Mons. Ruppi - L'Ora del Salento

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Lecce, 4 giugno 2011

UN EURO

L’Ora del Salento

LA MORTE DI MONS. RUPPI IL SALUTO DELLA CHIESA DI LECCE

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Nuova serie, Anno XXI, n. 20

Un grazie e un saluto di Domenico U. D’Ambrosio L’arcivescovo Cosmo Francesco Ruppi ha concluso la sua feconda e operosa giornata terrena nel vespro di domenica 29 maggio. È andato incontro a Colui che ha saputo annunziare e far conoscere con ogni mezzo. La Chiesa di Lecce e la Chiesa sorella di Termoli-Larino non possono non esprimere al Datore di ogni bene la loro gratitudine per aver goduto delle premure pastorali e dell’afflato appassionato per il Vangelo di Mons. Cosmo Francesco Ruppi. Nel telegramma di partecipazione al lutto della comunità diocesana a me giunto tramite il Segretario di Stato Card. Bertone, Benedetto XVI sottolinea il generoso ministero e la peculiare attenzione all’evangelizzazione attraverso i mezzi della comunicazione sociale del compianto nostro presule. Questa è stata una delle grandi priorità pastorali che hanno imposto all’attenzione di tanti il ministero di evangelizzatore che ha connotato l’intero servizio episcopale del nostro Pastore. Nei molti messaggi di cordoglio e solidarietà a me pervenuti, si sottolinea la grande massa di bene che egli ha saputo donare attraverso i suoi scritti e la sua presenza nei mezzi di comunicazione sociale. In molti mi ricordano la scoperta della santità nella rubrica che per anni ha presentato, in un grappolo di secondi, la misura alta della vita cristiana dei nostri Santi famosi e non, da lui riportati alla riflessione e all’attenzione dei radioascoltatori. Come vescovo della Chiesa di Lecce che ha raccolto il suo testimone, ho avvertito in questi due anni la indomita e insonne fatica di Mons. Ruppi nel donare alla Chiesa che ha servito per oltre venti anni, uno stile di presenza, di animazione, di attenzione, in grado di accogliere e di dare risposte alla crisi del sacro che attraversa il moderno areopago. Non si può non ricordare la grande esperienza di Chiesa che ha fatto vivere alla nostra comunità nella lunga stagione del Sinodo Diocesano e che ha avuto come primo protagonista il Beato Giovanni Paolo II in visita apostolica a Lecce nelle due memorabili giornate del 17 e 18 settembre 1994. I frutti del Sinodo Diocesano: la partecipazione laicale alla vita della Chiesa, la sua ministerialità, il grande dono del diaconato permanente, la pastorale vocazionale, l’entusiasmo e la vivacità della pastorale giovanile, il grande impulso per una Chiesa vicina e tra le case della gente (penso ai numerosi, nuovi complessi parrocchiali), sono ricchezza consegnata alla nostra Chiesa, da custodire, arricchire e curare, Come non ricordare il dialogo fecondo che Mons. Ruppi ha saputo portare avanti tra le due massime realtà culturali della nostra Città, l’Università del Salento e l’Istituto Superiore di Scienze Religiose? E il suo tenace impegno nel perseguire e ottenere, come Presidente della Conferenza Episcopale Pugliese, l’istituzione della Facoltà Teologica Pugliese? Non possiamo dimenticare l’attenzione e il dialogo, a volte difficile e faticoso, cercato e ottenuto con le istituzioni pubbliche deputate al servizio della comunità civile. Ma c’è una dimensione del ministero episcopale del nostro Arcivescovo che va privilegiata e sottolineata. È la dimensione della carità vera che lo ha avuto interprete fedele e testimone coraggioso di attenzione, di accoglienza, di servizio ai molti che, profughi da terre attanagliate dalla povertà e dalla mancanza di libertà, qui cercavano rifugio. È la grande stagione dell’accoglienza, dell’apertura delle case e del cuore della Chiesa e dell’intera comunità da lui mobilitata per dare serenità e speranza ai molti disperati che, in fuga dalle loro terre, sono approdati sulle nostre coste dove hanno trovato un grande cuore spalancato e pronto alla politica del cuore. Migliaia di questi nostri fratelli non si sono sentiti ospiti o stranieri perché in loro Mons. Ruppi, memore della parola di Gesù, “ero straniero e mi avete accolto e ospitato”, ha saputo vedere il Cristo povero, affamato, rifiutato. Per questo suo impegno nel quale ha trascinato in una sorta di gara di esercizio di amore l’intera comunità, ha sofferto molto, ha dovuto bere talvolta il calice amaro dell’incomprensione e degli attacchi ingenerosi e ingiustificati. Nel silenzio ha continuato a donare, servire, amare. Carissimo fratello, carissimo padre e pastore, ci hai donato molto con generosità totale, con amore impagabile, con intelligente e sapiente acume pastorale. Forse non ti abbiamo restituito molto del tanto che ci hai donato. Siamo certi che avendoti perduto qui in terra come padre, maestro e consigliere, ti abbiamo guadagnato come nostro avvocato presso il Buon Pastore che ci hai annunziato, ci hai fatto conoscere e ancor più amare. Ti diciamo grazie. Ricordati di tutti noi ora che sei nel Paradiso.

SETTIMANALE CATTOLICO

LA CHIESA DI LECCE SALUTA MONS. RUPPI

Le parole dell’Arcivescovo prima di lasciare questa terra mentre Suor Maria Angel e il dott. Francesco Giacovazzo lo assistevano ad Alberobello nel passaggio verso il Cielo

“La vita è mistero. Tutto è miracolo”

Lecce, 4 giugno 2011

Un grande uomo di Nicola Paparella È morto un grande uomo. L’ho conosciuto quarant’anni fa e posso dirmi testimone di molti episodi significativi della sua straordinaria personalità. L’ho seguito in Terra Santa ed ho visto quanto profonda e sofferta fosse la sua preghiera, sempre attenta alle vicende del mondo, ai bisogni degli ultimi, alle attese della Chiesa, alle sofferenze di chi gli chiedeva aiuto. Sapeva dialogare con tutti ed amava incontrare le persone, individuandole nei loro nomi, nella loro dimensione domestica e nelle relazioni pubbliche. Aveva uno straordinario senso delle istituzioni per le quali cercava sempre di valorizzarne le funzioni e i ruoli sociali, mettendo però al primo posto la gente, il popolo, i cittadini. Soffriva per la disoccupazione e soprattutto per il disagio dei giovani. Mi chiedeva spesso notizie di quel che fanno gli studenti, di quali fossero le loro ansie, di quali prospettive venivano loro offerte. Disponeva di una buona cultura, sapeva far tesoro della storia e poteva contare sulle sue non comuni doti di intelligenza. Dinanzi alle difficoltà, cercava di capire dove si nascondessero le radici dei problemi e quando la situazione gli diventava chiara, allora riusciva ad avere un guizzo di intelligenza creativa. Ed erano le sue intuizioni che poi trasformava in progetti. Sapeva essere deciso e, nel contempo, umile. Una volta individuata la soluzione di una difficoltà, amava parlarne con i suoi collaboratori, interpellava esperti ed autorità, con cui metteva a confronto quanto egli aveva già ipotizzato, e poi passava rapidamente all’azione. Prudente nelle valutazioni, deciso nelle scelte, tenace nella progettazione, perseverante nella realizzazione dei suoi disegni: ecco mons. Ruppi. Un uomo d’azione, che sapeva riflettere, che accettava il confronto - anche critico - e poi agiva senza risparmiare fatiche, per sé, innanzi tutto, e per i suoi collaboratori. Amava la Chiesa di Lecce. Era sempre legato al suo paese natio e ai luoghi nei quali la Provvidenza lo aveva mandato; ma per la Chiesa di Lecce aveva un sentimento di particolare tenerezza, così come una speciale attenzione rivolgeva ai destini della città e alle turbolenze politiche che talvolta l’attraversavano. In più occasioni si fece promotore di dialogo, garante di patti collaborativi, animatore di intese basate soltanto sul senso dell’amicizia e sul criterio della buona volontà. Nelle sue premure pastorali un posto centrale lo avevano i sacerdoti, per i quali pregava incessantemente e per i quali sapeva essere paterno e solidale, maestro ed amico. Molto si è speso per i problemi della famiglia e soprattutto per i giovani. Tanto ha fatto per la città e per la Chiesa di Lecce. Oggi, dal cielo, fa ancora sentire le sue parole di incoraggiamento, il suo invito a servire la Chiesa, ad onorare le istituzioni, ad amare la città.


L’Ora del Salento 2

Lecce, 4 giugno 2011

LA MORTE DI MONS. RUPPI IL SALUTO DELLA CHIESA DI LECCE La testimonianza IL MINISTRO del sen. Pellegrino. “Nel debito complessivo La Chiesa di Puglia perde una guida “Con la scomparsa di mons. Rup- “Quella di oggi è una giornata di doloche Lecce ha verso pi la Chiesa pugliese perde una guida re ancor più profondo per chi come il suo Arcivescovo spirituale, un uomo di grande cuore, me ha conosciuto mons. Ruppi ed ha un servitore di Dio che ha dato tanto avuto la possibilità di instaurare con deve iscriversi anche soprattutto alla comunità cattolica sa- lui un rapporto di leale e proficua colil miglioramento dei lentina, guidandola per oltre un ven- laborazione umana ed istituzionale. tennio. La sua intensa attività pasto- Non possiamo dimenticare, ad esemrapporti tra Comune rale è stata testimonianza di una Chie- pio, il suo grande impegno nell’emere Provincia, che Ruppi sa militante, impegnata quotidiana- genza migratoria che investì la Puglia mente in tutti i settori della società ci- dopo il 1989. Il dolore ed il vuoto di seppe con fermezza vile e in ogni momento della vita pub- oggi sono colmati dalla certezza che la blica”. Lo dichiara il ministro per i Rap- sua opera non potrà essere dimentiimporre ad Adriana porti con le Regioni Raffaele Fitto. cata”. Poli Bortone ed a me”

IL SOTTOSEGRETARIO

Profonda fede Nel momento in cui mons. Ruppi è fra le braccia di quel Padre a cui ha consacrato se stesso, due elementi emergono, fra gli altri, a segnare i venti anni del suo episcopato a Lecce: l’essere vicino a ciascuna singola persona al momento giusto, con un rapporto individuale che è il solo sul quale poter costruire; la capacità di gettare il cuore oltre l’ostacolo, frutto non solo di una naturale tenacia ma anzitutto di una profonda fede. Alfredo Mantovano

Una vita per promuovere il dialogo L’Ora del Salento mi chiama ad un impegno difficile: ricordare l’arcivescovo Ruppi, in un momento in cui è ancora così vivo il dolore per la sua scomparsa, acuto lo smarrimento per la perdita di un punto di riferimento prezioso trovato nella parte finale della mia esperienza politica, dopo che a lungo con lui avevo avuto un rapporto segnato da rispetto, ma anche da una sostanziale distanza, che l’Arcivescovo seppe con garbata fermezza addebitarmi quando, in occasione di uno dei nostri rari incontri ufficiali, guardandomi negli occhi ebbe a dirmi. “Senatore cosa sarebbe la sua bella città senza le sue cento chiese?”. Tutto cambiò pochi mesi

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dopo la mia elezione a Presidente, della Provincia quando con mia sorpresa l’Arcivescovo mi invitò a seguirlo in Moldavia per poter constatare di persona quanto la Chiesa salentina stesse facendo da anni in quel difficilissimo paese di frontiera. Fu per me quasi una folgorazione, una esperienza commovente nel vedere come gli operatori e le suore di Regina Pacis si impegnassero nella assistenza e recupero dei ragazzi di strada di Chisinau, una infanzia e una adolescenza ridotte ad una condizione di angosciante abbandono dalla dissoluzione dell’impero sovietico e la crisi economica e sociale che ne era derivata. L’Arcivescovo percepì l’intensità della mia commozione, da quel momento abbandonando il prudente riserbo, con cui fino a quel momento si era rapportato al primo presidente della Provincia di Lecce, non appartenente ad un partito cattolico. Da allora il nostro rapporto divenne sempre più intenso e per me prezioso nello svolgimento del compito amministrativo, in cui ero impegnato; una consuetudine amichevole il caffè che quasi ogni lunedì mattina (spesso su mia richiesta) mi offriva nella quiete del palazzo vescovile, dove a lungo restavamo a ragionare sui problemi della nostra terra e più in generale su quelli del nostro avventurato paese, che l’Arcivescovo analizzava con estrema lucidità proponendo soluzioni, di cui mi colpiva il pragmatismo e l’assoluto buon senso; come quando seppe convincermi che spettasse alla Provincia farsi carico del restauro finale del campanile dello Zimbalo semplicemente anticipando fondi che la Regione aveva già impegnato, ma di cui non era possibile una sollecita erogazione. Nel debito complessivo che Lecce ha verso il suo Arcivescovo deve iscriversi anche il miglioramento dei rapporti tra Comune e Provincia, che Ruppi seppe con fermezza imporre ad Adriana Poli Bortone ed a me, quando (eravamo suoi ospiti a cola-

zione guardandoci negli occhi con il suo sguardo severo ci disse che era il bene comune ad imporci una collaborazione istituzionale, che andasse al di là della nostra contrapposizione politica.

Di questa collaborazione resa possibile dal suo magistero, fortemente volle che restasse testimonianza nel lungo dialogo a tre voci apparso nel libro intervista “Dialogo per la città”. Colpito dalla

triste notizia per me inaspettata (non sono trascorsi molti giorni da un nostro lungo colloquio telefonico) con occhi velati dalla commozione ho provato a rileggere le domande che Ruppi in quel li-

bro mi rivolge, nella speranza di trovare risposte nuove e migliori in un dialogo che sappia continuare anche in ciò che “dopo la morte non è morte”. Giovanni Pellegrino

DALLA CASA PER ANZIANI DI ALBEROBELLO

Lo diceva ogni mattina: “sono nelle mani del Signore” Se ne è andato così ringraziando tutti. Ciao, ciao con la mano e ha accasciato la testa come per dormire. C’è voluto qualche minuto per capire che non stava sognando, ma si era nuovamente rimesso in viaggio come era sua abitudine. Per questi due ultimi anni in cui ho avuto l’onore di conoscerlo e accompagnarlo ovunque andasse, non mi ha meravigliato affatto questo suo modo di andarsene. Senza troppe parole o cerimonie, nessun lamento, se ne è andato come è vissuto: impeccabile, lucido fino all’ultimo secondo e preparato, perché lui non si azzardava mai ad improvvisare in niente nemmeno con la morte. E con la morte, ma soprattutto con il dolore, ci aveva fatto amicizia già da molto tempo. Prima di conoscerlo così intimamente, lessi un suo articolo in cui ringraziava per la sua malattia, che considerava un “dono del Signore”. Con molta onestà, e ora un po’ di vergogna, pensavo ad una frase ad effetto, tipica del giornalista navigato quale lui era. Ma poi, in questi due anni, ho avuto il dono di vedere in faccia la vera dignità di un uomo di fronte al dolore e alla mia età (30 anni), credetemi, fa spavento. Ti senti piccolo, debole e stupido, ti rendi conto che ogni tuo problema, ansia o dolore è un inezia ridicola, inutile, e che essere uomini è tutt’altra cosa: è saper fare amicizia con il dolore e portarselo appresso fino all’ultimo secondo, senza rinunciare mai al tuo dovere. L’ho visto ansimare durante una predica, con la mia paura che non riuscisse a terminarla, ma l’ha conclusa come tutte le cose che cominciava. Abbiamo scritto fino a tre giorni prima un articolo per la Gazzetta sul prete presunto pedofilo di Sestri Ponente, dove chiedeva a tutti noi di essere fermi nella condanna del male, ma anche di perdonare perché è lì e soltanto lì che si

riconosce un buon cristiano. Sabato mattina ha registrato le sue ultime parole per Telenorba, ha rilasciato dichiarazioni, risposto al telefono a tutti, nonostante le nostre timide proteste. Mai un giorno che non fosse sbarbato, mai senza il crocefisso al collo e il rosario in tasca. Mai un lamento, mai. “Sono nelle mani del Signore”, mi diceva ogni mattina, quando gli chiedevo come stesse e se avesse dormito. Ha lasciato tutto in ordine, nulla fuori posto, e non perché si fosse rassegnato ad un evidenza, ma perché lui era fatto così, e da chi gli stava vicino e soprattutto da me, ha sempre preteso lo stesso impegno di sempre. Oggi mi vien da piangere; quando una mattina mi sgridò per una mia trascuratezza e poi mi disse: “ricordati, tuo padre ti vuole bene, ma io te ne voglio di più!” e non era una frase fatta, lui non le usava mai, le frasi fatte; non ne aveva bisogno, centellinava ogni sillaba, ogni vocabolo, collocandolo nella giusta prospettiva. Voleva tanto che facessi il giornalista e mi ha insegnato praticamente a tenere la penna in mano, ad essere responsabile di ogni mia singola parola e non smetteva mai di ricordarmi che dovevo scrivere per i poveri e per i semplici. “Se non ti capiscono loro, tu non sai scrivere!”. E quanto avevi ragione don Cosimo! Questo riesco a dire adesso mentre giace a pochi metri da me e sto scrivendo perché a trent’anni ancora non so piangere. Ma pazienza. Prima di lasciarci, mentre stava riposando la mattina, ha aperto gli occhi, ha visto suor Miriam e gli ha detto: “La vita è un mistero, tutto è un miracolo”. E poi “ciao, ciao”. E se n’è andato. Grazie don Cosimo, ti voglio tanto bene. Francesco Giacovazzo


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Lecce, 4 giugno 2011

LA MORTE DI MONS. RUPPI

DOVE

IL SALUTO DELLA CHIESA DI LECCE Per quasi quarant’anni, l’Arcivescovo Cosmo Francesco Ruppi, mi ha voluto, in maniera costante e crescente, un gran bene, fraterno e filiale. Ancor di più, alla mia Rosaria, immenso dono perduto, da lui definita una “santa donna” che, immancabilmente, citava nelle nostre frequenti telefonate, con promessa di orante suffragio. Don Cosmo, così mi piace, oggi, chiamarlo per la prima e ultima volta, possedeva - tra l’altro - in sé un folgorante carisma di splendente umanità.

Don Cosmo, un folgorante carisma di splendente umanità

IL DIFENSORE CIVICO DELLA PROVINCIA DI LECCE

Grazie per aver scelto di ‘tornare’ a Lecce Con mons. Ruppi si poteva parlare di tutto, tranne della sua malattia. Egli, pur avendo la gioia di condividere problemi e riflessioni con gli altri, rifiutò sempre di esternare la sofferenza atroce che nascondeva dietro un sorriso. Volle, però - e questo è stato un altro insegnamento da non dimenticare - soffrire in mezzo agli altri, come gli altri, rifiutando le insistenti premure del personale del “Fazzi” per qualche piccola comodità. Perciò, la notizia che il corpo mortale di mons. Cosmo Francesco Ruppi, una volta ottenute le necessarie autorizzazioni, riposerà per sempre a Lecce, ci riempie di orgoglio ed aumenta la nostra commozione per la sua scomparsa ma, allo stesso tempo, ci invita ad una riflessione attenta ed umile. Lo ringraziamo per aver chiesto di essere sepolto nella sua città di elezione, a cui ha dedicato per più di venti anni ogni pensiero ed attività, con il forte carisma che rendeva superabili le cose per altri insuperabili. Aveva conquistato il cuore dei leccesi dal primo incontro, da quando, attraversando le strade per raggiungere il duomo, lo vedemmo colloquiare con il sindaco della Città, Francesco Corvaglia, come fossero stati amici da sempre ma, contempo-

raneamente, abbracciando con lo sguardo indagatore e penetrante i singoli cittadini come gli antichi palazzi. Furono le emozioni di quel giorno indimenticabile, a tornare alla mente di molti quando ci interrogammo sull’immenso dolore da lui provato per le accuse che, già soltanto ad essere pensate, erano l’assurda risposta ad un’operosa attività fatta di soluzioni concrete ai bisogni della comunità e di singoli. Un suo intervento - un intervento che portò il Salento all’attenzione del mondo, tanto che in molti chiesero il conferimento del Nobel in riconoscimento dell’accoglienza ai profughi riporta alla mente l’immediata organizzazione del Centro Regina Pacis. Mentre altri discutevano, incerti, scoraggiati, impotenti su cosa fare, mons. Ruppi aveva già realizzato una struttura efficiente per accogliere, sfamare, assistere migliaia di disperati giunti sulle nostre coste. Ricordo di aver accompagnato a San Foca esponenti del governo, colleghi parlamentari, giornalisti i quali, dopo aver visto, si chiedevano come fosse riuscito il Vescovo di Lecce a creare dal nulla quanto occorreva all’inaspettato ed imprevedibile afflusso di bambini, uomini, donne, e ridare loro una speranza. Diversamente da

noi, storditi da una vicenda che mai pensavamo di dover fronteggiare, mons. Ruppi conosceva cosa fare perché sapeva che la carità smuove le montagne. Da quella straordinaria vicenda, che meriterebbe una ricerca globale, venne il resto: la costruzione del nuovo seminario, la ristrutturazione del vecchio in museo diocesano, i lavori per il restauro del duomo e della piazza per citare alcune opere legate al nome di mons. Ruppi mentre non va trascurato l’instancabile impegno religioso in una diocesi, vasta ed impegnativa, che in lui subito si riconobbe, affascinata dall’impegno di fedeltà e di servizio alla Chiesa ed all’uomo. Una volta, dopo avere letto la rubrica che curava su “Famiglia Cristiana” ed ascoltato alla radio un suo intervento, gli chiesi come trovasse tempo per fare tutto. Sorrise e non rispose perché sapeva di dover rendere conto soltanto a Dio di come utilizzava i minuti: una volta, però, mi avvertì che il tempo, per i cristiani, è la scala per salire al Cielo. Con il suo stile e con la capacità di coinvolgimento, mons. Ruppi riusciva a superare ogni difficoltà. Ricordo il giorno in cui il magazzino a San Foca era vuoto: una telefonata in dialetto ad un imprenditore barese risolse il problema, e non per una settimana.

LA TRIENNALE D’ARTE SACRA

Un grande impegno per la cultura in questa città Quasi in chiusura del suo testo pubblicato sul catalogo della Quinta Triennale d’Arte Sacra Contemporanea, apertasi il ventuno marzo duemilanove nell’Antico Seminario di Piazza Duomo in Lecce, S.E. Mons. Cosmo Francesco Ruppi Arcivescovo Metropolita di Lecce, ormai prossimo a ritornare nella natìa Alberobello, scriveva: “Con entusiasmo e con gioia, pertanto, apriamo le porte di questa Quinta Triennale, con l’augurio che essa continui nel tempo e contribuisca ad arricchire una Città già nota per le sue innumerevoli opere d’arte”, nella conferma di quel fervore e di quel trasporto, che oltre quindici anni prima lo avevano spinto, coinvolgendoci da subito e sin dai primi “pensieri”, a riflettere sulla necessità di riannodare “i fili dispersi di un rapporto interrotto tra Chiesa e Arte”, anche in questo estremo lembo d’Italia. Così, nel centenario della nascita di Paolo VI, il Papa degli artisti, l’idea di Monsignor Ruppi si concretizzò nella costruzione di un omaggio allo scultore Armando Marrocco, della prima edizione di “Exempla” nella storicità di

ventidue presenze tra le quali Lucio Fontana, Giacomo Manzù, Gaetano Martinez, Lorenzo Guerrini e Umberto Mastroianni, e del Premio “Paolo VI” evento propedeutico alla nascita della Galleria d’Arte Sacra Contenporanea. Ormai una realtà, quest’ultima, dell’intero territorio centromeridionale, ricca, attualmente, delle opere di ben quaranta artisti di varia estrazione e di varia modalità operativa. E non è casuale, per quanto ci riguarda aver individuato nella “Lettera agli artisti” che S.S. Giovanni Paolo II volle rendere pubblica il quattro aprile del millenovecentonovantanove, una sorta di riscontro, ovviamente casuale, dell’intuizione di Monsignor Ruppi, e del lavoro realizzato insieme, sollecitandoci a riflettere sul tema della bellezza, da intendersi come “l’espressione visibile del bene”, e quindi a realizzare nell’anno giubilare un giusto e doveroso omaggio all’opera sacra di Giacomo Manzù (quanto mai eccezionale ed unica la testimonianza di Monsignor Loris Francesco Capovilla!), uomo ed artista ricco di tormenti e di grandi emozioni. Francesco Messina, Luciano

Minguzzi e Mimmo Paladino, questi i nomi degli scultori sui quali abbiamo voluto porre successivamente lo sguardo, e con essi anche oltre cento artisti impegnati a definire dapprima un percorso storico all’interno del XX secolo e quindi due attenzioni tematiche quali l’Eucaristia e il Battesimo, passando da Mario Schifano a Jean Guitton, a Omar Galliani, a Mark Ivan Rupnik, a Floriano Bodini, a Carlo Mattioli, a Mario Ceroli, a Robert W. Carroll, a Carmelo Cappello e ad altri ancora. Rammentando, altresì, come la rinnovata attenzione nei confronti dell’arte e della sua contemporaneità abbia poi portato alla presenza di alcuni artisti locali nelle nuove chiese parrocchiali. E ci piace che oggi, nel giorno del ritorno alla Casa del Padre di Monsignor Ruppi, artefice, maestro e compagno in questa splendida avventura che è la Triennale d’Arte Sacra, i segni del ritrovato dialogo tra Chiesa ed Arte, siano lì a testimoniare il suo grande impegno nei confronti della cultura ed il suo amore per la l’arte e per questa città. Toti Carpentieri

Così accadde anche il giorno in cui discusse con il ministro del bilancio dell’epoca sul finanziamento dei lavori per il duomo e per la piazza. Il ministro lo ascoltò e capì subito che la sua eventuale resistenza non avrebbe retto al travolgente impeto del presule, il quale chiedeva decoro per la casa di Dio ma anche valorizzazione per la piazza testimone della cultura salentina. Le considerazioni utilitaristiche, con le quali anche i credenti spesso immiseriscono le iniziative più belle, fecero pensare ad alcuni che la visita a Lecce di Papa Giovanni Paolo II fosse stata voluta più per considerazioni personali che per offrire una nuova opportunità alla conversione a Cristo. Mai l’amarezza lo turbò e ripeteva spesso “io rispondo al Signore: Egli è il mio unico giudice”. Mons. Ruppi introdusse la consuetudine del messaggio alla Città a conclusione della processione del Santo Patrono Oronzo. Non fu mai occasione per festeggiare, ma per interrogarsi ed interrogarci su come ognuno vivesse il suo impegno a favore degli altri. Rileggere i messaggi, ora che conosciamo la volontà di mons. Cosmo Francesco Ruppi di essere sepolto a Lecce per attendere con noi la Resurrezione, sarebbe cosa utile e doverosa. Giorgio de Giuseppe

Amava le persone, tutte, riconoscendo in loro - deboli o potenti, peccatori o puri spiriti - l’immagine e la somiglianza a Dio. Perciò, una appropriata definizione sulla sua vita di Uomo, di Sacerdote e di Vescovo, che per riposo conobbe solo la veglia, può così sintetizzarsi: “è stato un Uomo di Dio e di Popolo e non solo del Popolo di Dio”. Questa sua pregnante, premurosa vocazione per l’Uomo, orientata alla redenzione, alla tutela e al transito verso il Divino, resta il più appropriato sigillo del suo magistero episcopale. Una caratteristica, che, di certo, derivava dal suo vincolo di Prete, illuminato dalla grazia di Dio, ma anche del suo saper essere - passi il termine - “uomo di mondo “ nel senso più alto della parola. Infatti, è stato sempre attento a scrutare la società nella sua interezza, tanto, da divenire in ogni occasione, un “interventista” nel sacro e nel profano, convinto che più si immergeva nei problemi universali e più riusciva a sollevare le miserie della terra verso la protezione e la misericordia dell’Altissimo. Esercitò, in conseguenza, una sua smisurata inclinazione all’accoglienza, divenendo - a prescindere dal colore della pelle - il soccorritore del bisogno incombente, seguendo, in ogni caso, la sorgiva inclinazione del cuore, non sempre accettata dalle leggi umane, che spesso sciupano l’universale impeto della Carità, ancella della Fede e della Speranza. Lo aiutava, in ciò, la sua preziosa dote aggiuntiva di infaticabile comunicatore e giornalista, sempre pronto a penetrare le problematiche mondiali, da lui recepite e trattate in una miriade di pubblicazioni, concedendo al Verbo fortezza educativa verso il bene e la buona vita del Vangelo. Tanta luce si è davvero spenta? Per noi credenti, continua ad ardere e splendere accanto al Creatore, da dove ci assicura che, pur se profondamente rattristati, orfani non siamo. Per i secoli, paterno, ci attende nella Cattdrale, della sua e nostra Lecce di cui rimane cittadino onorario. Giacinto Urso


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LA MORTE DI MONS. RUPPI IL SALUTO DELLA CHIESA DI LECCE Reazioni in città IL SINDACO e in tutto il Salento Lecce non potrà dimenticare alla notizia la sua lunga e feconda presenza alla guida dell’Arcidiocesi, della scomparsa né le tante testimonianze dell’Arcivescovo. del suo operoso impegno quali arcivescovile, Antonio Gabellone: ilil seminario rilancio della facoltà un segno indelebile di Scienze Religiose e il ricordo indimenticabile della visita nel cammino di S.S. Giovanni Paolo II della Chiesa locale per cui mons. Ruppi spese e del nostro territorio il meglio delle sue energie

LA SENATRICE Era una bellissima persona. Poteva apparire burbero, ma in realtà era di una sensibilità notevole. Abbiamo vissuto insieme un periodo bellissimo per la nostra città. È stato il vescovo che è riuscito a far riconciliare me e Giovanni Pellegrino. Lo ha fatto con garbo e discrezione, ma anche con convinzione, come era nella sua indole

Per sempre nei nostri cuori L’improvvisa scomparsa di un uomo che ha guidato i fedeli dell’Arcidiocesi di Lecce per tanti anni, amorevolmente e con determinazione, non può che aver lasciato nel cuore di tutti un profondo dolore, ma al tempo stesso la certezza di un ricordo positivo per tutto ciò che mons. Ruppi ha lasciato alla realtà lupiense con la sua instancabile azione materiale e spirituale. Anche il Primo Cittadino di Lecce, Paolo Perrone, sottolinea come questa scomparsa rappresenti una grave perdita per la Puglia, definendo mons. Ruppi “una delle figure più rappresentative, prezioso punto di riferimento anche per la cultura meridionale”. Egli ha sottolineato quanto l’Arcivescovo Emerito si sia dimostrato infaticabile fino all’ultimo momento, pur aggredito dal male, fornendo sempre il suo contributo di valente opinionista su quotidiani e riviste, in favore della crescita socio-culturale della nostra Regione. “Lecce non potrà mai dimenticare la sua lunga e feconda presenza alla guida dell’Arcidiocesi, né le tante testimonianze del suo operoso impegno - ha concluso il Sindaco, ricordando poi alcuni segni tangibili dell’incessante attività profusa negli anni dal compianto pastore d’anime - quali il seminario arcivescovile, il rilancio della facoltà di Scienze Religiose e il ricordo indimenticabile della visita di Sua Santità Giovanni Paolo II per cui mons. Ruppi spese il meglio delle sue energie”. La Senatrice Adriana Poli Bortone esprime tutta la sua commozione nell’aver appreso la notizia della scomparsa dell’Arcivescovo, e ricorda la sua figura tracciandone i caratteri principali in maniera accorata. “Era una bellissima persona. Poteva apparire burbero, ma in realtà era di una sensibilità notevole. Mi ha aiutato tantissimo nel mio percorso, personale ancor prima che politico. E mi voleva bene, quanto gliene volevo io”. Ha rivelato che tra qualche giorno gli avrebbe fatto visita nella sua Alberobello. “Abbiamo vissuto insieme un periodo bellissimo per la nostra città. È stato il vescovo che con tanta delicatezza è riuscito a far riconciliare me e Giovanni Pellegrino. Lo ha fatto con garbo e discrezione, ma anche con convinzione, come era nella sua indole”. Conclude poi con rammarico: “Con lui se ne va un pezzo di storia della città di Lecce”. “La morte dell’Arcivescovo Emerito di Lecce, mons. Cosmo Francesco Ruppi, addolora e colpisce nei sentimenti più profondi l’intera comunità della provincia di Lecce e l’Amministrazione Provinciale, che in queste poche parole sento di rappresentare nella sua interezza” dichiara Antonio Gabellone, Presidente della Provincia di Lecce. “Il mio ricordo va oggi a una

persona forte, temprata dalla tenacia con cui ha guidato la Chiesa del Salento”. Richiama poi alla memoria i risultati ben visibili dei suoi 20 anni di cammino spirituale in Puglia: la visita di Giovanni Paolo II nel Salento, l’inaugurazione della maestosa opera cristiana del “Nuovo Seminario Pastor Bonus”, l’apertura di centinaia di chiese di culto, il recupero di altrettante chiese riconsegnate al prestigio artistico ed alla fede dei cristiani, la “straordinaria opera di accoglienza e carità con cui questa terra ha aperto le braccia a chi soffre, a popoli a noi così vicini. Il mio ricordo, dunque, personale, da credente, va a una figura che ha lasciato un segno indelebile, nel cammino della Chiesa di Lecce e del Salento”. “Austero nel costume istituzionale, erudito nelle cose di Dio e nelle cose del mondo, pastore autentico nel rapporto con le persone”. È così che Lorenzo Ria ricorda l’Arcivescovo, con-

siderato affettuosamente “uomo e vescovo del nostro tempo, sempre attento alle dinamiche della società e della politica, mai impreparato di fronte alle emergenze sociali che il nostro Salento ha vissuto”. Una sottolineatura particolare all’amore che egli provava per la Chiesa, e da cui il suo apostolato non poteva prescindere. “Amore che si declinava in un confronto anche forte e autorevole con le istituzioni politiche e civili - spiega Ria - verso le quali sapeva dimostrare un’apertura non comune, all’insegna della cooperazione e dell’autonomia tra le parti. Amore che veniva fuori prepotentemente nelle tante iniziative sociali e umanitarie di cui è stato promotore”. Un monsignore che grazie al suo ruolo di primate della Chiesa salentina e al suo sostegno diretto al volontariato diffuso, ha dato un contributo qualitativo fondamentale “perché il

Salento diventasse civiltà dell’accoglienza e fosse davvero una comunità attenta ai bisogni degli svantaggiati, seguendo anche l’esempio di Filippo Smaldone, fondatore di una comunità che ha in cura ragazzi con difficoltà fisiche e di comunicazione verbale, beatificato proprio negli anni dell’episcopato di Ruppi. A lui, guida indimenticata e autorevole della Chiesa salentina, va il mio saluto e il mio affettuoso ricordo”. “La scomparsa di mons. Cosmo Francesco Ruppi è un dolore grande che avverto personalmente, oltre che come cattolico e come salentino”. Lo dichiara il capogruppo del Pdl alla Regione, Rocco Palese, che aggiunge: “Ho avuto la fortuna di conoscere bene mons. Ruppi, i suoi insegnamenti e il suo grande amore per l’opera caritatevole che è stato chiamato a svolgere e che ha svolto sempre con passione. Nei tanti anni trascorsi a capo

della Conferenza Episcopale Pugliese e al servizio del Salento, ha dato ed ha fatto tanto per la nostra Terra, non solo diffondendo la parola di Dio, ma anche realizzando opere e progetti concreti. La sua scomparsa lascia un grande vuoto, ma anche un enorme patrimonio umano e religioso di cui il popolo salentino gli ha dato atto in vita e continuerà a dargli atto ricordandolo sempre con grande amore”. Un ottimo ricordo di mons. Ruppi anche nella memoria dell’on. Ugo Lisi, il quale afferma che “se il Salento fu segnalato per ricevere il Premio Nobel per la pace, lo si deve proprio a mons. Ruppi il quale, negli anni ’90, si mise in prima linea allorquando ci fu da accogliere i migranti che provenivano dall’altra sponda dell’Adriatico. Personalità forte e tenace, ha lasciato un segno profondo nel nostro territorio che tutti ricorderemo sempre”. G.P.L.

La Puglia perde il Pastore della quotidianità Tutti gli esponenti del mondo politico sono concordi nell’evidenziare come mons. Ruppi non sia stato solamente un esponente della gerarchia ecclesiastica, ma prima di tutto un uomo, che si è sempre impegnato attivamente per garantire alle tante “pecorelle smarrite” della sua Diocesi un aiuto concreto, a partire dai loro più semplici bisogni. “Il Salento perde non solo un valido esponente della Chiesa, ma anche un uomo forte e deciso, che ha rappresentato un punto di riferimento importante nella storia religiosa, politica e sociale di Lecce e del Salento”. È quanto dichiara il consigliere della Regione Puglia e presidente di “Moderati e Popolari”, Antonio Buccoliero, il quale esprime il suo cordoglio per la scomparsa del già Arcivescovo di Lecce. “Mons. Ruppi - prosegue Buccoliero - è stato il vescovo dell’accoglienza e della comunicazione, capace di intercettare le nuove esigenze della comunità civile e di rivolgerle, con fermezza, al mondo politico e istituzionale; ha sempre guardato alla concretezza di un messaggio cristiano, che non poteva e non doveva procedere slegato dalle dinamiche sociali e culturali della comunità, ma doveva essere fonte di ispirazione e di azione concreta. Sono certo che questa sua forza e questa sua concretezza sapranno essere un costante monito per quanti lo hanno conosciuto”. “Certo è - conclude Buccoliero -

che la scomparsa di un uomo dalla forte personalità come mons. Cosmo Francesco Ruppi lascia sempre un vuoto difficile da colmare”. Il Consigliere Comunale Wojtek Pankiewicz vuole ricordare in particolare, tra le iniziative del Prelato, “l’XI Sinodo Diocesano, il 1° dopo il Concilio Vaticano II, convocato a 163 anni dall’ultimo Sinodo leccese, per una nuova evangelizzazione nel Terzo Millennio. Scelta per la quale, a mio avviso, gli dobbiamo essere particolarmente grati. Il Sinodo, inaugurato da S.S. Giovanni Paolo II, il 18 settembre 1994, nella sua storica Visita a Lecce, giunse felicemente al traguardo, centrando in pieno gli obiettivi sinodali, cioè la verifica della situazione ecclesiale e della nostra esistenza cristiana, il rilancio dell’impegno di evangelizzazione e la testimonianza della carità”. Salvatore Capone, Segretario Provinciale Pd Lecce, definisce mons. Ruppi il “pastore del vivere quotidiano”, affermando che con lui si è spento “l’arcivescovo che incarnava, in tutta la sua autenticità, lo spirito pastorale della Chiesa. Il suo modo di vivere la missione che gli era stata affidata travalicava i perimetri consacrati e si insinuava tra le pieghe della sofferenza e del bisogno che la nostra società crea”. Uno di quegli uomini, dunque, per cui la Chiesa è nell’esistenza quotidiana, “nei luoghi e nei momenti in cui l’umana sorte si fa dolore, quegli anfratti della vita in cui la parola sacra di-

venta, più che in ogni altro, conforto e salvezza. Ma per lui quelli erano anche i luoghi e i momenti in cui il Verbo diventa concretamente operoso, quei frangenti in cui Dio si fa uomo tra gli uomini, e la fede non si predica ma si pratica”. Sono innumerevoli i ricordi che il Segretario ha di mons. Ruppi, e in particolare resteranno scolpite nella sua memoria “la passione, l’impegno e la saggezza” di quest’uomo che ha vissuto la sua missione evangelica. “Con mons. Ruppi il gregge, del quale anche io mi onoro di far parte conclude Capone - perde sì il suo pastore, ma conserverà per sempre la consapevolezza di avere imparato, grazie ai suoi insegnamenti, a trovare la via”. Il Consigliere Regionale Pdl Save-

rio Congedo ha invece appellato il Presule “un infaticabile costruttore di Carità, un riferimento autorevolissimo, uno stimolo costante, un consigliere acuto, saggio e lungimirante per chiunque fosse al servizio della nostra Terra, una fucina sempre operante di buone idee e di conseguenti opere”. Egli asserisce che il Salento è cresciuto in questi ultimi tempi anche grazie al suo prestigio ed alla sua capacità di fare e di comunicare, che “hanno contribuito fortemente a tenere accesa la luce sulla nostra Terra, a far conoscere la civiltà e l’umanità della nostra gente e - conclude a farci crescere e migliorare. Non lo dimenticheremo”. Grazia Pia Licheri


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Lecce, 4 giugno 2011

LA MORTE DI MONS. RUPPI IL SALUTO DELLA CHIESA DI LECCE

Un uomo saggio e lungimirante Un fedele testimone del Vangelo Ricordi più che positivi e intrisi di affetto profondo, quelli che hanno legato il nostro compianto Presule a movimenti ecclesiastici e laici, come la Congregazione delle Suore Discepole del Sacro Cuore, la Cisl, il Rinnovamento nello Spirito Santo e l’Ordine del Santo Sepolcro di Gerusalemme. D’altronde, il suo contributo si è dispiegato in ogni ambito durante tutti questi anni. La scomparsa dell’Arcivescovo Ruppi è una grande perdita per la Congregazione delle Suore Discepole del Sacro Cuore. “Una comunità religiosa che egli ha amato fin dall’inizio del suo episcopato leccese e che ha voluto con sé, nella sua casa di Alberobello, anche dopo la sua partenza da Lecce - afferma Madre Giulia Cavallo, Superiora Generale della

“Pastore al passo con i tempi. Ha fatto dell’accoglienza e della grande capacità di ben comunicare le priorità del suo mandato episcopale e di ogni scelta pastorale”

Al suo ultimo viaggio È profondo il rammarico che emerge dalle parole del Sen. Rosario Giorgio Costa, il quale in maniera sintetica e al tempo stesso esaustiva ha saputo pennellare un ritratto dell’operato che l’Arcivescovo Emerito ha svolto. “Lo ricordo come fosse ieri - afferma - impegnato con il dinamismo di un tenace pastore d’anime alla guida della sua diocesi. Quando con concretezza e lungimiranza volle la realizzazione del grande Centro Polivalente aperto alle nuove visioni sociali del Mediterraneo, e si dedicava instancabilmente alla valorizzazione delle tante chiese del capoluogo salentino”. Ricorda poi l’impegno profuso nell’accogliere migliaia di profughi che approdavano fortunosamente sulle nostre coste, ed il sostegno ai poveri e bisognosi che potevano bussare alla sua porta, sicuri di ricevere una risposta anche alle proprie impellenze materiali. “Dopo aver lasciato la Diocesi per raggiunti limiti di età, il legame con Lecce non si era mai interrotto, grazie anche alla presenza di rubriche ed interventi che continuava a tenere sulla carta stampata. Ora afferma il Senatore - ci mancheranno anche quelli”. Anche il Presidente del Gruppo Udc alla Regione Puglia, Salvatore Negro, che ha espresso il suo cordoglio per la scomparsa di mons. Cosmo Francesco Ruppi, oltre alla fede, ne sottolinea la lucida e ponderata concretezza. “Ci lascia un messaggio profondo di carità e tante opere realizzate in vent’anni di lavoro e sacrificio alla guida della Diocesi di Lecce e della Conferenza episcopale pugliese”. Anche Negro ha messo in evidenza il sacrificio con cui Ruppi si fece carico del problema immigratorio, e dei nuovi poveri che lui considerava la grande scelta della Chiesa. “Furono anni di impegno e di sacrifici intensi per la Chiesa di Lecce, ma anche di mortificazioni personali per mons. Ruppi, superate con la forza della fede”. “Ho avuto la fortuna di incontrarlo più volte nel mio percorso politico - ha continuato il capogruppo Udc - di lui colpiva la determinazione e la forza morale. Sapeva dialogare con il mondo politico guardando alle persone che aveva di fronte più che al colore del partito di appartenenza; esortava tutti a lavorare insieme per la “ripresa civile, morale e sociale della società”, per “costruire un futuro di solidarietà e di pace”. Le sue parole erano sempre incisive e lasciavano un segno in chi lo aveva di fronte. Comunicava con i gesti e con lo sguardo prima ancora che con le parole”. Il Presidente afferma infine che della sua figura resterà “un ricordo affettuoso e un insegnamento umano e di fede profonda, che porteremo sempre dentro di noi”. Cosimo Durante, Consigliere Capogruppo Pd della Provincia Lecce e Sindaco di Leverano, lo

considera “il vescovo per eccellenza di questi anni, non solo per la sua diocesi ma per l’intero Salento e la Puglia, un uomo di grande statura culturale e spirituale, uno straordinario testimone del nostro tempo, la cui morte non cancella le mille battaglie che ha portato avanti per la Chiesa, per i poveri, per i giovani e le donne del nostro territorio”. Prosegue collocando mons. Ruppi tra i pochi che hanno saputo amare la terra salentina, alla quale ha indicato la retta via. “La sua operosa laboriosità rimane il ricordo più bello e vero del suo insegnamento. L’Arcivescovo, che per vent’anni ha vissuto a Lecce da guida e pastore del suo gregge, lascia un patrimonio di buoni esempi e una grande carica affettiva per chi lo conosciuto di persona e lo ha avuto accanto”. Il Consigliere è certo, comunque, che “la sua terra adottiva non lo abbandonerà mai e lui riposerà in eterno qui, nel cuore della sua amata Lecce”. “Cordoglio e forte partecipazione personale ai sentimenti di tristezza e dolore che in questi momenti uniscono i salentini per la morte dell’Arcivescovo Emerito di Lecce, mons. Ruppi” sono espressi dal Presidente del Gruppo Consiliare del PDL alla Provincia di Lecce, Biagio Ciardo, anche a nome dell’intero gruppo di maggioranza a Palazzo dei Celestini. “Ruppi - ricorda Ciard o- anche per la politica salentina, oltre che per la società e le famiglie di questo territorio, ha costituito per oltre 20 anni uno stimolo costante, un riferimento puntuale e

autorevole, per la Chiesa del Salento e per la sua azione quotidiana”. “Il suo è stato un passaggio indelebile da questa terra, un punto di svolta nell’operatività cristiana e nell’azione di carità della Chiesa” conclude Ciardo, ricordando “la visita di Sua Santità Giovanni Paolo II al Salento e a Lecce in particolare, la convocazione del Sinodo Diocesano, la realizzazione di grandi e durature opere, come le chiese di nuova costruzione o il Seminario”. Anche il presidente di Confindustria di Lecce, Piernicola Leone de Castris, ha sottolineato come il Presule sia sempre stato in prima linea e abbia rappresentato un punto di riferimento culturale e sociale per le famiglie, per i giovani, per gli imprenditori. “Un pastore al passo con i tempi, che ha fatto dell’accoglienza e della capacità di ben comunicare le priorità del suo mandato episcopale. Deciso, fermo, forte, coraggioso nelle scelte, di cui si assumeva in prima persona ogni responsabilità - prosegue de Castris - lascia un vuoto incolmabile nella società civile e, in particolare, in tutti coloro che lo hanno conosciuto ed apprezzato anche per le opere tangibili che ci ha lasciato”. La sua conclusione, icastica e significativa, esprime bene con una metafora il modo in cui i leccesi vivono la dipartita di un grande Arcivescovo. “Il valore del suo messaggio cristiano rimarrà fulgido esempio per la comunità salentina che, idealmente, lo abbraccia nel suo ultimo viaggio”. G. P. L.

Congregazione delle Suore Discepole del Sacro Cuore - fin da luglio 2009, tre suore della nostra congregazione hanno vissuto ad Alberobello insieme con lui, godendo della sua presenza amabile e della sua assistenza spirituale”. Le suore hanno assistito l’Arcivescovo in tutto il periodo della sua malattia, fino al momento della morte. “Per sua volontà, la nostra Congregazione resterà ancora presso la Casa per anziani della fondazione “Giovanni XXIII”, adempiendo ad espresso desiderio di Mons. Ruppi. E noi siamo contente di esaudire questa volontà - sostiene la Superiora - per essere al servizio delle persone anziane ospiti, che egli ha amato e servito”. La Cisl di Lecce esprime il più sentito cordoglio per la scomparsa di mons. Cosmo Francesco Ruppi, già arcivescovo metropolita della diocesi leccese. “Ricordiamo di mons. Ruppi - ha dichiarato Piero Stefanizzi, anche a nome della Segreteria e di tutta l’organizzazione cislina - l’instancabile opera nell’ambito della Chiesa di Lecce e l’azione di accoglienza, attraverso il centro Regina Pacis di San Foca, nei confronti dei disperati che sbarcavano sulle coste del Salento. Il suo impegno è stato un esempio per tutti ed ha rappresentato un momento di reale fratellanza e di concreto aiuto nei confronti di persone che cercavano nel nostro Paese il riscatto morale e materiale. Grazie all’impegno di mons. Ruppi la città di Lecce può vantare una moderna struttura adibita a Seminario che fu inaugurato dal Giovanni Paolo II, il Santo Padre che accolse l’invito di mons. Ruppi e che suggellò un momento indimenticabile per la Diocesi di Lecce e per tutto il territorio salentino”. Mons. Ruppi, come ha aggiunto Piero Stefanizzi, è stato anche un attento osservatore delle problematiche giovanili, sollecitando interventi in favore di una fascia della popolazione bisognosa di trovare un inserimento nella società e nel mondo del lavoro. Il Presidente Nazionale Salvatore Martinez, il Comitato e il Consiglio Nazionale del Rinnovamento nello Spirito Santo, “elevano al Dio del Cielo preghiere in suffragio dell’anima del caro Arcivescovo emerito di Lecce”. Il Presidente afferma: “Di S. E. mons. Cosmo Francesco Ruppi rimarrà sempre vivo il ricordo di un’amicizia spirituale e di una paternità sempre operosa verso gli ultimi, esigente verso i primi, gravida di speranza per il futuro e di amorevole servizio alla Chiesa”. “La morte del nostro caro Arcivescovo Metropolita Granpriore dell’Ordine del Santo Sepolcro di Gerusalemme mi rattrista e mi addolora”, ha asserito il Cerimoniere dell’Ordine del Santo Sepolcro di Gerusalemme, Ennio Maria Frassanito, il quale ha poi rivelato una sua vicenda personale in relazione alla morte prematura della cara consorte: “io stavo perdendo la fede, e lui, con la sua squisita e sempre cordiale accoglienza, mi fu sempre di conforto materiale, ma soprattutto spirituale”. Aldo De Matteis, del Rinnovamento nello Spirito, lo ha definito “uomo lungimirante, sapiente e dotato di una grande intelligenza”, che ha segnato la sua vocazione cristiana. “Testimone del Vangelo della carità, ha saputo coniugare la fede alle opere come pochi hanno fatto e fanno all’interno della Chiesa. Non è mancata un’udienza nella quale egli non abbia espresso gratitudine e apprezzamento per il cammino ecclesiale del Rns auspicando sempre maggiore impegno”. De Matteis ricorda poi la sua presenza a Rimini, occasione durante la quale mons. Ruppi fu uno dei primi vescovi a dire “è tempo che usciate fuori! La Chiesa, il mondo hanno bisogno di voi!” Da qui ebbe inizio la missione del Rinnovamento in Moldova. “Mons. Ruppi ci ha introdotto e sospinto nel cammino ecclesiale in cui orgogliosamente ci ritroviamo. Gli ho voluto bene, e personalmente sono grato a Dio per averlo incontrato e conosciuto”, ha concluso. G. P. Lich.


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Lecce, 4 giugno 2011

LA MORTE DI MONS. RUPPI IL SALUTO DELLA CHIESA DI LECCE L’AZIONE CATTOLICA DIOCESANA

Una vicinanza fatta di consiglio e di preghiera L’Azione Cattolica dell’Arcidiocesi di Lecce si unisce alla preghiera della Chiesa per l’arcivescovo Cosmo Francesco Ruppi, oggi tornato alla casa del Padre. I ragazzi, i giovani e gli adulti dell’Associazione elevano al Signore il ringraziamento e la lode per tutti i doni che attraverso la fecondità del suo oltre ventennale episcopato ha profuso sulla nostra amata Chiesa e sulla nostra Associazione. I cuori di tutti noi sono uniti nella gratitudine per l’amore pastorale che ci ha manifestato attraverso le ricchezze dell’insegnamento, della testimonianza e della sollecitudine al servizio senza mai remissione di continuità, tanto nei tempi delle gioie che delle sofferenze. “Esorto l’A.C. - aveva scritto l’arci-

vescovo in una lettera all’Associazione diocesana - a farsi in mezzo al Popolo di Dio, vivace annunciatrice e testimone della fede, a promuovere la santità feriale della vita e a mettersi generosamente a servizio dell’animazione evangelica delle realtà temporali”. L’Azione Cattolica di Lecce continuerà a spendersi nell’impegno dell’evangelizzazione, anche raccogliendo l’eredità di mons. Ruppi. In oltre ventun’anni di episcopato l’Azione Cattolica ha vissuto affianco al pastore tanti eventi importanti per la nostra Chiesa: tra tutti, la venuta a Lecce del beato Giovanni Paolo II, la celebrazione del Sinodo diocesano, le tante opere di accoglienza e di carità, la realizzazione del nuovo Seminario arcivescovile.

“Il suo grande cuore di Padre ha continuato ad amare e sostenere la nostra A.C. diocesana attraverso un’ininterrotta vicinanza espressa in tanti momenti personali ed associativi - spiega Massimo Vergari, presidente diocesano dell’AC di Lecce -. Mons. Ruppi ha sempre assicurato preghiera e benedizioni, esortando continuamente la presidenza, il consiglio diocesano e tutti gli aderenti a spendersi con slancio sempre maggiore per le necessità pastorali e sociali della nostra terra. L’alto valore del suo ministero episcopale lo pongono in alto nella pace celeste. Assicuriamo il ricordo nella preghiera in tutte le realtà associative parrocchiali e una tenerezza speciale nel cuore di tutti”.

IL RAPPORTO CON I LAICI

“Ascoltava come un padre...” Tutto avrei potuto immaginare tranne che avrei dovuto scrivere un coccodrillo per quel vescovo per il quale, nei primi anni del suo episcopato leccese, sembrava che tutti i salmi finissero con lo stesso gloria: professore a destra… professore a manca. Non si pensava che quel male che negli ultimi tempi aveva solo apparentemente rallentato il suo dire e il suo scrivere avesse potuto vincere in modo così improvviso. Eppure da quando le locandine dei giornali locali hanno strillato la scomparsa di quello che per venti anni è stato il “mio” vescovo tante immagini sono ritornate a galleggiare nello lago dei miei ricordi, anche perché gran parte di quel bacino si è formato proprio durante il suo ventennio. Per questioni anagrafiche la mia infanzia è stata minerviana, la mia adolescenza seminaristica mincuzziana e la mia vita da laico ecclesialmente impegnato a livello diocesano è stata ruppiana, nella buona e nella cattiva sorte - si direbbe in altri ambiti. Mons. Ruppi è stato il vescovo che mi ha chiamato all’insegnamento della Religione Cattolica nei licei del capoluogo, ha avallato il mandato a coordinare il Settore Adulti dell’Azione Cattolica per sette anni e mi ha scelto per due volte come presidente diocesano della stessa storica Associazione, da lui tanto amata e seguita; è stato il vescovo che mi ha voluto nella delegazione della diocesi prima al convegno ecclesiale di Palermo e poi a quello di Verona; è stato il vescovo che mi chiamò a coadiuvare il nascente Istituto di Scienza Religiose nella fase della riorganizzazione della storica Biblioteca Innocenziana all’interno dell’Antico Seminario; come è stato sempre lui ha chiamarmi alla collaborazione più attiva a queste pagine e ad accettarmi come unico laico all’interno della Segreteria del Sinodo diocesano. Solo una volta l’ho chiamato io, per benedire il mio matrimonio ed è stato felice di esserci. è stato uno dei pochi casi in cui gli sposi hanno dovuto attendere il celebrante. Certamente posso dire che siano stati anni di fedele collaborazione, certamente non di idilliaca intesa, ma lui era il mio vescovo, il vescovo di Lecce. E lo è stato finché il Santo Padre lo ha voluto. Poi è diventato il predecessore del “mio vescovo”. Ho sempre detto e cercato di met-

tere in pratica quello che penso siano alcuni punti fermi della vocazione laicale che ha la necessità di avere un rapporto costante con il proprio vescovo anche se distinto da esso, sia per una questione di identità che di missione. In moltissimi casi, non in tutti, posso testimoniare la costante tensione verso l’indipendenza che pretendeva dal laicato nei confronti della Gerarchia, come se dovesse essere un valore da maturare e dimostrare, nonostante quello che i più credevano. Anche se rimaneva profondamente vescovo con una cura viscerale nei confronti dei suoi preti per i quali era pronto a tutto, a difenderli con le unghie e con i denti, contro tutti e nonostante tutto. Ha avuto le sue idee e le sue visioni della realtà, qualche volta con una osservazione quasi esclusiva ed era difficile che cambiasse opinione, particolarmente quando veniva dalle “sue” fonti autorevoli; comunque ascoltava, come ascolta un Padre che ha di fronte un figlio che ne ha combi-

Autorevolezza della cattedra e cordialità del carattere Tu devi venire ad insegnare nel mio nuovo Istituto Superiore di Scienze Religiose - disse mons. Ruppi, con quel tono, fra il curiale ed il familiare, che sarebbe stato il suo inconfondibile tratto di indimenticabile uomo di Chiesa, portato naturalmente a coniugare l’autorevolezza della sua cattedra con la cordialità del suo originario temperamento. E ponendo, in segno di amicizia, la larga sua mano sulla spalla dell’intimidito vice-provveditore agli studi, continuò: nulla può compiacere più dello sguardo d’uno studente che senta di poter cogliere dagli insegnamenti quotidiani dei suoi docenti il senso della vita, nascosto fra le formule matematiche, i testi di letteratura e le teorie scientifiche. Il sorriso d’amichevole assenso del buon preside Scipione Navach, fine letterato e mite cultore di Dante, ed amico d’antica data di mons. Ruppi, suggellò l’assenso alla proposta, nella solennità dell’Episcopio di Lecce, an-

cor rifulgente dei colori e delle voci della festa d’accoglienza del 29 gennaio 1989. Tu devi far da Preside nel mio Liceo - disse a distanza di vent’anni mons. Ruppi, con l’immutato stile di chi, per storica esigenza di rappresentanza, non può rendere sempre trasparente la natura più interiore del suo animo. Vieni fra i ragazzi e le studentesse della mia scuola, ed aiuta i miei insegnanti a far continuare la bella tradizione formativa del Ginnasio-Liceo Giovanni Paolo II, che tanta cura e tanti sacrifici mi ha richiesto. Sono molto malato - mi confessò il sabato precedente il Natale del 2008 e mi dispiace di non poter dare ancora per molto quanto le giovanette e gli studenti del mio Liceo meritano. I suoi occhi avevano i flebili riflessi della malinconia di chi sente di non poter ancora pensare in grande, come aveva fatto anche lungo il ventennio che ha donato al suo Liceo. Fabio Scrimitore

nata una delle sue o che non ha fatto quello che lui si sarebbe aspettato. Tante volte invitava ha avere uno sguardo al di sopra delle parti evitando di essere catturati o etichettati come di parte. Come, è pur vero, tante volte ci invitava ad evitare qualsiasi tipo di coinvolgimento, specialmente in ambito sociale. Forse con il suo sguardo vedeva quei pericoli che noi giovani esuberanti non riuscivamo a vedere. Forse aveva paura di perderci o di vederci con la cravatta sbagliata. Da quando si era chiuso nel suo riserbo diplomatico, come lo chiamava lui, da quando non era più il “mio vescovo” le nostre strade si sono incrociate poche volte, ma a distanza mi sono limitato a leggerlo, ad ascoltarlo con discrezione. Dopo aver appreso l’ultima “notizia” me lo sono immaginato lì davanti alla porta del Paradiso mentre si faceva largo per raggiungere San Pietro: Santità, c’è qui con me un amico, il direttore Agnes! Tonio Rollo

La sua eredità raccolta nelle pagine del Sinodo

L’estremo saluto ad un Vescovo che per venti anni ha profuso per la Chiesa che è in Lecce tutto se stesso, con la ricchezza dei doni di cui lo ha ricolmato lo Spirito, è colmo di ricordi e di gratitudine. Preghiera e azione hanno ritmato le sue giornate di impegno, ma anche il sacrificio a causa delle difficoltà, affrontate sempre con forza d’animo e nella piena fiducia in Dio e in Maria. Tra i ricordi resta centrale per me quello del grande evento, il Sinodo fortemente voluto nella prospettiva di riprendere con più lena il cammino sulla strada maestra tracciata dal Concilio. Un momento di grazia lungo sei anni, vissuto dal Pastore e dalla comunità ecclesiale, nella piena disponibilità all’ascolto dello Spirito e in una rinnovata tensione spirituale per andare più avanti e salire più in alto. La sua eredità, oltre le grandi opere realizzate, è raccolta nelle pagine della Costituzione sinodale, ricca di indicazioni operative mirate ad una nuova evangelizzazione. Un ricordo più vivo, perché fa parte della mia esperienza personale di collaborazione professionale e volontaria, è il suo amore ed il suo impegno per il Liceo “Giovanni Paolo II”, voluto come un servizio non solo per i seminaristi, ma anche per ragazze e ragazzi esterni, le cui famiglie chiedevano per i figli una seria preparazione scolastica ed un’educazione cristiana. Anche questa è una piccola parte della sua grande eredità, che vive e può avere ancora un futuro Grande è la gratitudine per l’intensità con cui ha esercitato il suo triplice munus di insegnare, santificare, riunire e guidare il popolo di Dio. I frutti del suo lungo servizio lo accompagnano ora nell’incontro con Dio Reno Sacquegna


Lecce, 4 giugno 2011

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IL TESTAMENTO SPIRITUALE LADI MORTE DI MONS. RUPPI S.E. MONS. COSMO F. RUPPI IL SALUTO DELLA CHIESA DI LECCE

el momento in cui vedo scemare le mie forze e avverto che il Signore mi sta già chiamando, professo la mia fede nell’unico Gesù, il Messia Salvatore che è morto ed è risorto. È la fede che mi ha sempre sostenuto nella mia vita sacerdotale e nella vita episcopale, tenendo conto che ho scelto il motto giovanneo: “Fides victoria nostra”.

È

vero che la fede mi ha sostenuto nelle dure battaglie della vita; mi ha dato forza e gioia, anche nel fuoco della persecuzione giudiziaria che mi ha lambito mentre difendevo, da padre, don Cesare Lodeserto. La mia fede è stata sempre fondata sulla fede nel Risorto ed è stata alimentata dalla devozione alla B. V. Maria, dal sacrificio, dal lavoro, dalla preghiera. Ho avuto il dono della fede nel Battesimo e l’ho alimentata dall’esempio del mio papà, uomo di fede e di fedeltà alla Chiesa, e soprattutto della mamma, che mi ha fatto da padre e madre fino alla sua esistenza terrena. Questa fede ha trovato nel popolo cristiano delle parrocchie di Termoli-Larino e Lecce la costante conferma, perché ho incontrato tanti credenti, pieni di dolore e di gioia, ma ricchi di fede: ho sempre trovato conferma nella mia fede dalle celebrazioni, dagli incontri coi malati, dagli incontri col “popolo minuto”, dal popolo sano, fatto col lavoro e la sofferenza.

L

a mia fede è sulla Parola di Dio, la Bibbia, che ho sempre enunciato, ma è anche nel Magiste ro del Papa, successore di Pietro e vescovo di Roma, al quale ho sempre professato obbedienza assoluta e generosa. Ho avuto la gioia di ospitare due volte Giovanni Paolo II a Termoli il 19 marzo 1983 e a Lecce nei giorni 17 - 18 settembre 1994. Sono stato ricevuto molte volte in Udienza, anche a tavola, e ho misurato la sua fede e la sua tenacia nel servire la Chiesa con forza e gioia. Ho ricevuto tanti insegnamenti, che conservo nel cuore e ai quali ho ispirato la mia condotta pastorale. Col tempo, quando c’è stato il fenomeno dell’accoglienza nel “Regina pacis” ho capito che la fede senza le opere è morta: la fede ha la conferma della carità. È cresciuta anche la speranza, soprattutto nella tarda età, col sopraggiungere delle sofferenze.

L’Ora del Salento

oggi deve essere testimone della fede, ma deve anche essere testimone di speranza e testimone di carità. Dio sa quanto è cresciuta nel mio animo la virtù della speranza: da piccina piccina, è diventata grande; mi ha sostenuto nei miei ricoveri in ospedale e a Pisa mi ha fatto essere sereno di fronte alla scoperta del cancro al polmone; mi ha sorretto negli esami molteplici, nella cura non lieve delle sedute chemioterapiche; mi ha sottoposto alle cure più svariate, accrescendo la fede nella presenza di Dio nella mia vita. Da ragazzo ho sperimentato largamente la povertà; da vecchio sperimento il valore della sofferenza fisica e lascio a tutti la lezione di accettare la sofferenza e i dolori, pensando alla sofferenza della Croce di Cristo che mi ha detto più volte negli ultimi anni: “se vuoi venire dietro di me, prendi la tua croce e seguimi”.

U

na parola speciale vorrei consegnare ai tanti sacerdoti che ho avuto la gioia di ordinare: “siate pieni di gioia! Servite con sacrificio la Chiesa, dispensate speranza e diffondete carità, col vostro esempio. Conservo, nella memoria di Dio, tutti i sacerdoti che ho incontrato nel mio lungo episcopato: quanto sono stati buoni e amabili con me! Un clero meraviglioso: quelli di Termoli-Larino e quelli di Lecce; quanti sacrifici essi fanno nella vita! Quanto devo ad essi in compatimento, affetto e amicizia. Tutti ricordo al Signore; per tutti prego; a tutti chiedo la preghiera. Un pensiero voglio lasciare alle Suore, a quelle che mi hanno sempre assistito, alle care Discepole del Sacro Cuore e alle Suore Salesiane dei SS. Cuori, felice, per queste ultime, di aver visto il loro fondatore arrivare alla venerabilità, alla beatificazione e alla canonizzazione. Sono certo che San Filippo, San Pio da Pietrelcina, tutti i Santi di cui ho parlato e scritto negli ultimi anni, insieme a Maria, hanno pregato per me e sono alla porta del cielo.

A A A

i fedeli lascio tutto il mio affetto e la mia esor tazione ad essere testimoni della fede e vivere con gioia e con impegno la stagione conciliare.

l fratello, ai parenti tutti, lascio il mio invito a ricordarsi di me nelle preghiere ed essere de onostante sia chiamato alla successione apo gni del nome e della eredità che ci hanno lastolica, ho fatto tanti peccati, e sento di dover sciato i genitori, onorando con la vita il Battesimo. chiedere perdono a Dio, soprattutto per i peccati di omissione. Se ho offeso qualcuno, chiedo sinlla Fondazione “Giovanni XXIII” che mi ha ceramente perdono e perdono le offese che sono staaccolto da vecchio e che ho amato come cre te recate, forse involontariamente, a me: voglio laatura, l’invito ad essere segno della carità di sciare questa terra con la pacificazione interiore, con Cristo: gli anziani e i vecchi hanno bisogno di amola tranquillità di essere perdonato da Dio e dagli uo- re! Questa è stata la casa della carità. Sia così! mini: miseremini mei! Alberobello, 10 marzo 2011

N L

ascio ai fedeli tutti e particolarmente ai sacer doti l’invito ad essere uomini e donne di fede: la fede ci salva e ci salverà in eterno. Il prete


L’Ora del Salento 11

Lecce, 4 giugno 2011

zoom

LECCE/Presso il Polo Oncologico di Lecce celebrazione eucaristica per ricordare la beatificazione di Giovanni Paolo II

Un grande apostolo della sofferenza Nel pomeriggio del 19 maggio scorso, presso il Polo Oncologico “Giovanni Paolo II” di Lecce, l’Associazione “Giovanni Paolo II” ha ricordato la Beatificazione dell’indimenticabile Pontefice polacco, avvenuta il giorno 1° maggio. Prima della Celebrazione Eucaristica, i Volontari si sono incontrati con mons. Pierino Liquori per una conversazione sul tema: Giovanni Paolo II, Apostolo della sofferenza del Terzo Millennio. Il relatore ha messo in evidenza alcuni concetti espressi dal Papa nella Lettera Apostolica “Salvifici Doloris”, riguardo il senso cristiano della sofferenza umana. La lettera è stata resa nota al mondo intero il giorno 11 febbraio 1984, memoria della Madonna di Lourdes. Mons. Liquori ha voluto sottolineare questa data particolare in quanto in essa si celebra anche la Giornata Mondiale del Malato, fortemente voluta dal Beato Giovanni Paolo II. Il relatore ha detto che quando il Papa parlava di volontariato, intendeva dire: Apostolato, Vocazione e Solidarietà, in quanto il volontario è apostolo del dolore perché risponde ad una chiamata offrendo non solo la sua presenza ma tutta la solidarietà di cui è capace. Ha proseguito evidenziando un pensiero del Papa fatto ai medici nel 1987: Mai come nel caso dei malati oncologici il compito è particolarmente delicato. È importante stabilire un dialogo tra l’ammalato e il medico. La medicina non deve fermarsi al solo aspetto terapeutico, ma

deve dilatarsi all’intera persona. L’uomo soffre in modi diversi non sempre contemplati dalla medicina. L’ammalato ha tutto un mondo che è interessato nel dolore, esso ha un Io che vive la condizione di sofferenza come una dimensione esistenziale molto complessa in termini di passato, di vissuti personali e di emozioni; si trova con due ferite da curare: una fisica ed una spirituale. Importanti sono le terapie mediche quanto le terapie spirituali. Ha continuato nel suo discorso il relatore, mettendo in evidenza il fatto che oggi occorre diffondere la cultura della solidarietà. Ha detto anche: Quando manca il senso della solidarietà vuol dire che manca l’amore all’ammalato. Ha proseguito don Liquori dando una chiave di lettura su come deve essere il volontaria-

to: Il vero e proprio volontariato deve essere visto non solo come attenzione verso l’altro, ma essere inteso come un arricchimento personale nel fare il bene altrui, non solo far del bene ma farsi del bene. Su quest’argomento ha fatto riferimento alla parabola del buon samaritano. I primi due personaggi, ossia il sacerdote e il levita, videro e passarono oltre, mentre il terzo, un samaritano, vide l’uomo ferito, ne ebbe compassione, gli si fece vicino e gli fasciò le ferite; poi lo portò a una locanda e si prese cura di lui (cfr. Lc 10,33-34). Tale parabola ci indica come deve essere il rapporto di ciascuno di noi verso il prossimo. Il buon samaritano ha accolto nella sua mente e nel cuore una persona che non conosceva; ha dimostrato così di essere il prossimo di quell’infelice. Il volontario ospita in lui

l’ammalato, con tutto il suo mondo fisico-psichico o fisicomorale. È l’uomo o la donna dell’ascolto! Viene da porsi un’altra domanda, continua mons. Liquori: qual è lo scopo della malattia e a che serve?. Ha soggiunto il relatore che la sofferenza, seguendo la parabola evangelica, è necessaria per sprigionare nell’uomo l’amore, quel dono, cioè, disinteressato del proprio Io in favore degli uomini sofferenti, i quali invocano senza sosta un altro mondo, quello dell’amore umano, quell’amore spontaneo e disinteressato. Il buon samaritano, ha affermato ancora mons. Liquori, fa il bene in funzione di una relazione con Cristo, perché lui stesso è presente in quel fratello sofferente e che il servizio dell’uomo è un servizio reso a lui. Ha portato come esempio

l’opera grandiosa della Beata Madre Teresa di Calcutta, la quale associava sempre la Celebrazione Eucaristica al servizio, infatti, diceva: ho incontrato Gesù nell’Eucarestia, ora vado a servirlo nei malati. Nell’omelia della Santa Messa, lo stesso sacerdote ha esordito così: è bello incontrarsi davanti al Libro Santo e all’altare del Signore. Le Scritture ci provocano, l’altare ci offre. Afferma ancora il celebrante: davanti alla Parola bisogna aprire il cuore e, se non abbiamo il cuore e la mente rivolti a Cristo, la Parola rimane sterile. L’altare ci invita all’accoglienza che è dono, come è dono la vita di Gesù e la sua Pasqua che ci ha fatto dalla croce. E attraverso il dono del sacerdozio ministeriale, noi continuiamo nei secoli a diffondere quello che lui

ci ha dato per la vita: se stesso. Noi davanti all’altare e davanti a lui viviamo una relazione d’amore. Mons. Liquori ha concluso l’omelia invitandoci a chiedere al Signore che la sua Parola ci scardini dalle nostre sicurezze per accogliere lui, nel mondo vince solo l’amore: Gesù è amore. Conclusa la Celebrazione Eucaristica, Myriam di Gesù, vice presidente e Silvana Cleopazzo, segretaria dell’Associazione Volontari Ospedalieri Giovanni Paolo II, a nome di tutti i soci hanno offerto a mons. Liquori un omaggio come segno di gratitudine e riconoscenza per aver accolto l’invito facendoci trascorrere un pomeriggio carico di spiritualità, conoscendo più a fondo il Beato Giovanni Paolo II. Il presidente, padre Vincenzo Caretto, ha ringraziato i presenti e i volontari, con l’augurio che altri fratelli in Cristo si associno a quest’opera caritatevole verso chi è sofferente. Tommasa Greco

Coloro che desiderano avere ulteriori informazioni sull’associazione, possono chiamare padre Vincenzo al seguente numero di cellulare 348.6519723 o possono incontrarlo personalmente ogni pomeriggio prima della Santa Messa che si celebra ogni giorno alle ore 17.00 nella Cappella del Polo Oncologico, sita al primo piano. Si può inoltre contattare, la vice presidente, Myriam di Gesù al cellulare: 389.6821306.

Le riflessioni dei volontari alle sollecitazioni di don Liquori. Un’occasione per riscoprire il ruolo del volontario ospedaliero

Un vero cenacolo di carità operosa Conclusa la conversazione, don Pierino Liquori ha proposto a noi, membri dell’associazione, alcune domande sulle quali ci siamo confrontati a lungo. A continuazione, riportiamo le nostre riflessioni affinché quanti leggeranno questa bella esperienza, rimangano arricchiti spiritualmente, con l’auspicio che altri laici impegnati nella Chiesa Santa di Cristo, si uniscano a noi per consolidare questo Cenacolo di carità operosa, che interagisce presso i nostri fratelli provati dal dolore. Descrivere gli atteggiamenti interiori che vi portano ad esercitare il volontariato. Per ognuno di noi, volontari ospedalieri Giovanni Paolo II, il motivo che ci ha portati in questo Polo Oncologico è diverso. Per tutti però c’è un comun denominatore: portare Gesù agli ammalati perché gli ammalati cerchino lui. Per alcuni l’amore grandissimo verso i sofferenti è la risposta al desiderio di fare qualcosa per il Signore, il sofferente per eccellenza. Questo li ha portati a comprendere che nella vita, dare in realtà è ricevere e il donarsi un arricchimento continuo perché condividere particolari momenti difficili con chi soffre, aiuta a crescere, a divenire migliori. Ancora, per altri, la sofferenza vissuta personalmente ha accresciuto quella sensibilità che li ha portati a leggere le pagine del dolore altrui con gli occhi di chi ha già letto quel libro, ed è così che interessarsi

dell’ammalato non è per curiosità ma per comprensione, per condivisione ed è il mezzo per sentirsi meglio, utile e perché no, necessario. C’è chi, invece, ha fatto questa scelta perché spinto dal desiderio di far comprendere che bisogna dare un senso alla sofferenza, che non va mai intesa come punizione divina, perché Dio ama i suoi figli. Siamo noi che abbiamo contribuito alla distruzione di ciò che il Creatore aveva così mirabilmente creato e distruggendo con il progresso ciò che ci circonda, abbiamo distrutto noi stessi. Per altri è stata una chiamata di Gesù e la risposta è stata l’offerta di se stessi perché lui potesse arrivare ad ogni ammalato, ogni giorno, per dare il conforto della sua presenza attraverso la figura dei Ministri Straordinari della Comunione che, portando l’Eucaristia a chi soffre, sperano di lenire il dolore, di confortare gli sfiduciati, di non farli sentire soli. Infine, per altri, essere volontari al servizio della sofferenza era necessario per colmare quel vuoto interiore che rischiava di sommergerli, annientandoli. Così, pur consapevoli dell’impegno di tanta parte del proprio tempo, hanno deciso di condividere il peso emotivo della sofferenza dei fratelli. Siete convinti che la sofferenza è medicina per guarire cuori egoisti che non rendono la società più umana? Essere volontari è sentire nel proprio cuore il desiderio di servire Cristo nei fratelli. Animati da questa forza, noi, “Volontari

Ospedalieri Giovanni Paolo II”, percorriamo le diverse Unità Operative del Polo Oncologico per offrirci all’altro, a chi, in un letto di ospedale, si sente solo, dimenticato, disperato. A volte però le delusioni, il non sentirsi accettato ma respinto, ignorato e a volte contestato, ci porta a demordere perché ci sentiamo svuotati, inutili, incapaci, demotivati. Tutto questo non va sottovalutato ma affrontato. Il volontario ospedaliero, per essere tale, deve per forza annegare il suo Io, il suo egoismo, nell’oceano dell’infinita misericordia divina, dimenticandosi di se stesso per ricordarsi dell’altro. Allora si che amiamo per amarci e, benché carichi dei nostri problemi e delle nostre sofferenze, avremo la forza di lasciarli fuori dal cancello dell’ospedale per rivestirci del camice del servizio, indossando la Croce dell’Amore e il cartellino che ci identifica come volontari ospedalieri. Ed ecco che parleremo di altruismo non più di egoismo, non sarà ripiegarsi su se stessi ma creeremo un’apertura a 360° per accogliere chi soffre per consolarlo, confortarlo, ascoltarlo, curandone lo spirito con iniezioni d’amore. La nostra umanità lieviterà noi stessi e così diventeremo lievito per altri. Diventando migliori riusciremo a pensare all’ammalato nella sua interezza, non vedremo in lui solo la malattia da curare, così come spesso accade per alcuni medici, ma vedremo l’uomo che ha bisogno di qualcuno che si prenda cura di lui come uomo nella sua totalità. Curare lo spirito spes-

so aiuta il corpo a reagire meglio e si può affrontare il decorso con più serenità e speranza. Ed ecco il volontario che si spende accanto agli ammalati nella recita del Rosario o, nel periodo quaresimale, nel pio esercizio della Via Crucis; o accanto all’ammalato che, non potendosi muovere da solo, viene accompagnato per ascoltare la Santa Messa. Portare Gesù a chi soffre, perché chi soffre vada da Gesù. Questo è anche e soprattutto il nostro compito. E allora sì che dopo aver fatto questo ci sentiremo servi inutili. Il Signore ci dia, come ha detto don Pierino Liquori, l’entusiasmo di agire nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Chi è il malato per voi volontari, nel cammino della vostra vita, una persona passiva o attiva? Per noi, “Volontari Ospedalieri Giovanni Paolo II”, che abbiamo deciso di intraprendere nella nostra vita questo cammino, inteso come missione, chiamata, l’ammalato è sempre una persona attiva, nel senso che nell’incontro stimola e provoca nella nostra umanità, disponibilità ed empatia. Da ciò scaturisce un processo di crescita morale e spirituale secondo una circolarità di servizio nel dare e nel ricevere. Il grande Papa polacco, ce lo ha insegnato, nell’Enciclica Salvifici Doloris, parla di venerazione per l’uomo malato, per cui noi volontari dobbiamo avere cura di ogni ammalato che visitiamo, dobbiamo manifestare per loro amore, perché culla

della vita è l’amore che apre, nelle situazioni più complesse e difficili, alla solidarietà e alla speranza. In realtà è proprio così: accostarsi a un ammalato, soprattutto in ospedale, dove tutto si legge in termini ultimi, fa pensare a un rapporto sterile, poco costruttivo. Invece, noi volontari, forti del dono di noi stessi, nella piena consapevolezza che servire l’ammalato è servire Cristo, combattiamo, insieme a chi soffre, il dolore, la pena, la rabbia, la disperazione. Con la capacità di donarci, operando anche nel silenzio, offriamo anche quell’ascolto che si traduce in formule d’amore scritte dal nostro tacere. La nostra presenza accanto a chi soffre, pur sempre discreta, vissuta in punta di piedi, vuole riempire di senso, di significato, quei momenti difficili che sembra a volte soffocarli, attanagliarli, nella morsa della paura, del dolore fisico, morale, e perché no anche spirituale. Noi “Volontari Ospedalieri Giovanni Paolo II”, abbiamo deciso di metterci al servizio dei fratelli per offrire il meglio di noi stessi a vantaggio del benessere dell’ammalato, per creare un rapporto tessuto di fili d’amore, di comprensione, di condivisione per far capire che non è solo ma che qualcuno si è accorto di lui. E allora, quando un’ammalata rivolto ad una volontaria, l’ha chiamata dottoressa, dinanzi al suo diniego, si è espressa dicendo: Ma sei la dottoressa del mio cuore!, si comprende quanto ci offrono gli ammalati che segna la nostra vita in

modo indelebile e ci danno la forza di proseguire sul nostro cammino, al loro servizio, al servizio di Gesù. Cosa si può fare perché il volontariato non si fermi all’atto del servizio ma sia sensibilizzazione di tutte le realtà sociali? Tradurre il servizio nel proprio stile di vita fa si che nella nostra cerchia di amicizie, ma anche in seno alla famiglia, si possa diffondere la giusta sensibilità verso gli ammalati, diventare noi, volontari in un certo senso, riferimento e stimolo spirituale, religioso, cristiano, per altre realtà apparentemente assopite nei propri interessi. È necessario diffondere la cultura della solidarietà, perché, se manca il senso di essa, manca l’attenzione all’altro, invece, bisogna avere a cura la persona dei malati, perché l’uomo è corpo e spirito. Il compito del volontario, non deve quindi esaurirsi nelle mura dell’ospedale, ma con la sua esperienza di volontario deve proiettarsi anche nel mondo esterno, nei luoghi di lavoro, nelle case, nelle parrocchie, per cui la sua presenza diventa sociale, culturale, politica, religiosa perché è necessario raggiungere chiunque, persone e istituzioni che possano realmente interessarsi sul modo di prendersi cura dei malati, “... perché ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero forestiero e mi avete ospitato, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato” (Mt 25,35). Myriam Di Gesù


L’Ora del Salento 3

Lecce, 23 maggio 2009

primopiano Presentato il volume dell’Istituto Superiore di Scienze Religiose

Una Chiesa tanto amata Venerdì 15 maggio, alle ore 19.00, presso il Centro Catechistico Parrocchiale, di Campi Salentina, ha avuto luogo la presentazione del libro “Una Chiesa tanto amata. Aspetti del magistero di S. E. mons. Cosmo Francesco Ruppi Arcivescovo di Lecce”. L’incontro è stato promosso dall’Istituto Superiore di Scienze Religiose di Lecce e la Parrocchia “S. Maria Delle Grazie” di Campi. Vent’anni di episcopato di mons. Ruppi nella diocesi di Lecce per la quale ha profuso tutte le sue energie fisiche, intellettuali e spirituali condensati in questo libri. Gli undici contributi che compongono il volume corrispondono agli studi di altrettante lettere pastorali dell’arcivescovo. Autori di queste riflessioni sono sacerdoti e laici, professori e docenti dell’Issr: Antonio Sozzo, Luigi Manca, Salva-

tore Cipressa, Anna Maria Fiammata, Silvia Quarta Serafino, Lilia Fiorillo, Marcello Tempesta, Attilio Mesagne, Salvatore Mele, Giovanna Rossella Schirone, Paolo Agostino Vetrugno. Dopo il saluto iniziale di don Gerardo Ippolito, Arciprete parroco di Campi, alla presenza di mons. Ruppi, si sono susseguiti gli intervenuti di don Luigi Manca, direttore dell’Issr, e la prof.ssa Lilia Fiorillo, docente di Filosofia dell’Issr. A moderare, la dott.ssa Anna Maria Fiammata. Il volume, nato per omaggiare l’arcivescovo alla conclusione del suo mandato, raccoglie una serie di studi dai quali emerge la volontà di mons. Ruppi di attuare le linee del Concilio Vaticano II, al quale egli ha partecipato in qualità di segretario del suo vescovo, mons. Falconieri. Inoltre, tutte le

sue lettere sono volte alla nuova evangelizzazione in un progetto di crescita da realizzare nella diocesi di Lecce. Nella prima lettera pastorale, “Giovani, vocazione e famiglia” (Quaresima 1990), mons. Ruppi “lasciava intendere che il suo modo di lavorare in diocesi è lavorare insieme, «senza individualismi e particolarismi», consapevole che «lavorare insieme è più difficile che lavorare da soli» - spiega don Manca - L’unità è il marchio di qualità della Chiesa, voluto direttamente da Cristo; dall’unità dei discepoli di Cristo dipende la credibilità dell’annuncio del Vangelo nel mondo”. “Nel suo ministero pastorale - ha continuato la prof.ssa Fiorillo - l’Arcivescovo è stato un costante sollecito nel contrastare lo smarrimento dei va-

lori e il degrado morale e civile attraverso scelte che chiamano in causa soprattutto i laici, capaci di essere testimoni coraggiosi, pronti a dare ragione della propria fede. Ciò richiede una cristianità più adulta, che , aderendo agli insegnamenti conciliari, sia protagonista di un rinnovamento civile e sociale.”. E la cura per il laicato è stata ulteriormente ribadita dallo stesso mons. Ruppi, nel suo intervento di ringraziamento. “Mi ha fatto piacere che, in una rassegna teologica, su undici contributi sette siano a opera di laici. Questi fa capire che la Chiesa sta camminando, seppure lentamente. Seppure, ad

ascoltare le riflessioni fatte, sembra che rispetto al Concilio Vaticano II i tempi siano accelerati. Teologicamente abbiamo fatto un cammino notevolissimo in questi quarant’anni, vissuti come cronista e poi da protagonista. Se i cristiani sapranno essere anima del mondo si costruirà il Concilio”. Sara Foti Sciavaliere

I sacerdoti dell’Arcidiocesi di Lecce ringraziano e salutano mons. Cosmo Francesco Ruppi alla vigilia della sua partenza Nel ripercorrere il cammino della guida pastorale di mons. Ruppi, ci accorgiamo dello straordinario ventaglio di ricordi che il Vescovo ha lasciato negli animi di tutti coloro che lo hanno accompagnato in questi vent’anni di cammino nella diocesi di Lecce. Segni tangibili di quanto questo percorso sia stato, in ogni istante, intenso, ricco di stimoli e di sostegno concreto per tutti coloro i quali avevano, con lui, la missione di portare avanti la Chiesa di Lecce. La testimonianza di una partecipazione viva e attiva arriva dalle parole di don Antonio Murrone, parroco della chiesa Madonna della Fiducia in Giorgilorio: “L’eredità che ci lascia Mons. Ruppi è immensa per tutti e a tutti i livelli. Nel mio piccolo, tra le cose più importanti che mi porterò di lui, innanzitutto il suo essere padre nella comprensione, nella pazienza e nel dialogo. Gli sarò sempre grato per il dono del sacerdozio di diciassette anni fa. Un legame sacramentale che nulla potrà spezzare. Mons. Ruppi con la sua saggia guida mi ha fatto vivere una Chiesa e un Cristianesimo incarnato nella storia, nel quotidiano; non un Cristianesimo fatto di parole o di chiusure, ma un Cristianesimo vivo, una Chiesa in dialogo con il mondo, insomma ci ha fatto vivere il Concilio Vaticano II”. Dal personale ricordo, poi, di mons. Antonio Giancane, Rettore del Seminario Arcivescovile di Lecce, riconosciamo l’attenzione che mons. Ruppi ha sempre dedicato ai giovani seminaristi e l’importanza del sostegno alla vocazione sacerdotale: “Sono stato uno dei primi preti ordinati da mons. Ruppi nella nostra Diocesi (per l’esattezza, il secondo, dopo don Elvi De Magistris), sicché ho avuto modo di vivere da prete ben diciannove anni del ventennio episcopale del su citato Presule. Inoltre, se si eccettua la breve parentesi del biennio da me trascorso nell’Eremo e nel Cenobio di Camaldoli (Ar), i restanti diciassette anni del mio ministero sacerdotale li ho trascorsi tutti come educatore in seminario, prima nella gloriosa sede di Piazza Duomo, poi nella nuova sede, che accolse la visita del Papa Giovanni Paolo II il 18 settembre 1994, quindi nel Seminario Regionale di Molfetta, e di nuovo nella nuova sede. Non nascondo che la cosa che mi colpì di mons. Ruppi fu il fatto che, appena due giorni dopo (di fatto il primo giorno “utile”) la pubblicazione della sua nomina a Vescovo di Lecce, venne a Molfetta per incontrare e conoscere subito noi seminaristi teologi della Diocesi di Lecce; eravamo rimasti, lì nel regionale, davvero in pochi (appena sette), ma il nuovo Vescovo volle incoraggiarci, assicurandoci che nella Diocesi si sarebbe lavorato molto per le vocazioni, e il seminario in particolare. Rilanciò l’idea della costruzione di un nuovo Seminario, un Seminario - si disse - che avrebbe dovuto tradurre in scelte edilizie i criteri del Concilio Vaticano II, così come quello di Piazza Duomo aveva cercato di rispondere ai det-

mons. Franco Lupo

don Arcangelo Giordano

don Gerardo Ippolito

mons. Nicola Macculi

Padre, pastore e maestro. Fratello nel sacerdozio Mons. Antonio Giancane

don Antonio Murrone

tami del Concilio di Trento”. Un’attenzione, quella per le vocazioni, che si percepisce anche dal pensiero di don Tony Bergamo, sacerdote novello e collaboratore parrocchiale a S. Rosa: “L’attenzione e la cura per tutte le vocazioni, in particolare per quelle sacerdotali, è anche ciò che mons. Ruppi credo lasci a noi al termine di questo suo ministero. Lo affermo, da un lato, alla luce del mio percorso, che è strettamente collegato a queste realtà, dall’altro nella concretezza delle scelte pastorali da lui fatte, nel corso delle quali tutti abbiamo avuto modo di constatare la sua sollecitudine per questa dimensione che, come è noto, trova la sua concretizzazione nel “segno” del nuovo Seminario Arcivescovile. Un luogo che egli ha definito “cuore della diocesi”, pensandolo come luogo di irradiazione di una “cultura” vocazionale per tutta la nostra Chiesa locale.”. La disponibilità, l’ascolto e l’attenzione dell’arcivescovo traspaiono dalle parole di don Elio Quarta, parroco Maria Ss. Assunta in Vernole: “Giovani, vocazioni e famiglia: si è presentato così mons. Ruppi alla sua Chiesa, alla nostra Chiesa, ponendo nella prima lettera pastorale i punti critici e le priorità da seguire. Poi la costruzione del nuovo Seminario, inaugurato da papa Giovanni Paolo II nella sua storica visita: il segno visibile dell’azione dello Spirito, il se-

don Elio Quarta

gno di una svolta più decisa nel nostro essere Chiesa, così come il Sinodo che ne è seguito. In quel frangente il Vescovo ci ha maggiormente sollecitato ad una sorta di verifica del lavoro svolto fino ad allora, sfociata nell’elaborazione di un progetto pastorale, per dare impulso concreto agli appelli e agli slanci di comunione. Parlare dei frutti di questi venti anni, degli slanci e degli errori, richiederebbe una verifica più profonda, capace di coinvolgere la coscienza dei singoli, di tutti noi, come Chiesa di Lecce”. Don Arcangelo Giordano, parroco della Santa Famiglia a Trepuzzi nel ventennio di servizio episcopale di mons. Ruppi, vi scorge il percorso comune che ha intrapreso con mons. Ruppi: “In quel famoso 29 gennaio 1989 siamo arrivati quasi insieme nell’arcidiocesi di Lecce, mons. Ruppi in qualità di pastore, maestro e guida, io per chiedere l’incardinazione, proveniente dalla diocesi di Albano (Roma). Da quel momento ebbe inizio per lui il fecondo servizio pastorale ed per me il cammino da figlio obbediente e devoto, per continuare a dire il mio ‘si’. Il tramonto dello scorso secolo e l’alba del nuovo è stato, per l’arcivescovo, pieno, totale, laborioso, alla ricerca solo dell’unità, dell’amicizia e dello spirito di completa donazione. Pastore solerte come Padre, maestro

don Tony Bergamo

come insegnante e profeta dei nostri giorni (prolifico negli scritti che conserviamo con cura, instancabile nell’agire) guida, luce e sicurezza nello spianare il cammino, non sempre diritto ”. Attraverso il pensiero di mons. Nicola Macculi, arciprete di Squinzano, parroco di San Nicola e Mater Domini, riconosciamo la tenacia e l’impegno che la sua guida ha saputo dedicare ad ognuno senza sosta: “Ripercorrendo questi anni nel quale mons. Ruppi è stato pastore della arcidiocesi di Lecce, posso dire di essere stato fortunato, poiché durante il suo episcopato abbiamo avuto modo di costruire un complesso parrocchiale e quindi abbiamo avuto incoraggiamento, sostegno ma abbiamo impiegato anche tanta tenacia, affinché tutto potesse essere portato avanti e completato secondo i progetti che erano stati indicati. Ho dunque un ricordo di un forte sostegno personale alla comunità e anche l’idea di avere avuto un pastore spesso deciso su alcuni punti, senza elementi di compromesso, che spesso ha saputo guardare oltre le nostre strette competenze, immagino ad esempio tutta la vicenda legata all’arrivo dei profughi nel salento, che ha stimolato, con un’immagine quasi profetica, un cammino per il popolo leccese, che ha fatto sì di interpretare e suggerire percorsi nuo-

vi, di andare oltre la semplice partecipazione, affinché i poveri possano entrare maggiormente dentro la vita della Chiesa. Poi ci sono anche tutte quelle tematiche legate al lavoro e alla casa, considerando anche il fatto che io mi interessavo di pastorale sociale del lavoro ho constatato con lui che, queste, non sono solo preoccupazioni di pochi”. Traspare dalle parole di ognuno il forte desiderio di ringraziare mons. Ruppi per tutti questi anni di impegno proficuo ed instancabile, che di certo non è passato inosservato a tutti noi; questo il saluto di don Gerardo Ippolito, parroco di S. Maria delle Grazie in Campi Salentina e delegato arcivescovile per le Aggregazioni Laicali: “Questo mio saluto vuole testimoniare il legame forte che mi unisce a colui che è stato il nostro pastore e soprattutto il padre che ci ha guidato per tanti anni nel cammino di fede e di comunione; vorrei esprimere ,con queste poche righe, la mia gioia per aver vissuto accanto al vescovo in questi 20 anni da parroco, da direttore della Caritas diocesana ed ora quale delegato per le Aggregazioni Laicali. Ricordo che appena diventato parroco a Campi, resomi conto del grande dono che era stato fatto alla parrocchia di due appartamenti quasi attaccati alla chiesa, mi sono messo subito all’opera per ristrutturarli e farne degli uffici parrocchiali adeguati. Qualcuno, certamente preoccupato per la spesa ingente che la parrocchia avrebbe dovuto sostenere, pensò bene di avvertire il vescovo. Lui venne, guardò, si rese conto, constatò la mia forte fede nella provvidenza e mettendomi la mano sulla spalla mi disse: “Vai avanti, io al posto tuo avrei fatto lo stesso”. Il Vescovo l’ho sentito vicino anche quando qualche anno fa, con una lettera aperta al popolo di Campi riuscimmo a bloccare la costruzione di un biostabilizzatore per i rifiuti solidi proprio alle porte del paese; il Vescovo mi aveva dato il suo appoggio e, grazie a Dio, il pericolo fu scongiurato; così pure quando due anni fa si ventilò per Campi l’ipotesi di un Registro delle Unioni civili; la voce del Vescovo è riuscita a fermare questa iniziativa che non avrebbe certo fatto onore alla nostra cittadina. Un sentito “Grazie” affiora, poi, dalle parole di mons. Franco Lupo, presidente del Capitolo Metropolitano, rettore della Chiesa di S. Irene in Lecce nonché addetto alla Segreteria dell’arcivescovo: “Analisi e sintesi di una lunga stagione apostolica sono segnate da due date: 7 dicembre 1988 - 16 aprile 2009. Avvenimenti, incontri, celebrazioni sacramentali, interviste sono lo sfondo su cui il Signore ha guidato il cammino pastorale di mons. Ruppi. La Chiesa di Lecce è la testimone di un ventennio che costituisce una grande capitolo della sua storia. Il popolo ricorderà un vescovo insonne e premuroso. Il presbiterio gli dice: ‘Grazie! Grazie, Eccellenza’.” Ilaria Lorenzo


Lecce, 4 giugno 2011

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LA MORTE DI MONS. RUPPI IL SALUTO DELLA CHIESA DI LECCE

Segreteria di Stato

A Sua Ecc.za rev.ma mons. Domenico Umberto D’Ambrosio Arcivescovo Appresa notizia decesso ecc.mo monsignor Cosmo Francesco Ruppi arcivescovo emerito di Lecce Sommo Pontefice partecipa spiritualmente at lutto che colpisce codesta comunità diocesana et mentre ne ricorda generoso ministero specialmente peculiare attenzione at evangelizzazione attraverso mezzi comunicazione sociale innalza fervide preghiere di suffragio affidandolo at materna intercessione Beata Vergine Maria. Con tali sentimenti Sua Santità invoca per defunto Pastore premio eterno promesso at fedeli servitori del Vangelo et volentieri imparte at vostra Eccellenza at sacerdoti et fedeli tutti come pure at familiari compianto Presule confortatrice Benedizione Apostolica + Card. Tarciso Bertone Segretario di Stato di Sua Santità

MONS. MANNARINI Congregazione Evangelizzazione dei popoli

Conferenza Episcopale Italiana

La dipartita di S. Ecc. Mons. Cosmo Francesco Ruppi, Suo stimato predecessore, per la Casa del Padre, insieme alla preghiera di suffragio per la Sua anima benedetta, suscita in me sentimenti di gratitudine a Dio per averLo chiamato alla vita e al ministero sacerdotale e per il bene da Lui compiuto nel suo servizio alla Santa Chiesa, in particolare come Pastore prima di Termoli e Larino e poi di Lecce. Non dimentico anche la Sua generosità nel venire incontro alle necessità altrui quando,con sensibile finezza, sovvenne con prontezza i Cristiani dell’Iraq dopo la Guerra del 2003. Ebbe a cura in particolare le vocazioni e il clero, sapendo che ciò significava aiutare il popolo che gli era molto a cuore. In questo momento in cui ne ricordo la Sua opera e la persona, mi unisco spiritualmente a Lei, Eccellenza, all’Arcidiocesi di Lecce, ai Vescovi della Regione Pugliese, al Clero e a tutti i fedeli, assicurando la mia preghiera e vicinanza. + Fernando Filoni Prefetto

Eccellenza Reverendissima Domenico D’Ambrosio, nell’apprendere la triste notizia della repentina scomparsa di S.E. Mons. Cosmo Francesco Ruppi, Arcivescovo emerito di codesta Arcidiocesi, ci uniamo nel cordoglio ai sacerdoti e ai fedeli che lo ebbero come padre nella fede. Vogliamo, in particolare, ricordarne la figura esemplare di maestro ed educatore, apostolo della comunicazione sociale nella diffusione del Vangelo, Pastore premuroso delle Chiese di Termoli-Larino e di Lecce, per lunghi anni Presidente della Conferenza Episcopale Pugliese e membro del Consiglio Episcopale Permanente. Certi della ricompensa assicurata dal Signore ai suoi servi buoni e fedeli, affidiamo il compianto Presule alla misericordia infinita del Padre, assicurando preghiere di suffragio perché Dio lo accolga-trasfigurato dalla luce pasquale- nel gaudio eterno del Paradiso. + Angelo Card. Bagnasco Presidente

Tanto si può, ed è anche doveroso, dire sul Ministero Episcopale di S.E. Mons. Cosmo Francesco Ruppi. Il suo servizio alla nostra Chiesa di Lecce ha lasciato un segno grande che spazzia dall’anelito per la nuova evangelizzazione, alla celebrazione dell’XI Sinodo diocesano, come verifica di un vissuto di Chiesa all’interno di se e nel suo rapporto con il mondo, e come proiezione nel futuro di una comunità cristiana chiamata a testimoniare Cristo nella nostra società post-moderna. La cura e preoccupazione per le vocazioni sacerdotali lo hanno portato a pensare e a realizzare, con tenacia, il nuovo seminario, quasi simbolo e sprone per un impe-

gno di tutta la comunità diocesana per questa dimensione fondamentale della vita della chiesa, quale è appunto quella delle vocazioni al sacerdozio ordinato. Pastore, Mons. Ruppi, convinto dell’importanza del dialogo esteso a tutti, sia all’interno della chiesa che all’esterno, nella consapevolezza che solo una chiesa aperta al mondo, risponde al mandato missionario del Signore Risorto perché il mondo creda. Un dialogo, quello dell’Arcivescovo Ruppi, con tanti uomini e donne di buona volontà, attenti e desiderosi di cercare la verità dell’uomo e nell’uomo e della sua comunità, e servirla con cuore libero. Ed è proprio il servizio all’uomo chiunque esso sia, e da qualunque terra pro-

venga soprattutto se in difficoltà, che ha animato e guidato i suoi giorni e le sue notti, spesso per questo insonni, con il dono della carità verso gli immigrati prima nell’accoglienza nella nostra chiesa e dopo verso la lontana terra moldava. è questo tra tante incomprensioni e ostilità interne ed esterne. Vescovo solerte verso tutti i sacerdoti, soprattutto i giovani, gli anziani e gli ammalati, ma anche verso i cristiani laici che versavano in situazioni di difficoltà. Per tutti vi era una mano stretta, una carezza da padre, un conforto da cristiano, soprattutto durante le visite pastorali. Una Chiesa, la nostra, che ha vissuto durante i venti anni del servizio pastorale dell’Arcivescovo Ruppi

ombre e senza interessi, nonostante le successive sofferenze, che non hai mai intaccato il coraggio e la trasparenza nel servire gli ultimi. Dal 2000 è iniziato il cammino in Moldova, che abbiamo condiviso, fino all’ultima sua visita a Chisinau nei mesi scorsi. In dieci anni ha inaugurato in Moldova sette strutture per i poveri, per i bambini e per i malati, fino a scrivere con grande sacrificio il catechismo della Chiesa cattolica moldava. Nel 2008 ha benedetto il Cenacolo Regina Pacis e quando è tornato in Moldova nei mesi scorsi, molto sofferente, mi ha detto: “Questa è l’ultima volta che vengo…”. Ecco i frammenti di un legame tra un padre e un figlio, tra un Pastore stupendo e l’ultimo dei suoi preti. Negli ultimi mesi, quando la malattia ha preso il sopravvento, mi chiamava al telefono tutti i giorni: “Come stai? Salutami i bambini! Non far mancare nulla agli anziani! Ti voglio bene. Prega per me. Non ti lascerò mai solo…”. Sono state le sue parole di ogni giorno, fino all’ultimo giorno, il giorno della sua morte. Ed ora? Il vuoto è reale, anche mons. D’Am-

DON CARLINO

Grazie per la fiducia, la paternità, l’amicizia Viva speranza Il nome di Maria sempre col rosario in mano Grazie per la sorte a me riservata di essere stato, per 19 anni, tra i primi tuoi collaboratori. Grazie per avermi interamente circondato della tua fiducia, della tua paternità e della tua amicizia. Grazie per la sapiente libertà e responsabilità con cui hai voluto articolare la collaborazione mia e della Curia. Gra-

zie per la costante premura che hai avuto di condividere con me e con il concilio episcopale tutta la pastorale della Chiesa italiana e diocesana, declinandolo con il contesto della società civile e politica. Grazie, infine, per aver voluto che la mia collaborazione fosse fondata sopratutto su una inti-

ma comunione spirituale. Il Padre di nostro Signore Gesù Cristo ti riservi la beatitudine di coloro che muoiono nel Signore, perché tu possa riposare dalle innumerevoli e instancabili fatiche, e le tue opere ti seguano a lode e gloria di Dio. Francesco Mannarini

Resti per tutti noi un capitolo di storia. Conserveremo nel cuore i tuoi luminosi insegnamenti. La nostra Chiesa continua il suo cammino nell’annunzio del Risorto e nella testimonianza della carità. Ci sosterrà sempre la tua preghiera per noi. Grazie Eccellenza Franco Lupo

Mons. Ruppi è stato per me un Padre e Maestro nella fede. Non solo mi ha ordinato, concedendomi il mirabile dono del sacerdozio, ma mi ha concesso di vivere al suo fianco per diversi anni, in cui ho potuto sperimentarne l’incrollabile fede e forza d’animo, oltre al lavoro instancabile che conduceva

e che gli permetteva di testimoniare il Vangelo con la parola, con gli scritti e con l’esempio di vita. Tra i tanti insegnamenti che mi ha dato, desidero ricordarne soltanto uno: l’amore alla preghiera del santo rosario. Non passava giorno che non recitasse questa devota preghiera mariana: in cappella o in

macchina, durante la giornata oppure giunto a sera, lo si vedeva sempre con il rosario in mano ripetere molte volte il nome di Maria e invocarLa con il tenero titolo di madre. Un Padre, un Pastore, un Maestro e un insigne araldo del Vangelo... Mauro Carlino

Il vicario generale: ricordare per noi significa non tanto esaltare un Vescovo che non c’è più, ma riappropriarci dei suoi insegnamenti e della sua opera

Nel cuore dei sacerdoti leccesi La scomparsa di Mons. Cosmo Francesco Ruppi, indimenticato e infaticabile Pastore del Chiesa di Lecce, ha suscitato nel mio cuore e in quello di tutti i fedeli della diocesi e anche in quelli che attraverso la radio e il giornale lo seguivano puntualmente, profonda tristezza, unita però alla sicura speranza del cielo: ora, ne siamo convinti, ha incontrato il Risorto che ha

servito fedelmente lungo tutta la sua vita e di cui era tanto innamorato. Al suo intenso ministero ha aggiunto, dopo aver lasciato la diocesi ed essersi ritirato ad Alberobello in questi due ultimi anni, la sua silenziosa sofferenza. E la chiesa i Lecce ha continuato a sentirlo presente, ha pregato intensamente per lui e ora si sente responsabile nell’accogliere la sua eredità spirituale

per farla fruttare. Mons. Ruppi si è speso con estrema generosità e coraggio apostolico per i suoi sacerdoti e per ciascuno dei suoi fedeli: ha incarnato lo spirito e il modello del Buon Pastore che conosce le sue pecore e dona la vita per loro. Vengono alla memoria tutti i grandi eventi di grazia di cui si è fatto promotore e regista: Sinodo diocesano, Visite Pastorali, pastorale vo-

cazionale con la realizzazione del nuovo Seminario, Visita del Beato Giovanni Paolo II… È doveroso in questo momento fare memoria ed essere a lui riconoscenti: per vent’anni ha segnato il cammino della Chiesa di Lecce e ha permesso di scrivere una delle pagine più ricche in tempi non facili. Quand’era in mezzo a noi, numerose sono state le circostanze che ci han-

La nuova evangelizzazione anelito continuo del suo lungo ministero

una tappa lunga del suo cammino verso il Regno con la consapevolezza di essere comunità aperta all’uomo, ai suoi bisogni fondamentali , al suo anelito di libertà, perché convinta che è l’uomo la sola via che deve percorrere sulla scia del suo maestro e Signore Gesù Cristo. Una chiesa serva. Una “Chiesa del grembiule” come si esprimeva Mons. Tonino Bello, che si oppone al desiderio e alla ricerca del potere. E quindi una Chiesa tutta al servizio, tutta ministeriale. Un servizio che aveva e sempre ha nella parola accolta e annunciata, la luce; nell’Eucarestia celebrata ed adorata, la forza; nell’uomo in difficoltà la certezza e l’onore di servire ed amare il suo Signore, il buon

samaritano. L’Arcivescovo Cosmo Francesco era solito suggerire ai ministri istituiti di incarnare la “spiritualità della scopa”. Servire con amore, diceva, senza mai servirsi. Servire nel silenzio. Servire quando si è chiamati ed accettare, in obbedienza, di mettersi da parte, quando richiesti, esercitando allora maggiormente il servizio grande ed insostituibile della preghiera. E questo insegnamento è stato testimonianza viva, forte, efficace che l’Arcivescovo Mons. Ruppi ha reso particolarmente in questi ultimi tempi della sua vita terrena. Se dovessi offrire un ulteriore contributo sulla sua spiritualità di pastore che innerva tutto il suo ministero episcopale tra noi, non avrei alcun dubbio

nel dirlo Vescovo assertore della comunione insegnata nel suo magistero, esortata nei singoli colloqui e costruita, con l’aiuto dello Spirito Santo con fatica e speranza giorno dopo giorno. Una comunione che partendo dalla celebrazione della Santa liturgia si concretizzava nel servizio ai presbiteri, ai consacrati e ai fedeli laici e veniva offerta a Dio per le mani ed il cuore della Vergine Maria nei tanti e tanti rosari che inanellavano le sue giornate. Per il bene che con la grazia di Dio ha fatto alla chiesa e a tanta gente di buona volontà il Signore lo accolga nel suo cuore di Padre. Pierino Liquori

Ogni sera al telefono: “Prega per me. Non ti lascerò mai solo” L’emozione prende il sopravvento e genera uno stato di profonda desolazione. Per alcuni, e lo scrivente è fra costoro, il distacco è difficile, perché il legame per anni vissuto con Mons. Ruppi è incancellabile e non può essere intaccato neanche dalla morte. È stato un legame condiviso all’ombra di una silente sofferenza, che ha sempre dettato le regole. Basti pensare che l’anno di ingresso a Lecce di mons. Ruppi è stato segnato dalla improvvisa scomparsa di mio padre, nel luglio del 1989, e dalla scomparsa della sua mamma Livianna, nell’ottobre dello stesso anno. Insieme, nella stessa casa, giorno dopo giorno, abbiamo vissuto fino all’anno 2002, condividendo le quotidiane fatiche, ma anche i momenti forti della vita pastorale e della Chiesa locale, tra cui la visita di Papa Giovanni Paolo II nel settembre del 1994. Nel marzo del 1997 è esplosa la comune passione per i poveri, attraverso l’accoglienza dei tanti immigrati che giungevano lungo le coste del Salento. È stata una stagione di grande carità, senza

MONS. LUPO

brosio, è allo stesso modo un padre attento e premuroso. Mons. Ruppi mi ha sempre detto: “Devi voler bene a mons. D’Ambrosio… è buono!”. Bisogna colmare il vuoto e la sofferenza con la responsabilità di percorrere la strada che lui ha tracciato, dove fede e sacrificio hanno rappresentato sempre dei punti di riferimento, per una fedeltà alla Chiesa senza ombre e nella totale trasparenza, come sempre mons. Ruppi ha voluto. Personalmente devo dire che per la seconda volta ho perso mio padre. Ora a Lecce rimane mia madre ed è ciò che mi lega alla terra che mi ha dato la vita ed il sacerdozio. Stringo fra le mani il crocifisso che mons. Ruppi mi ha consegnato il 7 dicembre del 2007, quando mi ha inviato missionario fidei donum in Moldova, per servire i poveri e saranno i poveri, come sta avvenendo, a fare giustizia. Grazie padre per il dono dell’umiltà e per aver condiviso con me, senza mai nulla temere, i silenzi della sofferenza, che sono fin dall’inizio diventati un grande perdono! Cesare Lodeserto

no permesso di leggere e celebrare con Lui l’azione provvidente di Dio che attraverso i suoi Pastori guida il suo popolo e offre le possibilità di crescere nella fede in Lui e nella testimonianza efficace della sua presenza. Ora ricordare per noi significa non tanto esaltare un Vescovo che non c’è più, come si usa fare per i defunti, ma riappropriarci dei suoi insegnamenti e

Maestro della comunicazione, soprattutto grande evangelizzatore “La grazia sospinge tutti al dialogo pastorale e più vivo mi fa tornare nuovamente in mezzo a voi, mi fa entrare nelle vostre case, nel cuore di tutti, non con la presenza fisica, ma con questa mia prima Lettera pastorale, segno di amicizia e di affetto, di speranza e di pace”, scrisse il 30 novembre 1980 con un testo che costituiva quasi un manifesto programmatico del suo modo di essere Vescovo. Collega degli operatori della comunicazione sociale e nello stesso tempo Pastore della Chiesa locale: la presenza nelle diverse attività massmediali ha coniugato con mirabile sapienza queste due componenti fondamentali della sua personalità. Mons. Cosmo Francesco Ruppi era inserito pienamente nei due ruoli, riuscendo a unificarli nella consapevolezza di assolvere ad una missione di servizio nei confronti della comunità nel nome della civiltà dell’amore, da sviluppare nel rispetto della persona e nell’obbedienza al comando di annunciare il Vangelo. Oltre ad aver pubblicato volumi di storia locale, spiritualità e vita ecclesiale e un cospicuo numero di Lettere pastorali e documenti, egli ha rea-

lizzato un curriculum giornalistico straordinario: ha scritto su “L’Osservatore Romano”, ha pubblicato contributi e per 48 anni su “La Gazzetta del Mezzogiorno” come collaboratore, commentatore ed inviato speciale. Pregnanti, ogni anno, le sue considerazioni alla Festa dei Giornalisti, in occasione della ricorrenza di S. Francesco di Sales. Essa costituiva l’occasione per riflettere insieme sulla situazione del Salento, della Chiesa, degli operatori di comunicazione sociale. Amava il dialogo. Sempre, con tutti. Rispondeva con il silenzio a interpretazioni negative della vita ecclesiale da parte di politici e organi di informazione; magari, a volte, coglieva la possibilità di parlare agli operatori dei media per impartire autentiche lezioni di etica professionale, prospettando, con notevole competenza, il ruolo positivo della comunicazione. La responsabilità primaria verso la propria coscienza, l’attenzione alla dignità nei confronti di ogni uomo, il coraggio di non piegare la Verità agli interessi di parte, l’onore dovuto a ogni cittadino e quin-

di la non subordinazione all’audience ed alle vendite erano i criteri ai quali egli chiedeva di ispirarsi per promuovere un autentico sviluppo del Salento. Membro della Commissione Cei per le comunicazioni sociali, con nomina del 1989 riconfermata 1995, era fortemente convinto che “La gente pensa col giornale che legge e ripete le parole e le idee sentite alla radio e alla televisione” (I Lettera pastorale, 30 novembre 1980). Si affliggeva per la scarsa sensibilità dimostrata da alcuni operatori pastorali verso il positivo uso pastorale dei mass media: “…dovremmo sapere tutti che i nuovi pulpiti della nostra gente sono i giornali, la radio, la televisione, etc. … Quando ci renderemo conto che i veri persuasori non siamo noi con le nostre, spesso sciatte, difficili e lunghe predicazioni, ma sono i giornali, la radio e la televisione? Quando ci decideremo di accogliere con gioia e sacrificio, il settimanale diocesano, che viene preparato con tanto lavoro e costa alla diocesi un rilevante impegno economico?” (Lettera alla Chiesa di Lecce, 1° gennaio 1994). Adolfo Putignano

della sua opera, per rimotivare il nostro presente e rilanciare il nostro impegno in questa diocesi che ha usufruito della sua opera e che la conserva gelosamente nella speranza di coglierne i frutti. Mi piace ricordare una sua qualità che da subito mi ha colpito avendo avuto il dono di stare a lui vicino e collaborare strettamente nei suoi vent’anni di ministero a Lecce: fu un uomo

magnanimo, aveva un cuore grande che faceva posto a tanti. Non si risparmiava: aveva un desiderio grande di servire, desiderio che si concretizzava in progetti ambiziosi; ne seguiva la realizzazione incurante del sacrificio personale che gli veniva richiesto. Non temeva lo sforzo quando era in gioco il bene della chiesa e la salvezza delle anime. La sua magnanimità nasceva da una vita teologale matura, dall’incontro della grazia di Dio col suo vigore naturale. La fede gli permetteva di assecondare gli impulsi dello Spirito e di forgiare sicurezza, ampiezza di vedute, polso fermo. Incarnava profondamente fede e speranza nella vita quotidiana e questo gli procurava un audace realismo. Davanti a lui ci si sentiva sempre piccoli, ma sempre incoraggiati, perché trasmetteva la convinzione che Dio realizza le cose più grandi con i più piccoli tra gli uomini. A questo grande servitore di Cristo e della Chiesa voglio chiedere una fede sempre più sicura e audace per un lavoro pieno di fedeltà compiuto al servizio della chiesa, convinto che l’uomo fedele alla sua vocazione entra per sempre nella gloria. Fernando Filograna

Affettuosi e devoti ricordi di un pastore Era il 2 luglio del ’48 (ben 63 anni fa!), all’indomani della mia licenza liceale in Seminario regionale. Mio fratello don Raffaele entrava in esercizi per gli ordini minori. Per volontà dei Superiori lo sostituivo in quel giorno; e ci trovammo a lavorare l’uno accanto all’altro, così come per alcune altre volte e sempre per lavoro interinale di biblioteca. Il 30 luglio del ’51 lo stesso mio fratello lo invitava a casa nostra per partecipare alla festa della sua prima Messa. Don Cosimo non aderiva perché in quel giorno anche lui veniva ordinato, anche se per i primi due ordini; però non mancava di concludere la sua lettera di scuse, senza tralasciare di inviare i suoi saluti a... don Oronzino. Trascorsero alcuni anni e ci trovammo un’altra volta uno accanto all’altro per motivi diversi: all’Istituto Pastorale Pugliese, al Processo Cognizionale di Fra Giuseppe Rodio (concittadino di mamma sua): lui postulatore ed io giudice a latere. E due volte su mio invito aveva parlato a Lecce, quando lui era Segretario della Conferenza Epi-

scopale Pugliese ed io delegato regionale dei Cappellani carcerari: nell’aula dei minori ed alla Corte d’appello; sempre con foto e telecamere. Un ultimo ricordo: al Carcere minorile del Salento per la sua prima Cresima da Arcivescovo del Salento. Un ospite, non ricordo bene se per rapina aggravata o per tentato omicidio, gli aveva toccato il rocchetto con la candela dei cresimandi. Il ragazzo gli aveva parlato di me... e Lui, senza scomporsi, aveva risposto che lo sapeva. Fu quello l’inizio di un ricorrente colloquio sulla santità, finito soltanto qualche mese fa, quando era venuto a Lecce per la presentazione degli ultimi due suoi libri. Oronzo De Simone


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