non sono univoci e perciò sono risolvibili in eterogeneità. Tu mi osservi (nella tua del 20) che ciò può essere del pensiero astratche si rito e non del pensiero concreto. Per me è di ogni solve in azione. Solo in Dio pensiero e azione sono omogeneità, ma in noi sono eterogeneità. (Tra parentesi, nella detta cartolina parlavo di prassi, - ma solo per riprendere il tuo motivo; a ogni modo la frase non era a posto). Da quel che ho scritto, potrebbe sembrare che ne derivi che il punto di differenza fra me e te sta nel modo di valutare la sintesi umana cioè se tale sintesi sia o no talmente sintetica da impedire l'analisi degli elementi e quindi da escluderne le risoluzioni eterogenee. Cioè se teoreticità e praticità siano talmente fuse, che non solo l'uomo non ne scorge le differenze, ma che non ne percepisce il processo né le modificazioni vicendevoli. Se così fosse, ogni scienza sarebbe annullata. Cadremmo nella tautologia paralogistica dell'attualismo gentiliano. Poiché non è così, e tu stesso lo dimostri coi tuoi scritti, bisogna trovar la via, onde, senza alterare la verità del sintetismo si possano rilevare le interferenze dei componenti la sintesi senza cadere nell'astrattismo. Un abbraccio. Auguri di nuovo. Luigi
Piazza Armerina, 31 dicembre 1930
Carissimo fratello, chiudo con te l'anno e spero cominciare con te il nuovo. Che il buon Dio ci congiunga nel Cielo con tutti i nostri cari. Mi scrivi che Lugan è nel Messico. Ti prego aggiungere le indicazioni della città e del domicilio, a h c h é gli possa subito mandare gli altri miei
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lavori. Hai ricevuto il Pincherle l, il Beria, e il libro degli esercizi? Ciò m'interessa per il pagamento. La tua del 23 è tanto interessante, ma non considera il punto controverso nella sua concretezza, sibbene in astratto. Tu scrivi « il naturalista, prima di classificarlo, apprende che è un elemento »; e questo, se non fosse un'astrazione, sarebbe un errore. Noi nulla apprendiamo fuori d'una qualche categoria, anzi di più categorie. La categoria nasce con l'apprensione e la fa apprensione. È il mio sistema, e credo che sia anche la mia conquista. Quando diciamo per esempio che il naturalista classifica, non diciamo che applica una nuova categoria, ma che scopre che quell'elemento è determinato da una categoria di cui prima il naturalista non si era accorto. Escluso che ci siano conoscenze singole fuori di ogni sistemazione, cade il tuo concetto di totalità. Una pietra è quel che è = cosa in sé. Noi ciò non lo conosceremo mai. Una pietra, nella conoscenza, è un oggetto di cui noi conosciamo dati aspetti, cioè, di cui conosciamo una parte o più parti. Quando noi superiamo le nostre prime cognizioni, col superarle; le giudichiamo non complete e non esatte. O nuovi aspetti, che conosciamo pel progredire del nostro conoscere, son altri aspetti, cioè, altra parte. E così via. E son questo, perché son sempre sistemazione, sempre tendenza al tutto, che è tutta la realtà esistente, il qual tutto noi non conosceremo mai nella sua totalità. Pensaci. Sto bene. Prego per te. Tuo t Mario
LETTERA797. 1. A. PINCHEBLE, S. Ago~tinodi Ippona, Latema, Bari 1930.
[London, Paddin@onl, 1 gennaio 1931
Carissimo fratello, non posso cominciare il nuovo anno senza scrivere a te e a Nelina. Così vi sento vicini: a mezzanotte ero sveglio ed ho pregato tanto per voi due. Sto bene, ma anch'io sono un po' stanco. Ho ricevuto la tua del 26. A proposito della casistica, tu dovresti applicare il tuo metodo di valutazione e ricerche filosofiche quale scaturisce dal tuo Monologo; cioè pensare che tanta lotta e tante polemiche sulla casistica non possono non avere un lato di verità, pur seppellito in mezzo a passionalità e a pregiudizi. E se da un lato la casistica l'ha vinta nell'insegnamento e nella prassi della teologia morale, non è stato senza subirne le modificazioni e attenuazioni dovute ai contrasti e alle lotte. Ma d'altro lato le considerazioni avversarie hanno ancora dei lati vitali non esplorati e non utilizzati. Mettendoci nello stato d'animo che può derivare da tali considerazioni credo che oltre ad essere giusti con i nostri avversari, potremo intenderne meglio quella parte che in essi v'è di verità. Nel libro su Pascal di Strowski ' (cattolico) è scritto (e trovo sottolineato a matita blu) « La casuistique de Les ... a été l'occasion prochaine d'une diminution de la conscience. Nous avons jusqu'à present le droit de dire que les Provinciales furent d'une merveilleuse opportunité et qu'elles restent absolument solides D. È la forma più attenuata che si può usare in riferimento a quel periodo di turbamenti portato dalla casistica. Uno studio sereno e obbiettivo potrebbe essere assai utile. Delle questioni di merito al riguardo te ne scriverò in seguito. Ho ricevuto stamane il Corso di esercizi spirituali di Pistacchi 2. Grazie. È un buon dono per il nuovo anno Un abbraccio, tuo Luigi
E della Rivista quid? Uscirà? È uscita? SS. mi ha dato la Postiila sull'assoluto personale. Devo mandarla? Luigi.
* Le lettere del 1931 sono scritte in prevalenza su cattoline postali. Si segnalano solo i casi diversi. LE'ITERA798. 1. F. STROWSKI, Les pensées de Pascal, Meiiottée, Paris, s.a. 2. Cfr. lettera 778.
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799 Piazza Armerina, 3 gennaio 1931
Carissimo fratello, non discuto su quanto scrivi nella tua tanto interessante, del 29. I1 mio problema è diverso. Prescinde da Molina ' e dai giansenisti ', e mira alla realtà storica in genere. E vi mira in occasione delle note di Croce che non è solo in tale critica. Anche tu hai scritto che col fatto del caso si normalizza quel che è individuale e personale e complesso. E anche tu, come Croce, hai scritto che il caso della guerra giusta o no, non ha più senso. Io risolvo il problema passato nel presente, come si deve fare, quando si fa, non pura storia, ma filosofia. Così posto il problema, il casismo del secolo XVI e seguenti assume un aspetto relativo, particolare, caduco. Fu quel che fu. Ma in fondo fu anche quel che io dico. Gesuiti e Giansenisti furono di fronte sul concetto della vita etica. Ci fu il lassismo e il rigorismo, che furono condannati. Restò la visione giusta del casismo, che è la valutazione dei rapporti tra la norma e l'azione. Quando il rapporto non risulta chiaro, è come se non fosse. Ma con ciò non si elude la legge, che non è, ma si cade in altro rapporto. Non di lotta tra legame e libertà si deve parlare, ma tra un rapporto e un altro. Croce ha ragione, in quanto idealista, perché, in quanto tale, nega Dio e l'oggetto. E perciò la sua critica non ci tange. Questo io sempre ho detto quando ho parlato di Croce. E tu sempre mi hai trasportato nell'altro campo. Ciò non LETTERA799. 1. Luis de Molina (1536-1600), teologo spagnolo, gesuita, fu sostenitore deila teoria, detta poi molinista, per la quale la volontà umana veniva con. cepita come determinante per la salvezza e per l'accoglimento della grazia d i v i ~Dio dunque distribuiva, secondo tale teoria, la grazia; possedeva la scienza media, owero la preconoscenza di come i'uomo avrebbe determinato i1 suo volere nei confronti di essa. In tal modo la libertà umana non veniva soppressa o ridotta a qualcosa di predestinato, essa restava integralmente comeeil momento decisivo dell'acce giimento o del rifiuto deli'aiuto divino. (Concordia liberi arbitrii cum gratiae donis, divina praescientia, prouidentia, praedestinatione et reprobatione ad nonnullos primae partis divi Thomae articulos, Lisbona 1588). 2. I1 giansenismo costituisce una corrente teologica, che prende nome dal vescovo di Ypres Cornelio Giansenio (1585-1638), secondo la quale ogni grazia è efficace; l'uomo di conseguenza non può far nulla di proprio essendo appunto determinato dall'azione della grazia. L'opera di Giansenio, i'tlwgustinus, e la sua dottrina deiia predestinazione furono condannate dalla Congregazione deli'Indice e Inquisizione nel 1641.
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vieta che tu svolga ancora la tua tesi. M'interessa storicamente. Sto bene. Riprendo a poco a poco il lavoro. Pare che la stanchezza sia al suo termine. Aspetto l'indirizzo di Lugan. Abbracci. Tuo
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Mario
[London, Paddington], 3 gennaio 1931
Carissimo fratello, ricevo la tua del 29 scorso. Credo che tu, dopo aver letto la mia del 23, avrai notato che non fo della verità singola una pura analisi, cioè un'astrazione, ma un'analisi secundum quid cioè in rapporto a data sintesi sempre più complessa. La tua critica per cui contrapponi analisi ed arte a sintesi e natura, analisi a morte e sintesi a vita, è fuori luogo in rapporto al mio pensiero. Debbo aggiungere che a me sembra che tu fai dell'analisi un elemento negativo, mentre essa è nella realtà un elemento potenziale e vitale, e nel pensiero è indispensabile per la comprensione della realtà. Questo detto tra parentesi che non ha interesse diretto alla discussione. La ragione che tu dai alla mia osservazione, cioè che « noi conosciamo sistemando, ma non vediamo il sistema ma il sistemato » è vera per l'intuizione, ma non per la deduzione, né per la conoscenza riflessa. Inoltre, per mio conto non direi che nell'arte vi sono sintesi improprie e quindi che nelle opere d'arte vediamo l'unità e il sistema. L'opera d'arte è per sé fuori di un dato sistema, ma si può sistemare per dati estranei all'arte (filosofia - morale - elementi materiali o di struttura - dati storici, ecc.) anzi, se conoscenza individuale e a-sistematica vi è in noi, è quella dell'opera d'arte. Ma anche questo argomento ci fa andare ad altro tema. Per me il sistema « vero » non è un extra della verità, ma un approfondimento della verità, è invece un extra derivante dalla verità il sistema « falso ». Torniamo quindi al criterio della verità per apprezzarne le sistemazioni. Ecco la funzione dell'analisi relativa. Dammi notizie del19«Autoformazione P; e intanto fammi mandare i seguenti numeri in doppio I, 6 (suppl.) 111, 2, 4, e 6 IV, 1. Grazie. Sto bene, tuo Luigi
LUIGI E MARIO STURZO
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Piazza Armerina, 6 gennaio 1931
Carissimo fratello, ricevo le due carissime del 31 e quella del lo. Grazie di cuore. Quanto mi fanno pensare le tue cartoline e quanto vantaggio ne ricavo! Nulla di più utile d'una discussione cosl seria e così serrata. Quel che tu scrivi nelle due cartoline del 31 è vero nel suo fondo, ma (pare a me) non esatto nella sistemazione. I1 punto di dissenso tra me e te è il concetto di risoluzione come tu lo poni. Tu scrivi u: ogni pensiero si risolve in azione ». No, caro fratello, il pensiero è pensiero, e l'azione è azione, come l'intelletto è intelletto e la volontà volontà. Passaggio dall'uno all'altra non se ne dà. La risoluzione è ben altra cosa. E solo può esser compresa fermando I'attenzione alla sintesi, che è l'atto. L'atto è sempre unità-molteplicità, cioè, è sempre insieme pensiero e azione, teoreticità e praticità. La risoluzione è la successione di atto ad atto, nella loro dipendenza; ed è risoluzione in un certo senso. Esempio. Io speculo sull'utilità del comunicare agli altri le mie scoperte. Momento teoretico pel prevalere del teoretico. Questa speculazione accende in me la volontà; ed io comunico agli altri le mie scoperte. Momento pratico pel prevalere del pratico. È forse qui il teoretico che si risolve in pratico? No. L'atto antecedente, resta quello che fu. È l'atto antecedente. Esso genera il susseguente, che è un nuovo atto. Se diciamo: « genera » parliamo concretamente; se diciamo: « si risolve a, parliamo astrattamente. Ti prego di studiar bene questo punto, senza di che la discussione sarebbe vana. Avuta la tua risposta, io ripiglierò la disamina delle tue tanto interessanti cartoline. Sto bene. Torno al lavoro e preparo il fascicolo arretrato della rivista. Prega per me e credimi tuo t Mario
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[Paris], 7 gennaio [l9311
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Carissimo' fratello, sono qui per qualche giorno. Sto bene. Avrai avuto mie notizie da Vincenzino a cui lunedì fu spedito uno studio di S.S. Io qui non ho ancora ricevuto alcuna tua cartolina, si ché l'ultima tua in mia mano è quella del 29 dicembre. Spero riceverne almeno una in giornata. Penso a te e prego per te. Un abbraccio, tuo Luigi
[Paris], 9 gennaio 1931
Carissimo fratello, domani siamo uniti nel ricordo e nelle preghiere per l'anima benedetta della nostra cara Mamma. Ho ricevuto qua le tue del 31 e del 3: non ho qua l'indirizzo di Lugan nel Messico, ma tale indirizzo era del 1 novembre. Ora dove si trova? Mi dicono che tornerà a Parigi forse in marzo o aprile. Credo convenga aspettare. Ricevetti tutti i libri, meno la « Rivista di Autoformazione D del mese scorso. Da Londra ti scriverò sulla sistemazione della verità, perché non ricordo quel che ti scrissi con la mia del 23. Invece riprendo la conversazione sulla Casistica. Tu ti rifiuti di considerare questa come un episodio storico della morale cristiana e insisti a definirla « la valutazione dei rapporti fra la norma e l'azione ».Questa è la morale pratica e cominciò con Adamo quando preferì mangiare il pomo. Perché dare a ciò il termine storico di casistica? cioè di un dato sistema concreto? il tuo modo di parlare non è il linguaggio comune come inteso da amici e da avversari della casistica. I1 tuo problema si potrebbe impostare così: « quali elementi della casistica sono ancora utilizzabili nella teoria e nella pratica della etica cristiana D. E quindi per negazione « quali elementi LEITERA802. * Cartolina illustrata con il panorama di Parigi. 1. L. Snuzo scrive per errore 1930.
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sono rigettabili ». Solo così tu, in filosofia, potrai storicizzare la casistica, cioè il passato nel presente. Come vedi, io cerco il punto di partenza che sia -identico per me e per te. Se questo non si trova, non ci potremo mai intendere. La tua cartolina del 3 mostra che tu, nel valutare le mie osservazioni sulle varie questioni, non ne prendi il senso da me inteso. Può essere difetto mio nello spiegarmi, ma anche tuo abito mentale, dato il valore pratico che nel tuo esercizio di ministero hai dato a quel che inesattamente chiami casistica e che è in genere la ricerca della norma pratica dell'azione. I1 modo speciale di compiere questa ricerca può essere buono o no, può utilizzare la parte buona o la parte non buona della casistica (sistema determinato). Siamo d'accordo su questo? Sto bene. Domenica spero essere a casa. Un abbraccio dal tuo Luigi
Piazza Armerina, 9 gennaio 1931
Carissimo fratello, ho ricevuto la tua del 3 e a momenti ricevo la postilla di SS. che leggerò subito e, spero, andrà nel prossimo fascicolo della rivista, in ritardo per la mia stanchezza, lunga, ma oramai alla fine. Io certo mi sarò espresso assai male circa la nuova determinazione della sintesi, perché se mi fossi espresso bene, tu ne saresti stato entusiasta. Provo ora d'esser più chiaro. La sintesi è unità. L'unità vera è interna attività. Anche l'atomo è attività e quale attività! Ma l'unità attività è solo la naturale, l'artificiale (e non artistico) non è interna attività, ma esterna. La macchina non si muove da sé, ma è mossa dal macchinista. Dunque la sintesi naturale solamente è attiva dall'interno. Tutte le sintesi artificiali son passive. I n natura non c'è che sintesi. L'analisi non c'è. Quella che ci sembra analisi, è l'attività della sintesi in rapporto ad altre sintesi. Una sintesi che vien decomposta, non è una sintesi che si analizza, ma son altre sintesi che ne derivano. I1 nostro pensare è sintesi vera. Le opere che noi facciamo non son che sintesi artificiali. Tutte. L'analisi di cui tu parli, non è vera scoperta degIi elementi della sintesi per decomposizione (errore -degli scolastici), ma considerazione degli ele-
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menti conosciuti nella sintesi, senza dei quali la sintesi resterebbe ignota. Le applicazioni neo-sintetistiche di questo fatto sono sorprendenti. Te ne parlerò, quando avremo raggiunto l'accordo su questo punto. Sto bene. Son tornato al lavoro. Ti abbraccio. Mario
[London], 12 gennaio 1931
Carissimo fratello, eccomi a Londra: sono arrivato ieri sera ed ho trovato la tua del 6, dalla quale apprendo che il fascicolo novembre-dicembre dell'« Autoformazione D è da fare. Non so se vorrai riunire le due Postille di S.S. Egli mi ha detto che ne seguirà una quarta sulla Creazione. Nella tua m'inviti a riflettere sulla frase « Risoluzione del pensiero in azione ». Tu preferisci la parola generare. Ma tanto il risolversi che il generare sono figure; perché delle attività spirituali non possiamo parlare che con frasi tolte dall'attività materiale. Oggi si preferiscono le imagini prese dalle scienze: il risolversi indica un processo in cui la precedente sintesi si dissolve per ricomporsi in una successiva; ma tutte le imagini prendono significato e valore dal sistema a cui si riferiscono. La tua teoria che ogni atto è completo in sé unità-molteplicità non nega il processo continuo e senza iato dell'attività umana, per cui un atto pur completo si proietta sul successivo. Che questa proiezione (altra irnagine) sia considerata come una risoluzione, niente di contraddittorio. L'importante si è che siamo d'accordo su due punti: a) l'attività umana è un processo; b) l'antecedente chiama il successivo. Resta ancora a precisare il rapporto fra il prevalente teoretico e il prevalente pratico, nel nesso di antecedente e conseguente, cioè nello svolgimento del processo. Non può mettersi in dubbio che il succedersi delle sintesi di qualità diverse sia una necessità di natura. I1 pensiero è azione e determinazione; l'azione è pensiero e determina il pensiero. Determina qui non vuol dire fatale necessità a quel tale pensiero, o a quella tale azione ma necessità generica al pensiero o all'azione e viceversa. Non è affatto vero che dicendo
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si risolve si fa un'astrazione, e dicendo generare si fa una concretezza. Sono l'una e l'altra due immagini (si risolve è immagine chimica o matematica) che ci dicono un lato della verità di quel processo tipico e sui generis del riflesso fra pensiero e azione, che in sostanza non è né un risolversi né un generare. Sto bene. Un abbraccio, tuo Luigi
[London, Paddington], 13 gennaio 1931
Carissimo fratello, ricevo la tua del 9 e rispondo subito. Sono d'accordo con te: a) che l'attività interiore è della natura; b) che in natura non c'è che sintesi; C) che una sintesi non si decompone per la sua analisi, ma per processo di sintesi e così via. Ma quale frase mia ti ha fatto supporre che io pensi il contrario? o che io pensi che vi siano analisi in natura? I o ti ho parlato di « analisi secundum quid cioè in rapporto a date sintesi » e ti ho affermato che « l'analisi è nella realtà un elemento potenziale ». Più chiaro di così? Il nostro pensare è sintesi vera (cioè sintesi dell'oggetto col soggetto) siamo d'accordo. Ma il pensare riflessivo e discorsivo è anche un'analizzare. L'analisi non è scoperta della sintesi per decomposizione (non l'ho mai scritto) ma considerazione, ecc. Siamo d'accordo. Io ti ho scritto che mi sembra che dell'analisi fai un « elemento negativo P. Ma l'analisi di cui io parlo è dentro e non fuori del sintetismo. Inoltre analisi e sintesi in natura sono relativi e per arrivare ad una analisi assoluta bisognerebbe ammettere la materia prima degli scolastici o l'indeterminato dei moderni. Vedi come vi sono lontano. Tu dici che le artificiali non sono sintesi vere. Perché? È sintesi un bosco e non un giardino? È sintesi una montagna e non una casa? un blocco di pietra e non una chiesa? il bozzolo e non il tessuto? Tutto è sintesi; l'artificiale risponde al pensiero umano che in suo senso è relativamente creativo. Anche la sintesi naturale è tale per il pensiero. Torno alla tua del 31. Anche qui, quale mia frase ti ha fatto supporre che io pensi che si conosca la cosa in sé? e quale altra che io ammetta la classifica o categoria dall'esterno e co-
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me una aggiunzione arbitraria? Ma bisogna sempre distinguere la falsa classifica dalla vera. La falsa non è aderente, non è sintesi. Solo la vera è realistico-sintetica. Inoltre occorre tenere a parte le classifiche scolastico-mnemoniche, da quelle fisio-sintetiche. Per esempio le classifiche di Linneo in botanica. Così pure le cosiddette classifiche provvisorie per mancanza di conoscenza. Così si è fatto in molte delle scoperte fisico-naturali. I1 Prof. Le Roy mi ha detto « che in Francia fuori dei neo-tomisti non c'è un filosofo che in fondo non sia sintetista ». Nel fatto però sono eclettici! Un abbraccio. Sto bene. Luigi
Piazza Armerina, 14 gennaio 1931
Carissimo fratello, questa parte con due giorni di ritardo perché per due giorni il cielo è stato così oscuro che io non ho potuto prender la penna senza soffrire agli occhi. Rispondo alla tua del 9. Io bado, sì, al modo di pensare presente, ma con libertà. Senza di ciò, il progresso sarebbe impossibile. Però io penso che il limitare il senso della parola - casistica - come tu fai, non sia di uso veramente comune. Nel Dictionnaire de Théologie Catholiqzce c'è uno studio di Dublanchy proprio sulla « casuistique » impostato come lo imposto io l . Tu comprenderai il suo valore in una enciclopedia teologica come quella. Io ne desumo che son io più di te col sentire attuale. Questo scrittore pone due periodi della casistica, il primo che va dal Io al XII secolo, il secondo che va dal XIII secolo a noi. Dice che nel primo periodo la casistica c'è, ma non ancora differenziata, cioè, trattata come scienza speciale; e che solo come scienza, ecc. si afferma nel sec. XIII con la celebre somma canonico-morale di S. Raimondo di Penafort che per più tempo servì di base a tali studi. Segnala nel primo periodo la dottrina dei dodici apostoli (I0sec.) LETTERA807. 1. E. DUBLANCHY, « Casuistique », in Dictionnaire de Théologie catholique, I1 vol., Letouzey et Ané, Paris 1905, pp. 1860-1877. 2. S. Raimondo de Peiiafort (1175-1275), domenicano, teologo, fu maestro generale dell'ordine e ne redasse le Costituzioni. Si ricordino fra le sue opere la
Summa iuris (1216-1219) e la Surnma de poenitentia et de matrimonio (1222-1236).
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il Pastore di Hermas (2" s i . ) 3, e Tertulliano 4, S. Cipriano ', ecc. ecc. Le tue distinzioni sono improprie. I1 primo a nascere (filosoficamente e storicamente) è il caso particolare. I1 primo a far porre la casistica, come la intendiamo noi, fu il cristianesimo. I1 caso particolare non si risolve che trovando la categoria, l'universale. Questo è il lavoro storico, teologico, filosofico che comincia, come ti scrissi, con gli apostoli. Pensaci bene. E mi darai ragione. Sto bene. I1 fascicolo della rivista di dicembre uscirà quanto prima. Ti mando i fascicoli chiesti. Mario
[London, Paddington], 17 gennaio 1931
Carissimo fratello, i più caldi e vivi auguri per il tuo onomastico. Essi ti arrivano in ritardo. perché ho atteso la tua solita cartolina che non è arrivata né giovedì sera, né ieri e né stamattina. Spero arrivi stasera, altrimenti dovrò attenderla per lunedì (domenica non c'è distribuzione). Sto bene non ostante il freddo intenso dei giorni scorsi. L'indirizzo di Lugan era 32 Dinamarca - Mexico D. 7. (Mexico). Non ho sue notizie dal 1 di novembre. Oggi vedo un suo articolo dal Mexico, datato il 14 dicembre. Ho quasi finito di leggere il .Sant'Agostino di Pincherle l che mi piace assai per varie ragioni. Ti spedisco la recensione su la « Vie Catholique » di una nuova opera di Blondelz. Credo che sia interessante conoscerla, per un certo tentativo di sintesi fra il naturale e il soprannaturale, che credo (come una volta ti scrissi tre anni fa) dovrebbe essere il clou del tuo Sintetismo. Torno alla idea delle sintesi artificiali, cioè alle 3. Opera tra le più celebri della letteratura cristiana greca, scritta da Erma uno dei Padri Apostolici vissuto nel sec. 11. 4. Settimo Florente Tertulliano, vissuto a Cartagine fra il 160 e 220 d.C., apologeta e polemista. 5. S. Cipriano, vescovo di Cartagine, vissuto nel teno secolo, uno dei personaggi e degli scrittori di maggior rilievo della Chiesa d'occidente. LETTERA808. 1. Cfr.lettera 797, nota 1. 2. Le opere di Blondel uscite nel 1930 sono: La fécondité toujours renouvelée de la pensée augustinienne, Paris; Une énigme historique: le « vinculurn substantiale » d'après Leibniz et l'ébauche d'un réalisme supérieur, Paris.
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sintesi create dall'uomo. L'elemento sintetico è dato dal fine dell'oggetto fatto dall'uomo (parliamo di sintesi ad extra); e il fine è la natura stessa dell'oggetto. Ma il fine è anche il pensiero-volontà dell'uomo che lo ha fatto. Quanto più l'oggetto esprime questo fine (anzi: lo incorpora - passi la parola), tanto più la sintesi è perfetta; altrimenti è imperfetta. Lo stesso può dirsi delle manifestazioni artistiche. La prima sintesi è fra l'autore e il suo lavoro; e l'oggetto in sé esprime detta sintesi nella sua realtà autonoma, in quanto esprime il pensiero dell'autore, cioè dell'uomo, non importa il nome. La vita di questo oggetto (vita in senso analogo) è la rappresentanza del pensiero dellJautore nella finalità da lui voluta, che è la ragion d'essere dell'oggetto. Che è la natura senza le sintesi umane di qualsiasi specie? L'uomo trasforma e completa la natura, si che le sue sintesi entrano a buon diritto nelle sintesi naturali e con esse si fondono. Siamo d'accordo? Un abbraccio, tuo Luigi
Piazza Armerina, 18 gennaio 1931
Carissimo fratello, anche a questa volta sono in ritardo, senza che me ne fossi avveduto. La mia ultima è del 14. Circa il problema della risoluzione, ecc. io son costretto a persistere nel dissenso. Tu nella tua del 12 parli i(del succedersi delle sintesi di qualità diversa, come necessità di natura D; che è un aspetto della tua teoria della sintesi che si risolve nell'eterogeneo. Or questo, così enunciato, per lo meno dà luogo all'equivoco se non allJerrore. Ed è errore dire che il teoretico si risolve nel pratico. È astrazione; è separatismo, analitismo. Gli elementi della sintesi sono, da sé, costanti, immutabili. In natura il mutamento avviene per combinazione. Non muta la pianta madre, ma la pianta figlia, e muta perché nel seme entrò un nuovo elemento, e quando entrò. I1 pensiero poi è sempre pensiero e non diventa mai azione, e viceversa. La risoluzione è nella generazione e per la generazione. E queste parole son proprie, non figurate. Perciò io parlo dell'atto. L'atto è la sintesi, ed è unità molteplicità di teoretico e pratico, e da esso nascono gli atti successivi, i
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quali son, non il pratico dal teoretico o viceversa, ma il prevalere dell'uno o dell'altro. Pensaci. Sto bene. Le due postille saranno stampate insieme, spero. SS. mandi tutto ciò che vuole. Prega per me. Domani è S. Mario. Abbracci. Tuo iMario
[London, Paddingtonl, 19 gennaio 1931
.
Carissimo fratello, ricevo stamane la tanto attesa cartolina del 14; spero che la sofferenza agli occhi ti sia passata del tutto. Rinnovo gli auguri per il tuo onomastico. Nulla mi dici della Postilla di S.S. l ? Ripiglio la conversazione sulla casistica. Non nego che ci sia chi voglia estendere l'uso della parola casistica fino agli apostoli; e perché no fino agli ebrei? e non ci fu una etica pratica veramente tale, presso Greci e Romani? Come vedi, si vuole annegare il fenomeno storico nella tesi etica. Ma il fatto non si può distruggere; la storia è quella che è; la parola casistica nacque nel sec. XVII e indicò quello che indicò: le lotte pro o contro furono indice di un dissenso violento: il che vuol dire che qualche cosa di nuovo veniva introdotto nella tradizione moralistica. Tutto ciò non solo non vieta, ma implica che molto del passato vi si conservava. Rimontare questo passato fino a S. Raimondo di Peiiafort è un errore; egli fu più che altro un canonista e la tradizione dei canonisti del Medioevo era diversa da quella dei moralisti scolastici. I1 vero sistematizzatore della Teologia morale fu S. Antonino Vescovo di Firenze (sec. XV) *, e in lui si hanno traccie di quella che divenne casistica. Comunque sia, lo spirito e il'metodo della morale degli scolastici erano diversi da quelli dei Casisti del sec. XVI e XVII e seguenti. Questo deve essere il punto di partenza. A ogni modo, libero tu di LETTERA 810. 1. Cfr. lettera 719 nota e dr. inoltre S. S., Il relativo in funzione di Assoluto, in « Rivista di autoformazione», luglio-agosto 1930, p. 240. 2. S. Antonino (1389-1459), arcivescovo di Firenze, domenicano. Le sue opere più importanti a cui Sturzo allude e chi: ebbero vastissima infiuenza nel '600, sono la Summa moralis, pubblicata nel 1477 e le Chronicae, composta fra il 1440 e il 1459 e pubblicata nel 1484.
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retrodatare la casistica fino agli apostoli, e di attribuirle il significato generico di morale cristiana applicata. Io nella discussione che faremo, terrò sempre il significato specifico di metodo - storico - speciale di morale applicata. Se finalmente ci accorderemo in ciò come mezzo termine, allora potremo affrontare l'esame di « quali gli elementi discutibili ed eliminabili oggi dal metodo che si appella casistica ». Siamo d'accordo almeno su questo punto? Spero di sì. Sto bene. Un abbraccio di cuore. Da otto giorni non ho notizie di Nelina. Tuo Luigi
Piazza Armerina, 21 gennaio 1931
Carissimo fratello, ti ringrazio vivamente dei fraterni affettuosi auguri. Circa le sintesi artificiali niente accordo. Tu non le devi guardare nell'aspetto soggettivo del pensiero, dove tutto è sintesi vera, ma nell'aspetto oggettivo. Esempio. Io penso il Mosè della storia e il Mosè dell'arte. I1 primo ha doppia vita: nella realtà e nel pensiero; il secondo invece vive solo nel pensiero. E noi distinguiamo sempre, pensando, tra naturale e artificiale. O r l'artificiale, come oggetto, non è vera sintesi, perché non ha un principio interno attivo che lo faccia autonomo. Esso dipende talmente dall'uomo, che, senza di lui, è come se non fosse. Solo le sintesi naturali sono autonome. E si reggono e muovono, ci sia chi le conosce o non ci sia. Esempio d'altro aspetto. La conoscenza come atto simultaneo si spiega, perché nasce sintesi. La conoscenza successiva e poi unita per applicazione del concetto alla sensazione, non si spiega, perché resta non sintesi, ma artificialità. Passo alla casistica. I1 Sismondi nella Storia dei comuni italiani nel medio-evo ', dice che la chiesa sostituì alla filosofia morale la casistica. Lo stesso dice Ruffini in un recentissimo e importantissimo lavoro sul giansenismo 2. E questo è il concetto LETTERA 811. 1. Cfr. J. C.L. de Sismondi (1773-1842), storico, economista svizzero, dal titolo Storia delle repubbliche italiane nei secoli di mezzo, Elvetica, Catalogo, 1831-32, composta fra il 1807 e il 1808. 2. F. RUFFINI,La morale dei Giansenisti, Reale Accademia deiie scienze, Te rino 1927. Francesco Ruffini (1863-1934), giurista, professore di diritto ecclesiasu-
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giusto, come storia. Errato però come valutazione. I1 caso, per me, è l'individuale che dà luogo alla filosofia. La filosofia parte (analiticamente) dal particolare. Sinteticamente è simultaneità dell'individuale e dell'universale. La casistica dunque è come un aspetto della filosofia morale. Solo si può criticare e respingere la casistica viziosa, per esempio quella del casista Escobar 3. Sto bene. Lavoro. Abbracci. t Mario
[London, Paddington], 23 gennaio 1931
Carissimo fratello, ricevo la tua del 1811 e rispondo subito. Ti prego di farmi rimandare la postilla di S.S. In merito non mi dici nulla. Attendo ancora i numeri dell'« Autoformazione che ti ho richiesti. Sto bene. Torno al problema ... della Risoluzione! Non arrivo a intendere la ragione della quasi-reciproca incomprensione di quel che ci scriviamo. Io ti ho sempre parlato di « prevalente teoretico e prevalente pratico » e ti ho scritto che se uso tout court teoretico e pratico vuol dire sempre: « prevalente ». Tu mi rispondi: « È errore dire che il teoretico si risolve in pratico ». Altro punto: tu scrivi: « Gli elementi delle sintesi sono da sé costanti immutabili ». In che senso? In senso astratto, cioè che un dato essere è sempre nei suoi individui un dato essere? Cioè negando così ogni evoluzione? Sarebbe una questione che non interessa la nostra discussione. Nel senso che ogni sintesi fisico-chimica resta sempre la stessa? Non sarebbe vero. Nel senso che ogni individuo sarebbe le stesse sintesi? Si negherebbe il processo. Ma tutto ciò è fuori dalla discussione. Noi parliamo del processo deil'attività umana che è pensiero e azione. Tu dici che tale processo è da sintesi a sintesi e siamo d'accorco a Pavia, Genova, Torino, senatore e ministro delia pubblica istruzione (1916), di ispirazione liberale e contrario al fascismo fu colui che pose le basi e sviluppò il diritto ecclesiastico, conmbuendo anche in modo rilevante alla sistemazione del diritto canonico. Autore di numerosi saggi sul giansenismo, raccolti poi nel volume, Studi sul giansenismo, Bari 1943. 3. Antonio de Escobar y Mendoza (1589-1669), teologo e moralista gesuita, scrisse il Liber theologiae moralis (Lione 1644).
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do; tu dici che è successione di atti, e siamo d'accordo; che questi atti si succedono col prevalere del teoretico sul pratico e vice versa, e siamo d'accordo. Sempre. ho inteso ed ho parlato di prevalente teor. o pratico. Ti fa, adunque, ombra la parola risolversi e preferisci le altre produrre, generare, succedersi? Non c'insisto; cioè io userei risolversi perché esprime meglio (figuratamente, come le altre) il mio pensiero, ma non è questa una questione di sostanza, ma solo di modo di esprimersi. Non ha importanza. L'importanza, secondo me, sta nel valore di reciproco influsso fra teoretico e pratico, cioè nel valore delle singole sintesi nelle quali si riflette l'esperienza che pensando e agendo si acquista ed è il senso di quel che ti ho scritto il 31/12. Un abbraccio, tuo Luigi
P. S. I1 processo non può essere per omogeneità, ma per eterogeneità. È fondamentale in natura. Sotto ogni riguardo anche da padre in figlio c'è eterogeneità non omogeneità (seculzdum quid), simiglianza non identità.
Piazza Armerina, 25 gennaio 1931
Carissimo fratello, io non ti scrissi che soffro agli occhi, ma che scrivere con poca luce mi fa soffrire. Cominciamo a non c'intendere anche nella cronaca. Perché? I1 libro di S. Raimondo di cui ti parlai è la Summa de Poenitentia et de matrimonio, pubblicata il 1235. Tratta dei peccati contro Dio, contro il prossimo e dei doveri e diritti degli ecclesiastici, e servì per molto tempo di base a libri simili. Come vedi siamo in piena casistica. I1 fatto del sec. XVI e seguenti ha carattere proprio, non in quanto crea la casistica, ma in quanto date correnti entrano in contrasto, e in quanto il contrasto è ampio e complesso e dilaga anche nel campo politico. I1 concetto proprio di casistica è il mio, ed è concetto d'ordine generale. I1 modo tuo di pensare la casistica è un modo estrinseco a questa come tale, cioè, è un voler risolvere un momento storico della casistica, nel concetto generale di questa. De Ruggiero parla del S. Agostino di Pincherle
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nella « Critica » l . Hai visto? Hai letto la postilla di Croce circa la filosofia dell'economia 2 ? Ha ragione. I o però imposterei il problema diversamente. Per me tutto è filosofia, anche le arti meccaniche (te ne scrissi), perché per far qualche cosa, anche le scarpe, occorrono categorie empiriche e logiche, cioè, teoreticità, cioè, filosofia. La filosofia da sé poi o specifica, è il discorrere degli elementi logici ed empirici, in quanto universali (i primi) e generali (i secondi), sempre in rapporto alla realtà concreta. Sto bene. Grazie di nuovo dei nuovi auguri. Tuo Mario
[ h n d o n , Paddington], 26 gennaio 1931
Carissimo fratello, m'interessa molto la questione delle sintesi d'arte, benché mi sembri una questione marginale. Io non comprendo la terminologia di sintesi perfette (le naturali) e sintesi imperfette (le artificiali). L'idea di perfezione è relativa ai tipi, e quindi il perfetto o l'imperfetto non possono essere che sullo stesso piano e non su due piani diversi. Nella tua cartolina del 21 non parli più di sintesi perfetta o imperfetta, ma di sintesi naturali o artificiali. Artificiale deriva da arte o da artificio? Per me deriva da arte ed ha più valore di quel che deriva da natura. Il gatto fa un gatto (più o meno perfetto) come forza deterministica; il pittore dipinge un gatto come espressione libera e di pensiero. Tutti e due vivono la loro vita, vita nel pensiero. I n sé stessi hanno le qualità naturali delle cose che sono. I o non solo non vi trovo differenza (dal punto di vista di sintesi) ma riconosco che le sintesi in tanto sono tali in quanto sono conoscibili e conosciute, non importa se dall'uomo, dall'angelo o da Dio. Anzi (indipendentemente dalla ipotesi che l'uomo ancora non LETTERA813. 1. Cfr. la recensione di G. DE RUGGIERO a A. PINCHERLE, S. Agostino di Ippona, cit., in « L a Critica », 20 gennaio 1931, p. 49. De Ruggiero, pur sollevando alcuni rilievi critici, mostra di apprezzare l'interpretazione di Pincherle secondo la quale le forze che più sono impegnate nelia crisi deilo spkito di S. Agostino sono quelie del pensiero. 2. B. CROCE,L'economia filosofata e attualiuata in «La Critica P, 20 gennaio 1931, p. 76. Neiia postilla il Croce critica l'identificazione fra filosofia ed economia affermata dall'u idealismo ». In particolare si critica i'iidistinzione fra la filosofia dell'economia e l'economia come scienza autonoma.
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sia al mondo) per Dio quel che non è, è come quel che è. Noi facciamo una analisi impura quando supponiamo l'esistenza delle cose senza l'uomo, perché noi stessi che supponiamo siamo li a negare col nostro stesso atto di pensiero un tale momento. È lo stesso quando noi vogliamo pensare Dio prima della creazione. Sono analisi a due piani. Tornando al tema noi come uomini, cause seconde, operiamo naturalmente sia quando da uomo nasce altro uomo, sia quando produciamo dei pensieri, sia quando creiamo opere d'arte, sia quando facciamo le cose più comuni di questo mondo come zappare o mangiare. La distinzione di sintesi naturali e artificiali è per lo meno artificiosa e solamente ad effetti pratici, ma dal punto di vista sintetico tutto è naturale sia il prodotto deterministico sia il prodotto libero. Sto bene, tuo Luigi H o scritto a Nelina per avere l'lliade di Monti e I'Odissea di Pindemonte, due buone edizioni che si debbono trovare fra i miei libri. L'lliade di Romagnoli è intollerabile l .
[London, Paddington], 27 gennaio 1931
Carissimo fratello, rispondo oggi alla parte della tua cartolina riguardo la casistica. Sismondi in materia ecclesiastica non è uno storico sicuro né sereno. Basta leggere gli scolastici per vedere come la filosofia morale era la base dell'etica cristiana del Medio Evo. Mi fa meraviglia Ruffini: desidero avere la sua opera sul Giansenismo, che m'interessa. Se per casistica s'intende solo la morale pratica in genere, uno dei filosofi morali che più influirono alla formazione dell'etica del Cristianesimo latino (Cicerone) fu ... un casista avanti lettera. Egli discute se un avvocato può difendere un cliente che è veramente reo, e se i rivenditori possono dire menzogne per piazzare la loro LETTERA 814. 1. O ~ R OIliade, , trad. it. di Ettore Romagnoli, Zanichelli, Bologna 1924.
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merce, ecc. Capisco e gli anticlericali che per colpire (a modo loro) la morale cristiana la chiamano casistica; e i cleriali che per difendere in tutto e per tutto la casistica dicono che è la morale cristiana. Se non si tiene fermo al valore speciale della casistica, si commette un errore storico e si giuoca sopra un equivoco e dai difensori e dagli avversari. In caso diverso, occorre dire che la casistica è in tutte le religioni e in tutte le etiche. Ti ho citato Cicerone: il Talmud è in sostanza una casistica legale e morale minuziosissima, più che quella cattolica. Vi è una casistica protestante molto interessante. E così via a tutto il legalismo liturgico dell'epoca precristiana; allo storicismo pratico, ecc. ecc. Io pertanto insisto a chiamare la casistica un metodo storico speciale di morale cattolica applicata cioè quella che va dal 1580 (data della prima apparizione della teoria del probabilismo) fino alla completa accettazione dell'equiprobabilismo ' alfonsiano (metà del sec. XIX). I1 lassismo e il rigorismo furono è vero, fenomeni speciali dell'apparizione e svolgimento della casistica; ma in tutte le morali e in tutte le fasi del Cristianesimo vi sono stati e lassismo e rigorismo nel seno dei vari metodi e delle varie fasi storiche dell'etica. Sto bene. Un abbraccio, tuo Luigi
LETTERA815. 1. Con equiprobabilismo si indica la dottrina teologica che mira a temperare il probabiismo secondo il quale la legge dubbia non obbliga. Per i'equiprobabiiismo la legge è dubbia solo se le opinioni contrastanti hanno la stessa probabilità ed inoltre mentre nel caso di dubbio sulla abrogazione di una legge, questa << possiede D, cioè prevale sulla libertà, solo nel caso in cui si dubita deli'esistenza della legge è la libertà a prevalere. Con il termine probabiliorismo si indica la dottrina teologica secondo la quale nel caso in cui vi sia dubbio sulla liceità di una azione, si sostiene che si debba seguire l'opinione favorevole alla libertà solo nel caso in cui questa è più probabile di quella che è favorevole alla legge. Questa dottrina si sviluppò a partire dalla metà del '600 al fine di arginare il lassismo. Con il probabilismo si intende la dottrina teologica che raggiunge una compiuta formulazione con il Gaetano Maria da Bergarno e il Suarez, per la quale si afferma come norma legittima di condotta una opinione probabile, quando ci si trovi in uno stato di incertezza.
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Piazza Armerina, 28 gennaio 1931
Carissimo fratello, la postilla ancora non è stata copiata e perciò io non I'ho letta. Abbiamo avuto un periodo di grande lavoro. Vincenzo è assente; accompagna Mons. Iacono a Riesi, Gela, Niscemi per la S. cresima; prima ha accompagnato Mons. Addeo a Enna e Villarosa. Questo lavoro lo dovevo far io in autunno; non potei per la stanchezza. Non I'ho fatto ora, per evitare una ricaduta. Scusami dunque. Ma ora comincio a entrare in un periodo più normale. Appena copiata, sarà restituita. I1 fascicolo supplemento della rivista è esaurito. Te ne mandai copia lo scorso anno. Manderò gli altri. I1 bosco non è sintesi vera, come non è il giardino. Sono collettività astratte. Circa il mutare, divenire, evolversi io ho detto che il mutamento avviene nelle combinazioni e per le combinazioni. Un fiore è quel fiore. Se si evolve, si evolve nel fiore figlio. In sé muta per dissoluzione o assimilazione. I1 che vuol dire che il passaggio o risoluzione dell'omogeneo nell'eterogeneo non si dà. Circa l'uomo, il teoretico è sempre teoretico, e non diventa mai pratico; il pratico è sempre pratico, e non diventa mai teoretico. Si evolve l'uno e I'altro, nel suo ordine e non fuori. Questa però è analisi. La sintesi è l'atto. L'atto non si risolve, ma è seguito da altri atti, in cui entrano nuovi elementi, ciascuno affettando il suo affine e non l'eterogeneo; il pensiero pensiero, la volontà volontà. Nessuna facoltà influisce sulle altre. Questo influsso fu affermato erroneamente da parecchi. Tutta la dinamica è nel soggetto, che è principio della sintesi ed è la sintesi; in esso è la danza dei simili e dei contrari. È chiaro? Se no, ci tornerò con più cura. Sto bene. Abbiamo la neve da due giorni. Ed è bella. Prega pel tuo t Mario
[London, Paddington], 29 gennaio 1931
Carissimo fratello, ricevo la tua del 25. In sostanza per te la casistica è la morale npplicata al caso. Tu così trasporti il significato di una parola par-
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ticolare, nata al principio del sec. XVII, a tutta la morale pratica di tutti i tempi; perché, come ti scrissi, questa è in tutte le religioni e in tutte le etiche. E aggiungo che ogni azione pratica, di qualsiasi genere, si risolve in un principio applicato al caso. Così il diritto che applicato forma la giurisprudenza, i principi delle arti che divengono applicazioni e così via. Non esiste azione particolare che non sia sotto vari aspetti etica applicata o diritto applicato o arte, economia, tecnica applicata, ecc. Che cosa voglio conchiudere? che non ci sono che due vie: o amplificare il significato della parola (specifica e storica) di casistica morale a tutte le etiche (casistica stoica, ebraica, indiana, cattolica, protestante, ortodossa, cinese, ecc.) ovvero mantenere il significato storico di determinato metodo d i morale cattolica applicata ( o pratica). Quando i farisei dicevano a Gesù Cristo se il sabato non si poteva curare e questi rispondeva se il sabato si poteva togliere l'asino da un fosso, ecc. facevano della morale applicata (secondo te casistica). Lo stesso facevano i Maccabei quando decidevano di combattere il sabato se attaccati. Ciò posto, tu scegli il primo significato generale, io il secondo speciale. E siccome la discussione, la critica e le rettifiche di metodo, che io penso, valgono per la casistica nel senso secondo speciale, cioè per quel che della casistica dei secoli XVII-XIX è rimasto oggi, e non per il primo significato (che io non ho mai pensato di sopprimere l'applicazione dei principi al caso) così credo che potremo procedere oltre. Circa S. Raimondo mantengo il mio punto di vista, che s'inquadra in quanto ti ho scritto su questo argomento. H o letto la recensione di De Ruggiero su S. Agostino di Pincherle e la trovo ragionevole per quanto riguarda la omissione delle teorie filosofiche l . Sto bene. Un abbraccio, tuo Luigi
Piazza Annerina, 31 gennaio 1931
Carissimo fratello, la tua del 26 divaga, sottilizza, senza risolvere il problema anzi arruffandolo. I o chiamo sintesi l'unità attiva per interna attività, LETTERA817. 1. Cfr. lettera 813, nota 1.
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oggettivamente, cioè, da sé, per natura. Tutto ciò che tale non è taglio corto - e non lo chiamo sintesi, ma con altro nome qualunque. Altro passo o taglio. Nego che tutto ciò che l'uomo pensa (conosce) sia sintesi. Sintesi è l'uomo pensante: quel che egli pensa o conosce, può essere e può non esser sintesi, secondo che conosce unità attive internamente o altre unità. Qui pongo il termine della discussione. E perciò, per me, l'unità dell'atto conoscitivo, come la pone Aristotele,.non è sintesi, perché è una somma di due elementi supposti due sintesi, la sensazione e l'intellezione, perché le sintesi non si possono sommare, e solo è possibile, ed è, l'azione di una sintesi su d'un'altra, e la risoluzione, ecc. cose che tu ammetti. Per la stessa ragione nego l'idealismo. Esso pone tutto come spirito, cioè, come sintesi. E pone tutto come unico soggetto, come suo farsi. Ma il soggetto è sintesi e conosce, (crea) sintesi e nonsintesi. Se crea, perché produce anche le non-sintesi? Perché non risolve queste in sintesi? Che valore ha questa impotenza? Ha certo il valore che fuori del dualismo di soggetto e oggetto, l'uomo non ha senso. Sto bene. Ti ho fatto spedire il « Ragguaglio ». Vedi l'articolo di Levasti. Prega per me. Tuo aff.mo fratello Mario
t
[London, Paddingtonl, 2 febbraio 1931
Carissimo fratello, ricevo oggi la tua del 28 scorso e rispondo subito. Mi sembra da mantenersi nel suo carattere scientifico quel che riguarda la formazione e trasformazione della materia. Le conquiste scientifiche non sono mai definitive però sono conquiste. I filosofi ne fanno a meno (fino a un certo punto) e s i guardano dal poggiare la loro metafisica cosmologica su dati scientifici che possono essere smentiti da ulteriori conquiste. Come dire che in natura non si dà passaggio dall'omogeneo all'eterogeneo e viceversa? E come concepire sintesi senza risoluzioni dall'eterogeneo all'omogeneo? Ma che cosa sono omogeneo ed eterogeneo nella teoria degli elettroni se non diversità di combinazioni di numeri o quantità o energie? A me sembra che tu tenti di portare la tua teoria gnoseologica nella cc-
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smologia su criteri di semplici analogie. Credo sia meglio mantenere ciascuno nel proprio rango il mondo della conoscenza e il mondo fisico. Restando al mondo della conoscenza tu ammetti la sintesi di teoretico e pratico, e non ammetti influsso fra intelletto e volontà o meglio fra atto intellettivo e atto volitivo (come specifici o prevalenti). Perché? È vero che l'atto volitivo per influire sull'intelletto deve rendersi oggetto di intellezione, e l'atto intellettivo per influire sulla volontà deve rendersi oggetto di appetizione. Ma queste trasformazioni (o risoluzioni) non possono negarsi. A ogni modo, a me sembra che ci siam troppo discostati dal punto centrale del tuo A4onologo (il criterio di verità). La presente questione non mi sembra così interessante come tutta la precedente discussione (che a me è giovata tanto) onde la lascerei lì, come delle cose la cui risoluzione non influisce sul tema. Sto bene. Un abbraccio, tuo Luigi Forse non noti tu quelle cose su cui sono con te d'accordo? Te ne ho scritto più volte ed è queI che mi giova nella nostra discussione.
Piazza Armerina, 3 febbraio 1931
Carissimo fratello, sicché la conclusione è che cosa debba intendersi, quando semplicemente si dice « casistica ». Secondo me, e secondo autori autorevolissimi, si deve intendere la casistica simpliciter, cioè, nel senso più vasto. Per indicare una casistica speciale, occorre aggiungere la specificazione. Così nacque la nostra discussione, e cosi si chiude. Nacque quando io pubblicai una postilla sul Croce, che in « Critica » aveva negato valore etico alla casistica '. Ed egli parlava certaDal libro dei pensieri, in « La Critica », 1928, LETTERA 820. 1. Cfr. B. CROCE, fasc. V. « State in guardia - aveva scritto Croce rivolgendosi agli uomini delle religioni - nella vostra credenza si annida il rischio della casistica morale, che può congiungersi ai moti meno nobili deli'anima ». Mario Stuno rispose a Croce con la postilla, La casiEtica, comparsa in u Rivista di autoformazione n, maggi~agosto 1928, pp. 195-198. u La casistica che si scrive - sostenne il vescovo di Piazza Atmerina non deve considerarsi come l'ultima parola, la parola che surroga le situazioni di
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mente d'ogni casistica, perché ne fissava il senso in ciò, che l'intervento del casista lo reputava come esterno alla coscienza e come esterna reputava la norma. Fu ripresa quando io ti parlai della recensione che lo stesso Croce faceva di un libro su S. Alfonso. La recensione (anno scorso pag. 360) guarda la casistica allo stesso modo di prima 2. Ed io discutevo Croce con i criteri generali, proprio perché generale era l'impostazione della critica. Tu invece tutte le due volte, hai dissentito, volendo che casistica fosse presa nel senso limitato ai secoli XVII-XIX. Ciò premesso, entro nel merito delle tue ultime cartoline. La casistica che nacque al 1580 non è, come dice Dublanchy, in Dictionnaire de Théologie Catholique che la vecchia casistica trattata come scienza 3. Io non accetto intera la parola scienza, come non accetto intera la parola metodo, da te preferita. I o preferisco la parola sistemazione e sistema. Prima di questo tempo la casistica si faceva con meno divisioni sistematiche; poi si ridusse a un dato sistema che non poteva essere che quello. Esso in germe è in S. Tommaso, dove dice: « nemo ligatur per praeceptum, nisi mediante scientia illius praecepti ». Quando dunque la legge è dubbia, cosa si fa? Cosa fecero gli uomini di tutti i tempi? Non vedi che la ragione è universale? Sto bene. Mario
[London, Paddington], 4 febbraio 1931
Carissimo fratello, per potere comprendere bene la tua teoria delle sintesi oggettive - cioè del reale concreto - dovrei.conoscere il tuo sistema cofatto; ma semplicemente come limitazione dei problemi generali; fatta con criteri scientifici, e quindi atta a fat conoscere un dato aspetto del problema. I1 che significa che deve considerarsi come una specie di metodologia della pratica. E deve anche badarsi a questo, che la casistica non è un fatto che nella storia possa mancare, perché scaturisce dalle stesse esigenze della storia e quindi nasce con la stessa stona. Si prenda, per esempio, la forma più semplice della società, la famiglia. Il padre che ne regola le sorti, agisce; in quanto agisce risolve dati problemi pratia, le quali risoluzioni restano in seno alla famiglia come norme deiie azioni future E...]. Così si forma la tradizione; e la tradizione è casistica N. 2. Cfr. lettera 703,nota 1. 3. Cfr. lettera 807, nota 1.
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smologico che ti porta a distinguere sintesi da non sintesi, sintesi perfette e imperfette, ecc. Inoltre l'uso dei termini che io fo non combacia col tuo; e tu hai piena ragione di dirmi che divago e sottilizzo. La verità è che non ho bene afferrato il tuo concetto di sintesi reali. Quello che mi scrivi nella cartolina del 31 scorso (sintesi è l'unità attiva per interna attività) non mi soddisfa; né io vedo chiaro a quale fine ciò ti serve nella ricerca del criterio di verità, che fu il punto di partenza del tuo Monologo. Invero tu mi scrivi che « sintesi è l'uomo pensante » ed è chiaro. Soggiungi: « quel che egli pensa o conosce può essere e può non essere sintesi ». Qui, credo che tu intenda dire sintesi oggettive; cioè se conosce albero conosce una sintesi, se conosce la Trasfigurazione di Raffaello o il Magnificat di Bach conosce una non-sintesi. Che cosa ciò vale agli effetti della verità e qualità della tua conoscenza? Non arrivo a vederlo. Io forse per la distanza delle cartoline l'una dall'altra, ho perduto il filo del tuo Monologo. Penso perciò di rileggermi tutte le cartoline in fila da allora ad oggi su questo tema, un giorno che avrò tempo e la mia mente è libera dalle mie controsservazioni. Così mi renderò meglio conto delle tue idee. Per ora sarà meglio che torniamo a parlare di casistica, che è un tema che da parecchi tempi m'interessa molto. Ma di questo in altra cartolina. Sto bene. Godo che tu stai bene e andrai a casa. Un abbraccio di cuore. Luigi
Piazza Armerina, 6 febbraio 1931
Carissimo fratello, rispondo alla tua del 2'corrente ricevuta a momenti. Io nego (l'ho negato sin dal giorno che cominciai a scrivere di queste cose) l'influsso di facoltà su facoltà, perché lo reputo impossibile. Ogni facoltà è un elemento rapportuale specifico. Se ciò non fosse, noi nemmeno scopriremmo le facoltà, anzi non ci sarebbero. L'elemento rapportuale specifico del conoscere è l'intelletto; l'elemento, ecc. del volere è la volontà. Chi ha rapporti col primo, tranne che il suo oggetto? E così della seconda. Se tu poni l'influsso della volontà sull'intelletto, poni la volontà come oggetto dell'intelletto. Que-
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sta però è analisi. Le facoltà non sono che il soggetto unità-molteplicità-rapportualità. Il soggetto è la sintesi; esso in sé unifica le azioni molteplici degli oggetti, e in esso si spiega lo svolgimento sintetico dell'atto. Quando la volontà s'intensifica, anche l'intelletto vibra in armonia con quella. Chi ha influito sull'intelletto? La volontà? No. L'influsso non è avvenuto direttamente sull'intelletto, ma sul soggetto, per l'azione e reazione del quale tutta la sintesi si è dinamizzata: l'occhio arde, il cuore accelera i suoi battiti, l'intelletto è attento e perspicuo, la mano celere, ecc. È la volontà, che come una speciale e individuale entità ha destato tutto questo fervore? No. È il fervore che si è acceso nella sintesi, che è derivato dall'aspetto pratico della medesima, che si è mostrata nella stessa sintesi, nella sua attività. A te sembra di poca importanza questo problema. A me è sembrato sempre di importanza principale. Sto bene. Abbracci. Tuo t Mario
[London, Paddingtonl , 7 febbraio 1931
Carissimo fratello, rispondo alla tua del 3 c.m. Non ritorno più a discutere sul significato storico o convenzionale della parola casistica, né intendo riferirmi alle critiche avversarie di Croce o di altri. I o ti scriverò le mie critiche e i miei dubbi sulla casistica di oggi, metodo o sistema che sia; e ciò nel desiderio di essere illuminato sui miei dubbi e di essere corretto nei miei sbagli. Proprio per mio uso e consumo. La mia prima critica è al metodo di quella che io chiamo casistica astrattistica; cioè presentare un caso oggettivo, denudato di tutte le concretizzazioni individuali e le situazioni di coscienza per arrivare a precisare una norma per quanto possibile fissa; per poi prendere questa norma e riapplicarla ai singoli e molteplici casi particolari. Fino a che questo metodo si usa per pura ginnastica di scuola, per fare che gli alunni si abituino a scoprire, nell'intrigo dei casi, i principi-guida, può essere utile, come ogni ginnastica. Ma si dovrebbe far capire che è ginnastica. Il caso concreto, e non l'astratto presenta tali condizioni interiori ed esteriori che non può essere disintegrato nei suoi elementi senza alterarlo e come valore
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psicologico e come valore etico. 11 suddetto metodo porta, secondo me, a due conseguenze dannose: primo a generalizzare le norme pratiche fuori di ogni relatività concreta, ovvero a moltiplicarle sottilizzando nelle distinzioni astrattistiche per comprendervi i casi concreti possibili. Secondo a esteriorizzare la norma etica e quindi darvi carattere legalistico (fariseismo) nel senso che non è la norma che facendosi interiore e concreta nella coscienza diviene la propria coscienza etica, ma che l'eticità consista nell'adeguazione della coscienza alla norma astratta, cioè in una sua esteriorizzazione e legalizzazione. Continuerò in altra cartolina. Ho letto l'articolo di Levasti su « I1 Ragguaglio ». In genere è buono e interessante. Non credo che abbia ben compreso il valore della tua intuizione; egli dica che l'elemento razionale entra a forza nell'ingranaggio dell'intuizione. Forse ha letto in fretta. Sto bene. Un abbraccio. Luigi
Piazza Armerina, 9 febbraio 1931
Carissimo fratello, cercare in un sistema cosmologico la ragione del mio concetto della sintesi sarebbe una nuova divagazione. Tutto in natura è dinamico (è vivo, tu una volta mi scrivesti e dicesti bene, perché vita è anche l'attività dell'atomo, benché non sia che vita meccanica e non vegetale né animale); ma il dinamismo della natura tu non lo trovi rappresentato concretamente che nell'unità, cioè, nell'individuo, cioè, nella sintesi. La sintesi naturale è autonoma, nel senso che ha in sé quanto è necessario per le sue funzioni. La sintesi prodotta dall'uomo (la macchina per esempio) non è autonoma, perché senza l'azione continua dell'uomo, non funziona. Tu mi scrivi: a che giovano queste ricerche? Anche questa è una divagazione. Tu non ignori che una delle basi della filosofia moderna è il concetto di sintesi a priori. Approfondire questo concetto, correggerlo, inverarlo per me è quanto di più urgente interessi la filosofia nostra. Ed io son arrivato al punto che sono arrivato, per Io sforzo di pensiero a cui mi hanno costretto le tue divagazioni, alle quali perciò son tanto grato. Ed ecco le mie ultime conquiste. (Son vera-
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mente tali?) Per me non c'è che la sola sintesi naturale, perché essa sola è da sé attiva ed autonoma. Sintesi dunque per me (parlando di filosofia) è l'uomo, soggetto pensante ed agente, in quanto pensa ed agisce. I1 pensiero e l'azione son funzioni e non son sintesi vere. Se fossero sintesi vere, sarebbero autonomi, cioè sarebbero veri individui, con sussistenza indipendente dal pensante. Le opere che produce l'uomo (la casa, la statua, ecc.) sono produzioni, cose prodotte e nemmeno esse sono sintesi perché non sono autonome, cioè, non son quelle che sono senza del pensiero tsicl che così le pensa e senza l'azione che le mantiene o muove. I1 seguito alla prossima. Tu ora non aver fretta a rispondermi e non divagare. Sto bene. E ti abbraccio. Tuo Mario
[london, Paddington], 10 febbraio 1931
Carissimo fratello, riconosco di avere usato un fraseggio inesatto dove scrissi « influsso fra intelletto e volontà » ma mi corressi subito, dicendo « o meglio ira atto intellettivo e volitivo » e poi soggiunsi il resto che tu hai letto nella mia del 2 c.m. I1 suddetto passaggio sembra separatista, ma la mia intenzione non lo è affatto: io ammetto la sintesi, l'influsso nelle sintesi e le risoluzioni sintetiche. Perciò nelle altre cartoline ti ho parlato di prevalente teorico e di prevalente pratico. Insomma io costato l'influsso, tu lo chiarisci nella sintesi di soggetto. Tutta la mia discussione è stata sull'influsso, sulla sua realtà e sulla sua risoluzione. Non ho mai negato né nego la concezione sintetista, non ostante che possa usare un fraseggio non perfettamente esatto. Tu dubiti del mio sintetismo ed ecco perché sei cosi rigoroso censore delle mie frasi. Ma se tu pensassi che io sono già da parecchio tempo neo-sintetista, saresti più indulgente al mio fraseggio di calamo czlrrenti e considereresti con minore diffidenza le mie osservazioni. Comunque ciò, io sono di accordo in tutto con la tua del 6 c.m. Ma questa non è affatto in contraddizione con la mia concezione sulla teoreticità e praticità quale riassunta nelle mie due cartoline del 31-12-30. Tu mi hai sempre contraddetto sulla idea di risolurione, credendo che io ammettessi un passaggio reale
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da sintesi ad analisi e viceversa, ed io ti risposi già che per me le risoluzioni sono da sintesi a sintesi. Tu replicasti che la parola risolversi è impropria e occorre dire produrre o generare. Ed io a insistere che tutte queste parole sono figurative e non proprie, ecc. Come vedi, la sintesi non era messa da me in questione né prima né dopo. Ecco perché io scrivevo che questa discussione s d e sintesi (oggettive e soggettive - ideale e reale) era per me (ed è) chiusa. Leggi pag. 49-92 de « I1 Ragguaglio » e vedi se puoi mandare i tuoi sonetti a Guido Grazzini di Pistoia. Sto bene. Un abbraccio, tuo Luigi Non ho ricevuto i fascicoli arretrati dellY«Autoformazione D.
CLondon, Paddington], 11 febbraio 1931
Carissimo fratello, fo seguito alla mia del 7 c.m. Altro tipo di casistica astrattistica è quella che fa a meno di ogni concretizzazione storica di casi, cioè di quelle condizioni sociali che creano nuovi problemi o ai vecchi problemi dànno un aspetto del tutto nuovo. Secondo me, la casistica è, in genere e quasi per sua natura, a-storica, perché tende a generalizzare riducendo il caso a tipi, e i tipi a norme astratte. L'elemento storico del caso è di sua natura un elemento formatosi nella coscienza collettiva. La casistica tende a risolvere il dato della coscienza collettiva in dato della coscienza individuale. Ora quel che è collettivo si proietta nell'individuo come collettivo e non come individuale; cioè con quelle date condizioni di solidarietà etica e di ripercussioni extra-etiche del caso collettivo. I1 passaggio dall'ambito collettivo alla coscienza individuale è non per disintegrazione ma per integrazione. I1 casista invece disintegra, astrae. Ti scrissi, sotto questo punto di vista, dei due casi d'Irlanda e di quello suila guerra giusta. Ma forse non mi spiegai bene e quindi tu mi scrivesti che ben si riducono a casi particolari. Non importa se ci sono individui che domandano consigli e guida in quei casi, è ciò un dato insignificante e fuori tema; quel che interessa è che i casi-
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sti impostino tali problemi coi termini concreti posti dalla coscienza collettiva e dalle condizioni storiche. Ma allora essi non potranno fare dell'astrattismo. Tutto ciò porta a un moderato relativismo che in etica è un problema interessante, che tu hai visto ed hai toccato coi tuoi scritti. Sto bene. Conosci il S. Anselmo di Levasti '? Me ne han detto bene, ed ora ne vedo un cenno sul « Ragguaglio ». Va. le la pena leggerlo? Un abbraccio, tuo Luigi Quando andrai a Caltagirone?
Piazza Armerina, 13 febbraio 1931
Carissimo fratello, la tua del 7 ripete circa la casistica cose già da te scritte. Ti prego, per non vagare tra le nuvole, d'indicarmi qualche teologo che tratti la casistica a quel modo. Io non ne conosco, e penso che non ce ne devono essere, perché quel modo è ripugnante. O r chi dice casistica, certo non può riferirsi alla maniera ripugnante. Se poi ciò vuole, deve farlo con parole specifiche. I teologi che conosco io, pongono il caso, cercano il principio o i principi, e, alla luce di questi giudicano di quello. Quando errano, vuol dire che non vedono bene il rapporto. Esempio. S. Alfonso si ripropone il famoso caso di colui che danneggia la casa dell'amico, credendo che fosse quella del nemico. È tenuto a rifare i danni? S. Alfonso premette che alla restituzione è tenuto l'autore del danno, purché egli sia causa, non materiale, ma formale. Soggiunge che quel tale fu causa materiale del danno dell'amico, perché egli mirava a quello del nemico. E così lo scusa dalla restituzione. Erra certamente, ma non per la via da te indicata e descritta, ma per la via maestra, nel senso che egli cerca il principio, non altrimenti di come lo cerca il filosofo. Erra nella ricerca del principio specifico, e non erra per elevare a principio il caso e per applicare al caso questo principio, che sarebbe il circolo da te a ragione deplorato. La casistica poi, LETTERA826. 1. Cfr. lettera 119, nota 4.
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come ti accennai in una delle mie ultime cartoline, essentialiter fu sempre la stessa, perché nasce sempre circa il caso dubbio, e di dubbi nel mondo ce ne sono stati sempre. Assume una fisionomia tipica col cristianesimo, per via del sacramento della penitenza. Per questa ragione io non mi occupo della casistica antecedente. Sto bene. Abbiamo gran freddo. Ieri con la radio abbiamo udito il discorso latino del Papa. Prega per me. Tuo f- Mario
[London, Paddington], 14 febbraio 1931
Carissimo fratello, ricevo la tua del 9 c.m. sulla sintesi, e non ti rispondo perché attendo il seguito e anche perché non ho compreso bene il fondo del tuo ragionamento. Continuo sulla Casistica. Uno dei punti critici è la questione del probabilismo. Nella pratica morale bisogna superare il dubbio fra obligazione e non obligazione. Questo dubbio procede da motivi razionali pro e contro. I1 sistema probabiiistico trasporta i motivi del dubbio dal campo della teoreticità a quello della praticità, facendo intervenire il medium dell'autorità dei teologi. Quando chi dubita non ha un'idea propria si affida a un consigliere, per lui non ha importanza il probabilismo. Ma se chi dubita è lui con le sue conoscenze a dover decidere, ovvero è richiesto di consiglio, allora potrà sorgere il conflitto fra il proprio modo di vedere e quello dei teologi, cioè fra il ragionamento e l'autorità. Giorni fa leggevo in una rivista che Bucceroni l insisteva che si dovesse dare più peso alle ragioni della teoria probabile, che non d'autorità dell'Autore. Ed avrebbe ragione, ma in questo modo il probabilismo cadrebbe. La probabilità è un apprezzamento pratico, non teorico; e non deriva direttamente dalla ragionevolezza di una opinione. Le due cose possono coincidere e possono non coincidere. S. Alfonso (con moltissimi teologi) ritiene che la guerra LETTERA 828. 1. P. Gennaio Bucceroni (1841-1918), gesuita, professore di teologia m o d e ali'Università Gregoriana. Si ricordino le sue Institutiones theologiae mw&, Roma 1892 (6a ed. ivi, 1915), su cui anche il giovane Stuno studib, quando era studente alla Gregoriana.
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può essere giusta dalle due parti, contro l'opinione di S. Agostino, di S. Tomaso e di tutto il Medio Evo. Questa ultima è la sola teoria logica, mentre quella di S. Alfonso è illogica. Pure fu ritenuta probabile ed è la teoria corrente dal sec. XVII in poi. Io sono convinto che ha ragione S. Agostino, ecc. Se io avessi responsabilità pubbliche potrei agire seguendo l'opinione di S. Alfonso pur contro lo stato d'animo della mia convinzione? Siccome ci sarebbero di mezzo interessi di terzi non potrei imporre una teoria logica e dovrei seguire la illogica. Così va impostato il conflitto come è sentito da molti oggi riguardo il sistema probabilistico. Sto bene, un abbraccio, tuo Luigi
Piazza Armerina, 16 febbraio 1931
Carissimo fratello, ho sul tavolino le tue del 10 e dell'll. Delle due a me interessa più la prima, a te la seconda. Comincio da questa. In quel che sulla casistica mi hai scritto (ripetendo) ora, io debbo vedere la casistica viziosa. Ecco l'equivoco che ci ha separati. Io invece ho sempre cercato l'aspetto sano. Ciò premesso (e di ciò non discuto, perché è chiaro), io osservo che il vizio della casistica-astrattistica non consiste tutto in ciò che tu dici (e dici quasi sempre bene) ma (pare a me) nel confondere insieme il fatto sociale (collettivo) col fatto individuale. Voglio dire: tu supponi che la confusione avvenga sempre e caratterizzi questo aspetto della casistica-viziosa. Io, prescindendo dal fatto vizioso, quando questo c'è, dico (seguendoti nella sfera dei principii), loche in etica noi credenti non possiamo prescindere da principii acquisiti; 2" che, in armonia con questi principii, possiamo e dobbiamo adoperare il relativismo storico (concreto) temperato. Così il caso d'Irlanda l dello sciopero del non nutrirsi e così morire, non si può separare dalla nozione del suicidio, che per noi è incondizionata, e quindi la coscienza collettiva, se pure c'è e in modo concorde, non si può considerare che come un caso di errore-buona fede. Circa il 2" aspetto io credo che LETTERA 829. 1. Cfr. lettera 778, nota 2.
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si debbano considerare come concreti e reali, tanto il caso noto in una coscienza singola, quanto quello formatosi nella coscienza sociale. Ed ammetto anche lo studio del caso che prescinda dalla realtà d'oggi, e cerca la possibilità d'oggi e di domani. Lo ammetto come guida pel tempo che il caso reale sorgerà. Ammetto però che quando il caso è sorto, si badi alle sue caratteristiche reali, e non si faccia una pura applicazione della soluzione già elaborata. Così pare a me che procedano i libri che io conosco. E in tali termini e con tali riserve accetto le tue critiche. Sto bene. Tuo f. Mario
[London, Paddington], 17 febbraio 1931
Carissimo fratello, né ieri né oggi mi è arrivata la tua solita cartolina. Forse sarà dispersione postale. Ritorno su quanto ti ho scritto sabato scorso, desiderando trovare una formulazione più esatta e chiara. Ho detto che il giudizio di probabilità è un giudizio pratico e non teorico, sia perché i motivi che inducono a ritenere una opinione come probabile non possono essere che pratici, sia perché lo scopo del giudizio di probabilità è anch'esso esclusivamente pratico. I1 dato teorico è solo un presupposto, su cui si viene a costruire il sistema pratico di probabilità. Quando giuoca questo sistema come tale? Non quando l'opinione teorica dell'agente e il giudizio di probabilità coincidono; non quando l'agente non ha un modo di vedere proprio in confronto al giudizio di probabilità, perché allora in lui manca il fondamento del dubbio positivo; non quando l'agente ha una sua opinione che è probabile in contrasto ad un'altra della stessa probabilità, si che egli può ritenere la sua; ma solo quando egli deve rigettare la sua della quale è convinto ed accettare una diversa che è ritenuta la probabile, ma della quale egli non è convinto. In questo solo caso il sistema probabiiistico ha il suo valore. O meglio, in questo solo caso si forma il contrasto fra una ragione teorica (la opinione propria) e la ragione pratica (il dovere di seguire l'opinione ~robabile).Questo è pertanto il ccso in cui si possono applicare le critiche al sistema, quando si dice che il probabilismo esteriorizza
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i valori di coscienza, e altera il fondamento della moralità. L'etica è la razionalità dell'atto pratico; il probabilismo fa rinunziare alla razionalità per una sostituzione pratica, cioè la probabilità. È vera questa critica? fino a qual p u ~ t o ?Per oggi mi arresto qui. Manca lo spazio. Non ho ancora ricevuto i fascicoli dell'« Autoformazione che ti ho chiesti, né l'odissea che Nelina mi dice che mi manderà su. Sto bene. Nevica. Chi predica la quaresima? Un abbraccio, tiio Luigi
[London, Paddington], 19 febbraio 1931
Carissimo fratello, ti prego di avere pazienza con me. Continuo la cartolina del 17. La probabilità di un'opinione è fondata sull'autorità del teologo che la ritiene tale. E fino a che io posso farmi una coscienza riflessa, cioè che io non debbo presumere delle mie conoscenze, che io posso sbagliare più del teologo qualificato, che in ogni caso l'errare con lui non sarebbe una colpa e simili idee riflesse, che producono uno stato di coscienza di tranquillità se non di convinzione, io credo che si possa rispondere ai critici che questo stato d'animo in certo modo interiorizza l'atto morale. (Però i critici dicono che ciò alla lunga può portare alla passività morale). Ma se tutti questi ragionamenti confortatori non arrivano a produrre la convinzione, e il valore della propria opinione si leva contro come un imperativo di coscienza, allora il sistema non si deve potere applicare, e la propria coscienza la vince. Ti ho scritto nella mia del 14 sulla opinione che la guerra possa essere giusta dai due lati. Questa è probabile perché ha l'autorità d'una infinità di teologi; ma chi pensa come me e ne è come me ultra-convinto non può né deve seguirla. Due parole in risposta alla tua del 13 arrivatami ieri. I1 mio inciso « per precisare una norma fissa e riapplicarla in casi simili » ti ha dato l'irnpressione di una critica e non è tale ma una costatazione; la critica verte solo sul tipo astrattistico e non sulla precisazione della norma. Questo fatto avviene in tutti i metodi empirici e la casistica è un metodo empirico. Ogni arte e ogni scienza astrae dal dato di fatto
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(che in etica è il caso) un principio o una norma, o se già è astratto la riapplica. Forse che la morale è a priori? Essa è a posteriori; e i principi già conosciuti derivano dai casi. Io non ci vedo nulla di ripugnante e quindi non capisco la tua osservazione. Del resto la mia critica non verte su ciò. Forse tu hai compreso che il caso sia eleuato a principio, così tu scrivi, ma io ti ho scritto per precisare una norma, cioè astrarla il che è diverso. Sto bene. Prega per me. Un abbraccio di cuore, tuo Luigi
Piazza Armerina, 19 febbraio 1931
Carissimo fratello, la tua del 14 continua ad occuparsi di casistica, e di tale argomento si occupa la mia. Anche qui io ti rispondo affermando che l'abuso dell'autorità può esser un vizio della casistica, ma non intrinseco, sibbene estrinseco, accidentale. La nostra discussione verte sulla natura della casistica, e non sui suoi traviamenti passati o futuri. Per sé I'autorità non si oppone a ragionamento né a ragione; invece essa presuppone l'uno e le altre (le ragioni); giacché non s'invoca che I'autorità, cioè, il valore teologico che dà al teologo una indiscussa competenza. Nelle teologie che io conosco, ciò è avvertito espressamente; di maniera che, se ragioni chiare stanno contro I'autorità che sola fa presupporre ragioni, devono prevalere le ragioni chiare e non le presupposte. Che l'autorità implichi ragioni, si vede anche nel campo filosofico. Platone, per esempio, nel Fedone, volendo dimostrare l'immortalità dell'anima, comincia con recare I'autorità dei grandi poeti, come Omero, affermando che quelli ci videro meglio degli altri. Ed è cosi. I1 genio ci vede meglio degli altri. Quando qualcosa afferma, vuol dire che ha visto delle ragioni, cioè, della interna coerenza, benché poi non sia riuscito o non abbia badato a formularla in argomenti specifici. Infine noto che la nostra attuale discussione considera la-ragione del casismo, che è il dubbio, cioè, la mancanza di scienza certa. Ora il dubbio consente più risoluzioni probabili. E
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perciò non mi pare un paradosso dire che una guerra possa apparire giusta a tutte e due le parti. Sto bene. E ti abbraccio. Tuo Mario
P.S. Ti ho fatto spedire I'Odissea, i fascicoli arretrati, il Ruffini, il Levasti.
[London, Paddington], 20 febbraio 1931
Carissimo fratello, ricevo la tua del 16 e ti ringrazio. A proposito del caso da te citato nella cartolina del 13 e della soluzione di S. Alfonso, ritorno ad un mio vecchio pensiero. I teologi hanno piantato il loro de justitia (commutativa) sul diritto romano, svolgendolo e adattandolo; il loro frutto è l'attuale diritto civile. Questo però ha utilizzato o va utilizzando altri principi di giustizia con una larga legislazione (sempre in formazione) che altera o completa (secondo i casi) il diritto romano e la tradizione moralistica. Cosi, per esempio, l'idea di danno si è allargata nel dominio sociale, superando il rapporto stretto di responsabilità personale (vedi infortuni). E allora bisogna rivedere le nozioni astratte di diritto e risistemare i principi derivati. Questi reggono col sistema; variando il sistema debbono modificarsi; parlo di principi derivati e non di primi principi. L'idea di giustizia commutativa è un primo principio. I1 modo di attuarla è un sistema positivo, e può essere sistema primitivo orientale, ebraico, greco, romano, barbarico, cinese, indiano, moderno, ecc. La morale cristiana non crea, in materia, un proprio sistema assoluto, ma corregge, integra, interiorima i vari sistemi positivi, così essa è stata ed è assai più storica e storicizzata che non gli stessi teorici della morale. Circa il caso di Irlanda (di cui nella tua del 16) occorre tenere presente che i Vescovi consentirono la comunione frequente ai sostenitori dello sciopero della fame; e che al primo morto (il sindaco di Kock) fecero funerali solenni in cattedrale, con pubblica funzione come martire; tali funerali furono non solo in Irlanda, ma in Inghilterra, America e Australia. Ciò nel 1920. L'anno scorso, parlando io di ciò con
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un professore di teologia (non irlandese) ebbi da lui questa affermazione: trattasi di casi eccezionali, ma moralissimi degni di approvazione e lode. Questo dei vescovi e preti è un caso più difficile a risolvere di quello degli stessi scioperanti; e ti dà l'idea della psicologia collettiva, anche dieci anni dopo. Io non trovo che simili casi siano trattati dai teologi. Un recente catechismo porta che le guerre giuste sono quelle indette dall'autorità competente; e basta lì. Questa condizione nel Medio Evo significava che non avessero diritto a indire la guerra le autorità subalterne (vassalli - feudatari). Oggi non ci sono più guerre proclamate da autorità subalterne. I1 che vuol dire che ogni guerra è giusta (siamo fuori della realtà!). Sto bene. Un abbraccio, tuo Luigi
[London, Paddington 1, 21 febbraio 1931
Carissimo fratello, ti voglio parlare di un'interpretazione storicista del probabilismo: non so se sia completamente esatta. L'insistere che fecero nel sec. XVII i Gesuiti sul metodo probabilista, basato sull'autorità dei teologi, era per dare alla morale un maggiore adattamento ai bisogni del tempo; sicché ferma restando la legge, si potesse per via di ragionamento arrivare ad attenuarne la rigidità o a modificarne lo spirito. Era quindi un tentativo che pur potendo portare al lassismo (come di fatto avvenne) poteva anche far vedere meglio tutta la varietà delle condizioni psicologiche e reali del tempo. Così di seguito, continuavano a sorgere nuove opinioni e nuove dispute e nuovi autori appoggiati da forti ordini religiosi; e formavano un'opinione collettiva più aderente alla realtà. Però, con il lato negativo, volendo ad ogni costo tenere fermi i principi teorici o le tradizioni, dovevano non di rado sottilizzare nelle deduzioni per inquadrare le soluzioni dei casi a determinati principi (astrattismo) ovvero allargare troppo le applicazioni morali (lassismo). Basta ricordare che in quel tempo la tesi della schiavitù per diritto naturale applicata ai poveri indiani di America fu sostenuta dalla maggioranza degli scrittori eccl. Leggo nel D ' h -
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nibale ', P. I", n. 236, pag. 216 nota, che Urbano VI11 al Card. De Lugo (circa la questione del Paraguay) rispose: « Ubi d. sententiae concurrunt utrinque probabiles, sequendas esse opiniones pro conditione locorum et hominum barbaris favorabiliores D. Mi sembra questa una tesi di relativismo storico detta in termini probabilistici. Secondo me, questo tentativo di storicizzazione rimase esteriore a) perché fu dato più valore all'autorità del teologo che alle ragioni (probabilismo); b) perché spesso non furono affrontate le vere questioni di principi derivati e invece si sottilizzò nelle applicazioni; C) perché non fu, come si doveva, riconosciuta l'esigenza del fattore collettivo, che è la base del sano relativismo storico. S.S. mi dice che se non saran pubblicate le sue due ultime postille, sarebbe bene riaverle (l'ultima) per completarle e pubblicarle qui sotto un titolo unico. Nel caso contrario, egli potrebbe spedirti là questa che chiude il tema dell'assoluto. Che ne pensi? Vorrei sapere qualche cosa. I1 silenzio è stato troppo lungo. E l'Odissea? Sto bene. Un abbraccio, tuo Luigi
Piazza Armerina, 24 febbraio 1931
Carissimo fratello, questa reca due giorni di ritardo. I1 maltempo ci ha isolati per due giorni, essendo state interrotte tutte le comunicazioni. La tua del 17 alla quale rispondo, parla d'una teoria che io sconosco, non ne avendo mai trovato traccia nei libri che io ho letto. Da dove l'hai cavata? La casistica suppone proprio l'opposto, perché è la teoria basata sul principio enunciato da S. Tomrnaso che nessuno è legato dalla legge, che per la conoscenza della medesima. I1 dubbio è conoscenza dubbia. Dunque, dicono i casisti, la legge dubbia non obbliga. Tu invece dici in detta cartolina che la casistica consiste nell'imporre l'opinione probabile contro le proprie convinzioni certe. Cioè, tu ora affermi l'opposto della realtà storica e dottrinale. Aspetto che m'indichi l'autore da cui l'hai tratto, LETTERA 834. Roma 1908.
1. G .
D'ANNIBALE, S~rnmula theologiae rnoralis, Desdée,
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non per prendere in considerazione tale stortura, ma per sapere contro cui devo protestare col mio pensiero. Ti ho mandato il Papafava l . Desidero sapere se ricevesti il Beria, Teresa Neumann e se l'hai trovato buono, come è parso a me. Predica il quaresimale qui il Sac. Piazza da Caltanissetta e incontra. E un giovane sui 36 anni. Forse non lo conosci. Sto bene. Abbiamo gran freddo, abbiamo avuto prima neve poi piogge dirotte e venti uraganali! Ora è calmo. Prega pel tuo .f Mario
[London, Paddingtonl, 24 febbraio 1931
Carissimo fratello, con la mia del 17 tornavo a precisare il punto critico del probabilismo. Mi ci provo di nuovo. Così rispondo alla tua del 19. La moralità per essere veramente tale deve essere interiore e non formalistica (fariseismo). Tale interiorità viene o da convinzione diretta (prodotta da ragionamento o da sentimento) owero da convinzione indiretta che è confidenza in altri; che può essere ubbidienza se si tratta di un superiore che comanda, o docilità se di persona autorevole o amica che consiglia. Può darsi il conflitto fra convinzione e confidenza e può prevalere l'una o l'altra secondo i motivi. Però non può darsi moralità dove prevalgono i motivi - di qua o di là - contro coscienza. Tutto ciò, bene o male espresso, è nelle nostre' teologie. Pertanto, supponi il conflitto fra la propria convinzione e un'opinione probabile, il cui ragionamento non solo non convince ma ripugna (la schiavitù per diritto di natura per es. o l'altra della guerra giusta da due lati) in tal caso la propria convinzione è la sola che interiorizza l'atto morale e che deve rev vale re. Tu scrivi che le ragioni prevalgono sd'autorità del teologo che è una ragione presupposta. Se così fosse, come LETTERA 835. 1. Cfr. lettera 638. 2. Theresa Neumann (1898-1962), mistica tedesca, cieca dal 1918, riacquistò la vista il giorno della beatificazione di S. Teresa del Bambm Gesù (1923), ebbe apparizioni e visioni della passione di Gesù ricevendo le stigmate. L'autorità ecclesiastica non si pronunziò sull'evento.
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potresti alle ragioni assegnare le categorie di probabili, non probabili, equi-più-meno probabili, ecc.? Filosoficamente, il giudizio di probabilità è un giudizio pratico, invece, giudicando delle ragioni, tu devi conchiudere: questa è vera, questa è falsa. Tu non puoi dire che l'opinione di S. Agostino che non può darsi guerra giusta che da un solo lato sia meno probabile, di quella di S. Alfonso che dice che può darsi giusta da due lati. Se l'una è vera l'altra è falsa. Ecco come la mia critica non è « d'eccesso di autorità come un fatto accidentale » come tu scrivi, ma al tipo di giudizio pratico che si sostituisce a quello teoretico quando il teoretico deve prevalere. Che se il teoretico non c'è subiettivamente, ovvero obiettivamente manca di argomenti, allora subentra il pratico. H o ricevuto Odissea e numeri arretrati dellY«Autoformazione ». Grazie. Sto bene. Circa la guerra giusta puoi vedere il mio libro e i miei articoli. La mia critica è sembrata qui definitiva. Vedrò che ne pensano i francesi appena verrà fuori quell'edizione (fra giorni). Ma già il Prof. Le Fur della Sorbonne (cattolico) ' e il P. Valensin (gesuita) ne han detto bene. Un abbraccio, tuo Luigi
[London, Paddington], 27 febbraio 1931
Carissimo fratello, ho atteso con ansia tue notizie e di Nelina, dopo l'uragano scatenato sulla Sicilia; oggi ricevo una cartolina di Nelina (non si capisce se di sabato o di domenica) dove mi dice solo che tira un gran vento; e quella di Mons. Fondacaro di sabato che dice lo stesso. I giornali parlano di Enna e Caltanissetta e Catania, ma non di Piazza o Caltagirone. Spero più tardi ricevere la tua solita. Ho ricevuto i numeri dell'« Autoformazione » e I'Odissea e il libro contro l'idealismo di P. l Grazie: non ancora il novembre-dicembre LETTERA836. 1. Louis Le Fur, professore di diritto internazionale deii'università di Parigi, autore della prefazione francese ai libro di L. STURZO,L comunitd internazionale e il diritto di guerra, (Cfr.nota 2, lettera 859). ~ T T E R A837. 1. Cfr.lettera 638 n. 6.
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dell'« Autoformazione ». È uscito 2? Torno alla Casistica: spero non ti secca. Nella tua cartolina del 19 tu dici: « il dubbio consente più risoluzioni probabili ». Se è un dubbio di fatto tutte le soluzioni sono più o meno probabili fin che non si rimuove quel dubbio. Se il dubbio è di diritto o teorico, le soluzioni sono ragionamenti, che debbono portare ad una certezza diretta o indiretta. Ora, che cosa awiene? applicando la probabilità a due tesi opposte (p.e.: la guerra non può essere giusta che da un solo lato; la guerra può essere giusta dai due lati; la schiavitù è consentita dal diritto di natura; la schiavitù non è consentita dal diritto di natura; ecc.) si fa un distacco netto fra la ragione pura e la ragione pratica. Per la prima se l'una tesi è vera l'altra è falsa; per la ragione pratica tuttedue sono probabili e si possono applicare alla vita morale. Al fondo, siamo ad una specie di Kantismo avanti lettera. Che dire, poi, di chi non ha dubbi su una tesi (o sulla opposta) pure se disposta liberamente, scegliendo l'una O l'altra, e ora l'una e ora l'altra, perché probabili secondo che crede più utile? Nella tua del 16, tu dici che « in etica noi non possiamo prescindere da principi acquisiti », ed è così. Né noi né nessuno. Solo si deve aggiungere che questi principi debbono far divenire convinzione interiore, altrimenti resterebbero lettera, osservanza sociale, e ci sarebbe solo la esterna moralità. Questa ha certo il suo valore, ma deve interiorizzarsi, altrimenti sarebbe ipocrisia. Nella tua del 9 sulle sintesi mi scrivesti « il resto alla prossima » ma ancora il resto non è venuto. Sto bene ma un po' stanco. Un abbraccio, tuo Luigi
2. La domanda di Sturzo era legittima: in effetti con il 1931 u L'Autoformazio; ne n non uscì più. La fine della rivista fu successiva al richiamo del Santo Uffiio, che accusò la filosofia del vescovo di relativismo. L'8 aprile 1931, il vescovo riuattò (si veda in proposito anche la nota 2 della lettera 73). Cfr. A. BRJ~NCAPOBTE, Benedetto Croce e Mario Sturzo, in «Vita e pensiero n, 1968; pp. 156-160. Sui rapporti di Croce con i fratelli Stum si rinvia ai volume di FELICEBATTAGLIA, Croce e i fratelli Mario e Luigi Sturzo, Longo editore, Ravenna 1973. Si chiedeva Battaglia: u C'è da domandarsi fino a qual punto non potevano influire sull'intervento vaticano risentimenti o almeno riserve politiche conseguenti all'azia ne e al pensiero del minore fratello, esule dal 1924, ma in continuo contatto con mons. Mario, anche con riferimento alla Rivista n (p. 22).
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Piazza Armerina, 28 febbraio 1931
Carissimo fratello, parmi che ti affatichi a sfondare una porta aperta. Agire contro la propria coscienza sarebbe colpa. Ciò tutti i libri che io conosco l'ammettono, e citano in conferma il passo di S. Paolo « omne quod non est ex fide, peccatum est ». Quello della coscienza riflessa è altro problema: è non il puro cedere all'autorità, ma il cedervi, stimando, convincendosi che quella vede ragioni che a sé sfuggono. Dunque? È sempre un gioco di ragioni e non è mai un puro gioco di autorità. In una delle passate cartoline tu dici che i principi morali si formano per astrazione. Qui credo che bisogni precisare. Per astrazione del caso particolare da risolvere, no. Voglio dire: il principio etico non può nascere da un fatto non conosciuto ancora come etico, perché sarebbe un risolvere l'omogeneo nell'eterogeneo, che io reputo non possibile. I1 principio etico nasce con fatto utilitario. Esempio. I1 furto è un fatto utilitario. Pensa al primo furto, quando ancora non s'era manifestata la sua reità. Chi ruba, fa un atto utilitario. Ma fa anche un atto etico, perché toglie altrui il proprio, cioè, viola un diritto, cioè, manca a un dovere. Ecco il processo. Nato il concetto di diritto e dovere, nasce l'astrazione che generalizza, e nasce o si mostra il principio. Sto bene. Non mi dici se hai anche ricevuto il Papafava. Prega per me, come io faccio per te. Tuo t Mario
[London, Paddington], 2 marzo 1931
Carissimo fratello, ricevo finalmente la tua del 24 scorso. Così sono tranquillo. Le notizie dei giornali sull'uragano di Sicilia danno un'impressione terribile. Ho ricevuto il R& e il Levasti grazie. H o letto Z'introduzione del Rugni, è ben fatta, benché dia un colorito troppo favorevole ai giansenisti, ma in sostanza è imparziale: si tratta di colorito e forse di simpatie. Lo leggo con interesse. Torno
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al tema. Le mie osservazioni e questioni sulla Casistica rappresentano, come ti scrissi il 7 febbraio, « le mie critiche e i miei dubbi e allora soggiunsi che te ne scrivevo « nel desiderio di essere illuminato sui miei dubbi e di essere corretto nei miei sbagli ». Tu non hai tenuto presente queste mie parole, e mi domandi di autori e di libri. Ora che avrai ricevute le mie cartoline fino all'ultima del 27 febbraio nelle quali ti ho esposto tali critiche e tali dubbi, ti sarai fatto un concetto d'insieme e quindi vedrai dove risiede davvero il mio errore. Tu dici che io affermo il contrario di quel che insegna la teoria probabilistica circa il conflitto fra la propria opinione e quella dei teologi. Guardando alla superficie può sembrare così; ma dal punto di vista della logica della teoria non è così. Per quale ragione han lottato probabilisti contro probabilioristi e equi probabilisti? Per scartare (o no) l'opinione meno probabile di fronte alla più probabile o alla sicuramente probabile. Io ti ho fatto notare che la misura della probabilità non è ragionativa e teoretica, ma pratica. Quindi dal punto di vista teoretico si può essere convinti della cosidetta meno probabile e dal punto di vista pratico si deve seguire la relativamente probabile. (Qui risiede uno dei casi di conflitto). Ma chi fissa queste misure? L'apprezzamento dei teologi, che non è del resto né unanime né definitivo: ora o esso è astrattistico (cioè prescinde dalle condizioni concrete storiche e psicologiche) e in tal caso è fuori di una data realtà; ovvero è legato a condizioni determinate, e non può tout court trasportarsi a condizioni storiche e psicologiche diverse, come puro giudizio pratico. -Occorre, quindi, che si ritorni all'origine razionale della questione, al di fuori dell'apprezzamento di probabilità, per riesarninarla nella sua propria natura. E ciò è quello che si fa tante volte, superando (cosciamente o incosciamente) la teoria del probabilismo. Ecco il succo delle mie critiche. Un abbraccio di cuore, tuo Luigi
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Piazza Armerina, 3 marzo 1931
Carissimo fratello, l'uragano non toccò queste parti nostre che con l'ultima coda. Nulla di grave. Del mio problema non ti scrivo, perché vedo che ti preme più il problema morale. E preme anche a me, non per quel che esso vale, ma pel modo come tu lo vedi, che io non condivido. Io credo che tu prendi abbaglio. L'autorità da sola non crea la probabilità. Questa è creata dalle ragioni, quando esse ragioni non son definitive. Tu supponi astrattisticamente che dicendo ragioni, si debba avere sempre il si o il no netti. Non è vero, perché non sempre le ragioni son tali, da superare il dubbio. Prendo il caso del testamento destituito delle forme legali. Alcuni teologi, con buone ragioni, dicono sì, altri con altre ragioni, pure buone, dicono no, altri dicono, che dato il contrasto, la soluzione resta incerta, dubbia, e praticamente probabile dai due lati. Ecco un bel caso di probabilità dai due lati. Ma anche ecco la chiave per risolvere il mistero del teoretico e del pratico. I1 teoretico non ha in sé la nozione di probabile, ma solo quella di dubbio. Nozioni approssimative dalle due parti generano il dubbio. Il dubbio circa la pratica dà luogo alla probabilità. E c'è altra posizione, quella dello stato di coscienza collettiva. Data la collettività che consente in un errore, quell'errore nella pratica non dà la colpa, ma la buona moralità per la buona fede. I1 caso dell'Irlanda per me appartiene a questa posizione. A questa appartiene il giudizio per es. dei vescovi, da te più volte invocato per la probabilità (salvo che poggi su nozioni). Sto bene. Scrivi più chiaro pei miei occhi. t Mario
[London, Paddington], 5 marzo 1931
Carissimo fratello, l'ultima tua è del 24 febbraio, ricevuta il 28 - oggi è il 6" giorno da allora e non comprendo il perché del tuo silenzio. Spero che non è per ragioni di salute, ma o per occupazioni pastorali o per disguido postale. L'ultima di Nelina è del 25; e dopo anche
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lei silenzio. Prego per voi. Sto bene, benché stanco pel continuo freddo di queste ultime settimane. Ho letto il Ruflìni, troppo lungo e dettagliato, interessante per disegno di ambienti, ma la tesi principale un po' troppo ampliata e credo un po' sforzata. Che ciascuno risenta dell'ambiente niente di meraviglia; che certe correnti di idee e di sentimenti fossero allora diffusi e penetrati nell'ambiente religioso è noto: ma l'esagerazione consiste nel dare una nota di eterodossia. Come se oggi si riprendesse il vezzo di trent'anni fa e parlare di modernista e antimodernista o integralista, cosa che ancora dura in Spagna e in certi angoli di Francia. « L'Osservatore Romano » annunzia di già una conferenza su Manzoni e il giansenismo l; e ne avremo hinc et inde. In certe pagine mi sembrava di risentire gli echi dell'ambiente di Acireale, ai miei primi anni di chiericato (46 anni fa!). Hai letto l'articolo di M. Losacco, I fondamenti dell'oggettivismo, nella « Rivista neoscolastica » '? Che ne dici? Io ti ho scritto varie cartoline, alle quali ancora non ho risposta, cioè il 19, 20, 21, 24, 27 febbraio e 2 marzo. E oggi scrivo anche questa, non ostante il tuo silenzio, per non mancare a darti le mie notizie. S.S. avrebbe un nuovo articolo sullo storicismo: deve inviarlo? Quando verrà l'« Autoformazione »? H o letto sull9«Osservatore Romano » il sunto della pastorale collettiva dell'Episcopato Siculo 3. Puoi mandarmela? Tante cose piene di affetto dal tuo Luigi LETTERA841. 1. Cfr. Manzoni e il giansenismo, in « L'Osservatore Romano », 2-3 marzo 1931, p. 3. La conferenza fu tenuta il 5 mano. I n un breve resoconto riportato sotto il titolo Il giansenismo del Manzoni d a « Osservatore Romano » del 6 marzo 1931 si legge che il consigliere nazionale della FUCI Alessandrini, illustrando uno studio del prof. Trompeo sul giansenismodel Manzoni (Rilegaturegianseniste) e il recente volume del senatore Ruffini, La vita religiosa di Alessandro Manzoni, ha dimostrato « le numerose imprecisioni » di quest'ultimo lavoro e « la dubbia forza probativa degli argomenti arrecati dall'autore P. 2. M. Los~cco,I fondamenti dell'oggettivismo, in «Rivista di filosofi nscolastica », novembre-dicembre 1930, p. 462. 3. Cfr. Lettera dell'episcopato siculo, in « L'Osservatore Romano », 2-3 mano 1931, p. 2. I1 documento, pubblicato al termine della conferenza episcopale siciliana, raccomanda al clero un'accorta spiegazione del Vangelo domenicale e una particolare attenzione nell'insegnamento catechistico. I sacerdoti sono anche invitati ad utilizzare i buoni scritti e a vigilare sui giornali e le riviste non cattoliche. Inoltre, grande impegno deve essere rivolto d a difesa della famigha dagli a attacchi satanici che k sferza l'immoralità », alla formazione di organizzazioni giovanili, alla celebrazione di messe festive per i giovani. Infine il clero deve adoperarsi maggiormente affinché l'Azione Cattolica sia presente in tutte le parmcchie.
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Piazza Armerina, 7 marzo 1931
Carissimo fratello, il concetto che mi son formato del tuo modo d'intendere la casistica è questo che tu poni come punto specifico l'opinione-autorità-praticità. Io ti ho in merito aperto il mio pensiero. Ripeto. Teoreticamente non c'è la probabilità, ma il dubbio. I1 dubbio circa problemi morali-pratici, si risolve in probabilità, non per l'autorità, ma per le ragioni. I1 probabilismo ha luogo solamente circa i problemi che non hanno raggiunto una soluzione teoretica conclusiva, definitiva, vera, certa. I1 segno pratico di ciò è il dissenso dei teologi. I1 qual dissenso è appunto di ragioni, ed è teoretico. Tale è il caso del testamento privo delle solennità legali. La probabilità si supera, superando il dubbio, cioè, teoreticamente. Praticamente no. O meglio, il dubbio, che vieta l'azione, si supera con la probabilità, nel senso che si giudica non legare la coscienza. È tanto semplice! E perché tu non vedi quel che a me pare tanto semplice? Sto bene. I1 tempo è mite. Lavoro. E prego per te. Tuo aff .mo fratello t Mario
[London, Paddington], 8 mano 1931
Carissimo fratello, ho ricevuto la tua attesa del 28 febbraio con notevole ritardo, e quasi insieme le due di Nelina del 28 febbraio e del 2 c.m. Vedo che con le mie sulla casistica ho interrotto le tue sul problema sintetistico; spero che le riprenderai. Io non tornerò sul tema che mi ha tanto occupato: non credo di sfondare una porta aperta. A proposito delle recise affermazioni del diritto di coscienza iatte da S.ta Giovanna d'Arco nel suo processo, Mons. Baudrillart, in una recente pubblicazione, augura il ritorno alla sana teologia in materia. Avrei molti esempi da citare in proposito, ma tu stesso ripensandoci ti accorgerai del fatto che il valore di coscienza è trascurato, e la psicologia etica, individuale e collettiva, non è
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bene studiata. Tu dici che il problema della coscienza riflessa è diverso; secondo me è lo stesso ed è unico: quello che io chiamo rendere interiore la moralità. Fino a che questa interiorizzazione non è operata, non contano né argomenti diretti né riflessi; l'atto etico è sempre quello, un fatto di coscienza, e quindi originariamente teoretico. I1 probabilismo tende di sua natura a mantenere gli elementi etici fuori della coscienza, perché è un sistema pratico distaccato (nel suo valore ultimo) dal sistema teorico. Forse a te non sembra così, perché sei abituato a valutare le ragioni pro e contro, ma se tu ti appoggi alle ragioni cessa il valore di probabilità. Il problema da me posto è filosofico (giudizio teoretico e pratico), è etico (interiorità della morale), è psicologico (valore della coscienza), è storicistico (relatività storica degli elementi morali). Quando tu avrai pesato il pro e il contro del mio modo di vedere, allora, spero, scriverai un bello studio che metterà le cose a posto, e io lo leggerò nell'« Autoformazione ». Ieri, S. Tommaso, ho celebrato per te e per i tuoi lavori filosofici. Sto bene ma stanco del freddo. Un abbraccio, tuo Luigi
[London, Paddington], 10 mano 1931
Carissimo fratello, mi duole che la mia calligrafia ti affatica gli occhi: cercherò di scrivere più chiaro. Dal dubbio teoretico positivo insoluto tu fai derivare la probabilità pratica risolutiva. Ma esiste subiettivamente un dubbio teoretico positivo che rimanga teoreticamente insoluto? Per me non esiste. Può rimanere insoluto il dubbio negativo (se non ci sono mezzi a rimuoverlo) e il dubbio pratico o di fatto. Nei due casi si ricorre a soluzioni pratiche indirette; ma il dubbio teoretico si risolve sempre in forma teoretica. L'esempio che tu rechi (formalità testamentarie) è di sua natura praticità, e interessa in un modo il mondo del diritto romano, in altro modo il mondo del diritto inglese, o cinese o indiano o giudeo, ecc. La questione è della stessa natura di quelle che riguardano la promulgazione o la cessazione di una legge, la formazione di una consuetudine e simili. Criteri giuridici, norme convenzionali, pura praticità. I1 pas-
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saggio dal dubbio pratico alla soluzione di probabilità può darsi; non si dà il passaggio dal dubbio teorico. Per stare nei termini della questione, considera i due punti da me indicati (guerra e schiavitù) e credo che mi darai ragione. È impossibile dire che sono probabili le due tesi contrarie: la schiavitù è contro la legge di natura - la schiavitù non è contro la legge di natura. Si deve ammettere una come tesi vera; e che storicamente si è formata una coscienza diversa per psicologia collettiva. Tu applichi la buona fede al caso d'Irlanda; non si tratta di buona fede, ma di deuiazione collettiva che forma una psicologia erronea. Vincibile o invincibile? Ecco il problema. Forse obiettivamente vincibile e subiettivamente invincibile. Sto bene. Un abbraccio, tuo Luigi
[London, Paddington], 13 marzo 1931
Carissimo fratello, ebbi la Teresa di Neumann l, la lessi con piacere e profitto e l'ho fatta leggere a diverse persone. Mi occuperò delle procure appena possibile. Mi sembra che il tema delle nostre conversazioni cartolinesche non sia di tuo gradimento; e ciò dipenderà dal diverso stato d'animo. La mia critica' cominciò a svilupparsi durante il mio studio sul diritto di guerra 2. Ora l'ho ripresa, perché m'interessa come questione marginale nel mio nuovo lavoro. Circa il dubbio teoretico o pratico ti ho scritto nella mia del 10. Che il dubbio teoretico non possa mai risolversi in probabilità mi sembra evidente. Se un professore di filosofia, dopo aver letto i tuoi libri, dicesse agli alunni: - vi sono autori che sostengono l'esistenza dell'intelletto agente, altri che sostengono la non esistenza. Siccome si tratta di autori seri, l'una e l'altra tesi è probabile e può seguirsi; che diresti tu? - Ora per me è lo stesso di quel professore di morale che dicesse: autori seri dicono che la schiavitù è contro la legge di natura, e autori seri dicono che non è contro; l'una e LETTERA 845. 1. Cfr. lettera 835. 2. LUIGISTURZO, La comunitd internazionale e il diritto di guerra, cit.
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l'altra tesi sono probabili. È vero che tu dici che <( il dubbio circa i problemi morali-pratici si risolve in probabilità D; ma ogni tale problema ha la sua base teorica, come ogni problema teorico ha suo aspetto pratico (diretto o indiretto). I1 problema della schiavitù prima di essere un problema pratico (e lo fu fino al secolo passato in America) è un problema teorico. E oggi si pone ancora da coloro che vogliono giustificare le teorie di antichi teologi e di santi dottori. Per me è assurdo dire che le due tesi teoriche contrarie sono ambedue probabili. Sto bene. Un abbraccio, tuo Luigi
Piazzn Armerina, 14 mano 1931
Carissimo fratello, torno da Enna contento. L'inaugurazione del monastero carmelitano di osservanza è stato un grande avvenimento. La città tutta lo volle. E l'ha. Sia benedetto e ringraziato il Signore. La tua del 10 corr. che ricevo a momenti, mi lascia pensoso. Devo non averti compreso. Forse non ti ho compreso nemmeno ora, che dubito di non averti compreso prima. Guerra e schiavitù son due di quei casi che vanno esclusi dal probabilismo. Ricordi il verso « Si damnum, hisque, valor, si tutius urget D? Di questi è anche il caso del suicidio. La guerra poi può benissimo essere dubbia. Ecco una terza posizione, quella che occorre studiare, prescindendo dal non poter entrare nel probabilismo o casismo. E dubbia, quando ci sono ragioni pro, ragioni contro la sua giusta intimazione. Dato il dubbio, è data la probabilità, se ragioni gravi stanno per la sua giustizia. Ecco il trapasso. Però non si può andare sino al principio riflesso, perché si tratta di danno. Per quel che portano le mie conoscenze, io non ho dubbi del mio modo di vedere. E non comprendo il tuo. Come potrei scriverne? Scrivine tu. Cosi, invece di punti frammentari, mi manderai uno studio, che gioverà a illuminare la mia mente, e potrebbe anche andare nella rivista. Sto bene. Siamo in piena primavera. Ma durerà? Ed è bene che non duri, che farebbe male alle campagne. Tuo
t Mario
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[London, Paddington], 16 marzo 1931
Carissimo fratello, grazie della tua cartolina dell'll; godo con te della gioia per l'inaugurazione del Monastero di S. Marco a Enna; è una consolazione del Signore: prego S. Teresa di Gesù ' e S. Teresa del Bambin Gesù ' che infondano il loro spirito in quel monastero. Leggo un tuo telegramma che è morto P. Semeria 3; così uno dopo l'altro; è triste ed è confortante insieme. Domani celebrerò per la sua anima. Continuo la risposta alla tua del 7 . Tu dici che « il probabilismo ha luogo circa i problemi che non hanno raggiunto una soluzione teoretica certa e conclusiva, e il dissenso dei teologi ne è il segno D. Ora tranne i primi principi o i fondamenti etici generali e i dogmi rivelati, tutto il resto è sempre materia di dispute. Nel Medio Evo, si riteneva come « certa e conclusiva » la teoria che la guerra non possa essere giusta che da una sola parte; invece dal sec. XVII in poi fu sostenuta la tesi opposta. Questa è prevalsa come certa e definitiva, fino a mezzo secolo fa, quando sorse la corrente medioevalista, che oggi va diffondendosi e cacciando l'altra. È impossibile adottare in materia una specie di staticità teorica. Ogni epoca fa la revisione, sotto le direttive generali del proprio movimento di pensiero, specialmente in materia giuridica e sociale. I1 dissenso dei teologi è utilissimo sul terreno teorico, non perché crea il probabilismo, ma perché fa dibattere delle idee e come i teologi si dividono hinc et inde così anche gli altri debbonsi educare a pensare con la propria testa e quindi a seguirli o ad oppugnarli con delle idee, e non accomodarsi al sistema di una scelta cieca, sol perché l'una o l'altra opinione vengono classificate come
LETTERA 847. 1. S. Teresa di Gesù, al secolo Teresa de Ahumada, nata ad Avila il 29 marzo 1515, morta il 4 ottobre 1582, fu riformatrice deii'ordine del Carmelo e scrittrice mistica. Cfr. anche lettera 1957. 2. S. Teresa del Bambin Gesù e del Volto Santo (1873-1897), fu cannelitana scalza nel convento di Lisieux. Scrisse YHistoire d'une ;me (1898). 3. Giovanni Semeria (1867-1931), barnabita, oratore e scrittore, fece parte deiia prima Democrazia cristiana e fu accusato di aver condiviso le idee moderniste (cfr. Epilogo di una controversia, 1919), rispetto aiie quali invece cercò di assumere una chiara posizione di distacco.
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probabili. Penso che ad Ema avrai avuto freddo; non era proprio la stagione. Attendo tue notizie. Un abbraccio, tuo Luigi
Piazza Armerina, 18 marzo 1931
Carissimo fratello, della questione della casistica non posso appassionarmi, perché, per me, è una questione accademica. Io non conosco autori che sostengano gli errori contro cui tu combatti. Però me ne interesso, sino al punto di non distrarmi, scrivendo a te, in altri problemi, proprio perché è di tuo interesse. L'esempio dell'intelletto agente non è a proposito. Esso non ha la necessaria corrispondenza pratica. Circa la guerra giusta o probabile, ti ho già scritto che in essa non si può applicare il probabilismo. Circa la probabilità dalle due parti, non so perché tu la reputi impossibile. Tu supponi che sempre, teoreticamente, l'uomo arrivi alla certezza. Invece i casi del dubbio son più frequenti che non si creda. Ora la teoria del probabilismo poggia sul fatto del dubbio teoretico. Tolto questo essa diventerebbe arbitrio. I1 caso del testamento destituito delle solennità o forme legali, entra benissimo nella teoria, benché non sia universale e poggi sulle varie legislazioni. I o non comprendo il tuo rifiuto. Conclusione. 1" Indicami qualche autore che sostenga gli errori, ecc.; 2" rispondimi dicendo il tuo pensiero, circa quel che io affermo della dipendenza della probabilità dal dubbio; 3" continua a discutere che ti seguo con affetto. Sto bene. Lavoro. Ti abbraccio. Tuo t Mario
[London, Paddington], 19 marzo 1931
Carissimo fratello, ieri ed oggi ho atteso tue notizie, ma invano; però da Nelina ho saputo che il tuo viaggio ad Enna è stato buono. Semeria,
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M& l, tutti se ne vanno. Incolatus meus prolungatus est 2. Non ho avuto risposta circa i desideri di S.S. Quando avrai tempo rispondimi e dammi notizie dell'« Autoformazione ». Continuo per finirla la risposta alla tua del 7. Tu dici: « I1 dubbio che vieta l'azione si supera con la probabilità nel senso che si giudica non legare la coscienza ». Anzitutto qui si deve trattare di dubbio pratico, di dubbio del soggetto operante, e di dubbio che non abbia una soluzione normale in base ad un principio riflesso legittimamente applicabile. Ma solo di dubbio che abbia delle soluzioni varie ed opposte ritenute probabili dai teologi. In questo ultimo caso possono avverarsi due ipotesi: 1) che il soggetto passi dal dubbio alla convinzione che la vera soluzione sia la A; in tale caso egli non potrà scegliere né la B, né la R, perché opererebbe contro coscienza. Nella ipotesi invece che egli persista nel dubbio può liberamente scegliere fra le soluzioni indicate come probabili. Ma se si tratta di dubbio teorico positivo, allora, secondo me, non può darsi passaggio alla soluzione pratica. Infine il dato di probabilità non è mai applicabile alle tesi, per il loro valore teorico, ma solo come un apprezzamento pratico indiretto: l'autorità teologica che ne fa una presunzione di retto giudizio, presunzione che però deve cadere di fronte a ragioni valide opposte. Sto bene. Un abbraccio. Luigi
Piazza Armerina, 21 marzo 1931
Carissimo fratello, la tua del 16 vuol notizie della gita a Enna. Te le diedi appena tornato. Tutto concorse alla buona riuscita, anche il tempo che si fece quasi caldo. Quel che io affermo dei rapporti tra dubbio e probabilità, resiste bene alla tua critica. Lo ripeto: senza il precedente dubbio (teoretico), non è possibile probabilità (pratica): questa deriva da quello. Quel che tu mi opponi, non è contrario alla LETTERA849. 1. Pietro Maffi, (1858-1931) cardinale, arcivescovo di Pisa. Filosofo e studioso di scienze fisiche, fondò la « Rivista di scienze fisiche e matematiche »; si adoperò infime per la promozione deìì'Azione cattolica in Italia. 2. Cfr. Salmi 119, 5.
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mia teoria. .Tu opponi il fatto dei giudizi diversi circa la guerra giusta, del medio evo e del sec. XVII. Questo è relativismo storico, che funziona da teoreticità. Per avere il dubbio, che dia luogo alla probabilità, basta che il dubbio ci sia, derivi da speculazione puramente filosofica e sia senza errore, derivi da errore. Tu dici che, tolti i primi principi, le discrepanze non mancano. Ed io rispondo che le discrepanze, quando son serie, generano sempre i1 dubbio. Però la probabilità domanda o il vero dubbio filosofico o il vero dubbio Storico-tradizionale poggiato, sia pure, su qualche errore. Circa la guerra però - lo ripeto - non basta la probabilità della sua giustezza, occorre la certezza. La teoria della guerra giusta dalle due parti, poggia sulla teoria del probabilismo. Questo fa il dubbio: fa che gli opposti sostenuti da buone ragioni, in pratica, appariscano probabili. Negato che per la guerra valga il probabilismo, come vedi, siamo sulla via maestra. Tu ancora circa questa mia veduta - che è non mia, ma della scuola - non mi haiscritto nulla. E io aspetto. Sto bene. I1 tempo è tornato freddo. Ma siamo già in primavera. Abbracci. Tuo f Mario
[London], 22 mano 1931
Carissimo fratello, la tua del 14 mi è arrivata ieri sera tardi, dopo sette giorni! Rinnovo le mie congratulazioni per l'inaugurazione del Monastero. Dopo averti tormentato per circa tre mesi sulla Casistica, non ho più il coraggio di continuare; dalla tua corrispondenza qualche rettifica al mio pensiero è avvenuta, ma piccola invero e del tutto marginale. I punti fondamentali mi restano immutati, pur con un senso di insoddisfazione che mi inciterebbe a migliore studio; ma non ho il tempo e i soliti libri non mi soddisfano. I problemi da me posti sono di natura filosofica, tu mi rispondi evitandoli e richiamandomi alla pratica casistica, che presuppone risolti quei problemi. O meglio, quelli che sono per me dei problemi, per te non lo sono. I n queste condizioni lo scrivere un articolo per me sarebbe un perder tempo. Per farti notare quanto siamo distanti, ti rilevo due battute della tua cartolina del 14 c.m. Io) A
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proposito della guerra e schiavitù mi richiami al celebre verso: << si darnnum, etc. » osservo: a) che in linea teorica questa limitazione è estrinseca al probabilismo, ed è semplicemente l'applicazione di principi riflessi, per sé stanti; b) in linea storica che di tali limitazioni non si tenne conto (dal sec. XVII in poi) nell'esercizio della guerra, giudicata sempre, in base ai responsi dei teologi consultati da re e governi di allora, come guerra giusta dai due lati; e neppure circa la schiavitù, che con la scoperta del Nuovo Mondo ebbe una ripresa generale e fu applicata la tesi probabile su larghissima scala. Quando una valvola non funziona per circa 300 anni, non deve essere una buona valvola. II") Tu ammetti l'idea d'una guerra basata su motivi dubbi di giustizia, perché motivi gravi. È la tesi probabile che io combatto. L'esercizio della guerra con i suoi mali morali e materiali gravissimi, solo la giustizia e necessità uniti insieme potrebbero giustificare. Sto bene. Un abbraccio di cuore, tuo Luigi Puoi mandarmi il N" di dicembre della « Civiltà Moderna D di Codignola?
Piazza Armerina, 24 marzo 1931
Carissimo fratello, credo che le maggiori difiìcoltà ad intenderci derivino da ciò, che tu assomrni in unico problema, due problemi diversi: il filosofico e l'etico. Io, che ho ciò avvertito, leggendo la tua del 16, cercherò in questa di far un po' d'ordine. I1 problema della casistica non riguarda ogni dubbio, ma il dubbio circa la legge etica. (Quando tu mi opponevi l'esempio dell'intelletto agente, uscivi dalla casistica e passavi nella filosofia specifica). I1 canone fondamentale è presso S. Tornrnaso: Nemo ligatur per praeceptum nisi mediante scientia (nota: scientia et non dubio) illius praecepti. Quando la legge è dubbia sia circa l'esistenza sia circa il valore, ecc. essa non obbliga. Perché non obbliga? Pel dubbio? No. I1 dubbio non è scienza, cognizione; e invece l'atto etico deve poggiare
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su una vera cognizione. Questa si ha - riflessa - quando il dubbio si risolve in probabilità vera e propria. Così son risoluti i vari casi da te opposti. Tu supponi che uno arrivi alla certezza. Benissimo. Ciò vuol dire che supera il dubbio, non coi principi riflessi, ma con la scienza, cioè col mezzo diretto. Ma c'è una terza posizione, quando, cioè, l'individuo si convince in un modo, mentre contro la sua convinzione stanno le ragioni di molti teologi. In tal caso la certezza non c'è, perché le ragioni contrarie, quando son vere ragioni, S c i a n o il convincimento individuale contrario. Solamente questo potrà prevalere, quando ha ragioni, che annullano le ragioni contrarie di molti teologi. Si può dar cosa più semplice e più chiara? Tu la complichi, ma a torto. Sto bene. Desidero che la discussione continui sino d'accordo. Tuo 7 Mario
[London, Paddington], 25 marzo 1931
Carissimo fratello, sei molto buono nel continuare a rispondermi circa la casistica solo per farmi piacere. Io ho pensato che sarà meglio raccogliere i miei pensieri in un foglio, dopo che tu avrai risposto alle altre due cartoline del 16 e del 19 (che completano la mia risposta a quella tua del 7) e così poi tu vedrai quale il punto o i punti deboli a cui rispondere (se lo crederai). Circa la giustizia dalle due pani (e non probabilità) in guerra, è per ragioni logiche che non possa ammettersi, perché in una vertenza la ragione (sotto lo stesso nome) non può essere che da una parte; tanto è vero che i primi teologi che parlavano della giustizia dalle due parti dissero che questa poteva essere sostanzialmente e formalmente dall'una parte e formalmente solo dall'altra. Tutto ciò è discusso nel mio libro sul Diritto di guerra. Io poi, come tu sai, sostengo la tesi più a fondo, che non si può conoscere la giustizia di una guerra, ma solo le formalità sociali che garantiscono la giustizia. Ma questa è altra questione. I1 punto fra noi discusso è che la opinione che ammette che la guerra può essere giusta dai due lati è ritenuta opinione probabile; ed è stata seguita per tre secoli. Essa
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però è basata sopra una teoria illogica. Questa la mia (e non solo mia) opinione. Inoltre in via teorica non possono essere probabili contemporaneamente le due tesi opposte. Fu questo il punto di partenza della revisione del probabilismo che si è operato nella mia mente. Sbaglierò? Ecco il punto. Sto bene. Un abbraccio, tuo Luigi
Piazza Armerina, 27 marzo 1931
Carissimo fratello, la tua del 22 mi conferma nel mio giudizio che noi non ci siamo ancora reciprocamente compresi. Io adopero ogni mezzo per capire bene il tuo pensiero. Ma esso mi sfugge, perché (come ti scrissi) è serpeggiante. Tu dici che i problemi da te posti sono di natura filosofici. Io ti rispondo che invece sono i presupposti filosofici per risolvere il problema della legge dubbia. Tu soggiungi che le eccezioni « danno, fine, ecc. » in linea teoretica sono estrinseche al probabilismo. Io ti rispondo che sono estrinseche ai presupposti teoretici del probabilismo. Tu dici che in linea storica di tali limitazioni non si tenne conto, ecc. Io (benché non abbia presenti i dati storici) ti rispondo che ciò, se mai, prova il contingentismo e il relativismo storico o l'inconseguenza. Ma tu parli di giudizi di guerra giusta da ambe le parti. Dunque non di guerra probabile, ma giusta. È così? Ma posto che non sia, il fatto non nuoce ai principi. Tu poi mi attribuisci la teoria che approva la guerra basata su motivi dubbi. Se ho scritto tal cosa, è stato per seguirti, non per esprimere la mia teoria. La guerra probabile non è mai giusta, proprio perché è un danno irreparabile. Per esser giusta deve esser tale con certezza e non con la sola probabilità. Ora ti prego di notare che in pura filosofia la parola probabile non dice che quello stesso che dice il dubbio positivo. Tu alla filosofia non devi domandare il probabilismo, ma i criteri per ragionare su di esso. Esso è pratico. I1 suo valore è tutto qui, cioè, nel cercare se l'uomo in dati casi è libero o se è condizionato da una qualche legge. Sino che la legge è dubbia, è libero, tranne i casi eccettuati. Vedo un'ombra che potrà essere un uomo od una
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fiera. Metti quanta probabilità vuoi, io non sarò mai libero di sparare. Sto bene. Nevica. Abbracci. Tuo t Mario
Piazza Armerina, 30 marzo 1931
Carissimo fratello, secondo me il tuo ragionamento è manchevole come sintesi, perché unifica quel che non è unità. Io però, invece d'insistere sulla critica, mi proverò a fare una mia impostazione del problema specifico, che è quello della guerra giusta. Per me per gLierra giusta si deve intendere la guerra certamente e veramente giusta, esclusa ogni applicazione dei principi del probabilismo, e permanendo nella casistica, quella casistica che prese la sua forma etica più interiore col cristianesimo. Così impostato il problema, non è più possibile parlar di guerra giusta dalie due parti, pel principio logico da te invocato, che di fronte a giusto non può stare altro giusto e nello stesso tempo l'ingiusto, che solo dà luogo alla guerra, che è un rimedio fatale contro l'ingiustizia d'una parte. Quelli che parIano di guerra giusta dalle due parti, non possono parlarne che in dipendenza al probabilismo. I1 probabile può star nelle due parti, perché deriva dal dubbio, e questo è ignoranza relativa. I n tal caso, gli uni considerano il problema da un lato, gli altri da un altro. E questo è parzialismo logico, cioè, possibile e giustificato. Sicché, dir guerra giusta dalle due parti, significa dir due guerre, una intimata per alcune ragioni, una per alcune altre. Ora io ti prego di non uscir da questo quadro, e di discutere del suo contenuto in modo stretto. Ciò fatto, il resto, spero, verrà da sé. Sto bene. L'altro ieri ebbi una visita tanto gradita. Venne Nelina. Sta molto bene. Sto bene anch'io. Abbracci. Tuo t Mario
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[London, Paddington], 31 marzo 1931
Carissimo fratello, ho ricevuto la tua del 24. Non so perché le tue mi arrivano con tanto ritardo. Rinnovo gli auguri pasquali. Prega assai per me. Sto bene, non ostante il freddo. Desidero sapere a giro di posta se di ciascuna delle due procure debbo fare un solo originale, o due originali, o un originale e una copia. Per un solo originale vengono a costare circa 300 lire italiane ciascuna procura. I n tutto 600 lire. Ho visto nel « Corriere della Sera » del 25 di questo mese un cenno sul tuo Pensiero dellJavvenire. Invece di Neo-Sintetismo è stampato Neo-Sincretismo '! Dicono che non vi è novità circa il pensiero moderno. Chi legge superlicialmente crede così. Il Prof. Le Roy che fu richiesto del suo parere da un editore di Parigi rispose che il tuo libro era impo<tantissimo, ma per l'ambiente dei neo-scolastici, non per il pensiero moderno, che in materia è andato più avanti di te. Sicché l'editore che ha un pubblico generale, ma non quello specializzato scolastico, mi ha scritto che ha paura di non rifarci le spese, data la crisi di oggi. È una disdetta! Ma pazienza; cercherò un editore che abbia il pubblico degli scolastici. Tutti i dubbi teoretici positivi, se sono etici riguardano i principi razionali dell'azione. Ritenere questi principi come una legge è una forma mentis della socialità umana. I n sostanza si deve cercare l'idea di dovere interiore come fondamento. Questo dovere viene da Dio perché la natura viene da Dio. I1 dubbio quindi può investire tutta la legge etica nel senso che prima viene il dubbio teoretico. Ecco il punto centrale. Un abbraccio, tuo Luigi
LETTERA856. 1. In un breve steiioncino del 25 mano 1931, il «Corriere della sera » lodava in effetti il u neosincretismo» del u dotto vescovo di Piazza Armerina » rilevando che la novità era c< rispetto ai pensiero aristotelic~tomistico ma non dawero rispetto al pensiero moderno ».
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857 Piazza Armerina, 4 aprile 1931
Carissimo fratello, questa ti reca i fraterni auguri della S. Pasqua, con un po' di ritardo, ma con affetto vivissimo. La mia ultima è del 30. Poi non ho avuto tempo. Sai se Ie ss. funzioni lasciano tempo pel tavolino. Sto bene. Ho fatto le ss. funzioni con gioia e senza veruna. sofferenza corporale. Ora mi resta solo il pontificale di domani. Ma tu perché non mi scrivi? Dal 28, giorno in cui ricevetti la tua del 25, silenzio. Spero che la posta del pomeriggio mi rechi la gioia di rivedere i tuoi amati caratteri. Nella mia del 30 tornavo sulla mia vecchia distinzione tra casistica e probabilismo. I1 caso morale nasce col pensiero umano; si fa caratteristicamente specifico col cristianesimo. Ogni uomo che agisce eticamente, pone e risolve casi. I1 dubbio nasce a un parto col caso, voglio dire, la possibilità del dubbio. E gli uomini hanno dovuto sempre prender posizione contro il dubbio. La scienza pratica prese forma nei secoli da te indicati. Lungo i secoli quante incertezze e quanti errori. È quello che tu chiami contingentismo storico. Non si tratta di valvola che per tre secoli funzioni male, ma di correnti di pensiero sistemato sotto dati rispetti, in rapporto a date realtà storiche. I1 progresso che altro è, se non un superare contingenze relative? A me il problema non presenta diflicoltà. Per questo il mio modo di esprimermi a te sembra semplicistico. Desidero però penetrare meglio il tuo pensiero, per potere risponderti in modo più consono. Rinnovandoti gli auguri, ti abbraccio in Corde Jesu e mi raccomando alle tue orazioni. Tuo t Mario
[hndon, Paddington], 4 aprile 1931 Sabato Santo. Aileluja
Carissimo fratello, rinnovo i più vivi auguri pasquali. Alieluja! La tua ultima è del 27 mamo; stamane ho avuto tue notizie da Nelina che è stata da te. Godo assai che stai bene. Anch'io sto bene non ostante il
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freddo; solo di tanto in tanto mi tornano le palpitazioni che mi stancano. Quando andrai a Roma? dopo Pasqua? ti fermerai a Roma o andrai in qualche altra città? Spero che non soffrirai a viaggiare. Aspetto tue risposte a varie mie domande, lasciate lì, per la discussione sulla casistica; ma quelle che più mi premono sono sulle due procure, e anche sul mio amico S.S. che attende da molto tempo il rinvio del suo manoscritto; vedi di ricordarlo al tuo Vic. G.le. Circa la casistica ti ho promesso di mandarti un riassunto; ma solo sul Probabilismo. Per le altre questioni ho già scritto abbastanza. Circa la guerra spero potrai leggere il mio studio. Ora ti prego di ritornare sulle tue considerazioni iilosofiche circa la verità e le sintesi e di dirmi che cosa scrivi adesso che non vedo più l'« Autoformazione ». Parlami di te che m'interessa tanto il tuo lavoro, i tuoi progetti e tutto quanto ti riguarda. Auguri pasquali a Vincenzino, a Mons. Lidestri e a tutti gli amici e specialmente a Giovanni. Un abbraccio, tuo Luigi
[London, Paddington], 6 aprile 1931
Carissimo fratello, sabato sera mi arrivò la tua del 30, cosl ebbi il piacere (sempre atteso vivamente) di leggere la tua cartolina, che altrimenti avrei avuto domani, martedì (ieri ed oggi non si distribuisce posta). Ti manderò i miei appunti, che ho disteso e debbo copiare. Qui ti scrivo sulla questione della guerra per dirti: in primo luogo che la teoria casistica sulla guerra giusta da due lati riguarda lo stesso o gli stessi motivi dai due lati (e non due motivi diversi). Secondo i casisti, tanto se la giustizia è da un lato sostanzialmente e dail'altro formalmente (Molina); quanto se la giustizia è più probabilmente da un lato che dail'altro (Suarez) la guerra può essere proclamata. Anzi S. Alfonso cita Busembaum ', il quale crede lecita la guerra se basata sull'opinione probabile della sua giustizia dai due lati, ovvero s~ll'i~noranza invincibile da un lato (Bus., 24. M. L. 111, p. I", dubbio V., art. I, De Bello, 2). I n secondo luogo L E ~ M 859. 1. Hermann Busembaum (1600-1669), gesuita tedesco autore deli'opera Medulla Theologiae moraiis (Miimter 1650).
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la tua ipotesi (che non è quella dei casisti) darebbe luogo non ad una guerra giusta dai due lati, ma ad una guerra ingiusta dai due lati - perché i due motivi giusti si eliderebbero e dovrebbero dar luogo eticamente e politicamente al riconoscimento dell'altrui diritto e al compromesso o arbitraggio. Spero che sull'argomento, quando avrai tempo leggerai la Parte 3" e specialmente il § 43 del Capo X e il Capo XI *. Sto bene. Un abbraccio di cuore, tuo sempre Luigi Piazza Armerina, 7 aprile 1931
Carissimo fratello, ho ricevuto la tua del 25 e poi quella del 31. Temo che la cartolina intermedia si sia smarrita. Grazie degli auguri pasquali. I miei te li inviai con la mia del 4. Ora te li rinnovo. La tua del 31 mi indica il punto centrale del tuo pensiero. Osservo che non i principii chiamiamo leggi, ma i rapporti. Non bisogna porre come centrale l'idea del dovere, che è meno estesa dell'idea d'ordine razionale circa la pratica. A me pare che tu sia prigioniero del concetto di interiorità individuale. Questo va posto al centro, senza dubbio, ma non solo. Esso solo mena al soggettivismo idealistico. Uno può esser convinto che, per es., l'eretico va ucciso anche per privata autorità. La legge che gli sta di fronte e che ciò vieta, può parergli non giusta. Cosa deve far costui? Lasciarsi menare dal suo stato etico individuale senza più? Chi oserebbe dirlo? Costui deve valutare la legge che vieta la vendetta o giustizia privata, in nome di un'autorità superiore, e così modificare il suo giudizio o convincimento personale. È quello che fanno tutti gli uomini; che meglio fanno i cristiani di fronte alla dottrina rivelata. Ricevo a momenti l'opuscolo sull'insegnamento del precetto della carità. Mi vale per tue nuove. Procura. Dice il notaro: qui basta una sola copia. Egli ritiene che l'originale resti presso il 2. LUIGISTURZO, La Communauté internationale et le droit de guerre pubblicata nel 1931 (Bloud et Gay), dopo l'edizione inglese del '29. 2 d'edizione francese che Luigi SNZO si riferisce, perché più accessibile per il fratello Mario. Nel parao una breve storia dell'evoluzione della teoria della grafo 43 Luigi S ~ z traccia guerra giusta dal medio evo e dalla scolastica al periodo di formazione degli stati assoluti e d o sviluppo delia teoria probabistica citata nella lettera. Cfr. anche lettera 417 n. 2.
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notaro che fa l'atto. Sto bene. Ho fatto con gioia tutte le ss. funzioni. Come son belle e soavi. Abbracci. Tuo t Mario
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Carissimo fratello, hai ragione. Di tante cose non ti ho scritto, benché tu me ne abbia richiesto più volte. Spero però che tu ne abbia indovinata la ragione. Aspettavo di prendere una decisione, per la quale avevo ragioni pro e contro. L'ho presa ora. Sospendo la pubblicazione della rivista, perché in essa si vede, non un servizio, ma una lotta. Certe tue previsioni di molti anni fa, si son pur troppo avverate. Io son sereno e rassegnato. Spero ottenere con la preghiera, quel bene che non ho saputo attuare col mio povero lavoro. Non mi ha fatto prendere questa decisione il contegno dei nostri buoni amici, ma qualcosa di più alto ed autorevole. Tu intendi l . Ti rimando per consegnarla a S.S. la postilla ultima inviata. L'altra è già stampata nel fascicolo di commiato '. In detto fascicolo doveva andare un mio lavoro sulla sintesi. Era già composto e l'ho ritirato per evitare anche le ombre. Te ne manderò le bozze. I1 seguito non arrivò a essere scritto. Noi continueremo le nostre conversazioni sui problemi che interessano il tuo pensiero. I1 mio pensiero lasciamolo lì. Circa la rivista « Civiltà moderna » se tu volevi il fascicolo da te indicato, per vedere la recensione (stroncatura) del prof. Banfi sul mio libro Il pensiero dell'avvenire, potrò mandarti il ritaglio avuto dall'Eco della stampa 3. Sto bene e son del mio migliore umore. H o però bisogno di LETTERA861. 1. Sulle ragioni che costrinsero M. Sturzo a chiudere la « Rivista di autoformazione », cfr. n. 2 della lettera 837. Con quel « tu intendi » il vescovo aiiudeva verosimilmente al richiamo del S. Uffizio. 2. I1 numero di novembre-dicembre 1930 (anno IV, fasc. 6), si apriva con una pagina fuori testo, dove si leggeva questo breve comunicato, firmato La Direzione: «Con questo fascicolo, per ragioni che potranno venir comunicate a suo tempo, cessa la pubblicazione della nostra rivista P. Poi seguiva la postilla Il puro Arsoluto cit. 3. Cfr. in « Civiitd moderna », 15 dicembre 1930, la recensione di A. BANFI al libro di MARIO STURZO, Il pensiero dell'awenire; cfr. anche di A. BANFI,Filosofia neo-scolastica e filosofia contemporanea, in « CiviltA moderna » 15 aprile 1931, p. 363.
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molte preghiere, perché io sappia indovinare la volontà di Dio circa il modo d'impiegare il tempo che m'avanza dal lavoro della diocesi. Abbracci. Tuo t Mario
[London, Paddington], 9 aprile 1931
Carissimo fratello, ho avuto tue notizie da Vincenzino; ma tanto la tua ultima cartolina quanto la tua lettera (arrivatami posteriormente) datano dal 30 maFzo. Dopo silenzio. Comincio a stare in pena. Forse nella gran ressa della posta per le Feste Pasquali la tua solita cartolina sarà andata smarrita. Se è così, ti prego di ripetere in altra quel che mi avrai scritto, specialmente se mi hai risposto per le due procure, per il manoscritto di S.S., ecc. Sto bene; il tempo è divenuto mite, spero che duri cosi. Prego molto per te, son certo che tu fai lo stesso anzi di più per me, che ne ho tanto bisogno. I1 mio lavoro va lento, perché spesso mi stanco e devo sospendere. Così tante volte ho pensato di riprendere la Tetralogia, ma forse lo farò durante le vacanze. Un abbraccio di cuore, tuo Luigi
Piazza Armerina, 11 aprile 1931
Carissimo fratello, nel campo teologico il tuo problema dev'essere considerato sotto l'aspetto storico, più che sotto l'aspetto filosofico, o meglio: per intendere o spiegare i contrasti con la filosofia, bisogna ben valutare il fatto e il processo storico. La qual valutazione non sarà fatta bene, se non quando, superata l'analisi, si perviene alla sintesi. Or a me pare che la sintesi sia questa che anche teologicamente, casisticamente, probabilisticamente, la guerra per esser giudicata giusta, deve esser fondata su ragioni certe e non probabili, né probabiliori. Tu citi autori, non sintesi. E questo è analisi. E ci vuole, ma per esser superata. Per far ciò, bisogna guar-
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dare il punto a cui siamo pervenuti nel processo storico-teologico. Elbel l, autore grave (m. 1754) dice: « Debet moraliter certa constare de jure seu de justa causa... Ita communis et certa sententia )> (P. VI, Conf. VI, n. 149). S. Alfonso, benché teoreticamente approvi la sentenza dei probabilioristi, praticamente preferisce la sentenza di Roncaglia: « vix unquam iustum videri possit, si ex solis probabilibus et non certis inferatur » (L. 111, TV. V, C. I, n. 404). Génicot ': « Videtur reicienda, tamquam intrinsece periculosa et damnosa sententia AA. non paucorum opinantium sufficere ut ius bellum interentis sit probabilis ve1 probabilius » (I, n. 384, IV). Lo stesso si dica circa la giustizia, dalle due parti. « On admet généralement qu'une guerre ne peut théoriquement etre juste des deux c6tés à la fois; elle le peut pratiquement, si les deux adversaires se persuadent chacun avoir pour eux le bon droit » (Dictionnaire de Théologie Catholique I, Ortolan '). Sto bene. Tuo $ Mario
[London], 12 aprile 1931
Carissimo fratello, ti scrissi il 28 marzo; mi fa meraviglia che la cartolina non ti sia arrivata; c'era un breve cenno sulla giusta guerra e altro sul dubbio teoretico positivo. Non importante. Forse ti chiedevo la Postilla S.S. e le tue impressioni. Ho ricevuto la lettera di Vincenzino. Sta bene per le procure. La mia del 31 doveva essere non chiara per quel che tu mi scrivi nella tua del 7. Dicevo che l'idea di principi-leggi (tu dici rapporti, ma non si nega ciò) è una forma mentis, un concetto analogico. Noi, dall'ordine positivosociale basato su leggi, ci trasportiamo all'ordine naturale e quindi parliamo di leggi di natura (principi) e di diritto di natura come LETTERA863. 1. Benjamin Elbel (1690-1756), francescano teologo moralista, autore di Theologia rnoralis decalogaiis et sacrarnentalis per rnodum conferentiarurn casibus practicis illustrata. 2. Edward Génicot, (1856-1900) fu moralista e teologo. La sua opera principale sono le Theologiae rnoralis institutiones (1896). 3. Professore di teologia e diritto canonico, superiore del gran seminario di Ajaccio.
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di un ordinamento a noi esterno. Questa è una forma mentis con trasporto di irnagini dal terreno proprio (società umana e leggi positive) a un terreno analogico (natura ordine naturale). Per questa forma mentis concepiamo con la natura-Dio il rapporto come esterno e giuridico. Ciò scrivevo a proposito dell'applicazione di probabilità (legge dubbia) a principi etici e naturali (schiavitù se contro o no alla legge di natura). Quando poi io dico che base dell'etica è l'interiorità non fo del soggettivismo, ma applico il vero concetto di moralità che è la razionalità dell'azione umana e risolvo soggettivamente questa razionalità (oggettiva) nella convinzione di dovere. Aggiungevo che « questo dovere viene da Dio perché la natura viene da Dio » ecco l'ordine oggettivo da trasformarsi in soggettivo (dovere). Perché tu intendi al di là delle mie parole? Chi poi sbaglia, se fa ciò per ignoranza o per errore invincibile cioè in buona fede, la sua moralità è salva, anche se gli uomini lo condannano. Oggi sole e bel tempo. Un abbraccio, tuo Luigi
Piazza Armerina, 14 aprile 1931
Carissimo fratello, ieri ricevetti la tua del 9. Tu pare che non ricordi come per noi è piena la Settimana Santa. Dopo il 30 scrissi il 4 e poi ti ho in parte compensato. Tu però non mi hai ancora detto se tra la tua del 25 e quella del 31 ci sia stata altra cartolina. Se sì, ripetine il contenuto, perché io non la ricevetti. Tu scrivi: « se la valvola non ha funzionato bene per tre secoli, ecc. P. Ma è poi vero che non ha funzionato bene? Neghi tu il relativismo storico? No, di certo. La guerra ha tale storia, che fa come un presupposto insormontabile. Dio si volle chiamare il Dio degli eserciti. E noi ciò ripetiamo ogni giorno nel Sanctus della Messa. Ancora. Quando la morale ha da fare i conti con la forza collettivo-sociale-politica, la storia e la psicologia ci mostra, che riduce un po' la sua rigidezza e cerca, quanto le è possibile, le vie conciliative. I concordati non sono una eloquente conferma di questo che scrivo? Però invano non hanno discusso i teologi casisti. E, come ti scrissi in una delle
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mie ultime, oggi siamo arrivati a un punto molto soddisfacente, che non è il punto che tu sostieni o gli è molto vicino. Resterà sempre, io penso, il relativismo soggettivo. I vescovi di Germania e quelli di Francia, nella recente guerra, sostennero in modo collettivo la giustezza della guerra. Lo storico che studia quel fatto, vi trova la giustezza dalle due parti, come fatto, come soggettività, pure sostenendo che teoreticamente la giustizia non può stare che in un solo degli opposti. Ancora non ho ricevuto né gli appunti né il libro. Ma il libro lo mandi tu o devo farlo venire io? Sto bene. Ti prego di riposare, diversamente non supererai le tue sofferenze. t Mario
[London, Paddington], 15 aprile 1931
Carissimo fratello, ieri sera ho ricevuto la tua del 9. Avevo presentito quel che mi scrivi fin dall'estate scorsa, quando ti scrissi la cartolina del 3 settembre da Oxford. Stamane ho celebrato per te e le tue intenzioni. Penso che la tua decisione è stata la sola che si poteva prendere, date le circostanze. I1 Signore ti compenserà con le sue grazie copiose e dolcissime. S.S. desidera avere il tuo parere sull'ultima postilla che mi dici di rimandarmi, ma che non ho ancora ricevuto. Mandami due copie del Pensiero dell'avvenire e due della Filosofia dell'educazione. A Lovanio diversi s'interessano di ciò. Sarebbe bene che tu rivedessi i tuoi sonetti; io ti consiglio di farne una bella edizione da De Vecchi, scegliendo solo quelli religiosi e ascetici e quelli personali intimi; io lascerei da parte quelli didascalici come quelli a Gentile, Croce e simili. Un bel volume per novembre o dicembre andrebbe bene. Mentre ti scrivo ricevo la tua dell'11 c.m. Circa la guerra io ho superato (storicisticamente e sociologicamente) tanto la teoria della guerra giusta da un lato, che quella della guerra giusta da due lati. Dal punto di vista etico il problema è solo subiettivo e non passa affatto nell'ordine sociale se non trasformato sociologicamente. È questa la mia tesi che si può leggere al Capo 12. La questione da me posta a te è e resta in termini iilosofici. I casisti del sec. XVII
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caddero in un errore &losofico per spiegare una condizione politica del tempo, che importava la negazione della teoria morale. Oggi la teoria sul diritto di guerra va riveduta a fondo. Hai presente il caso posto nel « Bulletin Catholique International p>? Ma di ciò dopo che tu avrai letto i capitoli citati in questa e nella cartolina del 6 corr. Un abbraccio, tuo Luigi
[London, Paddington], 16 aprile 1931
Carissimo fratello, nella tua dell911 tu dici che la opinione moralistica di oggi è che la guerra giusta deve essere fondata su ragioni certe e non probabili. Ma se le ragioni sono certe, allora la giustizia non può essere che da una sola parte. Quindi Génicot erra quando dice che ci può essere giustizia da due parti l . I1 caso poi che ciascuna parte creda alla sua giustizia fondata sul buon diritto è ridicolo. Dà alla giustizia il carattere soggettivo e di credenza da parte di un Governo. Mai la credenza soggettiva può essere sufficiente ragione di guerra, ma solo di studi, di ricerche, di compromessi, ecc. I1 diritto è oggettivo e perciò sempre da una parte. Tutta la giornata di ieri non ho pensato che a te e ti sono vicino col pensiero e col cuore. Qualche tempo fa una persona mi ricordava le lotte e le angoscie di Mons. Mercier prima che la sua iilosofia passasse per ortodossa e che egli avesse la Porpora. Ora i suoi successori lo hanno superato e per non avere noie se la prendono con i Commentatori e i continuatori di S. Tomaso. A Lovanio per indicare la conoscenza diretta del concreto hanno inventato la parola immediatismo. Nelina mi scrisse che tu dovevi andare a Caltagirone. Forse mentre ti scrivo sarai là. Scrivimi spesso, più spesso del solito e credimi con tutto l'affetto, tuo Luigi
LETTERA 867. 1. Cfr. lettera 863, nota 2.
ANNO 1931
[London, pddington], 18 aprile 1931 le cartolina
Carissimo fratello, rispondo alla tua del 14/4. Gli appunti furono spediti 1'11 c.m. I1 libro doveva essere spedito il 25 marzo da un amico. Se non lo hai ricevuto puoi richiederlo a Bloud et Gay, 3 Rue Garancière Paris (VI). Io da Parigi mi fo mandare i libri sempre raccomandati, perché mi han detto che quel servizio postale non è molto regolare. Sto bene; ma il freddo è ritornato, e ciò mi stanca. Nelina mi scrive che hai avuto un rdreddore; ma tu a me scrivi che stai bene. Spero così. Parlami di te; mi piacciono le cartoline in cui discutiamo, ma desidero sapere di te un po' di più; dimmi quel che fai, quel che pensi di fare. Non ricordo bene quel che ti scrissi il 28 marzo: è la prima volta che una mia cartolina si smarrisce. Torno alla Casistica probabilistica. Vedo che con la tua del 14 tu affronti altra questione, sulla quale non ho che richiamarmi ai miei scritti. Ma la questione da me sollevata nelle nostre cartoline è ben diversa. Quindi la riassumo in questa e in altra che fa seguito. la Questione - le due tesi: la guerra può essere giusta solo da una parte; e la guerra può essere giusta anche dalle due parti: sarebbero egualmente probabili perché sostenute hinc et inde da moralisti di gran valore anzi da dottori della Chiesa. Secondo me, le due tesi non possono reputarsi probabili, ma o una vera e l'altra falsa, o in quella parte che l'una è vera l'altra è falsa. Ciò per le mie osservazioni sul probabilismo in materia di teoria etica (vedi appunti). Storicamente dal sec. XVI in poi è prevalsa la tesi della guerra giusta dai due lati. Ma l'altra tesi esiste ancora ed è stata ripresa da alcuni moderni. (Continua). Un abbraccio, tuo Luigi
LUIGI E MARIO STURZO
- CARTEGGIO
[London, Paddington], 18 aprile 1931 Za cartolina
2" Questione - La guerra giusta da due lati può darsi nei seguenti casi: a) quando vi sono obiettivamente e dai due lati ragioni certe per fare la guerra; b) quando vi sono tali ragioni obiettivamente da una parte e solo subiettivamente dall'altra (credenza, ignoranza invincibile); C) quando vi sono ragioni probabili e gravi dai due lati; d) quanto vi sono ragioni certe da un lato e solo probabili dall'altro. I casi a) - b) - e C) sono sostenuti da teologi seri, sicuri, numerosi e quindi (non ostante qualche opinione contraria) sarebbero tesi egualmente probabili e seguibili in coscienza. I1 caso d) invece non credo che sia reputato probabile e lo lascio lì. Secondo me vi sta contro: all'a) che è illogico supporre che possano esistere ragioni certe e gravi di giustizia dai due lati, per la contraddizione che no1 consente. Se poi sono questioni diverse che si contrappongono, a ciascuna di queste vi sta di fronte una ingiustizia grave, e quindi si elidono i motivi di guerra. In ogni caso, per ciò stesso, viene a mancare la condizione di necessità che è la base della guerra giusta; al b) occorre dire che in via di fatto è impossibile che un errore in materia così grave e pubblica sia invincibile, né che una opinione subiettiva di lesa giustizia valga quanto una obiettiva, sì da portare in guerra uno Stato e un popolo. In ogni caso mancherebbero due delle condizioni volute dagli scolastici per la guerra giusta cioè la gravità delle ragioni e la necessità. Lo stesso e più è da dire ai casi C) e d). Io contesto, come vedi, radicalmente l'applicazione teorica e pratica del probabilismo a simili tesi. E riconosco come illogica e quindi erronea la tesi della guerra giusta dai due lati. La dichiarazione di Fulda ' fu un errore colossale. L'ultima guerra fu fondamentalmente ingitlsta sotto tutti gli aspetti fissati dalla Scolastica (vedi S. Tornaso). Un abbraccio, tuo Luigi
LETTERA869. 1. Nel 1914, dopo lo scoppio della prima guerra mondiale, i vescovi tedeschi, neiia loro annuale riunione di Fulda, indirizzarono un appelio ai cattolici che giustificava la guerra promossa dal Kaiser e minimizzava le responsabilità deiia violazione della neutralità del Belgio.
ANNO 1931
870 Piazza Armerina, 19 aprile 1931
Carissimo fratello, scrivo con due giorni di ritardo, perché sono stato fuori. I1 16 fui a Catania per una conferenza agostiniana « La conversione nella storia ». Ivi si è celebrata una settimana di studi agostiniani. I1 17 e 18 sono stato di nuovo a Enna, per una festa al carcere: precetto pasquale e cresima, messa all'aperto, nel cortile dello stesso carcere, e anche la cresima nello stesso luogo, con la presenza delle autorità politiche e civili e vari invitati, e discorsi. Una cerimonia bella, commovente. Ier sera tornando, trovai la tua del 12, tassata, forse perché non c'era spazio per il bollo; a momenti ricevo la tua del 15. Ricevetti prima di partire i tuoi appunti sul tema che discutiamo, che non ho ancora letto, proprio perché sono stato assente, e che leggerò subito. Dopo ti dirò quel che io penso. Ma sin da ora posso dirti che non ci siamo compresi, perché tu mi hai presentato il tuo pensiero a frammenti. Ora che ho presenti tutti i frammenti, vedo che il disaccordo fra noi è non di sostanza, ma di accidenti, perché io, che non vedevo tutto il tuo pensiero,-riportavo i frammenti ad una sintesi, che non era la tua. Comunque, appena letti gli appunti e il libro, che non ho ancora ricevuto, ti dirò se m'ingamo. Sto bene. Questi giorni di viaggi in auto e conferenze e discorsi e ricevimenti e sopralavoro mi ha tanto giovato e ne ringrazio Dio. Sto veramente bene. E penso ad altri viaggi e ad altro lavoro. Prego per te e ti ringrazio delle tue preghiere. Mario
[London, Paddington], 21 aprile 1931
Carissimo fratello, ieri ho ricevuto notizie da Nelina, che è arrivata bene a Roma, e che tu il 16 dovevi essere a Catania per una conferenza. La tua solita cartolina non mi è arrivata, forse perché impegnato per tale conferenza e quindi in viaggio, o forse non hai ricevuto le mie dell'll e 12. Ti ho scritto pure il 15, 16 e 18. Cos'i mi sento a te
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LUIGI E MARIO STURZO
- CARTEGGIO
più vicino. Ma tu non mi parli che assai poco di te. Dimmi di questa conferenza; dimmi quando andrai a Roma ad limina, e poi cosa farai, se andrai verso su, owero tornerai alla tua Piazza subito. Un po' di riposo dopo tante fatiche e preoccupazioni non sarebbe tempo perduto, al contrario. Non ti dico quante volte io sogno di rivederti. Ma solo la speranza è sempre verde. Prego assai per te. Tu fai lo stesso ora che viene il bel mese di Maria. Come mi piacerebbe sentire le campane della Matrice! Sto bene, non ostante il freddo di questi giorni. Ma verrà il bel tempo. Lavoro come e quando posso. Un abbraccio dal tuo Luigi
Piazza h e r i n a , 22 aprile 1931
Carissimo fratello, non ho ancora avuto il tempo di leggere gli appunti. Circa il tuo modo di giudicare gli autori, io dissento, come in altro tempo dissentivi tu stesso. Quando essi chiamano giusta anche la guerra non tale, ma tale reputata per errore di buona fede, la parola giusto, ha altro significato. Essi infatti mettono l'aggiunta soggettiva. Dunque giusta soggettivamente, dunque non giusta in sé, ma nel giudizio di chi la indice o accetta. I1 tuo dissenso, il tuo dire: errano, è (perdonami) un pettegolezzo non degno di te, che sostieni ed hai visioni più larghe. Perché io ciò scrivo? Faccio anch'io del pettegolezzo? Io ciò scrivo, per invitarti a considerare che i più dei teologi di oggi hanno superato il pensiero degli altri, e, tutto sommato, dicono quel che dici tu. Allora a te conviene assumere, non una posizione ostile (non mette il conto e non è necessario né giusto), ma una posizione di chiarificazione sistematica. E potrai benissimo dire che invece di giusto, nel caso soggettivo, convenga o si debba adoperare altra parola, per esempio: reputata giusta. Forse che mi deciderò di fare una scelta dei sonetti, darvi una ripulita e preparare un volumettino. Sto bene dawero, con l'animo sereno e un po' anche lieto, d'una letizia contenuta, interiore, mistica, ma vera. Lavoro più e meglio di prima e ringrazio Dio. Ti abbraccio. Tuo Mario
t
ANNO 1931
[London, Paddington], 22 aprile 1931
Carissimo fratello, neanche oggi ho ricevuto tue cartoline. In questi giorni io sono con te, al tuo fianco, pregando Dio che non manchi di darti le sue grazie consolatrici. Non ti seccare se desidero tue notizie continue. La tua cartolina ultima è del 14. Tue notizie più recenti avute da Nelina con cartolina del 16 da Roma. Poi silenzio. Che meraviglia se sto in pena in questi giorni. I o ti penso sereno, tranquillo, « del tuo migliore umore » come mi scrivesti nella tua cartolina del 9 corr. m. Spero che la tua salute sia ottima, come è resistente la tua fibra. I o ieri sono stato poco bene, oggi sto meglio. Cosa passeggiera. Un abbraccio di cuore, tuo Luigi Spedisco le due procure.
[London, Paddington], 24 aprile 1931
Carissimo fratello, ricevo la tua del 19 c.m. e mi conforto al saperti così bene, alacre di spirito, indefesso nel lavoro. Ma non mi fare desiderare le tue cartoline. Se mi avessi scritto da Catania una sola parola: « Sto bene e vado ad Enna » - mi avresti risparmiato due giorni di pena. Martedì mezzogiorno, al leggere i giornali che si occupavano di te ', senza che io ne avessi avuto prima un qualsiasi accenno, né avessi sospettato a che punto fossero arrivate le cose, mi sono sentito poco bene, e il disturbo mi è durato tutto il giorno, nel quale, buon per me, sono stato a completo digiuno. Mercoledì mi sentivo già meglio e sono tornato al mio solito lavoro. Ti prego adunque di non omettere di scrivermi, specialmente quando il Signore ti manda delie croci, perché così io sentirò meglio quanta virtù è in te, e mi conforterò del tuo esempio e della tua fortezza. Un abbraccio di cuore dal tuo Luigi I1 libro è meglio che lo domandi tu alla libreria. LETTERA874. 1. Cfr. lettera 837, n. 2.
LUIGI E MARIO STURZO
- CARTEGGIO
875 Piazza Armerina, 25 aprile 1931
Carissimo fratello, ricevo la tua del 21 e ricevetti tutte le altre. Non ti parlo del problema della casistica ecc. aspettanto il libro. Dopo ti dirò quel che in ultimo ne penso, e poi faremo punto. Sto bene. Ebbi un raffreddore di poco conto. E non te ne scrissi, perché non meritava l'onore d'un sì lungo viaggio. Della gita a Catania éd Enna ti parlai nella mia del 19. I1 4 maggio, a Dio piacendo, farò una conferenza su S. Agostino a Siracusa. Ora sto predicando nel salone del mio palazzo un ritiro agli insegnanti e alle insegnanti della città. Finirà domani con la comunione. È una gioia esercitare il ministero proprio. E ringrazio il buon Dio che mi ha ridato le forze per sostenere predicazioni lunghe. Ad limina dovrò andar dentro quest'anno. Se andrò in maggio, al ritorno da Siracusa, te ne avviserò. Se poi mi deciderò d'allungare il mio viaggio, anche di questo ti informerò. Nel momento non son deciso. Tu comprendi il perché. Forse sarà meglio aspettare l'autunno, stagione più placida, più serena. Non vedi come ora per tutto è tempesta di pioggie e vento? E c'è altra tempestina, che io contemplo con occhio sereno e direi quasi, gaudente. Non disse Gesù Cristo che nelle tribolazioni si deve godere, quando si patisce per lui. Insomma il tempo darà consiglio. Rivedo già i miei sonetti e vado scegliendo. Son tutto attività e anche poesia. E mi piace tanto far questo lavoro che è poesia anch'esso. Ti son grato delle preghiere che fai per me, come son grato agli amici. Ti abbraccio. Tuo t Mario
CLondon, Paddington], 27 aprile 1931 la cartolina
Carissimo fratello, ricevo la tua del 22. Sono contento che ti decidi (col forse?) a pubblicare un volumetto dei tuoi sonetti. Ma occorre fare una buona edizione, come quella di Vecchi di Trani. I1 Signore non
ANNO 1931
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ti fa mancare le sue grazie anzi te ne abbonda, perché solo per Lui è ogni tua attività e solo per Lui è ogni tuo sacriiìcio. I1 Prof. Gilson mi scrive che desidera essere ricordato da te. Vedo che anche nella questione della guerra, come in quella del probabilismo, tu non prendi il mio punto speciale di discussione che io tengo con te. Dal punto di vista storico e sociologico, io ho superato tanto la guerra giusta da un lato che quella della guerra giusta da due lati. Ricordi la mia critica su Vanderpool ', e se leggerai il mio lavoro, vedrai quale la mia teoria; che può dirsi già accolta nel campo degli studi critici e che si fa strada in quello degli studi morali. La mia posizione discutendo con te, è stata presa in riferimento al metodo probabilistico applicato a questo come ad altri casi simili, e quindi tende alla dimostrazione della inadeguatezza di tale metodo. I1 resto in una 2" cartolina. Sto bene. Un abbraccio, tuo Luigi
[London, Paddington], 27 aprile 1931 cartolina
(Segue) Riguardo il caso, che tu mi contesti, e che credi un pettegolezzo, cioè della guerra creduta giusta per errore, io ti posso affermare con sicurezza che sia dal punto di vista etico che da quello psicologico, è questo un grosso sbaglio in cui cadono anche oggi parecchi moralisti. L'errore di fatto (che non potrebbe essere altro) che trasformerebbe un'ingiustizia obiettiva in giustizia subiettiva è, 'in cosa di tale importanza come una guerra, una causa insufficiente e non necessaria. Bisogna tener presente che perché la guerra possa essere moralmente lecita, deve essere necessaria (vedi gli Scolastici) cioè che nessun altro mezzo sia sufficiente allo scopo; inoltre che la causa sia di grave importanza sì da trascinare alla morte migliaia e milioni di uomini. Come si può tutto ciò basare sopra un errore? e come tale errore può essere invincibile? Tanto l'avversario, che avrebbe la ragione con sé, quanto i popoli avrebbero LETTERA876. 1. Cfr. lettera 108 nota.
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LUIGI E MARIO STURZO
- CARTEGGIO
interesse a far superare al principe il suo errore creduto invincibile. Non vedi tu che la ipotesi è campata in aria, secondo il metodo casistico che io chiamo astrattistico? La verità è che l'errore può darsi, ma non sulla giustizia, ma sull'utilità, non sulla necessità, ma sulla opportunità; non errore etico ma errore politico. È la mia critica. Un abbraccio di cuore, tuo Luigi
Piazza Armerina, 28 aprile 1931
Carissimo fratello, mi rincresce assai d'averti, senza volerlo, dato motivo di soffrire. Ma quando partii per Catania io nulla ancora sapevo, mentre, pensavo averti già scritto non esser bene star troppo legati a giorni fissi. E questo ora ti ripeto. Né, per l'altro fatto, io ero in grado di prevedere. Io, appena consumato l'olocausto (giorno otto di aprile corrente), ti scrissi .(giorno nove) quella cartolina, dove ti annunziavo la cessazione della rivista « perché in essa si vedeva, non un servizio, ma una lotta ». Ed aggiungevo che a ciò m'ero indotto, « non pel contegno degli amici, ma per qualcosa di più alto e più meritevole ». Che potevo dirti di più? Sapevo forse io che dopo la congiura del silenzio, sarebbe avvenuto quel che è avvenuto? Io pensavo agli Acta Apostolicae Sedis. Pensavo anche che nemmeno si sarebbe arrivati a ciò. Fui anche io colto alla impensata. Ma, via, io son proprio del migliore umore che mai. L'olocausto è fatto. Ora non penso più a quella materia. Penso ad altro. In questa scorsa settimana ho predicato nel grande salone del mio palazzo un triduo di ritiro a tutti gli insegnanti di ambo i sessi delle scuole elementari e medie della città, e domenica nello stesso salone, ho detto la messa con fervorino e dato la comunione. I1 4 maggio andrò a Siracusa per una conferenza su S. Agostino. Sento tanta pace e tanta gioia che quasi arrossisco di me d'aver temuto di non reggere alla prova. Dio è buono infinitamente. Dammi le tue nuove più spesso finché ti sarai rimesso. Io prego per te. Tuo
t Mario
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[London, Paddington], 30 aprile 1931 Festa di S. Caterina da Siena
Carissimo fratello, neppure stamattina ho avute tue notizie; come questo silenzio o meglio ritardo di corrispondenza mi pesi non so dirti. Forse è questo il modo migliore di partecipare di lontano alle tue sofferenze, e di aiutarti a portare la Croce. Ma tu sei confortato dal Signore, che ti abbonda di grazie, ed ami parlare assai più con Lui che con gli uomini. Ho letto d'un fiato i tuoi sonetti. Dire che mi son piaciuti è poco; ho vissuto con te e con te ho palpitato. I1 XVI mi ha commosso; il XIV è credo il più bello, certo una bella veste poetica di un pensiero profondo; il XX mi ha dato l'impressione di questi giorni e così via uno ad uno. Attendo che ti decidi sul serio a raccoglierli radunarli e ripubblicarli in volume. Ricevo una cartolina di Nelina; anch'essa mi dice che tu non le hai scritto. Spero stasera ricevere la tua, con l'ultima posta. Spedii a Vincenzino le procure e poi ieri la nota delle spese. Sto bene; oggi giorno tiepido. S. Caterina da Siena mi fa pensare alla Mamma; e la sento vicino e mi conforta. Un abbraccio, tuo Luigi
[London, Paddingtonl, 2 maggio 1931
Carissimo fratello, ieri ho ricevuto la tua del 25 aprile: ci ha impiegato 6 giorni a venire. Ti noto il ritardo per giustificare le mie precedenti che si lagnavano del tuo silenzio. Godo che stai bene, che lavori di lena, che guardi con gioia spirituale quel che il Signore ti manda per il bene tuo e della tua diocesi; ed io spiritualmente t'invidio e vorrei anch'io potere convertire l'amarezza in gioia. Sto bene: ho ripreso il mio solito lavoro. Se hai un momento di tempo, vedi di far spedire per S.S. l'ultima postilla che ti mandò in gennaio, e che egli ha interesse di riavere al più presto per completare il suo lavoro, che
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LUIGI E MARIO STURZO - CARTEGGIO
vorrebbe passare ad una rivista di qua; e perciò gli gioverebbe anche (se puoi darglielo) il tuo parere. Di ciò scrissi a Fondacaro, ma egli non mi ha risposto fin ora né per questo né per altri affari. È egli a Piazza? o altrove per affari? Salutatnelo e digli che aspetto varie risposte da Lui. Un abbraccio di cuore, tuo Luigi
Piazza Armerina, 3 maggio 1931
Carissimo fratello, anticipo d'un giorno, sperando così d'evitare i possibili ritardi per la mia gita a Siracusa. Se poi non ci riesco, tu, sapendone la cagione, non starai in pena. Ma, ti ripeto, è bene non stare legati strettamente al giorno. A momenti Vincenzino mi dà le tue nuove, e godo nel saperti in buona salute. Devi però evitare il troppo lavoro. Logora. E devi riposarti e curarti. Te ne prego. I1 libro ancora non è arrivato né io in questi giorni amo le questioni. H o in mano i sonetti per la scelta, la coordinazione e una limatura ed ho nel cervello i grilli che si chiamano estro. I1 qual fatto mi ha distolto dalle speculazioni severe. Ma a queste speculazioni ci tornerò più io? Non voglio farmi nemmeno la domanda. I1 tempo è miglior consigliero. Sto bene, lavoro col gusto del lavoro, sento la gioia del sacrifizio, che tale non più può chiamarsi, quando non è doloroso. Al ritorno da Siracusa farò, a Dio piacendo, un giretto per la diocesi di semi-lavoro e semi-villeggiatura. I1 lavoro pesante delle cresime è stato fatto dai buoni confratelli Mons. Gaemo e Mons. Addeo, ai quali son tanto grato. B. Croce mi ha scritto parole di simpatia pei sonetti pubblicati nell'ultimo fasc. della rivista. Egli li ha chiamati I< pensosi, dolorosi, malinconici, nobilmente ispirati ». A me preme che destino nei lettori qualche buon sentimento. Non ti ho ancora rimandato la postilla di SS. Scusami con lui. Non la ho ancora letta e voglio leggerla. Tu gli farai intendere che non è vera negligenza la mia. Abbracci. Tuo
f Mario
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[London, Paddington], 5 maggio 1931
Carissimo fratello, ho ricevuto la tua del 28. Grazie assai. Tutto ho compreso, ma a prima vista non mi era facile. Sono tanto contento che pensi ad una edizione dei tuoi sonetti. E io son sicuro che avrai la spinta a fare altro lavoro che potrà avere migliore fortuna e giovare a molte anime. Così Iddio misericordioso compensa i sacrifici che si fanno per lui e a sua gloria. Ti ho fatto spedire un libro di Abel Bonnard su San Francesco di Assisi. Ti prego di leggerlo da capo a fondo, non ostante certo suo modo personale di vedere e certi suoi apprezzamenti. È un libro che i tante anime fa del bene: io neuo studio delle tre fasi, ho sentito molte impressioni che si possono riferire a te. E ci sono qua e là delle osservazioni così fini e così psicologicamente vere, che per tali parole, si supera la indisposizione che induce certe volte il suo stile e le sue incomprensioni. Tutto sommato io credo che valga la pena di leggerlo. Per lo meno lo leggerai come quel libro che, non so se per merito del libro o per ragioni ad esso estranee, mi ha dato un conforto in questi giorni in cui ho sentito molta amarezza, forse più che non hai sentito tu, cui il Signore ha donato calma, pace, soavità e gioia. I o cerco in Dio tutto ciò e so di trovarlo, ma spiritus promptus, caro infirma l . Sto benino, potrei dire bene. Aiutiamoci con le preghiere. Un abbraccio di cuore, tuo Luigi
Piazza Armerina, 6 maggio 1931
Carissimo fratello, torno da Siracusa, dove la sera del 4 feci la conferenza su S. Agostino. Mons. Carabelli ti saluta affettuosamente. I n questo momento mi giunge la tua del 2. Vincenzino è stato in giro per la diocesi, accompagnando mons. Gaemo, che ha fatto la cresima per LETTERA882. 1. Cfr. Matteo 26, 41.
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LUIGI E MARIO STURZO
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me, alleviandomi quel lavoro sfibrante. Gli dirò subito quanto mi scrivi. Che bel viaggio in auto, attraversando a volo S. Michele, Caltagirone, Grammichele, Vizzini, Solarino, Palazzolo, Floridia. E che bel tempo! Mi son molto divertito, ho molto goduto in rivedere luoghi, pei quali passavo giovine andando a Noto. SS. avrà la postilla tra giorni, appena l'avrò letta, cioè, tra oggi o domani. Sto bene, ho l'anima in festa. Né crederai che io esageri. Quel che è avvenuto non ha fatto che spegnere una serie di pensieri in me, per destarne altri in una pace, in un gaudio e fervore di attività di cui io stesso non mi saprei render conto, se non sapessi che Dio ci ama più di quanto noi amiamo noi stessi. L'invito di Mons. Carabelli per la conferenza, stringe di più i vincoli che a lui mi legano. Tu ne comprendi tutto il significato. Ma tu sta tranquillo, e non ti affaticare troppo. Un abbraccio. Tuo t Mario
[London, Paddington], 8 maggio 1931
Carissimo fratello, ricevo la tua del 3, dove dici che anticipi di un giorno nello scrivermi; ma poiché l'ultima tua da me ricevuta è del 28 aprile, così io dovrei supporre che altra cartolina vi sia stata fra le due date. Spero che non si sia smarrita. Io non sono legato ai giorni, tanto più che la posta è irregolare e le tue ora mi arrivano dopo 4 giorni dalla data e ora dopo 6 o 7 giorni. Io desidero non esser privo di tue notizie quando c'è qualche fatto non usuale. Del resto, mi raccomando al Signore e fo sempre la sua volontà, ed è anche sua volontà che il mio fisico, così sensibile e debole, soffra più che quello di molti altri. Sto bene, benché con un rdreddore pieno: non ho febbre, e lavoro come posso. Ho letto con piacere il giudizio di Croce sui tuoi sonetti. Io son sicuro che faranno del bene. Quando io li leggo certe volte perdo di vista l'elemento pratico per sentirmi trasportare nel mondo spirituale; e ciò avviene quanto la forma è più poetica e più eletta; mentre se non lo è, disturba i sentimenti che desta la poesia. S.S. fa una pro-
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posta, o tu fai copiare il ms. e rimandi l'originale (e poi darci il tuo parere quando sarai disposto); owero egli ne farà una copia e la rimanderà per avere il tuo parere a suo t'empo. Ma desidera subito il ms. per completare il lavoro sull'Assoluto e passarlo qui ad una rivista. Tu sai che simili contrattempi di ritardo fanno perdere la linea del lavoro. Spero che ciò non ti annoia. Un abbraccio, tuo Luigi
Piazza Armerina, 9 maggio 1931
Carissimo fratello, ieri ricevetti la tua del 5. I o dunque ricevo le tue in tre giorni. Vuol dire che i treni al venir qui son meglio armonizzati. Però in questi giorni ti abbiamo compensato ad usura. Sento con pena che stai poco bene, perché per me benino non significa bene, come per te. I o penso che ti faccia male il lavoro. Prenditi un giusto riposo sino a che il male non sia passato. Credo pure che ti abbia nociuto la sorpresa al leggere i giornali. Spero però che la tua virtù ti abbia subito fatto riacquistare la pace abituale. I o lavoro un poco attorno ai sonetti. E mi avvedo che non potrò uscirne che fra due o tre mesi. Questo genere di lavoro, che in altro tempo mi sarebbe stato penoso, ora mi piace. Vedi come Dio è buono con noi, che certo non meriteremmo che castighi. Del resto ora ogni lavoro mi piace, anche i1 più arido. Ieri, otto del mese, fu celebrata a Fundrò la bella solennità della Madonna di Pompei. Fundrò è ora la chiesa degli oblati ed è la chiesa che più attira. Fra giorni la ditta Alinari di Firenze ci manderà una copia artistica ad olio del quadro maraviglioso del Sassoferrato che si venera a Santa Sabina a Roma (la Madonna del Rosario), ricordi? I o ho bandito dalle chiese le oleografie e le statue di cartapesta, resistendo a tutte le proteste o preghiere delle case di Roma e di Lucca. E posso dire che oramai su ciò la nuova coscienza è formata. Sto bene. Fra giorni andrò a Gela per una giornata antiblasfema. Sta sano e lieto, caro fratello, pensando che serviamo un Signore assai buono. Ti abbraccio t Mario
LUIGI E MARIO STURZO
- CARTEGGIO
[London, Paddington], 11 maggio 1931
Carissimo fratello, ho ricevuto la lettera di Vincenzino, i numeri dell'« Autoformazione » richiesti da me, e le belle pubblicazioni sul Duomo di Siracusa. Grazie. Spero che la tua gita a Siracusa sia stata con bel tempo e che tutto sia andato bene. Attendo tue notizie. I o sto benino; il raffreddore è quasi passato del tutto. Ancora si attende il bel tempo, ma ne abbiamo avuto una splendida mostra i giorni scorsi. Sai dirmi che cosa è il Gog di Papini ' di cui ho sentito parlare tanto male? Ho visto i primi quattro volumi dei Testi Cristiani editi da Manacorda nella Editr. Fiorentina. È una bella edizione e molto interessante per la cultura religiosa. Se il fasciscolo del « Dublin Review » con il mio articolo non t'interessa più, puoi rimandarmelo? Un abbraccio di cuore. Tuo Luigi Fammi sapere il programma della tua Visita Pastorale. Prego per te che il Signore colmi di benedizioni celesti il tuo lavoro diocesano ' Luigi
Piazza Arrnerina, 12 maggio 1931
Carissimo fratello, la tua dell'otto m'è giunta ieri. E così le altre, cioè fra tre giorni, con molta regolarità. Si licet magna componere parvis, a questa volta m'è toccato far come Socrate: confortare, quando avrei io dovuto ricevere conforto. E ciò è awenuto senza sforzo o posa, perché io veramente non ho avuto bisogno di conforto, e ringrazio Dio e lo prego per te. Usati riguardi per il ragreddore e dammi le tue nuove. La postilla ti è stata spedita da più giorni. I o l'ho letta con piacere: è fatta meglio della precedente, ha più colorito e LETTERA886. 1. G. PAPINI,Gog, Vallecchi, Firenze 1931.
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processo più limpido. Ora S.S. dovrebbe occuparsi d'un problema del quale mi sarei occupato io, se non mi fosse occorso quel che mi è occorso, voglio dire il problema del trascendente e dell'autorità nella filosofia. La filosofia moderna proprio in ciò si distacca dalla medievale e ad essa si oppone, e, proprio per questo nega la personalità e l'autocoscienza a Dio. Lo studio da fare dovrebbe riguardare il pensiero filosofico e l'autorità nei loro rapporti od opposizioni. Noi su ciò, se ti piace, potremo iniziare un po' di discussione. Ho ricevuto il libro su S. Francesco e l'altro. Li leggerò al ritorno da Gela, ove mi recherò, a Dio piacendo, sabato prossimo. Sto bene. Non ho rimpianti, non travagli di mente o di cuore. I1 passato è come distaccato da me, come alienato. E in ciò vedo uno dei più grandi favori della divina bontà. Faccio il mio lavoruccino d'ogni giorno con piacere e a volte con entusiasmo, e basta. Prego per te assai, povero fratello. Ma forse tu sei più accetto a Dio, che più ti fa sentire la croce. Abbracci. Tuo
t
Mario
[London, Paddington], 15 maggio 1931
Carissimo fratello, oggi 40" anniversario della Rerum Novarum ricordo con gioia i primi anni del mio sacerdozio e il lavoro di organizzazione operaia, che destava i miei giovanili entusiasmi. Fra quattro giorni saranno 37 anni di sacerdozio; e prego il Signore che abbia pietà del suo indegno ministro. Aiutami con le tue preghiere. Ricevo la tua del 9 (dopo sei giorni). Godo che stai bene, e che lavori con tanta gioia e serenità. Apprendo con gran piacere che hai abolito tutte quelle statue e oleografie che per me sono una profanazione, e che vorrei eliminate dalle Chiese. Purtroppo ci vuole una volontà ferrea e una convinzione sicura: e non ostante gli sforzi fatti altrove, non ci si riesce. Anche l'arte religiosa moderna è priva di ispirazione e non incoraggia a tentare il nuovo. Di' a Mons. Fondacaro che ho ricevuto il ms. e la copia dell'art. di S.S. e che gliel'ho dato. La mia salute buona o buonina, come vuole Dio.
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Ho molta palpitazione e quest'anno tornerò in Germania per i bagni, come due anni fa. Per il resto sto bene e il raffreddore è passato. Lavoro moderatamente. Come passerei i giorni senza lavoro, nella solitudine, specialmente quando piove e fa freddo, e non si può godere il bel parco che ho vicino? Tante cose a tutti. Prega per me. Un abbraccio, tuo Luigi
Piazza Armerina, 15 maggio 1931
Carissimo fratello, oggi la radio ci farà udire la parola del Papa sull'enciclica leoniana. Avrei stamani dovuto ricevere le tue nuove, spero nel pomeriggio, e spero che il raffreddore sia andato via senz'altro. Io sto bene, grazie a Dio, e domani, come ti scrissi, mi recherò a Gela per la giornata antiblasfema e altro lavoro. Poi andrò un po' a Niscemi. Tu però manderai le tue cartoline sempre qui. Io spero non portar ritardi nella mia corrispondenza con te in questi giorni; se però il ritardo avverrà, tu ne sai la cagione. I1 prof. Banfi ha risposto alla lettera aperta di P. Gemelii rimenando il lor contrasto ai suoi giusti termini, che son proprio il problema dell'autorità in filosofia ovvero della teologia nelia filosofia, o anche, della filosofia concepita come teologia l . È il problema che io vorrei veder trattato da te, e sul quale ti ho nella mia precedente invitato a discutere. A proposito: dimenticai nella precedente di dirti che tra la mia del 28 aprile e quella del 3 maggio ci fu un'altra cartolina, scritta il primo dello stesso mese; perciò io potevo affermare di anticipare d'un giorno la mia. L'hai ricevuta finalmente? Io, per quel che ricordo, ti parlavo ancora dell'argomento della casistica, ora lasciato sospeso, per esser ripreso dopo che io avrò letto il libro e sarò tornato da questo giretto. Nella tua ultima poni un problema estetico molto interessante, cioè, se l'opera d'arte debba far oltrepassare la coscienza dell'estetico e destare l'assorLETTERA889. 1. Sulla polemica Banfi-Gemelli dr. « La civiltà moderna P, 15 dicembre 1930 e 15 aprile 1931.
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bimento nel soggetto. Lo studieremo. Tu non lo poni così, ma racconti certe tue esperienze. Ti abbraccio e assicuro che prego per te assai. Tuo t Mario
890 Gela (Caltanissetta), 17 maggio 1931
Carissimo fratello, ieri una bella corsa di 50 minuti ci ha condotto in questa. Nelle ore pomeridiane feci la conferenza antiblasfema, che, spero, del bene ne abbia fatto per misericordia di Dio. Stamani ho celebrato la santa messa in matrice e distribuita per un'ora circa la comunione a un popolo molto ben preparato. Stasera farà il sermone nella stessa matrice Vincenzino. La mia conferenza fu in sala al ceto pensante. Ricevetti ieri la tua ultima sul partire. I1 fascicolo della rivista inglese ti sarà spedito al ritorno. Questo propriamente è sacra visita, ma venuta straordinaria in occasione della giornata antiblasfema. La S. visita è stata fatta già in precedenza in occasione della cresima. Però nello spirito è vera e propria sacra visita. Nel programma mio c'è di fare una puntatina a Butera e a Mazzarino e una fermata a Niscemi. Poi spero dormire una notte a casa; e poi in sede. Tutto a v01 d'ucc&o. I1 tempo è sereno e mite, proprio primaverile. Sto bene e vedo d'aver più forze del passato. Desidero sapere se la mia del lo la ricevesti finalmente. La revisione dei sonetti procede alacremente, e sarà, a Dio piacendo, ripresa al ritorno. Prima, al pensarci, un lavoro di lima mi ripugnava, ora invece mi piace. Spero di non guastare, perché la lima è un arnese equivoco. Prego per te assai, e aspetto con ansia le tue nuove. Tu prega per me, ed abbiti un fraterno abbraccio. Tuo t Mario -
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[London, Paddington], 18 maggio 1931
Carissimo fratello, ricevo la tua del 12 stasera tardi quando la posta è raccolta. Rispondo subito. Sto bene: il rdreddore è passato. Per la stanchezza occorre che venga il sole: da tre giorni piove e fa freddo. Ma oramai un mese e saran le vacanze. Sono divenuto come un giovane scolaro che aspetta con ansia le vacanze. Domani è il mio 37" del Sacerdozio. Iddio è stato misericordioso con me, ed io non sono degno di ricevere le sue grazie. Stasera i miei ricordi si affollano alla mente. Se puoi, scrivi a Jatrini i miei più vivi auguri. Non ho di lui notizie da gran tempo. L'anno scorso per la stessa ricorrenza gli mandai una cartolina illustrata; non mi rispose e compresi bene il perché. Caro fratello, aiutami tu con le tue preghiere per potere corrispondere alle grazie del Signore. I1 tema che mi proponi è importante e merita di essere bene considerato. Per ora sono nel pieno della prima stesura del mio nuovo libro su Chiesa e Stato, e credo che finirò prima delle ... vacanze. Poi non ci penserò più per tre o quattro mesi. I1 tema che mi dai riempirà il vuoto. Non ne parlo a S.S., perché la tua rivista non c'è più e quindi egli non se ne occuperà come faceva prima. Ma a me piace occuparmene per studio mio. Forse ne potrò scrivere. Hai ragione; è strano che abbiamo cambiato le parti fra me e te; ma tu sei ben Socrate, con l'aggiunta di una grazia speciale che trasforma i sentimenti umani. Un abbraccio di cuore, tuo Luigi
Gela, 21 maggio 1931
Carissimo fratello, ieri ricevetti la tua del 15. Come vedi, sono ancora a Gela. Domani, a Dio piacendo, andrò a Niscemi. Ieri sera feci la conferenza su Sant'Agostino. Spero che il Santo dal cielo abbia pregato per noi. La palpitazione non va trascurata, né mi pare vada
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curata coi bagni. Io ritengo che derivi da esaurimento per mancanza di sole e di calore e un po' da eccesso di lavoro mentale. Se fumi ancora, smetti subito, perché la nicotina cagiona questo male. Gioverebbero, credo, i glicero fosfati e forse anche le iniezioni ricostituenti. Sto tanto in pena, e prego. Ma tu usati riguardi, te ne prego. Mi fai cenno della mia del 9. Non mi dici se ricevesti la mia del lo e del 6, né mi dici se hai ricevuto l'importo delle due procure. Qui il tempo è caldo, ma a me non dispiace. Mi piace assai il mare, che visito ogni giorno. Qui tutto è pastoralità. Poco o quasi nulla tavolino; molto occuparsi direttamente di anime. È il clima migliore. Meliorem partem. Certo passato è svanito, senza rimpianti. E sento che il Signore è così misericordioso coi figli che desiderano di far la sua santissima volontà. La sera assisto alla predica mariana. In questa matrice predica Mons. Li Destri. Poi dò la benedizione col Santissimo. La chiesa è affollatissima tutte le sere. La gente sta molto bene in chiesa e si accosta numerosa alla comunione. Io sto nella casa parrocchiale (fatta di recente) e mi sento un po' parroco. Prego tanto per te. Sento nel cuore le tue presenti sofferenze. E ora ti abbraccio. Tuo t Mario
[London, Paddingtonl, 21 maggio 1931
Carissimo fratello, ho ricevuto ieri la tua del 15. Sto bene; il raffreddore è passato; e il cuore ha i suoi alti e bassi, ma non m'impedisce la mia solita vita. Se Dio vuole, verrà il caldo. Non ho ricevuto la tua del 1 maggio; si sarà smarrita; è strano che da un certo tempo parecchie lettere si sono smarrite. Mi farai il piacere di ripetere quel che avevi scritto. Circa la casistica amerei che tenessi distinte la questione generale come posta dagli appunti (sui quali una tua risposta mi gioverebbe per il lavoro che fo) dalla questione della guerra giusta come posta nel libro, o nel caso pubblicato dal « Bollettino Internazionale Cattolico » di Parigi o dalla nostra speciale corrispondenza. Vorrei leggere tanto il primo scritto di Badi che il secondo. Per chi crede che l'opera d'arte sia pura forma, il pro-
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blema è risoluto nel puro estetismo; ma per chi crede che forma e soggetto sono nell'opera d'arte un tutto inscindibile, non può che essere oltrepassata la pura forma per la vita che viene da quel pensiero animato da quella forma. Mi sono espresso poco bene, perché ho fretta a far partire questa e prendere il treno in tempo. Ma ritornerò sull'argomento. Di' a Vincenzino che non ho ancora ricevuto il vaglia. Un abbraccio di cuore, tuo Luigi
Nicemi, 22 maggio 1931
Carissimo fratello, eccomi a Niscemi. Sono le 11,30. Ho lasciato Gela col desiderio del ritorno, tanta fertilità di coscienze ivi ho trovato. I1 parroco della matrice, arcid. F. Capeci, è un parroco modello. Quella, in atto, è la prima parrocchia della diocesi. Mai ho passato giorni più spiritualmente gioiosi. Anche questa matrice è una buona parrocchia. Stasera farò una conferenza. Domenica, Pentecoste, pontificale solenne. Oh la vita pastorale! I1 buon Dio mi compensa! Superabundo gaudio l . Tra tanta luce, la sola ombra è il pensiero di chi, dopo Dio, più amo in terra. Spero però che egli si dia il debito riposo. Meglio il tedio del riposo forzato, che la palpitazione. Col riposo e qualche ricostituente, passerà. Anche il caffè è controindicato. E bisogna smetterne l'uso. Io prego assai, con viva confidenza. Ritengo che il male si sia accresciuto per quel tal contrattempo. Ma ora, credo, che nemmeno lui ci pensi più. L'occuparmi di S. Agostino mi ha messo un certo pensiero: scrivere qualcosa sul problema della conversione, non come un tempo, sotto il rispetto psicologico, ma sotto il rispetto storico-filosofico. Se son rose, fioriranno. Certo non me ne occuperei nell'estate. Ora ho la volontà del lavoro lieve e pastorale, ed ho la revisione e coordinazione delia scelta dei sonetti. Sto bene, come mai: bene nel corpo e nello spirito, almeno come pace e letizia. Nelina mi scrive che sta benissimo. E ne godo tanto. La vidi così poco la
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buona sorella! Ma io vi ho presenti in ispirito e vivo con voi in comunione fraterna. Aspetto le tue buone novelle. Ti assicuro dell'ausilio delle mie preghiere e domando il tuo. Confido tanto nelle tue preghiere accorate. Ti abbraccio. Tuo t Mario
[London, Paddingtonl, 23 maggio 1931
Carissimo fratello, grazie assai delle cartoline mandatemi e di quella di Vincenzino. Cosi vi seguo con il pensiero. Ringrazio degli auguri per il mio 37" Sacerdotale anche Capece e don Giovanni, che mi saluterai. Sto bene, non ostante il freddo di questi giorni; ancora abbiamo in casa il fuoco acceso. H o letto nell'« Osservatore Romano » un articolo sul Ven. Innocenzo Marcinò ', dove è detto che il processo di beatificazione è in corso. Mi sono rallegrato della notizia, ma vorrei sapere se è ancora presso la curia diocesana ovvero a Roma e ce c'è speranza che sia portata avanti. Vincenzino mi ha mandato una cartolina della irnagine di Maria SS. dell'Alemanna di Gela. Avrei piacere di sapere donde deriva questa parola Alemanna. È una contrada? E tale nome è d'origine sveva? Il quadro o statua a quale epoca rimonta? Se puoi farmi avere tali notizie, mi farebbe piacere. Mi pare di averti scritto che non ricevetti la tua del lo maggio. Godo assai che la revisione dei sonetti vada avanti. Dove li pubblicherai? da Vecchi? Passando da Caltagirone, ricordami agli amici e presenta i miei omaggi a Mons. Vescovo. Prega per me. Un abbraccio di cuore, tuo Luigi
LETTERA895. 1. Innocenzo da Caltaghne, della famiglia Marcinò. Nato nel 1589, fu ministro provinciale e generale dei Cappuccini; insegnò filosofia e teologia, morì a Caltagirone nel 1665.
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Piazza Armerina, 26 maggio 1931
Carissimo fratello, ieri ho ricevuto la tua del 21. A Gela ricevetti la tua del 15. Penso che tu mi abbia scritto anche il 18, nel qual caso siamo a un nuovo smarrimento. Desidero saperlo. Io ti ho scritto i giorni 17, 19, 21, 22, e ieri. Spero che nessuna si sia smarrita. Nella mia del primo non ti scrivevo nulla d'importante. Solo insistevo sul punto dell'errore, e dicevo che negare la possibilità dell'errore circa la giustizia della guerra, è peccare d'apriorismo. L'estetismo non è il culto della pura forma, ma il porre, come ragione dell'etica, l'estetica. Né chi dice che l'arte è pura forma, nega davvero il contenuto, ma sostiene che il contenuto nell'arte non ha una funzione a parte né è distinguibile dalla forma. I n altre parole: dir che l'arte è forma, è dire che non fa l'arte il detto, ma il modo. Ed io così l'intendo. Ma son anche con te circa l'assorbimento della forma nel contenuto. Io ammirando, per esempio, il Bambino nel quadro mirabile di Raffaello (La belle jardinière del Louvre) non resto nell'ammirazione della pura forma, ma passo all'ammirazione di ciò che quel volto dice, come volto, come volto del Figlio della Vergine, ecc. È quel che tu hai ben espresso nella tua del 21. Sto bene. Penso alle tue sofferenze. Curati e riposa. I1 riposo è la prima cura. I1 vaglia fu spedito circa 1 5 giorni fa. Se più tarda, si faranno i debiti reclami. Ti abbraccio. Tuo
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Mario '
[London, Paddington], 26 maggio 1931
Carissimo fratello, ricevo la tua del 21. Ebbi la tua del 6 e quella del 12, ma non quella del 10; e poi le altre del 15.17.19 e 21. Sono contento di ricevere le tue notizie e di sentirmi sempre più a te vicino, e LETTERA 896. 1. L. S t u m annota in margine: sempre D.
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1-6. Suli'estetica d'accordo
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godere della tua serenità, gioia e pace nel lavoro pastorale e anche un po' nella tua Musa. I o sto bene, in genere. Le sofferenze che ho datano ormai da tre anni e più, ma sono tali che non m'impediscono il lavoro normale. Non fo più grandi sforzi di lavoro come un tempo. Non fumo da più di tre anni, non bevo vino né c d è etc. prendo ioduro e altre prescrizioni mediche. Come vedi mi curo più che non facevo un tempo. I bagni di Nauheim sono indicati e due anni fa mi fecero bene. Del resto per me non occorre altro che aria, passeggiate, sole (quando c'è). Oggi giornata calda, finalmente abbiamo spento i fuochi in camera. Non ho ricevuto il vaglia di Fondacaro. Appena lo riceverò gli scriverò. Vorrei avere la nuova pubblicazione di G. Perrotta sui tragici greci (Laterza - 16 Lire). Puoi farmela avere? Mi scrivesti che mi dovevi spedire certe bozze di stampa. Non le ho ricevute, così anche non ho ricevuto gli appunti. Se questa ti trova a Piazza, spero aver tutto presto. Un abbraccio di cuore tuo Luigi Dopo il 15 ti ho scritto il 18.21.23.
Piazza Armerina, 29 maggio 1931
Carissimo fratello, del Gog ' di Papini posso dirti che non l'ho letto, benché sia sul mio tavolino dal dì della sua pubblicazione, e che forse, non lo leggerò mai. Dai giudizi della stampa ho cavato che è una specie di romanzo con propositi apologetici, con posizioni impossibili, e anche con pagine magnifiche. I o poi, dopo la faticosa lettura della Storia di Cristo e Gli operai della Vigna, non sento troppa simpatia pel Papini. Non è filosofo, non è teologo, non è storico; è artista, ma a suo modo, ed è interessante quando dimentica di voler riuscir tale; il guaio è che egli posa a filosofo, teologo, storico e che so io. La Madonna dell'Alemanna è veramente d'origine sveva. Ti manderò qualche pubblicazione in merito, se riesco a ripescarla. Domani, a Dio piacendo, terrò S. Ordinazione, soLETTERA898. l . Cfr. lettera 886
nota.
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lenne, in Cattedrale, con l'intervento di tutto il Capitolo. Per me l'ordinazione è la funzione massima. Ho ripreso la revisione dei sonetti. Tra giorni ti scriverò il mio pensiero sulla questione della casistica, secondo gli appunti. Ti confesso però e ripeto che la crisi del mio spirito mi ha tolto il genio delle speculazioni filosofiche ed il gusto. Son passato in altro stato di mente. E son preso dai doveri pastorali in modo intenso e come se cominciassi ora a fare il vescovo. Prega per me. E credimi sempre. Tuo t Mario
[London Paddington], 29 maggio [l9311
Carissimo f?atello, ho ricevuto ieri sera tardi la tua del 22 da Niscemi. Come sono consolato a leggere: superabundo gaudio! non credere che io non senta di lontano un po' di gioia spirituale come eco alla tua, e che io non cerchi in tutto quel che è successo di conformarmi alla S. volontà di Dio. I1 soffrire è da uomo e il godere delle sofferenze è grazia grande del Signore. La mia salute non c'è male. Gli effetti della inaspettata e profonda impressione sono passati; il resto è con me potrei dire da ragazzo e da giovane, con l'aggiunta degli anni e delle fatiche. Ti ho scritto che lavoro quando posso, e in genere non eccedo mai. Mi piace che ti occupi di S. Agostino; c i problemi che desta quella gigantesca figura sono inesauribili. Di' a Vincenzino che ho ricevuto il vaglia. Grazie. Dopo quel libro su S. Francesco, che ti ho fatto inviare, ho riletto i Fioretti. Non ne avevo un ricordo chiaro da quando li lessi giovanetto. Ma mi sono piaciuti, oltre che spiritualmente, anche letterariamente in modo inaspettato. Forse dipende dallo stato d'animo. Grazie delle preghiere che fai per me; così anch'io per te, e che il S. Spirito c'infìammi nel divino servizio. Un abbraccio di cuore, tuo Luigi 2. L. Stuno annota in margine Gog.
SS. Sac.P.
a:
4.6. Kcw. App. Sta Giovanna d'Arco. Proc.
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900 Piazza h e r i n a , 1 giugno 1931
Carissimo fratello, rispondo alla tua del 26. I o il 10-5 non ti scrissi, ti avevo scritto il 9, cartolina da te certo ricevuta, perché ne trovo cenno in una tua. H o letto a momenti gli appunti sul probabilismo. A h c h é io possa trattar l'argomento come reale e non come immaginario, ho bisogno di conoscere qualche autore che affermi i vari punti della critica. I o dubito forte che ci siano autori cattolici che sostengano l'indifferentismo etico o il puro esteriorismo. Quando alcuni per esempio affermano che la guerra possa esser giusta dalle due parti, non dicono che possa esser tale oggettivamente ma solo soggettivamente, cioè, che ciascuna delle due parti si forma una convinzione personale, la quale potrà esser oggettivamente vera o errata. Così quando si dice che possa scegliersi a piacere tra le due contrarie opinioni probabili, non si dice che ciò possa farsi come puro arbitrio, tanto meno che si possa nello stesso tempo scegliere l'una per un verso e l'altra per un altro, ma solamente che non consta della soluzione vera. E perciò, scelta l'una, tutte le conseguenze devono dipendere da quella e non dalla contraria. Circa il pericolo della esteriorizzazione, io osservo che tal pericolo non c'è, o se c'è, c'è per chi ama di giocare con la sua coscienza, cioè, per chi non ha buona coscienza. Tutti abbiamo momenti d'incertezze etiche circa date azioni particolari. Domandar consiglio e agire in sua conformità, è formarsi la coscienza, aderendo alla coscienza di chi ci consiglia, che reputiamo, non solo sapiente, ma onesto. Questo è il mio pensiero. I n tal senso furono scritte le mie varie cartoline su questo argomento. Ora desidero che facciamo punto. Parliamo d'estetica owero del problema dell'autorità nella filosofia, per chiarire il dubbio di chi crede che l'autorità sia un estraspeculativo, cioè, un di là dalla filosofia. Sto molto bene. Lavoro in materia pastorale. E non cerco altro. Ti abbraccio. Tuo t Mario
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[London, Paddington], 1 giugno 1931
Carissimo fratello, io ho ricevuto tutte le tue cartoline, ma vedo che tu non hai. ricevuto la mia del 18 maggio. Non ho preso nota quindi non ricordo quel che ti scrivevo. In una ti parlavo della mia salute, che va benino, e che per ora ha bisogno di sole e di caldo. Qui continuano i venti freddi o dell'est o dell'ovest alternativamente ed abbiamo riacceso i fuochi nella casa. Ma oramai non c'è che questo mese. In altra o nella stessa ti dicevo che desideravo riavere gli appunti e avere il tuo parere su di essi, senza attendere la lettura del libro sulla guerra né riunire insieme le due questioni. La prima questione (quella degli appunti) m'interessa per il lavoro che ho tra le mani. Non mi ricordo di altro in modo specifico, solo aggiungevo che mi interessa molto il tema che tu mi suggerivi da studiare, ma non per adesso che sto lavorando in altro genere di studi. Sono d'accordo con te circa le idee estetiche; anche su questo argomento tornerò più in l&, per uno studio da fare. Ho ricevuto la « Dublin Review » e i giornali. Ringrazio Vincenzino. Ti ho scritto il 18,21, 23, 26 e 29. Un abbraccio di cuore Luigi . Domandavo anche che ne sai della Beatificazione del Ven.
Innocenza Marcinò.
Piazza Armerina, 3 giugno 1931
Carissimo fratello, anticipo d'un giorno, temendo di non aver tempo domani che è Corpus. Ma domani nella soave processione, pregherò per te in modo speciale. I1 31 maggio fu inaugurato il nuovo quadro della Madonna di Pompei, la copia del quadro stupendo del Sassoferrato, come ti scrissi. La copia è veramente bella. E cosi abbiamo eIiminato una brutta oleografia. Ora Alinari esegue una copia del San Giuseppe di Guido Reni per Valguarnera, cioè,
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per la Chiesa di S. Giuseppe edificata su disegno di S. Fragapane. La parte centrale della chiesa è finita da un anno e vi si celebra. Mancava il quadro. I o ho indicato la anzidetta copia. L'originale credo sia il più bel quadro di S. Giuseppe che esista. Vivo, come vedi, d'arte, dalla poesia alla pittura ed anche alla scultura, perché ho già fatto fare diverse statue in legno da artisti di grido. I1 lavoro di rinnovazione artistica delle chiese è più che ai primi passi. Sto benissimo. I1 lavoro delle parrocchie è buono. Ho parecchie parrocchie che potrebbero dirsi modello, Gela, Butera, Niscemi, Villarosa, Valguarnera sopra tutto. E spero che anche le altre non restino indietro. Ti abbraccio con fraterno affetto. Tuo t Mario
[London, Paddington], 4 giugno 1931 Festa del SS. Sacramento
Carissimo fratello, ricevo la tua del 29 maggio. Mi duole di averti scritto che desideravo il tuo parere sugli appunti. Ma fosti tu stesso a scrivermi che tornando a Piazza li avresti guardati. Se ti dà noia, lasciali li, e fammeli rimandare indietro. Non c'è affatto urgenza, e potrò riprendere l'argomento al mio ritorno a Londra dopo le vacanze. I1 tempo mite mi fa bene: non è certo il caldo e il sole che io desidero. Se non leggerai mai il Gog, mandamelo pure; chissà che non lo leggerò io. Anch'io ho le stesse sensazioni tue sulle pubblicazioni papiniane. Qui sono molto interessati del 5" Centenario della morte, cioè del supplizio di S. Giovanna d'Arco (30 maggio scorso) e ci discutono intorno protestanti e cattolici circa il diritto di coscienza da S. Giovanna affermato contro i suoi giudici ecclesiastici. I protestanti ne vogliono fare una loro precursore [sicl . I n Francia esaltano S. Giovanna solo come la Santa patriota, e nazionalista, anche nelle prediche, dandovi un tono troppo profano. Oggi festa del SS. Sacramento ricordo le processioni della nostra cara Caltagirone, e vi assisto in pensiero, benché forse quest'anno non vi sarà come il solito. Prego tanto il Signore in questi giorni. E tu prega per me, come sempre. Un abbraccio di cuore, tuo Luigi
LUIGI E MARIO STURZO
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Piazza Armerina, 5 giugno 1931
Carissimo fratello, sento ancora il profumo delle rose della processione di ieri e un po' il profumo della grazia. Bella, silenziosa, raccolta come mai. Pregai tanto per te. Spero che l'anima tua abbia awertito il tocco delle divine misericordie. Ti scrissi il 3, anticipando d'un giorno. Anche oggi anticipo. Pel libro sui tragici greci fu scritto. Appena lo riceverai, avvisami, A c h é io possa mandare l'importo d'editore. I1 lavoro di revisione dei sonetti procede più spedito di prima. E sono a buon punto. Verrà, come io prevedo, un volumetio di un centinaio di sonetti. Sarà edito da Vecchi con ogni cura. Vorrei farvi una prefazione. Che ne dici? Ti sono stati inviati gli appunti e le pagine del prof. Banfi più le bozze. Queste non furono corrette. Tu saprai capire gli errori di stampa. Io non posso più occuparmi di tal materia, nemmeno per la correzione di quelle bozze, rimaste inedite. Sento una invincibile ripugnanza. E credo di non aver torto. Tu mi comprendi. Sto molto bene. I1 lavoro mi è soave e gradito. Forse farò qualche altro viaggetto in diocesi, prima che avanzi la stagione del caldo, che non è per me la più propizia. Poi conto di andare al mare, a Gela, per le vacanze. Ma ancora non son del tutto deciso. Dammi le tue nuove. E prega per me. Tuo afE.mo fratello t Mario
[London, Paddington], 6 giugno 1931
Carissimo fratello, ricevo la tua del lo del mese. Anch'io fo punto sulla questione della casistica (Appunti): mi duole che ti abbia data questa noia. Non sono persuaso delle tue osservazioni, ma non c'insisto più. Forse un giorno potremo ritornare sul tema e c'intenderemo. H o letto la polemica Gemelli-Banfi. I1 tema è interessante; il d a c i l e sta farlo bene, cioè trovare il punto centrale e a fuoco. I o credo che la critica fondamentale va fatta al concetto di filosofia come equivalente di conoscenza sistematica razionale; difEe-
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renziata in contrapposto a teologia come conoscenza sistematica del super-razionale. Ogni conoscenza è filosofia, anche la conoscenza (razionale e storica) del super-razionale. Ed ogni conoscenza è teologia, anche la conoscenza del cosidetto puro razionale. La vita non è scindibile. La distinzione di Filosofia da Teologia opportuna nel suo valore analitico, divenne dal sec. XVII in poi divorzio e opposizione, per poi la stessa Filosofia naturalistica e umanistica divenire a sua volta teologia di un Dio imaginario (panteismo, idealismo, positivismo). I cattolici, seguendo il metodo del razionalismo del sec. XVIII, anch'essi divisero filosofia da teologia e vollero fare della Filosofia pura, cioè dell'analisi, e omisero spesso la sintesi iilosofia-teologia, che è nella natura del pensiero. Dico spesso perché i platonici mantennero le linee di una tale sintesi. Questo è per me il punto di partenza. I1 resto altra volta. Un abbraccio, tuo Luigi
Piazza Armerina, 8 giugno 1931
Carissimo fratello, la tua del 1" mi giunse dopo che la mia del 5 era alla posta. Benedetto sole. Se potessi mandarti un po' del nostro caldo, ci guadagneremmo tutti e due. Io, grazie a Dio, sto molto bene e lavoro con ottime disposizioni. La scelta dei sonetti è quasi finita, dico, la scelta e la limatura. Ora mi tocca il lavoro di coordinazione, che io penso come più difficile. S'intende che con la coordinazione farò una nuova revisione. Se sapessi con che gusto faccio questo lavoro! Temo a volte di guastare. A volte parmi di riuscir bene. Il tempo dirà l'ultima parola. Come ti ho già scritto, il numero dei sonetti varcherà di poco il centinaio; il che significa che ne ho preso il meno del cinquanta per cento. Penso che è meglio qualcuno di meno, che far entrar nel nuovo lavoro qualche sonetto men riuscito. I1 guaio è che l'autore è, più o meno, sempre benevolo verso le sue cose. Se potessi sentire il tuo parere! Anche a ciò ho pensato qualche volta. E forse lo farò: ti manderò una copia del lavoro, quando sarà finito, anche se ciò dovesse cagionare qualche ritardo alla sua pubblicazione. Procura di riposare al
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possibile. Credi a me, il riposo è il miglior'farmaco per codesto male. Prova, te ne prego. Quando si sta bene, si fa in un giorno, quel che in caso contrario, non si farebbe in una settimana, e si fa meglio. San Luigi ti assista. Io lo prego per te. E ti anticipo gli auguri. Del resto il 21 non è molto lontano. Ti abbraccio con fraterno-vivissimo d e t t o . Tuo t Mario
[London, Paddington] , 9 giugno 1931
Carissimo fratello, ricevo la tua del 3. Ti ringrazio di avere anticipato un giorno. Godo della tua attività pastorale e della riforma artistica delle tue Chiese. Continuo la mia del 6 (spero non ti dispiaccia). Ogni teologia, che non sia pura speculazione e analisi, ha riferimento ad una religione positiva; e ogni religione positiva ha sua formazione in una tradizione, che direttamente o no, in forma pura o con mescolanze impure, deriva dalla rivelazione di Dio all'uomo. Tutte le teologie storiche hanno quindi un contenuto limite mistico, che fa parte della sintesi teologia-filosofia del pensiero (vedi cartolina precedente). I1 tentativo di risolvere ogni contenuto mistico (ricco o povero che sia nelle varie religioni) in razionale è la spinta a filosofarvi attorno; ogni richiamo religioso positivo (autorità) a mantenere l'elemento mistico nella sua autonomia è un limite esterno al filosofare, che deriva dal limite interno della eteronomia del pensiero razionale-mistico. Coloro che si oppongono ad un intervento religioso esterno (autorità) hanno per conto loro negato I'eteronomia del pensiero, impoverendolo deli'elemento mistico, rendendo la teologia una forma analitistica, e riducendo il pensiero a pura razionalità. La filosofia che ne deriva non supera il suo sforzo analitico. Tale sforzo è utile, come la riduzione della materia a formule geometriche; le quali però non rappresentano mai il concreto vivente. I1 razionalismo del sec. XVII, da cui deriva la filosofia d'oggi, era basato sulla concezione geometrico-meccanica del mondo. Un abbraccio Luigi
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Piazza Atmerina, 11 giugno 1931
Carissimo fratello, scrivo breve e in fretta per mancanza di tempo. H o ricevuto già la tua del 1815. M'avea seguito a Niscemi. Ieri ho ricevuto la tua del 6 corr. Tu imposti il problema parzialmente. Non si nega l'unità di filosofia e teologia, ma il dato per autorità, cioè, l'autorità. Ora io desidero. sentire il tuo pensiero proprio su questo punto. Sto bene. È fin d'anno scolastico, e il seminario m'assorbe. Ti abbraccio. Tuo aff.mo fratello Mario
[London, Paddington], 12 giugno 1931 Festa del SS. Cuore di Gesù
Carissimo fratello, ricordo la cara chiesetta del Cuore di Gesù a Caltagirone, la nostra amata sorella Margherita, i fraticelli Sacerdoti Di Bernardo, il Canonico Cremona. Grazie della tua del 5 e delle preghiere per me. H o ricevuto il libro sui Tragici Greci. Perché no una prefazione ai sonetti? Mi pare che vada bene anzi sia necessaria. Posso trattenere le bozze di stampa inviatemi? Sarebbero per me un ricordo. Continuo la mia del 9. Quale limite dell'intervento dell'autorità (fattore esterno) per mantenere l'elemento mistico nella sua autonomia di fronte all'invadenza del razionale? Bisogna tenere presente due dati: il primo è che il limite interiore dell'elemento mistico in confronto al razionale è per sé inesprimibile ed è strettamente intuitivo; il secondo che l'intervento deli'autorità è un fatto sociale, come l'autorità stessa è un fatto sociale. Se mancasse la società mancherebbe l'autorità e viceversa. I1 limite adunque dell'autorità (speculativamente parlando) sta nell'equilibrio della concezione mistica e della risultante sociale della religione. I1 che costituisce il fatto e il processo storico di ogni religione. Per noi il fatto e il processo sono quelli del Cristianesimo Cattolico e della concezione concreta dell'autorità che ne deriva. Può l'autorità concreta o storica valicare quel limite? Personalmente sì, ma social-
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mente no, nel senso che la società ha in sé le riserve della reazione a ristabilire l'equilibrio. Tutto il processo storico è caratterizzato da questo moto verso l'equilibrio. Sto bene. Un abbraccio, tuo Luigi
[London, Paddington], 13 giugno 1931
Carissimo fratello, ricevo la tua dell'8. Godo che stai bene. Avrò gran piacere a rileggere i tuoi sonetti: fra invio e ritorno non perderai più di 15 giorni. Io sto così così. H o sospeso ogni lavoro; del resto occorre mettere un po' d'ordine prima che io lasci Londra per la fine del mese. H o anche molta corrispondenza arretrata. Queste cartoline non mi affaticano. Continuo la mia di ieri. Nel moto verso l'equilibrio può accadere che le parti s'invertano sì che coloro che si muovono in difesa della ragione contribuiscono ad un più profondo senso mistico, e coloro che difendono la religione anche come autorità contribuiscono a garentire meglio i diritti della ragione. Un esempio classico è la lotta fra il misticismo di S. Bernardo e il nascente scolasticismo di Abelardo; fra il misticismo di Gioacchino da Fiore e del Francescanesimo (il vero e il pseudo) e il razionalismo aristotelico-scolastico l . Nel primo caso l'autorità religiosa è con i mistici e nel secondo è con gli scolastici. I n questo moto hanno un loro posto tutte le deviazioni panteistiche e irnmanentistiche che sembrano dovute al razionalismo, ma in sostanza sono l'effetto di volere risolvere l'uno per l'altro (ragione e mistero) e quindi confondere i due elementi irriducibili. Ma per questo stesso le deviazioni contribuiscono più o meno, negativamente o positivamente, all'equilibrio dei due elementi. Un abbraccio, tuo Luigi LETTERA 910. 1. Ci si riferisce qui alla spiritualità legata con S. Bernardo (sec. XI) alla ascetica medioevale, con Gioacchino da Fiore ad un misticismo fondato sulla « intelligentia spiritualis » diretta della Rivelazione cristiana e ad un escatologismo relativo alla attesa di una età di rigenerazione pensata come età dello Spirito Santo. I1 Libellus de essentia Trinitatis contra Lombardum, in cui Gioacchino negava l'unità di essenza delle persone trinitarie, fu condannato dal Concilio Lateranense IV (1215).
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Piazza Armerina, 14 giugno 1931
Carissimo fratello, la tua del 9 m'interessa molto. Ma essa non mi pare che ponga il problema nei suoi veri termini. Nega l'autorità la filosofia che nega l'estrasoggettivo. Che tale filosofia si riduca a << uno sforzo analitico solamente », non mi pare esatto. Del resto il puro sforzo analitico per me non esiste. I1 problema posto da Banfi e dagli altri è questo, cioè, che l'autorità è l'estraspeculativo, il non filosofia; e quindi che una iilosofia che è connessa con l'autorità, come la scolastica, è, non una filosofia, ma una teologia, non il processo, ma la stasi. Prima di polemizzare con gli avversari, poniamo il problema nella sua generalità. L'autorità pura (quella di Dio) può mai risolversi in filosofia? Tu dici nella tua del 6 (tanto interessante) che ciò avviene per fatto naturale. Tu non usi questa parola, ma il senso è quello. A te si risponde che la filosofia che è teologia, e la teologia che è filosofia, è il pensamento speculativo, la teologia naturale o razionale, non la positiva. Ora il problema riguarda quest'ultima. Intorno alla pura autorità noi ragioniamo, ma sempre intorno ad un aspetto estraspeculativo. Nota ciò, e rispondimi su ciò, non per accademia, ma perché io ancora non trovo una ragione che mi soddisfi. E lascia, per ora, le quistioni marginali. Sto benissimo. Lavoro e ringrazio il buon Dio e prego per te. Tuo f' Mario
[London, Paddington], 15 giugno 1931
Carissimo fratello, nella mia di sabato (13/6) non potei compire il mio pensiero, e quindi fo seguito con questa di oggi. Tenendo presente lo sviluppo del processo storico, si nota che, essendo l'autorità sociale principio di conservazione, è d'istinto opposta a quel che sembra turbare la tradizione, anche se tale tradizione sia divenuta in parte rigida e formalistica. Onde tutti i movimenti di rinnovazione
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di pensiero prendono carattere razionale e antitradizionale; perciò l'autorità o coloro che stanno dal lato organizzativo, vi si oppongono in nome della tradizione, fino a chi il pensiero di rinnovazione, corretto dalle sue improvvisazioni e incanalato nella tradizione vi prende il suo posto. Così la Chiesa fu contro il platonismo e poi lo fece suo; fu contro l'aristotelismo e poi lo accettò; fu contro il movimento scientifico sperimentale e poi se ne fece protettrice. Onde il Card. Newman diceva che l'errore (o l'eresia) è spesso una verità in anticipo l. Come adunque stabilire dei limiti fissi e statici in questo dinamismo processuale? Vi saranno sempre coloro che a un lato o all'altro travalicano i limiti, perché è nella natura stessa del processo; ma senza le spinte e le controspinte non potrebbe svilupparsi nessun movimento. Non so se ti annoio, ma credo che a chiarirti il mio pensiero basterà un'altra o altre due cartoline. Sto bene. Un abbraccio. Grazie degli auguri anticipati. Tuo Luigi
[London, Paddingtonl, 17 giugno 1931
Carissimo fratello, ricevo la tua dell'li; godo che stai bene e sei preso dal lavoro. La mia del 6 era la prima cartolina, seguita poi da quelle del 9, 12, 13 e 15; oggi è la 6" che ti scrivo sul tema. Scrivo senza un piano prestabilito le idee che ho in mente. Quando avrò finito mi farai le tue osservazioni che aspetto con interesse. Continuo la mia del 15. Uno degli elementi necessari alla tradizione religiosa è la formulazione delle verità rivelate (misteri). Anche in questo caso il linguaggio è un segno di idee e di imagini, però non potendosi i misteri ideare e imaginare che per analogie, così il linguaggio è analogico. Occorre che le analogie e le parole corrispondenti siano tali da non contenere nulla di estraneo, di impuro, di inesatto. Onde un processo speciale di discussioni e di LETTERA912. 1. John Henry Newman (1801-1890), cardinale e scrittore di origine protestante, divenne prima sacerdote anglicano e quindi si convertì al cattolicesimo. La sua opera fu prevalentemente tesa a combattere il liberaiismo teologico.
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precisazioni sia circa l'elemento analogico e rappresentativo sia circa le espressioni tecnico-linguistiche. E poiché questi elementi sono presi dalla conoscenza e dal linguaggio comune (che è anche filosofia) occorrerà fissarli in forma definitiva anche nella loro razionalità, in quanto questa porta l'elemento analogico alla enunciabilità del dogma. Esempio: la Trinità tre persone e una natura. Le parole non spiegano il mistero, ma fissano le idee di natura e persona necessarie all'enunciato dogmatico. Quel sistema filosofico che nega una distinzione fra natura e persona non potrebbe fornire l'analogia all'enunciato suddetto. Sto bene. Un abbraccio, di cuore, tuo Luigi
Piazza Armerina, 17 giugno 1931
Carissimo fratello, ricevetti ieri la tua del 12 e stamani quella del 13. Grazie. Le bozze le puoi trattenere, perché ne ho altre copie, le quali resteranno sempre oziose, almeno riguardo a me. Fiat. I sonetti li manderò quando saranno a posto. Te ne manderò un doppione, così non avrai l'incomodo di rimandarli. Il mio lavoro di revisione, che andava a vele gonfìe, si è quasi fermato, pel caldo eccessivo e ancora fuori stagione che ci tormenta da una settimana. I1 cielo non ha più nuvole o vapori, non vento. I1 centigrado segna un massimo di 30 che accenna a salire, ancora. Le notti non son diverse dai giorni. Noi sogliamo avere tali calori in agosto. I o vi soffro. Non son più atto al lavoro di pensiero e scrittura. Ma non è certo il purgatorio. E poi non durerà a lungo. Non è questa la nostra temperatura normale. Comunque, io faccio bene il lavoro di diocesi, e questo è quel che preme. Non interloquisco sulia quistione dell'autorità e filosofia, perché aspetto che tu risponda alla mia del 14. Tu ora tratti altro aspetto su cui discuterò dopo. Non ostante il caldo eccessivo, sto bene e, cosa rara nel caldo, dormo tranquillo. Se potessi mandare a te il di più di caldo che abbiamo! Ecco: tu soffri pel freddo, io pel caldo. È il mondo. Prego per te, ti rinnovo gli auguri onomastici e ti abbraccio. Tuo
t Mario
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[London, Paddington], 19 giugno 1931
Carissimo fratello, finisco con questa le mie note sul problema filosofia-teologia. Poi aspetto le tue impressioni. Ripeto le mie note sono pensieri sviluppatesi sopra una linea, ma senza completa coordinazione. Continuo la mia del 1716. Non può negarsi che tutte le formule sono relative al pensiero del tempo quando vengono formulate; e siccome il pensiero muta o si evolve, così per ben comprendere le formule occorre rifarsi al pensiero del tempo. È questa la interpretazione storica delle formule. Ma nel pensiero religioso che è un pensiero vivente, non può ammettersi che una formula sia divenuta pezzo archeologico disseccato e fuori del pensiero vissuto. Onde due vie si tengono sempre nella Chiesa: quella di insistere principalmente sul mistero religioso nel suo valore di fede, e quella di ravvivare la formula espressivo-analogica per un sistema ilosofico tradizionale che ne spiega il valore metafisico preminente. Ciò non ostante una dacoltà si suole affacciare; e cioè che certe espressioni pur ravvivate in un sistema filosofico, non hanno più nel mondo scientifico lo stesso significato: come per esempio le parole sostanza e accidente, natura e persona, ecc. La dif€icoltà è però superabile se alle parole surriferite si dà soprattutto il valore di linguaggio comune, senza riferimenti scientifici, per precisare l'elemento oggettivo su cui si basa l'analogia del mistero mettendo il significato metafisico in relazione e spiegazione del pensiero comune. (Fine). Sto bene e spero il lo di luglio di andare via da Londra. Ti scriverò l'indirizzo, fino a che non l'avrai scriverai qua come il solito. Un abbraccio, tuo Luigi
Piazza Armeiina, 20 giugno 1931
Carissimo fratello, la tua del 13 mostra più chiaramente che tu tratti altro problema. Nelle mie dell'll e del 14 ti dicevo qual è il problema che desidero studiato e chiarito. Quello che tratti tu non ha per
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me nessuna difìicoltà e nessuna novità, tranne il riferimento mistico, che io reputo mal impostato e che ora non m'interessa Se filosofia dice speculazione, non dice autorità, che è dornmaticith. Se poi risolve parola dell'autorità in speculazione, l'autorità scompare e resta la speculazione. Ciò nel puro domma non avviene mai, non può avvenire. Tu dici che anche il domma si razionalizza. Ma non dici, e non puoi dire che si risolve in speculazione. Ciò significa che il domma resta domma, e che l'uomo vi ragiona attorno come può. Ma la sua speculazione attorno al domma è un sistemare la nomenclatura del domma in .una data filosofia. Non è dunque un diventar filosofia che fa il domma, ma un parlarne in termini filosofici che facciamo noi. Ti prego vivamente di non continuare sul tuo tema e di studiare questo. Domani è S. Luigi, che il Signore ti benedica e consoli. I1 caldo s'è mitizzato, ed io ho ripreso la penna in mano molto ben disposto. Auguri e abbracci. Tuo t Mario -
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[London, Paddington], 20 giugno 1931
Carissimo fratello, ricevo la tua del 14 e rispondo subito. Io nego, nella realtà, la divisione della filosofia dalla teologia come due termini opposti e sotto l'aspetto razionale in contraddizione e quindi escludentisi. Affermo che la teologia naturale speculativa è una astrazione teorica o meglio esercizio intellettualistico. La filosofia-teologia è storia e viceversa. Ora la storia ci dà religioni positive concrete miste di razionalità e di mistero. I1 nostro pensiero è insieme razionalità e mistero. La filosofia non può fare a meno del mistero e non può ridurlo a mera razionalità. Io adunque baso la mia tesi . sulla eteronornia del pensiero (razionalità e mistero) sulla eteronomia della sistemazione del pensiero (filosofia e teologia) sulla eteronomia della storia (umanesimo e rivelazione). Non può darsi vera storia senza la concezione della creazione e della caduta; né vera filosofia senza la concezione dell'assoluto misterioso. Coloro che ne fanno a meno credono di ridurre tutto a razionalità, ma creano attorno a sé misteri irrazionali e ripugnanti, come la ma-
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teria eterna, o lo spirito attuantesi o il principio dualistico di bene e di male. L'autorità esterna è un postulato sociale; il padre, il maestro, il magistrato, il sacerdote, e tutti esprimono un lato del completamento dell'individuo nella società. La pura razionalità individuale è doppia incompletezza, sia perché manca l'altro termine dell'eteronomia interna (il mistero) sia perché manca la sua risoluzione nella società. Tuo Luigi
[London, Paddington], 21 giugno 1931 Festa di S. Luigi
Carissimo fratello, ti sento con me nella preghiera e vorrei sentirti ancora di più nel fervore e nella dedizione completa. Sto bene. Ieri ho voluto chiarire il mio punto di vista, oggi mi metto sul punto di vista di altri. Gli avversari per filosofare rivendicano la completa libertà di pensiero da qualsiasi limitazione che non derivi dal pensiero stesso. Nel fatto questa libertà non è mai assoluta, perché in ciascun di noi sono limiti estraintellettualistici dati dall'ambiente, dall'insegnamento, dal vivere sociale, religioso, ecc., che condizionano e limitano il nostro speculare filosofico. Entro questi limiti natzirali, sviluppandosi la nostra attitudine a filosofare, esige un primo grado di libertà che è quella del metodo e della ricerca. Questa libertà non può essere contestata. L'abuso dell'ipse dixit è un abuso e quindi al di là del retto metodo di filosofare. È vero che la Chiesa suggerisce e inculca una filosofia, ma non per questo esclude la libertà del metodo e della ricerca filosofica. L'altra è la libertà di merito, cioè di accettare o no qualsiasi teoria filosofica. Questa come libertà interiore è fittizia ed inesistente. In filosofia si cerca la verità: di fronte ad essa non vi è libertà. Interiormente noi siamo legati al nostro filosofare se crediamo essere la verità. Se entra il dubbio, dubiteremo, se ci accorgiamo di avere sbagliato, rigetteremo l'errore. Segue in altra cartolina. Un abbraccio, tuo Luigi
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Piazza Armerina, 23 giugno 1931
Carissimo fratello, ho ricevuto la tua del 17 e dopo due giorni quella del 15. Non mi secco, perché sei tu che mi scrivi di tali quistioni, ma, come ti ho detto più volte, non mi ci appassiono. I1 tuo problema se aveva del nuovo quando toccava della mistica (del nuovo, ma forse non del vero) ora è entrato nella parte comune o vecchia. Io aspetto che tu finalmente affronti il problema come te l'ho prospettato io specialmente nelle mie dell'll e del 14. I1 caldo è tornato estenuante. Ma io mi ci sono un po' assuefatto; ho incominciato i bagni; e posso dire che non ci soffro più. Vedremo in seguito. Ieri mio ventottesimo della preconizzazione, celebrai nella cappella del seminario e ricevetti il voto oblatizio di due novelli membri, i due sacerdoti da me ordinati il 30 maggio. I1 21, giorno a me tanto caro, promossi alla prima tonsura quattro alunni e agli ordini dell'esorcistato e accolitato sei altri. Bel giorno e bella festa. Son quasi tutti aspiranti oblati. La diocesi ormai conosce i nostri oblati, li stima, apprezza e preferisce. Anche il vecchio clero li stima e apprezza. Son sacerdoti in senso più vero e pieno. I1 lavoro dei sonetti volge al suo termine, dico, la prima revisione. Come avrò fatta la seconda, che sarà breve, te ne manderò copia. Prego per te assai. E ti abbraccio. Tuo '/' Mario -
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[London, Paddington], 23 giugno 1931
Carissimo fratello, vedo che il soggetto mi trascina a scrivere, e dire che non ci avevo mai riflettuto sopra di proposito. I1 limite religioso al nostro ragionare (per i credenti) prima che un limite esterno e sociale (autorità) è un limite interno (eteronomia del mistero). Gli avversari ci accusano di non essere liberi nel filosofare perché accettiamo un limite esterno; ma essi non comprendono che il li-
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mite è per sé interno intrinseco al ragionare, perché essi concepisconosolo l'autorità esterna senza la-fede interna che è convinzione del mistero. Anche essi al ragionare hanno un limite sia interiore che esterno (sociale). Interiore è il loro pregiudizio antireligioso che li rende incapaci di apprendere I'eteronomia del mistero; è la loro convinzione che tutto si traduce in conoscenza razionale, per cui sono costretti a fare delle costruzioni arbitrarie dell'irrazionalizzabile e del super-razionale. Esteriore è il vincolo sociale della scuola e dell'ambiente in cui vivono; e il loro stesso pregiudizio diviene una pseudo-autorità a cui cedono molte volte. L'autorità quale essa sia, può essere deficiente o eccessiva, male o bene applicata, può rispondere a momenti e bisogni eccezionali, essere guida owero ostacolo; essa è prevalente praticità; è sempre interprete dell'eteronomia interna insopprimibile. Sto bene. Dal 28 giugno in poi scrivimi all'H6tel de I'Avenir - 65 Rue Madame Paris (VI) poi ti darò l'altro indirizzo. Un abbraccio, tuo Luigi
Piazza Armerina, 26 giugno 1931
Carissimo fratello, ho ricevuto tutte le tue cartoline, compresa quella del 21, nella quale dici di metterti nel punto di vista degli altri. Ma nemmeno in quest'ultima tu tratti il mio problema. E perciò tento di ripresentartelo in termini più precisi. Supponiamo una plaga della terra separata dal resto, dove gli uomini non abbiano il senso della vista. Supponiamo che per un caso eccezionale capiti ll un uomo con la vista, il quale a quegli uomini senza vista parli del vedere, delle forme visive, dei colori, ecc. Supponiamo che questo forestiero muoia prima d'effettuare il ritorno, e che con lui finisca ogni comunicazione di quelli con noi. Quelli dunque saprebbero della funzione visiva quanto loro ne disse il forestiero e ciò saprebbero nei termini in cui quello si espresse. Ma quelli avrebbero vera conoscenza del vedere e dei veduti? No. Essi non potrebbero fare che analogie, cioè, non potrebbero che riferire al loro modo di conos c e r e nuovo modi loro rivelato dal forestiero. Ma volendo par-
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larne e scriverne, essi non si potrebbero allontanare da quanto ne fu loro detto e scritto dal forestiero. Il caso di quell'immaginario popolo sarebbe di non poter mai risolvere in speculazione vera il lor ragionare sull'atto visivo, perché ad esso mancherebbe appunto la vera cognizione per visione. Le rivelazioni sulla vista non per questo dovrebbero venir distrutte o negate o spregiate; anzi per loro sarebbero una conquista, ma non sarebbero mai elemento di speculazione propria. Fa il rapporto alla fede ed avrai il mio problema. Sto bene. Abbracci t Mario
[London, Paddington], 26 giugno 1931
Carissimo fratello, sono dolente di avere insistito con varie cartoline sul mio punto di vista; ma a quest'ora le avrai lette con sopportazione. Alla tua del 14 ho risposto con le mie del 20, 21 e 23, ma leggendo la tua cartolina del 20 mi accorgo che neanche in tali cartoline ho preso il tuo punto di vista. La divergenza che ci rende difficile la mutua comprensione credo che risieda nel fatto che io ammetto come limite del pensiero ragionativo quello che io ho chiamato eteronomia del mistero, la quale è soprannaturale, ma è anche naturale. Nella nostra conoscekza vi sonò sempre dei residui non riducibili a razionalità (ti ricordi l'irrazionale di Meyerson?). Noi non sappiamo che cosa siano la vita, il fuoco, l'elettricità, e pure vi ragioniamo sopra e vi costruiamo sistemi scientifici. In grado diverso si incontra il mistero soprannaturale e intrinseco. Inoltre io guardo l'autorità come un fatto sociale, che risponde nella sua funzione alle esigenze pratiche della eteronomia umana. Scusami se ti annoio. Sto bene. Un abbraccio, tuo Luigi H o ricevuto il Gog.
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Piazza Armerina, 28 giugno 1931
Carissimo fratello, ricevo la tua del 23. Tu ancora non sei entrato nel problema del prof. Banfl circa l'estraspeculativo. L'estraspeculativo è ciò di cui non si ha conoscenza che per autorità, cioè, ciò alla cui conoscenza manca a noi o la facoltà-potenza, o la capacità. Io ho concretato ciò in un caso fantastico, ma efficace, il popolo privo dell'organo e del senso del vedere. Per un tal ipotetico popolo colori, forme visive ecc. sono un estraspeculativo. Esso popolo non potrà mai ragionare sull'atto e oggetto del vedere, perché gli manca la potenza visiva. Esso ragionerà solo sulle parole udite da1 forestiero veggente, ma con ragionamento d'analogie sempre inefficaci. I1 caso che tu studi è toto coelo diverso, dico meglio: è toto coelo diversa la tua impostazione. Tu parli di autorità sociale, ecc. Tutti gli esempi che tu rechi sono inefficaci, perché circa quelle cognizioni l'uomo ha le facoltà corrispondenti, e quindi la capacità a speculare. L'autorità umana è autorità, ma non è fuori della speculazione. I limiti umani son limiti, ma sono nella speculazione. Ogni uomo perciò, mentre rifà in sé quelle cognizioni, ne fa la critica, le afferma o nega. Ciò non può fare circa la rivelazione dei misteri. Qui i termini son dati, ma son l'analogo. La mente umana è di fronte all'autorità della Chiesa, che solo ha il diritto di dir la parola che non svisa la rivelazione. Ogni ragionamento umano su quei dommi, non va mai al termine dei medesimi, e solo si aggira sul campo delle analogie. Sto bene. I1 caldo è eccessivo. Ma passerà. Tuo t Mario
[Londonl, 28 giugno 1931
Carissimo fratello, ricevo la tua del 23. A me sembrava che nuovo e vecchio prendevano colore diverso tale da interessare. Tu scrivevi nella tua del 20: « la filosofia dice speculazione, non autorità; e se ri-
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solve la parola autorità in speculazione l'autorità scompare e resta la speculazione ». Siamo d'accordo, se tu nella parola speculazione includi i margini dell'irrazionale cioè l'eteronomia del mistero, e se alla parola autorità dai il significato sociale esterno. Fare della filosofia il puro razionale è astrattismo. La iilosofia si converte con la storia. Questa è un misto di razionale e di irrazionale (o mistero in senso lato). La filosofia interpreta questa realtà, ma non la risolve né la supera; perché la ragione umana non ha facoltà né a risolverla né a superarla. Se poi per filosofia si intende il sistema del puro razionale, allora se ne fa una branca del sapere umano, più o meno distaccata dal resto, costruzione intellettualistica, esercizio speculativo, ipotesi teoriche, che serviranno alla vera filosofia come elementi da assimilare o da rigettare. Ecco perché io fin dalla cartolina del 6 corrente precisai che filosofia (storia) e teologia positiva (storia) sono conoscenza sistematica, cioè filosofia nel vero senso del termine. I filosofi rigettano come estranea la teologia positiva perché rigettano la rivelazione. Ora l'uomo è storicamente inconcepibile senza la rivelazione primitiva. Sto bene e aspetto i sonetti con impazienza. Tuo Luigi
Piazza Armerina, 30 giugno 1931
Carissimo fratello, continuo sul tema delle mie del 26 e del 28. I1 dentro e il fuori, trattando del problema dell'estraspeculativo, non può identificarsi col soggettivo e l'oggettivo. Anche l'oggettivo è dentro, non però quanto all'essere, ma solo quanto al conoscere. Fuori c'è il puro analogo, che è una non-conoscenza della quale si sa qudche cosa solo per autorità. Ricorda l'esempio dell'ipotetico popolo privo del senso della vista. I1 visto per esso è ignoto, ed è sempre ignoto a chi manca, per natura, di vista. Che cosa fa conoscere la parola del veggente? Questo solo, che ci sono uomini con un altro senso che si chiama vista. La qual notizia non si acquista, dai non veggenti, per speculazione, ma per rivelazione owero diciamo per informazione parte di autorità, parte di comunicazione
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propriamente conoscitiva. Infatti se tra il non-veggente e il veggente non ci fosse la comunicazione conoscitiva-speculativa sotto il rispetto degli altri sensi, nessuna comunicazione tra loro sarebbe possibile. I1 veggente, parlando di vista, parla di un senso; il non veggente intende senso, ma non intende vista, intende che la vista è un altro senso che hanno altri esseri, e pensa il vedere come non è, cioè, lo pensa in analogia o coll'udire o coll'odorare o col toccare. Ne parla analogicamente e non mai speculativamente, e ne parla attenendosi alle espressioni usate dal veggente che per lui restano immobili. Questo il problema. Accanto a questo tu certamente vedi la soluzione che noi credenti diamo, cioè, che la cognizione di pura autorità, mentre non è filosofia, conviene ad essa. Sto bene. Mario
[London, Paddington], 30 giugno 1931
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Carissimo fratello, ho mezz'ora libera nel prepararmi a partire e rispondo alla tua del 26. L'analogia che fai non è completa; devi aggiungere che il forastiero avea promesso la vista a coloro che si sottoponevano a un determinato sistema. Essi allora vi speculeranno attorno, come potranno, ma a fine pratico determinato. Dico ciò, perché conoscenza non pratica ed estravolitiva non se ne dà, o si risolve nella pura soddisfazione del momento conoscitivo, che è una praticità. Alla speculazione umana occorrono sempre due elementi uno conoscitivo (comunque sia) e uno pratico (in re o in spe). Inoltre, tutto è oggetto della speculazione umana anche quel che non è risolvibile (per se o per accidens) in razionalità. Tutti gli studiosi delle esperienze religiose, anche se sono di tendenze razionaliste, finiscono per ammettere la natura super-razionale o estrarazionale di tali esperienze. La filosofia che non tiene conto della conoscenza del mistero e della esperienza religiosa è una filosofia astrattistica perché non tiene conto della storia. Tu distingui nel caso dei ciechi la visione vera da quella solo imaginata per analogia, perché tu hai esperienza diretta della prima. Tu invece dovresti fare il paragone fra i ciechi che credono al forestiero e perciò
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cercano di imaginare per analogia e coloro che non ci credono e negano ogni sforzo imaginativo. Coloro che imaginano per analogia avranno per punto di partenza la esistenza reale del forestiero che vedeva. Da quel giorno la loro storia è cambiata. Sto bene. Tuo Luigi
Paris, 1 luglio 1931 Hotel de 1'Avenir 65, rue Madame
Carissimo fratello, sono arrivato a Parigi dopo un ottimo viaggio, e qui ho trovato Nelina, che era arrivata tre ore prima. Stiamo bene e ti mandiamo i più fervidi saluti fraterni, e ringraziamo Dio che ci concede la consolazione di rivederci. Finalmente qui trovo caldo. Un abbraccio. Nelina desidera sapere se hai ricevuto la stoffa; altrimenti scrivi subito per il reclamo da farsi. Insieme alla sorella sempre tuo Luigi
Piazza Armerina, 2 luglio 1931
Carissimo fratello, leggo la tua del 28 giugno. Tu sei ancora fuori del vero problema. Ma dopo le mie del 26, 28 e 30 giugno, spero che ne abbia preso il giusto termine. Ciò che i filosofi del pensiero moderno negano, non è che l'inconoscibile proposto all'uomo da chi lo conosce. Essi non formulano così il problema, ma il vero suo senso è questo. La natura di Dio, l'unione del Verbo, 1'Eucaristia ecc. sono misteri, cioè incomprensibili, cioè inconoscibili. Quello che noi ne conosciamo è l'analogo, cioè, altra cosa. E questo analogo lo conosciamo (come analogo a quei misteri) perché un'autorità ce lo derma, la qual autorità (Dio e poi la Chiesa) non ci parla in termini propri, ché da noi non sarebbero percepiti, ma in termini analoghi, cioè, ci parlano nel nostro linguaggio.
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Tutto quello che è nostro linguaggio è filosofia, storia, società, realtà, ciò che tu reputi come eterogeneo. Invece il vero eterogeneo è il mistero. Noi con la ragione giungiamo a conoscere l'esistenza di Dio, e in certo senso la natura; ciò conosciamo, perché il contingente è relativo all'assoluto. Qui è ancora filosofia, storia ecc. Quel che ci dice la rivelazione dei puri misteri è per noi quaggiù il puro inconoscibile. Perciò dicono i nostri avversari, che resta fuori della filosofia, intesa anche come la intendi tu. Io dico che hanno ragione sino a questo punto. Hanno però torto, quando negano la rivelazione. La pura rivelazione è la pura teologia, è l'autorità. Ecco il problema e merita d'essere bene approfondito. Sto bene. Tuo Mario
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[Paris], 4 luglio 1931
Carissimo fratello, ho ricevuto qui le tue del 26 e del 28 scorso. Oggi o domani tu riceverai la mia del 30 giugno dove mi sforzavo di prendere il tuo punto di vista. Chiamare il mistero l'estraspeculativo non mi sembra esatto; la mente umana specula (o ragiona) attorno a quello che essa può ridurre a ragionamento o meglio razionalità. Ecco perché io dico che anche il mistero (come l'irrazionale naturale) è conoscenza umana. È vero che il mistero soprannaturale è annunciato attraverso la Parola rivelata, conservata e insegnata dalla Chiesa. Ma la ragione umana ha tutto il suo diritto attorno al fatto storico della Rivelazione e al fatto storico e sociale della Chiesa. Parlare della Rivelazione come di un puro estraspeculativo e perciò come di un elemento estraneo alla conoscenza umana, è non capire né l'esistenza naturale del mistero né la storia. Perciò io chiamo quella filosofia astrattistica. È tale perché la mentalità filosofica comune è di formazione classica (greca) che era mentalità astorica, e solo geometrico-filosofica; mentre la mentalità ebraica era storica e concreta. I1 cristianesimo ha tentato in vari gradi la fusione delle due mentalità. Stiamo bene; pensiamo a te; quando andrai in villeggiatura? Un abbraccio, tuo Luigi
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Piazza Armerina, 5 luglio 1931
Carissimo fratello, ricevo a momenti la tua del lo. Godo con voi assai. H o ricevuto la stoffa ed il soprabito è già lì, bello, leggiero, elegante. Grazie alla buona sorella, alla quale non scrissi appena ricevuta la stoffa, pel timore di non far a tempo. Torno al mio problema, che è il problema dell'umanità tutta e dovrebbe venire studiato senza fretta. Tu ancora non ne hai colto bene i termini. Ti sfugge ancora il vero punto. I1 cieco nato non potrà mai speculare sul vedere, perché non potrà mai sapere cosa sia vedere. Egli può solo speculare sulla rivelazione che gliene vien fatta dal veggente, per la quale acquista la notizia che c'è un altro senso, questo solo. I1 resto è analogia; il veggente non gli può dare che analogia; egli non può speculare che su analogie. I1 che vuol dire che egli non può speculare sul vedere, che è proprio il termine su cui vorrebbe speculare. I1 caso del mistero, che l'uomo afferma per proprio ragionamento, è diverso. L'uomo col suo ragionamento pone solo l'analogo, cioè. scopre il mistero come esistenza e non come natura. In questo caso il dualismo di rivelante e credente non c'è. Perciò io respingo tali casi dal presente problema. È tornato il caldo bruciante. Questa è la più calda estate che io ricordi. Sto bene. Fate buona villeggiatura e pregate pel vostro t Mario
Piazza Armerina, 7 luglio 1931
Carissimo fratello, spero che finalmente io mi sia spiegato meno peggio, da farti vedere quel che io voglio dire circa il problema dell'estraspeculativo. Comunque, non nuocerà recare altri chiarimenti. Tutto ciò che l'uomo pensa come conquista delle sue intuizioni e inquisizioni, è speculazione, è filosofia. È ciò anche quando è l'assoluto vero e proprio. Dico cosi in quanto alla nozione dell'assoluto l'uomo perviene per virtù propria. Invece tutto ciò che l'uomo,
LUIGI E MARIO STURZO
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da sé, in quanto uomo, non è capace di conoscere, e di cui gli è data notizia da un essere d'ordine superiore (Dio, l'angelo) non può mai diventare oggetto di speculazione, non può mai diventare filosofia. I1 rivelante adopera, nella rivelazione, il linguaggio che l'uomo conosce, ma l'adopera analogicamente. L'uomo acquista la conoscenza delle cose rivelate, analogicamente. Tu dici: su ciò specula. Ed è così. Ma questa speculazione è filosofia della nomenclatura non della natura. O meglio è fede. E non è vera speculazione perché non è fatta per virtù d'intuizione ed inquisizione, ma per autorità. La rivelazione, per lui, è un dato immobile. Chi parla d'evoluzione dei dommi (veri e propri), ne parla secundum quid. Sto bene. I1 caldo infierisce come mai. Le notti son peggiori dei giorni. Io però, grazie a Dio, sopporto bene il caldo quest'anno. A Nelina tante cose. A tutti e due un fraterno amplesso
t
Mario
[Paris], 7 luglio 1931
,
Carissimo fratello, ho ricevuto la tua del 2 c.m. e ti risponderò appena ho un po' di tempo libero. Ora sono troppo preso. Da quando ti arriva questa ci scriverai a Kettelerheim Pensionshaus - 5, Lindenstrasse Bad Nauheirn (Germania). Stiamo bene. Ricordiamo la tua visita qui cinque anni fa; come passa il tempo! Come desidero un'altra visita simile. Ma il meglio è far la volontà di Dio. Un abbraccio di cuore, tuo, insieme a Nelina Luigi
Piazza Armerina, 9 luglio 1931
Carissimo fratello, la tua del 4 mi fa dir quel che non ho detto, cioè, che la conoscenza del mistero sia estranea ecc. Io ho detto e ridico che L E ~ R932. A
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Cartolina illustrata: Notre Dame, Paris.
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il puro mistero per noi in questo mondo è il puro inconoscibile come essenza, e solamente possiamo per rivelazione saperne l'esistenza e sapere analogicamente come occorre parlare di ciò che riguarda l'essenza. E questo (teologicamente) è certo, e il tuo dissentire mi sorprende. Tu picchi sull'equivoco della speculazione intorno all'analogo. E dico: equivoco, perché ciò io l'affermo; invece io nego che si possa speculare sull'essenza dei misteri, cioè, che la conoscenza analoga risolvere in conoscenza propria. Qui l'astrattismo greco . e il realismo ebraico non ci hanno che vedere. I1 problema è tutto cristiano, ed è risoluto con altre parole, che hanno lo stesso senso, dalla nostra teologia. I o me lo sono riproposto in questi nuovi termini, perché penso che ciò gioverebbe alia critica del pensiero moderno e alla chiarificazione filosofica della tesi teologica. Tutto ciò vedo con somma chiarezza, e penso che tu abbia letto con troppa fretta le mie cartoline, per scrivere quel che vai scrivendo. Farei punto su questo problema, se non ne sentissi tutta l'importanza e se io potessi, come in altro tempo, stampare senza sospetti, le mie acquisizioni. Ti abbraccio con Nelina Mario
[Strasbourg], 10 luglio 1931
Carissimo fratello, ti mandiamo un caldo saluto dalla bella Strasburgo dove ci siamo fermati di passaggio per Nauheim. Stiamo bene. Pensiamo a te. ~omenicaricorderemo insieme la cara Margherita che prega per noi. Un abbraccio di cuore Luigi Nelina
LETTERA934.
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Cartolina illustrata con la Cattedrale di Strasburgo.
LUIGI E MARIO STURZO
- CARTEGGIO
935 [Bad Nauheim], 12 luglio 1931
Carissimo fratello, ieri siamo arrivati a Bad Nauheim, ed abbiamo trovato buon tempo, ma non il caldo che hai tu. Grazie a Dio stiamo bene. Oggi ricordiamo la cara sorella Margherita. Nelina è contenta che la stoffa ti sia piaciuta. A leggere le tue del 2 e del 5 mi sembra che tu abbia unito due temi: il primo (quale io lo compresi) era che la filosofia dei cattolici veniva negata essere vera flosofia per I'intervento di un'autorità (Chiesa) che limitasse (e quindi negasse) la speculazione libera. I1 secondo che il mistero rivelato sia per sé inconoscibile, e che quel che ci conosce sia una semplice analogia, che, come tale, o dovrebbe essere oggetto di libera speculazione ovvero, nella negativa, essere lasciato alla pura teologia positiva. I o ti ho scritto del primo, il quale implica l'eterogeneità del mistero, e per l'organizzazione sociale, implica l'autorità. Nulla avrei da aggiungere a quel modo di intendere, in filosofia, e la vita religiosa e la vita sociale. Circa il mistero super-razionale, del quale abbiamo conoscenza analogica, per una rivelazione storica, tu dici che qui non c'è conoscenza. A me ciò non sembra esatto: la conoscenza-analogica del mistero e quella storica del fatto sono vere conoscenze. La razionalità è intrinseca alla conoscenza, quale ne sia il grado, il modo e l'obbietto. Qui si tratta di conoscenza analogica; di accordo: anche di molte cose naturali abbiamo, in certo senso, conoscenza analogica, e per me questa è vera conoscenza ad modum cognoscentis. Ecco il punto di divergenza. Un abbraccio di cuore, tuo Luigi
Piazza Armerina, 12 luglio 1931
Carissimo fratello, mi unisco a te e a Nelina nel raccoglimento della preghiera espiatrice in questo nono anniversario della morte della nostra santa sorella Margherita. Dopo la tua del 4 non ho più vostre nuove.
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Io sto bene in questa canicola insolita e veramente bruciante; anzi un po' anche ci godo. Circa il problema a cui do tanta importanza, o meglio, che è tanto importante, ti prego di considerare che è, non il problema, ma la tesi di quasi tutti i filosofi non credenti. A me pare atto semplicistico il passarsene con dire che quella è maniera astratta di considerare il problema. L'astratto sta sempre e necessariamente in rapporto a un concreto. Ora quei filosofi, negando ogni trascendente personale, nel lor pensiero non hanno questo concreto, e quindi nel lor sistema la loro non è astrazione. Comunque, dato l'errore, è anche dato il dovere di conoscerlo bene, per confutarlo bene. Col tuo modo (il vecchio modo dei vecchi apologisti) di parlare, tu, non cogli la tesi degli avversari e tu non fai di essa nessuna critica, ma solo dici cose che son trovate buone dal campo a te &e, e che, in uitimo, iasciano il tempo che trovano. I1 sac. D. Luigi Caruso, tesoriere della nostra Cattedrale (nostra, cioè, patria) ha pubblicato un libro su Caltagirone l . Te lo ha mandato? In caso contrario te ne manderò io una copia, desiderando il tuo giudizio. Non mi far troppo desiderare le vostre nuove e credimi con Nelina, aff.mo fratello t Mario
Piazza Armerina, 15 lugiio 1931
Carissimo fratello, ricevo le tue sino a quella del 12. Ancora no, non prendi il problema, ancora sei nell'altra sponda, nella sponda vecchia. Ben è vero che nella cognizione che Banfi chiama speculativa, c'è anche il cognito solo per analogia, ma quell'analogia è speculativa, infatti è processuale. L'anima cos'è? Cosa diciamo dell'anima che non sia analogico? Ma noi conosciamo l'anima pel pensiero, ed abbiamo coscienza del pensiero, perché è atto di cognizione. Nella pura speculazione c'è un domma dell'anima, cioè, una dottrina immobile? No. Ora pensa per un poco al caso dell'uomo ipotetico privo del senso della vista. Cosa sa egli del vedere? Propriamente nulla. LETTERA 936. 1. Su Luigi Camso (Calatinus) cfr. lettera 13, nota 1.
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LUIGI E MARIO STURZO - CARTEGGIO
Data la rivelazione che a lui fa il veggente, cosa acquista? Solo una cognizione analogica, non per speculazione, ma per autorità pura. - Tu dici: ma il cieco per natura, avuta la rivelazione del vedere, vi ragiona su? Benissimo. Ma come vi ragiona? Unicamente attenendosi alle parole del rivelante. Queste per lui sono insuperabili, son fisse, sono un domma. Son però un domma non sterile, non inammissibile, ma sono un domrna che - rivelando una realtà - accresce il campo delle cognizioni del cieco, si storicizza pure restando - per il cieco - fuori della pura speculazione. Cod io dico che il domma puro e la pura speculazione fanno la filosofia integrale, la storia integrale, ecc. Sto bene. Abbracci. Tuo t Mario
Bad Nauheirn, 16 luglio 1931
Carissimo fratello, l'ultima tua, rinviatami qui da Parigi, è del 5 del mese. Così siamo da più di una settimana senza tue notizie; forse ci -sarà stato qualche disguido postale. I1 nostro indirizzo qui è, come ti scrissi, Kettelerheim - 5, Lindenstrasse - Bad Nauheim. Abbiamo cominciato la cura; anche Nelina. I1 medico dice che mi farà bene. I1 bagno è un giorno sì e un giorno no; e nel giorno del bagno si passano parecchie ore a letto. Altrimenti si va a passeggio lungo i parchi che sono bellissimi. Come vedi, siamo molto occupati. E spesso parliamo di te e pensiamo a te e ti vorremmo con noi. Spero di ricevere stasera la tua tanto attesa. Prega per noi, ne abbiamo tanto bisogno. I1 tempo è molto fresco, buono per Nelina, ma non per me. Nelina mi ha detto che Mons. Vescovo di Caltagirone vorrebbe la parrocchia ai Cappuccini e non al Ponte, la cui Chiesa è in cattive condizioni. Che ne pensi? E non è il caso di deciderci ed affrettare la soluzione? Un abbraccio da ambedue, tuo Luigi
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939 [Bad Nauheim], 18 luglio 1931
Carissimo fratello, ricevo la tua del 7 e del 9 c.m. Non ancora siamo di accordo sui termini. I1 problema della conoscenza analogica del mistero soprannaturale e il problema della conoscenza diretta del naturale hanno un fondo comune nella razionalità; se così non fosse, non ci sarebbe conoscenza affatto. I o torno ad un mio vecchio motivo, del quale un tempo abbiamo scritto a lungo: la conoscenza ragionativa è estrinseca a fondo descrittivo-analogico; noi conosciamo una cosa per l'altra trasportando i termini. La prima trasposizione è dal soggetto all'oggetto: questa è analogia antropomorfica, Su questa sono basate le altre analogie. Inoltre: ogni conoscenza è istintivamente pratica; l'elemento praticità entra in ogni ragionamento. Tutto lo sforzo dell'intelligenza umana tende a superare lo stadio pratico e quello analogico per penetrare la natura delle cose; su questo tentativo è basata la filosofia speculativa. Noi crediamo di aver raggiunto la vera conoscenza delle cose quando abbiamo fatto una costruzione sistematica di quel che le cose ci hanno appreso, cioè l'esperienza vissuta (storia). Onde la nostra sistemazione intellettiva non esce dalla esperienza vissuta (storia). I n tale esperienza vi è anche la Rivelazione, che è appresa o come vera Rivelazione, o come costruzione umana. Secondo le varie sistemazioni intellettive, basate sulle esperienze individuali e collettive. La fede incomincia là dove l'esperienza storica si trasforma in esperienza mistica individuale (fedele) e collettiva (Chiesa). Stiamo bene. Un abbraccio di cuore, tuo sempre Luigi
Bad Nauheim, 20 luglio 1931
Aggiungo due parole, per dirti che sto bene e che stamane ho ricevuto le tue del 12 e del 15. Quello che tu mi scrivi in queste, in prosecuzione delle precedenti, mi interessa, come tutto quello che tu pensi e scrivi, sia per il soggetto in sé, sia per le tue idee.
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Riconosco che non ho preso bene la linea del problema da te posto, ma anche tu che nelle mie vedi una vecchia mentalità e deila usuale apologia mi sembra che non abbia preso la mia linea. Parliamo un differente linguaggio, forse perché nella mente nostra abbiamo punti di riferimento e obbiettivi differenti. Ma d i ciò in altra mia. Prega per me. L. Caruso mi ha scritto che mandava il suo lavoro, ma ancora non mi è arrivato. Un abbraccio, tuo Luigi '
94 1 [Bad Nauheim], 21 luglio 1931
Carissimo fratello, queste sono alcune postille alla conversazione che andiamo facendo: la Tu conchiudi la tua del 15 così: <{ I1 domma puro e la pura speculazione fanno la filosofia integrale, la storia integrale, ecc. D. Nella mia del 6 giugno, la la della serie, ti scrivevo: << Ogni conoscenza è filosofia, anche la conoscenza razionale e storica del super-razionale. E ogni conoscenza è teologia, anche la conoscenza del puro razionale. La vita (storia) non è scindibile ». Mi vuoi dire quale la differenza sostanziale dei due enunciati, salvo il fraseggio? 2" I fiIosofi avversari credono di non cadere nell'astrattismo, come credono di essere nella verità. Ma essi trascurano il concreto della esperienza storica, che ci dà insieme iI razionale e il misterioso; cioè l'eteronomia della vita che è insuperabile, di cui fa parte l'esperienza religiosa, che senza la rivelazione non può comprendersi in concreto il Cristianesimo, che non può ridursi a fatto naturale. Gli idealisti affermano la storiafilosofia, ma poi fanno della filosofia antistorica e perciò astratLETTERA940. 1. Diamo qui di seguito la prima parte della cartolina scritta da Nelina: u Carissimo fratello, ho fatto passare troppo tempo senza scriverti ma ha supplito il caro fratello il quale ti ha date mie nuove. Stiamo bene tutti e due in questo gaio paesetto, pieno di verde, di fiori, di fresco, questo non piace tanto a Luigi, ma io ne sono entusiasta poiché col caldo di Roma mi sentivo esaurita. Penso a te, caro fratello, chissà come soffritai costà... ma perché non vai al mare? Vi è sempre la brezza marina che ristora un po'. Abbiti riguardi e immagino come funzie nerà il ventilatori0 elettrico. Son contenta che la stoffa ti sia piaciuta e per la qualità e per la leggerezza. Vai a fare la cerimonia per il matrimonio di Vaccaro? Lascio a Luigi il largo e ti abbraccio affettuosamente Nelina P.
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tistica. 3" I miei ragionamenti non sono vecchi motivi estranei al pensiero moderno (concretezza); ma si basano su due elementi concreti: la storia-filosofia e l'eteronomia del mistero; supero quindi tanto l'astrattismo ontologico quanto il razionalismo illuministico. 4" .Quel che mi differenzia da te è il linguaggio: tu parli di puro speculatiuo, io di conoscitivo, perché io contesto, in parte, il valore della pura speculazione. Tu sottolinei il distacco del puro speculativo dal puro dommatico; io ci trovo la base comune nella razionalità e nel valore della conoscenza analogica. Non nego le differenze sostanziali, nego il distacco che se ci fosse non avremmo il concreto storico; nel quale natura e sopranatura sono fusi insieme facendo l'uomo storico (cioè concreto) elevato caduto e redento. Stiamo bene. Un abbraccio, tuo Luigi
Piazza Armerina, 21 luglio 1931
Carissimo fratello, noi camminiamo su due parallele e non c'incontreremo forse mai. Quel che tu dici nella tua del 18, da sé, è verissimo. È la mia tesi che poi è un po' quella di S. Tommaso: noi conosciamo le cose le une per le altre. Or questo non è conoscenza analogica, ma rapportuale. S. Tommaso, per es., dice che conosciamo la vita per il moto. I1 che significa che chiamiamo vivi gli esseri automoventisi, e non vivi quelli che ricevono il moto dall'esterno. Ma abbiamo anche le conoscenze analogiche, e l'abbiamo di quegli esseri di cui non si dà intuizione, come, per es., l'anima. In tutto questo campo la nostra conoscenza è speculativa (nel senso voluto dal prof. Banfi ecc.), perché tutto troviamo da noi, e perché tutto è processuale pel fatto della contingenza e relatività. I1 caso del cieco per natura o della rivelazione del puro soprannaturale è irriducibilmente diverso. Noi di esso non intuiamo nulla. Prima privazione. Noi per inquisizione non scopriamo nulla del puro soprannaturale. Seconda privazione. Noi dunque non ragioniamo che sui termini dati dal rivelante. Tu dici (ed a ragione) che senza un punto comune non si dà conoscenza. Ma io ti ho già scritto
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che il punto comune è il nostro modo di conoscere, il qual punto è dato dal rivelante che parla a noi non il suo linguaggio, ma il nostro. Come vedi, questo è un problema toto coelo diverso dal problema che tu studi. Sto bene. I1 tempo si mantiene meno bruciante, ma sempre caldo e sereno. Ti ho mandato il libro del Tesoriere Luigi Caruso, in suo nome. A te e a ~e1.a le cose più fraterne. Tuo t Mario
Piazza Armerina, 24 luglio 1931
Caro fratello, la tua in seno alla cartolina di Nelina mi ha recato tan'to piacere. Sino a questo punto il tuo atteggiamento verso il mio problema mi era sembrato freddo. Ciò mi duoleva, perché io credevo di proporre al tuo studio un problema fondamentale, non nuovo nella sostanza, ma certo nuovo nella forma. Ora vedo che m'ero ingannato. E te ne ringrazio. Io però non dispregio il tuo problema. Tutt'altro. Ma lo reputo più o meno risoluto e più o meno adattato. Pronto a discutere sul medesimo, ma in sede separata, anche per evitare la confusione. I1 mio problema è altra cosa, ed è bene marcare la difEerenza. B. Croce nell'articolo su S. Camillo (« Critica » di questo mese) dice - dopo aver lodato l'azione ospedaliera del Santo - che le formulazioni dommatiche della Controriforma sono sterili e sterilizzanti. Ecco. Qui il mio problema solo può recar luce. E tu lo comprenderai. I1 tuo farebbe sorridere Croce, il mio potrebbe farlo pensare. Riposate, state sani, godete e amatemi. Vostro afE.mo fratello t Mario ' LETTERA943. 1. La lettera è preceduta da queste parole indirizzate a Nelina: «Carissima soreiia, con quanto piacere ho riveduto i tuoi amati caratteri. Certo sarei più contento se li rivedessi più spesso e più ricchi di belle notizie di luoghi e circostanze. &L mi basta saper che stai bene con l'amato fratello. Qui abbiamo avuto un mese di caldo spietato. Ora da una settimana fa fresco. I o però questianno non soffro ai caldo. I1 prof. M. Vaccam celebrerà le sue nozze il 29. Le benedirò io, a Dio piacendo. Così faccio i'anniversario, perché lo scorso anno benedissi le nozze Spadaro Gravina ii 30 luglio. Mons. V. Fondacaro fu a Caltagirone il 22 per la reluizione. Non ho ancora notizie, ma spero che tutto sia stato fatto e fatto in regoh. Ed ora parlo un po' ai carissimo fratello ».
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[Bad Nauheim], 24 luglio 1931
Carissimo fratello, ho ricevuto la tua del 18. Godiamo che stai bene, nonostante il gran caldo. Noi stiamo bene. Da due giorni abbiamo sole e temperatura gradevole. H o ricevuto il libro di Calatinus, che leggerò. Grazie. Tanti auguri a Vaccaro da parte nostra. I1 19 abbiamo pregato per te, e ricordato quei giorni, or sono 28 anni. H o riletto le tue cartoline per afferrare il problema che mi sfugge. Non mi pare che io ci sia arrivato. È una pena per me. A me sembra che i nostri avversari ci contestano ildiritto di filosofare perché essi non arrivano alla concezione' di un Dio personale, assoluto. La loro teologia è il panteismo. Essi credono di arrivarci con la ragione, ed è questa una loro fede, sia pure fede nella ragione. Tu dici che il loro panteismo è speculativo, mentre la nostra teologia è l'estraspeculativo. Ma per i nostri avversari (che non arnmettono un Dio personale e una Rivelazione) il cosidetto estraspeculativo si riduce ad una mitizzazione di idee speculative. Quindi per loro Cristianesimo, paganesimo, buddismo ecc., si equivalgono. Per loro non esiste un puro estraspeculativo, esiste un pseudo-speculativo o pseudo estraspeculativo, il che è diverso. E quando essi ci contestano il diritto di far della filosofia, è non perché parliamo della Trinità o dell'Incarnazione, come misteri rivelati, ma perché noi ammettiamo un'autorità esterna (Chiesa) che limita il nostro speculare. Sarebbe lo stesso (secondo il loro apprezzamento) se filosofi di un partito, ammettessero la limitazione al loro speculare da parte della direzione del partito. Pertanto, a me sembra che la parola estraspeczrlatiuo ha per te un significato (verità soprannaturale) e per il tuo supposto avversario idealista un altro significato (idea mitizzata). Manca così il mezzo termine univoco e il ragionamento (per me) non va avanti. Un abbraccio di cuore, insieme a Nelina, dal tuo Luigi
LUIGI E MARIO STURZO
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[Bad Nauheim], 27 luglio 1931
Carissimo fratello, ricevo la tua del 21. Avendoti inviata la mia del 24, credo che troverai la chiave del nostro diverso modo di guardare il problema. I n quella io ti scrivevo che il significato dell'estra-speculativo non è lo stesso per il credente e per il non-credente. Per il credente è il Rivelante che parla di misteri incomprensibili con linguaggio umano a significato analogico; ma il non credente non ammettendo la rivelazione e il mistero soprannaturale, ne trova una spiegazione umana: cioè risolve il per lui preteso estraspeculativo in semplice speculativo. Onde l'estraspeculativo cesserebbe di esser tale perché sarebbe spiegato razionalmente. I1 problema va messo, secondo me, così: 1) cercare il punto comune fra noi e gli avversari; e questo punto è l'esperienza storica con la sua razionalità ed eteronomia; 2) ammettere (come ti scrivevo nella mia del 18) che « la fede incomincia là dove l'esperienza storica si trasforma in esperienza mistica individuale (fedele) e collettiva (Chiesa) ». Gli avversari che non arrivano alla fede non possono conoscere teoreticamente e praticamente la vera sintesi del reale, cioè il vero concreto, che è la sintesi storica del naturale e del soprannaturale. I1 che, invece, possono conoscere non solo i cristiani ma tutti i credenti in Dio, i quali, in quanto credenti in Dio, non possono non avere, in qualche modo, esperienza e convinzione della decadenza umana e della necessità redentrice e liberatrice. Questo compresero e sentirono filosofi dell'antichità come Platone, Plotino, Pitagora e lo stesso Aristotele; e perciò fecero più o meno della filosofia concreta; mentre positivisti e idealisti moderni fanno della filosofia astrattistica. Ecco il punto fermo per me. Stiamo bene e sul finire di questa cura. Un abbraccio dai due Luigi
ANNO 1931
946 Piazza Armerina, 27 luglio 1931
Caro, spero che avrai visto un po' il libro del nostro Don L. Caruso. Te ne spedii copia in suo nome il 18. Circa il mio problema, a chiarimento di quanto ho sin ora scritto dico che conoscenza senza speculazione non se ne dà, proprio perché conoscere è speculare. E sin qui tu hai ragione. Però coloro che sostengono che la rivelazione pura resta estraspeculativa, intendono dire che resta fuori della conoscenza, cioè, ignota circa la natura dell'oggetto rivelato, come resta ignoto cosa sia il vedere, al cieco nato a cui di esso si parla. I1 mio pensiero è questo, che noi acquistiamo notizia dell'essere o esistere di dati misteri, ma non possiamo acquistare cognizione di quel che essi sono. E su ciò non possiamo speculare, e invece speculiamo sull'analogo con cui è fatta la rivelazione, e con ciò, speculiamo bensì, ma non speculiamo sui termini propri che ignoriamo. Va bene? Sto bene. Penso a voi spesso e per voi prego. Vostro aff.mo fratello
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Mario '
[Bad Nauheim], 30 luglio 1931
Carissimo fratello, riceviamo la tua del 24 e godiamo che tu stai bene. Anche noi stiamo bene, benché il tempo per me non sia abbastanza caldo, anzi è piuttosto freddo. Ma siamo già quasi per muoverci. Tu ci LETTERA946. 1. La lettera è preceduta da alcune righe indirizzate d a sorella Nelina: << Carissima sorella, la reluizione avvenne regolarmente. È stata assistita con somma cura e solo per tale assistenza diligente è risultata cod, cioè, con un vantaggio che poteva mancare, se non fosse stata accudita con amore e competenza. I1 tempo si mantiene discreto in quanto a caldo, ma sempre sereno. Il canone reluito appartenendo a Luigi sta a sua disposizione. Domani, a Dio piacendo, andrò in patria, e dopo domani benedirò le nozze del prof. Vaccaro. Chi sa che non saranno mistiche come lo scorso anno quelle altre. Tornerò in sede lo stesso giorno. Ti lascio, per dir una parola al fratello ».
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LUIGI E MARIO STURZO
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scriverai ancora qui fìn che ti avviserò del nuovo indirizzo. Come potevi pensare che io non m'interessavo del problema, quando (con questa) sono 20 cartoline che ti ho scritto sull'argomento? I1 guaio è che io non comprendo affatto come per te siano due problemi, il tuo e il mio, mentre per me sono lo stesso problema. Forse le tue risposte alle mie cartoline del 21, 24 e 27 luglio mi faranno luce. Anch'io ho letto l'articolo di Croce su S. Camillo; e la sua frase finale indica chiaramente che egli non coglie il valore storico dei problemi teologici in seno al Cristianesimo, che sono insieme problemi mistici e problemi razionali, che si traducono quindi in attività spirituale etica politica economica e artistica cioè in vita e storia '. Ecco perché io insisto nel ritenere che la loro filosofia è astrattistica e antistorica, pur avendo marcato (ed è qui la tragedia) il valore della filosofia concreta e storicistica. Al prof. Vaccaro i nostri migliori auguri. Attendiamo notizie della tua gita nella bella Caltagirone. Nelina ed io' ti abbracciamo di cuore, tuo Luigi 948 Piazza Armerina, 31 luglio 1931
Carissimo fratello, le tue del 21 e del 24 mi arrivano insieme. Torno dalla mia gita. La cerimonia in S. Giorgio andò molto bene. Uditorio scelto e composto. Nella Messa molte comunioni. Gli sposi sereni come son serene e un po' fredde le pitture di lui. La nostra casa è deliLETTERA 947. 1. « Sono queste molteplici istituzioni sociali di assistenza e di aiuto la vera gioria deiia Chiesa neii'età della Controriforma, e non già le formulazioni dommatiche che d o r a essa fece e che non potevano non riuscire sterili e sterilizzanti. E il buon abnizzese di Bucchianico, dail'ardente temperamento, dall'animo impetuoso, che seppe domare se stesso e quando era frate laico dei cappuccini fu chiamato "Frate Umile", e poi, da novizio, per l'alta statura ebbe ii nome di "Fra Cristoforo"; e che non trattò teologia e appena imparò quel che era strettamente necessario per ordinarsi sacerdote, andando già adulto a scuola tra ragazzi che lo schernivano intonandogli: "Tardi venisti!" - l'ex-soldato ed ex-giocatore Cami110 de Lellis, fu insigne tra quelli che, in vario modo operosi, dettero ii loro braccio, in quel tempo, alla Chiesa di Roma, tra quelli che più concretamente sentirono gli urgenti bisogni sociali e cercarono forme adatte a prowedervi - B.C. B. Cfr. B. CROCE,Aneddoti di storia civile e letteraria. XVI. Vite di Santi. San Camillo de Lellis, in a La Critica n, 20 luglio 1931, p. 315.
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ziata da un pianoforte e da una radio al lo piano, dalla sala di studio di ottoni al Salvatore, e da molti grammofoni intorno. C'è da scappare. Mi son divertito dawero. Sto bene. Vidi Concettina Fanales che vi saluta. La tua del 24 fa un ragionamento mancante. Io non sostengo che con la mia teoria mi trovo nel piano degli awersari ed essi nel mio. Non l'ho mai pensato ed a te ho scritto altra cosa. Io accetto la nozione di estraspeculativo perché è vera, anche se la parola ti paia poco felice. Ma, per carità, non facciamo divagazioni inutili e nocive. Ciò accettato, e così, messomi nel piano dei filosofi avversari, comincio il mio attacco. I1 quale mira dove miri tu, cioè, a provare che questo estraspeculativo s'inserisce nella filosofia e perciò nella storia, e per questo non può venire né ignorato né rigettato. Come vedi, il problema è diverso da come lo poni tu nella tua. Tu poi in quella del 21 dici di dover ammettere la rivelazione come speculativo, perché così la trovi nella storia. Questo è errare. Nella storia tu trovi quello che vi sai trovare. Così gli altri. Gl'idealisti non vi trovano quello che vi troviamo noi, e vi trovano il mito. Posti però sul lor piano circa l'estraspeculativo, tu puoi benissimo combatterli e far trionfare la tesi nostra. Ma devi concedere che la rivelazione cattolica staticizza una parte della filosofia. Abbracci t Mario
Bad Nauheim, 1 agosto 1931
Carissimo fratello, al leggere la tua del 2717 potrebbe sembrare che io pensi che si possa avere conoscenza della natura dei misteri soprannaturali, cosa che io non solo non ho mai scritto ma non potrei neppure pensare. Ogni persona che crede al Mistero è convinta che non si può penetrare con la mente umana. Invece coloro che non ci credono, pensano che si tratti di miti; ma ciò pensando essi non penetrano il mistero, lo svalutano. Noi speculiamo sulla esistenza del Mistero perché ci crediamo; gli altri non speculano né sulla esistenza né sulla natura del mistero, ma speculano sulla pretesa formazione umana del Mistero. Ecco perché gli altri ci accusano
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LUIGI E MARIO STURZO
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di non fare filosofia ed ecco perché io accuso questi altri di essere astrattisti. Un abbraccio di cuore dal tuo Luigi ' Ringrazia Vincenzino per l'affare della procura.
Piazza Armerina, 3 agosto 1931
Carissimo fratello, ricevo la tua del 27. La mia del 31 credo che risponda abbastanza anche a questa tua cartolina. I1 tuo insistere sul punto della storia, mi sorprende. Come è possibile che tu non vegga che nella storia c'è ciò che vi sappiamo trovare? Al tuo accenno circa la fede, non risposi, perché lo reputai un pleonasmo. Rispondo ora, perché vedo che tu v'insisti. La fede, o è la fede teologica o è altra cosa. I1 filosofo che tu dici aver fede nel suo sistema, egli non ne ha che scienza. Che poi la fede cominci dove comincia l'esperienza mistica, mi par che affermarlo sia errore molto pericoloso. La fede teologica abbraccia, a rigore, un solo oggetto, il non conoscibile « sperandarum rerum substantia, argumentum non apparentium » l . Abbraccia anche oggetti conoscibili come l'esistenza di Dio, però in quanto si considerano sotto il rispetto di Dio rivelante. Fuori di ciò non c'è fede. Si dice, è vero, che la società vive di fede: fede ai parenti, al medico, ecc. Ma questa è o fiducia o presunzione. Ma io vedo che è mio destino non mi sapere esprimere o non esser compreso o esser frainteso, LETTERA949. 1. Diamo qui di seguito la prima parte deiia cartolina scritta da Nelina: «Carissimo fratello, siamo già al primo deii'ottavo mese, come passa il tempo specie quando si è in cara compagnia! Spero che quando sarò in patria verrai a tenermi un po' di allegria nella casa. Mi duole che la celebrazione delie nozze cade sempre in questi mesi che io non ci sono e che tu devi trovare la casa sola, muta... fredda. Stiamo bene, la cura, i'aria, la tranquillita è giovata a tutti e due, ed ora speriamo completarla al mare. Tu non vai un po' a Gela? Un cambiamento d'aria ti gioverebbe. Sento che il canone è stato reluito e accudito molto bene, credo, dal cugino. Al mio ritorno si penserà il da fare. Luigi ha ricevuto il libro di Caniso, lo leggerà, mentre per tuo mezzo lo ringrazia. Lascio due righe e con affetto ti abbraccio Nelina ». LETTERA 950. 1. Ebrei, 11, 1.
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e quindi abbandono anche questo problema. Sto bene. L'estate ini trascorre normalmente e bene, cosa insolita. Vi auguro ogni bene. E vi abbraccio. Aff .mo fratello t Mario
[Bad Nauheim], 6 agosto 1931
Carissimo fratello, il mio ritardo è dovuto in parte al ritardo con cui mi è arrivata la tua del 31, cioè oggi; in parte a una febbre influenzale che mi prese al momento di dover partire, per cui siamo ancora qua. La febbre 2 passata ma sono un po' debole per un l ~ n g oviaggio, onde ci fermeremo ancora qua. Tu scrivi per ora a questo indirizzo. Nelina sta bene. I n questi giorni stando a letto ho pensato al problema e ti volevo scrivere alcuni miei pensieri; ma leggendo la tua del 31 vedo che debbo ancora esplicarmi meglio circa un punto capitale. Tu mi scrivi: <( Tu poi in quella del 21 dici di dovere ammettere la Rivelazione come speculativo perché così la trovi nella storia D. Ora io, rileggendo gli appunti, non trovo di averti scritto così né questa è la giusta interpretazione di quelle mie frasi. I o scrissi <( trovo la base comune del puro speculativo e del puro dogmatico, ecc. D. Perché sarebbe impossibile avere conoscenza del puro dogmatico senza una base razionale circa il mistero (esistenza di Dio - fatto della Rivelazione, dei Miracoli, della Tradizione, ecc.) e senza il valore di analogia (che io ho sempre tradotto più largamente nella frase eteronomia del mistero). Nella mia del 27 ho fissato i due termini nei quali io pongo il problema dell'esperienza storica. I n tutte le mie cartoline non solo non affermo mai la Rivelazione come speculativo, ma affermo che anche fuori della Rivelazione esiste sempre l'eteronomia del mistero. I1 resto in altra. Un abbraccio di cuore da Nelina e me, tuo Luigi
LUIGI E MARIO STURZO
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Bad Nauheim, 7 agosto C19311
Carissimo fratello, oggi sto un po' meglio e riprendo la penna. Nella tua del 31 tu dici: <( io accetto la nozione dell'estra-speculativo perché vera; ciò accettato e messomi sul piano dei filosofi avversari, ecc. D. Quel che io affermo è che tu non arriverai mai ad essere sul piano degli avversari perché il tuo estra-speculativo, per astratto che sia, non sarà mai identico a quello affermato tale dagli awersari. Perciò la posizione di combattimento riesce vana. E ciò anche perché si parte da un estra-speculativo non univoco per arrivare alla storia. Invece, si deve partire dalla storia per arrivare all'x (= estraspeculativo o soprannaturale reale). Posizioni quindi capovolte. Ciò è necessario perché il dato dell'esperienza storica non può non essere tale per tutti, mentre l'estra-speculativo dei filosofi avversari non è per loro che una concettualizzazione. Tu aggiungi in fine della tua cartolina: a devi concedere che la Rivelazione staticizza una parte della filosofia ». Ora io non concedo ciò. Tutto quello che è oggetto dell'esperienza storica è materia e ragione di filosofia. L'esperienza storica (e quindi la filosofia) si è arricchita dell'esperienza derivante dalla Rivelazione. Per cui ne sono venute nuove conquiste di pensiero e nuovi atteggiamenti. Staticità e dinarnicità sono sempre in sintesi nello sviluppo storico del pensiero. I1 problema va posto solo riguardo i limiti esterni di autorità (sociale) non di pensiero (esperienza storica ed evidenza della verità). Nelina ti manda, insieme a me, tanti saluti affettuosissimi. Tuo Luigi
Piazza Arrnerina, 8 agosto 1931
Carissimo fratello, nelle tue ultime parmi che tu finalmente accetti la parte della mia tesi che riguarda il puro mistero, cioè che noi conosciamo che è, ma non ne conosciamo la natura. Fermiamoci qui e lasciamo,
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pel momento, di discutere sul pensiero degli avversari. Vedi, io riprendo la discussione, già abbandonata, perché trovo ormai un punto comune. E torniamo per poco all'esempio, che è tanto eloquente del supposto popolo privo del senso della vista. Dopo che un uomo dai cinque sensi parla a quegli uomini inferiori del senso della vista quale elemento di vera speculazione è entrato nel lor pensiero? Nessuno, proprio perché essi ignorano .e ignoreranno sempre la natura del quinto senso e della sua funzione. Saper che quel senso c'è e ignorare cosa esso è, è un sapere su cui propriamente (nota) non si può speculare. Se si specula per analogie non si specula sul vedere, ma si fantastica restando sempre chiusi nella sfera dei lor quattro sensi. Ti sembro chiaro? Se no, scrivimelo ed io cercherò d i spiegarmi meglio. Ma non uscir d'argomento. Tu sei proclive a passare nel campo del tuo pensiero. Ti prego resta nel campo del mio. Se tu mi concedi che lo speculare dei ciechi per natura sulla vista, non è vero speculare, l'accordo è raggiunto. Ed io passerò al resto. I1 caldo continua bruciante. Io già soffro. E chi non soffre. Immagina che le notti son come i giorni quasi, con temperature tra i 30 e i 32 gradi. Abbracci. Vostro t Mario
[Bad Nauheim], 9 agosto 1931
Carissimo fratello, la chiusa della tua del 3 mi ha tanto contristato. Ti prego di avere pazienza con me e di continuare a scrivermi sull'argomento. Tieni presente che la distanza, la diversità di linguaggio e di metodo, la mia cultura prevalente storico-sociologica rendono un po' difficile la conversazione. Per esempio, di fronte alla mia frase esperienza mistica D tu hai reagito scrivendo che ciò ti sembra errore molto pericoloso. Quella invece è una frase sintetica abbastanza innocente. Oggi la parola esperienza è usata per vita cosciente; si aggiunge storica per indicare la concretezza e continuità individuale e collettiva insieme. La parola mistica è usata per misteriosa, in forma generica; vale qui per soprannaturale (mysterium fidei). Le virtù teologali sono fatti ed esperienze
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mistiche. La mia frase incriminata si traduce così: « La fede incomincia là dove l'esperienza storica (conoscenza dei fatti rivelativi) si trasforma in esperienza mistica (vita soprannaturale-grazia) sia nell'individuo (fedele) sia nella collettività (Chiesa) ». I1 che vuol dire che qualsiasi conoscenza della Rivelazione, se non è animata dalla grazia della fede, non è, né sarà mai fede, quindi resterà esperienza storica e non mai esperienza mistica. Inoltre, io non confondo la fede teologica (grazia) con la fede umana. Io nella mia del 24 luglio parlavo di fede nella ragione (cioè infallibilità della Ragione a cui credono certi filosofi) in rapporto (sottinteso) nella fede in Dio (infallibilità di Dio rivelante) cui crediamo noi. Quella dei filosofi razionalisti non è la sicurezza che hanno gli uomini nella evidenza che deriva dalla ragione razionante, è una vera e propria deificazione della Ragione, a cui rivendicano, come si esprime Banfi, autonomia e universalità. I1 che è fede (di cattiva lega) ma fede, come l'egoismo è amore (di cattiva lega) ma amore. Ecco le mie giustificazioni. Ora ti prego di permettermi di ripigliare la discussione. Tu non sai il bene che mi fai discutendo con me. Con il più vivo affetto, insieme a Nelina ti abbraccio, tuo Luigi
Piazza Arrnerina, 11
agosto
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Carissimo fratello, ricevo a momenti la tua carissima del 7. Sento con gioia che stai un po' meglio. Ti auguro pronta e completa guarigione. Qui, come in tutta la Sicilia, imperversa il caldo. A Palermo è giunto a 44 gradi all'ombra. Qui ieri passò i 33 gradi. Io continuo a soffrire. Ma chi non soffre con questa specie di febbre artificiale che dura così acuta da circa dieci giorni? Quel che tu mi scrivi in detta cartolina è sempre la stessa cosa, ed è sempre una cosa molto diversa da ciò che penso io. Ti prego, prima di andar oltre, a cercar di dare alle mie parole il lor giusto senso. Tu mi contesti I'univocità dell'estraspeculativo tra me e i filosofi contrari. Ora io dicendo che accetto il lor estraspeculativo, con ciò stesso dico che mi pongo sul lor piano. Ma cosa io loro concedo? Quelio
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che in queste ultime tue tu concedi a me, cioè, che la natura del puro trascendente ci sfugge. Io preciso e dico che gli avversari hanno ragione quando dicono che noi ammettiamo il trascendente. Infatti l'ammettiamo. Ma aggiungo che essi hanno ragione quando dicono che il trascendente non è filosofia. Infatti è fede. Noi ragioniamo credendo. Se ciò non facessimo, non potremmo credere. Ma su che cosa ragioniamo? Sul puro mistero? No. Non ci è possibile; sibbene sull'elemento storico che tu invochi ma non bene a proposito. Noi ragioniamo sulla religione cattolica, perché è storia. E anche loro ragionano sulla medesima. Solo va notato che essi non credono. E qui entra quel che più volte ti ho scritto che la storia è quella che noi la facciamo essere. I1 resto altra volta. Abbracci f Mario
Toulon, 12 agosto 1931
Carissimo Mario, per dirti che va veramente meglio. Un po' debole, naturalmente. Spero rifarmi al sole. Spero che mi farai il segnalato favore di riprendere la nostra conversazione, e se lo credi, di marcarmi i punti o il punto che tu credi principale, sul nostro dissenso. Così, durante che sto alla spiaggia ho qualche cosa da pensare. I1 nostro indirizzo: Hotel Maritima,La Plage d'Hyères (Var) Francia. Un abbraccio, tuo Luigi '
LETTERA 956. 1. Diamo qui di seguito la prima parte della cartolina scritta da Neiina: «Carissimo fratello, eccoci già alla spiaggia o quasi. Abbiamo fatto fin qui un ottimo viaggio e il caro nostro si sente già rinascere godendo il bel sole ed il bel cielo. Anch'io sto bene e spero che il caldo qui non mi faccia perdere un po' il benessere della cura fatta. Fortunatamente siamo arrivati quando lo spaventoso ciclone è passato ed è tornata la calma e il bel sereno, ma qui vi sono stati danni seri spero che a settembre verrai da me, per la musica ci penseremo, non mettere avanti una scusa per non venire. Ti abbraccio con vivo affetto Nelina ».
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La Plage d'Hyères, 15 agosto 1931
Carissimo fratello, dacché siamo partiti da Bad Nauheim non abbiamo più tue notizie. Speriamo ricevere domani la tua solita cartolina rinviataci qui. Noi siamo contenti di essere qui e prendere un po' di caldo e di sole. Io più di Nelina. Sto meglio, e stamane ho potuto dire la Messa. Dopo parecchi giorni che non potevo dirla per precauzione. Così la Vergine assunta mi ha consolato. Credo che i residui post-influenzali siano spariti quasi del tutto; ma ancora mi ho riguardo ed evito i colpi d'aria. Ho letto il libro di Calatinus l; e l'ho ringraziato per cartolina dell'invio, accennando vari punti. Gli ho detto che desidererei conoscere qualche cosa di più di quei vari beati francescani caltagironesi, dei quali c'è l'elenco. Mi sono riusciti nuovi. A proposito-del Ven. ~ a & ò sai a che punto sia il processo di beatificazione? Lessi il Gog ma mi accorsi che non valeva la pena, ciò nonostante lo lessi per trovare quelle pagine interessanti e belle che non trovai affatto. Sto leggendo le lezioni di Filosofia del Diritto del Prof. Giorgio Del Vecchio che mi interessano assai. Un abbraccio di cuore da tutt'e due, tuo Luigi
Piazza Armerina, 16 agosto 1931
Carissimo fratello, l'ultima mia è dell'undici. Le grandi feste patronali mi hanno fatto fare un ritardo. La discussione, come avrai visto, io l'ho ripresa prima che ricevessi il tuo invito, perché credetti trovare un punto d'intesa. Secondo me non si tratta di precisazione di LETTERA957. 1. Cfr. lettera 13, nota 1. 2. Cfr. lettera 895 nota. 3. Cfr. G . DELVECCHIO, Lezioni di filosofia del diritto, Tip. Leonardo, Città di Castello 1930.
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termini, ma di metodo. Tu, sin dal principio, non hai avuto la pazienza di seguirmi, e, invece, hai avuto la fretta di manifestarmi il tuo pensiero. Così non potremo andare avanti. Io conosco il tuo pensiero. Ma io ho un pensiero che desidero sia studiato. I1 metodo perciò sarà questo: restar fermi al mio assunto, e farne, anche con rigore eccessivo, la critica. I1 resto potrà giovare dopo. Io mi appassiono del problema, perché son convinto che dalla sua non buona soluzione deriva lo stato d'incomprensione reciproca con i filosofi contrari. Punti di studio: c'è nella nostra filosofia l'estra speculativo, ed è la pura rivelazione; ciò rende statica una parte di detta filosofia. Ciò non è contro la filosofia. Ecco i punti per ora. Il caldo torna spietato. Io soffro ancora, ma ho fatto i Pontificali della grande festa. I1 caldo che porta queste mie sofferenze, quando andrà via, le condurrà con sé. Hai letto il Calatinus? Parlamene. I1 buon Ciantro Caruso D. Giuseppe è passato a miglior vita nella bella età di circa 87 anni. Vi abbraccio con fraterno affetto t Mario
[Toulon-Saiins d'Hyères], 19 agosto 1931
Carissimo fratello, ricevo oggi insieme le tue dell'8 e dell'ii, e ti ringrazio di avere ripreso la conversazione. Non £o questioni di parole, ma solo ti ripeto che io e come filosofo e come cristiano, non ho mai pensato né scritto che la mente umana possa conoscere la natura del mistero rivelato. Non è questa una concessione alla tua tesi, ma una verità per noi incontrovertibile. Le mie frasi saranno state imprecise, ma come altra volta ti scrissi, indicavano solo la base comane di razionalità e di storicità che ci dà il mezzo di conoscere l'esistenza e lo storicizzarsi del Mistero. Tu dici: ragionare sul mistero, cioè sui dati esistenziali e storici del mistero, non è speculare, e quindi non è filosofia. I o dico invece che è speculare (in quello che è possibile speculare = esistenza e storicità) e quindi è filosofia (cioè sistematizzazione della storia) perché storia= filosofia. Tu rispondi: « alla storia si può far dire quel che si vuole D. Io rispondo: « anche alla filosofia si può far dire quel
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che si vuole », e così cade nello scetticismo, se e per l'una e per l'altra (che si convertono) non c'è un criterio di verità = realtà. Qui due giorni bellissimi, oggi nebbia e umido. Pensiamo a te; e devi soffrire molto col caldo. Se puoi dire la Messa per un mio caro amico defunto in questi giorni, mi farai un piacere l . Tante cose affettuose insieme a Nelina, tuo Luigi
Piazza Armerina, 20 agosto 1931
Carissimo fratello, la tua del 15 mi assicura della tua guarigione. Ne ringrazio Dio. Ma usati riguardi. L'influenza la prendi ogni anno ai bagni. Dunque sarà connessa con quelli. A momenti ricevo una lettera con la quale si domandano chiarimenti sul problema del male. Prima di scriverne al chiedente, ne scrivo a te. Con la preghiera (se crederai rispondermi) di non uscir dai miei termini, tanto meno di dirmi la tua soluzione. Sono stanco di discutere inseguendoci e non ci mettendo mai di fronte. Metto a base del mio concetto la dottrina di S. Tommaso, che il male esiste sempre in un bene, cioè che è un bene disordinato. Affermo subito che il male è una delle manifestazioni della contingenza. Dice il Vangelo: Buono c'è solamente Dio. Le cose create son buone in senso relativo. È concepibile un mondo senza mali? Prova di concepirlo. Penserai a un mondo più perfetto? Avrà meno di male. Penserai a un mondo perfettissimo? I n senso assoluto? I n tal caso cessi di pensare al contingente e pensi a Dio. Le deficienze fisiche e morali durano sempre, più o meno, sino a che non siamo nel perfettissimo in senso assoluto, cioè in Dio. Così io penso. E così pensando dico che il male non è problema. Tu mi dirai: I n Cielo che mutiamo natura, essendo vero che ivi male non ce n'è? Io ti rispondo che questo è altro problema, che va tenuto separato e distinto dal primo. I n Cielo c'è di sicuro una speciale azione di Dio sui beati e c'è la visione beatifica. Sto meglio. I1 tempo è più mite. Ti abbraccio con la sorella amatissima Mario
t
LETTERA 959. 1. L. Sturm aiiude alla morte del suo amico e collaboratore Giuseppe Donati, awenuta a Parigi il 16 agosto 1931. Cfr. G. DE ROSA,Sturzo, cit., p. 318.
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[Toulon-Salins d'Hyères], 21 agosto 1931
Carissimo fratello, sieguo la tua del 16. - 1" punto: « c'è nella nostra filosofia l'estraspeculativo ed è la pura rivelazione ». Rispondo. Nella Rivelazione vi è la parte incomprensibile dalla ragione umana e la parte comprensibile, insita nella stessa Rivelazione e connessa col mistero e che fa di tramite al mistero stesso: - La esistenza di Dio personale, la possibilità della sua comunicazione all'uomo, la esistenza del male indice di decadenza, i dati storici connessi alla Rivelazione specialmente l'esistenza storica di Gesù Cristo - la storicizzazione dei misteri, ecc. Tutto ciò dimostra che non esiste, in concreto, un puro estraspeculativo apprezzabile analogicamente dall'uomo, ma esiste uno speculativo entro il quale e per il tramite del quale si manifesta un mistero in termini analogici. Questo mistero esige fede, la quale illumina tutto lo speculativo (io direi razionale) connessovi, il quale affetta come tale tutta la nostra conoscenza, perché affetta come tale tutta la nostra storia. Credo che su ciò siamo d'accordo. 2" punto « ciò (l'estraspeculativo) rende statica una parte della nostra filosofia ». Rivelazione. Nel senso come io concepisco l'estraspeculativo non mi pare affatto vera tale proposizione. Ma lo sarà per ragioni estrinseche e storiche particolari. 3" punto: « Ciò non è contro la filosofia ».Non comprendo il 3" punto, se non come una confutazione della posizione avversaria, che per il momento abbiamo messa da parte. In ogni caso, il 3" punto viene assorbito nel 1" e nel 2". P. S. - 1) La parola estraspeculativo non mi soddisfa per le ragioni che ti ho scritte, quindi l'accetto solo con riserva, per comodità di discussione; - 2) Tu dici « c'è nella nostra filosofia l'estraspeculativo ». Così sembri ammettere che l'estraspeculativo sia una semplice nostra posizione mentale. Mentre per me è più esatto dire che « La nostra filosofia coglie l'estraspeculativo che ci si rivela nella storia ». Stiamo bene. I1 tempo mite. Speriamo avere da te buone notizie. Un abbraccio, tuo Luigi
LUIGI E MARIO STURZO
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Piazza Armerina, 24 agosto 1931
Carissimo fratello, la tua ultima è del 15. Come la posta di questi tempi è irregolare! Riattacco il mio discorso sull'estraspeculativo. Io non dico che ci possa esser conoscenza senza speculazione, perché i due termini si equivalgono; ma dico che ci può essere, anzi c'è, conoscenza trasmessa, cioè, d'autorità, come è la rivelazione; la quale è nella speculazione, cioè, è nei termini conosciuti o conoscibili, ma non è speculazione, perché è nello stesso tempo fuori dei termini conosciuti o conoscibili. I1 che significa che il rjvelante, annunziando cose che trascendono il potere (almeno attuale) del nostro essere e che perciò restano mistero, cioè, di là dalla speculazione, parla il nostro linguaggio, la nostra filosofia, la nostra storia, ed altro intende, cioè, parla, non il proprio, ma l'analogo. Provati a speculare su due ostie, una consacrata e una no? Se speculi (in senso stretto, che è quello da me adoperato), tu le trovi identiche, e la rivelazione ti sfugge. I1 rivelante ha parlato, la Chiesa ha spiegato: nell'una ostia la sostanza di pane non c'è, nell'altra c'è. Pure tu le trovi identiche, se le esamini chimicamente. Come dici che non sono identiche? Ragionando? No. I1 puro ragionare - filosofia - scienza, ti fa conchiudere per l'identità. Tu lo dici credendo, cioè, non ragionando sulle ostie, ma ragionando sul rivelante. Or quando io affermo, accetto che c'è l'estraspeculativo, non dico che manca ogni speculazione sul termine-mistero. Sto benino. I1 tempo si mantiene discreto. Abbracci a te e alla sorella f Mario
[Toulon-Salins d'Hy&res],25 agosto 1931
Carissimo fratello, la tua del 20 mi arriva oggi e rispondo subito, cercando di non uscire dal binario fissatomi. Accetto la tesi di S. Tomaso nel suo senso positivo. Accetto la tua tesi nel senso negativo, cioè che il male sia un limite del contingente; nel male fisico è un iimite
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determinato (e quindi relativamente necessario); nel male morale è un limite indeterminato (e quindi relativamente libero). Adamo prima del peccato (e gli angioli) aveva la potenzialità del male morale; questa potenzialità non era una manifestazione della contingenza, ma un limite negativo di essa. Così mi sembra che si eviti la difficoltà che il male morale sia necessariamente e positivamente connesso con la natura (contingente) degli esseri razionali, in quanto contingente. Tu concludi: « il male non è un problema ». Siccome il male è un fatto occorre spiegarlo, e per spiegarlo si pone come problema. Tu ne dai una spiegazione radicale, ma non puoi negare che nonostante tutte le spiegazioni presenti passate e future, resta sempre come un problema che si pone, perché ogni spiegazione (secondo me) non esaurisce il tema, in quanto i! tema è poliedrico ed ha un lato di mistero, che quindi supera la semplice razionalità (cioè la caduta di Adamo). Stiamo bene e quasi alla fìne della nostra villeggiatura. Quest'ultimi giorni di sole mi fanno bene. Poi tornerò al freddo di lassù. Per ora scrivi ancora qua. Un abbraccio di cuore, tuo Luigi Ho ricevuto P. Innocenza da Caltagirone. Grazie.
Piazza Armerina, 27
agosto
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Carissimo fratello, la tua del 19 mi è giunta ieri, mentre quella del 21 mi giunse il 24. Stamani ho celebrato la santa messa secondo il tuo desiderio. Nelle due cartoline scrivi: « I o dico invece che (ragionare sul mistero) è speculare in quello che è possibile: esistenza e storicità » - « La nostra filosofia coglie l'estraspeculativo che ci si rivela nella storia D. Le due proposizioni dicono la stessa cosa, quella tal cosa che tu mi scrivi dal principio della nostra discussione. I o ora t'invito a scrivermi la tua speculazione sull'esistenza e la storicità della transustanziazione. Tal prova o convincerà me o convincerà te, secondo che riuscirai o no. I o son sicuro che tu non riuscirai. Frattanto, ad evitare che tu mi ripeta i tuoi vecchi
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ragionamenti, che io non ammetto, cerco di precisare i limiti della prova. Storico è tutto ciò che parla da sé, cioè, che non ha bisogno di un'autorità che lo spieghi. Speculare è trovar da sé la speculazione, senza bisogno di un'autorità che la avvii. Prendi un filosofo incredulo e mettilo alla presenza di un'ostia consacrata. Ora dimmi per qual via egli possa conoscere che è consacrata. E dimmi per qual via (tranne la fede) entri nella storia il fatto dell'ostia consacrata. I1 libro del P. Pio sul nostro Marcinò è ben povera cosa. Ci sono però le notizie sul processo di beatiiicazione che tu desideri. Per questo te ne ho mandato una copia. Sto benino. I1 tempo è fresco. Ma durerà cosl? Son tre mesi che non piove. Abbracci a te e alla sorella t Mario
[Toulon-Salins d'Hyères], 29 agosto 1931
Carissimo fratello, ricevo la tua del 24. Avrai già in mano la mia del 21, così spero, mi sono messo in carreggiata, entro il tuo binario. In quella ho chiarito in che senso e con quale riserva accetto quel che tu chiami estraspeculativo. I1 mio è un volere restare ad ogni costo nel concreto storico. Io temo di fare il passaggio dal concreto all'astratto e poi discutere deli'astratto come un concreto. Del resto accetto tutta la tua cartolina del 24 e sono d'accordo con te, in quanto che discutendo del puro mistero non si può fare altro che chiarire i termini e accertarne il dato storico. (Tutto ciò, credo, si accorda perfettamente con le mie cartoline del 17 e 19 giugno, a proposito delle formule con le quali si esprime o si contiene il mistero). I1 punto polemico del tuo problema è, mi pare, nel 2" punto della tua cartolina del 1618. Cioè: che l'estraspeculativo renda statica una parte della nostra filosofia. Qui io ti oppongo che l'estraspeculativo storicizzato crea elementi nuovi d a conoscenza, allarga gli orizzonti, ecc. La questione che qui può porsi, è: si storicizza o no I'estraspeculativo? Io sono per il sì, e aggiungo che esso in quanto divenuto storia si trasforma in filosofia. È questo staticismo? o dinamismo? Secondo i punti di vista può essere l'uno e l'altro.
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Nelina spera in settembre essere a casa. In quel periodo non vi sarà musica, perché gli inquilini saranno assenti. Così essa spera che tu andrai da lei per un po' di giorni. Io sto così così. Da quando ti arriverà questa scrivimi a Londra al solito indirizzo. Un abbraccio di cuore da entrambi. Prega per me assai. Tuo Luigi
Piazza Armerina, 30 agosto 1931
Carissimo fratello, son sei giorni che manco di tue nuove: la tua, ricevuta il 24, è del 21. Dopo nulla. Io riattacco il mio ragionamento. Ti ho scritto più volte che l'essere (esistere) del puro mistero entri nella speculazione vera e propria. Dopo quel che ho scritto nella mia del 27, a cui questa si riattacca, mi avvedo che nemmeno ciò è possibile. I o so che un'ostia è consacrata, quando o la consacro io o altri me lo assicura. Lasciamo questo. Io so che la transustanziazione è, perché il Vangelo me lo rivela e la Chiesa me ne precisa i termini. speculare sull'essere di questo mistero, varrebbe lo stesso che scoprirne l'essere (il fatto) per ragionamento. Ciò sarebbe errore di filosofia e di teologia. Che l'eucaristia ci sia, che sia questo e questo, mi viene dall'autorità rivelante. Se tu concedi alla ragione la speculazione sull'esistenza dell'eucaristia, passi subito nel protestantesimo, cioè, ti metti in una posizione, nella quale tu potrai conchiudere pro e contro, cioè, potrai arrivare a negare la presenza reale. I1 protestantesimo è tutto basato sulla dottrina che io nego, cioè, sulla possibilità di speculare sulla pura rivelazione, sul puro mistero. Tu mi dirai: il cattolico specula sull'esistenza dell'eucaristia, ma nega che abbia il diritto di conchiudere contro l'esistenza di quella. Ed io ti domando: per qual ragione egli s'interdice quella conclusione, se non per l'autorità, cioè, per la fede? Sto meglio assai, quasi bene. I1 tempo si mantiene fresco. E oramai il settembre innanzi viene ...' A Nelina e a te le cose più cordiali t Mario
LUIGI E MARIO STURZO
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Paris, 1 settembre 1931
Carissimo fratello, questa per dirti che sono qui, arrivato bene, dopo un ottimo viaggio. Dolente di aver lasciato Nelina, che però avrà il piacere di rivederti, e se tu ti decidi, potrete stare un po' insieme. Io sto bene. Gli ultimi giorni di sole mi han confortato. Ora torno al cielo nuvoloso; ma spero di star bene nell'autunno e inverno per il sole che ho preso. Prega per me. L'abbé Lugan è morto santamente. Egli arrivò in Francia ammalato dal lungo viaggio in Sud America. Un abbraccio, tuo Luigi
Piazza Armerina, 3 settembre 1931
Carissimo fratello, ricevo la tua del 29. Risponderò, quando tu avrai risposto alle mie cartoline che precedono. E così faremo ora, cioè, eviteremo questo intrecciarsi di risposte che turba il filo della discussione. Rispondo alla tua del 25, proprio perché è la risposta alla mia sd'argomento del male. Io non ho inteso dire che il male sia un limite del contingente, ma che è una deviazione relatiua di questo, appunto perché contingente, cioè, limitato. Tu poi dici che la potenzialità d'Adamo al male « non era una manifestazione della contingenza, ma un limite negativo di essa ». Vorresti spiegarmi meglio il tuo pensiero? Nell'attesa, io ti faccio osservare che potenza è natura e natura è potenza. Provati a separare queste due cose. Certo il male etico non è necessariamente connesso con la natura, perché se così fosse, il Paradiso per il contingente non ci sarebbe. Devi dir così: il male è una delle manifestazioni della contingenza, manifestazione naturale. Non necessaria, infatti Dio rende, a volte in questo mondo, sempre nel Cielo immuni dal male etico. In Cielo si è impeccabili, non per natura, ma per grazia. Leneu 967. * Cartolina illustrata: Montrnartre, Le Sacre Cueur.
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Una natura creata, impeccabile, sarebbe una natura perfetta, cioè, in£inita, cioè, divina. Sento con pena che sei ancora un po' sofferente, e ti auguro la perfetta sanità. Io sto bene. I1 tempo oramai va verso l'autunno ed è bello e fresco. Prego per te assai. E tu ricordati nelle preghiere del tuo t Mario
[Paris], 5 settembre [l9311
Carissimo fratello, speravo ricevere qua le tue cartoline inviatemi a Hyères, forse si sono disperse o le troverò a Londra. Sento il vuoto della tua corrispondenza. Sto bene e in partenza. Spero che il viaggio sarà buono, benché il tempo sia piovoso. Prega per me. Un abbraccio di cuore, tuo Luigi
[London, Paddington], 8 setiembre 1931 Festa deila S. Bambina
Quanti ricordi, carissimo fratello: mi ritornano all'orecchio i begli anni che erano i panegirici scritti da Mons. Mineo l . Ti ho scritto, dopo il 21 agosto, il 25, il 29; e poi il 1 e il 5 settembre. Ricevo oggi la tua del 30 agosto, ma fin ora non ho ricevuto la tua del 27. Ciò non ostante, nel risponderti a quella del 30, io non ho diflicoltà di ammettere con te che senza rivelazione non possa scoprirsi il mistero. Perciò io insisto sul fatto storico della Rivelazione e sul suo storicizzarsi. E se io ho scritto che noi possiamo ragionare (speculare) sull'esistenza del mistero, non ho affatto inteso dire che col ragionamento scopriamo la esistenza del mistero, ma che, data la rivelazione, noi ne facciamo I
LETTERA969. * Cartolina iiiustrata con la veduta del Parc des ButtesChaumont. LETTERA970. 1. Cfr. lettera 29 n. 1.
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oggetto di ragionamento. Analogicamente noi non possiamo scoprire col ragionamento la esistenza di Cesare, o Alessandro, ma è la storia che ce ne apprende il fatto. Allora cerchiamo di comprenderne lo spirito, l'attività, ecc. Tu dici: chi crede non è libero di negare il mistero (fede); ed è così; ma io non ci vedo per questo l'impossibilità di ragionarci sopra, dal punto di vista estrinseco, storico e filosofico. I filosofi non credenti non negano il mistero per sé e come tale, negano la fonte del mistero che è Ilio, e quindi si pongono sul terreno filosofico, non su quello teologico. I1 mistero è il concreto e la storia, non l'astratto e il logico. Sto bene; tornato a casa mi rimetterò subito al lavoro; ne sento bisogno. Godo che tu stai meglio; spero che andrai a Caltagirone. Non mandai al Can.co Caruso le condoglianze per la morte del zio, per non scrivergli due volte di seguito. Tu fa' le mie parti. Un abbraccio di cuore. Tuo Luigi
[London, Paddington], 10 settembre 1931
Carissimo fratello, auguri per il tuo onomastico. Dirò la S. Messa per te come tutti gli anni. Che la Vergine ci protegga. Rispondo alla tua del 3 (sul male). Non sei tu che hai detto che il male è un limite negativo della contingenza, ma sono io che ho inteso così modificare il tuo « manifestazione deiia contingenza D. Perché la frase: limite negativo mi sembrava più conciliabile con la non-necessità del male, anziché la frase: mat~ifestazione,ecc. E io dicevo ciò chiaramente nel periodo che comincia: « Così mi sembra si eviti ... D, ecc. Ora tu precisi la frase manifestazione con l'altra: deviazione relativa. L'importante è stabilire se il contingente razionale, perché contingente, devia, cioè manifesta la sua contingenza deviando; se quindi tale deviazione sia connessa alla natura contingente, e non possa non essere connessa. Non è questo il tuo pensiero; ma la tesi della manifestazione della contingenza porta (secondo me) a simile conseguenza. I o invece affermo che il male
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sia un limite negativo della contingenza, o meglio, a essere più preciso: zln negativo limite della contingenza, perché il termine negativo affetta il limite e non la contingenza. Invero: il contingente fisico irrazionale ha il limite determinato dalla sua attività (che può causare danno ad altri, o esaurire le proprie forze), male fisico; e il contingente razionale ha il limite indeterminato neila ricerca del bene, per cui può esaurire il suo bene in modo incompleto o inadeguato (male morale). In sostanza ammettendo il male morale come un bene non ordinato, non si può rappresentare la negatività del male che come una limitazione del bene che si conquista: sia bene determinato (fisico) sia bene indeterminato (morale). Sto bene. Un abbraccio, tuo Luigi Non ho ricevuto la tua del 27 agosto.
[London, Paddington], 12 settembre 1931
Carissimo fratello, ti rinnovo i più caldi fraterni auguri per l'onomastico. Dicendo la S. Messa per te, mi son sentito a te vicino ed ho pregato perché il Signore mi conceda un poco del tuo fervore spirituale e del tuo spirito di abnegazione. Sto bene: il tempo mite e piovoso. H o letto della morte del buon Canonico G. Sagone. Così giovane! Fo seguito alla mia del 10 settembre. Rileggendo la tua del 3, trovo: « il male è una delle manifestazioni della contingenza, naturale, non necessaria ». Ora per l'idea che noi ci facciamo della natura come tale, bisogna ritenere che ogni manifestazione inerente ad essa risponda al concetto generico di necessità o meglio di determinatezza. La natura sensibile non può non sentire, ecc. Che cosa può fare che stiano insieme la naturalezza o determinatezza e la non necessità del male? il concetto di libertà. Noi, esseri razionali, abbiamo per natura la manifestazione del male perché contingenti; ma tale manifestazione non è determinata (necessaria) perché siamo liberi. Sarebbe questo il tuo pen-
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siero? Credi, pertanto, di potere armonizzare ciò con l'idea del limite negativo che sarebbe in sostanza la non-ordinazione del bene liberamente voluto? Un abbraccio di cuore, tuo Luigi Nulla mi scrivi dei sonetti?
Piazza Armerina, 14 settembre 1931
Carissimo fratello, rispondo alla tua dell'otto. Occorre tentare di precisare i termini. Tu scrivi: « Noi non possiamo scoprire col ragionamento l'esistenza di Cesare ». Ma io non ho mai affermato cosa tanto stramba. L'estraspeculativo non è l'estraragionamento intellettualistico, ma l'estrafilosofico, l'estrastorico, l'estraintuizione, l'estrainquisizione. La « speculazione » dai nostri avversari è presa (e così la prendo io) per significare ogni atto di conoscenza naturale. Ed è speculativo, cioè, filosofico, storico, ecc., anche l'atto con cui percepisco una pianta e la classifico. L'atto naturale del conoscere ha limiti, ma naturali. Sono l'ignoranza, come fatto, la contingenza, cioè limitatezza come principio. Io ignoro come, dato il mondo, non sia data la sua infinitezza. Io non comprendo, come si possa concepire il mondo come limitato, senza concepire il limite come fine di uno spazio e principio di altri spazi. I1 finito è mistero per lo stesso filosofo, ma non estraspeculativo, perché è inerente alla cognizione naturale. I1 mistero rivelato, per es. l'unità di persona e dualità di natura in Gesù Cristo, non è né deriva da cognizione naturale; è comunicato a noi per autorità; è fede. Mi fermo qui. Quando ci saremo intesi su questa che è la base, andrò avanti. Sto bene, penso a te, prego per te e ti abbraccio. Tuo 1' Mario
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[London, Paddington], 15 settembre 1931
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Carissimo fratello, ricevo la tua del 7 dopo sette giorni; è strano il ritardo. Sto bene e godo che tu stai bene. Ti scrissi di andare a Caltagirone per cambiare aria, andando se possibile a S. Bartolomeo o andando e venendo. Credi che lo star sempre a Piazza ti faccia bene? Ma forse andrai a Roma e così cambierai un po' d'aria. Se pensi mandarmi il libro di Ruini sulla Stael ' mi farà piacere; e anche amerei di leggere il libro di U. Cosmo su Dante (Laterza) '. Io apprezzo U. Cosmo e spero che egli avrà fatto un bel lavoro. Non mi parli più dei tuoi sonetti. Spero li avrai ripresi col tempo rinfrescato e il bel settembre. Qui abbiamo finalmente un po' di caldo ed io s'intende sto meglio, al contrario di te. Prega per me. Un abbraccio, tuo Luigi La tua del 27 agosto non m'è arrivata, né spero che più mi arriverà. Luigi
Piazza Armerina, 17 settembre 1931
Carissimo fratello, la mia del 27 agosto è tornata a me. Ricevo insieme le tue del 10 e del 12. Luigi Caruso ti ringrazia delle condoglianze per la morte di suo zio. Limite negativo è parola da scuola. Lasciamola là e cerchiamone altra. Noto intanto che nessun limite è negativo, e tutti i limiti sono positivi, perché si risolvono in data realtà con dati caratteri. Non discuto le tue cartoline anzidette; preferisco cercar di precisare il mio concetto del male. Così avrò anche risposto a quelle e in modo più utile. I1 male è nel bene, dice S. Tommaso, e tu questo l'ammetti. Come lo intendi? Secondo LETTERA974. 1. M. RUINI, La baronessa di Sta?l, Bari 1932. 2. U. COSMO, Vita di Dante, Bari 1930.
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me va inteso così, che il male è male in rapporto ad altro bene; per sé è bene. Se per sé fosse male, saremmo nel manicheismo. Per intenderci, lasciamo da parte per un poco il concetto di colpa. Guardiamo il male, come cosa contraria alla volontà in quanto appetito razionale. Un sasso che mi ferisce, è un male (fisico). Perché? Perché la ferita è contraria al mio appetito, nuoce al mio corpo. Faccio un concorso. Uno più dotto di me, lo vince. Questo per me è un male (e non è una colpa). Per l'altro è un bene. Lo scatto dell'ira è un male, in rapporto all'ordine pratico. È un bene, perché è una esigenza dell'appetito. Che voglio conchiudere? Questo. Che il male è inerente all'essere che non è tutto l'essere, cioè, che non è Dio. È naturale. È la natura che non ha né può avere tutta la perfezione, e che nella sua complessità urta con altri rapporti e reca dispiacere. Sto bene. Ti abbraccio. Tuo t Mario
[london, Paddington], 18 settembre 1931
Carissimo fratello, la tua dell'll mi arriva di nuovo dopo sette giorni. Desidero sapere se anche le mie lettere ti arrivano con tanto ritardo, in tal caso andrò d'ufficio postale ad impostarle, invece di metterle nella buca della mia strada. Sto bene, grazie a Dio; e il tempo è mite. Non ricordo se l'articolo di Lugan sia ancora qui da me; credo di sì; lo cercherò e te lo manderò. Domani, sabato di quattro tempi, è l'anniversario della tua ordinazione sacerdotale. Ricordo, come se fosse oggi, quel giorno fortunato. Non ricordo più il mio sermone. Chissà che impressione mi farebbe oggi rileggendolo! Tanti auguri fraterni, e che il Signore ti conceda ancora di più l'abbondanza delle sue grazie. Conosci la Sacra Bibbia tradotta tutta in italiano e pubblicata dalla Editrice fiorentina? I o l'ho avuta; è un bel volume, come un Breviario in un tomo ed è anche ben tradotta (almeno la parte che io ho letto) e costa poco. Credo 3 lire. Dovrebbe essere diffusa. Aspetto le tue risposte alle mie lettere. Ti ho scritto 1'8, il 10,il 12 e il 15 del mese. Un abbraccio, tuo Luigi
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[London, Paddington], 21 settembre 1931
Carissimo fratello, finalmente ricevo stasera tardi la tua del 14 e rispondo subito. Anzitutto la frase: « analogicamente, noi non possiamo scoprire con la ragione l'esistenza di Cesare », non è tua ma è mia. Io rispondevo alla tua osservazione che l'esistenza del mistero non può scoprirsi per ragionamento; ed io, poiché il mistero è un fatto e non un'astrazione logica, l'ho paragonato per analogia al fatto dell'esistenza di un uomo, per esempio Cesare. I n sostanza convengo con te che non si scopre l'esistenza del mistero, ma questo nulla toglie alla mia proposizione. Tutto il resto della tua cartolina del 14 settembre non è in contrasto alla mia tesi; e se la parola estra-speculativo non mi piace, non vale la pena insistervi sopra; io l'ho accettata con riserva. L'importante è scoprire dove risiede il nostro dissenso. A me sembra che il punto polemico, oltre quello da me segnalato nella cartolina del 29 agosto, è che io chiamo speculare il ragionare che noi facciamo utilmente e con diritto sul fatto e sui termini della Rivelazione e sul suo storicizzarsi, e tu lo chiami estra-speculare; io dico che tale speculare è filosofia, e tu dici che non lo è. Sto bene. I1 tempo mite va divenendo freddo. Attendo notizie da Nelina che dovrebbe essere a Caltagirone. Un abbraccio, tuo Luigi
[London, Paddington], 25 settembre 1931
Carissimo fratello, la tua cartolina del 17 (arrivatami iersera tardi insieme a quella del 20) è molto chiara e convincente. Ma non tratta la questione se-la connaturalità del male renda questo o no necessario. Sembra da tale cartolina che ne derivi di fatto la necessità, ma in essa ti occupi di preferenza del male fisico, mentre nella cartolina del 1019 tu affermavi chiaramente che « il male è una manifestazione naturale e non necessaria della contingenza ». Occorre
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pertanto distinguere il male determinato (fisico) dal male indeterminato (morale). Usando noi due così la stessa parola male, noi facciamo della pura analogia (che è gran parte del nostro modo di esprimerci) in quanto i due significati sono assai diversi nel loro valore intrinseco). I1 creato non potendo mai per la sua contingenza e relatività esaurire la vera perfezione, che è Dio, ha una perfezione relativa, il che si riduce a imperfezione relativa. Perciò tu dici che il bene relativo a un dato ordine si può risolvere in u n male come negazione di un ordine diverso e così via. Per il male morale sarebbe questa la determinatezza naturale generica distinta nel fatto dalla indeterminatezza individuale specifica (libertà). Tutto ciò deriva da una visione conoscitiva dei vari ordini e quindi dell'apprezzamento dei valori del bene e del male. E quanto più profonda e cosciente è tale visione, tanto maggiormente si apprezza il correlativo bene e il correlativo male. Credo che siamo d'accordo. Di U. Cosmo è la Vita di Dante che io desidero. Un abbraccio di cuore. Sto bene. Tuo Luigi
Piazza Armerina, 28 settembre 1931
Carissimo fratello, la tua del 21 mi giunge a momenti. Rispondo subito. Dunque cerchiamo il punto in cui noi divergiamo. Tu lo poni nel fatto del ragionare. Studio questo fatto. Noi, è vero, ragioniamo attorno al mistero. Ma su che cosa ragioniamo? Non certo sul mistero in quanto tale, ma sui termini coi quali il mistero è stato a noi comunicato. Or questi termini son cognizione umana, storia, filosofia, speculazione. Questo tal ragionare, anche per me, è speculare. Tu sin dal principio ti sei fermato qui; qui hai trovato la storia, il concreto, la filosofia. E ciò sta bene. Dunque non è questo il punto di divergenza, È un altro. È il seguente. Io ho detto e ripeto che noi non possiamo ragionare sul mistero nei termini suoi propri, che conosce Dio e non noi. Qui è il mio estraspeculativo e, credo, quello dei nostri avversari. Nella storia entra ciò che è cognizione umana-speculazione, non entra il mistero in quanto tale. In quanto tale, è fede. La fede è sopra storia. Si unisce alla storia nell'anima,
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ma né l'una si risolve nell'altra né viceversa. Sto bene. Andrò a casa giovedl per un giorno. Sto leggendo la Vita di Dante di Umberto Cosmo. Attendo che mi dica se è questo il libro che desideri. Prega per me e credimi aff .mo fratello Mario
t
[London, Paddington], 30 settembre 1931
Carissimo fratello, ho ricevuto la tua del 24. Vedo che non sei ancora andato a casa. I1 mio sermone non desidero leggerlo, perché voglio conservare il caro ricordo di allora, come l'ho avuto sempre. I o non desidero rileggere le mie cose, tranne che per rivederle e correggere a scopo pratico, altrimenti sono per me quel ricordo che ne ho. Vorrei avere lo studio di Mons. Canestri De jure educandi annunziato dal'« Osservatore Romano » (13/9) e che dice essere nell'ultimo quaderno della Rivista « Apollinaris ». Io non conosco tale rivista (credo di Diritto canonico) e non so l'indirizzo l . M'interessa l'argomento, perché un tempo si sosteneva dai cattolici che lo stato avendo il dovere integrativo, avesse solo diritti amministrativi e rappresentativi. Invece da un certo tempo si ha una concezione diversa. H o letto una recensione sul libro di Penido (Prof.re a Friburgo) sul Ruolo dell'analogia in Teologia Dogmatica. I1 libro è pubblicato da Vrin (Parigi). I1 critico nota che i teologi moderni hanno quasi abbandonato l'idea analogica, o almeno non c'insistono tanto quanto gli scolastici e specialmente S. Tomaso. È poi vero? Ho qualche dubbio. Non ho tempo a leggere il libro, perciò non me lo procuro. A me sembra che lavoro poco, ma il tempo scorre e non me ne accorgo. Sto bene. Un abbraccio di cuore, tuo Luigi
LETTERA 980. 1. La rivista tratta di varie materie giuridiche anche se in prevalenza di diritto canonico. Ha avuto inizio nel 1928 e viene pubblicata dal Pontificium Institutum Uuiusque Juris deU'Ateneo Lateranense.
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Piazza Armerina, 2 ottobre 1931
Carissimo fratello, ho ricevuto la tua del 25/9. La parola - necessario - non è propria. I1 necessario è concetto ontologico o fatto trascendente. I1 circolo, per esempio, è necessariamente circolare. NelIa realtà contingente si trova la naturalità, non la necessità. Infatti Dio questa natura, dico, l'umana, in Cielo la rende immune da ogni disordine. Tu forse con la parola necessario, intendi determinato, determinismo, deterministico? Ma no, tu intendi altro, intendi cosa che ne& al contingente. Nell'Eden non c'era dolore e c'era la natura. Dunque fissiamo bene questo punto. Il male fisico (questo per ora) è naturale, è inerente al contingente, in quanto tale, ma non è necessario, nel senso che la natura non possa sussistere senza di essa. I1 male fisico si attua deterministicamente. I1 mal morale, in quanto colpa, si attua liberamente. Ma il concetto di male non viene dalla libertà, da questa viene quello di colpa; il concetto di male viene da , u n ordine in contrasto con altro ordine. Ecco perché io ho cominciato dal male fisico. Sto bene. Ieri fui a casa. Nelina sta bene. Perché sia ritirato l'ammontare della reluizione, circa otto mila, occorre la quietanza. Non so se possa bastare una lettera. Ne parlerò a persona competente. Tuo Mario
[London, Paddington], 3 ottobre 1931
Carissimo fratello, la tua del 2 8 / 9 (arrivatami regolarmente ieri sera) mette il punto centrale del nostro dissenso; e cioè che « nella storia entra ciò che è cognizione umana - speculazione e non entra il mistero in quanto tale. I n quanto tale è fede. La fede è soprastoria D. Queste sono tue parole. Ora, io sono convinto che è un errore distinguere neila vita reale degli uomini « una storia e una soprastoria », tutta la vita reale degli uomini è storia. (In altra mia
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e come questione a parte ti scriverò perché io non approvo l'uso recente di parlare di una soprastoria). Io dico: la fede, fin che è fede e non è visione beatifica, è realtà storica spirituale, e come ogni realtà storica spirituale si estrinseca in atti esterni che ne attestano l'esistenza (la Chiesa, il Culto, i martiri, l'apostolato, ecc.). Tu dici « che la fede si unisce alla storia nell'anima »; io non comprendo tale frase. La fede (per noi credenti virtù soprannaturale teologale) è nell'anima come altra virtù e si storicizza come si storicizzano le altre virtù; perché l'uomo operando in conformità, si storicizza con tali virtù. Non esiste una fede che non risieda negli uomini; esiste fuori degli uomini l'oggetto della fede che è Dio rivelante. L'agire dell'uomo con riferimenti a Dio rivelante è realtà storica; ed è realtà storica il riferimento intenzionale di agire per una realti soprannaturale e in virtù di una realtà soprannaturale. Ma « noi non possiamo ragionare sul mistero nei termini suoi propri che conosce Dio e non noi ». Così tu scrivi e non c'è da obiettare, perché Dio conosce e non noi. Questo tu dici estra-speculativo. Ma secondo me non è questo l'estra-speculativo degli oppositori. Sto bene. Un abbraccio, tuo Luigi
[London, Paddington], 5 ottobre 1931
Carissimo fratello, ti scrissi nella mia del 3 corr. che sarei ritornato sulla questione della sopra-storia. Trovo questa parola usata in scritti di cattolici italiani; non mi è dato fin ora di incontrarla in scritti di altra lingua, né su scritti di non cattolici. Mi sembra (posso ingannarmi) che la creazione di questa parola dipenda dal fatto che di fronte al divulgarsi dello storicismo crociano, che bene o male è penetrato nel pensiero di molti, si sia cercato di salvare da questo divenire storico l'elemento religioso cristiano chiamandolo soprastorico. Comunque sia di questa origine, o altra che io sconosco, il certo si è che trovo classificato come soprastorico sia l'elemento soprannaturale della vita umana, sia il pensiero filosofico tradizionale (Olgiati parla di tomismo), sia i valori religioso-
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morali costanti. Se questo è il sopra-storico, è errore chiamarlo così, poiché nel fatto non vi è di più storico (cioè storicizzato) di quello che ha un valore costante, perché esso essendo costante pervade di sé tutta la storia. Neppure vi è ragione di chiamare soprastoria il soprannaturale a noi comunicato. Anch'esso è divenuto storia, anzi è la vera storia dalla creazione e caduta di Adamo alla venuta di Gesù Cristo alla formazione della Chiesa e sua vita fino alla fine dei secoli. Come spiegare la storia umana senza il soprannaturale? I1 tentativo di fare della storia naturalistica ha portato logicamente a negare ogni soprannaturale nella vita e quindi alle filosofie materialistiche o idealistiche (panteismo) . La storia e la filosofia ne sono falsate. I1 concreto umano esistente è da Adamo in poi naturale e soprannaturale insieme, in tutti i punti della terra e non può astrarsi da questo dato concreto che è la vera storia, senza cadere nell'astrattismo. Sto bene. Attendo avere il tuo parere su di ciò. Un abbraccio, tuo Luigi
Piazza Armerina, 6 ottobre 1931
Carissimo fratello, la posta non mi reca l'attesa cartolina. L'ultima, a cui già risposi, è del 25/9, ricevuta il 30. In detta cartolina tu distingui tra il determinato fisico e l'indeterminato morale. La parola indeterminato non mi sembra propria e non dice nulla. Continuando il mio ragionamento, io ora rilevo il passaggio dalla nozione di mal fisico a quella di mal morale. I1 primo è un rapporto che contrasta con altri rapporti. Si chiama male, perché la mente nostra pensa ad un ordine che non è certo l'ordine reale; il qual ordine da noi pensato, qu'ando un fattore qualunque lo turba, questo chiamiamo male. Dunque, il male deriva dalla nozione di ordine, non di determinazione. I1 mal morale è anch'esso un ordine che contrasta ad altro ordine, ad ordine superiore. Quando è libero, è colpa. Dunque il mal morale, colpa, deriva dal disordine liberamente voluto, non dalla indeterminatezza. E tutti i mali fisici e morali derivano dalla contingenza, cioè, dalla natura. La natura creata è limitata, dunque
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non ha tutta la perfezione, né può averla. Se l'avesse, sarebbe Dio. L'uomo ha forze di volontà e libertà limitate. Ecco perché, quando un rapporto si attualizza con data forza, non sempre è pronta a disattualizzarlo, se è colposo. È un bene immediato che l'uomo vuole, perché immediato, trascurando l'ordine superiore. Dio aiuta l'uomo con la provvidenza ordinaria, naturale, e con la grazia. I teologi dicono che senza tali aiuti l'uomo non evita tutto il male, non potrebbe. Perché? Per la sua natura. Sto bene. Aspetto le tue nuove. Ti è stato spedito il Cosmo. Avvisami quando lo ricevi. Tuo
t Mario ELondon, Paddingtonl, 8 ottobre 1931
Carissimo fratello, rispondo alla tua del 2 arrivatami ieri sera. Purtroppo in nessuna lingua vi sono tante parole quanti significati, e gli stessi significati non sono costanti. La parola necessario non è usata solamente in senso ontologico. Ma a parte questo dettaglio linguistico, il male fisico è un male? Tu dici di sì, perché è un disordine. Ora che il gatto mangi il topo è ben un ordine della natura, allo stesso modo che le altre reciproche interferenze (le chiamo così). Pel topo sarà un male, ma non è un disordine della natura. Come non è un disordine della natura che gli uomini muoiano così come è naturale per il fuoco bruciare, per l'acqua inondare, per i bacilli sviluppare i loro germi più o meno mortiferi. Noi abbiamo quest'ordine naturale e a questo ci riferiamo. I1 disordine è solo di carattere umano e quindi conoscitivo e morale; il male è una concezione metafisica relativa a un dato ordine (sia reale ed effettivo sia ideale e imaginativo). Per la società feudale era ordine che tutta la proprietà terriera dipendesse dal Sovrano e che la rivendicazione della proprietà individuale fosse un disordine. I1 dolore è un male? I o credo di no, data la nostra natura sensibile, anzi è un bene. Ciò non vuol dire che non possa essere considerato come un male relativo. Quindi siamo di accordo quando tu dici che « concetto di male viene da un ordine in contrasto ad un altro » - Io direi: « ... viene dal concetto di un ordine in contrasto, ecc. ». Onde estendendo i rapporti fra un ordi-
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ne naturale decaduto (il nostro) e un ordine ideale di felicità (l'Eden) diremo che tutto l'ordine attuale è un male. Ma rapportando quest'ordine nostro all'azione redentrice di Gesù Cristo diciamo che quest'ordine è un bene (o felix culpa) E così via. Sto bene. Un abbraccio, tuo Luigi
Piazza Armerina, 9 ottobre 1931
Carissimo fratello, le tue del 30-9 e del 3-10 arrivano tutte e due il 7-10. Entro subito in argomento. Preso il senso centrale di quel che tu scrivi nella tua del 3, trovo che in fondo ammetti quel che io affermo. Io dico che il mistero non entra nella storia, in quanto questa è speculazione umana. Tu dici che entrano neila storia le azioni fatte nello stato di fede. Le due proposizioni dicono la stessa cosa. In che allora dissentiamo? Presto detto. Io affermo, come ho affermato sin dal principio, che il nostro speculare sul mistero non è speculare proprio, ma analogo. I1 che vuol dire che è speculare sulle cognizioni umane per trovare in esse una nomenclatura che faccia evitare l'eresia. Con questo noi non facciamo entrare il mistero nella filosofia; ma facciamo una filosofia condizionata dal mistero e perciò statica. Statica per quella parte solamente. Tu invece prendi questo speculare, bensì come analogico, ma lo prendi anche come speculare del mistero, benché a parole ciò lo neghi, cioè lo prendi come dinamico senza più. Ti prego di studiare bene questo punto, perché è il pzlnto. Dato il mio modo di pensare, il mistero resta di là daila filosofia, di là dalla storia, non si storicizza, perché, se si storicizzasse, diventerebbe filosofia, e cesserebbe di esser mistero. Entra nella storia il pensare e l'agire dei credenti. Ma questo, a chi manca la fede, non limita il dinamismo della filosofia, e la religione diventa storia delle religioni, processo unico, filosofico-storico, umano-divino, nel senso che il divino vien concepito come elemento del dinamismo, come unità con l'umano. Sto bene. Ieri fui a casa. Abbracci.
t Mario
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[London, Paddington], 10 ottobre 1931
Carissimo fratello, ricevo la tua del 6... questa volta in perfetto orario; e rispondo subito. Io non dico che il male fisico derivi dalla nozione di determinatezza, ma che ha la qualità di essere di un ordine determinato, cioè deriva dalla nozione di ordine, ma determinato; e il male morale da un ordine indeterminato (cioè libero). Questo mio linguaggio non è in contrasto al tuo, perché quanto tu dici nella cartolina del 6 corr. è lo stesso di quello che io penso e che ti ho scritto. Però ho voluto marcare che vi è solo analogia fra i due mali perché essi sono di ordine del tutto differente; ed ho voluto precisare che il male è una concezione subiettiva di ordine e quindi di natura conoscitivo-morale e non di natura oggettiva e positiva. Questa idea ho svolto nella mia de11'8 corr. Ora, il punto specifico del tuo pensiero, espressomi fin dalla prima cartolina del 20 agosto è che il male fisico e morale hanno per unica sorgente la contingenza della natura, in quanto la natura essendo creata è limitata e non può contenere tutte le perfezioni. Questa concezione, come ti scrissi, è da me accettata, ma per escludere la positività e la necessità del male (morale) l'unico che io concepisco realmente male, io ti ho scritto fin da principio insistendo sui criteri di negatività (limite negativo) e di indeterminatezza (libertà) del male morale. Ma tu hai preso le parole « limite negativo » come frase da scuola, e quella di indeterminatezza come nozione logica del male. Spero che adesso io mi sia spiegato meglio. Desidero evitare la connessione necessaria fra limitatezza di natura e male morale (colpa). Insisto poi nella identificazione del male morale con la colpa, perché dove non c'è colpa non c'è male effettivo, ma solo materiale, il che è nulla. Sto bene. Prega per me. Un abbraccio, tuo Luigi Parlami dei tuoi scritti.
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Piazza Armerina, 12 ottobre 1931
Carissimo fratello, la tua del 5 mi è arrivata il 9, quando già la mia era alla posta. Essa è molto interessante, perché mi giova a chiarire meglio il mio pensiero. La storia, secondo i moderni, è processo. Questo concetto non possono accettarlo i cattolci, tal quale, perché importerebbe la distruzione del dornma (sarebbe l'errore dei modernisti). Ma, come tu dici ed essi cattolici devono vedere, anche la religione cattolica si storicizza. Non trovando altro concetto, ricorrono a quello di sopra storia. I o dico: la storia è processo (la storia umana), perché tutto ciò che è contingente è temporale, e tutto ciò che è temporale, è processuale. La rivelazione del puro mistero non è processuale, perché (è questa la ragione che m'interessa e perciò trascuro le altre) non entra nella storia per via di cognizione propria e naturale, ma unicamente per via di rivelazione. La storia diviene, il domina puro sta. Tra la prima e il secondo ci sono le verità rivelate che l'uomo conosce anche in modo naturale. Queste verità nella realtà umana sono statiche e dinamiche; statiche per la rivelazione e pel punto a cui questa si limita, dinamiche pel resto. I1 decalogo è di queste verità. Esso sta immobile, è sempre il decalogo, e nello stesso tempo è la teologia morale così varia e processuale. Secondo me tutto ciò che è dall'uomo è la storia, e perciò anche la vita cattolica in quanto vita umana, e derivi o si leghi al domma. E non è più storia tutto ciò che è statico nel senso sopra detto. Lo chiamiamo sopra storia. Sto bene. Abbracci. Mario
[London, Paddington], 13 ottobre 1931
Carissimo fratello, quanto mi duole la morte del cugino Salo Fanales! Prego per la sua anima e per i suoi. Mi spiace dover insistere nelle mie idee anche dopo la tua del 9 c.m. I o penso che non vi sia nulla che non si storicizzi, cioè che non passi dalla pura teoreticità (che non esiste
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se non in ipotesi) alla sintesi teorico-pratica che è storia. Si comprende bene che tutto quel che non arriva a sviluppare energie collettive non resta vivente nella storia e si confonde con il fondo di realtà diffuse, non individuate. La Rivelazione è una realtà storica vivente e trasformante le energie umane intellettive e pratiche in perpetuo dinamismo. Tu guardi il mistero a sé (astrattisticamentej fuori della Rivelazione storica e quindi fuori della storia. Ecco il dissenso fra me e te, fra il concreto e l'astratto. Tu aggiungi, giustamente, che noi conosciamo solo i termini analogici del mistero. Ma chi ti dice che quei termini sono analogici se non la Rivelazione storica (e quindi continua)? E che importanza che assume questa terminologia nella storia! E quale luce non getta nella stessa realtà naturale! Tutto ciò è storia. L'eresia è storia e non sarebbe tale se non fosse storia anche l'ortodossia. Tutta questa realtà concreta che vive del mistero e nel mistero rivelato non può costituire una sopra storia come non costituisce una sopra-filosofia. Per me è storia e filosofia, nelle quali i misteri rivelati entrano come entrano nella nostra mente, cioè quali misteri espressi in termini analogici: né più e né meno. Gli avversari non concepiscono tutto ciò perché non concepiscono un Dio trascendente e personale (il che è filosofia pura). Questo è il punto di distinzione: da una parte il Monismo dall'altra il Dualismo. Noi distinguiamo metodologicamente e tecnicamente la Filosofia dalla Teologia positiva; ma non possiamo non risolvere in Filosofia i dati storico-conoscitivi della Teologia Rivelata. Sto bene. Un abbraccio. H o ricevuto il libro su Dante. Grazie. Luigi
Piazza Armerina, 16 ottobre 1931
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Carissimo fratello, la tua del 10 mi giunse il 14. Io ti scrivo con un giorno di ritardo, perché ieri fui di nuovo a casa. Nelina sta bene. Ora eccomi a te. Io ho preso le mosse dal male fisico e su esso ho insistito ed insisto, perché reputo che senza spiegar questo, non si riesce a intendere il mal morale. Sono di ordine diverso. Chi ne dubita? Ma hanno la stessa origine. Or tu nella [tual dell'8 neghi al male fisico
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la natura oggettiva del male. Ecco una divergenza che bisogna superare. I1 male è sempre giudicato in rapporto a una mente. Così il bene, il vero, il bello. Gli scolastici su ciò son concordi o quasi. Ora, se per un verso, una tegola che cade, è una legge che si attua; quando la tegola cade sul capo d'un uomo, diciamo, ed è così, che fa male a quell'uomo. La malattia? La chiameresti bene? I1 mal morale, è male, perché contrasta con la mente divina ed umana; è colpa perché è libero. La ragion di male l'ha comune col mal fisico; quella di colpa, no. Se così non fosse, l'uomo potrebbe, con le sole sue forze, evitare la colpa, sempre. Affermarlo sarebbe in teologia ed in filosofia cristiana almeno, errore. E qui trovi con miglior luce, la nozione di grazia (soprannaturale) e concorso-aiuto (naturale). L'uomo è sempre in questa connessione, e per esistere e durare e per agire e per agir bene. Quando pecca? Quando, trascurando l'ordine superiore e quindi l'azione di sua attualizzazione, resta nell'ordine di un appetito attuato e tendente a diventare azione. La libertà non è il tocco della bacchetta magica, ma un lavoro di conquista. Sto bene. Lavoro. Oggi si riapre il Seminario. Tuo t Mario
[London, Paddington], 16 ottobre [l9311
Carissimo fratello, ricevo la tua del 12 c.m. I1 punto che dobbiamo chiarire è che cosa intendiamo per processo. Per me il processo prima che esterno è interiore nelI'uomo, è la nostra coscienza un processo (potenza e atto) e non può non essere tale perché contingente. Dio invece è atto puro e non processo, perché l'assoluto. Inteso cosi il processo non può negarsi che la storia sia un processo, perché la storia è la risultante di tutti i processi umani. I1 processo non nega i valori permanenti, ma li attualizza nella realtà umana che è la nostra coscienza. Forse il Decalogo vive a sé oggettivamente? Vive e rivive nel processo individuale e storico, perché l'esigenza naturale a cui esso risponde è il perenne presente del nostro essere che è sempre in processo. L'uomo è sintesi, e quindi in lui naturale e soprannaturale si fondono nella sua cosciente e processuale esistenza. Così si
realizza e storicizza in noi la Rivelazione. I n Dio invece tutto è, e nulla è processuale. I1 dire che il Decalogo e i Dogmi non sono processuali non può avere altro significato che nella vita umana vi sono valori permanenti. Fuori della conoscenza umana e fuori di Dio esistono forse il Decalogo e i Dogmi? Ma essere processuale e permanente a un tempo non si contraddicono. Anche l'essere di ciascun individuo è processuale e permanente. I1 relativismo storico se vero relativismo non esclude i valori costanti come non esclude la verità; altrimenti diviene un volgare pragmatismo irrazionale. Sto bene. Un abbraccio, tuo Luigi
Piazza Armerina, 19 ottobre 1931
Carissimo fratello, rispondo alla tua del 13 arrivata puntualmente. Con essa potrei reputare esaurita la nostra discussione in senso di non superabile divergenza. Preferisco far qualche nuovo sforzo, tanto a me sembra chiaro il mio modo di vedere. Penso che occorra fare un passo indietro e intenderci sul concetto di storia, come se su di esso nulla avessimo scritto e stampato e discusso. Per me la storia è la vita ricostruita dalla nostra mente. La vita è temporalità; temporalità la storia; e perciò contingenza e processo l'una e l'altra. Questa è anche filosofia. È natura. Non è però tutta la realtà, tanto meno è la prima realtà. La natura dipende dalla soprannatura. Le parole naturale e soprannaturale, spero, non daranno luogo a fuorviamenti della nostra discussione. Esiste il mondo come separato da Dio? No. Esiste vita umana indipendente da Dio? Nemmeno. E nemmeno è possibile pensiero, storia, filosofia (che son tutt'uno) separati da Dio. Sin qui credo che siamo d'accordo. Senza una rivelazione l'uomo conosce Dio e con lui comunica, naturalmente, storicamente, filosoficamente. Conosce l'eterno, ma lo conosce in modo naturale. Eterno l'oggetto, naturale il modo, e perciò processuale. I1 qual modo, nel processo, cioè, nella storia, nella filosofia, muta con gli uomini e col tempo, cioè si storicizza. Con la rivelazione l'oggetto e il modo coincidono sotto il rispetto di fede, non sotto quello di filosofia. La fede genera la teologia; la traduzione analogica genera la
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filosofia. I1 domma è soprannaturale nell'oggetto, immobile nel modo teologico, mobile nel modo analogico-filosofico. I1 domrna, in quanto immobile, non si storicizza. Se occorre, continuerò a spiegare questo mio pensiero. Sto bene. Abbracci. Tuo Mario
t.
[London, Paddington], 19 ottobre 1931
Carissimo fratello, rispondo alla tua del 16 dove tu scrivi molte belle idee che io accetto e che non ho mai contraddetto nelle mie precedenti; ma i punti delle nostre divergenze sul male fisico restano insuperabili. a) Tu affermi e io nego la natura oggettiva del male fisico; b) tu affermi e io nego che il male morale abbia comune col male fisico la ragione di male. Sull'a). Nell'ordine presente le malattie, le morti di tutti gli esseri viventi (dalle piante all'uomo) sono di ordine naturale; il dolore per gli esseri sensibili è di ordine naturale tanto quanto il piacere. Le leggi fisiche che producono malattie, morti (fulmini, tempeste, terremoti, ecc.) sono di ordine naturale. Se il male è una violazione di ordine, non può essere oggettivamente male tutto quello che risponde a tale ordine. Può essere solo un male soggettivo, e in un ordine relativistico del soggetto. I n modo che quanto più il soggetto fa se stesso centro di un ordine egoistico, tanto più per lui il dolore è male (e il piacere bene); e quanto più il soggetto si relativizza estra di sé, altruisticamente il dolore si trasmuta in bene e il piacere in un meno-bene o non-bene o male. Come vedi, siamo in pieno soggettivismo. Passando al b) il male morale è invece un vero disordine in rapporto ad un ordine oggettiÈ vero che l'azione mala può vo sia naturale che soprannaturale. contenere in sé elementi di bene sia intenzionali che effettivi, ma il disordine è effettuato sopra una linea oggettiva. Come si può parlare di identità nella ragione di mala tra il così detto male fisico (subiettivo) e il vero male morale (obiettivo)? Sto bene. Un abbraccio, tuo Luigi
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[London, Paddington], 22 ottobre 1931
Carissimo fratello, fo tre rilievi alla tua del 19 corrente: a) per te la storia è la vita ricostruita nella mente; per me prima di ciò è il processo temporale delle coscienze umane (di ciò la mia del 16 c.m.); b) tu scindi nella realtà umana sintetica il processo naturale da quello soprannaturale. I o invece penso che natura e soprannatura, fin dalla creazione elevazione e caduta di Adamo sono nell'uomo in sintesi inscindibile, benché noi possiamo alterarne i valori con le nostre colpe. I1 processo storico è perciò naturale e soprannaturale insieme. In Dio invece natura e soprannatura sono la sua stessa semplicità e ricchezza infinita, noi quindi a egual titolo dipendiamo da Dio e come natura e come soprannatura. C) Come non può aversi nell'uomo un processo di coscienza puramente naturale e un nonprocesso soprannaturale; così non può aversi una storia naturale e una soprastoria soprannaturale. Noi nello scindere, nel sezionare, nell'analizzare facciamo opera di chiarificazione e di astrazione, per ben comprendere l'uno e l'altro relativismo o ordine; ma la sintesi è vivente nel concreto storico. In conclusione: tu pensi che la natura sia processuale e la soprannatura no; io penso che nell'uomo natura e soprannatura sono processuali, perché l'uomo è processuale; in Dio natura e soprannatura sono eterni, perché Dio è eterno. La verità è una, sia naturale sia soprannaturale, e la verità in noi è processuale, in Dio è eterna. Sto bene. Un abbraccio di cuore, tuo sempre Luigj
Piazza Armerina, 26 ottobre 1931
Carissimo fratello, rispondo alla tua del 19 persistendo sul mio punto di vista che reputo vero, e notando che tu pensi come pensi per illusione di formule distinguenti. I1 male fisico anch'esso ha la sua realtà oggettiva. Se questa mancasse, sarebbe pura fantasia o simili. Ma per inten-
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dere questa oggettività, è necessario che vi sia un pensante, cioè, un soggetto, una soggettività. Dice S. Tommaso che se non ci fosse un qualche intelletto, verità non ce ne sarebbe. Ed è così. Lo stesso va detto della bontà e del male. Ma se non ci fosse un qualche oggetto, su che cosa lavorerebbe la mente? I due termini sono inscindibili. La tua ragione non ha valore, perché non prova che l'ordine della natura sia tutto l'ordine, l'ordine infinito. È l'ordine limitato che si svolge in reciproco urto o lotta o contrasto che dir si voglia, perché ordine di esseri limitati. Una vita che si distrugge, bene non è. È male. Male, non colpa, male non malificio, male nel senso di non bene. E questo è il male fisico. Ma il mal morale, spogliato dalla ragione di colpa, non è la stessa cosa? Dunque sulla ragione di colpa resta a recare un po' di luce. Ma la luce c'è, se si considera che l'uomo non ha tutta la perfezione, e perché non fatto sempre il bene [sic]. Sto bene. Ieri ebbi una visita di Nelina. Tuo Mario
t
[ h i d o n , Paddington], 26 ottobre 1931
Carissimo fratello, fin da ora ti mando i miei più vivi auguri per il tuo compleanno. Dirò la S. Messa per te e saremo uniti nella preghiera. Ricevo gli appunti preparatori e ti ringrazio assai. Li ho letti una prima volta e tornerò a leggerli, perché, benché nel fondo io vi aderisca (e ti manderò in proposito un mio recente articolo) pure trovo dei punti dubbi ed oscuri (per me) sui quali prima di scriverti tornerò a pensarci. A prima vista mi sembra 1) che chiamare l'eterno (cioè Dio) Soprastoria sia improprietà ed elemento di confusione; se poi 2 ) con questo termine di soprastoria si vuole indicare solo il modo come noi concepiamo l'eterno, è anch'essa una parola inesatta; per noi eterno e Dio sono lo stesso. Se infine 3) la parola suddetta indica i valori permanenti nella storia derivanti d d a comunicazione di Dio a noi e della nostra elevazione a Dio, questi valori permanenti sono tanto naturali quanto soprannaturali, cioè sono nell'uomo reale (processo storico coscienza e attività) che è insieme naturale e soprannaturale, e si rapporta a Dio autore della na-
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tura e della grazia. Rileggerò gli appunti, ci penserò e tornerò a scriverti. Intanto grazie assai. Ti farò spedire un articolo di Gilson sulla filosofia cristiana. Tu mi dirai le tue impressioni. Sono di accordo con Canestri, ma egli evade la questione con la frase generica ubi domesticae societatis prerogatiuae terminum habet ibi, ecc. Sto bene. Un abbraccio di cuore, tuo Luigi I1 libro di Cosmo mi è piaciuto benché un po' lirico.
[London, Paddington], 29 ottobre 1931
Carissimo fratello, ti rinnovo gli auguri più vivi per il lo novembre. Al momento d'impostare la cartolina del 19 c.m. ebbi l'impressione che la mia frase che il male fisico è subiettivo avrebbe creato un malinteso. La tua del 26 è la conferma. Purtroppo è nostra abitudine che quando parliamo di subiettivo pensiamo alla negazione dell'oggetto. Ma non è sempre così. Io infatti non nego l'oggetto che cagiona il cosidetto male fisico, io nego che tale oggetto sia un male. Un bel sole è per me un bene, ma per il contadino che desidera la pioggia è un male. Oggettivamente è quello che è, soggettivamente sarà reputato un bene o un male. Metafisicamente la cosa è diversa: l'oggetto è sempre un bene, perché ens uerum et bonum conuertuntur, onde nel Genesi: quod esset bonum. Non è lo stesso del male, che né in sé esiste né negli oggetti. Tu dici che l'ordine naturale (non essendo infinito) comporta il male cioè il non-bene. I o credo che tu intendi dire che la limitatezza può essere tradotta soggettivamente o relativamente può essere reputato un male fisico (malattia) o morale (dispiacere). Ma per ciò stesso bisogna escludere completamente la idea di male = disordine: la malattia o il dispiacere corrispondono ad un ordine, questo ordine. In altra ti parlerò della colpa. Sto bene. Un abbraccio di cuore, tuo Luigi
LUIGI E MARIO STURZO
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998 Piazza Armerina, 2 novembre 1931
Carissimo fratello, ti ringrazio degli auguri e della messa che per me hai celebrato ieri. Settant'anni! Son già molti, e bisogna pensare seriamente alla partenza. Porro unum est necessarium. Ho letto con vivissimo piacere e gioia L'éloge du présent l . Gustosissimo! È interessante! Delle divergenze, che son quelle della nostra discussione, ma alin sede di discussione. Ora mi fermo quanto attenuate, te ne ai consensi e all'arnrnirazione. Lessi la Vita di Dante di U . Cosmo. Mi piacque poco, pure ammirando le belle pagine, che tu chiami liriche, ed io chiamerei oratorie. Ma il libro è disuguale, c'è poco senso storico, poco rilievo storico, niente critica, e c'è quell'eccesso di ammirazione che disturba tanto. C'è dell'arbitrario nello studio del processo formativo del poeta, e si ripetono motivi vecchi, senza che si avveda che sono sbagliati. L'amore di Beatrice fece uscire Dante dalla volgare schiera, nel senso che gli fu occasione per i primi canti, che lo resero stimato come poeta, accanto agli altri poeti stimati. Dante nacque Dante. Anche senza quell'amore, sarebbe stato Dante. La scolastica certo che disciplinò-il suo pensiero, ma LETTERA998. 1. Questo saggio Éloge du présent (in « La Vie Intellectueue », 10 ottobre 1931, pp. 47-58) fu scritto da Luigi Stuno in risposta a coloro che esaltavano il medio evo come una specie di età deii'oro, disprezzando l'età m* dema. I1 saggio fu poi compreso da Stuno in una raccolta comparsa negli Stati Uniti nel 1945 con il titolo Spiritual problems of our time, presentata infine in versione italiana nel volume dell'opera Omnia con il titolo Problemi spirituali del nostro tempo (1961). «Che è mai il presente? - si chiedeva Stuno sembra un attimo; ecco: non è più; e pure è, poiché queii'attimo di poco fa che con gli anni si perde nell'abisso del passato, è quello stesso che si è risolto nell'attimo del presente e che continua a risolversi negli attimi successivi dell'awenire. L'unico, il vero esistente è il presente e questo non è altro che la risultante complessa e completa di tutto il passato [...l. Ma è difficile poter fare un reale inventario di quel che vive e di quel che muore, talmente quel che forma il presente è legato ad una ben lunga continuità storica; sì che riandando fino ai più lontani secoli conosciuti, si trovano tracce indelebili delia realtà oggi viva e pulsante [...l. Noi molto dimentichiamo o crediamo di aver dimenticato, perché molto del nostro passato non è attuale alla nostra memoria. Pure il passato è talmente trasformato nel nostro presente ed è in noi attuale ed a noi così intimo da non potersi distingurre da q u d che noi siamo oggi. La memoria è una facoltà seleniva e ritiene più vivamente, e aii'uomo fa riemergere daii'oblio, quelle impressioni che rispondono o ai nostri presenti bisogni o al nostro modo attuale di sentire. Ma del passato non tutto quel che è in noi riviviamo con la memoria; non sarebbe utile [...l», (p. 2 deii'ediz. ital.).
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appesantì il poema. L'allegorismo fu una tara del tempo. E dico - tara -. Ma fu anche, in Dante, una tendenza del suo spirito. Io vorrei altra cosa su Dante. Ma ... Sto bene. Ieri funzione pontificale in Cattedrale. E ciò m'impedì di scriverti e cagionò il ritardo. Prega pel tuo aff.mo fratello che tanto prega per te. Tuo t Mario
[London, Paddington], 2 novembre 1931
Carissimo fratello, ieri il tuo giorno; oggi quello dei nostri cari; la preghiera ci tiene uniti. La misericordia di Dio ci riunirà in cielo. Sto bene. Ho ricevuto stamane gli appunti intorno al problema del male e li ho letti subito con il vivo interesse col quale io leggo sempre tutte le cose tue. Trovo che oramai concordiamo sul maggior numero di idee. Mi restano due o tre punti dubbi o non chiari, dei quali ti scriverò dopo avere riletto i tuoi appunti e riconsiderato le mie obiezioni. Così credo che avremo condotto quasi in porto questa interessante conversazione. Tu intanto avrai ricevuto la mia del 29 ottobre e avrai notato alcune coincidenze. In quella ti promettevo di scriverti sul male morale. Ma dopo aver letto i tuoi appunti ho poco da aggiungere, tranne quel che sarà oggetto della mia prossima, dopo averci pensato di nuovo. Non mi parli più dei tuoi sonetti. Mi avevi promesso di inviarmeli dopo averli rifiniti; spero non ti sarai pentito di pubblicarli. Non ti ho spedito ancora l'articolo di Gilson, perché il fascicolo mi serviva per una citazione. Ora te lo spedirò. Da te aspetto ancora le impressioni sul Diritto di guerra l . Quando andrai a Roma? e si fermerà là il tuo viaggio? Nelina verrà con te? Essa mi scrive che costà fa bel tempo: anche troppo caldo. Qui ieri e oggi assai belli. Un abbraccio, tuo Luigi
LETTERA 999. 1. Si vedano le lettera 417 n. 2 e 859 n. 2.
LUIGI E MARIO STURZO
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[London, Paddington], 6 novembre 1931
Carissimo fratello, né ieri né oggi né stasera tardi ricevo la tua solita cartolina. I o ho tardato a scriverti nella speranza che la tua mi arrivasse. Ora è troppo tardi per scriverti intorno ai problemi che ci interessano (me sopratutto). Te ne scriverò domenica, che avrò un po' più di tempo. In questi giorni sono stato molto occupato, per uno studio richiestomi da una rivista francese. Sto bene; un po' stanco ma credo per il lavoro. Salutami gli amici di costà, specialmente Mgr Fondacaro e Mgr Lidestri. Attendo notizie sui tuoi sonetti e spero di vederli presto in una bella raccolta. Mi sembra di aver letto una recensione assai laudatoria di un romanzo cristiano del direttore della « Tradizione » di Palermo. Me ne puoi dare informazioni? Mandami i tuoi due volumi sulla Letteratura. C'è persona che se ne interessa. Quel professore di Malta che l'anno scorso desiderò questi tuoi scritti, è volato al cielo l . Prega per lui. Un abbraccio di cuore, tuo Luigi
Piazza Armerina, 6 novembre 1931
Carissimo fratello, ricevo a momenti la tua del 2. Son felice nel leggere che sul problema del male siamo quasi d'accordo. Quello è un problema che va studiato e fatto studiare a dovere. Ti scrissi che i sonetti non li ho dimenticati. Di essi tornerò a parlarti fra non molto. Ti ripeto le mie felicitazioni cordialissime per l'elogio del presente. In esso tu chiami la storia coscienza del processo. Non dico che non sia così, ma noto che è meglio attenersi a formule più precise e meno equivoche; giacché la parola coscienza può far pensare all'idealismo, pel quale il processo cosciente ha altro valore, certo un valore che noi ~ o pcssianc n accettare, perché siamo dualisti. Labriola dice: « La società è un dato. La storia non è se non la storia di LETTERA1000. 1. N u d e alla scomparsa di G. Donati, di cui alla lettera 960.
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questo dato P. Qui si considera l'aspetto oggettivo. Tu consideri l'aspetto soggettivo. La vera storia è nella sintesi dei due aspetti. Infatti se è storia la serie processuale degli accadimenti, questo dato-processo non [è1 conosciuto che processualmente, cioè, in un altro processo, quale è il conoscere. La storia dunque è la sintesi di due processi: il processo del dato, il processo della sua conoscenza. I1 dato, in sé, è quello che fu. In sé non muta. I1 dato nella mente umana è quello che lo conosce, interpreta, sistema, organizza la mente. Nella mente è quello che diviene. Dunque: quello che fu - immutabile, perché fu -; quello che diviene nella mente e per la mente; dunque in perenne divenire, perché la mente è un perenne presente che perennemente diviene. Io direi che la storia è il processo della società già esaurito, che si processualizza nella umana coscienza. Sto bene. I1 Diritto di guerra non l'ho ancora visto, perché mi è mancato il lettore francese. Io non posso coi miei occhi far lunghe letture. Ma spero trovare tra breve il lettore. Abbracci. Tuo Mario
[London], 8 novembre 1931
Carissimo fratello, l'ultima tua sono stati gli appunti del 29 ottobre. L'ultima di 'Nelina è del 30 ottobre. Comincio a essere inquieto: sarà la posta. Aspetto domani. Intanto ti scrivo questa, ancora sugli appunti del 24 ottobre. Dopo averli riletti e ripensatovi sopra, a m i sembra potere così riassumere il mio pensiero. L'idea di male, come idea originaria, non può avere altro punto di partenza che l'esperienza personale. È stimato male quel che disturba l'ordine pratico del soggetto che ne ha esperienza, sia esso l'individuo (in forma primaria) sia una data collettività, famiglia, clan, casta, classe, città, stato, ecc. (in forma derivata). È quindi il male un disordine ritenuto tale perché rapportato ad un dato ordine pratico, in quanto anch'esso ritenuto tale. Qui si intende male sia fisico, sia moralesociale, e sia individuale (nel senso di dispiacere). Cambiati i valori, sotto qualsiasi punto di vista, in quanto i valori possono cambiare in meglio e in peggio, allora cambieranno gli apprezzamenti di un dato ordine e quindi anche la valutazione del disordine relativo.
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La povertà in un sistema economico qualsiasi è reputata un male; in un dato sistema religioso è reputata un bene. La vendetta sul nemico in un sistema civile o cristiano è un male, in un sistema primitivo o di clan (antico giudaismo) è un atto di giustizia. E così via. Ma c'è un altro ordine che non dipende da noi alterarne i rapporti, ed è l'ordine morale dell'individuo in riferimento a Dio. Questo è un ordine non da contingente a contingente, ma da contingente ad assoluto. Violarlo, cioè commettere un peccato, significa portare il disordine nella nostra anima. Se il disordine vi esiste, questo deve essere riparato, o da noi con la grazia di Dio, o da Dio per sua giustizia. Fra i due concetti di male (il fisico morale sociale e il religioso) vi è solo analogia;'fra i due concetti di ordine solo analogia; fra i due concetti di riparazione solo analogia. Continuerò in altra. Un abbraccio, tuo Luigi
[London, Paddington], 9 novembre 1931
Carissimo fratello, continuo la mia di ieri. I tuoi appunti nel loro complesso mi soddisfano e li accetto. Però alcuni punti mi riescono oscuri o inacceitabili. 1) Tu dici: <( che date attività vengano impedite o distrutte non è ordine... circa il loro essere D. Ora l'essere individuo fisico è sempre impedito o distrutto (meglio trasformato). Dire che ciò non è ordine, sia pure circa il loro essere (cioè circa ogni essere) sarebbe negare l'ordine del creato. Dire poi che ciò è un ordine pei distruttori (che sono tutti) e non pei distrutti (che sono tutti) sarebbe in fondo negare l'ordine stesso. Perciò io parlo nella mia di ieri di ordine pratico relativo al soggetto. 2 ) Tu dici: <( il male (fisico) non è un contrario al bene, ma un bene limitato D. Ora ogni bene creato è limitato; così le nozioni di bene e male si confonderebbero. Perciò io direi male relativo in quanto è appreso come male relativamente a un dato ordine contingente. 3) Tu dici: <( il male fisico e il morale (colpa) hanno questo di comune che derivano dalla limitatezza della natura (cito in riassunto). D'accordo che derivano dalla natura limitata (creata); ma siccome non derivano sotto titolo univoco, ma sotto titolo analogico, così il ragionamento non corre, a meno che non affermi una semplice analogia e non identità.
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Cosf tu, appresso, fondi il male morale (colpa) sugli atti fisici, per derivarne la ragione comune con il male fisico cioè che ogni attività è un bene (metafisicamente). Ma questo bene metafisico, con il bene morale non hanno rapporto che di una molto lontana analogia. 4) Tu dici: <( il male morale (colpa) è un turbamento dell'ordine della ragione P. Ed è esatto: però a completare il concetto di colpapeccato, si deve aggiungere <( con riferimento a Dio ». Se il riferimento fosse solo alla società umana, la colpa si ridurrebbe a male sociale relativo alla vita collettiva. (Concezione atea della morale sociale). Con questa ho spiegato le ragioni della mia formulazione di ieri. Un abbraccio, tuo Luigi
Piazza Armerina, 9 novembre 1931
Carissimo fratello, rispondo alla tua del 29-10 che ricevo appena ora. Grazie di nuovo degli auguri. Tu neghi recisamente che nel male fisico ci possa essere <( l'idea di male =disordine ». Citi il Genesi vidit quod esset bonum. Ma io posso citare cento passi della Scrittura in cui si adopera la parola male. Morire è la legge. Sta bene. È però la legge della limitatezza. È dunque la legge della non pienezza del bene. Ma morire per l'urto d'altro essere, cioè, morire ucciso, se è anche la legge, è anche l'impedimento che un'altra legge (lo svolgimento naturale di quella vita) si compia. E ciò è il male (non la colpa), il male fisico, non il male metafisico, quel male che è urto di leggi, che avviene perché nessuna creatura ha tutta la legge. Credo che ciò sia chiaro, e credo che tu non vi aderisca, perché unisci insieme ciò che io separo: il concetto fisico del male e il concetto metafisico. Sto bene. Abbiamo, dopo quattro mesi di siccità, avuto le prime pioggie. Sia ringraziato il Signore. Un viaggio a Roma? Sicuro che dovrei farlo per la ad limina, visita che spira con dicembre. Ma vi andrò? Non ricordi che ho settanta anni? Io desidero andarci e forse vi andrò in aprile, ottenendo una proroga. I n tal caso è anche possibile che vada oltre. Se sapessi come ne sento vivo il bisogno. Prega per me. E credimi sempre. Tuo aff.mo fratello t Mario
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Piazza Armerina, 12 novembre 1931
Carissimo fratello, a momenti ricevo la tua dell'otto. Io, dopo gli appunti del 29-10, ti ho scritto nei giorni 2, 6, 9. In questa tua cartolina tu guardi un aspetto della quistione che non è certo l'aspetto da me considerato sin da quando ti proposi il problema. Tu isoli il mal morale, e dopo lo metti di fronte al mal fisico. Tra i due ordini di male trovi solo analogia. Prescindendo dalla parola analogia sulla quale forse si potrebbe discutere (ma non mette il conto), io non dissento da te quando il problema è posto nei termini nei quali lo poni tu. Io però in agosto ponevo il problema in altri termini, cioè, consideravo il male come derivante dalla ragione di contingenza, cioè, limitatezza. Dalla genesi passano alla natura. I1 seguito della discussione credo che abbia reso chiaro quel che io intendevo e intendo dire. La prima cosa che io intendo dire è che il mal fisico è naturalità, cioè, che non è vero male, ma espressione della limitatezza degli esseri. E dicevo che sarebbe bene chiamarlo con altro nome. Aggiungevo che alla base del mal morale c'è il mal fisico, così alla base, da far una unità, una sintesi. Infatti se l'uomo non fosse limitato, non commetterebbe mai la colpa, non la potrebbe commettere. Però il mal morale prende la sua natura morale nella sintesi, e qui entra in un ordine proprio, l'ordine di vero male. Ecco il mio pensiero. Confrontalo col tuo, come lo esprimi in quest'ultima cartolina, e poi dimmi se le due maniere - nel punto essenziale non concordano. Sto bene. Non so che Mignosi, direttore di « La Tradizione » abbia scritto romanzo. Cercherò. Tuo Mario
[London, Paddington], 13 novembre 1931
Carissimo fratello, finalmente ho ricevuto insieme le tue del 2 e del 6 corr. mese e anche la cartolina di Nelina. Ti ringrazio di quel che scrivi sul1'Éloge du présent. La parola coscienza riferibile al processo tem-
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porale, per sé non è né idealista più che realista, né soggettiva più che oggettiva, e non trovo ragione di lasciarla agl'idealisti anzi che utilizzarla, in senso nostro. Dal contesto di tutto l'articolo balza la oggettività del processo, che però è valutato tale solo dal soggetto che conosce processualmente. Questo fatto messo in contrapposto al soggetto (Dio) che conosce attualmente, acquista la sua luce giusta. Tu dici che la storia è nella sintesi dei due aspetti cioè il processo del, dato e il processo della conoscenza del dato. Ma dove si fa la sintesi? nel presente vissuto, pensato e cosciente. Questo è il nostro stesso processo sentito dalla nostra coscienza come tale. « ... réalité du passé dans le présent et memoire actuelle du passé: en substance conscience de son &trepropre et de sa propre continuité ... individuelle ... collective » (pag. 49) '. Io mi differenzio da te in questo: che tu pensi a un quel che fu immutabile perché fu; io invece penso a un dinamismo continuo di quel che fu che vive nel presente come del presente che si riversa nell'avvenire. Quel che fu immzltabile non può esistere né in sé né in noi; non fu mai conosciuto come tale, né sarà mai come tale conosciuto. È un'astrazione. Quel che fu e vive in noi ci vive come realtà (il nostro pensiero stesso è una realtà) e quindi negli istituti presenti e nella formazione della coscienza attuale; o non vive più oggi. Potrà forse rivivere domani nel ricordo riattualizzato e nell'influsso di questo ricordo, come fu la Rinascenza in ordine al mondo greco-romano. Un abbraccio di cuore, tuo Luigi 1007 [London, Paddington], 16 novembre 1931
Carissimo fratello, ho ricevuto stamane la tua del 12 (non ancora quella del 9 - stranezze della posta). I1 punto di partenza (natura limitata o natura creata o tout-court natura) è unico per tutto il nostro essere, le nostre qualità, il nostro pensare ed agire. Dire quindi che il male fisico e la colpa hanno comune il punto di partenza perché derivano dalla natura contingente è lo stesso dire che il male fisico e il bene fisico, o il male fisico e l'errore o il male fisico e I'ignoranza, ecc. ... hanno comune l'origine della natura contingente o LETTERA1006. 1. Cfr. lettera 998 n. 1.
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nella contingenza della natura. Che cos'è che non deriva dalla natura brutale? Ecco perché io ho insistito nei due punti differenziali: a) rapporto a ordini diversi; b) analogia. Tu consenti nel mio modo di vedere (a parte la parola analogia), come io consento nel tuo; ma a patto di comprenderci e completarci. Quello che io non comprendo è la frase che tu ripeti nella tua del 12, cioè: alla base del male morale c'è il male fisico sì da fare un'unità, una sintesi ». Se di sintesi si deve parlare, il male fisico fa meglio sintesi con il bene morale (virtù), anziché con il male morale (colpa). Ma per sé il male fisico è indifferente alla virtù o alle colpe: può dare materia all'una o all'altra. Tranne che tu, come sembrerebbe, non identifichi il male fisico con la limitatezza della natura. Ma anche il bene fisico deriva dalla limitatezza della natura. Ecco il punto che tu mi chiarirai in una tua prossima. Questa cartolina completa la mia del 9 cori. che spero avrai ricevuta. Vorrei avere il numero del << Gregorianum D (fasc. luglio-settembre 1931) dove c'è lo scritto postumo di Cathrein Quo sensu sec. S . Th. ratio sit regula bonitatis voluntatis l. Prega per me. Sto bene. Un abbraccio. Luigi
Piazza Armerina, 17 novembre 1931
Carissimo fratello, rispondo subito alla tua del 13. Io non penso <{ a quel che fu immutabile D, ma presuppongo il fatto (e lo presupponi tu). Or il fatto, dal momento che è un fatto, cioè, un atto esaurito, non è più un processo. È così. Devo presupporlo così, diversamente non avrò il processo storico, ma altra cosa. La storia di Roma antica per es., è sempre la coscienza-processuale d'una lunga serie di fatti, cioè, un processo chiuso (come direbbe Croce), che nella coscienza è sempre aperto. Chiuso, come oggetto, aperto come coscienza dell'oggetto. Dice Ozanam nella Civiltà del V secolo ', che senza un LETTERA1007. 1. V. CATHREIN,Quo sensu secundum S. Thomam ratio sit regula bonitatir vduntatis, in u Gregorianurn », julieseptembri, 1931, p. 147. LETTERA 1008. 1. Opera pubblicata postuma nel 1856 con il titolo originale La civilisation au Vme siècle di Antoine-Fréderic Ozanam (1813-1853), esponente di rilievo del cattolicesimo francese, amico di Lacordaire, di Lammenais e di Montalembert.
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punto che sta, non c'è progresso. Ed è così. Io che parto da Piazza e vado a Roma, parto da un punto che è il punto della partenza, che è sempre là, mentre io me ne allontano. Se lo portassi con me, non me ne allontanerei. Pure lo porto con me nella coscienza. E perciò la storia è sempre la storia dello stesso passato; gli storici lavorano sempre sullo stesso passato: e frattanto la coscienza storica è un passato-presente sempre diverso, e mentre è questo, vuol essere la visione del passato nel suo essere di passato, quel che fu come oggetto e non quel che è come coscienza. Se cod non fosse, addio critica storica, addio storia. Sto bene. Sono stato a casa il 13. Nelina sta bene. Abbracci. t Mario
[London, Paddington], 18 novembre 1931
Carissimo fratello, che grata sorpresa stamani, aprendo il plico, di trovare Il mio canto l. Subito l'ho tagliato, sfogliato, letto e riletto diversi sonetti, molti sonetti ... Ti ho sentito tanto vicino ed ho sentito il tuo caldo soffio spirituale. Ho ricevuto anche i due volumetti di Letteratura. Grazie. Insieme ho ricevuto la tua cartolina del 9 e gli appunti. Lettili, trovo quel che abbiamo discusso e dell'altro. Te ne scriverò con più agio. Intanto aspetto risposta alla mia ultima di lunedì (16 novembre). Non affaticarti a farti leggere tutto il volume in francese. Basta che ti fai leggere e mi dai il tuo parere sui capitoli 8, 10, 11 e 12. Nelina mi scrive che sei stato a farle visita a Caltagirone e che stai bene. Come sono attraenti queste visite e come vorrei essere il terzo fra voi. Ma vi sono in ispirito. I giorni scorsi sono stato tanto stanco: ora sto meglio, anzi bene. I1 tempo è mite e piovoso. Proprio quello che fa venire i geloni alle mani. I1 tuo parere sul libro di U. Cosmo è troppo negativo. Questo tipo di ricostruzioni storiche è ora molto usato ed ha i suoi lati buoni. Un abbraccio di cuore. Tuo Luigi Salutami Fondacaro, Lidestri, ecc. Fammi spedire 5 copie di Il mio canto. LETTERA1009. 1. M. STURZO,IL
mio canto, Vecchi e
C.,Trani 1932.
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Piazza Armerina, 20 novembre 1931
Carissimo fratello, questa ti reca i fraterni caldissimi auguri pel tuo genetliaco. Quel giorno, a Dio piacendo, celebrerò per te e per Nelina, e andrò a casa. Nella tua del 9 mi dici che consenti ai miei appunti sul male fisico e morale con le riserve che ivi segui, non badando che tali riserve annullano il consenso. In esse poi mi fai dir quel che io non dico. Certo a quest'ora avrai ricevuto gli altri appunti sullo stesso argomento, che ti spedii il 14. I n essi, credo, troverai la risposta che forse ti appagherà. Ma desidero che ponga mente a quel che da tempo scrivo, cioè che, per me, il male fisico, non è male, ma uno degli aspetti della limitatezza del contingente. Se a ciò avessi badato, non avresti scritto detta cartolina. Né puoi negare che la processualità fisica è come un perenne cozzare contro i limiti che gli esseri si pongono a vicenda; i quali limiti son nello stesso tempo elemento di sviluppo. Sono il contingente. I1 romanzo di Pietro Mignosi, direttore di << Tradizione », è Perfetta letizia '. Mi arriva a momenti. Lo leggerò, e subito te lo manderò. Spero che sia bello e interessante, come dicono i recensori. Ho per le mani le poesie del nostro venerato maestro, Can. S. Cremona. Saranno pubblicate tra breve. Ce ne sono bellissimi. Ma ce ne sono anche mediocri. Io vorrei pubblicare i primi e lasciar fuori i secondi. La pubblicazione, come forse saprai, si fa dagli scolari come omaggio alla memoria del maestro. Sto bene. Ti avrei dovuto parlare del fisso nella storia. Lo farò altra volta. Ora manca lo spazio. Sto sano. Prega per me, come io prego per te sempre. E ti abbraccio. Tuo t Mario
LETTERA1010.
1.
P.MIGNOSI,Perfetta letizia, G . Grazzini, Pistoia 1931.
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1011 [London, Paddington], 21 novembre 1931
Carissimo fratello, ho da rispondere ai tuoi ultimi appunti e alle cartoline del 9 e del 17. Comincio da quest'ultima sulla Storia. Credo che il nostro dissenso sia di metodo e di riferimento. Tu parli di storia in senso filologico e quindi la consideri come un dato definibile; io parlo di storia vivente, cioè il presente in cui si riversa e vive il passato. I1 processo solo astrattamente può dirsi esaurito, ma concretamente 2 sempre in processo e quindi in essere, altrimenti non sarebbe più processo. L'impero romano dal punto di vista filologico è quello che cominciò con Cesare Augusto e finì in Occidente con Romolo Augustolo, un processo esaurito. Per la storia ut sic o filosofia-storia l'impero romano è sempre reale nel seguito storico fin oggi, sia in quanto è un precedente storico senza il quale sarebbe incomprensibile il seguito storico, sia perché esso influisce anche oggi come ieri, in modo diverso secondo le epoche, sui sistemi culturali, politici, giuridici etc. dell'occidente cioè sulla nostra realtà storica. Onde nella citazione francese della mia cartolina del 13 c.m. si parla di due fattori, ecc. Io non nego l'oggetto storico (o dato storico), io nego che esso sia mai distaccato dalla coscienza sì da formare un oggetto a sé stante, perché come storia è sempre vissuto secondo come è stato concepito e compreso, sin dal primo momento del processo al suo successivo svolgersi. La guerra 1914-18 che cosa è stata in sé? Ognuno di noi l'ha vissuta e sistemata secondo i propri punti di vista. Dei fatti particolari abbiamo fatto le nostre sintesi e le facciamo ancora (sbagliate o no) e così di seguito. I loro effetti si sono storicizzati e si storicizzeranno sempre. Io penso che con diverse parole diciamo la stessa cosa. Sto bene. Prega per me. Un abbraccio di cuore. H o letto tutti i sonetti e li rileggerò tanto son belli, freschi e spirituali, tuo Luigi
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Piazza Armerina, 21 novembre 1931
Carissimo fratello, ieri ricevetti la tua del 16. Ti rispondo subito, benché ti abbia scritto ieri. Tu scrivi: « Tranne che tu, come sembrerebbe, non identifichi il male fisico con la limitatezza della natura. Ma anche il bene fisico deriva dalla limitatezza della natura. Ecco il punto che mi chiarirai ... ». Io direi che questo punto sia chiaro almeno negli appunti che ti mandai il 14 corrente. Io ti ripeto che il male fisico non è male. Ma nemmeno è la stessa limitatezza. Invece è uno dei suoi effetti. Del bene però ciò non può dirsi. Esso è la stessa natura. È il bene natura. Bonum et ens conuertuntur. La natura non può identificarsi col male, perché il male non ha sussistenza propria, oggettiva, né può averne. Ma, ripeto, il mal fisico non è male. E, direi, il COZZO, l'urto di attività contro attività, esseri contro esseri. I1 qual urto non ci sarebbe, se la natura non fosse limitata. Tu hai sempre detto che anche l'urto è bene, perché non è disordine, perché il disordine, nel creato, è un nostro modo di pensare. In un senso hai ragione. Ma in un altro hai torto. L'essere che soccombe nella lotta delle forze naturali, è un essere che soccombe. Se quell'essere avesse la ragione, sentirebbe la ripugnanza. L'uomo che vede soccombere un essere in tal lotta, giudica che una vita, che poteva durare, si spegne. Qui sono i due aspetti, soggettivo ed oggettivo, degli effetti della limitatezza che danno quella tal cosa, che non è male, e chiamiamo male, e danno il concetto del bene, che è la natura nel suo moto. Sto bene. Mario
t
[London, Paddington], 24 novembre 1931
Carissimo fratello, grazie degli auguri e delle preghiere. Prega per me ne ho tanto bisogno. Ricevo insieme le tue del 20 e del 21 c.m. Che rapidità! Sto ancora al punto da chiarire. a) Bene fisico = natura: d'accordo; b) male fisico non dovrebbe chiamarsi male: d'accordo (però con
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riferimento alla mia de11'8 novembre sull'origine dell'idea di male); C) male fisico, cozzo di attività perché la natura è limitata: sarei anche di accordo, se tu non avessi scritto più sopra che ciò non può dirsi del bene. Ora, secondo me, nell'ordine pratico bene fisico e male fisico derivano dal piacere e dal dolore (sia sensitivo che volitivo). Metafisicamente non c'è che l'ente che per sé è un bene anche quando subisce quello che tu dici effetti defa limitatezza della sua natura, perché l'ente è un bene limitato, anzi la limitatezza è suo bene (metafisico) perché sua natura. Gli effetti della limitatezza non sono né contra né praeter naturam, ma secundum naturam. Conseguenza: occorre relativizzare l'idea di male fisico (o meglio naturale) nel senso da me espresso nella mia dell'8 novembre (« È un disordine ritenuto tale, ecc. D). Cambiati i criteri di valutazione cambia l'apprezzamento di disordine. Che resta allora? I1 dolore (fisico o morale) che accompagna il cosidetto male naturale. Anche il dolore è reversibile in piacere e viceversa. Né l'uno né l'altro sono il bene o il male ma effetti della limitatezza della natura. Tu aggiungi: « L'essere che soccombe nella lotta è un essere che soccombe ». È vero: per il suo ordine pratico particolare ciò è un disordine (male), ma metafisicamente è un bene come tutte le attuazioni della natura. Effetti di limitatezza sono tutte le attività naturali = bene. Un abbraccio di cuore, tuo Luigi
Piazza Armerina, 27 novembre 1931
Carissimo fratello, né ieri né stamani la posta mi ha recato la tua cartolina. Io frattanto non lascio il turno, tanto, ho da parlarti della storia come processo del processo esaurito e chiuso. La storia come coscienza è appunto la coscienza di data serie di accadimenti. L'accadimento, dal momento che è accaduto, è, cioè, divenne. Vero è che l'antecedente è antecedente del conseguente, e in questo s'infutura e diviene, cioè, vero è che distacco tra accadimento e accadimento non ce n'è. Ma è anche vero che l'antecedente è quell'antecedente, il quale non viene agito dal conseguente. Or la storia, come coscien-
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za di data serie di accadimenti, è la coscienza di quella realtà, in quanto quella. La coscienza che è il presente, è processo, e perciò processualizza l'accadimento esaurito, non però come quella realtà, ma come coscienza di quella realtà. Ma il processo della coscienza storica, mira sempre a una migliore comprensione del dato storico, cioè, mira sempre a quel processo esaurito, e in esso cerca il suo valore, e poco importa che lo cerchi processualrnente. Esempio. Io conobbi Leone XIII quando viveva. Poi son tornato a studiarlo quando con la morte le sua attività si esauri. Sempre quell'uomo, che prima vidi sotto un aspetto, poi sotto altri, ora, dopo le pubblicazioni di Salata ' e Jacini * sotto altro ancora. Processo di rivalutazione e scoperta, nel mio presente, che è anche presente del mio passato. Questo io volli dire, quando parlai di oggettività e sogget. tività nella sintesi della coscienza. Sto bene. Tuo t Mario
[London, Paddington], 28 novembre 1931
Carissimo fratello, riprendo la conversazione sul male e mi riferisco ai tuoi appunti N. 2. Siamo ancora sulla nozione del male fisico. Tu insisti nel fissare la limitatezza come causa specifica del così detto male fisico, cioè del danno che patisce la forza soccombente. Tu conchiudi: « La lotta ... dice effetto di limitazione, giacché se p.e. l'aquila avesse in sé tutto l'essere e il bisognevole non lo cercherebbe nel campo degli altri esseri ». I1 fondo del tuo tema è qui: il confronto fra l'essere perfetto e l'imperfetto; o fra l'essere completo e l'incompleto o meglio fra l'assoluto e il relativo. I1 male, il danno, consiste forse in questo confronto? Cioè nella limitatezza concepita dalla nostra mente in confronto ad una perfezione assoluta, reale o ipotetica? Si può forse concepire una natura assoluta? È buono LETTEBI 1014. 1 , F. SALITA, Per la storia diplomatica de!la quertione romana, Treves, Milano 1929. 2. S . JACINI, Il tramonto del potere temporale nelle relazioni degli ambasciatori austriaci a Roma, Latena, Bari 1931; cfr. anche Un conservatore rurale della nuova Italia, Latena, Bari 1926.
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quel che è nella sua propria perfezione; una natura-Dio è inconcepibile e mostruosa. La limitatezza è perciò la natura stessa nella sua propria perfezione, è quindi un bene. Tu stesso infatti dici subito: « Questo in quanto natura è bene, in quanto contrasto di attività è limitatezza di bene ». Qui limitatezza di bene è di carattere negativo o privativo. Tu così metti in opposizione il bene = ente contro il bene = attività. È così? Non lo comprendo; I'attività è limitata in quanto natura, e quindi è bene. Se I'attività naturale fosse illimitata, sarebbe contro natura e non sarebbe bene. Ricevo la tua del 24. Godo assai che farai una 2" edizione del Mio canto. Scriverò. Sto bene. Un abbraccio, tuo Luigi
[London, Paddington], 29 novembre 1931
Carissimo fratello, continuo la mia di ieri. La lotta cosmica e la lotta dei singoli esseri, come tale, non genera né il danno né il male fisico, ma solo attività di forze. Una stella che si rompe e genera pianeti, un vulcano che erutta, un oceano in tempesta e così via non subiscono nessun male fisico. Anche l'azione dell'uomo sulle cose inanimate non produce alcun male: l'aratro che apre la terra, il ferro messo al fuoco, la creta fatta vasi, ecc. Noi cominciamo a pensare un certo danno negli esseri vitali. Per le stesse piante è più che altro senso antropomorfico, più o meno sviluppato secondo educazione, pregiudizi, credenze. Anche gli esseri sensitivi di grado inferiore non ci dànno il vero senso del male fisico o ce lo dànno in grado riflesso. I1 male fisico lo sentiamo per gli uomini e per gli animali a noi simili o vicini. Ciò avviene perché la base del male fisico è la sensibilità e la individualità cosciente; si tratti pure di sola coscienza sensitiva (passi la parola) come negli animali, in quanto essi si sentono vivi e attraverso il dolore sentono che la vita viene meno. I1 danno è la coscienza del danno, e se questa coscienza razionalmente e spiritualmente si può trasformare, il dolore diviene coscienza di un fine superiore (morte per la patria - per la fede). Se la limitatezza fosse solo la causa di ciò, male fisico
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LUIGI E MARIO STURZO
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dovrebbe trovarsi nella natura inanimata che è anch'essa limitata. I1 male fisico, astraendo dal dolore, non è che antropomorfismo derivante dalla nostra sistemazione di valori di un ordine e di un disordine relativo pratico (vedi cartolina 8 novembre). Sto bene. Fra giorni riprenderò la lettura del Mio canto con propositi pratici. Un abbraccio, tuo Luigi
Piazza Armerina, 30 novembre 1931
Carissimo fratello, la tua del 21 mi giunse la sera del 27. La mia era partita la mattina. In punto ricevo la tua del 24 che parla del problema del male. A questa risponderò altra volta. Ora mi preme rispondere d a prima. I1 dissidio tra noi permane, perché tu non hai ancora colto il punto specifico del mio pensiero. Provo a chiarirlo meglio. Io ammetto che la storia non può definirsi che in rapporto a una data filosofia. Per l'idealismo è processo, anzi è il processo. Croce vi insiste, e, pel suo sistema ha ragione d'insistervi, giacché lo Spirito dell'idealismo non conosce I'oggetto, ma si fa oggetto. Quel che tu scrivi nella cartolina del 21, deriva dall'idealismo o a quello mena o in quello si risolve. Noi siamo dualisti. La nostra filosofia afferma l'oggetto come realtà diversa dal conoscente, esterna e da sé processuale; come realtà che a un dato punto esaurisce il suo processo individuale e (escluso lo spirito) si risolve in elementi d'altre individualità. Analizza la storia nel concetto dualistico e trovi il processo realistico, cioè reale e il processo conoscitivo, ideale del reale. I1 dato è. L'impero romano fu. Non certo come tagliato fuori dal conseguente. Fu, perché furono quegli uomini e quelle cose. L'influsso sul conseguente, è l'influsso di ciò che, come realtà, individualità, attualità, fu. E noi facciamo i nostri ripensamenti storici, i nostri studi, studiando ciò che fu, come dato fermo, e studiando come influì e influisce, come processo della nuova realtà legata alla vecchia nel processo conoscitivo. Va bene? E d o r a ? Sto bene. I1 romanzo di Mignosi è una bassa miseria. Lo vuoi? Mario
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[London, Paddingtonl, 1 dicembre 1931
Carissimo fratello, tu parli di fatto storico in sé e lo metti di fronte alla coscienza che lo conosce, come rispettivamente le posizioni oggettiva e soggettiva, che, sintetizzate, fanno la storia. A questa tua concezione io ho da opporre: 1) che l'accadimento umano è anzitutto un'attività cosciente degli uomini che vi operano, e quindi per essi è insieme soggettivo-oggettivo; 2) che lo stesso accadimento in quanto non solo è un antecedente ma si riversa e risolve nel conseguente e così fino al presente è insieme l'attività umana e il siio risultato: soggettivo-oggettivo; 3) che in quanto noi facciamo oggetto di studio il passato e lo consideriamo come un oggetto distaccato da noi, facciamo solo della fìlologia, o della biografia o della cronaca, ecc.; 4) in quanto riviviamo il passato come vi- . vente nel presente ne facciamo la storia. Tu parli di una realtà a sé stante (processo chiuso) del passato; per me quella non è realtà a sé stante, ma un momento del processo della realtà che è il presente. Così come in ciascun di noi il nostro passato e il nostro presente fanno una realtà processuale: noi. Tu parli di quella realtà appresa come tale (in sé?) e poi rivissuta nella coscienza. Per me il presente (di ieri o di oggi non importa) è sempre appreso allo stesso modo che noi oggi apprendiamo il passato, cioè per modum subjecti, e mai nella realtà in sé o come un pezzo anatomico, sempre come motivo di conoscenza. Per questo mio modo di vedere la tua cartolina del 27 novembre non mi soddisfa completamente, benché molto di quel che tu scrivi sia anche quel che io penso. Un abbraccio, tuo Luigi
Piazza Armerina, 3 dicembre 1931
Carissimo fratello, le tue due ultime cartoline che parlano del problema del male, mi attribuiscono conseguenze improprie. Dico: improprie, perché
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la mia tesi è che il male fisico non è male. Se poi aggiungo che è effetto della limitatezza, ciò dico tenuto conto del fatto soggettivo, che risolve in concetto di opposizione al bene quell'effetto, cioè, quel rapporto di contrasto tra essere ed essere. Dunque io dico che il così detto mal fisico non si trova solo nell'oggetto né solo nel soggetto, ma nella sintesi. Vedi se, posto cosi il problema, è possibile farmi dire quei tali spropositi. Qui calza ricordare quel che dicono gli scolastici circa il male metafisico su cui tu tanto insisti. Noto che di mal metafisico il primo a parlarne fu. Leibniz. Ora gli scolastici osservano che il male metafisico non è una privazione, ma una limitazione, e perciò non è un male. Per darsi vero concetto di male metafisico, ci dovrebbe essere il male fisico come vera oggettività male. E questo sarebbe manicheismo. Ora io son felice di trovare in Leibniz proprio il mio modo di pensare circa il male, almeno come implicito. Né è possibile altro concetto o altra spiegazione. Pensaci senza sottilizzare sofisticamente. Ti feci spedire, prima ancora che me lo richiedessi, cinque copie di Il mio canto. Le hai ricevute? Ti mando il fascicolo del « Gregorianum » l . Ritengo che non ci troverai nulla di nuovo né di bello. Sto bene. Ti raccomando di non ti stancare. Lavora con misura, per carità. Prega pel tuo t Mario
[London, Paddington], 4 dicembre 1931
Carissimo fratello, ricevo la tua del 30 novembre. Non riprendo il tema della storia finché tu non risponderai alla mia del 1. di questo mese, altrimenti la conversazione si complica. Qui solo mi preme assicurarti di nuovo che nel mio modo di vedere non c'è l'ombra dell'idealismo: l'oggetto è reale ed è I'accadimento storico; il quale è la risultante delle attività conoscitive e attive degli uomini; ed è un'attività così intrecciata come sono intrecciate le generazioni da fare un processo unico continuativo soggettivo-oggettivo dalla L E ~ B 1019. A 1. Cfr. lettera 1007 nota.
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creazione del primo uomo fino ad oggi. Se tu studi il processo del Cristianesimo, lo rivivi da Gesù Cristo ad'oggi come una unità processuale soggettivo-oggettiva mai venuta meno. Che fa lo scienziato che studia il processo della terra o del sole, ecc. dalla più lontana esistenza ad oggi? Studia l'oggetto quale oggi è. Così come lo storico studia l'umanità o il cristianesimo di oggi. I1 presente è la realtà vivente oggettiva dell'umanità - del cristianesimo come del sole o della terra. I1 passato è risoluto nel presente. Perché tutto ciò è per te idealistico? I o ho applicato questo metodo nello studio della Comunità Internazionale e nessuno ci ha trovato traccia di idealismo. Tra il processo del sole o della terra e di tutta la materia e quello della umanità (o società umana) c'è di differenza che il primo non è cosciente ma solo conosciuto, il secondo è cosciente e conosciuto, perché gli agenti del processo umano sono uomini cioè soggetti-oggetti reciprocamente. Non è il caso di inviarmi il Mignosi. Più leggo i tuoi sonetti e più mi convinco che devi fare la 2" la 3" e la 4" edizione. Forse qualche piccola eliminazione e qualche ritocco lieve. Te ne scriverò più in là. Prega per un mio povero amico che è molto grave. Mi hai scritto di un libro di Jacini su Leone XIII l. Non lo conosco. Vuoi mandarmelo? Sto bene. Un abbraccio, tuo Luigi
1021 Piazza Armerina, 6 dicembre 1931
Carissimo fratello, ho ricevuto le tue del 28, 29 novembre e del 1" dicembre. Preferisco rispondere a quest'ultima. Sei o no dualista realista? Se sei, devi ammettere l'estra-soggettivo. Tu dici che l'accadimento, essendo un fatto umano, è soggettivo. Ma non badi che l'accadimento, quando è conosciuto da altri uomini, è oggettivo. I o che conosco ciò che c'è nella tua coscienza, non sono la tua coscienza. Noi non possiamo concepire la storia come la concepiscono gli idealisti.
LETTERA1020. 1. Cfr. lettera 1014, nota
2.
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Nulla io nego di quel che tu dici circa la soggettività del conoscere; ma io tengo piesente ciò che pei dualisti realisti è fondamentale, cioè, che l'oggetto che vive nella nostra coscienza, è altro da noi. I1 suo essere è fuori della nostra coscienza, e dentro c'è la sua cognizione. Io poi ritengo che la storia è insieme cronaca, biografia, filologia e storia. È sintesi. Se tu escludessi i primi tre aspetti, non ti resterebbe nulla per la storia. Io &e concepisco la storia come la concepisci tu. I1 problema dunque è un altro. È l'analisi che anima e fa intendere la sintesi. I1 passato vive nel presente. Chi lo nega? Ma nel presente il passato è sempre il passato ed è sempre la sua risoluzione nel presente. Senza di ciò, addio verità storica e critica storica e cognizione storica e storia dualistico-realistica. Ma perché fai il sofista? Io non ti comprendo più. Mettiti alla tua altezza e vedrai che siamo d'accordo. Sto bene. Desidero sapere se hai ricevuto le cinque copie del Mio canto ed il « Gregorianum » e se vuoi Perfetta letizia di P. Mignosi. Ti abbraccio. Tuo Mario
t
[London, Paddington], 7 dicembre 1931
Carissimo fratello, ricevute le sei copie di Il mio canto; una passata al British Museum (la libreria nazionale inglese), altra ad Angelo Crespi, ecc. Fra giorni te ne rimanderò una copia con le mie note. Penso che scrivendo la tua del 3 dicembre avevi presente la mia del 28 novembre e non ancora quella del 29 che chiarisce meglio la ragione per la quale io non accetto l'idea che il male fisico derivi specificamente dalla limitatezza della natura, e perché io insisto a dire che anche il bene fisico deriva dalla limitatezza della natura. Tu dici che io ti attribuisco degli spropositi e ciò mi duole: nella mia del 28 (e non in altre) io ti facevo delle domande e ti dicevo di non comprendere, perciò io (e non tu) tiravo delle conseguenze ad absurdum alle tue premesse per indicarti come da me intese. Mi dispiace che il mio stile epistolare a volte sia così stringato e lacunare da dare impressioni simili a quelle di cui
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ti lagni. Non intendo tornare sulla cartolina del 28, ma non ti seccherai se io ti dico di non comprendere quale la differenza di rapporti del bene e del male fisico con la limitatezza della natura. Inoltre io non concepisco la limitatezza come una causa; la causa è la natura limitata (oggetto concreto) non la limitatezza della natura (idea astratta). Ora la natura limitata è la causa di tutto quel che avviene in natura, bene o male. Tu ripigli nella tua del 3 dicembre che « il fatto soggettivo risolve in concetto di opposizione al bene quel rapporto di contrasto fra essere ed essere D. Onde tu arrivi ad una sintesi di oggettivo (contrasto fra essere ed essere) e soggettivo (concetto di opposizione al bene). Ti prego di rivedere le mie dell'8 e del 29 novembre e dirmi se quel che io esprimo in esse sia in armonia o in disaccordo con la tua idea, e precisarmi il punto di disaccordo. Così solo comprenderò il tuo pensiero. Grazie anticipate. Un abbraccio di cuore, tuo Luigi
Piazza Atmerina, 9 dicembre 1931
Amatissimo fratello, dopo la tua del I" nessuna altra cartolina ho ricevuto. Io intanto continuo a scriverti circa la storia, perché ancora i nostri pensieri non trovano il sospirato accordo. È bene far qualche passo indietro e tornare alla definizione, cioè, cercarla. La storia certo non è la coscienza storica e nemmeno è la scienza storica. La storia è un fatto, un altro fatto è la coscienza storica, un altro la scienza storica. Quello che accadeva nelle Americhe prima di Colombo, era storia, ma di essa l'europeo non aveva coscienza. Quel che fa la tradizione, per esempio, dei barbari, è storia; ma ai barbari manca la scienza storica. Se non ci fossero uomini nel mondo, mancherebbe la storia umana, ma ci sarebbe la storia sotto umana, conosciuta da Dio. I1 dato della storia umana vive nella coscienza, perché è dato umano, perché, come tale, è cosciente. Ma per chi non è attore, per chi è assente, per chi l'ignora, il dato cosciente è come ogni altro dato. È, e per lui è come se non fosse, sino a che non ne prende coscienza. Ma quando ne prende coscienza egli deve badare a non
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interpretar male il dato. Deve far della critica o scienza. Tutto ciò mena alla definizione che io ti proposi e tu, non so perché, non accetti. I1 problema sta per noi dualisti-realisti. Vincenzo De Simone, il poeta siciliano, mi ha scritto parole d'ammirazione entusiastica (bontà sua) pel Mio canto. Sto bene. Domani farò visita a Nelina. Tu sarai fra noi col pensiero affettuoso. Tuo Mario
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[london, Paddington], 10 dicembre 1931
Carissimo fratello, dopo aver letto la tua del 6 c.m. io sono rimasto assai dolente e non saprei continuare su questo tema, se tu insisti nel volere scoprire dell'idealismo dove non ce n'è affatto. La cosa è talmente entrata nella tua mente, che nel riassumere il mio pensiero togli via le parole attività e oggettivo, che io avevo usate. Vedi come tu mi scrivi: <( Tu dici che l'accadimento essendo un fatto umano è soggettivo (tua cartolina 61x11). Io invece scrivevo (mia cartolina 11x11): <{ A questa tua concezione io ho da opporre: 1) che l'accadimento umano è anzitutto un'attività cosciente degli uomini e quindi per essi è insieme soggettivo-oggettiva... D. Dimmi, caro fratello, perché hai tolte la parola attiuità e la parola oggettivo, nel riassuntare il mio pensiero? il dire: attività ... insieme soggettivo oggettivo non è dire sintesi? non è dire realtà? Se continui a leggere la detta mia cartolina troverai che anche il risultato nel presente di questa attività è per me soggettivo oggettivo. Forse interpreti la parola oggettivo come se io intendessi che il soggetto si fa oggetto nel senso idealistico? Sarebbe un controsenso. Torno a pregarti di intendere tutte le mie cartoline e il mio articolo Il Presente in questa luce e li troverai agli antipodi con l'idealismo. Non ho ancora ricevuto il <( Gregorianum D. Non desidero il Mignosi. Sto bene. Un abbraccio di cuore, tuo Luigi
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Piazza Armerina, 12 dicembre 1931
Amatissimo fratello, rispondo alla tua del 7 ricevuta ieri. Fa' conto che io ti scriva ora per la prima volta sul problema del mal fisico, cioè, bada unicamente a quanto ora ti scrivo. Non dico che scrivo cose diverse, ma spero riassumere il mio pensiero in termini più chiari e precisi. I o nego che il mal fisico sia male, cioè, nego che la natura sia un insieme di bene e del suo opposto. Affermo che essa è bene limitato. Ciò importa che nessun essere ha tutto l'essere né quindi tutto il bene né quindi l'aseità. Ciò importa che la prima origine sia per creazione, e la vita, l'attività, la durata, lo sviluppo, la risoluzione, tutto insomma, sia per reciproco dare e prendere, fare disfacendo, fruire della propria attività a vantaggio di altre attività o a costo di altre attività. Un moto perenne che non si poserà mai, e negli esseri intelligenti un cercar sempre il bene che in tutto appaghi, senza trovarlo mai nella natura, e uno scoprire che si troverà in Dio, cioè l'ordinamento per natura, di tutte le cose a Dio, degli esseri razionali alla fruizione di Dio in piena beatitudine. I1 concetto di [metalfisico nasce da tutto ciò, o meglio, nasce dalla esigenza del bene, la quale non trova mai la pienezza del bene, cioè, non la trova nella natura. L'essere che vive a spese d'altri esseri (e cod vivono e sono tutti gli esseri creati) è l'essere che cerca il bene e lo consegue fruendone con altri o togliendolo agli altri. Ciò è natura. Ma proprio perché è natura, ci dice che cosa è la natura. Ci dice che non è tutto il bene. C'insegna che tutto il bene è Dio e in Dio. E da ciò nasce il concetto di mal fisico, che è pena, dolore, stimolo, nostalgia, confessione di limitatezza, non vero male, ma stato di bene partecipato, che non deve quietarsi in sé, che in sé ha per natura gioia e dolore. Un abbraccio Mario
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[London, Paddington], 13 dicembre 1931
Carissimo fratello, le cartoline del 4 e del 10 ti avranno chiarito la mia posizione non-idealista e anti-idealista. Intanto ho ricevuto la tua del 9 , ove tu scrivi: « La storia è un fatto... » e poi: « Se non ci fossero gli uomini nel mondo, mancherebbe la storia umana, ma ci sarebbe la storia sottoumana, conosciuta da Dio » e poi ancora: « I1 dato della storia umana vive nella coscienza, perché è dato umano, perché come tale è cosciente ». Mi fermo qui: ecco le mie osservazioni a queste frasi: 1) la storia. non è un fatto ma un processo, dinamismo non staticismo, e questo processo è cosciente perciò è storia; 2) per questa ragione io nego che ci sia una storia sottoumana perché non vi è coscienza. La conoscenza di Dio del sottoumano è la sua stessa coscienza eterna e non è per modo processuale, cioè non è per modo storico; 3) non afferro bene il senso della tua terza frase. Quel « dato che vive nella coscienza significa forse che il fatto vive nella memoria? e « quel dato che è cosciente » significa l'uomo che agisce? Comunque suoni la frase, se essa significa che l'agente del processo storico è l'uomo, il quale è un agente cosciente, siamo di accordo. Fo punto perché è tardi e devo impostare questa prima che si ritiri la posta. Ho ricevuto il « Gregoriano >> che leggerò. Godo del giudizio entusiasta di De Simone; ha ragione di essere entusiasta, del tuo Canto. Anch'io lo sono. L'ho letto tutto tre volte, e godo a rileggere quei sonetti che più mi piacciono e sono molti. Un abbraccio di cuore, tuo Luigi
Piazza Armerina, 15 dicembre 1931
Arnatissirno fratello, ricevo a momenti la tua del 10. In questa e in ogni altra discussione i nostri giudizi son sempre metodologici, e non son mai pratici. Certo sarei stolto o sciocco se dicessi che tu fai dell'idealismo. Ma è certo altra cosa dire che certo modo di esprimersi non è
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dualistico. Comunque, eviterò con ogni cura le espressioni che possono recarti dispiacere. Tu sai se io ti amo e quanto ti amo. Ed ora consenti che io chiarisca il mio pensiero. Tu neghi il fatto storico come puramente oggettivo, ed hai certo le tue ragioni. I o l'affermo, perché per me (l'ho scritto e stampato) l'oggetto è estrasoggettivo in quanto d'essere, e solo è nel soggetto conoscente in quanto conoscenza. Questa mia affermazione che non puoi non accettare e che certo accetti, è l'elemento di diflerenziazione tra il concetto idealistico della storia e il nostro. Ecco perché io ti proposi (citando Labriola) una nuova dehizione della storia. L'accadimento nella nostra coscienza è risoluto nel presente. Così solo? E non resta nel presente anche come passato, nel divenire anche come divenuto ed esaurito? Se così non fosse sarebbe possibile la critica? L'accadimento, cioè, meglio, i1 passato si risolve nel presente; ma il presente non è solo la rinnovazione di quel che fu, è anche il nuovo. Né quel che fu passa tutto nel presente, né ci passa presso tutti allo stesso modo. Come sappiamo ciò? Lo sappiamo, perché possiamo isolare mentalmente, metodologicamente, filosoficamente il passato dal presente, e perché possiamo tornare a studiarlo come puro passato. Caro fratello, amami quanto t'amo e sappi che ti stimo assai. Mario
[London, Paddingtonl, 18 dicembre 1931
Carissimo fratello, ricevo con ritardo la tua del 12 (in questo periodo natalizio bisogna prevedere sempre dei ritardi postali). Sto bene. Auguri vivissirni per le S. Feste Natalizie. Come già ti scrissi nella mia del 24 novembre a) - b) - C) siamo di accordo su tutto meno che sull'origine specifica del male fisico, che per te è solo la limitatezza naturale; per me è la coscienza intellettiva e sensibile (cartolina 29/XI) che avverte un disturbo ad un determinato ordine pratico (cartolina 81x1). Tutto ciò che scrivi nella tua del 12/XII è perfettamente esatto e io nulla avrei da opporre; tu descrivi la natura che è limitata (di accordo); essendo limitata non è tutto il bene (è vero; ma chi ha coscienza di ciò? solo l'uomo) che
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vive e si sviluppa nel contrasto degli esseri (di accordo; ma ciò disturba solo gli esseri sensibili e coscienti) e che da questa limitatezza negli uomini nasce il concetto del male fisico, che è pena, dolore, stimolo, ecc. (Secondo me non ogni limitatezza genera l'idea del male fisico ma solo quella che si sensibilizza in pena, dolore, stimolo, ecc.), Ecco i miei consensi e dissensi o riserve. I o non comprendo perché 'tu non accetti il mio punto di vista, che non nega il tuo, ma lo precisa e lo completa. Ti ho spedito raccomandata una copia dei Sonetti con note. Spero l'avrai ricevuta. Nulla mi dici dell'articolo di Gilson sulla filosofia cristiana. L'hai letto? Un abbraccio di cuore, tuo Luigi 1029 Piazza Armerina, 18 dicembre 1931
Carissimo fratello, rispondo alla tua del 13 che ricevo ora stesso. Ti prego chiarirmi quel che tu in essa scrivi, come se della memoria e della coscienza ne facessi due cose. La coscienza se non è memoria che cosa è? Aspetto la risposta. E altro chiarimento domando. Pare che tu limiti la storia alla coscienza storica. Se così fosse, come giustificheresti (teoreticamente) il tuo dualismo realistico? La coscienza storica è certo coscienza di qualche cosa. Or questo qualcosa è il fatto; il fatto di fronte alla coscienza; il fatto del quale si ha coscienza; il fatto che si oppone alla coscienza come altro dal cosciente; e perciò il fatto è sempre studiato per essere colto nella sua realtà oggettiva, e che sempre si combina con la coscienza e perciò sempre vien colto in funzione della stessa coscienza. Procura di farmi comprendere il punto che diflerenzia il tuo giudizio sulla storia. Non ho ancora ricevuto il mio canto annotato. Quanto affetto e quanta pazienza! Come ti son grato. Le tue note saranno per me un aiuto prezioso per quando riprenderò la lima. Per ora attendo a dimenticare. E tu l'hai letto intero tre volte! O frate1 mio, quanto sei buono. Dell'ultimo non mi hai mai parlato. Doveva andare al primo posto; ma nacque quando si era alle ultime pagine, essendo il resto tutto stampato. Lì c'è tutto mio cuore, anche se non è dei più belli. Ti abbraccio commosso. Tuo Mario
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[London, Paddingtonl, 21 dicembre 1931
Carissimo fratello, dovrei rispondere alle tue del 15 e del 18 sulla storia. Lo farò in un'altra; oggi ti mando i miei più cari fraterni auguri per il Santo Natale. Prega per me. Oggi sto terminando la la stesura del mio nuovo libro su Chiesa e Stato e sono troppo preso per scrivere d'altro. Sto bene. Un abbraccio di cuore, tuo Luigi
[London, Paddington], 23 dicembre 1931
Carissimo fratello, rispondo alla tua del 18 c.m. A me sembra che la nostra divergenza sulla storia derivi da una posizione mentale diversa: io guardo i fattori del processo storico, gli uomini che agiscono, tutti gli uomini, noi e gli altri, ciascuno nel suo presente cosciente, che è il pensare-agire. E poiché questo pensare-agire è processuale, è storia. I n Dio il pensare-agire è atto puro e non è storia. Pertanto, io identifico la storia col processo umano, pensare-agire degli uomini. Questo « pensare-agire » si oggettiva nei fatti. Che sono i fatti? L'agire degli uomini, realizzando (per quanto possibile) il loro pensiero sugli altri uomini e sulla natura. Che rimane? Le generazioni che esistono formate dalle precedenti, in continuo intreccio, e la natura modificata dalla mano degli uomini, e che ne è condizionamento di vita. Cioè rimane il presente; il passato (pensiero e azione umana) è risoluto nel presente. Quando parlo di coscienza umana intendo il soggetto che pensa-agisce. Tu riguardi la storia come un ricordo del passato. Certo la memoria della successione di alcuni fatti (storia filologica) agevola la comprensione del presente, ma non è strettamente necessaria: gl'indiani non conoscevano tale storia, questa può essere surrogata LETTERA1030. * Cartolina illustrata con la riproduzione del Redentore di Leonardo da Vinci.
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dalla leggenda, dal mito, dalla favola. Anzi queste, sotto un certo aspetto, agevolano di più la comprensione del presente che non la storia filologica. La quale, del resto, non attinge mai il fatto vero, cioè il complesso di pensieri e azioni umane, che han dato origine e carattere ai fatti oggettivi. Onde tale storia viene interpretata sempre e mai esaurita. I1 fatto in sé è come la cosa in sé, cioè nella sua intima realtà inattingibile. Come vedi, io non nego il fatto, non nego l'oggetto, non la storia-memoria. Cerco di metterli nel loro posto. Sto bene. Un abbraccio di cuore, tuo Luigi L'ultimo sonetto Bs sta bene all'ultimo posto, ed è in me al primo posto.
Piazza Armerina, 24 dicembre 1931
Amatissimo fratello, ricevo la tua del 18; la precedente era del 13; non ho ricevuto, se c'è stata, la intermedia. Grazie degli auguri: I miei li avrai ricevuti. Oggi te li rinnovo con vivissimo affetto. Questa tua cartolina mi reca immenso .piacere, perché mi dice che tu finalmente accetti la mia tesi che il male fisico deriva dalla limitatezza della natura. Né mi preoccupa la tua frase: « Non ogni limitatezza genera l'idea del male fisico, ma solo quella che si sensibilizza in pena ecc. D, proprio perché io non ho mai detto che tutta la natura in tutte le sue funzioni, per tutte le sue limitatezze generi l'idea del male fisico. La mia tesi è sempre una: quello che chiamiamo male fisico, non è male, cioè, non è il contrario di bene, il non bene, il suo opposto, ma è effetto, dato effetto, della limitatezza della natura. Pietro Mignosi nella « Tradizione », scrive parole molto lusinghiere sul Mio canto '. È la terza rivista che ne parla con entusiasmo. Ciò mi anima al lavoro
LETTERA1032. 1. Nella rivista « La Tradizione » appaiono due recensioni a Mario Sturzo. La prima riguardante IP filosofia dell'Auuenire, cit., è contenuta nel fascicolo ottobre-dicembre 1930, p. 318, la seconda relativa a Il mio canto, cit., nel fascicolo settembre-dicembre 1931, p. 256.
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di lima per la 2" edizione. Nel sonetto - la cartolina postale che tu, per tua bontà, chiami perfetto, ma con un neo, io non ci so veramente vedere il neo - la ripetizione di - lontano - risponderebbe alla realtà. Pure, poiché a te fa ombra, ed io tengo in gran conto i tuoi apprezzamenti, ho pensato alla correzione. Potrebbe il verso mutarsi così: « Lontan, di là dalle Alpi, e si consola D. Se trova la tua approvazione la seguo. Che quel sonetto abbia incontrato il tuo plauso, mi fa vivo piacere, non veramente per l'arte sola, ma principalmente pel soggetto. Sto bene. St'anotte staremo insieme con Gesù Bambino. Ti abbraccio. Tuo t Mario
[London, Paddington], 26 dicembre 1931
Carissimo fratello, dopo la tua del 18 non ho ricevuto altra cartolina; ciò dipenderà dal ritardo nella distribuzione di questi giorni in cui Londra riposa completamente. Ti scrivo stasera, perché stasera vi è I'unica levata postale a mezzanotte. Sto bene e ieri ho passato un buon Natale. Ho celebrato le 3 SS. Messe la notte nella Cappella delle Suore. Questi giorni sono presi dalla occupazione di rispondere agli amici che mandano lettere e cartoline di auguri. Ho anche un arretro di corrispondenza da liquidare prima della fine d e l l ' a ~ o , per poi cominciare il nuovo senza nessuna vecchia lettera avanti. Se, come spero, farai la 2" Edizione dei tuoi sonetti, non potresti usare un formato più piccolo, e un certo numero rilegati in tela, da tenere come vade mecum religioso, o come dono da potersi dare per premi o per festività? Io spero di sf: si tratta di poesia vera, che non deve restare impolverata in mezzo a vecchi libri o in fondo a biblioteche. Ne desidero altre tre o quattro copie. H o letto nella « Vie Intellectuelle » di dicembre un ottimo articolo di P. Chenu dal titolo « Le sens et les le~onsd'une crise religieuse » (il modernismo). Lo vuoi? Hai letto quello di Gilson? Un abbraccio di cuore, tuo Luigi
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Piazza Armerina, 27 dicembre 1931
Carissimo fratello, ieri ebbi la tua del 21, stamani quella del 23. Ti ringrazio di cuore degli affettuosi auguri e ti ripeto con pari affetto i miei. Se io avessi 'circa la storia le idee che la tua mi attribuisce, non metterebbe il conto di discutere con me. Io mi differenzio da te in ciò, che tu consideri la storia come un presente, io come il passato che vive nel presente. Preciso il mio pensiero. Dire simpliciter che il passato si risolva nel presente non mi pare esatto. Forse converrebbe dire (anche per non adoperare espressioni che meglio si addicono ad altri sistemi) che il passato influisce sul presente. Potrebbe anche dirsi che lo genera, non in quanto passato, ma in' quanto quel presente, che, generando, dà luogo al nuovo presente, passando esso al non più presente, che per ciò non sussiste da sé, perché fu, ma nel presente come coscienza del passato. Tu fai forse troppo liricamente le lodi del presente. Io penso il presente come unità di sé e del passato; e penso la coscienza storica processualmente, ma penso il processo come unità-distinzione, unità-dualità, dinamica degli opposti e dei diversi. I1 passato devo pensarlo come passato; diversamente non penso più processo, non storia umana, ma attualità. I n me l'oggettività del passato conserva la sua efficienza; in te, risoluto nel presente, la perde. Processo è la storia umana. La vita divina è storia annos aeternos in mente habui l . Ricordi? Perché l'essenziale della storia è la realtà cosciente, non la processualità. Io voglio studiare; tu battagli. Mi scrive D'Angelo una bella lettera sul Mio canto. Infine dice che le mie ansie per la sorte eterna di B. Croce gli sembrano esagerate 2. Credo che erri. Chi non ha la fede, corre maggior pericolo di perdersi. Vorrei sapere se tu consigli la eliminazione di quel sonetto per ragioni analoghe. Tuo
t LETTERA1034. 1. Salmi, 76, 6. 2. Cfr. lettera 1040 n. 1.
Mario
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[London, Paddington], 28 dicembre 1931
Carissimo fratello, stamane ho ricevuto insieme le tue del 21 e del 24; tra il 13 e il 18 ci fu di mezzo l'invio dei Sonetti che hai ricevuto. Sono assai lieto delle recensioni favorevoli: ne vorrei leggere le più importanti. Ho letto quella del « Foglio Ecclesiastico » di Caltagirone. Ottima la sostituzione: « Lontan, di là dalle Alpi, e si consola ». Così è perfetto il sonetto e per me uno dei più cari. Lo stesso sentimento io provo per le tue cartoline. Il segno sotto scarti fu messo e poi cancellato; forse nella copia che ti mandai non lo cancellai. Posi il segno, perché nel senso da te usato non lo trovavo nel vocabolario di G. Masi. Una pedanteria; perciò lo cancellai. Riletto ancora più volte, il mio dubbio rimane, benché più attenuato di prima. Sì che in sostanza risolverei per lasciarlo. I1 segno sotto un non so che non è per la frase in sé ma per il suo significato: capisco la frase un che non è riso né pianto, ma non un non so che non è etc., è complicato. Inoltre i come ripetuti appesantiscono; mentre se tu levassi almeno il primo (come una voce) che non è un paragone esterno, mentre gli altri quattro danno l'irnagine paragonata, il sonetto diverrebbe subito più svelto. I1 secondo non so che tormenta (tolto il primo) andrebbe bene; e il sonetto resterebbe assai bello, e significherebbe appieno l'inizio dello stato lirico. Ringrazia Fondacaro del suo pensiero nel ricordarsi di me per il Natale: a tutti e a Lui specialmente i miei auguri per il Nuovo Anno. Un abbraccio di cuore, tuo Luigi
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4059 TIPOGRAFIA CITTA NUOVA DELLA PAMOM 8 2 1985 00185 ROMA LARGO CRISTINA DI SVEZIA. 17 TEL. 5813475162
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