Un secolo di carta Venezia

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Iveser – Istituto veneziano per la storia della Resistenza e della società contemporanea

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Un secolo di carta Iveser Istituto veneziano per la storia della Resistenza e della società contemporanea

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repertorio analitico Iveser dellaIstituto stampa periodica veneziano per la storia della esistenza e della società contemporanea veneziana 1866-1969

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Iveser

Istituto veneziano per la storia della esistenza e della società contemporanea

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Un secolo di carta Iveser Istituto veneziano per la storia della Resistenza e della società contemporanea

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repertorio analitico Iveser dellaIstituto stampa periodica veneziano per la storia della esistenza e della società contemporanea veneziana 1866-1969

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un progetto promosso da Iveser cura e coordinamento Marco Borghi

Iveser

Istituto veneziano per la storia della esistenza e della società contemporanea

Questo progetto è stato realizzato con il contributo e il patrocinio del Comune di Venezia e dell’Ordine dei Giornalisti del Veneto con un finanziamento iniziale della Fondazione Cassa di Risparmio di Venezia

www.unsecolodicartavenezia.it


Iveser – Istituto veneziano per la storia della Resistenza e della società contemporanea © 2012 Giudecca, Zitelle 54/P 30133 Venezia tel. 041 5287735 info@iveser.it www.iveser.it

Sommario

3 Giorgio Orsoni

5 Gianluca Amadori

7 Mario Isnenghi All’entrata www.unsecolodicartavenezia.it ideazione, cura e coordinamento scientifico Marco Borghi redazione e implementazione schede Giulia Albanese, Margherita Angelini, Giulio Bobbo, Marco Borghi, Manuele Busato, Riccardo Caporale, Elena Carano, Alberto Castelli, Eva Cecchinato, Daniele Ceschin, Leonardo Malatesta, Matteo Millan, Luca Pirazzo, Luca Polese Remaggi, Luciano Pomoni, Silvia Romero Fuciños, Giovanni Sbordone, Umberto Zane layout Michela Scibilia webmaster Franco Faraone Michael Zucchetta

ringraziamenti Una ricerca che si è protratta per oltre un decennio inevitabilmente non poteva non accumulare una considerevole e diffusa sequenza di “debiti” di riconoscenza e gratitudine. L’elenco è particolarmente lungo ed invitiamo a consultarlo nella relativa pagina web pubblicata nel sito, rinnovando anche in questa sede il nostro più sincero ringraziamento a tutti coloro che, a vario titolo, hanno collaborato e sostenuto il progetto.

19 Marco Borghi Il progetto “Un secolo di carta”

26 Schema di navigazione del sito web


È

davvero mirabile il lavoro dell’Istituto veneziano per la storia della Resistenza e della società contemporanea che in “Un secolo di carta” ha raccolto e schedato cent’anni di stampa periodica locale. È mirabile non tanto, e non solo, per la straordinaria completezza delle fonti da cui prende sostanza questo progetto, ma perché l’Iveser ha saputo – ancora una volta – leggere e raccontare la straordinaria storia di questa città. “Un secolo di carta” si dimostra un pregevole inedito nel panorama culturale nazionale e rappresenta forse uno dei lavori più importanti realizzati negli ultimi anni da un’istituzione culturale italiana. I dettagli della cronaca degli oltre 1.800 fogli pubblicati dal 1866 al 1969, siano questi quotidiani, periodici politici e sindacali, i periodici dell’università o i bollettini parrocchiali, dipingono fedelmente le vicende di questo tempo, il percorso complesso e caleidoscopico compiuto da questa comunità e dall’Italia intera a cavallo fra due secoli. Un racconto dettagliato, puntuale, quasi intimo. È una narrazione anche politica, sociale, sulle grandi trasformazioni, sui fermenti culturali e artistici quella che scorre con lo sfoglio. Sono quei cent’anni che hanno cambiato profondamente Venezia e i suoi cittadini. Lì dentro c’è tutta la storia della nostra città, ci sono le nostre radici, ci sono le isole, le periferie; c’è lo sviluppo di Mestre, della Venezia di terraferma, quando Porto Marghera, in un dopoguerra ricco solo di speranze, diventa centro dell’industria e dell’economia, perno occupazionale di un territorio che sta spostando, di fatto, il suo baricentro. Ma c’è anche la storia del giornalismo del nostro Paese, che è stata spesso anche quella di una parte della nostra più interessante letteratura.

Giornalisti sulla terrazza dell’Excelsior durante la Mostra del Cinema, Lido di Venezia, 1951 (Archivio della Comunicazione - Comune di Venezia, fondo Giacomelli).

Il progetto dell’Iveser, che gode della collaborazione del Comune di Venezia, è davvero importante. La vastità del materiale, la totale accessibilità attraverso la Rete, la possibilità di implementazione, la capacità di discussione che saprà generare nella comunità scientifica, saranno fonte inestimabile di studio, soprattutto per quelle giovani generazioni che solo conoscendo i percorsi del nostro passato potranno trovare l’indirizzo verso cui guardare.

Giorgio Orsoni

Sindaco di Venezia Un secolo di carta – 3


A

nche se in molte località del Veneto, e non soltanto nelle città capoluogo, la produzione giornalistica dal 1866 a oggi è stata – e continua a essere – ingente e variegata, è indubbio che Venezia vi ha svolto un ruolo assolutamente centrale, come del resto testimonia con la realtà dei numeri (oltre 1.800 testate, fino al 1969) e con la qualità delle testate, la ricerca, durata anni di intenso lavoro, dell’Istituto veneziano per la storia della Resistenza e della società contemporanea con i suoi giovani studiosi diretti da Marco Borghi. Una ricerca a tutto campo e di rara meticolosità, che trova oggi in “Un secolo di carta” insieme il traguardo d’arrivo e un punto di partenza. Il traguardo di un repertorio assolutamente inedito, una miniera di notizie, che è anche un punto di partenza perché apre vasti scenari di informazione e di nuove ricerche, grazie alla pubblicazione on line, che consente esplorazioni e raccordi rapidi e insieme aperture casuali e impensate, e quindi felici “sorprese”, come spesso avviene a chi fa ricerca in internet. La centralità di Venezia non è elemento riduttivo, né per territorio, né per contenuti, nei confronti del Veneto, la “scala” di riferimento del Consiglio regionale dell’Ordine dei giornalisti, che ha volentieri contribuito alla ricerca: anzi, grandissima parte dei periodici schedati ha lo sguardo rivolto alla realtà veneta – spesso dichiarandolo fin dal titolo – o è espressione di categorie e di associazioni, di enti pubblici e di amministrazioni private che in Venezia avevano, e a volte tuttora hanno, la sede centrale di realtà diffuse nell’intera regione e le cui pubblicazioni, quindi, avevano valenza veneta.

La tipografia dell’Istituto sordomuti di Marocco, Venezia, 1937 (Archivio della Comunicazione - Comune di Venezia, fondo Giacomelli).

Assieme agli storici e ai ricercatori, i giornalisti sono i primi destinatari di “Un secolo di carta”. Se la conoscenza del passato è sempre necessaria per meglio capire il presente e ben operare già pensando al futuro, tanto più prezioso è esplorare le radici sulle quali si fonda il giornalismo veneto di oggi e i percorsi sui quali, dalla seconda metà dell’Ottocento agli anni Sessanta del Novecento, i giornalisti di Venezia – e con essi, quelli del Veneto – hanno raccontato e interpretato cento anni tra i più drammatici e vivaci della nostra storia e della nostra società. Dalle schede di “Un secolo di carta” e dalle pagine dei periodici schedati, qui appena intraviste e rintracciabili nelle biblioteche, scaturisce quindi, per i giornalisti veneti, non soltanto una straordinaria occasione culturale, anche un prezioso sussidio professionale. Mi auguro che molti ne sappiano trarre profitto.

Gianluca Amadori Presidente dell’Ordine dei Giornalisti del Veneto Un secolo di carta – 5


Mario Isnenghi

All’entrata Irresistibile il sospetto che gran parte di questi giornali e giornaletti distesi in una folla di dimenticatissimi nomi lungo oltre un secolo di vita cittadina, siano fatti per chi scrive, prima e più che per chi legge. Inclinano a farlo pensare anche la rarità di cifre sulla tiratura e – peggio – sulla diffusione effettiva. E lo stuolo di numeri unici, numeri zero in attesa di autorizzazione, numeri 1 mai più seguiti da un n. 2. Vale per i giovanissimi, nella classica specie generazionale e aurorale dei giornali scolastici dei singoli Istituti; ed anche per i gruppi politici e sociali, all’insegna del ‘vorrei ma non posso’: da – per piluccare subito qualche esempio – “L’Alfiere” di Chioggia liberale nel 1893 all’anarchico “Non serviam” del 1900; dal settimanale socialista “La Coa del barababao”, sopravvissuto pochi mesi fra 1890 e 1891, al più impegnativo, nel nome, “Il Grido dell’oppresso” (settimanale, 18911892); al circoscritto e mirato “Il Grido del fiammiferaio” che la relativa Lega edita fra 1913 e ‘14; fino anche all’aborto di un quotidiano di sinistra annunciato e mai uscito, col nome minaccioso e alla fin fine delusorio e frivolo “Boie”, nel 1889; o – per volgerci ad altri settori minoritari della società – al “Fra’ Paolo Sarpi”, nome di copertura di un settimanale evangelico che fatica a uscire dal tempio, almeno qualche volta, fra 1882 e 1884 e cui viene inibito l’accesso alle rivendite esterne. Una zona temporale, un contesto che rende palpabile che quel certo foglio, più che andare in cerca di lettori, serve a chi lo fa per certificare la propria esistenza in vita, è quella della Seconda Guerra mondiale: con la ritirata di tedeschi e fascisti verso nord, Venezia, oltre che zona di occupazione, diventa un frammento della capitale diffusa dei fascisti di Salò; e in particolare, la crepuscolare capitale del cinema e dell’editoria fascista repubblicana. All’epoca corre voce che ‘chi si firma è perduto’, ma proprio per questo si rinforza la motivazione esistenziale dei piccoli fogli di testimonianza e di appartenenza – magari animati da cappellani militari rimasti con il fascismo dell’ora estrema – che non è poi così necessario distribuire e che siano letti davvero.

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Molto spesso – e questo in tutte le epoche – sono le più diverse categorie lavorative che puntano a darsi un proprio volto stampato. Finisce di frequente come con “il Marò” ‘Notiziario interno dei marinai e pontonieri dell’A.C.N.I.L.’, che fa la sua comparsa nel 1953, parrebbe per una volta sola, nonostante i ben diversi propositi, tipici dei numeri 1: “Da questo numero – e speriamo per sempre – ‘il marò’ si presenta in una nuova veste editoriale, assume cioè un volto più severo e confacente alla sua funzione di foglio di battaglia e di avanguardia”. Sono solo pochi esempi in genealogie cartacee immediatamente interrotte o strozzate in fasce. La grande, meticolosa, pluriennale ricerca su tutti i giornali veneziani, di qualunque periodicità, fra 1866 e 1969, realizzata dall’Istituto veneziano per la storia della Resistenza e della società contemporanea – con il suo direttore Marco Borghi animatore inesausto alla testa di un gruppo di 18 giovani studiosi – serve anche a rimettere a fuoco questa realistica contabilità. E se il ‘morir giovani’ dei giornaletti pensati e fatti dai giovani, nella breve stagione in cui erano studenti o comunque apprendisti della vita, è nell’ordine delle cose, fa maggiormente pensare la moria di voci dissidenti: specie

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quando l’articolo programmatico si indirizza bravamente, con grande empito programmatico e vastità di orizzonti, a un pubblico popolare, che farebbe pensare a dei grandi numeri che poi non si concretizzano, o per lo meno non in forma di lettori. C’è l’analfabetismo di massa, certo, a spiegare la discrasia, specie finché ci aggiriamo nell’arco temporale fra i due secoli. Ma è pur vero che, intanto, a fronte di quelle progressiste o socialiste, il numero di testate e microtestate cattoliche non si contano, sono un numero sterminato. Si vada a vedere quanti sono i “Bollettini” parrocchiali, con questo nome, o le meno burocratiche “Campane di…”, seguite dal riferimento parrocchiale: una costellazione, un pulviscolo di periodici di cui è lecito chiedersi, di nuovo, se prevedano e abbiano effettivamente dei lettori; ma che certo esprimono e sono in grado di riprodurre sensi diffusi di appartenenza e internità a un mondo – un grande e al tempo stesso articolatissimo tessuto molecolare, capace anche di vicinanza, quale è appunto il mondo cattolico: appartenenza in chi scrive – parroco, cappellano, laici e laiche di fiducia – e in chi riceve il bollettino e, anche se non lo legge, lo sbircia solo, vi si riconosce e riconferma sentendosi parte di un tutto. Del resto, il mondo cattolico veneziano si esprime, oltre che nel carattere capillare del suo insediamento territoriale, anche con organi specifici di lunga durata quali “Il Leone di San Marco” ‘Periodico settimanale popolare’ (1903-1917); “Palestra del Clero” (1921-2000); e prima ancora, in periodo clerico-intransigente, nei quotidiani identitari che ha promosso, come “Il Veneto cattolico” (1867-1883) seguito da “La Difesa” (1884-1917): e qui c’è l’appartenenza, ma ci sono anche i lettori, un tessuto di lettori militanti, e alla fine anche di elettori, che rimandano all’Opera dei Congressi di Giovan Battista Paganuzzi, che fa di Venezia, la città del Patriarca Sarto poi Pio X, una capitale dell’intransigentismo, capace però anche, appena serve – per rintuzzare e impedire di nuocere alla borghesia laica e volterriana – di anticipare il passaggio ai blocchi clerico-moderati. Confrontando i quotidiani e periodici d’ogni fatta di cui è capace e attraverso cui si rappresenta e si organizza il mondo cattolico veneziano, verrebbe da chiedersi come mai anche di Venezia, la città di Paolo Sarpi, non si sia venuta formando – e anche più in grande – l’immagine di ‘sacrestia Un secolo di carta – 9


d’Italia’ che caratterizza Vicenza e Verona. E però, di fatto, la Giunta progressista e laica di Riccardo Selvatico per un quinquennio esiste; e poi a ogni elezione i socialisti di Elia Musatti e del “Secolo nuovo” – il settimanale dei socialisti da lui fondato nel 1900 e dalla lunga vita intermittente, fatta di intervalli e riprese, sino ancora al secondo dopoguerra – insidiano e sembrano sul punto di soppiantare finalmente la sempiterna Giunta del conte Grimani, la diga clerico-moderata e conservatrice che è stata fulmineamente eretta. Se la dialettica giornalistica non è all’altezza di questa dialettica politica, sembrerebbe conseguirne che la stampa non sia poi così importante, o non lo sia per l’elettorato popolare, che si forma e decide politicamente per altre vie (esempio classico di divaricazione, uscendo dalla nostra area, l’Emilia e la Toscana regioni rosse, seppur monopolizzate da sempre da quotidiani di destra quali il “Resto del Carlino” e la “Nazione”). Discorso diverso per i gruppi dirigenti e direi anche per gli strati intermedi: quelli a cui si indirizzano, per esempio, gli infiniti “Almanacchi”, compreso l’“Almanacco Veneto”, uno degli organi e pubblicazioni collaterali della grande azienda del “Gazzettino”, che esce annualmente fra 1912 e 1933 e dove scrivono folle di collaboratori: giovani agli esordi, intellettuali locali di lungo corso, mezze figure, donne e magari mogli assurte come tali a una pubblica tribuna senza

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necessariamente essere emancipazioniste. Una folla di nomi, nomignoli e pseudonimi si raccoglie e dedica all’intrattenimento popolare nel localista e quasi per intero dialettale “Sior Tonin Bonagrazia”, un periodico umoristico che dal 1868 ‘ciacola ogni setimana’, spingendosi con intervalli, assenze e riprese sino al secondo dopoguerra: venezianeggia, ma “Ludere non ledere”, garantisce precauzionalmente sulla testata, in latino. A fine Ottocento sulla movimentata piazza veneziana anche i quotidiani – ancora di raggio municipale o provinciale – sono numerosi. E qui il “Il Tempo” (18611890), “L’Adriatico” (1876-1917) sono espressione di ceti borghesi liberali e radicali non precocemente inclini all’abbraccio con i clericali, come avviene per l’antica “Gazzetta di Venezia”, da sempre di e con chi vince. In questo paesaggio mosso, sopraggiunge come un fenomeno nuovo, il “Gazzettino” (1887 -) popolaresco, più andante e meno costoso giornale ‘delle serve’, quale appare ai notabili, e la creatura di Gian Pietro Talamini spiazza la concorrenza, si radica, si estende e nel giro di una trentina d’anni sostituisce gli altri: 150.000 copie – una vetta inusitata –, quando sopraggiunge la Grande Guerra. Ed è qualche cosa di più di un giornale Un secolo di carta – 11


Borghi, è, di suo, un erudito. Bisognava esserlo per affrontare – saper durare e portare alla meta – una ricerca bisognosa in se stessa di tanto accanimento analitico, e in fondo mai chiusa, perché ci può sempre essere dell’altro, una testata sfuggita, una copia nascosta, un’altra biblioteca da esplorare (mica tutto è stato trovato qui sottocasa, nelle biblioteche di Venezia). A parte questo finale aperto, e che ha reso per anni esitanti nel dichiarare finito il lavoro, sin dall’avvio ogni individuazione – cataloghi e repertori alla mano – di ciascuna testata e della biblioteca che la conserva, per intero o con qualche numero più o meno sparso che andrà possibilmente integrato altrove, è solo l’avvio preliminare di una lettura analitica tesa ad accertare tutti quelli che hanno via via diretto quel foglio: ciascuno dei direttori da quando a quando, e chi erano i collaboratori, e dov’erano le redazioni, e quali tipografie lo stampavano… Moltiplicate il tutto per 1800 volte. Leggere gli articoli, dopo tanto puntigliose disanime, diventava a questo punto un lieto diversivo.

liberale, è patriottico, progressista, laico, e si preoccupa di raggiungere un pubblico largo e popolare, riuscendoci in effetti, come finora si sono avvicinati a fare solo i clericali, mentre le sinistre faticano a uscire dai nuclei di avanguardia e non ce la fanno a mettere insieme un quotidiano. Sintetizzo qui processi altra volta raccontati. Naturalmente, per sua natura, il repertorio di Borghi e dei suoi collaboratori dell’Iveser è molto più a proprio agio quando deve ragguagliare sui settimanali, quindicinali, mensili, annuari, che non sulle testate quotidiane. Per quanto la schedatura si possa estendere, è chiaro che non si possono delineare e comprovare con citazioni e testi le storie di testate quotidiane, che magari durano decenni o ci sono ancora. Sui contenuti, quindi, il repertorio funziona meglio tutte le volte che non sono in scena i quotidiani. In comune, però, e all’attivo di questo prezioso strumento di ricerca – destinato a durare anni e anni, anche perché, avendo scelto Internet, potrà essere continuamente implementato e aggiornato – sta una delle caratteristiche precipue del lavoro, il taglio stesso della ricerca. Bisogna tener conto che il suo promotore, Marco

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Così, testata dopo testata, la città ha visto riproporsi una capillare geografia dei luoghi: che sono anche, o meglio diventano anche dei luoghi della memoria – quali altri li vengono oggi studiando –, ma sono anzitutto luoghi primari, la materialità ritrovata di quella corte, la calle, il campiello dove quel dato factotum o quel dato gruppo andava in un dato periodo a fare il giornale. Si trattava anche di individuare e dare i nomi delle tipografie: Bortoli, Ferrari, Emiliana, qui i nomi si ripetono. Gli apparati tecnici sono dove sono, non sono infiniti, e la scala di grandezza del prodotto giornalistico, ma anche la possibilità di accedervi sono legati ai finanziamenti. I silenzi delle sinistre o le loro voci così intermittenti, e rispetto alle altre, flebili – tutti quei poveri “Gridi” segnati dall’impotenza – sono l’espressione di questa dura materialità dei rapporti di forza. Anche da questo punto di vista, il cerchio si chiude – ed è destinato a chiudersi per altri decenni – quando alla fine della Seconda Guerra mondiale anche il “Gazzettino”, che intanto è diventato il monopolista dell’informazione quotidiana a Venezia, finisce sotto controllo cattolico: con il colpo di mano del suo proprietario Giuseppe Volpi, il grande Doge di Venezia fascista, che ha bisogno di un condono tombale e ne fa omaggio al partito del Cln che glielo assicura, la Democrazia cristiana. Così, nel dopoguerra, il vecchio giornale farà dimenticare a tutti le sue origini laiche e progressiste. Le sinistre – che nel dopoguerra controllano più di una volta l’amministrazione comunale e provinciale – compiono il tentativo di proporre anche una alternativa di lettura, ma, a parte ogni altra difficoltà, le tipografie in città sono quelle che sono e ironia vuole che il quotidiano di sinistra, “Il Mattino del Popolo”, nato il Primo Maggio del ’46, che aspirerebbe a rompere il monopolio dell’informazione, sia costretto a stampare nella tipografia del “Gazzettino”: finanziandolo e soprattutto dandogli a un certo punto la possibilità, alzando i costi, di spingere il concorrente verso la chiusura (dicembre 1948). Questa nota iniziale vuol essere solo un invito a mettere alla prova le funzioni del repertorio: fare un libro costava troppo e non ci siamo finora riusciti (si può sperare di rimediare in futuro), ma è anche vero che il computer consente a chi lo sa bene usare, in modo inventivo e tecnicamente adeguato, molti tipi di verifica che la staticità della carta stampata non faciliterebbe.

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Qualche altro merito della ricerca, sia pure in questa maniera un po’ cursoria, non vorrei mancare di sottolinearlo. La stampa cattolica come fitto reticolo di militanti e funzionari che costruiscono e tengono in vita un mondo – si diceva sopra: la si può studiare benissimo qui, e restituisce a Venezia il ruolo che le è stato proprio di centro ideologico e di laboratorio politico. E questo non è stato vero solo in vista dell’Antistato del Sillabo e del ‘non expedit’ o della costruzione di un precoce centro-destra, a fine Ottocento, per contrastare e spegnere l’altrettanto precoce centro-sinistra. Ridiventa vero anche nel secondo dopoguerra. E qui le avanguardie del mondo cattolico non lavorano sempre e solo all’interno e a pro del blocco clerico-moderato, possono anche guardare verso i mondi di fuori: non solo in senso partitico – di nuovo, come a fine Ottocento, la formula di centro sinistra germina a Venezia –, ma nel senso di una riflessione teorica sull’autonomia delle sfere e sulla rottura della forzosa unità politica dei cattolici. Sto riferendomi a “Questitalia” (1958-1970), dell’ex-direttore del settimanale della Democrazia cristiana, “Il Popolo del Veneto”, Wladimiro Dorigo, cresciuto a Santa Margherita, nella parrocchia e nel patronato dei Carmini, accanto a partigiani cattolici fucilati e a due prossimi direttori dell’organo diocesano “La Voce di San Marco”: un crocevia di orientamenti di un mondo cattoli-

co non più comprimibile come in passato. Non è certo la prima volta che la forma-rivista dà buona prova. Nel Secolo di carta riemerge “La Donna”, precoce organo di riflessione e di battaglia delle donne, capeggiate da Alaide Beccari; il nazionalismo offre qualcuna delle sue pagine di riflessione più appuntite con “Il Dovere nazionale” di Alfredo Rocco e Gino Damerini (1914); “Angelus Novus” (1964-1974) che Massimo Cacciari inaugura nel 1964 pubblicando poesia dell’ancora vitando Ezra Pound, apre inusitati spazi a una nuova generazione di una nuova sinistra. Fra le verifiche – divertite o malinconiche – che questo repertorio secolare rende possibili, c’è in effetti anche quello del gioco degli esordi e di inseguire tracce di vite: leggere certi nomi nei giornali pensati e scritti in gioventù, poi, procedendo nei decenni, andare a vedere chi c’è ancora, chi è andato altrove, i nomi che non ci sono più. Di nuovo: i giornali non solo come storia dei giornali stessi, ma come elaborazione e itinerari di gruppi dirigenti. Itinerari. Incroci. Eclissi. Qualche volta, anche, epifanie.

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Marco Borghi

Il progetto “Un secolo di carta” Il progetto Un secolo di carta. Repertorio analitico della stampa periodica veneziana (1866-1969) è stato avviato dall’Istituto veneziano per la storia della Resistenza e della società contemporanea (Iveser) nell’anno 2000 grazie ad un iniziale finanziamento erogato dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Venezia (ora Fondazione di Venezia) che valutò molto positivamente e con significativo interesse la nostra proposta progettuale. Il progetto nasceva dall’esigenza di censire, catalogare e valorizzare la stampa periodica (quotidiani, riviste, bollettini, notiziari, annuari, numeri unici, strenne, almanacchi, ecc.) per lungo tempo il principale strumento di comunicazione e informazione, ma anche di aggregazione politica e sociale, nonché di rappresentazione (e autorappresentazione) “identitaria”; una fonte documentaria di primaria importanza per ricostruire con maggior precisione il profilo del giornalismo veneziano e l’evoluzione delle vicende storiche del territorio. Una fonte, tuttavia, spesso trascurata e poco conosciuta anche nelle sue dimensioni quantitative. Fin da subito due furono le questioni che il gruppo di lavoro iniziale – composto da Giulia Albanese, Eva Cecchinato, Daniele Ceschin, coordinato da Marco Borghi – dovette affrontare: l’intervallo temporale di riferimento e la predisposizione di una apposita scheda catalografica con la definizione dei criteri di schedatura. Se il punto di partenza sembrava scontato – il 1866, anno del plebiscito per l’annessione delle provincie del Veneto al Regno d’Italia – più complicato fissare la data finale. In un primo momento si optò per il 1945, “snodo” storico particolarmente significativo, tuttavia dopo una serie di riflessioni si decise di spostare il termine al 1969, alla vigilia delle contestazioni studentesche e l’affermarsi e la diffusione di altri mezzi di comunicazione, tra tutti la televisione, destinati a

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modificare anche il ruolo e la funzione della carta stampata. Eludere il dopoguerra, inoltre, avrebbe significato escludere le vicende della “nuova Venezia” – Mestre e la terraferma – che proprio da quegli anni iniziava la sua inesorabile e disordinata crescita. Stabilito il periodo cronologico e definita la scheda catalografica si iniziarono le necessarie esplorazioni presso le principali biblioteche cittadine (Marciana, Querini Stampalia, Museo Correr, Biblioteca generale dell’Università Ca’ Foscari) per cercare di capire quale fosse il reale numero delle testate da censire e catalogare. In un primo tempo una prudente proiezione (rivelatasi poi infondata) stimò in circa 600 la cifra dei periodici da esaminare; tale numero era il risultato di uno spoglio manuale dei cataloghi cartacei delle rispettive biblioteche, allora il catalogo informatico del Servizio Bibliografico Nazionale (e dei poli periferici) stava ancora muovendo i primi passi dedicando la sua attenzione prevalentemente alle pubblicazioni aperiodiche, anche il Catalogo italiano dei periodici (Ancp), pur essendo un discreto sussidio, non risultò di essere di particolare aiuto. Con la progressiva e massiccia immissione in “rete” dei periodici cessati il numero degli esemplari iniziò ad aumentare esponenzial-

mente, rivelando per di più localizzazioni diffuse su tutto il territorio nazionale, anche in strutture minori e poco conosciute. Soprattutto l’emeroteca della Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze, che dal 1870 riceve per diritto di stampa copia di tutto il materiale edito e pubblicato in Italia (incluse le pubblicazioni periodiche), rivelò un considerevole numero di testate veneziane (circa il 20% del totale) che risultavano mancanti, a volte incomprensibilmente, nelle biblioteche cittadine. L’inatteso ritrovamento di questi periodici (circa 300) di cui non si poteva ignorarne l’esistenza, modificò sensibilmente lo svolgimento della ricerca determinando una obbligata rimodulazione organizzativa e progettuale, con la conseguente dilatazione dei tempi di lavoro di schedatura per le difficoltà di carattere logistico e finanziario. La principale innovazione progettuale è stata quella di non circoscrivere la ricerca a specifici ambiti tematici, tipologici o cronologici, effettuando la catalogazione di tutta la stampa periodica pubblicata a Venezia dal 1866 al 1969 (dai principali quotidiani alle riviste culturali, dai fogli parrocchiali e

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religiosi ai periodici di categoria, dalla stampa di partito a quella tecnica e scientifica, dai giornalini scolastici e studenteschi ai periodici di svago e intrattenimento, dalle strenne ottocentesche alla stampa umoristica e satirica) adottando un criterio scientifico di schedatura che non si limitasse a descrivere sommariamente i tradizionali dati tipografico-editoriali (titolo, periodo di pubblicazione, ecc.) come si verifica per la redazione di buona parte dei cataloghi e repertori, bensì di adottare un livello molto più accurato e dettagliato. Per tali motivi si è scelto di utilizzare una scheda che permettesse di delineare, su diversi piani, un profilo completo e minuzioso delle testate individuate (sulla scheda e i criteri di catalogazione adottati si rimanda alla sezione “Guida alla consultazione” pubblicata nel sito). Sì è dunque seguita – giorno dopo giorno, fascicolo dopo fascicolo, pagina dopo pagina – la vita del periodico, segnalando tutti i cambiamenti redazionali, editoriali e strutturali (titolo e sottotitolo, organi direttivi e redazionali, tipografia, sede, prezzo, firme presenti ecc.). A rendere ancora più completo il catalogo sono presenti anche le schede di quei periodici di cui presumibilmente non esistono più copie (perlomeno allo stato attuale), ma che con certezza furono pubblicati, in

questo caso le notizie della loro esistenza sono state reperite attraverso fonti diverse (segnalazione in cataloghi e repertori, pubblicazioni, inserzioni pubblicitarie, ecc.). Altra rilevante novità di questo scrupoloso spoglio consiste nella puntuale segnalazione del luogo di conservazione, della relativa collocazione e del reale posseduto delle collezioni, in modo da agevolare concretamente studiosi, ricercatori, operatori culturali e singoli cittadini. Nel corso di questi anni il gruppo di lavoro – progressivamente cresciuto a 18 studiosi coordinati da chi scrive (che ha curato anche la redazione dell’intero catalogo) – ha individuato e schedato oltre 1.800 esemplari (tra quotidiani, riviste, notiziari, bollettini, rotocalchi, annuari, almanacchi, numeri unici) conservati nelle biblioteche cittadine e in altri istituti di conservazione distribuiti su tutto il territorio nazionale.

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Riteniamo che il repertorio analitico della stampa periodica veneziana possa considerarsi tra i progetti scientifici e culturali più rilevanti realizzati in questi ultimi anni, e non solo nel panorama culturale veneziano: un ausilio e uno strumento fondamentale per la conoscenza della storia di Venezia in età contemporanea capace di stimolare nuovi studi, approfondimenti e ricerche. Il repertorio, inoltre, restituisce una particolare e originale lettura del cammino di Venezia nello stato unitario: un osservatorio inedito e privilegiato per comprendere anche le profonde trasformazioni della città e del suo territorio tra Otto e Novecento. Per quanto riguarda la pubblicazione della ricerca, dopo una serie di riflessioni, si è ritenuto opportuno riversare il catalogo in una piattaforma web (in un primo tempo si era invece ipotizzato di utilizzare un supporto digitale “statico” [dvd/ cd]) per la sua capacità comunicativa, divulgativa e interattiva, e per la sua “flessibilità” in grado di assicurare rapide e agevoli ricerche incrociate e, soprattutto, permettere successive integrazioni, aggiornamenti e implementazioni con nuove acquisizioni documentarie, rendendo di fatto il repertorio uno “spazio” aperto e dinamico, nonché accessibile ad un pubblico più esteso.

Siamo anche consapevoli che il repertorio non possa aver individuato e censito tutto il materiale pubblicato a Venezia dal 1866 al 1969, tuttavia riteniamo che attualmente rappresenti la banca dati più completa ed esaustiva disponibile e il principale punto di riferimento per chi si appresti ad effettuare studi e approfondimenti sul giornalismo veneziano e la storia della città in età contemporanea. Un motivo di orgoglio e soddisfazione considerando le non certo “floride” risorse impiegate e la distratta, a volte indifferente, attenzione di alcuni possibili interlocutori a cui avevamo chiesto di condividere e sostenere la ricerca; una ragione in più per riflettere sull’importanza di “piccole” realtà culturali, come l’Iveser, capaci di pensare, organizzare e realizzare progetti e ricerche destinate a “restare” a lungo, oltre il tempo di una “vernice” o di uno “spot” promozionale.

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Esito di un pluriennale e impegnativo progetto di ricerca – promosso e realizzato dall’Istituto veneziano per la storia della Resistenza e della società contemporanea (Iveser) – il repertorio analitico della stampa periodica veneziana si proponeva l’ambizioso obiettivo di individuare e catalogare tutta la stampa periodica (quotidiani, riviste, bollettini, annuari, strenne, almanacchi, numeri unici) pubblicata a Venezia dal 1866 al 1969, senza circoscriverla in specifiche categorie, tipologie, aree tematiche o disciplinari. Ne è uscito un imponente e innovativo catalogo con le schede di oltre 1.800 esemplari pazientemente e rigorosamente spogliati e descritti da un gruppo di lavoro composto da 18 studiosi e ricercatori coordinati da Marco Borghi. Un lungo e affascinante “itinerario” tra le pieghe di migliaia di pagine – a volte fragili e sgualcite, dall’inchiostro sbiadito e la grafia incerta – di una fonte poco valorizzata, e spesso sconosciuta anche nelle sue dimensioni quantitative: un nuovo ed originale “osservatorio” destinato a contribuire per una complessiva “rilettura” della storia di Venezia in età contemporanea perennemente sospesa tra conservazione e modernizzazione. “I giornali – scrive Mario Isnenghi nella presentazione – non solo come storia dei giornali stessi, ma come elaborazione e itinerari di gruppi dirigenti. Itinerari. Incroci. Eclissi. Qualche volta, anche, epifanie”. in copertina L’edicola di campo San Pantalon, Venezia, 1961. (Archivio della Comunicazione - Comune di Venezia, fondo Giacomelli).

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