KENGO
Bacci Giacomo
[jiib]
KUMA
SOMMARIO Introduzione Dal materiale all’immateriale.
Le opere L’importanza delle opere minori per la sperimentazione continua di KENGO KUMA. Padiglione KXK, 2005.
Shape Memory alloys e Polietilene espanso tipo Eva. La casa del tè di Oribe, 2005.
Una sperimentazione didattica: La ricostruzione del Padiglione Oribe. Moderna casa per il té, 2005.
Tessuto in Tenara ® Gore™ le sue applicazioni. Umbrella House, 2008. CCCWall, 2010. Il giardino pensile Fukusaki, 2005. Internazionale di architettura Barbara “Capocchin”, 2007.
Conclusione Bibliografia essenziale
KENGO ENGO
KUMA
Kengo Kuma è un architetto che racconta delle visioni, quando costruisce. E le racconta quando usa un materiale. In entrambi i casi il risultato è un uso sapiente delle parole con cui raccontare le sue visioni.
DAL MATERIALE ALL’IMMATERIALE. Fermandosi all’epidermide del suo operare, per quanto raffinato e convincente, si negano i principi cardine di una filosofia che muove Kengo Kuma oltre alla fisicità dei materiali di cui si serve, certamente in maniera appassionata ma al tempo stesso strumentale, trascurando gli aspetti impalpabili e meno visibili di un agire viceversa fondato sulla manipolazione dello spazio. Dal vetro alla terra cruda, dal legno alla pietra, dal cemento al bambù, dalle reti metalliche all’organza, dall’onice alla plastica, è un continuo sovrapporsi e modificarsi di “ingredienti” utilizzati indifferentemente rispetto alle tecniche e alle modalità d’impiego, mentre un loro uso articolato appare sollecitato dalle caratteristiche e dalla consistenza delle sensazioni tattili, cromatiche o percettive che il progetto, come costruzione di uno specifico habitat, vuole interpretare. La materia è ciò che delimita semplicemente uno spazio, un vuoto, inteso non come assenza (concezione prettamente occidentale) ma piuttosto quale valore costitutivo di ogni filosofia orientale. Come è noto il fondatore del taoismo laotzu asseriva che solo nel vuoto si trova ciò che è veramente essenziale”. La realtà di una stanza, ad esempio, va ricercata nello spazio vuoto delimitato dal tetto e dalle pareti, non dalle pareti e dal tetto stesso. L’utilità di una brocca consiste nel vuoto nel quale l’acqua può essere versata, e non nella forma o nel materiale in cui è fatta. Parallelamen-
te, in una città come Tokyo dove il valore del suolo è uno dei più elevati al mondo, il tessuto urbano, seppur estremamente denso, prevede un vuoto. E’ in quel vuoto nell’interstizio tra un’abitazione e l’altra che si genera e si distingue il carattere specifico di una città, così come letteralmente è nelle pause e nei silenzi tra le parole che si compie il timbro, il tono e l’essenza di un discorso. Anche per Kuma è il vuoto racchiuso dall’involucro e non la sostanza costitutiva dell’involucro a raccogliere il sogno di ogni sua speculazione conoscitiva, tuttavia quello stesso involucro, ritenuto secondario come ruolo e come importanza, acquista un valore pradigmatico quando partecipa con le sue caratteristiche alla costruzione e alla definizione dello spazio attraverso l’attivazione di particolari relazioni con l’intorno. Nelle sue architetture il vuoto individuato da perimetri impalpabili e raffinatissimi si traduce in interni sobri ed essenziali, come le antiche stanze del tè lasciate completamente spoglie. Nei vuoti e negli spazi coperti, come le terrazze della Lotus House, non c’è ridondanza o ostentazione; coerentemente, i muri e i pavimenti tendono a dissolversi e a farsi sempre più sottili o assenti. E se tradizionalmente le pareti scomparivano nel terreno o si sovrapponevano in particolari telai scorrendo le une sulle altre, adesso il legno, il bambù o particolari elementi metallici utilizzati da Kuma in forma di sottili lamelle costituiscono un lieve tramite, un diaframma
6
tra interno ed esterno. Questa volontà di smaterializzazione dell’involucro ricorre in molti esempi, indifferentemente rispetto al materiale impiegato, fino al perdersi nell’uso di sottili lastre traslucide o di materiali trasparenti, come quelli pensati per la Oribe Tea House, dove la tradizione è recuperata, se non nei materiali, negli spazi; nel padiglione KXK, dove al mutare della temperatura l’edificio cambia il suo comportamento e la sua forma o, ancora, nel Museo di storia di Nasu, dove un conglomerato composto da paglia, fibra di canna e pasta d’intonaco, montato su un pannello in alluminio forato, raggiunge una trasparenza e una leggerezza paragonabili a quelle delle pareti washi. Paradossalmente nelle sperimentazioni proposte da Kuma un materiale tradizionalmente associato all’idea di pesantezza e massività con le pietre viene utilizzato e impiegato per ottenere effetti di particolare trasparenza e leggerezza, mentre il vetro è utilizzato talvolta per creare una palpabile e iridescente presenza di riflessi e opacità percepibili in modo stratificato. Sensibile alla modificazione che l’architettura ha subito con l’evolversi delle tecniche di rappresentazione che hanno determinato spesso un aspetto monolitico, Kuma sottolinea in un suo recente saggio come nella contemporaneità “siamo passati dal punto alla linea ed ora ci imbarchiamo in reti. Comunque la forma chiamata architettura sopravvive ancora e, come oggetto, non può che disturbare la rete”. Kego Kuma risolve il quesito pensando all’opera architettonica come formata da particelle, l’opposto dell’architettura fotografabile. La forma è ambigua. Se vista da
differenti distanze le particelle che la compongono sono diversamente distinguibili. Un lavoro costituito da frammenti è estremamente relativo in natura; esso può apparire tanto trasparente e senza peso in un momento quanto opaco e pesante in quello successivo, ad esempio a seconda di come la luce lo colpisce. Non possiede un’immagine unitaria distinta. Non sembra godere di vantaggi in fotografia o nella prospettiva. Le immagini prospettiche descrivono meglio oggetti che non sono atti a sfocarsi o a variare, ed è precisamente verso questa direzione che i media hanno condotto fino a oggi l’architettura. Per Kengo Kuma, viceversa, il risultato del progetto è semplicemente e pervicacemente correlato a un’architettura dotata di alto tasso di variabilità, mentre permane tra i più l’idea che l’architettura sia considerata come qualcosa di fermo e dalla forma immutabile. D’altra parte, sottolinea lo stesso Kuma, anche le nuove tecniche informatiche e l’invasione dei media nella vita contemporanea continuano ad alterare il modo (o meglio i modi) con cui si percepisce lo spazio, che diviene indefinito come in un’immagine a bassa risoluzione in cui i pixel, come particelle, sono distinguibili solo all’avvicinarsi alla struttura (…) Se pur senza uno stile uniforme e inequivocabile, l’architettura di Kengo Kuma risulta ancora “naturalmente” giapponese e la risposta non si trova nei materiali o nelle forme, bensì nelle sensazioni, in un agire che non si spiega e difficilmente si scrive, nel vento che passa attraverso i suoi diaframmi, in una diversa organizzazione dei diaframmi, in una diversa organizzazione degli spazi, nella
L’importanza delle opere minori per la sperimentazione continua di KENGO KUMA. La sperimentazione continua di Kuma si ritrova soprattutto nelle sue opere minori, quelle dove riesce a rendere le sue visioni: «Adoro i progetti minori perché è grazie ad essi che posso mostrare al pubblico il mio manifesto». Kuma mostra le sale da the «simbolo prezioso della cultura giapponese» costruite negli ultimi anni : «Mi divertono moltissimo perché posso provare i vari materiali: ho costruito pareti di plastica e di organza ma anche leghe di cartone e plastica». L’architetto è appassionato di materiali poveri: «Mi piace creare attraverso i materiali poveri uno spazio spirituale, dice. Adoro indagare il rapporto tra spiritualità e materiali di basso costo». «Una volta ho dovuto costruire un padiglione per una nota marca di champagne - racconta - La committenza mi spiegò che la particolarità del prodotto stava nel non perdere mai il sapore, neanche a temperatura ambiente. Allora ho pensato di tenere come concetto guida proprio la temperatura ed è venuto fuori un padiglione che cambia forma a gradi diversi». Se le Corbusier affermava che la forma era tutto, per Kuma è l’opposto. «La stessa lega molto duttile l’ho utilizzata poi per la sala da tè dei giardini del museo del design di Francoforte disegnato da Meyer. Il museo è per me un’opera troppo quadrata, rigida, pesante. Per questo ho voluto una sala con pareti molto morbide, un edificio fragile e duttile» e continua «ma il direttore del museo temeva che i vandali della città l’avrebbero buttato giù presto». La soluzione? Una sala da the gonfiabile. «Così da poter scomparire quando non serve – spiega - per poi essere costruita in cinque minuti». E’ in occasione della mostra “Casa per tutti” alla Triennale di Milano che Kengo Kuma ha esposto il suo modello di abitazioneombrello: «La parola casa in giapponese significa ombrello, per questo ho costruito una casa fatta di ombrelli di tessuto cartaceo e molto economico: i miei studenti l’hanno realizzato in due ore e una volta realizzata, hanno fatto una festa all’interno che è durata tutta la notte».Una mostra personale dedicata all’architetto KENGO KUMA si è svolta nel 2007 a Padova ed è stato lo stesso Kuma a curare l’allestimento, concepito come un mondo sensoriale attraverso il quale i visitatori potranno vivere le atmosfere dei suoi spazi.Due imponenti strutture in superorganza - materiale sperimentale in fibra ultraleggera - imiteranno due “carpe”, simbolo della nuova vita nella tradizione giapponese, “legame stretto fra il nuovo design dell’architettura e la tradizione”, afferma Kuma. E accompagneranno il visitatore lungo una pedana retroilluminata, il percorso lungo il quale saranno esposti i progetti suddivisi in quattro categorie: water, land, urban, village.
La casa del tè di Oribe, 2005
Umbrella House, 2008
CCCWall, 2010
Il giardino pensile Kukusaki, 2005
Internazionale di architettura a Padova, 2007
I padiglioni di Kengo Kuma
Moderna casa per il tè, 2007
LE OPERE :
Padiglione KXK, 2005.
PADIGLIONE KXK,2005. Tokyo.
Un padiglione temporaneo, che viaggerà per il mondo, progettato per un evento presentato da un produttore di champagne. Cercando di prendere le distanze dall’immagine dell’architettura come qualcosa di fermo, con una forma invariabile, ho selezionato una membrana estremamente morbida di un materiale chiamato EVA: un foglio di resina intrecciata (di 2 mm di diametro) che è poi sostenuto da una struttura metallica shape-memory (che ricorda la sua geometria). Anche questa ha un diametro di 2 mm: è più simile ad
una membrana che ad una struttura, intesa a neutralizzare al massimo grado la dicotomia membrana-struttura. Poiché il metallo si modifica al variare della temperatura, anche il profilo della cupola è variabile. Il modo in cui la forma si trasforma è più vicino all’essere biologico che a quello architettonico. In definitiva il raffreddamento elimina la rigidità della lega metallica, rendendo possibile ripiegare la cupola che si adatta cosi ad un piccolo container: questa caratteristica permette al padiglione di viaggiare per il mondo.
SEZIONI 10
ANNO: LUOGO: DESTINAZIONE D’USO: SUPERFICIE UTILE TOTALE:
PROGETTO 2005-REALIZZAZIONE 2005 HARA MUSEUM, SHINAGAWA-KU,TOKYO,GIAPPONE PADIGLIONE 4 MQ
Il Padiglione KXK,
veduta dall’esterno.
Shape Memory Alloys e Polietilene I materiali a memoria di forma (Shape Memory Alloys) rappresentano una classe di materiali metallici dalle inusuali proprietà meccaniche. In particolare, con il termine leghe a memoria di forma (Shape Memory Alloys, SMA’s, o LMF) si indica un’ampia classe di leghe metalliche, scoperte abbastanza recentemente, che hanno come caratteristica principale quella di essere in grado di recuperare una forma macroscopica preimpostata per effetto del semplice cambiamento della temperatura o dello stato di sollecitazione applicato, sono cioè capaci di subire trasformazioni cristallografiche reversibili, in funzione dello stato tensionale e termico. Quando una SMA è sotto la sua temperatura di trasformazione può essere deformata abbastanza facilmente a causa del suo basso σ y; se riscaldiamo però il materiale sopra la temperatura di trasformazione, subentra un cambio nella struttura cristallina che causa il ritorno alla forma originaria e sviluppa una forza notevole. In particolare, le SMA subiscono una trasformazione di fase cristallina quando vengono portate dalla loro configurazione più rigida ad alta temperatura (austenite), alla configurazione a più bassa energia e temperatura (martensite). Tale trasformazione è appunto la causa prima delle qualità peculiari di queste leghe. Questa proprietà, unica nel suo genere, è sfruttata in moltissimi campi che spaziano da quello medico a quello meccanico fino a quello microelettrico. Oltre alla caratteristica di reversibilità termica della deformazione (“effetto a memoria di forma”, SME), le LMF presentano anche altre caratteristiche, quali il comportamento superelastico (noto in letteratura come “effetto superelastico”) che ha moltiplicato le possibilità di impiego, e la capacità di generare elevate forze in fase di recupero della forma, che risultano di notevole interesse per possibili applicazioni industriali. Con la dicitura Polietilene - EVA ci riferiamo ad una famiglia di prodotti che hanno in comune il fatto di essere composti
principalmente da resine poliolefiniche reticolate ed espanse (polietilene espanso). Sono schiume a cella chiusa, che per le loro caratteristiche trovano applicazione in tutti i settori; in particolare presentano ottimi comportamenti alle sollecitazioni meccaniche, ottima galleggiabilità, buon isolamento termico e, in combinazioni particolari, anche acustico. L’eccellente lavorabilità permette l’impiego in applicazioni ottenute per stampaggio, accoppiatura, spaccatura, fustellatura, floccaggio ecc.. È possibile accoppiarlo a diversi materiali per migliorarne le caratteristiche, ad esempio ad un film di alluminio o ad una lastra di piombo oppure a pellicole protettive per migliorare la resistenza al calore, le caratteristiche acustiche o la resistenza all’abrasione. È altresì possibile trattare una superficie con vari tipi di adesivi (protetti da pellicola rimovibile) al fine di facilitarne la posa in opera. Il materiale fa della leggerezza e del comfort i sui punti di forza: bassa densità (0,11-0.35 gr/cm3), buone proprietà fisico-meccaniche (abrasione DIN 53516/77, 90/200 mm3) congiuntamente ad ottimo aspetto tattile (durezza 14-50 Sh.A). Ha un’ottima resistenza agli agenti atmosferici sia alle medie che alle basse temperature. Il materiale proprio per la caratteristica di essere a cellula chiusa è completamento antibatterico. Il materiale ha un’ottima resistenza ai raggi U.V. e quindi all’invecchiamento e riesce a mantenere il colore invariato nel tempo. Proprio la vastissima gamma di colori rende questo materiale appetibile per infinite applicazioni. Inoltre si possono creare nuovi colori a secondo delle specifiche esigenze del Cliente. Una speciale formulazione del materiale che si può definire “antifiamma” e che ha già superato i test per la classificazione nel settore automotive (direttiva 95/28/ CE) e nel settore arredamento (UNI 9175 1 – Classe 1). Una speciale formulazione del materiale ha superato la normativa EN 1621 – 1/97 per i protettori d’impatto.
La casa del tè di Oribe,2005 Tajiimi.
Il Padiglione Oribe è stato realizzato da Kengo Kuma nel 2005 al Ceramics Park Mino, a Tajimi, nella prefettura di Gifu, in occasione dell‘annuale mostra dedicata alle ceramiche, per celebrare uno dei più grandi maestri giapponesi del tè, Furuta Oribe, comandante militare e uomo di grande cultura vissuto nel XVI secolo. Il Padiglione è realizzato interamente in policarbonato e misura circa mt 6 ≈ 3,40. Le 92 costole di policarbonato alveolare di 5 mm che formano la struttura, distanziate tra di loro di cm 6,5, creano un involucro traslucido dalla forma organica che genera lo spazio interno ed al tempo stesso permette alla luce difiltrare attraverso di esso. I distanziatori, anch’essi in policarbonato, assolvono la duplice funzione di “cucire” tra di loro le costole e, non essendo
queste sempre ricavate da un unico pannello di policarbonato ma dall’accostamento di 2/3 pezzi sagomati, di unirne la varie parti che le compongono. La pedana, alta 18,5 cm, è formata da pannelli di policarbonato da 20 mm poggiati su di una sottostruttura costituita da longheroni in policarbonato bianco opaco da 2 mm a sezione trapezioidale,disposti traversalmente alla generatrice della composizione; i longheroni sono a loro volta fissati, tramite strisce di velcro, a pannelli in multistrato di legno sui quali sono disposte in serie delle lampade fluorescenti lineari. Grazie alla traslucenza del policarbonato e della particolare sezione dei longheroni,la pedana diventa unasorgente luminosa che permea di luce diffusa le costole del padiglione.
La cerimonia del tivo del progett
le. Si tratta de
costo. La casa pe
da e collegati t se che, una volt SEZIONE
PIANTA
ANNO:
PROGETTO 2005 - REALIZZAZIONE 2005
LUOGO:
CERAMIC PARK MINO,TAJIMI,GIAPPONE
DESTINAZIONE D’USO: SUPERFICIE UTILE TOTALE:
PADIGLIONE 8 MQ
tè è una delle espressioni artistiche principali della cultura giapponese. Il tratto distin-
o per la casa per il tè Oribe, nel Ceramics Park Mino, è il suo carattere temporaneo e mobi-
ella realizzazione di uno spazio reso prezioso dall’impiego di materiali informali e a basso
er il tè Oribe ha una struttura in fogli di plastica corrugata, montati come a formare una ten-
tra loro da strisce orizzontali. Queste ultime sostengono l’intera struttura e sono le stes-
a smontate, consentono al progetto di rivelarsi un sistema costruttivo facilmente trasportabile.
Una sperimentazione didattica: La ricostruzione del Padiglione Oribe.
Il Padiglione Oribe è stato ricostruito ad Ascoli Piceno nel giugno del 2006 all’interno della duecentesca chiesa di Sant’Andrea, in occasione dell’allestimento della mostra itinerante “Kengo Kuma, selected works”curata da Luigi Alini. La realizzazione costituisce l’esito di una sperimentazione progettuale compiuta in un workshop che ho coordinato presso la Facoltà di Architettura di Ascoli Piceno, nell’ambito del Laboratorio di laurea in “Costruzione dell’architettura e dell’ambiente”. Il workshop, che ha visto impegnati a tempo pieno 16 studenti per circa quattro mesi, si è articolato in tre sessioni di lavoro: la prima dedicata allo studio del progetto originale, la seconda alla progettazione e alla realizzazione delle parti componenti, l’ultima al montaggio in situ del Padiglione. Nella prima fase il progetto del padiglione, sulla base dei disegni originali messi a disposizione dallo studio di Kengo Kuma, è stato indagato, ridisegnato e ricostruito attraverso modelli e plastici di studio per giungere all’individuazione delle sue parti componenti e del sistema di giunzioni. Il padiglione è stato così scomposto in 3 elementi essenziali: le costole, i distanziatori, la pedana. La seconda sessione di lavoro è stata svolta in stretto contatto con le aziende che hanno sponsorizzato l’operazione che, oltre a fornire materiali e prodotti per la realizzazione del padiglione, hanno messo a disposizione il loro know-how tecnico-organizzativo per lo sviluppo delle soluzioni tecnicocostruttive. Dal confronto con le aziendee con lo stesso Kuma è stato messo a punto un nuovo progetto realizzativo che ha previsto alcune necessarie modifiche al progetto originario. Le 92 costole che formano la struttura sono state ricavate da pannelli di policarbonato alveolare di colore neutro di 6 mm di spessore (in Europa non esistono infatti lastre da 5 mm), di quattro diverse dimensioni: 210 ≈200 cm, 210 ≈ 250 cm, 210 ≈ 300 cm, 210 ≈ 350 cm. Ciascuna costola, a seconda della forma, della dimensio-
ne e della posizione, è stata ricavata dall’accostamento di 2 o 3 pezzi di policarbonato precedentemente sagomato. Per ottimizzare il taglio delle lastre e per favorire una migliore diffusione della luce, le costole, a differenza del progetto di Kuma, sono state disposte con i canali orientati in senso verticale. Il metodo di “cucitura” delle lastre è rimasto invariato: sono stati impiegati distanziatori di policarbonato da 6 mm di 6,5 ≈ 10 cm al cui interno, sfruttando la presenza dei canali alveolari, sono state posizionate delle fascette di plastica, abitualmente utilizzate per il cablaggio impiantistico, dotate di un fermo che rende definitivo e reversibile il fissaggio. La modifica più importante ha interessato la pedana, laddove la struttura prevista da Kuma, interamente in policarbonato, è stata sostituita da un’altra in mattoni di vetro di cm 20 ≈ 20, alloggiati all’interno di una griglia di profili in alluminio a maglia quadrata da 100 ≈ 100 cm, poggiante su piedini metallici regolabili in altezza. Gli elementi di vetromattone formano una pedana rettangolare di mt 6 ≈ 8 che funge da “vassoio” luminoso su cui poggiano le costole. In virtù di questa modifica anche l’impianto di illuminazione ha subito alcune variazioni: al di sotto della struttura in alluminio sono stati posizionati 32 tubi fluorescenti collegati ad un dimmerizzatore che, regolandone l’intensità di luce, simula una sorta di “respiro” luminoso del padiglione con un conseguente effetto di smaterializzazione delle costole che lascia fluire lo spazio interno verso l’esterno e viceversa. La fase di montaggio del Padiglione all’interno della chiesa è durato una settimana. Inizialmente è stata posta in opera la pedana: montato l’intero reticolo di alluminio, sono stati posizionati i 1200 elementi di vetromattone. Il processo di montaggio delle 92 costole costituenti la struttura prevedeva: t JM GJTTBHHJP UFNQPSBOFP B UFSra, con nastro adesivo, dei vari pez-
zi che formavano la singola costola, te uno schema grafico di riferimento; t MB DSFB[JPOF EFJ GPSJ DPO USBQBOJ DPO punta di 8 mm, mediante il posizionamento sulla lastra di policarbonato di una mascherina in metallo con 2 fori; t MB QVMJ[JB EFMMB MBTUSF DPO VO DPNpressore, per eliminare i residui plastici formatisi durante la foratura; t M FMJNJOB[JPOF EFMMF QFMMJDPMF QSPtettive delle lastre; t JM QPTJ[JPOBNFOUP EFMMB DPTUPMB TVMMB pedana; t JM GJTTBHHJP UFNQPSBOFP EFJ EJTUBOziatori, facendo prima passare un capo della fascetta di cablaggio nell’alveolo superiore del distanziatore, appoggiando poi il distanziatore alla lastra in corrispondenza dei fori ed infilando la fascetta prima ne foro superiore, poi in quello inferiore per passare quindi in un altro canaletto alveolare in prossimità del margine inferiore del distanziatore; t M BDDPTUBNFOUP EFMMB DPTUPMB TVDDFTsiva: facendo passare i due capi della fascetta nei fori della seconda costola per poi stringerla ed infine tagliare la parte di fascetta rimanente. La ri-costruzione del Padiglione Oribe ha costituito una sperimentazione didattica assai rara nelle scuole di architettura italiane ed ha consentito agli studenti di effettuare una simulazione della complessità del processo progettuale e costruttivo, entrando in contatto con tutti gli aspetti che lo caratterizzano, indipendentemente dalla scala del manufatto, dalle fasi ideative a quelle progettuali, dalla produzione delle parti componenti alle verifiche progettuali, fino alla costruzione degli strumenti necessari alla operatività tecnico-esecutiva. La sperimentazione condotta nel workshop di Ascoli Piceno ha offerto inoltre un’occasione di confronto tra la formazione universitaria e la produzione industriale. Se, infatti, studen-
ti e docenti hanno potuto sperimentare praticamente il potenziale innovativo industriale, sotto forma di materiali, tecniche, logiche e conoscenze, le aziende che hanno concorso alla realizzazione del padiglione, dal canto loro, hanno potuto sperimentare alcune ipotesi tecniche che potrebbero ampliare e innovare il campomdi applicazione di prodotti e di tecnologie a volte confinati all’interno di ristrette logiche di mercato. In modo particolare, il Padiglione mette in risalto le qualità estetiche e funzionali del policarbonato, da sempre considerato un materiale “povero” e utilizzato prevalentemente per edifici industriali, che è stato impiegato in questo caso da Kuma per stabilire una relazione tra materia e luce con l’obiettivo di coniugare la trasparenza dell’involucro con il senso di chiusura e di intimità dello spazio interno: le lastre traslucide di policarbonato si dissolvono al passaggio della luce consentendo allo spazio interno di “assorbire” osmoticamente lo spazio esterno. Il policarbonato, materiale “chip” ma capace di alte prestazioni, ben si presta ad assecondare l’intenzione di Kuma di dimostrare con quest’opera il cambiamento radicale operato dai maestri del tè nel XVI secolo nella direzione dell’esaltazione degli aspetti più spirituali della cerimonia e della rinuncia alla ricchezza dei materiali da costruzione, che doveva- ∂ 2007 ¥ 10 Inserto ampliato in italiano Traduzioni in italiano 2 no essere standardizzati, economici e presi dalla vita comune. Il Padiglione Oribe è stato realizzato nell’ambito delle attività didattiche del Laboratorio di Costruzione dell’Architettura e dell’Ambiente (corso di laurea triennale in Scienza dell’Architettura – Facoltà di Architettura di Ascoli Piceno – Università di Camerino) prof. Massimo Perriccioli (coordinatore), prof. Sergio Altomonte, prof. Jean Philippe Vassal Il progetto scientifico è stato realizzato dal prof. Luigi Alini e dal prof. Massimo Perriccioli.
MONTABILITÀ / SMONTABILITÀ - Facilità di smontaggio - Completa smontabilità - Ripetibilità del montaggio - Movimentazione manuale dei componenti smontati
TRASFERIBILITÀ - Flessibilità di movimentazione e di stoccaggio - Facilità di trasporto e di movimentazione - Semplicità di stoccaggio - Assenza di elementi a seguito del disallestimento (reti e cablaggi, allacciamenti, …)
INTEGRABILITÀ - Integrabilità reciproca dei moduli - Integrabilità impiantistica degli elementi tecnici - Integrabilità dei componenti
ACCESSIBILITÀ - Fruibilità da parte di utenti con ridotte capacità motorie - Riconoscibilità dell’insediamento - Accessibilità ai servizi comuni
Moderna casa per il té,2005 Francoforte.
Il progetto per una moderna casa per il tè nasce appositamente nell’ambito di una mostra dedicata al design giapponese presso i Museums fur Angewandte Kunst di Francoforte nel 2007. Poiché si tratta di una struttura tempranea e trasportabile, la Modern Tea House potrà essere ricostruita in differenti luoghi e, grazie alla sua conformazione, adeguarsi ai diversi contesti. La struttura portante è costituita da un’innovativa membrana gonfiabile sintetica chiamata Tenara, caratterizzata da un doppio strato di materiale all’interno del quale viene introdotta aria compressa; grazie all’assenza delle tradizionali fibre di vetro delle membrane convenzionali, il Tenara è in grado di modellare la sua forma seguendo i cambiamenti climatici e le condizioni naturali specifiche del luogo in cui quest’architettura potrebbe essere ricostruita. La sua superficie, luminosa e trasparente, riflette i cambiamenti di
luce e di climache la circondano, mentre la creazione dello spazio è piuttosto elementare: è sufficiente rimuovere i pannelli di acciaio che sostengono l’involucro e gonfiare la membrana. In questo modo il progetto prende vita. Il risultato è una forma voluttosa e indefinita il cui interno, rarefatto e offuscato, si dissolve nel tempo e nello spazio. Lo spazio interno, raccolto e di appena 30 mq, è popolato da tatami opportunatamente posizionati secondo il rito della cerimonia del tè e l’atmosfera che viene a crearsi sollecita esperienze oniriche come quelle che questa cerimonia dovrebbe essere in grado di suscitare. Il carattere di malleabilità e la capacità di integrarsi con le condizioni metereologi che dell’intorno non sono elementi nuovi nella filosofia progettuale di Kengo Kuma e ricordano altri progetti precedenti come quello temporaneo per il padiglione KXK.
SEZIONE
PIANTA
Moderna casa per il Tè,
veduta dall’esterno.
Tessuto in Tenara ® Gore™ Le sue applicazioni.
La membrana TENARA viene spesso utilizzata in numerosi progetti per la sua capacità di trasmettere luce garantendo protezione, affidabilità, flessibilità, durata ed esaltando al tempo stesso la bellezza di uno spazio. Queste superfici gonfiabili vengono realizzate con fili molto più resistenti rispetto ai fili convenzionali in poliestere usati su tendoni o altre strutture all’esterno che perdono stabilità nel tempo e possono rompersi a causa dell’esposizione ai raggi UV, ai detergenti, all’acqua marina e agli agenti atmosferici. Al contrario la speciale struttura in PTFE del filo per cucire GORE™ TENARA® garantisce una lunga durata delle cuciture e, di conseguenza, del prodotto nel quale viene utilizzato. Il filo TENARA® non subisce in alcun modo gli effetti di questi agenti ed è perciò ideale per l’impiego all’esterno, viene garantito per una durata superiore persino al tessuto sul quale viene cucito.
Il nuovo tetto mobile sul campo centrale di Wimbledon, 5200 metri di tessuto architettonico GORE™ TENARA®. Entrato in azione per la prima volta ufficialmente in occasione della vittoria dello scozzese Murray, il tetto mobile di Wimbledon si appresta a diventare una delle caratteristiche dello storico tempio del tennis. Uno soluzione high tech, che in soli 10 minuti, grazie ad un meccanismo complesso, copre il campo centrale stendendo ben 5200 metri di tessuto speciale Gore, leggerissimo, impermeabile, resistente al vento e in grado di far passare la luce naturale. La struttura portante dello speciale tessuto architettonico GORE™TENARA®, solo 0,5 millimetri, anti raggi UV, molto durevole, utilizzabile con saldature ad alta frequenza, è realizzata con una filatura di PTFE (politetrafluoroetilene) traslucida e antistrappo, resa impermeabile da un rivestimento fluoropolimerico flessibile. La superficie inoltre è repellente allo sporcizia, che viene pulita via dalla sola pioggia. Anche quando il tetto è chiuso si ha la sensazione di giocare sempre all’aperto. Questo è importante sia per mantenere la tradizionale esperienza per i giocatori e gli spettatori, sia per consentire alle telecamere di catturare immagini ad alta qualità. La capacità della membrana di flettere senza usura è stato un altro fattore determinante nella sua selezione. Per la maggior parte dell’anno la copertura resta ripiegata a drappo nel suo apposito spazio, questo materiale deve quindi assicurare che il tessuto non si crini o apporti muffe. Perfetto dunque per un utilizzo del genere, lo speciale materiale è particolarmente apprezzabile per i suoi canoni estetici visibili ad occhio nudo, che insieme alla straordinaria luminosità, rendono il campo centrale di Wimbledon ancora più unico ed esclusivo.
Festungsarena Kufstein, Rectable Roof Kugel & Rein Architects and Engineers hanno progettato una struttura circolare a scomparsa che copre una superficie di circa 2.000 metri quadrati. La membrana traslucida, di colore bianco, che si snoda con leggerezza assumendo le sembianze di un fiore, può essere aperta e chiusa nel giro di soli quattro minuti per proteggere l’area dalle intemperie atmosferiche. Questa copertura consente di utilizzare spazi all’aperto proteggendoli in caso di maltempo e non solo. Anche l’acustica complessiva dello spazio sembra migliorare e l’uso dell’illuminazione dinamica multi-colore proiettata sulla membrana produce un effetto visivo suggestivo. ‘She Changes’, Janet Echelman Una grande medusa si muove dolcemente, animata dal vento, sopra il Phoenix Park dell’omonima città in Arizona. L’ideatrice di Her Secret is Pacience, animale sui generis fuori scala e ambiente naturale, è Janet Echelman, artista americana non nuova alle sperimentazioni con sculture tessili in maxiscala. Le opere si adattano ai ritmi naturali propri del volgere del giorno e delle stagioni. Belle di giorno, per i riflessi sull’acqua che moltiplicano la corporeità dell’installazione, belle di notte per il vestito luminoso che illumina il cielo. La scultura dinamica ha un diametro di 46 metri e la sua altezza è paragonabile a quella di un edificio di 14 piani. Anche in questo caso viene utilizzata la membrana Tenara intracciata in corde colorate. La scultura galleggiante in aria, è tenuta in alto da un enorme anello in acciaio dal peso di circa 50 tonnellate collegato a dei cavi a tre pali di varie altezze, che permettono alla scultura di muoversi e ondeggiare con il vento.
Umbrella House,2008 Milano, Triennale di Milano. Umbrella House di Kengo Kuma e’ un’abitazione costituita da ombrelli fissati da cerniere utilizzate per mute da sub e sostenuti da una capriata composta di bacchette da ombrello. E’ attraverso questo assemblaggio che l’architetto realizza una sorta di rifugio modulare. Ogni ombrello è dotato di due “lacci” che pendono dalla punte centrali per consentire diverse composizioni. Le cerniere lampo sono tagliate leggermente più lunghe rispetto ai bordi degli ombrelli in modo che il materiale in eccesso possa essere legato insieme per la sigillatura dei giunti. All’interno la struttura che caratterizza gli ombrelli permette l’affisione di oggetti vari...
CCCWall,2010
Milano, Salone internazionale del mobile. Il Cortile dei Bagni dell’ Università degli Studi di Milano ha ospitato l’istallazione di Kengo Kuma. Una parete, realizzata in leggerissima organza, si anima sotto l’impulso del minimo spostamento d’aria… e separa due mondi in relazione attraverso la mutevole e cangiante trasparenza del materiale. La super-organza”, un materiale simile all’organza e ancora più sottile e leggero, viene spesso utilizzato Da Kengo Kuma nelle sue installazioni. Interni Think Tank ha proposto una riflessione sul bisogno di rinnovamento e sui mutamenti dei valori del progetto nel nuovo millennio. Un momento di verifica sulla condizione contemporanea, dove design e architettura, disegno dell’oggetto, dell’arredo e dello spazio convergono in un processo di positiva contaminazione. Attraverso installazioni sperimentali create con l’apporto di progettisti internazionali e il supporto di aziende d’eccellenza nel campo del design e dell’architettura, la Mostra ha offerto una scenografica composizione, all’interno dei cortili e dei loggiati dell’Università degli Studi di Milano. Casalgrande Padana è stata una dei principali protagonisti dell’evento con il suggestivo allestimento CCCWall, progettato da Kengo Kuma ispirandosi alla sua prima opera italiana: “Casalgrande Ceramic Cloud”, spettacolare landmark in corso di realizzazione davanti al sito produttivo dell’azienda a Casalgrande (RE). CCCWall divideva il chiostro del Cortile dei Bagni dell’ateneo in due giardini ideali di ceramica, simili ma contrapposti, metafora di Yin e Yang. La parete, realizzata in leggerissima organza,
separa due mondi in relazione attraverso la mutevole e cangiante trasparenza del materiale che, grazie alla sua estrema leggerezza, si animea sotto l’impulso del minimo spostamento d’aria. Un layer di fibra semitrasparente, che durante la notte si trasformerà in uno screen sul quale verranno proiettate straordinarie immagini, anticipazioni e uno special cut del trascorrere di un giorno attorno all’opera in costruzione a Casalgrande. L’allestimento è completato da una sequenza di installazioni tematiche posizionate lungo la loggia e all’interno delle stanze che si affacciano sul chiostro che raccontano la storia e il collegamento tra istallazione temporanea e l’opera reale in costruzione.
Il giardino pensile Fukusaki,2005 Osaka
Il Vertical Graden, collocato nell’area del litorale di Osaka, è stato progettato come un terreno tridimensionale temporaneo di gioco per i bambini. Questo giardino è capace di unire varie attività: incontri, concerti e giochi accanto alla gara podistica e al chiapparello dei bambini. Per ottenere la flessibilità di uno spazio che fosse in grado di ospitare diverse funzioni, ho utilizzato tende di vinile al posto di spesse pareti di cemento. le tende di vinile sono comunemente usate nei magazzini e nelle fattorie. L’unicità della tenda risiede nel fatto che questa ha una morbidezza che è differente sia dal cemento che dal vetro. Le tende di vinile sono
un materiale morbido perciò i bambni, attraversandole in corsa, non possono farsi male. E’ il motivo per cui ho sentito di voler realizzare l’edificio con materiali morbidi e leggeri. Inoltre le tende di vinile non sono come le pareti o le porte: ogni punto può diventare un ingresso. Se la gente vuole entrare all’interno, deve solo dare una spinta alla tenda di vinile. Fino ad ora si sono realizzati edifici fatti di pareti e di porte, di muri e di finestre. Ma l’uso della tenda di vinile sta aumentando la possibilità di nuovi tipi di edifici e implica nuove pareti leggere e vaghe. Ho sentito che il carattere di questa parete e i bambini erano fatti l’uno per l’altro.
PIANTE E SEZIONI
Il giardino pensile Fukusaki.
Internazionale di architettu Palazzo della regione, Padova.
Entrando nel Salone del Palazzo della Ragione di Padova non si fatica a immaginare perché Kengo Kuma abbia presumibilmente intravisto, tra i raggi di luce che penetrano da ovest, le due carpe che hanno dato titolo e corpo alla mostra. Questo luogo è, infatti, come un enorme acquario o una carena di nave rovesciata; un ventre magico, capace di contenere i più importanti eventi culturali padovani. Come le carpe svolazzanti della Festa dei Bambini il 5 maggio in Giappone accarezzano e colorano i cielo, così l’installazione della mostra dialoga, lievemente, con lo spazio storico. Un percorso sopraelevato a forma di otto misura la veneziana del pavimento e, allo stesso tempo, contiene i panelli espositivi, cosicché il visitatore li calpesti e abbia lo sguardo rivolto verso il basso. Lungo questo nastro si susseguono i lavori dell’architetto, suddivisi in quattro classi tematiche: acqua, terra, villaggio e città, interrotti da un lungo tunnel di stoffa a sezione variabile. Ai lati, come isole emerse, due micropadiglioni: una tea house in policarbonato alveolare dedicata al maestro Oribe e una troppo ardita costruzione cubica in carta, andata parzialmente distrutta durante la mostra. La composizione è, infine, spezzata diagonalmente da una processione di cerchi metallici e or-
ganza appesi alle catene della copertura. I cardini dell’estetica del maestro giapponese hanno, perciò, poeticamente preso forma. E se il percorso ciclico ricorda che l’architettura è un’arte dinamica e sequenziale come il cinema e la musica, l’enorme pesce di stoffa con la bocca spalancata sprona a distruggerla e a rielaborarla. “I want to erase architecture”, dice Kuma. Il tutto in precario equilibrio, tra sofisticate rimembranze e un effetto “ottovolante” sempre in agguato, quando l’esposizione si trasforma in installazione, in evento. L’architettura di Kuma non è immune da questo conflitto: la fama di cui gode è più legata alla sua poetica capacità compositiva o alla sequenza iconografica che costella la sua mirabile carriera? I discepoli dell’architettura come disciplina a sé, arte del costruire e del dettaglio, guardano a lui come a uno degli ultimi profeti. Ma chi è uscito da questa mostra si rende conto che anche questa volta lo spettatore ha dettato la sua dittatura. Anche se ha gli occhi di un bambino giapponese. La carpa simboleggia il legame stretto fra il nuovo design dell’architettura e la tradizione; viene ribaltata la definizione “architettura rigida / natura organica” astraendo, con la schematizzazione dei due pesci, un’allegoria che si avvicina
ra Barbara “Capocchin”,2007. all’effimero della scenografia, ma che restituisce comunque delle sensazioni legate alla spazialità architettonica. Un gioco di volumi, reso quasi immaginario dall’eterea inconsistenza dei materiali e amplificata dalle dissolvenze luminose, che parzialmente inghiotte una lunga pedana continua. Costruita con una struttura metallica, sulla quale è poggiato superiormente un doppio vetro calpestabile, la passerella protegge e mostra una sequenza di immagini retroilluminate dal suo interno che raccontano la carriera dell’architetto giapponese. Un effetto altamente scenografico, a definire un percorso di lettura delle varie opere di Kuma, che difficilmente potrebbe essere più chiaro nella sequenza proposta ai visitatori. Una sorta di sentiero luminoso che durante l’affollata inaugurazione “ha messo in fila” tutti gli intervenuti generando un inedito ordinato corteo. Una documentazione di opere però prevedibile che forse, causa la non sempre attraente qualità delle fotografie e dei rendering esibiti, dissipa le suggestioni sensoriali di tutto l’apparato allestitivo, concatenando le immagini del catalogo in una lunga e … scontata striscia luminosa. Le suggestione evocata dalla figura delle due grandi carpe non trova quindi riscontro nel-
la sequenza fotografica, pur esaltata dalla retroilluminazione e felicemente integrata e scandita da brevi e incisive frasi in inglese ad introdurre i vari interventi architettonici rappresentati. Nei recessi sinuosi creatisi tra la forma ad “otto” della pista-circuito, hanno ben convissuto le presenze “inamovibili”del Salone, tra le quali il cavallo ligneo del 1466 e, appartenenti alla mostra, le strutture architettoniche riproponenti, in scala reale, due opere di Kuma: la Oribe Tea House e la Paper Tea House. Alla fine è comunque risultata intrigante l’interazione che si è generata tra il percorso obbligato - scandito dalla lettura del materiale fotografico - e la libertà offerta dalle suggestioni figurative giù dalla passerella luminosa, con la visione delle strutture aeree e degli interventi a livello del pavimento. Una spazialità inedita che, partendo dall’assunto del progettista “I want erase the architecture”, cerca, nell’astratto dialogo con il contesto, la ragione spaziale del suo essere e trova, nell’appropriato uso delle suggestioni luminose (messe in opera con la preziosa collaborazione di Carlotta de Bevilacqua), la sua smaterializzazione percettiva.
Internazionale d’architettura,Padova 2007.
h
http://www.designboom.c
ht
Kuma
sembra condividere la posizione di Heidegger di fare spazio: “Fare spazio significa sfoltire, render libero, liberare un che di libero, un che di aperto. Solo quando lo spazio fa spazio e rende libero un che di libero, lo spazio accoda, grazie a questo libero, la possibiltà di contrade, di vicinanze e lontananze, di direzioni e limiti, le possibilità di distanze e di grandezze”. L’architettura per Kuma deve cercare di non costringere le persone a viverci dentro. Al contrario, attraverso quello che egli chiama il garden method l’architettura dovrà assomigliare a un giardino, senza muri o finestre che frammentano le viste.
Bibliografia essenziale
Marco Casamonti: Kengo Kuma, 24 ORE Motta Cultura srl, Milano 2009 Leone Spita: Kengo Kuma, Edilstampa srl, Roma 2006 Luigi- Alini, Kengo Kuma. Opere e progetti, Mondadori Electa, Milano 2005 Siti internet:
http://www.ing.unitn.it/~colombo/APPLICAZIONE_DELLE_LEGHE_A_MEMORIA_DI_FORMA/introduzione.html http://www.ing.unitn.it/~colombo/NITI/sma.htm http://www.bombe.to.it/polietilene.htm http://www.dimapla.net/NEWS/MINS/UGEL.pdf http://www.detail.de/Archiv/De/HoleHeft/199/ErgebnisHeft http://www.tenarafabric.com/ http://www.gore.com/en_xx/products/fibers/sewing/gore_tenara_fili_per_cucire_prodotto.html
com/weblog/cat/9/view/2938/umbrella-house-by-kengo-kuma-casa-per-tutti-at-milan-triennale.html
ttp://www.arkidesignblog.it/2010/03/30/kengo-kuma-con-casalgrande-padana-a-interni-think-tank/ http://www.archimagazine.com/dkengokuma.htm
Bacci Giacomo
[jiib]