Vol 12 (1951 1953) pag 270 464

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LA « PICCOLA

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RIFORMA DEL SENATO

La qualifica di « piccola » applicata all'annunciata riforma del senato non è una malignità di chi scrive; corre sui giornali come cosa di opinione comune. Dubbia è finora la paternità della riforma. Si parlò in passato di un progetto della com.missione De Nicola, che non fu esattamente una commissione nè fu nominata dal presidente De Nicola. Poi si ebbe riservatamente un progetto che fu detto « Cingolani » dal firmatario della circolare, ma egli escluse di esserne l'autore. Si sussurrò di un progetto Bosco di più larghe vedute, ma riservatissimo. F u ciclostilato un progetto « Sturzo » ( ?) che fissava i l numero chiuso d i 25 senatori di diritto; ma non si trattava di un progetto che avesse le pretese di varcare la porta di Palazzo Madama; sì bene di uno studio fatto da chi scrive e inviato alla segreteria della democrazia cristiana, con una relazioncina che conchiudeva: (C I n sostanza, se si potrà evitare la riforma e sciogliere le due camere sarà il meglio n. Ora si parla di un progetto non si sa bene se portato da De Gasperi a Paratore o da questi presentato a De Gasperi: i giornalisti sono incerti ed hanno dato le due versioni, aggiungendo la qualifica di piccola riforma. Se veramente i due presidenti e statisti vogliono dare la paternità ad una riforma del senato, satà meglio che pensino ad una grande riforma e lascino le leggi « stralcio alla competenza di colleghi meglio qualificati. Nel caso presente nessuno toglierebbe dalla testa degli italiani che l a leggina costituzionale da varare entro il termine strettissimo da ottobre a marzo, non servirebbe che a conservare il posto di senatore a un gruppo di rispettabilissime persone che desiderano evitare le seccature e le incertezze di una lotta elettorale dopo aver preso gusto a sedere a Palazzo Madama per legge costituzionale. Della disposizione transitoria I11 della costituzione ne han beneficiato 105, oggi ridotti a 91 ; della futura leggina costituzionale ne beneficerebbero chi dice 65, chi 73; con l'aggiunta di tenere la porta aperta a quanti, durante la legislatura, arriverebbero a maturare i requisiti richie-


sti. Nessuna meraviglia se, di questo passo, verrà fra altri quattro o cinque anni un'altra leggina, costituzionale anch'essa, che riaprirà i termini e abbasserà i limiti. Forse, non si fa così in burocrazia con tutte le disposizioni transitorie per sistemare avventizi e mettere a posto coloro che stanno alla porta, evitando i rischi dei concorsi e degli esami e creando i privilegiati del posto? Non sono io che lo scrivo; l'ho letto su vari giornali che senza il privilegio che dalla piccola riforma sarà offerto ai 65, ovvero ai 73, non si potrebbe ottenere il voto favorevole del senato per la contemporaneità della elezione delle due camere, e forse neppure il voto per la riforma elettorale. Un ricatto dunque? No; per la dignità del senato prego i colleghi giornalisti di non insistere su questa supposizione che io amo credere del tutto gratuita, per quanto debba confessare ( i n u n orecchio) di averla sentita ripetere da parlamentari di sicuro male informati; non è detto che tutti i parlamentari siano bene informati di quel che si pensa e che si fa a Montecitorio o a Palazzo Madama. Veniamo alla sostanza: da molti e da parecchio tempo si auspica una riforma del senato per superare la incomoda posizione di due camere eguali che ripetono identiche discussioni e ritardano a vicenda l'attivit,à legislativa e le ricorrenti discussioni politiche. Due le vie naturali: quella di una spontanea e graduale specificazione e caratterizzazione delle due camere pur nei limiti della costituzione, ovvero quella di una riforma del senato, sua struttura e competenza. Mi sono già pronunziato in favore del primo metodo e quindi contrario al secondo, in quanto ritenuto prematuro; e anche perchè l'esperienza di questo primo periodo sessennale del senato elettivo è stata ed è alterata dalla presenza di u n terzo di senatori di diritto. Chi non si rende conto di questo fatto, non comprenderà mai l a differenza f r a un corpo elettivo e u n corpo non elettivo, o peggio di un corpo nel quale coesistono due terzi di membri elettivi e un terzo di membri di diritto che, per giunta, sanno in partenza di dover perdere i l seggio fra sei anni. -


I1 distacco del parlamentare dall'elettorato è un fatto psicologicamente radicale nell'apprezzamento delle proprie responsabilità e del valore di un mandato politico, mandato che per i senatori d i diritto è inesistente e di una responsabilità verso un corpo qualsiasi già cancellata in partenza. Si può avere maggiori o minori simpatie verso un senato elettivo e si può dare preferenza a un senato di nomina regia o di diritto atavico; non si può nè si deve alterare la figura di un'assemblea legislativa, introducendovi un terzo, un quarto o la metà (secondo i gusti) di membri di diritto, cioè eletti da nessuno, ma automaticamente elevati a senatori per avere raggiunto in un determinato momento della loro vita le condizioni di legge. Anzitutto, in democrazia il fatto di un senato non elettivo o parzialmente non elettivo, declassa il corpo che non può essere ritenuto corpo politico nel senso pieno della parola. Un senato così congegnato non potrebbe avere diritto d i dare o negare voti d i fiducia al governo. Questo è un punto che i nostri riformatori non hanno visto, ma è capitale in regime democratico, nel quale per principio è il popolo che si autogoverna a mezzo dei propri eletti con mandato di fiducia. Mi sanno dire i nostri riformatori che cosa accadrebbe se il governo di nuova nomina, dopo aver avuto il voto di fiducia alla camera dei deputati, venisse battuto al senato, con una mag. gioranza formata dal voto dei senatori di diritto? Quale vo1ont.à prevarrebbe: la positiva degli eletti del popolo o la negati. va dei non eletti del popolo? In che razza di democrazia vivrebbe l'Italia se un tale senato sbancasse il governo a sua volontà? L'unico senato, o camera alta, che non sia elettiva, l a u casa dei signori » del Regno Unito (comunemente detta i n Italia camera &i lords), fu privata del voto finanziario (che in Inghilterra caratterizza anche il voto di fiducia) quando Lloyd George volle democratizzare i l parlamento. Rimase camera alta con speciali privilegi, fra i quali quello di essere l'organo supremo d i giustizia: da allora non ha nè pretende di avere influenza politica sull'indirizzo del governo. I o mi inchino a questo alto consesso che ha una storia e ammiro lo spirito inglese di rispetto alla tradizione e di adattamento al progresso


con un equilibrio senza pari, ma debbo rilevare con soddisfazione che il vero organo politico è la camera dei comuni. Noi non potremo mai trasformare il senato in corpo di nomina presidenziale, perchè il presidente è nominato a sua volta dal parlamento in sessione unita. Noi non possiamo ridurre il senato ad un corpo consultivo; ci basta il futuro consiglio economico che non ostante la sua funzione consultiva diverrà l a quinta ruota del carro legislativo. Nè possiamo formare u n senato di notabili in pensione, di ex presidenti, ex deputati ed ex senatori, una specie di gerontocomio politico che per se stesso avulso dal paese diverrebbe tronco secco, senza vitalità. I1 senato è necessario e deve restare elettivo, come in tutti (tutti meno l'Inghilterra) i paesi democratici e civili, nei quali paesi c'è sempre una specificazione naturale delle funzioni del senato, sia che questo divenga la camera principale come i n America e altri paesi federati, sia che resti organo integrativo del parlamento come nei paesi unitari. L'impazienza tutta italiana per i ritardi legislativi è dovuta non tanto al sistema bicamerale quanto al disgraziato congegno amministrativo, che impone la procedura parlamentare per l e più stupide leggi che in altri paesi o non si fanno o sono competenza dell'esecutivo. Ricordo di avere già rilevato che nei tre anni dal 1948 al 1950, il parlamento inglese varò 103 leggi; il parlamento italiano nello stesso periodo ne confezionò 1037 fra le quali un certo numero di leggi-regolamento, che sono la più pesante forma di legislazione, e moltissime di ordinamento burocratico. I n Italia si arriva al ridicolo di dovere fare una legge per creare il posticino di usciere di un collegio di educande che abbia il privilegio di dirsi governativo (ex regio). Ho più volte sostenuto che basterebbe un'intesa regolamentare fra i due corpi perchè la camera discutesse per prima i bilanci preventivi e l i rimettesse al senato, il quale senza privarsi di nessun diritto, lasciasse via le discussioni politiche di occasione; e dall'altro lato, che il senato esaminasse per primo i resoconti finanziari da inviare alla camera che potrebbe senza disturbo fare atto di omaggio alla competenza dei colleghi di Palazzo Madama e dare i l proprio voto. Comunque sia; se si vorrà modificare il senato e darvi u n

18 - Srcazo

- Politica di

questi anni.


carattere diverso, sia per il contenuto, sia per la scelta dei candidati su categorie prestabilite, sia per nomine presidenziali, sia per cooptazione o per diritto personale, si porti prima alla più ampia discussione del corpo elettorale, se ne faccia oggetto di esame pubblico, ma non si venga a farla passare w a s i surrettiziamente e di sorpresa, come fu la prima volta alla costituente e come sarebbe oggi, con tanto segretume, alla fine del periodo legale della camera dei deputati, sotto l'assillo delle imminenti elezioni. I1 presidente Paratore e il presidente De Gasperi ( o viceversa) dovrebbero pensarci cento volte prima di dare il proprio avallo alla cosidetta (( piccola riforma del senato ». (Realtà Politica, 9 agosto 1954).

4 agosto 1952.

DUE QUESITI

K

- DUE RISPOSTE

Ritiene indispensabile che siano afidati a tecnici specializzati i posti d i ministri in alcuni speciali dicasteri? » Risposta

Non solo non ritengo indispensabile che siano affidati a tecnici specializzati i posti di ministro in qualsiasi dicastero; al contrario, lo reputo pregiudizievole alla buona amministrazione governativa. I1 governo d i gabinetto è e deve restare politico nel significato che sia governo nell'interesse generale della comunità civica, che si suole indicare col nome di stato. Tecnici debbono essere i direttori generali e i funzionari addetti a settori specializzati, un certo numero di componenti i consigli superiori, non mai il ministro che, per essere deputato o senatore, non si suppone che debba avere la caratteristica del tecnico, e dato il posto, tecnico d i un certo valore. Un ministro nominato a quel posto perchè tecnico non avrà più la modestia


di credersi meno preparato dei propri tecnici e vorrà comandare anche in materia di competenze specifiche dei propri consulenti e funzionari confondendo e alterando le responsabilità. Certo, non si suppone che un ministro sia destinato ad un posto del quale non conosca nè la materia nè il meccanismo; ma egli deve essere soprattutto un amministratore. I ministri che riescono meglio sono quelli che hanno fatto esperienze nelle amministrazioni comunali e provinciali ( e ora ancora di piii nelle regioni), negli enti parastatali e nelle imprese private. Ma altro è l'esperienza amministrativa e altro la competenza tecnica: la prima è sintetica e tiene conto di tutti i fattori politici, economici e tecnici che le direttive del parlamento, le deliberazioni del consiglio dei ministri, l e esigenze dei partiti e dell'opinione pubblica, le richieste delle direzioni generali del proprio dicastero mettono in evidenza; la seconda è analitica, dà per abito professionale maggior peso ai fattori tecnici, che sono le premesse, non mai i motivi per la valutazione degli altri elementi dell'atto governativo.

« Quali ragioni ritiene Lei che possano giustificare gli sposta-

menti d i ministri e sottosegretari da un ministero all'altro, passando ai dicasteri più diversi? D. Risposta Nessuna ragione specifica; i molti motivi di opportunità, d i convenienza e di compromesso non giustificano ma sostanziano i passaggi da u n ministero all'altro. Però non bisogna essere troppo critici, nè pro nè contro. Filippo Meda fu alle finanze e fece bene; fu al tesoro e se la cavò con serietà. Era un avvocato di primo piano, politico per intuizione; non era stato mai un finanziere. I1 suo grande ingegno, la capacità assimilativa e il lavoro diurno e notturno lo fecero uno dei migliori ministri. Lo stesso per capacità e lavoro dovrei dire di Micheli che passò dall'agricoltura ai lavori pubblici, di Peano che ebbe finanze e lavori pubblici, di Nava


che f u in vari dicasteri e anche al tesoro, e così d i molti altri nella nostra storia parlamentare prefascista. Passare da sottosegretario a ministro è una buona abitudine quando si ha la stoffa; saltare a ministro senza esperienza nelle amministrazioni locali e nei sottosegretariati è per molti una pretensione ingiustificata. Dopo la guerra le promozioni per salti furono una necessità, oggi non più. I n ogni caso, escluderei dai posti d i ministro i generici, i buoni a fare tutto, che non riescono ad approfondire i problemi del proprio dicastero e vi passano senza lasciare traccia. Non mi piacciono neppure quelli che vogliono riformare tutto e tutti; come la natura non fa salti ma procede gradualmente nei suoi sviluppi e nelle sue evoluzioni, così è della macchina amministrativa d i un paese. Nella scelta di ministri e sottosegretari dovrebbe badarsi più alla capacità dei soggetti che alle esigenze della politica di gruppo e d i partiti. Non sempre si può fare quel che si vorrebbe. 9 agosto 1952.

(Non risulta pubblicato)

TUTTI PROPORZIONALISTI NEL 1952 Questa è la constatazione che a fine agosto si può dedurre dalla polemica pre-elettorale: tutti proporzionalisti. Lo sono gli anti-governativi di destra e di sinistra per il vantaggio che ne sperano; lo sono quelli del centro-democratico per disperazione di trovare un altro sistema che possa onestamente combinare le esigenze dei singoli partiti di coalizione con la prospettiva d i una maggioranza sicura. L'idea d i ricorrere al sistema uninominale da parte del centro democratico è caduta in sul nascere; gli stessi uninominalisti tradizionali, meno pochi estranei ai partiti militanti, da un anno non ne parlano più, da quando cioè nel settembre 1951 pubblicai l'articolo u Elezioni 1953: proporzionale o collegio


uninominale? D. Allora cercavo un correttivo alla proporzionale per eliminarne gli inconvenienti. Così scrivevo sull'altro sistema : Se questo pericolo non ci fosse (una prevalenza socialcomunista) io, pur essendo tuttora proporzionalista convinto, sarei disposto a proporre l'esperimento delle elezioni a collegio uninominale per le elezioni prossime della camera dei deputati. Avrei così il piacere di sentire strillare come oche i rappresentanti dei partiti piccoli (liberali compresi) perchè non venisse abolita la proporzionale. Vendetta degli dei questa, ma non degli uomini, che oggi sono lì a trarre il fiato per difendere il proprio paese dalla dittatura comunista D. Infatti, nessuno ha avuto il coraggio da allora in poi di auspicare il ritorno al collegio uninominale. Ma quando, due mesi fa venne affacciata l'idea di dare alla lista più favorita, con o senza apparentamenti, un premio di maggioranza, io pubblicai una lettera sul Giornale d'Italia dove affermavo che dovendosi abbandonare la proporzionale non c'è altro sistema democratico e ragionevole che l'uninominale, e fra i sistemi uninominali preferisco quello a maggioranza assoluta )) (11 giugno). Dopo di che, il settimanale Libertas e vari giornali democristiani pubblicarono il mio articolo contrario al premio di maggioranza inteso a chiarirne la portata, per indurre i partiti a lasciarlo cadere. Intanto si dava corso agli studi su altri sistemi, compresi quelli del passato: collegio uninominale e scrutinio di lista del quale fece cenno I'on. Gonella. Ma i piccoli partiti mi han fatto gustare in anticipo un saggio della vendetta degli dèi della quale ~ a r l a v ol'anno scorso, per il preteso abbandono della proporzionale da parte della democrazia cristiana, dalla quale sono però disposti ad accettare, allargando piano piano le dita, il cadeau del premio di maggioranza. La polemica odierna si è così ristretta fra proporzionale (C pura da un lato, e proporzionale corretta dall'altro. L'intervento inatteso nella polemica della Civiltà Cattolica è stato a difesa della proporzionale in nome della coerenza e dell'etica democratica in genere e democristiana in specie. A parte quest'ultimo aspetto, l'impostazione data al problema dai partiti di centro non è stata delle più felici. Cercare un sistema che


alteri il responso elettorale con premi di maggioranza è cosa controproducente, che non mi rendo conto come sia potuta afiorare e sia divenuta un tema obbligato nelle trattative fra i partiti di maggioranza. Qualsiasi sistema elettorale ha i suoi rischi; senza rischi non esiste nè può esistere sistema elettorale; per il fatto che nessuno può garantire come voteranno gli elettori in un dato momento, potendo essere influenzati pro o contro da avvenimenti imprevisti, da organizzatori abili, da sentimenti contrastanti, da passioni irrefrenabili. I1 sistema elettorale va preso nella sua obiettiva struttura come un istituto permanente. È vero che si può cambiare, ma quel nuovo sistema deve nascere per sempre, non può essere un ripiego del momento; se così fosse, perderebbe tutta la sua efficacia di appello al paese. Non si tratta di provvedimenti di eccezione, come capita per i danni alluvionali o per l'acquisto di frumento all'estero. Le leggi istituzionali hanno l'aspetto della perennità; sono leggi per sè perpetue. I cambiamenti (anche costituzionali) debbono avvenire per esigenze obiettive maturate dopo la formazione e la esperienza della legge stessa. Essendo lo spirito istituzionale connaturale al sistema elettorale i cambiamenti debbono essere fatti per motivi strutturali richiesti dalla stessa natura della legge; non mai per motivi estrinseci riferiti ad una determinata battaglia elettorale. Se così fosse, si avrebbe una legge per ogni elezione, svalutando in partenza il responso elettorale. In questo errore cadde il fascismo che non credeva ai ludi cartacei; noi che ci crediamo, non possiamo caderci. Ed ecco perchè io, l'anno scorso, suggerivo delle correzioni alla proporzionale, correzioni che dovevano servire ad eliminare gli inconvenienti rilevati fin dal giorno in cui è stata riadottata in Italia e resa più larga possibile. Tre allora ne segnavo: la esagerata larghezza di un buon numero di circoscrizioni; la moltiplicità delle peferenze; la formazione di una lista nazionale per l'utilizzazione dei resti. Tali inconvenienti h a n n o effetti dannosi anche nella funzionalità della camera e nella stessa organizzazione dei partiti.


La circoscrizione larga attenua i rapporti fra elettori ed eletti e rende facile la pretesa di persone poco adatte alla vita parlamentare di essere inclusi nelle liste elettorali, perchè il numero dei candidati è tre o quattro volte maggiore del numero degli eletti. Si forma così una schiera di aspiranti deputati che per definizione divengono dei parassiti politici, una specie d i residui passivi dei bilanci elettorali che si riportano in tutte le elezioni politiche e amministrative per poter trovare utile impiego. Sono spesso i meno quotati elettoralmente che intrigano per avere voti di preferenza cercando di scalzare i compagni di lista; e perciò producono danno al partito incrinandone la compagine locale. I1 rimedio proposto è quello di ridurre il voto di preferenza ad un solo per tutti i collegi, grandi medi e piccoli, in modo che ogni candidato cerchi di lavorarsi il centro dove è nato, dove vive ed esercita la professione, dove è conosciuto ed ha rapporti di lavoro o di affari. Si forma così spontaneamente una specie di collegio uninominale personale, dando maggior valore ai meriti personali, pur restando fondamentale il calcolo proporzionale dei voti di lista. La terza proposta, l'eliminazione della lista nazionale ( a parte la dubbia costituzionalità di essa non potendosi reputare voto diretto quello generico che fa proclamare eletti i primi ivi elencati), è opportuna per poter attribuire i resti localmente, collegio per collegio, con un criterio adatto a correggere l'esagerato frazionamento dei partiti. A questo stesso fine dovrebbe introdursi il metodo inglese del deposito per le spese elettorali, deposito che verrebbe confiscato nel caso che una lista non raggiungesse il minimo di un quoziente. Per completare il quadro, si dovrebbero aggiungere due altre piccole riforme: l'abolizione della lista di stato per rimettere i n vigore la busta di stato, il che servirebbe a far recuperare molti dei voti nulli che non sono stati pochi nelle ultime elezioni, e renderebbe meno soggetto l'elettore alla pressione dei partiti; nonchè rendere sul serio obbligatorio il voto, rafforzato da opportune sanzioni per gli inadempienti, come è già i n uso nel Belgio. Mi si domanda: con questi pannicelli caldi credete di otte-


nere quel margine d i maggioranza che dia una certa sicurezza a l centro-democratico di poter portare avanti la barca governativa? I1 conto della sicurezza non lo può fare nessuno; ma l e probabilità sono abbastanza confortanti, ~ u r c h è i partiti di centro cessino dagli atteggiamenti di reciproca sfiducia ed evitino di risolvere in anticipo tutte le divergenze Programmatiche, riducendo gli accordi al minimo necessario, con quella libertà di mosse che è richiesta da così diversa collezione di teorie, di premesse e di pregiudiziali politiche che tali partiti rappresentano. Ma se ciò non ostante, i timori dei partiti del futuro governo di centro sono ancora forti, non ci sarà altra via che incamminarsi verso uno dei sistemi uninominali collaudati da secoli nei paesi civili; perchè la terza via, quella del premio di maggioranza, è piena di fossi e di trabocchetti, nei quali purtroppo, non è profezia ma previsione onesta, andranno ad inciampare gli stessi promotori. 18 agosto 1952.

( L a Stampa, 21 agosto).

I molti consensi alla mia campagna per la riduzione del costo del denaro mi hanno compensato delle incomprensioni e delle critiche rivolte ai miei due ultimi articoli d i marzo e giugno. Se i provvedimenti invocati sono lenti a venire, ciò dipende dalle di5coltà inerenti alla materia, dalla pesantezza della macchina statale, dallo scetticismo dell'opinione pubblica, scetticismo contro i l quale è doveroso reagire. Così continuo a scrivere: è impossibile che non si arrivi in qualche modo allo scopo. I1 problema è complesso, ne convengo; ma sarebbe colpa dei responsabili del vigente, sistema bancario, se non si £acessero tutti gli sforzi per trovare una adeguata soluzione, sia pure graduale e a largo respiro, bene architettata e rigorosamente eseguita.


Le banche sono troppe, lo dicon tutti, e se ne creano di nuove. Le banche più importanti sono di carattere pubblico o sono controllate dallo stato quale principale o unico detentore delle azioni. I n un regime bancario sano dovrebbe eliminarsi la figura dello stato azionista di banche; in Italia si creano allegramente altre banche a tipo statale. I n questo settore, come in altri settori, non si vede una direttiva razionale, giustificata, rispondente a premesse teoriche e a finalità organiche. Si va a l caso per caso. La legge testè varata sugli investimenti e contro la disoccupazione fa nascere un altro istituto bancario di risconto per le industrie a piccolo e medio termine; che di necessità deve figliare una ventina d i istituti locali a piccolo e medio termine, in base alla legge 1950, anch'essa creatrice di nuovi istituti bancari. Tutti ad applaudire nel 1950 come nel 1952: grandi finanziamenti statali e istituti specializzati, si esclama da molti; e non è così. Si avranno un bel palazzo al centro; tanti bei palazzotti nelle venti capitali delle regioni sede delle banche regionali a piccolo e medio credito, con relative pose d i prima pietra e inaugurazione solenne. Non saranno i nuovi edifici come il palazzone della Banca del lavoro a Milano; nè certo come la futura sede della Banca commerciale a Roma, lussi questi che l'Italia si dà per tradizione come i lussi d i stazioni ferroviarie monumentali, che a venticinque anni d i distanza debbono essere rase al suolo come quella di Milano. Nè l'Inghilterra già ricca e da poco ex-ricca, nè l'America tuttora ricca si dànno tali lussi. E poi, ci saranno posti per i consiglieri di amministrazione, fra i quali gli alti impiegati ministeriali troveranno la ennesima poltrona dove sedere e piglieranno la ennesima indennità. Naturalmente, si cercherà un personale adatto e specializzato, ma le banche esistenti cederanno alle nuove venute quello di scarto, a meno che non si cominci con stipendi più elevati e con stati giuridici più aggiornati. Un amico a l sentire questi miei rilievi, mi interruppe: possibile che tu solo sei scontento quando tutti applaudono. Non si può affidare il compito del credito industriale a lungo termine, e rischioso per giunta, a istituti che fanno la banca normale. Costui, e molti altri han dimenticato che per fare i l risconto


d i crediti industriali a piccolo e medio termine, bastava non dico ripristinare il consorzio di credito su valori industriali (cosa inopportuna per la Banca d'Italia), ma mettere una sezione autonoma nell'I..M.I., e cercare di renderne più spedito il funzionamento. Invece d i creare altri venti istituti regionali, dare migliore assetto alla Medio banca, che è un istituto dell'1.R.L figlia delle tre banche a carattere nazionale il cui funzionamento h a avuto largo consenso; potenziare, rendendole ancora più autonome, le sezioni di credito industriale della Banca del lavoro e dei tre banchi meridionali, che per la loro attrezzatura capillare possono arrivare a tutti i paesi e paesini d i provincia. Mi han detto che tutto ciò non è ortodosso, cosa che seri tecnici di banca contestano. Per me la prima eresia bancaria è quella di aumentare le spese dei servizi e per ripercussione mantenere elevati i tassi bancari. Ho voluto accennare a questa ultima fase dell'indirizzo bancario italiano, perchè chi di dovere pensi di non accumulare errori sopra errori e rendere sempre più pesante la situazione del credito, la cui ripercussione sui costi della produzione è notevole, e sotto certi aspetti irrimediabile. Debbo una replica ai bancari, che hanno contestato la mia affermazione essere essi i meglio pagati in Italia. Ho taciuto fin oggi per evitare un inopportuno intervento durante la vertenza sindacale. Ora che le acque sono temporaneamente calme, sarà bene sentire una voce disinteressata. I1 mio punto di vista è che si debbono diminuire i costi bancari per rendere il credito più vantaggioso alla generalità. Il personale esuberante deve essere mano a mano ridotto; gli sportelli diminuiti, le banche e gli istituti di credito non aumentati e condotti a più rigida amministrazione, così da mettere il nostro sistema al livello di quello di altri paesi meglio organizzati del nostro. I n questo programma occorre una battuta di attesa anche per il personale, i cui aumenti di trattamento non sarebbero giustificati dalla media retribuzione impiegatizia italiana. Se consideriamo il bancario un impiegato pubblico, è evidente che la sua posizione primeggia in tutto il settore. Se lo consideriamo come impiegato privato, la paga mensile non sarà la più cospicua, ma egli ha per giunta la stabilità in molti isti-


tuti (istituti di diritto pubblico e casse di risparmio), il diritto a pensione in molti istituti fino all' 85 per cento, non solo sullo stipendio annuale, ma comprendendovi dove la 13" o la 14" e perfino la 15" mensi1it.à. I n sostanza il bancario partecipa, nella maggior parte dei casi, di certi vantaggi dell'una e dell'altra categoria impiegatizia. P e r giunta, essendo stata applicata ai bancari la scala mobile, gli effetti del rincaro della vita sono scontati in partenza. Le successive rivendicazioni non hanno motivi contingenti si bene motivi di carattere sindacale nel senso stretto della parola. E qui viene una considerazione che non riguarda solo i bancari, ma tutti quei settori dell'impiego pubblico e privato, che, come i bancari, hanno ottenuto l'applicazione di una scala mobile. C'è un limite di solidarietà umana che non deve essere varcato da nessuno quando il peso specifico di uno dei fattori della produzione danneggia le stesse fonti della produttività. I n tale caso, il danno verrebbe inferto alla generalità dei cittadini, e in maniera più grave alla parte dei disoccupati, degli inoccupati, della gioventù che arriva al traguardo dell'impiego e non trova che i l vuoto; e di rimbalzo alla parte meno abbiente che ha bisogno di assistenza pubblica e privata. Perciò la cura di aumentare la produzione nazionale, dandovi sbocchi interni ed esteri, è uno dei principali doveri del governo e dei suoi organi, in efficiente cooperazione con tutti gli organi della economia nazionale e locale, pubblica e privata, e con gli stessi sindacati dei lavoratori e dei datori di lavoro. Se in Italia si potessero liberamente ridurre gli impiegati al reale fabbisogno delle aziende senza aumentare la disoccupazione, molti problemi sarebbero risolti in partenza. Ma l'esubero impiegatizio, non contenuto nei limiti medi e con graduali assestamenti, porterà di sicuro a sempre maggiori gravami di costo e crisi di rendimento. Lo stesso è da dire per il fiscalismo statale. È necessario che le entrate e le uscite dell'amministrazione pubblica si adeguino. Ma se il livello adeguativo incide sulla produttività e sui rendimenti, gli effetti saranno dannosi e per i costi eccessivi e per la contrazione della produttività. Conclusione: l'Italia è tuttora un paese in crisi che va risor-


gendo: ci sono prospettive notevoli per un migliore avvenire. Ma l'Italia ha troppe braccia cui dare lavoro, troppe bocche da sfamare; portiamo i vantaggi alle varie categorie progressivamente, sviluppando allo stesso tempo una più sana e produttiva economia del paese, questo è per il bene tanto dei più favoriti che dei meno favoriti della sorte. Per fare ciò, deve essere ritenuta come prima e fondamentale condizione che il costo del denaro venga, sia pure gradualmente, diminuito, per arrivare ad un livello sopportabile e tale da contribuire all'incremento della nostra potenzialità produttiva nell'agricoltura, nell'industria e nei commerci. 25 agosto 1952.

(La Stampa, 28

agosto).

LA RIFORMA DEL SENATO È COSA SERIA Coll'avvicinarsi della riapertura del parlamento, ritorna di attualità la discussione sulIa riforma e sulla riformetta del senato. Pare che l'opinione pubblica, tanto dei partiti organizzatì che dei fogli indipendenti, si vada orientando verso un senato misto di senatori eletti e senatori nominati per diritto o per scelta. Questa idea, molto discutibile in materia di diritto costituzionale (il caso italiano sarebbe il primo se venisse adottato), presuppone risolto u n problema fondamentale, quello del valore politico del voto del senato pro o contro la fiducia al governo; perchè è difficile affermare che un senato misto possa reputarsi camera politica alla pari di quella dei deputati, dovendosi ritenere invece camera legislativa a funzioni limitate. I n una democrazia parlamentare, quale la nostra, quella francese e quella inglese, il governo in tanto si regge i n quanto h a la fiducia del parlamento. Venuta meno questa, il governo cade e se ne farà un secondo o un terzo fino che otterrà la fiducia. In caso di conflitto non risolvibile fra parlamento e governo,


si dovrà procedere allo scioglimento del parlamento e all'appello al paese. Con questa procedura, un senato misto non avrà più diritto di dire la sua parola, nè riguardo la fiducia ai vari gabinetti, nè per l'esito del conflitto fra governo e parlamento. Se questa è l'idea dei riformatori, che lo dicano chiaro, senza tergiversare; così si saprà in quanti palmi di acqua si nuota. L'on. Giacinto Bosco mi d,à atto di questa tesi e la trova giusta; perciò cgli si limita a immettere nel senato trenta senatori di diritto (oltre i cinque a vita di nomina presidenziale). Egli parte da u n presupposto insicuro e quindi non ammissibile, cioè che trenta o trentacinque senatori di diritto non spostino la maggioranza elettiva. A contraddire tale presupposto basta ricordare che al senato belga per una intiera legislatura la maggioranza ebbe u n solo voto di più della opposizione ( e che opposizione). A proposito della proposta dei trenta di diritto, debbo ripetere per la terza volta che quello che gira sotto il nome di progetto Sturzo non è stato altro che il tentativo di correzione del progetto attribuito alla commissione dei gruppi dei senatori presieduta da Tosatto, fatto da tecnico per uso della direzione della D.C. con l a esplicita dichiarazione che io ero, come sono, contrario a simili concessioni. Spero che nessuno tornerà a parlare di progetto Sturzo dopo un anno di campagna chiara e netta contro la cosidetta « piccola a riforma del senato. Ciò posto: trenta o cinquanta o cento senatori nominati e non eletti, altera il carattere del senato politico, e lo riduce a camera di revisione legislativa e di controllo finanziario. È questo che si vuole? È bene intenderci; se si vuole arrivare a simile soluzione, sarà doveroso proporlo nel programma elettorale delle prossime elezioni, per un largo dibattito nel paese e una corrispondente affermazione elettorale. Si tratta di cosa seria che non può essere lasciata alla iniziativa parlamentare. Passiamo al secondo punto: nomina a scelta o per albo fisso? presidenziale? per cooptazione? a numero limitato o illimitato? temporanea per ogni legislatura ovvero a vita? L'orientamento attuale di quei pochi senatori che se ne sono


interessati e per quanto si sente nelle conversazioni di corridoio, è verso la nomina di diritto e a vita, da attribuirsi a .coloro che posseggano i titoli da fissarsi per riforma costituzionale, sicchè la giunta delle elezioni, o altro organo interno, non dovrebbe fare altro che verificare i titoli e l'assemblea prenderne atto. Se il numero è illimitato, la schiera dei fortunati entrerà senza lunghe attese appena avrà maturato i titoli richiesti; se il numero sarà limitato, i candidati attenderanno al portone di Palazzo Madama fino a che si renda vacante il sospirato posto. Se la nomina sarà fatta per la durata della legislatura, si dovrà rifare l'albo e ripetere le nomine all'inizio di ogni legislatura per integrare il corpo senatoriale. Nel caso invece d i libera scelta su albi di titolati, per quel numero limitato di seggi che la legge di riforma -provvederà, dovrà essere stabilito chi farà la scelta: se il presidente su proposta del consiglio dei ministri, come avveniva per nomina regia, ovvero l'assemblea del senato a maggioranza di voti per cooptazione. Ciò potrà avvenire sia che la nomina avvenga per la durata della legislatura, ovvero a vita. Questa casistica che sembra di carattere tecnico, da applicarsi secondo i gusti, ha un contenuto politico di notevole importanza. I1 diritto ad accedere al posto di senatore automaticamente è di per sè cieco: non si può tener conto dei meriti della persona, non del colore politico, che deve poter contare per un'assemblea che pur non avendo il diritto di rovesciare o confermare un governo, ha mille modi per rendere dura la vita quotidiana dei ministri e del governo e potrà, occorrendo, creare un conflitto con la camera dei deputati. La scelta? non potrà essere presidenziale se il presidente verrà scelto anche col voto dei senatori. Ma è possibile ammettere in democrazia che membri di diritto o di nomina per cooptazione (escludendo il caso della nomina presidenziale) possano partecipare alla elezione del presidente della repubblica? Torna di nuovo il problema politico, e di nuovo la risposta deve essere negativa. I senatori di diritto e i senatori cooptati non dovrebbero far parte dell'assemblea che nomina il presidente della repubblica. Ecco tutto. Siamo d'accordo su questo secondo punto? Passiamo al terzo.


Categorie. I senatori non elettivi saranno scelti, cooptati o nominati di diritto se si trovano in determinate condizioni e categorie prestabilite dalla legge. Si parla di parlamentari, deputati e senatori, che siano stati eletti per un certo numero di legislature, o siano stati ministri per un certo numero di anni, o siano stati presidenti del consiglio, presidenti .della camera o del senato. In sostanza assicurare al senato l'esperienza parlamentare e amministrativa degli anziani ex-deputati, ex-senatori, ex-presidenti. Per un senato che non è più politico il ripescaggio di diritto degli « ex non porterebbe altro inconveniente che il numero sempre in aumento, specie se le condizioni di salute degli ex n sono tali da dovere evitare le ansie delle battaglie elettorali e assicurare un seggio senatoriale vita natura1 durante, senza discriminazione di colore politico, di capacità, di autorità e di rendimento. Se poi il numero sarà limitato, la formazione di un albo di anzianità toglie la possibilità di inserimento di alcuni che potrebbero rendere servizio, a vantaggio dei più anziani. Ogni medaglia ha il suo rovescio. Secondo me è da escludere l'albo fisso, la preferenza di anzianità e il diritto automatico a essere senatori sia in questa che in ogni categoria, perchè è preferibile il sistema di nomina a scelta per seggi a numero limitato e valevole solo per la legislatura in corso. Per lo meno vi sarà un certo adeguamento al colore della maggioranza elettiva, e un certo gusto del rischio. Altre categorie di cui si parla sono quelle degli investiti delle alte cariche dello stato, tassazione, consiglio di stato, corte dei conti, avvocatura, stato maggiore. In assemblee dove il funzionarismo ha fatto irruzione con nomine elettive e con l'aggiunta del diritto di mantenere contemporaneamente il mandato politico e l'impiego o l'ufficio alla dipendenza dello stato, la nuova aggiunta dei capi ci riporta a insinuare nel senato un certo spirito gerarchico sottinteso, o al contrario, uno spirito di fronda dell'inferiore che disputa col superiore. A parte questa psicologia intrusa e inevitabile, noi italiani siamo arrivati a fare occupare quasi il terzo dei posti parlamentari a dipendenti statali (che, secondo teoria e giuri-


&prudenza invalsa, possono anche fare sciopero) e, intanto, vederli legiferare come padri coscritti e rappresentanti del popolo. Io sarei solo per gli « ex » in parlamento, anche per burocrati e magistrati. Ciascuno abbia la propria funzione: O il mandato politico o l'impiego statale. Niente controJlati-controllori. E finisco. La riforma così come prospettata non è di mio gusto e spero che non sia affatto secondo i l gusto del popolo italiano. 30 agosto 1952.

( I l Giornale d'Italia, 2 settembre).

L'ARTICOLO 139 E LA MONARCHIA Nella discussione che ha fatto seguito a l discorso d i De Gasperi a Predazzo è stata ipotizzata la possibilità di revisione dell'art. 139 della costituzione, che dice: « la forma repubblicana non può essere, oggetto di revisione costituzionale D. Vediamo in ipotesi quali le possibilità pratiche. Nella nuova camera che verrà fuori dalle elezioni del 1953 u n gruppo d i deputati propone u n disegno di legge costituzionale per l'abolizione dell'art. 139. .La proposta passa alla com. missione competente, che discute per due o tre mesi; intanto si fanno nel paese comizi pro e contro. Dalla commissione passa alla camera in lalettura con due relazioni: una di maggioranza contro, l'altra di minoranza a favore. Discussione, ostruzionismo, comizi e conflitti; dopo altri due o tre mesi, con vari rinvii s i arriva a l voto. La proposta ottiene due o tre voti d i maggioranza relativa (dei presenti). A tre o quattro mesi d i distanza, si ritorna alla discussione e alla votazione qualificata. La proposta non ottiene la maggioranza assoluta ed è bocciata. Dopo sei o sette mesi d i agitazione, la proposta è caduta. Caduta per sempre? no. Ritornerà di nuovo in altro periodo più propizio. Seconda ipotesi: la proposta sarà approvata a maggioranza


assoluta, ma senza ottenere il voto dei due terzi dei deputati i n carica, e potrà essere soggetta al referendum infra tre mesi dalla pubblicazione della legge. Intanto passa al senato: altri sei mesi d i procedura; gli stessi risultati o bocciatura o maggioranza assoluta; non mai quella dei due terzi. Pubblicazione della legge e richiesta di referendum. Esecuzione del referendum. Ipotesi: metà più uno per l'abolizione ovvero metà più uno per il rigetto dell'abolizione. Così sono stati impegnati, a essere brevi, circa due anni d i discussioni, polemiche e agitazioni, votazioni popolari per referendum, per dimostrare che il paese sul problema istituzionale: repubblica o monarchia sarà diviso nel 1955 come era diviso nel 1946. Dopo di che, nella fiducia che il popolo italiano avrà conservato i nervi a posto, si procederà all'esame della seconda proposta per la revisione della costituzione in senso monarchico, modificando tutti gli articoli dove si parla di repubblica dal primo all'ultimo, comprese le disposizioni transitorie e finali tuttora vigenti. Arrivati a questo punto viene spontanea una domanda pregiudiziale, che è l a domanda da porsi prima d i portare d i nuovo alla ribalta il problema della monarchia. La forma monarchica di uno stato può essere concepita in molte maniere; si può avere una monarchia costituzionale con u n re che K regna e non governa D, come fu concepita e più che concepita attuata mano mano che l'Italia si andò democratizzando. Ma si può concepire anche come una monarchia paternalista, oligarchica, assolutista, dittatoriale. Si può andare dalla pura e semplice sostituzione della figura del presidente d i repubblica eletto dal parlamento, con quella di un re che funzioni da presidente non per scelta parlamentare ma per diritto ereditario; e si può ipotizzare il monarca che nomina e cambia i suoi ministri senza che questi dipendano dal voto del parlamento nè da elezioni popolari, com'era un tempo negli Imperi centrali. Penso che su questo punto, le idee non dico dei monarchici organizzati, ma di tutti quelli che sentimentalmente preferiscono u n re a un presidente, siano molto confuse e non precisate per

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- STCnzo -

Politica di querti anni.


il fatto evidente che il problema della monarchia non è stato posto sul terreno di un esame pratico e immediato. Ma sarà questo il terreno difficile e pieno di trabocchetti sul quale si muoverlà i l parlamento il giorno che, superata l a prima trincea dell'art. 139, si debba revisionare la nostra costituzione. Gonella ha detto che la costituzione non è il Corano. Ma a parte le questioni secondarie, nei punti fondamentali la costituzione non può nè deve subire scossoni ed essere messa in dubbio ad ogni piè sospinto. Peggio poi, se si vorrà addirittura rimpastarla da capo a fondo quando ancora non è stata completamente attuata. Si farebbe al paese il bel regalo d i un perpetuo revisionismo, tanto più facile quanto in tale materia si possono formare due blocchi contrastanti, che vincono o perdono per una frazione limitata d i voto. I n sostanza sarebbero quelle poche centinaia d i migliaia d i cittadini, spesso i meno preparati o i più maneggioni, che piegando da destra a sinistra nel far variare ogni cinque anni l e maggioranze parlamentari, potrebbero agitare i piani di revisione costituzionale. Si arriverebbe all'assurdo che dopo avere installato al Quirinale un presidente, a pochi anni di distanza vi ritornerebbe il re; per poi, con un'altra procedura parlamentare e referendum popolare, in un momento di malumore rimandare i l re a l Portogallo e riprendere il presidente. È la sorte questa dei paesi ancora instabili del sud e centro America, con i loro presidenti capi di governo, e i loro generali e colonnelli che fanno sovente pronunciamenti e cambiamenti costituzionali. Adagio, mi si dirà: se torna la monarchia, sarà per sempreAllora ristabiliremo l'art. 139? Purtroppo, se la strada per aholirlo è stata fatta, la strada delle sostituzioni secondo le vittorie dei partiti diviene aperta anche in Italia. Lo spirito di tale articolo, per quanto criticato come contrario alla libera manifestazione della volontà popolare, è quello d i ottenere una relativa stabilità istituzionale per affrontare i problemi della ricostruzione del paese. Gli effetti del disastro d i una guerra perduta dalla quale l'Italia sarebbe dovuta restare estranea, non sono ancora scontati. Ed è bene ricordare che in quei giorni fatali, i repubblicani d i convinzione come il sotto-


scritto, speravano nella capacità, nel senso d i responsabilità e nel patriottismo d i Vittorio Emanuele I11 per allontanare l'uragano dalle nostre terre. E quando Pio XII andò al Quirinale, tutto il mondo credette che la neutralità dell'Italia ne fosse uscita rinsaldata. Ora, gettare l'Italia in una nuova agitazione politica con il dilemma ricorrente: repubblica o monarchia, e condurla per anni di discussioni, elezioni, voti del parlamento, referendum, ad una lotta aspra e faziosa, sarebbe un tentativo antipatriottico al quale mi rifiuto di vedere associato Umberto di Savoia. Niente di male che ci siano uno o più partiti monarchici; che ci siano monarchici fra i seguaci dei liberali e dei democristiani. Ma stiano sicuri che come la monarchia in Francia non ritornò più perchè i monarchici francesi odiavano la repubblica e la democrazia e volevano una monarchia autoritaria e assolutista, mezzo clericale e mezzo gallicana, dando ai governi francesi l'impronta anticlericale e demagogica ; così farebbero in Italia coloro che monopolizzano l'idea monarchica, credendo di poterla sfruttare contro la repubblica, contro la democrazia e contro il governo. 8 settembre 1952.

(La Stampa, 11 settembre).

INCOMPATIBILITÀ : LEGGE PRE-ELETTORALE Se c'è un momento decisivo nel quale debba valere la legge delle incompatibilità parlamentari è proprio quello elettorale. Alla camera, gli stessi oppositori delle proposte di legge PetroneBellavista-Vigorelli e C.i, avanzarono un emendamento per farla decorrere dalla prossima legislatura. La camera rigettò I'emendamento fissando l'applicazione della legge a un mese dalla pubblicazione nella Gazzetta uficiale, mantenendosi nella logica della proposta stessa; infatti qualsiasi incompatibilità opera dal momento che è dichiarata. L'illogicità era nel dichiararla rimandandone l'applicazione; come a dire il nero è nero, ma per noi vale nero di qui a un anno.


L'anno, purtroppo, sta correndo ; la commissione senatoriale fin dal luglio scorso approvò in sede referente il testo della camera; ora si attende la relazione del senatore Lepore. Dopo di che sarà portata all'ordine del giorno del senato; ma non essendo stata compiuta, la discussione dei bilanci dovrà avere il primo posto. Al secondo dovranno venire, in ordine di importanza e di immediatezza, tutti i disegni di legge già approvati dalla camera dei deputati in modo da evitare che possano decadere alla scadenza dei cinque anni (aprile 1953). È chiaro che la più importante in ordine di immediatezza è proprio la legge sulle incompatibilità parlamentari, dovendo avere effetto per la presentazione delle candidature: interessati e partiti debbono conoscere in tempo se potranno o no correre l'alea delle elezioni e se alcuni di essi, una volta approvata la legge, potranno essere dichiarati incompatibili. Tanto ciò è vero che nella tecnica legislativa di u n tempo le incompatibilità venivano previste proprio nella stessa legge elettorale. È vero che non sono da confondersi le ineleggibilità con le incompatibilità; l'ineleggibile non può presentarsi a deputato senza avere purgata nei termini di legge la propria ineleggibilità; l'incompatibile potrà presentarsi optando per il mandato parlamentare e rinunziando a quel posto, u5cio o servizio ritenuto per legge incompatibile con il mandato parlamentare. Ma anche in questo secondo caso dovranno essere valutate, sia dal futuro candidato sia dal partito che lo sceglie e lo presenta, le conseguenze alle quali si va incontro. La questione diviene importante agli effetti di una campagna moralizzatrice che non è evitabile e che i partiti faranno bene ad affrontare subito, ciascuno dal suo punto di vista. I1 disegno di legge avanti il senato è chiaro: all'articolo Io vieta ai membri del parlamento di aricoprire cariche o u 5 c i d i qualsiasi specie i n enti pubblici o privati per nomina o designazione del governo o di organi dell'amministrazione dello stato D, eccettuate le cariche in enti culturali assistenziali, di culto, in enti-fiera, in università ed istituti superiori per designazione elettiva nonchè quelle su designazione delle organizzazioni di categoria. Secondo me, tali incompatibilità per i candidati che non si dimettono prima delle elezioni si dovrebbero


tradurre in ineleggibilità. Potrò sbagliare, ma sarà certo una posizione equivoca quella di un candidato che userebbe della influenza che gli dà un posto di nomina governativa nella campagna elettorale per poi lasciarlo dentro u n mese dalla convalida, optando per il seggio parlamentare. Lo stesso è a dirsi per le incompatibilità derivanti dagli articoli 2 e 3 del suddetto disegno di legge per le cariche di responsabilità amministrativa in enti che gestiscono servizi statili o ricevono contributi statali, nonchè per gli istituti bancari e finanziari. Non c'è chi non ne veda la importanza anche agli effetti della lotta elettorale. Non può parlarsi di ineleggibilità per la incompatibilità prevista all'articolo 4, non trattandosi di posti o uffici, ma di esercizio professionale, che per certi casi resta inibito al parlamentare. Si comprende che il candidato, pur avendone il diritto, non andrà a difendere un impresario contro lo stato, nè formerà un parere contrario alle pretese e ai diritti della finanza proprio durante l a campagna elettorale. Chi sarà così sciocco di provarcisi al momento che si presenta come futuro difensore dello stato? Conclusione: è interesse dei partiti di sollecitare la discussione di tale disegno di legge, ed è dovere del senato di dire l'ultima parola in proposito prima che suoni la diana per l a prossima lotta elettorale. Così potremo mettere punto, per questo lato, alla quinquennale campagna avverso i controllati-controllori del nostro parlamento; e potere ritornare ritemprati alla campagna avverso i controllati-controllori della nostra burocrazia. 9 settembre 1952.

( L a Via, 13 settembre).

LE INTESE FRA I PARTITI Nella formazione dell'ultimo gabinetto Giolitti (1920) il partito popolare pose quattro condizioni per parteciparvi: l a legge sull'esame di stato; - la riforma agraria; - la rappresentanza


operaia della confederazione bianca negli organi governativi; tre posti nel gabinetto. Giolitti accettò le richieste meno quella dei tre posti che ridusse a due: Meda al tesoro e Micheli all'agricoltura. I guai vennero per strada: il ministro Croce presentò puntualmente il progetto sull'esame di stato, che fu bocciato agli uffici. Al rilievo dei popolari Giolitti rispose che il suo impegno, quello di presentare il progetto, era stato mantenuto; ma egli non poteva garantirne l'esito al parlamento. I1 ministro Micheli presentò il progetto sulla riforma agraria, ma di fronte ai problemi che suscitava, la commissione parlamentare tirò per le lunghe e non fu sollecita, come sono state oggi per la legge stralcio », e ancora di più per la famosa legge C Salomone ».I1 disegno di legge Micheli perduto nelle sirti procedurali cadde insieme agli altri in corso con lo scioglimento affrettato della camera (marzo 1921). La questione dell'eguale rispetto alle due confederazioni operaie diede motivi di continue frizioni fra i popolari e il governo che non voleva urtare i socialisti che allora pretendevano a l monopolio sindacale, e culminò nella presentazione del disegno di legge sulla rappresentanza operaia nelle fabbriche dopo la clamorosa occupazione, quando Giolitti rifiutò di tener conto del disegno d i legge d i parte popolare; e finì, dopo un vivace colloquio con me accompagnato dall'on. Gronchi segretario confederale e dall'on. Tovini segretario del gruppo, per consentire l'inserzione in appendice degli atti parlamentari. Come si vede, su tutti gli accordi presi esito negativo. Allora la grande stampa accusava me e il partito popolare d i volere strafare; e si trattava di un gruppo di cento deputati, che rappresentavano assai più degli attuali tre partitini d i centro, mentre i gruppi liberali democratici di allora rappresentavano meno dell'attuale D.C.. Premetto questo ricordo perchè il lettore si renda conto delle d a c o l t à d i arrivare oggi ad accordi pre-elettorali per un programma concorde d i governo da parte della auspicata coalizione d i centro. A rendere evidente questa mia diflidenza politica (e non personale) vale il fatto che durante i primi cinque anni gli stessi partiti della intesa del 18 aprile non sono riusciti a man.


tenersi tutti e quattro al governo, nè a portare in porto parecchie leggi urgenti sulle quali non è stato possibile intendersi. Cito prima di tutte quella che deve regolare il diritto d i sciopero. L'art. 40 della costituzione è chiaro: « il diritto di sciopero si esercita nell'ambito delle leggi che lo regolano ».Fuori di cpell'ambito non ci sarebbe diritto esercitabile. La magistratura si è trovata i n panna: negare la legittimità dello sciopero sarebbe stato un atto assai grave di fronte all'abolizione costituzionale del vecchio divieto di sciopero. Dichiarare che mancando la legge non è esereitabile il diritto (è proprio il testo nel suo senso letterale) sarebbe stato andare incontro alla scioperomania del dopoguerra, alla quale inclinano perfino un certo numero d i insigni magistrati quando a tutela dei propri interessi arrivano ad ammettere la legittimità dello sciopero d i una categoria di servitori dello stato che è anche detentore di uno dei tre poteri e certo il più delicato. Tra discussioni e dissensi si è arrivati a nulla di fatto. Questa sarebbe una castagna da levare dal fuoco prima delle elezioni; ma sarà possibile prima delle elezioni raggiungere u n accordo sia pure minimo su questo punto? è a credere, al contrario, che tutti saranno d'accordo per accantonarla. I1 peggio è che su questo affare e su altri molti sarà difficile raggiungere un accordo programmatico fra i quattro del futuro governo, se Romita afferma che entrerà nel governo solo quando potrà attuare un programma socialista. Egli avrà ragione di fronte ai suoi elettori, ma potrà Villabruna accettare tale tesi a nome dei liberali? Egli dirà a l contrario: il gruppo liberale parteciperà al governo quando si potrà attuare il programma liberale. I repubblicani storici hanno mostrato più comprensione politica, per quanto abbiano insistito su alcuni punti controversi fra gli stessi d.c.. Ma la posizione più incomoda sarà quella di De Gasperi che cercherà invano di conciliare i suoi con i tre partitini, per rimandare i punti controversi e accettare quelli dove la convergenza potrà formare, con il taglio delle punte, la volontà comune degli apparentati. Non scrivo ciò per scoraggiare De Gasperi, che è maestro di compromessi, a tentare sia oggi che dopo le elezioni. Ma


sarà bene non dare a simile tentativo una importanza eccessiva, sia nel campo elettorale, sia in quello governativo. Se i quattro partiti sono convinti che senza la loro coalizione, la democrazia italiana sarà compromessa o perfino correrà pericolo, questo solo motivo basterebbe per una rapida e completa coalizione elettorale e anche (se necessaria, il che non sembra) governativa. I1 paese comprenderebbe subito che Annibale è alle porte. Ma se questo pericolo non c'è o non è imminente, allora, signori centristi, discutete pure, ma ricordatevi che siete centro, che siete coalizione, che siete uomini politici cioè del possibile e non dell'ottimo, e che il pubblico italiano vuole sincerità, chiarezza e mano forte. Un punto è stato in questi giorni accennato da tre democristiani autorevoli: De Gasperi, Pella e Campilli; il maggiore rispetto e l a tutela anche dell'iniziativa privata. Su questo punto che interessa l'avvenire d'Italia, s'impernia la tutela delle classi medie. Nessuno domanda che siffatta tutela debba farsi a spese delle classi lavoratrici; ma nessuno può ammettere il viceversa. Tanto più che lo stato, quando gonfia il suo interventismo sia direttamente sia attraverso i mille enti statali, parastatali e pseudo statali, fa danno all'economia del paese che comprende il benessere d i tutte le classi, ceti medi e lavoratori compresi. L'affare degli indennizzi dei danni di guerra ( a citare uno solo dei problemi dell'economia privata) si trascina da troppo tempo; si tratterebbe di mettere, gradualmente ne convengo, a disposizione del privato una somma che gli è dovuta e che entrerebbe nella buona e sana economia del paese, a vantaggio dell'edilizia, della piccola e media industria, dell'impiego della mano d'opera e così di seguito. Niente roba parassitaria. Questo e altri punti dolenti del corpo economico-sociale del nostro paese dovrebbero avere l a preferenza, anzi la immediatezza per un governo d i centro pre-o-post-elettorale, che sia veramente a l centro d i tutta la vita nazionale. I5 settembre 1952.

( I l Giornale d'Italia, 18 settembre).


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GIUDICATI GIUDICI CONTROLLATI . CONTROLLORI Si tratta di malcostume talmente entrato nelle abitudini italiane, che non si riesce a iniziare la riforma: manca la sensibilità individuale e non è ancora abbastanza efficace la reazione pubblica. I1 caso di giudicandi che per una serie d i vie torte e d i storture regolamentari nominano i propri giudici ovvero esercitano la funzione di giudici (contro l'antico principio che io reputo di diritto naturale: nemo judex in causa propria) è capitato alla biennale di Venezia. Ci voleva una sentenza della quarta sezione del consiglio di stato su ricorso di un interessato, il prof. Beonio Brocchieri, per mettere in evidenza l'enormità del £atto. Non so quali i meriti artistici del Brocchieri, che mi dicono sia un uomo di ingegno, nè mi interessa sapere se il rifiuto ad esporre alla mostra fosse meritato o no; ciò non ha alcun valore per la questione portata al supremo magistrato e così riassunta nella decisione: « Risulta dagli atti che alcune persone hanno « contemporaneamente rivestito la triplice qualità di espositori, « d i membri della commissione arti figurative e di membri della « giuria: in altri termini, alcune persone sono state insieme giucc dici e giudicati, e, per di più, giudici di entrambi i collegi, « incaricati della scelta delle opere da esporre. Ora non è chi « non veda come sia del tutto inammissibile l'essere contempo« raneamente giudici e giudicati, che è principio generalissimo fondato su criteri determinati anche logici, che nessuno può «giudicare se medesimo o i prodotti del suo ingegno n. I1 cittadino italiano ha diritto a meravigliarsi che nell'anno di grazia 1952 sia proprio necessario che i1 consiglio di stato ricordi ai capi e dirigenti di un ente pubblico come la biennale una massima così nota, così umana, così fondamentale del vivere civile che non si può essere allo stesso tempo giudici e giudicati. È proprio così: si sta perdendo la bussola; e forse il consiglio di stato sarà chiamato a esaminare qualche altra questione del genere. Stiamo a vedere.


Ma non è a credere che il consiglio di stato sia immune nei suoi membri da simile tabe. È noto che un certo numero di consiglieri, senza essere fuori ruolo, nello stesso tempo che funzionano al consiglio d i stato sono anche a i servizi d i qualche ministero o quali amministratori di enti statali. Quando il ministero deve chiedere al consiglio di stato pareri voluti da regolamenti o da leggi, ovvero deve ricorrere o resistere avanti le sedi giurisdizionali, i magistrati a doppio servizio sono obbligati a sdoppiarsi e fare d i qua la funzione dell'amministrazione attiva e di là quella dell'amministrazione di tutela o partecipare al corpo giudicante. È serio tutto ciò? ed è nell'interesse del pubblico? corrisponde a criteri direttivi morali psicologici e politici approvabili? E che dire della sopravvivenza d i certe leggi nelle quali è prescritto che consiglieri di stato o membri della corte dei conti (che è peggio) facciano parte d i amministrazioni statali o di enti statali o di enti parastatali, ovvero dei rispettivi collegi sindacali? Non solo non si sono finora corrette quelle leggi, ma seguendo la mentalità burocratica, prevalente e invadente, sono stati nelle nuove leggi espressamente riservati posti d i amministrazione a magistrati e a funzionari del consiglio d i stato e della corte dei conti. Poi capitano fatti di eccezionale gravità (I'INA ne è stato uno dei più noti ma non il solo) e si è costretti a rilevare che funzionari inviati a posti così delicati si siano limitati a far qualche modesto rilievo ovvero un insignificante rapporto, ma nulla d i quanto abbia potuto fermare la rotta maldestra, o diretto a separare la propria responsabilità da quella degli amministratori o dei sindaci non funzionari. I1 principio è sbagliato: il controllore non deve prendere i1 posto di controllato, perchè non può controllare se stesso; il controllato non può divenire controllore u per la contraddizion che nol consente » direbbe Dante. Capita questo nell'amministrazione forestale italiana, la cui autonomia è divenuta quella di un campo chiuso impermeabile. I forestali fanno i progetti, eseguono in economia, appaltano, dànno in concessione, contabilizzano i lavori, ne sono i sorveglianti, ne fanno i collaudi: tutto è nelle loro mani. Non


voglio mettere in dubbio l a correttezza dei singoli funzionari, ma a parte che è difficile che tutti siano dei santi, non vedo perchè non si possa rompere questo cerchio chiuso, mettendovi dentro un po' di ingerenza dell'amministrazione civile e u n po' di distinzione fra il progettista o direttore dei lavori e il collaudatore, e una distinzione fra la gestione diretta e il controllo di tale gestione. Le contabilità arrivano alla corte dei conti, che h a anche propri funzionari distaccati, con tutte le pezze giustificative possibili e immaginabili, che dimostreranno a due o tre anni di distanza l'osservanza anche pignolesca delle norme scritte; l a realtà sfuggirà sempre dai corridoi di via Pastrengo. Quel che dico della forestale si può applicare a parecchie altre gestioni e aziende statali o parastatali perchè la confusione fra i l gruppo esecutivo e quello di controllo è costante nella pubblica amministrazione italiana, e non si è fatto un solo passo per correggerla, togliendo la ingerenza diretta del funzionario superiore nell'amministrazione degli enti e delle agenzie dipendenti e controllati. Per dare prestigio all'ingerenza ministeriale, si scelgono sempre alti funzionari quali amministratori o membri del collegio dei sindaci. Così vediamo ripetersi i nomi di stimabilissime persone, che si prodigano nell'interesse della pubblica amministrazione, ma non hanno il dono dell'ubiquità, nè i l tempo di approfondire problemi così diversi e importanti, nè l'occhio di lince di vedere tutte le magagne amministrative e contabili, sì che i l vantaggio di avere nomi così vistosi nelle liste dei consigli degli enti si riduce a ben poco, aggiungendo i l danno che deriva dal fatto che essi, che dovrebbero essere i vigili controllori di tali enti finiscono col tollerare, compromettere, aggiustare, lavandosene l e mani al momento opportuno o giustificando il non giustificabile per giustificare se stessi. Se poi i controllati controllori sono degli uomini politici, allora l'affare diviene più complicato; per potere ottenere che il funzionario chiuda loro un occhio sono obbligati essi stessi a chiuderne due. Per questi ultimi speriamo che arrivi in porto la legge sulle incompatibilità, mentre per i primi occorre l a riforma delle


leggi vigenti, la riforma della mentalità burocratica, la riforma del costume civico che esiga quella correttezza politica e am. ministrativa che farà evitare tanto i giudici in causa propria quanto i controillati-controllori. 21 settembre 1952. (La Via, 22 settembre).

LETTERA PER LA NOMINA A SENATORE Caro ~ o n e l l a , 11 tuo telegramma quale segretario politico per la mia nomina a senatore, e la visita insieme alla direzione della democrazia cristiana, nonchè la partecipazione presa dai capi dei gruppi parlamentari, da senatori e deputati, da sindaci e presidenti di consigli provinciali, da comitati ~rovincialie sezioni locali della D.C. e da amici miei e tuoi d'ogni parte d'Italia, mi impongono una parola pubblica di ringraziamento e di solidarietà, che va oltre agli ideali che ci accomunano e agli affetti che ci legano. Non è falsa modestia il dire che mai ho ambito cariche e onori, mai però ho rifiutato comandi e responsabilità anche in posizioni delicate e pagando di persona. Oggi ho dovuto cedere accettando un mandato che so in partenza di non potere, per le condizioni di età e di salute, adempiere come vorrei, partecipando ai lavori parlamentari. Ciò è ben noto a quanti mi conoscono, ed è stato motivo delle mie perplessità e resistenze ad accettare l'alta nomina. Del resto, io so bene la limitatezza delle mie forze e sono confuso di fronte a manifestazioni così spontanee e generali; sento un enorme disagio al sentire e a leggere in lettere e telegrammi, oltre che sulla stampa - senza distinzioni di parte - tante affermazioni d i speranza sulla mia attività futura che io non vedo molto dissimile dalla mia attività passata. Per giunta, dal giorno che, dopo lunghi anni di attesa, potei baciare terra italiana, mi sentii chiamare (cosa insolita per me)


da amici e da estranei: maestro. Non posso esprimere il disturbo e il fastidio che mi ha dato questo appellativo inaspettato e nuovo negli usi fra cattolici (tranne verso i cattedratici); principalmente per il detto di Gesù Cristo di non chiamare nessuno maestro, perchè egli solo è i l Maestro. E se come sacerdote ho il diritto ad insegnare il Vangelo e partecipo alla sua unicità di maestro, non così negli altri campi. Anche nella attività politica e sociale sono stato sempre uno sperimentatore, u n uomo che ha cercato di realizzare l'insegnamento cristiano, che h a cercato di esporlo per iscritto, come idea ispiratrice e come pratica realizzatrice. Ho immesso idee mie e mie realizzazioni nel dibattito politico, i n cerca di sempre migliori formulazioni teoriche e più aderente esperienza pratica; criticando il mio pensiero e quello degli altri; la mia e la pratica altrui; iniziando un dialogo che tante voIte non è stato continuato per via di quel diaframma che l'idea e la parola di maestro h a elevato fra me e i miei amici, diaframma che è stato anche raddoppiato fra me critico giornalistico e coloro che si sono sentiti feriti da una critica obiettiva, serena, sebbene insistente e perfino vivace. Ora non vorrei che venga a innalzarsi un altro diaframma con la nomina a senatore. Molti, forse, si meraviglieranno che io abbia scelto il gruppo misto per u n mio posto di classe nel senato, dacchè i l regolamento impone i l raggruppamento e riconosce i l partito. Non è questo per me un distacco dal mio passato politico, nè l'abbandono dei comuni ideali democratici c;istiani, nè il misconoscimento dei servizi che la D.C. h a reso alla patria da circa un decennio. Due motivi mi hanno condotto a tale decisione: la norma concordataria che potrebbe non essere applicabile al caso, non trattandosi di vera iscrizione ad u n partito politico; e l a convinzione che non la disciplina parlamentare, ma quella di partito, quale è oggi concepita in Italia, non si adeguano al mio senso di responsabilità personale. Non si meraviglino di ciò i miei amici, e neppure coloro che credono alla necessità di una più salda consistenza dei partiti democratici di fronte alle ferree organizzazioni dei partiti avversi, che palesemente od occultamente minano gli ordinamenti liberi e democratici che ci siamo dati.


Certamente, nella faticosa ripresa post-bellica si h a bisogno d i saldezza, coesione e impegno collettivo in base a principi e ideali fortemente sentiti, per potere superare le difficoltà interne ed esterne e riprendere la vita nazionale nella sua integrità e progressività. Ma nello sforzo di trovare una soluzione sarebbe preferibile l'autodisciplina, disciplina di convinzione assai più coesiva che quella imposta dall'alto e rinsaldata da sanzioni. Spero che i l costume ~ a r l a m e n t a r edi coerenza e dignità faccia scomparire, fra i partiti veramente tali, i l residuo di una concezione gerarchica niente affatto aderente alla riconquistata libertà e all'ordinamento democratico della nazione. Per la migliore realizzazione della libertà e della democrazia lavora e combatte il partito da te rappresentato, caro Gonella. Dopo un'esperienza di otto anni di governo, a l primo posto nelle responsabilità gravissime imposte dagli avvenimenti, è merito principale della D.C. avere superato le crisi politiche economiche e sociali senza rivolte, senza scosse, con graduale assestamento interno e esterno, con costante sviluppo nella ricostruzione morale e materiale del paese, affrontando con coraggio situazioni acuite e cercando di risolvere problemi assai difficili e perfino quelli che mai in passato (parlo del mezzogiorno) furono affrontati con chiara visione e larghezza di mezzi. Non intendo misconoscere l'apporto degli altri partiti che han collaborato con voi al governo e nel parlamento, nè intendo disconoscere quella parte di manchevolezza che è naturale in tutta l'attività umana e che ha potuto essere rilevata, da me e da altri, come deficienza di uomini non adatti o di sistemi mal applicabili o di organismi arrugginiti e perfino di visione incompleta dei problemi da risolvere. Chi è senza colpa lanci la prima pietra. La società umana ha due compiti: quello di conservare, quello di riformare; l'equilibrio fra il bene esistente e il bene che si vuole attuare è difficilissimo. Perciò in democrazia vi sono minoranze che spingono e maggioranze che resistono; o viceversa: maggioranze che affrontano i rischi e minoranze che fanno da remora. La libertà è quella che mette in moto questa macchina vi-


vente dell'organismo sociale c h e progredisce conservando e che conserva progredendo, nel continuo attrito di opinioni e di interessi, che organicamente si dualizzano e che dualizzandosi nel contrasto antagonistico fanno prevalere quella decisione effettuale che diverrà realtà vissuta. E se per caso si sbaglia, il tentativo di dare realtà all'errore, si rileva da sè e impone un intervento rettificativo. Perchè scrivo tutto ciò? Perchè alla vigilia delle elezioni politiche, la D.C. dovrà rivedere le realizzazioni compiute, fissare i criteri della attività politica che si apre con l'appello al paese, il quale, nel dare il giudizio sul passato, apre la porta al nuovo periodo che ci auguriamo migliore. Auguro per i l bene del mio paese, che il centro democratico superi la prova restando centro, nell'interesse di una maggiore coesione delle forze politiche economiche e morali della nazione, nella speranza di dare all'organismo amministrativo dello stato maggiore efficienza, perchè non valgono accorgimenti politici, nè giova l'inflazione legislativa dove l'amministrazione non è rigida, salda, coerente e fedele. Una cordiale stretta di mano, caro Gonella, e i più fervidi auguri per te e i tuoi collaboratori. LUIGI STURZO 24 settembre 1952.

( I l Popolo, 28 settembre).

L'IRI E GLI ESPERTI DI STANFORD Da alcuni giorni circolano sui giornali dell'alta Italia articoli sull'IRI, con riferimenti al rapporto del gruppo di consulenza dello c( Stanford Research Institute I), incaricato dalla CISIM (per i profani: commissione indagini e studi sull'industria meccanica). Tale rapporto si trova pubblicato nel testo inglese e nella traduzione italiana in un volume dal titolo: Problemi economici ed industriali delle industrie meccaniche italiane e merita di essere letto e meditato anche dai capi politici


e tecnici di almeno otto ministeri, nonchè dai dirigenti dell'IRI, al quale è dedicata l'ultima parte. Era naturale che i tecnici di Stanford, nella inchiesta fatta e nelle relazioni relative, portassero una mentalità privatista; l a loro competenza in materia economica e finanziaria è indiscussa. Non è stato difficile per loro accorgersi quanto la struttura industriale italiana sia claudicante, non solo per la fatale eredità di un passato autarchico irreparabile e per gli effetti delle guerre e delle crisi relative, ma anche per l'indirizzo attuale di un interventismo statale costoso e antieconomico. È questo il cancro roditore della nostra economia, che l'on. Corbino giustamente presenta come assorbito i n gran parte dallo stato-Moloch che stiamo continuando a gonfiare giorno per giorno. Uno degli istituti statali ( o parastatali, a piacere) è proprio I'IRI. La conclusione degli esperti di Stanford è radicale e mira alla liquidazione di tale mastodontico complesso con il passaggio dei servizi di carattere pubblico in forma autonoma sotto la diretta dipendenza del ministero competente, e con il disinvestimento di tutte le aziende a carattere privatistico, particolarmente dell'industria meccanica. « Una più larga proprietà delle imprese distribuite su un numero di persone in continuo aumento stimolate nell'interesse del gran pubblico verso gli affari e l'industria, di conseguenza dovrebbe migliorare le relazioni fra direzioni e lavoratori (pag. 706). Per arrivare a questa drastica conclusione, il cammino è lungo, anzi lunghissimo, e per giunta minato dalla demagogia insinuatasi nel nostro parlamento e nei gruppi che lo compongono, formanti, è vero, una minoranza, ma tanto più potente quanto maggiore è la incompetenza di quelli che dovrebbero fronteggiarla. Ci sono anche dei pregiudizi ingiustificati insieme a delle preoccupazioni giustificate che formano il complesso psicologico di paure da parte del pubblico abituato all'interventismo statale, tanto più facile questo quanto più insistenti sono le richieste dei ceti interessati e degli speculatori dietro le quinte; mentre è sempre decrescente la resistenza a tale interventismo da parte dell'opinione pubblica e del contribuente. Dico ciò a ragion veduta: siamo alla vigilia di creare un


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altro I R I che si chiamerà E.N.I.; il disegno di legge è passato trionfalmente alla camera dei deputati; passerà di sicuro al senato: tutti batteranno le mani. Poi verrà il resto: altre fauci del Moloch, caro onorevole Corbino, si apriranno senza che vi si possa più recare rimedio. Infatti chi credezà in Italia che i suggerimenti degli esperti di Stanford avranno la minima attenzione? Mi ha fatto non poca meraviglia l'affermazione di Bruno Visentini che 1'IRI in certi settori industriali C( ha assunto una funzione definitiva e dirò istituzionale pur non avendo i n nessuno di essi il controllo sulla totalità della produzione nazionale del settore : siderurgia, navigazione, elettricità, telefoni, cantieri, trasmissioni radiofoniche ».Non sono riuscito a comprendere se questo carattere « istituzionale » sia d i ordine formale (decisione del governo) ovvero di ordine sostanziale (interesse pubblico), tanto nei settori suddetti quanto sulle altre branche accennate nello stesso articolo, per le quali il Visentini eccepisce la competenza governativa. Certo, avrei da fare una riserva riguardo la sostanza, come del resto la fa Mr Thomas H. Tudor relatore dello Stanford Research Institute; mentre circa la competenza non ho difficoltà a riconoscere che il governo ha da dire la sua parola e dare le sue direttive, perchè il vero proprietario delle azioni e partecipazioni dell'IRI è l o stato; I'IRI non è che l'organo funzionale dotato di determinate facoltà statutarie. Ma anche dove gli organi competenti potrebbero fare da sè, non mancano ministri e sottosegretari ad ingerirsi in cose non del proprio dicastero ora per ragioni politiche ora per ragioni sociali, ora per ragioni n& politiche nè sociali. Ciò non è stato rilevato chiaramente dagli esperti di Stanford, i quali hanno avuto motivo di scrivere: La larghezza con cui i fondi dello stato sono stati impiegati (dall'IRI) a scopi improduttivi ha significato una perdita irreparabile per il benessere nazionale del paese » (pag. 685). Sono io che sottolineo parole così gravi degne di essere meditate. E altrove: « Si dà atto che la direzione dell'IRI ha dovuto spesso conciliare punti di vista contrastanti espressi dai rappresentanti dello stato. La mancanza d i una guida continua ben sostenuta verso specifici obiettivi h a d i frequente investito 1'IRI di un grado di autorità che avrebbe

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dovuto appartenere a più alte gerarchie. Sono stati compiuti errori e 1'IRI ed il governo devono parimenti sopportare il biasimo Una definizione degli scopi essenziali dell'istituto, unitamente ad istruzioni su5cienti per consentirne la attuazione, avrebbero evitato molte azioni erronee » (pag. 698). Sono io che sottolineo: il latino è chiaro, anche se la traduzione sia stata fatta troppo letteralmente. -Uno dei punti nei quali il relatore americano insiste è nella sleale concorrenza che I'IRI fa alla industria privata, sia vendendo sottocosto (naturalmente c'è chi paga l e perdite) sia producendo in condizioni di favore (naturalmente c'è chi fornisce il denaro a condizioni privilegiate). Non manca il rilievo dei controllati controllori (cosa che h a dato soddisfazione alla mia diuturna campagna): si tratta della organizzazione delle gerarchie dirigenti, al punto che « l e stesse persone che sottomettono le proprie decisioni all'istituto le approvano in sede dell'IRI stesso... Le stesse persone sono responsabili della richiesta e della approvazione relativa)) (pag. 688). Non avviene lo stesso nei ministeri? e nel parlamento? Conclusione: u 11 risultato ( d i questo e di altri inconvenienti organizzativi) è che i dirigenti aziendali non hanno mai conosciuto l'estensione delle proprie responsabilità ». Ed io aggiungo che neppure i membri statali dei consigli di amministrazione e quelli statali dei collegi dei sindaci del complesso I R I hanno mai avuto nè conoscenza nè senso delle proprie responsabilità. La conclusione degli esperti di Stanford è che I'IRI va smobilitato, mentre l'opinione « italiana del 1952 » è che I'IRI va conservato, finanziato, inflazionato e con questo tutti gli altri enti statali, parastatali, pseudo-statali, che monopolizzano a nome dello stato gran parte delle attività industriali italiane, invadendo anche i settori dell'agricoltura e dei commerci. In questi giorni si è parlato da ministri responsabili a favore della industria privata. Io distinguo la industria privata monopolista che deve essere anch'essa messa in condizione di concorrenza (accenno alla elettrica e parlerò altra volta della finelettrica); l'industria parassita dello stato che deve essere purificata o soppressa; la industria normale che sopporta da sè le

...


fasi della concorrenza, delle contingenze e delle crisi e vive di vita propria ; questa deve essere incoraggiata ed allargata. Perciò conchiudo con le parole della relazione stanfordiana che con la sana riorganizzazione industriale e il disinvestimento dell'IRI (ed io aggiungo, degli altri enti consimili) « le condizioni dello stato ritorneranno al ruolo tradizionalmente accettato in una libera forma di governo democratico. Non più proprietario di imprese e controllore dei destini economici, lo stato diverrà guida, arbitro (inglese arbitrator: da arbitrato non da arbitrio), legislatore dell'iniziativa individuale. I1 suo primo (principale) scopo sarà di provvedere condizioni appropriate per lo sviluppo di una libera economia anzichè perseguire obiettivi frequentemente confusi con scopi politici » (pag. 706). 19 ottobre 1952.

(La Stampa, 23 ottobre).

LETTERA AL TERZO CONGRESSO DI DIRITTO AGRARIO Ill.mo presidente, Mi onoro inviare al congresso di diritto agrario, che avrà luogo a Palermo dal 19 al 23 di questo mese, l'adesione dell'istituto « Luigi Sturzo D, delegando la rappresentanza al prof. Fulvio Maroi, membro d i questo consiglio di amministrazione. L'istituto h a lo scopo di « promuovere e incoraggiare in Italia e all'estero gli studi nel campo delle discipline morali, con particolare riguardo alla sociologia n. Pertanto non può essere assente i n un congresso che, pur mantenendosi nell'ambito del diritto, tratta una disciplina - quella dei rapporti giuridici nel campo dell'agricoltura - che affonda le radici nei rapporti economico-sociali della più antica e più larga branca delle attività umane. Il valore degli usi locali in materia di diritto agrario si confonde con quello dei costumi e delle tradizioni dei popoli, nati


come sono dall'influsso delle condizioni geo-fisiche e dell'ambientazione ecologica, dalle sovrapposizioni dei popoli vincitori sui vinti, dalle formazioni delle classi soggette e asservite, e dalle rivolte a fondo economico e per supremazie politiche. I1 possesso della terra è stato per millenni l'elemento principale del diritto politico, al punto da dare al titolo politico il carattere di diritto privato; ma sviluppando anche il possesso comunitario come un elemento antitetico al diritto del principe. D'altro lato, il possesso privato del singolo o della famiglia, libero da soggezioni e servitù, ha costituito per secoli la base della libertà politica nella sua evoluzione, lenta o turbolenta secondo i casi, verso le forme più moderne di diritto, distinguendo e precisando i limiti del diritto privato da quello pubblico. L'individualismo del secolo scorso fece cadere le scorie e i residui della servitù delIa gleba, attardatasi i n certi paesi europei; ma non potè sollevare allo stesso tempo la condizione depressa del bracciantato agricolo lasciato alla mercè della domanda e dell'offerta, fino a che nuove concezioni sociali hanno formato il substrato di un diritto più equo e più aderente alla condizione umana. Non sempre ragione economica, ragione sociale e ragione giuridica sono andate a braccetto, formando una sintesi razionale e progressiva allo stesso tempo. Lo sforzo adeguativo è lento e tormentato. Congressi come questo, sono vere tappe d i u n cammino difficile e pur necessario. I1 diritto consacra e regola il fatto; il fatto crea i presupposti del diritto. La realtà di questo processo storico è colta dalla sociologia. Perciò l'istituto che rappreseoto, al quale gli amici han voluto mettere il mio nome come modesto cultore d i sociologia ( i n Italia un po' dimenticata e bistrattata), è presente a Palermo, per poter utilizzare a scopo di studio sociologico, le relazioni e le discussioni d i questa accolta di giuristi e d i studiosi di materie agrarie, convenuti da ogni parte d'Italia per un congresso di primaria attualità e importanza. Accolga, illustre presidente, insieme ai congressisti, i miei


omaggi distinti e l'augurio di una nuova affermazione, in terra siciliana, di alta cultura italiana. dev.mo LUIGI STURZO 16 ottobre 1952. ( I l Popolo, 21 ottobre).

TORNANO I « CASUALI » IN PARLAMENTO Si tratta dei cosidetti « diritti casuali », che di casualità hanno oramai poco o nulla; tornano in parlamento perchè la legge del 19 luglio 1951, ratificatrice e modificatrice dei famosi decreti del 1947 e 1948, ha un termine fisso: il 31 dicembre 1952. Naturalmente se ne richiede la proroga, non ostante il perentorio cessano di avere vigore messo in coda a quella disgraziata legge, approvata dalle commissioni parlamentari dei due rami in sede legislativa, cioè a porte chiuse. Per chi non lo sappia o non se ne ricordi, i diritti casuali dovrebbero essere quelli che il personale addetto agli uffici finanziari del posto riscuote per servizi fatti al cittadino richiedente copie, certificati o visioni di documenti di interesse privato. Nel fatto, tali diritti sono stati trasformati in veri contributi, allo scopo di creare un fondo comune da distribuirsi al personale centrale e periferico dei ministeri della fin-anza, del tesoro (ragioneria compresa) e della corte dei conti (eccetto i magistrati). Tanto ciò è vero, che il tesoro ha negato al personale così favorito le indennità che ricevono tutti gli altri impiegati, ritenendole conglobate nella partecipazione al fondo dei diritti casuali, che supera di parecchio le stesse indennità. La questione fu portata al consiglio di stato che annullò il decreto ministeriale relativo. I1 ministro, da parte sua, interpretando essere stato tale annullamento causato da ragioni formali, ne ha emanato un secondo, contro il quale è probabile che gli interessati anvanzino un secondo ricorso.


I1 contegno del tesoro e degli impiegati è contraddittorio per ambo le parti. Se i diritti casuali sono calcolabili agli effetti dello stipendio, com'è possibile che siano gestiti in forma privatistica, senza essere versati nella cassa dello stato, senza essere previsti nel bilancio, senza essere portati nei resoconti annuali, senza che ne sappia. nulla il parlamento? E se, invece, non sono calcolabili a tali effetti, e sono di natura privata dovuti a rapporti fra cittadino che richiede e impiegato che presta un servizio-extra, come è possibile che a questo emolumento partecipino tutti gli altri impiegati della finanza, del tesoro e della corte dei conti? Insomma: i casuali veri erano ai bei tempi di carattere privatistico e rimontavano a sistemi in gran parte superati. Quelli di oggi sono vere e proprie tasse di scopo, create e combinate perché gravino su quei cittadini che hanno la necessità di avvicinare gli uffici della finanza e del tesoro. Chi scrive ebbe l'onore di essere relatore presso l'alta corte per la regione siciliana di un ricorso contro l'applicabilità, per i mandati della regione, della ritenuta del 4 per mille a favore del personale della ragioneria e della corte dei conti. Ebbe così l'occasione di esaminare la natura dei diritti casuali, e da tutto il complesso legislativo fu chiaro ( e poi ammesso dal collegio nella stesura della sentenza) trattarsi di complesso tributario al punto da applicare la ritenuta del 4 per mille a tutti i pagamenti effettuati anche per quei mandati derivanti da rapporti giuridici sorti prima della entrata in vigore della suddetta legge del 17 luglio 1951. C'è altro: i casuali sono distribuiti fra tutte le categorie degli impiegati locali e centrali dei suddetti ministeri, comprese le gerarchie dei dirigenti, « con la esclusione di coloro che fruiscono del trattamento economico dei magistrati o d i particolari compensi o benefici economici, nonchè il coniuge, il genitore, il figlio celibe o nubile convivente, quando uno della famiglia è ammesso alla ripartizione ed esclusi coloro per i quali ricorrano motivi di demerito » (art. 16 e 25 del D.L. 20 gennaio 1948). È stato pertanto congegnato un sistema di tasse vere e proprie fatte passare per diritti casuali. I1 cittadino che va a esigere u n mandato non riceve un servizio privato, esercita il diritto di


credito verso lo stato. La ritenuta a favore dell'impiegato che emette il mandato, di quello che lo controlla, di quello che lo registra, di quello che lo paga, non è un compenso per servizio privato o casuale, ma per un servizio ~ u b b l i c oe normale ; l a ritenuta del 4 per mille sarà una tassa che si riverserà sull'economia generale, ma per il momento graverà sopra un determinato cittadino con violazione del mio diritto all'eguaglianza civica e contributiva. I1 cittadino che riceve merce o doni dall'estero è soggetto alla dogana; ma non può essere obbligato a pagare (sia che passi merci gravate, sia merci non gravate) u n compenso personale al doganiere che visita i bagagli o verifica le merci, trattandosi di servizio pubblico nell'interesse dello stato, e non mai di servizio privato nell'interesse del richiedente. Anche la misura dei diritti casuali, quelli veramente tali, è alterata per poterne fare beneficiare tutti gli impiegati dei ministeri finanziari. Così si arriva a creare un fondo la cui entità è tenuta segreta, le cui misure di compensi alle varie categorie e ai diversi gradi sono tenute segrete. Ma dal complesso imponente di compensi, ne deriva la convinzione del carattere impositivo tributario fatto gravare su un certo numero di cittadini, con esclusione del maggior numero di contribuenti, sproporzionatamente agli stessi servizi particolari, e per giunta per servizi di carattere pubblico per i quali non è lecito imporre compensi. Conclusione: 1) ritornare all'antico dei diritti casuali in equa misura, per servizi di carattere privatistico; 2) corrispondere a tutto i1 personale della finanza, del tesoro e della corte dei conti l e indennità oggi assorbite nei casuali, alla pari di tutti gli impiegati statali. Se poi i ministri del bilancio, del tesoro e delle finanze riconoscono che ai loro impiegati sia opportuno elargire u n compenso speciale a differenza del personale degli altri ministeri, lo facciano con una legge chiara, netta e precisa, dandovi regolare copertura ai sensi dell'art. 81 della costituzione, senza insistere più nel sistema che va a scadere col 31 dicembre prossimo, sistema costituzionalmente illegittimo, finanziariamente e amministrativamente scorretto. 28 ottobre 1952.

(L'ltalio, 31 ottobre).


ORIENTAMENTI CENTRISTI DELLE ELEZIONI (*) Parlo di elezioni politiche libere, non di quelle che non siano politicamente e moralmente libere. Sembrerà inesatto, ma esaminando in questo mezzo secolo l e elezioni nei paesi liberi nell'Europa, e negli Stati Uniti e nei Dominii di lingua inglese, l a risultante che ne è prevalsa è stata quasi sempre, da destra o d a sinistra, una correzione verso il centro. Questo movimento è normale nei paesi anglosassoni dove esiste il gioco dei due grandi partiti, nel caso che uno succeda all'altro, perchè i l partito vincente mentre rifiuta parte della politica dell'avversario, ne accoglie quell'altra che si è inserita nel paese per forza di eventi o per graduale evoluzione dell'opinione pubblica. Nei paesi a sistema elettorale proporzionalista e divisi i n vari partiti a contenuto ideologico, i movimenti correttivi sono meno sensibili ovvero si elidono per l a insita contraddittorietà delle posizioni, ma l'individualismo, che produce il frazionamento dei partiti, produce anche il disinteressamento dell'appartenenza ad un partito, l a tendenza a dare colore politico ai sindacati, alle confederazioni, ai movimenti culturali e religiosi. L'effetto, anche se sia meno chiaro, è in fondo lo stesso; una correzione centrista che il corpo elettorale reca alla politica d i un paese. I motivi psicologici che prevalgono nell'oscuro delle COscienze verso una contemperanza centrista sono diversi; ciascun individuo h a i suoi, ciascuna categoria i suoi, ciascuna regione i suoi. L'impressione esterna ci mette in rilievo l a voce di interessi economici, d i egoismi di classe, particolarismi d i campanile o di provincia, minimizzando il gioco di idee e di interessi nazionali nel rapporto personale di simpatie e d i antipatie; ma in fondo sono gli istinti di conservazione e quelli d i rivolta che spingono alla ricerca di una soluzione o di una pausa, conducendo verso l'orientamento centrista della vita. (*) Pubblicato col titolo

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Oscillazioni elettorali

D.


Sento una voce che mi dice: non è cosi; nelle elezioni si scatenano le passioni di parte intrecciate con i sentimenti e i 'risentimenti personali; in quel periodo l'elettore sente di valere qualche cosa nella vita politica, fatta di personalismi e di fanatismi; l'espressione collettiva non va al centro, va ai due eccessi di destra o sinistra. Anche in fisica abbiamo le apparenze che ci mostrano il contrasto degli elementi mentre operano le forze catalizzatrici che determinano le soluzioni naturali. Gli uomini operano in libertà; gli elementi operano in indifferenza; ma le conclusioni creatrici ( e non distruttrici) dànno il segno della vita (sia pure specificamente diversa) che è nella natura e che ne informa il dinamismo. Ci sono in politica le reazioni violente e le volontà distruttrici di un passato che si nega: sono le guerre e le rivoluzioni. I n questo secolo solamente abbiamo avuto due guerre mondiali: 1914 e 1939; naturalmente sono entrati in tale gorgo gli stessi vincitori della prima e della seconda guerra mondiale. E se la vita ha prevalso sulla morte, per gli uni e per gli altri, la prima e la seconda volta, ciò è dipeso dalle forze insite alla natura umana e cosmica, che ha unito insieme nello slancio vitale tanto il vincitore che il vinto. Oggi è lo stesso che ieri e cosi sarà domani. Questo esito è proprio dovuto all'orientamento correttivo delle volontà distruggitrici, che portando la guerra fino all'esasperazione dell'annientamento, hanno dovuto cedere il campo alla catalizzazione costruttiva, che è e non può essere che conciliatrice e centrista. Le rivoluzioni perdono più difficilmente gli estremismi ideologici e pratici che le hanno fatto scatenare e le hanno alimentate; è perciò che le rivoluzioni portano alla dittatura e la dittatura alla guerra. Così la rivoluzione francese; cosi la rivoluzione russa; così la rivoluzione hitleriana; così anche la piccola rivoluzione mussoliniana. Le elezioni politiche, se libere, non portano alla rivoluzione nè alla guerra; correggono gli estremismi di destra o di sinistra verso temperamenti di centro, contengono in sè i germi di catalizzazione politica dopo le giornate, mesi anche, di lotta e di passionalità.


I1 costume americano che induce il vinto a salutare il vincitore e porgergli la mano, come in una gara sportiva o in un contraddittorio oratorio, dà subito la prova della cessazione passionale della lotta e della sicurezza, presto o tardi, del proprio avvenire. L'inizio del centrismo è tutto là, anche quando gli uomini eletti siano impari a realizzarlo e restino nella morsa della macchina del partito e degli interessi che esso rappresenta. Si discute se i l neo-presidente americano sarà legato alla politica dei capi repubblicani, Taft il primo, ovvero farà una sua politica personale. Lo vedremo: ma il voto elettorale non è stato per Taft, è stato per Eisenhower ; l a vittoria repubblicana è stata una vittoria centrista, non una vittoria della destra. Niente isolazionismo ; coordinazione economica e militare con l'Europa ; valorizzazione dell'ONU; iniziative di pace in Corea senza debolezze nè rinuncie; abolizione della legge antisindacale, moralizzazione amministrativa, comprensione del problema delle razze nel sud; tutto ciò è acquisito nella volontà popolare e dipende dall'abilità del presidente Eisenhower e dei suoi collaboratori a darvi corpo. Anche se l e difficoltà che si frapporranno saranno insormontabili o gli uomini impari, rimane la volontà popolare nel SUO valore effettuale e indelebile, e potrà riorientare il pubblico nelle elezioni parziali del prossimo biennio. Pertanto, il vantaggio morale e politico delle elezioni libere resta acquisito nel paese. Sarà così in Italia nelle prossime elezioni del 1953? la domanda merita una risposta, tanto più che l'antivigilia elettorale si mostra fin oggi poco promettente. Dobbiamo convenire che l a rinascita italiana è stata improntata allo sforzo di superare l e crisi portate dalla caduta del regime, dall'occupazione straniera, dalla frattura nord-sud e dalla firma del trattato di pace. È significativo il fatto che dalla cessazione della guerra alla normalizzazione costituzionale, con un governo di centro siano bastati solo quattro anni (1944-'48), senza gravi scosse e con processo normale, passando dal provvisorio « ciellenismo » alla coalizione tripartitica, da questa alla concentrazione democratica, verso una prima formazione parlamentare con relativa chiarificazione d i partiti e di responsabilità. Ciò è servito a render chiara la nostra politica estera, portando all'entrata dell'Italia


nel patto atlantico, ed alla partecipazione all'Europa che sta nascendo. Nel quinquennio che va a scadere è mancata alla camera e al senato una minoranza che potrebbe presentarsi come alternativa del partito democratico cristiano; non potendo essere considerato tale il partito comunista perchè l'avvento del comunismo significherebbe, nell'opinione comune e nella esperienza di paesi come la Cecoslovacchia, la Polonia e l'Ungheria, la fine delle libertà politiche e l'instaurazione di una dittatura bolscevica. L'alternativa potrebbe venire i n futuro o dai partiti di destra: monarchico o missino; ovvero dalla unione dei partiti minori, se usciranno rafforzati dalle urne. Se queste due possibilità verranno meno, il dinamismo centralizzatore rimarrà dentro la coalizione centrista, con raggio limitato, con forze contrastanti che si neutralizzeranno sia nel seno della stessa democrazia cristiana (correnti sindacaliste e sinistroidi da un lato; correnti liberaleggianti, monarchiche o clericali dall'altro); sia nel contrasto di orientamenti fra i partiti minori e di questi con il partito maggiore. Purtroppo, volere costringere a priori la maggioranza della futura camera ad una coalizione preventiva e difficile a realizzarsi, toglie slancio alla virtù catalizzatrice delle forze sane del paese; e non presenta soluzioni facili ai problemi attuali, specie nel campo dell'economia libera di fronte all'interventismo statale e parastatale; i n quello dell'amministrazione organica ed efficiente di fronte all'esagerata burocratizzazione e all'incombente funzionarismo; della moralizzazione di tutti i rami della vita pubblica di fronte al decadimento del costume; del rafforzamento degli istituti ~ a r l a m e n t a r ie governativi di fronte all'indebolimento dello stato minato dai movimenti particolaristici di enti, di categorie e di sindacati. Ebbene, quali che siano le attuali condizioni politiche, le elezioni generali avranno sempre una funzione chiaritiva e faranno punto per i partiti e per il paese. 10 novembre 1952.

( L a Stampa, 14 novembre).


STATO DEMOCRATICO E STATALISMO

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Fra un congresso di studiosi e un congresso politico passa la differenza che nel primo si dice: deve farsi o la regola è questa; in quello politico si dice: dobbiamo fare ovvero faremo. Per questo motivo i l congresso della democrazia cristiana, che ha la maggiore responsabilità dello stato democratico e del bene dell'Italia, è atteso con notevole interesse, proprio per conoscere quel che sarà deciso di pratico riguardo il riordinamento e iì rafforzamento dello stato. I1 tema sarà trattato sotto gli aspetti dell'economia, dell'amministrazione e della sicurezza sociale, per arrivare a precisare quei punti programmatici che rispondano alle più urgenti esigenze dell'ora, nella speranza di realizzarli nei cinque anni del nuovo periodo legislativo. Nei nove anni della ricostruzione e del consolidamento si è avuta l'impressione che lo stato democratico sia stato soverchiato da un incombente statalismo. Ma bisogna tener presente gli effetti della crisi bellica tormentosa e fatale e della crisi del regime che aveva esasperato lo statalismo fino alla dittatura. P e r i problemi di assestamento l'intervento statale è stato spesso invocato da tutti i partiti come l'unico o quasi unico mezzo di consolidamento politico e di sviluppo economico. Lo statalismo potrebbe essere guardato, nel caso attuale, come fenomeno secondario, transeunte, quale contropartita di un necessario interventismo nella carenza di altre forze sociali importanti e fattive. A tale benevola interpretazione fa contrasto il fatto che i semi dello statalismo sono stati diffusi in Italia da oltre mezzo secolo e si sono sviluppati in tutti gli ordinamenti amministrativi e politici, nei codici e perfino nell'orientamento generale del paese come una gramigna mentale e sentimentale. Il socialismo di stato dei primi del novecento sembrò il toccasana ai mali sociali del tempo, come nel recente dopo guerra è stato per molti il bolscevismo comunista. E se questo non avesse ricattato i l vecchio anticlericalismo dei laicisti e dei radicali di un tempo, avrebbe conquistato gran parte del ceto medio.


I n questo clima, la confusione fra stato democratico e statalismo è un f i t t o ; il ricorso allo stato quale unico fornitore di denaro e distributore della ricchezza è la più facile e fallace soluzione a tutti i problemi. Siamo di fronte ad una inerzia mentale più dannosa dell'inerzia muscolare. Un tempo i cattolici si opposero energicamente alla statizzazione della beneficenza, della scuola, della educazione giovanile fisica e morale, dell'interventismo statale nei comuni, nelle provincie, nelle opere pie. Grandi battaglie teoriche e pratiche oggi dimenticate del tutto di fronte all'attuale manomissione statale. Al contrario, si domandano allo stato favori giuridici ed economici che assiderano e sterilizzano la iniziativa privata. Per orientamento, convenienza, abitudine, tutti invocano lo stato, e lo incitano a istituire nuovi enti, ai quali lo stato passa i suoi diritti e privilegi, creando strani monopoli, come quelli dati all'ente per i ciechi, all'ente dei mutilati e ora forse ad un nuovo ente per i sordomuti. Ritornato in Italia mi sembrò uno scandalo aver trovato nel codice civile un articolo, il 25, dove è affermato che «l'autorità governativa esercita il controllo e la vigilanza sull'amministrazione delle fondazioni », con quel che segue. Siffatta soverchieria statalista, inserita nel codice dai fascisti, non ha ancora trovato opportuna correzione. Nel campo economico possiamo affermare che nessun altro paese libero abbia creato tanti vincolismi alla iniziativa privata come l'Italia; e per controbilanciare, in nessun paese libero la formazione monopolista, sia privata che pubblica, e il relativo parassitismo che ne deriva, sia così sviluppata come in Italia. L'errore dell'economia a mezzadria pubblico-privata porta a simili conseguenze-; il controllo dello stato o la sua partecipazione attiva nella economia si estende e si generalizza, dando luogo per ripercussione ai comodi compromessi a danno del consumatore o del contribuente. Abbiamo in Italia una triste eredità del passato prossimo, e anche in parte del passato remoto, che è finita per essere catena al piede della nostra economia, lo statalismo economico inintelligente e sciupone, assediato da parassiti furbi e intraprendenti, e applaudito da quei sindacalisti senza criterio, che credono che


il tesoro dello stato sia come la botte di S. Gerlando dove il vino non finiva mai. Ho letto più volte essere un errore, nel procedere a riforme sociali, preoccuparsi delle leggi economiche delle quali si arriva a negare la validità e l'importanza. Tale semplicismo non regge non solo all'esperienza, ma neppure a una sana concezione sociologica. L'agire dell'uomo è sempre condizionato sia dalla realtà fisica interna ed esterna, sia dal processo storico consolidatosi nell'ambiente in cui vive. Anzi, il primo condizionamento è dato dal proprio corpo. I1 condizionamento serve all'uomo di spinta e di freno. Eccita il dinamismo realizzatore, lo gradua e lo regola. L'uomo è libero e creativo; egli per la stessa sua libertà crea a se stesso ulteriore condizionamento fisico, storico, sociale. Per questo nulla è completo e perfetto nella vita presente, tutto da completarsi e perfezionarsi; nulla dura e tutto si trasforma. Ogni novità pone problemi di trasformazione e di rifacimento. Le utopie divenendo realtà postulano per l'insita concretizzazione correzioni, rifacimenti, trasformazioni successive. Se così non fosse, l'uomo sarebbe impotente, fermo nella sua miseria i n mezzo alle ricchezze della natura. I realizzatori sociali dovrebbero essere essi i primi ad esigere il rispetto delle leggi economiche ; essi ad impedire l'inflazione monetaria ; essi ad imporre la proporzionalità dei costi al livello internazionale; ad opporsi al protezionismo fittizio e sterile ad impedire il moltiplicarsi di enti parassiti della pubblica finanza ; ad ostacolare l'estendersi del sistema dei controllati-controllori, del cumulo degli incarichi e degli stipendi; ad opporsi allo sperpero del denaro pubblico, dei blocchi che paralizzano la rapidità della circolazione, condizione questa di sviluppo della produttività e dei servizi, e mezzo idoneo a combattere la disoccupazione. Invoca lo stato come regolatore della vita economica di un paese, chi non comprende che gli effetti principali saranno la burocratizzazione della economia e relativa paralisi funzionale e una sempre crescente diminuzione di libertà anche nel campo politico, le cui forme normali elettorali, parlamentari e governative verrebbero svuotate di contenuto e d i responsabilità. Di questo passo si va diritti alla bolscevizzazione del paese,


con l'idea di togliere alla vita economica, anzi a tutta la vita, il senso del rischio nel volere trasferire tutti i rischi, attraverso lo stato, sulla intiera comunità. Con quanta facilità oggi lo stato interviene negli affari dei privati e degli enti dando la propria garanzia come avallante d i mutui per centinaia di miliardi? Quanta più garanzia si dà, tanto più diminuisce nei gestori il senso del rischio. Così stiamo abbandonando poco a poco l'economia di mercato, che resta e5ciente nel campo dei piccoli affari del ceto commerciante, industriale e artigiano, ma non più nel campo dei grandi affari e delle grandi aziende che sanno a priori d i non poter fallire. Questo è un metodo disastroso; ma, purtroppo, non c'è azienda che vada a male, e non si invochi, anche da deputati e senatori di qualsiasi colore, l'intervento di stato, come si è fatto per le aziende finanziate dal FIM. Gli effetti di tale interventismo statale sono deleteri per la creazione di una sana economia, per le possibili trasformazioni economiche atte a far diminuire la disoccupazione e quindi a creare uno stato d i maggiore sicurezza sociale in tutti i ceti. Non è prevedibile che il congresso democristiano miri indiscriminatamente ad accentuare l'interventismo statale dopo le affermazioni fatte da De Gasperi, Campilli e Gonella a favore della libera iniziativa. Ma a corroborare tale indirizzo deve esserci il proposito di liquidare gli enti statali e parastatali superflui, ingombranti, deficitari e parassitari, e limitare la nuova creazione a quelli strettamente necessari e finanziariamente autonomi. Altro provvedimento che il paese attende è la eliminazione dei parlamentari e dei funzionari statali da ogni partecipazione all'amministrazione degli enti pubblici e semipubblici; la riforma della ragioneria generale e della corte dei conti riguardo il controllo amministrativo e contabile di tali enti. Concludendo: i temi dello stato in rapporto alla economia, all'amministrazione e alla sicurezza sociale sono per sè interessantissimi, e costituiscono nella loro soluzione premesse pratiche attese da tutti per il prossimo quinquennio legislativo e gover-


nativo, a condizione che si corregga lo statalismo che già esiste e si eviti quello che già si prospetta. 17 novembre 1952.

( I l Giornale d'Italia, 20 novembre).

LETTERA AL IV CONGRESSO DELLA D.C. Caro Gonella, Ho molto gradito il tuo invito a presenziare il I V congresso democratico cristiano; ma tu stesso, insieme agli amici, ti renderai conto della impossibilità ch'io affronti tanta fatica ed emozione. Sarò presente in ispirito; pregherò per il successo del congresso, per i dirigenti e i rappresentanti che vi parteciperanno; son sicuro che la benedizione di Dio non mancherà quando non manca la rettitudine di mente, la purezza di cuore e la volontà d i servire la causa del bene. Sono stato particolarmente toccato dalla proposta della visita di una delegazione del congresso per il mio 81". La gioventù che si ricorda dei vecchi e li onora, dimostra di saper apprezzare la tradizione e la solidarietà del presente con il passato. E del passato democratico cristiano dal 1895 ad oggi sono ancora testimonio vivente, mentre mi sento legato allo spirito dei nostri precursori, da Gioacchino Ventura in poi, il cui nome è anch'esso un legame con i pionieri francesi Ozanam e Lacordaire. A questa democrazia cristiana che dopo un secolo è arrivata a tenere la direttiva politica dei paesi liberi del continente europeo affermandone e sostenendone la necessità federativa, auguro che mai invecchi, mai declini, mai ceda; ma resti sempre viva, perchè sempre vivi sono gli ideali democratici e i principi cristiani. Saluti affettuosi LUIGI STURZO 19 novembre 1952.

(Il Popolo, 23 novembre).


LUNGO MONOLOGO SULLO STATALISMO Ai tempi della mia prima giovinezza gli unici a parlare e scrivere contro lo statalismo del periodo liberale erano i cattolici; i quali, non partecipando allora alla vita politica del paese, avevano quasi sempre un ruolo negativo. Alcuni negavano ancora il risorgimento e l'unità sotto il segno della questione romana; altri accettavano l'unificazione della nazione, ma negavano i principi d i libertà; i più, aderendo al sistema costituzionale e allo spirito nazionale, combattevano l'ingerenza statale che dal campo ecclesiastico giurisdizionalista si era esteso a quello della scuola, della beneficenza, e delle amministrazioni locali. A questo terzo gruppo sentivo di appartenere, con l'aggiunta che più che protestare volevo agire; scelsi pertanto il terreno della pubblica amministrazione e della scuola, come campi d i battaglia non negati ai cattolici. Allora il mio non fu un monologo, fu un dialogo, vivace anche, con i cattolici nei loro congressi e con liberali e socialisti sia nell'associazione dei comuni italiani, sia nei pubblici contraddittori; più tardi in seno al partito popolare creato con chiara impronta di libertà, autonomia e decentramento. Venuto il fascismo il dialogo si trasmutò in monologo ; scrissi e pubblicai articoli su articoli, tenni discorsi e conferenze: risposta: l'ingiuria, la minaccia fino a che presi la via dell'esilio. Anche lontano continuai a scrivere e a parlare; ma la mia parola non arrivò in Italia che come un'eco lontana, mentre si ripeteva ad ogni piè sospinto: « tutto nello stato e per lo stato; nulla sopra o fuori o contro lo stato n. I miei amici che all'interno prima resistettero e poi furono costretti ad appartarsi, poterono in quegli anni rielaborare la teoria della personalità umana, su cui è basata la socialità, rendendosi conto quotidiano dell'aberrazione statalista. Finita la guerra, al primo clima di reazione al fascismo successe il rapido e sospetto ingrandirsi del comunismo che gi.à aveva preso posizione nel governo e nella costituente. Caduto il fascismo, fu il comunismo a prendere posizione

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- STERZO - Politica

d i questi anni.


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statalista per il fatto che partecipando al potere e divenuto partito forte, attraverso la macchina governativa aspirava a divenire il padrone d'Italia. Fu merito della D.C. averlo sbancato dal governo senza scosse pubbliche, e aver vinto la battaglia del 1948. Ma le nuove reclute travasatesi dal fascismo nella democrazia cristiana avevano portato con sè il virus statalista. Le circostanze della guerra e del dopo-guerra, la caduta dell'impalcatura economica e amministrativa del paese, la necessità e l'urgenza di provvedimento, portarono ad un massimo intervento statale. E mentre si esaltavano i principi della libertà, dell'autonomia istituzionale, del decentramento amministrativo, nel campo pratico si era obbligati a operare in senso unico accentratore e statale, perchè la strumentalità burocratica e la mentalità erano orientate quasi esclusivamente verso lo stato. I1 mio monologo di Londra e New York, ripreso a Roma verso la fine del 1946, è continuato fino ad oggi; monologo critico, a volte amaro, circa gli enti statali e parastatali, la burocrazia invadente, il cumulo delle cariche, le incompatibilità parlamentari, i monopoli, le nuove manomorte, l'alto costo del denaro e così di seguito. Ora l'interruzione è awenuta, proprio al congresso della D.C. quando l'amico De Gasperi, riferendosi al mio articolo: Stato democratico e statalismo, nell'avvertire gli amici di studiare i problemi con statistiche e con dati, aggiunge: Così anche la polemica pro o contro l'intervento dello stato. Il nostro amico don Sturzo è recisamente contro lo statalismo. Egli se la prende anche con la statizzazione del petrolio ». Lascio da parte « l a statizzazione del petrolio D ; ne riparlerò al momento opportuno. Si può essere contro lo statalismo e ammettere la statizzazione di qualche servizio; come si può essere statalista e ammettere la privatizzazione di quclche servizio. Avrei, perciò, apprezzato una dichiarazione dello stesso De Gasperi o d i altri contraria allo statalismo, pur ammettendo l e possibilità di particolari statizzazioni. Purtroppo, i cattolici della tradizione pre-fascista tollerano lo statalismo come un male del quale non si possa fare a meno ; gli altri, quelli venuti su i n clima fascista, (nonostante la triste esperienza sofferta) mostrano di credere nello stato come lo strumento adatto a trasformare l'economia privata in economia detta sociaIe, com-

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binando, certo in buona fede, lo statalismo con il rispetto della personalità umana e senza rendersi conto dello svuotamento che ne verrebbe della libertà e dell'autonomia e della stessa personalità individuale. Come si giustificano i monopoli che lo stato dà ad enti, quali l'opera dei combattenti, l'ente dei mutilati, quello dell'educazione dei ciechi, fra poco forse l'ente per la educazione dei sordomuti e così di seguito, compresi gli enti cinematografici, teatrali e sportivi? Ci sono stati perfino enti privati statizzati per legge, come se si facesse ad essi un favore insigne, privandoli della loro autonomia. Cito questi esempi che sono al di fuori della pura economia (come i l petrolio) per richiamare a mente quale lotta fu fatta dai cattolici, italiani contro la statizzazione delle scuole elementari, fino all'ultimo atto d'impero perpetrato dai fascisti, contro le scuole dei grandi comuni. Quando Crispi con la legge 17 luglio 1890 concentrò l e opere pie di beneficenza e le pose sotto la diretta sorveglianza dello stato, i cattolici italiani si levarono in piedi come un sol uomo; e chi scrive, diciannovenne, fece la sua prima battaglia antistatalista. Oggi si può tollerare l'art. 25 del codice civile che mette tutte le fondazioni libere e private sotto la vigilanza e il controllo dello stato, che può arrivare a scioglierne le amministrazioni, mandare commissari e modificare statuti. Quale interesse han mostrato i cattolici a rivendicare in Italia quella libertà che su questo punto esiste in tutti gli stati civili? Perfino la scuola materna è insidiata, e si vuole farla passare sotto l'ingerenza diretta dello stato; attendo di vedere quale sarà la reazione degli amici democratici cristiani. Lo statalismo economico è venuto per ultimo, ma non è meno pericoloso. Non ho mai negato l'intervento dello stato in difesa dei diritti del lavoro; tale intervento fu dichiarato un dovere dalla Rerum Novarum. Ma Leone X I I I insistette sui principi della libertà dei sindacati, del rispetto della proprietà insieme alla funzione sociale di essa; sulla collaborazione fra l e classi; è bene non dimenticare questi punti, prima di arrivare a volere atlSdare allo stato, direttamente o attraverso i suoi enti (che superano il migliaio), economia e interessi sociali.


Nel mio articolo: « Stato democratico e statalismo » precisai in che senso possa parlarsi di leggi economiche, che fanno parte del necessario condizionamento di tutta l'attività umana. La quale è pertanto dotata di un dinamismo interiore e di forza creativa da potere trasformare l'economia dell'oggi come ha trasformato nei secoli le economie del passato, Ma guai che un uomo, un gruppo di uomini, pensino di modificare il mondo con la bacchetta magica del potere statale, credendosi onnipotenti, mentre dovrebbero sentirsi umili cooperatori delle forze sociali nel loro progressivo sviluppo. La storia ci dice quante lacrime e sangue sono costate le rivoluzioni sociali e i cambiamenti politici che le accompagnano. Agli amici che parlano e scrivono contro la « borghesia 1) (in senso marxista), o contro il liberalismo (in senso ricardiano) debbo dire che oggi, dopo due guerre mondiali, nel mondo civile e industrializzato non si muore di fame, come si moriva nel medio evo o nel rinascimento o nel secolo XVIII e perfino nella prima metà del secolo XIX. A qualche cosa sono servite nel lungo cammino della umanità. Sono d'accordo con coloro che lavorano e lottano per migliorare le condizioni dei lavoratori, senza dimenticare anche le classi medie attive e le classi impiegatizie, e insieme alla economia curando anche lo sviluppo culturale, morale e religioso del paese. Ma a far ciò occorre mantenere largo il respiro della libertà, anche della libertà economica, liberata per quanto possibile dai monopoli privati come dai monopoli pubblici. Lo statalismo non risolve mai i problemi economici e per di più impoverisce le risorse nazionali, complica le attività individuali, non solo nella vita materiale e degli affari, ma anche nella vita dello spirito. Può darsi che i miei amici non comprendano più il significato vero del termine statalismo nella sua accezione originaria (dal francese étatisme) che serve ad indicare l'eccesso e la degenerazione dell'attività statale, da non confondersi con i compiti, i doveri e i diritti dello stato. I1 disuso del termine statalismo è significativo, indica la perdita della bussola che dall'individuo si va a cercare nello stato


onnipresente, onnipotente, monopolista e fattore unico della vita di un paese. lo dicembre 1952.

( L a V i a , 6 dicembre).

MESSAGGIO AL PRESIDENTE DELL' UNIONE DELLE PROVINCIE Onorevole presidente, Sia per rispondere al suo gentile e pressante invito, sia per secondare l'impulso delle mie convinzioni, non potendo essere presente, affido a questo foglio quanto avrei voluto dire all'assemblea delle provincie italiane che si riunisce in questi giorni a Milano. È questo il momento, data la prossimità delle elezioni politiche, di riaffermare i principi di autonomia locale, che l'unione delle provincie sostenne fin dalla sua costituzione insieme all'associazione dei comuni italiani ; principi che, dopo la lunga parentesi statalista e dittatoriale, sono stati consacrati dalla costituzione della repubblica. È stato un errore trascinare alle lunghe l'applicazione degli articoli 128, 129 e 130 della costituzione, collegati s'intende all'intiero titolo V. La vita dei comuni e delle provincie, nonchè delle future regioni, oltre le esistenti a statuto speciale, si basa su due cardini: l'autonomia amministrativa e quella finanziaria. La prima senza la seconda resta un vano nome; la seconda senza la prima viene svuotata di contenuto in partenza. Per le regioni a carattere normale manca fin oggi un disegno di legge che ne caratterizzi e fissi le basi finanziarie. Nella ipotesi che il senato approvi, dentro il presente periodo legislativo, il disegno di legge sulla costituzione e il funzionamento degli organi regionali, mancherà di sicuro la possibilità di darvi immediata realizzazione. Così, di conseguenza, il passaggio alla regione del controllo di legittimità sugli atti delle provincie e dei comuni e degli altri


enti locali, e in determinati casi anche del controllo di merito, non potrà effettuarsi, rimanendo tuttora gli organi statali presso le prefetture quali furono modificati dal governo fascista, con la soppressione dei rappresentanti elettivi. Non si può negare che nel mondo burocratico (che oggi conta assai più del passato) vi sia un orientamento anti-autonomistico più che non fosse ai tempi delle battaglie per l'autonomia fatte nel ventenni0 prefascista dall'associazione dei comuni e dall'unione delle provincie. E qui mi piace ricordare i lavori della commissione per la riforma degli enti locali creata nel 1917 dall'on. V. E. Orlando, allora presidente del consiglio, presieduta dal presidente del consiglio di stato sen. Perla, della quale chi scrive e l'avv. Gilardoni facevano parte, insieme all'allora prof. Luigi Einaudi, al sen. Lucca, al sen. Pironti, al dr. D'Aroma e altri insigni giuristi e amministratori. Sarebbe giovevole riesumare e mettere in luce quei lavori, se ciò sarà possibile, per confrontarne le attuali posizioni ideali e pratiche. Più volte mi sono domandato perchè oggi non sia popolare l'autonomia degli enti locali ( a parte il problema della regione); debbo confessare con mio rincrescimento che la ondata statalista che si è diffusa in Italia ( a parte la mentalità fascista che perdura), è dovuta al fatto dell'intisichimento dei comuni e delle provincie; all'impaccio in cui si trovano gli amministratori elettivi di fronte ai partiti e ai sindacati e confederazioni a mettere O aumentare le tasse e sovraimposizioni consentite da leggi; al sistema interventista dello stato in tutti i rami dell'amministrazione senza criteri discretivi apprezzabili, e alle burocrazie statali o statalizzate che spadroneggiano in nome dello stato senza limitazioni d i mezzi. Oggi ogni italiano delle zone depresse, ogni ragazzo che ha fatto le scuole di avviamento per non essere avviato a nessun mestiere, ogni disoccupato dei ceti cittadini, desidera arrivare ad essere impiegato statale. Nessuno pensa a far ritornare i segretari al rango di dipendenti delle amministrazioni locali, nè gli impiegati delle camere di commercio, nè quelli degli organi provinciali delle varie opere assistenziali. I sindacati vi si leverebbero contro come a un attentato ai diritti delle classi. Perchè essere statale sia un diritto intangibile e l'essere provinciale o


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comunale con lo stesso stato giuridico non lo sia più, è cosa da non comprendersi se non per il clima statalista che ci opprime. Se gli amministratori delle provincie, come quelli dei comuni, cominciano col dire ai nostri deputati e senatori e agli uomini di governo che preferiscono avere finanza propria e autonomia, anzichè concorsi statali e pareggiamenti di bilancio, organi clcttivi di controllo più che ingerenza burocratica-centrale, si respirerà altra aria nel nostro paese, dove la tradizione comunalista e locale mai è venuta meno. Occorre, però, che gli amministratori abbiano il senso della propria responsabilità e paghino di persona se vengono meno a i propri doveri. Non mancano preoccupazioni politiche che rendono perplessi i governanti e i parlamentari ad adottare quanto prescrive la costituzione in materia di enti locali e a darvi respiro di libertà e di autonomia. Non nego che della libertà si possa abusare; è il suo contrappeso; solo nego che non ci siano mezzi adatti, in regime democratico, a impedire gli abusi. Se l'amministratore che viola la legge o che abusa del potere può essere denunziato all'autorità giudiziaria, se non è negato il diritto di ispezione agli organi di controllo, se i consigli comunali, provinciali e regionali possono essere sciolti, il potere politico ha tanto in mano quanto è necessario e forse più del necessario. Per questo è da augurare che dall'assemblea delle provincie ricostituite e riunite nella loro unione parta un voto perchè nelle prossime elezioni politiche i partiti democratici mettano in programma la piena attuazione delle autonomie locali in base alla costituzione repubblicana d'Italia. Accetti, on. presidente, insieme ai convenuti, i miei auguri e i miei omaggi dev.mo LUIGI STURZO 5 dicembre 1952.

( N o n risulta pubblicato)


LO STATO GENDARME O DIVINITÀ? Cos'è lo stato, questo segno di contraddizione, mortificato u n tempo al rango di semplice gendarme, e fanaticamente elevato, poi, al trono di assurda 'divinità? Nel linguaggio comune, stato è preso come un fuori di noi. Esisteva ( i n data maniera) prima che ciascun di nei venisse al mondo; lo lasceremo (nella stessa o in altra struttura) quando cesseremo di vivere. Nulla, apparentemente, vi avremo dato durante i pochi o molti anni della nostra esistenza, tranne I'apporto di una vita che in parte dipendeva dall'azione statale (difesa della libertà, difesa dell'individuo, mezzi di vita, istruzione, sicurezza, e così di seguito); in parte dipendeva da eventi fuori d i ogni struttura sociale. Questo ente collettivo fuori di noi, o diverso da noi o altro da noi, che chiamiamo stato, non ha volontà propria, non h a voce propria, non ha figura esistente, nulla che lo possa individuare. Le leggi? una collezione di volumi che, per essere appieno conosciuti, non basterebbe un'intiera vita di studioso. Le leggi esistono nella volontà di chi le osserva, o di chi le f a OSservare, giorno per giorno. Appena cade questa volontà umana, personale, le leggi restano scritte nei volumi, raccolte nelle biblioteche, e possono essere completamente ignorate o dimenticate, salvo ad essere rimesse in onore quando e come piacerà agli interessati, ai giuristi, ai legislatori : vigilanti jura succurrunt. Lo stato è rappresentato da istituti: monarca, presidente, parlamento, diplomazia, giustizia, polizia, esercito, finanza. Infatti sono questi gli organi principali di uno stato. Gli altri organi sono sussidiari; potrebbero non esserci: in America non c'è u n ministero della pubblica istruzione (fortunatamente, penso io), eppure esistono a migliaia scuole statali e scuole libere, fra le quali non poche di primo rango. Non è lo stato che rende vitali i suoi organi; è l'uomo che l i vivifica, l'uomo che l i mortifica, l'uomo singolo e organizzato, la persona reale effettiva, non l'ente astratto che si chiami stato. Com'è possibile, in tanta relatività, strelfezza di idee, con-

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tesa di partiti, libertà limitata ora da folle che tumultuano, ora da partiti che premono, da alleati internazionali che impongono, da stati nemici che minacciano, parlare di stato ente extraumano, idealizzato come una divinità che pare che parli ai poveri soggetti parole eterne di un potere quasi divino? Al contrario, la storia degli stati dall'antichità ad oggi, non è che unti serie di guerre, rivolte, delitti, ingiustizie, concussioni, sperperi, mista, si intende, a opere buone (spesso fatte per vanità di capi e con il sacrificio di molte energie e vite). I1 che non dà l'idea di uno stato « etico » come recentemente veniva definito, o di un ente che sia la più perfetta realizzazione dello Spirito o dell'Idea hegeliana. Conclusione: gli uomini sono costretti a cercare qualche teoria più ragionevole; quella dello stato primo assoluto, o realizzazione suprema dello Spirito, o entità extra umana, non reggono portandoci ad una concezione irreale, e perciò anche antiumana, che ripugna alla ragione e manca di base. L'orientamento moderno verso il panteismo di stato è una tremenda involuzione contraria allo spirito di progresso dell'uomo, essere ragionevole, verso una mistica del potere che tutto assorbe e tutto comprende. La cosa più strana che poteva capitare alla umanità credutasi libera perchè svincolatasi dalla soggezione ad una legge naturale di derivazione divina e consolidata dal messaggio cristiano, è la corsa quasi fatale verso forme assolutiste e dittatoriali più aberranti di quelle dell'antico regime, dando il posto ad un nuovo panteismo di stato ancora più tiranno di quello precristiano. Ma è proprio così: non volendo riconoscere nella personalità spirituale delIhomo il segno divino, dal quale deriva l'etica individuale-sociale, unica moralità non due moraIità che nei rapporti sociali positivi si fa diritto, è venuta la teoria che lo stato \.pia l'unica fonte di diritto, e che quindi non esista un diritto L naturale precedente e superiore allo stato; così come non esista una finalità etica dello stato obiettivamente distinta. Da qui I'aberrante concezione di uno « stato etico », cioè che non sia in sè e per sè normativo, al di fuori di ogni legame che non sia la sua stessa volontà realizzatrice, il suo atto, come dire? -


infinito? assoluto? creativo? divino? ; purtroppo, ognuna di tali qualifiche lo assimila a quel Dio che.10 stato moderno non sa riconoscere come fuori di sè e sopra di sè. Da qui la conseguenza: la libertà, quella vera e quella dei liberali dell'ottocento, individualista, anarchica anche, e sociale spesso, passata a sostanziare lo stato etico diviene libertà della collettività ad esprimersi e a realizzarsi eliminando la libertà degli individui ( o meglio della personalità umana) assorbita nella realtà assoluta dello stato. Così abbiamo l'assurdo di uno stato che pensa, vuole, si esprime, si autolimita, si sovrappone, assorbe ogni realtà: nulla fuori, nulla sopra lo stato, tutto per lo stato e nello stato 1). Definizione già nota che occorre ricordare ai dimentichi e distratti. La libertà passata dagli individui allo stato, teoricamente e praticamente, sopprime le libertà individuali e degli enti concorrenti: famiglia, città, classi, regioni, chiese, perchè l'unico ente libero, autolibero, che assomma a sè ogni autorità ed ogni libertà è lo stato. Così concepito lo stato, manca di limiti intrinseci ed estrinseci; la libertà attribuita allo stato annulla quelle individuali ed annulla i limiti naturali ad ogni autorità. L'investito o gli investiti di poteri statali in quanto investiti e attuanti la volontà dello stato non hanno più responsabilità limitative; essi sono, in quell'atto potestativo, 10 stato: stato-autorità, stato-forza, statolibertà. Concezione assurda e inumana, e perciò panteista, in quanto lo stato così concepito non ha sopra di sè nè l'uomo nè Dio. Dio è scomparso e l'uomo è divenuto schiavo.

L'espressione più marcata del panteismo di stato è la dittatura moderna, nelle tre forme come si è presentata in dittatura social-nazionalista (Mussolini, Franco, Peron); dittatura nazionale razzista (Hitler); dittatura bolscevico-comunista (Lenin, Stalin, Mao). I presupposti teorici di tali tipi sembrano diversi da quelli sopradescritti e più appropriati all'orientamento positivista dello


statalismo giuridico e idealista dello stato (C etico ».Ma a parte le derivazioni dottrinali occidentali per una fenomenologia mistico-politica di occasione, la sostanza è la stessa; la concezione di un potere illimitato e di trapasso di tutti i diritti delle collettività nello stato, o meglio nel dittatore. La differenza fra i sistemi moderni detti dittatoriali e quelli detti democratici non è nelle premesse teoriche e neppure nella pratica articolazione dell'amministrazione statale, è in quel poco di cristianesimo che è rimasto nella coscienza dei popoli occidentali, non ancora soffocato dalla concezione statalista, e in quel rispetto delle libertà politiche, che rende possibile, per quanto non molto effettuale, il dialogo fra i detentori del potere e i liberi cittadini in singolo e uniti in associazioni. Ciò sembrerà esagerato al lettore superficiale, come sembrò esagerato ad un mio amico un mio studio pubblicato in una rivista americana, credo nel 1936, nel quale derivavo le dittature di Hitler e Mussolini dalla concezione statalista moderna. È vero, lo stato rappresentativo, prima detto liberale, poi democratico, trova in teoria la sua radice nella volontà popolare, la esprime, la rappresenta, la articola e la attua; si tratta però di una volontà potenziale, implicita, senza limiti e solo imitabile nelle realizzazioni concrete. Ammesso, però, che lo stato sia unica fonte di diritto, che lo stato crei una propria etica, perciò esso stesso è intrinsecamente etico; ammesso che la legge positiva sia la vera legge, le conseguenze teoriche che influiscono sulla pratica sarebbero le stesse di quelle derivanti dalle premesse dello stato dittatoriale. La differenza pratica andrà scomparendo mano a mano che la resistenza civica si andrà attenuando, e questa sarà sempre fiacca mano a mano che la demagogia rende piede e accende il fuoco del mito rivoluzionario. Chi non ricorda i l periodo delle dittature demagogiche e reazionarie del terrore, del direttori0 e dell'impero della rivoluzione francese; e, restando in Francia, la dittatura del 3" im: pero che fece' seguito alla demagogia di piazza; non si rende conto quanto brevi siano i limiti fra le rivolte e le dittature; fra le democrazie demagogiche e le reazioni ; dove (ecco i l punto centrale) i detentori del potere statale perdono il senso del limite


etico della loro potestà e affermano diritti illimitati sui singoli e sulle comunità. L'esperienza delle dittature di questo secolo è ancora più probante di quella del secolo seorso, ma non è di differente natura. Si sono aggravate le ingerenze statali in quanto la struttura della vita moderna, resa dai nuovi mezzi tecnici più intensa e complessa, ha abbreviato distanze, abbattuto barriere di lingua, razza, economie, creato tipi di guerra globali che impegnano i popoli, avvicinando e distaccando intieri continenti.. Intanto, sotto .la spinta delle necessità pubbliche, lo stesso stato democratico tende a sostituirsi nei diritti e negli interessi dei privati. I1 vecchio limite fra diritti individuali e familiari e diritti pubblici o degli enti pubblici non regge più di fronte all'invadenza statale. I limiti giuridici sono facilmente superabili da coloro che credono che sia lo stato che crei il diritto e che al di là del diritto positivo non esistano diritti umani intrinseci o permanenti. I1 positivismo giuridico portò difilato al panteismo statale; e se fanno da freno il buon senso, la tradizione, il rispetto a certi principi sentiti ma non valutati come tali, ritornano in campo spesso le teorie positivistiche in tutta la sfera del giure quasi fosse una conquista dell'individuo sulla società, mentre rendono l'individuo mancipio dello stato. Coloro che affermano che la libertà individuale ancora esiste sol perchè il cittadino può parlare, scrivere .e votare (cosa che sotto le dittature più non avviene) non si accorgono che la quasi scomparsa della libertà economica sotto la valanga dell'interventismo statale in tutti i campi della produzione porta fatalmente all'attenuazione e alla scomparsa della libertà politica che vi è connessa, riducendo le libertà formali ( d i riunione, di parola e di voto) vuote di contenuto e quindi sterili e vane. Rimarrebbe la valvola elettorale per la quale è possibile, in teoria, combinare non solo maggioranze e governi, ma anche metodi e regimi. Ma chi si è accorto in Italia che il sistema amministrativo burocratico statalizzante del fascismo sia cambiato oggi dopo nove anni dal 25 luglio 1943 e dopo otto anni dal 25 aprile 1944? E chi ha potuto togliere dalla mente del popolo italiano che lo stato possegga il toccasana per tutti i mali? che occorra per ogni qualsiasi servizio creare un ente


pubblico statale o parastatale che vi provveda? che ogni cittadino debba essere ridotto ad impiegato statale, assicurato statale, pensionato statale? che ci debba essere una cinematografia statale, un teatro statale, una pittura, scultura, musica statale, danza statale, casini da gioco statali o bische statali, totocalci statali, sports statali? e così via via nulla fuori o sopra lo stato, tutto e tutti nello stato e per lo stato e sostenuti dallo stato, come se lo stato fosse Dio.

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(L'Eco di Bergamo, 19 dicembre 1952).

LETTERA A « SICILIA-REGIONE n Egregio direttore, I1 titolo Sicilia-Regione è un simbolo: indica l'affermazione di un diritto acquisito alla nostra terra; la volontà di usarne a vantaggio di tutti i siciliani; il proposito di valida cooperazione e di saggia critica agli organi politici e amministrativi del centro e della periferia. A questo scopo vorrei fare tre raccomandazioni dettatemi dall'amore alla Sicilia e dalla lunga esperienza nella vita pubblica. Non presumere di saper tutto e d i giudicare tutto so1 perchè si ha una penna in mano e un foglio da stampare. Essere accurati nelle informazioni e conoscere il pro e il contro dei problemi da trattare nobilita la professione di giornalista. Guardarsi dal favorire l a demagogia dei partiti, che spesso si infiltra a rendere più complicati i problemi di maggiore interesse, alterandone le linee per ottenere il favore delle folle. Essere rigorosi in materia di moralità pubblica allo stesso modo con gli avversari e con gli amici, ritenendo che il vantaggio del paese e dello stesso partito nel quale si milita sia tale, da dover sfidare occorrendo anche la impopolarità. Auguri di bene e una cordiale stretta di mano LUIGI STURZO 22 dicembre 1952.

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(Sicilia Regione, 24 dicembre).


RINASCITA SICILIANA Non intendo riferirmi alla Sicilia della storia antica o medievale, nè a quella che dal rinascimento va all'impero napoleonico; una Sicilia piena di luci e di ombre, con una personalità propria, mai sopraffatta, pur subendo le vicende di lotte nel succedersi ed incontrarsi delle varie civiltà mediterranee. Parlo della Sicilia che si affermò nel quadro del risorgimento con proprio carattere nel 1820-21, nel 1848-49, nel 1860-61. Ma da allora la Sicilia venne a subire le continue crisi politiche, amministrative ed economiche che condussero alle repressioni militari del primo decennio dell'unificazione, all'inchiesta FranchettiSonnino, ai fasci socialisti, allo stato d'assedio, al commissariato di Codronchi, all'esodo emigratorio verso le Americhe, alle successive agitazioni politiche fino al fascismo, la cui politica antisiciliana diede l'ultima spinta all'iniziativa separatista. Fu allora che un gruppo di democratici cristiani con a capo Aldisio alzò la bandiera dell'autonomia; e chi scrive fece eco da New York con lo slogan: autonomia si; separatismo no. Con l'autonomia è rinata la nuova Sicilia ed è rinata sotto il segno della regione nella nazione. Si è creduto da parecchi trattarsi piuttosto di regione contro nazione; si è risposto da altri, specie in certe sfere burocratiche, romane, con l'idea di nazione contro regione. Punte polemiche, vedute giuridiche, interessi politici e personali han portato qualche volta ad accentuare un dissidio che non esiste e non può esistere nel leale riconoscimento dei reciproci diritti e dei reciproci doveri. Perciò è salda politica dei siciliani coscienti, al disopra della lotta e degli interessi di partito, quella di mantenere la linea di regione nella nazione. La rinascita siciliana si basa sul sentimento isolano del popolo che, tradizionalmente attaccato ai centri locali, è irriducibilmente individualista. Mai nella storia i siciliani sono stati uniti fra loro; ma tutti han voluto essere essi stessi, siciliani e padroni di sè. L'autonomia, voluta come una soluzione politica, non è che la premessa alla soluzione dei problemi sici-


liani. Ma una volta concessa se ne discute e ridiscute in confronto a tutti gli altri problemi pratici che a diritto o a torto ne conseguono. Nessuno più dubita che la Sicilia avendo acquistato una sua personalità amministrativa, debba potere risolvere essa i vecchi e i nuovi problemi della sua rinascita e del suo avvenire. Essa sola e non insieme a Roma? Certo, la Sicilia con Roma. La formula sostenuta e accettata, e fissata in documenti legali e (C d'intesa D: cooperazione reale, ottenuta con più o meno difficoltà, ma ottenuta; tutto sta a saperla mantenere. Sono forse a paro stato e regione? Certo no; lo stato ha i suoi diritti ai quali non può cedere; ma anche la regione ha i suoi diritti riconosciuti e sanzionati. Nulla è eterno di qua e di là dal faro; le leggi sanzionano il costume e si adeguano alle situazioni storiche e sociali; ma se alla legge si nega la certezza e la stabilità, si sottrae all'ordinamento giuridico la principale forza per non dire la sua stessa ragion d'essere. È per questo che tanto gli organi giurisdizionali (fra i quali speciali per la Sicilia l'alta corte e i l consiglio regionale di giustizia amministrativa) quanto gli organi politici di Roma e di Palermo, nell'applicazione delle leggi vanno dando quella interpretazione e quella esegesi, che concorre a creare la nuova tradizione di competenze e di limiti.

L'autonomia non è solo un ordinamento, sì bene uno strumento adatto di politica economica. La Sicilia ha di fatto un'economia arretrata, un'attivit.à produttiva insufficiente alla situazione demografica, un'attrezzatura di servizi civili e commerciali e una rete stradale inadeguate, una percentuale di analfabeti notevole; basso è i l livello medio dei salari, elevato i l numero degli inoccupati e dei ;semi-occupati. Questo è i l quadro di oggi; ma, grazie a Dio, non è lo stesso di quello di ieri; -dalla fine della guerra lo sforzo di ripresa è stato incessante. Vi ha contribuito lo stato istituendo l'alto


commissariato che preludiò la regione e iniziando con propri fondi e poi con fondi u ERP » la industrializzazione dell'isola (contemporaneamente a quella del mezzogiorno), della quale le sezioni di credito industriale affidate ai banchi di Sicilia e d i Napoli sono state valido strumento; infine con la cassa per il mezzogiorno, sulla quale si fondano molte speranze. Vi ha contribuito la regione con propria politica, che h a avuto certe arditezze degne di rilievo. La più contrastata ne è stata la legge regionale che consente a determinate società industriali e commerciali l'esonero dall'obbligo della nominatività delle azioni. Non si può dare a questa legge tutto il merito per la costituzione di imprese industriali nuove o per la trasformazione e ampliamento di quelle esistenti. Ma non si deve negare che tale legge sia servita di spinta e sia valsa a far superare difficoltà e diffidenze. Altre leggi regionali hanno giovato allo scopo sia per esenzioni fiscali anche più larghe di quelle statali, sia per concorsi e partecipazioni a nuovi impianti. La legge sulle ricerche minerarie ha segnato un passo in avanti su quella del 1927 ed ha prevenuto di tre anni la nuova legge nazionale ancora avanti la camera dei deputati. Gli effetti di tale politica non si possono vedere a breve distanza ; bastano però a mostrare l'avvenire aperto alla Sicilia ; l e realizzazioni di nuovi cementifici, gli opifici tessili, la raffineria dei petroli di Augusta, l'impianto Agrakas per i superfosfati a Porto Empedocle e l'altro per la cellulosa, le ricerche petrolifere della Gulf e della Mac-Millan sono indici rilevanti della nuova attività e servono a creare l'ambiente adatto alla industrializzazione dell'isola. Gli impianti elettrici dell'ente siciliano e quelli della società generale nonchè l'elettrodotto che congiungerà la Sicilia al continente, renderanno possibile un sufficiente potenziale di energia necessaria al ritmo industriale che va sviluppando. Gli zolfi siciliani, dopo un periodo di forte crisi, sono da tre anni ricercatissimi all'estero; sventuratamente i provvedimenti statali per potenziare tale industria sono arrivati in ritardo di quattro anni, da quando la missione americana ECA fece fare un accurato studio tecnico, dopo il quale fu disposta a intervenire con i fondi ERP. I1 governo fu incerto, titubante; poi


stornò i fondi ERP ad altro scopo. Finalmente si decise a impegnare fondi del tesoro; ma complicò la procedura incaricando della gestione dei prestiti l'ente zolfi, affiancato da speciale commissione, e imponendo l'obbligo della fidejussione bancaria: conclusione, fin oggi il potenziamento delle miniere è stato quasi inesistente non ostante l'assegnazione di nove miliardi di lire, per colpa del sistema burocratico e formalistico che rende complicate le più semplici operazioni bancarie; mentre le ricerche affidate allo stesso ente zolfi senza altri interventi sono andate con discreta celerità e promettono un notevole sviluppo dell'industria siciliana. Anche l'estrazione dello zolfo nelle miniere attive o attivate dopo la guerra, è andata a rilento per una serie di vertenze sindacali, che si sarebbero dovute evitare nell'interesse delle due parti in contesa e nell'interesse del paese. A completare il quadro va notato un incremento notevole nello sviluppo della piccola e media industria locale e artigiana, che di sicuro andrà avanti con maggiore coordinazione per gli interventi creditizi dell'IRFIS (nuovo istituto di credito regionale) appoggiato dalla cassa per il mezzogiorno.

L'esistenza della regione ha reso possibile una differenziazione nel tipo di riforma agraria. Del relativismo regionale, quale era stato previsto dalla costituzione, non f u tenuto conto nella formulazione delle relative leggi statali, applicate indistintamente i n tutte le regioni d'Italia dal nord al sud. Non dico che la legge siciliana di riforma sia perfetta; ma ha avuto due meriti per l'economia agraria dell'isola: quello di avere escluso dallo scorporo gli agrumeti e altre zone a cultura Intensiva; l'altro d i avere sottoposto tutte le zone a cultura estensiva non scorporate all'obbligo del miglioramento su piani proposti dagli interessati e approvati dagli organi regionali competenti. L'agricoltura siciliana deve tendere alla sua industrializzazione. I1 primo problema è l a ricerca e la utilizzazione delle acque; la Sicilia h a sete, ma la Sicilia ( h o fede) avrà acqua sufficiente per potere estendere largamente la sua coltura intensiva,

Z2 - S ~ R - ZPolitica ~ di

questi anni.


irrigua. Ma dovrà anche tendere alla industrializzazione nel settore zootecnico e in quello della trasformazione industriale dei prodotti agricoli. Fin oggi alla Sicilia sono mancati piani tecnici organici, mezzi sufficienti e un organo efficacemente propulsore, coordinatore e integrante. Ora l'organo c'è ed è la regione, e con l a regione e nella regione tutti gli altri organi regionali, o statali, principalmente l a cassa per i l mezzogiorno. Tutti debbono necessariamente trovare il terreno della intesa e della reciproca comprensione e integrazione. Gli organi tecnici non si improvvisano e il loro sviluppo procede mano a mano che l'attività coordinata spinge avanti l e iniziative. Un ramo in cui la Sicilia è deficiente è la foresta; i siciliani spinti dal bisogno di sviluppare la coltivazione del grano a tipo tradizionale hanno tagliato e sradicato alberi in tutte l e zone montagnose. I1 contadino siciliano è stato per un secolo il nemico dell'albero; lo stato italiano è stato debole e impotente di fronte alla distruzione boschiva di quasi tutto il mezzogiorno. Oggi una politica rigorosa porta alla difesa dei residui boschivi esistenti e alla ricostituzione dei boschi montani, a salvezza delle montagne calancose e frananti, dell'agricoltura delle valli e delle pianure e delle stesse montagne o colline dove, regolate l e acque e impediti gli scoscendimenti, può ridarsi all'agricoltura un suolo adatto rivalorizzato. Questo è compito speciale della regione. I1 primo esempio si sta avendo nel monte S. Giorgio di Caltagirone, fino a ieri brullo e povero e franoso, le cui enormi calanche dominano la valle nord-est della città. Ma il monte San Giorgio diverrà fra non molto zona di rimboschimento e d i coltivazione intensiva. Le somme destinate alle sistemazioni montane dalla cassa per il mezzogiorno, dalla regione e dal ministero dell'agricoltura sono notevoli, sforzi mai fatti nel passato dallo stato unitario ; ma non può dirsi che per la Sicilia siano sufficienti. Onde è allo studio un piano tecnico ed economico per una iniziativa che integri gli sforzi degli enti pubblici con importanti autofinanziamenti. Se si riescono a superare le difficoltà insite alla


stessa iniziativa, i vantaggi che ne avrà l'isola giustificheranno la parola rinascita.

Mi dicono ottimista quando parlo e scrivo così; ma tale ottimismo è sano, realista e controbatte il pessimismo che ha paralizzato per molti decenni ogni iniziativa. Il nemico della Sicilia è l'individualismo diffidente e critico; ma quando per merito del ministro dei LL.PP. e della regione la Sicilia oggi è tutta un cantiere di lavoro e risente l a mancanza di operai specializzati, la deficienza di cemento, l a scarsezza di imprese di costruzione bene attrezzate e di sufficiente organizzazione creditizia, bisogna creare con metodi moderni l'attrezzatura che manca. Non è certo facile impresa se tutti gli organi non rispondono con efficiente sincronismo. La stessa regione non è riuscita ancora ad avere personale proprio bene scelto e bene inquadrato, non ostante la buona volontà del personale attuale e un certo numero di impiegati statali che tengono posti direttivi nei vari assessorati. I1 turismo ha sempre avuto posto interessante in Sicilia: organizzarlo, svilupparlo, estenderlo era un dovere della regione; dovere che è stato adempiuto con fervore di neofiti, con larghezza di mezzi (grazie anche alla cassa per i l mezzogiorno) e con serietà di criteri. C'è molto da fare; l'attrezzatura alberghiera va al primo posto. L'afflusso del turismo estero ha ripreso e continua. Si tende a fare dell'Etna uno dei centri meglio organizzati del turismo mondiale; se a questo arriverà l a regione avrà reso u n grande servizio all'isola e al paese. Non ho accennato ancora a quel che ha e deve avere la maggiore importanza per lo sviluppo dell'isola: la istruzione. A questo settore la regione ha dato fondi e attività notevoli, aperte nuove e numerose scuole elementari; dotate le università di nuove cattedre e facoltà; dato largo impulso alle scuole di arti e mestieri; aumentate le borse di studio; assunte a proprio carico le spese degli edifici scolastici in corso di esecuzione per sedici miliardi; contribuito largamente agli scavi archeologici e alla manutenzione dei monumenti.


Non per fare una critica, ma per focalizzare un punto di primaria importanza, io aggiungo che avrei concentrato nelle scuole professionali una buona parte delle spese, per creare operai specializzati. L'operaio siciliano è intelligente, capace, volenteroso, svelto; la mancanza di seria specializzazione lo avvilisce; è fonte di disoccupazione e di inoccupazione. Purtroppo, la scuola statale con i corsi di avviamento non crea l'operaio specializzato; crea la turba dei richiedenti un posto; nelle poste, nella polizia, nell'organizzazione carceraria, nella finanza, fra i carabinieri. La folla di tali disoccupati è sempre crescente. I parenti che possono fare dei sacrifici iscrivono figli e figlie ai ginnasi e ai licei; spesso non riescono a battere le porte dell'università. È triste vedere tanta gioventù inutilizzata. I1 siciliano intraprendente lascia la sua isola per l'estero o per le grandi città industriali e commerciali italiane; se trova posti, si fa avanti, e primeggia. Ma ciò ha per decenni servito a depauperare l'isola, dove rimane il gran numero dei disoccupati, degli inutilizzati, le cui strade traverse portano anche al parassitismo e a l brigantaggio. La Sicilia h a oggi ripreso coscienza di sè; ha una organizzazione propria cui rivolgersi per esprimere questa coscienza. Ci vorrebbe maggiore coesione f r a Palermo e Roma ( e viceversa); fra i dirigenti regionali e i parlamentari nazionali, fra i l governo regionale e quello nazionale, nella convinzione che la rinascita della Sicilia è e sarà tale vantaggio per i l paese da meritare maggiore comprensione da parte di tutti gli italiani. 8 dicembre 1952.

(L'illustrazione italiana, 24 dicembre).

EQUILIBRIO NELLO STATO FRA AUTORITÀ E LIBERTÀ L'esperienza dittatoriale che impegnò prima e durante la guerra quasi tutta l'Europa continentale, tranne i piccoli stati del nord, p u r avversati dai democratici-cristiani dei vari paesi,


ha influito notevolmente a creare una premessa statalista nella concezione pubblicista presente, anche nella mente dei democratici riapparsi nelle fasi della resistenza, specie quelli che venivano dai regimi dittatoriali in Francia, in Italia, in Germania, in Austria e ne avevano subita l'impronta. Gli eventi sono stati più forti di qualsiasi premessa teorica che i democristiani preparati potessero avere. Essi furono chiamati a dirigere il paese senza una sufficiente esperienza, trovando la nazione prostrata, lo stato boccheggiante e disorganizzato; obbligati a provvedere con mezzi di fortuna ed aiuti esteri a tanti bisogni e a tante miserie; obbligati, allo stesso tempo, a collaborare con partiti socialisti che rinverdivano le teorie di Marx e con una borghesia che tutto chiedeva allo stato per rialzarsi, e per giunta condividendo il potere per un certo tempo con i comunisti, veri cavalli di Troia delle democrazie postbelliche. Lo statalismo, già inoculato nel sangue europeo dalle teorie naturaliste e. laiciste dette liberali dell'ottocento, fu potenziato dalle varie correnti politiche del socialismo marxista prima, e del nazional-fascismo o razzismo in seguito. Era impossibile alle improvvisate e demagogiche democrazie dell'ultimo dopo guerra cambiare rotta. Per giunta, nessuna sana teoria antistatalista aveva corso; la democrazia-cristiana, che poteva riallacciarsi alle nette posizioni popolari dell'anteguerra, quelle dell'appello (( ai liberi e forti D, contro lo stato accentratore tendente a limitare e regolare ogni potere organico e ogni attività civica e individuale », dopo le affermazioni di libertà e autonomia della costituzione, cedette alla campagna statalista e abbandonò il terreno sotto il vano timore di scompaginare la consistenza e l'unità statale. I1 difetto della teoria dello stato, sostanzialmente cristiana e veramente cristiana, rende difficile la impostazione etica, organica e strutturale dello stato democratico. Le difficoltà di smontare la macchina soffocante della burocrazia sono rese più gravi, e direi insuperabili, dalle esigenze sociali, che si vestono di socialismo e di comunismo.


Fra gli studi di sociologia, di psicologia dovrebbero meglio svilupparsi quelli sui vocaboli che fissano le idee atte a formare le cosiddette ipostasi o entità nominali, figurative, rappresentative della collettività. La parola « stato » per il continente europeo e per i popoli europeizzati, è una di queste. I1 significato originario fu quello di comunità civica, e fu usato per distinguere gli interessi dei cittadini da quelli del sovrano e della dinastia, la finanza pubblica da quella privata della casa regnante. I n sostanza lo stato era una traduzione moderna della res publica latina applicata ad un regime monarchico assoluto. Così nessuno mai parlò comunemente e storicamente di stato svizzero, ma d i cantoni e di confederazione; solo di recente si parla anche di nazione svizzera, derivata più dal concetto d i nazionalità o cittadinanza anzichè da quello di una unità linguistica o razziale. I n Inghilterra, nell'uso comune, non si parla di stato inglese o britannico, ma di Regno Unito; la parola stato è riservata a due concetti fondamentali, quello dei rapporti fra chiesa e stato (cioè comunità religiosa e comunità civica come due entità, pur essendo unite nel capo: il re), oppure negli affari d i stato come rapporto fra il Regno Unito e gli stati esteri. Negli affari interni e nei rapporti con i cittadini, si parla di amministrazione, governo, parlamento. Ed è logico : lo stato sono i cittadini organizzati, non c'è rapporto esterno fra cittadini e organizzazione come due entità. Lo stesso in America, con l'aggiunta che vi si parla d i Stati Uniti » per indicare l'autonomia sovrana di ogni singolo stato federato, non mai per precisare i rapporti dell'ente col cittadino, che sono sempre quelli dell'Administration o del Government o dell'dssembly per ogni stato e per il governo federale le due camere, il senato e la camera dei rappresentanti, Casa Bianca e dipartimenti e le molte Agencies, L'unico organo che si chiama statale è il Department of States, che corrisponde al ministero degli affari esteri e che ha un potere coordinativo con gli altri dipartimenti (ministeri) per i riflessi con l'estero. Non esiste, presso gli anglo-sassoni, la ipostasi gonfiata e opprimente dello Stato che si è creata nell'Europa continen-


tale e che mantiene una distinzione tra l'entibà astratta e i cittadini. Questa nacque nell'ancien régime, quando i monarchi mal tolleravano ed erano gelosi della personalità della res publica distinta dalla figura del re quale capo dello stato, e peggio tra finanza personale della casa e finanza pubblica; mal tolleravano gli stati generali e i consigli di stato o i parlamenti e le università che si intricavano negli affari di stato e simili; al punto da fare dire a Luigi XIV lo stato sono io, nel senso clie la res ~ u b l i c asi impersonava nel sovrano. I n quel tempo e per un secolo ancora le principali controversie furono fra i monarchi e la S. Sede o i vari episcopati, specie in materia di giurisdizione; così quel che un tempo era classificato come conflitto fra C( il sacerdozio e l'impero 1) o fra « il potere spirituale e i l temporale », fu detto conflitto fra lo stato e la chiesa 1). La parola stato si generalizzò con tale conflitto. L'epoca moderna passò dai conflitti concordatarii e giurisdizionali fra stato e chiesa alla separazione dello stato dalla chiesa. Le due entità tornarono quindi a dominare nella opinione pubblica con l e vivaci controversie del tempo fra clericali e liberali ( e laicisti) e viceversa; mentre lo stato nazionale, che soverchiò e fece sparire lo stato monarchico assoluto, si presentò come antagonista della chiesa, cercando di formarsi proprie teorie, propria cultura, proprie scuole, pur dicendosi ~ispettosodella libertà, della coscienza e della individualità dei cittadini. Così il cammino dell'ente stato come esistente al di fuori dei cittadini stessi fu facile a trionfare alla luce delle teorie laiciste, dal naturalismo enciclopedico al comunismo bolscevico. La teoria, ben intesa, che basa la società sulla personalità umana, l'unica che crea i diritti e i doveri nei rapporti reciproci sia individuali che sociali, è quella che si può mettere a fronte delle teorie stataliste, sia del passato che del presente. La democrazia cristiana l'ha fatta propria, ed ha buona base per affermare la spiritualità cristiana della sua ispirazione e la democraticità del suo programma. Per essere coerente alle premesse occorre evitare che si confondano i diritti e i doveri derivanti dalla personalità razionale dell'uomo, con i mezzi ch'egli


crea per valorizzarli nella società. Lo stato è un mezzo necessario; ed è creazione dell'uomo, con i mezzi che egli crea per valorizzarli nella società. Lo stato è un mezzo necessario; ed it creazione dell'uomo nella concretezza storica di ciascuno stato e nei tentativi di sintesi autorità-libertà nella quale si sostanzia il potere pubblico, ed è la persona umana che per il bene comune si autolimita nei due fattori della sintesi sociale: l'autorità e la libertà. Niente stato entità a sè assoluta, deificata. Lo stato è concretizzazione di una delle tre forme originarie della socialità: famiglia, religione, comunità civica, mezzo e non fine dell'attività degli uomini consociati, nel lor cammino terrestre con finalità che superano gli stretti confini d i questo basso mondo. Roma, dicembre 1952.

(L'Eco di Bergamo, 28 dicembre).

DIRITTI E DOVERI NELLA SOLIDARIETA È usuale, nel piccolo egoismo di ogni giorno, parlando d i noi o della nostra.. . casta, insistere sui diritti; parlando degli altri, in singolo o per categorie, far valere i loro doveri. Non ci accorgiamo che non esiste diritto che non abbia per contropartita un dovere; nè, d'altra parte, alcun dovere cui non corrisponda esattamente un diritto. Dio solo ha verso di noi diritti senza che abbia doveri; ma egli è infinito e ci usa la misericordia dei suoi diritti per richiamarci alla utilità dell'osservanza dei nostri doveri. Noi, che per fortuna del prossimo non siamo divinità, dovremo invece osservare i doveri che ci incombono per farci spesso perdonare l'uso dei nostri diritti; perchè anche quando si tratta d i veri diritti, noi, egoisti per la pelle, ne usiamo in maniera passionale, eccessiva, gravosa, storta, abusiva in modo da farci passare facilmente dal lato del torto quando anche abbiamo ragione. Queste idee mi venivano spesso in mente leggendo il docu-


mento natalizio del papa, che è un richiamo fatto al mondo e a tutti singolarmente, in nome di Cristo, Dio e Uomo, divinità e ragione, per quella solidarietà nella quale il diritto si spiega verso il dovere e questo si aderge verso il diritto, in una sintesi sociale che solo nel cristianesimo e pel cristianesimo può essere attuata. I1 dovere di solidarietà è collettivo; perciò le autorità politiche, ciascuna nella propria sfera, debbono integrare la iniziativa privata, e dove questa non arriva, surrogarla, anche nel campo della economia, allo scopo di diffondere il benessere sociale. Questo dovere di solidarietà della comunità civica è rappresentato idealmente dallo stato al quale, usualmente parlando, si attribuisce intendimento e volontà. Dall'altro lato, il cittadino cui lo stato provvede, direttamente O indirettamente secondo i casi, ad assicurare vita e lavoro, ha il dovere di osservare le condizioni prescritte per l'utile comune e l'esatto impiego del pubblico denaro. L'osservanza di tali doveri, non è usuale da parte di coloro che dovrebbero renderli efficienti, spesso mancando quella completa ed efficace cooperazione alla riuscita delle varie iniziative sì da raggiungere la piena solidarietà. I1 perchè è implicito: da un lato, la concezione statale si è ingrandita fino allo estremo, al punto di arrivare a confondere l'economia pubblica con la privata, riducendo il cittadino quale impiegato o pensionato statale; dall'altro lato, la economia privata ama prendersi per sè i guadagni e rigettare le perdite sulla comunit,à. In questo bivio, gli uomini politici non si sanno difendere completamente dai parassiti nè dai bolscevici, e cercano adattare la economia al caso, tamponando a destra e a manca, purtroppo mancando di una direttiva chiara e sicura. Si è smarrita la nozione di diritto e di dovere e dei rispettivi limiti; nozione necessaria perchè ciascuno esegua quanto deve nel campo della solidarietà sociale e cristiana, senza rigettare su altri quel che è proprio dovere, nè rigettare sullo stato quel che lo stato non può nè deve concedere. Compito principale di un governo è quello di dare ai cittadini le opportunità di vita, di aiutare a prepararli alla vita, di regolare i rapporti giuridici in modo da incanalare sul binario


della giustizia e dell'equità anche i rapporti sociali ed economici; concorrere alla educazione della gioventù (non monopolizzarla); creare in clima di libertà le possibilità di scelta. Giustamente si avverte il pericolo della menomazione della personalità umana, e ciò da due lati: la regolamentazione statale e la meccanizzazione economica; fra i due il cittadino, sia lavoratore, produttore, professionista, commerciante, agricoltore, industriale, è ridotto a numero, perde l'iniziativa. È questa l'amara delusione della società moderna; la quale avendo ottenuto il maggior rendimento fin oggi possibile e mai sognato nel passato, non ha ristabilito l'equilibrio economico ( e quindi anche l'equilibrio morale), fra le varie categorie della produzione e dei servizi sociali. Le manchevolezze dell'ordinamento economico-sociale presente sono rese acute dall'aspirazione di rapidi e decisivi miglioramenti sotto le prospettive di rivolgimenti, rivoluzioni, palingenesi. I1 comunismo è divenuto per gli uni una fede; per gli altri un incubo; per tutti un parametro di bene e d i male. Questo ha annullato le nozioni dei diritti e dei doveri, dei rischi e delle responsabilità ed ha tolto l a distinzione fra res privata e res publica. Sotto questa insegna, la solidarietà umana è cacciata via per l a dittatura del proletariato, che poi si riduce alla dittatura di una nuova oligarchia con l'ausilio della burocrazia e della polizia. Non vi sarà più cittadinanza libera, nè fratellanza solidale; ma servitù morale ed economica senza speranza di miglior fortuna D. 28 dicembre 1952.

(La Via, 3 gennaio 1953).

DIALOGO FRA ECONOMIA E FISCO Economia e fisco sono nomi astratti; per essere concreti supponiamo un dialogo fra il ministro dell'economia che chia-


meremo Ecò, e quello delle finanze, Fis. Potremmo scegliere cento temi; ne basta uno. Ecò fa rilevare al collega che in Italia le raffinerie di petrolio hanno la potenzialità di cento e l'effettiva attività di cinquanta; la benzina costa assai cara per via di quella tassazione che è unica al mondo. Aggiunge che l'uso dell'automezzo aumenterebbe con la diminuzione del costo della benzina; sviluppo della industria automobilistica e lavoro per gli operai. Fis risponde che l'attuale tassazione è indispensabile: si ha un rendimento che supera i cento miliardi. Eco non domanda la soppressione della tassa, ma una diminuzione graduale. Oggi, mettiamo, il 10 per cento; quando s i è riparata l a falla, un'altra riduzione del 10 per cento; e così via compensando fin dove sarà possibile la diminuzione percentuale della tassa con l'aumento del gettito per maggior consumo. Giustissimo, replica Fis; ma le finanze debbono mantenere un aumento costante delle entrate annuali per potere rispondere alle aumentate richieste del tesoro. 11 ragionamento non convince affatto il povero Ecò al quale si affaccia l o spettro di un intisichimento progressivo dei vari settori dell'industria, stretti al collo dalle crescenti esigenze del fisco. Ciò non ostante non manca di cortesia nè di solidarietà e dice al collega di tener conto della potenzialità contributiva del paese. Fis ne tiene conto ma non h a voce in capitolo; è il tesoro d'accordo col bilancio ( o viceversa) che debbono tenerne conto. Perciò esiste la commissione della scure. Con questa battuta, l a conversazione si ferma, anche perchè i due ministri sono chiamati di urgenza per partecipare ad una votazione a Montecitorio. Sarà ripresa altra volta. La verità è una: in Italia i ministri funzionano spesso come compartimenti-stagni e non ostante tutti i CIR, i CIF, i CIM, nonchè cc i concerti » obbligatori fra diversi ministri, siamo al caso di Ecò e Fis, che ripeteranno cento volte questo o altro dialogo senza mai venire ad una conclusione coordinata e sistematica. Se si parte dal punto che il gettito fiscale debba aumentare di anno in anno indefinitamente non perchè aumenti propor-

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zionalmente la produttività nazionale, ma solo perchè aumenta l a spesa pubblica, non ci sarà mai nel paese equilibrio economico, bilancia e non bilancia l'attivo col passivo. I o non sono un feticista del pareggio pur non potendo ammettere un deficit pesante e permanente, che finisce col costituire una catena al piede per tutti. Ma neppure si può ammettere quel che ancora oggi è il canone della finanza statale italiana, che non potendosi sforzare il gettito delle tasse dirette, si caricano le tasse indirette, come nel caso della benzina fino a renderne l'uso onerosissimo. I1 dialogo sulla benzina è tipico; altro potrebbe fotografarsi tra Fanfani e Vanoni sul vino, dialogo interzato da Campilli per via dei prodotti sofisticati e dei vini fatti di tutt'altro che uva. Interessantissimo sarebbe un dialogo tra Fanfani e Rubinacci sui contributi agricoli unificati con l'intervento d i Vanoni, che se ne lava le mani come Pilato perchè tecnicamente tali contributi sono oneri previdenziali e che integrano i salari e nulla hanno a vedere con gli oneri fiscali. Nel fatto, gli uni e gli altri non possono essere addizionati, perchè passando dallo schema teorico al fatto pratico si dimostrano quel che veramente sono, oneri sulla produzione. La conseguenza è netta; Fanfani deve constatarla: la piccola proprietà esistente va alla malora. I2 vero, sta per nascere con tutto i l confort moderno (alquanto antieconomico) la piccola proprietà « contadina e « scorporata », che per ora è messa alla luce dai costosi enti di riforma; e non h a accumulato per vivere i secoli di sudore, fame e freddo di quella piccola proprietà che oggi dovrebbe essere premiata ed è semplicemente rovinata. I n questo contrasto fra l'economia privata, specie la piccola e media economia, e lo stato in genere e i l fisco in particolare, c'è una colpa che è nostra, dei singoli, delle confederazioni, dei consorzi, delle camere, di tutti; non sappiamo trovare altro rimedio che proporre sgravi per tutti i settori e per tutte le tasse. S e un ministro delle finanze dovesse attendere ai voti che giornalmente si emettono, dovrebbe mettere alla porta del suo ministero l'appigionasi. I1 sistema degli sgravi è semplicemente da riprovare, tranne quelli che riguardano lasciti e donazioni per


opere di beneficenza, assistenza e cultura, allo scopo di eccitare in tale campo l'iniziativa privata. Per il resto, lo stato ignora gli effetti che gli sgravi producono e il disquilibrio che ne consegue, quali vantaggi o svantaggi ne derivino, e quanto sia il minore gettito finanziario. A parte questa parentesi fuori tema, l'orientamento civico non dovrebbe dirigersi ,verso la più facile soluzione dei problemi, quella della diminuzione delle tasse, ma affrontare il problema centrale della natura delle tasse agli effetti economici di un paese. Le tasse indirette, specie sui consumi popolari, sono le più antieconomiche che possano esistere; ma nessun ministro delle finanze potrà toccarle, perchè il contribuente italiano paga mormorando le tasse sul vino o sulla benzina, ma si rivolterebbe se dovesse pagare una forte percentuale sul suo reddito netto; egli negherebbe a priori di avere un reddito netto. Ciò non ostante, si potrà e si dovrà, con un lavorio assai lento ( e la dichiarazione annuale dei redditi è un buon inizio), arrivare a modificare il sistema, a patto che le società per azioni, quelle che presentano certi bilanci (sono ma non si chiamano falsi tanto per intenderci), paghino come il cittadino modesto che ha intestato a suo nome o a nome della moglie la casa e il podere o il negozio, e che deve pagare ~ e r c h ènon ha mezzi mancini per evadere al fisco. Discutendo, mi son sentito dire essere questi sogni irrealizzabili. E allora conviene che si trovi il mezzo perchè il ministro delle finanze non sia solo nominato per raccogliere i miliardi da offrire al collega del tesoro, ma comprenda la sua funzione regolatrice della economia nazionale, e trovi la strada di intendersi con i ministri dell' agricoltura, industria e commercio. Dico il ministro delle finanze, perchè nei paesi ragionevoli finanze e tesoro fanno unico dicastero; nei paesi esuberanti come l'Italia ce ne sono tre con due titolari (ma non è mancato il caso dei tre titolari). Dati i due o i tre, al concerto si deve arrivare, non attraverso le formalità amministrative, nè attraverso comitati interministeriali (dei quali si fa inutile abuso); ma per costante con-


vergenza di direttive e di metodi e per gerarchica valutazione di responsabilità, in modo che lo stato proporzioni le sue spese non sopra un sempre crescente gettito delle entrate, ma sopra la sopportabilità fiscale della economia del paese e sopra l a più sana e proporzionale distribuzione degli oneri. Uno stato che vuole far tutto, sostituendosi ai privati, nazionalizzando imprese e servizi che possono utilmente essere lasciati al privato, è uno stato che andrà certamente verso la burocratizzazione della economia e l'impoverimento del paese. Auguro che gli italiani del 1953, meglio di quel che non abbiano fatto fin oggi, sappiano resistere a siffatta deviazione, mentre è da sperare che nella battaglia elettorale si metta a base del nuovo periodo legislativo e governativo una migliore intesa fra economia e fisco. 29 dicembre 1952.

(Realtà Politica, 3 gennaio 1953).

PER LA ISTITUZIONE DELL' UNIVERSITÀ DELL'AQUILA Caro Rivera, (*) I1 mio appoggio per una (veramente) libera università degli Abruzzi nella città dell'dquila vale poco, direi pochissimo, in un clima statalista come quello italiano, anche nel 1952, quando si pensa, seriamente ma senza serietà, a statizzare i giardini di infanzia, le scuole materne e gli asili infantili, con l'effetto (infallibile) d i sterilizzare le iniziative private, specie quelle che partono dal cuore. Del resto è nota la sorte riserbata nell'Italia ufficiale dal 1907 ad oggi al metodo Montessori (non all'estero, s'intende). La libertà scolastica si reclama per tutti: infanti, adolescenti e giovani. Auguro, pertanto, che l'Aquila la spunti, e con mezzi

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Vincenzo Rivera, deputato abruzzese.


adeguati, ad avere una università e ad averla, res miranda populo, anche libera. Cordiali saluti pel 1953. aff .mo LUIGI STURZO 21 dicembre 1952.

(Realtà Politica, 10 gennaio 1953).

LE INCOMPATIBILITÀ IN ATTO La procedura fissata dalla legge sulle incompatibilità parlamentari è la seguente: i deputati e senatori che cadono sotto l e disposizioni previste debbono optare fra mandato e cariche incompatibili entro trenta giorni dalla pubblicazione della legge sulla Gazzetta uficiale. Gli accertamenti e le istruttorie sulle incompatibilità sono di competenza delle rispettive giunte delle elezioni, che dalla presidenza della camera o del senato sono investiti dopo i trenta giorni per i casi di inadempienza. Per la camera dei deputati difficilmente la legge può trovare immediata applicazione. Supposto che appaia sulla Gazzetta uficiale fra due settimane, il termine per l'opzione scadrebbe f r a il 20 e il 30 marzo quando probabilmente sarà pubblicato l'avviso per la convocazione dei comizi elettorali. Resterà alla sensibilità dei candidati e alla discrezione dei partiti la presentazione di candidati che, una volta eletti, incorrerebbero nelle incompatibilità di legge. Non sarebbe serio nè pratico ottenere l a soddisfazione di una elezione per poi rinunziare al mandato; in, tali casi la rinunzia dovrebbe cadere dall'altra parte. Diverso è il caso dei senatori incorsi in una delle incompatibilità previste dalla legge. Costoro dovranno dentro il mese previsto optare, ovvero sottoporsi alle indagini e decisioni della giunta delle elezioni. Ne vedremo il seguito. I n contrasto con i timori prospettati nella discussione e sulla stampa che il parlamento verrebbe privato di competenze inso-


stituibili, si ha ragione di essere ottimisti, essendo assai probabile che nel novantanove per cento dei casi l'opzione sarà per il mandato parlamentare, ovvero per l'esame della giunta delle elezioni se i casi particolari si presenteranno discutibili. Debbo aggiungere che la rinunzia alle cariche per mantenere il mandato, secondo me, onorerebbe la persona che la f a e il corpo al quale appartiene, e tranne casi specialissimi d i interessi familiari o di aziende che senza il capo perderebbero credito, tutti dovrebbero dar prova di civismo e di senso di responsabilità. Mi piace credere che ciò avverrà, e che i casi eccezionali saranno pochissimi e giustificati. La legge votata prevede tre tipi principali di incompatibilità: le cariche in enti pubblici o privati coperte per nomina o designazione del governo o di organi dell'amministrazione dello stato; - le ca. riche amministrative e direttive in enti che gestiscono servizi per conto dello stato o sovvenzionati dallo stato; - le cariche in istituti con attività finanziarie. La prima crea una dipendenza o gerarchizzazione del parlamentare dal governo; la seconda, oltre la dipendenza, crea u n contrasto di funzioni tipizzate con la frase di « controllaticontrollori »; la terza, oltre la gerarchizzazione (dipendenza dalla vigilanza e dal comitato interministeriale del credito e dal tesoro) e in certi casi il contrasto di funzioni (controlloricontrollati), dà luogo alla formazione di facili clientele elettorali nell'esercizio del credito. Nei tre casi, ci sarebbe sempre - più o meno secondo i posti se importanti o no - la incompatibilità derivante dal cumulo di cariche, del quale si abusa in maniera veramente eccessiva, tanto da rendere veramente difficile l'adempimento regolare del mandato parlamentare. Si è detto che questa materia appartiene al costume e non alla legge positiva. Non esageriamo; in tutti i paesi esistono leggi che precisano un certo numero di incompatibilità, lasciando il resto alla tradizione, al costume, all'accorgimento politico dei capi di governi e di partiti. Noi ci trovavamo in carenza: la costituzione prescrive tassativamente che u la legge (non il costume) determina i casi d i ineleggibilità e di incompatibilità » (art. 65). La prima fu


fatta, la seconda no, fino alla presente. Era necessario che venisse fatta, specie alla vigilia delle elezioni: ecco tutto. Questo non toglie che il costume debba precedere o seguire l a legge aggiungendo la nota più elevata; e che la sensibilità personale debba essere l'aroma della vita pubblica. I1 prof. Dell'Amore, nominato presidente della Cassa di risparmio delle province lombarde, si dimise dalla carica di presidente della giunta provinciale. Non ricordo che ci sia una disposizione d i legge in proposito, ma se non c'è, il gesto di Dell'Amore è più apprezzabile per la sua immediatezza. Un altro signore, del quale non fo il nome, tiene da quasi due anni due nomine governative i n due città distinte per importanti enti di diritto pubblico ( e credo che ne percepisca gli stipendi), senza ancora decidersi all'opzione. Non c'è una legge ; c'è un costume; si dice che ci sia stato un suggerimento ministeriale (perchè no un'ingiunzione?); ma i mesi passano e le sensibilità personali si attenuano. Ecco il perchè della legge; la quale dovrebbe estendersi al campo degli alti papaveri della burocrazia, che arrivano a tenere quattro, sei, dieci posti in consigli di amministrazioni e in collegi di sindaci. Se la legge tace, se il costume è falsato, se i ministri cedono alle pressioni dei funzionari, se il parlamento , tollera, l'opinione pubblica ha il diritto di protestare, di ribellarsi. I1 sottosegretario Lucifredi al senato, il 4 febbraio, nella sua dichiarazione a nome del governo, accennò a disposizioni riguardanti la incompatibilità dei funzionari che rivestano il mandato parlamentare. Questo capitolo doveva figurare nella legge testè approvata; ma la commissione della camera dei deputati fu di avviso di rimandarlo ad altra legge sia per ragioni di opportunità, sia per coordinarla con le disposizioni proposte dall'on. Bellavista nei riguardi del personale del demanio dello stato. Chi scrive espose al senato le proprie vedute sul problema dell'impiegato-deputato o senatore, sostenendo la necessità di fissare l'obbligo della cessazione della funzione, pur ritenendone il posto, per l'impiegato, il magistrato, il militare e l'in- . segnante; e ciò per la impossibilità di adempiere contemporaneamente e bene al mandato e al servizio. Aggiunse allora e

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- Srr-n20 . Politica di

queati anni.


aggiunge ora l'opinione favorevole al ripristino del numero chiuso dei deputati e dei senatori elettivi che siano funzionari statali, non essendo tollerabile nè la trasformazione del parlamento in una assemblea di dipendenti statali, nè la formazione di larghi vuoti nei servizi statali per la durata di quinquenni e sessenni ripetibili ad ogni legislatura. Tali provvedimenti dovevano essere adottati all'inizio della legislatura (la chiamo così per intenderci); oggi non c'è più tempo nel mese e mezzo che avanza fino allo scioglimento della camera dei deputati; occorre provvedere in tempo prima della scadenza del senato, per evitare il perpetuarsi di u n sistema che manca di chiarezza, di distinzione di responsabilità, di precisazione di compiti e di larghezza di vedute. Perchè, in sostanza, non è vero, come si lamenta da molti per un vero strabismo politico, che la legge sulle incompatibilità impoverisca il parlamento delle competenze in materia economica e amministrativa; è invece vero che la classe politica italiana è ancora ristretta a un migliaio di persone, delle quali solo un centinaio o due conoscono la molteplicità di cariche ministeriali, amministrative e finanziarie, formando una quasi oligarchia chiusa e riservata. Gli altri sono o fuori della porta aspettando un turno che non arriva mai; ovvero esclusi a priori dalla vita attiva delle amministrazioni di enti statali dove appaiono solo i funzionari privilegiati, i Crudeli, i Balducci, i Bolaffi, i Silvestri, i Jaski, i Ferrari-Aggradi col seguito di trenta o quaranta altri nomi, che si leggono spesso sulla Gazzetta ufficiale. Ci sono anche i fortunati del CLN che poterono avere rappresentanze locali e centrali negli enti ereditati dal fascismo, od introdotti negli enti di nuova creazione. Così da posto in posto si fa dagli interessati una individuale collezione, vita natura1 durante. Posti gratuiti, a rimunerazione fissa, a gettoni o partecipazioni, con uso di automobile, con servizi di segreteria ... Ci sarebbe da fare oggi un elenco più vistoso che non fu quello dell'assemhlea costituente allegato alla relazione della commissione .degli undici in data 18 febbraio 1947. 8 febbraio 1953.

(La Stumpo, 13 febbraio).


IMPIANTI ELETTRICI Da poche settimane è in funzione i l provvedimento presidenziale per le nuove tariffe elettriche, pubblicato sulla Gazzetta ufficiale del 23 gennaio, e nell'opinione pubblica sembra già scontato ritenendolo u n decisivo primo passo verso l'attesa unificazione nazionale. I1 mezzogiorno, anche se non riceve sensibili miglioramenti, ritiene i l già fatto come u n buon inizio. È vero che è occorso un quinquennio fra il primo voto emesso dal comitato permanente per i l mezzogiorno nel gennaio 1948 e il provvedimento del gennaio 1953; ma quando il tempo è passato non si conta p i ù ; lo possiamo guardare come inevitabile tributo al sistema dell'economia controllata, che deve giocare fra i monopoli privati e le impreparazioni burocratiche, fra le insidie capitalistiche e gli scogli parlamentari. 11 parlamento questa volta c'è entrato solo come spettatore, ascoltando e replicando; il consiglio dei ministri c'è entrato per dare qualche direttiva; è spettato al comitato interministeriale prezzi la decisione; tesoro e ragioneria non ne hanno saputo nulla, trattandosi di materia fuori bilancio. Senza tanto chiasso, si è allargato i l fondo conguaglio esistente per la produzione termoelettrica; si è ammesso una specie di travaso di fondi fra gli esistenti e i futuri; saranno le perdite per abbassamenti di tariffe e i maggiori costi di produzione dei nuovi impianti dal 1949 in poi compensati con i l versamento che le imprese interessate faranno alla cassa conguaglio. I1 sistema si presta a :riserva di fronte a rigidi criteri amministrativi della cosa pubblica. Purtroppo, la paura che si ha della libertà economica ( e l e correnti di sinistra di tutti i partiti dimostrano di confonderla con il liberalismo manchesteriano di un secolo fa) obbliga lo « stato (in Italia si dice: stato, fuori si dice: amministrazione o governo) a mettere da parte le regole classiche e i controlli parlamentari e creare l e gestioni fuori bilancio. I1 mezzogiorno non può dirsi pienamente soddisfatto del provvedimento che, limitato alle tariffe e alla cassa conguaglio,


nulla ha disposto (perchè fuori della competenza specifica del CIP), circa l e reti di trasporto e di distribuzione. I1 CIP si è limitato, al capitolo VII, a ritoccare le tariffe di allacciamento. Molti comuni e centri rurali del sud mancano di reti di trasporto, e le spese relative, essendo elevate, non possono farsi cadere nè sugli utenti, nè sulle società di distribuzione, o sugli enti pubblici. Si tratta d i regolare la materia ex novo, distinguendo le distanze normali da quelle eccezionali, e farvi concorrere comuni, province e stato da un lato .e imprese dall'altro. Chi ignora che nel mezzogiorno, ad eccezione delle zone vesuviane ed etnee e poche altre costiere, le distanze fra i centri abitati sono enormi, mancando quella contiguità abitata che arriva in dati casi a formare catene quasi ininterrotte? Regolare questa materia, occorra a no una legge, è per molta parte del mezzogiorno una necessità impellente. Questo da cinque anni si chiede, e vi si insiste oggi, per rendere efficaci le provvidenze recenti nelle zone dove manca una discreta, o anche elementare, rete di distribuzione. Ancora un passo per integrare il gi.à fatto fin oggi dal ministero dei LL.PP. o dalle imprese nei riguardi dei principali elettrodotti. Dopo l e molte difficoltà frapposte alla volontà governativa, l'anno scorso s i diede solenne inizio ai lavori dell'attraversamento elettrico dello stretto di Messina. Oggi si afferma che alcuni soci ;della « Comunione n (così si chiama l a società concessionaria) non vogliono più saperne e l a Generale elettrica sembra sia rimasta sola nel ballo. Si va avanti nonostante tutto ; mettiamo questo all'attivo. E la dorsale nord-sud fino allo stretto? Le società elettriche vi si obbligarono quando il ministro Ivan Matteo Lombardo elevò l e tariffe a 24 volte il 1942; si doveva completare l a dorsale insieme ai 59 impianti elencati nel provvedimento dell' 11 agosto 1948. Da allora ad oggi si trascina la costruzione lentamente, e per giunta la potenzialità della parte costruita è inferiore alle esigenze tecniche al punto da esigere l a costruzione di altre linee concorrenti sino a Roma e anche Napoli. Dopo la costituzione della Finelettrica fra le società elettriche controllate dall'IRI (che nell'estate scorsa emise sette miliardi


di obbligazioni decennali che furono coperte in ventiquattr'ore, mostrando di possedere in partenza una fiducia assai promettente) si può pensare a far completare da questa gli elettrodotti sospesi o che mancano. La mia antipatia per gli enti statali e pseudo-statali sarebbe, per il caso della Finelettrica, attenuata per due motivi: primo che l a Finelettrica non ha carattere monopolistico e non dovrebbe funzionare come se lo avesse, cercando protezioni speciali da parte dello stato; secondo che potrebbe fare da contrappeso al monopolio di fatto che esercitano oggi le altre societ,à elettriche. Ciò potrà avvenire quando gli elettrodotti siano a disposizione di tutte le società produttrici e di tale portata da mettere in completa comunicazione il nord col centro e con il sud, e viceversa, per un continuo intercambio di energia prodotta. Da qualche tempo le imprese elettriche dell'IRI (oggi Finelettrica) stanno ~ o r t a n d oavanti l'elettrodotto per Genova (Cornigliano). Sarebbe ottima cosa che la dorsale fino allo stretto di Messina fosse data alla Finelettrica se l'attuale concessionario non ha voglia di portarla a compimento; tanto più a buon diritto andrebbe alla Finelettrica, essendo in sue mani una parte cospicua delle azioni SME. Altra linea per integrare il circuito è quella che da Civitavecchia va a Firenze-Bussolengo, in modo da stabilire una libera circolazione per tutti gli impianti; ma già è satura al cominciare. Per soddisfare tutte le esigenze occorre che lo stesso complesso della Finelettrica abbia quella autonomia associativa che oggi non c'è, per il fatto che le stesse società della Finelettrica, sotto l'aspetto confederale, sono associate con le altre e ne dipendono. Se questo programma viene attuato si potrà col tempo arrivare allo sblocco delle tariffe e alla libera concorrenza elettrica, in modo da smontare sia i monopoli privati sia gli interventismi statali, e abolire perchè inutili tutte le casse conguaglio fatte di autorità e gestite fuori bilancio. 15 febbraio 1953.

(La Stampa, 20 febbraio).

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MESSAGGIO AL CONVEGNO DEI COMUNI Ill.mo presidente sindaco di Roma, (*) La ringrazio dell'invito ad aderire all'assemblea generale dell'associazione dei comuni italiani aderenti al convegno dei comuni che si terrà a Genova in questi giorni; se potessi vi parteciperei d i sicuro, tanto importanti e decisivi per l a ripresa della vita nazionale sono i problemi dell'organizzazione e della attività municipale. Due sono i capisaldi di una politica degli enti locali: una finanza sufficiente e ben inquadrata nel sistema tributario nazionale, in modo da risultare soddisfacente alle esigenze dei comuni, e allo stesso tempo adattabile ai vari tipi dei comuni interessati; un'autonomia amministrativa che rispettando l e libertà comunali contribuisca a sviluppare negli amministratori il senso di responsabilità dei propri atti. I1 ritardo ad applicare i criteri della costituzione sui due punti sopra indicati non giova alla vita locale, e ne acuisce 10 stato di depressione. E mentre i problemi locali con la ripresa della vita na. zionale accrescono di numero e di importanza, è necessario che il ritmo amministrativo locale vi si adegui, sia per mezzi SUEcienti, sia per ammodernamento tecnico, sia per celerità burocratica. Ai comuni italiani, affratellati e solidali nello spirito democratico e nazionale della presente rinascita, mando i più fervidi auguri di lavoro serio e di decisioni ponderate, nella difesa della propria autonomia e nella tutela degli interessi delle rispettive popolazioni. Accetti i miei omaggi dev.mo

LUIGISTURZO 28 febbraio 1953.

(Il Popolo, 3 marzo).

(*) Salvatore Rebecchini, sindaco di Roma e presidente dell'associazione nazionale dei comuni italiani.


AI GIOVANI DEMOCRISTIANI DI CATANIA Caro Consoli, (*) Mi è pervenuto graditissimo il telegramma di saluto dei giovani democristiani di cotesta provincia, vostra e mia. Auguro a tutti salda preparazione morale e tecnica per le attività pubbliche cui potere aspirare, sia nel campo delle organizzazioni politiche e sociali proprie, basate su metodi democratici; sia nelle amministrazioni locali private e pubbliche portandovi austera correttezza e rigoroso rispetto dei diritti altrui; sia infine nel campo regionale e nazionale, come elettorato, come opinione pubblica e se, a suo tempo, eletti, come degni rappresentanti di una democrazia cristiana « senza macchia e senza paura D. Cordiali saluti LUIGI STURZO 4 marzo 1953.

( I l Popolo, 6 marzo).

LETTERA ALLA CONTESSA AMALIA DI VALMARANA Gentilissima presidente, (**) Avrei voluto essere presente alla inaugurazione del V" congresso nazionale del centro italiano femminile e unirmi agli entusiasmi dell'assemblea vibrante di fede e di sentimenti di dedizione al bene della nostra Italia. Le mie condizioni di salute non mi permettono tanto; e per non mancare di risposta al suo gentile invito, mando la mia adesione con i più fervidi auguri per l'esito del congresso (*) Delegato dei gruppi giovanili presso il comitato provinciale democratico cristiano di Catania. (**) Contessa Amalia di Valmarana, presidente del centro italiano famminile. In occasione del V congresso nazionale.


e l'attuazione fervida costante coraggiosa dei fini del centro e dei rinnovati propositi di lavoro. I1 contributo femminile alla rinascita del nostro paese è necessario e doveroso; nessuno può mancare all'appello; ma nessuno può fare da sè solo senza l'unione insieme ad altri, in organismi che diano affidamento di rettitudine, di capacità e di morale responsabilità. I1 CIF è uno. dei più qualificati per la concezione cristiana della vita, l a dedizione alla causa del bene e l'attività realizzatrice. Accetti, gentilissima presidente, i miei devoti omaggi e distinti saluti LUIGI STURZO 5 marzo 1953. ( I l Popolo, 6 marzo).

PROGRAMMA ELETTORALE Note preliminari Ogni partito farà il suo programma elettorale; ma altra è la posizione dei partiti di opposizione che non hanno possibilità di assumere la responsabilità del potere; altra quella d i piccoli partiti che intendono partecipare al governo secondo le proprie convenienze e aspirazioni; altra infine quella d i un partito di governo che ne ha la maggiore responsabilità. I n America o in Inghilterra, i l programma serve a orientare gli elettori nella scelta del governo che desiderano sia insediato l'indomani delle elezioni. Noi in Italia non abbiamo ancora questa soddisfazione; siamo sopra un passo obbligato: democrazia cristiana con contorno di partiti apparentati; ovvero il temuto salto nel buio se arrivassero al traguardo comunisti e compagni. Ci sono quelli che proverebbero un certo gusto a vedere a l governo questi ultimi, così per prova, ma sembra lo dicano sol perchè non è in prospettiva; se lo fosse, farebbero come quei comunisti degli Stati Uniti condannati a scegliere fra il


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ritorno i n Russia o il carcere in America: hanno preferito il carcere. Tutto sommato, ora come ora in attesa di un futuro non ancora prevedibile di qui a cinque anni ( m a umanamente possibile), dobbiamo conchiudere che ci interessa conoscere soprattutto il programma dei democratici cristiani, perchè a l giugno 1953 saranno essi che comporranno i l nuovo governo, con due, tre o quattro partiti apparentati; saranno essi che avranno l a maggioranza o l a quasi maggioranza alla camera; saranno essi che tenteranno nel 1954 di avere la maggioranza a l senato; e saranno essi a tenere i n mano la direttiva politica. I1 programma dei democristiani sasà accettato o combattuto, appoggiato o criticato, non tanto sul piano ideale ma proprio su quello di una realtà in attuazione; mentre gli altri, per quanto interessanti, esprimeranno dei desideri e delle aspirazioni da potersi rendere attuabili in una situazione diversa. Per la stessa ragione a me, come libero cittadino e come rappresentante politico, interessa concorrere alla formazione della pubblica opinione circa il nuovo programma del partito di maggioranza, e scrivendo il presente articolo, anche se non sortirà alcun effetto, intendo adempiere un dovere civico. Lascio fuori d'esame quel che è stato fatto fin oggi e merita di essere continuato, con quei ritocchi e miglioramenti che l'esperienza e la buona tecnica suggeriranno. Lascio fuori anche i disegni di legge che trovandosi avanti la camera fra qualche mese andranno agli archivi, per lasciare pulito il posto alla prossima legislatura: la chiamo così perchè deve essere ripresa la serie storica delle legislature italiane. Parliamo dell'avvenire e non del passato, che bene o male, è quello che è: dicevano gli antichi: factum infectum fieri nequit; non si può i l fatto ridurre alla non esistenza: bene o male esiste. Sarà bene anzitutto conoscere quale sorte sarà serbata a quelle proposte o idee discusse nel quinquennio la cui importanza è tuttora sentita nel paese. Dal complesso materiale spigoliamo cinque problemi che secondo noi dovrebbero essere risolti nel primo anno della nuova camera.


1) Riforma burocratica: c'è già il disegno di delega governativa che è un impegno del partito di maggioranza. Sarà mantenuto? Vada nel programma elettorale. 2) Riforma del senato: non c'è impegno governativo o di maggioranza, ma la discussione fra partiti e sui giornali ha portato ad affermarne l'opportunit,à. Essendo prossima la fine dell'attuale senato (aprile 1954) sarebbe doveroso decidere entro il 1953 sull'opportunità e sugli eventuali limiti della riforma, nonchè sulle più o meno conseguenti modifiche al sistema elettorale senatoriale. I1 partito ci farà sapere quali impegni intenda prendere al riguardo. 3) Finanza degli enti locali: dopo la poco felice legge Vanoni sulle finanze locali e i l necessario ripetuto ricorso ai fondi e ai mutui integrativi (con la strana sperequazione fra comuni e provincie delle quattro regioni e quelli del resto del paese), la situazione degli enti locali è tale da imporre i l ritorno sul tema dentro il 1953. Sarà bene curarne un impegno orientativo e concreto. 4) Legge sindacale: tra tanti elementi attivi forniti dal parlamento del 1946, si trovano passività ingiustificabili. La mancata legge sindacale è una delle più notevoli; colpa dei dissensi fra D.C. e sindacalisti, fra D.C. e partiti di centro democratico, che hanno paralizzato il parlamento. Non mi pare che il partito più responsabile abbia fin oggi preso u n impegno decisivo p e r finirla con una situazione legalmente deficiente e politicamente dannosa. 5) Altra lacuna nell'attività legislativa del quinquennio, che dovrà essere colmata di sicuro prima della fine del sessennio senatoriale ; la mancata attuazione di alcuni istituti previsti dalla costituzione (referendum, consiglio superiore della magistratura, regioni, organi d i vigilanza degli enti locali) e di varie leggi indicate nella costituzione e non ancora proposte, fra l e quali quella che assicuri 19indipendenza del consiglio di stato e della corte dei conti di fronte al governo 1) (art. 100). Forse ciò interesserà poco i l pubblico elettorale, tranne gli uomini di legge e u n po' coloro che pigliano la politica dal lato serio; non si può mettere in dubbio che le basi giuridiche d i uno stato siano d i primaria importanza. Infine diamo lo stesso grado di impor-


tanza, benchè per il gran pubblico ne abbiano di più, alle questioni economiche, nelle quali lo stato italiano va interferendo ogni giorno di più, facendosi la parte del leone. Più volte, manifestando ,i miei dubbi, non ho risparmiato le mie critiche alla tendenza statalizzatrice, al parassitismo annidato negli enti statali, parastatali e pseudo statali, alla creazione di monopoli statali aperti e criptici, alla formazione di grandi manomorte pubbliche intangibili, allo sperpero di denaro che comporta l'impalcatura di un'economia di stato (specie nel campo del commercio); andando verso la formazione di eserciti impiegatizi e l'attuazione di un socialismo di stato anticamera del comunismo. E vero: nell'estate scorsa quattro somme autorità responsabili del partito e del governo: De Gasperi, Gonella, Pella, Campilli, hanno riaffermato la necessità di dare maggiore respiro alla iniziativa privata. Non posso dire se i fatti abbiano avuto tale impronta, anche se le intenzioni non siano mancate; io non voglio qui recriminare sul passato; desidero presentare le mie vedute per l'avvenire. È augurabile, pertanto, che il partito di maggioranza si renda conto della necessità di potenziare l'iniziativa privata e d i farne sviluppare le attività. Ciò per due motivi di evidente rilievo in confronto del passato quinquennio, perchè si prevede nel prossimo quinquennio la diminuzione di aiuti in dollari da parte americana e l a diminuzione, se i costi di produzione nostrana si mantengono alti, delle prospettive di un commercio con l'estero atto a coprire i l fabbisogno di moneta pregiata. L'economia statizzata, in tali condizioni, sarà impotente a superare da sè le difficoltà delle due fasi sopra prospettate ; deve contare senza fallo sulla iniziativa privata. Le crisi economiche sono come l e malattie. Lo stato deve fare da medico e non da ammalato; deve operare come il buon medico che agevola la ripresa della natura; non la sopprime, nè vi si sostituisce; abbrevia per quel che può i l tempo perchè l'ammalato si riprenda ; può servire il colpo di frusta, la scossa elettrica, il taglio chirurgico ; non servirà mai a cambiare cervello o cuore. Lo stato al posto degli organi della economia privata mette organi statizzati : cervello, cuore, braccia.


Breve: il pregiudizio è tutto comunista, in gran parte eredità di un socialismo miracolista, che stimando l'economia privata esclusivamente speculatrice, celebra quella statalista : demagogia rifritta! Lo stato si surroga al privato solo dove il privato non può arrivare nè da solo, nè associato ; ovvero quando l'impresa è necessaria ai servizi pubblici, ma è condannata in partenza a perdere, come nelle ferrovie d i stato. L'Italia paga un tributo annuo alla sua lunghezza e alla povertà dei suoi traffici, addossando a tutti il deficit ferroviario, quello necessario e quell'altro non necessario, dovuto alla inflazione impiegatizia e alla incapacità di ogni azienda pubblica a contenere le spese. Ecco tutto. Potrei continuare, mi fermo qui; domandando ai capi del governo e ai responsabili del partito di maggioranza se non credano di dover rivedere, nel campo della economia, parecchio. di quel che è stato fatto finora in materia di liberalizzazione interna, visto che si corre bene in materia di liberalizzazione estera, anche se gli altri paesi non corrano alla pari. 3 marzo 1953.

( L a Stampa, 8 marzo).

PRO E CONTRO LO SCIOGLIMENTO DEL SENATO Fino al 29 marzo si poteva discutere sulla opportunità o meno di richiedere lo scioglimento del senato, perchè l'ostruzionismo impedendo la discussione e votazione del disegno di legge elettorale, avrebbe fatto ritardare la decisione oltre i termini legali della rinnovazione della camera. Dopo la seduta del 29 marzo si discute invece sullo scioglimento stesso come un appello al paese, perchè si pronunzi sulla situazione parlamentare e politica. I1 giudizio d i opportunità di un appello che involga le due camere insieme, elevando il piano elettorale di rinnovo normale della camera dei deputati, ad un giudizio sulla condotta dei partiti nelle due camere e sulla situazione politica che


ne è derivata nel paese, appartiene, a titolo di iniziativa, al governo. Se manca tale iniziativa, costituzionalmente non può essere presa da altri; ma moralmente l'opinione ~ u b b l i c aavrebbe il suo diritto di intervenire, pro o contro s'intende, sollecitando ovvero opponendosi a che il governo sottoponga la proposta al presidente della repubblica, il quale, sentiti i presidenti della camera e del senato, decide pro o contro. Se nel caso di conflitto, il governo rassegna le dimissioni, il presidente della repubblica potrebbe rinviarlo avanti le camere per ottenere la fiducia e provvedere di conseguenza. Ho voluto ricordare al lettore l'iter costituzionale, perchè trattandosi di un primo caso assai caratteristico e non tenendo presente la storia parlamentare italiana, a molti sembra che lo scioglimento delle camere debba ritenersi un atto di violenza, un abuso di potere, una mancanza di rispetto della volontà popolare già espressa cinque anni fa e ancora valevole, nel caso del senato, per un altro anno. Niente di tutto ciò; in ogni momento della legislatura per motivi sufficienti l'appello al paese è un atto sostanzialmente e proceduralmente democratico, un modo di far giudicare al corpo elettorale la situazione in quanto già modificata d a quella del momento elettorale in cui furono nominati deputati e senatori. Che sia oggi modificato lo spirito del paese lo ammettono tutti: c'è chi dice che la D.C. non ha più la maggioranza del 1948; - e pensare che al senato avrebbe avuto la maggioranza se per un colpo di testa della costituente non fossero stati immessi in quel corpo elettivo 107 senatori di diritto; - c'è chi dice che la maggioranza della D.C. si sia spostata a destra; altri che si sia spostata a sinistra; non mancano quelli che affermano il disinteresse del pubblico alla vita politica, perchè non si crede più nella democrazia. Sarà così o no (ricordare che all'inizio del regime costituzionale italiano era difficile portare alle urne più del 50 per cento degli elettori, che allora appartenevano solo alle classi colte e censite); è questo proprio il caso di sentire il polso del paese non solo per la camera ma anche per il senato ; in modo che il nuovo parlamento risponda meglio all'orientamento nazionale, e lo stesso senato sgombri da sè


le scorie di un provvedimento temporaneo che fu creduto rispondente al clima collaborazionista dei comitati di liberazione vigente nel 1947 e oggi scomparso. Che sia scomparso del tutto un tale clima è stato dimostrato al senato, con lampante evidenza, nel pomeriggio del 29 marzo, quando la minoranza socialcomunista si è ribellata al presidente Ruini ed ha iniziato una scena di vituperi e di violenze inaudita. La maggioranza ha risposto con la resistenza compatta di coloro che accettando una sfida giocavano con l'ultima carta. Gli articolisti che con il voto del 29 marzo scrivono che il parlamento h a vinto non distinguono fra la vittoria della maggioranza e il costo della vittoria. I1 29 marzo la maggioranza, paralizzata da un ostruzionismo sopraffattore e distruttivo e dall'abuso di sottigliezze regolamentari, nel tentare l'unica via di uscita continuando la seduta senza tregue, rinunziando a parlare e carpendo il momento per votare la legge, ha esercitato i l suo diritto di summum jus, che non era che la risposta al summum jus regolamentare della minoranza. La fermezza del presidente ha reso possibile la manovra, smontando l'opposizione, che si è allora abbandonata al più volgare sabotaggio e alle violenze di parole, di gesti e di azioni, indegne non dico del ,senato, ma di qualsiasi accolta di persone di bassa educazione. 11 conflitto non è stato moralmente e parlamentarmente sanato; allo stato delle cose, non è sanabile; sia perchè l'estrema h a fatto appello ai sindacati operai dello stesso colore ( u n appello di parte al quale dovrebbe rispondere un appello al paese) ; sia perchè la lotta elettorale si presenta di un'eccezionale portata sul terreno della costituzione, di fronte all' « anti-costituzione » ( l e accuse sono reciproche e il paese ha il dovere di pronunziarsi); sia perchè il funzionamento del senato è compromesso dagli insulti lanciati al presidente Ruini, come se egli avesse parteggiato per gli uni a danno degli altri nel volere stroncare l'ostruzionismo dilagante in temi estranei all'ordine del giorno, con pretesti di richiami al regolamento o a fatti personali semplicemente inesistenti. 1 regolamenti sono strumenti per il funzionamento e non per l'arresto della macchina legislativa. Si è detto e ripetuto


che se il ferroviere volesse applicare le norme regolamentari che riguardano la trazione, i treni resterebbero fermi; ed è così in Italia, dove i regolamenti per prevedere tutti i casi e per la loro minuziosità procedurale non lasciano un angolo libero alle responsabilità dei dirigenti; ma anche altrove, dove i regolamenti sono meno stretti e le applicazioni sono adattabili a i casi, accadrebbe più o meno lo stesso. Se nell'applicazione degli attuali regolamenti parlamentari non si è paralizzata la macchina legislativa, si deve al buon volere delle opposizioni, e non poche volte allo spirito di compromesso, e anche di debolezza, da parte della maggioranza. Una volta preso il gusto dell'ostruzionismo, una volta offeso il presidente dell'assemblea nella sua equanime autorità, non è più possibile ridare al senato la sua posizione morale senza il giudizio, meglio senza il lavacro elettorale. Si obietta che le elezioni del senato dovrebbero essere precedute da una discussione a fondo sulla possibile riforma, la quale nel caso di scioglimento verrebbe ritardata di parecchio, anche di un sessennio. Ebbene, coloro che sono per la riforma, la mettano come piattaforma delle elezioni di oggi e la facciano maturare nella coscienza del paese; mentre è da ritenersi inattuabile nell'ambiente convulso del senato del 29 marzo. I1 responso elettorale è necessario anche per la riforma, se deve venire; il paese deve prima con il suo voto rimettere il parlamento nella dignità di supremo organo della nazione ed espressione reale della volontà popolare. 30 marzo 1953.

( I l Giornale d'Italia,

lo

aprile).

CINQUE ANNI DI PARLAMENTO Uno sguardo retrospettivo al primi parlamento repubblicano può essere fatto da molti punti di vista; in periodo di lotta politica per il rinnovo delle due camere prevale quello elettoralistico. A me piace esaminare il problema della funzio-


nalità dell'istituto e delle possibili correzioni, sia pure con riflesso a quel che possa di più interessare l'opinione pubblica durante la presente campagna; i candidati al parlamento dovranno anch'essi, una volta prescelti, tenere presente quel che li aspetta, e quel che da loro aspetta il paese. Le statistiche ci diranno che i disegni e le proposte di legge forse avranno superato tre volte il migliaio e che le leggi, passate alla Gazzetta ufficiale, siano per toccare i due mila. Ci saranno coloro che in ciò vedranno un'attività encomiabile; a guardarvi dentro, si ha la convinzione che l'ammalato ( i l paese) sia stato trattato con medicinali in abbondanza, probabilmente antibiotici dati a vanvera da medici inesperti, dimentichi della legge suprema : quella d i agevolare la natura a riprendersi da sè. Le stesse leggi che hanno per fine il funzionamento degli organi della vita pubblica vanno fatte con prudente dosatura, perchè anche gli organismi politici hanno una loro crescita naturale e non maturano a colpi di disposizioni giuridiche. La legge serve a sanzionare i fatti e darvi valore giuridico, oppure a guidare l'azione per maturare i fatti che cadono sotto la sanzione legale. Governo e parlamento prendano, quando occorre, la iniziativa, ma siano cauti nel volere regolamentare tutto e tutti; finiranno col fare leggi che non si osservano e creare un intrigo nel quale essi stessi vengono irretiti. Anche in materia economico-sociale, senza I'ambientazione precedente e senza i consensi dell'opinione pubblica, la legislazione costruisce muri invalicabili, ostacoli legali, ingerenze disturbanti, che rendono più difficile la vita di un paese e il suo naturale svolgimento. Sembrerà strano ma non è: di due mila e più leggi, una buona metà sono state di carattere amministrativo e regolamentare; queste in altri paesi, dove la democrazia è più radicata e meno ombrosa che in Italia, sono di pertinenza del potere esecutivo, ovvero sono sbrigate con leggi-cornice, lasciando ai regolamenti ministeriali l'attuazione normativa. Nessuno potrà convincermi che per aumentare un posto fra i bidelli di un collegio scolastico, si chiami Maria Adelaide o regina Margherita, ci sia bisogno di una legge; nè che la legge sia necessaria per varare uno statuto universitario o per aggiungere una materia

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di insegnamento in una facoltà; cose che possono essere fatte senza disturbare il parlamento, dai relativi consigli di amministrazione, sol che fosse lasciata loro una certa libertà discretiva e sia messo a loro disposizione un fondo annuale, al cui buon uso 'basterebbe l'approvazione ministeriale, sentite o no, secondo i casi, le sezioni competenti del consiglio superiore. Si eviterebbero anche certe leggine di iniziativa parlamentare fatte « su misura », e certi intrighi politico-personali di corridoio o di commissione. La confusione che esiste nel sistema italiano fra norma legislativa e norma regolamentare ha portato a formulare leggi interminabili con centinaia di' articoli, specie se si tratta di personale statale, da rendere assai ardua l'attività tecnico-legislativa che non è materia adatta per deputati, senatori e relativi e partiti; sarebbe assai più semplice e più utile che la legge indichi per sommi capi i diritti e doveri fondamentali del personale e ne autorizzi la spesa, lasciando al consiglio dei ministri, sentito il consiglio di stato, l'approvazione dei relativi regolamenti. Due sono le cause che hanno portato a tanta aberrazione: d a un lato la sfiducia verso il potere esecutivo, dovuta in parte all'istinto diffidente dei popoli latini e in parte ai metodi invadenti del passato regime; dall'altro, lo spirito sindacale introdotto nell'organizzazione burocratica italiana e la larga partecipazione impiegatizia ai posti di senatore e di deputato. Questo ultimo rilievo mi porta a reclamare una legge che fissi un numero chiuso di impiegati statali alla camera e una qualifica, oltre il numero chiuso, di alte rappresentanze degli statali al senato. La misura è necessaria; è colpa della opinione pubblica il non averla reclamata prima delle elezioni del 7 giugno, sì da dovere attendere, nella migliore ipotesi, un altro quinquennio per una simile legge, e intanto subire in parlamento la pressione impiegatizia, non sempre rispondente agli interessi della pubblica amministrazione. Con lo stesso disordine caotico con il quale sono stati presentati a centinaia disegni e proposte di legge riguardanti il personale statale e parastatale, hanno affollato il parlamento quelli a favore dei lavoratori pubblici e privati, a tipo sinda-

- SÌOLZO- Politica

2%

di queati anni.


cale, assistenziale, presidenziale ed economico. È mancato u n criterio direttivo e organico. Per il periodo del dopo guerra era il consiglio dei ministri ad avere poteri parlamentari; prima l'esarchia, poi il tripartito con certo controllo della costituente; si fece quel che era possibile, in un ambiente nel quale i bisogni erano immensi e l a demagogia illimitata. Questo clima fu travasato nel primo parlamento dal sindacalismo operaio unificato e dalla partitocrazia dei gruppi. I1 governo fu posto spesso fra l'incudine e il martello: essere accusato di insensibilità se difendeva la lira ovvero essere inabile a mettere un po' d'ordine se i prezzi di mercato andavano crescendo ogni giorno di più. Per giunta, il sindacato operaio non ha avuto in parlamento il dialogo con il sindacato dei datori di lavoro; questo dialogo doveva avvenire in altra sede, nel consiglio della economia; i cinque anni passati non sono bastati a darvi vita. Ci sono state due preoccupazioni: quella di svuotare la demagogia parlamentare voluta dalla partitocrazia di qualsiasi colore perchè la più facile e creduta elettoralmente vantaggiosa; l'altra d i aggiungere una quinta ruota al carro con un consesso che avrebbe ritardato il funzionamento della macchina legislativa. Errori grossolani, l'uno e l'altro; fa meraviglia che siano maturati nel subcosciente politico italiano. Con il consiglio economico si sarebbero avuti due risultati: quello di spostare su piano tecnico i problemi dell'economia e del lavoro; l'altro di attenuare lo stimolo politico per una corsa verso la demagogia economica. I n quanto all'iter legislativo, la discussione tecnica avrebbe evitato la formazione di leggi improvvisate ( a dire poco), ed avrebbe attenuate le esitazioni che spesso han fatto andare i disegni d i legge avanti e indietro fra Montecitorio e Palazzo Madama. La pressione sindacale è stata dannosa nel campo della legislazione tributaria e previdenziale. Fa meraviglia che un ministro così preparato come il sen. Vanoni abbia potuto consentire a l metodo eterodosso d i marca fascista, di tasse di scopo, specie in materia di imposte indirette. Ultima quella della ritenuta d i lire sei al chilogrammo sul prezzo dello zucchero e l'altra più generale, della ritenuta del 4 per cento istituita con l a


legge 25 luglio 1952 n. 949. Vi fa riscontro un'altra ritenuta, assai più criticabile, del 4 per mille sui mandati, per farne regalo al personale della ragioneria e della corte dei conti; a non parlare delle altre ritenute, che sono vere tasse e passano per diritti casuali, nonchè quelle per enti particolari, associazioni assimilate a enti pubblici, triste eredità del passato, gonfiata ancora di più nel presente. Si ha l'impressione di ritornare a gran passi alla finanza squattrinata dell'ancien régime e ai privilegi medievali. Si comprende bene perchè il ministro Vanoni punti sul171GE che è divenuta la colonna della finanza statale (1'11 per cento attribuito agli enti locali con sistema discutibilissimo e di carattere transitorio). Se I'IGE danneggia la nostra economia produttiva - ne parlerò in altro articolo - oramai importa poco al ministero delle Gnanze, che ha la sola preoccupazione di dare i mezzi all'affamato tesoro. Non voglio negare al parlamento disciolto i meriti che ha, e che sono givàmessi in luce da varie parti; toccarne il punctum dolens è dovere di buon cittadino, specie quando sono molti coloro che non se ne rendono conto, e moltissimi quelli che crederanno che per fare della politica sociale occorra alterare la funzione del parlamento, offendere l'ortodossia della finanza, correre il rischio della inflazione, accumulare leggi su leggi, turbando il ritmo economico della vita nazionale. Dobbiamo concedere tutte le attenuanti a un parlamento composto in maggioranza di persone, per quanto esimie e volonterose, chiamate a farvi parte senza avere avuto pratica della pubblica amministrazione. I1 nuovo parlamento nel riprendersi i quattro quinti del primo, si presume debba essere migliore se la esperienza già fatta sarà messa a profitto. È questo che il paese desidera. 7 aprile 1953.

(La Stampa, 11 aprile).


LETTERA PER L'ASSEMBLEA DELLA CONFEDERAZIONE GENERALE ITALIANA DEL COMMERCIO Esimio ~residente,(*)

Le mie note condizioni di età e salute mi impediscono di presenziare la seduta inaugurale dell'assemblea generale delle associazioni territoriali e nazionali d i categoria aderenti alla confederazione generale del commercio. Seguirò, pertanto, con vivo interesse le notizie sulla stampa e leggerò gli atti di cotesta assemblea, nella fiducia che gli interessi di categoria vengano coordinati con quelli del paese, e che nessun sezionismo sindacale possa turbare la urgente ripresa economica alla quale il commercio è intimamente. legato. La libertà economica e il rispetto della iniziativa privata debbono essere messi alla base delle attività confederali, cercando di non fare accrescere ancora di più la pressione statalista. Questa è arrivata, secondo me, ad u n limite tale da essere ritenuta non più regolatrice ma turbatrice delle attività nazionali. È perciò che. ogni invocazione allo stato perchè intervenga e legiferi deve essere contenuta solo a casi strettamente necessari. La vita economica italiana ha bisogno del respiro della libert,à. Accetti, esimio presidente, i migliori auguri di successo e i più distinti omaggi

l 4 aprile 1953.

( I l Popolo, 16 aprile).

(*) Gian Maria Solari, presidente della confederazione generale italiana del commercio.


LETTERA AL PRINCIPE RUFO RUFFO DELLA SCALETTA (*) Caro Ruffo, Non potendo partecipare al ricevimento che avrà luogo domani in onore della signora Giuseppina Novi Scanni, per il conferimento delle insegne della commenda dell'ordine al merito della repubblica, ti prego di rappresentarmi e di portare il mio saluto di cordiale e verace stima. L'opera assistenziale e organizzativa della signora Novi Scanni è stata sempre nello spirito cristiano, con metodo pratico, con quella modesta umiltà e gentile fermezza che avvince e arriva a buon fine. Cenno speciale ho il dovere di fare a nome del comitato permanente per il mezzogiorno, per il valido aiuto dato dalla signora Novi Scanni allo sviluppo degli asili infantili, specie nei piccoli comuni e frazioni di comuni meridionali, che ancora ne difettano. Presenta, caro Ruffo, i miei omaggi ai membri del comitato e a tutti gli intervenuti. Cordiali saluti LUIGISTURZO 20 aprile 1953.

( I l Popolo, 22 aprile).

LETTERA AL DIRETTORE DE « I L MESSAGGERO

D

Egregio direttore, Che io non sia favorevole alle candidature elettorali di presidenti e magistrati del consiglio di stato e della corte dei conti, (come il suo giornale di oggi ha rilevato) è cosa ben nota, aven(*) Presidente del consorzio nazionale emigrazione e lavoro.


done fatto cenno nel mio discorso al senato sulle incompatibilità parlamentari. Non ho scritto all'on. Gonella in proposito (come si afferma dal cronista) essendomi limitato a fare l e mie riserve per telefono sulla candidatura del presidente del consiglio di stato, non certo per la persona dell'on. Petrilli che io stimo, ma per l a tesi da me sostenuta anche in lettere private note all'on. Gonella basandomi sull'ultimo capoverso dell'articolo 100 della costituzione. La disposizione è la seguente: « La legge assicura l'indipendenza dei due istituti (consiglio d i stato e corte dei conti) e dei loro componenti di fronte al governo ».La legge non è stata fatta; ma lo spirito della disposizione deve essere osservato anche senza una legge scritta. A me sembra che la candidatura politica offerta da un partito, i l vincolo della disciplina del partito stesso e dei relativi gruppi parlamentari e i rapporti di partito con il governo (non importa la posizione del partito nel quale si milita) attenuino l'indipendenza del magistrato e ledano quella dell'istituto. Auguro che i l nuovo parlamento affronti questo problema attuando una precisa disposizione costituzionale. Distinti ossequi

LUIGISTURZO 22 aprile 1953.

( I l Messaggero, 23 aprile).

LA « PROROGATI0 » E IL PARLAMENTO Messa in discussione una eventuale convocazione del parlamento durante il periodo elettorale, vale la pena esaminarne le possibilità nella lettera e nello spirito della costituzione. L'istituto della « prorogazione » previsto dall'articolo 61 con il secco disposto: « finchè non siano riunite l e nuove camere sono prorogati i poteri delle precedenti », è stato inteso dai costituenti come un esercizio di poteri per casi eccezionali nel-


l'interesse del paese. Tale interpretazione fu data nella discussione in aula da1170n. Ruini, presidente della commissione dei 75, con le parole: « è prevalso il criterio che non sia da togliere, nell'intervallo fra le legislature, una possibilità di controllo e d i azione parlamentare: al che potrà servire, non un esercizio normale di poteri e di lavori delle camere, ma il loro intervento nelle contingenze ove sia necessario ».E 1'0~1. Tosato, a proposito della proposta dell'on. Bosco Lucarelli di escludere la prorogazione dei poteri nel caso di scioglimento delle camere, negò che la convocazione del parlamento potesse aver luogo per discussioni su questioni di fiducia e conchiuse che: « La proroga non può essere invocata, data la sua natura e la sua funzione, se non per casi ed eventi veramente straordinari e urgenti n. Questa dichiarazione, fatta a nome della commissione, fu intesa e voluta dalla costituente come una interpretazione autentica. Ciò nonostante, c'è chi vorrebbe sforzare la situazione ( a proposito delle richieste sindacali per gli impiegati) appoggiandosi all'art. 62 della costituzione, che regola le riunioni ordinarie e straordinarie del parlamento. Tale disposizione è di carattere procedurale e normale, e deve essere osservata anche nel caso della proroga di poteri ma solo agli effetti procedurali. A questo punto si domanda quale autorità possa giudicare della straordinarietà e della urgenza dei casi per i quali, nel periodo elettorale, si dovrebbe convocare il parlamento. È evidente che la responsabilità principale è del presidente di ciascuna camera, in quanto ne rappresenta i poteri e ne garantisce la funzionalità. I1 diritto di convocazione riconosciuto al presidente della repubblica suppone (come è evidente) o la solennità del caso, e quindi di accordo con i presidenti, ovvero la mancanza di tempestività della convocazione da parte dei presidenti delle due camere, ovvero un conflitto latente o aperto ; ,è quindi di natura eccezionale. Anche di natura eccezionale è l'autoconvocazione decisa da un terzo dei componenti la camera o il senato, i quali, nella ipotesi, sostituirebbero il presidente per l'eventuale rifiuto. Nel caso contrario, sarebbe 10 stesso residente ad accogliere la iniziativa e a convocare l'assemblea. Le due ipotesi della convocazione del presidente della repub-


blica o del terzo dei componenti in disaccordo con il presidente di una delle camere, saranno indici di una crisi di regime o di una crisi parlamentare. Potrebbero anche indicare l'intestamento del presidente, ma in regimi democratici ciò è ben difficile cosa, mentre sarebbe possibile che egli difenda la volontà della parte disposta a resistere e fronteggiare una presa di posizione avversaria. Lasciamo via i casi estremi, che rasentano la illegalità o l a rivolta; teniamoci a l metodo parlamentare. Escludiamo, nel fatto, un conflitto fra il presidente delle due camere e il presidente della repubblica. Esaminiamo il possibile conflitto fra un terzo della camera o del senato e il relativo presidente. In tal caso, chi convoca l'una o l'altra o le due insieme non sarebbe i l presidente, ma i componenti il terzo del17una o dell'altra o i l terzo delle due contemporaneamente, invitando i colleghi a intervenire per deliberare sopra gli oggetti o l'oggetto messo all'ordine del giorno. È inutile prevedere quel che avverrebbe, quale la reazione degli altri partiti, della presidenza della camera interessata e del governo. Si potrebbe arrivare ad un componimento; come si potrebbe acuire il dissidio. Ciò dipende dalla materia per la quale sarebbero convocate le camere, dallo spirito dei promotori, dalla resistenza degli organi competenti, dallo stato d'animo del paese e più ancora del corpo elettorale, perchè i l conflitto avverrebbe proprio nel periodo della campagna elettorale, perchè solo allora ci sarebbe la proroga dei poteri. Ipotesi simili oggi non sono da mettersi avanti perchè manca lo stato d'animo del paese per tale conflitto tra i vari gruppi parlamentari o i vari istituti dell'organismo democratico costituzionale. La questione che si agita oggi non esce dal campo sindacale ordinario e non può investire il parlamento, come un caso eccezionale, nè è tale da creare volutamente un cozzo così spettacolare. Non intendo negare le esigenze del personale statale, alle quali il governo è venuto incontro sia accettando l'ordine deI giorno approvato dal senato alla unanimità dell'applicazione della scala mobile agli stipendi attuali, sia con l'impegno conte-


nuto nella richiesta di delega dei poteri che sarà ripresentata al nuovo parlamento. Parlare di anticipazione di futuri stipendi durante il periodo elettorale, riaprendo all'uopo il parlamento, è cosa da lasciarsi al sindacalismo di sinistra, come manovra politica. Le altre due confederazioni farebbero bene a non sforzare la situazione e a non richiedere dai presidenti delle due camere e dal governo un atto che non potrebbe essere bene appreso dalla massa degli elettori. I quali si domanderanno: perchè il parlamento riconvocato non dovrà votare la legge sui danni di guerra? e quella sull'assistenza post-tubercolare? e quella sui casuali agli impiegati che non ne godono? e quella? e quella?... Ogni categoria di cittadini avrà la sua richiesta da rivolgere al parlamento e al governo per leggi e provvedimenti dichiarati urgenti in tempo elettorale che è il più propizio alle largizioni. È meglio che parlamento e governo se ne astengano perchè in sostanza fra due mesi saranno riaperti i battenti di Montecitorio e di Palazzo Madama.

...

24 aprile 1953.

( I l Giornale d'Italia, 26 aprile).

IL MEZZOGIORNO NEI PROGRAMMI ELETTORALI Le sorti del mezzogiorno e delle isole, sono strettamente legate alle sorti e al benessere della nazione. Questa affermazione non è una frase fatta; è la conferma di una delle più interessanti esperienze à i questo àopoguerra: ia irattura Beiiica che spezzò in due l'Italia con la linea campano-abruzzese prima, e con la tosco-romagnola in seguito, mostrò quale ne fosse l'esigenza della ricomposizione in unico corpo nazionale. Le tappe principali dell'indirizzo governativo sul problema meridionale, specie nel quinquennio che si è chiuso, sono state quattro : - i provvedimenti autonomisti delle due grandi isole, per ridestarne le energie e metterne a fuoco i problemi particolari; - la istituzione delle sezioni di credito industriale presso il Banco di Napoli e il Banco di Sicilia, e la istituzione del Banco


d i Sardegna; - le leggi per la riforma agraria; - la istituzione della cassa per i l mezzogiorno. Queste iniziative, completate d a altri provvedimenti generali per la viabilità, le ferrovie, le abitazioni urbane, le bonifiche del piano ERP, le prime sistemazioni montane, hanno eccitato una notevole ripresa di attività in quel terzo dell'Italia che sembrava essere guardato come un peso morto. Non si può affermare che tutte le iniziative abbiano ancora raggiunto lo scopo o che siano state prive di difetti nella impostazione o nella esecuzione. Sarebbe un chiedere troppo a qualsiasi governo d i uomini; ma tra il fare con le manchevolezze dell'agire umano, e il non fare per evitare quelle tali manchevolezze, è da preferire l a prima delle due ipotesi. L'esperienza del già fatto serve anche ad apportarvi correzioni e completamenti perchè l'opera si adegui ai bisogni. È perciò opportuno oggi, all'inizio della campagna elettorale, sottoporre all'opinione pubblica e ai candidati politici alcune linee programmatiche da tenersi in conto per il nuovo quinquennio legislativo. Prima esigenza da riaffermare : l'effettiva e progrediente industrializzazione. Sarebbe errore considerare il mezzogiorno come zona agricola con un pizzico di industrie integrative, quale sembrò fosse l'indirizzo dato alla cassa per il mezzogiorno. L'esperienza ha già additato la via che si va prendendo con gli aiuti della banca internazionale. Punto fondamentale deve essere l a utilizzazione a scopo industriale della energia elettrica, delle forze endogene e anche degli idrocarburi, la cui ricerca dovrà essere largamente favorita. Sono in corso: l'unificazione delle tariffe; l a dorsale fino allo stretto e iI relativo attraversamento; manca una sufficiente rete di distribuzione non solo per la illuminazione dei centri abitati ma per l'utilizzo anche rurale della forza motrice. I1 problema elettrico del mezzogiorno è ancora aperto. I1 recente convegno tenuto a Napoli per l'utilizzo delle forze endogene e per la ricerca degli idrocarburi nel mezzogiorno (in Sicilia esiste una legislazione regionale e le ricerche sono in corso) darà l a spinta per un programma non ancora messo a punto. Grave è stata la colpa del disciolto parlamento per non avere approvato i disegni di legge governativi sulla coltivazione


degli idrocarburi e sulle condotte di metano; è da augurare che le nuove camere ne affretteranno l'approvazione con criteri di maggiore larghezza verso le esigenze meridionali. Col sistema creditizio industriale attuale si provvede al credito per gli impianti, ma non si provvede adeguatamente al relativo credito di esercizio. Se il credito normale è oneroso in Italia ( e non si cura affatto di correggerne le asperità) riesce onerosissimo per le industrie nascenti quali quelle del mezzogiorno. L'intervento statale per la formazione delle sezioni di credito industriale e per la relativa dotazione diretta o sul fondo ERP è stato utile; l'integrazione di ulteriori fondi attraverso la cassa per il mezzogiorno aumenta le prospettive. Però occorre rilevare che non è stata ben consigliata l'idea di ridurre i l compito delle sezioni di credito industriale dei Banchi di Napoli, Sicilia e Sardegna. L'lsveimer di Napoli, l'lrfis di Sicilia e il Cis di Sardegna, senza le limitazioni per le medie e piccole industrie, integrano non soppiantano le sezioni, le quali con opportune specializzazioni, specie per i l credito di esercizio industriale, dovranno ancora rendere utili servizi al mezzogiorno. Non si tratta di inutile duplicazione che, in materia di istituti di credito, non sarebbe mai duplicazione e non sarebbe mai inutile. Si utilizzerebbe assai bene l'attuale attrezzatura tecnica dei banchi meridionali, che non dovrà andare dispersa nè essere resa inefficiente. L'agricoltura meridionale è oggi in primo piano con gli interventi della cassa per il mezzogiorno nell'applicazione delle leggi di riforma, nelle bonifiche, e nelle sistemazioni montane. Una massa di finanziamenti come l'attuale mai si è avuta, e nemmeno pensata, nella nostra storia italiana. Ma l'agricoltura meridionale è ancora sofferente: l'aggravi0 dei contributi unificati è relativamente eccessivo; ciò è stato riconosciuto dal governo, ma il disegno di legge Rubinacci (timido tentativo di aggiustamento) è rimasto in eredità al nuovo senato. Per la legge sulla montagna, vengono esclusi dai benefici non pochi comuni meridionali sia per l'altitudine, troppo uniforme dalle Alpi all'Etna; sia per i criteri regolamentari della commissione censuaria; errori questi che possono essere


corretti al più presto. La piccola proprietà agraria dei ceti medi è oberata e va a svanire proprio quando si dedicano miliardi a rifare la piccola proprietà detta «contadina ».Non è per creare una disparità di classe; il contadino in Italia, grazie Dio, può passare al ceto medio e yrofessionista senza perdere la sua terra. Quel che vale per la nuova piccola proprietà deve valere per l a esistente. I problemi vitivinicoli e oleari sono nazionali, e per i l mezzogiorno di particolare importanza; come di particolare importanza è i l credito agrario da affidarsi intieramente alle banche evitando interventi burocratici e accentramenti ministeriali. È da augurare per i l bene del paese e per la maggiore produttività e occupazione di mano d'opera nel mezzogiorno, che la nuova legislatura porti ad una pacificazione di animi nel settore dell'agricoltura, per una fiduciosa collaborazione di tutti i fattori della vita dei campi. La sistemazione montana e i rimboschimenti sono provvedimenti urgenti e necessari per sè e condizionanti tutto lo sviluppo agrario. I nuovi fondi dati alla cassa per il mezzogiorno con l a legge 25 luglio 1952 n. 949, integrano le prime non soddisfacenti assegnazioni. Sotto questo punto di vista i cantieri di rimboschimento sono stati per fortuna superati, mentre la forestale e l a cassa per il mezzogiorno hanno iniziato u n lavoro in profondità. Occorre modificare vecchi metodi e superare pregiudizi di corpo; ma i primi passi sono stati buoni. A parte questi rilievi di attuazione, l'Italia può dire di aver cominciato col 1950 la sua nuova politica forestale; il mezzogiorno conta sulla (C bonifica montana data la estrema depauperazione hoschiva di montagne e colline calancose, la incuria completa in cui sono stati lasciati i piccoli fiumi e i letti dei torrenti, secchi nell'estate e rigurgitanti di acque impetuose nei periodi di pioggie autunnali e normali. Si richiede una più decisa attività sia del ministero dei LL.PP. sia della cassa per il mezzogiorno, sia delle regioni isolane ( p e r la parte di loro competenza finanziariamente limitata) per piani a larga portata e tecnicamente ben fatti, eliminando il vincolo di operare solo in zone di bonifica. La rinascita del mezzogiorno solo così viene assicurata. I servizi turistici nel mezzogiorno hanno bisogno di speciale


cura nel ramo della viabilità e trasporti e della ricettività alberghiera. Fino a che non si risolvono i problemi connessi a questi due punti, il turismo meridionale resterà legato alle poche zone di notorietà internazionale. La cassa per i l mezzogiorno ha mostrato notevole impegno per il primo punto e per l a valorizzazione dei centri artistici e termali; meno per la ricettività alberghiera quando si sperava di contare sui fondi ERP che non sono più venuti a questo scopo. Ora si è ripreso a esaminare il ~ r o b l e m a ,che merita tutta l'attenzione del commissariato al turismo e delle regioni di Sicilia e Sardegna. Quanto sopra è molto, ma non risolverà il principale problema del mezzogiorno se non si tenderà con tutti i mezzi alla specializzazione operaia e alla tecnicizzazione delle classi medie ; se non si supererà il genericismo e la improvvisazione, grave difetto dei meridionali dovuto a molti fattori e anche non poco alle brillanti qualità innate dei meridionali. Bisogna partire da una adeguata istruzione ed educazione professionale: artigiana agricola industriale. Le scuole di avviamento non rispondono affatto ad un'adeguata preparazione della gioventù lavoratrice del mezzogiorno, anzi contribuiscono a favorire i l numero dei candidati ai posti di fattorini postali, guardie municipali, agenti di custodia e guardie di pubblica sicurezza, e in numero tale da non esserne possibile l'assorbimento per i bisogni del servizio pubblico, restando moltissimi nella lunga attesa, non più buoni ai lavori manuali classificabili, semplici generici per qualsiasi lavoro cioè buoni a nessun lavoro. Un buon numero di tali spostati aumenta la disoccupazione sussidiata o sussidiabile e partecipa ai corsi di qualificazione solo come mezzo di vita a basso livello, senza potere aspirare a elevarsi nella scala del lavoro come nella scala del17impiego. Questa crisi non è affrontata come si deve, rinnovando metodi e sistemi, per un7educazione pratica fatta da scuole post-elementari dirette ad abituare i muscoli e i nervi e la fantasia dei giovanetti al lavoro proporzionato alla età e alla capacità di ciascuno. Passando ai ceti medi, è da notare che la scuola secondaria ordinata all'università non può reggersi senza la istituzione di


numerose borse di studio, concesse dopo rigorosa selezione dei capaci; la scuola secondaria fine a se stessa deve essere specializzata e ordinata a professioni, arti e servizi adeguati e sviluppata in rapporto alla possibilità di utile assorbimento in utile impiego. Senza simili riforme, al mezzogiorno resterà il peso di una popolazione esuberante che non trova lavoro e compensi adeguati, scivolando dall'impiego marginale a quello parassita o extra-legale. E mentre i meridionali intelligenti, capaci e preparati, continueranno a cercare la loro fortuna nelle grandi città del centro e del nord ovvero all'estero, dove sono ricercati e arrivano a primeggiare, purtroppo le cittadine e i centri meridionali vengono depauperate degli elementi attivi e capaci di iniziative, restandovi spesso certa piccola borghesia occupata nei propri affari e per il resto inerte e sfiduciata. I1 problema, così prospettato sulle sue linee principali, deve essere affrontato nella sua gravità ed estensione. I meridionali e meridionalisti compresi del loro dovere, lo stato, le regioni, gli enti locali, i sindacati debbono unire gli sforzi e tendere con coraggio ad una riforma scolastica rispondente alle esigenze generali del paese e alle condizioni speciali del mezzogiorno. 26 aprile 1953. ( L a Stampa, 2 maggio).

ANALISI DELLE CANDIDATURE

Più d i ottomila candidature: in tempi di inflazioni assai più vistose, questa delle candidature non potrebbe dirsi eccessiva se non fosse allo stesso tempo indice di mancanza di autodisciplina e di individualismo quasi anarcoide. Ciò porta a certe conseguenze non desiderabili : dei settemila bocciati ( i n cifra tonda) un certo numero di gente seria rientrerà nei ranghi, più o meno contenta dell'avventura elettorale. Altri, e saranno i più, crederanno di avere in mano un titolo di credito da far


valere. Ex-deputati ed ex-senatori, non favoriti dalla sorte, saranno in attesa di ottenere un posto di consolazione, sia dal governo sia dal partito. Parassitismo pericoloso per un paese che fra gli antenati annovera un Cincinnato. C'è il lato buono, come in tutte le cose di questo mondo: chi h a fatto una prima campagna elettorale ha già varcato l a soglia di casa ed h a provato le prime gioie e i primi disinganni della vita politica; continuando su questa strada farà l a sua esperienza; si forma così la classe politica di ricambio tanto necessaria in democrazia. Trovo poche candidate; non le ho contate, ma mi sembrano inferiori di numero alle candidate del 1948 che erano scarse. Non sono d'accordo con coloro che credono solo gli uomini atti a far della politica; la donna elettrice postula la donna eletta. Porterà in politica la visione femminile della realtà che varrà ad integrare quella maschile. Continuando l'analisi delle candidature, incontro un numero imponente di impiegati statali e parastatali. Ho avuto occasione di manifestare la mia preoccupazione per la invasione del funzionarismo statale nelle assemblee legislative, e non ho che da confermarla in questo articolo; ignoro i motivi per i quali gli amici democristiani abbiano ecceduto più degli altri partiti in tale scelta. Quando sar,à proposto il numero chiuso dei deputati e senatori funzionari, questi uniti con i sindacalisti, opporranno l a barriera dei loro voti contrari; quando sarà proposta la norma giustissima che agli statali non sia lecito scioperare, questi si uniranno con le sinistre e faranno barriera perchè la norma non passi; quando sarà richiesto nuovo aumento di stipendio, sarà ripetuta la barriera di voti e così di seguito per la riforma amministrativa e la revisione degli organici. I1 parlamento si troverà paralizzato di fronte a tali problemi come lo è lo stato per cinque anni. Per di più abbonderanno le proposte di legge di iniziativa parlamentare su materia burocratica fatte su misura; passeranno alle commissioni in sede legislativa; saranno votate non ostante una certa opposizione del governo per lo più dilatoria o in tono minore e che non ha gran valore, come ne è prova quel che avvenne per la proroga dei diritti casuali.


La legge sulle incompatibilità ha portato al ritiro di due noti parlamentari: il senatore Boeri e il deputato Mattei, i quali hanno preferito continuare a portare la loro esperienza negli enti statali loro affidati. I1 pericolo prospettato alla camera e al senato, durante la discussione, che la legge in parola avrebbe impoverito le due assemblee di esperti e competenti in materie economiche e finanziarie, non si è verificato ; tutti hanno optato per il parlamento; i senatori Merzagora e Guglielmone han dato l'esempio di inviare in tempo le loro dimissioni a chi di ragione e sono stati sostituiti immediatamente. La direzione della D.C. prima di approvare le candidature stabilì la norma di non includere nelle liste le proposte di persone incompatibili se prima non avessero dato le dimissioni dal posto. Procedimento corretto questo, che però non ha avuto, a mia conoscenza, il seguito naturale, quello dell'invio delle dimissioni a chi di ragione. È vero che la incompatibilità non rende ineleggibili, e la purgazione della ineleggibilità può essere fatta entro trenta giorni dalla convalida. Nel caso però di senatori e deputati uscenti la legge ha imposto la scelta dentro 30 giorni dalla sua pubblicazione, cioè dentro il 2 aprile; doveva quind.i essere fatta prima dello scioglimento delle due camere avvenuto il 4 aprile scorso. Per i candidati non parlamentari manca una disposizione di legge che li obblighi a lasciare il posto prima della elezione; ma vi è una legge superiore, quella del costume, alla quale si è ispirata la direzione della D.C. nel prendere la suddetta decisione ( e fu presa alla unanimità); - legge che risponde al sentire comune, che il candidato sia disimpegnato dalle funzioni di un posto che la legge dichiara incompatibile. Tale sensibilità morale non è di tutti. Nel disegno di legge d i modifica dell'ordinamento della cassa per il mezzogiorno, era prescritta la ineleggibilità degli amministratori: la disposizione era stata, in sede legislativa, approvata alla unanimità dalla V" commissione del senato; ma alla camera si pensò da alcuni di dare a tale articolo esecuzione dal lo luglio 1953. Altri vi si opposero e si re ferì il rimando al nuovo parlamento. Vige però per gli amministratori della cassa per il mezzogiorno la incompatibilità; ciò non ostante ben sette amministratori


sono candidati e non si sono dimessi; e per giunta anche un impiegato della cassa è candidato. Ho letto sui giornali i provvedimenti presi di u 5 c i o per quelle amministrazioni comunali, che utilizzano u n certo numero di impiegati per la organizzazione elettorale di partito. I1 provvedimento è opportuno e deve mettere in mora tutti gli amministratori comunali a qualsiasi partito appartengano. Lo stesso si dovrebbe fare dai ministri competenti per i loro stessi ministeri e per quegli enti, statali o parastatali, soggetti alla loro vigilanza, se i candidati amministratori o impiegati che siano, si servono dei dipendenti e dei mezzi di trasporto della pubblica amministrazione a loro personale vantaggio. Sarebbe stato meglio, per la buona educazione civica e politica, che i candidati incompatibili avessero eseguito per intiero l e decisioni del partito D.C. e che tutti gli altri partiti avessero fatto lo stesso, evitando di apporre negli affissi di propaganda elettorale e sui giornali sotto il proprio nome la qualifica del posto che la legge dichiara incompatibile col mandato parlamentare. Ho criticato, per ragioni superiori, la candidatura delI'on. Petrilli, ma debbo riconoscere che egli ha fatto bene a lasciare, durante l a campagna elettorale, l'esercizio della carica; perchè gli altri magistrati amministratori o impiegati non fanno l o stesso? Mi dispiace dovere scrivere quanto sopra; ma poichè se ne parla mormorando nei salotti e nei corridoi e se ne prende motivo di propaganda elettorale avversa ai partiti democratici (che hanno il dovere per definizione del rispetto del metodo democratico), è bene che ci sia chi metta in rilievo le buone disposizioni della direzione della D.C., confermate dal presidente De Gasperi nel discorso di Torino, con parole molto significative, r-ilevando che se qualche deputato si fosse lasciato tentare, oggi non lo potrebbe più fare perchè ha dovuto rinunciare in base alla legge di incompatibilità a molti posti D. Se vi sono coloro che non hanno sentito il valore morale del rispetto alla legge e allo spirito della legge, sia il corpo elettorale a farlo capire loro, ricordando che per i democristiani fu Gonella a invocare la legge in pieno congresso e a riaffermarla di recente in u n comunicato su I l Popolo, organo quotidiano e autorevole del partito.

'25

- STCRZO- Politica

di questi anni.


L'analisi delle candidature mi porta ad un problema di notevole importanza : quello della formazione della nuova classe politica. Mentre fra i candidati abbondano liberi professionisti e impiegati fra i quali si debbono anche annoverare quelli dipendenti dai partiti, dalle confederazioni e dai sindacati che da tale impiego traggono i mezzi di vita, pochissimi sono fra i candidati i veri lavoratori e i veri datori di lavoro della industria, dell'agricoltura e del commercio. Riconosco che il posto più adatto a tali categorie sarà il futuro consiglio nazionale dell'economia e del lavoro previsto all'art. 99 della costituzione, nel quale essi dovranno aprire i l dialogo Era i due, per la loro utile coesistenza nella vita del paese. Però non dovrebbero mancare nelle due camere per fare sentire la loro voce diretta ( e non attraverso i loro impiegati) perchè vi risuoni più genuina e sincera. La verità è che i datori di lavoro abituati a sostare nelle anticamere dei ministri, amano non scoprirsi del tutto; i lavoratori, non maturi ancora al mandato parlamentare, si appoggiano ai loro condottieri di sindacato e di partito, le cui finalità possono spesso non coincidere con i reali interessi della classe. Questi rilievi hanno una conclusione : la democrazia non si improvvisa ; alla democrazia occorre educarsi ; gli inconvenienti che si incontrano nelle continue esperienze democratiche, si superano con buona volontà, studio e perseveranza. La critica è perciò utile e deve essere fatta all'aperto. Questa mia è una parola di ottimismo, perchè dopo tutto, anche la presente battaglia elettorale darà frutti utili alla democrazia italiana e alla vita del paese, anche se i frutti che avremo non saranno tutti secondo i desideri di quanti amano l'Italia con disinteresse. 4 maggio 1953.

(La Stampa, 9 maggio).


121. LETTERA A CARMELO CARISTIA Caro collega ed amico, grazie assai del telegramma, firmato da te, dal sindaco Vitale e dal rev. Lo Giudice, inviatomi alla conclusione del ciclo di conferenze sociologiche. Sono lieto dell'interessamento preso, che è buon seme di maggior sviluppo della iniziativa per la conoscenza della sociologia ispirata ad una concezione integrale della civiltà cristiana. Questa è alla base della vita associata che è tutta la vita dell'uomo, arrivando alla società con Dio completiva di ogni desiderio e di ogni felicità. La tua presenza, caro Carmelo, mi ricorda i primi passi della mia attività di insegnante di filosofia e di economia sociale; dalle due discipline unite insieme venne in me la vocazione del sociologo, che presto fu affogata nell'attività dell'amministratore, e quell'altra, ancora più assorbente, dell'uomo politico. Parve, infatti, a tutti, che questa ultima fosse stata la mia vocazione; il che è storicamente e psicologicamente inesatto; gli eventi, e per essi la volontà divina, mi hanno condotto per una via spinosa, che percorro da mezzo secolo, da quando facevo parte del consiglio nazionale dell'unione elettorale cattolica. Se questa esperienza è servita anche a farmi elaborare una sociologia, qualificata storicista o integrale, che abbraccia in sintesi la vita temporale e « la vera vita D, devo ringraziare Dio. Un ringraziamento va anche agli amici che vi prestano attenzione, nella speranza che il picciol seme sia sviluppato in una vera scienza sociologica che ancora si attende. Anche tu sei nella battaglia politica, caro Carmelo; di cuore ti auguro la vittoria che, superando la tua persona, sia un attestato civico al fine, acuto e solido cultore di scienza giuridicapolitica e storica, i cui lavori resteranno a testimoniare la sincerità e indipendenza dell'umanista cristiano. Una cordiale stretta di mano aff .mo LUIGI STURZO 6 maggio 1953.

(Sicilia del Popolo, 12 maggio).


PARLAMENTO 1953-1958 Le previsioni della meteorologia post-elettorale sono: governo debole e parlamento tempestoso. Per ora, la discussione è sulla composizione del governo, ma la premessa è la formazione di una maggioranza. In un paese che iniziò il sistema costituzionale con parlamenti irrequieti e governi instabili come quelli subalpini, che credette di cadere nel caos quando arrivò la sinistra al potere, che ebbe i famosi manipolatori di maggioranze con i trasformisti Depretis e Giolitti, e che, per dura sorte, ha avuto l'esperienza della dittatura e relativa soppressione di un libero parlamento, il problema principale è quello del parlamento, non del governo. Questo, bene o male, ci sarà sempre, sia o no funzionale il parlamento. Le elezioni del 7 giugno pongono il problema del parlamento in primo piano, perchè i gruppi eletti non sono in condizioni di esprimere una maggioranza sicura; varranno solo a rendere ondeggiante l'indirizzo legislativo e politico che il governo dovrà attuare, perchè basta lo spostamento di pochi voti a destra o a sinistra per decidere ora in un senso, ora nel senso opposto; cosa assai dannosa sia in politica interna che internazionale, sia in amministrazione che in economia. Se ciò era assai dannoso nel passato, lo sarebbe ancora di più oggi che lo stato, espressione degli interessi generali della nazione, è divenuto, direttamente o indirettamente, il più forte responsabile di imprese e di affari economici. Non so se i partiti di opposizione siano disposti a concedere, più che al nuovo governo, al paese, dopo un anno di battaglie dalle elezioni amministrative a quelle politiche, una specie di tregua trimestrale per dare tempo a riflettere sulle nuove posizioni e a riorientarsi, sia nazionalmente che internazionalmente, per una politica rispondente agli interessi generali. Certo sarebbe un atto di maturità politica, che dovrebbe sedurre tutti i responsabili dei partiti in lotta. Sarebbe anche la buona occasione per fare una specie di revisione del passato per rendersi conto della esperienza dei primi cinque anni.


È stato affermato più volte che il sistema introdotto dalla

costituzione di affidare alle commissioni permanenti il compito di deliberare in sede legislativa sia stato di notevole vantaggio al funzionamento del parlamento. Ho i miei dubbi; forse sarà vero solo per la quantità, non per la qualità delle leggi approvate. L'errore più grave è stato quello di consentire che le sedute delle commissioni in sede legislativa fossero tenute a porte chiuse e senza intervento della stampa o del pubblico. I1 parlamento non è affare privato; la commissione che legifera come se fosse l'assemblea delle camere, è la camera stessa che deve dar conto del suo operato al paese. È inconcepibile che venti persone si mettano d'accordo a varare leggi e leggine, spesso d'iniziativa parlamentare e di ispirazione particolaristica, facendo trovare il paese, che non ne ha avuto sentore, di fronte ad una valanga di leggi non necessarie nè opportune, e anche avversate dallo stesso governo, sorpreso dalla rapidità della macchina legislativa e dalla volontà dei legislatori non sempre disinteressata. Quando saranno ammessi pubblico e stampa nelle sale delle commissioni, saranno meglio individuate le responsabilità del governo, dei partiti e dei singoli parlamentari. Sarebbe un gran guadagno se si stabilisse che solo i disegni di legge governativi che non importino nuove imposte e tasse, possano passare alle commissioni in sede deliberante. Bisogna avvertire che con la procedura normale un disegno o proposta di legge passa per ,due stadi: l'esame della commissione competente e la discussione in aula; ma quando si passa u n disegno di legge alla commissione in sede di deliberazione, è soppresso lo stadio di esame e d i relazione della commissione competente, e con unica discussione in sede deliberante fra poche persone e a porte chiuse, si esaurisce il processo legislativo. Una democrazia che si rispetta non ammette il voto segreto tranne per le questioni personali. Così è in tutti i parlamenti civili meno i n Italia dove pex una strana tradizione, che il costume aveva corretta, è rimasto il voto segreto per la approvazione finale delle leggi e per tutte le volte che un certo numero di parlamentari lo richiede. Nella costituente si arrivò al grottesco di approvare un buon


numero di articoli della costituzione con votazione segreta; si direbbe che tali articoli sono figli di nessuno, ai quali, secondo la nuova legge sullo stato civile, si possono attribuire nomi fittizi per indicarne la paternità. I1 sistema porta i partiti avversi a intrecciare i voti dei loro seguaci nel segreto delle urne: chi è senza peccato, scagli la prima pietra. Oggi in parlamento oltre che una sinistra vi è una destra più numerosa e agguerrita delle pattuglie precedenti; e una maggioranza governativa assai limitata; non si sa fino a qual punto sia coerente e stabile.. È il momento che ogni partito, e i relativi parlamentari, assumano chiaramente e apertamente le proprie responsabilità, dandone conto al corpo elettorale. Non si è detto che il parlamento 1953 duri cinque o quattro oi tre o due anni; si sa solo che si trova in equilibrio instabile: il paese che dovrà giudicare gli eletti e relativi partiti, e forse a lunga o a breve ,scadenza dovrà provvedere al suo avvenire, h a ben diritto a controllare senza equivoci legislatori e governo. I giochi di bussolotti, se sono stati deplorevoli per il passato, non sono tollerabili per il presente. I1 voto segreto per affari non personali dovrà ,essere abolito. Un altro passo: la formazione delle leggi impone una preparazione e una disciplina, che non è stata osservata. I1 governo spesso presenta disegni di leggi dove sono confuse norme legislative con norme regolamentari: errore di tecnica, che impone un lavoro pesante al parlamento. Spesso per colpa di relatori che credono di essere competenti o di impiegati-deputati che hanno il gusto della pignoleria o per ingenuità, presunzione, dilettantismo, vengono dal parlamento approvati emendamenti che alterano la fisionomia e la tecnica della legge proposta. Esaminando le leggi d i questo dopo guerra si trovano incoerenze, mancanze di esatti criteri giuridici e tecnici, disposizioni inapplicabili, che formano il rompicapo di giuristi, di giudici e d i funzionari. I1 più grave inconveniente deriva dalle proposte di leggi di iniziativa parlamentare. Anzitutto dovrebbe regolarsi la materia, fissando che le proposte che portano nuovi oneri di bilancio o maggiori oneri tributari, siano sottoposte al parere di una


specie di giunta di bilancio che deciderebbe sulla proponibilità e sulle eccezioni presentate dal governo. Non si creda che così verrebbe violato il diritto di iniziativa previsto all'art. 71 della costituzione; come non lo viola la procedura attuale per i disegni di legge governativi, per i quali il tesoro può perfino rifiutare il consenso. I1 problema della funzione legislativa che è la prevalente per un parlamento, non è molto sentito dal pubblico, che invoca leggi su leggi credendo che queste bastino a rimediare a tutto. Errore di visuale che induce governo e parlamentari a formulare disegni e proposte senza fine. Ora per fortuna son caduti i disegni non approvati dalla passata legislatura. È da augurare che prima di ripresentarli governo e proponenti facciano una revisione accurata, archiviandone il maggior numero possibile. I1 primo lavoro del parlamento è già notevole: esercizio provvisorio, provvedimenti già promessi per il personale statale, ratifica del trattato della C.E.D., bilanci; e intanto convalide degli eletti, applicazione per gli eletti della legge sulle incompatibilità; nomina dei cinque giudici della corte costituzionale e... da non dimenticarsi: il voto di fiducia al nuovo governo; voto che per la prima volta è atteso da tutto il paese che vuol andare tranquillo ai monti e al mare. 16 giugno 1953.

( L a Stampa, 20 giugno).

FUNZIONE DI CENTRO Siamo abituati, io direi male abituati, a parlare di destra, sinistra, centro come se fossero entità oggettive, addirittura esseri viventi e responsabili; un esame di questi « fantasmi non è fuor di luogo. Tanto più che esiste presso moltissimi italiani, e non del volgo, una specie di complesso di inferiorità che rende perplessi, anzi restii, a dichiararsi appartenenti alla destra o essere


di destra ; piace di più essere definiti di sinistra o avere tendenze verso la sinistra, e credersi così all'avanguardia; proprio, all'avanguardia. I1 pregiudizio, che si è diffuso anche presso gente cattolica, è che i partiti di sinistra sono « sociali D, che si occupano della « povera gente D, e sanno difendere « i diritti » del lavoro; gli altri, centristi e destrorsi, sono, in materia sociale, qualificati tra tiepidi e freddi perchè il progresso sociale per loro sta a sinistra, mentre nel centro le due anime, la sociale e la conservatrice, stanno mal combinate; a destra sono tutti borghesi, e quando la gente che si crede « sociale » parla di « borghesi D storce la bocca. Si può ragionare in politica con schemi così fatti? Quando io attaccai il monopolio, anzi i monopoli, concessi all'ENI, l'on. Giua in senato ebbe a dire che non aspettava da me, u n tempo all'avanguardia del movimento sociale, una difesa degli intecapitalistici. Questo rilievo non mi è venuto solo da ressi Giua; coloro che non avvertono i vantaggi sociali della libertà economica non sono con me, sono con l'on. Giua. Ho messo a titolo di questo articolo: funzione di centro e non governo di centro, perchè ogni governo che non sia fazioso o espressione di una fazione vincente, è sempre un mediatore: mediatore fra i partiti, dovendo tener conto, anche quando deve respingerle, delle istanze delle minoranze, valutate e accettate, o modificate dalla maggioranza governativa; mediatore fra l e classi sociali, temperando le asprezze degli opposti estremismi nella visione superiore degli interessi di tutti; così di seguito. Quando un governo non sa o non è in grado di esercitare la funzione di centro, ci sarà qualche altro gruppo sociale che, bene o male, lo sostituisca; sarà un partito che tempera le fazioni 'in lotta, sarà il capo dello stato, se può, nei limiti della legge, ad esercitare un'autorità temperatrice ; sarà la chiesa, come nei periodi più foschi per la civiltà, che attraverso la sua stessa funzione religiosa, sia subendo la persecuzione, sia utilizzando i rapporti con l'autorità politica, porta una alta parola di pacificazione fra le classi e le fazioni. Male avranno quegli stati dove le fazioni sono così aspre O il governo è così irrigidito, che nessuna funzione di centro possa

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essere espressa e resa efficace, da nessun gruppo e da nessuna persona; è la barbarie più nera. Questa premessa era necessaria per chiarire il perchè la democrazia cristiana, non ostante inesperienze di uomini, difficoltà di situazioni, errori tattici o politici (tutti possiamo sbagliare) dalla caduta del fascismo ad oggi nella opinione popolare italiana ( e di altri paesi del continente europeo) abbia ottenuto i maggiori consensi del corpo elettorale. La sua funzione di centro è insita alla sua concezione cristiana della vita e alla posizione propria interclassista per la pacifica e progressiva convivenza delle varie categorie economiche del paese. I1 sogno della soppressione delle classi o categorie economiche e del livellamento sociale è irrealizzabile anche nella dittatura bolscevica: si tratterebbe in ogni caso di livellamento nella schiavitù. Solo chi comprende i benefici anche economici della libertà, oltre quelli 'morali e politici, si renderà conto dei vantaggi sociali che ne derivano; gli altri ancora desiderosi per anchilosi mentale o per eccesso di zelo di fare i « sociali sacrificando ogni funzione mediatrice fra le classi, non si renderanno mai conto del valore sociale della libertà. Qual è il partito in Italia che può surrogare la democrazia cristiana nella sua funzione di centro, e divenire l'alternativa di governo quando la democrazia cristiana avrà subito, come tutte le cose umane, l a usura del potere? I1 socialismo di Nenni? Si vede chiara oggi quale sia stata l a illusione di certi borghesi lombardi che ne hanno favorito l'affermazione elettorale, fidando nel distacco di Nenni dai comunisti. Perchè parlare di Nenni e non di Basso o di Morandi? I1 monarchismo di Lauro? La posizione del monarca è per definizione centrista, per quanto, nel sistema costituzionale, egli « regna ma non governa ».Ma il partito monarchico, in quanto oggi esprime l'istanza anti-repubblicana, definisce la sua attività politica quale « fronda ».P u r senza rinnegare sentimenti rispettabili, potrà quel partito rivedere il suo atteggiamento politico, ma non potrà, col negare la realtà presente, divenire mediatore di attività positiva in funzione di centro, per la contraddizione che « no1 consente n direbbe Dante. I tre partiti dell'apparentamento hanno subito una perdita


elettorale che li fa riflettere sulla linea seguita. Non intendo mettere in dubbio il loro atteggiamento democratico e centrista, per quanto la cosidetta posizione « laica » manchi di storicità e di funzionalità; si tratta di letteratura non di politica; tanto è vero che non aveva impedito I'apparentamento con la D.C., come nel 1913 non impedì il patto Gentiloni. Perplessi si rimane sull'antitesi delle istanze liberali per la libertà economica di fronte alle istanze socialdemocratiche per il dirigismo di stato. Questo punto rende anche perplessi non pochi di fronte alle due ali della democrazia cristiana, tentata anch'essa da un lato dal dirigismo statale a tipo cosidetto (C SOciale » e dall'altro dalla maggiore efficienza della iniziativa privata. Bisogna essere realisti: l'Italia, distrutta dalla guerra, era l'Italia corporatizzata, « irizzata », autarchica e statalista. La guerra e il dopoguerra obbligarono il governo ad assumere molte delle funzioni di carattere privatistico; i nuovi rapporti economici internazionali ebbero per conseguenza la creazione di nuovi organismi pubblici. In tale clima, era difficile rifare in Italia una economia completamente libera. Se è stato errore continuare a creare enti economici statali e parastatali e non liquidare gli enti inutili e avventurarsi in investimenti e finanziamenti pubblici onerosissimi, senza reale o con scarsa utilità economica; dall'altro lato non si può disconoscere il gran servizio reso dalla democrazia cristiana alla stabilizzazione monetaria, e la posizione riguadagnata per questo capo, dalla stessa iniziativa privata, ottenendo quel senso di sicurezza che ora non deve essere perduto per le nervosità politiche del corpo elettorale o le « fronde » dei partiti o la pretesa di nuovi investimenti pubblici. Ma la democrazia cristiana non può non mediare le istanze della borghesia e quelle dei lavoratori, portando, nell'indirizzo d i libertà, a quella rivalutazione della personalità umana e al rispetto fra le classi che sono il fiore della civiltà cristiana, e che sono anche la risposta più concreta e soddisfacente alla istanza marxista della lotta d i classe. I1 lettore che vuole da me sapere come sarà risolta la crisi di governo avrà letto inutilmente questo articolo, dovendo aspet-


tare forse fino alla metà di luglio solo per apprendere se gli uomini politici del nuovo parlamento siano o no all'altezza della situazione. P u r fra gli scogli dell'attuale situazione, i l parlamento dovrà esprimere dal suo seno un'affermazione centrista, dando fiducia ad un ministero democristiano monocolore. Se non piacerà questo, si comincerà a giocare a birilli, per rovesciare il primo o il secondo e così di seguito ; e poi verrà il momento della irrequietezza insoddisfatta con situazioni che gioveranno solo agli estremisti. Un nuovo appello al paese, che in questo ultimo caso sarà lo sbocco logico, non sarebbe vantaggioso, se prima non si sia arrivati ad una chiarificazione politica e ad un orientamento sicuro da quei partiti che hanno, o potranno assumere uniti insieme, la funzione di centro. 18' giugno 1953.

(L'Italia, 21 giugno).

( I l Crociato, New Y o r k , 8 agosto).

LA CAMERA INCOMPLETA Da un mese 51 deputati fra gli aventi diritto sono tenuti fuori della porta di Montecitorio, e la camera ha dovuto iniziare i lavori con solo 539 deputati sui 590 assegnati, per mancata « proclamazione D. È noto che l a proclamazione completa gli atti elettorali e viene fatta dagli uffici elettorali costituiti in base alla legge. È inconcepibile che vengano compiuti scrutini senza il coronamento cioè la proclamazione, e che la camera possa essere convocata senza che tali atti siano stati portati a compimento. È accaduto l'impensabile, che l'ufficio centrale nazionale costituito presso la suprema corte di cassazione abbia creduto suo compito « proclamare » una seconda volta i 51 primi di lista, ed abbia ritenuto suo dovere rimandare alla camera gli atti incompiuti cioè senza la proclamazione dei 51 che per


legge avrebbero completato il numero plenum della camera a mezzo dell'assegnazione dei resti. Non regge affatto il motivo assunto per evitare il completamento degli atti elettorali che la legge non sia chiara, che il testo di legge nella sua lettera sia contraddittorio, incompleto con il riferimento ad una legge (quella del 1948) ritenuta inapplicabile nel nuovo sistema elettorale. L'ufficio che aveva il compito di constatare le liste che portavano i primi eletti fra le liste consimili nel territorio della repubblica, aveva il dovere di interpretare, nel modo più congruo, una legge che non rimandava, nè poteva rimandare ad altro collegio l'atto della proclamazione che è inerente alla procedura elettorale ed è presupposto legale per la convocazione della camera. Non essendovi un'aut0rit.à gerarchicamente superiore all'ufficio centrale nazionale presso la cassazione, l'omissione della proclamazione dei 51 ha avuto la conseguenza, illegittima in teoria ma necessaria in pratica, che la camera sia stata convocata con quasi un decimo di meno dei propri componenti, e che così incompleta abbia dovuto procedere alla nomina del proprio presidente, il quale dopo scelti i deputati che costituiscono la giunta delle elezioni ha demandato ad essa l'esame del caso dei 51 non proclamati. Una parentesi: poteva la camera continuare a deliberare come se fosse legittimamente costituita? Di fatto ha approvato l'esercizio provvisorio, l'acconto sulla tredicesima agli statali e simili. Trattandosi di interna corporis, nessuno che non sia la stessa assemblea, ha diritto a rilevare l'inconveniente, neppure la corte costituzionale; ma il fatto esiste, e per giunta si può ripetere; anzi si dà come scontato per gli ulteriori atti della camera. La giunta delle elezioni è chiamata pertanto a integrare quel che doveva essere fatto in sede elettorale, cioè procedere alla proclamazione dei 51, risolvendo, preliminarmente, le questioni sollevate dagli elettori. Ma bisogna tenere distinto questo atto integrativo della procedura elettorale, dalle normali competenze della giunta delle elezioni posteriori alla proclamazione e che si risolvono nella contestazione, nella convalida o nell'annullamento. Nella presente istanza, la conclusione dell'esame è la


proclamazione dell'eletto; cosa che non esclude in seguito la ipotesi della contestazione e relativa decisione finale favorevole o contraria. Tenendo ben distinta la procedura e i l termine cui conduce, oggi la giunta deve risolvere il problema posto per la inesatta interpretazione della legge fatta dall'ufficio centrale nazionale. La legge elettorale ultima non prevedeva una lista nazionale, ma applicava la legge proporzionale vigente dal 1948 a l caso, verificatosi, che nessuna lista o coalizione di liste avesse raggiunto il 50 + 1 per cento. Poichè tale legge applicava i resti ad una lista nazionale che la nuova legge non prevedeva, fu stabilito che i beneficiari dei resti fossero i primi non proclamati eletti di quelle liste, nelle quali i primi eletti avessero raggiunto nazionalmente il maggior numero di voti. Sostanza: non c'è passaggio dei primi eletti ad un'ipotetica lista nazionale che non esistendo non si può creare (errore dell'ufficio centrale); ma c'è l'applicazione dei resti alle liste che ebbero la fortuna di dare il maggior numero di voti ad uno dei propri eletti. I1 numero dei seggi da dare agli eletti viene fissato sottraendo dal numero dei seggi della camera (590) i l numero dei proclamati eletti dagli uffici circoscrizionali (539). La proporzione è data dalla somma dei resti di ogni contrassegno di lista. Si trattava, quindi, di calcoli che dovevano essere fatti in sede elettorale e che oggi vanno fatti, per atto integrativo, dalla giunta delle elezioni. La camera deve essere convocata (sia o no costituito il governo) a procedere all'approvazione delle proposte della giunta delle elezioni, perchè, secondo me, non è l a giunta ma l'assemblea attuale che dovrà sanare una proclamazione mancata, e riconoscere la legittimità della sua composizione, visto che il plenum è mancato in partenza. Strano a dirsi: corrono notizie per le agenzie e per i giornali che l e operazioni della giunta al riguardo prenderanno uno, due o tre mesi di tempo. Si arriva a prevedere per dicembre la regolarità legale di questa camera; e intanto nessuno si domanda come possa in tali condizioni legittimamente legiferare. È vero; si tratta di sensibilità e di correttezza; il diritto CO-


stituzionale è anzitutto costume e rispettabilità; non abuso, nè soverchieria, n è cavillo. Bene : quel che la commissione centrale nazionale avrebbe fatto in due o tre giorni, la giunta delle elezioni dovrebbe sentire i l dovere di fare in due o tre giorni; ne sono passati dodici dalla sua costituzione. L'assemblea dovrebbe decidere appena avuti gli atti della giunta per convocazione immediata. Mancano fin oggi gli atti della giunta e la camera non è stata ancora convocata. Speriamo che lo sia e subito; solo così si rispetta lo spirito della costituzione per la quale la camera deve avere 590 membri e non 539. 9 luglio 1953.

( I l Giornale d'Italia, 11 luglio).

GOVERNO E PARTITO I n questi giorni si è compreso che qualche cosa non è andato in riga fra l'incaricato a costituire il nuovo governo e la direzione del partito e dei gruppi parlamentari della D.C. Certi comunicati non armonizzanti fra loro apparsi su varie agenzie giornalistiche romane e passati dalla RAI hanno insospettito il pubblico. Un articolo non firmato di un quotidiano di Roma, ce ne ha dato la conferma. I n sostanza, si è avvertita più sensibilmente l a malattia che mina la democrazia attuale, e non solamente in Italia, che si appella partitocrazia. Non è la prima volta che me ne occupo; fin dal 1947 ne ho fatto motivo di critica costante ai miei amici e agli avversari; gli effetti non sono sempre appariscenti, ma durante le crisi governative prendono notevole rilievo. L'errore dei partiti modernissimi è quello di volere ingerirsi nell'andamento governativo e amministrativo del paese; e poichè l'angolo visuale di un partito è ristretto al suo campo organizzativo e di clientele, così ne viene una specie di naturale su-


bordinazione degli interessi del paese agli interessi del partito o degli uomini del partito. Questa visione parziale e particolaristica della vita pubblica fece la sua entrata nel parlamento quando la camera dei deputati nel 1920, se mal non ricordo, diede corpo ai gruppi parlamentari, cosa che dal 1948 in poi è consacrata in un disgraziato inciso della costituzione dove all'art. 72 parlando delle commissioni parlamentari con funzione legislativa si dice che queste debbono essere « composte in modo da rispecchiare l a proporzione dei gruppi parlamentari ». Ed ecco prestabilita l'invadenza del gruppo come corpo distinto e organizzato, con disciplina ferrea, con ingerenza diretta a nome del partito sulla legislazione, e occorrendo sull'amministrazione. 1 ministri e sottosegretari uscenti e quegli aspiranti sono passati al vaglio degli esecutivi dei gruppi, che arrivano così a tenere soggetti coloro che fanno del seggio ministeriale un sogno di vita. I ministri recalcitranti o al difuori delle facili consorterie avranno al momento opportuno le votazioni scarse e l o sgambetto di rito; i favoriti arriveranno al traguardo. Non dico che i colleghi-giudici non si ispirino alle esigenze generali del paese; purtroppo come esponenti del partito, hanno una visione limitata o qualificata, che dir si voglia. Lo stesso e contemporaneamente fa il direttori0 del partito, che aggiunge, toglie, modifica, si sovrappone, rispondendo alle pressioni degli aspiranti e alle richieste della base », da dove partono telegrammi e commissioni per sostenere i propri esponenti. Questa volta De Gasperi ha dovuto perdere l a pazienza. I n sostanza la, responsabi1it.à di fare un governo è stata sua per designazione degli uomini consultati e per decisione del capo dello stato. Questa è democrazia parlamentare, non quella dei gruppi o dell'esecutivo del partito. Costoro, se e in quanto interpellati, dovevano dare nel segreto delle conversazioni quei pareri che rispondono alla situazione del paese, senza dimenticare subordinatamente le esigenze del partito; cosa avvenuta per i vari colloqui avuti da De Gasperi con i capi come risulta dai giornali. Ma buttare nomi allo sbaraglio, eccitare appetiti,


sviluppare intrighi con insulse votazioni, rimanere in permanenza a Montecitorio, Palazzo Madama e piazza del Gesù, con comunicati contraddittori, tutto ciò deriva da una concezione di partitocrazia-in-atto che preoccupa il paese. Bisogna aggiungere che l'articolo : a Guardare al paese di sicura ispirazione degasperiana, non soddisfa in parecchi punti. Sta bene che l a responsabilità è di chi forma il gabinetto e deve essere rispettata; sta bene che il parlamento è il giudice del programma e degli uomini, e i vari gruppi (compresi quelli democristiani delle due camere) in tale sede assumeranno la propria responsabilità. Ma non bisogna arrivare ad affermare che in De Gasperi si identificano gli interessi del paese, creando la figura dell'uomo indispensabile dal quale dovere accettare programma e uomini senza discuterli. I n tal caso dalla partitocrazia (sempre deprecabile) si passerebbe al governo personale (anche se tuttora democratico); son sicuro non essere questo il pensiero di De Gasperi. Oggi si va a fare un governo di minoranza: la fiducia non è per l'uomo ma per gli uomini. Mentre scrivo mi passa avanti gli occhi un elenco di nomi vecchi e nuovi che forse non saranno tutti fra i prescelti. Posso dire onestamente che resto perplesso avanti certi nomi: questione di gusti? forse; ma anche motivi onesti e seri. Si vedrà alla prova. Comunque sia, occorre fin da ora che De Gasperi assicuri il paese che la partitocrazia finirà, e non ci sarà neppure un governo personale in lui incarnato. L'Italia è uno stato di diritto; la democrazia è soprattutto regime di diritto: alla legge, alla tradizione, al costume parlamentare e rappresentativo siano tutti soggetti, il governo per il primo e i partiti conseguentemente. Se ho deplorato nel passato prossimo e remoto l'ingerenza del partito specie nelle nomine spettanti al governo, spero di non avere occasione di farlo per l'avvenire. In proposito mi sembra opportuno accennare discretamente ad una specie di conffitto sorto di recente e acutizzatosi durante e dopo la lotta elettorale fra la direzione della D.C. e un ministro, per le nomine di amministratori di un ente di notevole importanza sia tecnica che economica. I1 ministro non volendo cedere nè volendo affrontare la di-


rezione del ~ a r t i t oha tergiversato, rimandato fino all'ultimo, ha scartato il primo nome, ne ha accettato (credo a malincuore) u n secondo che mi dicono sia tecnicamente poco competente. Scrivo ciò con rammarico: perchè da più anni mi batto con articoli e lettere personali per evitare simili inframmettenze che attenuano le responsabilità ministeriali. Per fortuna ci sono stati ministri che nel passato hanno resistito parecchio e con fortuna (dico con fortuna per notare essere stata la loro scelta migliore d i quella voluta dal partito); ma altri si inchinarono, e non f u bene per l'ente. E si badi, non si tratta solo di democristiani, ma di elementi d i tutti i partiti, i quali fino all'ultimo hanno insistito per certe conferme che sarebbe stato meglio rimandare a dopo l e elezioni. Quel che si dice della scelta delle persone si dice anche degli intrighi ( d i vecchia data in Italia fin dai tempi del risorgimento) per le rimozioni o i trasferimenti di funzionari locali e centrali delle varie amministrazioni. Se a qualche cosa deve valere nel futuro l'attuale scatto di De Gasperi, sia motivo a l nuovo governo, per u n più rigido rispetto della propria responsabilità. Auguro al partito democristiano di ritornare alla fonte, agitare idee e programmi, difendere le trincee della libertà non solo dalla dittatura ma anche dall'intrigo. Ricordino i dirigenti che lo scatto di maggioranza al quale ambivano fu perduto per la lotta fratricida fra 'gli stessi can,didati democristiani, molti dei quali (non tutti per fortuna), dimentichi del dovere di fare fronte solidali in nome del partito, sollecitarono i voti di preferenza a danno dei colleghi. Oggi pesa sulla minoranza parlamentare della D.C. la responsabilità del governo monocolore; la D.C. vi deve rispondere unanime, coerente, salda. Cessi la D.C. di essere partitocrazia e ritornerà ad essere il vero partito della maggioranza. 13 luglio 1953.

( I l Giornale d'Italia, 16 luglio).

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- Srcazo

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Politica di questi anni.


125 bis LETTERA AL u GIORNALE D'ITALIA

)I

Onorevole direttore, Mi si riferisce che alla camera dei deputati sia stato preso lo spunto dalla parola « intrigo D da me usata nell'articolo a Governo e partito I) (Giornale d'Italia del 16 corrente), per un attacco al governo dal punto di vista morale. Desidero precisare che tale parola si trova nel seguente pesi dice anriodo: u Quel che si dice della scelta delle che degli intrighi ( d i vecchia data in Italia fin dai tempi del risorgimento) per le rimozioni o i trasferimenti d i funzionari locali e centrali delle varie amministrazioni 11. Sfido a trovarvi il significato attribuitogli; si tratta di ben note interferenze politiche nell'amministrazione dello stato. La seconda volta è più in là verso la fine, dove si fa l'augurio al partito democratico cristiano (C di ritornare alla fonte, agitare idee e programmi, difendere le trincee della libertà non solo dalla dittatura ma anche dall'intrigo N. È chiaro che si tratta di interferenze politiche. De Gasperi rilevò nel suo comunicato alla stampa la parola u intrigo ed il 20 corrente, rispondendo ad un suo biglietto, gli scrissi: C debbo darti atto che la parola " intrigo" si presta ad attacchi ingiustificati; hai fatto bene a ribatterla D. Ringraziamenti e distinti saluti LUIGI STURZO 24 luglio 1953.

( I l Giornale d'Italia, 25 luglio).

DA NITTI A DE GASPERI La crisi dell'ottavo gabinetto De Gasperi mi ha ricordato le fasi del secondo gabinetto Nitti, che nel maggio 1920 non volle affrontare il voto della camera e si presentò dimissionario. Per chiarire tale fatto occorre ricordare che Nitti aveva fatto le ele-


zioni del novembre 1919 quando fecero ingresso nella camera novantadue deputati popolari. I nuovi venuti spostavano la maggioranza del governo, maggioranza fluttuante, che pendeva dal volere di Giolitti il quale a guerra finita rimontava la quota perduta. I popolari allora (non ostante che uno dei ministri in carica (Cesare Nava) si fosse iscritto al partito), non vollero far parte del governo, pur non negando la fiducia di attesa. Ma per gli scioperi del gennaiofebbraio 1920, tale fiducia cominciò a venir meno, e nel maggio popolari e socialisti con un manipolo di liberali rovesciarono il gabinetto. Ciò non ostante, l'incarico per il nuovo governo fu dato a Nitti stesso. Se mal non ricordo, furono gli stessi giolittiani a volerlo, e i popolari non volendo caricarsi delle responsabilità di farlo fallire, diedero due dei loro migliori esponenti: Micheli e Rodinò. Strana cosa, quell'uomo così calmo e posato era anche uno che azzardava. Senza avere avuto il voto di fiducia del parlamento, emise un decreto-legge sul prezzo del grano. Le proteste dei socialisti, repubblicani e radicali furono così vive, che egli (che soffriva del complesso di sinistra) volle presentarsi alla camera dimissionario, evitando discussione e voto. Era opinione di molti che Nitti avrebbe avuto il voto come ministero estivo, preferendo Giolitti avere libere le vacanze in attesa della riapertura della camera nel prossimo novembre. Le dimissioni di Nitti obbligarono Giolitti a prendere nel mese di giugno le redini del governo. Confrontando questi ricordi con gli avvenimenti di oggi trovo anzitutto più corretto e più semplice, a elezioni avvenute, provocare un voto del parlamento senza le formalit,à d i una crisi. Così Nitti nel 1919, così Giolitti nel 1921. I1 primo ebbe un voto soddisfacente e rimase; l'altro ebbe 17 voti di maggioranza sopra un ordine del giorno di politica estera e, per motivi politici e personali extra parlamentari, preferì dimettersi. Oggi si segue altro metodo, così nel 1946, nel 1948 e nel 1953 ; non so se De Gasperi in tali casi abbia seguito il suo istinto politico o la opinione degli altri; certo la procedura è stancante e può dar luogo, come nel caso presente, a due crisi in una, con maggiori difficoltà per la definitiva soluzione. I1 me-


todo u liberale D, lo chiamo così, supponeva come programma della legislatura quello elettorale ( i n Inghilterra è riguardato come una specie di contratto fra eletti ed elettori); in tal caso il voto del parlamento serve come constatazione dell'orientamento dato dagli elettori. Purtroppo, in regime d i partitocrazia, il parlamento va divenendo un registratore d i posizioni prestabilite, e non più il, crogiuolo delle idee e dei propositi in un effettivo dialogo tra le diverse correnti politiche e fra gli uomini più esperimentati. Le dimissioni del lo luglio avrebbero avuto un significato se De Gasperi avesse dichiarato che l'esito delle elezioni non comportava un quadripartito di centro, sul quale era stata impostata la battaglia elettorale. Ma egli non credette affermare ciò e volle tentare. Oggi arriva con un mese di ritardo alla stessa posizione. A questo punto si domanda se sarebbe stato possibile un ministero di minoranza monocolore. Nel periodo prefascista e prepopolare tali ministeri erano possibili perchè la maggioranza liberal-democratica e democratico-liberale (erano più o meno queste le differenze sottili degli aggruppamenti personalistici della borghesia italiana) era fluida e componibile e decomponibile per forze catalizzatrici, quelle dei capi riconosciuti, vedi Depretis, Crispi e Giolitti. I ministeri dei minori, che intramarono la storia parlamentare italiana erano tutti di minoranza con l'appoggio dei capi. Tale fu il primo ministero Nitti del 1919; e se i popolari lo lasciarono in vita fu perchè non vollero, appena arrivati alla camera, prendere la responsabilità del potere, nè assumersi la responsabilità di una crisi. Nulla chiesero i popolari a Nitti e nulla ricevettero. Questo non hanno fatto i monarchici: si sono sentiti legati al partito e alla dichiarazione elettorale del partito; nulla da eccepire. Purtroppo, la partitocrazia ha fatto progressi ed ha invaso il parlamento: se tutto è prestabilito, a che servono la camera e il senato? Se sono i direttori e i consigli nazionali dei partiti a fissare il contegno dei gruppi parlamentari, a che servono le discussioni in aula? In sostanza, negare il voto ad un gabinetto di minoranza e per definizione u di transizione s quando è difficile ricostituire


una maggioranza, è ledere il principio del governo parlamentare. Anche in Inghilterra si ebbe nel 1924 un ministero Mac Donald di minoranza laburista appoggiato dai conservatori; così nel Belgio il ministero democristiano nel 1935 e in Francia molte volte. Oggi, al momeiìtu che i! presidente della repubblica inizia una nuova consultazione, occorre tenere presente che il quadripartito è morto e non può farsi risuscitare perchè mancano fra i vari componenti i fattori coesivi. La astensione dei tre partiti minori nel voto per De Gasperi, che sostenne la legge elettorale del premio di maggioranza proprio per rifare i l quadripartito, non ha altro significato che di mancata fiducia, più che al loro antico leader per un primo periodo sperimentale, alle possibilità di controllare il partito al governo. Essi hanno avuto paura che i monarchici, al primo dissenso dei tre partiti laici con De Gasperi, avrebbero votato a favore, creandogli una maggioranza di ricambio. Lo stesso sentimento hanno avuto i mon'archici in confronto ai tre partiti, e perciò, invece di astenersi, hanno votato contro. Questa controversia attorno alla D.C. rende impossibile un secondo tentativo di minoranza capeggiato da De Gasperi; o anche da altri. La democrazia cristiana, come il partito più qualificato a rifare i l governo, dovrà orientarsi verso una soluzione che trovi consenziente la maggioranza della camera e del senato sopra una formula diversa, che potrebbe essere quella di un ministero di affari, per l'approvazione dei bilanci e altre leggi urgenti reclamate dai vari gruppi nell'interesse del paese, e per dare la possibilità di una più matura soluzione parlamentare. L'idea avanzata durante la crisi di un appello al paese, al momento presente sarebbe ingiustificata, irragionevole e assurda ; getterebbe il paese in una convulsione senza precedenti. I1 parlamento ha oggi tutte le possibilità per risolvere questa e altre crisi successive, avviandosi verso u n periodo di tranquilla seria e utile operosità. 29 luglio 1953.

( I l Giornale d'Italia, 31 luglio).

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MINISTERO D'AFFARI O MINISTERO POLITICO? Siamo a due mesi dal 7 giugno senza un ministero che abbia avuto la fiducia del parlamento. Come sintomo di uno stato di incertezza e fluidità, non è certo confortante, pur nella speranza che il nuovo incaricato, on. Piccioni, riesca a spuntarla. Era ben chiaro fin dai primi giorni dopo l'esito elettorale che i partiti della coalizione non fossero in grado di esprimere un governo a maggioranza precostituita. Sarebbe stata una buona idea quella di lasciare per tre mesi in carica il gabinetto De Gasperi, approvare bilanci e leggi urgenti e dare modo ai partiti di riorientarsi, sì da riportare alla ripresa la discussione politica sopra una soluzione concordata. Ci avrebbe guadagnato il paese ritornando alla calma; ci avrebbero guadagnato i partiti per una matura revisione delle proprie posizioni ideali e pratiche. Discutere ancora sull'apertura a sinistra, sulla ricostituzione del quadripartito, con partecipazione o no dei minori al governo, possibilità o no del governo monocolore di minoranza con l'appoggio precostituito, di larghi programmi del futuro sopra le fragili spalle di un governo minato in partenza, è uno di quei giochi a vuoto, che stancano senza soddisfare; riescono sterili anche se si arriva a conchiudere qualche cosa, perchè lasciano tutti scontenti. Se sotto un governo di affari si fosse ripresa la legge sui danni di guerra, sarebbe rimasto soddisfatto un notevole settore d i cittadini per quel che la legge il comporta. Se si fosse proceduto all'esame dei bilanci, dei quali la legge esige l'approvazione prima del 30 giugno e quindi sotto la responsabilità del governo uscente, sarebbe stato un bene per lo stato, per il paese e per i cittadini direttamente interessati. Così per altre leggi i n corso, quella per gli impiegati compresa. Quando accennai ad un ministero estivo, e altri n e avanzò l'ipotesi, si replicò essere meglio un ministero « col cappotto D: meglio in ipotesi, ma fin oggi nessun ministero esiste, balneare o invernale, mentre i parlamentari speravano avere le loro va-


k n z e . Poco male, si dice; non è così. Si tratta di una rispetl tabile categoria di persone i cui nervi sono stati da un anno sottoposti a un logorio eccessivo : legge elettorale ; discussione alla camera e relativo ostruzionismo; discussione al senato e relativo ostruzionismo con l'aggravante dello scioglimento; battaglia elettorale; 7 giugno; due mesi di discussione, quadripartito sì, quadripartito no ; monocolore sì, monocolore no ; le loro condizioni psico-fisiche non debbono essere soddisfacenti. Nell'attesa del tentativo Piccioni e delle discussioni nei partiti e nei gruppi e poi in aula a Montecitorio e a Palazzo Madama, arriveranno trafelati a i primi di settembre. Quindi dopo pochi giorni di pausa, bilanci su bilanci fino al 31 ottobre. Ma c'è ben altro; si tratta di un morto in casa che deve essere decentemente seppellito; parlo della legge elettorale con la quale si son fatte le elezioni dei deputati, legge che dopo il 7 giugno, non può rimanere in vita. Non sono d'accordo con coloro che ne propongono la revoca pura e semplice: procedura piuttosto polemica che lascerebbe intatto il testo unico del 5 febbraio 1948. Occorre invece avere sottomano un nuovo disegno di legge, non importa se di iniziativa parlamentare o proposta dal governo, che risponda a criteri democratici e di serietà politica. Vecchio proporzionalista, da due anni vo insistendo per il ritorno al collegio uninominale, sia maggioritario con l'eventuale ballottaggio, sia maggioritario come quello del senato (non col 65 per cento ma col 50 + 1 per cento) con l'assegnazione proporzionale in circoscrizioni provinciali per i posti non coperti. Discutere e approvare una legge elettorale non significa affrettare le elezioni, che, secondo me, dovrebbero essere rinviate quanto più lontano è possibile; occorre solo avere uno stmmento adatto al caso, senza correre il rischio di essere obbligati dagli eventi a rifare le elezioni con la legge attuale. Dopo la storia dell'apertura a sinistra non può corrersi il rischio di un premio di maggioranza a sinistra, anche se le probabilità di tale rischio siano solo del 35 o del 38 per cento. Non si sa mai quale sarebbe il responso di un corpo elettorale preso dal panico ovvero eccitato da nuove e improvvise suggestioni; non può mai prevedersi la ondata del popolo sotto l'in-


flusso di quell'u imponderabile storico che tante volte ha cam-/' biato il corso, creduto normale, degli avvenimenti. In sostanza, la prova del 7 giugno non può rimanere senea sviluppo; la nuova configurazione politica del paese esige che venga incanalata nello spirito della legalità costituzionale e della eguaglianza civica. Strano pertanto l'atteggiamento di coloro che insistono su classifiche di partiti, al momento che le intese tra gli affini sono rese difficili dagli stessi avvenimenti; stranissimo chi impotente a risolvere il problema del governo, svaluta l'opera del partito o degli uomini che hanno la responsabilità parlamentare di condurre in porto la barca governativa. I liberali tentano rimettersi in prima luce vantando il titolo nobiliare che li fa rimontare al risorgimento; senza rendersi conto che la loro posizione di liberali e il loro programma proposto dall'on. Malagodi sono semplicemente antitetici al piano dei socialdemocratici che vorrebbero fin da ora preparare 1' Italia socialista di domani. Se un'intesa negativa e laica è possibile fra i minori, un'intesa positiva sul campo economico non solo non è possibile oggi, ma non è stata possibile da parte dei liberali con gli ultimi gabinetti De Gasperi dal giorno che fu proposta la legge di riforma agraria detta « stralcio ».Anche se De Gasperi, con la sua nota abilità, ritentasse di combinare u n ministero con dentro insieme liberali e saragattiani, ora come ora, sarebbe obbligato a rinunziarvi. 2 agosto 1953.

(11 Giornale d'Italia, 5 agosto).

PARLAMENTO GOVERNO e PARTITOCRAZIA (*) La rinunzia dell'on. Piccioni all'incarico di formare il ministero dà un rilievo inaspettato alle fasi della presente crisi affetta da inguaribile partitocrazia. L'on. Gonella, in un momento non so se di rimorso o di chiaroveggenza, nel suo comu(*) Pubblicato col titolo u Governo e partiti n.


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del 9 affermò di avere fatto presente alla riunione dei quattro partiti democratici che sarebbe stato « più conforme alla « prassi parlamentare che la formazione del governo venisse a 1trattata direttamente con chi è stato incaricato a costituire « il governo. I partiti hanno la possibilità di esprimere i loro « desiderata attraverso i capi dei loro gruppi parlamentari con « i quali discute il designato alla formazione del nuovo mi« nistero a. Tutto sommato, veti o non veti, il metodo della partitocrazia è continuato fino alla rinunzia di Piccioni, e minaccia di continuare durante l'incarico Pella, visto che i partiti si susseguono con comunicati più o meno chiaritivi e sempre inopportuni. Tale metodo, già introdotto con i comitati nazionali di liberazione in forma eccezionale e per sua natura rivoluzionaria e consacrato con la formazione del governo dell'esarchia e con la formazione della consulta, continuò anche nel periodo della costituente. Rotta l'esarchia e rotto il tripartito, entrata in vigore la costituzione ed eletti camera e senato, si sperò nel ritorno al sistema parlamentare. Ma la partitocrazia, dura a morire, rimase come un terzo incomodo nel nuovo sistema e continuò ad imperversare come se nulla fosse cambiato. Per la nomina del governo la carta costituzionale parla chiaro: il presidente della repubblica nomina il presidente del consiglio dei ministri e su proposta di questo nomina i ministri; il governo così nominato deve avere la fiducia delle due camere. Siamo in regime presidenziale-parlamentare, nel quale ci sono tre atti distinti e diversi per valore e per responsabilità: la nomina del presidente del consiglio d i scelta del capo dello stato; la nomina dei ministri di scelta del presidente del consiglio; il voto delle due camere che concede o nega la fiducia. È vero che la fiducia del parlamento è data da una maggioranza che può essere costituita da uno o da più gruppi, secondo l'esito delle elezioni, e quindi l'uno e l'altro presidente debbono tenere conto dell'orientamento delle due assemblee; ma, a parte lo sviluppo successivo ad un voto di sfiducia di una o delle due camere, gli atti per la formazione del governo hanno propria fisionomia costituzionale e implicano responsabilità specifiche ben caratterizzate. L'intervento effettivo, pubblico e indiscusso degli or-


gani dei partiti nella designazione dell'eventuale incaricato dal capo dello stato a formare il governo, e nella formazione del ministero e perfino nella scelta dei ministri, che implica un atto di fiducia per una coerente collaborazione, sposta le responsabilità dal piano costituzionale a quello dei partiti, dagli organi responsabili a persone e organismi non responsabili. Che si tratti di responsabilità politica costituzionale non può mettersi in dubbio e che sia personale non è possibile negare; e che ciò caratterizzi il regime democratico parlamentare è C o r i di dubbio. Uno degli episodi più turbativi del sistema costituzionale si ebbe nel 1949 quando i rappresentanti del partito socialdemocratico uscirono dal gabinetto De Gasperi per sottoporre agli organi del partito la permanenza o meno dei loro ministri al governo. Da parte di Saragat nessuna infrazione al metodo parlamentare perchè la decisione fu presa dai ministri, non importa se volontaria o imposta dal partito. Ma da parte di De Gasperi sì, per il fatto di aver dichiarato di attendere il responso di quel partito per riassumere o meno nel governo i reduci dal congresso e di avere coperto i seggi vuoti con ministri ad interim fin che piacque al partito di restituirli sani e salvi. Se ciò avvenne quando la D.C. aveva maggioranza assoluta, oggi ancora d i più, non potendo nessun gruppo rivendicare il diritto democratico di governare da solo. Basta il malumore del segretario di uno dei partiti coalizzati a mandare il governo a gambe per aria. La prevalenza dei partiti sui gruppi parlamentari è stata attenuata, sia per istinto di adattamento sia per prevalenza personale, dal fatto che i partiti hanno eletto deputati al posto di presidenti e di segretari politici (non mi pare che vi siano senatori), surrogando i non parlamentari o facendo eleggere i propri segretari a deputati alla prima occasione. Ma ciò non porta affatto alla inserzione dei partiti nell'ingranaggio parlamentare, essendo stati tenuti distinti i segretari dei partiti dai capi dei gruppi nonchè i rispettivi direttorii. Trattandosi di organi e di competenze diverse non si può invocare il sistema inglese nè quello americano come prototipi della partitocrazia italiana. In quei paesi il partito si distingue dalla rappresentanza par-


lamentare in quanto il primo è organismo, macchina elettorale ( l a chiamano the machinery 1) in America), mentre sono i l parlamento e i l governo ad interpretare con autonomia la politica del partito come politica del paese. I n Inghilterra il primo ministro è di diritto capo del partito di maggioranza e il capo della opposizione di S. Maestà alla camera dei comuni (che ha posto, salario e diritti propri) è il capo del partito di minoranza. Nessun altro organo si ingerisce nelle competenze parlamentari e governative; il partito si esprime nei congressi con deliberazioni di orientamento e di indirizzo che poi i parlamentari cercano di attuare secondo le loro responsabilità e possibilità. Quel che scrivo risponde a quanto in uso prima dell'ultima guerra; può darsi che con l'avvento dei laburisti qualche cosa sia stata cambiata indulgendo alla partitocrazia, il che, tutt'al più, può indicare una tendenza, non mai la soluzione di un problema che investe lo stesso ordinamento costituzionale. Gli inglesi sono tradizionalisti anche quando cambiano metodo, non rinunziano facilmente agli usi del passato. Del resto, perchè cambiare se il partito al potere è in fondo quello che sceglie il primo ministro, e non il re o la regina (che è lo stesso), come si crede. I n tanto è i l partito in quanto questo è retto dalla stessa persona. Baldwin passò il posto a Neville Chamberlain e questo a Churchill; ma Baldwin, Chamberlain e Churchill sanno di dirigere il partito a servizio del paese e non viceversa. Così i l partito in Inghilterra è assorbito, politicamente, dalla rappresen. tanza della camera dei comuni ( l a vera rappresentanza politica); lo stesso è più o meno dei dominii di popolazione anglosassone. In America la inserzione politica dei partiti è stata graduale ed originale al punto che la procedura elettorale può dirsi un misto fra tradizione partitica e legislazione. Ma la sostanza è l a stessa: la politica è nelle mani del governo e del parlamento, non è affatto negli organi dei partiti. I partiti si esprimono nei loro congressi, influiscono nelle elezioni per quel poco o molto che le macchine politiche influiscono sui singoli elettori; ma le responsabilità politiche sono spiccatamente ed esclusivamente parlamentari o governative secondo l'articolazione propria. La scelta che s'impone in Italia, data la prassi di questi dieci


anni, va dal ritorno allo spirito e alla lettera della costituzione, eliminando il gioco dei partiti dall'attività governativa e parlamentare; all'inserimento dei capi dei partiti nel complesso dell'organismo e delle responsabilità parlamentari e governative. Non dico di imitare l'America o l'Inghilterra, ma trovare il modo di evitare che governo e parlamento restino alla mercè delle decisioni dei partiti, dei quali non si ha neppure il mezzo di valutare la consistenza, la regolarità democratica, la limpidità amministrativa e la sincerità direttiva. Mi dicono che nel 1953 io scrivo contro la partitocrazia, quando nel 1919 ne fui l'inventore. Sfido i miei critici a trovare nei miei scritti di allora un rigo che contraddica a quel che vado scrivendo da sette anni; sfido a trovare nella storia vera delle crisi governative dal 1919 al 1922 un mio intervento personale o di partito che si sia inserito nell'attività parlamentare. Chi mi griderà: il veto a Giolitti, non ne conosce la storia nè il significato. 10 agosto 1953.

( L a Stampa, 14 agosto).

RICORDI E RETTIFICHE Ho sempre lasciato correre notizie, dati, apprezzamenti a mio riguardo; rarissima qualche messa a punto; mi è sembrato non ne valesse la pena. Oggi fo un'eccezione a proposito di alcune notizie contenute nell'articolo « Don Luigi Sturzo consigliere aulico D, nell'esclusivo interesse della verità storica, da parecchio tempo offuscata da varianti inesatte quasi acquisite nell'opinione comune. Mi riferisco alla leggenda del mio consenso nell'ottobre 1922 alla partecipazione di deputati popolari al governo di Mussolini. Sgombriamo la storia dall'aneddoto: non ci fu affatto alcuna mia telefonata da Roma a Milano, o da Milano a Roma, nè con amici nè con altre persone in qualsiasi modo qualificate ovvero


senza alcuna qualifica. Nè credo che altri abbia telefonato in quei giorni abusando del mio nome; lo avrei saputo. Se ciò avvenne e rimase a me ignoto, ho motivo di pensare che non ebbe alcun significato. La mia posizione ostile al colpo di stato, senza attenuazioni, fu nota lo stesso giorno che i l re rifiutò di firmare il decreto governativo di stato d'assedio - gi.à annunziato e messo in esecuzione - quando a mezzo dei ministri popolari Bertini e Anile, feci conoscere il mio pensiero al presidente Facta. Poscia convocai d'urgenza il consiglio nazionale del partito, ma data l'assenza di molti impossibilitati a raggiungere Roma, mi limitai ad uno scambio di idee con gli intervenuti, manifestando la mia opposizione, e l a necessità della resistenza sul piano costituzionale e parlamentare. Sopravvenuti gli amici dell'alta Italia, bloccati durante il viaggio, fra i quali l'on. Cavazzoni, ebbi da quest'ultimo l a notizia che egli era stato invitato da Mussolini (ancora a Milano) a f a r parte del futuro gabinetto. Premetto, che secondo il regolamento del partito, l a competenza e la responsabilità .di partecipare o no al governo, e quindi di dare o no il voto d i fiducia, spettava ai gruppi parlamentari della camera e del senato; al segretario politico e alla direzione del partito spettava solo i l diritto di manifestare i n tempo i l proprio parere a i direttivi dei gruppi. I n caso di conflitto, a risoluzione presa ed eseguita, spettava a l congresso l'esame della vertenza. La mia posizione si mantenne sempre negativa circa la partecipazione dei popolari al governo; ma i dirigenti del gruppo decisero di lasciare liberi tanto Cavazzoni quanto Tangorra come ministri e i tre sottosegretari ad accettare il posto a titolo personale e non come rappresentanti del gruppo, che del resto non si era potuto regolarmente convocare. Questa posizione era analoga a quella degli altri deputati appartenenti a diversi gruppi parlamentari che avrebbero fatto parte del governo di Mussolini, il quale, per conto suo, non intendeva imbarcare partiti, nè subirne l e condizioni. Da parte mia aggiunsi che avrei portato la questione al congresso. Dopo di che io feci tre discorsi pubblici (pubblicati


poco dopo da Gobetti, e nel 1951 dall'istituto Luigi Sturzo): il primo a Torino, i l 20 dicembre 1922; il secondo a Napoli il 18 gennaio 1923; il terzo al quarto congresso del partito, che ebbe luogo a Torino dal 12 al 14 aprile 1923. Quest'ultimo di. scorso diede occasione al Popolo d'Italia di pubblicare un articolo, non firmato ma notoriamente di Mussolini, dal titolo « Il discorso d i un nemico ».I1 giorno successivo fu richiesta e ottenuta l a dimissione del ministro Cavazzoni (Tangorra era già morto) e dei tre sottosegretari. Nel luglio successivo, mi dimisi da segretario politico, i n occasione della discussione della legge elettorale Acerbo da me strenuamente avversata ; rimasi però come membro della direzione del partito. Disciolta la camera ebbi l'incarico di redigere l'appello e organizzare la lotta per le elezioni politiche dell'aprile 1924, nelle quali il partito popolare avanzò tutti gli altri, socialisti compresi, e fu il secondo dopo il partito fascista. Lasciai Roma per Londra i l 25 ottobre 1924; ma non per lasciare l a battaglia. Gobetti pubblicò nel 1925 i l mio Pensiero antifascista, e La Libertà in Italia, discorso tenuto a Parigi (nella sala della cassazione) il 25 marzo 1925. Nel 1926 apparve a Londra i l mio libro Ztaly and Fascismo, pubblicato anche a New York e quindi a Colonia in tedesco, a Parigi in francese e a Madrid in spagnolo. Così allora scrivevo (*): u Mussolini si diede subito a comporre il suo gabinetto più come capo di esercito che forma il suo stato maggiore che come capo di governo che chiama i suoi collaboratori. Escluse di trattare con i partiti, indirizzandosi soltanto a personalità politiche, molte delle quali estranee al suo partito. Ed era per lui una necessità avere uomini esperti della cosa pubblica, perchè tanto egli che i suoi erano nuovi al governo e senza acuna preparazione nei-vari rami dell'amministrazione dello stato. Agli uomini chiamati da lui al governo, estranei al suo partito, si presentò un problema di coscienza assai grave: collaborare o non collaborare? - Nel primo caso si assumevano responsabilità e direttive non proprie nè rispondenti ai propri (*) v. Italia e fascismo, Zanichelli, Bologna 1965, pp. 107-108.

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convincimenti; e nel secondo caso si eccitava l'uomo, che si credeva !vincitore, a riprendere le rappresaglie violente. L'opinione pubblica era divisa. I1 fatto che il re aveva dato a Mussolini l'incarico di comporre il' ministero, in seguito ad una crisi precedente alla marcia su Roma, aveva l'apparenza costituzionale e voleva significare il tentativo di riportare la fazione sul binario .della legalità. Un ministero di coalizione in queste condizioni poteva sembrare un tentativo di pacificazione; sotto questi aspetti la collaborazione dei costituzionali poteva essere le contropartita del trionfo della fazione armata. Così pensavano i filo-fascisti, i concilianti ad ogni costo e anche non pochi degli antifascisti. Gli altri invece pensavano che lo stato d'animo d i una fazione trionfatrice con la presa di possesso della capitale, dovesse avere degli effetti a l di là di ogni misura. I1 regime parlamentare era colpito nella sua essenza; sicchè non vi era possibilità di intesa tra fascisti e costituzionali. Fra costoro era chi scrive, contrario ad ogni intesa con il nuovo governo. Però f r a i popolari, come fra i liberali e i democratici-sociali, prevalse l'opinione della collaborazione con Mussolini, nella speranza che una volta arrivato al potere, sia pure a mezzo del tentativo di rivolta, egli e i suoi amici avrebbero seguito la via della legalità e dell'ordine, e il rispetto alla libertà; e che la loro presenza al governo, avrebbe salvato la continuità della vita costituzionale del regno. Così costituito il primo ministero Mussolini, il 15 novembre si presentò alla camera dei deputati e al senato D.

Dacchè ne ho l'occasione mi piace rettificare quanto si riferisce al mio incontro con mons. Della Chiesa (poi Benedetto XV) a proposito della mia sindacatura. Premetto che ero già sindaco in funzione e la mia visita al cardinal segretario di stato era stata richiesta dal mio vescovo, il quale poteva darmi il suo consenso, ma lo subordinò al consiglio di Roma. I1 cardinale Merry del Va1 mi rispose di ritornare non il pomeriggio, ma dopo un certo tempo. Le parole di mons. Della Chiesa non erano


difformi da quelle del cardinale, ma tendevano a non lasciarmi nella perplessità, dato che l'esito sarebbe stato favorevole. E dacchè sono in vena di ricordi, mi piace ripubblicare quanto scrissi nel mio volume Nationalism and Znternationalism (New York, 1946, pag. 55). Eccone il testo italiano: « Nel 1910 ero da cinque anni sindaco di Caltagirone e membro del consiglio nazionale dell'associazione dei comuni italiani e uno dei leaders del movimento " comunalista " contro il centralismo dello stato, sì che la mia voce non mancava in tutti i congressi municipali d'Italia. « F u in uno di tali congressi, a Catania, fra una sessione e l'altra, che fui abbordato da un gruppo di giornalisti, che mi domandarono come io potessi conciliare la mia qualità d i sindaco con la tesi che Roma deve tornare al papa. Risposi semplicemente che quella non era la mia tesi, benchè come cattolico affermassi la necessità di una pacifica soluzione della questione romana. « 1 giornalisti sono fatti per i giornali: ecco spuntare sopra un giornale di Messina una testata larghissima: Intervista con don Sturzo: Non più Roma al papa. Il giornale di Firenze, l'Unità Cattolica, prende la notizia e mena un attacco a fondo contro don Sturzo. I1 cardinale segretario di stato, allora S. Em. Merry del Val, scrive una lettera al vescovo di Caltagirone, perchè faccia un'inchiesta e riferisca. (C Invitato a scrivere una relazione dei fatti, dichiaro sì che non avevo inteso dare interviste ma rispondere ad una domanda, mentre si servivano dei rinfreschi, ma che la mia idea, espressa altre volte, era proprio quella, e non potevo modificarla trattandosi d i condizione di fatto. « La cosa non ebbe altro seguito: ma la mia sorpresa, e ammirazione, f u grande quando mesi dopo ebbi occasione d i essere ricevuto in privata udienza da S.S. Pio X ; il quale, al mio entrare e inginocchiarmi, aperse le braccia e mi invitò così: - Venite, signor sindaco, venite; nessuno ancora vi ha scomunicato? - Nessuno, risposi io, e chi lo potrebbe se non vostra santità stessa? - Io non vi scomunico, caro Sturzo; disse il papa, e poi sorridendo aggiunse a voce bassa: - guardatevi da quegli altri che vi sospettano Di questo episodio (benchè ne

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abbia parlato con varii amici), è la prima volta che ne scrivo, per rilevare l'animo di Pio X circa la questione romana e per notare le difficoltà dell'ambiente che forse fu quello che gli impedì di realizzare lui stesso la conciliazione con l'Italia 11. 3 settembre 1953.

(L'Italia, 5 settembre).

LA CORTE COSTITUZIONALE E I SUOI GIUDICI La mancata nomina dei cinque giudici di elezione parlamentare, e più che altro i motivi politici del rinvio, hanno recato penosa impressione presso la gente pensosa dell'andamento della nostra democrazia. Dunque, i gruppi parlamentari non si sono messi d'accordo sui nomi da eleggere, e più che sui nomi, sulle rappresentanze d a assegnare ai vari partiti e alle diverse tendenze. Anche qui, purtroppo : apprezzamenti politici, tentativi d i compromessi, esclusione o inclusione di colore, aperture a sinistra e chiusure a destra o viceversa, ipoteche di partiti grossi o d i partiti piccoli. La corte costituzionale, cioè il più alto consesso giuridico, sorretto dal prestigio dei quindici giudici chiamati a comporla, va tenuta al di fuori di ogni ingerenza di partiti, di tendenze, d i caste e di interessi; o non vale la pena costituirla se svalu'tata in partenza. Tra parentesi: la sede della corte, fuori del centro di Roma, in un recesso bellissimo quale Villa Borghese, è da scartare. Si dovrebbe insediare a Palazzo Venezia, sgombrandolo di istituti di secondaria importanza o di ospiti occasionali. Da quel palazzo dove si affermò la dittatura, l'alto consesso, cui è affidato il giudizio d i legittimità costituzionale, di conflitti di potere e di esame di eventuali accuse cont'ro il presidente della repubblica e i ministri, avrebbe il rilievo pubblico necessario come presidio di libertà e di democrazia. I1 paese deve vedere anche nell'esterno decoro tutta la im-

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- STCRZO . Politica d i

queeti anni.


portanza, dignità ed autorità del nuovo istituto; il quale, non avendo dietro a sè tradizione alcuna, e superando per delicatezza di mansioni i più antichi, come la tassazione e il consiglio di stato, deve acquistare prestigio da se stesso fin dalla sua prima impostazione. Come può avvenire ciò se il parlamento, che si riunisce nella solennità di unica assemblea delle sue due camere proprio per procedere alle nomine, si mette a discutere il più o il meno da attribuire ai partiti, mostrando di curare poco la valutazione dei candidati che per dodici anni siederanno in quella corte? È vero che la legge del 14 marzo scorso fissa un quorum insuperabile: tre quinti dei seggi in prima e seconda votazione; i tre quinti dei presenti nelle successive, imponendo così a l parlamento un'eccezionale concordanza di voti, che può dare luogo a imposizioni di gruppi e di gruppetti! ma sta al buon senso di tutti evitare deplorevoli pressioni e sconfinamenti. Strana disposizione di legge questa, che supera quanto stabilisce la costituzione per la elezione del presidente della repubblica, per la cui nomina occorrono, è vero, i due terzi dell'assemblea in primo e secondo scrutinio; ma dal terzo in poi basta la maggioranza assoluta. I1 cappio dei tre quinti dei presenti gioca assai bene con l'attuale parlamento. Per raggiungere i tre quinti occorre partire da Saragat fino ai missini, ovvero da Nenni fino ai monarchici, o da Togliatti fino ai democristiani. È da augurare che ciascun gruppo presenti nomi di primo piano nel campo del diritto costituzionale preferendo coloro che hanno anche salde conoscenze nel campo< amministrativo, finanziario ed economico; in modo che la gara dei gruppi si svolga sul valore delle candidature e le convergenze dei voti vadano ai più adatti e più insigni. Non è impossibile attuare simile proposta se i dirigenti,dei gruppi ne prendono impegno. Non mi pare che sia compito del governo o dei presidenti delle due camere quello di curare intese preventive fra i gruppi, che finiscono per consacrare le richieste dei partiti e la scelta delle mediocrità; resti la responsabilità nel parlamento e in ciascun parlamentare, libero in coscienza del suo voto, resti nei dirigenti dei gruppi a orientare senza imposizioni i propri con-


sociati. I1 paese giudicherà, e saprà apprezzare lo sforzo di <( spoliticizzare » l a corte costituzionale e destare nel pubblico i l senso di maggior fiducia possibile verso di essa. A far ciò debbono anche concorrere gli altri corpi elettorali e lo stesso presidente della repubblica. Mi permetto osservare che ( a parte le scelte già avvenute i cui nomi sono fuori discussione) la procedura usata anzitutto dal consiglio di stato merita dei rilievi non indifferenti; sia per il fatto che vennero esclusi dalla votazione i magistrati fuori ruolo; sia per l'esito della votazione, non avendo l'eletto riportata la maggioranza assoluta dei voti. I due fatti non possono passare senza esame; ciò spetterà alla corte nel valutare i titoli dei singoli giudici. Simile appunto va anche fatto per la elezione di due magistrati di cassazione, dei quali, su 148 votanti, uno ebbe 59 voti e l'altro 48. Se si ammettono elezioni a maggioranza relativa ( e piuttosto scarsa) invece che a maggioranza assoluta, non saprei quale prestigio ne verrà alla nuova corte. L'attesa dei nomi che sceglierà il presidente della repubblica, con la controfirma del presidente del consiglio dei ministri, non è inferiore a quella che farà il parlamento; l'ultima scelta dovrà colmare vuoti e aggiungere prestigio e consensi alla corte costituzionale. Con ciò non siamo alla fine. I1 parlamento, nella stessa o in altra seduta, dovrà procedere alla nomina di sedici giudici aggiunti per i quali esistono due testi costituzionali. All'art. 135 la costituzione prescrive che all'inizio di ogni « legislatura (prego coloro che negano l'esistenza della legislatura di prenderne nota), il parlamento i n seduta comune elegge sedici membri della corte (detti poi giudici aggiunti) da intervenire nei .giudizi di accusa; mentre la legge costituzionale dell'll marzo 1953 stabilisce che il parlamento compila un elenco di persone a numero imprecisato, dal quale sono tratti a sorteggio in caso di necessit.à, i sedici giudici aggregati che dovranno partecipare ad un determinato giudizio di accusa. Si deve intendere che l'ultimo comma dell'art. 135 della costituzione sia stato modificato? sembra di sì. Avremo in tal caso un albo di almeno tre volte il numero sedici per potere

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procedere ad un sorteggio effettivo. È nostro voto che si faccia u n albo di almeno cinquanta nomi inattaccabili da tutti i punti di vista. Potrei far punto; ma desidero far considerare al parlamento e al governo che il compenso fissato per il giudice ordinario della corte costituzionale merita revisione, sia perchè il giudice perde ogni possibilità di altri incarichi ed emolumenti, sia perchè la eventuale pensione verrà assorbita nella retribuzione; cosa dura se si pensa che la pensione è il frutto di una vita a servizio dello stato e del paese. È da osservare che se si possono scegliere a giudici costituzionali i migliori nomi che siano in Italia, potrà darsi che non tutti siano disposti a rinunziare alla carriera, alla professione, all'insegnamento, e perfino a certe occasionali attività extra professionali. 6 settembre 1953.

(La Stampa, 11 settembre).

DI NUOVO

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APERTURA A SINISTRA n

Oggi manca la grande orchestrazione del luglio scorso; ma dopo la pausa del voto di fiducia al governo Pella e le brevi vacanze, è stata riaperta la discussione, più esattamente, sono ricominciati, insieme alle punzecchiature, gli inviti insinuanti alla D.C. per una ripresa di discussione. La convocazione del consiglio nazionale democristiano ne è stata la occasione propizia. È noto che fra i numerosi consiglieri effettivi e rappresentanti sindacali e locali non mancano coloro che vedrebbero con simpatia una certa apertura a sinistra. Saragat invita la D.C. a correre, sia pur con cautela, i rischi che comporta la mano tesa a Nenni. Sarebbe molto opportuno che non solo i capi gruppi e i capi partiti, ma l'opinione pubblica fosse edotta dei rischi che non solo la D.C., ma il paese verrebbe a correre. 11 primo rischio, che a me sembra evidente, riguarda la politica interna e sarà rischio di natura psicologica. Nenni


può essere sincero, e può non esserlo anche suo malgrado; può dare assicurazioni di fare una politica indipendente dai comunisti e non farla, ovvero farla, senza assicurarla; si tratta del rischio dell'incertezza che esige e sperimentazione e riprova, che può portare ad esito favorevole o contrario. Se favorevole, i l vantaggio sarà dei socialisti; se contrario, l a colpa sar,à dei democristiani. Volere o no, si comunicherà u n senso di panico nella sezione anticomunista del paese; un senso di euforia in quella sindacalista: se non sarà l a vittoria di Togliatti, sarà certo quella di Di Vittorio. I1 suo antagonista e alleato (secondo i casi), on. Giulio Pastore, passerà in seconda linea o in terza, o potrà scomparire, se così versi deciso oltre oceano. Naturalmente, un rischio non viene mai solo. Ho parlato di oltre oceano per Pastore; ma C' è un oltre oceano anche per l'Italia. Non ostante che Nenni possa arrivare ad affermare che egli considera i l patto atlantico come 'politica attuale da rivedersi; la Nato, come un organismo europeo da rispettarsi p u r mettendolo nel frigorifero; l'unione europea, programma del futuro su altre basi, e simili barzellette; la posizione del governo italiano verso il patto atlantico e l'Europa unita sarà psicologicamente scossa e praticamente inefficiente. Saragat non è in posizione da prendere in mano simili questioni e rimeritare l a fiducia dei suoi amici americani. Egli l'ha già perduta. I suoi contatti con il laburista inglese Mr. Crossman, durante la crisi ministeriale di luglio-agosto, ebbero il significato, ben noto in America, di avere egli consentito al veto a che De Gasperi fosse ritornato alla presidenza del consiglio e agli esteri perchè ritenuto esponente della politica europeista la più spinta. I n quei giorni Crossman contava sulla caduta di Adenauer, la disfatta di Laniel e la eliminazione di De Gasperi, perchè il partito laburista (che spera di vincere le prossime elezioni inglesi) possa avere un'Europa occidentale di suo gusto, eliminando o attenuando le costruzioni europeiste in atto e quelle in corso, e riprendendo per l'Inghilterra laburistizzata l a posizione di paese-partito-leader, direi egemonico ; Mr. Crossman non h a fatto mistero dei suoi sentimenti politici nei riguardi di cugini americani che non ama vedere girare troppo per l'Europa.


Saragat sa bene che il veto a Togni portato all'on. Piccioni mirava a De Gasperi quale ministro degli affari esteri, e che per neutralizzare De Gasperi, in caso di negativa da parte di Piccioni, si proponeva una vice-presidenza Gronchi. Son sicuro che Gronchi non si sarebbe prestato; fece bene Piccioni a declinare l'incarico dando così la misura d e l l t o m o politico che a tempo sa evitare i l peggio, pagando di persona. C'è un altro rischio che potrà derivare dal favore che l'apertura a sinistra incontra in certi settori industriali. Corre notizia che il gruppo industriale lombardo, o meglio un gruppo di industriali lombardi, col nuovo anno si staccherà dalla confindustria della cui politica non è contento. A me sembra, potrò ingannarmi, che un certo fiuto istintivo guidi gli uomini di affari nella politica; nel caso, sarebbe il fiuto della svalutazione? Le imprese indebitate, quelle appesantite, quelle altre con rischi notevoli, quelle che un buon numero di lire tramutate in dollari han messo in salvo fuori dei confini italiani e cercano protezioni per i loro debiti in Italia, favorirebbero una certa regolata inflazione, senza panico economico, pure ammettendo il panico politico che si fronteggia a colpi di scena messi su demagogicamente. Se l'agricoltura da un lato e dall'altro i ceti medi, i pensionati, i piccoli borghesi ne saranno i colpiti, mentre il governo sarà obbligato a rivalutare paghe e stipendi, a raddoppiare le entrate e ridimensionare la baracca statale, ciò interessa fino a un certo punto coloro che pagheranno i loro oreditori con moneta svalutata. Chi vivmà vedrà se questo sarà un rischio reale o solo ipotetico; perchè l'apertura a sinistra vorrà dire, nella concezione socialista di Nenbi e di Saragat, l'avventura economica delle socializzazioni, delle riforme improvvisate, di un interventismo statale ancora più esasperato, e, di conseguenza, l'attenuazione fino alla scomparsa della libertà economica. Quali i vantaggi che ne sperano quei democristiani che sono disposti a favorire l'apertura a sinistra e a credere ( o fingere d i credere) alla possibilità di una reale intesa con Nenni attraverso Saragat, io non riesco a vedere. Una cosa sarà certa, che da quel momento in poi non si potrà parlare più di un programma sociale cattolico, di insegnamenti pontifici nel campo


I

sociale, di autonomia organizzativa dei cattolici sociali aventi personalità propria. Le masse organizzate sapranno che l'intesa è avvenuta, perchè senza i socialisti non poteva realizzarsi in Italia un programma sociale, e che solo i socialisti hanno dato ai democristiani la possibilità delle realizzazioni che le porteranno (così si dice) al benessere e alla prosperità. I punti cardinali della scuola sociale cattolica; la coesistenza e convivenza delle classi sociali, la loro collaborazione armonica e organica, nel quadro della elevazione dei ceti proletari, non avranno più cittadinanza. Al paese sarà data l'impressione, falsa ma psicologicamente reale impressione, che solo piegandosi al socialismo i democristiani abbiano potuto fare qualche cosa di serio, mentre non sarà serio, nè efficiente, nè organico. Le apparenze saranno più della realtà; e le masse diranno: perchè non fare il passo verso il comunismo? I1 socialismo nenniano non viene forse dallo stesso ceppo marxista del comunismo togliattiano? Sar,à solo il filo che lega a Mosca quello che rende Togliatti eterodosso perchè non nasconde di averlo, mentre Nenni è ortodosso solo perchè dice di non averlo? I democratici cristiani non possono, senza tradire gli interessi della religione e della patria, dichiararsi incapaci di attuare il programma cristiano e preparare l'avvento del socialismo marxista. Mai le folle si fermano a metà o a due terzi; il socialismo che non sar,à anticomunista non potrà portare che al comunismo; ma il socialismo che sarà anticomunista non avrà più il favore delle folle fanatizzate dalle riforme socialiste. Di tali fenomeni, conseguenti a certe riforme sociali improvvisate e senza basi economiche, il paese ha già avuto quaIche esperienza. Ecco i rischi che si correranno: chi li vuole affrontare IO dica chiaramente; sarà bene conoscerne i nomi con i titoli e gli indirizzi. 24 settembre 1953.

( I l Giornale d'Italia, 26 settembre).


131 bis

LETTERA AL

C

GIORNALE D' ITALIA n

Onorevole direttore, Non è affatto un segreto che Mr. Crossman, durante l a recente visita in Italia, si sia recato, accompagnato dal signor Dino Gentile, alla sede del partito socialdemocratico e sia stato ricevuto dai signori Mondolfo e Zagari. Comunque, io non ho parlato di incontri e accordi come l'on. Saragat scrive nella sua lettera pubblicata dal Giornale d'Italia; io ho parlato d i contatti che possono essere diretti e a mezzo di terze persone; ed ho affermato avere l'on. Saragat consentito al veto a De Gasperi. Se l'on. Saragat nega anche i contatti e il consenso, non ho motivo di negargli fede. Intanto è certo: primo, che l'on. Saragat e i suoi votarono contro il ministero monocolore di De Gasperi presidente e ministro agli affari esteri; secondo, che da elementi social-democratici fu fatta richiesta all'on. Piccioni di nominare l'on. Gronchi vice presidente del consiglio dei ministri per temperare l'europeismo d i De Gasperi agli esteri; terzo, che l'on. Saragat e i suoi si astennero nel voto di fiducia a l ministero monocolore d i Pella, del quale per volere dello stesso De Gasperi questi non si presentava come ministro agli affari esteri. Circa le idee e i suggerimenti di Mr. Crossman, che Saragat non può ignorare, ho motivo di affermare che le indicazioni date nel mio articolo u Di nuovo apertura a sinistra », sono esattissime e non temono smentite. La ringrazio, on. direttore, dell'ospitalità con i più distinti saluti LUIGI STURZO 27 settembre 1953.

( I l Giornale d'Italia, 29 settembre).


MESSAGGIO AL CONGRESSO P E R IL MOVIMENTO EUROPEO Caro M. Spaak, (*) La prego scusare la mia assenza al 2". congresso dell'Aja per il movimento europeo; condizioni di salute mi impediscono di parteciparvi. Sono presente in spirito. Nulla aggiungerebbe di più la mia presenza fisica, potendo affidare la mia piena adesione alla lettera che a Lei, illustre presidente, indirizzo, come espressione della mia fede costante nell'avvenire dell'Europa unita politicamente, non ostante tutte le difficoltà che al pensiero umano sembrano insuperabili. Simili difficoltà si ebbero nel lontano passato medievale per potere riunire sotto unico regime e unica legge le città libere e le signorie locali, che poscia formarono monarchie e regni. Nell'evo moderno fu difficile pacificare e democratizzare 1 % ~ ropa divisa da concezioni religiose, da interessi dinastici, da lotte egemoniche e nazionali. Oggi si tenta in Europa una trasformazione volontaria, nella quale sono estranee la imposizione del vincitore e la resistenza del vinto; una trasformazione che nasce dal consenso di popolo in ciascun paese per convinzione e libera scelta. È vero che questa convinzione si sia andata formando attraverso due guerre combattute su suolo europeo, e nello stato d'animo non scevro da timori per una terza guerra mondiale. Ma ciò risponde al carattere umano e razionale del processo storico, nel quale si forma la coscienza collettiva delle grandi rivoluzioni palingenetiche attraverso le più dure esperienze e i più ardui contrasti, finchè la via, non vista ma intuita, appaia la decisiva, per la salvezza dell'umanità. Le esperienze iniziali e parziali, non sempre chiare, logiche (*) F. H. Spaak, presidente del comitato d'azione per la comunità sopranazionale europea.


e convincenti, e perciò appartenenti alla problematica storica, maturano l'avvenire. Senza la Lega delle nazioni di Ginevra, senza l'Organizzazione delle nazioni unite, aggiungo anche, senza le conferenze dell'Aja di fine ottocento e primi del novecento e il tribunale internazionale che ne sortì, e così anche senza le varie iniziative particolari di uomini e di regolamentazioni interstatali, non si sarebbe arrivati a ritenere come possibile e organizzabile sul piano economico e politico la vecchia e divisa Europa. Oggi questa possibilità c'è; il piano d'intesa è pronto all'esame dei governi, dei parlamenti e dei paesi interessati. Ancora una spinta: la convinzione va maturando al disopra dei particolarismi inevitabili di nazionalità, di ideologie e d i interessi contrastanti. Dall'Aja partirà di nuovo una voce sicura e ferma di incitamento e di ammonimento. Spero in Dio, da cui procede ogni bene, che i nostri voti abbiano felice compimento. Accetti, onorevole presidente, accetti il congresso, il mio deferente e cordiale saluto. LUIGI STURZO 4 ottobre 1953.

(Il Popolo, 9 ottobre).

SALUTO AD UiL' CONGRESSO PROVINCIALE DELLE

a ACLID

Egregio presidente, (*) Grato mi è stato il suo invito a inviare un mio saluto, non lo chiamo messaggio, agli aclisti di Imperia, riuniti nel V" congresso provinciale. Saluto fervido e confidente nello spirito e nelle attività delle associazioni cristiane dei lavoratori italiani, ispirate al (*) Giovanni Parodi, presidente delie ACLI di Imperia.

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pensiero morale e sociale della chiesa nel campo del lavoro e nel rapporto fra le diverse categorie sociali. Una cosa è certa, che fuori del pensiero e dello spirito cristiano non sarà mai possibile trasformare una società egoista, che ingrandisce i diritti ignorando i doveri, che vede esclusivamente l a terra senza elevarsi al cielo, e pensa ad una felicità materiale che ignora la felicità spirituale la quale sorpassa ogni sentimento ». Le lotte per l a giustizia sono le vostre, giustizia per tutti; e le vostre sono lotte cristiane, vale a dire nel nome e nel metodo di Gesù Cristo. Forte è la tentazione di gareggiare con i marxisti delle diverse denominazioni; ma l a gara demagogica, sia nel merito che nel metodo, è destinata a portare i frutti amari della confusione e dell'errore. La tentazione fa presa nell'animo di coloro cui in fondo manca la fiducia nella forza della verità e del bene; più esattamente manca la fiducia in Colui dal quale prendiamo il nome cristiano e che dichiarò: l o ho vinto il mondo! Nessun altro può vincere il mondo; le vittorie di coloro che fanno appello a forze materiali, si chiamino Napoleone, Hitler o Stalin, sono caduche e fallaci e passano lasciando delusioni e rovine. Oggi più che mai la fede e la pratica cristiana debbono portare il sano fermento di rinnovamento politico e sociale in un mondo che ogni giorno più afferma nel pensiero, nei costumi e negli istituti, l'apostasia dal Cristo. Auguri fervidi di apostolato presso le masse operaie. Cordialmente LUIGI STURZO 11 ottobre 1953.

( I l Popolo, 17 ottobre).


ADESIONE AL CONVEGNO PER LA INDUSTRIALIZZAZIONE DEL MEZZOGIORNO Ill.mo professore, (*) Le sono grato di avere accettato l'incarico di rappresentare a l convegno per la industrializzazione del mezzogiorno questo comitato permanente, che si onora d i aver lei come proprio membro e come componente della commissione tecnica centrale. Nel portare al convegno l'adesione mia e del comitato, la prego di porgere ai rappresentanti del comitato interministeriale, ai dirigenti e tecnici della cassa per il mezzogiorno l'omaggio dei componenti e collaboratori di questo comitato, sorto per il voto del congresso della D.C. tenuto a Napoli nel 1947 quale voce costante delle aspirazioni e dei voti di tutto il mezzogiorno. Fra questi voti, è preminente quello sulla industrializzazione, e quando nell'istituire la cassa fu omessa l a industria dalle attività previste dalla legge, non ~i mancò di rilevarne la grave lacuna. Merito del ministro presidente del comitato avere sfondato l a porta, attraverso i prestiti con la banca internazionale ed avere impegnato notevoli fondi della cassa per il credito industriale per il mezzogiorno. Si tratta di inizio limitato, ma i l presente convegno dovrà servire a dare un più chiaro e realistico orientamento dell'industrializzazione del mezzogiorno. I1 tema che più ha interessato la commissione tecnica di questo comitato è stato quello del quale ella, egregio ~ r o f e s sore, è relatore: <t formazione, qualificazione e specializzazione della manodopera ». Uno dei mali più profondi dei quali soffre i l mezzogiorno

(*) Prof. Vincenzo Cagliati, mepbro del comitato permanente per il me% zogiorno.


è quello del genericismo, non solo le classi operaie ma anche le classi medie. I n nove su dieci lettere che io ricevo da disoccupati trovo la frase che il richiedente è pronto a fare qualsiasi servizio, a ricevere qualsiasi incarico, ad adattarsi a qualsiasi posto. La necessità di lavorare spinge a tali richieste anche diplomati e laureati. Occorre cominciare dalla scuola. Ho più volte manifestato le mie riserve sulle scuole di avviamento; mi è stato affermato che nel complesso hanno reso dei buoni servizi per l'orientamento dell'alunno. Ciò può essere vero nel campo impiegatizio, non così, a mio modo di vedere, nel campo dell'artigianato, dell'agricoltura e dell'industria.

Maggiore soddisfazione ha dato la iniziativa del ministero della pubblica istruzione con la fondazione di istituti professionali a vario scopo secondo le esigenze locali. È da augurare che le province meridionali e insulari vengano largamente dotate di simili istituti dei quali son certo l'insigne prof. Pantaleo farà al convegno una esauriente ed utilissima illustrazione. È necessario che sul terreno della educazione della manodopera adulta il ministero del lavoro cooperi con quello della istruzione, superando le obiezioni di caste burocratiche, che regnano nei ministeri della nostra repubblica, per l e quali caste è più facile l'intesa con un governo estero, che il « concerto non dico fra i diversi dicasteri, ma perfino fra le direzioni generali di uno stesso dicastero.

Debbo aggiungere un riIievo necessario per un paese dove i monopoli di fatto si intrecciano con i monopoli di diritto. Che si lasci a tutti la facoltà di interessarsi al problema della educazione e qualificazione della manodopera: stato, regioni, enti locali, istituti ed enti pubblici e privati. I1 problema è assai grande, i risultati si avranno nel tempo; se si è costanti, in un decennio si avranno risultati sensibili ed effetti duraturi. La cassa del mezzogiorno procedente in questo settore con sani criteri tecnici e con larghezza di mezzi, ,sarà avanti agli altri nel merito della industrializzazione delle nostre regioni.


Accetti, illustre professore, i più vivi ringraziamenti e devoti omaggi I l presidente

LUIGISTURZO lo

novembre 1953. (Corriere di Napoli, 4 novembre).

135. CORTE COSTITUZIONALE E PARTITOCRAZIA Anzitutto non esageriamo: una seduta inconclusiva non è fuori del normale, anche nel caso della convocazione a Montecitorio di ottocento parlamentari. Quale non lontano precedente si potranno citare le sedute del maggio 1948 per la nomina del presidente della repubblica. Allora non vi era il cap. pio dei tre quinti anche nella terza votazione, bastando per disposizione costituzionale la maggioranza assoluta. Neppure hanno motivo a far la voce grossa i Nenni e i Saragat per trarre l'acqua al loro mulino dell'u apertura a sinistra » e della « riqualificazione » del governo, il quale opportunamente è rimasto estraneo in un affare strettamente parlamentare. Vedere nella votazione di sabato scorso una formazione governativa di destra sarebbe una stiracchiatura capziosa ovvero un gioco provincialesco, se non è una mentalità fissata che mal si adatta a uomini politici con più di trenta anni di anzianità. I motivi che hanno irrigidito tutti i gruppi parlamentari sulle proprie posizioni debbono essere analizzati rimontando alle cause e a precedenti legislativi che hanno portato al presente impasse. Nel primo disegno di legge, preparato dal ministro Grassi, alla elezione dei giudici di nomina parlamentare veniva applicata la norma del regolamento della camera: ogni parla. mentare avrebbe votato tre nomi e ne sarebbero risultati cinque. Ma nel va e vieni del disegno di legge fra Montecitorio e Palazzo Madama fu osservato che certamente due dei giu.


dici, ed eventualmente qualche altro, sarebbero stati nominati senza ottenere la maggioranza dei voti. A nomine così importanti non poteva applicarsi un regolamento che si riferisce a commissioni interne del corpo deliberante. Ma poichè la minoranza socialcomunista si opponeva ad una votazione di semplice maggioranza, fu concordato di adottare al caso i l quorum dei tre quinti. L'errore tecnico ( e quindi anche politico) non fu quello di così alto e inusitato quorum, ma il mantenimento dei tre quinti (sia pure dei presenti) per le successive votazioni, dopo la seconda. È regola che a tutte le votazioni a quorum fisso, nel caso di risultato negativo si ammetta la votazione di ballottaggio f r a i due più favoriti, ovvero quella della maggioranza assoluta e perfino della maggioranza relativa; poichè è nello spirito delle leggi elettorali di qualsiasi corpo il principio fondamentale che non si può sboccare al nulla-di-fatto, ma si deve arrivare, dopo una serie di procedure brevi o lunghe che siano, alla conclusione, cioè, alla nomina designata da una maggioranza. Altrimenti trionferebbe il veto positivo o negativo, assoluto o relativo, ma sempre veto. Ciò non è stato compreso dal170NU dove il principio del veto positivo è ammesso per statuto, trattandosi di potenze a pari grado di volontà decisiva (si tratti della Russia o della Cina); ciò non comprese il nostro parlamento nell'approvare la legge di funzionamento della corte costituzionale, obbligando l a maggioranza dei tre quinti meno uno ad intendersi con la minoranza dei due quinti più uno. Ciò porta alla inazione e quindi alla disgregazione degli organismi. Nella storia abbiamo un esempio classico del diritto di veto, quello della Polonia. Per la nomina del loro re elettivo gli elettori di casta nobile avevano i l diritto di veto detto liberum veto: il veto dei liberi. Le lotte e i nulla-di-fatto portarono allo sfacelo di un regno forte e generoso che finì per essere diviso fra Russia, Austria e Prussia. Ma lasciamo la storia. La tecnica elettorale e l a politica democratica esigono la conclusione di qualsiasi atto, sia questo circondato anche da un'azione di cautela e da procedure defatiganti. Non si ammette però una preclusione precostituita


che impedisca l'atto efficace ovvero lo sottoponga alle ingiunzioni di una minoranza. I1 presidente Gronchi credette di superare l'impasse convocando i capi gruppo, per un'intesa preventiva. Buona la intenzione, ma sbagliato il passo. La votazione segreta dei parlamentari è strettamente personale; se l'esito è apertamente concordato fra i gruppi non è più votazione segreta, « per la contraddizion che no1 consente » direbbe Dante. A questo punto occorre ricordare un principio di democrazia parlamentare che non può essere violato da chicchessia, presidente di camera o presidente di gruppo non importa: la responsabilità personale degli elettori. Che ci siano candidature è naturale; che i gruppi segnalino i loro candidati, vada pure; ma che si concordino fra i gruppi e per giunta sotto l'egida del custode del parlamento e del rigido tutore della procedura parlamentare i nomi da votare e ciò fatto all'aperto, con i1 reportage giornalistico, è il colmo. La seduta parlamentare si trasformerebbe in una commedia, eseguita sotto registi più o meno abili. Non si secchino certi miei amici se accuso questi atti di partitocrazia; questa volta non hanno agito i direttori dei partiti, ma hanno agito i direttori dei gruppi, a nome dei loro particolari contrassegni elettorali, presentando ciascuno i propri candidati e imponendone apertamente la votazione ai propri colleghi. Se non piace di chiamarla partitocrazia, si ihiami pure u gruppocrazia ; l'effetto è lo stesso : la sovrapposizione della volontà dei capi alla libera scelta dei parlamentari, nel segreto dell'urna, secondo il dettato della propria coscienza. Un caso di votazione libera da parte dei parlamentari italiani si ebbe per la nomina del presidente della repubblica. Allora la democrazia cristiana non segui un comando dall'alto, divise i suoi voti fra i vari candidati (ho ragione di credere fra tutti i candidati secondo le singole opinioni); poi, come avviene, andò concentrando un buon numero di voti sopra colui che fu l'eletto; anche altri gruppi fecero lo stesso. Questa prova di libertà e di naturale concentrazione di voti sopra il nome preferito non è stata applicata oggi, perchè vi era stato il tentativo Gronchi, che, a compromesso fallito, portò al con-


seguente irrigidimento dei gruppi proprio perchè mancava nella legge lo sbocco naturale di una votazione di maggioranza. Nelle successive votazioni si potrà o no raggiungere i l traguardo sulla base dei tre quinti dei presenti; nel caso negativo le votazioni potranno ripetersi in indefinito. Sarà bene escludere fin da ora le intese, siano o no presiedute dall'on. Giovanni Gronchi a titolo personale o per la carica che copre. Le votazioni segrete debbono essere veramente segrete. I gruppi potranno proporre i loro candidati anche mettendone i nomi sui giornali; ma debbono affidarsi al senso di responsabilità dei parlamentari elettori. Sarà dovere di questi ultimi scegliere i migliori, i più adatti, i più degni dell'altissimo posto, senza che gli eletti giudici della corte costituzionale vengano qualificati con contrassegni dei gruppi e dei partiti. 3 novembre 1953. ( I l Giornale d'Italia, 6 novembre)

AL « TIMES » E AL « MANCHESTER GUARDIAN » La rinomanza di giornali serii e, per quanto possibile, obiettivi che hanno i l Times e i l ~ a k c h e s t e rGuardiun, mi induce a scrivere questo articolo diretto a loro, essendo non del tutto ignoto in Inghilterra che per 16 anni mi ebbe ospite durante i l mio lungo esilio. Parlo degli avvenimenti di Trieste cercando di superare il dolore e l'amarezza per il sangue sparso da una polizia, che poteva con mezzi adatti riportare la calma fra la popolazione triestina la quale non intendeva offendere gli alleati, ma celebrare una data ad essa assai cara. È regola in Inghilterra che i policemen non portino armi e facciano uso dell'autorità che viene dalla stima generale e dalla robustezza delle persone che sanno bene servire la folla di gomito non potendo usare le mani per rispetto alla persona del cittadino libero. Anche in Inghilterra, come in America, a fer-

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- STCRZO - Politica d i

questi anni.


mare folle eccitate si usano gli idranti o le bombe lacrimogene, il cui effetto è infallibile. Perchè usare a Trieste armi da fuoco su folle inermi, anche se eccitate da disposizioni delle autorità alleate per esse assai discutibili? Ammetto che in un secondo tempo si siano potuti aggiungere agli studenti ed alla popolazione degli agenti provocatori, che avrebbero potuto far degenerare la dimostrazione patriottica in affermazione ostile al comando militare. Proprio a prevenire tale degenerazione bastavano i metodi persuasivi, la mediazione delle varie autorità civili, quella del sindaco; solo in caso di rifiuto alle ingiunzioni dell'autorità alleata, bastavano utili getti di acqua e bombe lacrimogene, ma non il ricorso alle armi contro la folla. I1 governo italiano ha fatto raccogliere elementi di indagine, per quanto possibile esatte, delle dolorose giornate d i Trieste; ne risulta la eccessività della repressione, fatta da elementi sparsi della polizia di Trieste comandata da militari inglesi. Son sicuro che se la polizia fosse stata posta alle dipendenze delle autorità civili che collaborano con gli alleati, nulla d i grave sarebbe successo nè sarebbe stata affatto menomata l'autorità del comando militare. Si deve tenere presente che la zona « A del territorio libero non è una colonia, nè si trova più sotto occupazione militare di guerra, ma è una amministrazione mista anglo-americana e italiana con libera rappresentanza elettiva municipale. I1 fatto che la polizia dipenda dal comando militare non trasforma questa in truppe di occupazione nè dà carattere militare alle leggi dell'amministrazione civile come se fosse in tempo di guerra. I n sostanza, pur ammettendo che nell'apprezzamento responsabile del comando .militare della zona u A » ogni dimostrazione doveva essere evitata o repressa, l'uso delle armi fatto contro una folla, sia pure renitente alle ingiunzioni di sciogliersi, h a tutto il carattere di un eccesso di potere: il meno che si può dire è che certi poliziotti e certi comandanti perdettero la testa. È chiaro che nè Trieste città, nè l'Italia, desiderano che il dolore per i morti e i feriti delle giornate luttuose, e il risentimento verso i responsabili esecutori, alterino la politica di


s

pace e di alleanza occidentale nella quale l'Italia è lealmente impegnata. Ma la verità, anche dolorosa, deve essere alla base dei rapporti nostri con l'Inghilterra e con l'America ai cui esponenti politici e alla cui opinione pubblica, rappresentata dalla stampa autorevole, domandiamo reciproco rispetto della verità e reciproca comprensione dei sentimenti nazionali. Non vengano ad accusarci che i fatti di Trieste mostrano un risorgente fascismo. Chi scrive è conosciuto in Inghilterra e in America per avere sofferto ventidue anni di esilio. Ma chi scrive ha avvertito, anche durante la guerra, scrivendo da New York per fogli americani e inglesi, e parlando alla radio, quale errore si andasse facendo col creare nella nuova Europa la questione di Trieste. Rileggendo quegli scritti oggi, a tanta distanza di tempo e a tanta varietà di eventi, trovo che i fatti mi hanno dato purtroppo ragione; gli amici inglesi e americani che allora erano d'accordo con me, ora debbono constatare quale sia stato l'errore di quegli anni, errore accresciuto da otto anni di occupazione. A un mese dalla dichiarazione de11'8 ottobre, l'Italia domanda maggiore comprensione. I1 problema è complesso ma Trieste non è fuori del quadro europeo e degli scopi del patto atlantico; anzi può dirsi ne sia un punto nevralgico, troppo a lungo trascurato. La vera soluzione può essere data dall'invocato plebiscito. Questo risponde alla dichiarazione della carta atlantica del 141 agosto 1941, firmata da Churchill e Roosevelt, i quali al secondo punto precisavano: « Essi non desiderano vedere mutamenti territoriali che non siano conformi ai voti liberamente espressi dai popoli interessati 1). Ma Eisenhower e Churchill oggi non possono rinnegare l'impegno del 1941, impegno firmato da tutti gli alleati col patto del logennaio 1942 e trasportato nella carta dell'0.N.U. alla conferenza di San Francisco nell'aprile del 1945. L'Italia è in regola con i documenti storici degli stessi alleati, domandando il plebiscito.

8 novembre 1953.

( I l Messaggero, 10 novembre).


LIBERTÀ e STATALISMO Fra le dichiarazioni dell'on. Malagodi, fatte a nome del partito liberale su alcuni problemi economici del momento, h a notevole importanza la prima, in riferimento alla legge sulle assicurazioni per le esportazioni, che u i liberali non riconoscono la utilità di enti parastatali quando esistono enti e istituti di assicurazione già sotto il controllo dello stato ». Tale principio dovrebbe estendersi non solo al caso presente, ma al sistema, e non dovrebbero essere considerati solo gli enti che lo stato controlla, ma anche quelle iniziative private che, per la tutela dell'interesse generale, sono sotto la vigilanza generica dei ministeri competenti; i n modo che siano evitati monopoli statali e monopoli privati, e siano evitati ~ r i v i l e g iad enti parastatali che operano nell'attività economica, mettendoli al di fuori del rischio e delle responsabilità della libera concorrenza. E vero che nella presente fase ricostruttiva di un mondo che porta gli effetti delle grandi guerre, è impossibile che gli stati, anche i più evoluti e i meglio attrezzati, e retti da libere istituzioni politiche, non intervengano in qualche modo e in determinati settori nel campo della economia. Tuttavia il problema capitale è quello di non varcare i limiti dello stretto necessario, non creare un funzionalismo assorbente, non mortificare e perfino paralizzare la iniziativa privata. Dobbiamo lealmente riconoscere che nell'immediato dopo guerra, quando l'attrezzatura industriale e commerciale era già stata danneggiata o addirittura annullata, l'intervento statale era senz'altro indispensabile. Mano a mano che si andavano ricostituendo le attività libere, si sarebbe dovuta attenuare l'azione dello stato. Purtroppo, la resistenza della burocrazia e del politicantismo ad una direttiva liberalizzatrice ha incancrenito il male degli enti superflui inutili o dannosi, ~ o r t a n d o ,per giunta, alIa funzionalità posticcia e surrettizia degli enti già posti in liquidazione. Così è andato prevalendo l'indirizzo dirigista in quasi tutti ,


i settori dell'attività privata, dando l'impressione che si tenda ad una specie di socialismo di stato. Che questa sia l a volontà dei dirigenti politici non sembra, se si deve credere alle ripetute dichiarazioni a favore dell'attività privata dei ministri democristiani e all'industria e al commercio, prima Campilli e poi Malvestiti, e degli stessi presidenti De Gasperi e Pella. Non ostante tali dichiarazioni e la loro buona volontà, caso per caso si sono improvvisati provvedimenti e interventi senza finalità chiare e orientatrici, senza discriminazioni di settori, quasi per una specie di fatalità istintiva, per una infezione socialcomunista che penetra le giunture e le ossa del corpo politico italiano. La maggiore spinta è venuta dal sindacalismo prima unificato e poscia suddiviso, che ha favorito sempre l'interventismo statale e preme ogni giorno di più in senso statalista. È naturale che questa sia la direttiva dei comunisti; non dovrebbe essere quella degli altri per un motivo assai semplice. I1 sindacalismo libero è la contropartita dell'economia libera; in un'economia statizzata il sindacalismo libero non può avere posto; cadrebbe nel corporativismo fascista o nelle unioni operaie bolscevizzate che fanno da coro pur credendo di avere in mano il governo della cosa pubblica. Tanto l a camera dei fasci e delle corporazioni che le altre forme pseudo-politiche e pseudo-sindacali di oltre cortina non avevano e non hanno non dico l'iniziativa e l'attività dei sindacati dei paesi liberi, ma neppure la possibilità di una propria autonomia. Per i problemi sindacali di enti statali o parastatali, oggi vi sono due vie in Italia: fare anticamera nei ministeri ovvero tentare di trasformare i partiti in direttorii sindacalisti e conquistare le maggioranze parlamentari. E dopo? I1 parlamento dei funzionari, la socializzazione delle officine e della terra, la dittatura econoniica. In sostanza, l'idea che fermenta oggi in mezzo a scioperi politici che prendono aspetti economici, ad occupazioni di fabbriche che si vogliono giustificare con motivi etico-sociali, è quella della dittatura del proletariato, che poggia sulla sostituzione del (( capitalismo privato con il capitalismo di stato ) I ; con la sostituzione agraria industriale e commerciale, con il funzionarismo statale e parastatale.


I sindacalisti di centro e di destra, l i chiamo così perchè i loro capi militano nella D.C. o nei partiti di centro e di destra, negheranno simile finalità. Mi affretto a dar loro atto di tale risposta; ma essi non si rendono conto che la strada è scivolosa e le premesse, anche se non volute, portano a conseguenze che non si desiderano. I n questo stato di cose sono intervenuti gli on. Cappugi e Angelini a proporre la legge per l'esproprio coatto delle fabbriche industriali in istato pre-fallimentare. Questa legge, se adottata, potrà portare e due risultati: quello di regalare alla C comunità italiana )) un numero non precisabile di industrie che non potranno più vivere dale le perdite annuali notevoli (inflazionando quindi I'IRI, specie il settore meccanico, i l FIM e altri simili enti a perdita costante); secondo risultato, quello di scoraggiare l a iniziativa privata a impiegare capitale nelle industrie, ripetendo l'errore fatto nel settore agrario per una riforma (stralcio) ritardata e mal congegnata, e un'altra ( l a generale) annunziata da anni come la spada di Damocle mentre mancano i miliardi a completare quella in corso che costerà molto più del previsto. Le conseguenze in parte sono in corso e in parte si aggraveranno col processo iniziato: un aumento di disoccupazione per l'arresto degli impieghi produttivi; la necessità di dar lavoro ai disoccupati con i cantieri di lavoro e simili altri palliativi che distraggono ingenti capitali dalla loro naturale destinazione; l a necessità, da parte del tesoro, di pompare il risparmio per imprese statali passive e per una occupazione poco o niente redditizia della mano d'opera. La colpa è di tutti; ma larga parte della responsabilità cade su quel settore della borghesia che, pur essendo per tradizione più o meno liberale, da quasi mezzo secolo ha subito una strana deformazione ideologica e pratica: essa volle lo stato protezionista e l o sabotò più volte, facendo pesare sull'erario e sui consumatori il deficit di industrie parassite e di agricolture arretrate e i costi superiori alla media internazionale. Su tali crisi si innestò la « rivoluzione del 1922 n, che ci portò il fascismo politico e quello autarchico; 1'IRI e le corporazioni; un sistema che si reggeva sui monopoli e doveva crollare.


Venuta la repubblica gli eredi di quella borghesia impauriti si aggrappavano a tutti i partiti, comunista compreso, mirando al salvataggio dei propri interessi più che alla salvezza del paese. Gli aiuti americani per la ricostruzione e la formazione di un governo di centro avrebbero dovuto indurre la borghesia produttrice a rivedere i propri rapporti con la classe operaia, della quale temevano la bolscevizzazione, sulla base di una politica e di un'economia libera e liberamente accettata e sviluppata con serietà e pofitto di tutti i fattori della produzione. È mancata l'intesa, è mancata la preveggenza, è mancato il coraggio, è mancata la fiducia nella libertà. Mentre tutti hanno proclamato volere essere liberi, tutti, uomini politici, uomini di affari, sindacati operai, han cercato un nuovo padrone: il dirigismo statale con la sua burocrazia, l'economia deficitaria e protetta, il livellamento nell'impoverimento, l'orrore del rischio perdendo il valore della personalità e il senso della responsabilità. Basterà l'apertura a sinistra, gi.à operante subdolamente, per travolgerci verso la dittatura del proletariato, che non sarà liberale o laico, nè d.c. o monarchico, ma social-comunista. Si è in tempo oggi a rivedere la situazione, correggere l'indirizzo, avendo maggiore fiducia nella libertà. Non si tratta di u n ritorno al liberalismo manchesteriano che è morto e sepolto; si tratta della libertà che vivifica il dinamismo delle forze private nel quadro dei fini sociali della proprietà e nella fattiva e reale cooperazione di tutte le forze produttive, e con lo stato stesso, che deve vigilare, indirizzare, cooperare, integrare le forze sociali che si muovono nell'ambito delle libere istituzioni democratiche. I vantaggi di tale prospettiva saranno per i lavoratori, come per tutti, assai maggiori di quelli sperati e degli interventi statali nell'attività economica privatista, per i quali, come si sa, chi scrive non h a mai avuto, e non ha, alcuna fiducia. 30 novembre 1953.

(La Stampa, 4 dicembre).


ELEZIONI E LEGGI ELETTORALI

La presentazione, d'iniziativa parlamentare, di proposte di leggi elettorali a diverso sistema ha dato l'impressione che il parlamento venisse distratto dai suoi compiti legislativi per una incerta situazione pre-elettorale. Da mesi, invero, non sono mancati coloro che han pensato ad un nuovo appello al paese come rimedio ad equivoche maggioranze parlamentari che appoggiano un governo di minoranza venuto £uori dalla crisi determinata dal voto del 7 giugno. A me sembra evidente che di elezioni a breve scadenza non possa parlarsi; a mio modo di vedere, il paese non è preparato a cambiare atteggiamenti, nè a riorientarsi, a così breve distanza, in un senso o in un altro. Tanto più che qualsiasi sbocco a nuove elezioni dovrebbe essere determinato da fatti così eccezionali da consigliare il presidente della repubblica a sciogliere la camera dei deputati o insieme camera e senato. Due ipotesi potrebbero farsi in proposito: un conflitto insolubile fra parlamento e governo; ovvero il caso dell'applicazione della legge elettorale del 31 marzo per lo scatto di maggioranza accettato dalla giunta delle elezioni. La prima ipotesi, per realizzarsi fino allo scioglimento delle camere dovrebbe essere preceduta da una serie imprecisabile di crisi governative e di conflitti fra i vari governi e il parlamento. La maturazione di tali conflitti, che allo stato dei fatti non si sono caratterizzati ma che potrebbero essere insiti alla situazione, dipende dall'atteggiamento dei gruppi parlamentari e del capo dello stato, impegnati a soluzioni pratiche sia pure temporanee, in modo da provare altri gabinetti e altre combinazioni, prima di dichiararsi vinti e decidersi per le nuove elezioni. Se le tendenze « qualificatrici » del governo attuale si accentuano, ciò sarà indice che si prevede lo sbocco della crisi; ma fino a che tale sbocco non si prevede, si tratterà d i discussioni vaghe e di velleità imprecisate, perchè la situazione anta-


gonista fra i tre gruppi di centro e il gruppo monarchico non ha ancora subito modifiche apprezzabili. Ciò posto, si deve escludere un precipitato scioglimento delle camere in primavera e in estate per potere indire le elezioni in autunno, visto che dal novembre 1954 al maggio 1955 lo scioglimento del parlamento, o di una sola camera, è bloccato dall'articolo 88 della costituzione. Nè è prevedibile che il nuovo presidente (vi sia o no la conferma dell'attuale), abbia la fretta di uno scioglimento immediato all'inizio del secondo settennio repubblicano. Lasciamo quindi di pensare adesso alle nuove elezioni; rimandiamo la questione alla seconda metà del 1955: chi vivrà, vedrà. L'altro caso, limitatamente alla camera dei deputati, potrebbe avvenire fra pochi mesi o anche subito, sol che la giunta delle elezioni, rivedendo i conteggi delle elezioni contestate, accerti che le liste collegate ottennero di fatto il coefficiente del 50 per cento più uno; in tal caso si presuma che la legge sia stata operante e debba essere applicata. Si tratta di un caso-limite che oggi non è previsto da nessun partito e che metterebbe in serio imbarazzo tutti i partiti, vincitori e vinti. Per quel che io ne so e per quel che penso, non vedo che tale ipotesi sia realizzabile. Nel caso di seri dubbi, determinati dall'esame dei reclami in corso, gl'i accertamenti da farsi e le verifiche degli accertamenti e le discussioni sugli accertamenti e sulle verifiche prenderebbero mesi e mesi. Senza contare l'uragano di passioni, pro e contro, che desterebbe una tale questione portata in parlamento e nel paese. Tutto sommato, il caso è fuori di una prospettiva di realtà politica; quindi può essere collocato nell'archivio dei futuribili. Conclusione: di elezioni politiche si potrà cominciare a parlare, se piace, nel secondo semestre del 1955; intanto consentiamoci di tirare la carretta con l'attuale parlamento e con ministeri più o meno alla francese, senza pretendere una stabilità che manca nei partiti e nel paese. E allora, si domanderà, perchè tanta fretta a rivedere la legge elettorale? Nessuna fretta, sola l'utilità di una discussione a mente fredda, senza l'assillo di termini che vanno a scadere, senza la preoccupazione di una lotta imminente, con più se-


rena visione degli interessi del paese, pur tenendo in debita considerazione anche quelli dei singoli partiti. L'occasione di ridiscutere la legge elettorale è stata data dalle proposte di abrogazione della legge del 31 marzo scorso reintegrando il T.U. del 1948 con lievi modifiche. I n sostanza la proposta Nenni e altre simili partono dalla convinzione che il T.U. del 1948 sia il preferibile; altri pensa che sia emendabile pur rispettando il sistema proporzionale; c'è chi sostiene il ritorno al collegio uninominale (Caronia); e chi vorrebbe applicare alla camera il sistema della elezione del senato con alcune modifiche (De Martino). Qui sta proprio l'interesse dell'attuale fase legislativa: la necessità di un riesame dei sistemi fondamentali per le elezioni politiche: il proporzionale e l'uninominale, e delle possibilità di utilizzare i vantaggi che presentano i due sistemi, eliminandone gli inconvenienti. Non posso addentrarmi in tale esame, in questo scritto ; solo noto il principale inconveniente da evitarsi in qualsiasi sistema: quello del voto di preferenza che ha avvilito la proporzionale, h a danneggiato i partiti (meno il comunista che usa una disciplina rigida), rende permanente la diffidenza fra i deputati dello stesso partito per tutto il periodo della legislatura. Anche se il parlamento si pronuncerà per il mantenimento della proporzionale si deve trovare il modo di evitare la lotta per le preferenze. Mi è stata prospettata la proposta della lista rigida, ma questa non è affatto una soluzione, perchè la lotta delle preferenze si trasferirebbe dall'elettorato ai comitati e alle direzioni dei partiti, sviluppando uno strascico preelettorale che da Roma arriverebbe a quasi tutti i più piccoli paesi di ogni circoscrizione. Per queste ragioni re ferisco la votazione per collegio uninominale, anche nel caso che il risultato fosse poi regolato, in parte o in gran parte, col sistema proporzionale. Si eviterebbero intanto gli inconvenienti del voto preferenziale e della lista rigida, e si otterrebbero in parte i vantaggi dell'uninominale e della proporzionale. È vero che i sistemi composti hanno più vantaggi che non


quelli semplici; perciò io sarei incline al collegio uninominale ( h o già scritto perchè da due anni ho cambiato opinione e tornerò a scriverne); ma il ballottaggio, nel caso negativo in prima votazione, mi rende molto perplesso. Comunque sia, una discussione sulla stampa e in parlamento sulla legge elettorale in periodo normale e senza applicazione immediata, può riuscire assai utile per i partiti e per il paese. 9 dicembre 1953.

( I l Giornale d'Italia, 11 dicembre).

LETTERA AL « GIORNALE D' ITALIA Onorevole direttore, Dopo iJ voto di ieri della camera dei deputati che ha respinto l'amnistia per tutti i casi indicati all'art. 1 del disegno di legge modificato dalla commissione e dalla camera con regolare procedura, nessuno sforzo d i interpretazione regolamentare potrebbe fare rivivere la proposta. Spetterà al senato fare nuove proposte i n merito, e se accolte ritorneranno alla camera per essere riesaminate e votate. Ogni altra procedura sarebbe incostituzionale; il presidente della repubblica avrebbe il diritto e il dovere di farla rilevare con suo messaggio. Si parla del ritorno alla proposta di delega pura e semplice al presidente della repubblica senza precisazione d i materia e di tempo. I1 che rimetterebbe i n discussione se tale delega possa dirsi aderente allo spirito, se non alla lettera, della costituzione, dato che l'intervento del parlamento stabilito dall'art. 79 non è solo sulla opportunità politica dell'amnistia ma anche sul riferimento a dei reati che danno luogo alle proposte di amnistia e di indulto. Distinti saluti

LUIGI STURZO 12 dicembre 1953.

(Il Giornale d'Italia, 13 dicembre).


ALLA D.C. DI SICILIA Carissimi amici, Che io mi senta presente in mezzo a voi, anche se lontano corporalmente, non può mettersi in dubbio; che voi mi sentiate presente, anche quando osservo in silenzio le opere vostre, non ne ho la pretesa; ma mi sembra possibile e forse utile cercarci vicendevolmente nell'ansia di operare il bene a vantaggio della nostra isola. A Messina, città cara a tutti per mille ragioni, ci riunisce oggi il ricordo della decennale rinascita della D.C., quando l e rovine della guerra davano a voi la spinta ad innalzare la bandiera della libertà nazionale e dell'autonomia siciliana nella insegna, m a i nel ventenni0 dimenticata, dello scudo crociato; ed io, allora nella lontana America, palpitavo con voi nel desiderio di notizie, che arrivandomi frammentarie e deformate, rettificavo nella mia mente precorritrice, basandomi sulla fiducia nell'uomo che vi guidava. Che in questi dieci anni, attraverso tante vicende e difficoltà, tutto sia andato bene come nel migliore dei modi possibili, parrebbe arduo affermare; molto bene si è fatto, ma nessuno di noi, per grazia di Dio, è infallibile e tutti possiamo sbagliare: il che non è un gran male se lo sbaglio ci dà la spinta a correggerci, e a correggere i fatti, e allo stesso tempo i l dono dell'umiltà, virtù necessaria nella vita privata come nella pubblica, la sola idonea a temperare l a presunzione e la improvvisazione nel pensare e nell'operare. Intanto ci compiacciamo, come siciliani, di aver ottenuto e attuato l'autonomia della nostra regione. Può sembrare, oggi, questa ben poca cosa e non del tutto assodata. Ma chi tiene presente la storia della Sicilia e le difficoltà a mantenerla libera, coerente, senza divisioni e contrasti fra le varie città e provincie; nonchè a superare quell'individualismo che ci fa spregiare ogni salda cooperazione; a vincere la costante svalutazione


delle cose di casa nostra per valutare eccessivamente quelle degli altri, per poi spregiare l'intervento estraneo per una esagerata autosufficienza isolana; si comprenderà quali passi siano stati fatti, quasi senza la completa coscienza di essere noi attori di un dramma storico di notevole importanza. A questo punto non posso non mettere in rilievo l'opera della regione sotto la guida di presidenti, quali Alessi e Restivo, e con loro un gruppo di assessori che han cooperato alla nuova costruzione ( e non posso dimenticare i l lavoro degli alti commissari fra i quali i l nostro amico Aldisio), pur con lacune, non tutte inevitabili; notevole quella dell'ordinamento amministrativo che oggi occuperà la discussione del vostro convegno. È vero; la regione ne è stata in colpa, poco più poco meno, secondo l'angolo visuale, di quanto ne sia stato in colpa lo stato (parlo degli enti per non parlare degli uomini) riguardo l'attuazione delle disposizioni costituzionali ( e per la Sicilia statutarie) degli organi di vigilanza degli enti locali. Per giunta, la Sicilia dovrà ancora risolvere i l problema della provincia, esistenza ed organizzazione. Lo statuto pose il tema al primo posto; ma forse i l ritardo è servito a far maturare quella soluzione che sarà più aderente alle esigenze reali dell'isola. Non potendo interloquire nel merito del tema, per la mia speciale posizione, mi limito a formulare l'augurio che si evitino i motivi, e anche i pretesti, che altra volta crearono una soffocante atmosfera antiregionale, divisero pro' e contro gli stessi nostri rappresentanti politici a Roma, e fecero fare alla troppo affrettata legge il viaggio da Palermo a Roma per il giudizio dell'alta corte. Questa, per i l desiderio di molti, sembra avere i giorni contati, non ostante che la relativa legge costituzionale, per l'abolizione o la trasformazione, non sia stata ancora ripresentata. C'è chi pensa che possa essere soffocata senza chiasso. Anche su questo punto mi limito ad auspicare che la regione affretti l a pubblicazione delle decisioni emesse fin oggi. Preferirei l'ordine cronologico, il più adatto, secondo me, a dimostrare la progressiva elaborazione della giurisprudenza regionale e l a concretizzazione del diritto stesso derivante dalle nostre leggi


costituzionali nonchè dall'ordinamento giuridico nel suo naturale evolversi in mezzo a contrasti, non sempre sereni, d i teorie, esigenze, pretese e pregiudizi, riguardanti l'istituto delle regioni con speciale statuto. A questo proposito, vorrei sottolineare una mancanza nel campo dei partiti post-bellici riguardo la importanza e la funzione degli enti locali in genere e delle regioni in ispecie. L'ondata a favore dell'autonomia regionale ebbe un arresto durante il secondo periodo della costituente: si ebbe allora paura dell'avanzata comunista che avrebbe probabilmente avuto in mano le regioni della linea gotica. Ma dopo il 18 aprile le preoccupazioni immediate vennero meno, e si sarebbe dovuto attuare il disposto della costituzione; era quello il m.omento della D.C. partito di maggioranza e partito responsabile. Ma il parlamento venuto fuori dalle elezioni era in fondo statalista D, nel senso che io do a questo inequivocabile aggettivo. Non si trattò più di paura dei comunisti, si ebbe paura della stessa autonomia degli enti locali. La D.C. è per la libertà; ma non esisterà mai vera libertà senza quella degli enti locali su base autonomistica (ci siano O no le regioni). Dippiù, la costituzione prevede le regioni come organi di autonomia, di decentramento e di vigilanza; ne consegue che la libertà degli enti locali oltre che programmata dalla D.C. è voluta dalla più alta rappresentanza popolare, la costituente. Perchè u n popolo sia veramente libero in libere istituzioni, primo requisito è quello di non avere paura della libertà; il che tra l'altro impone il dovere di assumersi tutte le responsabilità che dalla libertà derivano. Più volte ho sentito dire: dopo tanti anni di regime senza libertà, specie degli enti locali, i nuovi amministratori non sentono più lo stimolo della libertà nè il senso della responsabilità. Un momento: se questo si dice per i consigli comunali, dippiù ancora dovrebbe dirsi per tutti gli altri istituti democratici, a cominciare dal parlamento. Chi mai ha educato alla libertà senza la libertà? senza provarla, la libertà non si vive, non si apprezza, non si difende, nè se ne comprendono e se ne assumono le responsabilità. È vecchio il proverbio che afferma che per

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sapere camminare occorre cominciare a cadere, come per sapere nuotare occorre scendere nell'acqua e provarne il sapore. La via più naturale per l'educazione di u n popolo alla libertà e alla responsabilità che la libertà impone, è quella della libera amministrazione del proprio comune e degli altri, enti locali e di beneficenza e assistenza; nonchè degli organi provinciali, camere di commercio comprese e restituite a libertà, provincie organizzate dal basso all'alto e non viceversa, regioni e nazioni articolate in tutto il complesso organizzativo in forma elettiva e con responsabilità ben delineate, senza interferenze di poteri e di competenze a tipo accentratore. Se il complesso organico amministrativo è bene organizzato, il paese se ne avvantaggia e dal lato del servizio pubblico e da quello delle libert,à democratiche e delle attività sociali; ma se l'amministrazione è caotica, confusa, senza delimitazioni d i competenze, senza senso di responsabilità, senza stimolo di iniziative, tutte riportate al centro in mano alle burocrazie ( l o stesso vale per Palermo come per Roma e viceversa), le libertà reali, fra le quali la giustizia, l'equità e la socialità nel loro complesso pratico, verranno offerte per mancanza di funzionalità strumentale. I n tal caso saranno inutili, anzi dannose, le leggi che non si possono applicare, come saranno senza efficacia l e iniziative parlamentari che non potranno essere tradotte in realtà vivente. La strumentalità amministrativa è tanto necessaria all'esercizio della libertà del cittadino quanto è necessaria all'esercizio del potere politico. Pertanto, mi esimo dal fare accenno al secondo tema di questo convegno e a quelli altri senza numero del quotidiano lavoro costruttivo, che non hanno altra base che l a libertà fondata sulla personalità umana (che è la libertà dei democratici cristiani) e la funzionalità delle libere istituzioni, come fase strumentale e di realizzazione pratica di quei principi che noi affermiamo e difendiamo. F r a questi principi, come siciliani mettiamo l'autonomia regionale, come quella che ci ha dato una personalità propria, pur nel quadro nazionale, impronta caratterizzata, organismi specifici con possibilità di larghe ed utili applicazioni in tutti i campi.


Sta a noi mantenere le posizioni, sviluppare la potenzialiti autonomistica della quale lo statuto ci dà il diritto e i l dovere, e cercare, nella concorde azione, di far valere i valori per i tquali la D.C. è oggi al centro della rinascita morale ed economica dell'Europa. Auguri e saluti affettuosi

LUIGISTURZO 14 dicembre 1953.

(n Popolo,

28 dicembre).


INDICE ANALITICO A.C.L.I., 426-427. AGRICOLTURA, 3-6, 14-17, 126.131, 161164, 307-309, 337, 379-380. AMMINISTRAZIONE, 72, 87, 96, 107, 148', 201-204, 226, 253-256, 274-276, 298299, 315, 316-320, 406-408, 447. AMNISTIA,443. APERTURA A SINISTRA D, 407, 420-423, 424. A.R.A.R., 28. A.S.T., 265-269. AUTONOMIE LOCALI, 95-96, 201-204, 213214, 223-225, 321-327, 334-340, 358, 362, 444448. AUTORITÀ, 132-134, 340-34.

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- Sninzo - Politica

di queati anni.

C.I.F., 359-360. CITTADINO,70, 99-101, 112-114, 118123, 297, 346.

CLASSI MEDIE, 63-66. CLASSI SOCIALI, 63-66, 221. COMMERCIO,372. COMUNI,202-204, 358. COMUNISMO,12, 19-22, 40-43, 49-51, 70, 94, 102-103, 148, 153, 160, 194197, 216, 230-232, 246, 269, 321, 341, 346, 364. CONSERVATORI, 92-95. CONSORZIAGRARI, 3-6. CONTRIBUTI AGRICOLI, 161-165. CONTROLLATI CONTROLLORI, 39, 56, 212, 227, 293, 297-300. COOPERAZIONE, 91-92? 248-249. CORTE COSTITUZIONALE, 82-85, 417-420, 430-433. COSTITUZIONE, 30-33, 39, 41, 49-51, 79, 80, 85, 123. CREDITO,181-185, 232-235, 280-284. CRISI MINISTERIALI, 10-14, 18-22, 42, 236-240, 402-412. CRISTIANESIMO, 194-197, 426-427. CULTURAPOLITICA, 146-147.

-


E.A.M., 144. ECONOMIA, 12-14, 70-75, 88, 96-101, 158161, 304.307, 316-320, 335-340, 346350, 355, 363, 372. ELEZIONI, 12, 22, 31, 42, 44-47, 50, 55, 81, 123-126, 168-170, 171-174, 190193, 208-220, 229-232, 288, 295, 312315, 360-364, 367, 377-382, 382-386, 403, 407, 440-443. EMIGRAZIONE, 249-250. E.N.D.I.M.E.A., 28, 144. ENERGIA ELETTRICA, 139-142, 336, 355357, 378. E.N.I., 305. E N ~25-30, , 37-39, 79, 86-88, 212, 252256, 265-269, 354, 357, 437. EUROPA UNITA, 425-426.

-

GIUDICATI GIUDICI, 297-300. GOVER.YO, 59-62, 99-101, 126, 176, 272, 274-276, 284, 294, 345, 360, 376, 377, 388, 392, 398-402, 403, 408412, 420, 434, 440. G.R.A., 144, 252-256, 265.269.

225-227, 297-300, 319, 351-354, 373374, 384. INDUS~IA 72-75, , 303-307, 337, 422. IXDUSTRIALIZZAZIONE, 127-130, 337, 378379, 428-430. I.N.A., 29, 8688. I.N.T.,265-269. INTERVENTISMO STATALE, 66, 70-75, 96101, 178-181, 184, 303-307. I.R.I., 26, 303-307.


135, 151, 152-154, 185-190, 218-220, 278, 293-296, 312, 360, 388, 398402, 410-412, 446. PARTITOCRAZIA, 39-43, 167, 398-401, 404, 408-412, 430-433. P.P.I., 18-22, 169-170, 236-240, 250252, 412-417. PATRIA,22-25, 47-51, 106-108. POLITICAINTERNA,274-276, 391-395, 406-412. POLITICA INTERNAZIONALE, 102-103, 314, 315, 425-426. PROGRAMMA ELETTORALE, 360-364, 377382.

VETO (diritto di), 430-431. « VETOA GIOLITTI)I, 258-259, 412.

VOTODI FIDUCIA,165-167, 391. VOTOPREFERENZIALE, 45. VOTOSEGRETO, 24, 154-157,165-167,389, 432.



INDICE D E I NOMI

ACERBOGiacomo, 260, 414. ADAMO,194. ADENAUER Conrad, 251, 421. ALBERTARIO don Davide, 136, 187. ALDISIOSalvatore, 14, 15, 16, 90, 91, 177, 445. ALESSANDRINI Pio, 95. ALESSI Giuseppe, 445. A L I O ~ I255. , ALPINOGiuseppe, 232, 233. AMBROSINIGaspare, 156. AMENDOLA Giovanni, 258, 260. ANGELINIArmando, 438. ANILE Antonino, 413. ANNIBALE, 296. ANSALDO Giovanni, 18, 19. ARCOLEO Giorgio, 8. A T ~ L EClement, 93, 94.

BADOGLIO Pietro, 77. BALBOCesare, 53. BALDUCCI Gaetano, 354. BALDWIN Stanley, 92, 411. B.mcco, 177. BARUFFALDI, 91. BASSOLelio, 393. BELLAVISTA Girolamo, 30, 124, 198, 210, 291, 353. B n u m ~ r r oXV, 67.

BEONIOBROCCHIERI Vittorio, 297. BERTINIGiovanni, 250, 413. BERTOLINIPietro, 46, 47. BERTONEGiovan Battista, 3, 6, 158, 160, 177. BET~IOL Giuseppe, 200, 210, 212. BEVANH. T. Aneurin, 94. BIANCOFrancesco, 250. BISMARCKOtto von, 152. BOERI Giovan Battista, 56, 384. BOLAFFI Gino, 354. mons. Geremia, 53, 250. BONOMELLI BONOMIIvanohe, 20, 42, 236, 237, 238, 257, 258, 259. BONOMIPaolo, 169. Bosco Giacinto, 270, 285. BOSCOLUCARELLI Giovan Battista, 177, 375. BOZZINIFranco, 165, 166, 167. BRASCHIGiovanni, 177. BRUNINGHeinrich, 216, 250. BUBBIOTeodoro, 177.

CABRINIFrancesca Saverio, 244. CAGLIOTIVincenzo, 428. CALAMANDREI Mauro, 199, 211. CAMEBONI Agostino, 169. CA~IPILLI Pietro, 14, 182,252, 253, 267, 296, 319, 348, 363, 437. CANTÙCesare, 53. CAPPAPaolo, 177.


CAPPUGIRenato, 438. C A R I G X Giovanni, ~I 146. CARISTIACarmelo, 387. CARLOALBERTO di Savoia, 76. CAROSIAGiuseppe, 442. CARRARA Giovanni, 261. CASATIAlessandro, 260. CASÒ, 255. CAUDANA Mino, 116. CAVAZZONI Stefano, 18, 19, 413, c E s . 4 ~AUGUSTO, ~ 230. C H A ~ ~ B E R Neville, L A ~ N 411. CHURCHILL Winston, 93, 94, 95, 435. CINCINNATO, 383. CINGOLANI Mario, 177, 270. CODA,232, 233, 234. CODACCI PISANELLI Giuseppe, 199. CODRONCHI Giovanni, 334 COLAJAXNINapoleone, 70 CONSOLI,359. CORBELLINI Guido, 254. CORBINO Epicarmo, 233, 304, 305. CORRAIIINI Camillo, 19, 237, 238, COSTAY~INO, 197. COTELLESSA Mario, 180. COVELLIAlfredo, 156. CRESPIAngelo, 92. CRISPI Francesco, 87, 323, 404. CROCEBenedetto, 19, 40, 294. C R O S S MEdgard ~ Gibson, 421, CRUDELIDante, 354.

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DELLIAMORE Giordano, 353. DE MARTINO Carmine, 442. DE NICOLAEnrico, 32, 259, 270. DEPRETISAgostino, 42, 53, 388, 404. DI LEO Francesco, 91. DI VIT~ORIO Giuseppe, 421. D' ONDESREGGIO Vito. 53.

414.

411,

260.

424.

DALLATORREconte Giuseppe, 169. DANTE,65, 141, 167, 298, 393, 432. D'ARAGONA Lodovico, 255. D'A~oafbPasquale, 326. DE GASPERIAlcide, 11, 18, 22, 41, 44, 65, 105, 137, 167, 169, 175,199, 211, 250, 270, 274, 288, 295, 296, 319, 322, 363, 385, 399, 400, 401, 402, 403, 404, 405, 406, 408, 410, 421, 422, 424, 437. DELLACHIESAmons. (vedi Leone XIII).

EISAUDILuigi, 91, 106, 326. EISENHOWER Dwight, 435. ENGELSFriedrich, 65. EVA,194.

Amaldo, 37, 38, 39. FABRIANI FACTALuigi, 21, 22, 237, 238, 239, 259, 413. FANFANIAmintore, 16, 120, 177, 262, 348. FEDERZONI Luigi, 238, 260. FERRARA Mario, 43. FERRARIAGGRADI Mario, 354. FONTI JOLLES,178. FORTUNATI Paolo, 142, 143. FORTUNATO Giustino, 139. FRANCESCO di Assisi, 65. FRANCHET~I Leopoldo, 334. F R ~ - c oFranciseo, 330. FUMAGALLI Luigi, 84.

GAVASilvio, 56. GELIDA Luigi, 168. GENTILEDino, 424. GENTILONIconte Vincenzo Ottorino, 136, 169, 394. GERMANI Pietro, 4. GESÙ CRISTO,64, 108, 109, 117, 194, 195, 214, 301, 345, 427. GIARDINO Gaetano, 267. GILARDONI Annibale, 326. GIOBERTIVincenzo, 53.


GIOLITTIGiovanni, 18, 19, 20, 21, 42, 53, 67, 87, 169, 191, 236, 237, 238, 239, 240, 246, 256, 257, 258, 259, 260, 293, 294, 388', 403, 404, 412. GIRETTIEdoardo, 70. Giua, 392. GIUSTIGiuseppe, 112. GOBETTI Piero, 414. GOXELLA Guido, 154, 199, 277, 290, 300, 302, 303, 319, 320, 363, 374, 385, 408. GRASSIGiuseppe, 430. GRONCHI Giovanni, 154, 155, 156, 175, 294, 422, 424, 432, 433. G U G L I E L MTeresio, O~ 384.

HARMELLéon, 65. HITLERAdolf, 31, 65, 215, 216, 330, 331, 427.

JACIXIStefano, 177, 249, 250, 251. Costantino, 11, 41. JASKI, 354. JERVOLINO Angelo Raffaele, 199.

JANNACCONE

LACORDAIRE Henri Dominique, 320. LAMPERTICO Fedele, 53. LANIEL,421. LAUROAchille, 393. LENINNicolaj, 189, 330. LEONEXIII, 108, 220, 221, 222, 323, 415. LEOXEGiovanni, 155, 156. LEPOREAntonio, 292. LEWIS John, 59. L ~ o mGEORGE David, 56, 92, 251, 272. Lo GIUDICErev., 387. LO>IB.MDO Ivan Matteo, 326. LUCCI Piero, 326. LUCIFREDI Roberto, 199, 353.

LUIGIXIV, 343. LUSIGNOLIAlfredo, 237, 260. LUTEROMartin, 215. LUZZATTI Luigi, 239.

MACDOSALDRamsay, 92, 94, 405. MALAGODI Giovanni, 436. MALVESTITI Piero, 437. MANZONI Alessandro, 53. MAOMETTO, 172. MAOTSE TUNG,330. MARAZZA Achille, 225. MARENGHI Franco, 4. MAROIFulvio, 307. MARXKarl, 65, 189, 341. MASSARI Zeno, 27. W A ~ OGiacomo, ~ I 240, 260. MAURIAngelo, 65, 169, 250. Mc KELLANDonald, 89. MEDAFilippo, 18, 19, 20, 65, 169, 236, 239, 258, 275, 294. MERLINUmberto, 177, 261. MERRYDEL VAL card. Raffaele, 415, 416. MERZAGORA Cesare, 384. MICHELIGiuseppe, 19, 169, 239, 250, 275, 294, 403. MIGLIORIGiovan Battista, 158. MISSIROLIMario, 214, 215. MONALDI Vincenzo, 178. MONDOLFO Rodolfo, 424. MONTESSORI Maria, 243, 244, 350. MORANDI Giorgio, 393. MORTATICostantino, 263. MUSSOLINIBenito, 67, 137, 237, 238, 239, 240, 260, 330, 331, 412, 413, 414, 415.

NAPOLEONE I, 68, 427. NATALEGaetano, 263, 238, 256, 257, 258, 259, 260. NAVACesare, 275, 403.


NENNI Pietro, 23, 65, 393, 418, 420, 421, 422, 423, 430. N I ~ Francesco I Saverio, 18, 19, 67, 217, 218, 219, 230, 231, 237, 258, 402, 403, 404. NOVASIOPietro, 138. NOVI SCANNIGiuseppina, 373.

ORAZIO,126. ORLANDOVittorio Emanuele, 21, 67, 237, 259. ORTISI Angelo, 27. ORMNAAugusto, 4. ORVIETOArturo, 41, 42. OZANAMFrédéric, 320.

PANTALEO Mario, 429. PARAMRE Giuseppe, 3, 6, 160, 270, 274.

PARODI Giovanni, 426. PASTORE Giulio, 65, 137, 152, 153, 1548, 185, 187, 188, 189, 421.

PONZIOPILATO,150, 259, 348. PORZIOGiovanni, 254. PRAMPOLINI Camillo, 65.

RAVAJOLIDomenico, 154. REBECCHINI Salvatore, 358. REGGIOD'ACI Stefano, 75. REMO,230. RESTIVOFranco, 445. RICCI, 115. RIVERAVincenzo, 350. RIZZOGiovan Battista, 261. ROBESPIFBRE Maximilien, 65. RODINÒGiulio, 169, 403. ROMANO Antonio, 261. ROMITAGiuseppe, 56, 295. ROMOLO, 230. ROOSEVELT Franklin Delano, 136, 435. ROSSI Ernesto, 25, 26, 28, 29, 37, 70, 72, 73, 74. RUBINACCI Leopoldo, 16, 17, 348, 379. RUFFODELLA SCALETTA Rufo, 250, 373. RUINI Meuccio, 3, 6, 166, 366, 375.

PAVARI Aldo, 128. PEANO Camillo, 275. PELLAGiuseppe, 160, 184, 185, 254, 265, 296, 363, 409, 420, 424, 437.

PELLICO Silvio, 53. PELLOUX Luigi, 8. PERLA Raffaele, 326. PETRILLI Giuseppe, 374, 385. PE~ON Carlo, E 124, 198, 210, 291. PICCIONI Attilio, 65, 91, 146, 406, 407, 408, 409, 420, 424, 437.

PIERACCINI Giovanni, 159. PIETRO santo, 214. PIOIX, 205. PIOX, 67, 76, 416, 417. PIOXI, 75. PIOXII, 77, 108, 222, 291. PIROXTI Alberto, 326. PIRRÒ Carlo, 27. POINCARÉ Jules-Henri,

251.

SACCHIFilippo, 191. SALANDRA Antonio, 237, 238. SALOMONE Antonino, 91. SALOMONE ROCCO,241, 242, 253, 261, 262, 263, 264, 268, 294. SALVATORELLI Luigi, 213, 214, 215. S ~ N Rmoacc~o A Raffaele, 261. SARAGAT Giuseppe, 65, 175, 410, 418, 421, 422, 424, 430. SCALABRINI mons. Giovan Battista, 53. SCAVONETTI Gaetano, 19, 20, 237. SCELBAMario, 243. SCHILLIR~ Vincenzo, 248. S c o c ~Salvatore, 160. SEGNIAntonio, 5, 16. S I L V E S ~Primo, I 354. SOLARIGian Maria, 372.


SONNINO Sidney, 334. SPAAKF. Henri, P25. SPADOLINI Giovanni, 151, 152, 153, 191. STALINJoseph, 230, 330, 427. STAVINSKJAlexandre, 87. STURZOLuigi, 10, 11, 12, 14, 18, 20, 26, 39, 73, 92, 96, 105, 109, 138, 147, 229, 232, 216, 249, 256, 265, 270, 285, 303, 307, 309, 320, 322, 327, 333, 351, 358, 359, 360, 372, 373, 374, 387, 402, 412, 414, 416, 424, 426, 427, 430, 443, 448.

TADDEI Paolino, 237. TANGORA Vincenzo, 413, 414. TOGLIATTI Palmiro, 65, 77, 175, 418, 421, 423. TOGNIGiuseppe, 422. TONIOLOGiuseppe, 65. TOSATO Egidio, 285, 375. TOSTI padre Luigi, 53. TOVINILivio, 294. TUDORThomas, 305. TUPINI Umberto, 177. TURATIFilippo, 21, 65. TREMELLONI Roberto, 225. TREVESClaudio, 53. TRUMAN Harry, 136, 240, 241.

UBERTIGiovanni, 177. UMBERTOI di Savoia, 76: UMBERTOI1 di Savoia, 291.

VALMARANA contessa ~ m a l i a ,359. VANONIEzio, 121, 158, 159, 160, 258, 348, 362, 370, 371. VASSALLO Pasqualino, 20. VENTURApadre Gioacchino, 320. V I C ~ T I NGiuseppe, I 238. VIGORELLIEzio, 124, 198, 211, 291. VILLABRUXA Bruno, 192, 295. VIOLAEttore, 199, 210, 211. VISENTINIBmno, 305. VITALEDiego, 387. VIT~ORIO EMANUELE I11 d i Savoia, 76, 291.

WIRTH Karl Joseph, 250.

ZACCHEO, 117. ZAGARIMario, 424. ZAMPARDI, 91. ZANARDELLI Giuseppe, 52.



TAVOLA DELLE MATERIE Avvertenza

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1 . I consorzi agrari al senato . . . . . 2 La macchina legislativa . 3 In attesa del rimpasto . 4 . Sistemazione montana e fluviale 5 Le crisi ministeriali 1920-22 e il P.P.I. . 6 . I1 partito di maggioranza e il paese . . . . . . . . 7 Enti e burocrati 8 La riforma del senato . Elezioni ogni cinque anni . . . . . . . 9 Case da gioco . . . . . . 10. Lettera ad A. Fabriani . . . . . . . 11. Partiti e partitocrazia 12. Elezioni 1953 . Proporzionale o collegio uninominale? 13. La patria non si monopolizza . . . . . 14. Nazionali a-nazionali . antinazionali . . . . . . . 15 Quale il nuovo tipo di senato? . . . . 16 Ventiquattro ore di sciopero . . . . . . . . 17. Le classi medie 18. XX settembre . storia simbolo mito 19. Un « liberista » fuori stagione . . . . . 20 . A proposito del 20 settembre . . . . . . 21 Che fame del senato? . . 22 La corte costituzionale in parlamento . . . . . 23 L'1.N.A. all'ordine del giorno . 24 Montagne e alluvioni 25.Aiconvegnistidellacooperazione. . . . . . . 26 . Laburisti e conservatori . . . . . . . 27 . Le libertà municipali . . 28 Libertà economica e interventismo statale . . . . . 29 Prospettive internazionali . . . . . . 30 . Messaggio a Caltagirone . . . . . . 31. Agli amici di America . . . . . 32 . Uniti nel servizio alla patria .

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33 Parole sottovoce . . . . . . . . . 34 I1 cittadino 35 Case da gioco a Palazzo Madama 36 . I1 cittadino indifeso . . . . . . . . 37 . Norme per l'elezione del senato 38.Problemidiagricolturasiciliana . 39 Lo stato forte . . . . . . . . . . 40 Sindacalismo operaio in crisi 41 Saluto ai lettori di Divagando . . . . . . 42 Linee e tariffe elettriche . 43 La leggina u Fortunati » ovvero la beffa della burocrazia » . 44 Messaggio al circolo parlamentare di cultura politica 45 u Stato forte » in democrazia . 46 . Sindacalismo politico e politica del sindacalismo . 47 . Voto segreto e costituzione . . . . . . . 48 . Farmaci e demagogia al senato . 49 Contributi agricoli unificati . 50 . Voti di fiducia e voti segreti . 51 . Elezioni 1952 e 1953. Preoccupazioni e previsioni 52 Rinnovo del parlamento: 1953 o 1954? . 53 . Riforma del senato . . . . . . . . . 54 . L'igiene e lo stato . . . . 55. Usura delle banche . . . . . . . . . 56 Sindacati e politica . . . . . . . . . 57. Elezioni nel sud . . 58 Una dichiarazione e molte riflessioni . 59 Incompatibilità parlamentari a Montecitorio 60. Saper amministrare . . . . . . . . . 61. 21 aprile 1952 . Destino di Roma . . . . . . 62. Appello per le elezioni di Roma . 63 Precisazioni e rilievi sulle incompatibilità parlamentari 64. Anche a Roma la scelta è h a democrazia e dittatura . . 65. Le elezioni di Roma (per un punto Martin perdè la cappa) . 66 . I1 610 della Rerum Novarum 67. 15 maggio 1946 .L'anniversario della regione siciliana . 68 Incompatibilità parlamentari e incompatibilità municipali 69 . Ai congressisti delle casse rurali e artigiane di Sicilia . 70 Agli indecisi. ai titubanti, ai mezzo-disinteressati . . . . . . . . . . 71 Riorganizzare il credito . 72 Giolitti e il fascismo . . . . . . . . 73 La democrazia forte e l'altra . 74 Ricordando Xlaria blontessori . . . . . . . . . . . . . 75 Del cc premio di maggioranza n 76 . Messaggio al congresso regionale della cooperazione . 77 Ricordi su Stefano Jacini . . . . . . . . 78 . Una storia edificante . . .

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79 Ancora « Giolitti e il fascismo » (note per Gaetano Natale) Pag 256 . 80. « Vivissimi applausi » al senato 81 GRA . INT . AST (per continuare) . . . . . )) 82 . La ((piccola » riforma del senato . 83 Due quesiti . due risposte . . . . . . . 84 Tutti proporzionalisti nel 1952 85 Banche . banchieri . bancari 86 La riforma del senato è cosa seria . D 87 L'articolo 139 e l a monarchia 88 Incompatibilità: legge pre-elettorale . )) 89 Le intese fra i partiti . 90 Giudicati .giudici . Controllati .controllori 91 Lettera all'on . Gonella (per la nomina a Senatore) . . 92 L'I.R.1. e gli esperti di Stauford . n )) 9.3. Lettera al terzo congresso di diritto agrario 94 Tornano i « casuali » in parlamento . 95 . Orientamenti centristi delle elezioni . 96. Stato democratico e statalismo . D 97 Lettera al IV congresso della D.C. . 98 Lungo monologo sullo statalismo . . . . 99 Messaggio al presidente dell'unione delle provincie 100 Lo stato gendarme o divinità? 101 Lettera a Sicilia-Regione 102 Rinascita siciliana . . . . . . . 103. Equilibrio nello stato fra autorità e libertà . . 104. Diritti e doveri nella solidarietà . . . . 105 Dialogo fra economia e fisco 106 Per la istituzione della Università del19Aquila . 107. Le incompatibilità in atto . . . . . 108 Impianti elettrici . . . . . . . . . 109 Messaggio al convegno dei comuni 110 Ai giovani democristiani di Catania . . . . . 1) 111. Lettera al congresso nazionale del C.I.F. . . . . D 112. Programma elettorale . Note preliminari . . . . 113 Pro e contro lo scioglimento del senato 114 Cinque anni di parlamento 115 . Lettera per l'assemblea della confederazione generale italiana del commercio n 116 Lettera al principe Rufo Ruffo della Scaletta 117 Lettera al direttore de Il Iliessaggero n 118. La « prorogati0 n e i l parlamento . . . . . . n 119. I1 mezzogiorno nei programmi elettorali n 120. Analisi delle candidature . . . . . . . 121 Lettera a Carmelo Caristia . . . . . . . n 122 Parlamento 1953-1958 123. Funzione di centro n

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Pag . 124. La camera incompleta 125. Governo e partito . . . . . . . . . n n 125 bis Lettera al Giornale d' ltalia 126 Da Nitti a De Gasperi . . . . . . . . >) 127 . Ministero d'affari o ministero politico? . . . . . 1) 128 . Parlamento governo e partitocrazia . . . . . >> 129 Ricordi e rettifiche . . . . . . . . . >) 130. La corte costituzionale e i suoi giudici . . . . )> 131 Di nuovo ÂŤ apertura a sinistra . . . . . . )) 131 bis Lettera al Giornale d'Italia . . . . . . >) 132. Messaggio al congresso per il movimento europeo . . . >) 133. Saluto ad un congresso provinciale delle ACLI . . . >> )> 134 Adesione al convegno per l'industrializzazione del mezzogiorno 135 Corte costituzionale e partitocrazia . . . . . . )) 136 Al Times e al Manchester Guardian . . . . . >) . . . . . . . . )> 137 . LibertĂ e statalismo . . . . . . . . )) 138. Elezioni e leggi eIettorali . . . . . . . )) 139. Lettera al Giornale d'ltalia . . . . . . . . 140 Alla D.C. di Sicilia .

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ZANICHELLI EDITORE - BOLOGNA

Prezzo (I.G.E. compresa) L. 4.900 dopo l'entrata in vigore del1'l.V.A. prezzo al pubblico L. 4.W 4.623 prezzo di copertina


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