Vol 13 (1954 1956) pag 282 403

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do motivi alla stampa di mettere in evidenza contrasti fra gli stessi ministeri, per questo O per quel disegno di legge o decreto ministeriale, è opera di svalutazione che al di là di certi limiti, si sconta a caro prezzo. Nel caso presente, che cosa è mai accaduto di nuovo con le elezioni amministrative, da dare motivo a una scossa al governo e allo schieramento dei partiti? Col sistema proporzionale, i conti elettorali tornano per tutti perchè ogni partito viene a prendersi la sua propria fetta. Che poche o molte giunte municipali o provinciali potrebbero non essere costituite, era previsto e scontato fin dal giorno che liberali, socialdemocratici e repubblicani fecero della proporzionale una conditi0 sine qua non della continuità di governo, e da quando la stessa D.C. diede la sua adesione; ora bisogna pagarne lo scotto. È da sciocchi fare l a voce grossa contro l e eventuali gestioni commissariali. Purtroppo, nessuno ha il coraggio di dire che tali gestioni in via normale, non debbono durare più di tre mesi; e che le nuove elezioni di alcuni consigli comunali o provinciali, pur avvenendo con la stessa legge, dovranno rendere più sensibili e più accorti i corpi elettorali. Rifiutare tale procedura, non ammettere l'appello a l corpo elettorale, proprio per una situazione senza uscita, sarebbe negare il carati tere democratico del sistema elettorale adottato. Tra u n equivoco politico, cui può portare l'apertura a sinistra a Milano o Firenze o Genova o Roma, e un nuovo appello elettorale fra tre mesi, è da preferire il secondo e attendere i l nuovo responso elettorale. Non sono contrario agli esperimenti di giunte di minoranza senza impegni nè compromissioni: l'esperimento per due volte in nove anni, fatto dalla regione siciliana, è riuscito valido. Ma si deve trattare di esperimento chiaro, fatto in buona fede, senza mene segrete e impegni sottintesi, senza mettere fuori campo nessuno dei partiti governativi. Lealtà politica primo requisito. I1 resto, va da sè: chi vuole speculare sull'equivoco ed h a vie coperte, sia questi eliminato perchè inganna I'opinione pubblica e conta sopra sistemi deplorevoli e falsi. 10 giugno 1956.

(11 Giornale d'Italia, 13 giugno).


L'EQUIVOCO SOCIALISTA Era facilissimo prevedere che dopo « il maggio elettorale avremmo avuto u la stagione nenniana »; questa è ancora in pieno corso anche se basata su due equivoci: ((l'apertura a sinistra » attraverso le giunte e « il comunismo antistaliniano D. Non è di questi equivoci che io intendo parlare e neppure d i un terzo sul quale giocano i filonenniani » di tutti i partiti, persone innocentissime che crederebbero a Nenni sulla parola, non importa se Nenni non sia libero da vincoli con Togliatti, nè sia sulla via del distacco. Lasciamo da parte questi C( filo-nenniani che, con le loro poco avvedute attenuazioni, mostrano tale insensibilità circa il pericolo comunista e tale preferenza verso la sinistra, da svalutare anche le probabilità che simili aperture servano alla entrata dei barbari con la connivenza dei civilizzati. A parte questo pericolo, che non è da sottovalutare, perchè colui che fa un voltafaccia ( e non sarebbe il primo), non dovrebbe essere creduto immunizzato dal secondo sì da non farne un terzo o un quarto; e, mutate certe situazioni, faccia o rifaccia la sua apertura a sinistra » e riabbracci Togliatti sia sotto l'insegna di u n Krusciov meno dimentico che di uno Stalin giustificato. Anche il mondo d i sinistra è facile a cambiare casacca. In sostanza, che cosa si aspetta in Italia da un socialismo riunificato sia come partito capeggiato da due consoli: Nenni e Saragat, sia da due socialismi ria~pacificati nel governo sotto Ia presidenza della D.C.? I1 socialismo italiano ha dato prova, fin dal 1892, di tanti m.odi di intendere programmi e metodi, da poterne fare un lungo elenco. I vari socialismi di prima del fascismo avevano un minimo comune denominatore : la pregiudiziale antiborghese, per cui si levarono l'incomodo della partecipazione al governo. Caduto il fascismo, il socialismo si presentò, insieme al comunismo, come l'erede diretto della dittatura mussoliniana, e fece parte del governo fino a che, nel maggio 1947, l'on. De Gasperi, mettendo fuori rango il comunismo, obbligò Nenni alla scelta.

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Questi Eu per la rivoluzione e seguì Togliatti per arrivare, a tempo e luogo, alla dittatura del proletariato. Ora, dopo la denuncia di Krusciov, anche lui comincia a vederci meglio, affermando che l a dittatura del proletariato si risolve in dittatura personale. Nenni non deve essere forte in storia, sia antica che moderna, e non deve avere avuto mai a che fare con l e dittature, anche quelle di casa nostra. Sarà bene che si informi su gli sviluppi delle rivoluzioni, che non sono come gli orologi a sveglia, che possono essere chiusi con un colpettino, quando disturbano troppo e dànno ai nervi. Al contrario, Nenni, giorni fa, nella sua « palinodia » ( n e l doppio senso di componimento poetico e di ritrattazione) pur accettando il metodo democratico come normale sviluppo anche del suo socialismo, ammetteva la rivoluzione, sia preventiva sia susseguente. Quando il capo dell'opposizione laburista alla camera dei comuni, Clement Attlee, si recò, durante la guerra, a Washington e tenne u n discorso al « congresso (senato e camera dei rappresentanti riuniti), affermò non essere i l laburismo il partito d i una sola classe, ma aperto a tutte le classi; partito a sistema parlamentare, che ammetteva la continuità della costituzione inglese, e quindi anche l'alternativa dei partiti. La prova del fuoco venne: nel 1945 i laburisti ebbero l a maggioranza ai comuni e formarono il governo (monocolore si direbbe da noi con qualche sottinteso); durò i cinque anni d i legislatura e cessò nel 1950, perchè il paese votò per i conservatori. Attlee a Washington aveva detto la verità, e fu leale verso il suo paese e verso gli alleati d'oltre Atlantico. Sarebbe questa la verità di Nenni, con la sua rivoluzione preventiva o consecutiva? sarebbe questa l a verità di Zagari e altri della sinistra socialdemocratica? sarebbe questa anche quella di Saragat una volta riunito a Nenni? HO i miei fortissimi dubbi; e credo che dovrebbero averli non dico i liberali di Malagodi, che stanno provando quanto valga la solidarietà di governo di certi socialdemocratici per l e giunte municipali o provinciali; ma anche gli stessi democristiani di piazza del Gesù responsabili del partito, dato che i sinistrorsi della base o di altre denominazioni da parecchio


tempo nennieggiano con un fraseggio adatto per gli adepti, ma anche comprensibile per il resto dei cattolici militanti. Secondo certi iniziativisti e certi basisti, « la prosperità avvenire della D.C. è strettamente legata a prospettive d i una politica sociale e di sviluppo, le quali scontano e superano, in partenza, suggestioni e pretese integralistiche ». Costoro affermano che « bisogna che la D.C. esca dalle " formule prefabbricate " e, al di là della contingente situazione, si ponga con urgenza il problema delle " scelte " politiche " precise " >) ; che lo sviluppo dello stato democratico non può essere affidato a compromessi, che « si rinnovano come cambiali alla scadenza »; che il problema della (C utilizzazione democratica del PSI, implica una precisa presa di posizione del partito cattolico: anche perchè la politica delle " chiusure '' e degli " slogans " fa obiettivamente i l gioco di Togliatti e rafforza " vocazioni frontiste " tuttora notevoli nel partito di Nenni ».Per costoro, « se è vero che l'apertura a sinistra, nel senso e nei termini nenniani, potrebbe costituire oggi (non è mia la sottolinea) un " equivoco pericoloso ", è però vero altresì che una politica di " convergenza su programmazioni concrete" è giunta al punto di maturazione e dovrebbe " disincantare la situazione " D. Conclusione: che la D.C. presenti le stesse proposte e le stesse soluzioni socialiste del partito nenniano e così avremo combinato l'apertura sostanziale, senza arrivare all'apertura formale, senza chiedere che Nenni vada a fondersi con il partito di Saragat, senza chiamarlo a far parte del governo; ma anche senza obbligarlo a romperla con Togliatti. Che la D.C. abbia u n programma sociale avanzato, una tendenza statalista marcata, numerosi provvedimenti detti sociali in cantiere non può essere messo in dubbio; ma che debba fare una « socialità » mimetizzata con quella di Nenni sarebbe il colmo. Purtroppo tale idea si rileva da giornali locali e in agenzie che circolano ignorati, direi: voiutamente ignorati, dall a stampa politica della D.C. e da quella che alla D.C. è legata; forse perchè il rilevarlo, come fo io (riportando quasi una pagina di u n recente numero di agenzia di stampa edita a Roma) può sembrare cosa poco opportuna. Non si tratta solo di fraseggio; le cose che il fraseggio -

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mezzo dice e mezzo nasconde sono più gravi di quanto non sembri. È la coesistenza delle varie categorie economiche i n ballo, per la tendenza verso una statizzazione che fa passare il capitale dalla società privata all'ente pubblico; trasferisce il rischio dall'impresa privata alla col1ettivit.à; trasforma l'operatore e il lavoratore i n impiegato, il libero assicurato in pensionato statale e così di seguito. Quanti passi occorrono per arrivare al socialismo d i stato? siamo già per la strada. Ma allo stesso tempo abbiamo aperto la strada al sindacalismo di stato. Quando l'azienda privata decade e lo stato la sostituisce con i suoi enti e con i suoi finanziamenti, il sindacato si applica alla organizzazione e difesa delle categorie degli impiegati e dei lavoratori di stato. Quello che i sindacati, anche prima del fascismo, facevano con i ferrovieri e post-telegrafonici di ieri, fanno oggi con le categorie impiegatizie e vanno sperimentando qua e là con i contadini degli enti di riforma. I sindacati saranno domani gli eredi naturali dei partiti politici di oggi nella rappresentanza e nel predominio del cosiddetto stato democratico; in realtà gli uni e gli altri sono due facce del progrediente socialismo di stato verso il sindacalismo di stato. Di questo passo si prospetta il passaggio da democrazia a dittatura. Lo dica o no il compagno Nenni; lo vogliano o no, tutti i complici di Nenni, è un altro affare; ma che l'orientamento sia questo non si può negare che da coloro che non ne sanno vedere i segni premonitori. 26 giugno 1956.

(IL Giornale d'Italia, 28 giugno).

VOTI GRATUITI E VOTI CONTRATTATI Leggo sopra un'agenzia di stampa la deplorazione di Saragat perchè a Torino D.C. e partiti alleati abbiano incluso nella maggioranza gli esponenti del gruppo regionalista: « la regione invocata anche a Torino? una profanazione della tradizione risorgimentale! D.


Possibile che Saragat abbia dimenticato che la costituzione vigente dedica tutto i l titolo V alla regione? che sulla regione ha basato la elezione del senato? che a rappresentanti regionali h a dato diritto di partecipare alla elezione del presidente della repubblica? I n difetto non sono i vecchi e nuovi regionalisti di Udine, Trieste, Bergamo e Torino; in difetto non è, oggi, i l senato che da quasi un anno ha approvato il disegno di legge sulle prime elezioni regionali; in difetto non sarebbe, oggi, neppure il governo i l cui ministro dell'interno ha riaffermato, al riguardo, la volontà di eseguire la costituzione; in difetto è, invece, la camera dei deputati ( e per essa i gruppi dei vari partiti) se il testo del disegno di legge per le elezioni regionali, approvato dal senato, non sia stato portato in aula. Per quanto riguarda il risorgimento, l'on. Saragat potrà essere meglio informato dai colleghi repubblicani, che tengono vive certe antiche tradizioni come proprio patrimonio, fra le quali quella del regionalismo. Anche Cavour a modo suo era regionalista; se la divisione amministrativa per regioni non ebbe seguito pratico, tranne che nella geografia e nella statistica, fu per il timore di poter dare ansa a quel particolarismo dinastico allora ancor vivo che si andò estinguendo in meno di una generazione. Non comprendo, d'altro lato, come l'on. Saragat concili il suo rigore per i minuscoli regionalisti torinesi con l'atteggiamento verso i nenniani di Milano che, attraverso la socialdemocrazia, tendono a far breccia in quella giunta comunale: mentre scrivo la lotta è in corso fra democratici cristiani e liberali per il no e il PSDI e repubblicani per i l si. E non è solo Milano a essere agitata dagli atteggiamenti filonenniani dei socialdemocratici, ma anche altre sedi minori e senza significato politico apprezzabile. Riguardo i l caso di Roma, debbo dire chiaramente che non mi è piaciuto sia l'atteggiamento delle destre che han votato Tupini mettendolo in imbarazzo, sia delle sinistre che han disertato l'aula per accentuare la protesta. Sono atti di gretto spirito partigiano, che non rispondono alla vera volontà popolare e offendono la sana concezione amministrativa degli enti locali. t


Ma come non deplorare la pubblica intimazione fatta da Saragat a Tupini, perchè questi si dimettesse da sindaco eletto, prima ancora che i l caso fosse stato discusso dai componenti la maggioranza di centro? E come non criticare i direttivi dei partiti democratici a volere allo stesso tempo che Tupini si dimettesse da sindaco eletto per dimostrare i l rifiuto dei voti delle destre e che si ripresentasse anche se rieletto col voto delle destre. La dignità personale va rispettata; se Tupini doveva essere eletto la seconda volta con i voti delle destre, bastava credergli sulla parola che egli non li aveva cercati nè si sentiva politicamente legato ai largitori del voto gratuito. Purtroppo, i partiti che hanno disintegrato le rappresentanze locali con la legge proporzionale inadatta allo scopo, continuano in pieno l'opera di disintegrazione nella pubblica amministrazione, attuando una partitocrazia che altera i confini fra politica e amministrazione, mentre sono dimenticati gli interessi delle popolazioni da amministrare, per far prevalere il monopolio politico dei gruppi e dei relativi dirigenti. Si tende anche, attraverso le pubbliche amministrazioni, a riaffermare un cartello governativo che mal resiste ai colpi del vento proporzionalista e alle burrasche dell'apertura a sinistra. Per giunta, i tre partitini collaborano con la D.C. a modo proprio: il più forte, preparando la sua unificazione col socialismo marxista o integrale che voglia dirsi; il secondo, cercando di rivalutarsi presso le categorie economiche senza perdere i contatti col centro; il terzo, tenendosi lontano dal potere e favorendo, sia pure con accortezza, la scivolata a sinistra. In questo stato di cose, pur mantenendosi la direzione centrale della D.C. nella resistenza, coerente al programma elettorale, non solo ha ceduto ( o dovuto cedere) qua e l à per la costituzione delle giunte di grandi e medi comuni, ma mostra d i non accorgersi dell'orientamento sinistrorso in certe zone più o meno giovanili, sostenute da centri influenti e forse non disinteressati. Una ben nota agenzia di stampa rileva che la sinistra democratica (non altrimenti qualificata, che secondo me abbraccia, oltre i nenniani, i socialdemocratici, con punte verso i repubblicani e gruppettini d.c.) ritiene che il centrismo (anche quello fanfaniano?) sia una formula logora che conviene


tenere in piedi per accelerare l'iter parlamentare dei disegni di legge sugli idrocarburi, sui patti agrari e sull'irizzazione delle società telefoniche private. Dopo di che sarebbero superate le diflicoltà per una concreta intesa PSI e PSDI, in modo da potersi costituire una posizione d i forza ( l a frase è nel testo) di fronte all'elettorato. Aggiunge l'agenzia che, con tali premesse, la stessa D. C. in sede congressuale, C sarà forzata a d una scelta che l a caratterizzerebbe - finalmente - agli occhi del corpo elettorale 1). È tale agenzia una semplice voce di stampa, ovvero rappresenta u n organismo o uno o più gruppi che sanno di poter contare sulle varie correnti estreme della D.C. le quali lavorano per prendere in mano i l partito nel prossimo congresso (come fecero a Napoli gli iniziativisti), in modo da potere attuare quell'apertura a sinistra, che essi da anni si prospettano come meta ? Oggi si discute sui voti gratuiti nei consigli provinciali e comunali, mentre si cercano i voti contrattati; potremmo ricordare i voti gratuiti e quelli contrattati in parlamento nel varare leggi di dubbia qualit,à economica o di sicura impronta demagogica. È questa la sorte di coloro che desiderando di stare in sella, cercano di evitare i rischi della dirittura amministrativa e della coerenza politica, amano le transazioni e i compromessi che non servono agli interessi del paese e perfino degli stessi partiti; e non s'accorgono del peggio che si prospetta all'orizzonte. È per questo che quanto prevede l'agenzia di cui sopra dovrebbe essere un invito per quanti nell'apertura a sinistra, se attuata in Italia, vedono delinearsi la disintegrazione del patto atlantico e lo spettro di Mosca. 10 luglio 1956.

( I l Giornule d'Italia, 12 luglio).

LIBERTA' ECONOMICA I N ITALIA I1 ministro Cortese, nel suo discorso al senato sul bilancio dell'industria, ebbe a fare alcune interessanti affermazioni, che riporto dal resoconto sommario della seduta del 16 di questo


mese. La prima suona così: Comunque, nel 1955 i l volume della produzione industriale italiana è pari al doppio di quello prebellico, già raggiunto nel 1948. Tale risultato è stato raggiunto in regime di liberalizzazione degli scambi ed in una economia di mercato, fondata, quindi, prevalentemente sull'iniziativa privata, la quale deve soltanto ed essenzialmente adeguarsi ad una esigenza imprescindibile, e cioè il pieno rispetto delle regole di concorrenza n. Mi fermo per domandare come egli concepisca le regole di concorrenza, in un paese dove lo stato interferisce in quasi tutti i settori dell'economia. I1 testo continua: Una economia che non presentasse altra alternativa se non quella tra monopolio privato e monopolio di stato, avrebbe perduto la caratteristica di economia di mercato D. Si fa osservare, preliminarmente, che in Italia non esiste l'alternativa fra i due tipi di monopoli; nel fatto coesistono monopoli di stato legalizzati; quasi monopoli di stato non legalizzati; manomorte statali e parastatali ; ingerenze di stato nel mercato libero; protezioni e favori di stato, che determinano monopoli di fatto nel campo privato. La concorrenza di mercato che esiste nel campo del piccolo e medio commercio e nei trasferimenti di beni, è contrastata da cento impacci sopravvissuti alla struttura corporativa dell'economia fascista (numero, distanze, permessi locali e centrali e simili); ed è resa difficile dalla non repressa attività di usurai, bari, camomsti, mafiosi e trafficanti politici, ai quali spesso non si chiude la porta degli uffici pubblici. Il ministro Cortese che è di Napoli conosce bene certo mercato libero; ma Napoli non è la sola città che ne soffre. A Milano si dice che la borsa d i Roma è il centro dell'affarismo: a Roma si addita Milano come centro della speculazione. Beghe d i campanile? o aspetti della vita economica? Certo si è che a Roma oltre la borsa esiste il CIP (comitato interministeriale prezzi) presieduto dal presidente del consiglio e composto di ministri e di tecnici con relative commissioni centrali e provinciali; queste ultime presiedute dai prefetti. L'istituzione, fatta il 19 ottobre 1944, con successive modifiche e ampliamenti del 1946 e 1947, tendeva a regolare i proble-

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Politica d i questi anni.


mi alimentari e d i gran consumo di un periodo difficilissimo e a fare il punto sull'ordinamento di guerra agganciato al sistema corporativo soppresso. Proprio allora molti colsero la palla al balzo, al centro e alla periferia, per fare affari d'oro. Di conseguenza il CIP, senza base giuridica, con poteri costituzionalmente illegittimi che incidono su gran parte dell'economia del paese, è passato insensibilmente da transitorio a permanente. Si grida: le grosse imprese tengono i monopoli delle principali produzioni. Ma come? Non è il CIP che fissa le tariffe elettriche? i prezzi dei fertilizzanti? dei carburanti? dei cementi? e così di seguito. Sono proprio i prezzi di stato quelli che impediscono la concorrenza di mercato di cui parla il ministro Cortese. Lo stesso è dei medicinali, al punto che un prefetto può minacciare di chiudere una farmacia se vende al disotto dei prezzi fissati. In un paese, dove non esiste fino ad oggi una legge contro i monopoli ( a che punto è la proposta dell'on. Malagodi?); in un paese d i mercato limitato, le grandi e le grandissime imprese non potrebbero vivere senza il mercato internazionale. E poichè per quasi tutte le produzioni e le industrie, l'Italia si presenta con costi più elevati di quelli esteri, se non può concorrer e con merce ricercata o di eccezionale qualità, deve caricare i prezzi interni per alleggerire i prezzi esteri e reggere alla concorrenza. Onde, per non far cadere industrie che tengono occupati diverse migliaia di operai, governo o parlamento sono costretti a concedere a determinate industrie dei privilegi che gravano sulla generalità ovvero consentire una protezione che fa pagare ai consumatori il maggior costo interno. Dov'è la libert.à d i mercato? E andiamo avanti. Lo stato ha creato o rilevato una serie di enti grandi mezzani e piccoli: - agrari, industriali e commerciali, - i quali godono di una posizione invidiabile: non hanno rischi; non hanno responsabilità; nel campo degli affari possono battere i privati, sia per commissioni concesse d'autorità, sia per commissioni di dubbio reddito, senza impensierirsi dei maggiori costi. Dove va la libertà d i mercato? Ancora un passo: a parte i monopoli fiscali gestiti diretta-


mente o a 5 d a t i in appalto (fiammiferi, banane); esistono enti statali e aras statali che agiscono come enti pubblici rivi legiati, pur adottando nel momento i metodi privatistici: tipico l'Ingic, le cui malefatte sono attualmente materia dell'autorità giudiziaria. Domandare alle piccole imprese tipografiche del sud, quale ostacolo sia per la loro deficiente economia un poligrafico privilegiato che agisce nel settore tradizionale della stampa dei moduli per pubbliche amministrazioni e simile produzione quasi artigiana. Concorrenza o monopolio quella del poligrafico? Basta una circolare per sottrarre il lavoro alle piccole tipografie. Non si meravigli il lettore se aggiungo che gli enti statali sono per definizione degli evasori fiscali, quando non godono speciali favori. AII'ENI fu concesso il privilegio di pagare il fisco sei mesi dopo la scadenza; piccola concessione ma atta a mettere le società dell'ENI al disopra del piano concorrenziale. È; vero: lYENIè u n caso a parte: si tratta di una holding che contiene enti che possono formare un ciclo economico chiuso, respingendo, in tutti i settori, qualsiasi concorrenza, perchè tutti i settori restano reciprocamente statizzati e privilegiati. Ricerche ed estrazione, lavorazione, trasformazione, trasporto, vendita. Nel settore ricerca non solo I'ENI ha il monopolio della zona del nord che va dalla cinta delle Alpi alla Liguria, Emilia e Romagna, ma estende concessioni e permessi di ricerche per milioni di ettari nel resto del territorio continentale, e potsà avere, a differenza dei privati, ancora altri permessi ed altre conseguenti concessioni senza limiti prestabiliti, come è stato prescritto per le ditte private. Lo stato è impegnato i n tutti gli affari dell'ENI e delle SOcietà che ne dipendono; perciò rinunzia alle entrate fiscali (dopo avere assoggettato 1'ENI a pagare la tassa sul metano, h a trovato il ripiego per un cespite compensativo); rinunzia alle entrate che spettano allo stato, (somme notevoli che andrebbero meglio nelle casse statali) e garantisce l'emissione di prestiti obbligazionari, 60 miliardi per il solo impianto di Ravenna. Dal punto di vista di parità di condizione fra economia privata ed economia privilegiata statale, il ministro Cortese è pre. gato di rivedere le sue convinzioni, e rettificare l'affermazione


u di avere introdotto nella legge sugli idrocarburi, per la prima volta, strumenti legislativi antimonopolistici >) ; perchè si tratta d i strumenti che non solo non intaccano il monopolio dell'ENI ed enti collegati, ma che ne confermano tutta l'efficienza. 11 ministro si è permesso di dire che il monopolio dell'ENI nella Va1 Padana non potrà essere eterno; sia certo che non sarà lui a pomi un termine. Nel quadro « Cortese » non poteva mancare il piano Vamni, che prima della scomparsa dell'autore, era stato ridotto a schema. I1 ministro conchiuse il punto della libertà economica, affermando che u lo stesso sviluppo del piano Vanoni. richiede l'allargamento del mercato interno, in quella misura che può essere solo conseguita dalla diminuzione dei prezzi e dei costi sotto l a spinta della competizione concorrenziale 1). Nel dir ciò, egli dovette ricordare un discorso che Vanoni tenne a Napoli, dove si trovano accenni a favore dell'iniziativa privata. Ma nel testo del piano redatto dal prof. Saraceno e in quello aggiornato, non si trova una parola che prospetti se, in che modo e i n quale misura, l'iniziativa privata sarà utilizzata nell'attuazione del piano-schema. Però, a nostro conforto, avremo un altro comitato interministeriale, che si aggiunge a quelli del credito, dei prezzi, della ricostruzione, della cassa per il mezzogiorno, dell'ENI. I1 comitato interministeriale del piano quadriennale Vanoni, organo non costituzionale come tutti gli altri, occuperà vari settori della pubblica amministrazione che saranno sottratti ai ministeri e ai relativi organi di controllo; e sotto l'insegna Vanoni, servirà a limitare l'attività economica dei privati (come fanno gli altri comitati interministeriali con più o meno legalità) e ad aumentare le catene stataliste sul residuo di libertà economica, male o bene, tuttora esistente. 23 luglio 1956.

( I l Giornale d'Italia, 27 luglio).


MAGGIORITARI E PROPORZIONALISTI A TRENTO È naturale che non siano solo i tesserati, ma anche moltis-

simi non tesserati, ad interessarsi alle sorti della democrazia cristiana, trattandosi del partito che da più di un decennio dirige la politica del paese, è al centro della coalizione governativa, ha ottenuto per sè l'appoggio del clero, orienta la difesa dello stato dall'assalto delle sinistre e dalle pretese delle destre. A questo comune interesse si aggiunge in me il fatto particolare di chi alla democrazia cristiana, nelle sue idealità più pure ed elevate, ha dedicato ogni sua attività sopportandone tutte le conseguenze. È vero che sono fuori della disciplina di partito, ma non posso per questo considerarmi un semplice spettatore. Ebbene, il pensiero che la D.C., in una crisi di disorientamento, sotto l'insegna di « apertura a sinistra )) o « apertura sociale che voglia dirsi, sia quella che apra la porta al socialismo nenniano, con le conseguenze di carattere interno e internazionale facili a prevedere, mi obbliga a tornare a scriverne e a parlarne, piaccia o non piaccia a pochi o molti dei futuri congressisti di Trento. La discussione fra maggiorituri e proporzionalisti, chiusa al consiglio nazionale con la prevalenza dei primi, ma tuttora aperta nelle sezioni locali e nei comitati provinciali, non è una semplice questione di metodo ; ha per retrofondo politico l'apertura verso Nenni e la eliminazione, nella futura coalizione governativa, del gruppo liberale. I problemi delle giunte non risolte (Firenze e Milano) e quelle gi.à risolte (Genova, Torino, Venezia, Roma), per parlare dei grandi centri, per chi ci sa vedere, sono un sintomo assai inquietante. Non solo perchè le elezioni del 27 maggio sono state fatte con la proporzionale, ma anche perchè hanno dato u n altro colpo alla situazione creata nel 1953 e sviluppatasi in seguito, nelle nomine del presidente Gronchi e del governo Segni. La proporzionale a Trento (se accettata) darà u n altro colpo; e forse non si aspetteranno l e elezioni politiche, anch'esse a base proporzionale, per sanzio-


nare il passaggio a sinistra. Nenni avrà di che essere soddisfatto; di conseguenza, anche Togliatti e anche Mosca ne saranno soddisfatti. Non si illudano coloro che pensano ad un distacco serio e sincero di Nenni da Togliatti; anche se si trattasse di affermazioni aperte e chiare, non improbabili nel giro di qualche anno, la situazione non cambierebbe; i socialisti non possono svuotare il carattere rivoluzionario del loro partito, nè potranno rinunziare alla lotta di classe, nè, infine, lasceranno sopravvivere una libertà politica ed economica, che impedirebbe l'attuazione del socialismo marxista. I socialisti ammettono la libertà politica e l a coesistenza dei partiti, quando essi sono ancora in minoranza e la reclameranno per sè e per i comunisti. Ma quando arriveranno ad essere una forza autonoma si da formare essi il centro di coalizione di sinistra, ottenendo, con i comunisti s'intende, la maggioranza desiderata, essi ridurranno a zero i partiti avversi, lo neghino O lo affermino fin da ora non importa; faranno come fece Mussolini che a l quarto anno della dittatura eliminò ogni partito e proclamò l'esistenza del partito unico inserendolo nello stato. Nenni è venuto dalla stessa scuola di Mussolini; i l suo iniziale fascismo affondava nelle stesse radici dell'unicità d i classe ( l a lavoratrice) e del socialismo di stato (dittatura del proletariato). Da Marx a Lenin è breve il passo, e l'ésperienza fascista favorisce l'aspirazione alla dittatura. I1 socialismo riformista di Turati, il socialismo fabiano inglese, e l'ultimo socialismo dei laburisti a base egualitaria (arrivano'in ritardo gl'inglesi dopo la rivoluzione francese del 1789) non toccano Nenni; egli è rimasto, e non può negarlo, premio Stalin! Con le sue ultime dichiarazioni del 29 luglio l'on. Nenni tenta di passare per socialista e democratico allo stesso tempo. Si tratta di un socialismo di stato, nel quale verrebbe lasciato il gioco libero (se così potrà dirsi) ai lavoratori manuali, ai funzionari, a l ceto medio produttivo e alle attivi& dette terziarie (commercio e simili) con la eliminazione, si sottintende, del capitalismo borghese (quello definito così nel linguaggio e nella tecnica marxista). L'operazione chirurgica per tale eliminazione è già prevista


non solo da Nenni ma da tutti i nenniani di ogni sponda e se ne sentirà l'eco sopra certi giornali e agenzie, come se si trattasse di una programmatica apertura sociale » non altrimenti definitiva. Le gravi conseguenze economiche e politiche sul piano interno e su quello internazionale non sono prospettate da Nenni nè dagli altri; ma sarebbero reali e non certo favorevoli pel nostro paese. Per far riprendere quota a Nenni è venuta l a questione congressuale di Trento : proporzionale o non proporzionale. Fanfani ha tenuto duro, ma Fanfani sarà a Trento combattuto proprio sulla proporzionale e con la proporzionale. Possibile che un metodo elettorale adatto a certi organismi politici, ma non a tutti - l'Italia ha il comunismo che ne corrode i tessuti della libertà - debba arrivare al rango di ideale, quasi di dogma? Ebbene, anche nella struttura di un partito si vuole introdurre l a proporzionale. Alcuni (fra i quali i l mio amico Aldisio) lo fanno in buona fede, credendo che così verrebbe corretta la pretesa degli iniziativisti del congresso di Napoli di considerarsi essi gli autentici d.c. mettendo in disparte od eliminando gli altri ritenuti, non dico eretici, ma conformisti (vecchio virus fascista quello del conformismo che circola tuttora nelle vene della politica italiana). Ma non si corregge una situazione anomala attraverso uno strumento che consacra lo spezzettamento del partito i n fazioni di lotta. I1 naturale dibattito e contrasto di opinioni, che dà vita ad un partito esponente della maggioranza del paese, è stato sostituito con gruppettini interni anchilosati, lottanti per la supremazia, dimentichi del fatto che i sostenitori del partito sono i dieci milioni di elettori non tesserati da aggiungere ai due milioni e più di tesserati. Mi dispiace che il nome di Giovanni Gronchi, non quello del Quirinale, ma l'altro del congresso di Napoli, i l critico e spesso oppositore per dieci anni delle varie direzioni del partito debba tornare ad essere fatto alla vigilia del congresso di Trento come sostenitore di una tesi che per u n partito e nelle attuali condizioni, non regge; mentre è necessario che si promuova una lista di coalizione di centro, che escluda l'apertura a sinistra.


L'apertura a destra è fuori discussione fino a che la destra fa appello alla monarchia, che non sarebbe bandiera d i unione nazionale, ovvero al fascismo, che ricorda la dittatura e la caduta. Però, mettere sullo stesso piano il pericolo d i sinistra (pericolo reale di ordine interno, internazionale e religioso) e il pericolo di destra (pericolo ipotetico di ordine interno), è una di quelle ipocrisie che urtano i nervi, perchè dimostrano d i VOlere essere perdonati della opposizione a Nenni, perchè, perbacco! si mostrano i denti a Covelli, Lauro e de Marsanich. E fo punto. Gli amici ci pensino due volte prima d i creare a Trento, all'ombra del nome e nel ricordo di Alcide De Gasperi, la scivolata a sinistra. 29 luglio 1956.

(I1 Giornale d'Italia, 2 agosto).

NON CONFONDIAMO I L CATTOLICO SOCIALE COL SOCIALISTA A sentire parlare certi cattolici o leggerne gli scritti su temi sociali, ci si sente subito l'influsso del marxismo, anche se vi manchi il pensiero e la teoria; proprio come avviene per i cibi che rivelano la presa dell'aglio o della cipolla per il solo fatto di essere stati tagliati con lo stesso coltello usato per quei tuberi. Se il caso fosse raro, non impressionerebbe; se non producesse infezione, potrebbe trascurarsi; se, pur facendo un certo effetto non penetrasse nella prassi, sarebbe da .rilevare, e non da temere. Ma oggi siamo a un punto, per il quale, nel campo del pensiero e in quello dell'azione sociale, e quindi etica e politica, il giovane cattolico ( e non solo il giovane) in non pochi casi va attenuando la propria personalità, configurandosi al tenore e alle prese del socialismo. Di fronte a un fenomeno così strano si pone il problema se per attuare il benessere delle classi lavoratrici, e quindi una adeguata trasformazione della società, basti a noi cattolici la nostra dottrina, la nostra tradizione, e l'attività conseguente, sia associata ad altri sia in contrasto, secondo la dinamica delle


forze politiche; ovvero, se sia necessario non solo allearsi al socialismo, ma mutuarne orientamenti, linguaggio e finalità. I1 nostro passato di cattolici italiani, ci ha dato una personalità non confondibile e unica, sia nel difficile periodo del dissidio aperto fra chiesa e stato, sia nei periodi di bonaccia e di speranze, sia nella nostra partecipazione attiva alla vita politica e, infine, alla creazione di proprio partito ( i l popolare, 1919), di proprie confederazioni ( l a sindacale e la cooperativista, 1918). I cattolici italiani prima del fascismo ebbero oltre che una dottrina, (la cattolica sociale), u n nome (democrazia cristiana), un partito (popolare), un'insegna (libertas). La lotta al fascismo fu fatta in nome proprio, e se insieme agli altri, con propria personalità e con proprie idee. Sarà bene rileggere le cronache giornalistiche del congresso di Torino e i l discorsorelazione del segretario politico. Se è vero che l a maggior parte dei popolari, anche umili artigiani e impiegati di provincia, pur sotto i l fascismo, tennero fede all'ideale del partito, si deve confessare che uomini di cultura e giovani inesperti del campo catto1i;o accettarono dal fascismo il sistema politico e l'idea corporativa, credendo che il corporativismo dei cattolici tipo Vogelsang e De Mun, e anche quello del Toniolo, fossero, più o meno bene, attuati da Mussolini. Purtroppo, come nel ventenni0 certi cattolici sociali mutuarono dal fascismo metodi e dottrine politiche e corporative, pur professando apertamente le dottrine sociali cristiane; così dopo la liberazione, nella democrazia cristiana divenuta i1 partito di governo e i l partito-guida, anzi il partito indispensabile, non mancano coloro che orientano, non solo la politica contingente delle alleanze, ma l a politica sociale direttiva verso una concezione che non è nostra e non può essere nostra: la concezione socialista. I n genere, sotto il fascismo non pochi perdettero il senso della personalità politico-sociale dei cattolici; oggi, da non pochi, si tende a confondere la personalità politico-sociale dei cattolici con quella dei socialisti. Le prove? presto date. Appena tornato in Italia, mi sorpresero, da parte cattolica, gli attacchi alla borghesia; una specie di acuto risentimento contro l'impresa detta padronale; il fa-


rore dato all'occupazione delle terre; un diffuso e sempre crescente statalismo come rimedio a tutti i mali; il favore alle nazionalizzazioni; il rifiuto a definire la D.C. come partito interclassista, perchè secondo il loro pensiero, nella società moderna vi saranno categorie, settori, ma non classi; come se f ~ s simo al periodo precedente alla rivoluzione francese. Pensai: i giovani in Italia oggi soffrono di disorientamento; prima il corporativismo e poi le socializzazioni d i Salò; in seguito la collaborazione con socialisti e comunisti nella resistenza e nelle organizzazioni sindacali, riunite in unica confederazione (ora se ne riparla di nuovo); infine, la spinta a rivedere, non le dottrine sociali cattoliche, ma le possibili applicazioni di esse con le teorie marxiste e i residui hegeliani d i Croce e Gentile. L'elenco potrebbe continuare, ne ho parlato e scritto più volte. Ricordo la gran meraviglia recata a diversi che non mi conoscevano ( e non mi conoscono ancora) quando scrissi che borghesi siamo tutti noi che ci occupiamo di politica; borghese era De Gasperi e lo è Fanfani; Gronchi e Gonella; Saragat, Nenni e Togliatti non sono che borghesi, borghesissimi che fanno da capo-partito. I1 dizionario italiano, anche quello compilato in questo felice decennio, all'aggettivo borghese dà i l significato normale di cittadino del ceto medio, del libero professionista, dell'agiato possidente, detto anche piccolo borghese, i n contrapposto a grosso borghese, a ricco uomo di affari. SO bene che certa borghesia non ha gusto artistico, non h a la finezza aristocratica cara a paesi come la Francia e l'Italia; mostra d i essere materialista, godereccia, e fa la figura dei nuovi arricchiti. Anche Dante attribuiva i mali di Firenze alla gente nova e ai subiti guadagni: fenomeni naturali di una società in crescenza. La metteremo al bando? Per certi cattolici di sinistra il borghese, anche se avesse le tradizioni di un Rossi o di u n Borsalino, che crearono industrie italiane di primo ordine apprezzate in Italia e all'estero; O di un armatore come Vincenzo Florio o Tagliavia a Palermo, Costa a Genova, e così di seguito, sono da bollare nel senso marxista, e, come padroni, da eliminare dalla struttura sociale. Già, la figura del padrone, cioè capo di un'azienda indu-


striale o agricola, anche del tipo di Léon Harmel (quello della democrazia cristiana di Leone XIII) non avrà più posto nella società democratica cristiana coniata dai sinistri. Aboliremo le grandi industrie italiane anche se danno lavoro a migliaia di operai, trattandoli bene, riconoscendone i diritti personali e sindacali, solo perchè sono in mano a borghesi? l e metteremo in mano allo stato? Vedo che i modernissimi sorrideranno sotto i baffi a leggere l'articolo di un così aggiornato giornalista quale sono io, e mi ricorderanno che C( l'Italia è una repubblica fondata sul lavoro n. La definizione della nostra costituzione fu il frutto di un compromesso, nel quale tutti i partiti potessero leggervi i propri programmi. Forse che la borghesia non lavora? il professionista, l'industriale, l'agricoltore (agrario per dispregio) non lavorano? L'Italia è un paese di lavoratori; gente che non lavori e viva alle spalle degli altri non ce n'è; salvo gli invalidi, gli inabili, i disoccupati, tutti degni della solidarietà civica e cristiana e degni dell'assistenza pubblica e privata. Ci saranno in Italia (come altrove) parassiti, sfruttatori, giovani debosciati; minoranze spregevoli da classificare con coloro che vivono a i margini della società civile. Occorre interessarsi anche di costoro per ricondurli (se possibile) sul retto sentiero. Potrei continuare e dire che pur ammettendo il disuso della frase classi sociali, nel senso di separazione o di opposizione, senso acuito dai socialisti con la loro dittatura del proletariato e il trionfo dell'unica classe, quella dei lavoratori, non è consentibile nè possibile il livellamento sociale (se ne parla in Inghilterra dai laburisti dopo i l fallimento della politica delle nazionalizzazioni); nè il passaggio della proprietà dei mezzi dì produzione allo stato (socialismo di stato); nè la dipendenza dall'ente pubblico di ogni attività produttiva e di ogni possibilità nmunerativa del lavoro umano. Queste prospettive socialiste e comuniste della politica e della economia, sono in sostanza soppressione di libertà, affossamento della personalità umana, dominio di un'oligarchia di funzionari gerarchizzati con la conseguenza dell'aumento ipertrofico della spesa pubblica e della diminuzione della produttività nazionale.


L'ideale del cattolico sociale è ben altro: anzitutto salvaguardare i valori della personalità umana, della libertà, di ogni libertà compresa quella di iniziativa; evitare il controllo dello stato (che è controllo oligarchico) su tutta la vita del paese; e allo stesso tempo dare la possibilità alle categorie ( o classi) lavoratrici di elevarsi, d i trovare lavoro nell'aumento della produzione e nella pacifica cooperazione e solidariet,; civica. Lo stato intervenga, anzitutto, prelevando da coloro che possono, i mezzi per fronteggiare i bisogni pubblici, integrando la iniziativa privata, sostituendola, in via eccezionale, quando questa fa difetto ovvero è in crisi, e, nel rispetto dei diritti e nell'adempimento dei doveri, rimettendo nel paese quella disciplina, quel senso d i responsabilità, quella parsimonia che caratterizza il vero democratico e dà esempio di moralità cristiana. A me non fa impressione se un provvedimento sociale possa avere anche i consensi dei socialisti e dei comunisti! a me urta pensare che fra due soluzioni: quella onesta, equilibrata, e vantaggiosa per il paese e l'altra demagogica e sovvertitrice, si preferisca la seconda perchè appoggiata dai socialisti e non la prima perchè passerebbe per soluzione d i destra! Ecco l'aberrazione che io combatto non solo presso la gioventù infatuata d i sinistrismo, ma anche presso qualche cattolico che si suo1 classificare: « tutto chiesa e sagrestia D.

...

7 agosto 1956.

( I l Giornale d'Italia, 12

agosto)

LA CRITICA DI STURZO E I FILO-SOCIALISTI Se i consensi, più larghi del solito, al mio articolo: C( Non confondiamo cattolici e socialisti »,mi han consolato, anche le mormorazioni degli altri sono arrivate al mio orecchio senza offesa. Fra le varie critiche prendo per prima quella personale e rispondo subito, è mio diritto: Cicero pro domo sua. Si accusa don Sturzo che, dal ritorno in patria, con la sua critica non risparmia i socialisti, i partitini, anche la D.C.,


specie l'ala sinistra; mentre nel trentennnio della sua attività politico-sociale in Italia (1895-1924), e nello stesso esilio, le sue critiche, oltre che a Giolitti nominatim, andavano alla classe politica di allora, la demo-liberale; andavano ai nazionalisti, ai fascisti, agli industriali, non sempre ai socialisti, mai a i sindacati dei lavoratori. Ci sono forse due Sturzo: uno unte e uno post? ovvero i l secondo Sturzo rinnega il primo, il vecchio non riconosce il giovane? Quelli che parlano così, non conoscono l'uomo. A parte l a senilità, che se gli articoli non dimostrano, è un fatto innegabile, 85 anni a novembre, don Sturzo è stato sempre uguale a se stesso, costantemente un critico di coloro che detengono il potere. Nel primo trentennio erano al potere i democratici-liberali o liberali-democratici (come amavano chiamarsi), poi vennero i nazional-fascisti; nel presente decennio sono i democristiani col contorno dei partitini (sia contemporaneamente, sia parzialmente, sia a turno, salvo i cinque mesi del governo l'ella). La critica si dirige a chi fa e a chi parla; i governi del dopo guerra han parlato molto, han legislato moltissimo (troppo, dico io); hanno fatto e sbagliato parecchio; nessuno di loro pensa divenire un Mussolini che (( ha sempre ragione ». Dall'altro lato, la critica di don Sturzo ai nenniani e ai sinistroidi della coalizione governativa (ogni partito ha l a sua freccia al fianco sinistro) è per quello che essi dicono e, quando hanno un briciolo di potere, anche municipale, per quello che fanno. È chiara la mia posizione? Spero di sì. Ho forse rinunziato alle mie idee del cinquantennio 18951945? Si faccia avanti chi me lo provi, carte alla mano; ma costui avrebbe i l dovere di leggere o di rileggere i miei discorsi politici, i miei scritti del tempo; troverà la critica dello statalismo per6no più forte di quella di oggi; e dire che fra lo statalismo del 1920 e quello del 1956 ci corrono chilometri di distanza; troverà la critica agli enti statali e parastatali; allora di importanti non vi erano che le ferrovie e I'INA; le banche erano libere, I'IRI non esisteva, I'ENI non era neppure sognabile. Oggi? se ne contano due mila. I1 mio atteggiamento di allora sulla riforma agraria e i patti agrari era lo stesso di quello di oggi; sul sindacalismo l o stesso;


contro il corporativismo di stato, lo stesso; sulla industrializzazione del paese, la questione meridionale, la libertà della scuola, l a regione, le autonomie degli enti locali, tutti identici allora come oggi, temi, orientamenti e polemiche. Solo sulla proporzionale ho cambiato nel 1950; il perchè è noto dai miei articoli. Veramente, a cambiare non sono stato io, che ho sostenuto la proporzionale in Italia e all'estero per più di trent'anni; l a situazione politica attuale e i nuovi metodi del quadripartito hanno reso pericolosa la proporzionale. Nel 1919 non esisteva un socialcomunismo così forte e minaccioso da potersi presentare all'elettorato nazionale come alternativa di governo; sarebbe bastato qualche milione di voti guadagnati dai cosiddetti utili idioti per dare l'Italia in mano a Mosca, facendone uno stato satellite. Se monarchici e missini, p u r a i margini della costituzione, non avessero cercato di guadagnare quei voti che in parte sarebbero andati a gruppi locali senza vedute politiche e perciò orientabili, di qua e d i là, verso i partiti maggiori, l'ipotesi della bilancia che cade dal lato sinistro non sarebbe stata, e non sarebbe neppure oggi, del tutto fuori luogo. La mia opposizione alla proporzionale è stata anche diretta al modo come viene attuata in Italia ( a differenza degli altri paesi), sì da rendere di5cili le maggioranze parlamentari e quelle amministrative nei comuni, nelle provincie e nelle regioni. Per dippiù, ho fortemente combattuto i l nostro sistema preferenziale che (ad eccezione del partito comunista) h a reso acuta e personalistica la lotta all'interno di tutti i partiti. Chi può rispondere alle mie osservazioni? Nel fatto, nessuno h a risposto; perchè i democratici moderni evitano le polemiche, si adontano delle critiche, non amano le discussioni; arrivano perfino a impedire gli interventi parlamentari che possano mettere in dubbio certe verità precostituite.

Secondo rimarco : Sturzo non tiene conto delle benemerenze del socialismo nè dei torti delle imprese verso la classe lavoratrice. Se si vorrà arrivare a una vera democrazia sociale, è ne-


cessaria l'intesa dei cattolici sociali o di sinistra con i socialisti. Non sono d'accordo neppure con queste affermazioni; le ho combattute da segretario del partito popolare; le combatto nel 1956. Mettiamo in chiaro alcuni punti: non negai nel 1922 l a possibilità di collaborazione politica del partito popolare con i l partito socialista, non lo nego oggi, purchè sia il partito socialista come allora, libero e autonomo. Nego che Nenni (nonostante la sua lettera a Rusconi), tanto se apertamente legato al comunismo, quanto se apparentemente distaccato, possa essere alleato della democrazia; farebbe cadere i l paese nel caos e porterebbe alla dittatura di sinistra. Nego ancora che possa esservi alcun vantaggio per le classi operaie, se l'Italia perdesse le attuali alleanze internazionali e le libertà politiche, anche quelle di oggi, sia pure infette di partitocrazia. Nego infine che il tentativo di una collaborazione di sinistra, anche se contenuta nel quadro formale della costituzione vigente, portando ad un oridntamento statalista ancora più marcato, possa far superare quella crisi economica che ne deriverebbe, rendendo fittizio e vano ogni beneficio che si proporrebbe per l a classe operaia. Sono queste verità evidenti per chi ha senso politico e conoscenze economiche sufficienti. I molti o pochi utili idioti, quelli in buona fede s'intende,, dovrebbero rendere esatta cònoscenza di quel che avviene nei paesi occidentali: Europa continentale, compresivi i paesi scandinavi ; Inghilterra e altri paesi anglosassoni ; Stati Uniti di America e paesi affini. Dovunque i l vecchio capitalismo dell'ottocento è i n netto declino; ma, per quanto si vada sviluppando l'intervento statale, quello reso necessario dalla guerra e quello rimasto in piedi dopo la guerra, il fulcro dell'economia generale è tuttora l'impresa privata con il più largo sviluppo azionario, con la partecipazione di interessi collaterali e con l'aperta tendenza di un'intesa di collaborazione fra impresa e mano d'opera. Le prospettive dell'automazione (non si ~ o t r e b b etrovare una parola italiana meno ostica?) per quanto possano preoccupare per il periodo di trasformazione ( è stato


sempre così), aprono un avvenire migliore basato sulla cooperazione dell'impresa con il lavoro. Questi esempi delle nazioni più progredite non interessano i nostri filo-nenniani, che vorrebbero attuare in Italia il primo esperimento socialista, come se non fosse bastato per l'Italia aver voluto fare, con alla testa un ex-socialista, il primo esperimento fascista. Difatti, non è esistito un governo basato SU principi socialisti e, secondo me, non esisterà mai; perchè il socialismo non potrebbe esistere in una economia tuttora libera senza perdere i suoi connotati; nè potrebbe divenire una dittatura senza accettare le basi politiche o del comunismo leninista o stalinista ovvero del fascismo sociale. I1 laburismo inglese non ha creato lo stato socialista. Si dice i n Inghilterra che Attlee fece quel tanto di socialismo che impedì d i farne il resto. I paesi scandinavi hanno anch'essi un mezzo socialismo che sta fra il laburismo borghese e l'interventismo statale con quell'adattamento gregario che è consono alla loro psicologia. I1 governo belga ( t r e quarti socialista e u n quarto liberale), non h a attuato e non potrà attuare i l socialismo economico-politico. I1 Belgio resta sempre monarchico e democratico, con un capitalismo assai sviluppato e un'economia floridissima. I socialisti al potere non sono stati abili ad assicurare alle miniere di carbone un buon sistema di sicurezza sociale. La Francia h a i suoi guai coloniali e non è disposta a socializzarsi; la Germania libera va verso una prosperità eccezionale; il socialismo non è u n i prospettiva per quel paese, che vanta oggi, sul piano della libertà economica, una ripresa che nessuno statista avrebbe potuto prevedere. L'Olanda? il Lussemburgo? la Svizzera? la stessa Austria? gli Stati Uniti? i l Canadà? ma dove vivono i nostri filo-socialisti laici e i cattolici di sinistra? Vadano pure a pregare Nenni che si distacchi dai comunisti e gli credano sulla parola; non è Nenni premio' Stalin? Ha forse egli buttato via questo titolo dopo l e rivelazioni di Krusciov? E non butterà via il legame con Togliatti e comunisti. 18 agosto 1956. (L'Eco di Bergamo, 22 agosto).


SALARI PREZZI CIP E PIANO VANONI Pare che le Acli per prime, le confederazioni operaie in seguito, pur di attuare il piano « Vanoni)), sarebbero disposte ad accettare il blocco dei salari, purchè ( a quanto dicono i socialisti, ai quali si riconosce la primogenitura sociale non solo di tempo) il detto piano non rechi vantaggi all'iniziativa privata. È vero che le imprese non statali occupano una buona parte della mano d'opera italiana, ma per le confederazioni socialiste e per i socialistoidi questo sarebbe un titolo di più per mandarle al diavolo. Acli e Cisl che ne pensano? Dovrebbero invece sostenere la tesi di promuovere buoni rapporti fra lavoro e impresa sulla base del piano « Vanoni D, per vedere d i trarne in concordia la maggiore utilità. Certo, per un qualsiasi piano di investimenti atto a ridurre il numero dei disoccupati (sarebbe questa la linea del piano ») occorre che, allo stesso tempo, si metta un fermo all'aumento dei salari e a quello dei prezzi. Per i primi occorre modificare i criteri della scala mobile, almeno per la parte di automatismo che gioca a fare rialzare i prezzi, e impegnare i sindacati a sospendere per lo stesso periodo le agitazioni per aumenti salariali; mentre per i prezzi occorrerebbe il non facile blocco al limite attuale, cercando di rivederli per le relative possibili diminuzioni. I1 piano « Vanoni sarebbe irrealizzabile senza il consenso e il concorso dei partiti e dei sindacati e senza un'azione pratica, da parte di tutti, atta ad evitare che continui il rialzo dei prezzi. Non sono solo gli aumenti salariali a fare rialzare i prezzi; l'incidenza di tali aumenti può riuscire immediata o dilazionata, notevole e minima secondo i casi. Anche altri elementi determinano il rialzo fra i quali in primo luogo l'azione non indifferente del primo impresario economico che è lo stato, sia come amministrazione centrale e periferica, sia come autore d i enti statali e parastatali all'infinito. Intanto, stanno sul tappeto le richieste di aumenti dei ferrovieri, degli insegnanti, dei magistrati; la lista continuerà. Si 305 20

- Srunzo . Politica di

queati anni.


metterà forse il blocco a tali richieste? Nessun giornale, nessuna agenzia ne ha ~ a r l a t o ;si deve ritenere che, a parte le difficoltà di bilancio, il governo cercherà dei compromessi che riescono sempre onerosi. E quale governo, passato presente o futuro, è così forte da fermare le ondate di aumento di stipendi? Se il problema dei prezzi, che incide fortemente sui salari e gli stipendi, non sarà risolto da questa parte, neppure sembra possa essere risolto nella attuale organizzazione dei mercati, basata sopra un intreccio strettissimo di interessi personali. L'intervento dovrebbe essere fatto con quell'abilità, antiveggenza, pazienza e longanimità, come se si trattasse di malattia incancrenita. Le grida, i colpi di decreti, le leggi campate in aria, porteranno maggiore confusione, e faranno imboscare merci e trafficanti, sì che dopo un certo tempo, pian pianino, e con l'aggiunta del mercato nero, tutto tornerà come prima e peggio d i prima. Sono d'accordo che i mercati generali sono male, anzi malissimo, organizzati, con incrostazioni di interessi illegittimi e con intrighi non facilmente individuabili. La proposta Cortese di dare voce in capitolo alle camere di commercio, alle quali manca la necessaria attrezzatura centrale e periferica, mi sembra che non possa portare dei miglioramenti; sarà un tentativo ovvero un diversivo senza importanza. Per strada si vedrà quanto costerà per nuovi impiegati e per non improbabile insuccesso. Non dico che non si debba far nulla anche nel settore organ i z z a t i ~ ~dico ; che non si improvvisa nè dal governo nè dai comuni. I n certi casi vale più l'uomo adatto e coraggioso, che abbia facoltà di riordinare, caso per caso, e non tutti egualmente, i mercati, rilevando in ognuno i punti che vanno corretti e le consorterie che vanno sciolte e, se del caso, denunciate. Le diminuzioni del prezzo del pane (sette provincie) e dello zucchero (in discussione), appartenendo a gestioni per le quali lo stato è in causa, non hanno significato reale. Le diminuzioni (limitate a piccoli ritocchi) potevano essere decise prima, potranno essere decise dopo: non si sollevano dal livello della piccola propaganda giornalistica. I1 CIP h a un compito molto serio, che supera la sua stmt-


tura legale e l a sua organizzazione amministrativa. I1 CIP: comitato interministeriale dei prezzi è, come tutti i comitati interministeriali, un organo non previsto dalla costituzione; se dal campo consultivo passa a quello deliberativo e vincolativo, risulta semplicemente incostituzionale. Non esiste e non potrebbe esistere legge-delega permanente applicabile al caso, perchè l a delega si dà a l governo, e non ai comitati interministeriali; per finalità precisate e non generiche; a tempo limitato e non in permanenza. Intanto si inviano al CIP - pareri o decisioni - perfino le tariffe ferroviarie, le tariffe postali, le tariffe di medicinali, di energia elettrica, di cementi, di fertilizzanti, e così via; non si manda al CIP l'esame dei prezzi del metano, perchè 1'ENI e le societ-à collegate dipendono da un altro comitato interministeriale che è privo di poteri di diritto e di fatto. I1 CIP, organo a carattere politico, non ha possibilità di coordinare i l suo intervento nei vari settori dell'economia produttiva e riesce un elemento di disturbo nell'attività del paese. 11 lettore resterà forse perplesso a questi miei apprezzamenti, abituato come è, in materia di prezzi, a vedere la bacchetta magica del potere di imperio, sia del comune, sia del prefetto, sia del comitato prezzi. Naturalmente, nessuno crede alla concorrenza, perchè in Italia, per colpa di tutti, l a concorrenza non esiste più. Dal fascismo in poi si è andato sviluppando l a mentalità del prezzo di stato, del prezzo corporativo, del prezzo concordato fra gli interessati, del prezzo imposto dall'impresa o dalla cricca più forte, del prezzo garantito con le muraglie doganali, del prezzo fissato da enti parastatali, del prezzo voluto dalle categorie. Perfino la vendita a sottocosto della merce deperibile è resa impossibile, preferendosi buttarla via per non consentire alcun ribasso. Le autorità non stabiliscono limiti insuperabili ma prezzi fissi senza lasciare margine alla concorrenza. Terzo ostacolo: il bilancio dello stato. Nonostante la buona volontà del ministro Zoli a diminuire il deficit del futuro esercizio di 90 miliardi, la situazione del bilancio continuerà ad essere non solo gravemente deficitaria ma anche poco o niente flessibile. Le spese necessarie (comprese le spese che non si ha


i l coraggio di tagliare con una scure più efficiente della scure Pella) vanno i n aumento assai più che non le maggiori entrate con l e quali farvi fronte, (maggiori entrate che gravano sui costi d i produzione); mentre l e spese dette produttive, destinate bene o male a combattere la disoccupazione con metodi più utili che non i soliti cantieri, non potranno trovare un effettivo aumento. Pertanto, fin da ora si f a appello al risparmio privato, agli investimenti e prestiti esteri, proprio a quel capitale, che per divenire effettivo esige una netta chiarificazione politica contro l'apertura a sinistra e a favore dell'iniziativa privata. Sentiremo prossimamente quel che succederà nel congresso della D.C., v e 1 che diranno e faranno i partiti di governo, quale sarà l'esito dei contatti Saragat-Nenni e, d i rimbalzo, quale sarà l'atteggiamento delle confederazioni dei lavoratori e dei datori di lavoro. Dopo di che vedremo che cosa resterà del piano « Vanoni ; sarà solo uno slogan vuoto di senso? o sarà l'etichetta per quattro anni (con l e proroghe di regola) del normale impiego del risparmio privato e delle cifre più o meno reali di bilancio, destinato all'assorbimento parziale e progressivo della mano d'opera disoccupata, proprio quanto è avvenuto negli anni decorsi senza alcuna etichetta politica? Da parte mia auguro che si attui subito il programma di nuove scuole professionali, evitando di buttar via danaro in quei cantieri di lavoro, nei quali non si lavora nè si produce, e mi dicono che siano l a maggior parte. Noi abbiamo bisogno di mano d'opera qualificata e specializzata. I provvedimenti già iniziati dal ministero dell'istruzione con mezzi limitati, dovranno portarsi avanti con slancio e con mezzi adeguati. I vantaggi saranno notevolissimi, anche se, come sembra probabile, i salari non saranno bloccati ; i prezzi non subiranno diminuzioni ; il bilancio statale non diminuirà il deficit; gl'impieghi produttivi statali non aumenteranno; i partiti e sindacati, Acli comprese, continueranno a parlare pro e contro l'apertura a sinistra e l'avvento di Nenni al potere, come di cosa seria. 26 agosto 1956.

(Il Giornale d'Italia, 29 agosto).


COSTI E SPERPERI Al mio articolo « Salari prezzi CIP e piano Vanoni a distanza di due giorni, h a fatto seguito l'intervista del sen. Medici, ministro del tesoro. I1 che mi h a fatto piacere, sia per quel che egli ha detto, sia per il tono, certamente diverso dal mio tanto per l'indole dell'uomo che per il posto che occupa. Per cercare una linea di incontro, che potrebbe portare qua a certa convergenza, là a minore divergenza, riprendo il tema sulla traccia dell'intervista, cominciando dal credito, da me intenzionalmente omesso perchè mi proponevo di scriverne a parte, data la lunghezza d'obbligo degli articoli d i fondo. Mia prima osservazione: il credito di esercizio all'agricoltura, all'industria, al commercio è veramente oneroso; fino a che non si affronta questo punto, non si potrà parlare n è di diminuzione dei prezzi interni nè di concorrenza con i prezzi esteri, come auspica il ministro interpretando il pensiero di tutti. Non c'è paese (fra quelli dell'occidente democratico) che faccia costare il denaro quanto le nostre banche statizzate, irizzate o autonome di diritto pubblico; le banche private rappresentano una insignificante percentuale ai margini dei grandi istituti. I1 cartello dei tassi, prima imposto di autorità, poi sollecitato dalla vigilanza, non è riuscito altro che a creare una specie di monopolio o fronte unico di alti costi. È vero che in varie maniere si scantona anche dal cartello : è lo stile italiano ; ma il costo del denaro mutuato, salvo lodevoli eccezioni, è rimasto sempre elevato. Nel complesso, il cliente arriva a pagare il 9 per cento, e anche il 10 e anche il 12. I vari miei articoli con i quali più volte, nel passato, ho denunziato i mali del nostro sistema bancario, fra i quali la mania di aprire sportelli a costi non redditizi, non mi procurarono altro che attacchi dai sindacati relativi, senza ottenere dal governo o dalla vigilanza provvedimenti adeguati. Sono stati seguiti due sistemi: da una parte intervenendo con il contri-


buto statale di interessi nei settori di impianti industriali, credito agrario e artigiano, acquisti di macchine e simili, che pur arrecando allettamenti creano una disparità di costi che scoraggia l'iniziativa non sussidiata; dall'altra parte, creando enti creditizi, con elevati costi di servizi in rapporto al giro d i affari. Più che interventi particolari e parziali, gioverebbe una revisione del sistema bancario, aggiornato ai bisogni attuali, con la finalità di diminuire il costo del denaro e di renderlo più responsabile. A questo scopo eliminerei senz'altro l a garanzia dello stato e inviterei le regioni a fare altrettanto.

I1 ministro Medici sembra fiducioso della coesistenza dell'economia statizzata e dell'economia privata, e afferma che i settori dell'agricoltura, del commercio, dell'artigianato e della piccola e media industria sono nella sfera dell'iniziativa privata. Ho notato la sua frase: « Vi è posto e gloria per tutti ». È proprio quello che io contesto: fino a che lo stato interviene nel settore economico alterandone gli sviluppi e i costi, favorendo gli uni e danneggiando gli altri, non ci potrà essere sicurezza dell'avvenire, coraggio nelle iniziative, fiducia nel correre i rischi. È bastato i l ripetuto annunzio della riforma agraria generale, che da otto anni non arriva al concreto, e quella dei patti agrari, che sono in panne da otto anni, per avere prodotto una notevole diminuzione delle iniziative private e u n aumento di disoccupazione della relativa mano d'opera non qualificata, specialmente nel mezzogiorno e nelle isole. È vero che gli enti di riforma hanno fatto lavorare più del normale ma è anche vero che quel lavoro è stato in località determinate, e i costi di quei lavori sono per lo meno raddoppiati; l a riforma stralcio che doveva costare in media trecento mila lire all'ettaro costerà più d i u n milione. L'iniziativa privata, in questo campo, fra il pericolo di nuovi scorpori, la possibilità di vincolismi legali nei patti e in certi settori per le difficoltà di credito, finirà con guardare il sole che nasce e il sole che tramonta.


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La piccola e media industria, alla quale occorre dare l a importanza che merita, non può vincere la concorrenza di mercato interno se questo è tenuto dalla grande industria. I1 CIP d'altro lato ( i l ministro Medici è pregato di occuparsi del CIP nella sua veste di professore) non può non mettere sullo stesso livello i piccoli e i grandi, il centro e la provincia, il nord e il sud; purtroppo, i prezzi unici d'impiego sono sempre i n un livello superiore alla media dei costi. I1 CIP non può commisurarli altrimenti che ai costi delle imprese marginali. Ma non è questo solo che intristisce la piccola e media industria : sono le industrie statizzate, irizzate, enizzate che oramai invadono i campi più impensati e buttano merce sul mercato, fanno da calmieri o giocano al rialzo; senza preoccuparsi dei costi: C' è chi paga. Queste industrie trovano credito per l e loro spese più azzardate, e denaro per i loro deficit incontrollati. Per aiutare l e piccole e medie industrie presi l'iniziativa di una legge, la 135, che fra l'altro consente per cinque anni ai tre banchi meridionali la destinazione di certe somme per il credito su scorte a medio termine. L'applicazione è stata promettente i n Sicilia e nel mezzogiorno continentale. Ma tale disposizione di legge, approvata a stento, passò perchè fatta per cinque anni a titolo di esperimento e con somme limitate. Non sono mancate opposizioni ufficiali per estenderla in campo nazionale. I1 ministro del tesoro è pregato di assumere informazioni in merito. I n sostanza: le piccole e medie industrie stentano ad avere credito cii esercizio e pagano alti interessi (tranne per i prestiti della legge 135); mentre la grande industria trova per la gestione su5ciente credito e a tassi meno onerosi; le industrie statali e parastatali hanno denaro ad ogni richesta, spesso con la garanzia dello stato, che non poche volte ne colma i deficit chiudendo un occhio e anche due, come è successo con il poligrafico e come sta succedendo con la GRA, dopo che da sei anni se ne discute la liquidazione. -

La storia del poligrafico (oggi sotto regime commissariale) e quella della GRA mi dànno il punto di partenza per richiamar-


mi a un PO' di austerity non solo da parte dei privati, come ha fatto opportunamente il ministro Medici nella sua intervista, sottolineando l a necessità d i distinguere fra consumi e consumi, fra spese e spese; ma per applicare l'austerity anche alle spese di stato e degli enti che ne dipendono. Prego pertanto lo stesso ministro, come membro del comitato interministeriale ENI, a far fare una assai facile indagine sui costi dei distributori AGIP, disseminati nelle città, nei borghi, per le strade, da nord a sud e da est a ovest. Quanti saranno? di questi, quanti sono quelli che hanno un'aria monumentale che fa sorridere molti viaggiatori che si domandano quanto denaro sia stato immobilizzato in pietra improduttiva? C'è chi mi dice trattarsi di qualche miliardo; altri fa i l conto di due miliardi; più prudente chi porta l'eccesso della spesa a sei settecento milioni, aggiungendo che si tratta d i reclame. Non basta, forse, all'AGIP e satelliti quel miliardo o miliardo e mezzo che spende ogni anno per reclame giornalistica, distributori di foglietti volanti nelle stazioni, articoli, pubblicazione di riviste e rivistine nazionali e locali? Vi è proprio necessità di tanta reclame perchè 1'AGIP e le altre società ENI vendano i loro prodotti? L'ENI, attraverso una serie di enti ben noti e di enti poco noti, ha i l monopolio di fatto di certi prodotti e il quasi monopolio di altri; dispone dei prezzi del metano; potrebbe anche favorire l'amico e mettere knock-out l'avversario; è certo il padrone del mercato proprio e dei propri cointeressati; a quale scopo, allora, così costosa reclame? Onorevole ministro, facciamo economie in casa propria e potremo farla fare anche ai cittadini; ma se si va col metro della GRA, e dell'AGIP, l a predica delle economie non convince nessuno. Non si tratta solo d i queste due mie vecchie conoscenze, fra le quali potrei mettere i consorzi agrari per acquisti di grano all'estero e per l e gestioni « ammassi », I'ENDIMEA e altri simili. Sono molte l e gestioni deficitarie, quelle messe in bilancio (tipo ferrovie) e quelle tenute fuori bilancio (tipo acquisti all'estero); queste e altre e gli enti parastatali portano via i miliardi a centinaia, senza dire mai basta. E dove mettiamo I'ENAM? e la FINMARE, i cui deficit sono o saranno pagati da Pantalone? Facciamo bene i conti, e secondiamo l'amico Zoli

i


a ridurre il deficit preventivo del 1957-58, col proposito di non

consentire durante l'anno a troppe frequenti e grosse variazioni d i bilancio che rendono inefficaci anche, agli effetti del bilancio, gli stati di previsione, e ci portano a subire le sorprese della chiusura dell'esercizio 1955-56. I1 mio pessimismo sull'intervento statale a d extra potrà diminuire solo in proporzione dell'efficace e fermo intervento statale a d intra. Così avrò il piacere di incontrarmi a mezza strada e amichevolmente col signore ottimismo governativo, che non sarebbe l'ombra delle buone intenzioni, ma il corpo vivo dei fatti concreti. 2 settembre 1956.

( I l Giornale d'Italia, 5 settembre).

SOCIALISMO UNIFICATO =COMUNISMO I1 partito socialista democratico italiano (PSDI), nel comunicato del 5 corrente mese, dichiara che: « l a piattaforma sulla quale potrà realizzarsi l'unità socialista deve anzitutto contenere un'integrale accettazione della democrazia come valore permanente, assieme all'accettazione del carattere classista del partito D. I1 partito socialista italiano (PSI), nel contemporaneo comunicato ritiene che « l'interesse e le aspettative, che gli sviluppi della politica di unità socialista hanno suscitato, confermano che la formazione di un partito socialista classista, che persegua per via democratica la realizzazione del socialismo in Italia, rappresenta un fattore fondamentale per nuovi progressi di tutto il movimento operaio e per un rinnovamento della società e dello stato ». I1 compagno Commin, rappresentante dell'intemazionale socialista, nel lasciare Roma, ha voluto giùstificare, o meglio, mettere in evidenza l'azione del partito socialista francese in difesa della politica nazionale ( e quindi coloniale) del suo paese, ed ha aggiunto: Nota bene! preferisco parlare di socialismo senza


aggiungere l'aggettivo democratico, perchè credo ~rofondamente quanto insegnava il compagno Bracke, e cioè che esiste un solo socialismo, quello democratico e che la via dell'antidemocrazia non è la via del. socialismo n. Sorel non la pensava così; ma Sorel è morto e non fa testo. Non fanno testo Marx, Engels e gli altri fondatori tedeschi; neppure quelli italiani, che fino alla marcia su Roma si tennero lontani dal governo per la pregiudiziale anti-borghese. Costoro non fanno testo. I1 PSDI è più prudente e più realista di Commin; non afferma che i l socialismo sia per sè democrazia. I1 PSDI accetta integralmente la democrazia e afferma allo stesso tempo i l carattere classista del partito. I1 PSI invece è più preciso; dà in prima linea al futuro socialismo unificato la qualifica di classista e ammette che la realizzazione di tale socialismo in Italia avvenga per via democratica per « la rinnovazione della società e dello stato D. I n sostanza tre punti di vista assai distanti: Commin: identificazione di socialismo e democrazia, senza accenni al classismo ; Saragat : dualità coesistente nel socialismo : democrazia e classismo ; Nenni : essenzialità del classismo ; la democrazia quale metodo per la realizzazione del socialismo e conseguente rinnovazione della s0ciet.à e dello stato.

È pertanto assodato, per le concordi dichiarazioni del PSDI

e del PSI, che il socialismo unificato sarà un partito classista. Che cosa esattamente significhi oggi il classismo è difficile saperlo dai socialisti, i quali, pur presentandosi come i titolari storici della difesa delle classi lavoratrici, non possono limitare l a loro azione a l campo sindacale. La difesa politica di una classe o di varie categorie d i lavoratori, non è la difesa del consumatore, non è l a difesa dell a società, non è la difesa dello stato. Consumatori, società, stato siamo tutti; ma il socialismo


classista crea una disparità fra le classi reputate abbienti e agiate e le proletarie. I1 classismo spezza la società, e quindi lo stato, in due: gli eletti e i reprobi: i primi, classe di dominio, gli altri, classe dei vinti: dittatura del proletariato, comunismo. Se poi i socialisti intendono includere nel loro classismo tutti gli aderenti, anche borghesi, al loro partito, compresi s'intende i Saragat e i Nenni, borghesi di origine, di abitudini, di cultura e di agiatezza (Nenni tre anni fa ebbe i 18 milioni del premio Stalin che ben investiti oggi rappresentano una discreta fortuna) essi escluderebbero di certo l e destre e quella parte di centro, liberali e ala centrista della D.C., che non sarebbero classisti: dittatura d i partito, tipo fascista e nazista. Nell'uno e nell'altro caso, non vedo come potrebbero essere esclusi i comunisti dal socialismo unificato, tranne che per vantaggio elettorale a tipo proporzionale. I comunisti si credono, per definizione, lavoratori, e quindi, appartenenti alla classe che il socialismo, nel suo valore classista, intende rappresentare, nonostante che il comunismo accolga sotto le sue grandi ali fior di borghesi. Al fondo del socialismo classista vi è la concezione della lotta di classe, che unisce socialisti e comunisti, non solo come metodo ma come ragion d'essere fino all'avvento del regime socialista. Ha mai Nenni negata la lotta di classe? e l'ha negata forse l'on. Saragat? Ora Nenni nega la rivoluzione, per l'Italia. Ma che bisogno c'è di rivoluzioni? Basta accettare l a democrazia, Saragat per convinzione, Nenni per metodo di rinnovazione sociale e politica (società e stato). Si tratta di una operazione che è i n corso fin dal 1944: travasare la lotta di classe nel metodo democratico, fino a che si arrivi alla società e allo stato socialista. Questa operazione fu chiara ed aperta durante il tripartito col pieno accordo di socialisti e comunisti; dopo l'uscita dei due dalla coalizione governativa, nel maggio 1947, si ebbe una pausa. Dal 18 aprile 1948 in poi, l'atteggiamento dei partiti di coalizione, sia della D.C. che dei socialisti di Saragat d'accordo con i repubblicani, portò allo sbancamento dei liberali,


poi ne uscirono gli stessi saragattiani, rimanendo l a vedetta repubblicana e così di seguito, consentendo alla sinistra socialcomunista il vantaggio di avversare l e riforme sociali del governo e d i farsene belli presso le masse, come di vittorie, sia pure mezze vittorie, della loro presenza nel parlamento democratico. I1 metodo dell'inserimento era già in atto. Quando la D.C., con le elezioni del 1953, perdette il controllo della maggioranza, Saragat ripiegò sull'apertura a sinistra, che da tre anni fa le spese della vera democrazia a vantaggio del classismo socialista. I1 parlamento sforna leggi su leggi di categoria più o meno a tipo classista. È vero che l a sinistra democratica cristiana, per salvare l a faccia, afferma che il classismo non esiste p i ù ; parecchi dell'azione cattolica sono dello stesso parere; ma ciò serve solo a negare alla D.C. l a qualifica di partito interclassista (classifica che non disdegnò i l laburista Attlee). Così anche la D.C. è orientata verso l'unificazione socialista nella strada percorsa fino alla venuta del pronubo francese. I1 più soddisfatto di quanto succede dovrebbe essere Togliatti, e credo che lo sia; non lo dice, non lo deve dire: l'azione di Saragat (Nenni gran commediante è connivente con Togliatti) andrà tutta a vantaggio del comunismo, che raccoglierà la pera del socialismo unitario, anche prima che arrivi alla piena maturazione. Meglio ancora per i comunisti, se resta per u n anno allo stato di trattative e di piccoli passi in avanti e qualche passo indietro; c'è da guadagnare dal lato psicologico, per lo sfaldamento in provincia del partito di Saragat prima ancora della fusione ( o assorbimento) nel partito di Nenni. -

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I termini politici posti in chiaro dagli atteggiamenti dei due partiti sono i seguenti: Nenni vuole arrivare a costituire col partito socialista unificato l'alternativa di governo. Ciò potrà ottenersi dopo l'esito delle elezioni politiche; nelle more della unificazione e in attesa delle elezioni, è stata concordata u la consultazione permanente n fra le segreterie dei due partiti u anche per i problemi di carattere parlamentare n.


Era stato già affermato da Nenni che durante la re-unificazione, il partito di Saragat al governo, sia per i progetti futuri sia per la revisione delle leggi già fatte o in corso di approvazione, avrebbe orientato l a sua azione alle idee e al metodo del PSI. Queste affermazioni introducono surrettiziamente nel gioco parlamentare i l partito socialista, anche se rimane legato, come di fatto è, al partito comunista. È vero che di operazioni simili, caso per caso, e con l'adesione di parte della D.C. e dello stesso governo, e non da ora, ne sono capitate alla camera e anche al senato; ma u n impegno u5ciale fra un partito di governo e u n partito di opposizione, rende la situazione antidemocratica, sottoponendo i partiti di governo ad u n permanente ricatto e al di fuori della stessa finalità del quadripartito. La posizione governativa potrebbe essere assomigliata ( i n u n paese dove esiste il divorzio) a quella di una 'famiglia che, p u r essendo d'accordo a continuare a stare sotto lo stesso tetto, consenta a che uno dei coniugi inizi una relazione extra di buona amicizia, di frequenti convegni, e così via; in attesa che giunga il tempo legale per procedere alla formalità del divorzio. Che se questo non arriva, la convivenza domestica rimane ancora, con tutti i pericoli e i pasticci del caso. La D.C. in tali condizioni, non potrà fare una campagna elettorale presentandosi come l a salvatrice del paese, da u n futuro assai difficile per la religione se si farà il fronte laico; per la nazione se si rovescerà la politica internazionale; per l'economia se si arriverà al più marcato statalismo. Che cosa è il socialismo? è classismo, è demagogia, è inflazione, è espoliazione. Le buone intenzioni, come quella di Saragat, non contano; le facili speranze del quadripartito non contano; le contraddittorie dichiarazioni di Nenni, costituzionalista quanto Togliatti, non contano; gli stadi intermedi pre e post-unificazione non contano. La sostanza è una sola: socialismo unificato uguale comunismo. Marx fa testo. 9 settembre 1956.

( I l Giornale d'ltalia, 13 settembre).

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95.

CON I CORIUNISTI E CONTRO LA D.C.

A coloro che non vogliono capire e invitano gli avversari a documentarsi circa l'unificazione socialista soccorre Nenni stesso con chiarezza cristallina. Nell'intervista concessa a Epoca ( 2 settembre), ( i periodi messi tra virgolette sono testuali) Nenni afferma: « Ho detto tante volte che noi non abbiamo niente da rompere col P C I ; che i l patto di unità d'azione come tale è un bel documento storico del movimento operaio in Italia; che i nostri rapporti attuali e futuri con i comunisti nascono dal nuovo clima d i distensione interna e internazionale, essi cioè derivano dalle nostre rispettive posizioni rispetto a problemi posti dalla loro politica e dalla necessità di migliorare le condizioni delle classi lavoratrici. Ci possono essere coi comunisti convergenze e anche divergenze, come infatti ce ne sono, nel valutare determinate situazioni e nel suggerirne l e relative soluzioni. Ma, anche se la prospettiva dell'unificazione sembra aver sollevato qualche allarme fra i comunisti, non saprei oggi vedere su quale terreno si potrebbe produrre una frattura, almeno finchè noi saremo guidati dalla coscienza della nostra responsabilità verso tutti i lavoratori del nostro paese D. È chiaro: niente rottura del patto, rottura clamorosa per ideologie contrastanti, per sistemi opposti quali democrazia e dittatura; ma contatti normali in clima distensivo quale è oggi in tutto il mondo (felici noi) e (ce lo garantisce Nenni) quale si svilupperà in seguito. Quindi, per quanto egli affermi una certa autonomia del suo partito in confronto a quello comunista, ammette la continuazione del sistema attuale che egli presenta quale quello di buon vicinato fra partiti amici, ritenendo il patto di unione solo un bel documento storico. Dati gli accordi fra i due: PSDI e PSI, per consultazioni anche in sede parlamentare, si è iniziata la politica di intesa ed orientamenti convergenti. Si va così formando i l triplice


anello: PSDI si consulterà con PSI; PSI si consulterà con PCI: tutti liberi di fare quel che credono, ma tutti intesi a trovare un terreno comune: quello della difesa proletaria: difesa dal governo, difesa dai reazionari, (mai difesa dal comunismo), perchè secondo i socialisti e secondo i comunisti, essi soli sono i veri, coscienti difensori del lavoratore. Pietro Nenni continua nella sua intervista: « U n a cosa che pure ho detto tante volte è che i rapporti tra il nostro partito e quello comunista sono destinati ad assumere un carattere molto rigido nei confronti di governi e di posizioni reazionarie, contro cui occorre fare il quadrato delle forze operaie, ma gli stessi rapporti riacquisterebbero immediatamente duttilità ed elasticità non appena si determinasse una situazione distensiva e di effettiva vita democratica. In ogni caso, la questione dei rapporti coi comunisti deve essere lasciata al libero apprezzamento di ciascun partito socialista, essendo evidente che tale questione non si pone negli stessi termini, diciamo, ad esempio, in Inghilterra e in Italia D. A me piacciono le persone franche e chiare; Nenni non sempre è chiaro, questa volta lo è : non impicciatevi dei nostri rapporti con i comunisti: ognuno faccia quel che crede. Se .la unificazione importa un'unica direzione e azione, ebbene, ecco la regola: quadrato delle forze operaie (con i comunisti) per chi ci combatte; tolleranza per chi ci lascia fare. Non basta; Nenni vuol mettere in salvo anche il caso di una insurrezione o rivoluzione, o, come egli dice, l'« uscita del proletariato dal terreno della democrazia ». Ecco le sue parole: « Noi non abbiamo mai abbandonato il principio che l a democrazia, libertà e socialismo fanno tutt'uno. Negli avvenimenti degli ultimi tempi, e anche nella crisi scoppiata in U.R.S.S. per la destalinizzazione, abbiamo trovato la conferma del principio che fu sostanzialmente sempre il nostro: se circostanze storiche eccezionali possono imporre a l proletariato d i uscire dal terreno della democrazia, almeno formalmente, ciò trova giustificazione soltanto se esiste la ferma decisione nei partiti operai di rientrare immediatamente, dopo l'atto rivoluzionario, nelle regole &lla democrazia e della libertà, senza le quali tutto si corrompe e volge in sistema burocratico e poli-


ziesco, cioè in forme di vera tirannia. Questa necessità di opposizione rivoluzionaria in Italia l'aveva creata i l fascismo, ma oggi nulla ci fa prevedere che la via del socialismo sia quella dell'insurrezione e della guerra civile 1). La parte più ingenua di questa dichiarazione è quella del ritorno immediato, dopo l'atto rivoluzionario, nelle regole della democrazia e della libertà. Trovi Nenni, nella storia, una sola rivoluzione che abbia avuto, a volontà dei capi, u n siffatto sbocco immediato e quasi idilliaco. Crede egli di avere in mano una bacchetta magica? o non pensa che gli estremisti di tutti i colori saranno sempre i primi a profittare delle insurrezioni e a tagliar la testa ai contraddittori? Forse egli crede d i adottare con l a rivoluzione la politichetta del caso per caso e delle intese fra i partiti? Nenni non è così sciocco; egli, che per dieci anni è stato succube di Togliatti ed h a meritato il premio Stalin, parla oggi della democrazia e libertà che fanno tutt'uno col socialismo, per rifarsi una verginità di fronte al pubblico alla vigilia del suo sperato avvento al potere.

L'ipotesi di un'insurrezione proletaria va legata all'ipotesi che Nenni fa sull'alternativa dei partiti al potere, come è uso in Inghilterra e in America, paesi a democrazia stabile. Nenni esclude una coalizione con la D.C. dove dichiara: « Quando noi parliamo di unificazione socialista, abbiamo la prospettiva non già di lasciarci irretire dalla decrepita m a g gioranza centrista, ma di sostituire ad essa una formula e una forza nuove, capaci di affrontare e di risolvere i problemi dello stato e della società italiana ».L'alternativa di governo sarebbe per Nenni fra « socialisti » da una parte e u cattolici (perchè cattolici e non clemocristiani?) dall'altra. Con tale prospettiva l a lotta elettorale è già impostata. Nenni, cioè il socialismo unificato, non farà l a lotta ai comunisti, l a farà a i democratici cristiani. Se questi, non ottenendo con la proporzionale attuale la maggioranza assoluta, faranno un governo con liberali e monarchici, Nenni avrà il pretesto di pre-


gare i comunisti di fare insieme il quadrato delle forze operaie perchè a priori si tratterebbe « di governi e posizioni reazionari D. Poi verranno le circostanze storiche eccezionali; allora il proletariato (anche i comunisti appartengono al proletariato) uscirà dal terreno della democrazia. Se poi l a vittoria sarà della coalizione socialista e per avere la maggioranza occorreranno i voti dei comunisti, Nenni, dato il caso di emergenza, procederà alla inserzione dei comunisti nel governo. Addio democrazia ; addio libertà : quelle proprio che per Nenni fanno tutt'uno con il socialismo. Con queste prospettive non capisco come l'articolista de La Giustizia abbia affermato che socialismo unificato sia eguale a libertà. Se i socialisti dopo essere stati al potere perdono le successive elezioni, come i laburisti nel 1950, crede Saragat, crede Nenni, che verrà imitata la lealtà alla costituzione e al regime rappresentativo parlamentare di Attlee, il quale lasciò sereno il posto di primo ministro al suo avversario, Winston Churchill? Non sarà anche quella una circostanza storica eccezionale, molto propizia per chi ha in mano tutto il potere?

Che il bersaglio ultimo del socialismo unificato siano i democristiani è naturale. Nenni condanna il governo d.c., i l quadripartito, e l e correnti che vi fanno capo, e spera che l'ala sinistra d.c. prevalga, ovvero, distaccandosi, formi anch'essa u n partitino ausiliario del socialismo unificato. Egli tende a che sia la D.C. a fare l e spese delle prossime elezioni. Cominciano gli aperturisti a vedere la realtà politica che si va sviluppando in Italia? Vorranno essi aumentare la schiera degli utili idioti? La lotta contro la D.C. in Italia fa parte di un piano che ci rivela Pierre Commin, il segretario della SFIO e incaricato dal COMISCO a trattare l'unificazione del socialismo italiano. I n una intervista data da questo illustre signore a p.v. de Il Punto (8 settembre) si legge : <C Ma anche l'internazionale ubbidisce a u n interesse politico immediato, che è quello di potenziare una politica costmttiva in Europa, la quale si attua più di5cilmente senza u n forte 321 21

- Srcnzo -

Politica d i queeti

atrtir.


partito socialista in Italia. La classe operaia ha provato finora un senso di di5denza verso la politica d'integrazione europea perchè h a avuto il sospetto che i movimenti democratici cristiani la promuovessero per finalità estranee a d una politica d i progresso economico e di giustizia sociale. È la stessa influenza ancora esercitata dalla democrazia cristiana in Europa che fa nascere questo sospetto. Un nuovo corso della politica socialista in Italia, il probabile progresso dei nostri compagni tedeschi nelle elezioni politiche dell'anno prossimo, potrebbero invece capovolgere questa situazione aprendo possibilità finora inesistenti di far partecipare le masse lavoratrici alla costruzione dell'Europa. Nello stesso mio partito, l'argomento decisivo degli avversari dell'unità europea è sempre stato che 1'Europa unita sarebbe stata un'Europa vaticana 1). Chiaro: togliere in Italia e in Germania il potere ai democristiani, perchè i molti ingenui delle masse francesi, avendo visto dietro un'Europa unificata l'ombra del Vaticano, si sono rifiutati a d approvarla, col bel guadagno che ci han fatto la Francia e gli altri paesi liberi dell'Europa. Tutto ciò è falso, è un pretesto di Commin; ben altre le ragioni dei francesi, non mai una politica vaticana fatta attraverso la D.C. di Bonn e di Roma. Preoccupazioni antitedesche, politica di bilico fra Mosca e Washington, intrighi interni ne sono stati i motivi. Si tratta di un fondo nazionalista che vive ancora in Francia più accentuato che non sia negli altri paesi europei. Non si è ancora superato lo stadio di isolamento nazionale e non si riesce a ben concepire l'Europa non solo dai partiti borghesi, ma dagli stessi socialisti, che a parole sono internazionalisti, pacifisti (all'antica), antinazionalisti, e credono anche all'unificazione universale della classe operaia (la cui solidarietà lascia molto a desiderare e non solo in Inghilterra). Chi non ricorda, nel campo d i politica nazionale, i socialisti tedeschi del 1914 uniti a Guglielmo I1 nell'aggressione alla Francia? E i socialisti francesi uniti nella politica d i Clemenceau per In resa a discrezione dei tedeschi? Questi untorelli della politica internazionale socialista non sanno fare altro che ripetere il passato, circa lo spettro del clelicalismo politico a servizio del Vaticano contro le masse proletarie dell'ovest e del-


l'est Europa, per giustificare il loro filo-comunismo e il monopolio di un preteso fronte delle forze operaie.

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P.S. I1 discorso di Nenni a Milano conferma non solo il presente articolo ma tutta la mia campagna contro l'equivoco di una unificazione socialista che presuppone il mantenimento dei legami con il comunismo, e che prepara il fronte 1aico.anticlericale. Settembre 1956.

( I l Giornale d'Italia, 19 settembre).

L'UNIFICAZIONE SOCIALISTA I SINDACATI E LA

D.C.

Se il problema della rottura del patto social-comunista è messo in sordina dalle due parti, nenniani e saragattiani, il connesso problema sindacale, con la proposta di una riunificazione al di fuori dei partiti, non ha incontrato favore presso le stesse confederazioni operaie. E mentre i comunisti, attraverso una tattica equivoca, sono arrivati a comprendere che dall'unificazione socialista si può trarre un notevole vantaggio per la politica di Mosca, i democristiani, nel preparare il congresso di Trento, manifestano una strana incomprensione del pericolo di sinistra cui vanno incontro. Bisogna ritornare 'al punto centrale, quello che Nenni definisce quadrato delle forze operaie a disposizione del futuro partito unificato. Anche nel campo sindacale e pre-sindacale si dovrebbe formare un bel quadrato di comunisti e socialisti della CGIL; cattolici della CISL e delle ACLI; socialisti e repubblicani della stessa CISL e della UIL. Pertanto il problema politico della unificazione socialista imporrebbe un'intesa politica con le forze operaie organizzate. Si dice che l e confederazioni, specialmente l'on. Pastore, escludano un legame politico dei sindacati con i partiti; il che sarebbe lo stesso che nascondersi dietro un dito. Oggi in Italia ( e non solo in Italia) il legame politico delle forze operaie esiste; piÚ o meno dichiarato, piÚ o meno osservato, ma esiste. La unificazione tripartitica delle confederazioni fu fatta sotto


l'insegna politica del triumvirato: Di Vittorio (comunista), Grandi (democristiano), Lizzadri (socialista). Con l'uscita della sinistra dal governo sorse la CISL a tipo libero, con maggioranza democristiana. Dopo la scissione dei socialisti saragattiani dal corpo del partito, fu costituita 1'UIL e ne seguì le sorti; ultima la CISNAL di marca missina. Chi può negare il colore politico dei sindacati? Dall'altro lato, i partiti italiani subiscono le pressioni sindacali e accettano la difesa degl'interessi d i categoria; e le confederazioni, pur avversarie fra di loro, trovano comodo intendersi sul piano tattico per mettere knock-out i datori di lavoro, e quindi il governo in qualità privatistica nel delicato campo del pubblico impiego; e per giunta, i capi sindacali in parlamento sono spesso d'accordo anche se i partiti non lo sono. Così, se non si arriva al quadrato delle forze operaie con i comunisti, a tipo nenniano, si arriva al triangolo delle confederazioni con i comunisti a tipo quadripartitico. Ciò posto, sarà possibile fare l'unificazione socialista mettendo fuori rango i comunisti, per dare prova in politica interna e in politica internazionale della rottura del patto socialcomunista? La logica vorrebbe così; il paese si è pronunziato così; la maggioranza della D.C. aspetta questo evento. Se così fosse, i socialisti della CGIL dovrebbero uscire da u n connubio politico-sindacale che fa capo alla federazione mondiale sindacale ( l a comunista, con sede temporanea a Praga) e legarsi invece alla confederazione internazionale sindacati liberi (la socialista, con sede a Bruxelles); e così formare il fronte democratico con i sindacati americani (che non si dicono socialisti), quelli inglesi (che si chiamano laburisti), con le confederazioni socialiste francesi, belghe, olandesi, e altre minori, con la CISL e la UIL che non si chiamano socialiste ma libere. La confederazione di Bruxelles sarebbe la più adatta, rappresentando essa, nel campo internazionale, le forze operaie democratiche organizzate. Se fosse vera la conversione di Nenni alla democrazia e alla libertà, come egli dice, e ripete e giura, dovrebbe, come tutti i convertiti, abbandonare la via dell'errore (comunismo) e incamminarsi nella via della verità (democrazia). A mezza strada non


è volontà di conversione, ma gioco o tattica; velleità o infingimento; paura o viltà. Rispondono i politici dei due rami del socialismo non ancora unificato : non dare ordini agli operai organizzati : spetta loro il dovere di decidere, assumendo le responsabilit,à che derivano dalla propria condotta. Noi operiamo sul piano dei partiti ; gli operai su quello dell'organizzazione sindacale ; se ci incontreremo tanto meglio. A questo sofisma si controrisponde che se i socialisti non sono buoni a distaccare l'operaio dalla federazione comunista, con la loro pretesa unificazione, vendono fumo, dando a vedere quel che non sono e quel che non valgono. Essi continueranno a mantenere il legame delle consultazioni reciproche in sede parlamentare (delle quali ebbi a parlare nel mio precedente articolo), a mantenere anche i contatti con la CGIL, per l a convivenza operaia di comunisti e socialisti. L'equivoco politico-sindacale finirebbe con far divenire l'unificazione una farsa, non solo per il PSDI che ne sarebbe assorbito, ma anche per la D.C. che sta alla finestra a vedere cosa succede, per accorgersi (quando aprirà gli occhi) di esserne stata senz'altro gabbata. C'

Se è certo che l e varie confederazioni sono convinte del vantaggio attuale di restare come sono e farsi valere presso i rispettivi partiti, presso il governo e il parlamento, seguendo, secondo gli accorgimenti del caso, una politica in singolo o una politica d'insieme; è anche certo che il socialismo classista verrebbe svuotato dell'apporto della classe che esso rappresenta; della famosa unificazione rimarrebbe il fumo senza l'arrosto. È perciò che i capi socialisti contano su quella tale borghesia che sta attenta allo spirare del vento, non vuole perdere la posizione tradizionale di essere sempre col governo del giorno, e quindi è pronta a seguire i socialisti unificati in una nuova e simbolica marcia su Roma. La politica mussoliniana passò dal socialismo massimalista del primo appello fascista, alla protezione corporativa e al salvataggio delle grandi imprese nell'IRI. I1 tripartito, e poi i l quadripartito, dagli scossoni di guerra passarono ad una politica di


ricostruzione fatta di statalismo e di favori, a danno della vera libertà, quella che non è desiderata neppure da certe grosse imprese in pacifica relazione con tutti gli I R I e tutti gli ENI statali. Ora si è alla svolta socialista. Non pochi avranno da tempo messi in salvo i propri capitali; altri lo vanno facendo. Chi non può, cerca di orientarsi; certi giornali, fiutando il vento, smorzano le loro preoccupazioni, pensando a Nenni, il romagnolo di turno, come a un futuro Mussolini secondo. Guido Gonella, in una sua costruzione programmatica, dà implicitamente credito ad un socialismo unificato che per la democrazia possa indursi a mettere da parte la lotta di classe. Egli omette d i dirci come, nel suo piano di collaborazione, possa essere risolto il problema sindacale della CGIL, dove socialisti e comunisti convivono di pieno accordo. Quali prove serie ha Gonella che Nenni abbandoni il passato per convertirsi al socialismo democratico, senza ritorni di fiamma, senza riserve mentali, senza legami occulti? No, Gonella non intende accogliere Nenni e il socialismo unificato senza garanzie; egli vuole le garanzie per la futura collaborazione; purtroppo non ha compreso che Nenni vuol fare a meno di vivificare il quadripartito, da lui ritenuto prossimo allo sfacelo. Nenni pensa all'alternativa di governo, alternativa che per lui dovrebbe favorire l'avvento del socialismo, per il crollo che, alle prossime elezioni, egli prevede ( e non lo dice), della D.C. attuale. Gonella vuole l'isolamento del comunismo e insiste nel COsiddetto « allargamento del fronte democratico n ; ma Gonella dimentica quanto h a affermato Nenni: - 1) nulla da rompere con i comunisti perchè il patto è un bel documento storico; si continuerà nell'intesa attuale; - 2) niente uscita dei socialisti dalla CGIL, perchè è questo affare sindacale e non politico; - 3) consultazione parlamentare del PSDI con il PSI, e del PSI col PCI; - 4 ) eventuale quadrato delle forze operaie. Cosa risponde Gonella? la frase presa dal messaggio presidenziale: « Allargare la base, o allargare il fronte democratico D. Allargare con Nenni o senza Nenni?; è questo il problema, non altro; problema che posto così non ha nè può avere


soluzione da parte della D.C. Perciò torno a ripetere a Gonella e a tutti gli amici della D.C.: non deludete le aspettative del paese nel momento in cui siete ancora arbitri della situazione; domani sarà troppo tardi perchè non lo sarete più, quando, a unificazione fatta, l'ondata elettorale del 18 aprile avr,à preso l a bandiera della speranza per le forze operaie del quadrato nenniano e, per la trepida borghesia, l'insegna della paura. 23 settembre 1956.

( I l Giornale d'Italia, 27 settembre).

L'ESPLICITA CONFERMA DEL PSI La conferma al mio modo di intendere il pensiero di Nenni sull'unificazione socialista è venuta sollecita da parte del comitato centrale del partito socialista italiano. Questo, nella seduta del 29 settembre, a conclusione delle discussioni fatte, ha precisato nei seguenti punti il piano delle nuove conversazioni con il PSDI: l) concezione unitaria del sindacato a tipo democratico al dissopra di ogni differenziazione politica, ideologica, religiosa; 2) nessuna discriminazione fra i cittadini per i posti di lavoro e le relazioni con le pubbliche amministrazioni; 3) politica estera con interpretazione strettamente difensiva degli attuali impegni, e rivolta verso il consolidamento della distensione e l'emancipazione dei popoli coloniali; 4) uscita immediata del PSDI dali'attuale governo, sollecitando la D.C. a decidersi per l'apertura a sinistra; 5) conferma dei rapporti del partito socialista (unificato o no) con quello comunista sulla base delle affinità e delle esperienze del passato, e con un piano, per l'avvenire, di rinnovate intese che puntino sull'unificazione sindacale dei lavoratori e sull'azione politica e parlamentare. Coloro che mi hanno accusato di sognare, di trarre conseguenze arbitrarie dai piani di Nenni e di interpretarne troppo alla lettera le dichiarazioni, ora si debbono accorgere che in tutti i miei articoli di questi mesi ho cercato di mettere i n luce proprio quanto il suddetto comitato centrale dichiara in


forma abbastanza chiara anche nel paragrafo di politica estera che è, naturalmente, redatto con un fraseggio di rito, al quale siamo da tempo abituati. Fra i commenti, è interessante intravvedere il disappunto di coloro che avevano creduto a 'Nenni e auspicato la unificazione socialista.

11 comitato centrale del PSI con questa presa di posizione, tenta di piazzarsi al primo posto nella competizione fra i partiti italiani. Ma non è questo un posto che gli possa competere, sia perchè si tratta d i un partito spurio, tra il socialismo ufficiale e il comunismo bolscevico; sia perchè tale costruzione programmatica, p u r sembrando consistente, h a i piedi di creta. I n primo luogo, la unificazione sindacale è come i l matrimonio che si fa in due; se uno dice di no il matrimonio va a monte. Nenni sa bene che la CISL e 1'UIL non hanno il gusto di ritornare sotto le forche caudine dei comunisti, ci sia o non ci sia a capo 170n. Di Vittorio. È vero che l'idea dell'unità sindacale può sedurre gli ingenui; ma è anche vero il motto siciliano che fa al caso: « quel che hai provato non tornare a provarlo, più lo provi e peggio il trovi 11. Reso vano i l punto di partenza, la costruzione manca di solidità; potranno anche essere ridiscussi gli altri punti, ma in clima diverso e senza l'unificazione. La pretesa discriminazione fra i cittadini per i posti di lavoro non esiste in Italia. L'allusione è diretta al fatto che il governo americano affida lavori di proprio interesse, con destinazione militare, ad imprese uoa controllate dalla CGIL; si tratta di misura di sicurezza del committente, data la nota politica antiamericana dei comunisti. È questo u n dettaglio della situazione che potrà avere la sua SOluzione se miglioreranno i rapporti internazionali. I signori comunisti sono pregati di non fare i servi sciocchi di Mosca; i socialisti nenniani di non fare i loro tirapiedi; agli uni e agli altri si domanda il minimo di rispetto alla politica internazionale dell'Italia. Su questo punto il comitato centrale del PSI parte dalla pregiudiziale, falsa e inammissibile, che i paesi del patto atlan-


tic0 vogliano la guerra e che l'ampliamento e il completamento del patto con precauzioni e strutture militari, e con intese sempre più salde, palesino la finalità di arrivare alla guerra. I comunisti di casa nostra vorrebbero un'Europa disunita e indifesa; pensano ad un' Italia che faccia propria la politica dell'isolamento, per poi cadere nelle reti di Mosca. Non mancano in Italia dei sognatori che ricordano la politica « forte » di Mussolini, che tenne in iscacco la società delle nazioni, intervenne in Spagna e creò l'impero in Africa; costoro non ricordano che tale politica portò il duce nelle braccia di Hitler e lo fece partecipe della disfatta della Germania. La politica dei giri di valzer è condannata, e sarebbe puerile. I1 vecchio motto l'ltalia farà da sè è roba da ignoranti e da provinciali; l'Italia, sorta ad unità tardivamente, mai potè fare da sè; per cacciare l'austriaco ebbe aiuti francesi e prussiani; e fu savia politica quella delle alleanze quando non si aveva posizione autonoma, mezzi sufficienti per fare una politica di forza. Ma oggi quale stato potrebbe farla? Dalla prima guerra mondiale, vi è forse una sola nazione europea che possa fare politica da sè, tranne che non si chiuda nel proprio guscio e ne subisca le conseguenze che la storia registra? Essendo 1'Italia i l centro dei due colossi oggi in contrasto, Stati Uniti ed Europa occidentale da una parte, Russia e paesi satelliti o bolscevizzati dall'altra, potrebbe essa divenire una nuova Svizzera neutralizzata e autosufficiente? La Svizzera è piccola in zone montagnose ed è stata fin oggi rispettata per la sua storia e la à Ma l'Italia nel centro del Medisua l i n e a ~ i t ~internazionale. terraneo e con i l passaggio da un'alleanza all'altra, potrà mai essere neutralizzata? E allora? La nostra scelta è fatta: patto atlantico, politica occidentale: è questa la scelta del buon senso, della libertà, dell'avvenire, sia pure con tutti i rischi che la posizione comporta. La mancanza di fedeltà ai patti, la mancanza d i una politica in armonia con gli alleati e con i consociati europei, sarebbe il fondo della proposta del socialismo italiano unificato o no. Dico del socialismo italiano, perchè i socialisti francesi hanno una ~ o l i t i c aabbastanza decisa anche per le loro colonie e


per i loro interessi e certamente per Suez (se sia la migliore delle politiche è un altro paio di maniche, ma non è certo quella di Nenni e compagni). Gli stessi laburisti hanno mostrato di essere prima inglesi e poi socialisti. Non parliamo dei socialisti belgi. Nè sono vicini a Nenni i socialisti di Bonn, nonostante che abbiano come primo problema quello della iinificazione della Germania. È perciò che i tre del COMISCO che studiano i termini della unificazione socialista in Italia esaminano anzitutto se a loro convenga (loro cioè ai loro paesi) avere un'Italia in mano ad un partito guidato da Nenni. Noi italiani, non socialisti nè comunisti, non disperiamo della distensione, ma stiamo con gli occhi aperti. Sa Nenni, sanno i membri del comitato centrale del PSI quel che succede oggi nel Cremlino? Certo che no. Ma essi sanno o almeno debbono sapere che sul mistero, sull'inganno, sulla menzogna non si può fabbricare una politica estera. Tutti siamo per la pace, ma non possiamo nè intendiamo privarci delle garanzie di una alleanza (l'atlantica) che volendo la pace, si tiene preparata nel caso che l'avversaria ci voglia cogliere impreparati e sonnolenti, come a Pearl Harbour nel 1941. Nenni sa tutte queste cose e non si illude che possano cambiare d i punto in bianco. Ed ecco il quarto punto, il punctum saliens, del piano del comitato centrale, punto che potrebbe essere realizzato dalla sera alla mattina, quella specie d i intima a Saragat, o di condizione impostagli per farlo entrare nel paradiso del socialismo unificato : <t denunziare subito l'attuale accordo governativo e riprendere da libertà & d o le dimissioni prima del congresso di Trento ».Dunque, fra due settimane la crisi governativa. Nenni vuole, attraverso Saragat, la testa di Segni sul piatto d'argento dell'unificazione come un nuovo san Giovanni Battista. Ne verrà la crisi; egli per disgregare la D.C. conta (presuntuoso, no?) sull'appoggio dei giovani della sinistra democristiana, sulla sua amicizia col presidente della repubblica, sui suoi intrighi con un certo numero di deputati più o meno della base legata a Mattei e così via. I1 discorso tenuto da Nenni a Viterbo il 30 settembre non


rettifica nulla in proposito; conferma il suo piano con le solite tergiversazioni e chiose di occasione. Ma egli conta soprattutto sulle elezioni. I1 suo piano è chiaro, e non è un mio sogno; se, dopo la uscita di Saragat, la D.C. si decide a presentare al parlamento un gabinetto monocolore senza intesa a destra, finirà come quello De Gasperi del luglio 1953 e Fanfani del gennaio 1954; se, invece, la D.C. ripiegherà a destra, darà un nuovo motivo di divisioni interne e di intrighi parlamentari. Così, la crisi Segni, nel piano di Nenni, sboccherebbe nelle elezioni anticipate, volute dai socialisti per una unificazione sia pure a mezza strada. Dico « a mezza strada perchè la quinta condizione del COmitato centrale del PSI, quella di continuare i buoni rapporti col partito comunista, non solo sul piano sindacale per la riunificazione, ma anche sul piano politico e parlamentare, con intese normali e permanenti, renderà dubbia l'adesione del COMISCO, e certo non porterà l'iscrizione del sindacato unico nell'internazionale di Bruxelles. Ma che importa ciò a Nenni? che importa tutto ciò a Togliatti? come primo e decisivo passo interessa loro la crisi governativa, il disorientamento della D.C., le elezioni ipoteticamente favorevoli. I1 resto verrà da sè, il resto non sarà quello che pensava Saragat andando a Pralognan; ma quello che pensano in cuor loro i due siamesi, Nenni e Togliatti, di avvicinare l'Italia a Mosca e allontanare l'Italia dall'America e dall'Europa occidentale. 30 settembre 1956.

( I l Giornale d'Italia, 3 ottobre).

98. MESSAGGIO AL CONGRESSO DI STUDI GIURIDICI E POLITICI Illustrissimo presidente, (*) E' stata assai gradita per me la notizia della nuova prova di vitalità da parte di cotesto Istituto di studi giuridici e politici (*) Prof. Carlo Bozzi.


sulla regione, quella del prossimo convivium, al quale è stata assicurata così larga e autorevole partecipazione di invitati. Dopo le prime apprensioni, anche presso giuristi e intellettuali, sull'istituto della regione introdotto nella nostra costituzione repubblicana, l'esperienza fatta dalle prime quattro regioni a statuto speciale ha dato motivi di riflessione e di studio, ed ha fatto cadere molte riserve, sia di carattere politico che d i inquadramento giuridico nello stato unitario. Fin dalla prima attuazione della regione siciliana (1947) volli con il motto la regione nella nazione » affermare lo spirito unitario nazionale nella diversa articolazione dei poteri statali al centro e alla periferia. Che un potere statale sia 9uello della regione, e come tale riconosciuto e organizzato per volontà costituzionale, nessun dubbio alcuno. Noi della vecchia scuola giuridico-sociale, che affonda le sue sorgenti nella tradizione del diritto naturale, riconosciamo come autogeno il potere comunale. L'intervento dello stato diretto a regolarne l'attività in armonia agli interessi generali, non lede e non deve ledere i principi di autonomia originaria. Ma anche per le regioni il riconoscimento di un diritto tradizionale e l'adattamento organico che ne consegue ha sempre u n fondo di originalità autonoma, fondo che per certe regioni, come quelle a statuto speciale, ha motivi evidenti nella loro realtà morfologica e storica. Le varietà statutarie sono derivate anch'esse dalle diverse condizioni, tradizioni e concezioni di ciascuna regione; gli statuti relativi sono stati compilati e proposti da organi locali rappresentanti esigenze contenute nello spirito autonomistico di ciascuna regione. Se solo in questo dopoguerra si è arrivati a introdurre nella costituzione l'istituto regionale e a realizzarlo immediatamente con l e regioni a statuto speciale, ciò è dipeso dal fatto che l'accentramento di autorità dittatoriale del passato regime rese difficile la vita locale; e la voce della periferia, indebolita e deformata da interessi politici prevalenti e incontrollati, non arrivava alla capitale che attraverso la rappresentanza del partito unico.


Così la regione, che nel periodo del risorgimento apparve insieme una necessità organica e un pericolo politico, a quasi u n secolo di distanza, è apparsa la soluzione organica adatta a controbilanciare l'accresciuta ingerenza dello stato nella vita del paese, gli interessi degli organi locali della rappresentanza civica e amministrativa del paese. A questo punto mi si permetta, a me che combatto da sessant'anni per le libertà e per la libertà, fare una osservazione sottovoce. Mi sembra che lo spirito accentratore dello stato come amministrazione diretta e come tendenza di enti statali e parastatali, sia penetrato nell'amministrazione delle regioni, che imitano lo stato con una sempre crescente inflazione legislativa e una facilità di intervento, anche nei casi per i quali sarebbe da utilizzare l'ente locale (provincie, consorzi intercomunali e comuni) e ancora più in quelli nei quali è doveroso lasciare libera la iniziativa privata, limitandosi, se del caso, a incoraggiarla e sostenerla. Varie sono le obiezioni che han reso esitanti governi e parlamenti a introdurre nel resto del territorio nazionale l'istituto della regione a carattere normale. Ne rilevo alcune che possono far riflettere i responsabili sull'andamento delle quattro regioni esistenti. Anzitutto l'inflazione burocratica e l'aumento di spese amministrative; non bisogna chiudere gli occhi; le regioni hanno una troppo numerosa, e non sempre ben preparata, burocrazia, mentre, dall'altro lato, le amministrazioni statali, che avrebbero dovuto diminuire i posti per i servizi passati alle regioni, non han provveduto a tale ridimensionamento e si rifiutano di tenerne conto. Le une e le altre sono sotto la pressione del ceto medio disoccupato, che cerca posti; e purtroppo la maggiore insistenza viene da coloro, che non avendo preparazione specializzata, non avrebbero altro sbocco che quello del pubblico impiego. L'altra obiezione riguarda le spese che per lo stesso oggetto sono state fatte da parte dello stato e da parte delle regioni. I1 tesoro pensò correggere questo stato di cose non applicando alle regioni esistenti leggi fatte per tutte le generalità perchè


toccavano materie di esclusiva competenza legislativa delle regioni. I n terzo luogo si rileva un geloso spirito di autonomia, che fa in certi casi oltrepassare i limiti legali, o che sembra tale ai dirigenti dei dicasteri statali. Per questi casi ha funzionato fin dal 1948 l'alta corte siciliana, e dal gennaio di quest'anno, per le altre tre regioni, funziona la corte costituzionale. Non si può negare che la burocrazia centrale e certi antiautonomisti del governo, hanno sperato, attraverso i continui ricorsi, di ottenere interpretazioni giurisdizionali in senso restrittivo circa i poteri delle regioni; dall'altro lato si deve ammettere che, per mancanza di esperienza legislativa o per desiderio di competere con lo stato, si sono potuti varcare i limiti dei poteri statutari, E mentre si è da parecchi contestata la efficacia delle decisioni dell'alta corte, non vi è pericolo che si faccia lo stesso per la corte costituzionale. La parola serena del giurista, l'esperienza dell'amministratore, la superiore visione dello studioso disinteressato porterann o in questo convivi0 un contributo autorevole, e mettendo in vista l'utilità dell'istituto della regione e le difficoltà naturali della piena attuazione, renderanno un alto servizio allo stato e aiuteranno le regioni alla più comprensiva educazione autonomista, che nel quadro della vera democrazia rifiuta le demagogie che solleticano e supera le difficoltà che sembrano insormontabili. Con questo spirito formulo l'augurio che, secondo il disposto costituzionale, sia al più presto attuato l'istituto regionale a statuto speciale nel Friuli e nella Venezia Giulia; e mando a Lei, illustre presidente, ed a tutti i convenuti gli omaggi di chi h a fin dal 1899 lottato per la regione come istituto, e per il riconoscimento della autonomia regionale siciliana come coronamento della adesione data dalla mia isola all'unità della patria, rinunziando nel 1860 alla propria personalità politica. Distinti saluti.

LUIGISTURZO 6 ottobre 1956.

( I l Giornale d'Italia, 9 ottobre).


MESSAGGIO AL CONGRESSO DEMOCRISTIANO DI TRENTO (*) Con voi concorde nell'omaggio alla memoria Alcide De Gasperi anche nel ricordo presidenza di lui gruppo popolare camera deputati ringrazio congressisti et firmatari telegramma dell'amichevole saluto. Formulo auguri rafforzamento partito nell'unità di cuori et intenti pur rispettando diversità opinioni. Unitevi nella difesa della verità della moralità della libertà al servizio della patria nel quadro internazionale dei paesi democratici et liberi. Cordialmente. LUIGI STURZO 15 ottobre 1956. (Il Popolo, 16 ottobre).

« RELAZIONI UMANE » A STRESA

Oggi a Stresa si apre la conferenza internazionale per le relazioni umane. Tale movimento, improntato a vero senso d i convivenza civile e di rapporti di reciproca comprensione, per avere effetti reali e duraturi, deve appoggiarsi in primo luogo sulla educazione, non solo degli adulti con corsi illustrativi e con esperienze pratiche, ma anche e di più sull'educazione scolastica, infantile e giovanile.

(*) La presidenza del congresso aveva inviato a don Sturzo il seguente telegramma, pubblicato sul Popolo del 15 ottobre: Sesto congresso della democrazia cristiana inauguratosi oggi a Trento nel nome di Alcide De Gasperi invia un reverente saluto al primo ispiratore dello intervento dei cattolici italiani nella vita politica associa nel pensiero il ricordo di tutti i pionieri della azione fiero di poter essere continuatore del movimento ideale che trovò sempre in lei un validissimo e tenace propugnatore. ZOLI ODORIZZI FANFANI


Nel primo periodo della vita si sviluppano insieme alle doti di animo e alle energie fisiche, gl'istinti del male: orgoglio, diffidenza, invidia, gelosia, spirito d i menzogna; istinti che sono i motivi delle alterazioni dei rapporti umani. È proprio allora che anche i maltrattamenti agli animali, gli imbrattamenti delle panche o dei leggii di scuola e dei muri delle case, l'ingiuria e i nomignoli offensivi tra compagni dovrebbero essere corretti con benevolenza, persuasione e con costante vigilanza, per evitare la iniziale deformazione del carattere umano dell'alunno. Superfluo dire che la famiglia dovrebbe essere il primo e il più valido ambiente educativo: purtroppo, non sempre è così. Ma questo è un altro discorso. Qui desidero fermarmi sui due poli della vita sociale: da un lato le relazioni nelle prime scuole, dove il maestro deve essere padre e precettore insieme, e la maestra anche una madre; dall'altro lato l'organizzazione civile, lo stato; per segnare tutta la gamma delle relazioni e dello sviluppo dei sentimenti umani, benevoli ed ostili, convergenti e divergenti, di cooperazione e di disgregazione. Nell'un caso e nell'altro, due elementi debbono conciliarsi: il senso d i autorità che non respinga ma avvicini, e la comprensione effettiva e premurosa che tenda alla eguaglianza anche nella differenziazione di grado e di ufficio. Ebbene, sul piano della scuola, bisogna convenire che col totale accentramento, anche della scuola elementare, nell'amministrazione statale, con i continui trasferimenti dei maestri da una sede all'altra, sia per incarichi sia per nomine, in base a graduatorie minuziose, rese quasi automatiche, la maggior parte dei maestri elementari e rispettive famiglie, cercano di stare quanto meno è possibile nei villaggi, nei paesini e in sedi disagiate, nel continuo sforzo d i lasciare il posto per una città media e poi pel capoluogo d i provincia e poi per la capitale della regione o dello stato. Così il distacco dall'ambiente, dalla scolaresca, dalle famiglie degli alunni attenua e perfino inaridisce nel maestro il senso d i paternità e di cointeresse, lo rende un viaggiatore in cerca della sede dove spera, infine, trovare un posto definitivo, casa e avvenire per sè e la famiglia. È vero che oggi la società è più mobile e la vita più movi-


mentata di prima; ma, p u r facendo le dovute concessioni alle aspirazioni dei maestri e degli insegnanti, si dovrebbero considerare anche le esigenze educative delle famiglie per le quali il maestro non è il semplice dispensatore di diplomi, ma un cooperatore alla formazione intellettuale e morale della infanzia e della gioventù.

Passando all'altro polo, bisogna convenire che le pubbliche amministrazioni sono guardate dal cittadino con una diffiidenza oramai tradizionale; diffidenza verso gli uomini politici, diffidenza verso la burocrazia, diffidenza per gli ingranaggi regolamentari. Le remore a dare corso alle « pratiche D, per la lunga trafila che si impiega nella trattazione degli affari privati, nella maggior parte dei casi determina nel cittadino uno stato d'animo quasi ostile, nonostante i vantaggi che l'amministrazione pubblica reca alla società. Se dicessi che da dieci anni sto dietro alla soluzione di una vertenza assai modesta fra un cittadino e un ente statale, posto sotto l a vigilanza di u n ministero, e dopo più di u n centinaio di lettere (non meno di una al mese) si è arrivati solo o trovare una strada da percorrere, nessuno mi crederebbe. La diffidenza fra cittadino anonimo e pubblica amministrazione è reciproca e, allo stato delle cose, sembra insuperabile. Conosco funzionari egregi, capi divisione e direttori generali comprensivi, che lavorano giorno e sera senza tregua; forse un po' troppo accentratori e troppo presi da continue riunioni per commissioni, comitati, affari di gabinetto, e simili, per cui non è possibile domandare loro di più; ma il cittadino ci va di mezzo. Questi, per ottenere ciò che egli crede sia giusto riconoscimento del proprio diritto, stancato per cento rinvii e delle scale dei ministeri, si affida al primo faccendiere che non manca di esibirsi, e a mezzo del quale arriva ad ottenere quel che non avrà potuto fare da sè. Non tutto è colpa dei funzionari; molto è colpa della complicatezza di leggi e regolamenti. Mentalità formalistica, desiderio di scaricare ogni responsabilità personale su consigli ge-

T2 - ST~-szo- Politica d i

queati anni.


nerali e commissioni interministeriali e comitati e sottocomitati; ovvero sul ministro stesso, al quale si fanno firmare migliaia d i carte ogni settimana. I nostri ordinamenti vecchi e nuovi, sono complicati. Nessuno vuole assumere responsabilità personali; lo stesso ministro va quasi sempre coperto dalla responsabilità collettiva degli organi consultivi del cui responso nessuno risponde, trattandosi di semplici pareri. Così si crea la remora alla speditezza degli affari, ed è in qualche modo tollerato l'intervento del traffichismo interno o esterno, che arriva a far prelevare la pratica, a sollecitarne i pareri, a rendere facile lo slittare, su binari umettati, del vagoncino che va diritto alla stazione d i arrivo. Dopo ciò, è naturale che la diffidenza e il risentimento restino alla base di tali relazioni, non certo umane, fra cittadino e amministrazione, e viceversa. L'errore è reso anche più frequente per il metodo legislativo in voga. Spesso s'introduce nella legge quanto fa materia di regolamenti; così la burocrazia sta al coperto; mentre il parlamento è spesso chiamato a modificare le leggi stesse con aggiunte, interpretazioni e variazioni. La molteplicità e complicatezza delle leggi è tale per cui occorre ricorrere agli specialisti, agli avvocati o meglio ai frequentatori di tutti i ministeri che ne sanno ancora di più, perchè ne conoscono il retroscena burocratico. E molti avranno letto, e varie volte, certe intestazioni di legge come la seguente: « Modifiche alla legge d i tale data e numero » (senza altra indicazione). E poi certi testi come questo : « L'art. 4 della legge di tale data e numero è modificato come appresso : « Il termine utile per presentare le domande di cui all'articolo l, è prorogato fino a tal'altra data D. Dopo di che il cittadino ne sa quanto prima, cioè niente. Ma potr-à avere interesse a sapere se tale legge interferisce nei suoi affari; corre a prendere e studiare le due leggi in parola e spesso troverà altre date e richiami ad altre leggi di venti o trenta anni addietro, così da far perdere quella pazienza, che è tanto necessaria nei rapporti umani. Si tratta forse del gioco dell'oca? Piccole cose; si, io vado scrivendo di ~ i c c o l ecose, che però sviluppano la diffidenza reciproca fra cittadino e pubblica am-


ministrazione, e ne alterano i buoni rapporti, quando ci sono.

Da tale stato d'animo nasce i l bisogno di ricorrere al proprio partito, se si è un iscritto; all'amico di famiglia, se per caso esiste tale amicizia; all'amico dell'amico, o all'amico degli amici (che è un altro affare); e si inizia una corrispondenza che dalla richiesta del riconoscimento del diritto passa a quella del favore, alla raccomandazione per un concorso (cosa deplorevole per chi la chiede e per chi la fa); breve, il cittadino entra nella rete del partito e della politica militante più per quel che spera dallo stato che per quel che comportano le sue convinzioni. Così si forma la clientela politica che è dannosa in ogni regime ma specialmente in democrazia, la quale dovrebbe elevare ad un alto livello civico i rapporti fra cittadino e pubblica amministrazione. Un tempo si era parlato di mettere nei ministeri un ufficio di informazione per i l pubblico. Non so quale ne sia stata l'esperienza e ne ignoro gli effetti. Se il cittadino potesse ottenere qualche indicazione per trovare i l filo d9Arianna nel labirinto dei ministeri e per avere appuntamenti senza dovere attendere delle ore per sentirsi alla fine dire che il ministro, i l sottosegretario, il direttore generale o il capo divisione sono impegnati, sono assenti, rimandandolo ad altro giorno per sentirsi ripetere l a stessa solfa, il vantaggio sarebbe di notevole importanza. Ebbene, a Stresa si parlerà di ben altro e si tratteranno temi importanti, di fronte ai quali perdono figura i miei rilievi di vita quotidiana. A Stresa si parlerà sopra ben altro piano delle relazioni pubbliche e la democrazia; delle relazioni pubbliche come strumento di democrazia industriale; si parlerà di filosofia delle relazioni umane; di relazioni pubbliche e relazioni umane; di relazioni pubbliche come strumento di azione sindacale; di relazioni pubbliche e della loro funzione sociale, di relazioni pubbliche come professione e così di seguito. I1 piccolo contributo delle mie osservazioni, penetrando nel


grande quadro delle linee programmatiche, contribuirà forse a dare il senso della realtà di ogni giorno. 9 ottobre 1956.

( I l Giornale d'Italia, 11 ottobre).

STATO DI DIRITTO E STATO « DI FATTO n Nonostante che da tempo molti ciechi civili fossero in attesa dell'assegno vitalizio, la legge del 9 agosto 1954 non potè essere attuata che dopo l'approvazione del regolamento, andato in vigore nel febbraio scorso, a un anno e mezzo di distanza. Lo stesso è avvenuto, non solo per molte leggi ordinarie, ma anche per molti degli articoli della costituzione alla cui attuazione venne disposta l'emanazione di leggi ordinarie. Invero, la corte costituzionale attese la sua legge fino all'll marzo 1953; poi ne attese l'attuazione fino al novembre 1955. Solo in questi mesi sta per essere varato il consiglio nazionale dell'economia e del lavoro. Per attuare il disposto dell'art. 13 della costituzione circa le restrizioni alla libertà personale, si è attesa fin oggi la presentazione al parlamento del disegno di legge; il che è avvenuto in seguito alla decisione della corte costituzionale sulla illegittimità dell'ammonizione di polizia. Con l'articolo 16 si riconosce al cittadino la libertà di circolare e soggiornare in qualsiasi parte del territorio, salvo le limitazioni di legge per motivi di sanità e di sicurezza. Ebbene, ancora oggi è in vigore la legge fascista che impedisce al lavoratore la ricerca di lavoro fuori del territorio del proprio comune. I1 colmo di tale metodo può essere indicato dalla non esecuzione degli articoli 39 e 40 della stessa costituzione. Per il primo, i sindacati, per potere stipulare contratti collettivi debbono essere registrzti, e la registrazione si fa secondo norme di legge, delle quali il parlamento fin oggi non si è affatto occupato. Dippiù: per l'articolo 40 il diritto d i sciopero si esercita nell'ambito delle leggi che lo regolano. Queste leggi non esi-


stono; ma i contratti collettivi di lavoro si stipulano e i l diritto di sciopero si esercita, e come.

Per gli impiegati statali l a situazione è più complicata: il citato articolo 40 si trova nella prima parte della costituzione al titolo terzo, nel quale sono trattati i rapporti economici sotto l'aspetto privatistico e fissati i criteri per le leggi di esecuzione. Alla pubblica amministrazione e relativo personale si applicano gli articoli 97 e 98, che si trovano nella seconda parte della costituzione, dove sta scritto che « i pubblici impiegati sono a l servizio della nazione 1). È chiaro che se nei rapporti privati il diritto di sciopero, per quanto legittimo, non possa oggi esercitarsi per mancanza di norme legislative, è anche chiaro che per i suddetti impiegati l'articolo 40 non è affatto applicabile, non perchè manchi la legge, ma per i l carattere pubblico del « semizio della nazione n. Questa tesi è anche collegata al tipo di stato giuridico che lega l'impiegato allo stato e viceversa; è anche questa l a tesi prevalente del consiglio di stato e della corte dei conti. I1 governo, qualsiasi governo, pur convinto della tesi, si è trovato oscillante nell'applicarla di fronte alle pressioni delle categorie organizzate, dei sindacati e delle confederazioni operaie e impiegatizie, e, purtroppo, anche nei confronti dei partiti politici e relativi gruppi parlamentari sia di maggioranza che di opposizione. La difesa dell'impiegato non implica il riconoscimento del diritto di sciopero ; ma la demagogia prevale sul buon senso e sui doveri della legalità democratica. Nè il parlamento ha mai richiamato i governi all'adempimento del loro dovere di presentare i disegni di legge sulla registrazione dei sindacati e delle norme che regolano gli scioperi. A quasi nove anni di distanza siamo al punto in cui si era prima che la costituente fosse convocata.

A che cosa si deve tanta carenza governativa? Anzitutto alla poca vigilanza del cittadino ed elettore. Quando vi è uno scio-


pero nei pubblici trasporti i cittadini utenti, - e non son quelli che vanno in macchina, ma i meno abbienti e più modesti, mormorano, si lamentano e cercano mezzi di fortuna. A sciopero finito si spera che quello sia stato l'ultimo. Quando fanno sciopero gl'impiegati, ne soffrono le centinaia di migliaia di persone che hanno interessi da tutelare; il mandato di pagamento o il certificato di buona condotta, il documento per la pensione di guerra. Naturalmente, si mormora contro il governo e contro la burocrazia. Riaperte le porte, il pubblico rasserenato torna a salire e scendere le note scale e ad attendere nelle poco pulite antisale. La colpa maggiore è dei sindacati operai e impiegatizi, che dello sciopero senza norme di legge hanno fatto un'arma di lotta anche contro la pubblica amministrazione: a scopo sovversivo quelli della CGIL; a scopo di proselitismo quelli della CISL, UIL e CISNAL. I capi sindacalisti trattano col governo da pari a pari, minacciando per giunta scioperi inconsulti e illegittimi; nessuno fa loro rilevare essere al di fuori dei termini di legge, e continuano a intessere trattative ponendosi sul terreno delle finzioni giuridiche. D a l l t n a parte e dall'altra si cercano dei compromessi che rendono vano l'enunciato della costituzione che gli impiegati pubblici sono a servizio della nazione. I n questo clima, perfino l'insegnante crede con lo sciopero d i potere affermare un vero diritto, senza comprendere che egli avvilisce il suo alto ufficio di educatore. Anche i magistrati discussero tempo addietro sul diritto allo sciopero; i magistrati che costituiscono uno dei più alti poteri dello stato, al livello del potere esecutivo e indipendente da ogni altro potere e solo subordinato alla legge. Si domanderà: come potranno funzionari ed impiegati statali far valere le proprie ragioni per i miglioramenti d i stipendio e di carriera senza usare del diritto di sciopero? Le leggi sullo staio giuridico ed economico degli impiegati, dei funzionari, degli insegnanti, dei magistrati, dei corpi armati, debbono prevedere anche norme adatte allo scopo, sì da far rinascere nel corpo impiegatizio quell'atmosfera di fiducia che oggi manca e che neppure lo sciopero potrà loro ottenere.


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Occorre essere chiari: anche i privati cittadini, impiegati in enti che esercitano servizi pubblici autorizzati dallo stato, dalle regioni, dalle provincie, dai comuni, non possono avere riconosciuto il diritto allo sciopero, essendovi di mezzo l'interesse della generalità; anche per essi occorrono norme di legge che ne garantiscano i diritti senza consentire loro il simultaneo e concertato abbandono di servizio. È stata, in questo dopo guerra, una jattura per la nostra patria che parlamento e governo, i soli organi statali responsabili d i fronte alla nazione, abbiano permesso non solo l'ingerenza irresponsabile di partiti e di sindacati nelle delicate funzioni del potere legislativo e attivo; ma anche tollerato quel continuo prevalere che costituisce una vera partitocrazia e in molti casi anche una sindacatocrazia irresponsabile e sopraffattrice dei diritti e degli interessi della collettività. È deplorevole che l'Italia sia ridotta ad uno stato di fatto, fuori del binario legale, con la graduale attenuazione di quella che è la concezione e la realizzazione dello stato di diritto D. 14 ottobre 1956.

( I l Giornale d'Italia, 20 ottobre).

NENNI E TRENTO

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VICEVERSA

Dopo Trento, Nenni è stato felice di poter scrivere nell'articolo del 21 corrente « che se mai l'alternativa socialista aveva bisogno di una giustificazione politica, questa è venuta da Trento in modo clamoroso ». E più sotto egli aggiunge che « i socialisti di ogni tendenza e gradazione hanno una sola cosa da fare: unirsi per portare al più presto possibile di fronte al paese in termini di alternativa, la esigenza di un ricambio nella direzione politica del paese, l'esigenza di una politica e di una nuova maggioranza. Non c'è altro da fare dopo i l congresso di Trento 11. E che cosa aveva scritto Nenni prima di Trento? Vale la pena rileggere i l testo da lui virgolato: C( Quando noi parliamo d i unificazione socialista, abbiamo la prospettiva non già di


lasciarci irretire dalla decrepita maggioranza centrista, ma di sostituire ad essa una formula, una forza nuove, capaci di affrontare e risolvere i problemi dello stato e della società italiana n. Questo passo riassuntivo dei propositi di Nenni e dei suoi fu da me inserito nell'articolo: Con i comunisti e contro la D.C. del 19 settembre, quasi un mese prima di Trento. Pensare che Nenni ripresenti ora il suo proposito come se fosse stato confermato dal partito di centro affrettandosi a tirarne le conseguenze sarebbe puerile; il proposito di Nenni è sempre stato chiaro: presentare il socialismo unificato come alternativa di governo, dice lui, realmente come antagonista, affermo io col proposito ( è mia deduzione) di non dar luogo ad altra alternativa che rimetta il potere nelle mani della D.C. Questa posizione ho chiarito nei miei articoli precedenti al congresso d i Trento, raccolti in un opuscolo: L'apertura a sinistra e l'unificazione socialista ».Non vale, quindi, l a pena di ripetere il già detto, nè giustificare il perchè io non credo a Nenni, sia sul distacco dai comunisti (quale possa essere la sottile finzione che egli suggerirà agli uni e agli altri); nè credo alla sua disposizione democratica dell'alternativa, perchè egli è imbevuto del suo classismo che porta senz'altro alla dittatura del proletariato.

L'ambiente formatosi a Trento non era e non poteva essere i l più adatto a discutere il problema della unificazione socialista sotto i l mio angolo visuale, nonostante che parecchi dei più coscienti della situazione fossero della stessa mia opinione. A Trento non si poteva fare altro da parte degli esponenti responsabili del governo e del partito, data la delicata posizione dei socialdemocratici nel quadripartito, che prendere un atteggiamento di diffidente attesa, diffidente verso il PSI e verso il PCI. Quando Fanfani richiede che Nenni, se vuol collaborare al governo, debba presentare domanda con l e carte in regola, suppone come realizzabile, prima della unificazione, il distacco del PSI dal partito comunista, ed è perciò che allo stesso tempo egli crede che il partito socialista unificato possa collaborare con

la D.C.

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La stessa ipotesi ha indotto il ministro dell'interno, on. Tambroni, ad affermare che l'unificazione non va ostacolata se porta all'isolamento del comunismo. Per quanto non saprei quale specie di ostacolo possa venire dalla D.C. o dal governo a tale unificazione, io avrei detto con chiarezza: « L'unificazione va ostacolata perchè non porta all'isolamento dei comunisti ». Scelba da parte sua, dando per sicura la unificazione socialista, ( i l che mi sembra prematuro) ha invitato la D.C. a tirarne l e conseguenze, mentre Pella h a adombrato l'ipotesi di un futuro governo monocolore. Per quanto non ne siano mancati accenni, non è stata messa a fuoco la chiara finalità nenniana di una unificazione quale alternativa democratica, in posizione antagonista alla D.C., e il rinnovo dei legami fra il PSI e il PCI, sia pure sotto altra forma, non meno impegnativa del patto del 1947. I n sostanza, il fronte popolare, escluso nelle trattative di unificazione, ritorna a far capolino, come ritorna a far capolino una intesa sindacale, senza alcun impegno per il distacco della CGIL dalla internazionale di Praga e per l'adesione della futura organizzazione all'internazionale di Bruxelles.

I n queste condizioni tre ipotesi possono essere fatte e debbono essere vagliate : a) che l'unificazione socialista si faccia in qualsiasi modo e subito dopo il congresso del PSI; b) che tale unificazione si faccia durante il secondo semestre del 1957 in attesa delle elezioni politiche; C) che si continui a parlare della unificazione senza conclusioni pratiche, ma con la mira di esautorare il governo quadripartito, obbligandolo a subire i colpi dalle sinistre ora con voti favorevoli ora con ricatti, fino alla inevitabile crisi. Nessuno di noi può dire quale delle tre ipotesi sia l a più probabile; nè si potrà escludere qualche altra ipotesi subordinata; ma in tutti i casi previsti o prevedibili non c'è partito che possa sfuggire dal prendere posizione. Nella lotta, in ogni lotta, i maggiori vantaggi sono per chi prende l'iniziativa, non per chi la subisce.


Secondo me, la peggiore delle situazioni per il paese, oltre che per la democrazia cristiana, sarebbe la terza, che creerebbe un permanente equivoco e solleciterebbe ancora più di oggi quell'ala sinistra democristiana che anche a Trento non seppe velare le proprie simpatie verso il socialismo, nè far serie riserve per il legame con il comunismo. La seconda ipotesi sarebbe grave di conseguenze, perchè presenterebbe al corpo elettorale un socialismo unificato come una coalizione laicista atta a tenere subordinate le forze cattoliche. Auguro che non si turbi il processo democratico con una campagna anticlericale; ma non si può escludere l'ipotesi. Se l'unificazione è fatale, che venga subito, ( è la prima ipotesi) e che i partiti si presentino al corpo elettorale con la loro faccia, e il paese sappia se l'unificazione coesisterà con l'intesa comunista, con una confederazione di lavoratori legata all'internazionale di Praga e una unione cooperativa tuttora in mano ai rossi. Nel momento che i paesi satelliti mostrano di voler scuotere il giogo di Mosca, iniziando forse un lungo periodo di resistenza, vale la pena di affrontare sul loro terreno coloro che vogliono far penetrare Rlosca nella politica interna ed internazionale del nostro paese. È vero; lo scioglimento delle camere dipende dal presidente della repubblica; è vero, i senatori e i deputati in carica, in via normale, preferiscono le elezioni alle scadenze di legge; è anche vero che i l paese non ama elezioni sopra elezioni; ma la salvezza della nazione deve essere legge suprema: salus reipublicae suprema Zex esto. 22 ottobre 1956.

(L'Italia, 26 ottobre).

NENNI, IL CONVERTITO ! Sarà stata una dura cosa per Nenni scrivere la dichiarazione a favore degli insorti ungheresi che egli ha pubblicato finalmente, il 28 ottobre, anniversario della marcia su Roma e di un


altro ottobre più lontano. Non sono convinto, come altri, che si tratti di una conversione, e che non si tratti di un'altra manovra che potrebbe anche definirsi una diversione. Nel documento nenniano si legge: N Quanto di meglio noi (noi, chi?) possiamo fare per i lavoratori ungheresi (gli altri: studenti, professionisti, imprenditori, non contano) è aiutarli (come?) a risolvere i problemi da essi posti a base del rinnovamento della vita pubblica nel loro e negli altri paesi dell'Europa orientale. Aiutarli a spezzare gli schemi della dittatura in forme autentiche di democrazia e di libertà. Aiutarli a dare all'economia socializzata e pianificata (mia la sottolinea) lo scopo d i liberare l'uomo dalla schiavitù del bisogno. Aiutarli a risolvere i loro rapporti con l'Unione Sovietica in termini di autonomia e di indipendenza nazionale. Aiutarli a soddisfare la richiesta del ritiro delle truppe sovietiche che ha per sè in Ungheria il suggello del sangue ed in Polonia quello della volontà popolare. Giù le armi della ribellione. Giù le armi della repressione. Giù le armi dell'intervento straniero! ». Un pezzo lirico, non è vero? Ma quella figura di intermediario fra Budapest e Mosca, che Nenni assume per aiutare l'Ungheria a risolvere i reciproci rapporti, ha l'aria di chi certo non si prepara a romperla, in Italia, con le Botteghe Oscure del comunismo italiano; e, con quell'affermazione dell'economia socializzata e pianificata D, è chiaro che intende ipotecare il futuro ungherese alla concezione del socialismo di stato, che conviene benissimo anche ai comunisti mssi. Tutto ciò in nome di chi e di che cosa? Non certo della personalità di un Nenni diplomatico, sia pure premio Stalin; sì bene, di un Nenni futuro capo del governo italiano fattosi intermediario fra i satelliti e Mosca, con a destra Togliatti ed a sinistra Saragat. Altrimenti, quella prosa lirico-programmatica con il (C noi r> riferibile al PSI non avrebbe alcun significato. Nenni è convinto che, dopo i fatti di Polonia e di Ungheria - quando freme la gioventù cecoslovacca e quella rumena e quando i paesi baltici, Lituania, Lettonia ed Estonia, stanno in ansiosa attesa -, la Russia non potrebbe fermarsi alla repressione sanguinosa senza concedere una certa autonomia con-


trollata, che col tempo può divenire controllo senza autonomia. Più che altro, la Russia sente che la prova di oggi ha indebolito il suo fronte europeo; e in un deprecabile conflitto, non potrà contare sulla fedeltà dei popoli soggetti, e quindi neppure sulla colleganza dei partiti comunisti di Francia e d'Italia. È questa per la Russia una crisi gravissima, anche se le conseguenze immediate non saranno quelle che auspichiamo tutti: la liberazione dei paesi satelliti dall'occupazione e dal controllo sovietico. I n queste condizioni, quale fortuna per Nenni potere essere lui ad assicurare il buon vicinato con la Russia, dei paesi oggi ribelli? Un Nenni che offrisse la sua mediazione come persona privata, farebbe la figura del presuntuoso ridicolo; u n Nenni, presidente del consiglio dei ministri nella qualità di intermediario che porterebbe a Mosca il dono di u n paese come l'Italia, farebbe fortuna fra i bolscevici, e cercando di attuare una economia « socializzata », quella che libera dal bisogno, come egli afferma poter essere liberati i paesi che oggi si ribellano, farebbe gran fortuna nell'Italia dei socialisti unificati. Un quotidiano di Roma, nè socialista, nè comunista, vi è caduto: parla di futuro governo socialista in Ungheria, come se non ci fossero lavoratori cattolici, che prima della guerra erano organizzati nel movimento cristiano-sociale e fa riferimento al socialismo della Svezia, dove i l partito socialista non h a nulla di simile con i partiti socialisti francese e italiano e l a cui economia ( l a svedese) non è paragonabile a quella dei paesi latini, e molto di meno a quella ungherese. Con questi equivoci e sviste come premesse, i l giornale finisce con auspicare la unificazion'e dei socialisti italiani in quattro e quattr'otto. Possibile che l'articolista non abbia compreso che gli ungheresi vogliono essere liberi e la loro è una rivolta patriottica e d i regime? Se guardano a Tito, non è per amore del comunismo; se guardano a Saragat (anch'esso lirico in questi giorni) non è per amore del socialismo; se guardano a Fanfani non è per la democrazia cristiana. 11 difetto italiano è quello di parlare ciascuno l a propria lingua senza curarsi di comprendere la lingua degli altri. Non avete mai visto una comitiva italiana nella quale tutti, o tutte, parlano contemporaneamente, che sembrano passerotti sull'al-

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ber0 verso l'imbrunire? È così. Nenni parla del suo socialismo ; Saragat del suo, il giornalista di un terzo fra Svezia e Ungheria; quello che io puntualizzo è proprio quello di Nenni con le sue stesse parole e con le finalità da lui segnate. C'è chi ricorda Filippo Turati o Prampolini o Costa, senza darsi cura se Nenni possa essere paragonato lontanamente a uno di questi pionieri, che non ebbero la fortuna di conoscere e comprendere Lenin, Stalin e compagni bolscevici; e non poterono prevedere la potenza a cui è salita la Russia dopo la seconda guerra mondiale. Nenni, così camaleontico, evadente, estroso e abile, dovrebbe essere ben conosciuto sia da Saragat che se ne distaccò per primo; sia da Romita che se ne distaccò di seguito, e così da tutto il gruppo del partito socialdemocratico. Undici, dei parlamentari socialdemocratici, hanno riaffermato la necessit,à della completa rottura del partito socialista da quello comunista in base alla dichiarazione dell'intemazionale socialista fatta a Londra il 7 aprile scorso, dove si legge che il « socialismo e il comunismo non hanno nulla in comune ».La direzione del partito socialcomunista c'è arrivata, ma con il proposito di arrivare anche all'unificazione. E non è forse Nenni, che non solo ha sottoscritto, pochi giorni fa, il nuovo patto d'intesa con il partito comunista italiano; non solo è andato poche settimane fa in Svizzera per intendersi con una missione della Cina comunista, cercando di fare da intermediario ( è il suo pallino) con il governo italiano di oggi per trattative di commercio (come se non vi fossero i canali normali); ed è Nenni che per giunta auspica di potere essere proprio lui un intermediario fra Budapest e Mosca. Addirittura, il colmo! Nenni convertito? No: questo è il Nenni del 1947 quando lasciò il governo De Gasperi per seguire Togliatti; è il Nenni del 1947 quando lasciò andar via Saragat per non distaccarsi da Togliatti; è il Nenni del premio Stalin, quello stesso che non si mosse quando si ribellò la Germania dell'Est, come si è poco scosso alle rivolte polacche, e ai primi segni di movimento in Ungheria. Ora mette sulla stessa linea rivoltosi e massacratori e pensa alla loro reciproca intesa in base ad un'economia SOcializzata e pianificata da essere aiutata da lui e dai suoi. Da oggi al congresso del PSI nel prossimo gennaio, Nenni ha tempo


per fare molti altri articoli e molte altre dichiarazioni degni di una collezione. I convertiti lasciano il passato per sempre e senza rimpianti; si distaccano per una nuova fede che l i assorbe. I Nenni » come questo, non sono e non saranno mai dei convertiti, perchè non sanno rinunziare nè sanno tacere. Ecco perchè non sono di accordo con certi cattolici che arrivano a scrivere: Quale per Nenni, migliore occasione per dimostrare, nella difesa delle vittime della violenza sovietica, la sua fede (povera fede!) democratica e socialista, condannando senza riserve il comunismo? Coraggio, dunque, on. Nenni! D. Nenni potrà scrivere quel che gli piace; ma la fede, anche socialista e democratica, non è un soprabito che si leva e si mette a volontà. 28 ottobre 1956.

(L'Eco di Bergamo, 2 novembre).

ECONOMIA SOCIALISTA E LIBERTA' (*) Le ultime dichiarazioni di Nenni di ripudio dei massacri ungheresi non sono valse a fargli dimenticare due cose: il « classismo operaio e l'economia socialista ». Questi temi gli servirono, prima dei massacri, per offrire agli ungheresi i suoi buoni servigi di intermediario fra Budapest e Mosca (vedere l'Avanti) ; dopo i massacri, per fargli affermare a Montecitorio che gli ungheresi hanno inteso abbattere « le sovrastrutture di un regime politico degenerato in regime poliziesco e di burocratizzazione dell'economia n (resoconto sommario 491). Chiaro: l'Ungheria è stata sempre autonoma, libera e socializzata; così Nenni ha potuto dichiarare essere egli stato sostenitore dei principi « ai quali i socialisti italiani non sono venuti mai meno, della indipendenza nazionale e dell'autodecisione dei popoli 1); gli ungheresi solo oggi si sono accorti della « degenerazione » di cui sopra, e perciò si sono sollevati. (*) Pubblicato col titolo u Socializzazione e libertà n.

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A questo punto non arriviamo a capire se «. i liberi » ungheresi si siano sollevati, contro la degenerazione del proprio governo (scelto liberamente?), ovvero contro l'oppressione sovietica in conseguenza del vassallaggio, che impera in tutti i paesi satelliti del ceniro-est Europa. La Russia vanta un diritto di intervento alla repressione nell'ungheria, come lo vantò nella Germania-est e di recente nella Polonia. Shepilov, nel documento del 31 ottobre, che aveva l'aria di un'altra sconfessione alla Krusciov, affermava che la colpa dell'insurrezione in Ungheria era da attribuire « ai gravi errori della ricostruzione economica, all'insufficiente standard di vita della popolazione, allo strapotere burocratico dell'amministrazione ». Naturalmente Shepilov, come se fosse un Nenni qualsiasi, aggiunse che alla giusta aspirazione dei lavoratori ungheresi verso i l progresso ( ?) si erano innestate le forze della reazione nera e della controrivoluzione intese a restaurare l'ordinamento dei capitalisti e dei latifondisti. Non sapevamo che in Ungheria, dopo dodici anni di comunismo, esistessero la reazione nera e gli ex-capitalisti ed ex-latifondisti; ma sapevamo che lo standard di vita di tutti, lavoratori e non lavoratori, è stato portato in Ungheria e in tutti i paesi socialistizzati al più basso livello possibile. La spinta decisiva all'insurrezione viene sempre dal sentimento della propria personalità nazionale e dal desiderio di libertà, insiti anche nelle classi lavoratrici di paesi come l'Ungheria, che hanno avuto quasi un millennio di storia; ma le cause economiche ne sono sempre le premesse. A parte la grande storia ungherese, impregnata di fede cattolica ( e non mai « reazione nera D), il fatto che interessa mettere in luce è che la socializzazione e la mancanza di libertà porta infallibilmente allo ((strapotere burocratico dell'ammi.2 nistrazione » e agli errori delle pianificazioni che, presto o tardi, secondo gli avvenimenti politici, determinano l'« insufficiente standard di vita » quello confessato da Shepilov per l'Ungheria. Nenni non si immagina affatto, - come molti altri socialisti di tutte le denominazioni, compresi certi cosiddetti « cristianosociali » e « basisti )) della D.C., - che ogni nuova socializzazione, ogni forma di dirigismo, ogni iniziativa di interventismo sta-


tale nel campo dell'economia, porta una più o meno sensibile svalutazione monetaria. Non sanno costoro che tale fatto suole determinare un rialzo di prezzi e quindi un aumento dei salari e degli stipendi? E chi ci va di mezzo? per primi i sotto-nutriti, i disoccupati, i semi-occupati, i pensionati, i ceti della burocrazia marginale, i titolari della rendita di stato e dei buoni del tesoro; i giovani laureati e diplomati che non trovano occupazione alcuna e saranno fortunati se potranno adattarsi a qualche lavoro marginale per mezza paga. I sindacati operai (nei quali si paga una mensilità irrisoria perchè altri li sovvenziona), difendendo i propri iscritti al di l à delle possibilità economiche private e statali, alterano i margini necessari per provvedere alla disoccupazione senza essere costretti ad incidere nello sviluppo economico del paese che dovrebbe arrivare ad assorbire tutta la manodopera qualificata, e concorrere largamente a qualificare e specializzare le giovani reclute e le adulte riserve (piano Vanoni?). I socialisti unificati, invece di seguire la politica saggia della 1ibert.à economica, ripeteranno quel che hanno promesso: socializzazione, pianificazione, lotta contro il capitale privato passandolo allo stato o a nuovi enti del tipo dell'IRI o dell'ENI o del poligrafico; credendo, per ignoranza o per infatuazione, che lo stato diventerà quale un nuovo re Mida che convertirà i n oro tutto quel che tocca. Al contrario, sarà convertito in carta straccia quanto lo stato (socialista o no) avrà sottratto alla attività privata. Provare per credere; purtroppo però tale prova ci porterebbe a fare l'esperienza dei magiari, dei polacchi, dei rumeni, dei cecoslovacchi, i quali da lunghi anni tirano una vita di stenti in contrasto con il loro livello medio di vita di prima della guerra del 1939. Non vengano Nenni e gli altri a citare i laburisti inglesi della legislatura 1945-50, nè i socialisti belgi al potere, insieme con i liberali, dal 1953 ad oggi. Si tratta di esperienze in regime semilibero, da noi in Italia fatte e scontate da molto tempo. La nazionalizzazione della Banca d'Inghilterra non vale la statizzazione d i tutti gli istituti di credito in Italia, meno pochissime e locali banche private. La statizzazione dei servizi


assistenziali in Italia è al completo e costa assai di più (relativamente a l nostro bilancio) che non sia quella inglese anche prima delle ultime attuazioni. I n Inghilterra la statizzazione delle miniere di carbone ha causato tale contrazione produttiva e tale passività aziendale, da far paura; in Italia, in materia mineraria l'esperimento comincia con l a legge del 1927, buona sotto certi aspetti, ma troppo statalista; il peggio è venuto con lYENIper via del vantato monopolio in Alta Italia e della preponderanza in tutto il paese. Per giunta noi abbiamo venti anni d i esperimento dell'IR1, che nè i l Belgio, nè l'Inghilterra possono vantare così esteso, così costoso, così impegnativo per l'avvenire. Abbiamo l e nostre ferrovie in deficit cronico, che è una delle prove provate del modo come lo stato, cioè la burocrazia statale, amministra il denaro pubblico in modo fallimentare. Lo stesso vale per il poligrafico, per l'ente risi, l'ente carta, il consorzio canape e molti altri del genere. Nenni, Saragat e compagni dovrebbero guardare l a Germania occidentale per rendersi conto del come un paese rovinato dalla guerra, assai più dell'Italia e dell'Inghilterra messe insieme, abbia saputo, in meno di sei anni, rifare la propria economia sul piano della libert,à. Nenni e Saragat, concordi nella piena fiducia alle socializzazioni, credenti nel socialismo di stato, non vanno in Inghilterra e in Germania a rendersi conto di quanto avviene; non vogliono comprendere i l tipo di economia americana che dovrebbe essere da noi imitata, per quanto è adatta al nostro ambiente. Essi parlano di libertà, ma non sanno che cosa sia e perchè si debba difendere anche nel campo economico; essi vogliono ad ogni costo ( e sono logici perchè classisti) la soppressione della cosidetta classe borghese e capitalista; essi insistono per arrivare a passare il capitale nelle mani dello stato, che da trenta e più anni ne fa il largo uso che noi conosciamo. Nenni, Saragat e compagni, prenderanno l'esempio, non dall'America, non dall'Inghilterra o dal Belgio, ma dallYUngheria, per la quale Shepilov ha potuto fare la doppia confessione degli errori di ricostruzione (poteva dire, distruzione) e dell'insufficiente tenore di vita. Perchè in Ungheria, come negli altri paesi satelliti, la livellazione economica fatta in nome del so-

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- S ~ c a z o-

Politica di questi anni.


cialismo è stata e non poteva essere che sul piano inferiore. La economia socialistizzata è identica all'economia comunistizzata ; perciò i sovietici, parlando della loro economia, la qualificano sempre come socialista; così Marx, così tutti. I1 comunismo è politica, il socialismo è economia; quella data economia, la socialistizzata. Ma quando l'economia sarà del tutto socialistizzata, il cittadino avrà perduto la libertà, anche quella politica. Perdendo la libertà di possedere beni stabili, di potere trasformare i risparmi in impianti produttivi; di essere libero di tenere l a sua casa, i l suo podere, la sua bottega, il suo impianto, e poterlo cedere o lasciarlo ad eredi di sua propria scelta; egli non sarà più libero politicamente, perchè non potrà modificare le leggi che Io hanno inchiodato alla politica socialistizzata rendendolo un dipendente dello stato; egli sarà schiavo di una burocrazia dominante che, nella generale bassa livellazione sociale, diverrà la nuova classe dirigente, la classe politica che soppianterà ex-professionisti, ex-imprenditori, ex-agricoltori, excapitalisti. E mentre i ceti medi andranno sparendo, per divenire tutti dipendenti statali nel livello più basso possibile, i capi politici avranno stipendi di lusso, case e ville, servitori, lacchè ed adulatori. Andare in Russia e nei paesi satelliti per vedere e costatare gli effetti, non della politica di libertà, ma quelli della socialistizzazione che dà in mano alla burocrazia statale e di partito l'economia di un popolo soggetto, ridotto ad un insufficiente starulard di vita. Le prospettive del socialismo unificato sono tali che dovranno far pensare non solo l a borghesia industriale agraria e commerciale, ma i ceti medi e le stesse classi lavoratrici, che per la loro importanza demografica e i loro bisogni familiari, sono le prime e le più esposte alle crisi economiche e a quelle politiche. 10 novembre 1956. (I1 Giornale d'Italia, 14 novembre).

I FATTI DELL'UNGHERIA E « L'UNIFICAZIONE

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Sembra assurdo, ma è così; i tragici fatti dell'ungheria, che segneranno una data nella storia, - non solo la data del sacri-


ficio di un popolo eroico, ma anche quella di una svolta politica inevitabile, - nella nostra vita quotidiana vengono accostati e messi correlativi a un fatto di cronaca di dubbio valore, secondo me già svalutato, quello della unificazione socialista. È tanto il da fare di politicanti e di giornalisti, che anche questo fenomeno deve sopportarsi, in una piatta politica di partiti che si baloccano con ordini del giorno e discussioni a vuoto. Siamo ridotti a leggere che un nuovo 18 aprile sarebbe la vittoria del clericalismo, contro il quale occorre riunire le forze proletarie; senza avvertire che se si verificasse un nuovo 18 aprile, di proletari a votare per la D.C. ce ne dovrebbero essere parecchi, come è avvenuto nelle ultime elezioni del Trentino. A meno che non si pensi che in Italia siamo così avanti nella deproletarizzazione 1) (passi la parola) da aver potuto costituire una nuova classe media fatta di operai e contadini, possessori di una casetta e di un podere e di qualche buon gruzzoletto messo da parte; cosa che si trova nel programma cristiano-sociale, ma non si trova di sicuro in quello dei socialisti classisti e marxisti di qua e di 1,à della cortina di ferro. La più grossa delle lepidezze nenniane, che non possiamo trascurare, è segnata a grossi caratteri nel titolo principale della cronaca politica di un giornale del mattino: (C L'on. Nenni considera decaduto il patto di consultazione con il PCZ ». Considera decaduto? un patto o si denunzia o vige ancora; l'interpretazione unilaterale e personale di Nenni e di chiunque altro non dà diritto a ritenerlo decaduto per il fatto che a volontà potrà essere sempre eseguito. Questo si chiama gioco di bussolotti; Nenni ne è maestro. La prova di ciò mi viene subito sottomano nel modo come Nenni presenta le critiche fatte al presidente Segni e al ministro Tambroni da alcuni deputati democristiani, là dove scrive ( l a sottolineatura è mia): perchè pur incoraggiando nei giorni scorsi l'uso o l'abuso ( u n abuso, la protesta per i massacri delle truppe sovietiche a Budapest e altrove, proprio un abuso?) della libertà di manifestazione, hanno tutelato le sedi delle organizzazioni operaie evitando che fossero gli stessi operai a provvedere alla loro difesa n. É chiaro: le sedi del partito comunista si fanno passare per sedi d i organizzazioni operaie; il fat-


to, denunziato dal ministro Tambroni, che i comunisti erano armati, è giustificato da Nenni come difesa preventiva, non ricordando ( f r a l'altro) che da certe finestre possono partire i colpi d i fucile sulla folla, come avvenne a Colombaia d i Carpineti, dove caddero uccisi non i comunisti, ma i democristiani Rossi e Munarini. Siamo a questo: che Nenni travisando arriva a presentare i l partito comunista come vittima dei D.C. per potere preparare, pur negandolo a parole, quel fronte popolare tenuto in riserva per formare i1 governo di alternativa socialista. L'accusa alla D.C. di volere un altro 18 aprile, cioè ottenere nelle elezioni i l consenso del paese e in parlamento quella clair majority che è base del sistema parlamentare storico e genuino dei paesi anglosassoni, sarebbe per la D.C. un'usurpazione; mentre per i l futuro socialismo unificato sarebbe quasi u n diritto di primogenitura! Con questi giochetti, Nenni si guadagna la pubblicità gratuita della stampa borghese, proprio in nome del classismo SOcialista, e, non potendo il socialismo unificato senza l'aiuto del comunismo mettere fuori la D.C., si può essere sicuri che, nonostante la polemichetta agrodolce sullo stalinismo e nonostante l e condanne dell'intervento armato della Russia in Ungheria, i comunisti, dico, si troveranno a fianco di Nenni per attuare i n Italia quelle riforme d i struttura e quell'inserimento del lavoratore nello stato, che il quadripartito, nonostante l a presidenza Segni e la vice presidenza Saragat, non riesce ad attuare per il suo immobilismo. Una piccola prova? Eccola: i massacri sovietici a sangue freddo e a tradimento durante le finte trattative, le deportazioni della gioventù magiara in Russia e i l conseguente sciopero operaio di protesta contro il governo fantoccio di Budapest (non è lecito pensare che abbiano scioperato gli ex-latifondisti o gli ex-capitalisti d i Shepilov, e neppure i fascisti di Krusciov), non hanno avuto alcuna presa presso i consiglieri nenniani e saragattiani che continuano tranquillamente a collaborare con i comunisti della giunta provinciale di Roma. I1 gesto-di dimissioni dalla carica non è avvenuto. Gli operai di Torino e d i altri paesi del nord e del centro hanno deciso di non volere


contatti con i rappresentanti comunisti della CGIL; si tratta di gente che prova i l disgusto di collaborare con coloro che solidarizzano con chi approvandola grida in parlamento: Viva l'armata rossa, proprio l'armata dei massacratori ungheresi. Ma i borghesi che vestono la giacca socialista ( a parte lo pseudomonarchico già espulso dal partito) sono l à a tutelare i loro seggi provinciali mal conquistati. Arrivati a questo punto di insensibilità morale e politica, le tergiversanti dichiarazioni di Nenni sullo stalinismo, sul comunismo italiano, sul patto decaduto che non si denunzia, sulla classifica di sedi operaie date alle sedi del partito comunista e così di seguito, unita all'altra dichiarazione, da me rilevata nel precedente articolo, che egli, Nenni, proprio Nenni, è stato sempre per la libertà dei popoli e per l a democrazia secondo i principi del socialismo internazionale, c'è da dire che siamo di fronte a l fenomeno di un giocoliere che conta di potere illudere il pubblico, ovvero di un demagogo che gioca sulle mezze frasi per garantirsi tutte le uscite. Egli non può che proseguire nella politica del passato, quella di asservire il paese privandolo (sotto vesti classiste) di quella libertà, che egli Nenni, durante dodici anni mai rivendicò per l'Ungheria, mai per l a Polonia, mai per la Germania dell'est, mai per la Romania e Bulgaria, mai per la Lituania, l'Estonia, la Lettonia; mai, mai per la Cecoslovacchia di Benes, fatto morire di crepacuore, e di Masarick-figlio (anche lui degno del grande Masarick) ucciso per ordine di Mosca; quella Cecoslovacchia che nel ventenni0 1919-39 aveva saputo attuare una democrazia libera e un'economia del tutto insognabile per quelle popolazioni immiserite e ridotte in servitù. È proprio oggi, quando ancora l'Ungheria gronda di sangue e quando la vita internazionale è turbata da gravi avvenimenti e I'ONU cerca di trovare una via adatta ad attenuare i pericoli dell'ora, i l signor Nenni, pur concedendo (bontà sua) che 1'Italia non possa chiudersi nel debole guscio di una neutralità senza base, afferma che il patto atlantico debba ricondursi ad un patto difensivo. Che cosa intende Nenni? che fin oggi quel patto è stato per la offesa, l'aggressione, la sopraffazione? egli, che è stato ministro degli affari esteri della repubblica italiana, può


affermare ciò senza mentire? Intende egli forse sostenere che l e potenze atlantiche debbano disarmare? sarebbe l a proposta del servo sciocco del Kremlino a vantaggio del comunismo internazionale e a danno principalmente dell'Italia; perchè il danno sicuro verrebbe all'Italia come traditrice dei suoi alleati. Questo è l'uomo a l quale una certa stampa e una certa classe politica ed economica guarda come il futuro capo del partito socialista unificato (Saragat avrà qualche posto onorifico e nulla più) e quale capo morale o anche effettivo del governo di alternativa socialista con i l conseguente piano di negare alla D.C., oggi e domani, l a vera alternativa di governo e potere istaurare l a dittatura del proletariato. I1 maggiore vantaggio andrà ai comunisti nostrani, e sul piano internazionale, andrà a Mosca. 18 novembre 1956.

( I l Giornale d'Italia, 21 novembre).

I L PARTITO-PILOTA (aIl'amico Romita) Ci conosciamo da lunga data, Romita ed i o ; da quando egli giovane io quasi quarantenne ci incontravamo nei congressi dei comuni italiani. Non mancavano gli scontri di partito, tanto più che essendo stata l'associazione dei comuni fondata da radicali e socialisti uniti insieme, fu difficile capovolgere la situazione; cosa che spettò all'iniziativa di pochi democristiani di allora, con a capo l'onorevole Micheli e i l prosindaco di Caltagirone; e in un secondo tempo d'intesa con i liberali. Così il partito-pilota » di allora, perdette la maggioranza nel consiglio, e non potè più riconquistarla; siamo a l 1909 e i miei colleghi, oltre Micheli, furono Meda, Mauri e Rodinò, proprio quelli che dieci anni dopo entrarono nel partito popolare; i liberali più i n vista erano Emanuele Greppi, sindaco di Milano, Piero Lucca, sindaco di Vercelli, G. Bocca, sindaco di


Asti, Franco, assessore di Livorno, Niccolini, sindaco d i Ferrara e Aldemiro Campodonico di Firenze, l'unico superstite della schiera. Nella minoranza i più noti e anche miei ottimi amici erano i socialisti Ivanoe Bonomi e Caldara, che fu poi sindaco di Milano, il repubblicano Finzi di Mantova e il radicale Orefice, sindaco di Brescia. Nonostante tutto, maggioranza e minoranza collaborarono fino al 1916, quando l a politica internazionale ci divise irrimediabilmente. I socialisti proposero un ordine del giorno contro la guerra, mentre i nostri soldati combattevano al fronte. Noi della maggioranza votammo contro; allora i socialisti abbandonarono l'associazione e ne costituirono una propria. I1 fronte nazionale dell'autonomia comunale fu rotto. Ricordo questi fatti perchè si adattano alla posizione di oggi. I socialisti democratici quali Saragat, Romita, Vigorelli e Rossi collaborano da anni con la D.C. per attuare una democrazia non faziosa, non settaria, non classista; una democrazia che sul piano europeo e su quello intercontinentale collabora con gli altri stati democratici. A un certo momento, i socialdemocratici sono stati scossi dal richiamo della foresta: l i ha presi i l mito classista, l i ha sollecitati l'idea d i divenire un partito di avvicendamento, con l a promozione a partito-pilota. Sarà bene leggere il discorso di Romita a Torino del 18 d i questo mese per rendersene conto. Con tali propositi, il primo che salta è proprio i l fronte internazionale. L'equivoco parte da una interpretazione forzata delle affermazioni deI presidente Gronchi, fatte nella sua visita agli Stati Uniti, quella di dovere accentuare la parte costruttiva (si preferisce dire sociale) del patto atlantico. E possiamo essere d'accordo tutti su questo punto, a patto che non si dimentichi l a parte presa dagli Stati Uniti, prima e dopo la stipula del detto patto: Unrra, piano Marshall poi piano E R P ; prestiti, concessioni e molte altre iniziative a scopi determinati e tutti utili e utilizzati, senza i quali l'Europa da tempo sarebbe già a terra. Interesse nostro e interesse comune e quindi anche interesse degli Stati Uniti, d'accordo; ma effettivo e valido contributo, non solo sul piano statale, ma anche nel campo della cultura, delle organizzazioni sindaiC


i cali, delle imprese private industriali e agrarie. Ricordo tutto ciò a d onor del vero, non piacendomi che si dimentichi la realtà per l e frasi vuote che i demagoghi soffiano alle orecchie delle folle plaudenti, credendo di poterne riempire le teste vuote di ogni buon senso. È ingiusto squalificare oggi, dopo dieci anni, la collaborazione ricostruttiva americana, come se il patto fosse a scopo di dominazione militaresca, in modo da provocare la parte avversa a singolar tenzone; nella quale, a colpi di bombe atomiche, si dovrebbe farla finita con questo mondo birbone, perchè tutti siamo condannati alla catastrofe (compresi noi che non faremo certo la parte di semplici spettatori). Romita non dice tutto ciò, ma ripete metà delle frasi del presidente Gronchi e metà di quelle di Nenni, per annunziare la grande novità del futuro socialismo unificato che vuole che i l patto atlantico sia semplicemente difensivo. Aspetteremo forse l a catastrofe dell'ovest per poter poi rispondere con la catastrofe dell'est? Questa non è una caricatura delle affermazioni d i Romita; è solo il modo di guardarle controluce.

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Lasciando il piano internazionale dei socialisti unificati, veniamo a quello interno. Partito-guida, dice Romita; partito d i alternativa lo chiama Romita d'accordo con Nenni. I1 partitoguida serve per guidare gli altri e presuppone una coalizione; il partito di alternativa si basa sulle due ipotesi che possa guadagnare l a maggioranza da sè, ovvero che possa formarla coalizzandosi con altri; allo stesso modo dell'altro partito alternante, il quale dovrà essere in grado di potere succedere o per forze proprie o per coalizione fatta con altri partiti. Nei due casi, si prevede una zona fluttuante, elettori che si spostano dall'una all'altra sponda per rendere possibile l'alternativa del potere. Chiaro ? Chiaro. Romita oltre che uomo politico è un ingegnere abituato ai numeri, a l gioco delle forze e alle previsioni degli effetti reali di piani ipotetici. Questi sono i dati: Elezioni 1946: socialisti, comunisti e partito d'azione, circa


9.500.000 voti, - i l 41 per cento (comunisti 4356 mila, socialisti 3758 mila) ; votanti 22.968.000 ; Elezioni 1948: fronte popolare 8 milioni 137 mila e unità socialista l milione 858 mila; totale 38,l per cento (liste unite, e quindi non precisabile la ripartizione fra socialisti e comunisti, che si suppone avesse allora i l rapporto di 5 a 3). Votanti

26.220.000. Elezioni 1953: comunisti 6 milioni 120 mila; socialisti 3 rnilioni 441 mila; socialdemocratici 1 milione 222 mila. I primi due 35,4 per cento; il terzo 2'25 per cento. Totale 37'3 per cento. Votanti 27.000.000. P u r ammettendo che nelle prossime elezioni i socialisti unificati guadagnino sia dal lato comunista sia dal lato radico-borghese un certo numero di voti, sarà materialmente e moralmente impossibile che arrivino da soli a superare il 50, 01 per cento ed ottenere la maggioranza assoluta che li farebbe allo stesso tempo partito-pilota e partito di alternativa di maggioranza. Non possiamo pensare che a forza di gonfiarsi la rana divenga bue. Tanto più che con l a definizione di partito classista per un'economia classista e socialistizzata, si creerà, presso la piccola e media borghesia, tale diffidenza da attenuare quella euforia che certa stampa va anticipando e quindi facilmente scontando; tanto più che l'irre e arre dei due partiti segna ogni giorno oscillazioni di borsa non indifferenti. I n sostanza, per fungere da partito di maggioranza i socialisti unificati si dovranno volgere ad altri partiti, chiedendo, bon gré, mal gré, una collaborazione tri-quadripartitica ; nel caso invece del deprecato monocolore, chiedere i voti necessari per vivacchiare. Chiederli a chi? alla D.C.? i l centrismo è finito (Romita); l'immobilismo è deprecabile (Saragat); si deve socializzare la economia (Nenni); la litania può continuare. E poi, se si collaborer,à con la D.C., quale altro potrebbe essere i l partito di alternativa ? Chiederli alle destre? abominazione; non si discute una simile ipotesi (( per l a contraddizion che no1 consente »; ai radicali di Villabruna e Carandini, più Parri e altri gruppettini di rincalzo? di sicuro non bastano.


Chiederli ai comunisti? chiederli no, ma averli spontaneamente, e perchè no? Ecco il trucco. Noi andiamo verso il fronte social-comunista nonostante la sincerità di Saragat, nonostante gli accorgimenti di Romita, nonostante le ingenuità di Vigorelli e la opposizione di Rossi. Questi quattro collaboratori della D.C. che hanno sulle spalle la responsabilità di nove anni di governo, rinnegano quel che hanno fatto (s'intende, d i bene e di male, come avviene a tutti gli uomini fallibili e peccatori), per riunirsi con i comunisti, con i quali oggi Nenni non ha il coraggio di romperla sul serio, e con i quali domani i socialisti unificati, saranno, volere o no, costretti a collaborare per mantenere il carattere di partito di alternativa, se non di partito guida, i1 cui molo passerebbe alle Botteghe Oscure.

Dopo di che, veniamo all'ammonimento che Romita volge ai democristiani, ammonimento che mi riguarda personalmente. Nel discorso di Tonno (resoconto de La Giustizia del 20 di questo mese) si legge testualmente: « Chiarito che nessuna collaborazione potrà sussistere tra il nuovo partito e i comunisti; Romita ha affrontato il tema dei rapporti con la D.C. ed h a invitato i democristiani ad evitare l'errore che oggi commette Don Sturzo (mia la sottolineatura) d i accomunare i socialisti ai comunisti semplicemente perchè sono classisti D. Premetto che Romita e nessuno dei suoi colleghi troverà nei paesi civilizzati, sia nel pdssato sia nel presente, un governo socialista a tipo classista. I laburisti inglesi per bocca del loro leader, nel discorso fatto a Washington avanti l'assemblea dei senatori e deputati, esclusero formalmente che il laburismo fosse u n partito di classe. Infatti, lo stesso Attlee non era un lavoratore mentre lo era il futuro ministro degli esteri, Bevin. I pretesi governi di classe sono a parole quelli di Mosca e dei paesi satelliti, dove esistono ex-latifondisti, ex-capitalisti, ex-industriali, ex-proprietari e così via; per la fortuna d i quei popoli, è sorta la classe dei capi politici, degli agit-prop, dei funzionari, che hanno preso il posto di classe dirigente, classe ricca, classe potente, classe dittatoriale. I1 classismo di Nenni, di Saragat, di Romita si deve ancora


definire, perchè i capi dei socialisti italiani sono tutti borghesi, borghesucci, professionisti, ed hanno case, ville, stipendi, rendite azionarie, ovvero imprese, sotto proprio nome e sotto nome di soci, di parenti, di amici e compari. Questi signori parlano col noi rnajestatico: noi lavoratori, noi operai e contadini, noi pronti a trasformare la struttura sociale e inserire i l popolo lavoratore nello stato. Essi sono gi-à inseriti da tempo nello stato, e in cento organizzazioni parastatali; gli altri, i seguaci, gi,à tentano la scalata e così di seguito. Tanto ciò è vero, che Nenni di recente (come ho già rilevato) chiamò l e sedi del partito comunista, sedi delle organizzazioni operaie; e la gente là armata disse essere operai che provvedkzo alla loro difeso. Una delle due, caro Romita: se il classismo ammette tutti i partiti che organizzano operai, sarebbe un classismo non solamente socialista; ma se ammette solo gli operai organizzati dai socialisti, non sarebbe un partito democratico. Ancora una delle due, caro Romita: se il classismo ammette in politica la esistenza delle altre classi non sarebbe socialista; ma se ammette l'esistenza solo della classe operaia, - facendo degli altri gli ex-industriali, gli ex-proprietari di case e di terre, gli excommercianti perchè tutto sarà socialistizzato, - sarebbe dittatura e non democrazia. Da questi dilemmi cornuti non si scappa: classismo e democrazia non possono insieme sussistere. Nei due casi, dove metterà Romita i comunisti? fuori della classe operaia? fuori dei sindacati operai? fuori dei partiti operai? Ma di quale classismo egli parla? La verità è un7altra: il socialismo unificato sarà classista in quanto antiborghese; sarà socialista in quanto partito organizzato; sarà con i comunisti in quanto sindacato; avrà l a cooperazione dei comunisti al governo per necessità di voti. Ecco perchè io non confondo il classismo con il comunismo, come opina Romita; ma affermo che i l classismo lega i socialisti unificati, mani e piedi al comunismo! Vedere per credere? Desidero non vedere; lo desidero per l'Italia che io amo; combatto il socialismo unificato perchè non desidero vederlo come partito-guida nè come partito di alternativa. 23 novembre 1956.

( I l Giornale d'Italia, 25 novembre).

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L'UNIFICAZIONE SOCIALISTA E LA SITUAZIONE GOVERNATIVA Nonostante i linguaggi diversi d i Nenni e di Saragat, e dei rispettivi compagni, si dà per probabile che dopo i due congressi, del PSI a febbraio e del PSDI ad aprile, l'unificazione socialista divenga un fatto compiuto. C'è chi scommette per il lomaggio ; c'è chi la rimanda ad ottobre; si escludono i mesi di luglio agosto e settembre, perchè mesi di vacanza e di distensione. L'avvento dell'unificazione deve segnare una data euforica, durante gli equinozi e non mai durante i solstizi. Dal famoso primo incontro Nenni-Saragat ad oggi i1 governo Segni è stato sottoposto ad una costante svalutazione. Se tale critica venisse dall'oppositore Nenni, niente di male; ma viene da Nenni futuro socio d i Saragat, u n Nenni che dopo incontri segreti e palesi, dopo accordi d i continuare gli incontri non solo personali ma collegiali fra i due partiti; dopo dichiarazioni di rappresentanti italiani ed esteri delle organizzazioni socialiste internazionali, dice e ripete a più riprese che il PSDI dovrebbe, o avrebbe dovuto, abbandonare il governo. Lo disse prima del congresso d.c. di Trento, lo h a ripetuto dopo. Intanto, capitò la tegola di Poznam; in seguito quella incandescente e tragica dell'ungheria; vennero allo stesso tempo le preoccupazioni per il canale di Suez, i dissensi fra le grandi potenze occidentali. Sarebbe stato quello il momento di mandare a carte quarantanove l'unificazione socialista per una pretesa alternativa d i governo e rinserrare le fila. E proprio durante fatti così gravi è venuta fuori la discussione: elezioni subito. elezioni rimandate. Nenni sembra isolato; nella sua ultima relazione non parla della denunzia del patto con i comunisti, mentre il suo partito mostra di non volere il distacco. Tattica o politica? Nenni, che volentieri affretterebbe l'unificazione, non fa un mistero della sua concezione di politica internazionale, niente consentanea con quella dei paesi del patto atlantico, dell'UE0 e della NATO. Al contrario Saragat vuole una NATO efficiente e un rinsaIda-


mento del patto atlantico: mentre, strano a dirsi, egli concede a Nenni le attenuanti e l a buona attesa e, più strano ancora, Romita vorrebbe ridurre il patto a carattere difensivo come se fosse, o fosse stato, di tipo aggressivo. Tutto ciò nel momento delle maggiori difficoltà internazionali e della invadente politica di Mosca, che presenta allo stesso tempo due facce, quella del tradimento e della tirannide nel centro Europa; e quella dell'allettamento e degli aiuti in Siria ed in Egitto.

È del 17 novembre i l seguente periodo scritto a nome della sinistra democristiana; il tono e le affermazioni sono di -una sola persona, e forse non delle ultime, là dove viene qualificato come intempestivo lo scioglimento delle camere, prima che si siano chiaramente definite le nuove, non lontane, prospettive interne e internazionali, che si presume si profileranno, con una certa consistenza, nei primi mesi del 1957, fra la fine dell'inverno (congresso PSZ) e l'inizio della primavera (congresso PSDZ). Il C( monocolore )) oggi potrebbe voler dire le elezioni a febbraio, cioè in condizioni politiche e climatiche 1) tutt'altro che ideali; neanche se ad anticipati comizi elettorali si dovrà - come non è improbabile - arrivare, è bene per la democrazia italiana che sia almeno il sole d i giugno a tonificarle N. Si noti che le due parentesi e l e sottolineature (meno la prima) sono mie, e fatte per rilevare quel che si nasconde nel fraseggio opportunamente involuto del periodo riportato. L'opinione di chi scrive, o di chi interpreta, è chiara; niente elezioni prima dell'unificazione socialista; solo dopo l'esito dei congressi del PSI e del PSDI, se l'unificazione sarà fatta, seguirà lo scioglimento delle camere. Nenni non potrebbe parlare diversamente. Questo modo di valutare le situazioni appartiene al tipo di gente che discende dalla luna (fra non molto sarà un fatto compiuto; oggi no); ed ignorando i fatti dell'ungheria e non comprendendo la situazione mediterranea, nè avendo chiara idea degli scossoni atlantici, si dà al gioco della unificazione socialista, paralizza il governo per circa sei mesi rendendolo inabile


a imporre adeguata disciplina all'interno e a prendere leali impegni internazionali. Se da un lato il PSDI deve rivedere la propria posizione fluttuante e mettersi in riga con gli avvenimenti per non indebolire il governo; dall'altro lato l'ala sinistra della D.C. (non meglio identificata, ma abbastanza identificabile) deve essere richiamata al senso di responsabiliti nel solidale atteggiamento del partito di maggioranza sia nel parlamento, sia nel governo. Supponiamo che tutto vada come prevede l'anonimo scrittore da me citato, e che dopo i due congressi del febbraio e dell'aprile, saranno per giugno convocati i comizi; supponiamo anche che il socialismo unificato, non per meriti propri ma per vento di fortuna, conquisterà i l premio nel totocalcio elettorale e, divenendo i l primo dei partiti che la proporzionale ci regalerà, sarà invitato a formare il governo e con i partitini e frazioni di sinistra e in più l'appoggio, in aula s'intende, dei comunisti; è evidente che il nuovo governo di sinistra cercherà, nel campo internazionale, una neutralità che awanteggerà solo l a Russia. Quale sarà la reazione degli alleati d i oggi, Stati Uniti d'America, Francia, Germania, Inghilterra, Belgio, Olanda e altri paesi collegati? quale l'avvenire di un'Italia che cambierà casacca? Diverremo oltre che peggio della Siria, il ludibrio dei paesi civili? Si grida contro l a Francia, l'Inghilterra e Israele, mentre le sinistre non osano criticare Nasser per avere violato unilate. ralmente lo status quo internazionale del canale di Suez. Non intendo giustificare l'azione tardiva, incoerente e pregiudizievole dell'hghilterra e della Francia e sono d'accordo con I'ONU per lo sgombero delle truppe franco-inglesi e l'intervento della polizia internazionale del170NU; ma non intendo neppure giu* stificare Nasser. Gli atti di forza sono sempre gravidi di conseguenze inaspettate e dannose per le due parti. L'Italia ha interessi prevalenti nel Mediterraneo e non può disimpegnarsi dalla solidarietà alleata e cadere nelle mani del Cremlino attraverso u n Nenni in segreta o palese intesa con Togliatti e altri piccoli uomini dell'intrigo politico presente.

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Passiamo alla politica interna: si sono invocati provvedi-


menti contro il comunismo e perfino nuove leggi, mentre basterebbero di sicuro l e leggi vigenti, il buon senso amministrativo, l a disciplina impiegatizia e la sorveglianza sugli enti pubblici e le aziende IRI, E N I e simili, per mettere il comunismo e tutti gli altri partiti, nella legalità e nello spirito d i uno stato di diritto quale è l'Italia. A fare nuove leggi si perderebbero mesi per discuterle, approvarle e metterle in atto, e dell'altro tempo per averne i frutti che se ne sperano, se e in quanto non finiscano con l'essere, come spesso avviene, leggi controproducenti. Basterebbe, intanto, eliminare i .favori gratuiti e non meritati fatti ad uomini dei partiti di opposizione, sia affidando loro competenze amministrative, anche sotto pretesto d i rappresentanza operaia (che finisce con l'essere rappresentanza di partito), sia dando posti delicati negli enti statali e parastatali, per regolamenti, norme o accordi avvenuti al tempo della collaborazione nei comitati di liberazione e nel goveino tripartito, ritenuti tuttora vigenti per tolleranza o personale convenienza. Questo e altro avrebbe u n certo valore morale e risponderebbe a l criterio di amministrazione di governo di maggioranza, senza nessuna intenzionalità di squalificare a priori comunisti e altri partiti. Quel che maggiormente importa è la efficienza, governativa e amministrativa, il senso d i responsabilità, lo scrupoloso rispetto della legge, la cura e vigilanza della buona gestione, evitando sperperi e favoritismi. Eccita sempre malcontento rimandare a domani quel che si può fare oggi; un domani che spesso è di mesi e di anni, anche per quel che è dovuto verso cittadini o verso terzi contraenti, lasciando inascoltati i legittimi reclami e le giuste richieste. Roba generica questa? sì; ma utilissima per il momento attuale a operare quella rettifica di governo verso gli avversari e nel rispetto dei cittadini, che è richiesta da tutti. La svolta politica iniziata con il colloquio Nenni-Saragat porta ad un'attesa che supera la stessa combinazione che si tenta d i fare. C'è gente che prevede e teme; gente che re vede e sper a ; gente che prevede ed intriga. I1 futuro ministero delle par-


tecipazioni sarà una manna inaspettata per i l nido dei socializzatori. L'IRI, I'ENI, la RAI, I'IMI, sono, per gli unificatori, cittadelle da conquistare; non pochi dirigenti rivedono gli obiettivi, e intanto corrono per le bocche degl'iniziati liste di nomi per futuri amministratori, direttori, gestori e così via. Appena si 6apr.à l'esito del primo congresso, quello del PSI, il campo economico sarà in subbuglio. Ne vedremo di belle; si noteranno a vista i cambiamenti d i casacca; non mancheranno ripercussioni anche nel campo degli impiegati statali e parastatali. Non scrivo per allarmare, nè per incitare la D.C. all'offensiva o alla controffensiva. Tanto, l'on. Fanfani ha proclamato che l'apertura a sinistra è stata chiusa. Attendo di vederne gli effetti sulla sinistra democristiana, e su certe zone delle Acli e perfino dell'azione cattolica. Coraggio ci vuole a digerire il rospo dell'unificazione socialista; non mancano persone di stomaco forte, che per l'avvenire del Popolo (con la p maiuscola, perchè non si sa di quale Popolo si parli) credono che valga l a pena ingoiarlo intiero. Quanto a digerirlo, sarà un altro affare. Possibile che i l popolo italiano non senta di dover reagire in tempo alla pretesa e stolta unificazione, e reagire fortemente nell'interesse esclusivo dell'Italia, della vera Italia di tutti? 30 novembre 1956.

( I 1 Giornale d'Italia, 2 dicembre).

SENZA ATTENUANTI A quasi tre mesi dai fatti di Poznam, due dalla rivolta di Budapest, Nenni si decide a romperla con i comunisti. Gioca sulle parole: il patto ultimo che sostituì il precedente - tanto per dar mostra di attenuare i legami fra il PSI e il PCI, - è già, secondo lui, decaduto benchè non sia stato mai denunziato. I contatti fra gli elementi dei due partiti a l centro e nelle provincie continuano, nonostante la polemica in corso; nella quale


è difficile distinguere la verità effettiva dalla utile finzione; la realtà voluta dai capi dall'apparenza per conto della base. Se fatti così ripugnanti alla coscienza normale, quale l'infingimento di Mosca nel portare avanti trattative con gli ungheresi per per poi colpire un popolo intiero, già stanco del procura, invadendone il territorio con carri armati, facendo stragi e ordinando deportazioni, impedendo perfino i soccorsi sanitari e alimentari ai feriti, agli indigenti, ai privi di tutto; se tali fatti, io dico, non hanno indotto l'on. Nenni, come persona e come capo di un partito che si dice umanitario, a decidersi al distacco vero, effettivo ed attivo dai comunisti nostrani, solidali con Mosca contro l'Ungheria, come si può sperare da lui una politica seria ed onesta per l'avvenire del nostro paese? Ebbene, costui chiede fiducia al popolo italiano; chiéde fiducia perchè vuole divenire il capo del partito socialista unificato, fornito di buoni mezzi per togliere i1 posto all'attuale partito di maggioranza, la D.C., l'unica che abbia la forza e la struttura atta, se vuole, a fronteggiare il pericolo del socialismo unificato e del comunismo in agguato. Che si tratti di un pericolo ci vuol poco a capirlo. Nenni, che da giovane è nella politica, ed ha visto o partecipato ad eventi eccezionali per un tempo assai lungo che supera i quaranta anni (egli è del 1891): guerra libica, prima guerra mondiale, società delle nazioni, fascismo, nazismo, esilio, guerra etiopica, guerra di Spagna, seconda guerra mondiale, e infine il decennio della repubblica italiana ; egli nulla, proprio nulla, i n tante esperienze avrà capito della Russia? E doveva aspettare l'atto di accusa di Krusciov per apprendere quale mostro sia stato Stalin, u n Ivan il terribile del secolo XX, un cinico assassino? E nulla apprese dalle teorie e dalle malefatte di Lenin? h l la di Trotskp accusatore, esule e assassinato? Nulla prima del tradimento, poscia della oppressione dei polacchi? neppure una idea di quel che successe nei tre paesi baltici occupati dai russi prima e dopo l'entrata in guerra? Questo premio Stalin (non pare che finora abbia restituito i milioni e buttato in faccia il diploma) era sul serio ignorante di tutto? Certo che n o ; conosceva e apprezzava ; conosceva e giustificava ; sentiva e chiudeva gli occhi; perchè nella sua fantasia trasformava gli orrori del-

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- S ~ c n z o- Politica

369 di questi anni.


l'inferno bolscevico, intra et extra i confini della santa Russia, per il sognato paradiso (terrestre, s'intende) del comunismo, che espropria ed espelle le classi possidenti, livella tutti al minimo comune denominatore, sia per la libertà che non esiste, sia per l'agiatezza che non si sogna; con la sola eccezione degli alti funzionari del governo e del partito, la nuova classe dirigente e politica dei bolscevici. I1 tentativo di rivolta della Germania dell'est e relativa dura repressione? Nenni finge di ignorarla, e dà per vera la versione che non gli operai o i contadini si fossero ribellati ( i soli che avrebbero voce nel mondo ideale di Nenni), sì bene i borghesacci (istigati dagli agenti provocatori degli alleati annidati tuttora nella Germania « felice », mentre l'altra, quella d i Bonn, sarebbe per Nenni la Germania u infelice » sotto il tallone di Adenauer). Nenni non potrebbe dire lo stesso della Polonia (le notizie ultime ci segnalano la rivolta dei contadini contro la socializzazione delle aziende); e neppure dell'ungheria, per la quale egli ha rivendicato un governo libero con struttura statale democratica. Ma egli non è arrivato a riconoscere che è lo stesso comunismo, e non solo quello di Mosca, che ne sarebbe il prototipo, quello che porta alla dittatura armata, alla sopraffazione dei popoli soggetti, alla confisca, alla deportazione, alla fucilazione anche di masse inermi. Il ravvedimento di Nenni, se dovremo chiamare così le sue dichiarazioni sulla libertà dei popoli e sulla democrazia dei regimi, non è conclusivo, non arriva alla condanna del comunismo sovietico come autore e responsabile di quasi quaranta anni di tirannide, d i circa venti anni di occupazione dei paesi baltici, di diciassette anni di dominio su met.à della Polonia annessa per il pactum sceleris con la Germania di Hitler; di quindici anni di dominio sulla Romania (con l'annessione della Bessarabia e altre zone) e della Bulgaria; più di un decennio d i dominio sulla Cecoslovacchia e sull'altra metà della Polonia e sulla Germania-orientale. Tutti atti di rapina, di malafede, di repressione, di una inaudita barbarie. Nenni, per giustificare la sua condotta riguardo tali occupazioni, potrà rinfacciare l'acquiescenza degli alleati, il patto di


Yalta e quello di Potsdam e i l loro successivo contegno remissivo. Ma non potrà credere, nè farci credere, che gli alleati, nel consentire le occupazioni militari, abbiano allo stesso tempo approvato gli atti tirannici della Russia su popoli e su stati liberi, specialmente quelli che avevano combattuto insieme con gli stessi alleati, ovvero avevano mantenuto una rispettosa neutralità. Dopo tutto, Nenni deve ricordare che la condotta storica dei partiti socialisti è stata a fianco dei popoli che han rivendicato la libertà e l'autonomia; non ricordo che siano stati alleati con l'oppressore e con il tiranno. Solo ora si sono capovolte l e situazioni; perchè, secondo Nenni, il governo paternalista absburgico, benchè duro, sarebbe stato più tirannico di quello comunista di Mosca; mentre secondo i fatti e le statistiche, il governo comunista di Mosca è uguale, se non peggiore di quello di molti degli zar dei secoli passati. I n queste condizioni, quale affidamento potrà dare un Nenni, che h a gli occhi aperti per non vedere le vittime comuniste, le orecchie distese per non sentirne le grida di angoscia e d i disperazione; la mente aguzza per non prevedere quel che potrebbe succedere allYItalia con un governo socialcomunista che la distacchi dall'alleanza atlantica e ne tenti la neutralizzazione per conto di Mosca; un Nenni impotente perfino a ripetere il gioco di Tito fra Mosca e Washington, perchè l'Italia avrebbe tradito gli alleati, macchiando i l suo onore e manomettendo i suoi più vitali interessi? Nell'un caso e nell'altro, Nenni sarebbe senza attenuanti i l traditore della patria; ma lo sarebbero anche coloro che oggi, contro la perfidia di una apparente unificazione socialista, si gingillano con anonimi articoletti agrodolci, e non sanno levare in tempo la bandiera della difesa ideale ed effettiva della patria in pericolo. 4 dicembre 1956.

( I l Giornale d'Italia, 6 dicembre).


IL SESSANTENNIO DELL'AVVENZRE D'ZTALZA

Caro Manzini, Di Acquaderni parlavano a casa mia e presso un mio zio, il prof. Emanuele Taranto Rosso preside e insegnante della exaccademia di Caltagirone poi trasformata in liceo, dove convenivano i più convinti e colti cattolici della città per animarsi gli uni gli altri. Io piccino e attento ad ascoltare i loro conversari, pensavo a d Acquaderni e a Bologna con desiderio infantile di conoscere, di sapere, di vedere. Presto mi iscrissi all'opera dei congressi e comitati cattolici e ne promossi la fondazione in vari comuni siciliani, fino al congresso del 1903. Allora visitai Bologna per la prima volta; partecipai a quel congresso che fu l'ultimo di quella benemerita opera, dove avvenne lo scontro fra il mondo che tramontava, rappresentato da Paganuzzi, e quello che nasceva, rappresentato da Giuseppe Micheli, che presiedeva il congresso e da don Romolo Murri che da sette anni era il leader della democrazia cristiana. Giuseppe Toniolo tentò, durante il congresso, una conciliazione che non ebbe fortuna; chi scrive cercò di portare la democrazia sul terreno della organizzazione, temperando l e ideologie troppo spinte con l'attività concreta e operosa. Le drastiche misure di Pio X fermarono il contrasto riportando sul piano religioso i problemi allora agitati, e dando all'azione cattolica il prevalente carattere formativo e quello di cooperazione all'apostolato della chiesa. Questo soffio etico religioso doveva in seguito animare ogni attività dei cattolici, anche sul piano civico, politico, sociale. Non dimenticherò quel mondo d i Bologna; la Bologna del cardinal Svampa, uno dei più grandi cardinali del tempo; la

(*) Lettera a Raimondo Manzini, direttore de L'Avvenire d'Italia.

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Bologna di Rocca d'Adria, con le sue note e notevoli campagne di stampa, che potevano sembrare eccessive, senza che egli perdesse il suo equilibrio tradizionale; la Bologna col suo p m dente e fiorente Credito romagnolo, vicina alla intraprendente Ferrara di Grosoli; la Bologna dalla tutta propria e singolare vita universitaria, fatta di entusiasmi e di contrasti ( n o n dimenticherò mai i l poeta Zanetti). I n tale ambiente il congresso del 1903, presentando una straordinaria vitalità dei cattolici italiani, mi fece concepire nuove speranze per l'avvenire. I1 titolo del vostro giornale ne era presago. Due anni dopo, nel momento del maggiore sconforto, quando l'opera dei congressi non esisteva più, l'unione popolare era in incubazione, la democrazia cristiana in sospetto e in crisi, da Caltagirone, dove ero sindaco e dove si ripetevano in piccolo i contrasti del mondo cattolico del tempo, lanciai il noto discorso per u n partito nazionale di cattolici, discorso che, pubblicato subito su Cultura Sociale e diffuso in opuscoli, fece epoca. Sei o sette anni dopo (non ricordo l a data esatta) tornai a Bologna come membro del consiglio dell'associazione nazionale dei comuni italiani, per un congresso che ebbe larghe risonanze e nel quale i l gruppo dei consiglieri cattolici (io li chiamavo democristiani) ottenne nuova conferma, mantenendo la maggioranza d'intesa con i liberali, mentre restavano in minoranza radicali, repubblicani e socialisti uniti insieme. Era il periodo di ascesa di quell'associazione che legava oltre tremila comuni, con quasi tutti i capoluoghi ivi rappresentati, e attraverso l a quale io mantenevo i contatti con quasi tutti i comitati elettorali amministrativi dei cattolici, mentre nella sopravvissuta unione elettorale cattolica italiana, del cui consiglio facevo parte, tessevo con prudente riserva le file del futuro partito, cui sempre miravo. Finalmente i l partito fu fondato nel gennaio 1919, e f u scelta Bologna sede del Io congresso. L'attesa era intensa da ogni parte, come novità di politica interna la più interessante del dopo guerra, quando fra le disillusioni i n sede internazionale, i tentativi rivoluzionari delle sinistre e la incipiente reazione fascista-agraria della Va1 Padana, la presenza attiva dei


cattolici democratici inseriti nello stato costituzionale, tendeva ad essere una bussola nel generale disorientamento. Questa volta trovammo a Bologna l'Avvenire con Paolo Cappa direttore, nel suo giovanile fervore e nella sua piena esuberanza, pur sempre quella di un genovese che non perde mai la bussola. Trovammo molti amici, fra i quali l'indimenticabile Milani, che divenne, con Gronchi, l'oratore più squisito e incantevole di Montecitorio. Bologna cattolica rispose ai popolari con piena comprensione; Bologna laica e socialista, sia pur diffidente, rispose con quel bonario equilibrio che non le manca mai anche nelle lotte più accese. Oggi, compiendo 85 anni, torno col pensiero di gratitudine e di ammirazione ad Acquaderni, grande pioniere cattolico, sorto quando pareva che molti del mondo laico e colto venissero abbandonando credenze e pratica religiosa; vero antesignano d i quella attività cattolica che doveva svilupparsi in tutti i campi della vita moderna. La libertà, che si affacciava alla mente dei cattolici d i allora, non era stata conosciuta nè apprezzata e da molti solo accettata come metodo di lotta con tutti i suoi inconvenienti e tutte le deficienze di coloro che ne difidavano per sè stessi e per gli altri. Bisognava farla conoscere e apprezzare come senso di responsabilità, come autolimitazione e autodisciplina, come bisogno d i ordine, come dovere civico, come solidarietà politica e sociale. Quello che avvenne allora per i pregiudizi degli oppositori e gli abusi dei fautori, avviene oggi nella ripresa, dopo la soppressione della libertà per un ventenni0 e più. Occorre quindi rieducarci, noi e gli altri, a saper vivere in libertà, assumendo l e proprie responsabilità, affermando i propri ideali e, nel nome del cristianesimo e della democrazia, affrontando le lotte che gli eventi e il dovere imporranno. L'esempio dei nostri grandi, degli antecessori, dei lottatori, dei caduti sulla breccia, esempio di fedeltà, lealtà, onestà e sacrificio, tante volte muto ed incompreso, spinga anche noi a combattere, a soffrire, a sacrificarci, superando gli egoismi faziosi, le ambizioni incomposte, gli sconforti irragionevoli di


coloro che non hanno fiducia in Dio, nè senso del compito che Dio ci ha assegnato nella vita moderna. Auguri e saluti fraterni. LUIGI STURZO 26 novembre 1956.

(L'Avvenire d'Italia, 8 dicembre).

110. CLASSISMO COMUNISTA E CLASSISMO SOCIALISTA Due le osservazioni fattemi: la prima: non si può confondere (come io avrei fatto) il classismo comunista con il classismo socialista; l'altra che non esiste classismo perchè non esistono più classi distinte e legalmente organizzate, a meno che non si ritorni al corporativismo. Questa seconda affermazione va affrontata subito. Le divisioni della società in classi organiche caddero inizialmente con la rivoluzione francese. Ammesso il principio che la legge è uguale per tutti cadde il sistema dell'ancien régime di leggi e di giurisdizioni per determinate categorie, caddero le immunità e i privilegi perfino quelli degli abiti e delle insegne. Sciolte le corporazioni si riconobbe all'individuo (cittadino) l'eguaglianza, che si andò attuando come diritto e anche mano a mano come costume. F u in seguito abolita anche la servitù della gleba, la fissità delle residenze. La eguaglianza politica fu realizzata col suffragio universale, di recente esteso alle donne. Ciò nonostante, rimase la differenza derivante dall'attività professionale e dalle rispettive condizioni economiche; mentre lo sviluppo industriale riunendo le imprese in centri urbani portò alla rarefazione delle campagne ed ai grandi agglomerati operai. I1 marxismo, elaborando la teoria della lotta di classe sulla base della prima industrializzazione, fissò la nomenclatura di classi operaie e di classi capitaliste e ne preconizzò il conflitto


diretto a soppiantare la seconda a vantaggio della prima che riunirebbe insieme economia e potere. Conclusione: non esistono oggi classi distinte, giuridicamente riconosciute e disciplinate; esistono categorie economiche aperte a tutti, liberamente e privatisticamente organizzabili sull a base della liber& di associazione in quanto una delle libertà fondamentali. La concezione corporativista con il ripristino della corporazione chiusa, legalizzata, organizzata, con diritti e privilegi non è di attualità; la corporazione non riuscì a l fascismo, nè ad alcuno degli improvvisati imitatori ed epigoni. Nei paesi civili oggi esiste i l sindacato libero; nei paesi dittatoriali, i l sindacato unico: ecco tutto.

Se il sindacato operaio si ispira a finalità marxiste, pur usando il metodo sindacale e libero per i vantaggi immediati dei lavoratori, indirizzerà la sua politica verso la dittatura del proletariato. Al contrario, il sindacato cristiano e quelli a tipo laico, ammettendo la convivenza e la collaborazione delle categorie economiche, userà i l metodo libero, anche fino allo sciopero, solo a scopi pratici e non politici, escludendo la soppressione delle classi per il predominio di quella operaia. I1 riferimento al classismo marxista è l'unico che possa farsi, perchè le altre concezioni sindacaliste a tipo anarcoide, quali quella di Sorel in Francia, e anche in Italia quella di Alceste De Ambris (prima di passare al fascismo) non ebbero larga diffusione e servirono solo alle varie orientazioni della dialettica organizzativa operaia del tempo. Le esperienze pratiche alle quali riferirci sono solamente quelle dei comunisti; non mai quelle dei socialisti, i quali si son trovati nel passato e nel presente o a dover collaborare con altri partiti, come nell'olanda, Belgio, Francia, Italia, Germania in una società composita e con prevalente economia di mercato; ovvero ad operare da soli, sul piano pragmatistico adatto alla mentalità inglese e scandinava, escludendo ogni preconcetto o schema teorico; e -indi in società approssimativamente definibile interclassista.


Nei due casi, il metodo prevalso presso i socialisti al governo è stato quello del riformismo (vecchia bandiera di Turati), adattando e gradualizzando le direttive verso la maggiore partecipazione operaia alla ricchezza e al potere, pur senza escludere teoricamente la dittatura del proletariato, ma per molti col sottinteso del campa cavallo I1 fatto vero è che i socialisti al potere sono stati sempre, meno pochissime eccezioni, dei borghesi, degli intellettuali, dei professionisti, degli uomini di affari, dei propagandisti di professione, dei possidenti e dei redditieri; di classismo operaio hanno avuto nel sangue pochissimi globuli solo sufficienti per il complesso demagogico. A un secolo di distanza e con tanta azione pratica dei sindacati, u n vero proletariato antagonista del capitale non esiste che nei comizi d i piazza; la dittatura del proletariato è decaduta dopo l'esperienza di quella di Mussolini, Hitler e Stalin e degli imitatori di destra e d i sinistra. Che cosa sarà, in tal caso, il classismo socialista unificato? Nenni, Saragat e Romita, come carattere essenziale del socialismo unificato? Le polemiche socialiste del principio di questo secolo, presentavano come primo traguardo delle riforme, o della rivoluzione, il cosiddetto socialismo d i stato con la socializzazione dei mezzi d i produzione. In tale sistema sarebbe soppresso il capitale privato, pur lasciando sopravvivere l'economia domestica, l'artigianato, il piccolo commercio, come funzione di attività complementare da collegarsi alla funzione economica e capitalistica dello stato. Non si trattava di restare a mezza strada, dando ai piccoli il mezzo di divenire grandi; ma di trasformare la società per gradi, fissando i limiti dei guadagni con sistemi fiscali abbastanza drastici. Chi pensava così, ignorava o trascurava la dinamica politica: ammetteva nello stato non solo un potere regolatore, ma un potere assoluto sul risparmio e sull'impiego, portando due conseguenze antisociali, la evasione o la fuga del denaro all'estero, e la organizzazione e difesa di classe ( l a capitalista) per una politica di rivincita; come accadde in Inghilterra nel 1950, facendo così rientrare il socialismo nella dialettica dell'alternativa dei partiti. Ma se venisse soppressa anche la liber-

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tà, di diritto o di fatto, la dittatura sarebbe attuata dai socialisti a l potere, tanto più dura, quanto più immediato ed efficiente potrebbe essere il pericolo dell'alternutiva dei partiti al governo. Questo socialismo di tendenza, che è caratteristico anche della sinistra democristiana, ma che manca di base perchè manca l'unità della classe operaia, farebbe, ma solo nominalmente, classisti tutti i partiti, perchè ciascun partito tenderebbe a tutelare gli interessi delle categorie che principalmente rappresenta. Questa concezione è negata da Nenni, che accusa i l governo d i immobilismo; l a negano anche Saragat e Romita per i loro ricordi marxisti ai quali non vogliono mancare di lealtà. I1 che porta a concludere che il classismo invocato dai tre futuri dirigenti del socialismo unificato sarebbe il classismo integrale proprio del marxismo. Con l a rivoluzione dell'ottobre 1917, il cui influsso arrivò prima e dopo la guerra ai paesi occupati o sotto l'influenza moscovita, è stato realizzato un classismo che ha per premessa la teoria di Marx, con il metodo rivoluzionario per spossessare l e classi privilegiate e rendere soggette le classi lavoratrici. La dittatura politico-militare ha preso in mano tutto il potere; i l partito unico ne è stato lo strumento adatto a tenere soggette le masse e istaurare un'economia di stato, affidata, diretta o controllata dalla burocrazia, spesso ignorante e poliziesca. Stalin interpretò il marxismo sul piano politico e ne fu il tiranno senza scrupoli, all'interno, con le repressioni, l e purghe e le vendette; all'estero, con l e astuzie, gli infingimenti e i ricatti. Nessun classismo vero esiste in Russia; ivi esiste una classe politico-burocratica. Prima dominò lo zar in nome dei proprietari terrieri; poscia Lenin, Stalin e i presenti successori in nome della classe lavoratrice. Più che classismo, quello russo è un capitalismo di stato; i dirigenti del governo e del partito unico ne sono i gestori ed i profittatori; la classe unica lavoratrice è messa sul livello economico dei partecipanti ai ~ r o f i t t idello stato, nella misura che un'economia povera possa mai dare; tranne che non si tratti di operai delle industrie statali a scopo bellico, nelle quali le paghe sono più alte; il rendimento che


se ne esige porta a diversi sistemi di paghe e ad una disciplina caporalesca che fa sempre sentire il peso della dittatura. I sindacati operai sono apparenti; e tutto si infrange nella volontà di dominio che opprime e dissecca ogni iniziativa. Se il popolo russo risente meno del cecoslovacco e del magiaro e anche del polacco, romeno e bulgaro, o dei baltici, ciò è dovuto al tradizionale stato di servitù, non essendo mai il popolo russo arrivato a godere dei diritti e dei benefici della libertà dei popoli civili. I n conclusione, classismo socialista idealmente uguale a classismo comunista, in quanto l'uno e l'altro derivano dalla teoria marxista della classe operaia organizzata per la conquista del potere e la dittatura del proletariato. I1 fatto, come per molte teorie marxiste è diverso; non esiste un classismo socialista neppure nei paesi dove i socialisti sono stati e sono al governo sia da soli sia con altri partiti detti borghesi, e neppure esiste un classismo comunista, dove vige la dittatura politica anche sul sindacato unico dei lavoratori. I1 classismo di Nenni, Saragat e Romita, se dal campo teorico dovrà discendere al pratico o sarà quello dittatoriale .dei soviet, con la confisca delle classi possidenti, ovvero sarà l'interclassismo dei paesi come l'Iighilterra di Attlee e il Belgio di Spaak. In ogni caso il futuro classismo socialista, non bene identificabile, dovrebbe fare i conti da un lato con la democrazia cristiana, dall'altro con il partito liberale e quelli di destra, con le classi economiche della borghesia e dei ceti medi, e anche con le stesse classi operaie non socialiste nè comuniste; non sembrando possibile (allo stato presente) che si ripeta il conformismo dei tempi del fascismo; a meno che le classi industriali agrarie e commerciali si considerino battute senza combattere e si mettano al seguito di tutti gli IRI, gli ENI, i Poligrafici, gli enti riforma, cellulosa e carta, risi e canapa eccetera, di marca fascista e corporativista, che oggi ci fanno pregustare l'ordinamento economico socialistizzato della futura dittatura socialista nenniana, con la soddisfazione dei comunisti che non stanno a guardare. 9 dicembre 1956.

( I l Giornale d'Italia, 12 dicembre).

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MESSAGGIO AL CIRCOLO D I CULTURA (< LUIGI STURZO

(")

Caro onorevole presidente, verso di me nell'aver voluto mettere i l mio nome a l vostro circolo d i studi, dedicando a l mio ~ e n s i e r oil corso che l'amico on. Zoli viene ad inaugurare, mi obbliga a non essere assente, spiritualmente, e a partecipare con voi al dibattito che si inizia. I n questa occasione mi piace f a r rivivere certi cari ricordi di Napoli, della Napoli d i allora, intellettuale, municipale, meridionale, sempre affascinante, che io non ho cancellato dalla memoria, e non lo potrò mai, per la continuità, senza interruzioni, della mia vita di studioso e di organizzatore. Da quando, allievo della Gregoriana, facevo la spola fra Caltagirone e Roma, non mancai di fare una visita al santuario di Valle di Pompei e, prima o dopo, una fermata a Napoli ; dove ritrovavo sempre cordiali i miei amici di allora, Francesco Parlati, il barone De Matteis, i l tenente Avolio, Giulio Rodinò e poi Domenico Russo, con i l gruppo intelligente, attivo, fervido del circolo universitario, Pontecorvo con i l quale partecipai personalmente a comizi democristiani e a contraddittori con socialisti in vari paesi vesuviani. Mi rimase impresso il contraddittorio tenuto a Ponticelli, finito verso mezzanotte e chiuso con una indimenticabile dimostrazione e fiaccolata finale. In una d i queste fermate a mezzastrada, nel 1902, tenni nell a vostra città una conferenza su Leone XZZZ e la democrazia cristiana, e una lettura storico-critica al circolo universitako cattolico sul tema Chiesa e stato sotto i Borboni. Ne avevo scritto un'altra su Chiesa e stato a Roma capitale d'Italia. I1 tema

(e) Inviato al presidente del circolo, on. prof. D'Ambrosio, in occasione dell'inaugurazione dell'anno sociale.


mi seduceva; e fu per me oggetto di molti studi; ma dovevo attendere l'esilio per scrivere i l volume « Chiesa e stato D, ~ u b blicato prima in francese a Parigi, i n seguito in inglese a Londra e a New York; spero che non tardi troppo l'edizione italiana (**). Un'altra occasione nel 1904 mi tenne a Napoli più a lungo: il terzo congresso dell'associazione nazionale dei comuni italiani, dove brillò il vostro e nostro Giulio Rodinò; assemblea molto sostenuta, a maggioranza socialista-radicale, con minoranza liberale; i cattolici, sotto qualsiasi denominazione, quasi assenti. Allora si tentò una lista d i presenza: Sturzo, Micheli, Rodinò e altri due dei quali non ricordo il nome: lista ~ O C ciata. Ma questo fu i l seme: nel congresso seguente si entrò in due nella minoranza; al quinto si arrivò a quattro; a l sesto O settimo (i congressi erano annuali) l a maggioranza radico-socialista fu scalzata di sella; e chi scrive ne divenne i n seguito il vice-presidente (mentre fu eletto presidente il sindaco di Milano senatore Emanuele Greppi). Fu quello il periodo aureo dell'associazione; la rivendicazione delle autonomie comunali prese un carattere costituzionale mentre il socialismo vi metteva l'ombra del sovversivismo allora molto accentuato. Quando, dopo venti anni e più di fascismo, che abolì perfino la libera scelta degli amministratori comunali, si riebbero l e libertà costituzionali, l'ondata autonomistica del 1945-47 non sembrò affatto un eccesso; si arrivò alla istituzione delle regioni, di cui solo il misoneismo dei liberali e il poco coraggio di certe sfere democristiane ha fatto fermare a mezza strada l'attuazione. Ma soprattutto Napoli è legata al mio pensiero e alle mie battaglie come rivendicatrice dei diritti e degli interessi del mezzogiorno; problema questo da me vissuto e sempre di attualità per più di sessant'anni, e riaffermato in condizioni difficili nella ricorrenza del quarto anniversario della fondazione del partito popolare, i l 18 gennaio 1923 (anno I. dell'era fascista) alla Galleria Umberto I in una serata indimenticabile e in un'atmosfera di entusiasmi da una parte e di sospetti dal-

(**) Pubblicata in due volumi, nel 1958-59, Bologna, Zanichelli.

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l'altra. I n quella occasione riassunsi in discorso il mio pensiero e le mie battaglie sul mezzogiorno. Mi dissero che Giustino Fortunato definì ottimista tale discorso. Ma chi confronta i l mezzogiorno del 1923 e quello di oggi, dirà che non ero ottimista neppure nella visione di una politica mediterranea che mi si critica ancora; e che ero audace solo perchè alla speranza nell'avvenire aggiungevo una forte fiducia nella politica meridionalista ispirata ai principi della democrazia cristiana. Per quanto il momento della prima « occupazione D fascista del mezzogiorno (la definivo così con gli amici) non desse nessun affidamento, e non potevano d a m e affatto le origini fasciste di Va1 Padana, l'affermazione di allora fu per me come un testamento di chi si credeva alla fine della sua carriera politica. Napoli del gennaio 1923 ne consacrò l'ispirazione e l e finalità; Napoli del 1947 le riprese nel nome dell a democrazia cristiana riunita a congresso, e mi volle a capo del comitato permanente per il mezzogiorno. Dopo più di mezzo secolo, Napoli mi richiama agli stessi punti di partenza: sociologia storicista del mondo cristiano nella diarchia di chiesa e stato; autonomie comunali e regionali; problema meridionale; tutto innestato nell'attività politico-sociale della democrazia cristiana. Ma quale democrazia cristiana? quella dove spira dentro una fede che non viene meno i n tutte le fasi della storia: il cristianesimo apportatore di civiltà, che eleva ai fini supremi dell'uomo nella sfera del soprannaturale, e impregna di soprannatura1it.à tutta la nostra vita; e mentre nel piano spirituale ci trasforma da peccatori a fedeli del Cristo, nel campo della vita associata e terrena aggiunge la ~ossibilitàdi trasformazione da selvaggia a civile, da barbara ad umana, da egoista a quella dedicata al bene comune, rinvigorendo i centri di resistenza al male e sviluppando le facoltà superiori dell'intelletto e della volontà verso i l bene. Quali speranze potranno destare in noi le teorie opposte, quell e che oggi si diffondono nel popolo, comunismo e socialismo, e quelle di ieri, radicalismo e liberalismo? Fermo lo spirito ad un benessere terreno, anche di coloro, che oggi si appellano ad u n laicismo tollerante e ad un pragmatismo che in fondo è solo


edonistico, come potranno essere sviluppate le virtù sociali senza un soffio etico religioso che ne diriga le finalità e fecondi le opere? La missione del cattolico in ogni attività umana, politica, economica, scientifica, artistica, tecnica, è tutta impregnata di ideali superiori, perchè in tutto ci si riflette il divino. Se questo senso del divino manca, tutto si deturpa: la politica diviene mezzo di arricchimento, l'economia arriva al furto e alla truffa, la scienza si applica ai forni di Dachau, la filosofia al materialismo e al marxismo; l'arte decade nel meretricio. Non sembri strano: anche in tali decadenze, potrà mostrarsi qualche barlume di verit,à, qualche sollecitazione alla speranza; qualche soffio di amore; perchè l'uomo, anche il più depravato o il più insensibile ai valori spirituali, ha un'anima che può rivelarsi tale se arriva al contatto con un'altra anima che porta in sè il soffio della verità e dell'amore. Senza verità e senza amore l'uomo non può vivere; se egli intreccia l e sue giornate fra la menzogna e l'odio è peggio di un bruto. Purtroppo, accade che l'uomo abbia due vite: una l a sua da uomo, fatto di lampi di verità e di slanci di amore; ma vi si sovrappone subito l'egoismo che lo porta all'inganno di se stesso e del prossimo. Trasportato questo fenomeno nel campo degli studi, egli può divenire solo u n mestierante o u n falso profeta; nel campo dell'arte, un mistificatore, nel campo dell'economia, un parassita; nel campo della politica un demagogo o u n profittatore. Ecco perchè agli studiosi di discipline morali si dà come primo precetto la immedesimazione della teoria nella pratica; l a iniziazione etica e non solamente intellettualistica o tecnica. Anche nella politica è così. C'è chi pensa che la politica sia un'arte che si apprende senza preparazione, si esercita senza competenza, si attua con furberia. È anche opinione diffusa che alla politica non si applichi la morale comune, e si parla spesso di due morali, quella dei rapporti privati, e l'altra (che non sarebbe morale nè moralizzabile) della vita pubblica. La mia esperienza lunga e penosa, mi fa concepire la politica


come saturata di eticità, ispirata all'amore del prossimo, resa nobile dalla finalità del bene comune. Per entrare in tale convinzione, occorre essere educato al senso di responsabilità, avere forte carattere pur con le più gentili maniere, e non cedere mai alle pressioni indebite e alle suadenti lusinghe per essere indotto ad operare contro coscienza. Si sbaglierà, d i sicuro, non mai di prsposito e ad occhi aperti, nè per volontà perversa e a fini egoistici: l'errare è dell'uomo, i l perseverare è del diavolo. Amici, oggi primo dovere dell'italiano, sbattuto fra l e correnti più varie della politica di destra e di sinistra, è quello di evitare che l a patria divenga preda del comunismo moscovita; eviti che il materialismo marxista si insedi al potere; prevenga l e correnti reazionarie che potrebbero gettare le masse nelle braccia del socialismo, sia o no unificato, ma fondamentalmente anticristiano. Difficile compito per coloro che non son preparati moralmente o intellettualmente alla lotta; più difficile per coloro che hanno poca fede; impossibile per coloro che non hanno il coraggio del dovere; possibile solo per coloro che credono al comando di un Dio che mandò i suoi discepoli come agnelli in mezzo ai lupi e santificò il mondo con il suo sacrificio e quello dei suoi martiri e dei suoi seguaci. Sarebbe forse possibile all'uomo ottenere nulla senza sacrificio? E non è l a vita una milizia, come l a chiama Giobbe? Gli studi non sono forse una elaborazione dello spirito per l a lotta della vita? e che cosa ci aspettiamo nel mondo? la pace che non viene da Dio? Se è vero che vexatio dat intellectum anche con la sola ragione, è vero anche che Cristo non venne al mondo a darci una pace nel male; ma con la lotta e la vittoria sul mondo, quella vittoria che egli ottenne col suo sacrificio: Ego vici multdum; Egli ci dà le grazie nel campo dello spirito ai fini soprannaturali; Egli ci agevola il compito nel campo delle attività naturali se vissute nella fede; la vittoria della verità sull'ignoranza; l a vittoria della speranza sulla disperazione; la vittoria dell'amore sull'egoismo. Ecco la via dell'oggi e del domani, del cristiano che vu01


essere democratico e del democratico che applica seriamente alla politica l'ideale cristiano. Caro presidente, cari amici, si può avere un ideale più alto di questo? e ne saremo degni anche noi nella nostra vita di studiosi e di democratici cristiani? Ve l'auguro con tutto il cuore. LUIGI STURZO dicembre 1956.

( I l Popolo, 16 dicembre).

DEMOCRAZIA E SOCIALISMO Precisiamo: democrazia è regime di popolo e come tale, diverso ed opposto ai regimi personali, di casta o di classe, oligarchia, aristocrazia, teocrazia, monarchia. Di quale popolo? tutto il popolo; quanti partecipano a l regime quali cittadini di uno stato democratico formano il popolo, e il popolo, nelle forme accettate dalla democrazia moderna, esprime l a propria volontà costituzionale e legislativa. Quali leggi? quelle che sono in armonia con il regime democratico in base alla costituzione. D'accordo? d'accordo. Passiamo a chiarire che cosa indica la parola socialismo nel concetto storico e corrente: un regime basato sul popolo dei lavoratori, operai e contadini un regime di classe o classista; un regime che, attraverso la lotta di classe, tende alla dittatura del proletariato. Questi punti fondamentali sono stati accentuati dalla ideologia marxista che nel secolo scorso divenne l a prevalente sulle altre correnti del socialismo europeo; ed hanno formato l a base del comunismo, da quella fatta a nome del sindacato, che sarebbe caratteristica della concezione di Lenin; i l quale, trasportandoli in Russia, l i attuò sul piano della dittatura politica, con l'eliminazione delle altre classi e anche dei propri avversari. Stalin vi aggiunse la concezione imperialistica, necessaria conseguenza della dittatura.

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questi anni.


L'attuale internazionale socialista, pur avendo fatti passi tendenziali verso la democrazia, mantiene, accettando la tesi del classismo, secondo i casi e i vari partiti collegati, i suddetti punti del tipo marxista. I dirigenti del Comisco cercano di stare a mezza strada fra democrazia e classismo, ma se è democrazia non è classismo e viceversa; combinati insieme d.ànno una falsa democrazia se prevale il classismo, o un falso classismo ( e quindi un falso socialismo) se prevale la democrazia.

Un noto quotidiano dell'alta Italia, in un articolo d i fondo senza firma, distingue la lotta di classe fatta a nome del partito, che sarebbe caratteristica del comunismo, da quella fatta a nome del sindacato, che sarebbe caratteristica del socialismo. Ma la lotta sindacale si basa sulla ipotesi che il socialismo si adatti in permanenza ad un sistema economico di mercato, ne1 quale la lotta si svolge fra operai e datori di lavoro per i reciproci rapporti fra impresa e lavoro. I1 fatto è ben diverso: la lotta di classe, quella marxista, è lotta politica, è lotta di s t k t t u r a sociale (come si dice oggi) e tende di per sè ad una soluzione: o I'assoggettamento della classe padronale ( p u r mantenendo entro certi limiti la proprietà privata); ovvero l'eliminazione di tale classe attraverso l'economia statizzata o socializzata; ovvero il livellamento generale in una organizzazione economica comunistica. La prima soluzione ci dà il socialismo di stato ; la seconda il socialismo di classe; la terza il socialismo comunista. I1 fondo socialista è in tutti i tre casi. L'interpretazione di tale quotidiano risponde forse a certi stati d'animo di quella speciale borghesia che per quasi mezzo secolo h a ondeggiato tra socialismo e fascismo, ed ora è al bivio fra democristiani del presente e socialisti unificati del futuro. Più volte ho ricordato ai lettori che fin oggi non è esistito nei paesi liberi un regime socialista veramente tale. I1 regime che si afferma socialista è solamente quello dei paesi non liberi: la Russia con i suoi satelliti e gli imitatori vicini e lontani quali la Jugoslavia e la Cina. A parte le differenze ( e per i satelliti, le insofferenze popolari già venute a galla) si tratta di dittature


di partiti unici con militarismo e polizia segreta; non mai democrazia. Noi chiamiamo comunista siffatto regime, facendo una distinzione di carattere politico e pratico; ma i russi e gli altri paesi parlano di socialismo e si appellano a Marx e Lenin, i testi fondamentali del socialismo moderno. I partiti socialisti che partecipano al potere in collaborazione con altri partiti (che essi chiamano borghesi), si proclamano, per tattica o per convinzione, partiti democratici d i marca socialista e propendono verso una graduale attuazione del socialismo di stato. Anche nei paesi dove i socialisti hanno la possibilità di governare da soli e si trovano tuttora in alternativa con partiti borghesi, mantenendo le libertà di espressione, associazione e voto, seguono lo stesso metodo graduale mirando verso i l socialismo di stato. Se gli avversari sono forti e potranno arrivare a scalzare i socialisti, come avvenne nel 1950 i n Inghilterra, per quanto netto il contrasto ideologico e vivace l a lotta, I'interscambio di teorie e di metodi attenua il rigidismo socialista verso un pragmatismo riformista e utilitario che rende possibile l a convivenza. Non è così quando i socialisti sono i più forti ovvero hanno alle spalle forti correnti di integralisti e di massimalisti; in tal caso il linguaggio e la pressione si fa più sensibile verso il socialismo, che preludia ed attua l'antidemocrazia classista. I1 socialismo di stato si basa principalmente sulla statizzazione delle industrie e delle aziende agricole. Le prime, se limitate, potrebbero derivare anche da un classismo a favore degli imprenditori; come avvenne sotto i l fascismo con l a creazione dell'IRI, prima per salvataggio, in seguito per vero statalismo. Ma la statizzazione, spinta avanti come sistema, diviene un mezzo potente per attuare, nelle sue varie forme, il socialismo di stato.

Fermandoci all'attuale sistema di un'economia di mercato collegata ad uno statalismo economico assai diffuso, il classismo dei socialisti diverrebbe l'elemento dissolvitore della stabilità economica del paese e della stessa finanza statale. Confrontiamo i l tenore di vita da un lato quello dei paesi

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a democrazia aperta, cioè con la libera coesistenza delle categorie economiche e lo sviluppo anche contrastato delle loro esigenze; ammettendo per principio costituzionale le opportunità (come dice la carta americana) per ciascuno a realizzare il proprio benessere nel quadro del benessere generale. Dall'altro lato quello dei paesi a regime classista ( o pseudo classista), anche quelli che possiedono ricchezze di suolo e sottosuolo notevoli come la Russia; si troverà una differenza, in quantità e qualità, senza possibilità di paragone. Ma se dalle condizioni economiche difficili e ancora più differenziate che nei paesi democratici, guardiamo le condizioni politiche, dobbiamo conchiudere che solo una cecità voluta o uno sfrenato interesse di predominio può accecare a tal punto da non vedere la realtà, oggi qualificata come comunista, ma essenzialmente socialista. Questa mia affermazione, che per la corrente nomenclatura dei nostri partiti potrebbe essere messa in dubbio, è provata fino all'evidenza dal contegno del partito socialista nenniano, e specie dalla sinistra del PSI che sente la illogicità e tutte le difficoltà per distaccarsi dal comunismo di Togliatti, come del resto la sinistra del PSDI, sente tutte le attrattive per unirsi a Nenni. Le affinità concettuali politiche ed economiche sono per loro tali da non dar luogo alla possibilità, non dico di lotta che è esclusa anche dal PSDI, ma del semplice distacco fra comunismo e socialismo.

La democrazia è una conquista moderna non ancora completa nè egualmente maturata nella coscienza dei popoli a civiltà cristiana; negli altri popoli dell'oriente o dell'Africa, nonostante i tentativi, manca tuttora di base. L'Italia del risorgimento cercò, attraverso le libertà politiche, la propria unificazione; allora la democrazia era storicamente inattuabile; pensare che l'Inghilterra tardò fino al 1935 a definirsi democrazia; il Belgio attese il secondo dopo guerra; allora la democrazia era un vero privilegio della Svizzera e un'etichetta della Francia. In Italia si ebbero più tardi i partiti


liberali democratici e quelli democratici liberali; ma erano della stessa pasta. Mancava i l suffragio universale maschile, che si ebbe solo nel 1912. Ciò nonostante, l'Italia poteva dirsi tendenzialmente democratica sia per certe concezioni liberali progressiste, sia per i repubblicani, radicali, democristani e riformisti. I socialisti non furono mai democratici; furono principalmente organizzatori oltre che teorizzatori a tipo marxista anche senza comprendere che cosa fosse il marxismo, nonostante i pochi che se ne intendessero: Antonio Labriola per il primo. Circolava quel rivoluzionarismo di classe provincialesco e popolaresco, quell'umanitarismo sentimentale che avrebbe potuto sboccare verso un socialismo parlamentare laburista; ma il travaglio di correnti, l e sottigliezze di pseudo teorici, la pregiudiziale antiborghese che lo tenne lontano dal potere, e infine i bagliori della rivoluzione bolscevica, portarono il socialismo italiano al fallimento durante e dopo l a prima guerra mondiale.

Ventidue anni di dittatura fascista con un assai acuito statalismo ( « tutto nello stato - tutto per l o stato - niente fuori lo stato - è bene ricordare il celebre motto mussoliniano), il partito unico e il corporativismo politico, hanno portato 1'Italia ad una esperienza antidemocratica che non è cancellata nell'abitudine mentale, rendendo difficile instaurare una vera repubblica democratica. Dall'intesa fra i partiti di liberazione (CLN) all'attuale democrazia il travaglio della nuova Italia è stato notevole e non sempre soddisfacente. Per giunta, al posto del partito unico fascista, tutti i partiti politici hanno preso i metodi della partitocrazia, tentando di sovrapporsi agli organi del parlamento e del governo, anche con intrighi dietro le scene e con compromessi di dubbia origine. Si va formando attorno ai centri politici una categoria di parassiti ai quali poco importa che vadano su i democristiani, i socialisti o le destre, trovando modo di adattarsi per superare le difficoltà personali, e per avvantag-


giarsi appoggiati ad enti pubblici e semi pubblici, nazionali e locali, e tutte le filiazioni vere o fittizie di tali enti. Ăˆ proprio questo l'ambiente utile a Pietro Nenni per poter attuare il suo socialismo unificato, che porte~Ă l'Italia non alla democrazia, ma al marxismo, quello della dittatura di classe. 26 dicembre 1956. ( I l Giornaie d'Italia, 28 dicembre).


INDICE ANALITICO DELLA,35, 7475, 128-132, 240.243, 244-251. Cosn, 309-313. COSTITUZIONE, 103-105, 166, 199, 235239, 240-243, 244-251, 252-255, 268269, 286, 332, 340-343, 344-371. COSTUME, 235-239. CREDITO, 115, 309-313. CRISIDI GOVERNO, 3-5, 11-14, 173, 180184. - GIUDICI


219-223, 263-266, 267-269, 270-272, 274278, 281, 345, 360-361. E.N.I., 50, 66, 95-101, 108, 116-120, 127-128, 133-137, 141-146, 149, 154, 200, 209, 218, 256-260, 261, 279, 292, 301, 312, 353, 367, 368, 379. ENTI STATALI E PARASTATALI, 91-94,106110, 185-189, 233, 257-260, 289-292, 311-313. EUROPA,80-83, 164165. 40-43, 87-94, 120-123, 124125, 128132, 137-141, 145, 159-164, 165-168, 170-171, 176, 182, 193, 235, 238240, 244-248. PARTITI, 137-141, 159-164, 173-177, 198203, 219-223, 228-231, 259. P m m POPOLABE, 22, 36, 38, 153, 159, 203-205, 210-215, 223-228, 233-234, 261-263, 297. PARTIMCRAZIA, 6, 23-25, 30-35, 110, 159, 164, 205-209, 343. IMPOSTE, 87-91. 94101, 116-120, 123-128, 133I.N.A., 105, 108, 109, 110, 133-137, 154, PETROLIO, 137. 301. PIANO VANONI,96, 99, 115, 205-209, INDUSTRIA, 309-313. 292, 305-308, 309, 352. INDUSTRIALIZ 56-59, ~ A ~94, IO~ 112~, POLITICA ESTERA, 19-20, 263-266, 329116. 331, 359, 364, 366. INGIC, 92, 106-110, 197. P O L I ~ IN=& ~A 35, 5-7, 8-10, 11-14, ~ T Z I A T I V A PRIVATA, 115-116, 11U19, 15-20, 22-25, 27-39, 45, 87-94, 102157, 289-292, 296-300. 105, 149-152, 191-194, 227-231, 232I.R.I., 50, 155, 218, 229, 279, 301, 235, 263-266, 316-317, 343-371. 353, 367, 368, 379, 387. POLITICAIR'AZIONALE, 20, 21, 44, INVESTIMENTI STRANIERI, 98101, 114, 80-87, 111-112, 263-266, 282-283, 304, 118. 321-323, 346-351, 356.35% 366, 368371. P R E S I D ~ Z DELLA A BEPUBBLIU, 15-16, 35, 74, 102-105, 165-171, 244. PREZZI,305-308. PEODUT~IVITÀ, 59-63. WOLETAIUATO, 52, 296-300, 302, 319, 344, 375-379. PROPORZIOXALE,5-7, 8-10, 1417, 30, 302.


REGIONE,21-22, 63-65, 102-105, 177-180, 194, 267.269, 281, 285-288, 332-334. RELAZIONIUMANE, 335-340. REPUBBLICANI,15, 28. RIFORMAAGRARIA, 301, 311-312.



INDICE DEI NOMI

ACHILLE,39. ACQUADERNI Giovanni, 372, 374. ADAMO,216. ADENAUER Konrad, 86, 370. AGRIMI,132, 241, 242. ALBERTINILuigi, 215. AWISIO Salvatore, 3, 295. ALESSI Giuseppe, 196, 223, 267. AMADEOsen. Ezio, 104. AMBROSINIGaspare, 245, 246. AMENW Giovanni, 8, 160, 204. ANDREOTTI Giulio, 194, 195, 270. ARCOLEO GIORGIO,122. ATTLEE Clement, 82, 283, 304, 316, 321, 362, 379. AVOLIO,380.

BADOGLIO Pietro, 226, 231. BALDWINStanley, 192. BALLADORE PALLIERIGiorgio, 111. BARTESAGHI, 234. B E R ~ NG. E Battista, 87, 88, 225. BEVANH. T. Aneurin, 82. BEVIN Emest, 362. BIANCOFrancesco, 84. BISSOLATILeonida, 234. B o c u G., 358. BONOMIIvanhoe, 8, 161, 180, 203, 204, 232, 234, 359.

BORSALINO Giuseppe, 298. B o z z ~Carlo, 111, 331. BOZZINIFranco, 249, 250. BRACCIMario, 245, 246. BRACEE,314. BRUNINGHEINRIGH,84.

CALDARA Emilio, 359. CAMPILLIPietro, 22, 157. CAMPODONICO Aldemiro, 359. CAPPAPaolo, 162, 184, 374. CAPPI GIUSEPPE,244, 245, 246, 247. CAPUANO,112. CARISTIADiego, 130. CARANDINI Niccolò, 361. CASSANDRO Giovanni, 244, 245, 246, 247. CAVAZZONI Stefano, 159, 204, 212. CAVOUR Camillo Benso, conte di, 162, 211, 221, 286. CESCHI Stanislao, 12, 169, 181. CHAMBERLAIN Neville, 85. CHURCHILLWinston, 85, 87, 321. CICERINBoria, 83. CLEMENCEAU Georges, 322. CODRONCHI Giovanni, 48. COLAJANNI Napoleone, 190, 256. COLOMBO Cristoforo, 70, 72, 76. COLONNA DI CESARBGiovanni Antonio, 8.


COMMINPierre, 313, 314, 321, 322. CONDORELLI Luigi, 245, 246, 247. CORR~IIINI Camillo, 210, 211, 212, 214, 224, 226. CORTESEGuido, 259, 260, 288, 289, 290, 291, 292, 306. COSTAAndrea, 349. COSTA(armatore), 298. COVELLIAihedo, 270, 296. CROCEBenedetto, 41; 42, 298. CROSSMAN Richard, 235.

DALADIER Edouard, 85. D'A~~BROSIO Ferdinando, 380. D'ANGELOGiuseppe, 21. DANTE,185, 266, 298. DARLAN Jean Louis, 85. DE ARIBRISAlceste, 376. DE CARORaffaele, 256, 257. DE COCCIDanilo, 14. DE GASPERI Alcide, 10, 11, 39, 79, 84, 140, 160, 161, 162, 167, 181, 192, 195, 203, 204, 206, 212, 232, 263, 282, 296, 298, 331, 335, 349. DE GAULLECharles, 82. DEL VECCHIO,213. DE MARSANIGH Augusto, 270, 296. DE MARTINO Carmine, 14. DE MAT~EIS barone Luigi, 380. DE &TUN conte Albert, 297. DE NICOLAEnrico, 166, 244. DIAZ Armando, 213. DI VITPORIOGiuseppe, 324, 328. DONATIGiuseppe, 215. D'Ohwr, 7. DUGOXIEugenio, 149.

EDENAntony, 85, 87. EINAWILuigi, 166, 170. ENGELSFriedrich, 314. EULA Emesto, 244.

FACCAGiancarlo, 142. FACTALuigi, 8, 161, 181, 201, 211, 212, 213, 214, 224, 225. FANFANIAmintore, 5, 10, 11, 12, 13, 39, 91, 157, 162, 174, 181, 182, 194, 195, 198, 199, 206, 215, 219, 223, 270, 271, 295, 298, 331, 335, 344, 348, 368. FARAVELLI Giuseppe, 220. FEDERZONI Luigi, 211, 226. FERRARA Francesco, 190. F ~ R AGGRADI I Mario, 96. FINZI Achille, 359. F ~ D I N85. , FLORIOVincenzo, 112, 298. FODERARO Salvatore, 14. FORTUNATO Giustino, 382. FRANCO,359. FRASSATIAlfredo, 159, 210, 212, 213, 223, 227.

GALEOITISerio, 74, 130, 131, 242. GARIBALDI Giuseppe, 117. GASPAROTPO Luigi, 39. GEDDA Luigi, 264. GENTILEGiovanni, 298. GESU CRISTO,382, 384. GIARDLYA Camillo, 130. GIBSONHugh, 19. GIOBBE,384. GIOLIITIGiovanni, 8, 22, 36, 140, 158, 159, 160, 161, 162, 180, 203, 204, 210, 211, 212, 213, 214, 221, 223, 224, 225, 226, 227, 228, 234, 238, 301. GIUSEPPEd'Egitto, 49, 216. GIUSEPPEI1 d'Asburgo, 219. GOBFZTI Piero, 214. &NELLA Guido, 162, 270, 271, 298, 326, 327. GORTANI&Tichele, 142, 147. GRAXOIAchiie, 324.


GRASSIGiuseppe, 128, 240, 241. GREPPIEmanuele, 358, 381. GREPlord Edward, 86. GRON~EI Giovanni, 14, 16, 54, 74, 120, 158, 159, 214, 222, 224, 265, 293, 295, 298, 359, 360, 374. GROSOLI Giovanni, 373. GUGLIELMO I1 di Pmssia, 80, 322. GUIDOda Montefeltro, 185. G u z z ~ mdon G. Battista, 55, 56.

HARMELLéon, 299. HITLER Adolf, 80, 84, 85, 226, 266, 329, 370, 377. HOARESamuel, 85.

IVAN il Terribile, 369.

JACINIStefano, 84.

LEONEGiovanni, 246. LIZZADRI Oreste, 324. LLOTDGEORGE David, 83, 191. L u c c ~Piero, 351. LUCIFREDI Roberto, 78. L U ~ ~ G NAlfredo, ~ L I 211, 212, 214, 226, 234. M MAC DONALD Ramsay, 191. MAGRIDomenica, 195. MALAGODI Giovanni, 150, 162, 173, 174, 189, 198, 201, 232, 238, 256, 257, 260, 270, 279, 283, 290. MALENICOV Georgi, 86. MALVESTITI Piero, 127, 143. MANZINIRaimondo, 372. MARANINIGiuseppe, 245. MARAZZA Achille, 241. MARIOTTIGiovanni, 88. MARSHALL George, 154, 207. MARTINOGaetano, 14, 129, 241. MARXKarl, 294, 314, 317, 354, 378, 387.

MARXWilhelm, W, 85. KERENSKIALEKSANDR Feodorovic, 193. KFXJSCIOV Nikita, 266, 282, 283, 304, 351, 356, 362. L

LABRIOLA Antonio, 399. LA MALFAUgo, 119, 123, 124, 125, 126, 127, 133, 134, 135, 136, 137, 142, 143, 144, 145, 146, 148, 149, 150, 162, 220, 228, 229, 230. LA PIRA Giorgio, 43, 44, 45, 46, 48, 49, 50, 194, 195, 215, 216, 218, 219. LA ROCCAVincenzo, 25. LAUROAchilie, 270, 296. LAVALPierre, 85. -IN VWIMIR Ilic, 294, 349, 369, 378, 385, 387. LEONARDI, 134. LEONEXIII, 164, 299, 380.

MASARICK Jan, 357. MAT~EIEnrico, 94, 95, 97, 99, 100, 101, 117, 133, 134, 136, 141, 142, 144, 146, 149, 230, 330. M ~ m Giacomo, m 214, 234. MAURIAngelo, 262, 358. MEDAFilippo, 8, 37, 210, 212, 225, 234, 262, 358. MEDICIGiuseppe, 309, 310, 311, 312. MELLONIMario, 234. MENDÈS-FRANCE Pierre, 81, 82, 83, 85, 86. MENICHELLA Donato, 65, 68. MERZAGORA Cesare, 224. MICHELIGiuseppe, 37, 212, 261, 262, 358, 372, 381. MIUTI Fulvio, 374. Mrmzzo Silvio, 272, 274. MILLER,147. M I ~ S ~ E NJosef, T Y 52. MINIO Enrico, 88.


MOSTESIWilma, 106. MORLION Felix A., 63. MOROAldo, 12, 169, 181. MORRAn1 h v ~ r a r nRoberto, 48.

PATRONE Generoso, 26, 101. PEANOCamillo, 214. PELLA Giuseppe, 4, 11, 12, 13, 16,

~~~UNARIR 356. I,

MURRIRomolo, 372. MUSSOLINIBenito, 28, 37, 80, 211, 212, 214, 2.26, 227, 238, 294, 297, 301, 326: 329, 377.

NAPOLEONE Bonaparte, 80, 219. NASSERGAMALAbd-al, 366. NENNIPietro, 12, 14, 37, 91, 149, 150, 151, 246, 272, 284, 304, 320, 330, 349, 357, 366, 378,

152, 263, 278, 285, 308, 321, 331, 350, 360, 367, 379,

182, 264, 279, 294, 314, 323, 343, 351, 361, 368, 388,

183, 265, 280, 295, 315, 324, 344, 352, 362, 369, 390.

193, 266, 281, 296, 317, 325, 346, 353, 363, 370,

229, 270, 282, 298, 318, 327, 347, 355, 364, 371,

235, 271, 283, 303, 319, 328, 348, 356, 365, 377,

NICCOLINIGiov. Battista, 359. NITTI FRAR'CESCO Saveno, 8, 28, 65, 160, 161, 226.

ODORIZZI Tullio, 335. OREFICE,359. ORLANDO VITTORIOEmanuele, 8, 181, 224.

O R ~ NAugusto, A 131.

66, 91, 157, 162, 181, 182, 185, 191, 192, 238, 258, 301, 308, 345. PELMUXLuigi, 237. PETAINHenri, 85. PICCION~ Attilio, 162. PIO X, 372. PIO XI, 234. PISONIdon Ernesto, 55. POINCARÈJules H., 82, 83, 84, 85, 86. PONTECORVO, 380. POULLET,192. PRAMPOLINI Camillo, 349. PRETI Luigi, 77.

RATEENAUWALTEB,83, 84. REUTHERWalter, 219. RIBBENTROP Joachim von, 82. RICCIOStefano, 58. ROCCAD'Adria, 373. ROMITAGiuseppe, 10, 14, 16, 29, 233, 234, 349, 358, 359, 360, 361, 362, 363, 365, 377, 378, 379. ROSSI Ernesto, 96, 98, 233, 234. ROSSI Cesare, 226. ROSSI, 356. ROSSI ( e MARTINI),298. ROSSI Paolo, 359, 362. RODINÒGiulio, 261, 262, 263, 358, 380, 381. RUFFO Rufo della Scaletta, 84. RUINI Meuccio, 43. RUMORMariano, 54, 256. RUSCONIEdilio, 303. RUSSODomenico, &E, 261, 380.

PACCIARDI Randolto, 29, 150: 162, 167, 169.

P A G ~ U Z Giov. Z I Battista, 372. PAGELLA,252. PARLATI Francesco, 380. PARRIFerruccio, 232, 361. PASTORE Giulio, 229, 256, 323.

SAL~LHIA Antonio, 160, 211, 212, 226. SALVAMRELLI Luigi, 35, 189, 190, 203, 204, 213.

SANTUCCICarlo, 225. SARACENO Pasquale, 292.


SARAGAT Giuseppe, 6, 7, 11, 12, 14, 16, 149, 150, 162, 173, 174, 233, 234, 235, 282, 283, 284, 285, 286, 287, 298, 308, 314, 315, 316, 317, 31, 330, 331, 347, 348, 349, 353, 356, 358, 359., 361, 362, 364, 367, 377, 378, 379. SASSOLIdei Bianchi Filippo, 184. SAVARINO Santi, 35, 47. SCAVONETTIGaetano, 210, 211, 212, 214. SCELBAMario, 36, 70, 79, 162, 181, 190, 235, 256, 345. SEGNI Antonio, 185, 191, 222, 241, 293, 330, 331, 355, 356, 364. SERRATIGiacinto, 160, 224, 234. SHEPILOV Dimitry, 351, 353, 356. SIENIEWCZ Konrad, 164. SOLARIGian Maria, 171. SORELGeorges, 314, 376. SOTGIUGiuseppe, 106. SPAAKPaul-Henri, 379. SPADAdon Andrea, 260. SPEXANZINI Giuseppe, 184. STALINJoseph, 85, 263, 264, 265, 266, 282, 294, 304, 315, 320, 347, 349, 369, 377, 378, 385. STEPINAC, 52. STRESEMANN Gustav, 84. STURZOLuigi, 17, 22, 26, 29, 35, 40, 48, 56, 58, 79, 88, 102, 115, 133, 135, 147, 149, 159, 165, 172, 180, 185, 190, 205, 213, 214, 215, 226, 228, 257, 261, 267, 274, 300, 301, 302, 334, 335, 362, 375, 380, 381, 385. STURZO Nelina, 263. SVAMPAcard. Domenico, 372.

TASSOTorquato, 8. TAVIANIPaolo Emilio, 162, 270. TAYLOR Henry J., 17, 18, 19, 20. Alfonso, 242. TESAURO TITOJosip (Broz), 348, 371. T O ~ L I A TPalmiro, ~I 12, 91, 182, 183, 231, 235, 280, 282, 283, 284, 294, 298, 304, 316, 317, 320, 321, 347, 349, 366, 388. TONIOLOGiuseppe, 297, 372. TOVINILivio, 158, 159. TRABUCUEI Giuseppe, 87. TREMELLONIRoberto, 57, 87, 89, 90, 236. TROTZSKI(Leiba Bronstein), 369. TUPINI Umberto, 286, 287. TURATIFilippo, 160, 163, 234, 294, 349, 377.

VALERINino, 223, 227. VANONIEzio, 57, 65, 66, 67, 68, 87, 90, 96, 99, 100, 115, 117, 118, 135, 144, 157, 185, 193, 205, 206, 207, 208, 209, 255, 259, 260, 292, 305, 308, 309, 352. VELLAArturo, 160, 224, 234. VERONESI Giuseppe, 120, 122. VICENTINIGiuseppe, 225. VIGORELLIEzio, 359, 362. VIGORELLI Giancarlo, 233, 234. VILLABRUNA Bruno, 6, 7, 29, 220, 270, 361. VITTORELLI,15. VOGELSANG Karl, 297.

WIRTA Karl Joseph, 83, 84, 85. TADDEIPaolino, 210, 225. TAGLIAVIA, 298. TAMBRONI Fernando, 345, 355, 356. TANASSIMario, 173. TARANTO ROSSOEmanuele, 372.

ZAGARI Mario, 283. ZKV'G~TI (poeta), 373. ZOLI Adone, 191, 195, 307, 312, 335, 380.



INDICE

TAVOLA DELLE MATERIE

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. Pag.

. La crisi non sbocca nelle elezioni . . . . . Proporzionale e governo . . La proporzionale ieri e oggi . . I1 beneficiario della crisi . 5 . Proporzionale pura. corretta. mista . 6 . I1 comunismo i n Italia . . . . . . 7. Lettera al presidente del comitato lituano . . 8. Lettera a Giuseppe D'Angelo . . . . . 9. Amministrazione. non politica nei comuni . 10. Al congresso nazionale di silvicultura . . . 11. Autonomia locale. non contrabbando politico n . 12. Democrazia e partitocrazia . . . . . . 13. Castellammare « politicizzata n . . . . 14. Per la XXXII Fiera di Milano . . . . . 15. Significato del voto segreto . . . . . 16. Statalista. La Pira? . . . . . . . 17. Risposta alla lettera del sindaco La Pira . . 18. I pericoli per l'unità dei cattolici . . . . 19. Industrializzazione e fisco . . . . . 20. Dinamismo produttivistico in regime di libertà . 21. I1 ponte calabro-siculo . . . . . . . 22. Vanoni e « le leggi economiche n . 23. « L'uovo di Colombo . 24 . I1 futuro della corte costituzionale . 25.11cittadinoel'amministrazione . 26. In morte di De Gasperi . 27. Europa oggi e domani . . . . . . 28. Passato da tener presente a Parigi e a Londra . 29. L'ordine del giorno bocciato (forma e sostanza) .

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. . . . . . . . Pag. 30 Difesa delle istituzioni 31 Petrolio in Sicilia » . . . . . » 32 Investimenti americani e ~ e t r o l i o. 33 All'accademia italiana di scienze forestali 34 Presidenza della repubblica e regioni 35. Lo scandalo « Ingic » » 36 Problemi dell'organizzazione internazionale n 37.Mezzogiornoeindustrializzazione » 38 Allarme per l'E.N.I. » 39. Parlamento e opinione ~ u b b l i c a » 40. u Amministrazione e idrocarbun n » 41. La nomina dei giudici elettivi della corte costituzionale . » 42 Mezzogiorno e petrolio » 43 Disciplina parlamentare n » 44. I1 petrolio e l'interesse del paese 45 Petrolio e metano » 46 Ancora sulle ricerche di ~ e t r o l i o » 47 Sinistrismo politico . . . . . . . . . » 48 Sinistrismo economico . » . . . . . . . . » 49 Rapporti con Giolitti 50 Segretario politico, governo e parlamento » 51 Al congresso dell'unione democratica cristiana dell'Europa centrale 52 I1 secondo settennato » 53 Alla vigilia delle elezioni del presidente » 54 Difesa della libertà economica . » 55 Crisi del quadripartito o crisi dei partiti? . » 56 Messaggio ai siciliani . . . . . . . . » 57 Attenti ai mali passi . . . . . . . . . » 58. Lo sciopero dei aras statali » 59 Ancora sulla libertà economica . . . . . . » 60 Governi di minoranza . . . . . . . » 61 Libertà e autolimitazione » 62 u Partiti 1955 n n 63. Ancora sul « veto a Giolitti » . » 64 Partitocrazia e piano Vanoni . . » 65 Giolitti ottobre 1922 . . . . . . . . n 66 Polemica con La Pira . . . . . . . . » 67 I partiti e l e elezioni del 1956 » 68. Uno o due u veti a Giolitti n » 69 ((L'alternativa » e i partiti laici n 70 Vecchie e nuove u aperture a sinistra n n 71 Costituzione e costume n 72 I cinque giudici n 73 Il parlamento in un vicolo cieco n 74 2 la corte costituzionale in pericolo? . »

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75 Democrazia e sciopero 76 La mia lettera a Malagodi 77 Equivoco morale e civile 78 Ricordi 79 Neuni. le elezioni e l'« apertura a sinistra n 80 I1 decennale dell'autonomia regionale siciliana . . . . . . 81 Autonomie e regione 82 Apertura post-elettorale . . . . . . 83. Lettera a Silvio Milazzo 84 Assumere le proprie responsabilità 85 Nenni non può ... il paese non vuole. . . . . . 86 L' equivoco socialista . 87 Voti gratuiti e voti contrattati 89 Libertà economica in Italia 89 Maggioritari e proporzionalisti a Trento 90 Non confondiamo il cattolico sociale col socialista . . 91 La critica di Sturzo e i filo-socialisti . 92 Salari prezzi CIP e piano Vanoni 93 Costi e sperperi . 94 Socialismo unificato = comunismo . . . . 95 Con i comunisti e contro la D.C. 96 L'unificazione socialista i sindacati e la D.C. 97 L'esplicita conferma del P.S.I. 98 Messaggio al congresso di studi giuridici e politici 99 Messaggio al congresso democristiano di Trento 100 a Relazioni umane » a Stresa 101 Stato di diritto e stato a di fatto n 102 Nenni e Trento e viceversa 103 Nenni. il convertito! 104 Economia socialista e libertà 105 I fatti dell'ungheria e l'« unificazione n 106 I1 partito-pilota (all'amico Romita) 107 L'unificazione socialista e la situazione governativa 108 Senza attenuanti 109 I1 sessantennio dell'dvvenire d'Italia 110 Classismo comunista e classismo socialista 111 Messaggio al circolo di cultura a Luigi Sturzo n 112. Democrazia e socialismo . . . . . .

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Indice analitico

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Indice dei nomi

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Tavola delle materie

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