HangarBicocca
MAURIZIO CATTELAN
10.04.19 / 10.08.19
lli Hangar Bicocca / Pirelli Hangar Bicocca / Hangar Bicoc
MAURIZIO
CATTELAN
Sindaco Giuliano Pisapia Assessore della Cultura Filippo del Como Ditettore Censtrale Culturale Giulia Amato
Presidente Marco Tronchetti Provera Consiglio di Amministrazione Maurizio Abet, Nina Bassoli, Gustavo Bracco, Elena Pontiggia, Ilaria Tronchetti Provera General Manager Marco Lanata Operations Manager Paolo Bruno Malaspina Direttore Artistico Vicente TodolĂ Curatore Roberta Tenconi Assistente Curatore Lucia Aspesi Assistente Curatore Fiammetta Griccioli Assistente Curatoriale Mariagiulia Leuzzi Responsabile Programmi Culturali e Istituzionali Giovanna Amadasi Progetti Educativi Laura Zocco Music and Sound Performance Curator Pedro Rocha Responsabile
Comunicazione e Ufficio Stampa Angiola Maria Gili Ufficio Stampa e Comunicazione Digitale Alessandro Cane Comunicazione Francesca Trovalusci
General Manager Marco Lanata Operations Manager Paolo Bruno Malaspina Direttore Artistico Vicente TodolĂ
Registrar Dario Leone
Curatore Roberta Tenconi Assistente Curatore Lucia Aspesi Assistente Curatore Fiammetta Griccioli Assistente Curatoriale Mariagiulia Leuzzi Responsabile Programmi Culturali e Istituzionali Giovanna Amadasi Progetti Educativi Laura Zocco Music and Sound Performance Curator Pedro Rocha
Presidente Marco Tronchetti Provera Consiglio di Amministrazione Maurizio Abet, Nina Bassoli, Gustavo Bracco, Elena Pontiggia, Ilaria Tronchetti Provera
Responsabile Comunicazione e Ufficio Stampa Angiola Maria Gili Ufficio Stampa e Comunicazione Digitale Alessandro Cane Comunicazione
Sviluppo Partnership Fabienne Binoche Organizzazione Eventi e Bookshop Valentina Piccioni Responsabile di Produzione Valentina Fossati Allestimenti Matteo De Vittor Allestimenti Cesare Rossi
Sviluppo Partnership Fabienne Binoche Organizzazione Eventi e Bookshop Valentina Piccioni Responsabile di Produzione Valentina Fossati Allestimenti Matteo De Vittor Allestimenti Cesare Rossi Registrar Dario Leone
Realizzazione editoriale 24 ORE Cultura srl. Milano © 2013 24 ORE Cultura, Milano Poprietà artistica e letteraria riservata per tutti i Paesi. Ogni riproduzione, anche parziale, è vietata Prima edizioone: ottobre 2013 ISBN : 123-45-6789-123-4
Roberto Argo:
le fondamenta nascoste dell’arte di Maurizio Cattelan Un logos sacrificale informerebbe la spettacolare carriera artistica di Maurizio Cattelan così come le sue produzioni “post-ritiro”. Roberto Ago si propone di illuminarlo e di trarne una lezione generale sulle fondamenta nascoste dell’arte e del museo contemporanei. All (2011), duchampiana “pira antincendio”, segna com’è noto il commiato dalla carriera artistica di Maurizio Cattelan. Si è assistito, in realtà, alla celebrazione di un “divo” che in barba alla scaletta va differendo a tempo indeterminato la sua “apoteosi”. Decisivo, ancora una volta, il suo incerto sentimento d’appartenenza nei confronti di qualsivoglia contesto espositivo: “torno subito” (la prossima volta), “scappo” (ma ci rivedremo), e da ultimo “addio” (per un po’). Se da sempre l’artista fugge solo per essere inseguito, è chiaro come di fronte all’antologica della vita l’arrivederci dovesse apparire definitivo o, all’inverso, l’addio “sospeso”. Naturalmente Cattelan non ha mai inteso che avrebbe smesso di creare, ma solo che non accetterà mai di vedersi imbalsamato in un museo. Buffo, per uno che non ha fatto altro. Se fino a l’altro ieri l’algido museo poteva ancora essere violentato a suon di vacche in formaldeide, pornodive maritate e, nel caso del nostro, mirabolanti evasioni, oggi che si è tornati all’ordine e l’agognata meta è stata raggiunta elargire una provocazione da manuale sarebbe apparsa come una strategia logora. Con All Cattelan non fugge più, l’opera c’è eccome, ma non dove dovrebbe essere, e così per le sue produzioni post-ritiro, in particolare America (2016) e il brand
Made in Catteland (2017). Queste ultime sanciscono come all’interno del display museale non siano più praticabili arrembaggi, se non all’entrata (il book-shop) e all’uscita (la toilette), per due ulteriori e definitive negazioni del palcoscenico preannunciate dalla mezz’aria del Guggenheim. Il post-artista sembra aver maturato la consapevolezza che nelle sale di un museo (e a maggior ragione di fiere e gallerie) nessun’opera di qualsivoglia artista potrà più sorprendere come un tempo, perché da che le platee erano ancora a digiuno di provocazioni è stato nel frattempo fagocitato e digerito letteralmente “tutto” (All). La piattaforma espositiva, inseguita/ rifuggita fin dagli esordi e che anche per questo gli renderà onori e glorie, è propriamente il medium sacrificale utilizzato per una consacrazione che è tutt’uno con un rito di passaggio. Ma la strategia “sacrificale” riguarda il fenomeno Cattelan nel suo complesso, il quale consiste innanzitutto in un ininterrotto e dissimulato sabotaggio del display espositivo. L’opera omnia compendiata con enfasi in una zona liminare del Guggenheim solo esorbita gli episodi precedenti, mentre il colpo di grazia inflitto attraverso il bookshop e la toilette non riguarda più solo il museo ma anche la cara, “vecchia” arte. Una differenza fondamentale, infatti, distingue le neonate invenzioni scaturite dalle ceneri di quella: esse riconnettono la star al discolo degli anni giovanili con un’autentica “peripezia” (rivolgimento dei fatti verso il loro contrario), nel momento stesso in cui si colloca in pianta stabile nel museo, Cattelan fugge definitivamente da esso.
Con America e Made in Catteland egli non si limita a sacrificare le consuete aree espositive, ma produce due esempi singolari di arte applicata che disinnesca dall’interno il registro artistico, venendo fruita a margine delle esposizioni mentre svolge la sua funzione pratica e rituale. Come poter tornare alle finzioni posticce di una volta ora che si è raggiunto un tale incomparabile traguardo, che poi non è altro che quello di arte radicata nella vita activa? La peripezia qui individuata non si limita alla parabola personale, né a quella generazionale. Cattelan è un tale sismografo del sistema internazionale dell’arte da suggerire che i capolavori della pensione anticipata debbano riguardare l’arte contemporanea nel suo complesso. L’ambasciata è diabolica come il suo araldo: 1) “sono ancora e sempre il numero uno” (vero, complimenti); 2) “tuttavia, un’arte museificata alla nascita, questa singolarità affetta da autoimmunità, ha finito per consumare tutte le mie avance, disinnescando il desiderio reciproco. Così non ci è rimasta altra possibilità che operare all’interno degli unici interstizi di vita autentica che, celati sotto al naso, ancora resistevano alla mummificazione. Non so se saprò scovare altre riserve indiane da annettere/contrapporre alla west art, ma nel caso mi basterà ribadire il mio ritiro”. Dimostrando di non aver smarrito la sua musa, egli mostra altresì di diffidare del display museale sia quando si trattava di conquistarlo, sia oggi di conservarlo. Tanta insistita ambivalenza nei confronti del proprio oggetto d’amore non è solo tipica di chi ne teme la perdita, al punto
da abbandonare per primo, ma anche di chi sa bene come la logica sacrificale alla radice del processo di museificazione sia tutt’uno con la sua dis-missione. Si tratta di una torsione paradossale: se l’arte museale mangia la vita, quest’ultima deve continuamente poter rinascere dal cadavere imputridito di quella, perché entrambe continuino a essere, secondo un processo circolare tipicamente sacrificale. Così l’idea di occupare delle zone liminari “più erogene” di quelle tradizionali non riguarda tanto un desiderio “di” Cattelan, quanto un’ingerenza ostinata del sistema dell’arte: “eccitami, ché ne ho costantemente bisogno”. Detto fatto. Ma nessuno, nemmeno Cattelan, può riaccendere ad libitum un desiderio che teme a tal punto l’abitudine da averne fatto la sua compagna terribile. Fagocitato da un museo in presa diretta, occulta dimora di quella, esso si oblitera dappertutto, perfino in un bagno pubblico. “Dappertutto”. Ecco il primo dei tre ingredienti del vulnus che in compagnia di Maurizio Cattelan andiamo disvelando. A distanza di tanti anni da una Biennale veneziana che con ingenuo entusiasmo aveva profetizzato il museo diffuso, vederlo agito da un campione della museificazione in lotta con se stesso lo conferma in quanto pharmakon ambivalente dell’arte contemporanea in genere.
LA MOSTRA La mostra, che prende il nome dallo stesso artista che la fa da padrona ha come scopo quello di far conoscere a pieno Maurizio Cattelan agli appassionati e di farlo incontrare a chi invece molto probabilmente ne ha forse solo sentito parlare. Per gli utenti che accederanno a questa mostra sarà senza dubbio una esperienza che non dimenticheranno, in quanto questo è il primo evento al mondo che vede raccolte così tante opere dell’artista. Grazie al bellissimo spazio che è il Pirelli Hangar Bicocca e a questa ampia visione delle opere dell’artista padovano si ha la sensazione di poter entrare in contatto con l’intero percorso artistico di questo personaggio eclettico e singolare. Nello spazio, interamente dedicato all’evento, vi sono presenti sculture di molteplici materiali e dimensioni, spazi multimediali con videointerviste speciali e documentative raccontate dai migliori professionisti del panorama italiano e non solo.
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Maurizio Cattelan
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Per me l’arte è vuota, trasparente: è un dispositivo per mettere in moto interpretazioni che appartengono a chi guarda. Alla fine sono gli spettatori a fare il lavoro degli artisti.
“Untitled” 2001 Polimaterica
ABOUT MAURIZIO CATTELAN Nato il 21 settembre del 1960, cresce in una famiglia cattolica nel pieno del dopoguerra, dove il popolo si spartiva principalmente in cattolici e comunisti. Era un bambino piuttosto solitario, pigro e ossessivo, tanto che fu già bocciato a 12 anni, “La scuola è sempre stato un problema per me, non perché fossi stupido ma perché mi rendeva stupido. Il sistema scolastico è pensato per l’indi-viduo me dio, premiava la nozionistica. La scuola non mi ha insegnato niente di quello che doveva fare, però mi ha insegnato a sopravvivere”. Ed è infatti sulla sopravvivenza che fonda un idea di indipendenza che lo prende alle superiori, dopo essere stato rimandato nell’istituto tecnico da lui scelto avendo una passione per le vecchie tecnologie, decide di andare a lavorare e di andarsene da casa. A diciassette anni compie tutto questo, lavorando prima come infermiere per quattro anni poi come sorvegliante in un azienda di rifiuti e poi all’obitorio come vestitore di cadaveri. Racconta di questa necessità di indipendenza: “Volevo liberarmi dalla necessità di lavorare per vivere, tutti i miei sforzi andavano in quella direzione”, un bel giorno decide così che non avrebbe mai più lav-orato e si li cenzia, avendo accumulato abbastanza per vivere due anni. Come già accennato Cattelan non ha ricevuto alcuna istruzione artistica, infatti si avvicina all’arte anni dopo, prima verso il design in un laboratorio del suo vicino di casa a Forlì con cui vendeva mobili a Milano, e poi finalmente all’arte. Comincia ad andare a mostre sul design e poi a mostre collettive, racconta che nel design: “La creatività era considerata una seccatura,
un pò come pren-dere una medicina. Ho attraversato un periodo di transizione. Negli anni in cui costruivo mobili mi hanno invitato a partecipare ad alcune mostre collettive, è così che ho iniziato a migrare progres-sivamente verso il mondo dell’arte”. La prima mostra di arte contemporanea che va a vedere è di Michelangelo Pistoletto, e frequentan-do quell e mostre si accorge che era un periodo in cui “Il neo espressionismo e la Transavanguardia erano al capolinea, l’arte si stava avvicinando a un discorso dove l’oggettualità stava venendo messa da parte in favore di una reinterpretazione della realtà”. Le prime operazioni artistiche si hanno dal 1989 dove l’artista racconta: “Avevo un’idea molto per-sonale de ll’arte, i miei primi lavori erano un tentativo molto personale di capire come funzionasse il sistema”. Il tema è quello del non lavoro e della pigrizia, tra le opere un certificato medico spedito al direttore del museo, l’affssione di un cartello con scritto “Torno subito” in una porta, e la denun-cia ad u n commissariato della scomparsa di un’opera invisibile. La prima vera e propria opera d’Arte si può però individuare in AC Forniture Sud, che realizza nel 1991 a Bologna. Aveva formato una squadra di calcio in cui tutti i giocatori erano immigrati, reclu-tati abusiv amente in un angolo alla fiera dell’arte di Bologna, allo stesso modo delle vendite degli extracomunitari. La squadra aveva poi una divisa con il finto sponsor Rauss, slogan in realtà nazista
che vo leva dire “via da qui”. Con la mimetizzazione del messaggio, grazie a un linguaggio così popolare come il calcio, Cattelan riesce a mettere su la squadra e come lui diceva: “Insinuarsi nelle maglie che ogni sistema lascia libere, non in maniera provocatoria e visibile ma in modo mimetico, usandone gli stessi mezzi. Ciò che voglio rappresentare è la lotta contemporanea tra il bisogno di essere liberi e uno schematismo sempre più forte”. Nel 1990 va a vivere a Milano dove realizza un biliardino a 11 posti realizzato a sue spese e posto in una galleria di Bologna. Dopo 3 anni si trasferisce a New York, mentre la biennale di Venezia in veste del curatore Francesco Bonami gli offre la sua prima vera occasione artistica internazionale “Il tempo passava e io non avevo idee. Alla fine mi sono detto: perché non chiedere ad altri? Perché non offrire il mio spazio ad un agenzia pubblicitaria” ed è così che nella sala a lui dedicata si limita ad affttare un manifesto di un profumo, opera che rinominerà Lavorare è un gran brutto mestiere. Nel 1993 decide poi di andare a New York, anche se non conosceva nessuno e non parlava inglese, e se ne innamora “Dopo tre anni a Milano era ormai chiaro che avevo già fatto tutto quello che potevo fare, l’unico modo per uscirne era misurarsi coi migliori e New York era la punta della piramide, il centro del mondo dell’arte. Mi sono dato un ultimatum, se funziono continuo, se no passo ad altro”. Inizialmente trova lavoro nella gallerie di Daniel Newberg, nipote di Picasso, per 2 anni lavora li poi la galleria fallisce e si trova solo. La svolta si ha nel 1996 dove Cattelan si
sposta da un lavoro di situazioni a opere di stampo scul- torei, iniziando dall’opera La ballata di Trotsky dove un cavallo è sospeso dal sofftto. Il significato ora è più astratto ma la forma più concreta: “Fino a quel momento mi ero dedicato alla decontrazi- one del mondo dell’arte, ma fino a che punto potevo andare avanti in quella direzione? Alla lunga è noioso, e pol cambiare è nell’ordine delle cose.” Il non avere avuto una formazione artistica “È stato un handicap solo all’inizio. Mi ha dato un punto di vista diverso e più libertà di azione, l’ignoranza a volte rende coraggiosi”. La rappresentazione figurata immobile diventa ormai il principale supporto artistico dell’autore che prende sempre spunto dalla realtà ricontestualizzandola: “La realtà mi aiuta a lavorare. L’astrazione non mi aiuta per niente. Ho bisogno di elementi riconoscibili”. Il lavoro manuale è relativamente facile e per la maggiorparte prodotta in studio, riproducendo oggetti già esistenti e riproporli in altri contesti. Anche la pigrizia si nota molto nelle sue numerose opere dal nome Untitled, o anche la visione del lavoro come punizione giornaliera, una invenzione perfida dell’uomo. Ma anche la cleptomania, come l’opera in cui realizza il proprio alter ego che sbuca dal pavimento di un museo o anche proprio il concetto di “rubare” immagini o idee già es- istenti, o come meglio dice l’artista: “Sono sempre a prendere in prestito pezzi della realtà di tutti i giorni”. Infatti, le opere di Cattelan non sono esperienze astratte o opere realizzate con tecniche manuali, bensì sono piuttosto per la maggioranza installazioni o performance, che mirano a
vedere le cose da un altro aspetto, invitano lo spettatore a una riflessione in contesti fuori dall’ordinario. Anche l’ambiguità è nell’essenza dell’artista, che lascia sempre al pubblico libera interpretazione: “L’arte deve essere anche una causa di un malinteso, perché la gente può farne qualsiasi cosa. Per me l’equivoco o l’inganno ottico e mentale rappresentano il vero motore dell’arte”. Inoltre, una chiave ironica contraddistingue il suo linguaggio dissacrante, che si disinteressa delle critiche pur di esprimere il proprio pensiero e la propria personalità. Nel 1997 è uno dei tre artisti italiani incaricati ad allestire la biennale di Venezia, dopo ancora una volta avere passato tantissimo tempo senza sapere che fare, decide di ricoprire il posto di piccioni imbalsamati, riproducendo quella parte di spettacolo che nessuno vuole vedere. Cattelan dice che la sua arte è per lui una terapia, un modo per guarire dalla monotonia della vita e riprendersi dalla insoddisfazione della sua gioventù: “Prima di andarmene di casa ho distrutto tutte le foto in cui c’ero fino ai 18 anni. Quando me lo sono ricordato, mi sono detto: i casi sono due, o non volevo bene a me stesso, o non volevo lasciare traccia. Non ero molto a mio agio con me stesso. Se l’arte è una terapia, la mia forse serve a riempire un vuoto, ricreandomi un posto nel passato e un Io che non ho potuto vivere ed esprimere”. Nella cultura popolare però le sue opere hanno spesso parlato al posto suo, tanto che l’artista pa- dovano non ha quasi mai fatto interviste e non si è mai esposto personalmente. Infatti, nonostante il suo
nome sia famoso in tutto il mondo, in Italia, paese che si è in maggioranza ancorato all’arte più antica, e di cui è natale, non è molto conosciuto. Sono i giornali che hanno divulgato per la maggioranza le sue opere, ma non per recensioni artistiche, bensì per facile critica e distruzioni mediatiche. È così facile capire il perché le sue opere più famose siano la Nona Ora, dove il papa Woiytila viene abbattuto da un meteorite, i tre bambini impiccati a Milano e il dito medio in sala borsa. Sui giornali italiani, non esiste spazio per l’arte o meglio per la cronaca artistica, bensì l’ar- tista ha solo speranze di apparire nella cronaca popolare o politica, con esercizi e argomenti volti a provocare una reazione del pubblico. Come personaggio è molto schivo, timido, e non ha mai avuto rapporti o disponibilità con il pub- blico, un esempio può essere il comportamento che ha avuto le due volte che è stato chiamato da università italiane, facendo andare curatori nei migliori casi, ma anche comici al suo posto, che hanno inscenato scenette surreali e anche un po’ imbarazzanti, generando reazioni controverse al pubblico e ai professori. Perché non si presenta? Cattelan ne parla così: “Non mi piace fare quel tipo di cose, non mi sento a mio agio. Vengono sempre a chiedermi quali sono le interviste vere. Che domande, sono tutte vere!”. Non solo artista però Cattelan, che nel 2002 insieme a Massimiliano Gioni si reinventa curatore creando la mostra The Wrong Gallery, una mostra di soli 2 metri quadrati “All’epoca frequentavamo molto le gallerie di Chelsea, e l’aspetto che saltava
subito agli occhi era mantenere una galleria ci volevano grossi mezzi finanziari. Abbiamo iniziato a riflettere e ci siamo chiesti: come si potrebbe fare per creare una galleria a costi più accessibili senza sacrificare una programmazione interessante? E così abbiamo aperto una galleria in soli due metri quadri”. Sfortunatamente però l’artista padovano ha deciso di porre termine alla sua carriera nel 2011, a soli 51 anni, con una retrospettiva chiamata appunto All al Gugghenheim Museum di New York, dove l’artista insieme alla curatrice Nancy Spector, ha appeso tutte le sue opere al sofftto della zona centrale del museo. Le opere non avevano mostrati ne i nomi ne alcun altra informazione, per met- terle tutte sullo stesso piano, Cattelan ne parla così: “È un idea che ho respinto per molti anni. Per me una retrospettiva è come un segnale che quello che avevi da dire ormai è già stato detto, ma al Guggheineim mi sembrava la proposta adatta. è comunque sempre un occasione per riflettere, per vedere riunite in un solo colpo una serie di cose che in precedenza si sono potute vedere solo una alla volta, è anche un momento in cui l’artista viene celebrato, riconosciuto, un po’ come capita a un gruppo rock quando esce un Greatest Hits”. L’inedito di questa mostra è inoltre l’opera We, dove due Cattelan sono stesi su un letto, l’uno rappresentante il Cattelan artista, l’uno in pensione. Cattelan così annuncia il suo ritiro dalle scene come artista, anche se lavora saltuariamente da curatore di mostre e collabora con un grafico alla suggestiva rivista Toilet Paper dove reinterpreta, decontestualizza o inventa immagini fotografiche a stampo
pubblicitario ad alto impatto comunicativo, senza che siano effettive pubblicità. Ma come spesso è successo, Cattelan non è molto affdabile, fa sempre un po’ come gli pare, e molti pensano che potrebbe tornare a calcare le scene, dal suo canto dice che: “È ora di lasciare spazio ai giovani, quando sei giovane sei senza soldi e pieno di idee, quando hai i soldi sei senza idee”. Che sia veramente finita la carriera di uno dei più influenti artisti dell’arte contemporanea? Non si sa, ma ciò che ha lasciato sono opere a forte impatto visivo e comunicativo, che stimolano chi le osserva a guardare il mondo da un altro punto di vista, inusuale e spesso impensabile, che con una visione ironica prende in giro la vita, mostrando però una felicità nel viverla che si vede nella curiosità da osservatore e pensatore che Cattelan ha sempre avuto.
LE OPERE
“Strategie” 1990 Numeri di “Flash Art”
“STRATEGIE” Nel 1990 concepisce l’opera Strategie. Acquista 500 numeri di Flash Art, nota rivista d’arte contemporanea, e ne sostituisce la copertina con una che ricalca il progetto grafico originario, ma che espone a tutta pagina una sua opera. In tal modo si assegna da solo il “frontespizio” di Flash Art, e vende gli spazi pubblicitari sui tre rimanenti risvolti. L’opera raffigurata rappresenta un instabile castello di carte composto dalle precedenti copertine della rivista.
“Charlie don’t Surf” 1997 Polimaterico
“CHARLIE DON’T SURF” Il titolo viene da una battuta del film di Coppola Apocalypse Now , Charlie é il soprannome del nemico vietnamita, tuttavia quest’opera é comunemente E’ una delle opere più rappresentative degli esordi della sua carriera negli anni novanta. Rappresenta un alunno seduto con le braccia aperte, inchiodato con le mani sul banco, da due matite, visto di spalle e di fronte ad un muro. L’immagine è crudelissima e anzitutto sembra avere un origine autobiografica dato che l’artista non fa gran segreto di essere stato un cattivo alunno. Denuncia la violenza del sistema scolastico, la rigidità della trasmissione del sapere, il terrore dello scolaro di fronte ai metodi d’insegnamento. Quindi la scelta delle matite è chiara : “ti potrei legare al tuo banco affinché tu sia costretto ad ascoltarmi, invece scelgo di crocifiggerti con l’attrezzo dell’ accesso alla conoscenza”.
A PERFECT DAY “A Perfect Day” 1999 Nastro americano/Persona
“A PERFECT DAY” Una delle opere per me più provocatorie e al limite dell’umana sopportazione è l’opera realizzata nel 1999 da Cattelan con la partecipazione di Massimo De Carlo: il gallerista milanese viene appeso a una parete con del nastro adesivo grigio. L’opera vivente porta il titolo di: “A perfect day”, ma non sarà stato sicuramente un giorno perfetto per De Carlo, che al termine della performance viene portato al pronto soccorso privo di sensi.
“La Nona Ora” 1999 Polimaterica «Il grande nemico dell’arte è il buon gusto» disse qualche grande artista, non importa chi. L’artista veneto, in realtà, non aveva come obiettivo quello di demonizzare e ridicolizzare la Chiesa: la caduta del Papa per colpa di un meteorite è la caduta di un supereroe moderno, di una icona pop del suo tempo, anche per i non credenti. Nel 2010, in una intervista, ha invece chiarito che il Papa, per lui, rappresentava il proprio padre, che aveva cercato di strangolare quando aveva diciassette anni. Trasmutando il significato dell’opera in un lavoro spirituale che parla di sofferenza. Ma l’artista veneto, in realtà, non aveva
come obiettivo quello di demonizzare e ridicolizzare la Chiesa: la caduta del Papa per colpa di un meteorite è la caduta di un supereroe moderno, di una icona pop del suo tempo, anche per i non credenti. Lo spunto non può che essere il nome della prima mostra in cui è stata esposta l’opera, “Apocalypse”. Ma il significato dell’opera lo detta l’artista stesso o i critici d’arte? Nel frattempo è stato lo stesso Cattelan a spiegarci che «La Nona Ora è un’opera molto religiosa: è un lavoro che mette a nudo il papa, mostrandone il lato umano». Nel 2010, in una intervista, ha invece chiarito che il Papa,
per lui, rappresentava il proprio padre, che aveva cercato di strangolare quando aveva diciassette anni. Trasmutando il significato dell’opera in un lavoro spirituale che parla di sofferenza. «Il titolo La Nona Ora allude a quella in cui Cristo, sulla croce, chiede al Padre perché l’ha abbandonato, ma il Papa cadente si aggrappa al crocifisso».
“Him” 2001 Cera e Resina Venduta per 17 mln di
“HIM”
I
É un’opera del 2001 realizzata da Cattelan con capelli umani, cera e resina di poliestere. Vista da dietro assomiglia a un bambino inginocchiato in preghiera, il viso però è quello di Adolf Hitler. Una scultura che raffigura Adolf Hitler inginocchiato e con le mani giunte, realizzata da Maurizio Cattelan, è stata venduta per 17,1 milioni di dollari (l’equivalente di circa 15 milioni di euro), durante un’asta che si è tenuta l’8 maggio alla casa d’aste Christie’s a New York. È stata l’opera venduta al prezzo più alto dell’asta ed è anche il prezzo più alto mai raggiunto da un’opera di Cattelan.
KAP “Kaputt” 2007 Cavalli imbalsamati Cinque cavalli imbalsamati con le teste incastonate nella parete bianca, questa è l’opera “KAPUTT” . Allestita presso la Fondazione Beyeler a Riehen in Svizzera nel 2013, è un’evoluzione di “NOVECENTO“, già esposta al castello di Rivoli nel 1997 dove un cavallo imbalsamato era sospeso al soffitto e dell’altra “UNTITLED” del 2007 dove il cavallo era sempre uno ma si presentava nella stessa posizione dei cinque di “KAPUTT“. Il titolo è prestato dal romanzo omonimo di Curzio Malaparte. Irrigiditi, con la testa imprigionata nella parete, sospesi nel tempo e nello spazio
senza possibilità di vedere o comunicare, forse ancora vivi (le membra rivelano ancora tutto il loro vigore) forse no, mortalmente congelati. Forse imprigionati nell’atto di saltare e sfondare la parete che invece ne ha inghiottito la testa. Attento al tempo in cui vive, Cattelan in tutte le sue opere non va per il sottile, il suo messaggio è preciso e diretto per chi lo sa cogliere, precorre i tempi o li racconta, senza falsi moralismi offre visioni futuristiche come in “AVE MARIA” dove tre bracci spuntano dalla parete nell’atto del saluto romano o “HIM” dove un Hitler, terribile in volto, inginocchiato prega.
PUTT Tutta la potenza di cui si dispone è inutile contro chi ha imprigionato le nostre menti, è forse questo il messaggio che arriva allo spettatore, una forte critica alla società che ci imprigiona in contorti problemi fittizi che non possiamo risolvere e che ci impediscono di vedere invece cosa ci sta veramente intorno.
L. O.
“L.O.V.E.� 2010 Marmo di Carrara 1100cm Piazza Degli Affari, Milano
E.
Libertà / Odio / Vendetta / Eternità
V.
“America” 2016 Oro 18K Solomon R. Guggenheim Museum (New York)
“America” Maurizio Cattelan torna dopo cinque anni a esporre al Guggenheim di New York, senza venir meno alla sua impronta provocatoria e irriverente. Dal 15 settembre i visitatori del celebre museo di arte contemporanea possono ammirare - e volendo anche utilizzare - “America”, un wc rivestito in oro massiccio 18 carati, collocato in uno dei bagni unisex dell’edificio. “Si tratta di un’opportunità unica e intima di ritrovarsi faccia a faccia con l’arte”, spiegano i curatori del Guggenheim.
Maurizio Cattelan
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Il mio grande problema è che io non possiedo una personalità e devo trovare dei modi per sopravvivere. Devo quindi cambiare idee e punti di vista continuamente.