Cultura&Territorio
La crisi ha evidenziato il problema delle fabbriche dismesse. Sono 3.200 quelle in vendita in Veneto e la Regione pensa a una norma che blocchi per cinque anni le nuove costruzioni. Ma c’è chi li acquista e gli dà nuova vita. È il caso di Villorba
© Photo Andrea Martiradonna
Nuova vita al capannone
«Le Terrazze», Villorba (Tv)
Ecomostri e capannoni abbandonati: dopo la scorpacciata edilizia seguita alla Tremonti bis del 2001, che ha avuto come effetto quello di lanciare la bolla edilizia aumentando la dotazione di cemento grigio soprattutto nelle regioni del Nord, la crisi degli ultimi cinque anni sta svuotando le zone industriali. Se nel quinquennio successivo alla legge in Veneto si sono costruiti edifici industriali per l’equivalente di un serpente lungo più di 200 km, largo 28 metri e alto 10, ora sono oltre 3.200 (1.200 nella sola provincia di Padova, il 20% in quella di Treviso) le scatole grigie in vendita o in affitto. E ora anche la Regione pensa al contenimento dell’uso del suolo: è allo studio una norma che blocchi per cinque anni le nuovi costruzioni, garantendo al contempo i diritti acquisiti e che consideri la crescita fisiologica del settore. Un’opzione potrebbe essere quella della creazione di una banca del credito edilizio: incentivare chi voglia costruire edilizia industriale o 40
nordesteuropa.it dicembre 2012
il pendolino
di JULIAN W. ADDA
commerciale al riciclo e/o riuso di strutture esistenti. In questa direzione, alcuni precursori sono già attivi: oltre a interventi puntuali (piccole modifiche legate alle trasformazioni d’uso, che non migliorano sensibilmente la qualità architettonica) vi sono anche alcuni casi più sostanziali. Uno di questi è il recupero di una struttura abbandonata dal 1989 (era previsto un centro commerciale) a Villorba (Treviso), compresa successivamente in un Programma Integrato di Riqualificazione Urbanistica, Edilizia e Ambientale e acquisito nel 2000 dalla società Idea Verde srl. Il passo successivo non è tipicamente italiano: la committenza ha indetto un concorso privato ristretto, rivolto a tre diversi studi, chiedendo delle ipotesi per il recupero della struttura. La soluzione scelta è stata quella proposta dall’architetto Marco Piva, basata sul concetto di rafforzamento delle relazioni sociali, nel rispetto delle tradizioni abitative e culturali del luogo. Piva, con lo scopo di restituire vitalità a un ambito altrimenti monofunzionale, ha concepito una sorta di «piccola città» dove trovano posto un ampio range di attività, oltre che 21 case unifamiliari indipendenti, mantenendo la struttura esistente: due corpi di fabbrica paralleli, per quattro piani fuori terra, con un totale di 24.000 mq calpestabili. «Sarebbe stato sicuramente più facile, forse più economico e veloce abbattere e ricostruire. Invece è stata fatta un’operazione diversa, autoinfliggendoci vincoli notevoli dal punto di vista strutturale, per poter fare tesoro di quello che c’era». Il corpo prospiciente la strada è caratterizzato da una struttura gradonata e terrazzata (da cui il nome all’intervento, Le Terrazze). Qui si trovano spazi commerciali, professionali, un residence e alcune case private. Il corpo retrostante ospita invece una struttura alberghiera e una seconda serie di abitazioni, tutte arricchite di spazi verdi sulla copertura. La trasformazione dell’edificio ha comportato l’adeguamento della struttura alle norme antisismiche oltre che alle necessità di risparmio energetico: «L’impiantistica generale è stata studiata per consentire diverse possibilità d’uso a seconda delle funzioni. È il sistema di gestione che porta al risparmio energetico, un sistema flessibile che permette all’utente di calibrarlo sulla base delle sue reali esigenze. Inoltre, la struttura è stata resa il più possibile passiva (isolamenti a cappotto, protezioni all’acqua e agli agenti atmosferici, realizzazione di paraventi esterni, di finestrature ed altro ancora)», ricorda ancora l’architetto. Inaugurato da qualche mese, pienamente attivo per la parte ricettiva e parzialmente per le altre attività, il progetto sconta, per la quota residenziale, il momento critico in cui siamo immersi. La riconversione è vinta dal punto di vista architettonico, vedremo ora se lo sarà anche da quello economico.
Rubriche
Vero nemico il cambiamento
di Franco Migliorini
Quieta non movere: che tutto resti com’è. L’esistente proposto come futuro, in un gioco a somma zero. O tutti metropolitani o nessuno metropolitano. Ohibò, questa è la democrazia dell’appiattimento imposto dalla politica. Ma chiudersi nel piccolo è bello equivale alla sconfitta
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aTre contro VePa, o magari PaTreVi contro PaTreVe. Come in una partita di scacchi, dove la conquista di una posizione produce la contromossa al posizionamento altrui, si scatena la battaglia delle pedine. Le province divenute tessere di una scacchiera in cui l’unico obiettivo è stoppare l’avversario. Ma per fare cosa? Questo non si dice. Ma il vero avversario è il cambiamento. Quieta non movere, che tutto resti com’è. L’esistente proposto come futuro, in un gioco a somma zero. O tutti
metropolitani o nessuno metropolitano. Ohibò, questa è la democrazia dell’appiattimento imposto dalla politica. Ma in un mondo stravolto dai colpi della crisi, o si cresce o si arretra, chiudersi nel piccolo è bello equivale a sottoscrivere la sconfitta. È questo il lascito di una lunga stagione in cui la crescita diffusa pareva una conquista irreversibile, mentre nulla è dato per sempre. Nella competizione allargata i nuovi attori internazionali che irrompono sulla scena hanno scardinato il “piccolo mondo antico”. Che niente e nessuno potrà ripristinare perché sono i numeri a dircelo. Crescere è la sola terapia. Le aziende lo sanno bene, ma non altrettanto i territori con le rappresentanze che la politica incardina nelle istituzioni, a difesa del meccanismo che le ha prodotte. Le regioni, nei quarant’anni di vita, hanno assistito la transizione dalle economie urbane a quelle territoriali, con logica redistributiva, a bilanciare il tradizionale dualismo città campagna. Che oggi non c’è più. A Nordest più che altrove. Ma oggi questo nuovo amalgama diffuso ha esaurito la forza traente della crescita. La ricetta è riorganizzare i territori
attorno ai poli cui conferire strumenti e visibilità. Obiettivo: reinserirsi nella competizione allargata. Crescere di rango per fare nuovamente da traino ai territori, come già accaduto nel dopoguerra. Allora il policentrismo veneto ne aveva sostenuto la crescita, fino a saturarli di manifatture. Ora è il policentrismo che deve ripensare se stesso, per trainare i territori verso un’altra competizione, più ambiziosa perché decisamente esterna. Ma servono infrastrutture, certo non strade, e servizi, che aggancino la dimensione internazionale e riportino alla ribalta un’area intera: il Nordest. C’è chi non regge questo cambio di marcia, che in Europa è meno traumatico a chi è aduso allo sguardo lungo. Ai nostrani dallo sguardo corto, il campo lungo appare invece sfocato e insidioso, da cui il riflesso di difesa, improvvisato e occasionale, senza lumi. Ma di certo non il tempo è mancato, quanto piuttosto la capacità di confrontarsi col nuovo. Che oggi appare dirompente, mentre chi legge la realtà lo ha già metabolizzato. Basterebbe umilmente prenderne atto, e agire di conseguenza fmigliorini@migliorini.ve.it
l’altro Nordest di Sergio Frigo
Alluvioni, non basta riparare i danni
Quello che manca è la consapevolezza che il quadro meteorologico e l’assetto territoriale sono talmente mutati da rendere necessario un radicale cambiamento di strategia che vada a incidere inevitabilmente sul modello di sviluppo
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congiurata per pochi centimetri, nelle scorse settimane, l’ennesima grande alluvione nel Veneto, ora sarebbe il caso di non esorcizzare, per l’ennesima volta, la paura con un sospiro di sollievo, e di non tornare alle pratiche del passato che hanno portato (complici anche i cambiamenti climatici) alla costante emergenza di oggi. Replicando alle critiche del sindaco di Vicenza Achille Variati (ma anche dell’alleato presidente del Consiglio Regionale Clodovaldo Ruffato) il governatore Luca Zaia ha riesibito il dossier sul ripristino delle opere danneggiate nell’alluvione del 2010, lamentandosi di non aver potuto fare anche di più a causa della burocrazia e della scarsità di risorse. Zaia non ha torto, ma neppure del tutto ragione. Quello che manca, a mio parere, nella filosofia prettamente “riparatoria” che sta dietro a questi interventi, è la consapevolezza che il quadro meteorolo-
gico e l’assetto territoriale sono talmente mutati, in questi anni, da rendere necessario un radicale cambiamento di strategia, che andrebbe a incidere inevitabilmente sul modello di sviluppo. Le alluvioni sono figlie, infatti, anche della cementificazione del territorio: i terreni agricoli assorbono l’acqua delle precipitazioni e la “restituiscono” in tempi lunghi, mentre i terreni asfaltati, i tetti, le strade la accumulano rapidamente e la incanalano verso torrenti e fiumi, che poi finiscono per esondare e allagare campagne e città. Allora bisognerebbe che la Regione, oltre a riparare gli argini devastati, approvasse una legge con questo unico articolo: «Non si asfalterà o cementificherà più nemmeno un metro quadro di terreno senza averne ripristinato un altro a verde». E questo vale non solo per i grandi lottizzatori, ma anche – banalmente - per i singoli cittadini, che trovano comodo magari asfaltarsi il piazzale di casa (invece di utilizzare materiali drenanti), senza chie-
dersi quali effetti avranno questi interventi se moltiplicati per cento o per mille. Tutto questo significherà ridurre ulteriormente la già asfittica attività edilizia? Credo sia arrivato il momento di pagare anche questo prezzo, per evitare di pagarne di ben più salati in futuro. Questo ci porta inevitabilmente a occuparci della montagna, che come ricordava Mario Rigoni Stern è la sentinella della campagna e della città: essa deve dunque tornare al centro dell’attenzione pubblica, e godere di interventi di manutenzione adeguati; e non per manie ambientaliste, bensì per banali considerazioni economiche, che dovremmo avere presenti sempre, e non solo quando contiamo i danni delle inondazioni. Qui purtroppo non ci siamo, e cito solo un esempio che riguarda proprio l’Altopiano di Rigoni Stern, e specificamente la Piana di Marcesina, dove nelle scorse settimane sono iniziati i lavori per la realizzazione di parcheggi per un totale di 890 posti auto e camper, che interesseranno 33.600 metri quadri di superficie. Domanda: è proprio necessario portare la gente in macchina fin quasi a 2.000 metri, con tutto quello che ne consegue? www.sergiofrigo.it dicembre 2012 nordesteuropa.it
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