Laurea Triennale - Scienze Dell’Architettura A.A. 2014/2015 Terza sessione di laurea - Marzo 2016
Jacopo Donato Portfolio di Architettura
Jacopo Donato n°276439 ...
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progetto 0 - organiz zazione d i un camp o sfollati 1 4 1 5
villa a sch iera copert a - laborat orio proget tazione uno 1 6 2 7
padiglion e nuova bi ennale - w orkshop e stivo 2013 2 8 3 9
edificio 8 a ppartament i - laborat orio proget tazione due 4 0 5 5
nuova sub lagunare v enezia - w orkshop e stivo 2014 5 6 5 7
edificio re sidenziale - laborato rio progett azione tre 5 8 7 5
approfondi mento - pr ogettare ed ifici in luo ghi estremi 7 6 7 7
piccola sve va house recupero a ntico rocco lo friulano 7 8 8 7
viaggio stu dio - magg io 2015 - it alia franci a e spagna 8 8 9 1
piattaform a per le ar ti - laborat orio proget tazione tre 9 2 - 1 1 1
nuova port a padiglion e biennale - workshop estivo 2015 112 - 121
nuovo stu dio donato - progetta zione e arr edo garage 122 - 131
bivacco m e g a l i t h s - carpine to mounta in refuge 132 - 141
internship - studio [a +m]2 archi tects - aut unno 2015 142 - 143
space betw een world a nd toys - l ondon nurs ery school 144 - 155
scrutando verso il mi o futuro - r iflessione personale 156 - 157
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a mia madre e mio padre
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J A C O P O
D O N A T O
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S C H E D A
B I O G R A F I C A
Sono nato il 16 maggio 1993 a Udine. La mia famiglia è composta da mio padre Vanni, grafico pubblicitario, mia madre Marica, professoressa di lettere, me e mio fratello Filippo, studente di Liceo Artistico. Mi sono diplomato con il voto di 90/100 al liceo Scientifico Niccolò Copernico di Udine.
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JACOPO D ONATO - P O R T F O L I O DI ARCH ITETTURA b o o k 1
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PROGETTO 0 - ORGANIZZAZIONE DI UN CAMPO SFOLLATI A scuola ho disegnato tanto, mi è sempre piaciuto; nelle lezioni di storia dell’arte mi è capitato di sentire il nome di qualche architetto del passato e delle sue opere, ma nessuno, durante la mia formazione liceale, mi ha mai spiegato che cos’ è l’architettura o un progetto di composizione architettonica, pertanto non ho mai avuto la possibilità ne l’esigenza di provare a progettare uno spazio, almeno fino alla primavera del 2011, quando, al termine del mio quarto anno di istruzione superiore, presi parte ad un illuminante stage della durata di una settimana con i volontari della Protezione Civile del Friuli Venezia Giulia. E’ a quell’esperienza indimenticabile che attribuisco il mio “progetto 0”. Infatti tra le molte attività teoriche e pratiche dello stage di formazione, come un’operazione cinofila di ricerca scomparsi, la copertura di un argine del fiume Tagliamento e un viaggio in elicottero a Tolmezzo, abbiamo sperimentato anche quella fondamentale della progettazione di un campo sfollati ed il successivo montaggio di una tenda da campo (foto a lato). Fu la prima attività a cui fummo avviati proprio il primo giorno, quando, suddivisi in gruppi di dieci persone, elaborammo la sistemazione spaziale di un campo per i terremotati dell’Aquila. Ad ogni gruppo venne fornita una scheda riportante tipologia e numero di persone che avrebbero dovuto essere ospitati, una planimetria con un ipotetico terreno, nel mio caso un campo da calcio, ed una serie di fogli contenenti rappresentazioni in scala di tutti i servizi utili all’interno di un campo sfollati, come tende per famiglie, tende comuni, servizi igenici, sistemi elettrogeni ecc. Il nostro compito consistette nell’utilizzare il numero di elementi che ci sembrava appropriato per organizzare l’area, ipotizzando anche funzioni nuove per rendere la permanenza degli ospiti il più confortevole possibile. Non avevo mai dato particolarmente peso a questo mio primo incontro con la progettazione spaziale architettonica, fino pochi mesi fa, quando mi sono reso conto che senza alcuna premeditazione il mio percorso mi ha portato dopo quasi cinque anni a dovere e volere ragionare proprio sul tema dell’”architettura di emergenza” in particolare, e della dimensione sociale dell’architettura in generale, ed a guardare proprio a questi temi nel cercare una risposta alla domanda che ha contraddistinto il mio primo percorso universitario: chi voglio essere? 15
VILLA A SC HIERA COP ERTA - LA BORATORIO PROGETTA ZIONE UNO
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Durante il corso di Progettazione 1, che frequentai il primo anno di Università, incominciai ad assorbire gli elementi fondamentali di un intervento progettuale architettonico, e, di conseguenza, imparai una prima rudimentale definizione di architettura che all’epoca compresi solo in parte. Il tema dell’esercizio era quello della villa a schiera, un edificio abitativo monofamiliare confinante su due lati dell’area con altri edifici di medesima tipologia. Inizialmente immaginai le esigenze degli ipotetici abitanti dell’edificio, la “committenza”, il primo vincolo. L’area era limitata, oltre che dal vicinato, da una strada a Nord e da un lago a Sud, il che rappresentava i limiti di “attacco a terra dell’edificio”. Infine si considerava una lunga copertura che fungeva da margine in altezza e connetteva tutti gli edifici progettati durante il corso. Per quanto venisse richiesto di lavorare singolarmente, era tuttavia necessario collaborare con i colleghi che si occupavano delle aree limitrofe , ciò simulava il “tessuto urbano esistente” e istruiva noi studenti al lavoro di gruppo. Scelsi come committenti una giovane coppia di sposi, amante della natura ed infastidita dall’artificialità urbana. Perciò immaginai un edificio che avrebbe dovuto risultare molto ermetico dal lato della strada e, al contrario, molto aperto verso il lato del lago a Sud. Ho scoperto quasi immediatamente che, a differenza dei miei colleghi i quali avevano frequentato una scuola artistica, il liceo scientifico mi aveva dato un metodo processuale fortemente logico, estremizzato in una geometria delle forme molto rigida con la quale avrei dovuto fare i conti anche negli anni successivi. La prima stesura del progetto fu caratterizzata da un eccesso di dettagli diversi scoordinati tra loro. Dopo una revisione molto dura con la professoressa Manzelle fui capace di rielaborare le mie idee sintetizzandole: il risultato fu un edificio basato sulle due forme fondamentali di un quadrato sovrapposto ad un triangolo rettangolo isoscele, ermetico verso la strada nel lato più privato dell’abitazione, e quasi completamente vetrato dal lato del lago dove si concentrava la zona giorno. L’elemento del giardino divenne quello fondamentale, costituendo un percorso verde che dal giardino a nord passava letteralmente all’interno dell’edificio, per “esplodere” fuori vero il lago a colonizzarne tutta la facciata. Una corte favoriva l’accesso di luce e acqua per il giardino interno. 19
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pianta piano terra - 1:250
pianta piano primo -1:250
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sezione longitudinale - 1:250
sezione assonometrica - 1:250
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prospetto lato strada - 1:200
prospetto lato lago - 1:200
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plastico - prospetto lato lago - 1:100
plastico - esploso interno - 1:100
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PADIGLIO N E N U O V A BIENNA LE - WOR KSHOP ES TIVO 2013
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L’estate del 2012 ebbi la fortuna di partecipare a quella che poi riconobbi come l’attività migliore in assoluto proposta dalla mia Università: il workshop estivo. Fui assegnato inconsapevolmente all’architetto australiano Sean Godsell, di cui la maestria in architettura e gentilezza erano disarmanti. Ricordo l’emozione che provai quando in mezzo alle superbe ville astraliane l’architetto Godsell ci mostrò quattro lavori che aveva progettato pensando a una committenza appartenente al livello sociale più basso: i senza tetto. Osservammo panchine e tavoli da parco che si trasformavano in ripari, una fermata dell’autobus adibita a letto di fortuna, un container trasformato in abitazione prefabbricata per le vittime sfollate di disastri naturali. Come nel caso del “progetto 0” fui profondamente colpito da questi argomenti, più di quanto, al tempo, seppi capire. Il tema annuale dei workshop estivi era quello della riqualificazione di Marghera: quello da me seguito proponeva lo spostamento della Biennale Di Arte e Architettura di Venezia su un’isola del porto di Marghera e la trasformazione dei Giardini della Biennale a parco pubblico. Dopo aver immaginato in gruppo il riuso dei Giardini e la disposizione della nuova Biennale, ci venne chiesto di progettare singolarmente un padiglione all’interno della neonata area. Immaginai il mio padiglione sull’acqua, protratto verso Venezia. Un edificio che contrappone leggerezza ed essenzialità formale quasi eterea esterna, rappresentata da un cubo di vetro specchiato, ad una grande matericità e varietà interna simile a quella di una grotta, modellata in sette volumi cubici in calcestruzzo armato grezzo diversi tra loro. La luce naturale penetra all’interno del percorso espositivo solo attraverso tagli di luce e da un lucernaio al centro della copertura, ad eccezione della grande stanza finestrata che espone Venezia. Il fatto che lo stabile sorgesse sul mare mi consentì di immaginare un’interazione tra acqua ed edificio, seguendo la lezione del grande architetto Carlo Scarpa: studiando le maree ipotizzai l’accesso di acqua da feritoie al di sotto della piattaforma centrale che avrebbe, a seconda dell’ora del giorno, fatto emergere o scomparire una parte dei percorsi. Questi elementi nel loro insieme darebbero al visitatore l’esperienza dell’accesso ad un ambiente quasi sacrale, come quella sperimentata passando da un luogo aperto, all’oscurità ed al silenzio di una grotta. 31
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pianta piano unico - 1:300
prospetto lato ingresso - 1:300
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sezione uno - 1:300
sezione due - 1:300
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schema superficie calpestabile - livello marea +0,20 m MIN
schema superficie calpestabile - livello marea +0,60 MAX
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plastico - volumetria esterna - 1:100
plastico - sezione interna - 1:50
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EDIFICIO 8 APPARTAM ENTI - LAB ORATORIO PROGETTA ZIONE DUE
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Durante il secondo anno di università vissi un periodo di grande incertezza. Mi chiesi chiaramente per la prima volta se quello che stessi facendo era ciò che desideravo, chi, in futuro, avrei voluto diventare e cosa fare per diventarlo. Ciò è evidente anche nel progetto a cui lavorai in quel perido durante il corso di Progettazione 2. Il tema era quello di un edificio residenziale composto da otto appartamenti di dimensione e tipologia diverse, a Venezia, nell’area del Palazzetto dello Sport, nel tessuto urbano che separa il centro storico di Venezia dai Giardini della Biennale, vicino all’Arsenale. Per la prima volta dovetti fare i conti con il reale, in una situazione complessa come quella veneziana. La particolarità di questa esperienza fu il fatto che incominciai da solo e la completai in gruppo, con il mio collega ed amico Enrico Chinellato, con il quale continuai a collaborare nella maggior parte dei corsi successivi. Entrambi in principio lavorammo da soli, subendo il sistematico respingimento delle nostre idee da parte del professor Rocchetto, così decidemmo di cooperare basandoci su uno schizzo del professore. Il problema sembrava porprio quello dell’attacco a terra. Entrambi avevamo le idee chiare sull’impatto che un simile edificio avrebbe dovuto avere all’interno di quell’area. Il grande spazio trapezoidale presentava un lato più privato ed uno più aperto, seguendo lo scorcio dello sbocco del canale nella laguna. Parlando con gli abitanti dell’area era risultata evidente la mancanza di un negozio di generi alimentari e di un locale per la congregazione giovanile studentesca. L’attraversamento del luogo sembrava poter essere un’ottima scorcitoia nel link tra Giardini della Biennale ed Arsenale. Le regole del gioco quindi ci erano chiare, mentre trovammo molta difficoltà nel capire come un edificio di quel tipo potesse ancorarsi a terra in un’area così irregolare ed ampia e non soccombere accanto ad edifici alti e massicci. Purtroppo in questo caso dovettimo accettare l’aiuto del nostro docente e basammo il progetto su un’idea non nostra. Una “stecca” che separava l’area in due campi veneziani e due cortili, uno a Sud ad uso pubblico e uno a Nord ad uso privato. Tangente a quest’ultimo fu immaginata una nuova calle che, grazie ad un ponte, connettesse le due parti della Biennale. Gli intonaci veneziani, il travertino e le finestrature variegate contribuirono a inserire l’edificio nel suo contesto. 43
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pianta piano copertura con contesto e ombre - 1:1000
pianta piano terra con contesto - 1:1000
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pianta piano primo - pianta piano secondo - 1:500
pianta piano terzo - pianta piano quarto - 1:500
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sezione longitudinale - 1:750
sezione trasversale - 1:750
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prospetto sud - prospetto ovest - 1:750
prospetto nord - prospetto est - 1:750
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plastico - volumetria esterna e contesto - 1:500
plastico - volumetria esterna e contesto - 1:500
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NUOVA SUBLAGUNARE VENEZIA - WORKSHOP ESTIVO 2014 Nell’estate del 2014, in occasione del mio secondo Workshop, fui assegnato al gruppo del professor Rizzi, docente di Teoria dell’Architettura e Progettazione a Venezia. Particolare fu il fatto che il professor Rizzi non considerasse gli studenti preparati in quel momento della nostra istruzione ad elaborare un progetto di architettura, ma che dovessero eclusivamente per un certo periodo di tempo apprendere la “maniera” dei maestri, cosa che accettavo all’epoca e che comprendo oggi. Considerando a ritroso il mio percorso mi rendo conto che avrei potuto studiare di più e sperimentare meno. In fondo i primi progetti a cui fino a quel momento avevo lavorato si erano risolti con un certo grado di inconsapevolezza da perte mia e ritraendo in molti tratti una mia interpretazione delle poche opere architettoniche che avevo avuto l’opportunità di conoscere e studiare. In molti all’università hanno più volte affermato che noi non inventiamo niente, ma rielaboriamo solamente ciò che conosciamo. Quindi da una maggiore conoscenza deriva come minimo un maggior numero di soluzioni possibili. Il progetto che il professor Rizzi propose fu quello di un nuovo sistema di trasporto che permettesse ai turisti di raggiungere Venezia senza passare per Piazzale Roma o per la stazione ferroviaria: la Sublagunare. Essa consiste in un lungo tunnel scavato e strutturato nelle terre fangose della laguna (un’operazione ingegneristica non indifferente) attraverso il quale un mezzo metropolitano trasporta le persone da una stazione a Marghera ad una stazione acquatica sotterranea a cielo aperto immaginata all’imbocco del Canale della Giudecca. Oltre a ridistribuire i flussi turistici in modo alternativo una simile operazione sarebbe atta a far sperimentare un diverso modo di vedere la città, che oggi conosce solo chi ha avuto la fortuna di percorrerla in barca: il moto a spirale ascendente che porterebbe le persone dall’arrivo della sublagunare fino alla fermata dei vaporetti offrirebbe la possibilità di osservare Venezia a pelo d’acqua, dal basso verso l’alto. In tutto ciò il compito di noi studenti fu quello di costruire il colossale plastico di gesso rappresentativo del progetto. Imparammo a usare in modo preciso e adeguato il cartonlegno per positivi e casseforme, la gomma per i negativi, ed il materiale finale gettato in positivo per un risultato spettacolare (foto a sinistra). 57
EDIFICIO R ESIDENZIA LE - LABO RATORIO P ROGETTAZ IONE TRE
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Dopo aver concluso il secondo anno di università, con un progetto insoddisfacente e molte domande in testa, incominciai il corso di Progettazione 3 con una grande voglia di fare e di mettermi alla prova come mai prima di quel momento. Mi impegnai molto di più e con maggiore soddisfazione, scoprendo con crescente piacere e maggiore consapevolezza che ciò che stavo facendo mi appagava. Il tema del corso del professor Magnani era bipartito in due progetti, ambedue situati nell’area di Piazzale Roma, a Venezia. Fu un’opportunità per me e per il mio collega di rifarci dell’insoddisfazione dovuta al progetto del secondo anno, avendo a che fare nuovamente con il tessuto urbano della Serenissima, in un’area se possibile ancor più complessa. Il primo edificio richiesto era adibito a uso residenziale e terziario da immaginare nella zona attualmente occupata dalla biglietteria dell’ACTV, accanto al discusso Ponte della Costituzione. Il problema a cui cercare una soluzione, rielaborando quell’area, consiste nei flussi turistici: dalla sua costruzione, il quarto grande ponte di Venezia, ha pesantemente modificato le percorrenze in arrivo da Piazzale Roma, il flusso pedonale è spinto magneticamente ad attraversarlo, unico imponente elemento svettante nella caotica “porta di Venezia”, così da abbandonare le altre vie di transito per il centro della città, causando il malcontento di molti negozianti. Per cercare di depotenziare il richiamo del ponte progettammo un edificio in testa alla cortina edilizia inserita tra la strada ed il Canal Grande, di grande prestanza volumetrica, con la doppia funzione di competere con la gigantesca Autorimessa Comunale ed oscurare in parte la vista del Calatrava. Immaginando una similitudine tra Piazzale Roma e l’unico altro grande spazio aperto della città, Piazza San Marco, ci ispirammo al Palazzo Ducale per il nostro edificio. Esso presenta un involucro di “rappresentanza” che separa lo spazio della corte privata dallo spazio pubblico esterno, schermando le attività private degli abitanti nelle case o nel giardino sopraelevato. L’involucro è composto da formelle di cotto disegnate secondo motivi gotici, tipici dei palazzi veneziani, sospeso da terra lasciando trasparire il piano della biglietteria e un ristorante vetrati, e dando all’edificio quell’immagine di massa sospesa che caratterizza anche il Palazzo Ducale. 61
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pianta piano copertura con contesto - 1:750
pianta piano terra con contesto - 1:750
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pianta piano primo - 1:500
pianta piano secondo - 1:500
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sezione longitudinale - 1:500
sezione trasversale - 1:500
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prospetto lato Canal Grande - 1:500
prospetto lato Piazzale Roma - 1:500
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plastico - volumetria esterna - 1:500
plastico - volumetria esterna - 1:500
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plastico - volumetria esterna - 1:500
plastico - volumetria esterna - 1:500
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APPROFONDIMENTO - PROGETTARE IN LUOGHI ESTREMI Contemporaneamente alla prima parte di Progettazione 3 ho seguito il corso di Progettazione Di Elementi Costruttivi, tenuto dal professor Rossetti, in accordo con quale scelsi di approfondire il tema della “progettazione di edifici in luoghi estremi”: l’architettura di ambienti minimi, come i bivacchi alpini, mi interessava molto. Per trattare l’argomento mi trovai a riflettere sull’architettura in generale, fin dall’epoca quando ogni luogo era estremo per l’uomo. Infatti definire come estremo un luogo impervio, difficile da raggiungere ed edificare, dove le condizioni climatiche sono talmente rigide da rendere difficile la vita dell’uomo è molto riduttivo. Certo allo stato attuale della nostra storia il mondo colonizzato non presenta più molti luoghi dove l’uomo non possa pensare di vivere, basti pensare ai popoli che abitano le steppe siberiane o il polo nord. Rimangono tutt’oggi quasi del tutto incontaminati e non colonizzati solo l’alta montagna, i deserti, l’oceano e l’Antartide, ed è in simili territori ostili che ho potuto studiare i casi più interessanti tra gli edifici tecnologicamente più avanzati per continuare a rispondere al compito primo dell’architettura, ovvero proteggere l’essere umano e rendere vivibile un’ambiente che altrimenti non lo sarebbe. Da questo punto di vista il tema della progettazione architettonica in luoghi estremi si può considerare la punta di diamante della ricerca architettonica odierna. Basti pensare che estendendo, ormai di poco, il concetto di luogo inabitabile al di fuori dei limiti posti dal nostro pianeta si può considerare la nostra atmosfera, gli altri pianeti del sistema solare e tutto il resto dell’universo come i luoghi più estremi che ci siano, verso i quali la ricerca sta facendo piccoli passi avanti. Tuttavia il punto più interessante emerso dal mio approfondimento è che, se si considera come estremo, in generale, un luogo dove la vita dell’uomo è in pericolo, non si può non pensare anche ai territori che sono normalmente facilmente adattabili alla vita degli esseri umani, ma che si trasformano in estremi nel caso di disastri naturali, oppure soprattutto nel caso di disastri artificiali, come in primis la guerra. I territori di guerra o di povertà, sono in tutto e per tutto luoghi estremi per la vita di molte persone. Così un campo sfollati diventa a mio parere il più interessante degli edifici in luoghi estremi, per quanto riguarda la ricerca. 77
PICCOLA S VEVA HOUS E - RECUP ERO ANTIC O ROCCOLO FRIULANO
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Nell’arco del terzo anno di Università incominciai a mettermi alla prova autonomamente per fare pratica e sperimentare temi ai quali non avrei potuto lavorare altrimenti. Incominciai diversi concorsi, ma per concluderne uno avrei aspettato fino all’ottobre del 2015. Mentre studiavo l’architettura dei bivacchi, in attesa di avere l’opportunità di progettarne uno personalmente, incominciai a sperimentare il tema della progettazione di spazi minimi e a fare per la prima volta i conti con la realtà e con un progetto ipoteticamente esecutivo. Nel giardino della proprietà della mia famiglia c’è un roccolo adibito a magazzino degli attrezzi da giardinaggio, precedente alla casa degli anni sessanta. Oltre alle motivazioni sopracitate desideravo un posto esclusivo dove poter passare del tempo in intimità da solo o in coppia, adibito, nel caso, anche a camera degli ospiti e luogo per vivere appieno le potenzialità del parco in qualunque stagione. Da bambini io e mio fratello, durante l’estate, amavamo salire sulla soletta di calcestruzzo di copertura con una scala e passare del tempo a giocare là sopra, all’ombra delle foglie dei carpini che per definizione racchiudono quasi completamente il roccolo. Allo stesso modo gli alberi di inverno lasciano trasparire i raggi del sole la cui luce raggiunge direttamente il piccolo edificio. E’ grazie a questa peculiarità naturale che sin dal principio ho immaginato come unica modifica al roccolo esistente, il restauro della copertura per dare lo spazio in altezza per un letto al di sopra del bagnetto minimo coperto solo da una vetrata schermata dalle foglie di estate e libera di far entrare la luce di inverno. Nel progetto lo spazio di 7m2 viene suddiviso in due parti, una “zona giorno “ con piano cottura e stufa, ed una “zona notte” consistente in un’armadiatura , che sostiene il letto rialzato a una piazza e mezza, al cui interno si trovano il bagnetto minimo e vari elementi modulari da estrarre, tra cui la scala-armadio, degli scaffali-libreria e il tavolino da pranzo con sgabelli. Per isolare l’ambiente ho immaginato di fissare un cappotto esternamente per mantenere la metratura e l’aspetto interno intatto. Il nuovo rivestimento è ligneo, mimetico rispetto al bosco, e mantiene le feritoie rettangolari che consistono nell’aspetto più caratteristico dell’esterno dell’edificio esistente, la cui forma è stata considerata per strutturare modularmente tutti gli elementi interni. 81
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pianta prospettica giorno
pianta prospettica notte
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VIAGGIO STUDIO - MAGGIO 2015 - FRANCIA E SPAGNA Nella primavera del 2015 ho partecipato ad un viaggio organizzato dall’Università. L’itinerario di una settimana prevedeva di raggiungere in corriera Barcellona, passando per Saint-Paul-De-Vence, Arles, Olot, Palmos, e ritornando per Marsiglia. Inizialmente ero molto titubante, in particolare riguardo al mezzo di trasporto, ma dovetti presto ricredermi. Il viaggio via corriera, per quanto lungo, ci permise di raggiungere un gran numero di tappe ed osservare luoghi che non avevo mai visto personalmente, come la Provenza francese o i Pirenei. Mai come prima di questo viaggio avevo compreso quanto le architetture siano inadeguatamente ritratte da fotografie e disegni, rappresentazioni bidimensionali, ma anche da plastici tridimensionali, perché un edificio vive di un numero molto maggiore di “dimensioni”. Non solo il senso della vista basta a raccontare ciò che ho provato accedendo ad uno degli edifici che avevo precedentemente studiato all’università: gli odori, il modo in cui la luce si riflette ed il calore sentito sulla pelle, il suono delle voci o dei piedi sui pavimenti, il comportamento degli individui, e ancora molto molto altro. Questo è ciò che ho provato entrando per la prima volta nel meraviglioso ristorante Les Cols, restaurato ed arredato dallo studio RCR, passeggiando sotto la copertura dell’ex teatro La Lira, degustando vini spagnoli nell’azienda vinicola Bell-Lloc. Mi sono molto emozionato accedendo ad uno degli appartamenti della Unitè D’Habition a Marsiglia e mi sono reso conto di quanto poco avessi capito Le Corbusier studiandolo in Storia Dell’Architettura Moderna, quale empatia straordinaria avesse nei confronti degli esseri umani, ora che potevo vivere gli spazi da lui disegnati. Ancor più sorprendente, da questo punto di vista, fu il modo in cui vissi Barcellona e le sue opere, una città che avevo già visitato. Fortunatamente mentre la prima volta, ancora a scuola, avevo visitato per lo più edifici di Antoine Gaudì, questa volta guardai la città sotto un’ottica completamente diversa. Non solo visitammo musei in edifici contemporanei, ma anche parchi e orti botanici. Il padiglione di Mies Van Der Rohe fu in assoluto l’architettura più eccezionale che io abbia mai visto, di una contemporaneità incredibile per un edificio costruito all’inizio del 1900. Come se non bastasse anche la città stessa ci venne mostrata come una meravigliosa opera urbanistica, quasi come un’organismo vivente. 89
PIATTAFOR MA PER LE ARTI - LAB ORATORIO PROGETTA ZIONE TRE
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Il tema del secondo progetto trattato durante il corso di Progettazione 3 consisteva nella composizione di una casa per un artista facoltoso, questa volta sul lato sud di Piazzale Roma. L’area predisposta è quella occupata dal Garage Auto Park, all’interno di una corte conclusa dall’Hotel Ca’ Doge, un edificio debole volumetricamente rispetto al Grande Garage San Marco ed al nuovo Tribunale. La difficoltà di quell’area consisteva nella sua posizione rispetto a due tessuti urbani nettamente differenti tra loro. Piazzale Roma rappresenta la connessione della città alla terra ferma, divenendo un’appendice di quest ultima. Ciò ha permesso a molti architetti di proporre progetti di edifici notevolmente discordanti con la normale scala veneziana, creando situazioni come quella dell’hotel Ca’ Doge sopracitata. Era evidente che costruendo in quel punto fosse necessario preoccuparsi contemporaneamente di immaginare un edificio che competesse per stazza con gli altri grandi palazzi del piazzale, ma anche fungesse in qualche modo da cerniera tra le due tipologie urbane presenti. Per questo motivo io ed il mio collega decidemmo di considerare nell’area di progetto anche un cortile inutilizzato adiacente a quello prestabilito che avrebbe stonato accanto ad un qualunque edificio di grandi dimensioni e reinterpretammo il semplice tema della casa per un artista in un più appropriato edificio multifunzionale per le arti, che contenesse al suo interno oltre che la casa dell’artista-mecenate, anche laboratori con funzione istruttoria e lavorativa e sale espositive. L’edificio progettato è rialzato da terra, permettendo al piazzale stesso di “fluire” e creando una piazza pubblica coperta, interrotta unicamente dai sistemi di risalita e da un bar. Il progetto è strutturato su cinque livelli che divengono, progressivamente, da pubblici a privati. Al di sopra della piazza coperta c’è una seconda area pubblica interna all’edificio, pensata come luogo di incontro, poi c’è il livello semiprivato adibito a sale d’esposizione ed infine i piani utilizzati per i laboratori degli artisti. La casa del mecenate, situata nel lato dell’edificio più lontano da Piazzale Roma, si sviluppa in altezza, accompagnando i livelli sopracitati e connettendosi ad essi con vari espedienti architettonici. In particolare l’elemento del cavedio rende idealmente permeabile l’edificio lungo i suoi livelli e permette connessioni visive e fisiche tra le diverse parti. 95
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pianta piano copertura con contesto - 1:1000
pianta piano terra con contesto - 1:1000
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pianta piano primo - 1:1000
pianta piano secondo - 1:1000
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pianta piano terzo - 1:1000
pianta piano quarto - 1:1000
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sezione longitudinale - 1:1000
sezione trasversale - 1:1000
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prospetto lato Piazzale Roma - 1:1000
prospetto lato Calle Nuova Tabacchi - 1:1000
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plastico - volumetria esterna - 1:500
plastico - volumetria esterna - 1:500
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plastico - prospetto lato Piazzale Roma - 1:500
plastico - copertura - 1:500
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NUOVA PO RTA PADIG LIONE BIE NNALE - W ORKSHOP E STIVO 2015
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Durante l’estate del 2015 ho preso parte al mio terzo workshop estivo, elaborando l’ultimo progetto di questa mia prima esperienza universitaria allo IUAV. Fui assegnato all’architetto Cellini, professore all’università di Roma Due, il quale scelse un tema inerente alla Biennale di Architettura, tema analogo al workshop con l’architetto Sean Godsell, che accolsi con entusiasmo dopo l’ultimo periodo di duro lavoro. Ci venne chiesto di immaginare per la Biennale una nuova porta che sostituisse anche la biglietteria attuale, trasformasse il viale d’ingresso al Padiglione Internazionale in quello principale di tutti i Giardini ed inglobasse l’imbarcadero, al posto del quale doveva sorgere l’edificio. Come l’architetto australiano due anni prima, il professor Cellini si contraddistingueva per la gentilezza e la professionalità, caratteristiche delle persone appagate dal loro lavoro. Per la prima volta in tre anni ebbi l’opportunità di elaborare il progetto in tutte le sue parti all’interno di un team composto da quattro persone, un’ottima opportunità considerando i colleghi come una delle maggiori risorse all’università. Le caratteristiche del problema al quale avremmo dovuto trovare una soluzione progettuale erano la necessità di evidenziare da lontano la Biennale che è ora connotata nel paesaggio solo dalla presenza della fitta vegetazione dei giardini, l’assialità mancante dei Giardini, l’ideazione di un edificio di carattere forte ed essenziale che divenisse un nuovo padiglione della Biennale ed allo stesso tempo la simboleggiasse, ed infine la riflessione sul tema che identifica intrinsecamente Venezia ed in particolare l’area di progetto, ovvero il rapporto tra terra e acqua. La soluzione che adottammo fu quella di un arcipelago di piattaforme, citazione del Monumento Alla Partigiana di Carlo Scarpa costruito a pochi metri da li, sovrastate da una copertura leggera, quasi eterea, specchiata come quella dell’architetto Norman Foster, che ho potuto osservare nel viaggio a Marsiglia. Il titolo è Pangea, metafora della ricomposizione attuata dallo specchio rispetto ai lembi di terra che sembrano sgretolarsi ed allontanarsi nel mare. Invece di forzare la linearità dell’asse, verso cui molti optarono, tramite un molo, nel progetto Pangea sono le piattaforme stesse a suggerire una linearità acquatica che prosegue l’asse del Padiglione Internazionale anche nello specchio lagunare. 115
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piana piano terra con contesto - 1:1000
esploso assonometrico - copertura - pilastri - piattaforme
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sezione longitudinale - 1:750
prospetto lato laguna - 1:750
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plastico - volumetria con contesto - 1:200
plastico - sezione trasversale - 1:50
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NUOVO ST UDIO DON ATO - PRO GETTAZION E E ARRED O GARAGE
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Dopo aver concluso il mio ultimo workshop, decisi di non di laurearmi nella sessione autunnale, per avere la possibilità di dedicarmi adeguatamente al tirocinio e cimentarmi in progetti personali e concorsi di idee. La prima attività alla quale mi dedicai fu la progettazione dell’interno del mio primo luogo di lavoro, dove poter tenere i miei materiali e in cui ritirarmi a progettare. Nella casa dove abita mio padre sono presenti tre garage separati dall’abitazione. Uno di essi era vuoto e disponibile, così decisi di organizzare al suo interno il primo Studio Donato. Rispetto alla ristrutturazione del roccolo, questo caso mi spinse a misurarmi con la realtà, con un progetto esecutivo e in particolare con un esiguo budget. Ancor più degno di nota, però, fu il fatto che esso fosse il primo progetto di cui io stesso fossi il committente. Ho scoperto che non è affatto facile accontentare me stesso. Non sapevo in certi casi che cosa desiderassi, e come arrivare in particolare a rendermi soddisfatto. Procedetti come se fosse in tutto e per tutto un progetto universitario, delineando le esigenze da affrontare ed i problemi da risolvere. Lo spazio a disposizione consiste in due stanze, una principale, un rettangolo composto da due quadrati con il portone diretto verso l’esterno, ed una minore sul lato opposto, provvista di una finestra. Ciò di cui avevo bisogno era uno spazio dove immagazzinare materiali e plastici, una libreria, una superficie consistente dove appendere fogli e disegni, ed un tavolo, il fulcro del progetto, considerato come lo spazio del lavoro. Adibendo la stanza minore a magazzino ed eventualmente area relax, ho immaginato di rivestire le pareti sui lati lunghi di pannelli di truciolare grezzo, approfittando dell’irregolarità geometrica dovuta ad un pilastro sporgente da una delle pareti per mascherare dietro una linea di pannelli una vano di tavole a scorrimento per moltiplicare lo spazio di affissione. Una fascia di vernice-lavagna separa le porzioni di setti rivestiti dal fondo della stanza sul quale è strutturata una libreria a parete. Il tavolo cita metaforicamente la tipologia dei cavalletti da lavoro, contrapponendo però la massa importante dovuta allo spessore di 10 cm. Il pianale è double-face è rivestito di plastica nera opaca sullo spessore, come un modello architettonico sezionato. E’ stato il primo oggetto progettato e costruito autonomamente, che mi ha regalato una grande soddisfazione. 125
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pianta - 1:100
sezione longitudinale - 1:100
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BIVACCO M ODULARE M EGALITHS - CARPINE TO MOUNTA IN REFUGE
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Nell’autunno del 2015, in collaborazione con il mio collega Enrico Chinellato, conclusi il mio primo concorso: “Carpineto Mountain Refuge”, il cui tema richiedeva la progettazione di un bivacco montano sugli Appennini laziali, per promuovere il turismo montano nel tratto dalla cittadina di Carpineto Romano alla vetta del monte Semprevisa. Forte dell’approfondimento riguardo la progettazione di edifici in luoghi estremi e l’esercizio della ristrutturazione dello spazio minimo del roccolo, questa sembrava l’occasione perfetta per applicare quanto imparato. La singolare richiesta del concorso era che il bivacco fosse prefabbricato e costruito in serie, per coprire nei punti nevralgici tutto il percorso escursionistico. Studiando la cultura e l’architettura dei monti Lepini venimmo a conoscenza della presenza di popoli pre-romani, che avevano edificato diverse strutture sparse per il territorio caratterizzate da grossi massi incastonati l’uno con l’altro, i megaliti laziali. Ispirandoci a questo e considerando i problemi da risolvere nel progetto, immaginammo dei bivacchi prefabbricati modulari, strutturati in varie tipologie formalmente identiche atte ad ospitare differenti funzioni. Ciò avrebbe dato la possibilità di sfruttare uno o più moduli fissati insieme a seconda della necessità. La forma scelta è stata quella del triangolo indeformabile del bivacco tradizionale, con gli angoli smussati per ricordare la forma naturale di una pietra. Sapevamo che in molti avrebbero aperto grandi vetrate negli edifici per permettere all’ospite di proteggersi godendo della vista del paesaggio naturale, ma noi optammo per dei volumi volutamente ermetici, a rappresentare l’archetipo del rifugio per amanti della natura che utilizzano il bivacco unicamente come riparo per la notte, volendo invece godere dell’esperienza naturale in prima persona, e non da spettatori. Se in un’epoca lontana i massi megalitici venivano issati dall’uomo che si rapportava e pregava la natura come fosse una divinità da temere, per noi, che talvolta ci serviamo dell’architettura con arroganza, colonizzando e stravolgendo la natura, i nuovi megaliti simbolicamente ristabiliscono e celebrano una rinnovata connessione tra uomo e mondo naturale, come grotte artificiali che proteggono l’uomo di fronte all’enormità delle forze che governano il mondo, senza cercare di controllarle. 135
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pianta tre moduli base connessi
sezione modulo spogliatoio/bagno
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sezione modulo camera
sezione modulo giorno/cucina
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INTERNSHIP - STUDIO ASSOCIATO [A+M]2 ARCHITECTS Tra gli assistenti dei professori del primo e del terzo workshop era presente il giovane architetto Marcello Galiotto, laureato allo IUAV e co-fondatore dello studio associato di architettura [A+M]2 Architects. Dopo aver collaborato con lui durante l’estate del 2015 decisi su suo invito di svolgere il mio Internship presso il suo studio. Fu un’esperienza davvero rilevante e, per l’ apprendimento pratico, efficacissima, sebbene sia stata una delle esperienze più faticose della mia vita. La mia permanenza all’interno dello studio durò quasi tre mesi, molto più delle 250 ore obbligatorie. Sperimentai come mai prima di quel momento il lavoro in team, collaborando a tutti i livelli progettuali. Probabilmente il fatto che tutti all’interno dello studio avessero meno di trent’anni permetteva un grande affiatamento all’interno del gruppo, ma era lo stile lavorativo stesso a suggerire un rapporto di amicizia: nel primo periodo, durante il quale lavorai nello studio situato a Venezia, nella pausa pranzo tutti insieme preparavamo e mangiavamo nell’appartamento della co-fondatrice dello studio Alessandra Rampazzo, imparando così a collaborare anche al di là dell’ambito professionale. Successivamente, quando una parte dello studio, me compreso, si spostò ad Arzignano in provincia di Vicenza, ebbi l’occasione di vivere per un periodo in una pensione insieme a due miei colleghi. Da un punto di vista lavorativo seguii sostanzialmente due progetti, la realizzazione di un plastico in gesso, per il quale avevo fatto molta pratica durante il secondo workshop estivo con il professor Rizzi, le fondamenta sulle quali si adagiava un nuovo ponte a Venezia; un concorso per l’espansione della Neue Nationalgalerie di Mies Van Der Rohe a Berlino, progetto da seguire in tutti gli stadi . Imparai il metodo progettuale impiegato all’interno dello studio, grazie al quale potei sviluppare il mio, cominciando da una fase di studio dell’area tramite la costruzione di un plastico di polistirolo tagliato con la foamcut, una fase di approfondimento di famosi musei esistenti, uno studio molto approfondito del problema e del programma funzionale, continuando poi con l’ideazione vera e propria delle forme, l’applicazione delle funzione ed infine il disegno degli elaborati di presentazione, attraverso i quali ho potuto migliorare esponenzialmente le mie abilità di disegno al computer. 143
SPACE BET WEEN WOR LD AND TO YS - LOND ON NURSE RY SCHOOL
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Il concorso London Nursery School è l’esperienza progettuale che più di tutte si pone a coronamento del mio primo percorso universitario. La competizione di idee richiedeva la progettazione di una scuola materna a Greenwich, Londra. Il fatto che io abbia dei cuginetti che vivano a Londra mi ha permesso di affezionarmi molto all’argomento, considerando anche il significato sociale che un simile tema contiene. Alla fine dell’estate del 2015, quando mi sono iscritto a questo concorso, chiesi ai miei cuginetti di disegnare la loro “scuola ideale” (foto pagina precedente). Tuttavia non diedi molto peso al risultato, reputandolo forzato da ciò che loro si aspettavano io volessi. Allora feci un grande lavoro di ricerca per studiare altri esempi di scuole materne e i relativi modelli istruttivi. Fu molto interessante vedere come le società diverse rispecchino un certo tipo di insegnamento fin dalla più tenera età. In particolare fui colpito da alcuni esempi di scuole giapponesi, caratterizzate dalla destrutturazione spaziale e da una grandissima libertà data ai bambini. Considerando Londra megalopoli multietnica ed i suoi 10 milioni di abitanti come una rappresentazione in scala di tutto il mondo, mi fu evidente l’impatto che un certo tipo di istruzione avrebbe nella società attuale sui bambini, la società del futuro. I bambini vanno protetti per natura, ma eccessiva protezione rischia di trasformarsi in paura, la rovina del mondo a mio parere. Desiderai progettare una scuola dove la società dei bambini fosse protagonista, non un’ospite nel mondo degli adulti, protetta ma aperta al mondo, e soprattutto pensata ispirandomi alla creatività sconfinata dei bambini, ovvero uno spazio “senza confini”. Ne uscì un edificio strutturato su due livelli, uno dei bambini ed uno degli adulti, sovrapposti. Il livello dei bambini è totalmente aperto verso l’esterno, ostacolato unicamente dai giocattoli e dai sei volumi colorati che rappresentano ognuno una funzione fondamentale dei bambini e sostiene il possente tetto protettivo. Il livello degli adulti al contario è fortemente strutturato, suddiviso in stanze e corridoi, racchiudibili attraverso pannelli mobili. Quando finii mi resi conto con grande sorpresa che la pianta sezionata al livello deglia adulti, privato di molte zone e di esclusivo uso dei bambini, assomigliava moltissimo al disegno eseguito mesi prima dai miei cugini, quel disegno che io da adulto non ero riuscito a capire. 147
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planimetria generale con contesto - 1:5000
pianta piano interrato - 1:1000
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pianta piano terra - livello bambini - 1:1000
pianta piano terra - livello adulti - 1:1000
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sezione uno - 1:1000
sezione due - 1:1000
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S C R U T A N D O
V E R S O
I L
M I O
F U T U R O
Al termine del mio percorso, tirando le somme di tutto il lavoro eseguito e scrivendo i testi di questo portfolio di laurea, mi rendo conto di aver ripetutamente girato attorno alla domanda su chi o che cosa voglio diventare. Continuerò da questo punto in poi nella ricerca di una risposta. Ciò che so è che qualunque cosa mi troverò a fare nella mia vita desiderei fosse un compito che mi renda fiero di me e come membro di questa società, fare la mia parte. Allo stesso tempo vorrei impegnarmi nel mio piccolo per non adagiarmi sulla comoda convinzione che la realtà è immutabile, ma lavorando per cambiare le cose dove lo riterrò necessario. Ho imparato che l’architettura è nata per proteggere le persone, garantirne la vita come un diritto di tutti gli esseri umani. Oggi l’architettura è cresciuta nella sua complessità e per progettare un edificio occorre considerare un’infinità di variabili diverse. Tuttavia se si punta a sintetizzare i bisogni di ognuno di noi ci si rende conto che è possibile dividerli in primari e secondari, e che molto spesso nel mondo tante persone sono private sia degli uni che degli altri. Basti pensare a quel che sta succedendo nei mari della “civilizzata” Europa, a quante persone devono abbandonare le loro abitazioni per un futuro incerto, quante vivono nel costante timore di essere bombardate, quante rischiano la vita quando la natura prende il sopravvento. Progettare una villa di lusso, una piscina, un centro convegni, uno stadio, un acquario, sono opportunità meravigliose dal punto di vista di un esercizio compositivo, eppure in questo momento della mia vita non mi sentirei mai di sceglierle, sapendo che quello che so fare potrebbe essere utile a persone che hanno una necessità disperata di servizi primari funzionali ed immediati. E voglio credere anche nella bellezza di questo mondo, credere che la bellezza sia totalmente svincolata dal denaro, che il mondo sia di tutti e che in qualunque luogo su questa terra chiunque prima non c’era, è arrivato ed un giorno non ci sarà più. E’ per questo motivo che i prossimi concorsi che intendo sostenere richiedono la progettazione di una scuola di terra in Ghana, un centro di accoglienza LGBT in Uganda, e la progettazione di un faro-hotel a Siracusa, non un hotel di lusso, bensì un edificio che possa accogliere chiunque per riposare e godere della bellezza, una luce nell’oscurità del nostro Mar Mediterraneo. 157
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