Il Sudicione, Gabriele Peddes, 2010

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A. J. Afanasjev

G. Peddes

Il Sudicione

Accademia di Belle Arti di Bologna





Il Sudicione Testi di Aleksandr Nikolaevic Afanasjev Traduzione di Gigliola Venturi Illustrazioni di Gabriele Peddes

Accademia di Belle Arti di Bologna

corso di Illustrazione a.a. 2009-2010 docente Octavia Monaco



Un soldato, dopo che ebbe partecipato a tre guerre senza averne ricavato un fico secco, venne mandato in congedo.


Si mise in via e, cammina cammina, arrivò a un lago e si sedette. Se ne sta seduto e rimugina un pensiero: «Dove andrò adesso, come vivrò?... Neanche il diavolo mi vorrà assumere come lavorante!» Ebbe appena pronunziate quelle parole che gli compare innanzi un diavolicchio, che gli fa un inchino.



– Salute, soldatino! – Cosa vuoi? – Non sei tu piuttosto che vuoi allogarti da noi come lavoratore? Suvvia, soldato, vieni! Ti daremo una grossa paga. – Com’è il lavoro? – Un lavoro facile: per quindici anni non radersi, non tagliarsi i capelli, non pulirsi il naso, non togliersi il moccio, non cambiare abiti!


– D’accordo, – dice il soldato, – mi prendo questo lavoro, ma a un patto: che tutto quel che desidero sia pronto a mia disposizione!


– Naturale, com’è d’uso! Sta’ tranquillo che da parte nostra non ci sarà impedimento. – Bene, qua la mano! Portami subito in una grande capitale e dammi un mucchio di soldi. Sai bene che i soldati non ne hanno mai! Il diavolicchio si gettò nel lago , tirò fuori un sacco di denari e in un battibaleno trasportò il soldato in una grande città. Lo depositò e sparì! – Son capitato su un bel cretino! – dice il soldato, – non ho fatto ancora un servizio, non ho lavorato, e i soldi li ho presi –.



Prese in affitto un appartamento, non si rade, non si taglia i capelli, non si pulisce il naso, non si cambia d’abiti, vive e s’arricchisce. Divenne così ricco che non sapeva più dove mettere i soldi.




Che fare di quell’argento e di quell’oro? «Suvvia, – pensa, – mi metterò ad aiutare i poveri, così pregheranno per l’anima mia.» Il soldato comincia a distribuire soldi ai poveri, a destra e a sinistra. E la sua riserva non solo non diminuisce, anzi aumenta. La sua fama si sparse in tutto il reame, fra tutta la gente.



Così visse il soldato quattordici anni, al quindicesimo lo zar rimase sprovvisto di tesoro. Diede ordine di chiamare quel soldato. Il soldato arriva, con la barba lunga, senz’essersi lavato né pettinato, col moccio che gli cola, coi vestiti mai cambiato. – Buona salute a voi, maestà!


– Ascolta, militare! Dicono che fai del bene a tutti. Prestami del denaro. Non mi bastano i soldi per pagare l’esercito. Se me li dai ti nomino subito generale. – No, maestà, non desidero esser generale. Ma se vuoi ricompensarmi, fammi sposare una delle tue figlie, e io ti darò tutti i denari che ti servono –.




Qui il re si fece pensieroso. Gli dispiaceva per le figlie, ma non poteva fare a meno del denaro. – Be’, – dice, – va bene. Fatti fare un ritratto, e io lo mostrerò alle figlie, vedremo quale vorrà sposarti –.


Il soldato tornò indietro, si fece ritrarre tale e quale com’era, e lo mandò allo zar. Quello zar aveva tre figlie, il padre le chiamò, mostrò loro il ritratto del soldato alla più vecchia: – Vuoi sposarlo? – Egli mi trarrà fuori da una grave angustia –. La principessa vide dipinto uno spaventapasseri: i capelli arruffati, le unghie lunghe, il moccio che cola! – Non voglio! – dice, – piuttosto mi sposo il diavolo! –




E il diavolo – chi sa da dove era saltato fuori – che le stava dietro con carta e penna , a sentir questo iscrisse la sua anima. Il padre chiede alla figlia mediana: – Sposeresti il soldato? – Che dici mai? Piuttosto entro in convento, piuttosto mi lego al diavolo che sposarlo! – Il diavolo iscrisse anche l’altra anima. Il padre rivolge la domanda alla figlia minore. Lei gli risponde – Si vede che questo è il mio destino! Me lo sposo, succeda quello che Dio vuole!



Lo zar si rallegrò, mandò a dire al soldato di prepararsi per le nozze e gli spedì dodici carri per l’oro. Il soldato evocò il diavolicchio: – Ecco dodici carri, che siano subito riempiti d’oro –. Il diavolicchio corse al lago, e ci fu un gran daffare tra i diavoli: chi tira un sacco, chi due, riempirono presto presto le carrette e le mandarono alla reggia dello zar.



Il sovrano rifornì le sue casse e cominciò ad invitare ogni giorno il soldato, lo faceva sedere alla sua tavola, e insieme mangiavano e bevevano. Ed ecco, proprio mentre si preparavano le nozze, si compirono i quindici anni: finiva il servizio del soldato. Chiama il diavolicchio e gli dice: – Suvvia, il mio servizio è finito: fa’ di me un bel giovane –.



Il diavolicchio lo fece a pezzettini, o gettò in una pentola e lo fece cuocere. Quando fu cotto lo tirò fuori e lo riunì in un pezzo solo, come si deve: ossetto con ossettò giuntura con giuntura, vena con vena.


Poi lo spruzzò con l’acqua della morte e della vita e il soldato si rialzò: era diventato un così bel giovane da non dire, da non descrivere. Sposò la bella principessa e vissero felici e contenti, fra mille godimenti.




A quelle nozze anche io sono stato, idromele a bizzeffe ho bevuto. Ci fosse stato pure del vino, ne avrei bevuto forse anche un tino.




Illustrazioni, progetto grafico e impaginazione di Gabriele Peddes, 2010.


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