I Grandi e i piccoli

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I grandi e i piccoli

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Indice Voci Sandro Pertini

1

Aldo Moro

34

Giovanni Falcone

46

Paolo Borsellino

59

Carlo Alberto dalla Chiesa

72

Cosa nostra

82

Salvatore Riina

105

Bernardo Provenzano

113

Tommaso Buscetta

120

Note Fonti e autori delle voci

124

Fonti, licenze e autori delle immagini

126

Licenze della voce Licenza

128


Sandro Pertini

1

Sandro Pertini Sandro Pertini

7º Presidente della Repubblica Italiana Durata mandato 9 luglio 1978 – 29 giugno 1985 Predecessore Successore

Giovanni Leone Francesco Cossiga

Presidente della Camera dei deputati Durata mandato 5 giugno 1968 – 4 luglio 1976 Predecessore Successore

Brunetto Bucciarelli-Ducci Pietro Ingrao

Senatore a vita Durata mandato 29 giugno 1985 – 24 febbraio 1990 Dati generali Partito politico

Partito Socialista Italiano

Titolo di studio

Laurea in giurisprudenza e in scienze politiche

Alma mater Firma

Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia


Sandro Pertini

2

on. Alessandro Pertini

Assemblea costituente

Partito

Partito Socialista Italiano di Unità Proletaria

Gruppo

Socialista Incarichi parlamentari

• • •

Membro della giunta delle elezioni (26 giugno 1946 – 31 gennaio 1948) Membro della commissione per la Costituzione (19 luglio 1946 – 25 luglio 1946) Membro della commissione degli "undici" (19 febbraio 1947 – 19 aprile 1947)

Pagina istituzionale

[1]

sen. Sandro Pertini

Parlamento italiano Senato della Repubblica

Legislatura Gruppo

I, IX, X Partito Socialista Italiano Senatore a vita

Investitura Data

Senatore di diritto 29 giugno 1985 Incarichi parlamentari

Presidente del Gruppo PSI (8 maggio 1948 – 24 giugno 1953)

Membro della giunta delle elezioni (8 maggio 1948 – 24 giugno 1953)

Membro della terza Commissione permanente (Affari esteri e colonie) (17 giugno 1948 – 6 luglio 1948)

Membro della quarta Commissione permanente (Difesa) (7 luglio 1948 – 4 agosto 1948)

Presidente della quarta Commissione permanente (Difesa) (5 agosto 1948 – 24 giugno 1953)

Membro della Commissione speciale ddl funerali e tumulazione V.E. Orlando (3 dicembre 1952 – 5 gennaio 1953)

Membro della Commissione di vigilanza sulle condizioni dei detenuti negli stabilimenti carcerari (5 aprile 1949 – 20 ottobre 1949)

Membro del Gruppo PSI (29 giugno 1985 – 1º luglio 1987)

Membro terza Commissione permanente (Affari esteri) (9 luglio 1985 – 1º luglio 1987)

Presidente provvisorio del Senato (2 luglio 1987 – 2 luglio 1987)

Membro del Gruppo PSI (9 luglio 1987 – 24 febbraio 1990)

Membro terza Commissione permanente (Affari esteri, emigrazione) (1º agosto 1987 – 27 settembre 1989)

Membro terza Commissione permanente (Affari esteri, emigrazione) (27 settembre 1989 – 24 febbraio 1990)

Pagina istituzionale

[2]


Sandro Pertini

3

on. Sandro Pertini

Parlamento italiano Camera dei deputati

Luogo nascita

San Giovanni (Stella)

Data nascita

25 settembre 1896

Luogo morte

Roma

Data morte

24 febbraio 1990 (93 anni)

Legislatura

II, III, IV, V, VI, VII

Gruppo Circoscrizione

Partito Socialista Italiano Genova - Imperia - La Spezia - Savona Incarichi parlamentari

Presidente della Camera dei deputati (5 giugno 1968 – 25 maggio 1976) Pagina istituzionale

[3]

« Non vi può essere vera libertà senza la giustizia sociale, come non vi può essere vera giustizia sociale senza libertà. » (Sandro Pertini)

« I giovani non hanno bisogno di prediche, i giovani hanno bisogno, da parte degli anziani, di esempi di onestà, di coerenza [4] e di altruismo. » (Sandro Pertini, Messaggio di fine anno agli italiani del Presidente Pertini, 31 dicembre 1978)

Alessandro Pertini detto Sandro (San Giovanni di Stella, 25 settembre 1896 – Roma, 24 febbraio 1990) è stato un politico, giornalista e antifascista italiano. Fu il settimo presidente della Repubblica Italiana, in carica dal 1978 al 1985, il secondo socialista (dopo Giuseppe Saragat) a ricoprire la carica. Durante la prima guerra mondiale, Pertini combatté sul fronte dell'Isonzo, e per diversi meriti sul campo gli fu conferita una medaglia d'argento al valor militare nel 1917. Congedato con il grado di capitano, nel dopoguerra aderì al Partito Socialista Italiano e si distinse per la sua energica opposizione al fascismo. Perseguitato per il suo impegno politico contro la dittatura di Mussolini, nel 1925 fu condannato a otto mesi di carcere, e quindi costretto a un periodo di esilio in Francia per evitare una seconda condanna. Continuò la sua attività antifascista anche all'estero e per questo, dopo essere rientrato sotto falso nome in Italia nel 1929, fu arrestato e condannato dal Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato prima alla reclusione e successivamente al confino. Nel 1943, alla caduta del regime fascista, fu liberato, e partecipò alla battaglia di Porta San Paolo nel tentativo di difendere Roma dall'occupazione tedesca. Contribuì poi a ricostruire il vecchio PSI fondando insieme a Pietro Nenni il Partito Socialista Italiano di Unità Proletaria. Nello stesso anno fu catturato dalle SS e condannato a morte, ma riuscì a salvarsi grazie a un intervento dei partigiani delle Brigate Matteotti. Divenne in seguito una delle personalità di primo piano della Resistenza italiana e fu membro della giunta militare del Comitato di Liberazione Nazionale in rappresentanza del PSIUP. Da partigiano fu attivo soprattutto a Roma, in Toscana, Val d'Aosta e Lombardia, distinguendosi in diverse azioni che gli valsero una medaglia d'oro al valor militare. Nell'aprile 1945 partecipò agli eventi che portarono alla liberazione dal nazifascismo, organizzando l'insurrezione di Milano, e votando il decreto che condannò a morte Mussolini e altri gerarchi fascisti.


Sandro Pertini

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Nell'Italia repubblicana fu eletto deputato all'Assemblea Costituente per i socialisti, quindi senatore nella prima legislatura e deputato in quelle successive, sempre rieletto dal 1953 al 1976. Ricoprì per due legislature consecutive, dal 1968 al 1976, la carica di Presidente della Camera dei deputati, per essere infine eletto Presidente della Repubblica Italiana l'8 luglio 1978. Andando spesso oltre il semplice ruolo istituzionale, il suo mandato presidenziale fu caratterizzato da una forte impronta personale che gli valse una notevole popolarità, tanto da essere spesso ricordato come il "presidente più amato dagli italiani".[5][6][7]

La gioventù Nacque da una famiglia benestante (il padre Alberto, che morì giovane, era proprietario terriero), quarto di cinque fratelli: il primogenito Luigi, pittore; Marion, che sposò un diplomatico italiano; Giuseppe, detto "Pippo", ufficiale di carriera; ed Eugenio, che durante la seconda guerra mondiale fu deportato e morì nel campo di concentramento di Flossenbürg. Sandro Pertini, molto legato alla madre Maria Muzio, fece i suoi primi studi presso il collegio dei salesiani "Don Bosco" di Varazze, e successivamente al Liceo Ginnasio "Gabriello Chiabrera" di Savona, dove ebbe come professore di filosofia Adelchi Baratono, socialista Sandro, in piedi, con la madre, il padre, la sorella riformista e collaboratore di Critica Sociale di Filippo Turati, che Marion e il fratello Eugenio contribuì ad avvicinarlo al socialismo ed agli ambienti del movimento [8] operaio ligure . Del professor Baratono Pertini conserverà un insegnamento al quale rimarrà fedele: « Se non vuoi mai smarrire la strada giusta resta sempre a fianco della classe lavoratrice nei giorni di sole e nei giorni di tempesta. » [9][10]

(Discorso del Presidente Pertini ai lavoratori dell'Italsider. Savona, 20 gennaio 1979

)

Nel 1915, allo scoppio della Grande Guerra, venne chiamato alle armi nel 25º reggimento di artiglieria da campagna e inviato sul fronte dell'Isonzo nell'aprile di due anni dopo. Seppur diplomato, prestò inizialmente servizio come soldato semplice, essendosi rifiutato, come molti altri socialisti neutralisti del periodo, di fare il corso per ufficiali. Nel 1917 tuttavia, a seguito di una direttiva del Cadorna che obbligava tutti i possessori di titolo di studio a prestare servizio come ufficiali, frequentò il corso a Peri di Dolcè.[11] Venne dunque inviato nuovamente sull'Isonzo come sottotenente di complemento, distinguendosi per alcuni atti di eroismo: fu decorato con la medaglia d'argento al valor militare per aver guidato, nell'agosto del 1917, un assalto al monte Jelenik durante la battaglia della Bainsizza. Tuttavia, dopo la guerra, congedato con il grado di capitano, non gli fu consegnata la decorazione poiché il regime fascista occultò tale merito a causa della sua militanza socialista[12]. Nel 1918, a guerra finita, Sandro Pertini si iscrisse al Partito Socialista Italiano, nella federazione di Savona, aderendo alla corrente riformista di Filippo Turati. Nell'ottobre 1920 venne eletto consigliere comunale di Stella e nel 1921 fu tra i delegati al Congresso socialista di Livorno che sancì la scissione del partito e la nascita del Partito Comunista d'Italia[13]. Nel 1922 aderì infine alla scissione della corrente turatiana per aderire al neonato Partito Socialista Unitario[11].


Sandro Pertini

5 Dopo aver sostenuto dodici esami a Genova, nel 1923 si iscrisse, ventisettenne, alla facoltà di giurisprudenza dell'ateneo di Modena: qui sostenne in tre mesi i rimanenti sei esami e si laureò (105 su 110) con una tesi su L'industria siderurgica in Italia[14]. In seguito si trasferì a Firenze, ospite del fratello Luigi, e si iscrisse all'Istituto Universitario "Cesare Alfieri" conseguendo nel 1924 la seconda laurea, in scienze sociali, con una tesi dal titolo La Cooperazione. A Firenze, entrò in contatto con gli ambienti dell'interventismo democratico e socialista vicini a Gaetano Salvemini, ai fratelli Rosselli e a Ernesto Rossi, e in quel periodo aderì al movimento di opposizione al fascismo "Italia Libera".

L'antifascismo Pertini aspirante ufficiale del Regio Esercito alla Scuola Mitraglieri Fiat di Brescia.

La prima condanna Ostile fin dall'inizio al regime fascista, per la sua attività politica fu spesso bersaglio di aggressioni squadriste: il suo studio di avvocato a Savona fu devastato diverse volte[15], mentre in un'altra occasione fu picchiato perché indossava una cravatta rossa, oppure ancora per aver deposto una corona di alloro dedicata alla memoria di Giacomo Matteotti[16]. Il 22 maggio 1925 venne arrestato per aver distribuito un opuscolo clandestino, stampato a sue spese, dal titolo Sotto il barbaro dominio fascista[11], in cui denunciava le responsabilità della monarchia verso l'instaurazione del regime fascista, le illegalità e le violenze del fascismo stesso, nonché la sfiducia nell'operato del Senato del Regno, composto in maggioranza da filofascisti, chiamato a giudicare in Alta Corte di Giustizia l'eventuale complicità del generale Emilio De Bono riguardo all'omicidio di Giacomo Matteotti.

Pertini nei primi anni venti.

Giuseppe ed Eugenio Pertini


Sandro Pertini

Non si conosce molto dei fratelli di Pertini, tuttavia su due di essi, Giuseppe ed Eugenio, la cui vicenda si sviluppa appunto tra gli anni dell'antifascismo e della Resistenza, Sandro Pertini gettò una luce in una famosa intervista concessa ad Oriana Fallaci nel 1973.[17] Giuseppe Pertini, fratello maggiore di Sandro, fu ufficiale di carriera durante la prima guerra mondiale. Nel 1923 si iscrisse al Partito Fascista; tra i due fratelli si produsse così una totale frattura che si ricompose parzialmente solo nel 1925, dopo il primo arresto di Sandro. Dopo il secondo arresto, nel 1926, Giuseppe abbandonò definitivamente il fascismo. Di lì a poco sarebbe morto, a 41 anni, di infarto: "di crepacuore" dirà in seguito Pertini.

Eugenio Pertini Eugenio Pertini, quasi coetaneo di Sandro, era sempre stato molto legato a lui. Ancora giovane emigrò in America per lavoro, per tornare durante il periodo di prigionia del fratello. Un giorno del 1944 gli giunse la notizia che Sandro era stato fucilato a Forte Boccea[18]. In seguito a ciò Eugenio si iscrisse al Partito Comunista ed entrò nella Resistenza; arrestato mentre attaccava dei manifesti contro i nazisti fu portato prima nel campo di transito di Bolzano e quindi a Flossenbürg, dove morì, fucilato, il 25 aprile del 1945, proprio mentre avveniva l'insurrezione di Milano[19]. In seguito a questo, fu aperto a suo nome un fascicolo al Casellario Politico Centrale[20] e venne accusato di «istigazione all'odio tra le classi sociali» secondo l'articolo 120 del Codice Zanardelli, oltre che dei reati di stampa clandestina, oltraggio al Senato e lesa prerogativa della irresponsabilità del re per gli atti di governo. Pertini, sia nell'interrogatorio dopo l'arresto, sia in quello condotto dal procuratore del Re, nonché all'udienza pubblica davanti al Tribunale di Savona, rivendicò il proprio operato assumendosi ogni responsabilità e dicendosi disposto a proseguire nella lotta contro il fascismo e per il socialismo e la libertà, qualunque fosse la condanna a cui andava incontro[21]. Fu condannato, il 3 giugno 1925, a otto mesi di detenzione e al pagamento di un'ammenda per i reati di stampa clandestina, oltraggio al Senato e lesa prerogativa regia, ma fu assolto per l'accusa di istigazione all'odio di classe. La condanna non attenuò la sua attività, che riprese appena liberato. Nel novembre 1926, dopo il fallito attentato di Anteo Zamboni a Mussolini, come altri antifascisti in tutta Italia, fu oggetto di nuove violenze da parte dei fascisti (il 31 ottobre 1926, dopo un comizio, durante un'aggressione di squadristi gli era stato spezzato il braccio destro[13]) e si trovò costretto ad abbandonare Savona per riparare a Milano. Il 4 dicembre 1926, in applicazione delle cosiddette leggi eccezionali "fascistissime", Pertini, definito «un avversario irriducibile dell'attuale Regime», venne assegnato al confino di polizia per la durata di cinque anni, il massimo della pena previsto dalla legge[22].

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L'esilio ed il periodo clandestino Per sfuggire alla cattura, il 12 dicembre 1926, da Milano espatriò clandestinamente verso la Francia assieme a Filippo Turati, con l'aiuto di Carlo Rosselli, Ferruccio Parri e Adriano Olivetti[23]. La fuga avvenne con una traversata in motoscafo guidato da Italo Oxilia[24] da Savona verso la Corsica; gli altri componenti del gruppo furono comunque arrestati e processati al loro rientro in Italia e gli stessi Pertini e Turati furono condannati in contumacia a dieci mesi di arresto[25]. Dopo aver passato alcuni mesi a Parigi, si stabilì definitivamente a Nizza, mantenendosi con lavori diversi (dal manovale al muratore e fino alla comparsa cinematografica), e divenne un esponente di spicco tra gli esiliati, svolgendo attività di propaganda contro il regime fascista, con scritti e conferenze, nonché partecipando alle riunioni della "'Lega Italiana dei Diritti dell'Uomo" e a quelle della "Concentrazione Antifascista"[26].

In esilio a Nizza, con i compagni di lavoro.

Nell'aprile del 1926 impiantò, in un villino preso in affitto ad Eza, vicino Nizza, una stazione radio clandestina allo scopo di mantenersi in corrispondenza con i compagni in Italia, per potere comunicare e ricevere notizie; ottenne i fondi dalla vendita di una sua masseria in Italia. Scoperto dalla polizia francese, subì un procedimento penale e fu condannato a un mese di reclusione, pena poi sospesa con la condizionale, dietro il pagamento di un'ammenda[27].

Il suo esilio francese terminò nel marzo 1929, quando partì da Nizza e, munito di passaporto falso portante la sua fotografia ed intestato al nome del cittadino svizzero Luigi Roncaglia, varcò la frontiera dalla stazione di Chiasso il 26 marzo 1929 e rientrò in Italia.

Il rientro in Italia, la cattura ed il carcere Il suo scopo era quello di riorganizzare le file del partito socialista e stabilire contatti con gli altri partiti antifascisti, tra cui i democratici di "Nuova Libertà". In contatto con gli antifascisti della "Concentrazione", visitò Novara, Torino, Genova, La Spezia, Piacenza, Parma, Reggio Emilia, Bologna, Roma, Firenze e Napoli, ed alla fine, nelle relazioni inviate a Parigi, comunicò che era possibile potenziare la rete socialista. Conclusione diversa da quella pessimista di Fernando De Rosa, che aveva viaggiato attraverso la penisola prima di lui.[28] Si recò in seguito a Milano per progettare un attentato alla vita di Mussolini, ed incontrò a questo scopo l'ingegner Vincenzo Calace che, come dichiarò in seguito, «gli confidò di essere in grado di costruire bombe a orologeria ad alto potenziale». Il progetto prevedeva di servirsi delle fognature sotto Palazzo Venezia, ma fu scartato poiché attraverso amici di Ernesto Rossi si scoprì che erano sorvegliate e protette da allarmi. Pertini tentò comunque di proseguire nel suo intento: incontrò a Roma il socialista Giuseppe Bruno per raccogliere informazioni e, una volta rientrato a Milano, fissò un incontro con Rossi.[29] Il 14 aprile 1929 andò a Pisa per incontrarlo ma, in corso Vittorio Emanuele (attuale corso Italia), fu riconosciuto per caso da un esponente fascista di Savona, tale Icardio Saroldi, e fu quindi arrestato da un piccolo gruppo di camicie nere[27][30][31]. Il 30 novembre 1929 fu condannato dal Tribunale Speciale per la difesa dello Stato a dieci anni e nove mesi di reclusione e a tre anni di vigilanza speciale, per aver «svolto all'estero attività tali da recare nocumento agl'interessi nazionali», nonché per «contraffazione di passaporto straniero»[26]. Durante il processo Pertini rifiutò di difendersi, non riconoscendo l'autorità di quel tribunale e considerandolo solo un'espressione di partito, esortando invece la corte a passare direttamente alla condanna già stabilita. Durante la pronuncia della sentenza si alzò gridando: «Abbasso il fascismo! Viva il socialismo!»[13].


Sandro Pertini

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Il carcere di Santo Stefano come si presenta oggi

Pertini ha così ricordato una delle sue giornate di carcere all'ergastolo di Santo Stefano

«La sveglia suona: è l'alba. Dal mare giunge un canto d'amore, da lontano il suono delle campane di Ventotene. Guardo il cielo, azzurro come non mai, senza una nuvola, e d'improvviso un soffio di vento mi investe, denso di profumo dei fiori sbocciati durante la notte. È l'inizio della primavera. Quei suoni, e il profumo del vento, e il cielo terso, mi danno un senso di vertigine. Ricado sul mio giaciglio. Acuto, doloroso, mi batte nelle vene il rimpianto della mia giovinezza che giorno per giorno, tra queste mura, si spegne. La volontà lotta contro il doloroso smarrimento. È un attimo: mi rialzo, mi getto l'acqua gelida in viso. Lo smarrimento è vinto, la solita vita riprende: rifare il letto, pulire la cella, far ginnastica, leggere, studiare...».[32][33] Fu internato nel carcere dell'isola di Santo Stefano, ma dopo poco più di un anno di detenzione, il 10 dicembre 1930, fu trasferito, a causa delle precarie condizioni di salute, alla casa penale di Turi. A causare il trasferimento non fu estranea una campagna di proteste e denunce all'estero, in particolare in Francia, dopo che alcune notizie sulla sua salute erano trapelate all'esterno, grazie ad alcuni compagni di carcere comunisti[34]. A Turi, unico socialista recluso, condivise la cella con Athos Lisa e Giovanni Lai. Conobbe inoltre Antonio Gramsci, al quale fu stretto da grande amicizia e ammirazione intellettuale e dalla condivisione delle sofferenze della reclusione: ne divenne confidente, amico e sostenitore. Pertini stesso fu anche autore di diverse proteste e lettere finalizzate ad alleviare le condizioni carcerarie cui era sottoposto Gramsci[13]. Nel novembre del 1931 fu trasferito presso il sanatorio giudiziario di Pianosa ma, nonostante il trasferimento, le sue condizioni di salute non migliorarono ancora, al punto che la madre presentò domanda di grazia alle autorità. Pertini, non riconoscendo l'autorità fascista e quindi il tribunale che lo aveva condannato, si dissociò pubblicamente dalla domanda di grazia con parole molto dure, sia per la madre che per il presidente del Tribunale Speciale[13][35]. « Perché mamma, perché? Qui nella mia cella di nascosto, ho pianto lacrime di amarezza e di vergogna - quale smarrimento ti ha sorpresa, perché tu abbia potuto compiere un simile atto di debolezza? E mi sento umiliato al pensiero che tu, sia pure per un solo istante, abbia potuto supporre che io potessi abiurare la mia fede politica pur di riacquistare la libertà. Tu che mi hai sempre compreso che tanto andavi orgogliosa di me, hai potuto pensare questo? Ma, dunque, ti sei improvvisamente così [36] allontanata da me, da non intendere più l'amore, che io sento per la mia idea? »


Sandro Pertini Il 10 settembre 1935, dopo sei anni di prigione, venne trasferito a Ponza come confinato politico[37] e il 20 settembre 1940, pur avendo ormai scontato la sua condanna, giudicato «elemento pericolosissimo per l'ordine nazionale», venne riassegnato al confino per altri cinque anni da trascorrere a Ventotene[38] dove incontrò, tra gli altri, Altiero Spinelli, Umberto Terracini, Pietro Secchia ed Ernesto Rossi. Nel 1938, gli fu dedicata la tessera del PSI, assieme a Rodolfo Morandi e a Antonio Pesenti, prigionieri anche loro nelle carceri fasciste[39].

La Resistenza partigiana Il ritorno alla libertà e alla lotta Riacquistò la libertà solo il 13 agosto 1943, pochi giorni dopo la caduta del fascismo. Inizialmente il provvedimento avrebbe dovuto escludere i confinati comunisti; Pertini si adoperò comunque per ottenere in breve tempo anche la loro liberazione[40][41]. Andò a far visita alla madre e poi ritornò subito a Roma, per contribuire alla ricostruzione del partito socialista e riprendere la lotta antifascista; il 23 agosto partecipò infatti alla fondazione del PSIUP dall'unione del PSI con il MUP, con Pietro Nenni come segretario[42]. Il 25 fu eletto con Carlo Andreoni vicesegretario, per occuparsi dell'organizzazione militare del partito a Roma. In seguito fece parte della giunta militare del CLN con Giorgio Amendola (PCI), Riccardo Bauer (PdA), Giuseppe Spataro (DC), Manlio Brosio (PLI) e Mario Cevolotto (DL). Pochi giorni dopo l'8 settembre, partecipò ai combattimenti contro i tedeschi a Porta San Paolo per la difesa di Roma, insieme a Luigi Longo, Emilio Lussu e Giuliano Vassalli[40]. Il 15 ottobre, nuovamente in clandestinità, venne tuttavia catturato dalle SS, assieme a Giuseppe Saragat, e condannato a morte per la sua attività partigiana, ma la sentenza non venne eseguita grazie all'azione dei partigiani delle Brigate Matteotti che, il 25 gennaio 1944, permise la loro fuga dal carcere di Regina Coeli. L'azione, dai connotati rocamboleschi, fu ideata e diretta da Giuliano Vassalli, che si trovava presso il tribunale militare italiano, con l'aiuto di diversi partigiani socialisti, tra cui Giuseppe Gracceva, Massimo Severo Giannini, Filippo Lupis, Ugo Gala e il medico Sandro Pertini e Giuseppe Saragat in una foto del 1979 del carcere Alfredo Monaco[43][44]. Si riuscì così prima a far passare Saragat e Pertini dal "braccio" tedesco a quello italiano e quindi a produrre degli ordini di scarcerazione falsi, redatti dallo stesso Vassalli, per la loro liberazione (a conferma dell'ordine arrivò anche una falsa telefonata dalla questura, fatta da Marcella Monaco, moglie di Alfredo Monaco[45]). I due furono dunque scarcerati insieme a Luigi Andreoni e a quattro ufficiali badogliani. Pertini stesso narrò in seguito questi fatti anche in un'intervista rilasciata ad Oriana Fallaci nel 1973, aggiungendo che dovette impuntarsi per far uscire insieme a lui e Saragat anche i badogliani e che quando Nenni lo seppe sbottò: «Ma fate uscire Peppino! Sandro il carcere lo conosce, c'è abituato».[17]

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L'azione di via Rasella Dopo un sanguinoso attacco condotto il 10 marzo 1944 dai GAP contro una colonna fascista in via Tomacelli, gli altri partiti del CLN si congratularono con i comunisti per l'audace azione condotta nel cuore di Roma[46]. Il successo delle azioni partigiane dei mesi precedenti portò quindi alla comune decisione di colpire nuovamente e più duramente i nazifascisti. In questo contesto, scrisse in seguito Amendola, «Pertini, che mordeva il freno e che, nel suo ben noto patriottismo di partito, era geloso delle prove crescenti di capacità e di audacia date dai Gap, chiese che si concordasse un'azione armata unitaria».

Soldati tedeschi in via Rasella dopo l'agguato

Fu pertanto concordato un attacco contemporaneo contro il carcere di via Tasso e contro il corteo fascista previsto per il 23 marzo, anniversario della fondazione del Fascio. L'annullamento all'ultim'ora del corteo fascista[47] e il ritardo nel pianificare l'assalto a via Tasso indussero i GAP, guidati da Amendola[48], ad attuare comunque un'azione da essi pianificata autonomamente e prevista per il 21 marzo[49]. Di tale azione gli altri membri della giunta del CLN (tra cui lo stesso Pertini) non furono informati preventivamente per «ragioni di sicurezza cospirativa», secondo quanto dichiarato dallo stesso Amendola[50]. Il 23 marzo 1944 fu così eseguito l'Attentato di via Rasella, cui i tedeschi reagirono (appena 21 ore dopo, il 24) con l'eccidio delle Fosse Ardeatine. Tre giorni dopo, il 26 marzo, una volta nota l'entità dell'eccidio, la giunta militare del CLN fu sul punto di spaccarsi: Amendola voleva che il comitato approvasse ufficialmente l'azione, ma il democristiano Spataro si oppose e chiese al contrario di emanare un comunicato di dissociazione. Pertini, per motivi opposti, adirato protestò per non essere stato avvertito[51], essendo previste proprio per quel giorno, carico di significato politico, le suddette azioni comuni. A quel punto, a fronte di possibili ripercussioni sulla coesione del CLN[52][53], Pertini, Bauer e Brosio respinsero la proposta di Spataro, ma la giunta non accolse neanche la richiesta del rappresentante comunista[48][54]. Per il suo ruolo di membro della giunta militare del CLN, nel 1948 Pertini fu chiamato a testimoniare, insieme a Bauer ed Amendola, al processo di Herbert Kappler (il responsabile della strage delle Fosse Ardeatine). Al processo i tre confermarono che l'attacco fu conforme alle disposizioni del CLN.[55] Nel 1977, Pertini ribadì in un'intervista sia la sua estraneità alla decisione di sferrare l'attacco, sia la sua adesione alla stessa una volta realizzata[56][57]: « Le azioni contro i tedeschi erano coperte dal segreto cospirativo. L'azione di via Rasella fu fatta dai Gap comunisti. Naturalmente io non ne ero al corrente. L'ho però totalmente approvata quando ne venni a conoscenza. Il nemico doveva essere colpito dovunque si trovava. Questa era la legge della guerra partigiana. Perciò fui d'accordo, a posteriori, con la decisione che era partita da Giorgio Amendola. »

Anche Riccardo Bauer, in alcuni scritti raccolti da Arturo Colombo nel 1997, dichiarò che l'obiettivo del CLN era «rendere impossibile la vita a tedeschi e fascisti dentro e fuori la città di Roma» e che quindi l'attacco «appare come episodio organico», e precisando che l'attentato venne «preparato e attuato dai comunisti senza specifico accordo con la Giunta Militare», ma che a fatto compiuto «tutti i rappresentanti del CLN furono concordi nel considerarlo "legittima azione di guerra"».[58] Tuttavia, nel 1994, quattro anni dopo la morte di Pertini, l'ex ministro Matteo Matteotti, figlio di Giacomo ed a quell'epoca partigiano socialista, dichiarò che dopo la liberazione Pertini gli disse che «non era stato favorevole ad un'azione militare di gappisti contro un reparto militare perché temeva che ci fossero delle rappresaglie


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sproporzionate rispetto all'efficacia dell'azione», e che in quell'occasione «prevalse la tesi di Giorgio Amendola, che era convinto della necessità di dare una dimostrazione di forza». Matteotti affermò inoltre che «Pertini era invece favorevole ad una manifestazione davanti al Messaggero contro la prospettiva che Roma diventasse teatro di guerra e voleva che il coraggio della gente si potesse manifestare con una chiara protesta contro le truppe occupanti, ma con l'intento di non arrivare ad uno scontro armato».[59] Ancora, nel 1997, Massimo Caprara, ex segretario personale del fondatore del PCI Palmiro Togliatti, dichiarò che oltre allo stesso Togliatti «anche Sandro Pertini si rifiutò di dare la sua solidarietà» a chi partecipò all'azione.[60]

Dalla liberazione di Roma a quella di Firenze Nel maggio del 1944, si diresse dunque a Milano con Guido Mazzali per partecipare attivamente alla Resistenza come membro della giunta militare centrale del CLNAI e con l'intento politico di riorganizzare il partito socialista e la propaganda clandestina nelle regioni settentrionali[13]. Assieme a Ugo La Malfa fu uno strenuo oppositore della svolta di Salerno rispetto alla pregiudiziale repubblicana.[61] Nel luglio del 1944, dopo la liberazione di Roma, venne richiamato da Nenni al rientro nella capitale. Gli ordini erano di mettersi in contatto, a Genova, con il monarchico Edgardo Sogno che lo avrebbe messo in contatto con gli alleati per farlo rientrare a Roma con un volo dalla Corsica. La situazione tuttavia si complicò: arrivato a Genova non trovò l'imbarcazione per raggiungere la Corsica, quindi cercò di attivarsi con Sogno per una soluzione alternativa[62]. Pertini, che aveva dei contatti con i partigiani di La Spezia, partì con l'intento di trovare nella città ligure il mezzo adatto al viaggio. E così fu, ma occorreva aspettare qualche giorno. Tornò a Genova ma venne a sapere che Sogno aveva già trovato un motoscafo ed era partito con altre persone per la Corsica lasciandolo al suo destino. Pertini si trovò quindi abbandonato, in territorio occupato, con una condanna a morte pendente e, nella sua Liguria, facilmente riconoscibile, con l'ordine di rientrare a Roma. Decise di riparare nuovamente alla Spezia per cercare comunque di raggiungere la capitale: riuscì ad ottenere, da un industriale che riforniva i tedeschi, un lasciapassare per raggiungere Prato, dopodiché da solo raggiunse Firenze a piedi.[62] A Firenze si mise in contatto con il professore Gaetano Pieraccini, nel suo studio di via Cavour, grazie al quale riuscì a trovare rifugio in via Ghibellina. L'11 agosto prese parte agli scontri per la liberazione della città, organizzando l'azione del partito socialista e la stampa delle prime copie dell'Avanti!.

Il rientro al Nord e la liberazione di Milano Arrivato a Roma capì presto che la sua presenza era inutile e manifestò l'intenzione di tornare al nord, dove era il segretario del Partito Socialista per tutta l'Italia occupata e faceva parte del Comitato di Liberazione Nazionale per l'Alta Italia in rappresentanza del partito[63]. Gli furono forniti dei documenti falsi, una patente di guida a nome di Nicola Durano, e con un volo aereo venne trasferito da Napoli a Lione, poi a Digione e, una volta arrivato a Chamonix, entrò in contatto con la Resistenza francese. Il percorso di rientro fu previsto attraverso il Monte Bianco e fu condotto sul Col du

Il documento falso usato da Pertini durante la Resistenza


Sandro Pertini Midi assieme a Cerilo Spinelli, il fratello di Altiero, con una teleferica portamerci, per poi intraprendere l'attraversata del Mer de Glace e prendere contatto con i partigiani valdostani, grazie all'aiuto del campione francese di sci Émile Allais. Arrivò ad Aosta e poi ad Ivrea, evitando pattuglie e posti di blocco dei tedeschi, fino a Torino e quindi a Milano[64]. Il 29 marzo del 1945 costituì, con Leo Valiani per il Partito d'Azione ed Emilio Sereni per il PCI (supplente di Luigi Longo), un comitato militare insurrezionale in seno al CLNAI con lo scopo di preparare l'insurrezione di Milano e l'occupazione della città. Il 25 aprile 1945 fu lo stesso Pertini a proclamare alla radio[65] lo sciopero generale insurrezionale della città: « Cittadini, lavoratori! Sciopero generale contro l'occupazione tedesca, contro la guerra fascista, per la salvezza delle nostre terre, delle nostre case, delle nostre officine. Come a Genova e a Torino, ponete i tedeschi di fronte al dilemma: arrendersi o perire. » ()

Alle 8 del mattino del 25 aprile, il Comitato di Liberazione Nazionale dell'Alta Italia si riunì presso il collegio dei Salesiani in via Copernico a Milano. L'esecutivo, presieduto da Luigi Longo, Emilio Sereni, Sandro Pertini e Leo Valiani (presenti tra gli altri anche Rodolfo Morandi – che venne designato presidente del CLNAI –, Giustino Arpesani e Achille Marazza), proclamò ufficialmente l'insurrezione, la presa di tutti i poteri da parte del CLNAI e la condanna a morte per tutti i gerarchi fascisti[66] (tra cui ovviamente Mussolini, che sarebbe stato raggiunto e fucilato tre giorni dopo). Il decreto, trasmesso via radio, recitava: « I membri del governo fascista ed i gerarchi del fascismo colpevoli di aver soppresso le garanzie costituzionali e di aver distrutto le libertà popolari, creato il regime fascista, compromesso e tradito le sorti del Paese e di averlo condotto all'attuale catastrofe, sono puniti con la pena di morte e nei casi meno gravi con l'ergastolo. » (Decreto del CLNAI, 25 aprile 1945)

Tale risoluzione era però in conflitto con l'articolo 29 dell'armistizio di Cassibile, secondo il quale Mussolini avrebbe dovuto essere consegnato agli Alleati: « Benito Mussolini, i suoi principali associati fascisti e tutte le persone sospette di aver commesso delitti di guerra o reati analoghi, i cui nomi si trovino sugli elenchi che verranno comunicati dalle Nazioni Unite e che ora o in avvenire si trovino in territorio controllato dal Comando militare alleato o dal Governo italiano, saranno immediatamente arrestati e consegnati [67] alle Forze delle Nazioni Unite. Tutti gli ordini impartiti dalle Nazioni Unite a questo riguardo verranno osservati . »

Quello stesso giorno, presso l'arcivescovado di Milano, ci fu comunque un tentativo di mediazione richiesto da Mussolini e favorito dal cardinale Ildefonso Schuster. Don Giuseppe Bicchierai, segretario dell'arcivescovo, si curò di contattare il CLNAI; alla riunione con Mussolini (con lui, tra gli altri, Rodolfo Graziani e Carlo Tiengo), nel primo pomeriggio, parteciparono inizialmente Raffaele Cadorna (comandante del Corpo volontari della libertà), Riccardo Lombardi, Giustino Arpesani e Achille Marazza. Pertini non fu rintracciato in quanto era impegnato in un comizio nella fabbrica insorta della Borletti[68][69]. Nel colloquio cominciò a palesarsi la possibilità di un accordo: il CLNAI avrebbe accettato la resa, garantendo la vita ai fascisti, considerando Mussolini prigioniero di guerra e quindi consegnandolo agli Alleati[70]. Ad un certo punto però giunse la notizia che i tedeschi avevano già avviato trattative con gli alleati anglo-americani: Mussolini adirato disse di essere stato tradito dai tedeschi e abbandonò la riunione, con la promessa di comunicare entro un'ora le sue intenzioni.[71] In quegli istanti giunsero alla spicciolata Sandro Pertini, Leo Valiani ed Emilio Sereni, del comitato militare insurrezionale del CLNAI. Pertini, armato di pistola, incrociò sulle scale, per la prima e unica volta, Mussolini che scendeva, ma non lo riconobbe; in seguito scrisse sull'Avanti!: «lui scendeva le scale, io le salivo. Era emaciato, la faccia livida, distrutto».[72] Anni dopo, sulle colonne dello stesso giornale, dichiarò: «Se lo avessi riconosciuto lo avrei abbattuto lì, a colpi di rivoltella».[69] Giunto nella sala dell'arcivescovado, si ebbe tra Pertini (appoggiato da Sereni) e gli altri un veemente scambio di battute: Pertini chiese alla delegazione perché non avessero arrestato subito Mussolini[71]; richiese inoltre che

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Mussolini, una volta arresosi al CLNAI, fosse consegnato ad un tribunale del popolo e non agli alleati[70]. Carlo Tiengo, che era rimasto in arcivescovado, a questo punto telefonò a Mussolini comunicandogli le intenzioni dei due delegati del PSIUP e del PCI; ottenuta la risposta comunicò ai delegati e all'arcivescovo il rifiuto ad arrendersi di Mussolini[70], che la sera stessa partì in direzione del Lago di Como. Pertini associò sempre in massima parte a quell'intervento all'arcivescovado la causa del fallimento della trattativa e la conseguente morte del Duce. In particolare, nel 1965 scrisse: « Da tutto questo appare chiaro che il mio intervento presso il cardinale (intervento appoggiato solo dal compagno Emilio Sereni, ma con molta energia) spinse Mussolini a non arrendersi. E soprattutto appare chiaro che se la sera del 25 aprile il compagno Sereni ed io non fossimo andati all'arcivescovado e se quindi Mussolini si fosse arreso al CLNAI sarebbe stato [73] consegnato al colonnello inglese Max Salvadori , il che voleva dire consegnarlo di fatto agli alleati (ed oggi sarebbe qui, a [74] Montecitorio...). »

Tuttavia, secondo altre fonti, tale evento non avrebbe avuto un'influenza decisiva su una decisione (quella della partenza), di fatto già stabilita[75]. Il giorno dopo Pertini tenne un comizio in Piazza Duomo e poco dopo, a Radio Milano Libera, annunciò la vittoria dell'insurrezione e l'imminente fine della guerra. Il 27 aprile, fortemente convinto della necessità di condannare a morte il capo del fascismo, arrestato a Dongo il giorno precedente, disse alla radio:

26 aprile 1945. Pertini tiene un comizio nella Milano appena liberata

« Mussolini, mentre giallo di livore e di paura tentava di varcare la frontiera svizzera, è stato arrestato. Egli dovrà essere consegnato ad un tribunale del popolo, perché lo giudichi per direttissima. E per tutte le vittime del fascismo e per il popolo italiano dal fascismo gettato in tanta rovina egli dovrà essere e sarà giustiziato. Questo noi vogliamo, nonostante che pensiamo che per quest'uomo il plotone di esecuzione sia troppo onore. Egli meriterebbe di essere ucciso come un cane [76] tignoso. »

Il 28 aprile Mussolini fu fucilato ed il giorno dopo il suo cadavere, insieme a quello della sua compagna Claretta Petacci ed a quelli di altri gerarchi del regime sconfitto, fu esposto all'odio della folla a Piazzale Loreto. Pertini commentò: «L'insurrezione si è disonorata».[77] In seguito, riguardo alle vicende finali della vita del dittatore, scrisse sulle colonne dell'Avanti!: « Mussolini si comportò come un vigliacco, senza un gesto, senza una parola di fierezza. Presentendo l'insurrezione si era rivolto al cardinale arcivescovo di Milano chiedendo di potersi ritirare in Valtellina con tremila dei suoi. Ai partigiani che lo arrestarono offrì un impero, che non aveva. Ancora all'ultimo momento piativa di aver salva la vita per parlare alla radio e [72] denunciare Hitler che, a suo parere, lo aveva tradito nove volte. »

In ottemperanza al decreto del CLN, ordinò inoltre la fucilazione del maresciallo Rodolfo Graziani al partigiano Corrado Bonfantini, comandante della Brigata Matteotti che lo arrestò il 28 aprile. Bonfantini si adoperò invece per salvare la vita al generale fascista, che il giorno dopo si consegnò agli alleati.[78]


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Gli ultimi scontri nella città si sarebbero conclusi solo il 30 aprile.[79] Per le sue attività durante la Resistenza, e in particolare per la difesa di Roma e le insurrezioni di Firenze e di Milano, verrà insignito della medaglia d'oro al valor militare. Secondo Pertini, le emozioni provate durante la Liberazione di Milano furono un'esperienza che confermarono la sua idea della «capacità del popolo italiano di compiere le più grandi cose qualora fosse Partigiani sfilano per le strade di Milano animato dal soffio della libertà e del socialismo»[72]. Tuttavia, come spesso egli ricordava malinconicamente, mentre il 25 aprile partecipava alla festa per l'avvenuta liberazione, suo fratello minore Eugenio veniva assassinato nel campo di concentramento di Flossenbürg[19]. Il partigiano Giuseppe Marozin, detto "Vero", ha scritto nelle sue memorie che sarebbe stato Pertini ad ordinargli la fucilazione dei famosi attori Osvaldo Valenti e Luisa Ferida, avvenuta il 30 aprile in via Poliziano a Milano.[80] I due avevano aderito alla Repubblica Sociale Italiana; Valenti era un ufficiale della Xª Flottiglia MAS, ed erano entrambi accusati di aver partecipato alle azioni del gruppo di torturatori conosciuto come "Banda Koch". Secondo la ricostruzione dello scrittore Odoardo Reggiani, basata sulle dichiarazioni di Marozin al processo, Pertini avrebbe chiesto al partigiano: «A proposito, tu hai prigioniero anche Valenti?», ed alla sua risposta: «Sì, ho preso anche la Ferida. Li ho messi un poco fuori Milano, in un posto sicuro», avrebbe ordinato: «Allora fucilali; e non perdere tempo. Questo è l'ordine tassativo del CLN. Vedi di ricordartene».[81][82][83] L'8 giugno 1946 sposò la giornalista e staffetta partigiana Carla Voltolina, conosciuta pochi mesi prima, a Torino, dopo il passaggio del Monte Bianco per rientrare a Milano.

La carriera politica repubblicana Il dopoguerra Nell'agosto del 1945 Pertini divenne segretario del PSIUP, carica che ricoprì fino al dicembre dello stesso anno. Nelle file socialiste fu quindi eletto all'Assemblea Costituente[84] in cui intervenne nella stesura degli articoli del Titolo I, sui rapporti civili.

Pertini con Pietro Nenni nel 1947

Appoggiò inoltre il lavoro delle commissioni di epurazione e fu subito decisamente avverso all'attuazione dell'amnistia voluta da Togliatti nei confronti dei reati politici commessi dai responsabili dei crimini fascisti[85][86]; in tal senso, durante i lavori dell'assemblea, intervenne il 22 luglio 1946 con un'interrogazione parlamentare nei confronti del ministro di Grazia e Giustizia Fausto Gullo, che verteva sulle motivazioni dell'interpretazione largheggiante del provvedimento di amnistia, sull'inadempimento del governo De Gasperi nell'applicare il decreto di reintegro dei lavoratori antifascisti allontanati dal lavoro per motivi politici durante il regime, sull'emanazione di provvedimenti atti a difendere la Repubblica contro i suoi nemici[87]. Il suo intervento si concluse con alcune parole molto dure nei confronti del provvedimento e del governo:


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« Ricordiamo che l'epurazione è mancata: si disse che si doveva colpire in alto e non in basso, ma praticamente non si è colpito né in alto né in basso. Vediamo ora lo spettacolo di questa amnistia che raggiunge lo scopo contrario a quello per cui era stata emanata: pensiamo, quindi, che verrà un giorno in cui dovremo vergognarci di aver combattuto contro il fascismo e [87] costituirà colpa essere stati in carcere e al confino per questo. »

La sua azione politica in quel periodo mirava anche al raggiungimento delle riforme sociali necessarie al recupero del paese, devastato sia dall'esperienza fascista, sia dalle tragedie della guerra, ma soprattutto al tentativo di eliminare radicalmente qualsiasi possibile rigurgito del regime mussoliniano.[88] Durante il XXV Congresso del Partito Socialista di Unità Proletaria, svoltosi a Roma tra il 9 ed il 13 gennaio 1947, Pertini cercò di evitare la scissione con l'ala democratico-riformista di Giuseppe Saragat. Per giorni si pose al centro delle dispute nel tentativo di mediare tra le due correnti ma nonostante i suoi sforzi «la forza delle cose», come la definì Pietro Nenni, portò alla scissione socialista, meglio nota come "scissione di palazzo Barberini", da cui nacque il Partito Socialista dei Lavoratori Italiani. Nonostante fosse fautore dell'unità del movimento dei lavoratori e dell'"unità d'azione" con il Partito Comunista Italiano, tuttavia era anche un fervido sostenitore dell'autonomia socialista nei confronti del PCI. In tal senso si oppose, in seno al Partito Socialista Italiano (nato dalle ceneri del PSIUP dopo la scissione di Palazzo Barberini), alla presentazione di liste unitarie e alla costituzione del Fronte Democratico Popolare per le elezioni del 1948. Al XXVI Congresso di Roma del 19-22 gennaio 1948 la sua mozione fu tuttavia minoritaria: al prevalere della linea di Nenni, si adeguò alla maggioranza[11]. Pertini rientrò nella direzione nazionale del partito con XXVIII Congresso di Firenze del maggio 1949, divenendo anche, dal 1955 nuovamente vicesegretario. Sarebbe rimasto nella direzione fino al 1957 quando, al XXXII Congresso di Venezia, anche in seguito alla invasione sovietica dell'Ungheria, venne interrotta la collaborazione con il PCI.[89] Nella I legislatura, fu nominato senatore della Repubblica, in ossequio alla 3ª disposizione transitoria e finale della Costituzione, e divenne presidente del gruppo parlamentare socialista al Senato. Il 27 marzo 1949, durante la 583ª seduta del Senato, Pertini dichiarò il voto contrario del suo partito all'adesione al Patto Atlantico, perché inteso come uno strumento di guerra e in funzione antisovietica nell'intento di dividere l'Europa e di scavare un solco sempre più profondo per separare il continente europeo, e sottolineò come il Patto Atlantico avrebbe influenzato la politica interna italiana, con conseguenze negative per la classe operaia. In quella seduta difese anche la pregiudiziale pacifista del gruppo socialista, esprimendo la solidarietà nei confronti dei compagni comunisti – veri obbiettivi, a suo dire, del Patto Atlantico –, concludendo con le seguenti parole:

Pertini durante un comizio negli anni cinquanta

« Oggi noi abbiamo sentito gridare "Viva l'Italia" quando voi avete posto il problema dell'indipendenza della Patria. Ma non so quanti di coloro che oggi hanno alzato questo grido, sarebbero pronti domani veramente ad impugnare le armi per difendere la Patria. Molti di costoro non le hanno sapute impugnare contro i nazisti. Le hanno impugnate invece contadini e [90] operai, i quali si sono fatti ammazzare per la indipendenza della Patria! »


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Nel 1953, alla morte di Stalin, il suo intervento, in qualità di presidente del gruppo senatoriale socialista, celebrò il capo dell'URSS « Il compagno Stalin ha terminato bene la sua giornata, anche se troppo presto per noi e per le sorti del mondo. L'ultima sua parola è stata di pace. [...] Si resta stupiti per la grandezza di questa figura che la morte pone nella sua giusta luce. Uomini di ogni credo, amici e avversari, debbono oggi riconoscere l'immensa statura di Giuseppe Stalin. Egli è un gigante della storia e [91] la sua memoria non conoscerà tramonto. »

Fu successivamente eletto alla Camera dei deputati nel 1953, e poi ancora nel 1958, 1963, 1968, 1972 e nel 1976, nel collegio Genova-Imperia-La Spezia-Savona, per divenire presidente prima della Commissione Parlamentare per gli Affari Interni e poi di quella degli Affari Costituzionali, e nel 1963 vicepresidente della Camera dei deputati. Fu tra i politici che protestarono pubblicamente riguardo alla possibilità che si tenesse il congresso del Movimento Sociale Italiano nella città di Genova ed il 1º luglio 1960, denunciò alla Camera i soprusi delle forze dell'ordine nei confronti dei manifestanti, sia nel capoluogo ligure, sia in altre città d'Italia. I disordini portano pochi giorni dopo ai tragici fatti della Strage di Reggio Emilia. Per dare un esempio del suo attaccamento ai valori della Resistenza e dell'antifascismo, va ricordato un episodio avvenuto poco dopo la strage di Piazza Fontana, quando Pertini, Presidente della Camera dei deputati, si recò a Milano in visita ufficiale e, incontrando l'allora Sandro Pertini questore Marcello Guida, si rifiutò pubblicamente di stringergli la mano, ricordando l'attività di Guida come direttore del confino di Ventotene nel ventennio fascista[13], con un gesto che ruppe il protocollo e che ebbe un forte rilievo mediatico. Tuttavia, pochi anni dopo, lo stesso Pertini, intervistato da Oriana Fallaci, aggiunse che a determinare quel gesto non fu estraneo il fatto che su Guida «gravava l'ombra della morte» dell'anarchico Giuseppe Pinelli[17], avvenuta appunto quando Guida era questore di Milano. Politicamente fu tra coloro che non sostennero il centro-sinistra perché attraverso quell'accordo si sarebbero discriminati i comunisti, mettendo fine alla collaborazione tra i due principali partiti della sinistra. Ricostruì anzi in questa chiave (retrospettivamente, in una celebre intervista a Gianni Bisiach) le vicende del negoziato all'Arcivescovado che il CLNAI aveva tenuto con il cardinale Schuster per la fuga di Mussolini da Milano, prima del 25 aprile 1945: a suo dire si oppose al negoziato con l'argomento formale che il PCI di Longo non era stato invitato ai colloqui. Pertini, peraltro, non costituì mai nel PSI una propria corrente e vantava rapporti travagliati (quando non pessimi) con quasi tutti gli esponenti socialisti (disse di lui il compagno di partito Riccardo Lombardi: «cuore di leone, cervello di gallina»[92]). Fu inoltre direttore de L'Avanti dal 1946 al 1947 e dal 1949 al 1951. Dall'aprile del 1947 al giugno del 1968 fu anche direttore del quotidiano genovese Il Lavoro. Nella V e VI Legislatura, ricoprì l'incarico di Presidente della Camera dei deputati, risultando il primo uomo politico non democristiano e di sinistra a ricoprire tale incarico. Durante l'elezione del Capo dello Stato del 1971, che si protraeva per molti scrutini senza alcun esito, da Presidente del Parlamento in seduta comune vietò il controllo del voto imposto dai notabili democristiani che pretendevano che i singoli parlamentari dc mostrassero la scheda bianca prima del suo deposito nell'urna: l'iniziativa, a salvaguardia della segretezza del voto, nell'immediato determinò una sollecitazione decisiva per lo scioglimento dei nodi politici che produssero l'elezione di Giovanni Leone, ma a lungo termine gli guadagnò la stima dell'opinione pubblica come Presidente d'Assemblea che svolgeva il suo compito in modo non notarile.


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Nella primavera del 1978, durante il sequestro Moro, Pertini, a differenza della maggioranza del partito socialista, fu un sostenitore della cosiddetta «linea della fermezza» nei confronti dei sequestratori, ovvero il rifiuto totale della trattativa con le Brigate Rosse.

La presidenza della Repubblica L'elezione del settimo presidente della Repubblica iniziò il 29 giugno 1978 a seguito delle dimissioni di Giovanni Leone. Nei primi tre scrutini la DC optò per Guido Gonella e il PCI votò in modo pressoché unanime il proprio candidato, Giorgio Amendola, mentre l'ala parlamentare socialista concentrò i propri voti su Pietro Nenni. Fino al 13º scrutinio il PCI mantenne la candidatura di Amendola e il PSI propose Francesco De Martino, senza trovare consensi, ma al 16º scrutinio, l'8 luglio 1978, la convergenza dei tre maggiori partiti politici si trovò sul nome di Pertini, che fu eletto presidente della Repubblica Italiana con 832 voti su 995, a tutt'oggi la più ampia maggioranza nella votazione presidenziale nella storia italiana.

Nell'ufficio presidenziale

La sua elezione apparve subito un importante segno di cambiamento per il Paese, grazie al carisma e alla fiducia che esprimeva la sua figura di eroico combattente antifascista e padre fondatore della repubblica, in un Paese ancora scosso dalla vicenda del sequestro Moro. Dopo aver giurato, nel suo discorso d'insediamento[93] Pertini ricordò il compagno di carcere ed amico Antonio Gramsci, e sottolineò la necessità di porre fine alle violenze del terrorismo ricordando, tra l'altro, la tragica scomparsa di Aldo Moro. Da notare come in precedenza lo stesso Pertini avesse evitato la candidatura al Colle («Non mi sarei proprio sentito a mio agio, lì al Quirinale! Infatti ogni volta che qualcuno tentava di farmi eleggere, io appoggiavo un altro candidato»).[17] La decisione di accettare l'incarico fu probabilmente dovuta alla particolare situazione politica creatasi dopo le accuse a Leone e le relative dimissioni. Nel periodo della sua permanenza al Colle contribuì a fare della figura del Presidente della Repubblica l'emblema dell'unità del popolo Helmut Kohl con il Presidente Pertini nel 1979 italiano. La sua statura morale contribuì al riavvicinamento dei cittadini alle istituzioni, in un momento difficile e costellato di avvenimenti delittuosi come quello degli anni di piombo. Per un certo periodo Pertini diventò infatti "il presidente dei funerali di stato": se il funerale di Guido Rossa, davanti a 250.000 persone, diventò l'occasione per un forte attacco alle Brigate Rosse, il momento forse più cupo fu il funerale dopo la strage di Bologna.[94] Introdusse poi il rito del "bacio alla bandiera" tricolore, che sarebbe divenuto usuale anche per i suoi successori. Tra i primi provvedimenti da capo dello Stato ci fu anche quello di concedere la grazia, nonostante l'assenza di pentimento da parte dell'interessato e il parere contrario della Procura di Trieste,[95] all'ex-partigiano Mario Toffanin detto "Giacca", condannato all'ergastolo nel 1954 come principale responsabile dell'eccidio di Porzûs, massacro in cui avevano perso la vita diciassette partigiani cattolici della Brigata Osoppo.[96] Nel 1979 diede l'incarico (senza successo) di formare il governo a Bettino Craxi, suscitando scalpore negli ambienti politici e preparando così il terreno per il primo governo a guida socialista della Repubblica. Pertini fu comunque il primo presidente della Repubblica a conferire l'incarico di formare il governo ad una personalità non democristiana, Giovanni Spadolini, il quale presentò il Governo Spadolini I il 28 giugno 1981.


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Nel maggio del 1980 partecipò in veste ufficiale ai funerali di Josip Broz Tito, presidente della Repubblica Socialista Federale di Jugoslavia, e molti ritengono che baciò la bandiera che ne avvolgeva la bara. Questo presunto gesto del bacio alla bandiera, a cui Pertini era solito, è stato in questo caso – in alcuni ambienti ed in anni più recenti – ritenuto offensivo nei confronti della comunità giuliano-dalmata poiché il regime di Tito perpetrò i massacri delle foibe e provocò l'esodo istriano[97][98]. In realtà, almeno in quella occasione, appoggiò solo un braccio sulla bara[99], baciando la bandiera in un altro momento della cerimonia. In seguito al terremoto in Irpinia del 23 novembre 1980, nell'invocare la repentina risposta dei soccorsi all'immane tragedia dei terremotati, lanciò l'appello «Fate presto», frase apparsa il giorno seguente a nove colonne sul quotidiano Il Mattino di Napoli. Dopo la sua visita in Irpinia, il 26 novembre, pochi giorni dopo la tragedia denunciò pubblicamente l'impotenza e l'inefficienza dello Stato nei soccorsi in un famoso discorso televisivo a reti unificate, in cui sottolineò la scarsità di provvedimenti legislativi in materia di protezione del territorio e di intervento in caso di calamità e denunciò quei settori dello Stato che avrebbero speculato sulle disgrazie come nel caso del terremoto del Belice.[100] Pertini nel suo ufficio al Quirinale

Partecipò commosso anche ai funerali del presidente egiziano Anwar al-Sadat, camminando in mezzo alla folla al seguito del feretro lungo tutto il percorso del corteo funebre e ricordandolo durante il discorso di fine anno nel 1981:

Pertini rende omaggio al Milite Ignoto

« Siamo preoccupati, noi abbiamo assistito ai funerali del Presidente Sadat assassinato dai fanatici. Stava operando per la pace nel suo Paese e fra Israele e il Mondo Arabo. Ebbene noi abbiamo assistito a quei funerali; vi abbiamo assistito con un animo colmo di angoscia. Sono situazioni che riguardano tutti noi, non possono essere circoscritte al popolo e alle Nazioni in [101] cui si svolgono, riguardano ognuno di noi, ogni uomo che ama la libertà e ogni uomo che ha a cuore la pace. »


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Pertini fu inoltre particolarmente partecipe durante la scomparsa di Enrico Berlinguer, tanto da partire personalmente da Roma con un volo presidenziale per poter scortare la salma nella capitale. Durante le esequie in piazza S. Giovanni, Nilde Iotti, dal palco delle autorità, ringraziò pubblicamente Pertini, scatenando un commovente applauso della folla partecipante. Assunse sempre un atteggiamento di intransigente denuncia nei confronti della criminalità organizzata denunciando «la nefasta attività contro l'umanità» della mafia e ammonendo sempre a non confondere i fenomeni criminosi della mafia, della camorra e della 'ndrangheta con i luoghi e le popolazioni in cui sono presenti. Nel discorso di fine anno del 1982 parlò espressamente del problema mafioso, ricordando le figure di Pio La Torre e del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa: Pertini rende omaggio al feretro di Enrico Berlinguer.

Pertini e il Presidente del Consiglio Giovanni Spadolini ai funerali di Dalla Chiesa

« Vi sono altri mali che tormentano il popolo italiano: la camorra e la mafia. Quello che sta succedendo in Sicilia veramente ci fa inorridire. Vi sono morti quasi ogni giorno. Bisogna stare attenti a quello che avviene in Sicilia e in Calabria e che avviene anche con la camorra a Napoli. Bisogna fare attenzione a non confondere il popolo siciliano, il popolo calabrese ed il popolo napoletano con la camorra o con la mafia. Sono una minoranza i mafiosi. E sono una minoranza anche i camorristi a Napoli. Prova ne sia questo: quando è stato assassinato Pio La Torre, vi era tutta Palermo intorno al suo feretro. Quando è stato assassinato il generale Dalla Chiesa, con la sua dolce, soave compagna, che è stata più volte qui a trovarmi, proprio in questo studio, tutta Palermo si è stretta intorno ai due feretri per protestare. [102] Quindi il popolo siciliano, il popolo calabrese ed il popolo napoletano sono contro la camorra e contro la mafia. »

Nel febbraio 1983, tra lo stupore generale visitò in ospedale il giovane Paolo Di Nella, militante del Fronte della Gioventù, in coma per essere stato colpito alla testa con una spranga da due giovani mentre affiggeva dei manifesti,[103] e che nei giorni successivi morì.[104] Lo stesso anno sciolse il consiglio comunale di Limbadi in provincia di Vibo Valentia, in quanto era risultato primo degli eletti il latitante Francesco Mancuso, capo dell'omonima famiglia mafiosa. Tornò poi sulle tematiche legate alla criminalità organizzata nel suo discorso di fine anno:


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Sandro Pertini nei giardini del Quirinale

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François Mitterrand con Pertini nel 1982

« Ci preoccupa quello che si verifica con la mafia in Sicilia, la camorra nel napoletano e la 'ndrangheta – non so mai pronunciare bene questa parola – in Calabria. Però io qui mi permetto di fare questa osservazione. Il popolo siciliano non deve essere confuso con la mafia. Il popolo siciliano è un popolo forte, popolo che ben conosco, perché negli anni passati, quando ero propagandista del mio partito, ho girato in lungo e in largo la Sicilia. Li ho conosciuti nella prima guerra mondiale i giovani siciliani, con il loro coraggio e la loro fierezza. Il popolo siciliano è un popolo forte, generoso, intelligente. Il popolo siciliano è il figlio di almeno tre civiltà: la civiltà greca, la civiltà araba e la civiltà spagnola. È ricco di intelligenza questo popolo. Quindi non deve essere confuso con questa minoranza che è la mafia. È un bubbone che si è creato su un corpo sano. Ebbene, con il bisturi, polizia, forze dell'ordine, governo debbono sradicare questo bubbone e gettarlo via, perché il popolo siciliano possa vivere in pace. Così si dica della 'ndrangheta in Calabria. Io ho girato in lungo e largo la Calabria. Se vi è un popolo generoso, buono, pronto, desideroso di lavorare e di trarre dal suo lavoro il necessario per poter vivere dignitosamente, è il popolo calabrese. Così il popolo napoletano con la camorra. Anche qui sono una minoranza i camorristi. Parlano troppo di quello che è in carcere, capo-mafia. Quello si sente un eroe. I giornali ne parlano tutti i giorni ed è chiaro che entra il giornale in carcere e [105] lui si sente un eroe, questo sciagurato. Ma il popolo napoletano non può essere confuso con la camorra. »

La presidenza di Pertini favorì l'ascesa del primo socialista italiano alla guida di un governo. Già nel 1979 il presidente aveva dato un incarico (senza successo) a Bettino Craxi. Nel 1983, diede nuovamente l'incarico di formare il governo a Craxi, che stavolta realizzò l'intento di Pertini. Per due anni e per la prima volta nella storia d'Italia, furono socialisti sia il presidente della Repubblica, sia il presidente del Consiglio dei ministri. Ciò nonostante, Pertini ebbe con Craxi rapporti altalenanti, dovuti essenzialmente alla diversa formazione e temperamento. Pertini spesso non condivise le mosse politiche craxiane, come nel caso del XLIII Congresso a Verona, il 15 maggio 1984, in cui Bettino Craxi venne eletto segretario per acclamazione anziché con la consueta votazione. I rapporti tra i due politici comunque si mantennero su un piano di cordialità e rispetto, nonostante non si amassero. Antonio Ghirelli, allora portavoce del Quirinale, riporta che Pertini, il giorno in cui doveva conferire a Craxi l'incarico di presidente del Consiglio, notò che il segretario socialista si era presentato al Colle indossando dei jeans e gli intimò di ritornare con un abbigliamento adeguato.[106] Pertini mantenne comunque un forte senso dell'appartenenza al partito di cui Craxi era segretario. Racconta Lelio Lagorio, a proposito del secondo incarico a Craxi, che «al termine della legislatura 1979-83 il presidente non faceva che dirci: "Voi socialisti cercate di guadagnare voti alle elezioni ed io vi affido il governo". Fu così».


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Durante il suo mandato sciolse due volte il Parlamento, convocando le elezioni politiche italiane del 1979 che diedero vita alla VIII Legislatura e le elezioni politiche del 1983 che diedero vita alla IX Legislatura; diede l'incarico (in ordine cronologico) di formare i governi Andreotti V, Cossiga I, Cossiga II, Forlani, Spadolini I, Spadolini II, Fanfani V e Craxi I e nominò giudici costituzionali Virgilio Andrioli, Giuseppe Ferrari e Giovanni Conso. Nominò inoltre cinque senatori a vita: il politico e storico Leo Valiani, l'attore e commediografo Eduardo De Filippo, la politica ed ex-partigiana Camilla Ravera (prima donna a ricevere questa nomina), il critico letterario e rettore Carlo Bo ed il filosofo Norberto Bobbio. Con queste nomine i senatori a vita diventarono complessivamente sette. Secondo l'interpretazione di Pertini, infatti, l'art. 59 della Costituzione non intenderebbe limitare a cinque il numero di senatori a vita che possono sedere in Parlamento ma permettere a ogni Presidente della Repubblica di nominarne fino a cinque. Tale scelta non fu contestata (forse per la qualità dei senatori a vita nominati o per la popolarità di cui Pertini godeva) e il suo successore Cossiga seguì la stessa interpretazione.[107] Il suo modo di intervenire direttamente nella vita politica del Paese rappresentò una novità per il ruolo di Presidente della Repubblica, che era stato, fino ad allora una figura strettamente "notarile". Quello che in seguito divenne un archetipo della funzione di stimolo del Quirinale nei confronti della politica, il cosiddetto "potere di esternazione", fu per la prima volta esercitato nella risoluzione della controversia parasindacale dei controllori di volo[108]: indicativo della novità del suo intervento - che indusse il Governo ad avallare una soluzione negoziale elaborata al Quirinale - è il fatto che la stampa e la dottrina giuridica cercarono di ricondurre la vicenda nell'ambito dei poteri presidenziali, con un'evidente giustificazione a posteriori, evidenziando il fatto che i controllori dei voli aerei erano a quel tempo personale militarizzato (era proprio questa una delle principali questioni), e dicendo che Pertini era intervenuto in qualità di comandante delle forze armate (ai sensi dell'articolo 87, 9º comma della Costituzione).[109] Grazie all'indubbio prestigio di cui godeva, soprattutto tra i cittadini, fu in genere difficile per i vari esponenti politici non recepire, seppur talvolta controvoglia, le sue incursioni. Questo modo di fare, portò il sistema istituzionale a rassomigliare quasi ad un'anomala repubblica presidenziale (basti pensare alla rivoluzione del 1981, con l'ascesa a Palazzo Chigi di Giovanni Spadolini, il primo non democristiano dopo quarant'anni, in seguito alla caduta del governo Forlani dopo lo scandalo della P2). Antonio Ghirelli, all'epoca portavoce del Quirinale, coniò l'appellativo di Repubblica pertiniana, ripresa poi dai media dell'epoca. Il suo pensiero politico può essere efficacemente espresso da alcune frasi tratte da una sua intervista: Sandro Pertini ed Eduardo De Filippo

« Per me libertà e giustizia sociale, che poi sono le mete del socialismo, costituiscono un binomio inscindibile: non vi può essere vera libertà senza la giustizia sociale, come non vi può essere vera giustizia sociale senza libertà. Ecco, se a me socialista offrissero la realizzazione della riforma più radicale di carattere sociale, ma privandomi della libertà, io la rifiuterei, non la potrei accettare. [...] Ma la libertà senza giustizia sociale può essere anche una conquista vana. Si può considerare veramente libero un uomo che ha fame, che è nella miseria, che non ha un lavoro, che è umiliato perché non sa come mantenere i suoi figli e educarli? Questo non è un uomo libero. [...] » (Sandro Pertini. Intervista

[110]

[111]

. CESP - Centro Espositivo Sandro Pertini. URL consultato in data 2-8-2008.

)

La sua personalità era intrisa dei princìpi che avevano ispirato la democrazia parlamentare e repubblicana, nata dall'esperienza della Resistenza partigiana; era solito sostenere il suo rispetto della fede politica altrui tanto quanto il suo fermo rifiuto del pensiero fascista e di tutte le ideologie che rinneghino la libertà di espressione:


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« Il fascismo per me non può essere considerato una fede politica [...] il fascismo è l'antitesi di tutte le fedi politiche [...], [112] perché opprime le fedi altrui. »

Nel 1982 Ronald Reagan, all'epoca presidente degli Stati Uniti, ricevette il 25 marzo a Washington il presidente italiano e scrisse in uno dei suoi diari personali: «Oggi è arrivato Sandro Pertini. Ha 84 anni ed è un fantastico gentiluomo. Abbiamo avuto un ottimo colloquio. Ama molto gli Stati Uniti. C'è stato un momento commovente quando è passato davanti al Marine che teneva la nostra bandiera. Si è fermato e l'ha baciata».[113]

Senatore a vita Il 29 giugno 1985, pochi giorni prima della scadenza naturale del suo mandato, si dimise dalla carica allo scopo di facilitare le procedure dell'elezione del suo successore. Al termine del mandato presidenziale divenne, come previsto dalla Costituzione, senatore a vita; in tale veste non svolse attività politica né votò la fiducia ad un Presidente del Consiglio da lui precedentemente incaricato. L'unico incarico ufficiale che intraprese dopo la Presidenza della Repubblica fu la presidenza della Fondazione di Studi Storici "Filippo Turati", costituitasi a Firenze nel 1985 con l'obiettivo di conservare il patrimonio documentario del socialismo italiano. Conserverà questo incarico fino alla sua morte. Nel 1995 la Fondazione Turati ha dato vita all'Associazione Nazionale "Sandro Pertini" al fine di conservare e valorizzare l'archivio e la biblioteca personale del Presidente.[114] Durante e dopo il periodo presidenziale non rinnovò la tessera del Partito Socialista, al fine di presentarsi al di sopra delle parti, pur senza rinnegare il suo essere socialista; del resto, anche durante il mandato aveva difeso la bandiera del socialismo italiano, intervenendo con un commento autorizzato nella cosiddetta "lite delle comari" del governo Spadolini. Indipendente dal ruolo istituzionale che aveva ricoperto e legato piuttosto a un senso di reciproca lealtà democratica appare invece l'episodio che lo vide, nel 1988, visitare la camera ardente di Giorgio Almirante.[115] Il 23 marzo 1987 fu colto da un malore durante i funerali del generale Licio Giorgieri, che era stato assassinato dalle Brigate Rosse, e fu ricoverato al Policlinico Umberto I; in quella occasione ricevette anche la visita del papa Giovanni Paolo II, al quale era legato da lunga amicizia[116], ma questi poté solo vederlo di sfuggita, poiché gli fu impedito dai medici, in quanto Pertini risultava sedato e non ancora fuori pericolo[117]. Pertini si rimise completamente ma, la notte del 24 febbraio 1990, all'età di 93 anni, si spense per una complicazione in seguito ad una caduta di pochi giorni prima, a Roma nel suo appartamento privato, in una mansarda affacciata sulla Fontana di Trevi. Per suo espresso desiderio, il suo corpo fu cremato e le ceneri traslate nel cimitero del suo paese natale, San Giovanni. Pertini si era sempre dichiarato ateo; nonostante ciò, nel suo studio al Quirinale aveva sempre tenuto un crocifisso: sosteneva infatti di ammirare la figura di Gesù come uomo che ha sostenuto le sue idee a costo della morte.[118] In anni più recenti, un libro di Arturo Mari del 2007, fotografo pontificio, cercò di avvalorare la tesi che Pertini volesse convertirsi in punto di morte e che chiamò il Papa, cui fu impedito di entrare nella stanza di ospedale[119]. Tale circostanza però fu fermamente smentita dalla "Fondazione Sandro Pertini", che fornì all'emittente La7 alcune registrazioni di telefonate tra la moglie Carla Voltolina e il Papa del febbraio 1990 e rilevando come non ci fu nell'occasione alcun ricovero in ospedale, e indicando infine come la circostanza riportata fosse in realtà relativa alla visita del 1987[120]. Il suo appartamento, dopo la morte della moglie Carla nel 2005, non è più stato riaffittato ed è rimasto intatto.

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Pertini nella cultura popolare

Targa commemorativa dedicata al Presidente Pertini esposta a Fontana di Trevi.

Pertini e la Liguria

Sandro Pertini rimase sempre legato alla sua terra d'origine, la Liguria. Nonostante i suoi impegni, specie nel periodo della presidenza della Camera, si recò spesso in visita non solo nei luoghi in cui era nato o aveva vissuto da giovane ma anche in altre città della riviera ligure e dell'entroterra, spesso palesando il suo imbarazzo per il trambusto che la sua presenza comportava nei luoghi in cui sostava, con il vistoso ed ingombrante seguito dei carabinieri di scorta. Una delle mete preferite era Camogli, nella riviera di Levante.


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La sua costante presenza nei momenti cruciali della vita pubblica italiana, nelle situazioni piacevoli come nei momenti difficili, è stata probabilmente uno dei motivi della sua grande popolarità. Spesso è stato definito come il "presidente più amato dagli italiani"[5][6][7], ricordato per l'amore verso l'Italia, per il suo carisma, per il suo modo di fare schietto e ironico, per l'onestà, per l'amore verso i bambini (a cui prestava molta attenzione durante le visite giornaliere delle scolaresche al Quirinale) e per aver inaugurato un nuovo modo di rapportarsi con i cittadini, con uno stile diretto e amichevole («amici carissimi, non fate solo domande pertinenti, ma anche impertinenti: io mi chiamo Pertini... »). La schiettezza e la pragmaticità di Pertini si riflesse inoltre anche nella sua azione politica ed istituzionale, facendolo apparire come un presidente che puntava alla concretezza, rifiutando compromessi e imponendosi con il suo rigore morale.[121] Il giornalista Indro Montanelli, in un articolo pubblicato sul Corriere della Sera del 27 ottobre 1963, scrisse: «Non è necessario essere socialisti per amare e stimare Pertini. Qualunque cosa egli dica o faccia, odora di pulizia, di lealtà e di sincerità.»[122] Tuttavia lo stesso Carmine Benincasa (sinistra) con il presidente Montanelli, rispondendo alla lettera di un lettore sul Corriere del 16 Sandro Pertini (centro) e Umberto Mastroianni giugno 1997, scrisse un articolo critico sulla figura del defunto (destra) presidente dal titolo "Pertini? Sono altri i grandi d'Italia".[123] Il giudizio espresso dal giornalista fu definito «molto riduttivo e quasi sprezzante» dall'allora ministro Antonio Maccanico, ex collaboratore di Pertini, in una lettera inviata al quotidiano e pubblicata tre giorni dopo.[124] Pertini fu tra i presidenti che scelsero di non abitare nel Palazzo del Quirinale, e mantenne la propria residenza nel suo appartamento romano, secondo lo stesso Pertini per espresso desiderio della moglie. Visse infatti per molti anni in una mansarda di 35 m2 che s'affaccia sulla fontana di Trevi. Gli abitanti del quartiere lo incontravano spesso, quando ogni mattina l'auto di servizio andava a prenderlo per condurlo "in ufficio" al Quirinale senza grandi apparati di sicurezza; per chi lo riconosceva e lo salutava, soprattutto i bambini, il Presidente aveva sempre un sorriso e un gesto di saluto. Pertini non volle mai conseguire la patente e, escluse le occasioni ufficiali, era la moglie a fargli da autista con l'utilitaria di famiglia. Tale vettura, una Fiat 500D rossa del 1962, fu donata dalla moglie al Comune di Torino ed è conservata nel Museo nazionale dell'automobile. Spesso si ricorda la sua presenza ai tentativi di salvataggio di Alfredino Rampi, un bambino di sei anni di Vermicino caduto in un pozzo nel 1981, e la sua esultanza allo stadio di Madrid per la vittoria ai Campionati del mondo di Calcio del 1982 (di fronte ad un impassibile re Juan Carlos). L'immagine dei festeggiamenti per la vittoria della nazionale a Madrid nel 1982 avrebbe inoltre generato, anni dopo, il nome del cocktail "Pertini", diffuso in Spagna negli ambienti studenteschi. Pertini con dei giovani.

disturbare

la

cittadinanza

Era inoltre solito trascorrere le sue vacanze estive a Selva di Val Gardena, alloggiando nella locale caserma dei carabinieri, per non con ulteriori misure di sicurezza durante


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25 la sua permanenza. Nella vicina Val di Fassa, nel comune di Campitello è stato costruito nel 1986 il "Rifugio Sandro Pertini", nel nome dell'amicizia che legava il Presidente e il gestore del rifugio.

Pertini ed il commissario tecnico dei campioni del mondo Enzo Bearzot.

Pertini gioca a scopone scientifico con i campioni del mondo sull'aereo presidenziale, in coppia con Zoff e contro Causio e Bearzot.

La sua popolarità fece sì che diventasse spesso anche oggetto di attenzione da parte del mondo dello spettacolo: nel cabaret televisivo degli anni ottanta, vi sono stati almeno due noti imitatori di Sandro Pertini: Alfredo Papa e Massimo Lopez. Il primo doppiava il pupazzo Sandrino che interloquiva con Lino Toffolo nel varietà di Canale 5 Risatissima. Il secondo imitava Pertini in prima persona, particolarmente negli sketch del Trio (Lopez, Marchesini, Solenghi) per l'edizione 1985-1986 di Domenica In. Toto Cutugno lo citò infine nella sua canzone L'Italiano, con le parole «buongiorno Italia, gli spaghetti al dente e un partigiano come presidente», al festival di Sanremo 1983. Pertini è stato inoltre protagonista di una striscia a fumetti (Pertini, o Pertini Partigiano) disegnata da Andrea Pazienza e pubblicata su varie testate storiche della satira italiana, tra cui Il male, Cannibale, Frigidaire e successivamente Cuore. Le strisce e il materiale prodotto sono in seguito state pubblicate in volume da Primo Carnera Editore nel 1983 e da Baldini & Castoldi nel 1998. La striscia immergeva il Presidente negli anni della Resistenza italiana al nazismo, dipingendolo come coraggioso e pragmatico guerrigliero, affiancato e intralciato dall'inetto aiutante Paz, l'autore stesso.

Cinema Nel film del 1975 Mussolini: Ultimo atto, di Carlo Lizzani, c'è un personaggio ispirato a Pertini. Lizzani in un suo libro ha scritto che l'allora presidente della Camera dei deputati, dopo aver visto il film in proiezione privata, in una lettera commentò bonariamente: «Durante quelle caldissime giornate mi fu rimproverata un'eccessiva intransigenza. Nel film, se c'è un personaggio "moscio" sono io!». Il film, che racconta gli ultimi giorni di Mussolini, si ispira alla ricostruzione che vuole Walter Audisio, colonnello della 52ª Brigata Garibaldi, esecutore materiale dell'ordine del CLN di fucilare il Duce. Lizzani nel suo libro riporta che Pertini nella lettera gli scrisse: «E poi non fu Audisio a eseguire la «sentenza»; ma questo non si deve dire oggi».[125][126] Pertini Zoff e Bearzot al Quirinale

Ci sarà un giorno (Il giovane Pertini) di Franco Rossi è un film del 1993 che racconta la vita di Pertini (interpretato da Maurizio Crozza) nel quinquennio 1925-1930. Prodotto dalla RAI, è stato trasmesso solo nel 2010 a causa dell'opposizione della moglie.[127]


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Opere • Gli uomini per essere liberi, di Pietro Pierri, ADD Editore, Torino, 2012. ISBN 978-8896873-47-2 • Portoferraio 1933, Processo a Sandro Pertini. Pertini detenuto politico sotto il regime fascista. Atti del procedimento per oltraggio. A cura di Stefano Bramanti, Romano Figaia, Marcello Marinari. Editori Riuniti university press, Roma, 2010. ISBN 9788864730240 • Il cittadino Sandro Pertini, con Raffaello Uboldi, Milano, Biblioteca Universale Rizzoli, 1983. ISBN 88-17-13529-1 • Pertini racconta. Storia di un uomo e del suo mito, Milano, Garzanti, 1984. • La mia Repubblica, Manduria, P. Lacaita, 1990. • Scritti e discorsi di Sandro Pertini, 2 voll., Roma, Presidenza del Consiglio dei ministri, Dipartimento per l'informazione e l'editoria, 1990. • Sandro Pertini, combattente per la libertà, a cura di S.Caretti e M.Degl'Innocenti, Manduria, P. Lacaita, 1996. • Sandro Pertini. Carteggio: 1924-1930, a cura di S.Caretti, Manduria, P. Lacaita, 2005. ISBN 88-88546-55-3 • Discorsi parlamentari 1945-1976, Roma-Bari, Laterza, 2006. ISBN 88-420-7871-9 • Quei giorni della liberazione di Firenze. ...e la Martinella suonò, Firenze, Pugliese, 2006. ISBN 88-86974-34-5 • Sandro Pertini. Lettere dal carcere: 1931-1935, a cura di S.Caretti, Manduria, P. Lacaita, 2006. ISBN 88-89506-19-9 • Sandro Pertini. Dal confino alla Resistenza. Lettere 1935-1945, a cura di S. Caretti, Manduria, P. Lacaita, 2007. ISBN 9780888950611 • Sandro Pertini. Dal delitto Matteotti alla Costituente. Scritti e discorsi, 1924-1946, a cura di S.Caretti, Manduria, P. Lacaita, 2008. ISBN 9788889506639 • Sandro Pertini. Anni di guerra fredda. Scritti e discorsi: 1947-1949, a cura di S. Caretti, Manduria, P. Lacaita, 2010. ISBN 9788889506912 • Bibliografia degli scritti e discorsi di Sandro Pertini 1924-2008, a cura di A. Gandolfo, Provincia di Savona Associazione "Sandro Pertini" - Stella San Giovanni, 2008.

Onorificenze Onorificenze italiane Nella sua qualità di Presidente della Repubblica italiana è stato, dal 9 luglio 1978 al 29 giugno 1985: Capo dell'Ordine al merito della Repubblica italiana

Capo dell'Ordine militare d'Italia

Capo dell'Ordine al merito del lavoro

Capo dell'Ordine della stella della solidarietà italiana

Capo dell'Ordine di Vittorio Veneto

Personalmente è stato insignito di:


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Medaglia d'oro al valor militare

« Animatore instancabile della lotta per la libertà d'Italia, dopo 15 anni trascorsi tra carcere e confino, l'8 settembre 1943 si poneva alla testa degli ardimentosi civili che a fianco con i soldati dell'esercito regolare contrastarono tenacemente l'ingresso alle truppe tedesche nella Capitale. Membro della giunta militare del C.L.N. centrale, creava una delle maggiori formazioni partigiane operanti sui piano nazionale. Arrestato e individuato quale capo dell'organizzazione militare clandestina, sottoposto a duri ed estenuanti interrogatori ed a violenze fisiche con il suo fiero ed ostinato silenzio, riusciva a mantenere il segreto. Il 25 gennaio 1944 riacquistava la libertà con una fuga leggendaria dal carcere, riassumeva il suo posto di comando spostandosi continuamente in missione di estremo pericolo nelle regioni dell'Italia centrale, dove più infieriva la lotta alla quale partecipava personalmente. Nel maggio 1944 si recava in Lombardia per portarvi il suo contributo prezioso ed insostituibile di animatore e combattente, potenziando le Brigate che in ogni regione dell'Italia occupata, sotto la sua guida, divennero un formidabile strumento di lotta contro l'invasore. Di là, a fine luglio 1944, si portava in Firenze dove, alla testa dei partigiani locali, partecipava all'insurrezione vittoriosa. Rientrato in Roma liberata, chiedeva di essere inviato nell'Italia occupata e dalla Francia effettuava il passaggio del Monte Bianco. Nella Val d'Aosta (Cogne), soggetta ad un feroce rastrellamento, si univa alle formazioni partigiane distinguendosi in combattimento. Raggiunta Milano, riprendeva il suo posto nei maggiori organi direttivi della resistenza. L'insurrezione del Nord lo aveva, quale membro del Comitato insurrezionale, tra i maggiori protagonisti nelle premesse organizzative e nell'urto militare decisivo. Uomo di tempra eccezionale, sempre presente in ogni parte d'Italia ove si impugnassero le armi contro l'invasore. La sua opera di combattente audacissimo della resistenza gli assegnava uno dei posti più alti e lo rende meritevole della gratitudine nazionale nella schiera dei protagonisti del secondo Risorgimento d'Italia.» [128] — Roma, Firenze, Milano, 8 settembre 1943 - 25 aprile 1945.

Medaglia d'argento al valor militare

«Durante tre giorni di violentissime azioni offensive, senza concedersi sosta alcuna, animato da elevatissimo senso del dovere, con superlativa audacia e sprezzo del pericolo avanzava primo fra tutti verso le munite difese nemiche, vi trascinava i pochi suoi uomini e debellava una dietro l'altra le mitragliatrici avversarie numerosissime e protette in caverne. Contribuiva così efficacemente alla conquista di ben difesa posizione nemica catturando numerosi prigionieri e bottino importante. Bellissima figura di eroismo e di audacia.» [129] — Descia - M. Cavallo - Jelenick, 21-22-23 agosto 1917

Ebbe tale decorazione per aver guidato, nell'agosto del 1917 un assalto al monte Jelenik, durante la battaglia della Bainsizza. Tuttavia, dopo la guerra, tale decorazione fu occultata dal regime fascista a causa della sua militanza socialista. Pertini seppe del conferimento solo quando divenne Presidente della Repubblica, dopo alcune ricerche dello staff dello Stato Maggiore. Alla proposta di consegna egli si rifiutò dicendo che se l'allora regime negò tale merito non riteneva giusto raccoglierlo ora vista la sua posizione di Presidente della Repubblica. L'onorificenza gli fu comunque consegnata, terminato il suo mandato presidenziale, nel suo ufficio di senatore a vita, dall'allora presidente del Senato, Giovanni Spadolini[12]. Medaglia commemorativa della guerra italo-austriaca 1915 – 1918 (4 anni di campagna)

Medaglia commemorativa dell'Unità d'Italia

Medaglia commemorativa italiana della vittoria

Medaglia d'oro ai benemeriti della scuola della cultura e dell'arte [130]

— 10 luglio 1985


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Onorificenze straniere Gran Collare dell'Ordine di San Giacomo della Spada (Portogallo) — 17 novembre 1980

• Fu il primo a ricevere l'onorificenza della "Medaglia Otto Hahn per la Pace" della Società Tedesca per le Nazioni Unite (Deutsche Gesellschaft für die Vereiten Nationen, DGVN): gli fu assegnata a Berlino nel dicembre 1988 «per meriti eccezionali in favore della pace e della comprensione fra i popoli, in particolare per la sua morale politica e la praticata umanità».

Monumenti e infrastrutture dedicate a Pertini Il primo monumento dedicato a Sandro Pertini fu inaugurato poco dopo la sua morte, nel 1990 a Milano, in via Croce Rossa, opera dell'architetto Aldo Rossi. Altri monumenti a Pertini si ricordano nei comuni di Rimini, Nereto, Campo nell'Elba e Foligno. A Stella, dove nacque, e dove è sepolto, un suo busto è collocato davanti alla sede comunale. A Sandro Pertini sono inoltre intitolati, tra gli altri, l'aeroporto di Torino-Caselle e l'ospedale "Sandro Pertini" di Roma, inaugurato nel 1990 nella zona di Pietralata. L'Associazione Nazionale Sandro Pertini tiene inoltre un dettagliato elenco, non esaustivo, delle numerose scuole, parchi, infrastrutture, centri culturali e politici, strade, piazze e manifestazioni varie, intitolate a Sandro Pertini in Italia[131].

La Fondazione Sandro Pertini La "Fondazione Sandro Pertini" è stata costituita il 23 settembre 2002, a Firenze, su iniziativa della moglie del presidente, Carla Voltolina.

Statua bronzea di Pertini a Nereto (TE).

La firma dell'atto pubblico di costituzione è avvenuta in occasione di una cerimonia svoltasi nell'aula magna della facoltà di Scienze Politiche "Cesare Alfieri" che aveva visto laurearsi, nel 1924, proprio Sandro Pertini. La fondazione si pone come principale obiettivo quello di promuovere e divulgare studi sull'opera e il pensiero di Sandro Pertini; inoltre, si prefigge come scopo ulteriore, ma non secondario, quello di preservare il patrimonio dell'uomo politico costituito da cimeli, libri, archivio storico, fotografie, quadri e documenti vari da destinare alla pubblica fruizione, nonché quello di diffondere i valori per i quali Pertini si era battuto durante la sua esistenza[132]. L'attuale organigramma della Fondazione è così composto: • Presidente: Umberto Voltolina • Vicepresidenti: Pietro Pierri e Diomira Pertini


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Note [1] http:/ / legislature. camera. it/ chiosco. asp?cp=1& position=Assemblea%20Costituente\I%20Costituenti& content=altre_sezioni/ assemblea_costituente/ composizione/ costituenti/ framedeputato. asp?Deputato=1d4610 [2] http:/ / www. senato. it/ leg/ 01/ BGT/ Schede/ Attsen/ 00001844. htm [3] http:/ / legislature. camera. it/ chiosco. asp?cp=1& position=II%20Legislatura%20/ %20I%20Deputati& content=deputati/ legislatureprecedenti/ Leg02/ framedeputato. asp?Deputato=d4610 [4] Sandro Pertini. Messaggio di Fine Anno agli Italiani del Presidente Pertini (1978) (http:/ / www. youtube. com/ watch?v=w6C0TNrTxI0), a 11:19. YouTube, 31 dicembre 1978. URL consultato in data 15 dicembre 2012. [5] Alessio Altichieri. "Non ci sarà più un altro Pertini" la Voltolina ricorda il suo Sandro (http:/ / archiviostorico. corriere. it/ 1992/ maggio/ 24/ non_sara_piu_altro_Pertini_co_0_92052412145. shtml). Corriere della Sera, 24 4 1992. URL consultato in data 10-2-2009. [6] Francesco La Spina. Savona-Roma nel nome di Pertini (http:/ / ricerca. repubblica. it/ repubblica/ archivio/ repubblica/ 2005/ 10/ 19/ savona-roma-nel-nome-di-pertini. html). La Repubblica, 19 10 2005. URL consultato in data 11-2-2009. [7] Giangiacomo Schiavi. Quel giorno Pertini mi disse - intervista a [[Enzo Biagi (http:/ / archiviostorico. corriere. it/ 2007/ aprile/ 23/ Quel_giorno_Pertini_disse_co_9_070423122. shtml)]]. Corriere della Sera, 23 4 2007. URL consultato in data 10-2-2009. [8] CESP - Video (http:/ / www. pertini. it/ cesp/ video/ socialismo. wmv) Intervista [9] Massimiliano e Pier Paolo Di Mino, Il libretto rosso di Pertini. Capitolo 1 - Apprendistato di un eroe. 4. Il professor Baratono, maestro di socialismo. Pagine 47-48; Purple Press, 2011. ISBN 978-88-95903-50-7 [10] Centro Espositivo Sandro Pertini - Documenti: Il professor Baratono, maestro di socialismo (1979). www.pertini.it/cesp (http:/ / www. pertini. it/ cesp/ doc_04. htm) [11] Fondazione Sandro Pertini - Biografia (http:/ / www. fondazionepertini. it/ asp/ fondazione. asp?IdSez=1& IdSottoSez=45) [12] CESP - Video (http:/ / www. pertini. it/ cesp/ video/ medaglia. wmv) Intervista [13] Centro Culturale Sandro Pertini - Biografia (http:/ / web. archive. org/ web/ 20070930103728/ www. centropertini. org/ biografia. htm) [14] Giuliano Muzzioli, MODENA - Storia delle città italiane, Bari, Editori Laterza, 1993. ISBN 88-420-4176-9 p. 209 di 405 [15] legislature.camera.it Resoconto stenografico della seduta del 23/02/1955 della Commissione Affari Interni, pp. 404-405 (http:/ / legislature. camera. it/ _dati/ leg02/ lavori/ stencomm/ 01/ Leg/ Serie010/ 1955/ 0223/ stenografico. pdf) [16] Silvio Bertoldi. Fra i "neri" in cravatta rossa (http:/ / www. pertini. it/ cesp/ doc_12. htm). Oggi, 29 3 1973. URL consultato in data 19-4-2009. Articolo riportato sul sito del CESP. [17] Intervista di Oriana Fallaci a Pertini, pubblicata su L'Europeo, 27 dicembre 1973, riportata da Oriana-Fallaci.com (http:/ / www. oriana-fallaci. com/ pertini/ intervista. html) [18] In realtà Sandro Pertini era evaso dal carcere di Regina Coeli con Saragat il 24 gennaio, ma questa notizia era stata tenuta segreta dal regime. [19] CESP - Video (http:/ / www. pertini. it/ cesp/ video/ eugenio. wmv) Intervista [20] Archivio Centrale dello Stato, CPC, b. 3881, fasc.86802 [21] CESP - Documenti (http:/ / www. pertini. it/ cesp/ doc_10. htm) Arresto e interrogatorio di Pertini (1925) [22] CESP - Documenti (http:/ / www. pertini. it/ cesp/ doc_13. htm) Proposta di confino della Prefettura di Savona (25 novembre 1926) e ordinanza del 4/12/1926 [23] Istituto di Studi Filosofici di Napoli - La fuga di Filippo Turati. L'esperienza del confino ad Ustica. Il processo di Savona. (http:/ / www. ossimoro. it/ mostra/ mostra07. html) [24] Per la biografia si rimandano alle seguenti opere di Antonio Martino: Fuorusciti e confinati dopo l'espatrio clandestino di Filippo Turati nelle carte della R. Questura di Savona in Atti e Memorie della Società Savonese di Storia Patria, n.s., vol. XLIII, Savona 2007, pp. 453-516. e Pertini e altri socialisti savonesi nelle carte della R.Questura, Gruppo editoriale L'espresso, Roma, 2009. [25] Il testo della sentenza del cosiddetto "Processo di Savona" (http:/ / www. isrecsavona. it/ pubblicazioni/ quaderni/ n 3/ la sentenza. pdf) [26] CESP - Documenti (http:/ / www. pertini. it/ cesp/ doc_22. htm) Sentenza del Tribunale Speciale (1929) [27] CESP - Documenti (http:/ / www. pertini. it/ cesp/ doc_20. htm) Verbale dell'interrogatorio di Sandro Pertini in Italia del 14 aprile 1929 [28] Zucàro, op. cit., p. 26. [29] Zucàro, op. cit., p. 27. [30] Intervista a Pertini del 17 marzo 1983, riportato da CESP - Documenti (http:/ / www. pertini. it/ cesp/ doc_18. htm) [31] CESP - Documenti (http:/ / www. pertini. it/ cesp/ doc_19. htm) Verbale di arresto del 14 aprile 1929 [32] Sandro Pertini, Sei condanne due evasioni (a cura di Vico Faggi). Capitolo VII - In carcere: L'ergastolo di Santo Stefano. Pagina 179; Arnoldo Mondadori Editore, 1970. ISBN 88-04-33827-X [33] Centro Espositivo Sandro Pertini - Documenti. L'ergastolo di Santo Stefano. Alcuni passi del volume curato da Vico Faggi Sandro Pertini: Sei condanne due evasioni rievocano il durissimo trattamento riservato ai detenuti del carcere di Santo Stefano - www.pertini.it/cesp (http:/ / www. pertini. it/ cesp/ doc_26. htm) [34] CESP - Documenti (http:/ / www. pertini. it/ cesp/ doc_27. htm) Lettera di Togliatti a Turati, 30 ottobre 1930 [35] La lettera di Pertini di dissociazione dalla domanda di grazia inviata al presidente del Tribunale (http:/ / www. centropertini. org/ materiale. htm) [36] CESP - Documenti (http:/ / www. pertini. it/ cesp/ doc_39. htm) Lettera alla madre 1933 [37] CESP - Documenti (http:/ / www. pertini. it/ cesp/ doc_46. htm) Verbale di consegna della carta di permanenza, Ponza 1935 [38] CESP - Documenti (http:/ / www. pertini. it/ cesp/ doc_49. htm) Ordinanza per l'assegnazione al confino, Ventotene 1940

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Sandro Pertini [39] La Storia del PSI - Tessere socialiste (http:/ / www. domanisocialista. it/ tesseresocialiste. htm) [40] Intervista di Enzo Biagi a Pertini, Quel 25 luglio 1943. Pertini, La Stampa, 7 agosto 1973, riportato da CESP - Documenti (http:/ / www. pertini. it/ cesp/ doc_55. htm) [41] CESP - Documenti (http:/ / www. pertini. it/ cesp/ doc_54. htm) Telegramma dei confinati di Ventotene, 7 agosto 1943 [42] La storia del PSI - Dal 1926 al 1945 (http:/ / www. domanisocialista. it/ storia3. htm) [43] Giuliano Vassalli e Massimo Severo Giannini, Quando liberammo Pertini e Saragat dal carcere nazista (http:/ / www. anpi. it/ patria_2008/ 004/ 44-45_Vassalli. pdf), Patria Indipendente, Pubblicazione ANPI [44] Davide Conti (cur.), Le brigate Matteotti a Roma e nel Lazio, Roma, Edizioni Odradek, 2006. ISBN 88-86973-75-6 - Vedi anche Recensione dell'ANPI (http:/ / www. anpi. it/ patria_2008/ 003/ 42-44_LIBRI. pdf) [45] Marcella Monaco - I protagonisti della Resistenza a Roma (http:/ / www. liceocavour. it/ extracurr/ html/ 3. 9. HTM) [46] Alessandro Portelli, L'ordine è già stato eseguito. Roma, le Fosse Ardeatine, la memoria, Donzelli Editore, Roma p. 181. [47] L'annullamento fu deciso dal comando tedesco della città per il timore di attacchi partigiani [48] Lettera di Giorgio Amendola a Leone Cattani sulle vicende di via Rasella (http:/ / www. larchivio. org/ xoom/ rasellaamendola. htm), pubblicata sul sito dell'Associazione Italiana Autori Scrittori Artisti "L'ARCHIVIO". [49] Il 21 marzo l'azione non poté essere attuata per ritardo nell'acquisizione degli ordigni forniti dal Fronte Militare Clandestino. [50] Alessandro Portelli, L'ordine è già stato eseguito. Roma, le Fosse Ardeatine, la memoria (http:/ / books. google. it/ books?id=-8Lk8E3QsggC& printsec=frontcover& source=gbs_summary_r& cad=0#PPA188,M1), Roma, Donzelli Editore, 1999. ISBN 88-7989-457-9 URL consultato il 24-4-2010. p. 188. [51] Aurelio Lepre, Via Rasella. Leggenda e realtà della Resistenza a Roma, Bari, Laterza, 1996. ISBN 8842050261 pp. 27-28. [52] Lepre, op. cit., p. 49. [53] Dalla Lettera di Giorgio Amendola a Leone Cattani sulle vicende di via Rasella (http:/ / www. larchivio. org/ xoom/ rasellaamendola. htm): «Il P.C.I. non avrebbe mai accettato che prevalesse una posizione praticamente attesista. La direttiva data dal CLN era di colpire il nemico ovunque si trovasse. Se non si rispettava questa linea di azione, venivano meno le basi dell'accordo costituito tra i partiti antifascisti, ed il PCI sarebbe stato costretto a rivedere le ragioni della partecipazione del CLN. Questa la linea del mio intervento» [54] Lepre, op. cit., p. 49. Portelli, op. cit., p. 226. [55] Portelli, op. cit., p. 225. [56] Bisiach, op. cit., p. 130. [57] Alberto Benzoni; Elisa Benzoni, Attentato e rappresaglia. Il PCI e via Rasella, Venezia, Marsilio, 1999. ISBN 8831771698 p. 25. [58] Arturo Colombo. Su via Rasella (http:/ / archiviostorico. corriere. it/ 1997/ luglio/ 31/ via_Rasella_co_0_9707316940. shtml). Corriere della Sera, 31 7 1997. URL consultato in data 23-3-2009. [59] Intervista a Matteo Matteotti (http:/ / www. larchivio. com/ matteotti. htm) realizzata dal regista Enzo Cicchino ed andata in onda durante una puntata di Mixer. [60] Flavio Haver. "Togliatti non glorificò mai l'attentato di via Rasella" (http:/ / archiviostorico. corriere. it/ 1997/ settembre/ 16/ Togliatti_non_glorifico_mai_attentato_co_0_97091613912. shtml). Corriere della Sera, 16 9 1997. URL consultato in data 23-3-2009. [61] CESP - Video (http:/ / www. pertini. it/ cesp/ video/ repubblica. wmv) Intervista [62] Sandro Pertini. Quei giorni della liberazione di [[Firenze (http:/ / www. romanzieri. com/ archives/ 001379. php)]. Pugliese, 2006. 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[70] Sandro Pertini. Mussolini e Schuster, Pertini scriveva che... (http:/ / archiviostorico. corriere. it/ 1996/ maggio/ 09/ Mussolini_Schuster_Pertini_scriveva_che_co_0_9605098884. shtml). Corriere della Sera, 9 5 1996. URL consultato in data 19-4-2009. Lettera scritta da Pertini a Riccardo Lombardi. [71] Silvio Bertoldi. Il Duce al cardinale "Tedeschi traditori" (http:/ / archiviostorico. corriere. it/ 1995/ aprile/ 18/ Duce_cardinale_Tedeschi_traditori__co_0_950418699. shtml). Corriere della Sera, 18 4 1995. URL consultato in data 19-4-2009. [72] A Milano e a Torino nella fiammata insurrezionale, in Avanti!, 6 maggio 1945, riportato da CESP - Documenti (http:/ / www. pertini. it/ cesp/ doc_59. htm) [73] Max Salvadori, cognato di Emilio Lussu, colonnello alleato in clandestinità a Milano con il compito di tenere i contatti tra i Partigiani e gli Alleati - Biografia di Max Salvadori ad opera di Leo Valiani - Archivio storico del Corriere (http:/ / archiviostorico. corriere. it/ 1992/ agosto/ 11/ quando_Max_arrivo_dal_cielo_co_0_9208116093. shtml) [74] Sandro Pertini. Resistenza: patrimonio di tutti Avanti, 16 aprile 1965 (http:/ / www. fondazionepertini. it/ asp/ leggi. asp?IdSez=3& idcontenuto=183& IdSottoSez=11)

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Sandro Pertini [75] cfr. Franco Bandini, op. cit, e G. Bianchi, F. Mezzetti, Mussolini Aprile '45: L'epilogo, Editoriale Nuova, 1985 [76] Discorso del 27 aprile (http:/ / www. fondazionepertini. it/ asp/ leggi. asp?IdSez=3& idcontenuto=55& IdSottoSez=11), dal sito del CESP. [77] Ettore Botti. Lo scempio del duce nel giorno della vergogna (http:/ / archiviostorico. corriere. it/ 2001/ settembre/ 20/ scempio_del_duce_nel_giorno_co_0_01092011548. shtml). Corriere della Sera, 20 9 2001. URL consultato in data 22-3-2009. [78] Luigi Borgomaneri, Due inverni, un'estate e la rossa primavera: le Brigate Garibaldi a Milano e provincia (1943-1945), Milano, Edizioni Franco Angeli, 1985. p. 296. [79] Fondazione ISEC - cronologia dell'insurrezione a Milano - 30 aprile (http:/ / www. associazioni. milano. it/ isec/ ita/ cronologia/ crono30apr. htm) [80] Marozin, op. cit., p. 69. [81] Odoardo Reggiani, Luisa Ferida, Osvaldo Valenti. Ascesa e caduta di due stelle del cinema, Milano, Spirali, 2001. 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[87] legislature.camera.it Resoconto stenografico della seduta del 22/07/46 (http:/ / legislature. camera. it/ _dati/ costituente/ lavori/ Assemblea/ sed010/ sed010nc. pdf) [88] legislature.camera.it Resoconto stenografico della seduta del 19/11/47 (http:/ / legislature. camera. it/ _dati/ costituente/ lavori/ Assemblea/ sed295/ sed295nc. pdf) [89] La storia del PSI - Dal 1946 al 1968 (http:/ / www. domanisocialista. it/ storia4. htm). [90] Atti parlamentari. I Legislatura, Senato. Vol. V: Discussioni 1948-49 [91] Vittorio Messori, Pensare la storia, Milano, Edizioni San Paolo, 1992. p. 111. 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Sandro Pertini [113] articolo su "[[Corriere della Sera (http:/ / archiviostorico. corriere. it/ 2007/ maggio/ 03/ paure_Reagan_otto_anni_diari_co_9_070503105. shtml)]"] di Ennio Caretto [114] Sito dell' Associazione Nazionale Sandro Pertini (http:/ / www. pertini. it) [115] La storia siamo noi (http:/ / www. youtube. com/ watch?v=qBNCRFl1IyU& feature=related) [116] Archivio storico del Corriere - E il Papa disse: vengo sull' Adamello per sciare con lei (http:/ / archiviostorico. corriere. it/ 2004/ gennaio/ 17/ Papa_disse_vengo_sull_Adamello_co_5_040117032. shtml) [117] Ansa - testimonianza del medico Ugolini (http:/ / www. ansa. it/ opencms/ export/ site/ notizie/ rubriche/ approfondimenti/ visualizza_new. html_2111866939. html) [118] Fonte il sito della (http:/ / www. uaar. it/ ateismo/ opere/ 60. html) UAAR [119] Una recensione sul libro di Mari (http:/ / digilander. libero. it/ clubconcerto/ Libri-unlibrosullaconversionedelPapa. htm) [120] Il testo della smentita della Fondazione Pertini (http:/ / www. fondazionepertini. it/ asp/ leggi. asp?IdSez=3& idcontenuto=511& IdSottoSez=48) [121] Montanelli 1993, op. cit., p. 353 [122] Montanelli 1994, op. cit. [123] Indro Montanelli. Pertini? Sono altri i grandi d'Italia (http:/ / archiviostorico. corriere. it/ 1997/ giugno/ 16/ Pertini_Sono_altri_grandi_Italia_co_0_97061617382. shtml). Corriere della Sera, 16 6 1997. URL consultato in data 14-4-2009. [124] Antonio Maccanico, Indro Montanelli. Montanelli Maccanico, botta e risposta sulla figura di Pertini (http:/ / archiviostorico. corriere. it/ 1997/ giugno/ 19/ Montanelli_Maccanico_botta_risposta_sulla_co_0_97061916647. shtml). Corriere della Sera, 19 6 1997. URL consultato in data 14-4-2009. [125] Carlo Lizzani, Il mio lungo viaggio nel secolo breve, Torino, Einaudi, 2007. ISBN 880618802X p. 236. [126] Bernardino Marinoni. Lizzani: "Pertini mi scrisse che al duce non sparò Audisio" (http:/ / www. laprovinciadicomo. it/ stories/ Cultura e Spettacoli/ 85847/ ). La Provincia, 20 2 2009. URL consultato in data 23-3-2009. [127] (http:/ / www. imdb. com/ title/ tt1612754/ ), (http:/ / ilsecoloxix. ilsole24ore. com/ p/ cultura/ 2010/ 01/ 05/ AMsnYRGD-il_pertini_censurato. shtml), (http:/ / ilsecoloxix. ilsole24ore. com/ p/ cultura/ 2010/ 01/ 06/ AM1wvbGD-marano_trasmettera_pertini. shtml), (http:/ / ilsecoloxix. ilsole24ore. com/ p/ cultura/ 2010/ 01/ 09/ AMGZe8GD-pertini_anteprima_censurato. shtml), (http:/ / www. messinanews. com/ cultura-societa/ pertini-non-e-papi/ ), (http:/ / www. digital-sat. it/ new. php?id=21323) [128] www.quirinale.it (http:/ / www. quirinale. it/ onorificenze/ DettaglioDecorato. asp?idprogressivo=14653& iddecorato=14233) Assegnazione onorificenze [129] CESP - Documenti (http:/ / www. pertini. it/ cesp/ doc_06. htm) La medaglia al valore [130] www.quirinale.it (http:/ / www. quirinale. it/ onorificenze/ DettaglioDecorato. asp?idprogressivo=6184& iddecorato=5763) Assegnazione onorificenze [131] Associazione Nazionale Sandro Pertini - Elenco delle intitolazioni a Sandro Pertini (http:/ / www. pertini. it/ atti. htm) [132] Fondazione Sandro Pertini (http:/ / www. fondazionepertini. it/ asp/ fondazione. asp?IdSez=1& IdSottoSez=1) Storia della fondazione

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Voci correlate • • • • • • • • •

Antifascismo Socialismo Senatori della I Legislatura della Repubblica Italiana Composizione della Camera dei Deputati Presidenti della Camera dei Deputati italiana Elezione del Presidente della Repubblica Italiana del 1978 Presidente della Repubblica Italiana Senatori a vita Ferrata Sandro Pertini

Altri progetti •

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Collegamenti esterni • • • • •

Sito del Quirinale (http://www.quirinale.it/qrnw/statico/ex-presidenti/Pertini/per-biografia.htm) Associazione Nazionale Sandro Pertini (http://www.pertini.it) Fondazione Sandro Pertini (http://www.fondazionepertini.it) Centro Culturale Sandro Pertini (http://www.centropertini.org/) CESP - Centro Espositivo Sandro Pertini (http://www.pertini.it/cesp/)

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Sandro Pertini

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• Il partigiano Pert (http://www.lastoriasiamonoi.rai.it/puntate/il-partigiano-pert/641/default.aspx) La Storia siamo noi, documenti filmati • Intervista di Oriana Fallaci a Pertini - 27 dicembre 1973 (http://www.oriana-fallaci.com/pertini/intervista. html)

Aldo Moro Aldo Moro

Presidente del Consiglio dei Ministri Durata mandato 4 dicembre 1963 – 22 luglio 1964 Presidente Predecessore Successore

Antonio Segni Giovanni Leone Aldo Moro

Durata mandato 22 luglio 1964 – 23 febbraio 1966 Presidente

Antonio Segni Giuseppe Saragat

Predecessore

Aldo Moro

Successore

Aldo Moro

Durata mandato 23 febbraio 1966 – 24 giugno 1968 Presidente Predecessore Successore

Giuseppe Saragat Aldo Moro Giovanni Leone

Durata mandato 23 novembre 1974 – 29 luglio 1976 Presidente

Giovanni Leone

Predecessore

Mariano Rumor

Successore

Giulio Andreotti


Aldo Moro

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Ministro degli Esteri Durata mandato 5 agosto 1969 – 29 luglio 1972 Presidente

Predecessore Successore

Mariano Rumor Emilio Colombo Giulio Andreotti Pietro Nenni Giuseppe Medici

Durata mandato 7 luglio 1973 – 23 novembre 1974 Presidente

Mariano Rumor

Predecessore

Giuseppe Medici

Successore

Mariano Rumor

Ministro della Pubblica Istruzione Durata mandato 19 maggio 1957 – 15 febbraio 1959 Presidente

Predecessore Successore

Adone Zoli Amintore Fanfani Paolo Rossi Giuseppe Medici

Ministro della Giustizia Durata mandato 6 luglio 1955 – 19 maggio 1957 Presidente Predecessore Successore

Antonio Segni Michele De Pietro Guido Gonella

Dati generali Partito politico

Democrazia Cristiana


Aldo Moro

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Parlamento italiano Camera dei deputati

Partito

Democrazia Cristiana

Legislatura

AC, I, II, III, IV, V, VI, VII

Gruppo

Democratico Cristiano

Circoscrizione

Bari Incarichi parlamentari

Segretario della Commissione Speciale per l'esame del disegno di legge sulle nuove formule di giuramento dal 10 dicembre 1946 al 31 gennaio 1948

Commissione per la Costituzione dal 19 luglio 1946 al 31 gennaio 1948

1a Sottocommissione dal 19 luglio 1946 al 31 gennaio 1948

Comitato di Redazione dal 19 luglio 1946 al 31 gennaio 1948

Commissione Parlamentare per la vigilanza sulle radiodiffusioni dal 7 luglio 1947 al 31 gennaio 1948

Componente della Giunta per il Regolamento dall'8 maggio 1948 al 27 maggio 1948, dal 6 agosto 1951 al 24 giugno 1953 e dal 26 giugno 1953 al 6 luglio 1955

Componente della 2a Commissione (Affari Esterni) dall'11 giugno 1948 al 24 giugno 1953 e dal 1º luglio 1953 al 6 luglio 1955

Componente della 6a Commissione (Istruzione e Belle Arti) dal 29 gennaio 1950 al 24 giugno 1953 e dal 1º luglio 1953 al 6 luglio 1955

Componente della Commissione Speciale per l'esame dei provvedimenti relativi alla Corte Costituzionale (n. 469 e 1292) dal 25 settembre 1952 al 18 dicembre 1952

Componente della Giunta per i trattati di commercio e la legislazione doganale dal 27 luglio 1951 al 1º luglio 1952

Componente della 1a Commissione (Affari Costituzionali) dal 1º luglio 1959 al 30 giugno 1962

Componente della 4a Commissione (Giustizia) dal 12 giugno 1958 al 30 giugno 1959, dal 1º luglio 1962 al 15 maggio 1963 e dal 1º luglio 1963 al 4 dicembre 1963

Componente della 8a Commissione (Istruzione e Belle Arti) dal 10 luglio 1968 al 24 maggio 1972

Componente della 3a Commissione (Affari Esteri) dal 25 maggio 1972 al 4 luglio 1976 e dal 5 luglio 1976 al 9 maggio 1978

Presidente della 3a Commissione (Affari Esteri) dall'11 luglio 1972 al 7 luglio 1973

Pagina istituzionale

[1]

Aldo Romeo Luigi Moro (Maglie, 23 settembre 1916 – Roma, 9 maggio 1978) è stato un politico e accademico italiano, cinque volte Presidente del Consiglio dei ministri e presidente del partito della Democrazia Cristiana. È stato il 12º e 18º Presidente del Consiglio dei Ministri della Repubblica Italiana. Fu rapito il 16 marzo 1978 e ucciso il 9 maggio successivo da appartenenti al gruppo terrorista denominato Brigate Rosse.

Biografia Nacque a Maglie, in provincia di Lecce, da genitori originari di Gemini, frazione di Ugento. Conseguì la Maturità Classica al Liceo "Archita" di Taranto. Si iscrisse presso l'Università di Bari alla Facoltà di Giurisprudenza, dove prese la laurea, sotto la guida del prof. Biagio Petrocelli, con una tesi su "La capacità giuridica penale". In seguito, nel 1939, pubblicò la tesi e ottenne la docenza in filosofia del diritto e di politica coloniale alla stessa università nel 1941. L'anno successivo svilupperà la sua seconda opera "la subiettivazione della norma penale" e otterrà così la cattedra di professore di diritto penale. Durante gli anni universitari partecipa ai Littoriali della cultura e dell'arte.


Aldo Moro Nel 1942 entra a far parte della Federazione Universitaria Cattolica Italiana di Bari, segnalandosi ben presto anche a livello nazionale. Nel luglio 1939 venne scelto, su consiglio di Giovanni Battista Montini, di cui, proprio in quegli anni, divenne amico, come presidente dell'Associazione. Mantenne l'incarico sino al 1942, quando fu chiamato alle armi e gli successe Giulio Andreotti, sino ad allora direttore della rivista Azione Fucina[2]. Dopo qualche anno di carriera accademica, fondò nel 1943 a Bari, con alcuni amici, il periodico «La Rassegna» che uscì fino al 1945. Nel luglio dello stesso anno prese parte ai lavori che portarono alla redazione del Codice di Camaldoli. Nel 1945 sposò Eleonora Chiavarelli (Montemarciano, 25 settembre 1915 – Roma, 17 luglio 2010), con la quale ebbe quattro figli: Maria Fida (Roma, 17 dicembre 1946), Anna (1949) Agnese (1952), e Giovanni (Roma, 1958). Nei primi anni cinquanta fu nominato professore ordinario di diritto penale presso l'Università di Bari. Nel 1963 ottenne il trasferimento all'Università di Roma, in qualità di titolare della cattedra di Istituzioni di Diritto e Procedura penale presso la Facoltà di Scienze Politiche.

Attività politica Tra il 1943 e il 1945 Aldo Moro aveva iniziato a interessarsi di politica; in un primo tempo mostrò particolare attenzione alla componente socialdemocratica del partito socialista, successivamente però il suo forte credo cattolico lo spinse verso il costituendo movimento democristiano. Nella DC mostrò subito la sua tendenza democratico-sociale, aderendo alla componente dossettiana[3]. Nel 1945 divenne direttore della rivista Studium e fu eletto presidente del Movimento Laureati dell'Azione Cattolica. Nel 1946 divenne vicepresidente della Democrazia Cristiana e fu eletto all'Assemblea Costituente, dove entrò a far parte della Commissione che si occupò di redigere il testo costituzionale. Eletto deputato al parlamento nelle elezioni del 1948, fu nominato sottosegretario agli esteri nel gabinetto De Gasperi (23 maggio 1948 - 27 gennaio 1950). Nel 1953 fu rieletto alla Camera, ove fu eletto presidente del gruppo parlamentare democristiano. Nel 1955 fu ministro di Grazia e Giustizia nel governo Segni I e l'anno dopo risultò tra i primi eletti nel consiglio nazionale del partito durante il VI congresso nazionale della DC. Ministro della Pubblica Istruzione nei due anni successivi (governi Zoli e Fanfani), introdusse lo studio dell'educazione civica nelle scuole. Nel 1959, al VII congresso nazionale DC conquistò la segreteria del partito. Nel dicembre 1963 (IV Legislatura, 1963-68) divenne, a soli 47 anni, presidente del Consiglio. Formò il suo primo governo con una coalizione inedita: DC, PSI, PSDI e PRI; fu il primo governo del centro-sinistra. La coalizione resse fino alle elezioni del 1968. Il governo Moro III (23 febbraio 1966-5 giugno 1968) batté il record di durata (833 giorni) e rimase uno dei più longevi della Repubblica. Dopo le elezioni venne costituito un governo balneare in attesa del congresso DC, previsto per l'autunno. Al congresso Moro passò all'opposizione interna al partito. Dal 1969 al 1974 (V e VI Legislatura), assunse l'incarico di ministro degli Esteri. Dopo la caduta del V governo Rumor, riprese la guida di palazzo Chigi, dove rimase fino alle elezioni anticipate del 1976. Nel 1975 il suo governo conclude il Trattato di Osimo, con cui si sanciva l'appartenenza della Zona B del Territorio Libero di Trieste alla Jugoslavia. Nel 1976 fu eletto Presidente del Consiglio Nazionale del partito.

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Aldo Moro

Moro e la DC[4] Aldo Moro «era un cattolico osservante e praticante e la sua fede in Dio si rispecchiava nella sua vita politica»[5]. Moro era considerato un mediatore tenace e particolarmente abile nella gestione e nel coordinamento politico delle numerose "correnti" che agivano Aldo Moro e Amintore Fanfani, definiti i due "cavalli di razza" della Democrazia e si suddividevano il potere all'interno cristiana. della Democrazia cristiana. All'inizio degli anni sessanta Moro fu un convinto assertore della necessità di un'alleanza tra il suo partito e il Partito socialista italiano, per creare un governo di centro-sinistra. Nel congresso democristiano di Napoli del 1962 riuscì a portare su questa posizione l'intero gruppo dirigente del partito. La stessa cosa avvenne all'inizio del 1978 (poco prima del rapimento), quando riuscì a convincere la DC della necessità di un "governo di solidarietà nazionale", con la presenza del PCI nella maggioranza parlamentare. La sua intenzione dominante era di allargare la base democratica del sistema di governo, vale a dire che il vertice del potere esecutivo avrebbe dovuto rappresentare un numero più ampio di partiti e di elettori. Questo sarebbe stato possibile solo con un gioco di alleanze aventi come fulcro la DC, seguendo così una linea politica secondo il principio di democrazia consociativa[6]. Se si analizzano i compiti di Moro nell'ambito della sua attività politica, risaltano le grandi difficoltà a cui doveva far fronte: soprattutto la necessità di conciliare la missione cristiana e popolare della democrazia cristiana con i valori di tendenza laica e liberale della società italiana. Il cosiddetto “miracolo economico”, che aveva portato l'Italia rurale a diventare in pochi decenni una delle grandi potenze industriali mondiali, comportò anche un cambiamento sociale, con il risveglio delle masse nel senso di una presenza attiva nella vita del Paese. Moro, quando affermava che “di crescita si può anche morire”[7], voleva esprimere il reale pericolo di una società in rapida crescita. Il risveglio delle masse aveva favorito nuove e più forti fasce sociali (tra cui i giovani, le donne e i lavoratori) che avevano bisogno di integrazione all'interno del sistema democratico. «No al processo in piazza» Il 7 marzo 1977 cominciò in Parlamento il dibattito sullo scandalo Lockheed. Marco Pannella, tra i primi a parlare, sostenne la tesi che il responsabile delle tangenti non fosse il governo ma il Presidente della Repubblica in persona, Giovanni Leone. Ugo La Malfa si schierò dalla sua parte chiedendo le dimissioni del Presidente. Il 9 marzo prese la parola Moro. Il presidente DC difese il suo partito dall'accusa di aver posto in essere un «regime» e difese i ministri Luigi Gui (democristiano) e Mario Tanassi (PSDI), che erano al centro dell'inchiesta. Poi intese replicare all'intervento di Mimmo Pinto. Il deputato di Democrazia proletaria aveva detto che la corruzione della DC era provata dallo scandalo Lockheed; per questo i democristiani sarebbero stati processati nelle piazze: «Nel Paese vi sono molte opposizioni (…); e quell'opposizione, colleghi della Democrazia cristiana, sarà molto più intransigente, sarà molto più radicale quando i processi non si faranno più in un'aula come questa, ma si faranno nelle piazze, e nelle piazze vi [8] saranno le condanne» [9] Moro replicò: «Onorevoli colleghi che ci avete preannunciato il processo nelle piazze, vi diciamo che noi non ci faremo processare» . In seguito la frase si prestò a diverse interpretazioni, in chiave prevalentemente politica. La vicenda giudiziaria si concluderà nel 1979 con l'assoluzione di Gui e la condanna di Tanassi.

Le masse popolari, secondo alcuni[10] tendevano a esprimere in forma “emotiva e mitologica” il loro bisogno di una partecipazione diretta alla gestione del potere. Secondo altri, più semplicemente, le masse popolari italiane erano e sono – per ragioni storiche, politico-culturali e di fragilità del ceto intellettuale – propense a inclinare verso una destra autoritaria. In questo quadro variegato e in evoluzione, la missione che Moro ascrisse alla Democrazia cristiana fu recuperare le classi popolari dal fascismo e traghettarle nel sistema democratico[11].

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Aldo Moro Per questo motivo, Moro si ritrovò nell'ingrata situazione di dover “armonizzare” realtà apparentemente inconciliabili tra loro[12] Questo fattore era un fondamentale presupposto per la nascita di gruppi terroristici che, visti sotto quest'ottica, si potevano considerare il frutto dell'estremizzazione di una forma di partecipazione attiva ed extraparlamentare alla politica del paese da parte di una piccolissima parte della popolazione. In questo tipo di partecipazione, componenti emozionali e mitologiche si mescolano provocando quasi sempre “situazioni drammatiche”[13]. Dall'altro lato c'era la necessità di far sopravvivere il sistema politico, che a questo scopo aveva bisogno sia di regole precise, sia di scendere continuamente a compromessi alla ricerca di una forma di tolleranza civile. Vale a dire due realtà opposte, agli antipodi tra loro. Sandro Fontana riepiloga con le seguenti domande l'arduo compito di Moro (e della Dc): “Come conciliare l'estrema mobilità delle trasformazioni sociali con la continuità delle strutture rappresentative? Come integrare nello Stato masse sempre più estese di cittadini senza cedere a seduzioni autoritarie? Come crescere senza morire?”[14] Per forza di cose, la soluzione a tali quesiti non poteva non essere vista nell'ambito di un compromesso politico, un'esperienza già in parte collaudata con “l'apertura a sinistra” della DC nei confronti del PSI di Pietro Nenni, all'inizio degli anni Sessanta[15]. Ma la situazione era diversa: fin dal 1956 (rivoluzione ungherese) il Psi si era dichiaratamente staccato dal Pci per intraprendere una strada autonoma. Negli anni settanta e soprattutto dopo le elezioni del 1976, che videro un'avanzata del PCI sulla Dc, Moro concepì l'esigenza di dar vita a governi di "solidarietà nazionale", che avessero una base parlamentare più ampia, comprendente anche il PCI. Questo fatto rese Moro oggetto di aspre contestazioni: i critici lo accusarono di volersi rendere artefice di un secondo “compromesso storico”, più clamoroso di quello con Nenni in quanto prevedeva una collaborazione di governo con il Partito Comunista di Enrico Berlinguer, che ancora faceva parte della sfera d'influenza sovietica. Ma Berlinguer anticipò le eventuali preclusioni ai suoi danni prendendo pubblicamente le distanze da Mosca e rivendicando la capacità del PCI di muoversi autonomamente sullo scacchiere politico italiano[16]. Aldo Moro fu uno dei leader politici che maggiormente prestarono attenzione al progetto di Berlinguer, che con lo «strappo da Mosca» si era reso accettabile a una parte degli elettori della Democrazia cristiana. Il segretario nazionale del Partito Comunista Italiano aveva proposto un accordo di solidarietà politica fra i comunisti e cattolici, in un momento di profonda crisi sociale e politica in Italia. La conseguenza fu un intenso confronto parlamentare tra i due schieramenti, che fece parlare di "centralità del Parlamento". All'inizio del 1978 Moro, allora presidente della Democrazia Cristiana fu l'esponente politico più importante fra coloro che ritennero percorribile una strada per un governo di "solidarietà nazionale", che includesse anche il PCI nella maggioranza, sia pure senza fare entrare direttamente nel Governo, in una prima fase, dei ministri comunisti. Tale soluzione presentava peraltro grandi rischi sul piano della politica internazionale, in quanto non trovava il consenso delle grandi superpotenze mondiali[17]: • Disaccordo degli Usa: l'ingresso al governo di persone che avevano stretti contatti con il partito comunista sovietico avrebbe consentito loro di venire a conoscenza, in piena guerra fredda, di piani militari e di postazioni strategiche supersegrete della Nato. Inoltre, una partecipazione comunista in un paese d'influenza americana sarebbe stata una sconfitta culturale degli Usa nei confronti del resto del mondo, e soprattutto dell'Urss; • Disaccordo dell'Urss: la partecipazione al governo del Pci sarebbe stata una forma di emancipazione dal governo madre sovietico e di avvicinamento agli Usa. Le divergenze sul piano internazionale – rispetto al suo disegno politico – Moro le aveva già potute constatare sulla propria pelle nel periodo direttamente antecedente il sequestro: la sua accorata difesa di Rumor nella discussione parlamentare sullo Scandalo Lockheed fu da taluno spiegata con un suo personale coinvolgimento nel sistema di tangenti versate dall'impresa aerospaziale americana Lockheed in cambio dell'acquisto di aerei da trasporto militari C-130. Secondo alcuni giornali (che si disse foraggiati da circoli ostili statunitensi), Moro era il fantomatico Antelope Cobbler, destinatario delle bustarelle. L'accusa, che aveva lo scopo di fare fuori politicamente Moro e far naufragare in tal modo i suoi progetti politici, fallì con l'assoluzione di Moro del 3 marzo 1978, tredici giorni prima

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Aldo Moro dell'agguato in via Fani[18].

Il sequestro Il 16 marzo 1978, giorno della presentazione del nuovo governo, guidato da Giulio Andreotti, la Fiat 130 che trasportava Moro, dalla sua abitazione nel quartiere Trionfale zona Monte Mario di Roma alla Camera dei deputati, fu intercettata da un commando delle Brigate Rosse all'incrocio tra via Mario Fani e Via Stresa. Gli uomini delle BR uccisero, in pochi secondi, i 5 uomini della scorta (Domenico Ricci, Oreste Leonardi, Raffaele Iozzino, Giulio Rivera, Francesco Zizzi) e sequestrarono il presidente della Democrazia Cristiana.

Morte e sepoltura Dopo una prigionia di 55 giorni nel covo di via Montalcini[19], il corpo di Aldo Moro, ucciso dalle Brigate Rosse, fu ritrovato il 9 maggio nel baule posteriore di un'automobile Renault 4 rossa a Roma, in via La celebre foto del Presidente Moro sequestrato Caetani, emblematicamente vicina sia[20] a Piazza del Gesù (dov'era la dalle BR sede nazionale della Democrazia Cristiana), sia a via delle Botteghe Oscure (dove era la sede nazionale del Partito Comunista Italiano). Fu sepolto nel comune di Torrita Tiberina, piccolo paese della provincia romana ove lo statista amava soggiornare. Aveva 61 anni. Papa Paolo VI officiò una solenne commemorazione funebre pubblica per la scomparsa di Aldo Moro, amico di sempre e alleato, a cui parteciparono le personalità politiche e trasmesso in televisione. Questa cerimonia funebre venne celebrata senza il corpo dello statista per esplicito volere della famiglia, che non vi partecipò, ritenendo che lo stato italiano poco o nulla avesse fatto per salvare la vita di Moro, rifiutando il funerale di stato e scegliendo di svolgere le esequie dello statista in forma privata.

Le lettere di Aldo Moro Rinchiuso dalle Brigate Rosse nella "prigione del popolo", Aldo Moro scrisse moltissime lettere, indirizzate perlopiù ai familiari e alla dirigenza della Democrazia Cristiana, più precisamente a Benigno Zaccagnini, a Francesco Cossiga, a Giulio Andreotti, a Riccardo Misasi e ad altri; oltre che al capo socialista Bettino Craxi, l'unico esponente di governo che abbia sostenuto la necessità di trattare per salvare la vita di Moro. Le lettere, che degli esami grafologici hanno attribuito come scrittura al politico, sono sicuramente di Moro, anche se ragioni tattiche (ascrivibili alla così detta "linea della fermezza" ed alla necessità di chiudere ogni spiraglio alla trattativa) spinsero buona parte dell'allora dirigenza politica (soprattutto DC) ad allinearsi e a metterne in dubbio l'autenticità, a sostenere che non fossero state pensate da Moro o fossero addirittura dettate dalle Brigate Rosse. Il parere dei familiari, dei migliori studiosi e infine di chiunque abbia letto le lettere integralmente, è concorde nel riconoscere pienamente Moro in quegli scritti. Trentotto di queste lettere vennero pubblicate, con una introduzione attribuita a Bettino Craxi, nel pamphlet Lettere dal Patibolo dalla rivista Critica Sociale.[21]

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Aldo Moro

Le polemiche successive Il settimanale Panorama nel numero del 19 maggio 1980 in un articolo dal titolo Perché rubano tanto?[22]. aveva sollevato il caso delle fattorie del senese amministrate dal consigliere di Aldo Moro, Sereno Freato. La polemica fu poi ripresa da Giorgio Pisanò sul settimanale Candido.

Riconoscimenti ufficiali Il 4 maggio 2007, il Parlamento ha votato e approvato una legge con il quale si istituisce il 9 maggio il "Giorno della memoria" in ricordo di Aldo Moro e di tutte le vittime del terrorismo. Tra aprile e maggio 2007 è stata presentata presso l'Istituto San Giuseppe delle suore Orsoline a Terracina e presso la sede dell'associazione Forche Caudine a Roma[23], presente la figlia Agnese, una raccolta ragionata dei suoi scritti giornalistici, curata da Antonello Di Marioe Tullio Pironti editore. Nella notte tra l'8 e il 9 giugno 2007, giorni della visita del Presidente degli Stati Uniti George W. Bush in Italia, la lapide di via Fani che ricorda il rapimento di Aldo Moro e le cinque persone della scorta uccise è stata profanata con la scritta "Bush uguale a Moro". Le più alte cariche istituzionali, personalità politiche e rappresentanti della società civile si sono dette indignate per quello che ritengono un atto vile e insensato. Il giorno della domenica delle Palme del 2008, 16 marzo, a trenta anni esatti dal suo rapimento, il vescovo di Caserta Raffaele Nogaro nell'omelia pasquale ha espressamente chiesto l'avvio di un processo di canonizzazione per Aldo Moro: "uomo di infinita misericordia, che perdonò tutti"[24]. Il 20 settembre 2012 il presidente del tribunale diocesano di Roma da il via libera all’inchiesta sulla beatificazione di Aldo Moro dopo il nulla osta concesso dal vicario del Papa, cardinal Agostino Vallini, che ha indicato lo statista «servo di Dio»[25]. Nel giorno del 30º anniversario della sua morte, l'Università degli Studi di Bari ha deliberato di intitolarsi ad Aldo Moro, che fu studente e docente presso quest'ultima. La decisione ha avuto consenso e apprezzamento da parte della figlia Agnese Moro. Ad Aldo Moro è dedicato il ponte omonimo di Taranto conosciuto anche come Ponte Punta Penna Pizzone.

Termine della secretazione dei lavori governativi di Aldo Moro Ormai i termini di secretazione sono scaduti, e lentamente vengono pubblicati alcuni documenti realizzati durante la sua attività politica[26][27][28][29].

Opere di Aldo Moro • Aldo Moro, La democrazia cristiana per il governo del paese e lo sviluppo democratico nella società italiana, 1962 • Aldo Moro, "La subiettivazione della norma penale" • Aldo Moro,"La capacità giuridica penale"

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Opere su Aldo Moro Bibliografia • Giovanni Acquaviva, Un italiano diverso: Aldo Moro, 1968 • Gianni Baget Bozzo, Il partito cristiano e l'apertura a sinistra: la DC di Fanfani e di Moro 1954-1962, Firenze, Vallecchi, 1977. • Gianni Baget Bozzo, Democrazia cristiana, Moro, «partito americano», in Argomenti radicali, n, 10, 1978. • Gianni Baget Bozzo e Giovanni Tassani, Aldo Moro: il politico nella crisi, 1983 • Roberto Bartali, Giuseppe de Lutiis, Sergio Flamigni, Ilaria Moroni e Lorenzo Ruggiero, Il sequestro di verità. I buchi neri del delitto Moro, 2008 • Giovanni Bianconi. Eseguendo la sentenza. Einaudi, 2007 • Francesco Biscione, Il delitto Moro: strategie di un assassinio politico, 1998 • Carlo Bo, Aldo Moro. Delitto d'abbandono, 1988 • Giorgio Bocca e Silvia Giacomoni, Moro: una tragedia italiana, 1978 • Silvio Bonfigli e Jacopo Sce, Il delitto infinito. Ultime notizie sul sequestro Moro, Kaos edizioni • Annalaura Braghetti e Paola Tavella, Il prigioniero, 1998 • Manlio Castronuovo, "Vuoto a perdere ", 2007 • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • •

Marco Clementi, La 'pazzia' di Aldo Moro, 2001 Aniello Coppola, Moro, 1976 Eugenio Cutolo, Aldo Moro: La vita, l'opera, l'eredità, 1980 Augusto D'Angelo, Moro – I vescovi e l'apertura a sinistra, 2005 Giuseppe De Lutis, Perché Aldo Moro, 1988 Giovanni Di Capua, Aldo Moro: il potere della parola (1943-1978), 1988 Antonello Di Mario, L'attualità politica di Aldo Moro negli scritti giornalistici dal 1937 al 1978, 2007 Roberto Ducci I Capintesta, Rusconi 1982 Giovanni Fasanella, Giuseppe Rocca Il misterioso intermediario – Igor Markevic e il caso Moro, 2003 Sergio Flamigni, La tela del ragno. Il delitto Moro, Kaos edizioni 1988 Sergio Flamigni, Il mio sangue ricadrà su di loro. Gli scritti di Moro prigioniero delle BR, Kaos edizioni Sergio Flamigni, Convergenze parallele, Kaos edizioni Sergio Flamigni, Il covo di stato. Via Gradoli 96 e il delitto Moro, Kaos edizioni Guido Formigoni, Aldo Moro. L'intelligenza applicata alla mediazione politica, 1997 Antonio Ghirelli e FrancoAngeli, Moro tra Nenni e Craxi. Cronaca di un dialogo tra il 1959 e il 1978, 1991 Agostino Giovagnoli, Il caso Moro – Una tragedia repubblicana, Il Mulino, 2005 Ferdinando Imposimato-Sandro Provvisionato, Doveva morire. Chi ha ucciso Aldo Moro. Il racconto di un giudice, edizioni Chiarelettere, 2008, ISBN 88-6190-025-9 Robert Katz, I giorni dell'ira, 1986 (libro da cui è tratto il film di G. Ferrara Il caso Moro) Daniele Luttazzi, Stanotte e per sempre, racconto grottesco su Andreotti e il caso Moro Mario Moretti, Rossana Rossanda, Carla Mosca Brigate Rosse. Una storia italiana, 2002 Agnese Moro, Un uomo così, 2003 Carlo Alfredo Moro, Storia di un delitto annunciato, 1998 Maria Fida Moro, La nebulosa del caso Moro, 2004 Renato Moro, Aldo Moro negli anni della FUCI, 2008 Roberto Pantanelli, Ammazzate Moro, 1987 Paolo Parisi, Il sequestro Moro, 2006, graphic novel

• Roberto Ruffilli, Vicenda Moro e sistema politico, ne Il Mulino, 4, luglio-agosto 1978, pp. 668-fine • Vladimiro Satta, Odissea nel caso Moro, 2003 • Vladimiro Satta, Il caso Moro e i suoi falsi misteri, 2006

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Salvatore Savoia, Aldo Moro. L'iniqua ed ingrata sentenza della D.C...., Dellisanti editore, Massafra, 2006 Leonardo Sciascia, L'affaire Moro, 1994 Leonardo Sciascia, Todo modo romanzo, 1974 Webster Tarpley et al., Chi ha ucciso Aldo Moro? studio commissionato dall'On. Zamberletti. 1978 Vittorio Vettori, Diario apocrifo di Aldo Moro prigioniero, 1982 Giovanni Moro, Anni Settanta, 2007 Andrea Ligorio, Il caos Moro, 2008 Antonio Volpi, La macchina Rossa, 2008 Giovanni Maddamma, Aldo Moro – Omicidio Misterioso Edizione Boopen, 2008 Romano Bianco e Manlio Castronuovo, Via Fani ore 9.02. 34 testimoni oculari raccontano l'agguato ad Aldo Moro, 2010

Filmografia • Todo modo: film di Elio Petri, 1976, nel quale il personaggio del presidente, interpretato da Gian Maria Volonté, è palesemente ispirato ad Aldo Moro. Il film è tratto dall'omonimo romanzo di Leonardo Sciascia. • Il caso Moro: film di Giuseppe Ferrara, 1986. Il protagonista è nuovamente Gian Maria Volonté. • L'anno del terrore: film di John Frankenheimer, 1991. Tratto dal romanzo Year of The Gun di Michael Mewshaw; il personaggio dello statista compare brevemente in alcune scene ed è interpretato da Aldo Mengolini. • Piazza delle Cinque Lune: film di Renzo Martinelli, 2003. Il vero Moro appare in immagini di repertorio. Quello finto è interpretato da un caratterista mai in primo piano. Il film è dedicato all'allora ventisettenne nipote Luca Bonini Moro, che compare sui titoli di coda in veste di cantautore, interpretando il brano Maledetti voi; sullo sfondo del ragazzo (figlio di Maria Fida Moro e spesso affettuosamente citato nelle lettere dello statista durante la prigionia), alcune fotografie di lui a due anni col nonno nei giorni immediatamente precedenti il sequestro. • Buongiorno, notte: film di Marco Bellocchio, 2003. Moro è interpretato da Roberto Herlitzka. • Nel cuore dello Stato: film documentario di Alberto Castiglione, scritto con Fabrizio Scibilia, presentato a Palermo il 18 marzo 2008. • Il divo: film di Paolo Sorrentino, 2008. Lo statista è interpretato da Paolo Graziosi. • Romanzo di una strage: film di Marco Tullio Giordana, 2012. Lo statista è interpretato da Fabrizio Gifuni.

Musica Io se fossi Dio di Giorgio Gaber (1980): la canzone, della durata di 14 minuti, esprime un giudizio negativo su Aldo Moro. Fu pubblicata dalla F1 Team su disco da 12 pollici inciso solo da un lato, per il rifiuto della Carosello. La canzone era stata scritta nel 1978, dopo l'uccisione di Aldo Moro, ma fu pubblicata due anni dopo perché evidentemente le case discografiche temevano ripercussioni legali.

Teatro • L'ira del sole, un 9 di maggio (1998) di Maria Fida Moro e Antonio Maria Di Fresco, regia di Antonio Raffaele Addamo. Con Maria Fida Moro e Luca Bonini Moro. Teatro Biondo Stabile di Palermo. • Aldo Moro – Una tragedia italiana (2007) di Corrado Augias e Vladimiro Polchi, regia di Giorgio Ferrara. Con Paolo Bonacelli (Aldo Moro) e Lorenzo Amato (il narratore). Teatro Stabile della Sardegna, Teatro Eliseo di Roma. • Corpo di stato – Il delitto Moro: una generazione divisa (1998) di Marco Baliani, regia di Maria Maglietta. Con Marco Baliani. Casa degli Alfieri – Trickster Teatro. • "Se ci fosse luce – i misteri del caso Moro" (2007) scritto, diretto e interpretato da Giancarlo Loffarelli. Con Emiliano Campoli, Marina Eianti, Giancarlo Loffarelli, Luigina Ricci, Elisa Ruotolo, Maurizio Tartaglione. Compagnia "Le colonne".

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Aldo Moro • Roma, Via Caetani, 55º giorno (2008) scritto ed interpretato da Lucilla Falcone – Associazione Culturale "La Buona Creanza". • ALDO MORTO - Tragedia (2011) di Daniele Timpano, regia di Daniele Timpano. Con Daniele Timpano. amnesiA vivacE, Area 06, Cité internationales des Arts - Résidence d'artistes di Parigi

Televisione • Assolvenza Aldo Moro (Blob Speciale) antologia di filmati ed estratti dagli archivi Rai (servizi tratti dai TG, pubblicità, frammenti di film, programmi vari) risalenti al periodo del rapimento dello statista curata dalla redazione di Blob nel 1998 in occasione del ventennale dei noti avvenimenti. Fu trasmessa su Rai3 dal 9 marzo[30] al 15 maggio per cinque giorni a settimana (lunedì, mercoledì, giovedì, venerdì e sabato)[31]; ogni puntata durava circa una dozzina di minuti e precedeva il Blob più convenzionale.[31] • Aldo Moro - Il Presidente: fiction televisiva in due puntate, prodotta dalla TaoDue di Piero Valsecchi, diretta da Gianluca Maria Tavarelli e interpretata da Michele Placido, in onda su Canale 5 il 9 e 11 maggio 2008 in occasione del trentennale dalla morte dello statista.

Note [1] http:/ / legislature. camera. it/ chiosco. asp?cp=1& position=VII%20Legislatura%20/ %20I%20Deputati& content=deputati/ legislatureprecedenti/ Leg07/ framedeputato. asp?Deputato=1d4180 [2] Sulle vicende di Moro negli anni della FUCI si veda Renato Moro, Aldo Moro negli anni della FUCI, Studium, 2008 e Tiziano Torresi L'altra giovinezza. Gli universitari cattolici dal 1935 al 1940, Cittadella editrice 2010 [3] Considerata comunemente la "sinistra DC". [4] Questa sezione contiene frasi liberamente estratte dalla tesi di laurea di A. Stella avente il sequestro Moro come tema principale (2007). Lo stesso autore e proprietario dei diritti ha provveduto a inserire e pubblicare tali frasi. [5] Aniello Coppola, Moro, Feltrinelli, Milano, 1976, pag. 13 [6] Questa idea di Moro non va confusa con la strategia, enunciata dal segretario del PCI Enrico Berlinguer, del “compromesso storico”, che prevedeva l'entrata al governo del Pci. [7] Sandro Fontana: Moro e il sistema politico italiano, in: AA. VV., Cultura e politica nell'esperienza di Aldo Moro, Giuffrè, Milano, 1982, pag. 183 [8] Mino Martinazzoli, Uno strano democristiano, Rizzoli, 2009, pp. 61-66. [9] Atti parlamentari, VII legislatura, Parlamento in seduta comune, Resoconto stenografico della seduta dal 3 all'11 marzo 1977, p. 455 [10] Sandro Fontana: Moro e il sistema politico italiano, in: AA. VV., Cultura e politica nell'esperienza di Aldo Moro, cit., pag. 184. [11] Secondo Beppe Pisanu, nell'intervento dell'8 maggio 2009 alla Sala delle colonne di palazzo Marini in Roma nel corso della presentazione del libro di Corrado Guerzoni Aldo Moro, Moro dissentì dall'entusiasmo di Granelli e degli altri della sua corrente che nel 1977 prevedevano una vittoria della DC spagnola alle prime elezioni post-franchiste, e richiesto del perché (al ritorno dal suo viaggio a Madrid) spiegò a Pisanu: "Lì nessuno dei nostri amici democratici cristiani s'è incaricato di traghettare nella democrazia le masse che per mezzo secolo hanno inneggiato a Franco; non supereranno il 4 per cento dei voti". Manco a dirlo, la previsione, ha concluso Pisanu, risultò precisa al millesimo. [12] Sandro Fontana, nel suo citato articolo Moro e il sistema politico italiano, sostenne che tale strutturazione culturale delle masse le induce a cercare “soluzioni di tipo simbolico” che si risolvono spesso in “situazioni drammatiche”. [13] Si pensi all'aspetto “romantico” del perseguire un ideale con ogni mezzo. [14] Sandro Fontana: Moro e il sistema politico italiano, in: AA. VV., Cultura e politica nell'esperienza di Aldo Moro, cit., pag. 184 [15] Italo Pietra, Moro fu vera gloria?, Garzanti, Milano, 1983, pp. 111–114 [16] Vedi «lo strappo con Mosca. [17] Marcello Veneziani, "Ma è oggi che trionfa in Italia la formula chiamata moroteismo", ne: Il Messaggero, 16/3/1998 [18] Robin Erica Wagner-Pacifici, "The Moro Morality Play. Terrorism as Social Drama", The University of Chicago Press, Chicago, 1986, pp. 30–32; Paolo Cucchiarelli – Aldo Giannuli, Lo Stato parallelo, Gamberetti Editrice, Roma, 1997, pag. 422 [19] Per una curiosa ironia della Storia, il luogo della prigionia del teorico della "centralità del Parlamento" fu una via periferica di Roma, nel quartiere Portuense, intitolata al più famoso dei funzionari parlamentari: Camillo Montalcini che resse la Segreteria generale della Camera dei deputati dal 1900 al 1927, quando fu rimosso dal fascismo alla luce delle risultanze della Commissione di inchiesta sulle presenze massoniche nelle istituzioni parlamentari. [20] Erroneamente, forse a enfasi del fatto, venne riportato dalla stampa che il luogo del ritrovamento fosse esattamente a metà strada fra le sedi dei due partiti. [21] Le Lettere Dal Patibolo Di Aldo Moro - Critica Sociale (http:/ / www. criticasociale. net/ index. php?& lng=ita& sid=839b3226faffb565d3a67238c97e2df4& function=rivista& pid=page& year=2008& id=0003938& top_nav=titoli_2008& sintesi=1)

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Aldo Moro [22] Massimo Riva, già articolista economico del "Corriere" e poi di "Repubblica". afferma: " Per la sua tragica fine la vicenda di Aldo Moro ha giustamente toccato e commosso la coscienza civile di tutti gli italiani. Però mi chiedo se sia giusto dimenticare che dietro quel personaggio non c'era soltanto un disegno politico, ma esisteva un mondo di affarismo molto spinto" [23] (storico circolo dei Romani d'origine molisana) [24] Notizia riportata dalla stampa locale come l'Eco di Caserta e da quella nazionale come il settimanale L'Espresso [25] Notizia pubblicata dalla Gazzetta del Mezzogiorno il 24 settembre del 2012 [26] da la Repubblica.it del 9 agosto 2008 (http:/ / www. repubblica. it/ 2008/ 05/ sezioni/ politica/ moro-anniversario/ moro-libia/ moro-libia. html): "Aldo Moro e quella mano tesa verso la Libia di Gheddafi" [27] da la Repubblica.it (http:/ / www. repubblica. it/ 2006/ 05/ gallerie/ politica/ archivi-segreti-moro/ 1. html): "Gli archivi segreti di Moro" [28] Aldo Moro, le carte segrete "Presidente, dica no al divorzio" - Politica - Repubblica.it (http:/ / www. repubblica. it/ 2008/ 11/ sezioni/ politica/ moro-carte/ moro-carte/ moro-carte. html) [29] Le carte di Aldo Moro - Galleria - Repubblica.it (http:/ / www. repubblica. it/ 2006/ 05/ gallerie/ politica/ le-carte-di-aldo-moro/ 1. html) [30] sito "Archivio Storico Corriere della Sera" (http:/ / archiviostorico. corriere. it/ 1998/ marzo/ 08/ caso_Moro_Blob_Ogni_giorno_co_0_9803089197. shtml) [31] sito "Archivio La Repubblica" (http:/ / ricerca. repubblica. it/ repubblica/ archivio/ repubblica/ 1998/ 03/ 08/ prima-di-blob-una-striscia-su-moro. html)

Voci correlate • Governo Moro I • Governo Moro II • • • • • •

Governo Moro III Governo Moro IV Governo Moro V Cronaca del sequestro Moro Caso Moro Sereno Freato

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Collegamenti esterni • Accademia Aldo Moro (http://www.accademiaaldomoro.it) • Archivio900, Gli ultimi discorsi di Aldo Moro in Parlamento (http://www.archivio900.it/it/documenti/ finestre-900.aspx?c=1138) • Il Memoriale Moro (http://clarence.supereva.com/contents/societa/memoria/moro/) • Caso Moro dalla A alla Z (http://www.ilcassetto.it/notizia.php?tid=154) • Gli scritti di Aldo Moro dal carcere brigatista (http://www.archivio900.it/it/documenti/finestre-900. aspx?c=1042) • Sito della Commissione parlamentare d'inchiesta sul terrorismo (http://www.parlamento.it/parlam/bicam/ terror) • Il caso Moro, La Storia siamo noi, filmati e documenti (http://www.lastoriasiamonoi.rai.it/puntate/ il-caso-moro/381/default.aspx) • Tre milizie, tre fedeltà: storia della Democrazia Cristiana (http://www.lastoriasiamonoi.rai.it/puntate/ tre-milizie-tre-fedeltà /670/default.aspx) La Storia siamo noi. • "REBUS Speciale: Aldo Moro, il complotto?" (http://www.youtube.com/watch?v=7s0B0Lm1Z3s) Trasmissione speciale di Odeon, curata e condotta da Maurizio Decollanz, dedicata alle teorie complottiste sul rapimento Moro.

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• Barbara Fois: il caso Moro parte I (http://www.democrazialegalita.it/barbara/ barbara_ricostruzione_analisi_RAPIMENTO_MORO=19marzo2008.htm) • Barbara Fois: il caso Moro parte II (http://www.democrazialegalita.it/barbara/ barbara_ricostruzione_analisi_RAPIMENTO_MORO=25marzo2008.htm) • B. Fois: il caso Moro parte III (http://www.democrazialegalita.it/barbara/ barbara_ricostruzione_analisi_RAPIMENTO_MORO=29marzo2008.htm) • Tutti gli interventi di Moro nell'assemblea costituente e commissioni del 1946-1947 (http://wiki-cost.criad. unibo.it/content/advancedsearch?qt=standard&SearchText=&PhraseSearchText=&speaker=moro& SubTreeArray=-1&SearchButton=Cerca) • Il caos Moro (http://www.ilmiolibro.it/libro.asp?id=39828) • Il sito dello scrittore Giovanni Maddamma, scrissi Aldo Moro - Omicidio Misterioso e Brigate Rosse, è giunta l'ora della verità (http://www.giovannimaddamma.net) • Raccolta di discorsi di Aldo Moro (http://www.storiadc.it/documenti.html) nel sito web dell'Istituto Renato Branzi di Firenze

Giovanni Falcone « La mafia non è affatto invincibile. È un fatto umano e come tutti i fatti umani ha un inizio, e avrà anche una fine. Piuttosto bisogna rendersi conto che è un fenomeno terribilmente serio e molto grave e che si può vincere non pretendendo eroismo da inermi cittadini, ma impegnando in questa battaglia tutte le forze migliori delle istituzioni. » (Giovanni Falcone, in un'intervista a Raitre)

Giovanni Falcone (Palermo, 18 maggio 1939[1] – Palermo, 23 maggio 1992[2]) è stato un magistrato italiano. Fu assassinato con la moglie e alcuni uomini della scorta nella strage mafiosa di Capaci. Assieme all'amico e collega Paolo Borsellino è considerato fra gli eroi simbolo della lotta alla mafia.

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Biografia Figlio di Arturo Falcone (1904 - 1976[3]), direttore del Laboratorio chimico provinciale, e di Luisa Bentivegna (1907 - 1982[4]), aveva due sorelle maggiori, Anna (1934[5]) e Maria (1936[6]). Giovanni Falcone studiò al Convitto Nazionale di Palermo, poi al liceo classico "Umberto I" e successivamente, dopo una breve esperienza all'Accademia Navale di Livorno, si iscrisse alla facoltà di giurisprudenza dell'Università degli studi di Palermo dove si laureò nel 1961, con una tesi sulla "Istruzione probatoria in diritto amministrativo".[7]

Giovanni Falcone allievo all'Accademia Navale (gennaio 1958)

Gli inizi in Magistratura Falcone vinse il concorso in Magistratura nel 1964 e in quello stesso anno sposa la prima moglie Rita Bonnici, da cui divorzierà quattordici anni dopo. Per breve tempo fu pretore a Lentini. Fu poi sostituto procuratore al tribunale di Trapani per dodici anni. Qui, a poco a poco, nacque in lui la passione per il diritto penale.[8] Fu trasferito a Palermo nel luglio 1978. Dopo l'omicidio del giudice Cesare Terranova fece domanda ed ottenne di lavorare all'Ufficio istruzione, che sotto la successiva guida di Rocco Chinnici, diviene un esempio innovativo di organizzazione giudiziaria. Chinnici chiamò al suo fianco anche Paolo Borsellino che divenne collega di Falcone nello sbrigare il lavoro arretrato di oltre cinquecento processi[9]. Nel maggio 1980 Chinnici affidò a Falcone le indagini contro Rosario Spatola: un lavoro che coinvolgeva anche criminali negli Stati Uniti e all'epoca osteggiato da alcuni altri magistrati.

Un murales rappresentante i magistrati Falcone (a sinistra) e Borsellino

Alle prese con questo caso, Falcone comprese che per indagare con successo le associazioni mafiose era necessario basarsi anche su indagini patrimoniali e bancarie. Ricostruire il percorso del denaro che accompagnava i traffici ed avere un quadro complessivo del fenomeno. Notò che gli stupefacenti venivano venduti negli Stati Uniti così chiese a tutti i direttori delle banche di Palermo e provincia di mandargli le distinte di cambio valuta estera dal 1975 in poi. Alcuni telefonarono personalmente a Falcone per capire che intenzione avesse e lui rimase fermo sulle sue richieste[10]. Grazie ad un attento controllo di tutte le carte richieste, una volta superate le reticenze delle banche, e "seguendo i soldi" riuscì ad iniziare a vedere il quadro di una gigantesca organizzazione criminale: i confini di Cosa nostra. Grazie ad un assegno dell'importo di centomila dollari


Giovanni Falcone cambiato presso la Cassa di Risparmio di piazza Borsa di Palermo, Falcone, trovò la prova che Michele Sindona si trovava in Sicilia smascherando quindi il finto sequestro organizzato a suo favore dalla mafia siculo-americana alla vigilia del suo giudizio[10]. Nei primi giorni del mese di dicembre 1980 Giovanni Falcone si recò per la prima volta a New York per discutere di mafia e stringere una collaborazione con Victor Rocco, investigatore del distretto est[11]. Sono anni tumultuosi che vedono la prepotente ascesa dei Corleonesi, i quali impongono il proprio feudo criminale insanguinando le strade a colpi di omicidi. Emblematici i titoli del quotidiano palermitano L'Ora, che arriverà a titolare le sue prime pagine enumerando le vittime della drammatica guerra di mafia. Tra queste vittime anche svariati e valorosi servitori dello Stato come Pio La Torre, principale artefice della legge Rognoni-La Torre (che introdusse nel codice penale il reato di associazione mafiosa), e il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa. Infine lo stesso Chinnici, al quale succedette Antonino Caponnetto.

Gli anni del Pool antimafia Caponnetto si insedia concependo la creazione di un "pool" di pochi magistrati che, così come sperimentato contro il terrorismo, potessero occuparsi dei processi di mafia, esclusivamente e a tempo pieno, col vantaggio sia di favorire la condivisione delle informazioni tra tutti i componenti e minimizzare così i rischi personali, che per garantire in ogni momento una visione più ampia ed esaustiva possibile di tutte le componenti del fenomeno mafioso. Nello scegliere i suoi uomini, Caponnetto pensa subito a Falcone per l'esperienza ed il prestigio già da lui acquisiti, ed a Giuseppe Di Lello, pupillo di Chinnici. Lo stesso Falcone suggerì poi l'introduzione di Borsellino, mentre la scelta dell'ultimo membro ricadde sul giudice più anziano, Leonardo Guarnotta. La validità del nuovo sistema investigativo si dimostra subito indiscutibile, e sarà fondamentale per ogni successiva indagine, negli anni a venire. Ma una vera e propria svolta epocale alla lotta alla mafia sarebbe stata impressa con l'arresto di Tommaso Buscetta, il quale, dopo una drammatica sequenza di eventi, decise di collaborare con la Giustizia. Il suo interrogatorio, iniziato a Roma nel luglio 1984 in presenza del sostituto procuratore Vincenzo Geraci e di Gianni De Gennaro del Nucleo operativo della Criminalpol, si rivelerà determinante per la conoscenza non solo di determinati fatti, ma specialmente della struttura e delle chiavi di lettura dell'organizzazione definita Cosa nostra.

Il maxiprocesso di Palermo Le inchieste avviate da Chinnici e portate avanti dalle indagini di Falcone e di tutto il pool portarono così a costituire il primo grande processo contro la mafia. Questa reagì bruciando il terreno attorno ai giudici: dopo l'omicidio di Giuseppe Montana e Ninni Cassarà nell'estate 1985, stretti collaboratori di Falcone e Borsellino, si cominciò a temere per l'incolumità anche dei due magistrati, che furono indotti per motivi di sicurezza a soggiornare qualche tempo con le famiglie presso il carcere dell'Asinara (incredibilmente dovettero pagarsi le spese di soggiorno e consumo bevande, come ricordò Borsellino in un'intervista), dove gettarono le basi dell'istruttoria. Ma il 16 novembre 1987 diventa una data storica e insieme un momento fondamentale per il Paese, che per la prima volta inchioda la mafia traducendola alla Giustizia. Il Maxiprocesso sentenzia 360 condanne per complessivi 2665 anni di carcere e undici miliardi e mezzo di lire di multe da pagare, segnando un grande successo per il lavoro svolto da tutto il pool antimafia.[12] Nel dicembre 1986, Borsellino viene nominato Procuratore della Repubblica di Marsala e lascia il pool. Come ricorderà Caponnetto, a quel punto gli sviluppi dell'istruttoria includono ormai quasi un milione di fogli processuali, rendendo necessaria l'integrazione di nuovi elementi per seguire l'accresciuta mole di lavoro. Entrarono così a far parte del pool altri tre giudici istruttori: Ignazio De Francisci, Gioacchino Natoli e Giacomo Conte.

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La fine del Pool Antimafia Se lo Stato aveva conseguito una vittoria memorabile, la partita era lungi da considerarsi conclusa. Inoltre, Caponnetto si apprestava a lasciare l'incarico per ragioni di salute, e raggiunti limiti di età. Alla sua sostituzione vennero candidati Falcone, ed Antonino Meli. Nel settembre 1987, dopo una discussa votazione [13], il Consiglio Superiore della Magistratura nominò Meli. A favore di Falcone, votò anche il futuro Procuratore della Repubblica di Palermo, Gian Carlo Caselli, in dissenso con la corrente di Magistratura Democratica cui apparteneva. La scelta di Meli, generalmente motivata in base alla mera anzianità di servizio, piuttosto che alla maggiore competenza effettivamente maturata da Falcone, innescò amare polemiche, e venne interpretata come una possibile rottura dell'azione investigativa, inoltre rese Falcone un bersaglio molto più facile per la mafia, perché la sua perdita aveva dimostrato che effettivamente non era stimato come si credeva; Borsellino stesso aveva lanciato a più riprese l'allarme a mezzo stampa, rischiando conseguenze disciplinari; esternazioni che di fatto non sortirono alcun effetto. Meli si insedia nel gennaio 1988 e finisce con lo smantellare il metodo di lavoro intrapreso, riportandolo indietro di un decennio. Da qui in poi Falcone e i suoi dovettero fronteggiare un numero sempre crescente di ostacoli alla loro attività. La mafia intanto non ha abbassato la guardia, ed uccide l'ex sindaco di Palermo Giuseppe Insalaco, che aveva denunciato le pressioni subite da Vito Ciancimino durante il suo mandato. Tempo dopo, i due membri del pool Di Lello e Conte si dimisero polemicamente. Non ultimo, persino la Cassazione sconfessò l'unitarietà delle indagini in fatto di mafia affermata da Falcone. Il 30 luglio Falcone richiese addirittura di essere destinato a un altro ufficio, e Meli, ormai in aperto contrasto con Falcone, come predetto da Borsellino, sciolse ufficialmente il pool. Un mese dopo, Falcone ebbe l'ulteriore amarezza di vedersi preferito Domenico Sica alla guida dell'Alto Commissariato per la lotta alla Mafia. Nonostante gli avvenimenti, tuttavia, Falcone proseguì ancora una volta il suo straordinario lavoro, realizzando un'importante operazione antidroga in collaborazione con Rudolph Giuliani, allora procuratore distrettuale di New York.

Il fallito attentato dell'Addaura e la vicenda del "corvo" Il 21 giugno 1989, Falcone divenne obiettivo di un attentato presso la villa al mare affittata per le vacanze; su questo avvenimento, comunemente detto attentato dell'Addaura, non è mai stata fatta piena luce.[14] I sicari di Totò Riina e di altri mafiosi ritenuti mandanti, piazzarono un borsone con cinquantotto candelotti di tritolo in mezzo agli scogli, a pochi metri dalla villa affittata dal giudice, che stava per ospitare i colleghi Carla del Ponte e Claudio Lehmann. Il piano era probabilmente quello di assassinare il giudice allorché fosse sceso dalla villa sulla spiaggia per fare il bagno, ma l'attentato fallì. Inizialmente venne ritenuto che i killer non fossero riusciti a far esplodere l'ordigno a causa di un detonatore difettoso, dandosi quindi alla fuga e abbandonando il borsone. Vent'anni dopo, nuove ipotesi investigative avallerebbero invece la ricostruzione che l'ordigno venne reso inoffensivo nelle ore notturne antecedenti dagli agenti Antonino Agostino ed Emanuele Piazza, fintisi sommozzatori. Agostino e Piazza verranno poi assassinati. Falcone dichiarò al riguardo che a volere la sua morte si trattava probabilmente di qualcuno che intendeva bloccarne l’inchiesta sul riciclaggio in corso, parlando inoltre di "menti raffinatissime", e teorizzando la collusione tra soggetti occulti e criminalità organizzata, come avvenuto per l'omicidio Dalla Chiesa. Espressioni in cui molti lessero i servizi segreti deviati. Il giudice, in privato, si manifestò sospettando di Bruno Contrada, funzionario del SISDE che aveva costruito la sua carriera al fianco di Boris Giuliano. Contrada verrà poi arrestato e condannato in primo grado a dieci anni di carcere per concorso esterno in associazione mafiosa, sentenza poi confermata in Cassazione. Ma al Palazzo di Giustizia di Palermo aveva preso corpo anche la nota vicenda del "corvo": una serie di lettere anonime (di cui un paio addirittura composte su carta intestata della Criminalpol), che diffamarono il giudice ed i colleghi Giuseppe Ayala, Giammanco Prinzivalli più altri come il Capo della Polizia di Stato, Vincenzo Parisi, ed importanti investigatori come De Gennaro e Antonio Manganelli. In esse Falcone veniva millantato soprattutto di avere "pilotato" il ritorno di un pentito, Totuccio Contorno, al fine di sterminare i corleonesi, storici nemici della sua

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Giovanni Falcone famiglia. I fatti descritti venivano presentati come movente della morte di Falcone ad opera dei corleonesi, i quali avrebbero organizzato il poi fallito attentato come vendetta per il rientro di Contorno (e non, si badi, per i decenni di inflessibile lotta senza quartiere che Falcone aveva scatenato contro di loro...). I contenuti, particolarmente ben dettagliati sulle presunte coperture del Contorno e gli accadimenti all'interno del tribunale, furono alimentati ad arte sino a destare notevole inquietudine negli ambienti giudiziari, tanto che nello stesso ambiente degli informatori di polizia queste missive vennero attribuite ad un "corvo", ossia un magistrato. Sebbene sul momento la stampa non lo spiegasse apertamente al grande pubblico, infatti, tra gli esperti di "cose di cosa nostra" (come Falcone) era risaputo che, nel linguaggio mafioso, tale appellativo designasse proprio i magistrati (dalla toga nera che indossano in udienza); le missive avrebbero così inteso insinuare la certezza che in realtà il pool operasse al di fuori dalle regole, immerso tra invidie, concorrenze e gelosie professionali. Gli accertamenti per individuare gli effettivi responsabili portarono alla condanna in primo grado per diffamazione del giudice Alberto Di Pisa, identificato grazie a dei rilievi dattiloscopici. Le impronte digitali - raccolte con un artificio dal magistrato inquirente - furono però dichiarate processualmente inutilizzabili, oltre a lasciare dubbi sulla loro validità probatoria (sia il bicchiere di carta su cui erano state prelevate le impronte, sia l'anonimo con cui furono confrontate, erano alquanto deteriorati). Una settimana dopo il fallito attentato, il C.S.M. decise la nomina di Falcone a procuratore aggiunto presso la Procura della Repubblica. Di Pisa, che tre mesi dopo davanti al C.S.M. avrebbe mosso gravi rilievi allo stesso Falcone sia sulla gestione dei pentiti che sull'operato, verrà poi assolto in Appello per non aver commesso il fatto[15]. Molti testimoni diretti dei fatti dell'Addaura morirono in circostanze sospette: Antonino Agostino, agente del SISDE, che si ipotizza lavorasse per proteggere Falcone, venne ucciso insieme alla moglie Ida Castelluccio il 5 agosto del 1989 da un commando in motocicletta; Emanuele Piazza, collega di Agostino al SISDE, venne ucciso per strangolamento dalla mafia il 15 marzo 1990; il microcriminale Francesco Paolo Gaeta, che quel giorno aveva casualmente assistito alle manovre militari intorno alla villa del giudice, venne ucciso a colpi di pistola il 2 settembre 1992; il mafioso Luigi Ilardo, informatore del colonnello dei carabinieri Michele Riccio - e che a questi aveva confidato di sapere che «a Palermo c'era un agente che faceva cose strane e si trovava sempre in posti strani. Aveva la faccia da mostro. Siamo venuti a sapere che era anche nei pressi di Villagrazia quando uccisero il poliziotto Agostino» - venne assassinato il 10 maggio 1996, qualche giorno prima di mettere a verbale le sue confessioni[14].

La stagione dei veleni Nell'agosto 1989 iniziò a collaborare coi magistrati anche il mafioso Giuseppe Pellegriti, fornendo preziose informazioni sull’omicidio del giornalista Giuseppe Fava, e rivelando al pubblico ministero Libero Mancuso di essere venuto a conoscenza, tramite il boss Nitto Santapaola, di fatti inediti sul ruolo del politico Salvo Lima negli omicidi di Piersanti Mattarella e Pio La Torre. Mancuso informò subito Falcone, che interrogò il pentito a sua volta, e, dopo due mesi di indagini, lo incriminò insieme ad Angelo Izzo, spiccando nei loro confronti due mandati di cattura per calunnia (poi annullati dal Tribunale della libertà in quanto essi erano già in carcere). Pellegriti, dopo l’incriminazione, ritrattò, attribuendo a Izzo di essere l’ispiratore delle accuse. Lima e la corrente di Giulio Andreotti, erano spregiati dal sindaco di Palermo, Leoluca Orlando, e tutto il movimento antimafia, e l’incriminazione di Pellegriti venne vista come una sorta di cambiamento di rotta del giudice dopo il fallito attentato, tanto che ricevette nuove e dure critiche al suo operato da parte di esponenti come Carmine Mancuso, Alfredo Galasso e in maniera minore anche da Nando Dalla Chiesa, figlio del compianto generale. Gerardo Chiaromonte, presidente della Commissione Antimafia, scriverà poi, in riferimento al fallito attentato all'Addaura contro Falcone: «I seguaci di Orlando sostennero che era stato lo stesso Falcone a organizzare il tutto per farsi pubblicità». Nel gennaio '90, Falcone coordina un'altra importante inchiesta che porta all'arresto di trafficanti di droga colombiani e siciliani. Ma a maggio riesplose, violentissima, la polemica, allorquando Orlando interviene alla seguitissima

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Giovanni Falcone trasmissione televisiva di Rai 3, Samarcanda dedicata all'omicidio di Giovanni Bonsignore, scagliandosi contro Falcone, che, a suo dire, avrebbe "tenuto chiusi nei cassetti" una serie di documenti riguardanti i delitti eccellenti della mafia[16]. Le accuse erano indirizzate anche verso il giudice Roberto Scarpinato, oltre al procuratore Pietro Giammanco, ritenuto vicino ad Andreotti. Si asseriscono responsabilità politiche alle azioni della cupola mafiosa (il cosiddetto "terzo livello") ma Falcone dissente sostanzialmente da queste conclusioni, sostenendo, come sempre, la necessità di prove certe e bollando simili affermazioni come "cinismo politico". Rivolto direttamente ad Orlando, dirà: "Questo è un modo di far politica attraverso il sistema giudiziario che noi rifiutiamo. Se il sindaco di Palermo sa qualcosa, faccia nomi e cognomi, citi i fatti, si assuma le responsabilità di quel che ha detto. Altrimenti taccia: non è lecito parlare in assenza degli interessati"[17] La polemica ha continuato ad alimentarsi anche dopo la morte del giudice Falcone. In particolare, la sorella Maria Falcone in un collegamento telefonico con il programma radiofonico "Mixer" ha accusato Leoluca Orlando di aver infangato suo fratello, « hai infangato il nome, la dignità e l'onorabilità di un giudice che ha sempre dato prova di essere integerrimo e strenuo difensore dello Stato contro la mafia [...] lei ha approfittato di determinati limiti dei procedimenti giudiziari, per fare, come diceva Giovanni, politica attraverso il sistema giudiziario»[18]. In un'intervista a Klauscondicio, Leoluca Orlando ha dichiarato di non essersi pentito riguardo alle accuse che rivolse a Falcone. Ad Annozero Claudio Martelli all'epoca Ministro della Giustizia, ha accusato Leoluca Orlando di aver indebitamente attaccato Giovanni Falcone perché il giudice siciliano aveva fatto riarrestare Ciancimino, colpevole di aver stretto affari con lo stesso Orlando. Nel settembre 1991 Salvatore Cuffaro, all'epoca deputato regionale poi presidente della Regione Siciliana per il centro-destra e senatore UDC, intervenne ad una puntata speciale della trasmissione televisiva Samarcanda condotta da Michele Santoro in collegamento con il Maurizio Costanzo Show e dedicata alla commemorazione dell'imprenditore Libero Grassi, ucciso dalla mafia. In quella occasione, Cuffaro - presente tra il pubblico - si scagliò con veemenza contro conduttori ed ospiti (tra cui Falcone), sostenendo come le iniziative portate avanti da un certo tipo di "giornalismo mafioso" fossero degne dell'attività mafiosa vera e propria, tanto criticata e comunque lesive della dignità della Sicilia. Cuffaro parlò di certa magistratura "che mette a repentaglio e delegittima la classe dirigente siciliana", con chiaro riferimento a Mannino, in quel momento uno dei politici più influenti della Dc[19]. In un'intervista del 2008 al Corriere della Sera il Presidente emerito Francesco Cossiga ha imputato al Csm grosse responsabilità riguardo alla morte del Giudice Falcone, ha infatti affermato : "i primi mafiosi stanno al CSM. [Sta scherzando?] Come no? Sono loro che hanno ammazzato Giovanni Falcone negandogli la DNA e prima sottoponendolo a un interrogatorio. Quel giorno lui uscì dal CSM e venne da me piangendo. Voleva andar via. Ero stato io a imporre a Claudio Martelli di prenderlo al Ministero della Giustizia." La polemica sancì la rottura del fronte antimafia, e da allora in poi Cosa Nostra si avvantaggerà della tensione strisciante nelle istituzioni, cosa che avvelenò sempre più il clima attorno a Falcone, isolandolo. Alle seguenti elezioni dei membri togati del Consiglio superiore della magistratura del 1990, Falcone venne candidato per le liste collegate "Movimento per la giustizia" e "Proposta 88", ma non viene eletto. Fattisi poi via via sempre più aspri i dissensi con Giammanco, Falcone optò per accettare la proposta di Claudio Martelli, allora vicepresidente del Consiglio e ministro di Grazia e Giustizia ad interim, a dirigere la sezione Affari Penali del ministero.

L'ultima battaglia In questo periodo, che va dal 1991 alla sua morte, Falcone fu molto attivo, cercando in ogni modo di rendere più incisiva l'azione della magistratura contro il crimine. Tuttavia, la vicinanza di Giovanni Falcone al socialista Claudio Martelli costò al magistrato siciliano violenti attacchi da diversi esponenti politici. In particolare, l'appoggio di Martelli fece destare sospetti da parte del Partito Comunista Italiano e di altri settori del mondo politico (Leoluca Orlando in primis, oltre a qualche altro esponente della Democrazia Cristiana e diversi giudici aderenti a Magistratura Democratica) che fino ad allora avevano appoggiato una possibile candidatura di Falcone.

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Falcone in realtà profuse tutta la propria professionalità nel preparare leggi che il Parlamento avrebbe successivamente approvato, ed in particolare sulla procura nazionale antimafia. Alcuni magistrati, tra i quali lo stesso Paolo Borsellino, criticarono poi il progetto della Superprocura, denunciando il rischio che essa costituisse paradossalmente un elemento strategico nell'allontanamento di Falcone dal territorio siciliano e nella neutralizzazione reale delle sue indagini.[20] "Il prossimo sarò io" Il 10 agosto 1991, ai funerali in Calabria del giudice Antonino Scopelliti Falcone intuisce che oramai il suo destino è segnato e confida al fratello del collega: «Se hanno deciso così non si fermeranno più... ora il prossimo sarò io»[21]. Il 15 ottobre 1991 Giovanni Falcone è costretto a difendersi davanti al CSM in seguito all'esposto presentato il mese prima (l'11 settembre) da Leoluca Orlando. L'esposto contro Falcone era il punto di arrivo della serie di accuse mosse da Orlando al magistrato palermitano, il quale ribatté ancora alle accuse definendole «eresie, insinuazioni» e «un modo di far politica attraverso il sistema giudiziario». Sempre davanti al CSM Falcone, commentando il clima di sospetto creatosi a Palermo, affermò che «non si può investire nella cultura del sospetto tutto e tutti. La cultura del sospetto non è l’anticamera della verità, è l’anticamera del khomeinismo». In questo contesto fortemente negativo, nel marzo 1992 viene assassinato Salvo Lima, omicidio che rappresenta un importante segnale dell'inasprimento della strategia mafiosa la quale rompe così gli equilibri consolidati ed alza il tiro verso lo Stato per ridefinire alleanze e possibili collusioni. Falcone era stato informato poco più di un anno prima con un dossier dei Carabinieri del ROS che analizzava l'imminente neo-equilibrio tra mafia, politica ed imprenditoria, ma il nuovo incarico non gli aveva permesso di ottemperare ad ulteriori approfondimenti. Il ruolo di "Superprocuratore" a cui stava lavorando avrebbe consentito di realizzare un potere di contrasto alle organizzazioni mafiose sin lì impensabile. Ma ancor prima che egli vi venisse formalmente indicato, si riaprirono ennesime polemiche sul timore di una riduzione dell'autonomia della Magistratura ed una subordinazione della stessa al potere politico. Esse sfociarono per giunta in uno sciopero dell'Associazione Nazionale Magistrati e nella decisione del Consiglio Superiore della Magistratura che per la carica gli oppose inizialmente Agostino Cordova. Sostenuto da Martelli, Falcone rispose sempre con lucidità di analisi e limpidezza di argomentazioni, intravedendo, presumibilmente, che il coronamento della propria esperienza professionale avrebbe definito nuovi e più efficaci strumenti al servizio dello Stato. Eppure, nonostante la sua determinazione, egli fu sempre più solo all'interno delle istituzioni, condizione questa che prefigurerà tristemente la sua fine. Emblematicamente, Falcone ottenne i numeri per essere eletto Superprocuratore il giorno prima della sua morte.

Il Ficus macrophylla davanti al portone del palazzo in via Emanuele Notarbartolo 23, a Palermo dove abitavano Giovanni Falcone e Francesca Morvillo, diventato dopo il 23 maggio 1992, "l'albero Falcone".

Nell'intervista rilasciata a Marcelle Padovani per "Cose di Cosa Nostra", Falcone attesta la sua stessa profezia: "Si muore generalmente perché si è soli o perché si è entrati in un gioco troppo grande. Si muore spesso perché non si dispone delle necessarie alleanze, perché si è privi di sostegno. In Sicilia la mafia colpisce i servitori dello Stato che lo Stato non è riuscito a proteggere."

La strage di Capaci


Giovanni Falcone Giovanni Falcone viene assassinato in quella che comunemente è detta strage di Capaci, il 23 maggio 1992[22]. Stava tornando, come era solito fare nei fine settimana, da Roma. Il jet di servizio partito dall'aeroporto di Ciampino intorno alle 16:45 arriva a Punta Raisi dopo un viaggio di 53 minuti. Lo attendono tre Fiat Croma blindate, con un gruppo di scorta sotto il comando dell'allora capo della squadra mobile di Palermo, Arnaldo La Barbera. Appena sceso dall'aereo, Falcone si sistema alla guida della Croma bianca, ed accanto prende posto la moglie Francesca Morvillo mentre l'autista giudiziario Giuseppe Costanza va ad occupare il sedile posteriore. Nella Croma marrone c'è alla guida Vito Schifani, con accanto l'agente scelto Antonio Montinaro e sul retro Rocco Dicillo, mentre nella vettura azzurra ci sono Paolo Capuzzo, Gaspare Cervello e Angelo Corbo. Al gruppo è in testa la Croma marrone, poi la Croma bianca guidata da Falcone, e in coda la Croma azzurra. Alcune telefonate avvisano della partenza i sicari che hanno sistemato l'esplosivo per la strage. I particolari sull'arrivo del giudice dovevano essere coperti dal più rigido riserbo; indicativo del clima di sospetto che si viveva nel Paese, è il fatto che nell'aereo di Stato - che lo riportava a Palermo - avevano avuto un passaggio diversi "grandi elettori" (deputati, senatori e delegati regionali) siciliani reduci dagli scrutini di Montecitorio per l'elezione del Capo dello Stato, prolungatisi invano fino al sabato mattina. Uno di essi sarebbe stato addirittura inquisito per associazione a delinquere di stampo mafioso tre anni dopo; ma nessuna verità definitiva fu acquisita in sede processuale sull'identità della fonte che aveva comunicato alla mafia la partenza di Falcone da Roma e l'arrivo a Palermo per l'ora stabilita. Le auto lasciano l'aeroporto imboccando l'autostrada in direzione Palermo. La situazione appare tranquilla, tanto che non vengono attivate neppure le sirene. Su una strada parallela, una macchina guidata da Gioacchino La Barbera [23] si affianca agli spostamenti delle tre Croma blindate, per darne segnalazione ai killer in agguato sulle alture sovrastanti il litorale; sono gli ultimi secondi prima della strage. Otto minuti dopo, alle ore 17:58, presso il km 5 della A29, una carica di cinque quintali di tritolo posizionata in una galleria scavata sotto la sede stradale nei pressi dello svincolo di Capaci-Isola delle Femmine viene azionata per telecomando da Giovanni Brusca, il sicario incaricato da Totò Riina. Pochissimi istanti prima della detonazione, Falcone si era accorto che le chiavi di casa erano nel mazzo assieme alle chiavi della macchina, e le aveva tolte dal cruscotto, provocando un rallentamento improvviso del mezzo. Brusca, rimasto spiazzato, preme il pulsante in anticipo, sicché l'esplosione investe in pieno solo la Croma marrone, prima auto del gruppo, scaraventandone i resti oltre la carreggiata opposta di marcia, e su fino ad una zona pianeggiante alberata; i tre agenti di scorta muoiono sul colpo. La seconda auto, la Croma bianca guidata dal giudice, avendo rallentato, si schianta invece contro il muro di cemento e detriti improvvisamente innalzatosi per via dello scoppio. Falcone e la moglie, che non indossano le cinture di sicurezza, vengono proiettati violentemente contro il parabrezza. Falcone, che riporta ferite solo in apparenza non gravi, muore dopo il trasporto in ospedale a causa di varie emorragie interne. Rimangono feriti gli agenti della terza auto, la Croma azzurra, che infine resiste, e si salvano miracolosamente anche un'altra ventina di persone che al momento dell'attentato si trovano a transitare con le proprie autovetture sul luogo dell'eccidio. La detonazione provoca un'esplosione immane ed una voragine enorme sulla strada.[24]. In un clima irreale e di iniziale disorientamento, altri automobilisti ed abitanti dalle villette vicine danno l'allarme alle autorità e prestano i primi soccorsi tra la strada sventrata ed una coltre di polvere. Venti minuti dopo circa, Giovanni Falcone viene trasportato sotto stretta scorta di un corteo di vetture e di un elicottero dell'Arma dei Carabinieri presso l'ospedale Civico di Palermo. Gli altri agenti e i civili coinvolti vengono anch'essi trasportati in ospedale mentre la Polizia Scientifica esegue i primi rilievi ed i Vigili del Fuoco espletano il triste compito di estrarre i cadaveri irriconoscibili di Schifani, Montinaro e Di Cillo. Intanto i media iniziano a diffondere la notizia di un attentato a Palermo, ed il nome del giudice Falcone trova via via conferma. L'Italia intera, sgomenta, trattiene il fiato per la sorte delle vittime con tensione sempre più viva e

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contrastante, sinché alle 19:05, ad un'ora e sette minuti dall'attentato, Giovanni Falcone muore dopo alcuni disperati tentativi di rianimazione, a causa della gravità del trauma cranico e delle lesioni interne. Francesca Morvillo morirà anch'essa, intorno alle 22. Due giorni dopo, il 25 maggio mentre a Roma viene eletto presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro, a Palermo, nella Chiesa di San Domenico, si svolgono i funerali delle vittime ai quali partecipa l'intera città, assieme a colleghi e familiari e personalità come Giuseppe Ayala e Tano Grasso. I più alti rappresentanti del mondo politico, come Giovanni Spadolini, Claudio Martelli, Vincenzo Scotti, Giovanni Galloni, vengono duramente contestati dalla cittadinanza; e le immagini televisive delle parole e del pianto straziante della vedova Schifani susciteranno particolare emozione nell'opinione pubblica. Volantini recanti una citazione del giudice

Il giudice Ilda Boccassini urlerà la sua rabbia rivolgendosi ai colleghi Falcone: "Gli uomini passano, le idee restano. nell'aula magna del Tribunale di Milano: «Voi avete fatto morire Restano le loro tensioni morali e continueranno a camminare sulle gambe di altri uomini". Giovanni, con la vostra indifferenza e le vostre critiche; voi diffidavate di lui; adesso qualcuno ha pure il coraggio di andare ai suoi funerali». Nel suo sfogo il magistrato, che si farà trasferire a Caltanissetta per indagare sulla strage di Capaci, ricorderà anche il linciaggio subito dall'amico Falcone da parte dei suoi colleghi magistrati, anche facenti capo alla stessa corrente cui Falcone aderiva: « Due mesi fa ero a Palermo in un'assemblea dell'Anm. Non potrò mai dimenticare quel giorno. Le parole più gentili, specie da Magistratura democratica, erano queste: Falcone si è venduto al potere politico. Mario Almerighi lo ha definito un nemico politico. Ora io dico che una cosa è criticare la Superprocura. Un'altra, come hanno fatto il Consiglio superiore della Magistratura, gli intellettuali e il cosiddetto fronte antimafia, è dire che Giovanni non fosse più libero dal potere politico. A Giovanni è stato impedito nella sua città di fare i processi di mafia. E allora lui ha scelto l'unica strada possibile, il ministero della Giustizia, per fare in modo che si realizzasse quel suo progetto: una struttura unitaria contro la mafia. Ed è stata una rivoluzione. »

La Boccassini criticherà anche l'atteggiamento dei magistrati milanesi impegnati in Mani pulite: « Tu, Gherardo Colombo, che diffidavi di Giovanni, perché sei andato al suo funerale? Giovanni è morto con l'amarezza di sapere che i suoi colleghi lo consideravano un traditore. E l'ultima ingiustizia l'ha subìta proprio da quelli di Milano, che gli hanno mandato una richiesta di rogatoria per la Svizzera senza gli allegati. Mi ha telefonato e mi ha detto: "Non si fidano neppure del direttore degli Affari penali" »

Ilda Boccassini, confermerà le critiche in un'intervista a La Repubblica del maggio 2002[25], in occasione dell'affissione di targa in memoria di Giovanni Falcone al ministero della Giustizia. Il magistrato criticherà gli onori postumi offerti a Falcone, sostenendo che « Né il Paese né la magistratura né il potere, quale ne sia il segno politico, hanno saputo accettare le idee di Falcone, in vita, e più che comprenderle, in morte, se ne appropriano a piene mani, deformandole secondo la convenienza del momento. [...] Non c'è stato uomo la cui fiducia e amicizia è stata tradita con più determinazione e malignità. Eppure le cattedrali e i convegni, anno dopo anno, sono sempre affollati di "amici" che magari, con Falcone vivo, sono stati i burattinai o i burattini di qualche indegna campagna di calunnie e insinuazioni che lo ha colpito »

Nell'intervista ricorderà anche come diversi magistrati e politici, sia vicini a partiti della sinistra che della destra, criticarono fortemente Falcone quando questo era ancora vivo. In particolare, l'opposizione a Falcone dei magistrati vicini al Pds fu fortissima: al Csm, per tre volte il magistrato palermitano subì dei veti. Quando concorse al posto di super-procuratore antimafia, gli venne preferito Agostino Cordova, procuratore capo di Palmi. Alessandro Pizzorusso, componente laico del Csm designato dal Partito Comunista, firmò un articolo sull'Unità sostenendo che Falcone non fosse "affidabile" e che essendo "governativo",


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avrebbe perso le sue caratteristiche di indipendenza. Successivamente, quando al Consiglio superiore della magistratura si dovette decidere se Falcone dovesse essere posto o meno a capo dell'Ufficio istruzione di Palermo, gli venne preferito Antonino Meli; votarono per quest'ultimo e quindi contro Falcone anche gli esponenti di Magistratura democratica, vicini al Pds, Giuseppe Borré ed Elena Paciotti, quest'ultima poi eletta europarlamentare dei Democratici di Sinistra. Dopo la sua morte, Leoluca Orlando, commentando l'ostracismo che Falcone subì da parte di alcuni colleghi negli ultimi mesi di vita, dirà: «L'isolamento era quello che Giovanni si era scelto entrando nel Palazzo dove le diverse fazioni del regime stavano combattendo la battaglia finale». All'esecrazione dell'assassinio, il 4 giugno si unisce anche il Senato degli Stati Uniti, con una risoluzione (la n. 308) intesa a rafforzare l'impegno del gruppo di lavoro italo-americano, di cui Falcone era componente[24]. Intanto, Paolo Borsellino, intraprenderà la sua ultima lotta contro il tempo, che durerà appena altri cinquantotto giorni, indagando nel tentativo di dare giustizia all'amico Giovanni. Il 25 giugno 1992, durante un Convegno a Palermo organizzato da La Rete e dalla rivista Micromega[26][27], Paolo Borsellino affermò: « Il vero obiettivo del CSM era eliminare al più presto Giovanni Falcone » « Quando Giovanni Falcone solo, per continuare il suo lavoro, propose la sua aspirazione a succedere ad Antonino Caponnetto, il CSM, con motivazioni risibili gli preferì il consigliere Antonino Meli. Falcone concorse, qualche Giuda si impegnò subito a prenderlo in giro, e il giorno del mio compleanno il CSM ci fece questo regalo. Gli preferì Antonino Meli. »

L'eredità Al magistrato, in Sicilia e nel resto d'Italia sono state dedicate molte scuole e strade, nonché una piazza nel centro di Palermo (nel giugno del 2008). A Falcone e al suo collega Borsellino il comune di Castellammare di Stabia ha dedicato l'aula del consiglio comunale intitolandola a loro nome,nel comune di Scafati è dedicata loro, una piazza proprio di fronte alla scuola elementare "Ferdinando II di Borbone", e anche nel comune di Casaluce in provincia di Caserta, è stata dedicata a Falcone una piazza su un bene confiscato alla camorra e infine a Casalnuovo in provincia di Napoli dove gli è dedicata una Francobollo commemorativo via mentre ai due colleghi magistrati è stato dedicato anche l'Aeroporto di Palermo-Punta Raisi. Un albero situato di fronte l'ingresso del suo appartamento, nella centralissima via Emanuele Notarbartolo a Palermo, raccoglie messaggi, regali e fiori dedicati al giudice: è "l'albero Falcone"[28].Strade e piazze intitolate ai due magistrati si trovano un po' ovunque nei comuni d'Italia.Anche nel comune di Pompei è stata dedicata una piazza a Falcone&Borsellino. Il 23 gennaio 2008, su proposta del sindaco Walter Veltroni, con una risoluzione approvata all'unanimità dal Consiglio dell'VIII Municipio di Roma, la località Ponte di Nona è stata rinominata Villaggio Falcone in suo onore[29]. All'uscita dell'autostrada Palermo-Capaci, in prossimità del luogo dell'attentato, è stata eretta una colonna che espone i nomi delle vittime di quel 23 maggio 1992. Qui il giudice, sua moglie e la scorta vengono commemorati il giorno dell'anniversario della strage, con la chiusura del tratto al traffico, come avvenuto anche nel 2010[30]. La Corte Suprema degli Stati Uniti, massimo organo giurisdizionale USA, ricorda il 29 ottobre 2009 Giovanni Falcone in una seduta solenne quale "martire della causa della giustizia"[31].


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Opere • Rapporto sulla mafia degli anni '80. Gli atti dell'Ufficio istruzione del tribunale di Palermo, Palermo, S. F. Flaccovio, 1986. • Cose di Cosa Nostra, in collaborazione con Marcelle Padovani, Milano, Rizzoli, 1991. • Io accuso. Cosa nostra, politica e affari nella requisitoria del maxiprocesso, Roma, Libera informazione, 1993.

Nella cultura popolare Teatro, cinema e televisione Anche il teatro, il cinema e la televisione hanno onorato la memoria del magistrato palermitano: • • • • • •

Giovanni Falcone di Giuseppe Ferrara, (1993); I giudici - Vittime eccellenti di Ricky Tognazzi, (1999) Giovanni Falcone, l'uomo che sfidò Cosa Nostra di Andrea e Antonio Frazzi, (2006) In un altro paese di Marco Turco, (2006), recensione [32] sul quotidiano la Repubblica (22 luglio 2007); Vi perdono ma inginocchiatevi di Claudio Bonivento, film tv (2012) Morti ammazzati: Falcone, Borsellino e altri eroi, scritto e diretto da Emanuele Montagna, (2012)

Musica • Stefano Fonzi (musiche), Giommaria Monti (testi). Il coraggio della solitudine. Edizioni Musicali Rai Trade, 2007[33] • I Savatage, gruppo thrash metal statunitense, hanno dedicato al giudice Falcone la canzone "Castles Burning", presente nell'album del 1994 Handful of Rain.

Onorificenze Medaglia d'oro al valor civile

«Magistrato tenacemente impegnato nella lotta contro la criminalità organizzata, consapevole dei rischi cui andava incontro quale componente del 'pool antimafia', dedicava ogni sua energia a respingere con rigorosa coerenza la sfida sempre più minacciosa lanciata dalle organizzazioni mafiose allo Stato democratico. Proseguiva poi tale opera lucida, attenta e decisa come Direttore degli Affari Penali del Ministero di Grazia e Giustizia ma veniva barbaramente trucidato in un vile agguato, tesogli con efferata ferocia, sacrificando la propria esistenza, vissuta al servizio delle Istituzioni.» — Palermo, 5 agosto 1992

Il 13 novembre 2006 è stato nominato tra gli eroi degli ultimi 60 anni dal Time magazine.[34] Inoltre, è stato nominato in suo onore l'asteroide 60183 Falcone.[35]


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Note [1] Citato in: Maria Falcone, Giovanni Falcone un eroe solo, Rizzoli, 2012, pagina 29. [2] Citato in: L. Tescaroli, Perché fu ucciso Giovanni Falcone, Rubbettino Editore, Catanzaro 2001, p. 3. [3] Lucio Galluzzo, Saverio Lodato, Francesco La Licata, Falcone vive, Palermo, Flaccovio, 1992. [4] Lucio Galluzzo, Saverio Lodato, Francesco La Licata, Falcone vive, Palermo, Flaccovio, 1992. [5] Lucio Galluzzo, Saverio Lodato, Francesco La Licata, Falcone vive, Palermo, Flaccovio, 1992. [6] Lucio Galluzzo, Saverio Lodato, Francesco La Licata, Falcone vive, Palermo, Flaccovio, 1992. [7] Francesco La Licata, Storia di Giovanni Falcone, pp. 23-36 [8] Francesco La Licata, Storia di Giovanni Falcone, pp. 37-44 [9] Saverio Lodato, I professionisti dell'antimafia in Trent'anni di mafia, Rizzoli [2008], pp. 52-53. ISBN 978-88-17-01136-5 [10] Saverio Lodato, I professionisti dell'antimafia in Trent'anni di mafia, Rizzoli [2008], pp. 55-56. ISBN 978-88-17-01136-5 [11] Saverio Lodato, I professionisti dell'antimafia in Trent'anni di mafia, Rizzoli [2008], p. 58. ISBN 978-88-17-01136-5 [12] Enrico Deaglio, Raccolto rosso: la mafia, l'Italia e poi venne giù tutto [13] http:/ / digilander. libero. it/ inmemoria/ falcone_meli. htm [14] Addaura, nuova verità sull'attentato a Falcone (http:/ / www. repubblica. it/ cronaca/ 2010/ 05/ 07/ news/ inchiesta_italiana_7_maggio-3876272/ ), Attilio Bolzoni, La Repubblica, 7 maggio 2010. [15] Anche se al suo dossier difensivo al CSM il sostituto procuratore Ayala fa discendere un ulteriore elemento di delegittimazione del pool antimafia, cioè gli addebiti deontologici che portarono al suo trasferimento per incompatibilità ambientale: Giuseppe AYALA: Chi ha paura muore ogni giorno – Mondadori 2008. [16] Giovanni Falcone - Biografia (http:/ / www. fondazionefalcone. it/ a_istituzionale/ c_falco. htm). Fondazione Falcone. URL consultato in data 18-07-2010. [17] QUANDO COSSIGA CONVOCO' LE TOGHE DI SICILIA (http:/ / ricerca. repubblica. it/ repubblica/ archivio/ repubblica/ 1993/ 10/ 21/ quando-cossiga-convoco-le-toghe-di-sicilia. html). La Repubblica, 21 10 1993, p. 4. URL consultato in data 24-01-2010. [18] Maria Falcone a Orlando: ha infangato mio fratello (http:/ / archiviostorico. corriere. it/ 1993/ gennaio/ 26/ Maria_Falcone_Orlando_infangato_mio_co_0_9301267422. shtml) [19] MANNINO NON E' MAFIOSO E IL CASO VIENE ARCHIVIATO (http:/ / ricerca. repubblica. it/ repubblica/ archivio/ repubblica/ 1991/ 10/ 12/ mannino-non-mafioso-il-caso-viene. html). La Repubblica, 12 10 1991, p. 6. URL consultato in data 18-10-2009. [20] Citato in: F. La Licata, Storia di Giovanni Falcone, Feltrinelli, Milano 2006, pp. 120, 137-141. [21] E' una rivelazione inedita del giornalista Aldo Pecora nel suo libro Primo sangue (Rizzoli Bur, Milano 2010, pag. 64.) [22] Citato in: F. La Licata, Storia di Giovanni Falcone, Feltrinelli, Milano 2006, p. 169. [23] «Così ho dato il segnale per uccidere Falcone» (http:/ / www. corriere. it/ speciali/ stragecapaci/ pezzobianconi21maggio. shtml) corriere.it, 21 maggio 2002 [24] Si veda: C. Lucarelli, Blu Notte - Misteri Italiani (sesta serie - 2004), La Mattanza: dai silenzi sulla Mafia al silenzio della Mafia [25] Giuseppe D'Avanzo. Boccassini: "Falcone un italiano scomodo" (http:/ / www. repubblica. it/ online/ politica/ falcone/ falcone/ falcone. html). La Repubblica, 21 5 2002. URL consultato in data 18-10-2009. [26] Una fra le numerose fonti online (http:/ / www. societacivile. it/ previsioni/ articoli_previ/ sciascia. html) [27] Trascrizione intervento (http:/ / liquida. noblogs. org/ post/ 2006/ 12/ 26/ 25-giugno-1992-ultimo-intervento-pubblico-di-paolo-borsellino) [28] Enrico Deaglio, Raccolto rosso: la mafia, l'Italia e poi venne giù tutto, p. 180 [29] Nuova denominazione per Ponte di Nona P.d.z. "Villaggio Falcone" (http:/ / www. romamunicipiodelletorri. it/ Primo Piano/ Notizie Primo Piano/ Villaggio Falcone. htm) [30] AGI.it - FALCONE: ANAS DISPONE CHIUSURA AUTOSTRADA A/29 PER COMMEMORAZIONE (http:/ / www. agi. it/ anas/ news/ notizie/ 201005221501-cro-r010300-falcone_anas_dispone_chiusura_autostrada_a_29_per_commemorazione) [31] Gli Usa ricordano Falcone (http:/ / www. lasiciliaweb. it/ index. php?id=29813& template=lasiciliaweb). La Sicilia, 30 10 2009. URL consultato in data 30-10-2009. [32] http:/ / www. repubblica. it/ 2007/ 07/ sezioni/ spettacoli_e_cultura/ film-mafia-stille/ film-mafia-stille/ film-mafia-stille. html [33] Alessandrea Ziniti. Falcone, mille ragazzi lo ricordano a Corleone (http:/ / ricerca. repubblica. it/ repubblica/ archivio/ repubblica/ 2007/ 05/ 23/ falcone-mille-ragazzi-lo-ricordano-corleone. html). la Repubblica, 23 maggio 2003. [34] Giovanni Falcone, un eroe da ricordare - lagazzettaitaliana.com (http:/ / www. lagazzettaitaliana. com/ giovanni-falcone. aspx) [35] Intitolato a Giovanni Falcone l'asteroide scoperto a Capannori (http:/ / www. loschermo. it/ articoli/ view/ 43728)

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Voci correlate • • • • •

Strage di Capaci Giovanni Falcone, l'uomo che sfidò Cosa Nostra (miniserie televisiva) Francesca Morvillo Paolo Borsellino Strage di via d'Amelio

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Collegamenti esterni • Giovanni Falcone - Anomalia palermitana (http://www.lastoriasiamonoi.rai.it/puntate/giovanni-falcone/620/ default.aspx), La storia siamo noi • Fonte: La Repubblica, 22.12.2009, "Il custode dei segreti di Falcone: «Dai suoi archivi spariti molti dati»" (http:// palermo.repubblica.it/dettaglio/il-custode-dei-segreti-di-falcone-dai-suoi-archivi-spariti-molti-dati/1811349) "Mancano 20 dischetti dall'archivio di Falcone" (http://palermo.repubblica.it/multimedia/home/22235706) • Giovanni Falcone e Paolo Borsellino - Il ricordo di Gesualdo Bufalino (http://www.quotidianolegale.it/ falcone-borsellino-nel-ricordo-di-gesualdo-bufalino/), • L'attentato a Falcone, sul portale RAI Storia (http://www.raistoria.rai.it/articoli/lattentato-a-falcone/13130/ default.aspx)

Paolo Borsellino Paolo Borsellino (Palermo, 19 gennaio 1940 – Palermo, 19 luglio 1992) è stato un magistrato italiano. Fu assassinato con alcuni uomini della scorta nella strage mafiosa di via d'Amelio. Assieme all'amico e collega Giovanni Falcone è considerato fra gli eroi simbolo della lotta alla mafia.

Biografia

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Primi anni Figlio di Diego Borsellino (1910 - 1962[1]) e di Maria Pia Lepanto (1910 1997[2]), Paolo Emanuele Borsellino nacque a Palermo nel quartiere popolare La Kalsa, in cui vivevano tra gli altri anche Giovanni Falcone e Tommaso Buscetta. La famiglia di Paolo era composta dalla sorella maggiore Adele (1938 - 2011[3]), dal fratello minore Salvatore (1942) e dall'ultimogenita Rita (1945). Dopo aver frequentato le scuole dell'obbligo Borsellino si iscrisse al liceo classico "Giovanni Meli" di Palermo. Durante gli anni del liceo diventò direttore del giornale studentesco "Agorà". L'11 settembre 1958 si iscrisse a Giurisprudenza a Palermo con numero di matricola 2301[4]. Dopo una rissa tra studenti "neri" e "rossi" finì erroneamente anche lui di fronte al magistrato Cesare Terranova, cui dichiarò la propria estraneità ai fatti. Il giudice sentenziò che Borsellino non era implicato nell'episodio. Proveniente da una famiglia con simpatie politiche di destra, nel 1959 si iscrisse al Fronte Universitario d'Azione Nazionale, organizzazione degli universitari missini di cui divenne membro dell'esecutivo provinciale, e fu eletto come rappresentante studentesco nella lista del FUAN "Fanalino" di Palermo[5].

Borsellino durante la Prima Comunione.

Il 27 giugno 1962, all'età di ventidue anni, Borsellino si laureò con 110 e lode con una tesi su "Il fine dell'azione delittuosa" con relatore il professor Giovanni Musotto. Pochi giorni dopo, a causa di una malattia, suo padre morì all'età di cinquantadue anni. Borsellino si impegnò allora con l'ordine dei farmacisti a mantenere attiva la farmacia del padre fino al raggiungimento della laurea in farmacia della sorella Rita. Durante questo periodo la farmacia fu data in gestione per un affitto bassissimo, 120.000 lire al mese[6] e la famiglia Borsellino fu costretta a gravi rinunce e sacrifici. A Paolo fu concesso l'esonero dal servizio militare poiché egli risultava "unico sostentamento della famiglia". Nel 1967 Rita si laureò in farmacia e il primo stipendio da magistrato di Paolo servì a pagare la tassa governativa. Il 23 dicembre 1968 sposò Agnese Piraino Leto, figlia di Angelo Pirajno Leto(1909 - 1994[7]), a quel tempo magistrato, presidente del tribunale di Palermo. Dalla moglie Agnese ebbe tre figli: Lucia (1969), Manfredi (1972) e Fiammetta (1973).

La carriera in magistratura « L'equivoco su cui spesso si gioca è questo: si dice quel politico era vicino ad un mafioso, quel politico è stato accusato di avere interessi convergenti con le organizzazioni mafiose, però la magistratura non lo ha condannato, quindi quel politico è un uomo onesto. E NO! questo discorso non va, perché la magistratura può fare soltanto un accertamento di carattere giudiziale, può dire: beh! Ci sono sospetti, ci sono sospetti anche gravi, ma io non ho la certezza giuridica, giudiziaria che mi consente di dire quest'uomo è mafioso. Però, siccome dalle indagini sono emersi tanti fatti del genere, altri organi, altri poteri, cioè i politici, le organizzazioni disciplinari delle varie amministrazioni, i consigli comunali o quello che sia, dovevano trarre le dovute conseguenze da certe vicinanze tra politici e mafiosi che non costituivano reato ma rendevano comunque il politico inaffidabile nella gestione della cosa pubblica. Questi giudizi non sono stati tratti perché ci si è nascosti dietro lo schermo della sentenza: questo tizio non è mai stato condannato, quindi è un uomo onesto. Ma dimmi un poco, ma tu non ne conosci di gente che è disonesta, che non è stata mai condannata perché non ci sono le prove per condannarla, però c'è il grosso sospetto che dovrebbe, quantomeno, indurre soprattutto i partiti politici a fare grossa pulizia, non soltanto essere onesti, ma apparire onesti, facendo pulizia al loro interno di tutti coloro che sono raggiunti comunque da episodi o da fatti inquietanti, anche se non costituenti reati. »


Paolo Borsellino

(Paolo Borsellino, Istituto Tecnico Professionale di Bassano del Grappa 26/01/1989)

Nel 1963 Borsellino partecipò al concorso per entrare in magistratura; classificatosi venticinquesimo sui 171 posti messi a bando[8], con il voto di 57, divenne il più giovane magistrato d'Italia[9]. Iniziò quindi il tirocinio come uditore giudiziario e lo terminò il 14 settembre 1965 quando venne assegnato al tribunale di Enna nella sezione civile. Nel 1967 fu nominato pretore a Mazara del Vallo. Nel 1969 fu pretore a Monreale, dove lavorò insieme ad Emanuele Basile, capitano dei Carabinieri. Proprio qui ebbe modo di conoscere per la prima volta la nascente mafia dei corleonesi[10]. Il 21 marzo 1975 fu trasferito a Palermo ed il 14 luglio entrò nell'ufficio istruzione affari penali sotto la guida di Rocco Chinnici. Con Chinnici si stabilì un rapporto, più tardi descritto dalla sorella Rita Borsellino e da Caterina Chinnici, figlia del capo dell'Ufficio, come di "adozione" non soltanto professionale. La vicinanza che si stabilì fra i due uomini e le rispettive famiglie fu intensa e fu al giovane Paolo che Chinnici affidò la figlia, che abbracciava anch'essa quella carriera, in una sorta di tirocinio[11]. Nel febbraio 1980 Borsellino fece arrestare i primi sei mafiosi tra cui Giulio Di Carlo e Andrea Di Carlo legati a Leoluca Bagarella[12]. Grazie all'indagine condotta da Basile e Borsellino sugli appalti truccati a Palermo a favore degli esponenti di Cosa Nostra si scopre il fidanzamento tra Leoluca Bagarella e Vincenza Marchese sorella di Antonino Marchese, altro importante Boss[12]. Il 4 maggio 1980 Emanuele Basile fu assassinato e fu decisa l'assegnazione di una scorta alla famiglia Borsellino.

Il pool antimafia In quell'anno si costituì il "pool" antimafia nel quale sotto la guida di Chinnici lavorarono alcuni magistrati (fra gli altri, Falcone, Borsellino, Giuseppe Di Lello, Leonardo Guarnotta, Giovanni Barrile) e funzionari della Polizia di Stato (Cassarà e Montana). Nel racconto che ne fece lo stesso Borsellino, il pool nacque per risolvere il problema dei giudici istruttori che lavoravano individualmente, separatamente, ognuno "per i fatti suoi", senza che uno scambio di informazioni fra quelli che si occupavano di materie contigue potesse consentire, nell'interazione, una maggiore efficacia con un'azione penale coordinata capace di fronteggiare il fenomeno mafioso nella sua globalità[11]. Uno dei primi esempi concreti del coordinamento operativo fu la collaborazione fra Borsellino e l'appena "acquisito" Di Lello, che Chinnici aveva voluto e richiesto in squadra: Un murales rappresentante i magistrati Falcone e Borsellino (a destra) Di Lello prendeva giornalmente a prestito la documentazione che Borsellino produceva e gliela rendeva la mattina successiva, dopo averla studiata come fossero "quasi delle dispense sulla lotta alla mafia". E presto, senza che le note divergenze politiche[13] potessero essere di più che mera materia di battute, anche fra i due il legame professionale si estese all'amicizia personale[11]. Del resto era proprio la formazione di una conoscenza condivisa uno degli effetti, ma prima ancora uno degli scopi, della costituzione del pool: come ebbe a dire Guarnotta, si andava ad esplorare un mondo che sinora era sconosciuto per noi in quella che era veramente la sua essenza[11]. Nel pool andò formandosi una "gerarchia di fatto", come la chiamò Di Lello: fondata sulle qualità personali di Falcone e Borsellino, tributari di questa leadership per superiori qualità - sempre secondo lo stesso collega - di "grande intelligenza, grandissima memoria e grande capacità di lavoro"; ed i colleghi non l'avrebbero discussa, questa supremazia, anche per il timore di essere sfidati a sostituirli[11]. Tutti i componenti del pool chiedevano espressamente l'intervento dello Stato, che non arrivò. Qualcosa faticosamente giunse nel 1982, a prezzo però di nuovo altro sangue "eccellente", quando dopo l'omicidio del deputato comunista Pio La Torre, il ministro dell'interno Virginio Rognoni inviò a Palermo il generale dei

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Carabinieri Carlo Alberto Dalla Chiesa, che proprio in Sicilia e contro la mafia aveva iniziato la sua carriera di ufficiale, nominandolo prefetto. E quando anche questi trovò la morte, 100 giorni dopo, nella strage di via Carini, il parlamento italiano riuscì a varare la cosiddetta "legge Rognoni-La Torre" con la quale si istituiva il reato di associazione mafiosa (l'articolo 416 bis del codice penale) che il pool avrebbe sfruttato per ampliare le investigazioni sul fronte bancario, all'inseguimento dei capitali riciclati; era questa la strada che Giovanni Falcone ed i suoi colleghi del pool maggiormente intendevano seguire, una strada anni prima aperta dalle indagini finanziarie di Boris Giuliano (sul cui omicidio investigava il capitano Basile quando fu a sua volta assassinato) a proposito dei rapporti fra il capomafia Leoluca Bagarella ed il losco finanziere Michele Sindona. Il 29 luglio 1983 fu ucciso Rocco Chinnici, con l'esplosione di un'autobomba[14], e pochi giorni dopo giunse a Palermo da Firenze Antonino Caponnetto. Il pool chiese una mobilitazione generale contro la mafia. Nel 1984 fu arrestato Vito Ciancimino, mentre Tommaso Buscetta ("Don Masino", come era chiamato nell'ambiente mafioso), catturato a San Paolo del Brasile ed estradato in Italia, iniziò a collaborare con la giustizia. Buscetta descrisse in modo dettagliato la struttura della mafia, di cui fino ad allora si sapeva ben poco. Nel 1985 furono uccisi da Cosa Nostra, a pochi giorni l'uno dall'altro, il commissario Giuseppe Montana ed il vice-questore Ninni Cassarà[15]. Falcone e Borsellino furono per sicurezza trasferiti nella foresteria del carcere dell'Asinara, nella quale iniziarono a scrivere l'istruttoria per il cosiddetto "maxiprocesso", che mandò alla sbarra 475 imputati. Si seppe in seguito che l'amministrazione penitenziaria richiese poi ai due magistrati un rimborso spese ed un indennizzo per il soggiorno trascorso[16]. Senza il camino fa freddo... Pochi giorni prima di essere assassinato, Borsellino incontrò lo scrittore Luca Rossi cui raccontò diversi aneddoti della sua esperienza professionale, fra i quali uno riguardante degli accertamenti che insieme con Falcone conducevano in merito ad alcune delle rivelazioni di Buscetta. Don Masino aveva descritto minuziosamente la villa dei cugini Salvo, e questa descrizione, cruciale per attestare l'attendibilità del teste (ed ancora più cruciale visto quanto questo particolare teste stava risultando essenziale nell'azione complessiva del pool, che su queste spendeva la sua credibilità operativa), parlava di un grande salone che aveva al centro un grande camino. Durante il sopralluogo nella villa, però, quasi tutto corrispondeva al racconto del pentito, meno che il camino, che non c'era. Falcone allora, guardando costernato Borsellino, fece il gesto della pistola alla tempia e gli disse "adesso possiamo spararci tutt'e due". La discrepanza poteva infatti in rapida successione rendere inattendibile il teste, privare l'impianto dell'indagine di uno dei suoi tasselli centrali, esporre l'intero pool alle accuse già ventilate di approssimazione professionale o, peggio, di intenti persecutori nei confronti di onesti cittadini. Borsellino avvicinò il custode della villa e, dopo averci chiacchierato di cose insignificanti, ad un certo punto gli chiese per [17] curiosità cosa usassero per scaldarsi d'inverno. Il custode rispose: "Col camino. Ma d'estate lo spostiamo in giardino" .

Parallelamente si impegna all'interno degli organismi di rappresentanza dei giudici, come esponente di Magistratura Indipendente.

A Marsala Borsellino chiese ed ottenne (il 19 dicembre 1986) di essere nominato Procuratore della Repubblica di Marsala. La nomina superava il limite ordinariamente vigente del possesso di alcuni requisiti principalmente relativi all'anzianità di servizio[18]. Secondo il collega Giacomo Conte[19] la scelta di decentrarsi e di assumere un ruolo autonomo rispondeva ad una sua intuizione per la quale l'accentramento delle indagini istruttorie sotto la guida di una sola persona esponeva non solo al rischio di una disorganicità complessiva dell'azione contro la mafia, ma anche a quello di poter facilmente soffocare questa azione colpendo il magistrato che ne teneva le fila; questa collocazione, "solo apparentemente periferica", fu secondo questo autore esempio della proficuità di questa collaborazione a distanza. Di parere difforme fu Leonardo Sciascia, scrittore siciliano, il quale in un articolo pubblicato su Il Corriere della Sera il 10 gennaio del 1987, si scagliò contro questa nomina invitando il lettore a prendere atto che "nulla vale più, in


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Sicilia, per far carriera nella magistratura, del prender parte a processi di stampo mafioso", a conclusione di un'esposizione principiata con due autocitazioni[20]. Si tratta della nota polemica sui cosiddetti "professionisti dell'antimafia". Borsellino commentò (o lo citò) solo dopo la morte di Falcone, parlando il 25 giugno 1992 ad un dibattito, organizzato da La Rete e da MicroMega, sullo stato della lotta alla mafia dopo la Strage di Capaci: "Tutto incominciò con quell'articolo sui professionisti dell'antimafia"[21][22]. « Il vero obiettivo del CSM era eliminare al più presto Giovanni Falcone » (Durante il Convegno del La Rete del 25 giugno 1992) « Quando Giovanni Falcone solo, per continuare il suo lavoro, propose la sua aspirazione a succedere ad Antonino Caponnetto, il Consiglio Superiore della Magistratura, con motivazioni risibili gli preferì il consigliere Antonino Meli. Falcone concorse, qualche Giuda si impegnò subito a prenderlo in giro, e il giorno del mio compleanno il CSM ci fece questo regalo. Gli preferì Antonino Meli. » (Durante il Convegno del La Rete del 25 giugno 1992)

Secondo Umberto Lucentini, uno dei suoi biografi, Borsellino si era invece reso conto della crescente importanza delle cosche trapanesi, e di Totò Riina e Bernardo Provenzano, all'interno della rete criminale Cosa Nostra, che ad esempio intorno a Mazara del Vallo e nel Belice, facevano ruotare interessi notevoli che occorreva seguire da vicino[11].

La fine del Pool ed il ritorno a Palermo Nel 1987, mentre il maxiprocesso si avviava alla sua conclusione[23] con l'accoglimento delle tesi investigative del pool e l'irrogazione di 19 ergastoli e 2.665 anni di pena[11][24], Caponnetto lasciò il pool per motivi di salute e tutti (Borsellino compreso) si attendevano che al suo posto fosse nominato Falcone, ma il Consiglio Superiore della Magistratura non la vide alla stessa maniera e il 19 gennaio 1988 nominò Antonino Meli; sorse il timore che il pool stesse per essere sciolto. Borsellino parlò allora in pubblico a più riprese, raccontando quel che stava accadendo alla procura di Palermo. In particolare, in due interviste rilasciate il 20 luglio 1988 a la Repubblica ed a L'Unità, riferendosi al CSM, dichiarò tra l'altro espressamente: "si doveva nominare Falcone per garantire la continuità all'Ufficio", "hanno disfatto il pool antimafia", "hanno tolto a Falcone le grandi inchieste", "la squadra mobile non esiste più", "stiamo tornando indietro, come 10 o 20 anni fa". Per queste dichiarazioni rischiò un provvedimento disciplinare (fu messo sotto inchiesta)[25]. A seguito di un intervento del Presidente della Repubblica Francesco Cossiga, si decise almeno di indagare su ciò che succedeva nel palazzo di Giustizia. Il 31 luglio il CSM convocò Borsellino, il quale rinnovò accuse e perplessità. Il 14 settembre Antonino Meli, sulla base di una decisione fondata sulla mera anzianità di ruolo in magistratura, fu nominato capo del pool; Borsellino tornò a Marsala, dove riprese a lavorare alacremente insieme a giovani magistrati, alcuni di prima nomina. Iniziava in quei giorni il dibattito per la costituzione di una Superprocura e su chi porvi a capo, nel frattempo Falcone fu chiamato a Roma per assumere il comando della direzione affari penali e da lì premeva per l'istituzione della Superprocura. Nel settembre 1990 intervenne alla festa nazionale del Fronte della Gioventù a Siracusa, insieme al parlamentare regionale del MSI Giuseppe Tricoli, e agli allora dirigenti giovanili Gianni Alemanno e Fabio Granata[26]. Con Falcone a Roma, Borsellino chiese il trasferimento alla Procura di Palermo e l'11 dicembre 1991 vi ritornò come Procuratore aggiunto, insieme al sostituto Antonio Ingroia.


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Il cammino segnato Nel settembre del 1991, la mafia aveva già abbozzato progetti per l'uccisione di Borsellino. A rivelarlo fu Vincenzo Calcara, picciotto della zona di Castelvetrano cui la Cupola mafiosa, per bocca di Francesco Messina Denaro (capo della cosca di Trapani), aveva detto di tenersi pronto per l'esecuzione, che si sarebbe dovuta effettuare o mediante un fucile di precisione, o con un'autobomba. Assai onorato dell'incarico, che gli avrebbe consentito la scalata di qualche gradino nella gerarchia mafiosa, il mafioso attendeva l'ordine di entrare in azione come cecchino qualora si fosse propeso per questa soluzione. Ma Calcara fu arrestato il 5 novembre e la sua situazione in carcere si fece assai pericolosa poiché, secondo quanto da lui stesso indicato, aveva in precedenza intrecciato una relazione con la figlia di uno dei capi di Cosa Nostra, uno sbilanciamento del tutto contrario alle "regole" mafiose e sufficiente a costargli la vita; se da latitante poteva ancora essere utilizzato per "lavori sporchi", da carcerato invece gli restava solo la condanna a morte emessa dall'organizzazione. Prima che finisse il periodo di isolamento, Calcara decise di diventare collaboratore di giustizia e si incontrò proprio con Borsellino, al quale, una volta rivelatogli il piano e l'incarico, disse: "lei deve sapere che io ero ben felice di ammazzarla". Dopo di ciò, raccontò sempre il pentito, gli chiese di poterlo abbracciare e Borsellino avrebbe commentato: "nella mia vita tutto potevo immaginare, tranne che un uomo d'onore mi abbracciasse"[27]. Soltanto nel 2012 si è venuto a sapere, da una rivelazione rilasciata in tribunale del colonnello Umberto Sinico, sentito come testimone, che Borsellino non solo era a conoscenza di essere nel mirino di Cosa Nostra, ma che preferiva che non si stringesse troppo la protezione attorno a sé, così da evitare che Cosa Nostra scegliesse come bersaglio qualcuno della sua famiglia[28].

Elezione del Presidente della Repubblica e Capaci Il pomeriggio del 19 maggio 1992, nel corso dell'XI scrutinio delle elezioni presidenziali, l'allora segretario del MSI Gianfranco Fini diede indicazione ai suoi parlamentari di votare per Paolo Borsellino come Presidente della Repubblica, che ottenne in quello scrutinio 47 preferenze, al sedicesimo scrutinio (avvenuto dopo la strage di Capaci) fu eletto Oscar Luigi Scalfaro. Il 23 maggio 1992, in un attentato dinamitardo sull'autostrada di Capaci, persero la vita Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e tre agenti della scorta, Antonio Montinaro, Vito Schifani e Rocco Dicillo. « Guardi, io ricordo ciò che mi disse Ninni Cassarà allorché ci stavamo recando assieme sul luogo dove era stato ucciso il dottor Montana alla fine del luglio del 1985, credo. Mi disse: "Convinciamoci che siamo dei cadaveri che camminano". » (Paolo Borsellino, intervista a Lamberto Sposini dell'inizio di luglio)

Dichiarazioni e rifiuti Borsellino rilasciò interviste e partecipò a numerosi convegni per denunciare l'isolamento dei giudici e l'incapacità o la mancata volontà da parte della politica di dare risposte serie e convinte alla lotta alla criminalità. In una di queste Borsellino descrisse le ragioni che avevano portato all'omicidio del giudice Rosario Livatino e prefigurò la fine (che poi egli stesso fece) che ogni giudice "sovraesposto" è destinato a fare. Alla presentazione di un libro[29] alla presenza dei ministri dell'interno e della giustizia, Vincenzo Scotti e Claudio Martelli, nonché del capo della polizia Vincenzo Parisi, dal pubblico fu chiesto a Borsellino se intendesse candidarsi alla successione di Falcone alla "Superprocura"; alla sua risposta negativa Scotti intervenne annunciando di aver concordato con Martelli di chiedere al CSM di riaprire il concorso ed invitandolo formalmente a candidarsi. Borsellino non rispose a parole, sebbene il suo biografo Lucentini abbia così descritto la sua reazione: "dal suo viso trapela una indignazione senza confini""[30]. Rispose al ministro per iscritto, giorni dopo: "La scomparsa di Giovanni Falcone mi ha reso destinatario di un dolore che mi impedisce di rendermi beneficiario di effetti comunque riconducibili a tale luttuoso evento"[31].

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La penultima intervista di Borsellino e le sue versioni Due mesi prima di essere ucciso, Paolo Borsellino rilasciò un'intervista ai giornalisti di Canal+ Jean Pierre Moscardo e Fabrizio Calvi (21 maggio 1992)[32]. L'intervista mandata in onda da Rai News 24 nel 2000 era di trenta minuti, quella originale era invece di cinquantacinque minuti. La trascrizione dell'intervista integrale si trova qui[33]

Lenzuoli dedicati a Giovanni Falcone e Paolo Borsellino

« All'inizio degli anni settanta Cosa Nostra cominciò a diventare un'impresa anch'essa. Un'impresa nel senso che attraverso l'inserimento sempre più notevole, che a un certo punto diventò addirittura monopolistico, nel traffico di sostanze stupefacenti, Cosa Nostra cominciò a gestire una massa enorme di capitali. Una massa enorme di capitali dei quali, naturalmente, cercò lo sbocco. Cercò lo sbocco perché questi capitali in parte venivano esportati o depositati all'estero e allora così si spiega la vicinanza fra elementi di Cosa Nostra e certi finanzieri che si occupavano di questi movimenti di capitali, contestualmente Cosa Nostra cominciò a porsi il problema e ad effettuare investimenti. Naturalmente, per questa ragione, cominciò a seguire una via parallela e talvolta tangenziale all'industria operante anche nel Nord o a inserirsi in modo di poter utilizzare le capacità, quelle capacità imprenditoriali, al fine di far fruttificare questi capitali dei quali si erano trovati in possesso » (Paolo Borsellino, in quella intervista)

In questa sua ultima intervista Paolo Borsellino parlò anche dei legami tra la mafia e l'ambiente industriale milanese e del Nord Italia in generale, facendo riferimento, tra le altre cose, a indagini in corso sui rapporti tra Vittorio Mangano e Marcello Dell'Utri. Alla domanda se Mangano fosse un "pesce pilota" della mafia al Nord, Borsellino rispose che egli era sicuramente una testa di ponte dell'organizzazione mafiosa nel Nord d'Italia. Sui rapporti con Silvio Berlusconi invece, benché esplicitamente sollecitato dall'intervistatore, si astenne da qualsiasi giudizio. Paolo Guzzanti aveva sostenuto che l'intervista trasmessa da Rai News 24 era stata manipolata, i giornalisti della rete gli fecero causa, ma fu assolto. Vi era corrispondenza tra la cassetta ricevuta ed il contenuto trasmesso, ma non con il video originale. Alcune risposte erano state tagliate e messe su altre domande. Ad esempio, quando Borsellino parla di "cavalli in albergo" per indicare un traffico di droga, non si riferiva ad una telefonata fra Dell'Utri e Mangano come poteva sembrare dalla domanda dell'intervistatore (che faceva riferimento ad un'intercettazione dell'inchiesta di San Valentino, che Borsellino aveva seguito solo per poco tempo), ma ad una fra Mangano e un mafioso della famiglia Inzerillo.[34] Nel numero de L'Espresso dell'8 aprile 1994 fu pubblicata una versione più estesa dell'intervista[35]. L'intervista, e i tagli relativi alla sua versione televisiva, furono citati anche dal tribunale di Palermo nella sentenza di condanna di Gaetano Cinà e Marcello Dell'Utri:


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« Un riferimento a quelle indagini si rinviene nella intervista rilasciata il 21 maggio 1992 dal Dott. Paolo Borsellino ai giornalisti Fabrizio Calvi e Jean Pierre Moscardo. In dibattimento il Pubblico Ministero ha prodotto la cassetta contenente la registrazione originale di quella intervista che, nelle precedenti versioni, aveva subito, invece, evidenti manipolazioni ed era stata trasmessa a diversi anni di distanza dal momento in cui era stata resa, malgrado l'indubbio rilievo di un simile documento. » [36]

(Dalla sentenza di condanna di Dell'Utri Pag 431

)

Nella sentenza fu poi riportato il brano dell'intervista relativo all'uso del termine "cavalli" per indicare la droga e sulle precedenti condanne di Mangano, in una versione ancora differente rispetto alle due già diffuse, trascritta dal nastro originale. Nella stessa sentenza era poi riportata l'intercettazione della telefonata intercorsa tra Mangano (la cui linea era sotto controllo) e Dell'Utri[37], relativo al blitz di San Valentino, in cui veniva citato un "cavallo", a cui aveva fatto riferimento il giornalista nelle domande dell'intervista a Borsellino.[38]. La sentenza specificava però che: « Tra le telefonate intercettate (il cui tenore aveva consentito di disvelare i loschi traffici ai quali il Mangano si era dedicato in quegli anni) si inserisce quella del 14 febbraio 1980 intercorsa tra Vittorio Mangano e Marcello Dell'Utri. È opportuno chiarire subito che questa conversazione, pur avendo ad oggetto il riferimento a “cavalli”, termine criptico usato dal Mangano nelle conversazioni telefoniche per riferirsi agli stupefacenti che trafficava, non presenta un significato chiaramente afferente ai traffici illeciti nei quali il Mangano era in quel periodo coinvolto e costituisce il solo contatto evidenziato, nel corso di quelle indagini, tra Marcello Dell'Utri e i diversi personaggi attenzionati dagli investigatori. »

Venerdì 18 dicembre 2009 Il Fatto Quotidiano pubblica il DVD Paolo Borsellino. L'intervista nascosta contenente la versione integrale, filmata, dell'intervista al giudice con una prefazione di Marco Travaglio[39].

La strage di via d'Amelio Il 19 luglio 1992, dopo aver pranzato a Villagrazia con la moglie Agnese e i figli Manfredi e Lucia, Paolo Borsellino si recò insieme alla sua scorta in via D'Amelio, dove viveva sua madre. Una Fiat 126 parcheggiata nei pressi dell'abitazione della madre con circa 100 kg di esplosivo a bordo (semtex e/o tritolo[40][41][42]) detonò al passaggio del giudice, uccidendo oltre a Paolo Borsellino anche i cinque agenti di scorta Emanuela Loi (prima donna della Polizia di Stato caduta in servizio), Agostino Catalano, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina. L'unico sopravvissuto fu Antonino Vullo, scampato perché al momento della deflagrazione stava parcheggiando uno dei veicoli della scorta[43].

Francobollo commemorativo

Il 24 luglio diecimila persone partecipano ai funerali privati di Borsellino (i familiari rifiutarono il rito di Stato, poiché la moglie Agnese Borsellino, accusava il governo di non aver saputo proteggere il marito, voleva una cerimonia privata senza la presenza dei politici), celebrati nella chiesa di Santa Maria Luisa di Marillac, disadorna e periferica, dove il giudice era solito sentir messa, quando poteva, nelle domeniche di festa. L'orazione funebre la pronuncia Antonino Caponnetto, il vecchio giudice che diresse l'ufficio di Falcone e Borsellino: «Caro Paolo, la lotta che hai sostenuto dovrà diventare e diventerà la lotta di ciascuno di noi». Pochi i politici: il presidente Scalfaro, Francesco Cossiga, Gianfranco Fini, Claudio Martelli. Il funerale è commosso e composto, interrotto solo da qualche battimani. Qualche giorno prima, i funerali dei 5 agenti di scorta si svolsero nella Cattedrale di Palermo, ma all'arrivo dei rappresentanti dello stato (compreso il neo Presidente della Repubblica Italiana, Oscar Luigi Scalfaro), una folla inferocita sfondò la barriera creata dai 4000 agenti chiamati per mantenere l'ordine, la gente mentre strattonava e spingeva, gridava "FUORI LA MAFIA DALLO STATO". Il Presidente della Repubblica venne tirato fuori a stento dalla calca, venne spintonato anche il capo della polizia.


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Pochi giorni prima di essere ucciso, durante un incontro organizzato dalla rivista MicroMega, così come in un'intervista televisiva a Lamberto Sposini, Borsellino aveva parlato della sua condizione di "condannato a morte". Sapeva di essere nel mirino di Cosa Nostra e sapeva che difficilmente la mafia si lascia scappare le sue vittime designate. Antonino Caponnetto, che subito dopo la strage aveva detto, sconfortato, "Non c'è più speranza...", intervistato anni dopo da Gianni Minà ricordò che "Paolo aveva chiesto alla questura – già venti giorni prima dell'attentato – di disporre la rimozione dei veicoli nella zona antistante l'abitazione della madre. Ma la domanda era rimasta inevasa. Ancora oggi aspetto di sapere chi fosse il funzionario responsabile della sicurezza di Paolo, se si sia proceduto disciplinarmente nei suoi confronti e con quali conseguenze"[44]. Una settimana dopo la strage, la giovanissima testimone di giustizia Rita Atria, che proprio per la fiducia che riponeva nel giudice Borsellino si era decisa a collaborare con gli inquirenti pur al prezzo di recidere i rapporti con la madre, si uccise. Via d'Amelio come strage di Stato

via D'Amelio: l'albero che ricorda il luogo dell'uccisione di Paolo Borsellino e della sua scorta

« Politica e mafia sono due poteri che vivono sul controllo dello stesso territorio: o si fanno la guerra o si mettono d'accordo. » (Lirio Abbate, Peter Gomez

[45]

)

Nell'introduzione del libro L'agenda rossa di Paolo Borsellino Marco Travaglio scrive: « Oggi, quindici anni dopo, non è cambiato nulla. L'impressione è che, ai piani alti del potere, quelle verità indicibili le conoscano in tanti, ma siano d'accordo nel tenerle coperte da una spessa coltre di omissis. Per sempre. L'agenda rossa è la scatola nera della Seconda Repubblica. Grazie a questo libro cominciamo a capire qualcosa anche noi » [46]

(Marco Travaglio

)

Salvatore Borsellino, fratello di Paolo Borsellino, parla esplicitamente di "strage di Stato":


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« Perché quello che è stato fatto è proprio cercare di fare passare l'assassinio di Paolo e di quei ragazzi che sono morti in via D'Amelio come una strage di mafia. [...] Hanno messo in galera un po' di persone - tra l'altro condannate per altri motivi e per altre stragi - e in questa maniera ritengono di avere messo una pietra tombale sull'argomento. Devo dire che purtroppo una buona parte dell'opinione pubblica, cioè quella parte che assume le proprie informazioni semplicemente dai canali di massa - televisione e giornali - è caduta in questa chiamiamola “trappola” [...] Quello che noi invece cerchiamo in tutti i modi di far capire alla gente [...] è che questa è una strage di stato, nient'altro che una strage di stato. E vogliamo far capire anche che esiste un disegno ben preciso che non fa andare avanti certe indagini, non fa andare avanti questi processi, che mira a coprire di oblio agli occhi dell'opinione pubblica questa verità, una verità tragica perché mina i fondamenti di questa nostra repubblica. Oggi questa nostra seconda repubblica è una diretta conseguenza delle stragi del ‘92 » [47]

(Salvatore Borsellino

)

Il Gip di Caltanissetta, Alessandra Bonaventura Giunta, ritiene che la trattativa stato mafia ci sia stata e che Paolo Borsellino fu ucciso perché secondo il boss Totò Riina, ostacolava questa trattativa,[48]: « "deve ritenersi un dato acquisito quello secondo cui a partire dai primi giorni del mese di giugno del 1992 fu avviata la cosiddetta 'trattativa' tra appartenenti alle istituzioni e l'organizzazione criminale Cosa nostra". »

dopo aver interrogato Salvino Madonia, il capomafia che ha partecipato alla riunione di Cosa nostra nella quale i mafiosi decisero l'avvio della strategia stragista[49].

L'eredità

Un rosone in bronzo, opera di Tommaso Geraci, commemora insieme Falcone e Borsellino all'aeroporto loro dedicato di Palermo. Nell'iscrizione, si legge: "L'orgoglio della Nuova Sicilia"

« Io accetto la... ho sempre accettato il... più che il rischio, la... condizione, quali sono le conseguenze del lavoro che faccio, del luogo dove lo faccio e, vorrei dire, anche di come lo faccio. Lo accetto perché ho scelto, ad un certo punto della mia vita, di farlo e potrei dire che sapevo fin dall'inizio che dovevo correre questi pericoli. Il... la sensazione di essere un sopravvissuto e di trovarmi in, come viene ritenuto, in... in estremo pericolo, è una sensazione che non si disgiunge dal fatto che io credo ancora profondamente nel lavoro che faccio, so che è necessario che lo faccia, so che è necessario che lo facciano tanti altri assieme a me. E so anche che tutti noi abbiamo il dovere morale di continuarlo a fare senza lasciarci condizionare... dalla sensazione che, o financo, vorrei dire, dalla certezza, che tutto questo può costarci caro. » (Paolo Borsellino, intervista a Sposini, inizio luglio 1992)

La figura di Paolo Borsellino, come quella di Giovanni Falcone, ha lasciato un grande esempio nella società civile e nelle istituzioni.


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Alla sua memoria sono state intitolate numerose scuole e associazioni, nonché (insieme all'amico e collega) l'aeroporto internazionale "Falcone e Borsellino" (ex "Punta Raisi", Palermo), un'aula della facoltà di Giurisprudenza all'Università di Roma La Sapienza e l'aula del consiglio comunale della città di Castellammare di Stabia. Anche la Facoltà di Giurisprudenza dell'Università degli Studi di Brescia ha intestato una delle sue aule più suggestive di Palazzo dei Mercanti ai giudici Falcone e Borsellino. « Un giudice vero fa quello che ha fatto Borsellino, uno che si trova solo occasionalmente a fare quel mestiere e non ha la vocazione può scappare, chiedere un trasferimento se ne ha il tempo e se gli viene concesso. Borsellino, invece, era di un'altra tempra, andò incontro alla morte con una serenità e una lucidità incredibili. » [44]

(Antonino Caponnetto, intervista a Gianni Minà, maggio 1996

)

Teatro, Cinema e televisione Anche il teatro, il cinema e la televisione hanno onorato la memoria del magistrato palermitano: • Giovanni Falcone di Giuseppe Ferrara, (1993); • I giudici - Vittime eccellenti di Ricky Tognazzi (1999), Scheda su I giudici - vittime eccellenti [50] dell'Internet Movie Database; • Gli angeli di Borsellino di Rocco Cesareo (2003); • Paolo Borsellino, miniserie televisiva di Gianluca Maria Tavarelli (2004); • Paolo Borsellino - Essendo Stato (2006), scritto e diretto da Ruggero Cappuccio; • Paolo Borsellino - I 57 giorni, film tv (2012); • Vi perdono ma inginocchiatevi di Claudio Bonivento, film tv (2012)

Onorificenze Medaglia d'oro al valor civile

«Procuratore Aggiunto presso la Procura della Repubblica di Palermo, esercitava la propria missione con profondo impegno e grande coraggio, dedicando ogni sua energia a respingere con rigorosa coerenza la proterva sfida lanciata dalle organizzazioni mafiose allo Stato democratico. Nonostante le continue e gravi minacce, proseguiva con zelo ed eroica determinazione il suo duro lavoro di investigatore, ma veniva barbaramente trucidato in un vile agguato, tesogli con efferata ferocia, sacrificando la propria esistenza, vissuta al servizio dei più alti ideali di giustizia e delle Istituzioni.» — Palermo, 19 luglio 1992

Note [1] Il valore di una vita [2] http:/ / archiviostorico. corriere. it/ 1997/ settembre/ 24/ morta_madre_Borsellino_giudice_ucciso_co_8_970924478. shtml E' morta la madre di Borsellino, il giudice ucciso in via D' Amelio [3] http:/ / www. ilquotidianoitaliano. it/ gallerie/ 2011/ 05/ news/ e-morta-adele-la-sorella-maggiore-di-paolo-borsellino-80613. html/ È morta Adele, la sorella maggiore di Paolo Borsellino [4] Umberto Lucentini, Il mio mal d'Africa in Paolo Borsellino, 3a ed., Druento, Edizioni San Paolo [2004], 2006, pp. 37. ISBN 88-215-4968-2 [5] "Paolo Borsellino" - Umberto Lucentini - 2003 - Edizioni San Paolo [6] Il valore di una vita, pag. 35 [7] http:/ / www. comune. palermo. it/ archivio_biografico_comunale/ schede/ angelo_piraino_leto. htm Archivio biografico comunale Palermo [8] Temi assegnati - Saranno Magistrati (http:/ / www. sarannomagistrati. it/ temi/ index. htm) [9] La Storia siamo noi - Paolo Borsellino (http:/ / www. lastoriasiamonoi. rai. it/ puntata. aspx?id=154) [10] www.ansa.it/legalita/static/bio/borsellino.shtml [11] La Storia siamo noi - Paolo Borsellino (http:/ / www. rai. tv/ dl/ RaiTV/ programmi/ media/ ContentItem-53f16858-7d26-4906-994a-2bab5f272362. html?p=0) [12] Umberto Lucentini, Hanno ucciso il capitano in Paolo Borsellino, 3a ed., Druento, Edizioni San Paolo [2004], 2006, pp. 57. ISBN 88-215-4968-2


Paolo Borsellino [13] [14] [15] [16] [17] [18]

Borsellino era di destra, Di Lello si definisce "social-comunista". La prima autobomba usata dalla mafia, secondo Rita Borsellino Insieme all'agente Roberto Antiochia Figure di una battaglia: documenti e riflessioni sulla mafia dopo l'assassinio di G. Falcone e P. Borsellino, pag. 121 Riassunto dal relato di Enrico Deaglio, Raccolto rosso: la mafia, l'Italia e poi venne giù tutto, Feltrinelli, 1993 - ISBN 88-07-12010-0 "Notiziario straordinario" n. 17 del 10 settembre 1986 del Consiglio superiore della magistratura:

« Rilevato, per altro, che per quanto concerne i candidati che in ordine di graduatoria precedono il dottor Borsellino, si impongono oggettive valutazioni che conducono a ritenere, sempre in considerazione della specificità del posto da ricoprire e alla conseguente esigenza che il prescelto possegga una specifica e particolarissima competenza professionale nel settore della delinquenza organizzata in generale e di quella di stampo mafioso in particolare, che gli stessi non siano, seppure in misura diversa, in possesso di tali requisiti con la conseguenza che, nonostante la diversa anzianità di carriera, se ne impone il "superamento" da parte del più giovane aspirante. » [19] Giacomo Conte (procuratore a Gela), Lo sdegno e la speranza: la lezione di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, in (a cura di) Franco Occhiogrosso, Ragazzi della mafia: storie di criminalità e contesti minorili, voci dal carcere, le reazioni e i sentimenti, i ruoli e le proposte, FrancoAngeli, 1993 - ISBN 88-204-7972-9 [20] Il testo dell'articolo di Sciascia online (http:/ / www. italialibri. net/ dossier/ mafia/ professionistiantimafia. html) (2 pagine) [21] Una fra le numerose fonti online (http:/ / www. societacivile. it/ previsioni/ articoli_previ/ sciascia. html) [22] Trascrizione intervento (http:/ / liquida. noblogs. org/ post/ 2006/ 12/ 26/ 25-giugno-1992-ultimo-intervento-pubblico-di-paolo-borsellino) [23] Il 16 dicembre. [24] Sentenza della Corte di Assise (pres. Alfonso Giordano) poi sostanzialmente confermata 5 anni dopo dalla Corte di Cassazione. [25] Disse lo stesso Borsellino durante la serata alla Biblioteca Comunale di Palermo il 25 giugno 1992: "per aver denunciato questa verità io rischiai conseguenze professionali gravissime, e forse questo lo avevo pure messo nel conto, ma quel che è peggio il Consiglio superiore immediatamente scoprì quale era il suo vero obiettivo: proprio approfittando del problema che io avevo sollevato, doveva essere eliminato al più presto Giovanni Falcone. E forse questo io lo avevo pure messo nel conto perché ero convinto che lo avrebbero eliminato comunque; almeno, dissi, se deve essere eliminato, l'opinione pubblica lo deve sapere, lo deve conoscere, il pool antimafia deve morire davanti a tutti, non deve morire in silenzio. L'opinione pubblica fece il miracolo, perché ricordo quella caldissima estate dell'agosto 1988, l'opinione pubblica si mobilitò e costrinse il Consiglio superiore della magistratura a rimangiarsi in parte la sua precedente decisione dei primi di agosto, tant'è che il 15 settembre, se pur zoppicante, il pool antimafia fu rimesso in piedi. ". Nello stesso intervento commentò la mancata nomina di Falcone: "Si aprì la corsa alla successione all'ufficio istruzione al tribunale di Palermo. Falcone concorse, qualche Giuda si impegnò subito a prenderlo in giro, e il giorno del mio compleanno il Consiglio superiore della magistratura ci fece questo regalo: preferì Antonino Meli." [26] da Il Fatto Quotidiano (http:/ / stage. ilfattoquotidiano. it/ 2010/ 07/ 27/ un-â destroâ -da-rauti-a-borsellino/ 44511/ ) [27] Relato testuale del pentito in La Storia siamo noi - Paolo Borsellino (http:/ / www. rai. tv/ dl/ RaiTV/ programmi/ media/ ContentItem-53f16858-7d26-4906-994a-2bab5f272362. html?p=0) (fonte per l'intero paragrafo) [28] "Borsellino sapeva di morire ma scelse di sacrificarsi" (http:/ / palermo. repubblica. it/ cronaca/ 2012/ 02/ 03/ news/ borsellino_sapeva_di_morire_ma_scelse_di_sacrificarsi-29251708/ ). La Repubblica.it. URL consultato in data 05 febbraio 2012. [29] "Gli uomini del disonore", di Pino Arlacchi [30] Umberto Lucentini, Paolo Borsellino. Il valore di una vita, Mondadori, 1994 [31] Fonte (http:/ / archiviostorico. corriere. it/ 1994/ gennaio/ 16/ Paolo_rifiuto_posto_Falcone_co_0_940116669. shtml) per questo paragrafo [32] Trascrizione dell'intervista (http:/ / www. rainews24. rai. it/ ran24/ speciali/ borsellino_new/ espre. htm) [33] Paolo Borsellino - L'intervista nascosta (http:/ / www. 19luglio1992. org/ index. php?option=com_content& view=article& catid=26:in-evidenza& id=2300:paolo-borsellino-lintervista-nascosta#trascrizione) [34] http:/ / www. paologuzzanti. it/ wp-content/ 2008/ 03/ sentenza. pdf [35] trascrizione dell'intervista (http:/ / www. rainews24. rai. it/ ran24/ speciali/ borsellino_new/ espre. htm) pubblicata su L'Espresso dell'8 aprile 1994, dal sito di Rai News 24 [36] sentenza (http:/ / www. narcomafie. it/ sentenza_dellutri. pdf) dell'11 dicembre 2004, relativa al procedimento contro Marcello Dell'Utri [37] Rapporto 0500/CAS del 13 aprile 1981 della Criminalpol di Milano. [38] Trascrizione di un'intercettazione telefonica tra Vittorio Mangano e Marcello Dell'Utri, sentenza (http:/ / www. narcomafie. it/ sentenza_dellutri. pdf) dell'11 dicembre 2004, relativa al procedimento contro Marcello Dell'Utri, pag 483 e seguenti, proveniente dal rapporto 0500/CAS dell'aprile 1981 della Criminalpol di Milano [39] Paolo Borsellino. L’intervista nascosta. | Marco Travaglio | Il Fatto Quotidiano (http:/ / www. ilfattoquotidiano. it/ 2009/ 12/ 17/ paolo-borsellino-lintervista-n/ 12607/ ) [40] Borsellino, sbaglia Genchi (http:/ / www. italiaoggi. it/ giornali/ dettaglio_giornali. asp?preview=false& accessMode=FA& id=1618422& codiciTestate=1). Italiaoggi. URL consultato in data 23 gennaio 2012. [41] Tritolo a Gioia Tauro: Per chi suona la campana? (http:/ / www. 19luglio1992. org/ index. php?option=com_content& view=article& id=5004:tritolo-a-gioia-tauro-per-chi-suona-la-campana& catid=20:altri-documenti& Itemid=43). 19luglio1992.org. URL consultato in data 23 gennaio 2012.

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Paolo Borsellino [42] Quella fornitura di esplosivo Semtex tanto cara alla mafia e a Totò Riina (http:/ / ilsuddista. altervista. org/ blog/ quella-fornitura-di-esplosivo-semtex-tanto-cara-alla-mafia-e-a-toto-riina/ ). Il Suddista. URL consultato in data 23 gennaio 2012. [43] l' agente superstite: " vivo per miracolo " (http:/ / archiviostorico. corriere. it/ 1992/ luglio/ 21/ agente_superstite_vivo_per_miracolo_co_0_9207211793. shtml) [44] Intervista di Minà a Caponnetto (http:/ / www. giannimina. it/ index. php?option=com_content& task=view& id=95& Itemid=46) [45] Lirio Abbate, Peter Gomez, I complici. Tutti gli uomini di Bernardo Provenzano, da Corleone al Parlamento, p. 36 [46] L'agenda rossa di Paolo Borsellino (http:/ / chiarelettere. ilcannocchiale. it/ ?id_blogdoc=1538344) [47] Intervista RAI a Salvatore Borsellino fratello di Paolo Borsellino (http:/ / www. forum. rai. it/ index. php?showtopic=242566) [48] Svolta su Via D'Amelio, 4 arresti. Il Gip: Borsellino ucciso perché ostacolava la trattativa tra Stato e mafia (http:/ / notizie. tiscali. it/ articoli/ cronaca/ 12/ 03/ 08/ mafia-borsellino-bis. html?print). Tiscali. Cronaca. 08 marzo 2012. [49] Il generale Subranni: non ho tradito (http:/ / ricerca. repubblica. it/ repubblica/ archivio/ repubblica/ 2012/ 03/ 10/ il-generale-subranni. html). Repubblica. Archivio. 10 marzo 2012. [50] http:/ / www. imdb. it/ title/ tt0151734/

Bibliografia • Maurizio Calvi, Crescenzo Fiore, Figure di una battaglia: documenti e riflessioni sulla mafia dopo l'assassinio di G. Falcone e P. Borsellino, Dedalo, 1992 ISBN 978-88-220-6137-9 • Giustizia e Verità. Gli scritti inediti di Paolo Borsellino, a cura di Giorgio Bongiovanni, Ed. Associazione Culturale Falcone e Borsellino, 2003 • • • • • • •

Rita Borsellino, Il sorriso di Paolo, EdiArgo, Ragusa, 2005 Umberto Lucentini, Paolo Borsellino. Il valore di una vita, Mondadori 1994, riedito San Paolo 2004. Giammaria Monti, Falcone e Borsellino: la calunnia il tradimento la tragedia, Editori Riuniti, 1996 Leone Zingales, Paolo Borsellino - una vita contro la mafia, Limina, 2005 Rita Borsellino, Fare memoria per non dimenticare e capire, Maria Pacini Fazzi Editore, 2002 Sandra Rizza e Giuseppe Lo Bianco, L'agenda rossa di Paolo Borsellino, Chiarelettere, 2007 Fondazione Progetto Legalità Onlus in memoria di Paolo Borsellino e di tutte le altre vittime della mafia, La memoria ritrovata. Storie delle vittime della mafia raccontate dalle scuole, Palumbo Editore, 2005

Voci correlate • • • • • •

Strage di via d'Amelio Paolo Borsellino (miniserie televisiva) Rita Borsellino Rita Atria Giovanni Falcone Strage di Capaci

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Collegamenti esterni • Video di Paolo Borsellino (http://www.arcoiris.tv/modules.php?name=BigDownload&id=1902): incontro del 26 gennaio del 1989 con gli studenti di Istituto professionale di Stato per il commercio "Remondini" di Bassano del Grappa • Sito del libro Falcone Borsellino, misteri di stato (http://www.falconeborsellino.net/) • L'ultima intervista ufficiale a Paolo Borsellino (http://www.terzoocchio.org/intervista_paolo_borsellino.php) : l'intervista rilasciata da Paolo Borsellino ai giornalisti Jean Pierre Moscardo e Fabrizio Calvi il 19 maggio 1992,

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Paolo Borsellino

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due mesi prima della sua morte. Video dell'ultima intervista a Borsellino (http://video.google.com/videoplay?docid=2207923928642748192& q=borsellino+dell'utri/) L'ultimo intervento pubblico di Paolo Borsellino (http://liquida.noblogs.org/post/2006/12/26/ 25-giugno-1992-ultimo-intervento-pubblico-di-paolo-borsellino) prima di essere ucciso. Nell'atrio della biblioteca comunale di Palermo, il 25 giugno 1992 Paolo Borsellino ricorda la figura di Giovanni Falcone Paolo Borsellino - La storia del magistrato (http://www.lastoriasiamonoi.rai.it/puntate/paolo-borsellino/470/ default.aspx) La Storia siamo noi Sito della Fondazione Progetto Legalità onlus in memoria di Paolo Borsellino e di tutte le altre vittime della mafia (http://www.progettolegalita.it) Sito dedicato alla vita di Paolo Borsellino (http://www.19luglio1992.com/) Sito con video della Rai dedicato a Paolo Borsellino e a Giovanni Falcone (http://www.rai.tv/mpprogramma/ 0,,Eventi-SpecialeFalconeBorsellino^16^118340^t-1,00.html) Falcone e Borsellino nel ricordo di Gesualdo Bufalino (http://www.quotidianolegale.it/ falcone-borsellino-nel-ricordo-di-gesualdo-bufalino) Intervista a Paolo Borsellino della TSI (http://antimafia.altervista.org/borsellino_tsi.php)

• Un fumetto per Paolo Borsellino. L’agenda rossa, sul portale RAI Arte (http://www.arte.rai.it/articoli/ un-fumetto-per-paolo-borsellino-l’agenda-rossa/16537/default.aspx)

Carlo Alberto dalla Chiesa Carlo Alberto dalla Chiesa

27 settembre 1920 - 3 settembre 1982 Nato a

Saluzzo

Morto a

Palermo

Cause della morte

Agguato da parte di Cosa nostra Dati militari

Nazione servita

Italia

Forza armata

Esercito italiano

Arma

Arma dei Carabinieri


Carlo Alberto dalla Chiesa

73 Anni di servizio

1941 - 1982

Grado

Generale di divisione

Guerre

Seconda guerra mondiale

Comandante di

Compagnia di Casoria Divisione Pastrengo Regione militare di nord-ovest

Altro lavoro

Prefetto di Palermo

voci di militari presenti su Wikipedia

« [...] ci sono cose che non si fanno per coraggio. Si fanno per potere continuare a guardare serenamente negli occhi i propri figli e i figli dei propri figli. C’è troppa gente onesta, tanta gente qualunque, che ha fiducia in me. Non posso deluderla. » (Carlo Alberto dalla Chiesa al figlio, citato in 'Delitto imperfetto' di Nando dalla Chiesa, 1984)

Carlo Alberto dalla Chiesa (Saluzzo, 27 settembre 1920 – Palermo, 3 settembre 1982) è stato un generale e prefetto italiano. Fondò il Nucleo Speciale Antiterrorismo, fu vice comandante generale dell'Arma dei Carabinieri e prefetto di Palermo.

Biografia Figlio di un carabiniere (il padre Romano partecipò alle campagne del Prefetto Mori e nel 1955 sarebbe divenuto vice comandante generale dell'Arma), entrò nell'Esercito partecipando alla Guerra in Montenegro nel 1941 come sottotenente; divenne ufficiale di complemento di fanteria nel 1942 e nello stesso anno passò all'Arma dei Carabinieri (dove già prestava servizio il fratello Romolo[1]) in servizio permanente effettivo completando gli studi di giurisprudenza. Come primo incarico viene mandato a comandare la caserma di San Benedetto del Tronto, dove rimane fino al giorno dell'armistizio, 8 settembre 1943.[2]. A causa del suo rifiuto a collaborare nella caccia ai partigiani, viene inserito nella lista nera dai nazisti, ma riesce a fuggire prima che le SS riescano a catturarlo[3]. Dopo l'armistizio entrò nella Resistenza, operando in clandestinità nelle Marche, dove organizzò i gruppi per fronteggiare i tedeschi. Nel dicembre del 1943 entrò tra le linee nemiche con le truppe alleate ritrovandosi in una zona d'Italia già liberata[3]. Viene inviato a Roma per seguire gli alleati nel loro ingresso e per provvedere alla sicurezza della Presidenza del Consiglio dei ministri dell'Italia liberata. Dopo la guerra fu inviato a comandare una tenenza a Bari, dove riesce a conseguire 2 lauree; una in giurisprudenza e l'altra in scienze politiche[4] (per quest'ultima segue i corsi di Laurea tenuti dall'allora docente Aldo Moro). A Bari conosce Dora Fabbo, la ragazza che nel 1945 diventerà sua moglie. Arriva poi in Campania, avendo per prima destinazione il Comando Compagnia di Casoria (Napoli), dove erano in corso rilevanti operazioni nella lotta al banditismo. Durante la permanenza a Casoria, nasce la figlia Rita. Proprio in questa lotta si distinse e nel 1949 fu pertanto inviato in Sicilia[5], dove entrò nella formazione delle Forze Repressione Banditismo agli ordini del colonnello Ugo Luca, che oltre ad avere a che fare con criminali come il bandito Salvatore Giuliano, si occupava anche di arginare le tensioni separatistiche attizzate dall'EVIS e da altri agitatori, nonché delle relazioni fra queste due pericolose sacche di illegalità; nell'isola comandò il Gruppo Squadriglie di Corleone e svolse ruoli importanti e di grande delicatezza, meritando peraltro una Medaglia d'Argento al Valor Militare[6]. Nel novembre del 1949, nasce a Firenze il figlio, Nando dalla Chiesa. Da capitano, indagò sulla scomparsa (poi rivelatasi omicidio) del sindacalista Placido Rizzotto e giungendo ad indagare e incriminare l'allora emergente boss della mafia Luciano Liggio[7]. Il posto di Rizzotto sarebbe stato preso da Pio La Torre, che dalla Chiesa conobbe in tale occasione e che in seguito fu anch'egli ucciso dalla mafia[3].


Carlo Alberto dalla Chiesa

Gli incarichi a Milano e Roma Dopo il periodo in Sicilia, venne trasferito a Firenze prima, successivamente a Como e quindi presso il comando della Brigata di Roma. Nel 1964 passò al coordinamento del nucleo di polizia giudiziaria presso la Corte d'appello di Milano, che poi unificò e diresse come nuovo gruppo.

Il ritorno in Sicilia Dal 1966 al 1973 tornò in Sicilia con il grado di colonnello, al comando della legione carabinieri di Palermo. Iniziò particolari indagini per contrastare Cosa Nostra, che nel 1966 e 1967 sembra aver abbassato i toni dello scontro che si era verificato nei primi anni 60. Nel gennaio 1968 intervenne coi suoi reparti in soccorso delle popolazioni del Belice colpite dal sisma, riportandone una medaglia di bronzo al valor civile per la personale partecipazione "in prima linea" alle operazioni, oltre che la cittadinanza onoraria di Gibellina e Montevago[8]. Nel 1969 riesplode in maniera evidente lo scontro interno tra le famiglie mafiose con la strage di Viale Lazio, nella quale perse la vita il boss Michele Cavataio. Dalla Chiesa intuì la situazione che andava configurandosi, con scontri violenti per giungere al potere tra elementi mafiosi di una nuova generazione, pronti a lasciare sulla strada cadaveri eccellenti. Nel 1970 svolse indagini sulla misteriosa scomparsa del giornalista Mauro De Mauro, il quale poco prima aveva contattato il regista Francesco Rosi promettendogli materiale che lasciava intendere scottante sul caso Mattei[9]. Le indagini furono svolte con ampia collaborazione fra i Carabinieri e la Polizia, sotto la direzione di Boris Giuliano, anch'egli in seguito ucciso dalla mafia mentre iniziava ad intuire le connessioni tra Mafia e alta finanza. Nel 1971 si trova ad indagare sulla morte del procuratore Pietro Scaglione. Il metodo nuovo di Dalla Chiesa consiste nell'utilizzo di infiltrati, in grado di fornire elementi utili per creare una mappa del potere di Cosa Nostra, arrivando a conoscere non solo gli elementi di basso livello, ma anche gli intoccabili boss. Il risultato di queste indagini fu il dossier dei 114, nel quale si fecero per la prima volta i nomi di Gerlando Alberti e Tommaso Buscetta come elementi centrali di molti fatti di sangue, oltre che quelli di Luciano Liggio e Michele Greco. Gran parte dei nomi esposti nel dossier erano però sconosciuti all'opinione pubblica e alla magistratura. Come conseguenza del dossier, scattarono decine di arresti dei boss[6], e per coloro i quali non sussisteva la possibilità dell'arresto scattò il confino. L'innovazione voluta però da dalla Chiesa fu quella di non mandare i boss al confino nelle periferie delle grandi città del nord Italia, ma pretese che le destinazioni fossero le isole di Linosa, Asinara e Lampedusa[3].

In Piemonte, la lotta alle Brigate Rosse Nel 1973 fu promosso al grado di generale di brigata, nel 1974 divenne comandante della regione militare di nord-ovest, con giurisdizione su Piemonte, Valle d'Aosta e Liguria[6]. Si trovò così a dover combattere il crescente numero di episodi di violenza portati avanti dalle Brigate Rosse, e al loro crescente radicarsi negli ambienti operai. Per fare ciò, utilizzò i metodi che già aveva sperimentato in Sicilia, infiltrando alcuni uomini all'interno dei gruppi terroristici al fine di conoscere perfettamente gli schemi di potere del gruppo[10][11]. Nell'aprile del 1974 viene rapito dalle Brigate Rosse il giudice genovese Mario Sossi, con il quale le Br volevano barattare la liberazione di 8 detenuti della banda 22 ottobre[12]. Ad Alessandria, una rivolta dei detenuti, guidata dal gruppo Pantere Rosse, che avevano preso degli ostaggi, viene stroncata dal procuratore generale di Torino, Carlo Reviglio Della Veneria e dal generale dei carabinieri Carlo

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Carlo Alberto dalla Chiesa Alberto dalla Chiesa che ordinano un intervento armato che si conclude con l’uccisione di due detenuti, di due agenti della Polizia Penitenziaria, del medico del carcere e di una assistente sociale. Dopo aver selezionato dieci ufficiali dell'arma, dalla Chiesa creò nel maggio del 1974 una struttura antiterrorismo denominata Nucleo Speciale Antiterrorismo con base a Torino. Nel settembre del 1974 il Nucleo riuscì a catturare a Pinerolo Renato Curcio e Alberto Franceschini, esponenti di spicco e fondatori delle Brigate Rosse, grazie anche alla determinante collaborazione di Silvano Girotto, detto "frate mitra"[1]. Nel febbraio del 1975 Curcio riesce ad evadere dal carcere di Casale Monferrato, grazie ad un intervento dei compagni brigatisti capeggiati dalla moglie dello stesso Curcio, Margherita Cagol[13]. Sempre nel 1975, i Carabinieri intervennero nel rapimento di Vittorio Gancia, uccidendo nel conflitto a fuoco Margherita Cagol. Nel 1976 venne sciolto il Nucleo Antiterrorismo a seguito delle critiche ricevute per i metodi utilizzati nell'infiltrazione degli agenti tra i brigatisti e sulla tempistica dell'arresto di Curcio e Franceschini[1]. Nel 1977 fu nominato Coordinatore del Servizio di Sicurezza degli Istituti di Prevenzione e Pena, e passato al grado di Generale di Divisione, ottenne in seguito (9 agosto 1978) poteri speciali per diretta determinazione governativa e fu nominato Coordinatore delle Forze di Polizia e degli Agenti Informativi per la lotta contro il terrorismo, sorta di reparto operativo speciale alle dirette dipendenze del ministro dell'interno Virginio Rognoni, creato con particolare riferimento alla lotta alle Brigate rosse ed alla ricerca degli assassini di Aldo Moro[1]. La concessione di poteri speciali a dalla Chiesa fu veduta da taluni come pericolosa o impropria (le sinistre estreme la catalogarono come "atto di repressione"). Dopo la morte di Aldo Moro, dalla Chiesa decise di stringere il cerchio intorno ai vertici delle Brigate Rosse. Nel frattempo, nel febbraio del 1978, dalla Chiesa aveva perso la moglie Dora, stroncata in casa a Torino da un infarto. Per il Generale fu un duro colpo che lo lasciò per qualche tempo nella disperazione, e lo costrinse successivamente a dedicarsi completamente alla lotta contro i brigatisti[1][3]. In una perquisizione successiva a due arresti (Lauro Azzolini e Nadia Mantovani) in via Monte Nevoso a Milano, vengono ritrovate alcune carte riguardanti Aldo Moro, tra cui un presunto memoriale dello stesso Moro[1]. Nel 1979 viene trasferito nuovamente a Milano per comandare la Divisione Pastrengo sino al dicembre 1981. Particolarmente importanti, furono i successi contro le Brigate Rosse ottenuti a seguito della sanguinosa irruzione di via Fracchia, e l'arresto di Patrizio Peci[14] (che con le sue rivelazioni contribuì a sconfiggere le Br[15]) e Rocco Micaletto. Il 16 dicembre 1981 viene promosso Vice Comandante Generale dell'Arma, la massima carica per un ufficiale dei Carabinieri[1] (all'epoca il Comandante Generale dell'Arma doveva necessariamente provenire, per espressa disposizione di legge, dalle fila dell'Esercito). Lo resta fino al 5 maggio 1982.

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Prefetto in Sicilia per combattere Cosa nostra Nel 1982 viene nominato dal consiglio dei ministri prefetto di Palermo, e posto contemporaneamente in congedo dall'Arma. Il tentativo del governo è quello di ottenere contro Cosa nostra gli stessi risultati brillanti ottenuti contro le Brigate Rosse. Dalla Chiesa inizialmente si dimostrò perplesso da tale nomina, ma venne convinto dal ministro Virginio Rognoni, che gli promise poteri fuori dall'ordinario per contrastare la guerra tra le cosche che insanguinava l'isola. Il 12 luglio nella cappella del castello di Ivano Fracena, in provincia di Trento, sposò in seconde nozze Emanuela Setti Carraro. A Palermo, dove arrivò ufficialmente nel maggio del 1982, lamentò più volte la carenza di sostegno da parte dello stato (emblematica la sua amara frase: "Mi mandano in una realtà come Palermo, con gli stessi poteri del prefetto di Forlì"). In una intervista concessa a Giorgio Bocca, il Generale dichiarò ancora una volta la carenza di sostegno e di mezzi, necessari per la lotta alla mafia, che nei suoi piani doveva essere combattuta strada per strada, rendendo palese la massiccia presenza di forze dell'ordine alla criminalità[16]. Comincia ad ottenere i primi successi investigativi, con i carabinieri che irrompono durante un summit di mafia e arrestano 10 boss corleonesi, e successivamente scoprono e smantellano una raffineria di eroina. Nel giugno del 1982 riesce a sviluppare, come già aveva fatto in passato, una sorta di mappa dei boss della nuova Mafia, che chiama rapporto dei 162. Poi inizia una lunga serie di arresti, di indagini, anche in collaborazione con la Guardia di Finanza, che hanno come obiettivo quello di appurare eventuali collusioni tra politica e Cosa nostra[1]. Per la prima volta, con una telefonata fatta ai carabinieri di Palermo a fine agosto, Cosa nostra sembrò annunciare l'attentato al Generale, dichiarando che dopo gli ultimi omicidi di mafia l'operazione Carlo Alberto è quasi conclusa, dico quasi conclusa[1][17].

L'omicidio « Qui è morta la speranza dei palermitani onesti. » [18]

(Scritta affissa il giorno seguente in prossimità del luogo dell'attentato

)

Alle ore 21.15 del 3 settembre del 1982, la A112 bianca sulla quale viaggiava il prefetto, guidata dalla moglie Emanuela Setti Carraro, fu affiancata, in via Isidoro Carini, a Palermo, da una BMW dalla quale partirono alcune raffiche di Kalashnikov AK-47 che uccisero il prefetto e la moglie[1][19]. Nello stesso momento l'auto con a bordo l'autista e agente di scorta, Domenico Russo, che seguiva la vettura del prefetto, veniva affiancata da una motocicletta dalla quale partì un'altra raffica che uccise Russo.

La scena dell'omicidio dei coniugi dalla Chiesa il 3 settembre 1982

Per l'omicidio di dalla Chiesa, di Setti Carraro e di Domenico Russo sono stati condannati all'ergastolo come mandanti i vertici di Cosa Nostra, nelle persone di Totò Riina, Bernardo Provenzano, Michele Greco, Pippo Calò, Bernardo Brusca e Nenè Geraci[20].


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Nel 2002, sono stati condannati in primo grado quali esecutori materiali dell'attentato, Vincenzo Galatolo e Antonino Madonia entrambi all'ergastolo, Francesco Paolo Anzelmo e Calogero Ganci a 14 anni di reclusione ciascuno[1][21].

I funerali e la reazione dell'opinione pubblica Il giorno dei suoi funerali, che si tennero nella chiesa palermitana di San Domenico, una grande folla protestò contro le presenze politiche accusandole di averlo lasciato solo. Vi furono attimi di tensione tra la folla e le autorità, sottoposte a lanci di monetine e insulti al limite dell'aggressione fisica. Solo il Presidente della Repubblica Sandro Pertini venne risparmiato dalla contestazione[22]. I funerali di dalla Chiesa. Riconoscibili in prima fila: il presidente della Repubblica Sandro Pertini e Giovanni Spadolini a quel tempo presidente del Consiglio

La figlia Rita pretese che fossero immediatamente tolte di mezzo le corone di fiori inviate dalla Regione Siciliana (era presidente Mario D'Acquisto), e volle che sul feretro del padre fossero deposti il tricolore, la sciabola e il berretto della sua divisa da Generale con le relative insegne[23]. Dell'omelia del cardinale Pappalardo, fecero il giro dei telegiornali le seguenti parole (citazione di un passo di Tito Livio), che furono liberatorie per la folla[24] mentre causarono imbarazzo tra le autorità (il figlio Nando le definì "una frustata per tutti"): « Mentre a Roma si pensa sul da fare, la città di Sagunto viene espugnata dai nemici [..] e questa volta non è Sagunto, ma [25] Palermo. Povera la nostra Palermo »

Dalla Chiesa fu insignito di medaglia d'oro al valore civile alla memoria. Il 5 settembre al quotidiano La Sicilia arrivò un'altra telefonata anonima, che annunciò: "L'operazione Carlo Alberto è conclusa"[22].

Dalla Chiesa e il caso Moro Dopo il rapimento e l'uccisione di Aldo Moro, in seguito al ritrovamento di un borsello sopra un pullman, i carabinieri di dalla Chiesa riuscirono ad individuare un covo delle Brigate appartenente alla colonna Walter Alasia, situato a Milano in Via Monte Nevoso. Ne scaturirono 9 arresti e una serie di perquisizioni, nella quale furono rinvenuti alcuni documenti riguardanti il rapimento di Moro ed un memoriale dello stesso[26]. Nel 1990, durante alcuni lavori, furono rinvenuti nell'appartamento di via Monte Nevoso, altri documenti riguardanti Moro nascosti in un doppio fondo di una parete. Seguirono alcune polemiche sulle circostanze in cui nel 1978 i carabinieri operarono l'inchiesta e condussero le perquisizioni. Il memoriale di Moro, sarebbe stato consegnato da dalla Chiesa a Giulio Andreotti, a causa delle informazioni contenute al suo interno. Secondo la madre di Emanuela Setti Carraro, la figlia le avrebbe confidato che il Generale non consegnò tutte le carte rinvenute ad Andreotti, e che nelle stesse fossero indicati segreti estremamente gravi[1]. Il giornalista Mino Pecorelli, amico di dalla Chiesa, aveva dichiarato che di memoriali ne erano stati rinvenuti diversi e che le rivelazioni contenute all'interno fossero collegate alle responsabilità politiche del sequestro Moro[27]. Pochi giorni dopo aver dichiarato di voler pubblicare integralmente uno degli stessi sulla sua rivista Op[28] venne ucciso. Secondo la sorella del giornalista, dalla Chiesa aveva incontrato Pecorelli pochi giorni prima che venisse ucciso, ed il Generale aveva confidato al giornalista alcune importanti informazioni sul caso Moro[29], consegnandogli documenti


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riguardanti il ruolo di Giulio Andreotti[30][31]. Nel 2000 un consulente della Commissione Parlamentare d'inchiesta affermò che, a suo giudizio, i carabinieri avessero falsificato la realtà, omettendo di descrivere le modalità di ritrovamento del borsello, impiegando troppo tempo ad effettuare il blitz (il borsello fu ritrovato a fine agosto, il blitz venne fatto ad ottobre) e ipotizzando che la perdita del borsello da parte di Walter Azzolini non fosse stata casuale, ma un'azione che potrebbe far nascere sospetti sul suo reale ruolo in seno alle Brigate Rosse. Tali affermazioni hanno suscitato la reazione di Nando dalla Chiesa e dei magistrati Pomarici e Spataro, in difesa dei carabinieri che condussero l'indagine, la cui unica lacuna fu non individuare il doppio fondo nel muro[26].

Curiosità • A San Benedetto del Tronto per ricordarlo gli è stata intitolato "piazzale Carlo Alberto Dalla Chiesa" che è il piazzale di accesso principale al palazzo di giustizia in via Palmiro Togliatti.

Onorificenze[32] Grande ufficiale dell'Ordine militare d'Italia

«Ufficiale Generale dell’Arma dei Carabinieri, già postosi in particolare evidenza per le molteplici benemerenze acquisite nella lotta per la resistenza e contro la delinquenza organizzata, in un arco di nove anni ed in più incarichi – ad alcuno dei quali chiamato direttamente dalla fiducia del Governo – ideava, organizzava e conduceva, con eccezionale capacità, straordinario ardimento, altissimo valore e supremo sprezzo del pericolo una serie ininterrotta di operazioni contro la criminalità eversiva. Le sue eccelse doti di comandante, la genialità delle concezioni operative, l’infaticabile tenacia, in momenti particolarmente travagliati della vita del Paese e di grave pericolo per le istituzioni, concorrevano in modo rilevante alla disarticolazione delle più agguerrite ed efferate organizzazioni terroristiche, meritandogli l’unanime riconoscimento della collettività nazionale. Cadeva a Palermo, proditoriamente ucciso, immolando la sua esemplare vita di Ufficiale e di fedele servitore dello Stato. Territorio [33] Nazionale 1 ottobre 1973 – 5 maggio 1982. » [34] — 17 maggio 1983

Medaglia d'oro al Valor civile

«Già strenuo combattente, quale altissimo Ufficiale dell'Arma dei Carabinieri, della criminalità organizzata, assumeva anche l'incarico, come Prefetto della Repubblica, di respingere la sfida lanciata allo Stato Democratico dalle organizzazioni mafiose, costituenti una gravissima minaccia per il Paese. Barbaramente trucidato in un vile e proditorio agguato, tesogli con efferata ferocia, sublimava con il proprio sacrificio una vita dedicata, con eccelso senso del dovere, al servizio delle Istituzioni, vittima dell'odio implacabile e della violenza di quanti voleva combattere. Palermo, 3 settembre 1982.» [34] — 13 dicembre 1982

Grande ufficiale dell'Ordine al merito della Repubblica italiana [35]

— 2 giugno 1980

Commendatore dell'Ordine al merito della Repubblica italiana [36]

— 2 giugno 1977

Medaglia di bronzo al Valor civile

«Comandante di Legione territoriale accorreva, in occasione di un disastroso movimento sismico, nei centri maggiormente colpiti, prodigandosi per avviare, dirigere e coordinare le complesse e rischiose operazioni di soccorso alle popolazioni. Malgrado ulteriori scosse telluriche, persisteva nella propria infaticabile opera, offrendo nobile esempio di elevate virtù civiche e di attaccamento al dovere. Sicilia Occidentale, gennaio 1968.»


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Medaglia d'argento al Valor militare

«Durante nove mesi di lotta contro il banditismo in Sicilia cui partecipava volontario, dirigeva complesse indagini e capeggiava rischiosi servizi, riuscendo dopo lunga, intensa ed estenuante azione a scompaginare ed a debellare numerosi agguerriti nuclei di malfattori responsabili di gravissimi delitti. Successivamente, scovati i rifugi dei più pericolosi, col concorso di pochi dipendenti, riusciva con azione rischiosa e decisa a catturarne alcuni e ad ucciderne altri in violento conflitto a fuoco nel corso del quale offriva costante esempio di coraggio. Sicilia Occidentale, settembre 1949 - giugno 1950.»

Cavaliere dell'Ordine della Corona d'Italia

Croce al merito di guerra (2 volte)

Medaglia di benemerenza per i Volontari della Guerra 1940–43

Distintivo di Volontario della Libertà

Medaglia commemorativa della guerra 1940 – 43

Medaglia commemorativa della guerra 1943 – 45

Medaglia Mauriziana al merito di 10 lustri di carriera militare

Medaglia al merito di lungo comando nell'esercito (20 anni)

Croce d'oro per anzianità di servizio (40 anni)

Cavaliere del Sovrano Militare Ordine di Malta

Croce con spade dell'Ordine al Merito Melitense (classe militare)

Cavaliere dell'Ordine Equestre del Santo Sepolcro di Gerusalemme

Distintivo di Osservatore d'Aeroplano

Avanzamento per merito di guerra


Carlo Alberto dalla Chiesa

Cinema • Cento giorni a Palermo, regia di Giuseppe Ferrara (1984) • Generale. Rivivendo Carlo Alberto Dalla Chiesa, regia di Lorenzo Rossi Espagnet (2012) [37]

Televisione • Il generale Dalla Chiesa - miniserie tv trasmessa su Canale 5 (2007)[38] • Generale Carlo Alberto dalla Chiesa - La storia siamo noi trasmessa su Rai3

Note [1] Video e descrizioni sulla storia di dalla Chiesa tratti dalla puntata di La storia siamo noi (http:/ / www. lastoriasiamonoi. rai. it/ puntata. aspx?id=367) [2] Scheda Carlo Alberto dalla Chiesa (http:/ / www. carabinieri. it/ Internet/ Arma/ Curiosita/ Non+ tutti+ sanno+ che/ D/ 3+ D. htm) Dal sito dell'Arma dei carabinieri [3] Il generale dalla Chiesa - Marco Nese e Ettore Serio - AdnKronos 1982 [4] Scheda Carlo Alberto dalla Chiesa (http:/ / www. carabinieri. it/ Internet/ Arma/ Curiosita/ Non+ tutti+ sanno+ che/ D/ 3+ D. htm) Dal sito dell'Arma dei carabinieri [5] «Io, Carlo Alberto dalla Chiesa, e la lezione ignorata di mio nonno» (http:/ / archiviostorico. corriere. it/ 2002/ settembre/ 02/ Carlo_Alberto_Dalla_Chiesa_lezione_co_0_0209024905. shtml) Corriere della Sera - 2 settembre 2002 [6] XX Anniversario della morte del Generale Carlo Alberto dalla Chiesa (http:/ / www. difesa. it/ Ministro/ Compiti+ e+ Attivita/ dettaglio+ interventi. htm?DetailID=199) Ministero della Difesa [7] L'ANALISI LA FINE DI UN'ERA. (http:/ / archivio. lastampa. it/ LaStampaArchivio/ main/ History/ tmpl_viewObj. jsp?objid=1040685) La Stampa - 16 gennaio 1993 [8] Scheda del Generale dalla Chiesa (http:/ / www. ansa. it/ legalita/ static/ bio/ dallachiesa. shtml) Dal sito ANSA.it [9] Palermo ricorda il generale Carlo Alberto dalla Chiesa a 25 anni dalla morte (http:/ / www. ilsole24ore. com/ art/ SoleOnLine4/ Attualita ed Esteri/ Attualita/ 2007/ 09/ dallachiesa-Palermo-ricorda. shtml?uuid=f8533f28-59fb-11dc-ae36-00000e25108c) [10] quando uccisero dalla chiesa (http:/ / ricerca. repubblica. it/ repubblica/ archivio/ repubblica/ 2008/ 10/ 24/ quando-uccisero-dalla-chiesa. html) La Repubblica - 24 ottobre 2008 [11] Dalla Chiesa, nemico invisibile che mise in ginocchio le Br (http:/ / ricerca. repubblica. it/ repubblica/ archivio/ repubblica/ 2002/ 09/ 03/ dalla-chiesa-nemico-invisibile-che-mise-in. html) La Repubblica - 3 settembre 2002 [12] 'Qui Radio Gap...' la banda 22 ottobre, un romanzo criminale (http:/ / ricerca. repubblica. it/ repubblica/ archivio/ repubblica/ 2008/ 09/ 13/ qui-radio-gap-la-banda-22-ottobre. html) La Repubblica - 13 settembre 2008 [13] 1976, finisce a Porta Ticinese la fuga del br Renato Curcio (http:/ / archiviostorico. corriere. it/ 2008/ dicembre/ 03/ 1976_finisce_Porta_Ticinese_fuga_co_7_081203033. shtml) Corriere della Sera - 3 dicembre 2008 [14] TORNA IN LIBERTA' PATRIZIO PECI IL CAPOSTIPITE DEI PENTITI BR (http:/ / ricerca. repubblica. it/ repubblica/ archivio/ repubblica/ 1986/ 03/ 01/ torna-in-liberta-patrizio-peci-il-capostipite. html) La Repubblica - 1 marzo 1986 [15] A caccia del "fantasma" Patrizio Peci il compagno che uccise le Brigate Rosse (http:/ / www. ilgiornale. it/ interni/ a_caccia_fantasma_patrizio_peci_il_compagno_che_uccise_brigate_rosse/ 19-10-2008/ articolo-id=299145-page=0-comments=1) Il Giornale - 19 ottobre 2008 [16] Intervista del Generale a Giorgio Bocca (http:/ / www. lastoriasiamonoi. rai. it/ cms/ upload/ 66. pdf) La Repubblica - 10 agosto 1982 [17] Dalla Chiesa vent'anni dopo Palermo ricorda il generale (http:/ / www. repubblica. it/ online/ cronaca/ dallachiesa/ dallachiesa/ dallachiesa. html) La Repubblica - 2 settembre 2002 [18] DALLA CHIESA RILANCIA LA 'SFIDA DEGLI ONESTI' La Repubblica – [[7 febbraio (http:/ / ricerca. repubblica. it/ repubblica/ archivio/ repubblica/ 1985/ 02/ 07/ dalla-chiesa-rilancia-la-sfida-degli-onesti. html)] 1985]. URL consultato in data 02-05-2010. [19] Saverio Lodato, Il generale disarmato in Trent'anni di mafia, Rizzoli [2008], pp. 99. ISBN 978-88-17-01136-5 [20] Delitto dalla Chiesa: ottavo ergastolo a Riina (http:/ / archiviostorico. corriere. it/ 1995/ marzo/ 18/ Delitto_Dalla_Chiesa_ottavo_ergastolo_co_0_95031816119. shtml) Corriere della Sera - 18 marzo 1995 [21] Palermo, delitto dalla Chiesa Due ergastoli dopo 20 anni (http:/ / archiviostorico. corriere. it/ 2002/ marzo/ 23/ Palermo_delitto_Dalla_Chiesa_Due_co_0_02032311291. shtml) Corriere della Sera - 23 marzo 2002 [22] GEN. C.A. CARLO ALBERTO DALLA CHIESA - NOTA BIOGRAFICA (http:/ / www. carabinieri. it/ Internet/ Arma/ Curiosita/ Non+ tutti+ sanno+ che/ D/ 3+ D. htm) Sito dell'Arma dei Carabinieri [23] La dalla Chiesa si confessa al nuovo "Sorrisi e Canzoni" (http:/ / www. lastampa. it/ redazione/ cmsSezioni/ spettacoli/ 200709articoli/ 25370girata. asp) La Stampa - 3 settembre 2007 [24] Pappalardo, quel grido in cattedrale - l'Unità, 11 dicembre 2006 [25] Palermo, è morto il cardinale Pappalardo simbolo della lotta contro la mafia (http:/ / www. repubblica. it/ 2006/ 12/ sezioni/ cronaca/ morto-pappalardo/ morto-pappalardo/ morto-pappalardo. html) La Repubblica - 10 dicembre 2006

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Carlo Alberto dalla Chiesa [26] "Caso Moro, troppe falsità dalla Chiesa non fu sleale" (http:/ / archiviostorico. corriere. it/ 2000/ marzo/ 16/ Caso_Moro_troppe_falsita_Dalla_co_0_0003169148. shtml) Corriere della Sera - 16 marzo 2000 [27] intreccio Pecorelli Moro, gia' da un anno s' indaga (http:/ / archiviostorico. corriere. it/ 1993/ aprile/ 15/ intreccio_Pecorelli_Moro_gia_anno_co_0_930415968. shtml) Corriere della Sera - 15 aprile 1993 [28] I giudici:"Il delitto Pecorelli nell'interesse di Andreotti" (http:/ / www. repubblica. it/ online/ politica/ propeco/ motivazioni/ motivazioni. html?ref=search) La Repubblica - 13 febbraio 2003 [29] ' E ANDREOTTI DISSE: FERMATE PECORELLI' (http:/ / ricerca. repubblica. it/ repubblica/ archivio/ repubblica/ 1993/ 06/ 11/ andreotti-disse-fermate-pecorelli. html) La Repubblica - 11 giugno 1993 [30] Processo Pecorelli. Il pg di Cassazione: contro Andreotti solo congetture senza prove. Il senatore va assolto (http:/ / www. rainews24. rai. it/ it/ news. php?newsid=42857) RaiNews24.it [31] PECORELLI, VIA AL PROCESSO ANDREOTTI: ' IO CI SARO' (http:/ / ricerca. repubblica. it/ repubblica/ archivio/ repubblica/ 1996/ 04/ 11/ pecorelli-via-al-processo-andreotti-io. html) La Repubblica - 11 aprile 1996 [32] Foto dove sono visibili le onorificenze. (http:/ / img222. imageshack. us/ img222/ 2886/ gen0717ak1. jpg) [33] Sito web dell'Ordine militare d'Italia:OMI concesse 1983-2010 (http:/ / www. ordinemilitare. org/ site/ index. php?option=com_docman& Itemid=29). URL consultato in data 6-11-2011. [34] Sito web del Quirinale: dettaglio decorato (http:/ / www. quirinale. it/ elementi/ DettaglioOnorificenze. aspx?decorato=3444). URL consultato in data 23-07-2010. [35] Sito web del Quirinale: dettaglio decorato. (http:/ / www. quirinale. it/ elementi/ DettaglioOnorificenze. aspx?decorato=250113) [36] Sito web del Quirinale: dettaglio decorato. (http:/ / www. quirinale. it/ elementi/ DettaglioOnorificenze. aspx?decorato=291852) [37] (http:/ / www. cinemaitaliano. info/ generale) cinemaitaliano.info [38] «Dalla Chiesa abbandonato nella battaglia» (http:/ / ricerca. gelocal. it/ ilcentro/ archivio/ ilcentro/ 2007/ 09/ 10/ CT2PO_CT209. html) Il Centro - 10 settembre 2007

Bibliografia • Il Generale dalla Chiesa-La storia di un uomo amato dalla gente, odiato dalla mafia e morto per l'Italia di Marco Nese e Ettore Serio - AdnKronos (1982) • Morte di un generale: l'assassinio di Carlo Alberto dalla Chiesa, la mafia, la droga, il potere politico. di Pino Arlacchi - Arnoldo Mondadori Editore (1982) • Delitto imperfetto: il generale, la mafia, la società italiana. di Nando dalla Chiesa - Editori Riuniti (1984) • Storia dei Carabinieri: imprese, battaglie, uomini e protagonisti: i due secoli della benemerita al servizio della gente. di Francesco Grisi - Piemme (1996) • La strategia vincente del generale dalla Chiesa contro le Brigate rosse e la mafia. di Gianremo Armeni - Edizioni Associate (2003) • A Palermo per morire. I cento giorni che condannarono il Generale dalla Chiesa. di Luciano Mirone Castelvecchi Editore (2012)

Voci correlate • • • • • • • •

Carabinieri Mafia Terrorismo Anni di piombo Strage di via Carini Irruzione di via Fracchia Nando dalla Chiesa Rita dalla Chiesa

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Altri progetti •

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Collegamenti esterni • Carlo Alberto dalla Chiesa sul sito dei Carabinieri (http://www.carabinieri.it/Internet/Arma/Curiosita/Non+ tutti+sanno+che/D/3+D.htm) • La Storia siamo noi, puntata dedicata al generale Carlo Alberto dalla Chiesa (http://www.lastoriasiamonoi.rai. it/puntate/generale-carlo-alberto-dalla-chiesa/652/default.aspx), puntata integrale video, scheda e filmati • L'ultima intervista di dalla Chiesa (http://www.wuz.it/articolo/704/intervista-bocca-dalla-chiesa.html), pubblicata a Giorgio Bocca (10 agosto 1982). • Sentenza di I grado sull'omicidio (http://antimafia.altervista.org/sentenze.php)

Cosa nostra Cosa nostra

Totò Riina, capo dei capi di Cosa Nostra Nomi alternativi

mafia siciliana

Area di origine

Sicilia

Aree di influenza

Sicilia - Italia

Periodo

inizio XIX secolo - in attività

Alleati

Cosa nostra americana Mafie sudamericane

Attività

Traffico di droga Traffico di armi Traffico di rifiuti Usura Estorsione


Cosa nostra

83 Riciclaggio di denaro Gestione del Gioco d'azzardo Infiltrazioni negli appalti Traffico di opere d'arte Pentiti

Tommaso Buscetta Giovanni Brusca Gaspare Spatuzza Gaspare Mutolo Nino Giuffrè

« Cosa Nostra è da un lato contro lo Stato e dall'altro è dentro e con lo Stato, attraverso i rapporti esterni con suoi rappresentanti nella società e nelle istituzioni. » [1]

(Pietro Grasso, procuratore nazionale antimafia )

Con l'espressione Cosa nostra o Mafia Siciliana si è soliti indicare un'organizzazione criminale di stampo terroristico-mafioso[2] presente in Sicilia dagli inizi del XIX secolo e trasformatasi nella prima metà del XX secolo in una organizzazione internazionale. È costituita da gruppi, chiamati famiglie, organizzati al loro interno sulla base di un rigido sistema gerarchico, composto da gregari di diverso livello. L'intero territorio controllato è suddiviso in "mandamenti". Questi possono inglobare due o più quartieri in città oppure due o più paesi in provincia. Ogni mandamento è composto da famiglie che, insieme, eleggono un "capo mandamento" che rappresenta le stesse nella "commissione provinciale". Ogni capo mandamento elegge un sottocapo e da 1 a 3 consiglieri. Il grado immediatamente sotto è il "capo decina" che comanda direttamente parte dell'esercito delle famiglie: i "picciotti". Un ulteriore livello di importanza è il rappresentante della provincia che fa gli interessi di quest'ultima nella "commissione interprovinciale". Con il termine "Cosa nostra" oggi ci si riferisce esclusivamente alla mafia siciliana (anche per indicare le sue ramificazioni internazionali, specie negli Stati Uniti d'America), per distinguerla dalle altre, internazionali, genericamente indicate col termine di "mafie". Gli interventi dello Stato, che in passato aveva trascurato anche volutamente il problema, si sono fatti più decisi a partire dagli anni ottanta. In ciò grande merito ha avuto il Pool antimafia, creato dal giudice Antonino Caponnetto di cui facevano parte i magistrati Giuseppe Di Lello, Leonardo Guarnotta, Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Costoro, anche a costo della loro vita, hanno distrutto il cuore di Cosa nostra, dimostrandone la reale esistenza e garantendo la possibilità di punirne gli adepti. Fino ad allora l'impunità dei suoi membri era pressoché garantita attraverso infiltrazioni politiche e nei palazzi di giustizia. Negli anni novanta la Sicilia venne militarizzata allo scopo di liberare gli organi di Polizia dalle attività di piantonamento, lasciandoli liberi di dedicarsi in pieno alle indagini e alla ricerca dei latitanti. Nel 2006, l'arresto dopo una latitanza record di 43 anni del superlatitante Bernardo Provenzano ad opera della Procura Antimafia di Palermo ha inflitto un ulteriore duro colpo all'organizzazione, che ora sta probabilmente subendo l'evoluzione in Stidda (sempre di stampo mafioso ma meno potente e pericolosa). Anche economicamente Cosa nostra ha subito un ridimensionamento, ciò anche a causa dell'applicazione della legge sul sequestro dei beni e il contestuale aumento di potere della 'Ndrangheta, che ha assunto il controllo e il predominio del traffico internazionale di droga.


Cosa nostra

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Storia Le origini "Cosa nostra" nacque nei primi anni del XIX secolo dal ceto sociale dei massari, dei fattori e dei gabellotti, che gestivano i terreni della nobiltà siciliana, avvalendosi dei braccianti che vi lavoravano. Cosa nostra, come tutte le altre mafie, nacque per la scarsa presenza dello Stato sul territorio, ed iniziò ad assumerne le funzioni. Era gente violenta, che faceva da intermediario fra gli ultimi proprietari feudali e gli ultimi servi della gleba d'Europa e, per meglio esercitare il loro mestiere, si circondavano di scagnozzi prezzolati. Questi gruppi divennero rapidamente permanenti assumendo il nome di "sette, confraternite, cosche". Il primo documento storico in cui viene nominata una cosca mafiosa è del 1837: il procuratore generale di Trapani, Pietro Calà Ulloa, riferisce ai suoi superiori a Napoli dell'attività di strane sette dedite ad imprese criminose che corrompevano anche impiegati pubblici. Nel 1863 Giuseppe Rizzotto scrive, con la collaborazione del maestro elementare Gaspare Mosca, I mafiusi de la Vicaria, un'opera teatrale in siciliano ambientata nelle Grandi Prigioni del capoluogo siciliano. È a partire da questo dramma, che ebbe grande successo e venne tradotto in italiano, napoletano e meneghino, che il termine mafia si diffonde su tutto il territorio nazionale. Fino ad allora la mafia si caratterizzava come una struttura al di fuori dello Stato, ma strettamente legata ad esso. Lo sviluppo della criminalità organizzata in Sicilia è sostanzialmente attribuibile agli eventi contemporanei e successivi all'Unità d'Italia, in particolare a quella che fu l'acuta crisi economica da questa indotta in Sicilia e nel Meridione d'Italia. Infatti lo Stato italiano, non riuscendo a garantire un controllo diretto e stabile del governo dell'isola (la cui organizzazione sociale era molto diversa da quella settentrionale), cominciò a fare affidamento sulle cosche mafiose che, ben conoscendo i meccanismi locali, facilmente presero le veci del governo centrale. La prima analisi esaustiva in cui venne espressamente usato il termine mafia fu compiuta nel 1876 da Leopoldo Franchetti, dopo la celebre inchiesta compiuta insieme a Sidney Sonnino, che venne pubblicata con il titolo Condizioni politiche e amministrative della Sicilia. Ma la prima vera associazione mafiosa in Sicilia fu la "Fratellanza di Favara", una specie di setta che nacque nella provincia di Agrigento nel 1878 e si pensa che operò fino al 1883. Essa presentava una struttura piramidale: uno o più capi-testa comandavano più capi-decina, ognuno dei quali aveva sotto di sé non più di dieci affiliati. Inizialmente facevano parte di essa solo pastori, contadini, artigiani e zolfatai ma in seguito entrarono a farne parte pure i proprietari terrieri, rendendola molto potente. Nel 1893, in seguito al delitto Notarbartolo, l'esistenza di Cosa nostra (e dei suoi rapporti con la politica) divenne nota in tutta Italia.

L'epoca delle rivendicazioni agricole Anche se non più con un regime feudale, nelle campagne siciliane gli agricoltori erano ancora sfruttati. I grandi proprietari terrieri risiedevano a Palermo o in altre grandi città e affittavano i loro terreni a gabellotti con contratti a breve termine, che, per essere redditizi, costringevano il gabellotto a sfruttare i contadini. Per evitare rivolte e lavorare meglio, al gabellotto conveniva allearsi con i mafiosi, che da un lato offrivano il loro potere coercitivo contro i contadini, dall'altro le loro conoscenze a Palermo, dove si siglavano la maggioranza dei contratti agricoli.

Cartina della Sicilia dei primi anni del Novecento

A partire dal 1891 in tutta la Sicilia gli agricoltori si unirono in fasci, sorta di sindacati agricoli guidati dai socialisti locali, chiedendo contratti più equi e una distribuzione più adeguata della ricchezza. Non si trattava di movimenti


Cosa nostra rivoluzionari in senso stretto ma essi furono comunque condannati dal governo di Roma che, nella persona di Crispi, nel 1893 inviò l'esercito per scioglierli con l'uso della forza. Giuseppe de Felice Giuffrida, considerato il fondatore dei fasci siciliani, venne processato e imprigionato. Poco prima che fossero sciolti, la mafia aveva cercato di infilare alcuni suoi uomini in queste organizzazioni in modo che, se mai avessero avuto successo, essa non avrebbe perso i suoi privilegi. Continuò però anche ad aiutare i gabellotti cosicché, chiunque fosse uscito vincitore, essa ci avrebbe guadagnato fungendo da mediatrice tra le parti. Quando fu chiaro che lo Stato sarebbe intervenuto con la legge marziale, la "Fratellanza", detta anche "Onorata Società" (due dei termini usati all'epoca per identificare Cosa nostra), si distaccò dai fasci (che avevano tentato in tutti i modi di evitare la penetrazione di mafiosi nelle loro file, spesso riuscendoci) e anzi aiutò il governo nella sua repressione. Come "vendetta" per l'azione dei Fasci, che voleva mettere in discussione il potere dei latifondisti, nel 1915 a Corleone i mafiosi uccisero Bernardino Verro, che era stato tra i più accesi animatori del movimento dei Fasci siciliani negli anni novanta del XIX secolo. Con Giolitti si permise alle cooperative di chiedere prestiti alle banche e di intraprendere da sole, senza gabellotti, contratti diretti coi proprietari terrieri. Questo, insieme alla nuova legge elettorale del suffragio universale maschile, portò non solo alla vittoria di diversi sindaci socialisti in varie città siciliane, ma anche all'eliminazione del ruolo mafioso nella mediazione per i contratti. Per stroncare il pericolo "rosso", la mafia dovette allearsi con la Chiesa cattolica siciliana, anch'essa preoccupata per gli sviluppi dell'ideologia marxista materialista nelle campagne. Le cooperative cattoliche quindi non si chiusero ad infiltrazioni mafiose, a patto che questi ultimi scoraggiassero in tutti i modi i socialisti. Nel primo quindicennio del Novecento si iniziano a contare le prime vittime socialiste ad opera della mafia, che colpiva sindaci, sindacalisti, attivisti e agricoltori indisturbatamente. Il tema delle terre negate ai contadini resterà uno dei principali motivi di scontro sociale in Sicilia fino al secondo dopoguerra.

Il rapporto Sangiorgi Ermanno Sangiorgi, di origini romagnole, venne inviato a Palermo in veste di questore nel 1898 mentre era in corso una guerra di mafia, iniziata due anni prima, nel 1896. Indagando sui delitti commessi dalle cosche della Conca d'Oro, Sangiorgi capì che gli omicidi non erano il prodotto di iniziative individuali, ma implicavano leggi, decisioni collegiali, e un sistema di controllo territoriale. Sangiorgi scoprì inoltre che le due famiglie più ricche di Palermo, i Florio e i Whitaker, vivevano fianco a fianco con la mafia, da cui ricevevano protezione ma da cui erano al contempo minacciate. Nell'ottobre 1899, Francesco Siino, capo-mafia sfuggito miracolosamente ad un agguato mortale tesogli dagli uomini di Antonino Giammona nel contesto della guerra di mafia, venne messo alle strette da Sangiorgi e confessò che il nuovo capo supremo della mafia siciliana era proprio il suo nemico Giammona. Inoltre dichiarò che la Conca d'Oro era divisa in otto cosche mafiose: 1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. 8.

Piana dei Colli, Acquasanta, Falde, Malaspina, Uditore, Passo di Rigano, Perpignano, Olivuzza.

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Sangiorgi, in base a queste dichiarazioni, firmò molti mandati di cattura. La notte tra il 27 e il 28 aprile 1900 la Questura fece arrestare diversi mafiosi, tra cui Antonino Giammona. Alla procura di Palermo, Sangiorgi inviò un rapporto di 485 pagine che conteneva una mappa dell'organizzazione della mafia siciliana con un totale di 280 "uomini d'onore". Il processo cominciò nel maggio 1901 ma Siino ritrattò completamente le sue dichiarazioni. Dopo solo un mese, giunsero le condanne di primo grado: soltanto 32 imputati furono giudicati colpevoli di aver dato vita a un'associazione criminale e, tenuto conto del tempo già trascorso in carcere, molti furono rilasciati il giorno dopo.

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Disegno del processo ai presunti mafiosi fatti arrestare dal questore Sangiorgi, pubblicato sul quotidiano L'Ora (maggio 1901)

La prima guerra mondiale e le sue conseguenze Nel 1915, l'Italia entra nella prima guerra mondiale e vengono chiamati alle armi centinaia di migliaia di giovani da tutto il paese. In Sicilia, a causa della chiamata alla leva, i disertori furono numerosi. Essi abbandonarono le città e si dettero alla macchia all'interno dell'isola, vivendo per lo più di rapina. A causa della mancanza di braccia per l'agricoltura e delle sempre maggiori richieste di carne dal fronte, moltissimi terreni vengono adibiti al pascolo. Queste due condizioni fanno aumentare enormemente l'influenza di Cosa nostra in tutta l'isola. Aumentati i furti di bestiame e l'abigeato, i proprietari terrieri si rivolsero sempre più spesso ai mafiosi, piuttosto che alle impotenti autorità statali, per farsi restituire almeno in parte le mandrie. I boss, nei loro abituali panni, si prestano a mediare tra i banditi e le vittime, prendendo una parcella per il loro lavoro. Alla fine della prima guerra mondiale, l'Italia affronta un momento di crisi, che rischia di sfociare in una vera e propria rivolta popolare, ad imitazione della recente rivoluzione russa. Al nord gli operai scioperano e chiedono migliori condizioni di lavoro, al sud sono i giovani ritornati a casa a lamentarsi per le promesse non mantenute dal governo (in particolar modo quelle relative alla terra). Moltissimi quindi vanno ad ingrossare le file dei banditi, altri entrano direttamente nella mafia e altri ancora cercano di riformare i fasci o comunque partecipano ai consigli socialisti siciliani. Fu in questo clima di tensione che il fascismo fece la sua comparsa.

L'epoca fascista Il fascismo iniziò una campagna contro i mafiosi siciliani, subito dopo la prima visita di Mussolini in Sicilia nel maggio del 1924. Il 2 giugno dello stesso anno venne inviato in Sicilia Cesare Mori, prima come prefetto di Trapani, poi a Palermo dal 22 ottobre 1925, soprannominato il Prefetto di ferro, con l'incarico di sradicare la mafia con qualsiasi mezzo. L'azione del Mori fu dura ed efficace. Centinaia e centinaia furono gli uomini arrestati e finalmente condannati. Celebre è l'assedio di Gangi in cui Mori assediò per quattro mesi il centro cittadino, in quanto esso era considerato una delle roccaforti mafiose. In questo periodo venne arrestato il boss Vito Cascio Ferro. Dopo alcuni arresti eclatanti di capimafia, anche i vertici di Cosa nostra non si sentivano più al sicuro e scelsero due vie per salvarsi: una parte emigrò negli USA, andando ad ingrossare le file di Cosa nostra americana, mentre un'altra restò in disparte.


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Il "prefetto di ferro" scoprì anche collegamenti con personalità di spicco del fascismo come Alfredo Cucco, che fu espulso dal PNF. Nel 1929 Mori fu nominato senatore e collocato a riposo. I limiti della sua azione fu lui stesso a riconoscerli in tempi successivi: l'accusa di mafia veniva spesso avanzata per compiere vendette o colpire individui che nulla c'entravano con la mafia stessa, come fu con Cucco e con il generale Antonino Di Giorgio. Alcuni mafiosi erano membri del PNF, a conoscenza e con il favore di Benito Mussolini. Tra i mafiosi protetti dal regime fascista c'erano: il principe Lanza di Scalea, Epifanio Gristina, il barone Vincenzo Ferrara, i baroni Li Destri e Sgadari e molti altri. Questi ultimi furono processati, ma vennero assolti essendo amici del duce Benito Mussolini. Il principe Lanza di Scalea fu uno dei candidati nelle liste del PNF per le amministrative di Palermo mentre a Gangi il barone Li Destri, pure candidato del PNF, era protettore e capo di banditi e delinquenti. Il carabiniere Francesco Cardenti così riferisce: "Il barone Li Destri al tempo della maffia era appoggiato forte ai briganti che adesso si trovano carcerati a Portolongone (Elba)se qualcuno passava dalla sua proprietà che è gelosissimo diceva: Non passare più dal mio terreno altrimenti ti faccio levare dalla circolazione, adesso che i tempi sono cambiati e che è amico della autorità [...] Non passare più dal mio terreno altrimenti ti mando al confino."[3] I mezzi usati dalla Polizia nelle numerose azioni condotte per sgominare il fenomeno mafioso portarono ad un aumento della sfiducia della popolazione nei confronti dello Stato. Mori fu comunque il primo investigatore italiano a dimostrare che la mafia può essere sconfitta con una lotta senza quartiere, come sosterrà successivamente anche Giovanni Falcone.

La seconda guerra mondiale Durante la seconda guerra mondiale, numerosi boss italoamericani, in carcere negli USA (Lucky Luciano e Vito Genovese, per citare i più noti), furono contattati dai servizi segreti americani, chiamati all'epoca OSS (Office of Strategic Service), per essere impiegati con la promessa della libertà al fine di assicurare agli alleati il controllo sull'isola. Non furono contattati solo boss americani ma anche siciliani, come Vincenzo Di Carlo, Calogero Vizzini e Giuseppe Genco Russo. Questi contatti avevano lo scopo di facilitare lo sbarco alleato sulle coste siciliane e successivamente, quando il controllo dell'isola era affidato agli alleati, a mantenere l'isola stabile dal punto di vista politico. In particolar modo, quando l'isola tornò sotto il controllo italiano, la mafia fu utilizzata, e quindi involontariamente le si permise di riprendersi dopo l'era di Mori, in funzione anti-socialista ed anti-comunista.

Vito Genovese


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Salvatore Giuliano Fu alla fine della seconda guerra mondiale che l'E.V.I.S. (Esercito Volontario per l'Indipendenza Siciliana) nominò colonnello il bandito Salvatore Giuliano, capo di una banda di fuorilegge che terrorizzavano la Sicilia con le loro azioni. Sempre più compromesso dai legami coi grandi mafiosi latifondisti e con i politici della Democrazia Cristiana, il bandito Giuliano e la sua banda compiranno vari attentati nelle provincie di Palermo e di Trapani contro sedi del PCI e del PSI: queste violenze culmineranno nella strage di Portella della Ginestra (1º maggio 1947), contro i manifestanti socialisti e comunisti a Piana degli Albanesi (provincia di Palermo), in cui moriranno 11 persone e altre 27 rimarranno ferite. Infine la banda di Giuliano sarà smantellata dagli arresti operati dalle forze dell'ordine e lo stesso Salvatore Giuliano verrà ucciso nel 1950 dal suo luogotenente Gaspare Pisciotta, su ordine dei capi mafiosi a cui il bandito non serviva più ed era diventato scomodo perché a conoscenza di molti retroscena della strage di Portella della Ginestra e di collusioni tra mafia e politica. In seguito Pisciotta verrà arrestato e Salvatore Giuliano morirà avvelenato nel carcere dell'Ucciardone nel 1954 perché voleva rivelare i nomi dei mandanti della strage di Portella della Ginestra.

Il dopoguerra Dopo la seconda guerra mondiale, la società siciliana subì una profonda trasformazione, con una riduzione del peso economico dell'agricoltura a favore di altri settori come il commercio o il terziario del settore pubblico. In questo periodo l'amministrazione pubblica in Sicilia divenne l'ente più importante in fatto di economia. Cosa nostra naturalmente seppe sfruttare adeguatamente questo cambio di tendenze, catapultando sé stessa verso i nuovi campi socialmente ed economicamente predominanti. Per riuscirci dovette stringere maggiormente, più di quanto aveva fatto in passato, i rapporti con la politica e i politici del partito maggiore in Italia e in Sicilia, la Democrazia Cristiana. Non meno importante fu l'atteggiamento indulgente di Ernesto Ruffini, arcivescovo di Palermo dal 1946 al 1967. Da questo patto la mafia traeva guadagni nella gestione, ottenuta grazie ad appalti truccati, dello sviluppo edilizio di infrastrutture e di nuovi quartieri delle maggiori città, della riscossione delle tasse per conto dello Stato, dell'assunzione di personale per gli enti statali e in più poteva godere della più totale immunità. La Democrazia Cristiana ci guadagnava perché Cosa nostra, per via del controllo sul territorio, era in grado di indirizzare grandi quantità di voti dove voleva. Sono gli anni del sacco di Palermo, gli anni in cui Salvo Lima era sindaco e Vito Ciancimino assessore ai lavori pubblici. In quattro anni vennero concesse 4205 licenze edilizie, di cui 3011 intestate alle stesse 5 persone, dei muratori che risultavano nullatenenti e che si è poi scoperto essere dei prestanome. In questi anni vennero rase al suolo le splendide ville Liberty del centro della città per essere sostituite con palazzi giganteschi. La stessa sorte toccò alle periferie e a molte zone verdi. Tutto questo avvenne anche grazie alla compiacenza di alcuni grandi istituti di credito siciliani che finanziavano imprenditori mafiosi a scapito di quelli onesti. Tra il 10 e il 16 ottobre 1957 avvennero una serie di riunioni all'Hotel des Palmes di Palermo fra i capi di Cosa nostra e quelli di Cosa nostra americana. A rappresentare Cosa nostra americana vi erano Joseph Bonanno, Lucky Luciano, Carmine Galante, Santo Sorge, John Bonventre ed altri, mentre la mafia siciliana era rappresentata da Giuseppe Genco Russo, Salvatore "Ciaschiteddu" Greco, suo cugino Salvatore Greco (noto come "l'ingegnere" o "Totò il


Cosa nostra lungo"), Angelo La Barbera, Gaetano Badalamenti, Rosario Mancino, Cesare Manzella, Calcedonio Di Pisa e Tommaso Buscetta. Gli scopi dei vari incontri furono l'organizzazione del traffico di droga verso gli Stati Uniti e la creazione di una "Commissione" su modello di quella di Cosa nostra americana, necessaria ad aggregare la volontà delle famiglie mafiose sparse in Sicilia e a placare dissensi e scontri all'interno di Cosa nostra. Nel 1958 il quotidiano L'Ora fu il primo giornale che intraprese la pubblicazione di una serie di documentati e dettagliati articoli di inchiesta sul fenomeno mafioso in Sicilia e delle sue collusioni con il potere politico locale, pubblicando foto e nomi di personaggi di spicco delle cosche mafiose. A causa di ciò, il 19 ottobre 1958 l'esplosione di 5 kg di tritolo devastò la storica sede del quotidiano a Palermo. In seguito all'attentato, l'allora presidente della Repubblica Giuseppe Saragat dichiarerà in Parlamento: "Ci voleva l'attentato all'Ora per scoprire che in Sicilia c'è la mafia".

Prima guerra di mafia La prima guerra di mafia fu scatenata da una truffa a proposito di una partita di eroina nel 1962: il boss Calcedonio Di Pisa, inviato a Brooklyn dalla Sicilia per consegnare una partita di droga, fu accusato di averne sottratto una parte e fu ucciso. Dopo questo episodio, all'interno di Cosa nostra si formarono due fazioni: da una parte i Greco di Ciaculli e dall'altra i fratelli La Barbera, appoggiati dal boss dell'Uditore Pietro Torretta. Dopo l'assassinio di Di Pisa, Salvatore La Barbera venne fatto sparire. Il 13 febbraio 1963 Angelo La Barbera rispose distruggendo con un'autobomba la casa di Salvatore Greco, boss della famiglia rivale, che però si salvò. La sua risposta non si fece attendere e il 19 aprile un gruppo di quattro uomini aprì il fuoco su una pescheria in via Empedocle Restivo a Palermo che apparteneva ad alcuni soldati di La Barbera. Nello scontro persero la vita due uomini di La Barbera e due restarono feriti. Pochi giorni dopo Cesare Manzella, il boss di Cinisi fedele alleato dei Greco, venne dilaniato dall'esplosione di una Giulietta. L'episodio che mise fine alla guerra ebbe luogo in viale Regina Giovanna a Milano, il 25 maggio 1963, quando l'automobile di Angelo La Barbera venne crivellata di proiettili dai sicari dei Greco, ferendolo gravemente. Poco tempo dopo l'attentato, La Barbera venne arrestato in un ospedale milanese e finì definitivamente in carcere, mettendolo così a tacere per sempre. Il 30 giugno 1963 in località Ciaculli, nei dintorni di Palermo, un contadino chiamò i Carabinieri per segnalare la strana presenza di una Giulietta abbandonata con una gomma bucata. All'arrivo i Carabinieri si accorsero subito che era un'autobomba e furono chiamati così gli uomini del genio militare. Ma mentre essi toglievano la bomba, il tenente dei Carabinieri Mario Malausa aprì il bagagliaio innescando un'altra bomba, che uccise due uomini del genio militare e cinque Carabinieri. Questo attentato provocò l'indignazione nazionale e centinaia di arresti operati dalle forze dell'ordine nei confronti dei mafiosi. Per questo motivo numerosi capi mafiosi, come Giuseppe Genco Russo e Michele Cavataio, finirono in carcere e la Commissione mafiosa venne sciolta.

Processi contro Cosa nostra Tra il 1967 e il 1968 si svolse a Catanzaro il cosiddetto "processo dei 114", istruito dal pubblico ministero Cesare Terranova, nel quale erano imputati tutti i principali boss mafiosi siciliani, accusati dei delitti avvenuti durante la prima guerra di mafia. Infine il processo si concluse con qualche condanna e assoluzioni di molti capimafia come Tano Badalamenti e Luciano Liggio. Un altro esempio dell'immunità raggiunta dalla mafia è il processo di Bari, istruito sempre da Cesare Terranova, concluso in prima sessione l'11 giugno del 1969, nel quale erano sotto accusa di associazione a delinquere 64 persone del clan mafioso di Corleone, tra le quali Salvatore Riina, Bernardo Provenzano, Calogero Bagarella e Luciano Liggio, con la totale assoluzione di tutti gli imputati per insufficienza di prove (in realtà i giudici vennero minacciati pesantemente), nonostante un soldato dei corleonesi, Luciano Raia, testimoniò al processo gli omicidi commessi dai "peri 'ncritati" durante la loro scalata al potere mafioso all'interno del clan di Corleone. Le confessioni di Raia non portarono a nulla perché egli fu giudicato "insano di mente": spuntarono fuori dagli ospedali e dai

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Cosa nostra manicomi giudiziari decine di certificati che attestavano delle presunte "crisi epilettiche". È ovvio quindi che di mafia fino alla fine degli anni settanta, quando questa situazione iniziò a cambiare, lo Stato non voleva che si parlasse.

La mafia trapanese I trapanesi erano tenuti in alta considerazione dentro Cosa Nostra, per via dei loro legami, anche familiari con le famiglie americane, in particolare quelle di origine castellammarese come la famiglia Bonanno. Fino agli anni settanta il territorio era diviso tra Vincenzo Rimi ad Alcamo, legato a Badalamenti, i fratelli Calogero e Salvatore Minore vicini a Bontate, come il castelvetranese Francesco Messina Denaro, che in seguito passò con i corleonesi, insieme al mazarese Mariano Agate. La famiglia Rimi fu implicata in vario modo nel Golpe Borghese. Il sociologo Pino Arlacchi scrive che Vincenzo Rimi era "considerato come il leader morale di tutta Cosa Nostra siciliana degli anni Cinquanta e Sessanta". Salvatore Minore nel 1982 sarà vittima della seconda guerra di mafia e il suo posto verrà preso da Vincenzo Virga.

L'ascesa del clan dei Corleonesi Nel 1969 un gruppo di fuoco, composto da uomini dei Corleonesi e delle famiglie mafiose dei boss Stefano Bontate e Giuseppe Di Cristina, fecero irruzione nel palazzo dove lavorava Michele Cavataio, uno dei boss responsabili della prima guerra di mafia; egli venne ucciso assieme ad altri suoi collaboratori e nello scontro a fuoco morì anche Calogero Bagarella, uno dei Corleonesi e amico d'infanzia di Totò Riina. Questo fatto è meglio ricordato come la strage di viale Lazio dove morirono 6 persone. Dopo l'uccisione di Cavataio, venne ricreata la Commissione mafiosa, gestita da un "triunvirato" provvisorio composto da Stefano Bontate, Tano Badalamenti e Luciano Liggio, boss del clan dei Corleonesi. Le tensioni all'interno della neonata Commissione cominciarono nel 1971, quando i Corleonesi decisero di rapire Antonino Caruso, figlio di un famoso imprenditore palermitano, e ordinarono altri sequestri a scopo di estorsione, inimicandosi però le altre famiglie mafiose, che non approvavano questa attività. Il 5 maggio 1971 i Corleonesi assassinarono a Palermo il procuratore Pietro Scaglione perché impegnato in inchieste su Cosa nostra: per la prima volta nel dopoguerra la mafia colpiva un magistrato in Sicilia. Nel 1973 Leonardo Vitale, "uomo d'onore" della famiglia mafiosa di Altarello di Baida in preda ad una crisi mistica, si presentò alla questura di Palermo e denunciò i boss corleonesi Salvatore Riina e Bernardo Provenzano, il capomafia palermitano Michele Greco e il politico Vito Ciancimino, si autoaccusò di vari delitti e descrisse la struttura di Cosa nostra: era il primo "pentito" della storia della mafia. Però Vitale non venne creduto e venne rinchiuso per dieci anni in un manicomio criminale perché dichiarato "insano di mente". Dimesso dal manicomio, venne ucciso nel 1984.

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Seconda guerra di mafia La seconda guerra di mafia, detta anche "Mattanza", si svolse tra il 1978 e il 1983. Nel 1974 Salvatore Riina divenne il nuovo capo del clan dei Corleonesi dopo l'arresto del boss Luciano Liggio e divenne rivale delle principali famiglie mafiose palermitane. Così all'interno di Cosa nostra si formarono due fazioni, come nella prima guerra di mafia: da una parte c'erano i Corleonesi appoggiati da Michele Greco, il boss che allora era considerato il Capo dei Capi della "Commissione"; dall'altra c'era la fazione di don Tano Badalamenti, appoggiato da Stefano Bontate, Salvatore Inzerillo, Giuseppe Di Cristina, Tommaso Buscetta e dalle famiglie catanesi comandate da Pippo Calderone. Nel 1978 Giuseppe Di Cristina, il boss di Riesi che era il principale nemico della fazione dei Corleonesi, cominciò a parlare con il capitano dei Carabinieri Alfio Pettinato per cercare di fare arrestare Totò Riina. Nello stesso periodo Riina fece espellere Tano Badalamenti dalla Commissione e fece uccidere Di Cristina e Pippo Calderone. Alla L'omicidio di Stefano Bontate (23 aprile 1981) morte di Calderone prese il controllo delle famiglie catanesi il mafioso Benedetto Santapaola, detto anche Nitto, fedele alleato di Totò Riina e dei suoi compari. Nel 1981 Tommaso Buscetta scappò in Brasile per sfuggire alla Mattanza, che iniziò il 23 aprile 1981 quando il boss Stefano Bontate fu assassinato dai Corleonesi a colpi di mitragliatrice AK-47 benché avesse appena comperato un'Alfa Romeo Alfetta antiproiettile. Dopo l'assassinio di Bontate, Badalamenti, ormai espulso da Cosa nostra, fuggì in Brasile e poi in Spagna, dove venne arrestato dall'FBI con l'accusa di traffico di droga. L'11 maggio 1981 Salvatore Inzerillo, boss di Passo di Rigano, venne freddato fuori casa della sua amante. Nel periodo successivo furono uccisi più di quattrocento uomini della fazione Bontate-Badalamenti-Inzerillo. Così la direzione dalle famiglie palermitane fu affidata completamente a uomini fedeli ai Corleonesi e Totò Riina diventò il temuto Capo dei Capi della Commissione. Per chi poi era riuscito a scampare alla carneficina dei boss palermitani e dei loro alleati si attuavano vendette trasversali contro i parenti. Un esempio eclatante fu quello di Salvatore Contorno, soldato di Bontate, a cui furono uccisi trentaquattro parenti per convincerlo a consegnarsi nelle mani dei Corleonesi. Lo stesso successe a Buscetta, a cui furono ammazzati tutti i figli, fratelli e molti altri parenti residenti a Palermo.

L'omicidio di Carlo Alberto Dalla Chiesa e della moglie Emanuela Setti Carraro (3 settembre 1982)

Da ricordare durante questa guerra di mafia sono l'assassinio di Pio La Torre, attivista e rappresentante del PCI in Sicilia, ma soprattutto l'assassinio del generale dei Carabinieri Carlo Alberto Dalla Chiesa, ucciso il 3 settembre 1982 in via Carini a Palermo da un gruppo di fuoco composto da dodici sicari di Riina e di Nitto Santapaola. Dalla Chiesa era stato mandato in Sicilia da prefetto di Palermo dopo l'omicidio di Pio La Torre per contrastare il problema mafioso dopo il suo successo nella guerra contro il terrorismo delle Brigate Rosse: si deve però notare che il governo dell'epoca diede scarsissimo appoggio a Dalla Chiesa e questa fu anche una delle cause del suo assassinio.


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La stagione dei maxiprocessi Dopo la strage di via Carini (3 settembre 1982) in cui Carlo Alberto Dalla Chiesa (prefetto del capoluogo siciliano), Emanuela Setti Carraro (moglie di Carlo Alberto Dalla Chiesa), Domenico Russo (agente di polizia) furono uccisi dalla mafia, lo Stato italiano prese le misure adeguate, facendo votare leggi per accedere ai conti bancari di Cosa nostra. Le efferatezze commesse durante la guerra di mafia di quegli anni, però, spinsero anche alcuni mafiosi a consegnarsi allo Stato (legge sui pentiti). Fra questi c'era il boss Tommaso Buscetta, che nel 1984 incontrò per la prima volta Giovanni Falcone. Buscetta scelse di fidarsi di quel magistrato e cominciò a parlare: sulle sue rivelazioni Falcone, Paolo Borsellino e il suo team - il famoso Pool antimafia ideato da Rocco Chinnici - istruirono contro Cosa nostra i maxiprocessi di Palermo, con oltre 1.400 imputati, sferrando il primo vero, duro colpo a Cosa nostra. Il maxiprocesso era iniziato il 10 febbraio 1986 e si era concluso in primo grado il 16 dicembre 1987 con 342 condanne, 2665 anni di carcere e 19 ergastoli (tra cui Luciano Liggio, Bernardo Provenzano e Salvatore Riina). Il 30 luglio 1991 la sentenza d'appello ridimensionò le condanne, ma la Cassazione il 30 gennaio 1992 riconfermò tutte le condanne del primo grado che divennero realtà giudiziarie. Atti del Maxiprocesso

L'attacco allo Stato Dopo questo primo processo ne seguirono altri, vi fu una stagione di veleni interni alla magistratura e alla politica italiana mentre la mafia cercava di riprendersi: nei primi anni novanta il clan dei Corleonesi, che si era imposto nella guerra di mafia dei primi anni ottanta, riorganizzò ciò che restava di Cosa nostra e, dopo l'introduzione dell'articolo 41 bis che induriva il carcere per i reati di mafia, nel 1993 iniziò una stagione di ritorsioni terroristiche con la strage di via dei Georgofili (5 vittime) a Firenze, la strage al Padiglione di Arte Contemporanea di Milano (5 vittime) e i due attentati al patrimonio artistico di Roma (a San Giovanni in Laterano e a San Giorgio al Velabro). Infine il 16 ottobre 1993 ci fu l'ultimo tentativo (fallito) di fare un attentato allo Stato da parte di Cosa nostra: venne parcheggiata un'autobomba in via dei gladiatori a Roma, fuori dallo Stadio Olimpico durante la partita Lazio-Udinese per colpire i Carabinieri impegnati nel servizio di Ordine Pubblico per la partita. Fortunatamente la bomba non esplose. I più famosi e terribili attentati restano però le stragi di Capaci, 23 maggio 1992, e di via d'Amelio, 19 luglio 1992, nelle quali hanno perso la vita Giovanni Falcone e Paolo Borsellino insieme alle loro scorte. Il primo, di ritorno da Roma, dove era stato nominato responsabile dell'Ufficio Affari Penali per espressa volontà dell'allora Guardasigilli Claudio Martelli, fu ucciso da una terribile esplosione avvenuta sull'autostrada che collega l'aeroporto di Punta Raisi (oggi aeroporto Falcone-Borsellino) con Palermo città, all'altezza di Capaci. L'esplosione fu provocata da un enorme quantitativo di tritolo (circa 600 kg) che gli esecutori piazzarono in un tunnel sottostante il tratto autostradale. Con Giovanni Falcone morirono la moglie, Francesca Morvillo e tre agenti della scorta. Circa quattro anni dopo fu arrestato colui che quel giorno premette il pulsante del detonatore, Giovanni Brusca detto "Scannacristiani". Paolo Borsellino morì in circostanze analoghe, a seguito dell'esplosione di un'autobomba parcheggiata sotto casa della madre in via D'Amelio, fatta esplodere con un radiocomando, probabilmente azionato dal Castello Utveggio, sito sul Monte Pellegrino che sovrasta la città di Palermo. L'autobomba esplose facendo morire pure cinque uomini della scorta.


Cosa nostra Il lavoro svolto da Paolo Borsellino nei 57 giorni che hanno separato la strage di Capaci da quella di Via D'Amelio, ha rappresentato l'alto senso del dovere che ha accompagnato i due magistrati nel loro percorso professionale. Nonostante la consapevolezza di essere il prossimo obiettivo della mafia stragista, Paolo Borsellino proseguì freneticamente l'opera sino a quel momento svolta dal collega Falcone, in disprezzo di ogni ulteriore cautela che pure in quel frangente si sarebbe resa necessaria. Sul luogo dell'attentato fu rinvenuta una borsa che Borsellino portava sempre con sé e probabilmente contenente appunti e atti d'indagine che furono trafugati (la famosa "agenda rossa"). Una indagine è tuttora in corso, e coinvolge presunti servizi segreti deviati.

La risposta dello Stato All'indomani delle stragi in Sicilia come in tutta Italia c'è stato un risveglio della società civile che ha portato ad una durissima presa di posizione nei confronti della mafia. La paura, l'omertà e la tradizionale veste di Cosa nostra sembravano essere scomparse per la maggior parte della gente, stanca di tutto questo sangue. Migliaia di persone scesero in piazza e nelle strade a manifestare, moltissime finestre e terrazze furono coperte da lenzuoli e cartelli contro la mafia, la cosiddetta "rivolta dei lenzuoli". Quasi ogni giorno, e quasi in ogni luogo, c'erano lezioni sulla legalità e di educazione civica, La "rivolta dei lenzuoli" a Palermo nelle quali il posto da insegnante era preso da magistrati e giudici antimafia o da parenti delle vittime. A questo va aggiunta la risposta militare dello Stato che con l'operazione "Vespri Siciliani" inviò nell'isola ben 20.000 soldati (dal 25 luglio 1992 all'8 luglio 1998) per presidiare gli obiettivi sensibili come tribunali, case di magistrati, aeroporti, porti e istituire posti di blocco, che hanno impedito ai latitanti di muoversi[4]. Il ruolo svolto dall'esercito, nonostante le numerose critiche di aver "militarizzato" l'isola, fu ampiamente positivo nel campo della sicurezza urbana. Introducendo un elemento di sicurezza statale, le persone erano più libere di denunciare i mafiosi, per mezzo di telefonate anonime. Ci fu una riduzione dei crimini e anche alcuni arresti eccellenti come quelli di Toto Riina e Leoluca Bagarella. Inoltre la presenza dell'esercito liberava la polizia da compiti di sorveglianza in modo che tutte le unità fossero usate per le indagini. A tutto questo va aggiunto l'arrivo a Palermo di Gian Carlo Caselli come procuratore della Repubblica lo stesso giorno dell'arresto di Riina, il 15 gennaio 1993. L'azione della procura venne rilanciata, oltre che per i motivi già citati (sostegno popolare e presenza dell'esercito) anche grazie all'azione di questo magistrato esperto. In questo modo fu spezzato il sistema grazie al quale la mafia poteva svolgere le sue attività indisturbata.

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Provenzano e post Provenzano A partire dagli anni novanta, Bernardo Provenzano, con l'arresto di Totò Riina e Leoluca Bagarella, diviene il capo di Cosa nostra (era l'alter-ego di Riina fin dagli anni cinquanta), circondandosi solo di uomini di fiducia, come Benedetto Spera, cambia radicalmente la politica e il modus operandi negli affari della mafia siciliana; i mandamenti (divisioni mafiose delle zone di influenza in Sicilia) più ricchi cedono i loro guadagni a quelli meno redditizi in modo di accontentare tutti (una sorta di stato sociale), evitando inutili guerre. Tutto è controllato da un boss con il carisma di Provenzano che gestisce in modo impeccabile Bernardo Provenzano l'organizzazione. La mafia ora non è più ricca come ai tempi dei grandi traffici internazionali ed è per questo che in Sicilia è diventata più oppressiva e capillare. L'11 aprile del 2006, dopo 43 anni di latitanza (dal 1963), Provenzano viene catturato in un casolare a Montagna dei Cavalli, frazione a 2 km da Corleone. Il 5 novembre del 2007, dopo 25 anni di latitanza, viene arrestato, in una villetta di Giardinello, anche il presunto successore di Provenzano, il boss Salvatore Lo Piccolo. Le strade che si ipotizza potrebbe intraprendere Cosa nostra sono due: la prima prevede un passaggio di poteri, che potrebbe far arrivare al vertice di Cosa nostra il trapanese Matteo Messina Denaro, 43 anni (latitante dal 1993), con l'elezione di un nuovo capo del livello e capacità di Provenzano. La seconda ipotesi è una sorta di riorganizzazione della mafia sul modello calabro: nessun supercapo ma ognuno con capacità gestionale autonoma dei proventi ricavati dal proprio territorio. È stato osservato che questo potrebbe portare a nuove guerre di mafia (di recente la 'Ndrangheta ha costituito una sorta di commissione, composta dai capi più influenti di ogni 'ndrina per decidere i grandi affari e sedare le faide).

Operazione Old Bridge Dopo l'arresto dei Corleonesi e di Salvatore Lo Piccolo, si ipotizzò un ritorno della famiglia Inzerillo dall'America, i cosiddetti scappati dalla seconda guerra di mafia scatenata da Totò Riina. Si voleva ristrutturare l'organizzazione e ritornare al passato e rientrare nel traffico di droga, attualmente in mano alla 'Ndrangheta. Il 7 febbraio 2008 però vengono arrestate 90 persone tra New York e la Sicilia, presunti appartenenti alle famiglie Inzerillo e il suo boss Giovanni Inzerillo, Mannino, Di Maggio e Gambino, tra cui anche il boss Jackie D'Amico: fu la più grande retata dopo "Pizza connection".[5]

Operazione Perseo Il 16 dicembre 2008, con l'operazione Perseo, i Carabinieri di Palermo catturarono 99 mafiosi appartenenti ai vertici di Cosa nostra palermitana che, unitamente a decine di gregari, tentavano di ricostituire la Commissione provinciale palermitana, così sventando il progetto (sostenuto dal boss latitante Matteo Messina Denaro) di riportare in vita la Cupola mafiosa di Cosa nostra.[6]

Struttura Le conoscenze sull'organizzazione interna della mafia siciliana si debbono prevalentemente all'opera di Giovanni Falcone, primo magistrato che riuscì a rompere il muro di omertà su questo tema avvalendosi dell'ausilio di "pentiti" (il più importante dei quali fu sicuramente Tommaso Buscetta, personalità di spicco nella Cupola Siciliana e sorta di "ufficiale di collegamento" con le famiglie di Cosa nostra americana), grazie alle nuove leggi in materia di

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Cosa nostra pentitismo promulgate all'inizio degli anni ottanta. Assieme al collega Paolo Borsellino ha donato ai suoi successori una solida base di conoscenze che hanno aiutato a combattere la mafia efficacemente. Cosa nostra è formata da mafiosi che si definiscono uomini d'onore. Tradizionalmente l'ingresso nell'organizzazione, e quindi l'ottenimento del titolo di uomo d'onore, avveniva attraverso un vero e proprio rito d'iniziazione definito punciuta, che oggi sembrerebbe superato a fronte di metodi più moderni e sbrigativi. La struttura di Cosa Nostra è verticistica e piramidale e dipende dalla Cupola. Alla base dell'organizzazione ci sono le famiglie in cui tutti gli affiliati si conoscono fra loro, governate da un capo-famiglia di nomina elettiva; altre figure importanti sono il sottocapo e i consiglieri, in numero non superiore a 3. Le famiglie si dividono in gruppi di 10 uomini detti decine comandate da un capodecina. Tre famiglie dal territorio contiguo formano un mandamento e sono rappresentate da un capomandamento che, almeno fino a un certo periodo, non era membro di nessuna di quelle famiglie per evitare che favorisse la propria. I vari capimandamento si riuniscono in una cupola (o commissione) provinciale, di cui la più importante è quella di Palermo. Questa commissione provinciale è presieduta da un capomandamento che, per sottolineare il suo ruolo di primus inter pares, si chiamava in origine segretario, ma sembra che ora abbia preso il titolo di capo. Per lungo tempo non c'è stato bisogno di un organismo superiore alla commissione provinciale poiché quasi tutte le famiglie risiedevano in quella di Palermo. Quando però l'organizzazione ha messo radici in tutta l'isola si è dovuta creare una cupola regionale detta interprovinciale, alla quale partecipavano tutti i rappresentati delle varie province e dove il titolo di capo era tenuto dal capo della cupola provinciale più potente e quindi di Palermo. Negli ultimi anni, dopo la riorganizzazione seguita ai colpi inferti dalle forze dell'ordine, la struttura che era già molto semplice si è fatta ancora meno verticistica e meno localizzata: la città più soggetta alle operazioni antimafia è stata sicuramente Palermo, dove le famiglie hanno perso moltissimo potere per via dei numerosi arresti; si è così creata una situazione di maggiore divisione tra le province, a causa dell'indebolimento della Cupola, il che ha comportato la crescita del ruolo criminale di città come Trapani, Agrigento, Catania e Messina, non più totalmente sottoposte ad un controllo dei palermitani. La strategia criminosa di Cosa nostra è duplice: da una parte cerca di garantirsi il controllo del territorio in cui risiede, attraverso una imposizione fiscale alle attività commerciali e industriali della zona (il pizzo o racket) e la feroce e immediata punizione di chiunque osi contravvenire alle disposizioni che essa dirama, mentre dall'altra cerca di corrompere il potere politico ed i funzionari dello Stato attraverso l'offerta di denaro e voti, per ottenere l'impunità e una sponda all'interno del sistema, da poter usare a proprio vantaggio. Questo connubio di impunità e controllo garantisce ai mafiosi la possibilità di affrontare qualunque nemico, sia esso malavitoso o istituzionale, da una posizione di forza, sicuri di avere in ogni caso un rifugio protetto e degli amici a cui ricorrere: a volte sfruttando perfino le forze dello Stato stesso.

I mandamenti mafiosi attuali La città di Palermo è divisa in otto mandamenti locali: Porta Nuova, Brancaccio, Boccadifalco Passo di Rigano, Santa Maria di Gesù, Noce, Pagliarelli, Resuttana e S. Lorenzo. L'intera provincia palermitana è ripartita in otto grandi mandamenti: Palermo, Partinico, San Giuseppe Jato, Corleone, Villabate, Belmonte Mezzagno, Gangi – San Mauro Castelverde (o delle Madonie). La provincia di Agrigento è costituita da 9 mandamenti: Agrigento, Porto Empedocle, Canicattì, Cianciana, Ribera, Sambuca di Sicilia, Casteltermini, Lampedusa / Linosa, Palma di Montechiaro e Campobello di Licata. I mandamenti di Racalmuto e Favara sembrano essere stati assorbiti da quello di Canicattì. La famiglia Sciacca, a Sambuca di Sicilia, potrebbe assumere un autonomo profilo mandamentale. La gerarchia mafiosa della provincia di Trapani continua ad essere improntata alla tradizionale struttura delle famiglie e dei mandamenti, con una Commissione provinciale destinata ad individuare le linee strategiche criminali. I mandamenti sono 4: Castelvetrano, Trapani, Mazara del Vallo e Alcamo.

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Cosa nostra La stessa area della provincia di Messina è divisa in tre zone, relative all'aggregato urbano del capoluogo, che risente delle connessioni con la 'Ndrangheta calabrese e alle due fasce di territorio che si distendono dai margini del capoluogo ai confini delle province di Palermo e Catania, poste sotto le influenze delle organizzazioni mafiose limitrofe. Oltre al capoluogo peloritano, vi sono altri due mandamenti rilevanti in questa provincia, il mandamento di Mistretta e il mandamento di Barcellona Pozzo di Gotto. Nella provincia di Caltanissetta vi sono 4 mandamenti: Gela, Vallelunga, Riesi e Mussomeli. La provincia di Enna continua a profilarsi come zona di retroguardia per Cosa nostra, di origine nissena, soprattutto, che ricorre ad alleanze con i gruppi operanti nelle zone limitrofe. Nella provincia di Catania, le organizzazioni mafiose gestiscono preferenzialmente il conferimento illecito di appalti pubblici. Gli interessi sono divisi tra le diverse famiglie. Possono essere menzionati i clan Santapaola, Cappello, Arena, Mazzei, La Rocca, Scalisi, Laudani e i rapporti con esponenti delle famiglie palermitane. La provincia di Siracusa registra l'incidenza della criminalità diffusa, accentuata da marginalità e devianza. Tra i clan egemoni sembrano esservi il clan Nardo di Lentini e il clan Urso-Bottaro-Attanasio di Siracusa.

Come i mafiosi orientano le votazioni elettorali Esiste una Commissione regionale che decide l'andamento delle cose anche dal punto di vista politico, ovvero decide per chi, le persone di una famiglia e i loro affiliati dovessero votare [4]. Per esempio Salvo Lima e Vito Ciancimino furono eletti da voti mafiosi di cittadini legati alla mafia della città di Palermo, Salvo Lima non mantenne le sue promesse elettorali e fu ucciso, invece Vito Ciancimino fu condannato per essere stato un mafioso conclamato.

Rapporti tra Mafia e Stato Come si rivela dalle numerose presenze nel Parlamento e nel governo di elementi non estranei a frequentazioni mafiose[7]. Si fa strada negli anni novanta la tesi secondo cui lo Stato italiano nei suoi componenti politici abbia un certo rapporto di "convivenza" con questo fenomeno mai definitivamente soppresso[8]. Lo stesso comportamento del CSM durante il lavoro di Giovanni Falcone che inizialmente non ricandidò il giudice come presidente della commissione antimafia da lui creata fa intendere una certa tendenza a voler ostacolare un lavoro diventato troppo scomodo per certi poteri deviati all'interno dello Stato[9]. Uno dei momenti più critici è stata la trattativa stato mafia: fu contattato Vito Ciancimino, per mezzo di rappresentanti del Ministro dell'Interno Nicola Mancino fra cui il capitano del ROS Giuseppe De Donno, per far smettere la stagione delle stragi del 1992, 1993, in cambio dell'annullamento del decreto legge 41 bis e altri benefici per i detenuti mafiosi.

Rapporti con le altre organizzazioni criminali Cosa nostra, per via del suo carisma criminale e della sua potenza delinquenziale, ha intrattenuto, e intrattiene tuttora, rapporti con le più importanti organizzazioni criminali sia italiane che estere. Il processo di globalizzazione interessa anche il fenomeno criminale mafioso, la mafia di tutti i paesi del mondo si unisce e collabora, portando avanti le sue attività criminali caratteristiche, come il narcotraffico, l'esportazione illegale di armi, la prostituzione, l'estorsione e il gioco d'azzardo, rappresentando un problema per l'umanità, per l'ordine civile della società e il quieto vivere.

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Rapporti con Cosa nostra americana Accordi fra Allen Dulles e Lucky Luciano Durante la seconda guerra mondiale, il governo americano contattò Lucky Luciano affinché si mettesse in contatto con la mafia siciliana, dalla quale speravano un aiuto per organizzare lo sbarco alleato in Sicilia, (Operazione Husky). Luciano aiutò il governo statunitense nell'Operazione Husky, in cambio di forti aiuti a Cosa nostra affinché questa “riconquistasse” l'isola. Nel giorno prestabilito, gli uomini mafiosi, avrebbero sostituito i sindaci e le giunte comunali statali, prendendo in mano il potere e favorendo i soldati americani. L'operazione andò a buon fine: gli esponenti della mafia siciliana divennero ben presto i nuovi padroni dell'isola. Luciano ottenne anche altre facilitazioni per governare il suo impero; nel 1946, come ricompensa, fu rilasciato a patto che si trasferisse in Sicilia: Luciano accettò e si trasferì nell'isola italiana, portandosì all'incirca 150.000 dollari. La trattativa fra servizi segreti americani e criminali mafiosi passò attraverso l'Office of Strategic Services, (OSS), diretto dal generale William Donovan: gerarchicamente, l'OSS in Europa dipendeva da Allen Dulles[10], che aveva la propria sede in Svizzera, il suo diretto dipendente in Italia era l'italoamericano Massimo Corvo, di origini siciliane, noto come "Max" e detto in codice "Maral", numero di matricola 45[11]. Max Corvo incominciò ad organizzare i propri uomini formando un'unità militare che fra le forze armate americane era nota come the mafia circle (il circolo della mafia). Stabilì quindi ulteriori contatti con Victor Anfuso, Lucky Luciano, Vito Genovese, Albert Anastasia e altre persone delle organizzazioni criminali italoamericane inserite nell'operazione Underworld, un giovane raccomandato dallo stesso Luciano, Michele Sindona, e anche un certo Licio Gelli[11]. Max Corvo e la sua squadra vennero sbarcati in Nord Africa a maggio 1943. Poi tre giorni dopo l'attacco, l'unità prende terra a Falconara, vicino a Gela, e si stabilì nel castello della cittadina. A Melilli Corvo incontrò padre Fiorilla, parente di uno dei suoi uomini e parroco di San Sebastiano, poi andò ad Augusta, sua città natale, per reclutare collaboratori locali. Intanto gli agenti dell'OSS occuparono le isole più piccole intorno alla Sicilia, fra cui Favignana e liberarono dalla prigione numerosi boss della mafia, che furono arruolati nel servizio dell'OSS, circa 850 "uomini d'onore" raccomandati dai capi mafiosi siciliani, che dopo l'occupazione assunsero cariche pubbliche nell'amministrazione militare del colonnello Charles Poletti: in provincia di Palermo ci furono 62 sindaci mafiosi.[11]. Questa è considerata una delle storiche trattative stato mafia. Pizza Connection Con Pizza connection si intende il traffico di droga fra le famiglie mafiose di Cosa nostra e gli Stati Uniti. Si calcola che attraverso essa, negli anni settanta, Cosa nostra guadagnò parecchi miliardi. Queste operazioni fruirono in particolare a Salvatore Greco, boss di Ciaculli, e a Tano Badalamenti, boss di Cinisi. Nel 1977 Palermo era diventata il più grande centro di raffinazione di eroina del mondo e Cosa nostra aveva preso il controllo del traffico internazionale di droga. Si stima infatti che, tra gli anni settanta e gli anni ottanta, Cosa nostra controllasse il 90% del traffico di eroina verso gli Stati Uniti[12]: questo fu reso possibile anche da Cosa nostra americana. Il termine "Pizza connection" prende il nome dalle innumerevoli pizzerie che sorsero negli anni settanta e ottanta in America in quanto utili per la copertura dei traffici illeciti di eroina e per riciclare il denaro ricavato dallo spaccio. L'eroina veniva infatti nascosta tra le derrate alimentari provenienti dall'Italia che andavano a rifornire i ristoranti e le pizzerie italiane in America. Le prime intuizioni sul ruolo di Cosa nostra nel traffico internazionale di stupefacenti si devono al commissario Boris Giuliano, che per questo motivo verrà ucciso nel 1979. Tra il 10 e il 16 ottobre 1957 ebbero luogo una serie di riunioni all'Hotel des Palmes di Palermo, in cui si incontrarono i capi di Cosa nostra e quelli di Cosa nostra americana per organizzare il traffico di eroina tra la Sicilia

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e New York. I capi di Cosa nostra americana che parteciparono agli incontri furono Lucky Luciano, Joseph Bonanno, Carmine Galante, Santo Sorge, John Bonventre, Nick Gentile ed altri mafiosi, mentre la mafia siciliana era rappresentata da Giuseppe Genco Russo, Salvatore Greco, il suo cugino omonimo Salvatore Greco (detto "l'ingegnere"), Angelo La Barbera, Rosario Mancino, Tano Badalamenti, Cesare Manzella, Calcedonio Di Pisa e Tommaso Buscetta. Infatti la morfina-base, proveniente dai paesi mediorientali, giungeva nel palermitano, dove c'erano le "raffinerie" di droga, che la trasformavano in eroina, destinata al mercato americano, newyorkese in particolare. Ma la svolta nel traffico di eroina si ebbe quando la "commissione", la famosa cupola dei capi di Cosa nostra americana creata da Lucky Luciano, decise di eliminare il boss Carmine Galante, in contrasto con la commissione stessa perché voleva tenere sotto il suo controllo l'intero business della rotta della droga Sicilia-New York. Negli anni settanta molte famiglie mafiose siciliane e specialmente Tano Badalamenti, il boss di Cinisi, avevano inviato numerosi uomini negli Stati Uniti con l'incarico di dirigere il traffico di eroina e riciclare i proventi dello spaccio utilizzando numerose pizzerie aperte o rilevate da italoamericani, introdotti al "business" in quantità da Carmine Galante, come i fratelli Miki ed Antony Lee Guerrieri, parenti dell'ex boss milanese Giuseppe Guerrieri, che a New York gestivano tutto l'import e lo smercio all'ingrosso dello stupefacente per John Gotti, capo della famiglia Gambino. La famiglia mafiosa Cuntrera-Caruana, originaria di Siculiana (provincia di Agrigento) ma con ramificazioni anche negli Stati Uniti, si occupò in un primo tempo del trasporto dell'eroina verso il Nord America ma in seguito si occupò anche dell'importazione e della distribuzione della droga in Europa. Ma negli anni ottanta, Totò Riina, il boss del clan dei Corleonesi, aveva fatto uccidere tutti i suoi avversari nella "seconda guerra di mafia" e aveva preso il controllo delle raffinerie di eroina di Palermo, continuando il narcotraffico in affari con la famiglia Gambino di New York.

Il boss mafioso Tano Badalamenti

Operazione Old Bridge La famiglia Inzerillo emigrata negli Stati Uniti per non essere sterminata durante la Seconda guerra di mafia, voleva tornare a reimpintarsi in Italia ma la polizia italiana e il FBI statunitense, nel febbraio 2008, ha arrestato 90 persone tra Italia e Stati Uniti stroncando inoltre il piano degli Inzerillo di riconquistare Palermo. Nell'operazione sono finiti in manette anche quattro boss, Giovanni Inzerillo, Frank Calì, Filippo Casamento e Mario Sferrazza. Quello che sicuramente era considerato in quel momento il capo della famiglia Gambino, Nicholas Corozzo è riuscito a fuggire grazie ad una soffiata di un poliziotto corrotto, tuttavia si è costituito il 29 maggio 2008 all'FBI di New York: rischia l'ergastolo per i reati a lui contestati. Gianni Nicchi, latitante sfuggito sia a questa maxiretata che alla precedente operazione Gotha del 2006, è stato catturato il 5 dicembre 2009 a Palermo, dalla polizia italiana. L'altro latitante, Salvatore Adelfio, è stato invece arrestato il 12 marzo 2009[13][14].


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Rapporti con la Mafia russa Nel 1994 viene segnalata la presenza della mafia russa sul territorio degli Stati Uniti, ad Atlanta, e sulla loro collaborazione con Cosa Nostra [15]. Verso il 1998, la Solntsevskaya bratva di Mosca, può contare su un proprio capo a Roma che coordina gli investimenti della mafia russa in Italia. Dall'indagine risulta che rispettabili banchieri occidentali danno al boss russo consigli molto utili su come riciclare il denaro sporco dalla Russia in Europa, in maniera legale [16]. Nel 2008 viene formalizzata la collaborazione fra mafia russa e Cosa Nostra, 'ndrangheta e camorra [17]. Sotto la supervisione della mafia russa le aziende agricole italiane, i trasporti delle merci: sia a livello internazionale, sia all'interno del paese. La mafia russa nel mondo conta circa 300.000 persone ed è la terza organizzazione criminale per la sua influenza, dopo l'originale italiana e le reti criminali cinesi [17]. Il 2 ottobre 2012 nel Report Caponnetto si leggono le infiltrazioni della mafia russa nella Repubblica di San Marino e in Emilia Romagna a carattere predatorio come le estosioni.

Filmografia su Cosa nostra Documentari • Gli Ultimi Padrini, di Roberto Olla (2007) • In Un Altro Paese, di Marco Turco (2007) • Sotto scacco, di Marco Lillo e Udo Gumpel (2010) • 1992-2012. Due Anni di Stragi. Venti Anni di Trattativa, di Marco Canestrari (2012)

Cinema • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • •

In nome della legge, regia di Pietro Germi (1949) L'onorata società, regia di Riccardo Pazzaglia (1961) Salvatore Giuliano, regia di Francesco Rosi (1961) Mafioso, regia di Alberto Lattuada (1962) I due mafiosi, regia di Giorgio Simonelli (1964) A ciascuno il suo, regia di Elio Petri (1966) Il giorno della civetta, regia di Damiano Damiani (1967) Il sasso in bocca, regia di Giuseppe Ferrara (1970) Confessione di un commissario di polizia al procuratore della repubblica, regia di Damiano Damiani (1971) I familiari delle vittime non saranno avvertiti, regia di Alberto De Martino (1972) Mimì metallurgico ferito nell'onore, regia di Lina Wertmüller (1972) Il padrino, regia di Francis Ford Coppola (1972) Il boss, regia di Fernando Di Leo (1973) Il padrino - Parte II, regia di Francis Ford Coppola (1974) Il prefetto di ferro, regia di Pasquale Squitieri (1977) Corleone, regia di Pasquale Squitieri (1978) Cento giorni a Palermo, regia di Giuseppe Ferrara (1984) Pizza connection, regia di Damiano Damiani (1985) Il pentito, regia di Pasquale Squitieri (1985) Il siciliano, regia di Michael Cimino (1987) Mery per sempre, regia di Marco Risi (1989)

• Il padrino - Parte III, regia di Francis Ford Coppola (1990) • Dimenticare Palermo, regia di Francesco Rosi (1990)

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Cosa nostra • • • • • • • • • • • • • • • • •

Johnny Stecchino, regia di Roberto Benigni (1991) La scorta, regia di Ricky Tognazzi (1993) Giovanni Falcone, regia di Giuseppe Ferrara (1993) Un eroe borghese, regia di Michele Placido (1995) Palermo Milano solo andata, regia di Claudio Fragasso (1995) Testimone a rischio, regia di Pasquale Pozzessere (1996) Tano da morire, regia di Roberta Torre (1997) I giudici, regia di Ricky Tognazzi (1999) Placido Rizzotto, regia di Pasquale Scimeca (2000) I cento passi, regia di Marco Tullio Giordana (2000) Gli angeli di Borsellino, regia di Rocco Cesareo (2003) Segreti di Stato, regia di Paolo Benvenuti (2003) Alla luce del sole, regia di Roberto Faenza (2005) L'uomo di vetro, regia di Stefano Incerti (2007) Milano-Palermo: il ritorno, regia di Claudio Fragasso (2007) Il dolce e l'amaro, regia di Andrea Porporati (2007) La siciliana ribelle, regia di Marco Amenta (2007)

• La vita rubata, regia di Graziano Diana (2007)

Televisione • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • •

La Piovra, regia di Damiano Damiani (1984) La Piovra 2, regia di Florestano Vancini (1986) La Piovra 3, regia di Luigi Perelli (1987) La Piovra 4, regia di Luigi Perelli (1989) La Piovra 5 - Il cuore del problema, regia di Luigi Perelli (1990) La Piovra 6 - L'ultimo segreto, regia di Luigi Perelli (1992) La Piovra 7 - Indagine sulla morte del commissario Cattani, regia di Luigi Perelli (1995) La Piovra 8 - Lo scandalo, regia di Giacomo Battiato (1997) La Piovra 9 - Il patto, regia di Giacomo Battiato (1998) Ultimo, regia di Stefano Reali (1998) Ultimo - La sfida, regia di Michele Soavi (1999) Operazione Odissea, regia di Claudio Fragasso (1999) Donne di mafia, regia di Giuseppe Ferrara (2000) La Piovra 10, regia di Luigi Perelli (2001) L'attentatuni, regia di Claudio Bonivento (2001) Ultimo - L'infiltrato, regia di Michele Soavi (2004) Paolo Borsellino, regia di Gianluca Maria Tavarelli (2004) L'onore e il rispetto, regia di Salvatore Samperi (2006) Giovanni Falcone, l'uomo che sfidò Cosa Nostra, regia di Andrea e Antonio Frazzi (2006) L'ultimo dei corleonesi, regia di Alberto Negrin (2007) Il capo dei capi, regia di Enzo Monteleone e Alexis Sweet (2007) L'ultimo padrino, regia di Marco Risi (2008) Squadra antimafia - Palermo oggi, regia di Pier Belloni (2009) L'onore e il rispetto - Parte seconda (2009), regia di Salvatore Samperi e Luigi Parisi Squadra antimafia - Palermo oggi 2 (2010), regia di Beniamino Catena

• Squadra antimafia - Palermo oggi 3 (2011), regia di Beniamino Catena • Paolo Borsellino - I 57 giorni (2012), regia di Alberto Negrin

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Cosa nostra "L'onore e il rispetto" parte 3, regia di Salvatore Samperi, Luigi Parisi & Alessio Inturri.

Bibliografia I testi indicati sono in ordine cronologico di pubblicazione.

Saggi Storia generale e sociologia di Cosa nostra • • • •

Michele Pantaleone, Mafia e politica : 1943-1962, prefazione di Carlo Levi, Torino, Einaudi, 1962. Salvatore Lupo, Storia della mafia. Dalle origini ai nostri giorni, Roma, Donzelli, 1993, Giuseppe Carlo Marino, Storia della mafia, Newton & Compton, ISBN: 888183720X edizioni 100 pagine Norman Lewis, The Honoured Society. The Mafia Conspiracy observed, London, Collins, 1964; Harmondsworth: Penguin, 1967; con il titolo The Honoured Society. The Sicilian Mafia observed, epylogue by Marcello Cimino, London, Eland, 1984. • Giuseppe Casarrubea, Intellettuali e potere in Sicilia. Eretici, riformisti e giacobini nel secolo dei lumi, Palermo, Sellerio, 1983. • Giuseppe Casarrubea e Pia Blandano, L'educazione mafiosa. Strutture sociali e processi di identità, Palermo Sellerio, 1991. • Diego Gambetta, La mafia siciliana. Un'industria della protezione privata, Torino, Einaudi, 1992. • Salvatore Lupo, Storia della mafia. Dalle origini ai nostri giorni, Roma, Donzelli, 1993, 2004. • Giuseppe Casarrubea, Gabbie strette. L'educazione in terre di mafia: identità nascoste e progettualità del cambiamento, Palermo, Sellerio, 1996. • Alessandra Dino, Mutazioni. Etnografia del mondo di Cosa Nostra, Palermo, La Zisa, (2002). • Giuseppe Carlo Marino. Storia della mafia. Dall'"Onorata società" a "Cosa nostra", la ricostruzione critica di uno dei più inquietanti fenomeni del nostro tempo, Roma, Newton & Compton editori, 1998, seconda edizione accresciuta, 2006. • John Dickie, Cosa nostra. A history of the sicilian mafia, London: Hodder & Stoughton, 2004. Edizione italiana: Cosa nostra. Storia della mafia siciliana, traduzione di Giovanni Ferrara degli Uberti, Bari, Laterza, 2005. • Mario Siragusa, Baroni e briganti. Classi dirigenti e mafia nella Sicilia del latifondo, 1861-1950, Milano, Franco Angeli, 2004. • Alessandra Dino, La mafia devota. Chiesa, religione e Cosa Nostra, Bari, Giuseppe Laterza e figli, (2008). • Alessandra Dino, Gli ultimi padrini. Indagine sul governo di Cosa Nostra, Roma-Bari, Editore Laterza, 2011. • Carlo Ruta, Narcoeconomy. Business e mafie che non conoscono crisi, Castelvecchi Editore, Roma, 2011 Cosa nostra durante il fascismo • Giuseppe Tricoli, Il Fascismo e la lotta contro la mafia, ISSPE, 1988. • Arrigo Petacco, Il prefetto di ferro, Milano, Mondadori, 1975, 2004. • Christopher Duggan, Fascism and the Mafia, New Haven (CT), Yale University Press, 1989. Traduzione italiana, La mafia durante il Fascismo, prefazione di Denis Mack Smith, traduzione di Patrizia Niutta, Soveria Mannelli, Rubbettino Editore, 1992. • Salvatore Porto, Mafia e fascismo. Il prefetto Mori in Sicilia, Messina, Siciliano, 2001. • Roberto Olla, Padrini. Alla ricerca del Dna di Cosa nostra, prefazione di Giuseppe Carlo Marino, Milano, Mondadori, 2003. • Salvatore Lupo,Storia della mafia. Dalle origini ai nostri giorni, Roma, Donzelli, 1993, 2004.

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Cosa nostra Cosa nostra dal dopoguerra ad oggi • Giovanni Falcone, Cose di Cosa Nostra, in collaborazione con Marcelle Padovani, Milano, Rizzoli, 1991, 2004. • Manfredi Giffone, Fabrizio Longo, Alessandro Parodi, Un fatto umano - Storia del pool anfimatia [18], Einaudi Stile Libero, 2011, graphic novel, ISBN 978-88-06-19863-3 • Attilio Bolzoni e Giuseppe D'Avanzo, La giustizia è cosa nostra. Il caso Carnevale tra delitti e impunità, Milano, Mondadori, 1995. • Carlo Ruta, Il binomio Giuliano-Scelba. Un mistero della Repubblica?, Soveria Mannelli, Rubettino, 1995. • Giuseppe Casarrubea, Portella della Ginestra, Microstoria di una strage di Stato, Milano, Franco Angeli, 1997, 2002. • Leo Sisti e Peter Gomez, L'intoccabile. Berlusconi e Cosa nostra, Milano, Kaos, 1997 • Giuseppe Casarrubea, Fra' Diavolo e il governo nero. Doppio Stato e stragi nella Sicilia del dopoguerra, introduzione di Giuseppe De Lutiis, Milano, Franco Angeli, 1998, 2000. • Hanspeter Oschwald, Einer gegen die Mafia. Edizione italiana: Orlando, un uomo contro. Il sindaco antimafia, a cura di Sergio Buonadonna, traduzione di Paolo Caropreso, Genova, De Ferrari, 1999. • Umberto Santino, Storia del movimento antimafia: dalla lotta di classe all'impegno civile, Roma, Editori Riuniti, 2000. • Alfio Caruso, Da Cosa nasce Cosa. Storia della Mafia dal 1943 ad oggi, Milano, Longanesi, 2000, 2005. • Giuseppe Casarrubea, Salvatore Giuliano. Morte di un capobanda e dei suoi luogotenenti, Milano, Franco Angeli, 2001. • Leone Zingales, Provenzano. Il re di Cosa Nostra. La vera storia dell'ultimo padrino, Pellegrini, 2001. • Leone Zingales, La mafia negli anni '60 in Sicilia. Dagli affari nell'edilizia alla prima guerra tra clan, fino al processo di Catanzaro, TEV Registri Vaccaro, 2003. • Come nasce la Repubblica. La mafia, il Vaticano e il neofascismo nei documenti americani e italiani, 1943-1947, a cura di Nicola Tranfaglia, note di Giuseppe Casarrubea, Milano, Bompiani, 2004. • Francesco Forgione, Amici come prima. Storie di mafia e politica nella Seconda Repubblica, Roma, Editori Riuniti, 2004. • Saverio Lodato, Venticinque anni di mafia. C'era una volta la lotta alla mafia, Milano, Rizzoli, 2004. • Enrico Bellavia e Salvo Palazzolo, Voglia di mafia. Le metamorfosi di Cosa nostra da Capaci a oggi, prefazione di Gian Carlo Caselli, Roma, Carocci, 2004. • Giuseppe Casarrubea, Storia segreta della Sicilia. Dallo sbarco alleato a Portella delle Ginestre, introduzione di Nicola Tranfaglia, Milano, Bompiani, 2005. • L'amico degli amici. Perché Marcello Dell'Utri è stato condannato a nove anni in primo grado per concorso esterno in associazione mafiosa, a cura di Peter Gomez e Marco Travaglio, Milano, Rizzoli, 2005. • Saverio Lodato e Marco Travaglio, Intoccabili. Perché la mafia è al potere, Milano, Rizzoli, 2005. • Stefano Maria Bianchi e Alberto Nerazzini, La mafia è bianca, presentazione di Michele Santoro, Milano, Rizzoli, 2005. • Nicola Andrucci, Cosa Nostra, attacco allo Stato, Montedit, 2006. • Saverio Lodato, Trent'anni di mafia. Storia di una guerra infinita, Milano, Rizzoli (BUR Saggi), 2006 • Giuseppe Bascietto, Claudio Camarca, Pio La Torre, Una Storia Italiana, Aliberti editore, prefazione del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, 2008. • Giuseppe Ayala, Chi ha paura muore ogni giorno, Mondadori editore, 2008.

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Opere di narrativa • Luigi Natoli (William Galt), I Beati Paoli. Grande romanzo storico siciliano, 2 volumi, Palermo, La Gutenberg, 1925; Milano, Edizioni La Madonnina, 1949; Palermo, Flaccovio Editore, con un saggio introduttivo di Umberto Eco e note storiche e bio-bibliografiche di Rosario La Duca, 1971, 2003. • Luigi Garlando, "Per questo mi chiamo giovanni" Da un padre a un figlio il racconto della vita di Giovanni Falcone, prefazione di Maria Falcone, Fabbri Editori, ristampe nel 2007 3-4 2008 5-6 2009 7-8 9-10. • Giorgio Di Vita, Peppino Impastato, vertigini di memorie, Palermo, Navarra Editore, 2010.

Note [1] Pietro Grasso; Alberto La Volpe, Per non morire di mafia, Milano, Sperling & Kupfer editori, 2009, 297 - EAN 9788873391807. [2] Processo Dell'Utri, Spatuzza in aula: Graviano mi parlò di Berlusconi (http:/ / www. corriere. it/ cronache/ 09_dicembre_04/ spatuzza_deposizione_bunker_mafia_da1907d4-e09c-11de-b6f9-00144f02aabc. shtml). Corriere della Sera. Cronaca. 4 dicembre 2009. [3] Salvatore Lupo, Storia della mafia: dalle origini ai giorni nostri, cit., p. 217. ISBN 8879899031 - ISBN 13 9788879899031 [4] Verbale di Violante su deposizione Antonino Calderone (http:/ / www. liberliber. it/ mediateca/ libri/ i/ italia/ verbali_antimafia_xi_legislatura/ html/ violante01/ 11_00. htm). Liberliber. Mediateca. Libri. Verbali antimafia. [5] Decine di arresti a Palermo e New York Presi i boss del nuovo patto Italia-Usa (http:/ / www. repubblica. it/ 2008/ 01/ sezioni/ cronaca/ operazione-palermo-ny/ operazione-palermo-ny/ operazione-palermo-ny. html). Repubblica. Cronaca. 7 febbraio 2008] [6] Mafia, maxi blitz in Sicilia, Volevano rifondare la Cupola (http:/ / www. repubblica. it/ 2008/ 09/ sezioni/ cronaca/ mafia-5/ blitz-nuova-mafia/ blitz-nuova-mafia. html), Repubblica. Cronaca. 16 dicembre 2008. [7] Giulio Andreotti con il reato di associazione di stampo mafioso fino al 1980, Salvatore Cuffaro condannato per favoreggiamento semplice, Marcello Dell'Utri sospettato di frequentazioni mafiose, Silvio Berlusconi che aveva alle dipendenze Vittorio Mangano, narcotrafficante detto lo stalliere di Arcore, per far correre i cavalli (in gergo corrieri della droga). Corrado Carnevale, detto l'ammazzasentenze per la sua abitudine ad annullare i processi di condanna a noti mafiosi. [8] Chi ha paura muore ogni giorno (http:/ / www. theorein. it/ rubriche/ recensioni/ 2008/ OB07 chi ha paura muore ogni giorno. htm). Giuseppe Ayala. Mondadpori. 2008. "Lo Stato aveva deciso di fermare se stesso proprio nel momento in cui stava registrando risultati esaltanti. E perché? Perché la mafia ce l'aveva dentro..." [9] Paolo Borsellino critica la politica contemporanea (http:/ / www. youtube. com/ watch?v=SGX2FIDbnDg& feature=related) [10] Lo Sbarco alleato in Sicilia del 1943: I Retroscena (http:/ / ambrosioe. altervista. org/ lo_sbarco_in_sicilia_del_1943. html). Altervista. Eduardo Ambrosio. [11] Max Corvo e l´OSS in Italia (http:/ / www. ogginotizie. it/ 5058-max-corvo-e-laoss-in-italia/ ). Oggi notizie. 20 dicembre 2010. [12] Dalla base Nato di Sigonella, la mafia spediva droga in USA (http:/ / ricerca. repubblica. it/ repubblica/ archivio/ repubblica/ 1993/ 12/ 18/ dalla-base-nato-di-sigonella-la-mafia. html). Repubblica. Archivio. 18 dicembre 1993. [13] Angelo Vecchio; con la collaborazione di Andrea Cottone, La mafia dalla A alla Z - Piccola enciclopedia di Cosa nostra, Palermo, Novantacento, 2012, pagina 8. ISBN 9788896499306 [14] Finita la latitanza dorata del boss preso in Francia Salvatore Adelfio (http:/ / ricerca. repubblica. it/ repubblica/ archivio/ repubblica/ 2009/ 03/ 13/ finita-la-latitanza-dorata-del-boss-preso. html). La Repubblica, edizione Palermo (Palermo), 13 marzo 2009, p. 7. URL consultato in data 8 luglio 2012. [15] Mafia russa e Cosa Nostra, nuovi alleati in USA (http:/ / archiviostorico. corriere. it/ 1994/ agosto/ 24/ mafia_russa_Cosa_Nostra_nuovi_co_0_9408245751. shtml). Corriere della Sera. Archivio storico. 24 agosto 1994. [16] I vecchi padrini scalzati da messicani, cinesi e russi (http:/ / www. lastampa. it/ 2012/ 05/ 22/ italia/ cronache/ i-vecchi-padrini-scalzatida-messicani-cinesi-e-russi-n9RY33ugINuRcR9TtnNvlI/ pagina. html). La stampa. Cronache. 22 maggio 2012. [17] I tentacoli della piovra russa in Italia: una rete sempre più forte (http:/ / notizie. virgilio. it/ esteri/ mafia-russa. html). Virgilio. Notizie. Esteri. 25 marzo 2010. [18] http:/ / www. einaudi. it/ speciali/ Giffone-Longo-Parodi-Un-fatto-umano

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Voci correlate • • • • • • • • • • • • •

Mafia Vittime della mafia Rapporto Sangiorgi Cupola mafiosa Clan dei Corleonesi Cosa nostra americana Addiopizzo Addiopizzo Catania Papello Camorra 'Ndrangheta Sacra Corona Unita Stidda

Altri progetti •

Wikimedia Commons contiene file multimediali: http://commons.wikimedia.org/wiki/Category:Cosa Nostra • Articolo su Wikinotizie: Provenzano arrestato dalla Polizia 11 aprile 2006

Collegamenti esterni • La mappa di Cosa Nostra in Sicilia (http://maps.google.com/maps/ms?ie=UTF8&hl=en&msa=0& msid=105181554361788148572.000479764bfb9e7294c0d&ll=37.374523,14.265747&spn=3.003206,5. 817261&z=8)

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Salvatore Riina Salvatore Riina, meglio conosciuto come Totò Riina (Corleone, 16 novembre 1930), è un criminale italiano, ed è stato il capo di Cosa Nostra dal 1982 fino al suo arresto, avvenuto il 15 gennaio 1993. Viene indicato anche con i soprannomi U curtu, per via della sua altezza [1] e La Bestia, adottato per indicare la sua ferocia sanguinaria[2].

Salvatore Riina

Biografia Gli inizi dell'attività criminale Nel 1943 Riina perse il padre Giovanni ed il fratello Francesco (di 7 anni) mentre, insieme a lui ed al fratello Gaetano, stavano cercando di estrarre la polvere da sparo da una bomba americana inesplosa, rinvenuta tra le terre che curavano, per rivenderla insieme al metallo. Gaetano rimase ferito e Totò rimase illeso [3]. Dopo la morte del padre, essendo il maggiore dei figli maschi, a 13 anni divenne il capo famiglia. In questi anni conobbe il criminale Luciano Liggio, il quale lo iniziò al furto delle casse di grano e alla pratica del pizzo ai contadini. A 19 anni fu condannato ad una pena di 12 anni, scontata parzialmente all'Ucciardone per aver ucciso in una rissa un suo coetaneo [4]. Venne scarcerato il 13 settembre 1956 e ritornò nel suo vecchio paese Corleone per assumere un ruolo di rilievo al servizio di Luciano Liggio. In questo periodo conobbe e cominciò a frequentare Antonietta Bagarella, sorella di Calogero e Leoluca Bagarella, che molto presto sarebbe diventata la sua fidanzata. Insieme a Liggio prese ad occuparsi di macellazione clandestina. Con loro c'era Bernardo Provenzano, detto "Binnu u' tratturi". Liggio e i suoi fedelissimi inizialmente furono al servizio del dottor Michele Navarra, capomafia di Corleone. Successivamente, assetati di potere, decisero di eliminare Navarra per ottenere il predominio nel paese.

Carta d'identità di Salvatore Riina, rilasciata nel 1955.

Foto segnaletica di Salvatore Riina


Salvatore Riina Tra gli uomini di Liggio figurava anche lo zio di Salvatore, Giacomo Riina, arrestato nel 1942 insieme allo stesso Liggio per contrabbando di sigarette. Michele Navarra, invece, fu assassinato dai sicari di Liggio (2 agosto 1958), il quale assunse la guida del clan corleonese. Riina, insieme agli amici d'infanzia Bernardo Provenzano e Calogero Bagarella, iniziò ad eliminare tutti coloro che erano stati fedeli a Navarra (i cosiddetti "navarriani"). Riina venne però arrestato nel dicembre del 1963 a Corleone. Una notte fu fermato, nella parte alta del paese, da una pattuglia di agenti di Polizia di cui faceva parte anche il commissario Angelo Mangano [5] (il quale nel 1964 sarà uno degli artefici dell'arresto di Luciano Liggio [6]). Riina, che aveva una carta d'identità falsa (dalla quale risultava essere "Giovanni Grande" da Caltanissetta) ed una pistola non regolarmente dichiarata, tentò di scappare ma venne braccato e facilmente catturato dalle forze dell'ordine. Fu riconosciuto dall'agente Biagio Melita [7]. Tuttavia, dopo aver scontato alcuni anni di prigione al carcere dell'Ucciardone (dove conobbe Gaspare Mutolo), fu assolto nei due processi a suo carico, svoltisi a Catanzaro (il famoso processo dei 114 [2]) e a Bari nel 1969 [8].

L'ascesa ai vertici di Cosa nostra Nel 1969 Salvatore Riina fu tra gli esecutori della strage di Viale Lazio, dove morirono Calogero Bagarella (nel gruppo di fuoco di Riina) e il boss Michele Cavataio, obiettivo dell'attentato, insieme a tre suoi uomini [8]. Agli inizi degli anni settanta, Riina, Luciano Liggio e Bernardo Provenzano diedero inizio alla scalata criminale al potere di Palermo, dove contavano sull'appoggio dell'allora sindaco Vito Ciancimino, anch'egli nativo di Corleone. A Palermo Riina si fece nemici il boss Giuseppe Di Cristina, Giuseppe Calderone, Stefano Bontate e Salvatore Inzerillo che volevano impedire l'ascesa dei Corleonesi. Fu invece appoggiato dai capi mafiosi Michele Greco e Pippo Calò. In questo periodo Riina prese il posto di Liggio, arrestato nel 1974, alla guida del clan dei corleonesi, che sotto il suo comando accrebbero notevolmente il proprio potere finanziario, grazie al traffico di droga, alle gare d'appalto a Palermo e al contrabbando di sigarette, svolto in società con i fratelli Ciro e Lorenzo Nuvoletta, boss della Camorra affiliati anche a Cosa nostra. Il 16 aprile dell'anno 1974 sposa (matrimonio che poi risulterà non valido[9]) Antonietta Bagarella (sorella del suo amico d'infanzia Calogero). Dall'unione sono nati quattro figli: Maria Concetta, Giovanni Francesco, Giuseppe Salvatore e Lucia. Al suo servizio troviamo tre dei più feroci killer: Pino Greco detto "Scarpuzzedda", esecutore di vari ed efferati delitti, Mario Prestifilippo, Leoluca Bagarella, cognato dello stesso Riina. Siccome Di Cristina e Calderone lo stavano ostacolando, li fece assassinare barbaramente [10]. Il boss Stefano Bontate invitò Riina nella sua villa per ucciderlo, ma quest'ultimo venne avvisato da Michele Greco e alla villa mandò due suoi uomini: il piano omicida di Bontate era fallito. Riina allora fece uccidere Bontate e Salvatore Inzerillo: queste due uccisioni scatenarono una sanguinosa seconda guerra di mafia nei primi anni ottanta. Durante questa "guerra" fece uccidere i parenti del boss Tommaso Buscetta (che si salvò fuggendo in Brasile). In seguito Buscetta verrà estradato in Italia e comincerà a collaborare con il giudice Giovanni Falcone [11]. Sconfitte le famiglie dei Bontate [12], degli Inzerillo, dei Di Cristina, dei Buscetta, dei Badalamenti e dei Calderone, Riina raggiunse il vertice del potere mafioso [13], ed estese il suo potere su tutta Cosa Nostra [14], realizzando in questo periodo un'aggressiva campagna contro lo Stato, ordinando gli omicidi di tutti coloro che tentavano di ostacolarlo [15].

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Gli omicidi contro le istituzioni e gli organi d'informazione Nell'ondata di omicidi contro lo Stato ordinati da Riina, caddero tra gli altri: • • • • • • • • • • • • • •

Il procuratore Pietro Scaglione (ucciso nel 1971) Il tenente colonnello Giuseppe Russo (ucciso nel 1977) Il giornalista Mario Francese (ucciso nel 1979) Il politico Michele Reina (ucciso nel 1979) Il capo della squadra mobile Boris Giuliano (ucciso nel 1979) Il giudice Cesare Terranova e il maresciallo Lenin Mancuso (uccisi nel 1979) Il presidente della Regione Siciliana Piersanti Mattarella (ucciso nel 1980)[16] Il capitano dei carabinieri Emanuele Basile (ucciso nel 1980) L'onorevole Pio La Torre e il suo autista Rosario Di Salvo (uccisi nel 1982) [17] Il prefetto Generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, la moglie Emanuela Setti Carraro e l'agente di PS Domenico Russo (uccisi nel 1982)[18] Il poliziotto Calogero Zucchetto (ucciso nel 1982) Il giudice Rocco Chinnici (ucciso nel 1983)[19] Il capitano dei carabinieri Mario D'Aleo e i colleghi, Giuseppe Bommarito e Pietro Morici (uccisi nel 1983) I commissari Beppe Montana e Ninni Cassarà (uccisi nel 1985)

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Il giudice Alberto Giacomelli (ucciso nel 1988) Il giudice Antonino Scopelliti (ucciso nel 1991) L'imprenditore Libero Grassi (ucciso nel 1991) I giudici Falcone [20], Francesca Morvillo e Borsellino[19] con le loro scorte (uccisi nel 1992).

Salvo Lima, potente politico della DC, e Ignazio Salvo, l'esattore della famiglia di Salemi, avrebbero promesso a Riina che la sentenza del Maxiprocesso (che lo condannava all'ergastolo in contumacia) sarebbe stata modificata grazie alle loro conoscenze negli ambienti della politica e della magistratura romana. Ciò, tuttavia, non avvenne e il 30 gennaio 1992 la Cassazione confermò gli ergastoli[21] e sancì la validità delle dichiarazioni del pentito Buscetta e degli altri collaboratori di giustizia. Riina reagì facendo uccidere prima Lima [19] e pochi mesi dopo Ignazio Salvo [22] .

Le ritorsioni verso i collaboratori di giustizia Le deposizioni dei collaboratori di giustizia (su tutti Tommaso Buscetta) scatenarono la ritorsione di Cosa Nostra su precisa indicazione di Totò Riina, il quale autorizzò i killer e i capofamiglia ad eliminare i familiari dei pentiti "sino al 20º grado di parentela" [23], compresi i bambini e le donne [22][23][24].

Il Papello e la trattativa con lo stato L'allora vicecomandante dei Ros, Mario Mori, incontrò tra giugno e ottobre 1991 Vito Ciancimino, proponendo una trattativa con Cosa Nostra per mettere fine alla lunga scia di omicidi che insanguinavano Palermo. La proposta era in realtà, secondo la versione fornita da Mori, una trappola per cercare di stanare qualche latitante, ma Riina rispose alla finta richiesta con il famoso Papello [25], un documento di richieste [26] per ammorbidire le condizioni dei detenuti, degli indagati, delle loro famiglie, la cancellazione della legge sui pentiti e la revisione del maxiprocesso [22]. L'esistenza della trattativa tra stato e Cosa Nostra è stata successivamente smentita dallo stesso Mori.[27] Il 12 marzo 2012, però, nella motivazione della sentenza del processo a Francesco Tagliavia per le stragi del 1992 1993, i giudici scrivono che la trattativa tra Stato e Cosa nostra "ci fu e venne quantomeno inizialmente impostata su un do ut des [...] L'iniziativa fu assunta da rappresentanti dello Stato e non dagli uomini di mafia".[28]....

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Salvatore Riina

L'arresto Il 15 gennaio del 1993 fu catturato dal Crimor (squadra speciale dei ROS guidata dal Capitano Ultimo) [29]. Riina, latitante dal 1969, venne arrestato al primo incrocio davanti alla sua villa in via Bernini n. 54, insieme al suo autista Salvatore Biondino [30], a Palermo. Nella villa aveva trascorso alcuni anni della sua latitanza insieme alla moglie Antonietta Bagarella e ai suoi figli [31]. L'arresto fu favorito dalle dichiarazioni rese dall'ex autista di Riina, Baldassare Di Maggio, divenuto nel frattempo collaboratore di giustizia, per ritorsione verso Cosa Nostra che lo aveva condannato a morte [32][33].

Le condanne Nell'ottobre del 1993 subisce la seconda condanna all'ergastolo, come mandante dell'omicidio del boss Vincenzo Puccio [34]. Nel 1994, altro ergastolo per l'omicidio di tre pentiti e quello di un cognato di Tommaso Buscetta[35]. Viene condannato all'ergastolo, assieme ai vertici di Cosa Nostra, per la Strage di Capaci, in cui persero la vita il giudice Giovanni Falcone, la moglie e la scorta [36]. Nel 1995, nel processo per l'omicidio del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, del capo della mobile Boris Giuliano, e del professor Paolo Giaccone, Riina e altri dieci boss mafiosi vengono condannati all'ergastolo [37]. Nel 1999, viene condannato all'ergastolo come mandante per la Strage di via D'Amelio, in cui persero la vita il giudice Paolo Borsellino e quattro dei suoi uomini di scorta. Insieme a lui vengono condannati alla stessa pena i boss Pietro Aglieri Salvatore Biondino, Carlo Greco, Giuseppe Graviano, Gaetano Scotto e Francesco Tagliavia [38]. Nel 2000 subisce una ulteriore condanna all'ergastolo insieme a Giuseppe Graviano per l'attentato in Via dei Georgofili, in cui persero la vita 5 persone e subirono enormi danni musei e chiese [39], oltre che per gli attentati di Milano e Roma [40]. Nel 2002, per l'omicidio nel 1988 del giudice in pensione Alberto Giacomelli, viene condannato all'ergastolo come mandante [41]. Nel febbraio 2010, ancora un ergastolo per Riina, che insieme a Giuseppe Madonia, Gaetano Leonardo e Giacomo Sollami, decise l'omicidio di Giovanni Mungiovino, affiliato a Cosa Nostra nel 1983, Giuseppe Cammarata, scomparso nel 1989 e Salvatore Saitta, ucciso nel 1992 [42]. Il 26 gennaio 2012 gli viene inflitta una condanna all'ergastolo da parte della Corte di Assise di Milano perché ritenuto il mandante dell'omicidio di Alfio Trovato del 2 maggio 1992 avvenuto in via Palmanova a Milano.

Il carcere A partire dal dicembre 1995, Riina è stato rinchiuso nel supercarcere dell'Asinara, in Sardegna [43]. In seguito è stato trasferito al carcere di Marino del Tronto ad Ascoli Piceno dove, per circa tre anni, è stato sottoposto al carcere duro previsto per chi commette reati di mafia, il 41 bis, ma il 12 marzo del 2001 gli venne revocato l'isolamento, consentendogli di fatto la possibilità di vedere altri detenuti nell'ora di libertà [44]. Proprio mentre era sottoposto a regime di 41 bis, il 24 maggio 1994 durante una pausa del processo di primo grado a Reggio Calabria per l'uccisione del giudice Antonino Scopelliti fu raggiunto dal capo-redattore della Gazzetta del Sud Paolo Pollichieni, al quale rilasciò dichiarazioni minacciose contro il procuratore Giancarlo Caselli ed altri rappresentanti delle istituzioni, lamentandosi delle severe condizioni imposte dal carcere duro. L'intervento di Riina causò l'apertura di un provvedimento disciplinare da parte del Consiglio Superiore della Magistratura contro il pubblico ministero Salvatore Boemi, accusato di non aver vigilato sul detenuto.[45] Dopo pochi mesi dalle dichiarazioni del boss corleonese il regime di 41 bis (allora valido per soli tre anni, decorsi i quali decadeva la sua applicabilità) è stato rafforzato mediante vari interventi legislativi volti a renderlo prorogabile di anno in anno. Nella primavera del 2003 subisce un intervento chirurgico per problemi cardiaci, e nel maggio dello stesso anno viene ricoverato nell'ospedale di Ascoli Piceno per un infarto [46]. Sempre nel 2003, a settembre, viene nuovamente ricoverato per problemi cardiaci [46].

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Salvatore Riina Il 22 maggio 2004, nell'udienza del processo di Firenze per la strage di via dei Georgofili, accusa il coinvolgimento dei servizi segreti nelle stragi di Capaci e via d'Amelio, e riferisce dei contatti fra l'allora colonnello Mario Mori e Vito Ciancimino, attraverso il figlio di lui Massimo al tempo non convocato in dibattimento.[47][48] Trasferito nel carcere milanese di Opera, viene nuovamente ricoverato nel 2006 all'ospedale San Paolo di Milano, sempre per problemi cardiaci [49].

Trattativa Stato-Mafia Dal carcere di Opera, il 19 luglio 2009, nel ricorrerne l'anniversario esprime di nuovo la sua posizione secondo cui la strage di via d'Amelio sarebbe da imputare allo Stato italiano e ai servizi segreti, ovvero si sarebbe trattato di una strage di Stato.[50] Questa posizione è stata avvalorata alla fine dell'ottobre 2010 da alcune rivelazioni del collaboratore di giustizia Gaspare Spatuzza, il quale ha più volte riconosciuto un importante funzionario dei servizi segreti, Lorenzo Narracci, come "il soggetto estraneo a Cosa nostra visto nel garage mentre veniva imbottita di tritolo la Fiat 126 usata nell'attentato al giudice Paolo Borsellino".[51] [52] Il 24 luglio 2012 la Procura di Palermo, sotto Antonio Ingroia e in riferimento all'indagine sulla Trattativa Stato-Mafia, ha chiesto il rinvio a giudizio di Riina e altri 11 indagati accusati di "concorso esterno in associazione mafiosa" e "violenza o minaccia a corpo politico dello Stato". Gli altri imputati sono i politici Calogero Mannino, Marcello Dell'Utri, gli ufficiali Mario Mori e Giuseppe De Donno, i boss Giovanni Brusca, Leoluca Bagarella, Antonino Cinà e Bernardo Provenzano, il collaboratore di giustizia Massimo Ciancimino (anche "calunnia") e l'ex ministro Nicola Mancino ("falsa testimonianza").[53]

Figli Riina ha quattro figli: Maria Concetta (nata il 7 dicembre 1974), Giovanni Francesco (nato il 21 febbraio 1976), Giuseppe Salvatore (nato il 3 maggio 1977) e Lucia (nata l'11 aprile 1980). Giovanni Francesco è stato condannato all'ergastolo per quattro omicidi avvenuti nel 1995. Giuseppe Salvatore è stato condannato per associazione mafiosa e scarcerato il 29 febbraio 2008 per decorrenza termini dopo essere stato detenuto per otto anni[54]. Il 2 ottobre 2011, dopo aver scontato completamente la pena di 8 anni e 10 mesi, viene nuovamente rilasciato sotto prevenzione con obbligo di dimora a Corleone[55] e inizia a trapelare la notizia di un suo piano per fare un attentato all'ex Ministro della Giustizia Angelino Alfano per via dell'inasprimento del regime di 41 bis[56]. La stessa notizia è stata ritenuta da alcune fonti priva di fondamento.

Bibliografia • Alessandra Dino, Gli ultimi padrini. Indagine sul governo di Cosa Nostra, Roma-Bari, Editore Laterza, 2011. • Attilio Bolzoni - Giuseppe D'Avanzo, Il capo dei capi, Milano, Arnoldo Mondadori Editore, 1993. • Aldo Pecora, Primo sangue, Rizzoli (Bur), 2010, ISBN 978-88-17-04389-2

Filmografia • Il capo dei capi, fiction televisiva di Canale 5 [57][58] • L'ultimo dei corleonesi, fiction di Rai Uno su Totò Riina e Bernardo Provenzano • Il Divo film di Paolo Sorrentino su Giulio Andreotti

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Note [1] ATTILIO BOLZONI e GIUSEPPE D' AVANZO. MINACCE AI GIUDICI DI TOTO' ' U CURTU (http:/ / ricerca. repubblica. it/ repubblica/ archivio/ repubblica/ 1993/ 03/ 09/ minacce-ai-giudici-di-toto-curtu. html). la Repubblica, 9 marzo 1993, p. 21. URL consultato in data 6 Febbraio 2012. [2] Salvatore Riina: il capomafia corleonese (http:/ / storiadellamafia. skyrock. com/ 430673779-Salvatore-Riina-il-capomafia-corleonese. html). Storia della mafia, 20 aprile 2006. URL consultato in data 6 febbraio 2012. [3] Enrico Deaglio, Raccolto rosso: la mafia, l'Italia e poi venne giù tutto, Feltrinelli, 1993, pag. 158. [4] Da Blu Notte - La Mattanza, Rai3 [5] Leoni addormentati (http:/ / dweb. repubblica. it/ dettaglio/ i-leoni-addormentati/ 24102?page=3). la Repubblica, 15 ottobre 2007, p. 3. URL consultato in data 6 febbraio 2012. [6] Tony Zermo. A 87 anni, è morto il questore Angelo Mangano, arrestò Liggio (http:/ / www. cittanuove-corleone. it/ E' morto il questore Mangano. html). Città nuove, 3 aprile 2005. URL consultato in data 6 febbraio 2012. [7] Dino Paternostro. Il vero Biagio che arrestò Riina (http:/ / www. cittanuove-corleone. it/ La Sicilia, Il vero Biagio che arrestò Riina 16. 12. 2007. pdf). La Sicilia, 16 dicembre 2007, p. 44. URL consultato in data 6 febbraio 2012. [8] Dino Paternostro. Lo <<sbarco>> di Totò Riina a Palermo (http:/ / www. cittanuove-corleone. it/ La Sicilia, Liggio incorona Riina 23. 10. 2005 pa03. pdf). La Sicilia, 23 ottobre 2005, p. 31. URL consultato in data 6 febbraio 2012. [9] Francesco La Licata. Toto' Riina per la legge è scapolo Il suo matrimonio non fu mai registrato (http:/ / archivio. lastampa. it/ LaStampaArchivio/ main/ History/ tmpl_viewObj. jsp?objid=1079902). La Stampa, 14 aprile 1993. URL consultato in data 6 febbraio 2012. [10] LA STORIA DEL PADRINO (http:/ / ricerca. repubblica. it/ repubblica/ archivio/ repubblica/ 1997/ 10/ 18/ la-storia-del-padrino. html). La Stampa, 18 ottobre 1997, p. 2. URL consultato in data 6 febbraio 2012. [11] Dentro Cosa Nostra (http:/ / www. blunotte. rai. it/ dl/ portali/ site/ puntata/ ContentItem-bbbeb6e0-01c9-4b51-89e6-e6f1a6a82525. html). Rainews, 26 agosto 2011. URL consultato in data 6 febbraio 2012. [12] L' Invisibile Boss Che Da Vent' Anni Firma Il Massacro - Repubblica.It » Ricerca (http:/ / ricerca. repubblica. it/ repubblica/ archivio/ repubblica/ 1989/ 08/ 10/ invisibile-boss-che-da-vent-anni. html) [13] IL 'GOLPE' DI TOTO' RIINA, IL CORLEONESE - Repubblica.it » Ricerca (http:/ / ricerca. repubblica. it/ repubblica/ archivio/ repubblica/ 1989/ 05/ 13/ il-golpe-di-toto-riina-il-corleonese. html) [14] FALCONE: 'E' TOTO' RIINA IL VERO BOSS DELLA MAFIA' - Repubblica.it » Ricerca (http:/ / ricerca. repubblica. it/ repubblica/ archivio/ repubblica/ 1988/ 12/ 07/ falcone-toto-riina-il-vero-boss. html) [15] Fu Riina a volere il terrorismo di mafia - Repubblica.it » Ricerca (http:/ / ricerca. repubblica. it/ repubblica/ archivio/ repubblica/ 2000/ 04/ 29/ fu-riina-volere-il-terrorismo-di-mafia. html) [16] PORTALE LEGALITA' ANSA - MAFIA: 17 ANNI FA UCCISO GIORNALISTA BEPPE ALFANO (http:/ / www. ansa. it/ legalita/ rubriche/ fattidelgiorno/ 2010/ 01/ 06/ visualizza_new. html_1673856437. html) [17] Pio La Torre (http:/ / www. ansa. it/ legalita/ static/ bio/ latorre. shtml) [18] Arma dei Carabinieri - Home - L'Arma - Curiosità - Non tutti sanno che... - D (http:/ / www. carabinieri. it/ Internet/ Arma/ Curiosita/ Non+ tutti+ sanno+ che/ D/ 3+ D. htm) [19] Ecco Chi Uccise Chinnici E Lima I Pentiti Svelano I Nomi Dei Killer - Repubblica.It » Ricerca (http:/ / ricerca. repubblica. it/ repubblica/ archivio/ repubblica/ 1993/ 12/ 08/ ecco-chi-uccise-chinnici-lima-pentiti-svelano. html) [20] Archivio - LASTAMPA.it (http:/ / archivio. lastampa. it/ LaStampaArchivio/ main/ History/ tmpl_viewObj. jsp?objid=960473) [21] Archivio - LASTAMPA.it (http:/ / archivio. lastampa. it/ LaStampaArchivio/ main/ History/ tmpl_viewObj. jsp?objid=1004477) [22] Blu Notte - puntata La Mattanza - Rai3 [23] ' E Toto' Riina Ci Ordino' Uccidete I Bimbi Dei Pentiti' - Repubblica.It » Ricerca (http:/ / ricerca. repubblica. it/ repubblica/ archivio/ repubblica/ 1994/ 04/ 24/ toto-riina-ci-ordino-uccidete-bimbi. html) [24] http:/ / giornaleonline. unionesarda. ilsole24ore. com/ Articolo. aspx?Data=19960613& Categ=4& Voce=1& IdArticolo=90574 [25] "E' l'uomo del papello di Riina" Nuove indagini sulle stragi del '92 - cronaca - Repubblica.it (http:/ / www. repubblica. it/ 2008/ 02/ sezioni/ cronaca/ mafia-3/ stragi-indagini/ stragi-indagini. html) [26] Trattative tra mafia e Stato Il "papello" consegnato ai giudici - Corriere della Sera (http:/ / www. corriere. it/ cronache/ 09_ottobre_15/ papello-procura_b3df4306-b9b1-11de-880c-00144f02aabc. shtml) [27] Mori: «Non ci fu nessuna trattativa Stato-mafia» (http:/ / www. corriere. it/ cronache/ 09_ottobre_20/ mori-processo-mafia-palermo_81ef49f4-bd58-11de-a737-00144f02aabc. shtml). 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Salvatore Riina [34] TERZA CONDANNA ALL' ERGASTOLO PER TOTO' RIINA - Repubblica.it » Ricerca (http:/ / ricerca. repubblica. it/ repubblica/ archivio/ repubblica/ 1993/ 10/ 09/ terza-condanna-all-ergastolo-per-toto-riina. html) [35] Toto' Riina fa tris, di ergastoli (http:/ / archiviostorico. corriere. it/ 1994/ luglio/ 05/ Toto_Riina_tris_ergastoli_co_0_9407052791. shtml) [36] Sentenza Strage - CONDANNE ALL'ERGASTOLO (http:/ / www. fondazionefalcone. it/ a_documenti/ c_ergast. htm) [37] Delitto Dalla Chiesa: ottavo ergastolo a Riina (http:/ / archiviostorico. corriere. it/ 1995/ marzo/ 18/ Delitto_Dalla_Chiesa_ottavo_ergastolo_co_0_95031816119. shtml) [38] Via D' Amelio, sette ergastoli (http:/ / archiviostorico. corriere. it/ 1999/ febbraio/ 14/ Via_Amelio_sette_ergastoli_co_0_9902143059. shtml) [39] Ergastolo a Totò Riina per la strage - Repubblica.it » Ricerca (http:/ / ricerca. repubblica. it/ repubblica/ archivio/ repubblica/ 2000/ 01/ 22/ ergastolo-toto-riina-per-la-strage. html) [40] Rainews24 | Mafia. Bombe '93, ergastolo per Totò Riina (http:/ / www. rainews24. rai. it/ it/ news_print. php?newsid=10459) [41] Quel giudice in pensione assassinato da Totò Riina - Repubblica.it » Ricerca (http:/ / ricerca. repubblica. it/ repubblica/ archivio/ repubblica/ 2009/ 09/ 10/ quel-giudice-in-pensione-assassinato-da-toto. html) [42] http:/ / www. sicilianews24. it/ index. php?option=com_content& task=view& id=12740& Itemid [43] Toto' Riina nel carcere dell' Asinara (http:/ / archiviostorico. corriere. it/ 1995/ dicembre/ 31/ Toto_Riina_nel_carcere_dell_co_0_95123112330. shtml) [44] la Repubblica/cronaca: Mafia, niente piu' isolamento diurno per Toto' Riina (http:/ / www. repubblica. it/ online/ cronaca/ riinadue/ riinadue/ riinadue. html) [45] (fonte: Cap. "Le tre facce della medaglia", pag. 121 - Primo sangue, Aldo Pecora, Bur Rizzoli, Milano 2010) [46] Ascoli, Totò Riina ricoverato in ospedale dopo malore - Repubblica.it » Ricerca (http:/ / ricerca. repubblica. it/ repubblica/ archivio/ repubblica/ 2003/ 10/ 29/ ascoli-toto-riina-ricoverato-in-ospedale-dopo. html) [47] http:/ / www. avvenire. it/ Multimedia/ AudioGallery/ audio+ rina. htm [48] http:/ / www. avvenire. it/ Cronaca/ Stragi+ di+ mafia+ i+ vecchi+ veleni+ di+ Riina_200907250655320500000. htm [49] Totò Riina ricoverato per problemi al cuore - Repubblica.it » Ricerca (http:/ / ricerca. repubblica. it/ repubblica/ archivio/ repubblica/ 2006/ 12/ 20/ toto-riina-ricoverato-per-problemi-al-cuore. html) [50] Riina sul delitto Borsellino: "L'hanno ammazzato loro" (http:/ / www. repubblica. it/ 2009/ 07/ sezioni/ cronaca/ mafia-8/ bolzoni-viviano/ bolzoni-viviano. html) [51] Spatuzza riconosce un uomo dei servizi "Era vicino all'autobomba per Borsellino" - Repubblica.it (http:/ / www. repubblica. it/ cronaca/ 2010/ 10/ 27/ news/ spatuzza_borsellino-8496629/ ?ref=HREA-1) [52] Spatuzza sembra riconoscere lo 007 vicino all'auto dell'attentato a Borsellino - Corriere della Sera (http:/ / www. corriere. it/ cronache/ 10_ottobre_27/ spatuzza-borsellino-007_9aa695c2-e1ee-11df-9076-00144f02aabc. shtml) [53] Trattativa, la Procura chiede il rinvio a giudizio: processo per Riina, Provenzano e Mancino (http:/ / palermo. repubblica. it/ cronaca/ 2012/ 07/ 24/ news/ trattati_la_procura_chiede_il_rinvio_a_giudizio-39613634/ ?ref=HRER2-1). Repubblica. Cronaca. 24 luglio 2012. [54] Libero figlio di Riina (http:/ / www. repubblica. it/ 2008/ 01/ sezioni/ cronaca/ mafia-2/ libero-figlio-riina/ libero-figlio-riina. html) Repubblica.it [55] Riina jr esce dal carcere e torna a Corleone (http:/ / www. corriere. it/ cronache/ 11_ottobre_02/ riina-libero-corleone_a02fa3dc-ece5-11e0-9c5b-49e285760169. shtml) Corriere.it, 02-10-2011 [56] Un pentito: Riina Jr progettava di uccidere l'ex ministro Alfano (http:/ / www. corriere. it/ cronache/ 11_ottobre_03/ riina-progetto-attentato-alfano_218d1a46-edb2-11e0-8721-690dea02417b. shtml) Corriere.it, 03-10-2011 [57] Il Capo dei capi - Corriere della Sera.it 3/5/2007 (http:/ / www. corriere. it/ Primo_Piano/ Spettacoli/ 2007/ 05_Maggio/ 03/ il_capo_dei_capi. shtml) [58] «Ecco la vita di Totò Riina: come si diventa criminali» - Il Giornale.it 23/10/2007 (http:/ / www. ilgiornale. it/ spettacoli/ ecco_vita_toto_riina_come_si_diventa_criminali/ 23-10-2007/ articolo-id=215197-page=0-comments=1)

Voci correlate • • • • • • • •

Mafia Cosa Nostra Clan dei Corleonesi Trattativa tra Stato italiano e Cosa nostra Bernardo Provenzano Luciano Liggio Michele Navarra Calogero Bagarella

• Leoluca Bagarella • Antonietta Bagarella

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Salvatore Riina

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• Giovanni Brusca • Pietro Rampulla • Gaspare Spatuzza

Altri progetti •

Articolo su Wikinotizie: Riina arrestato dal Raggruppamento Operativo Speciale 15 gennaio 1993 Predecessore: Luciano Liggio

Predecessore: Gaetano Badalamenti

Predecessore: Seconda guerra di mafia

Capo dei Corleonesi Salvatore Riina 1974 - 1993

Successore: Bernardo Provenzano

Commissione di Cosa Nostra Michele Greco, Salvatore Riina, Stefano Bontate 1978 - 1981

Capo dei capi di Cosa Nostra Salvatore Riina 1982 - 1993

Successore: Seconda guerra di mafia

Successore: Leoluca Bagarella, Bernardo Provenzano

Collegamenti esterni • Biografia di Salvatore Riina (http://digilander.libero.it/inmemoria/riina_salvatore.htm)


Bernardo Provenzano

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Bernardo Provenzano Bernardo Provenzano, detto Binnu u tratturi (Bernardo il trattore, per la violenza con cui falciava le vite dei suoi nemici) e Zù Binu[1] (Corleone, 31 gennaio 1933[2]), è un criminale italiano, ritenuto il capo dei capi di "Cosa nostra", la mafia siciliana, dopo l'arresto di Totò Riina. Arrestato l'11 aprile 2006, Provenzano era ricercato sin dal 9 maggio 1963[3], con una latitanza record di quarantatré anni. In precedenza era già stato condannato in contumacia a tre ergastoli ed aveva altri procedimenti penali in corso.

Foto segnaletica ritraente Bernardo Provenzano da giovane.

Biografia Origini Nato da una famiglia corleonese molto povera, terzo di sette figli[4], venne ben presto mandato a lavorare nei campi abbandonando la scuola (non finì la seconda elementare), arruolandosi altrettanto precocemente nelle file delle organizzazioni malavitose. Entrò al servizio di Michele Navarra, capo dei mafiosi di Corleone. A metà degli anni cinquanta scoppiò la guerra per il predominio di Corleone tra Luciano Liggio (detto "Lucianeddu") e Navarra. Provenzano si schierò col primo, a cui era già da tempo molto legato insieme a Totò Riina. Il 10 settembre 1963 fu emanato un mandato di cattura contro di lui per l'omicidio di Michele Navarra[5]. Il 10 dicembre 1969 partecipò alla strage di Viale Lazio, dove l'obiettivo era eliminare il boss Michele Cavataio, detto Il cobra, reo di aver messo tutte le Bernardo Provenzano da giovane. famiglie contro e di aver fatto scoppiare la prima guerra [5] di mafia . Provenzano uccise Cavataio spaccandogli il cranio con il calcio della mitragliatrice e poi lo finì con un colpo di pistola: per la ferocia dimostrata durante questa azione, i mafiosi di Palermo lo soprannominarono "u' tratturi", perché dicevano che dove passava Provenzano non cresceva più l'erba. Dopo che Luciano Liggio fu catturato nel 1974, prese il potere del clan dei corleonesi Salvatore Riina,


Bernardo Provenzano

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affiancato da Bernardo Provenzano e Leoluca Bagarella, il quale, scatenando la seconda guerra di mafia, li portò in pochi anni alla guida di tutta Cosa nostra siciliana[6].

Ai vertici di Cosa nostra con Totò Riina Nel 1984 i Corleonesi dopo aver eliminato tutti i rivali diventarono i leader della Cupola mafiosa e Totò Riina divenne il capo dei capi di Cosa nostra. I Corleonesi furono l'unica cosca ad avere due rappresentanti nella commissione direttiva. Essi erano, per l'appunto, Totò Riina e Bernardo Provenzano. I pupilli dei due capimafia corleonesi erano i palermitani Antonino Madonia e Giuseppe Lucchese Miccichè, che visto la giovane età, Totò Riina chiamava "u' nicu". Preso il potere nella commissione, il clan corleonese sviluppò una strategia aggressiva nei confronti della magistratura e dello Stato. Si verificarono quindi le stragi contro i vertici della magistratura inquirente siciliana: nel 1992 con la Strage di Capaci dove fu ucciso il magistrato Giovanni Falcone e con la strage di via d'Amelio dove fu ucciso il magistrato Paolo Borsellino; e successivamente i minacciosi attentati del 1993 a Roma, a Firenze e a Milano.

Ultima foto giovanile conosciuta di Provenzano nel 1959.

La risposta dello Stato non fu forse rapida ma comunque fu efficace e portò al completo smantellamento dell'organizzazione mafiosa grazie ad una serie di arresti attuati dalle forze dell'ordine al fine di far cessare la strategia stragista di Cosa nostra. Lo Stato attuò una massiccia repressione contro Cosa nostra e furono arrestati in rapida successione moltissimi capi dell'organizzazione fra tutti il capo dei capi Totò Riina ritenuto il principale ideatore della strategia stragista. Per gli attentati ai due magistrati, Provenzano venne condannato all'ergastolo in contumacia[5].

Primo identikit.

Da solo al comando e il nuovo corso di Cosa Nostra Dopo la cattura di Totò Riina nel 1993, Provenzano diviene il Capo dei Corleonesi[7] e successivamente il capo assoluto della mafia siciliana, sostituendo Riina e


Bernardo Provenzano

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cambiando radicalmente la strategia, portando l'organizzazione ad una rapida sommersione, facendo riconquistare ai mafiosi l'invisibilità dei grandi Padrini lasciandosi definitivamente alle spalle le stragi che avevano colpito l'Italia in quel periodo. Nel 1995 e nel 1996 vennero arrestati rispettivamente Leoluca Bagarella rivale alla successione a capo dei capi di Cosa Nostra e Giovanni Brusca. Dopo la cattura di Leoluca Bagarella, arrestato dalla Direzione Investigativa Antimafia il 24 giugno 1995, Provenzano ha campo libero e comanda a modo suo, un modo molto diverso dalla strategia del sangue di Totò Riina Nel 2002 si ebbe notizia che si fosse fatto operare sotto falso nome (Gaspare Troia) a Marsiglia per un cancro alla prostata, secondo alcune fonti dall'urologo Attilio Manca[8].

Foto segnaletica di Bernardo Provenzano, eseguita dopo la cattura, l'11 aprile 2006.

In quell'occasione le forze dell'ordine riuscirono ad entrare in possesso di una foto del boss, applicata sulla finta carta d'identità[9]. Nel 2005 le forze dell'ordine eseguirono varie operazioni in Sicilia nei possibili luoghi dove si sarebbe potuto nascondere il latitante, ma senza mai arrivare alla cattura. Nel 2006 c'è un tentativo di depistaggio: il 31 marzo 2006 (11 giorni prima dell'arresto) il legale del boss latitante annuncia la morte del suo assistito[10], subito smentita dalla Dia di Palermo[5].

Confronto tra l'ultimo identikit, eseguito nel 2005 e una foto scattata dopo la cattura nel 2006.

L'arresto Le indagini che portarono all'arresto del capo mafia di Corleone si incentrarono sull'intercettazione dei famosi pizzini, i biglietti con cui Provenzano comunicava con la moglie, il cognato Carmelo Gariffo e con il resto del clan. Dopo l'intercettazione di questi pizzini e alcuni pacchi contenenti la spesa e la biancheria, movimentati da alcuni staffettisti di fiducia del boss[11], i poliziotti della Squadra Mobile di Palermo e gli agenti della Sco riuscirono a identificare il luogo in cui si rifugiava Provenzano[3][12].

Bernardo Provenzano al momento dell'arresto nel 2006.

Individuato il casolare, gli agenti monitorarono il luogo per dieci giorni attraverso microspie ed intercettazioni ambientali, per avere la certezza che all'interno vi fosse proprio Provenzano. L'11 aprile 2006 le forze dell'ordine decisero di eseguire il blitz e l'arresto, a cui Provenzano reagì senza opporre la minima resistenza[13]. Il boss confermò la propria identità e venne scortato alla questura di Palermo.


Bernardo Provenzano

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Il questore di Palermo successivamente confermò che per giungere alla cattura le autorità non si avvalsero né di pentiti né di confidenti[3]. Il casolare (il proprietario del quale venne arrestato) in cui viveva il boss era arredato in maniera spartana, con il letto, un cucinino, il frigo e un bagno, oltre che una stufa per il freddo e la macchina da scrivere con cui compilava i pizzini[13].

Carcere Dopo il blitz viene portato alla questura di Palermo e poi al supercarcere di Terni, sottoposto al regime carcerario del 41bis. Dopo un anno di carcere a Terni, viene trasferito al carcere di Novara a seguito di alcuni malumori delle guardie carcerarie che si occupavano della sua detenzione[14]. Dal carcere di Novara, il boss ha più volte tentato di comunicare con l'esterno in codice[15][16]. Il ministero della Giustizia ha deciso di aggravare il carcere duro per Provenzano, applicandogli il regime di 14 bis in aggiunta al 41 bis dell'ordinamento penitenziario, che prevede l'isolamento in una cella in cui è vietata la televisione e la radio portatile[15]. Il 19 marzo 2011 viene confermata la notizia di un tumore alla vescica. Inoltre, sempre lo stesso giorno, è stato dichiarato che il boss di Cosa Nostra verrà trasferito dal Carcere di Novara al Carcere di Parma. Nel carcere di Parma il 9 maggio 2012 il boss tenta il suicidio infilando la testa in una busta di plastica con l'obiettivo di soffocarsi ma il tutto viene sventato da una guardia carceraria[17].

Processo Trattativa Stato-Mafia Il 24 luglio 2012 la Procura di Palermo, sotto Antonio Ingroia e in riferimento all'indagine sulla Trattativa Stato-Mafia, ha chiesto il rinvio a giudizio di Provenzano e altri 11 indagati accusati di "concorso esterno in associazione mafiosa" e "violenza o minaccia a corpo politico dello Stato". Gli altri imputati sono i politici Calogero Mannino, Marcello Dell'Utri, gli ufficiali Antonio Subranni, Mario Mori e Giuseppe De Donno, i boss Giovanni brusca, Totò Riina, Leoluca Bagarella e Antonino Cinà, il collaboratore di giustizia Massimo Ciancimino (anche "calunnia") e l'ex ministro Nicola Mancino ("falsa testimonianza").[18]

Un pizzino Durante gli ultimi anni di latitanza, il boss ha comunicato con i luogotenenti e con la famiglia, attraverso i famosi pizzini, che dopo l'arresto sono stati trovati in grande quantità nel covo del boss[19]. In alcuni di questi Provenzano indirizza messaggi non inerenti all'attività criminale, almeno apparentemente. « Ti prego di essere sempre calmo e retto, corretto e coerente, sappia approfittare l'esperienza delle sofferenze sofferte, non credere a tutto quello che ti dicono, cerca sempre la verità prima di parlare, e ricordati che non basta mai avere una prova per affrontare un ragionamento. Per essere certo in un ragionamento occorrono tre prove, e correttezza e coerenza. Vi benedica il Signore e vi protegga. » [20]

(Da un pizzino di Bernardo Provenzano a Luigi Ilardo.

)


Bernardo Provenzano

Famiglia Bernardo Provenzano è stato legato sentimentalmente a Saveria Benedetta Palazzolo, con la quale non si è mai sposato ma ha convissuto durante gran parte della latitanza[2]. La coppia ha avuto due figli: • Angelo Provenzano: nato nel 1975 • Francesco Paolo Provenzano: nato il 16 aprile 1982 Il figlio Angelo è stato sotto inchiesta per mafia a partire dal 2000, ma l'inchiesta, terminata nel 2009, non ha portato a sviluppi giudiziari[21]. Il figlio Francesco Paolo, come del resto anche il fratello maggiore, non ha seguito le orme criminali del padre, ma si è laureato in "Lingue e culture moderne" nel 2005, a 23 anni,[22] ed ha ottenuto una borsa di studio dal ministero dell'istruzione, ottenendo un posto come insegnante in una prestigiosa scuola tedesca[23]. Nel 1983 Saveria Benedetta Palazzolo è riuscita a sfuggire ad un tentativo d'arresto della polizia, evitando di scontare la pena di due anni di carcere a cui era stata condannata[23]. La signora Provenzano e i figli sono stati in latitanza fino al 1992. Nella primavera di quell'anno infatti, improvvisamente, fecero il loro ritorno a Corleone[24].

Indiscrezioni giudiziarie Secondo la ricostruzione fatta il 1º febbraio 2010 nel processo per favoreggiamento[25] contro Mario Mori, generale dei Carabinieri del Ros, da Massimo Ciancimino, figlio dell'ex sindaco di Palermo Vito Ciancimino, condannato per mafia e deceduto nel 2002, il boss di Cosa nostra avrebbe goduto di "una sorta di immunità territoriale" fin dal 1992[26], che gli consentiva di spostarsi liberamente durante la latitanza. La confessione gli era stata fatta proprio dal padre, il quale, stando alle dichiarazione del figlio, si incontrava regolarmente con Provenzano[27].

Cinema e televisione • Il 30 marzo 2006 è uscito nelle sale cinematografiche il film di Marco Amenta Il fantasma di Corleone, un documentario-fiction su Provenzano che verrà messo in onda anche dalla RAI. • Il 14 febbraio 2007 è andato in onda su Raiuno la fiction L'ultimo dei corleonesi, dove viene raccontata la storia di Luciano Liggio, Totò Riina e Provenzano fino alla cattura di quest'ultimo, che nella fiction ha il volto di David Coco. • Il 15 febbraio 2007 va in onda su Raitre la docufiction Scacco al re dove viene raccontato il lavoro che è stato fatto per catturare Provenzano con filmati e registrazioni originali. • Nel novembre 2007 è stata trasmessa su Canale 5 la miniserie televisiva Il capo dei capi, che ripercorre le vicende della vita di Totò Riina e del suo braccio destro Bernardo Provenzano, il quale è interpretato dall'attore siciliano Salvatore Lazzaro. • Il 13 gennaio 2008 da parte di Mediaset è stata trasmessa una mini fiction, prodotta da Taodue di 2 puntate sugli ultimi anni di latitanza di Provenzano dal titolo: L'ultimo padrino con Michele Placido nel ruolo del boss.

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Bernardo Provenzano

Note [1] Archivio - Panorama.it - Mafia: dopo l'ultimo padrino (http:/ / archivio. panorama. it/ home/ articolo/ idA020001035888) [2] Biografia Bernardo Provenzano - Rainews24 Biografia Bernardo Provenzano (http:/ / www. rainews24. it/ ran24/ speciali/ provenzano_arrestato/ biografia. asp). RaiNews24, 11 04 2006. URL consultato in data 26-06-2010. [3] Arrestato Provenzano, era ricercato dal 1963 (http:/ / www. corriere. it/ Primo_Piano/ Cronache/ 2006/ 04_Aprile/ 11/ provenzano. shtml). Corriere della sera, 25 04 2006. URL consultato in data 26/06/2010. [4] Dato riportato a pag 59 del libro: L'altra mafia: biografia di Bernardo Provenzano, di Ernesto Oliva, Salvo Palazzolo, Rubettino Editore srl, 2001 [5] L'ARRESTO DI PROVENZANO (http:/ / archiviostorico. corriere. it/ 2006/ aprile/ 12/ ARRESTO_PROVENZANO_co_9_060412149. shtml). Corriere della sera, 12 04 2006, pp. 020/023.025. URL consultato in data 26/06/2010. [6] E LEGGIO SPACCO' IN DUE COSA NOSTRA (http:/ / ricerca. repubblica. it/ repubblica/ archivio/ repubblica/ 1984/ 10/ 03/ leggio-spacco-in-due-cosa-nostra. html) [7] MA PROVENZANO E' LIBERO E VIVO (http:/ / ricerca. repubblica. it/ repubblica/ archivio/ repubblica/ 1993/ 11/ 16/ ma-provenzano-libero-vivo. html) [8] Manca ucciso perché curò Provenzano (http:/ / www. thepopuli. com/ 2009/ 05/ attilio-manca-ucciso-perche-curo-provenzano/ ). 31 maggio 2009. URL consultato in data 2009-06-12. [9] Provenzano, ora c' è una foto (http:/ / ricerca. repubblica. it/ repubblica/ archivio/ repubblica/ 2005/ 06/ 08/ provenzano-ora-una-foto. html) [10] Repubblica.it » cronaca » "Provenzano è morto da anni la mafia ha creato un fantasma" (http:/ / www. repubblica. it/ 2006/ b/ sezioni/ cronaca/ provejr/ provenzanomorto/ provenzanomorto. html) [11] Pochi metri al giorno, così arrivò il pacco (http:/ / www. corriere. it/ Primo_Piano/ Cronache/ 2006/ 04_Aprile/ 13/ pacco. shtml) [12] Arrestato il boss della mafia Bernardo Provenzano (http:/ / poliziadistato. it/ articolo/ 426-Arrestato_il_boss_della_mafia_Bernardo_Provenzano) [13] Arrestato Bernardo Provenzano (http:/ / www. repubblica. it/ 2006/ 04/ dirette/ sezioni/ cronaca/ provenzano/ provenzano/ ). la Repubblica, 11 04 2006, p. Cronaca - Le Dirette. URL consultato in data 26/06/2010. [14] Giovanni Bianconi. Provenzano cambia carcere - «Una torta e troppe attenzioni» (http:/ / www. corriere. it/ Primo_Piano/ Cronache/ 2007/ 04_Aprile/ 15/ bianconi_provenzano_traduzione_cella. shtml). Corriere della Sera, 15 04 2007. URL consultato in data 26/06/2010. [15] Alessandra Ziniti. Provenzano, pizzini dal carcere (http:/ / ricerca. repubblica. it/ repubblica/ archivio/ repubblica/ 2008/ 01/ 12/ provenzano-pizzini-dal-carcere. html). la Repubblica, 12 01 2008, p. 6 dell'edizione di Palermo. URL consultato in data 26/06/2010. [16] Provenzano, i pizzini per curare l'impotenza (http:/ / www. repubblica. it/ 2006/ 05/ gallerie/ cronaca/ provenzano-impotenza/ 1. html). la Repubblica. URL consultato in data 26/06/2010. [17] un agente di Polizia Penitenziaria-34886346/ Il boss Provenzano tenta il suicidio salvato dagli agenti penitenziari - Palermo - Repubblica.it (http:/ / palermo. repubblica. it/ cronaca/ 2012/ 05/ 10/ news/ il_boss_provenzano_tenta_il_suicidio_salvato_da) [18] Trattativa, la Procura chiede il rinvio a giudizio: processo per Riina, Provenzano e Mancino (http:/ / palermo. repubblica. it/ cronaca/ 2012/ 07/ 24/ news/ trattati_la_procura_chiede_il_rinvio_a_giudizio-39613634/ ?ref=HRER2-1). Repubblica. Cronaca. 24 luglio 2012. [19] Nei pizzini la geografia di Cosa Nostra (http:/ / ricerca. gelocal. it/ gazzettadireggio/ archivio/ gazzettadireggio/ 2006/ 04/ 18/ EA8PO_NA801. html) [20] Pizzino citato nel libro: Bernardo Provenzano. Il ragioniere di Cosa Nostra di Ernesto Oliva e Salvo Palazzolo. [21] Chiusa inchiesta su Angelo Provenzano, figlio di Provenzano (http:/ / www. palermonotizie. com/ chiusa-inchiesta-su-angelo-provenzano-figlio-di-provenzano. html) [22] Il figlio di Provenzano diventa dottore (http:/ / www. corriere. it/ Primo_Piano/ Cronache/ 2005/ 03_Marzo/ 23/ provenzano. shtml) [23] Anna Puglisi. La signora Provenzano (http:/ / www. centroimpastato. it/ publ/ online/ signoraprovenzano. php3). marzo-aprile 2006. URL consultato in data 26-06-2010. [24] "Io e mio padre Provenzano così faccio i conti con la mafia" - cronaca - Repubblica.it (http:/ / www. repubblica. it/ 2008/ 12/ sezioni/ cronaca/ provenzano-figlio-parla/ provenzano-figlio-parla/ provenzano-figlio-parla. html) [25] Mafia, Mori in tribunale "Non ci fu nessuna trattativa" | Palermo la Repubblica.it (http:/ / palermo. repubblica. it/ dettaglio/ mafia-mori-in-tribunale-non-ci-fu-nessuna-trattativa/ 1754387) [26] Ciancimino: Provenzano aveva immunita' (http:/ / www. ansa. it/ web/ notizie/ rubriche/ topnews/ 2010/ 02/ 01/ visualizza_new. html_1679489883. html) [27] Ciancimino jr contro il generale Mori "Provenzano godeva di immunità" (http:/ / www. lastampa. it/ redazione/ cmsSezioni/ cronache/ 201002articoli/ 51789girata. asp)

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Bernardo Provenzano

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Bibliografia • Ernesto Oliva e Salvo Palazzolo, Bernardo Provenzano. Il ragioniere di Cosa Nostra, Rubbettino Editore (http:// www.rubbettino.it/rubbettino/public/RNoteSup.jsp?ID=1002137). • Salvo Palazzolo e Michele Prestipino, Il codice Provenzano, Editori Laterza (http://www.laterza.it). • Lirio Abbate e Peter Gomez, I complici. Tutti gli uomini di Bernardo Provenzano da Corleone al Parlamento, Fazi Editore, 2007. • Bellavia Enrico e Mazzocchi Silvana, Iddu. La cattura di Bernardo Provenzano, Baldini Castoldi, Dalai Editore. • Andrea Camilleri, Voi non sapete. Gli amici, i nemici, la mafia, il mondo nei pizzini di Bernardo Provenzano, Mondadori, 2007. • Giusy La Piana, L'impero dei pizzini - la carriera criminale di Bernardo Provenzano, Edizioni Falcone, 2007.

Voci correlate • • • •

Mafia Cosa Nostra Clan dei Corleonesi I "pizzini" di Provenzano

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Trattativa tra Stato italiano e Cosa nostra Salvatore Riina Luciano Liggio Michele Navarra Calogero Bagarella Leoluca Bagarella Giovanni Brusca Gaspare Spatuzza Pietro Rampulla Benedetto Spera

Altri progetti •

Articolo su Wikinotizie: Provenzano arrestato dalla Polizia 11 aprile 2006

Collegamenti esterni Predecessore: Salvatore Riina

Predecessore: Seconda guerra di mafia

Capo dei Corleonesi Bernardo Provenzano 1993 - 2006

Successore: Rosario Lo Bue

Commissione di Cosa Nostra Salvatore Riina, Bernardo Provenzano 1984 - 1993

Predecessore: Leoluca Bagarella, Bernardo Provenzano

Capo dei capi di Cosa Nostra Bernardo Provenzano 1995 - 2006

Successore: Sciolta 1993

Successori: Salvatore Lo Piccolo


Tommaso Buscetta

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Tommaso Buscetta « Non sono un infame. Non sono un pentito. Sono stato mafioso e mi sono macchiato di delitti per i quali sono pronto a pagare il mio debito con la giustizia. » (da un interrogatorio con Giovanni Falcone)

Tommaso Buscetta, detto anche il boss dei due mondi[1] e don Masino[2] (Palermo, 13 luglio 1928 – New York, 2 aprile 2000), è stato un criminale italiano, membro di Cosa Nostra e successivamente collaboratore di giustizia. È stato uno dei capi della mafia siciliana, esponente di massimo prestigio all'interno della cupola mafiosa e successivamente arrestato, collaboratore di giustizia durante le inchieste coordinate dal magistrato Giovanni Falcone; le sue rivelazioni furono storiche perché permisero una ricostruzione giudiziaria dell'organizzazione e della struttura di Cosa nostra, fino ad allora quasi del tutto sconosciuta.

Tommaso Buscetta

Biografia Nato in una famiglia poverissima (madre casalinga, padre vetraio), ultimo di 17 figli, si sposò a sedici anni nel 1945 con Melchiorra Cavallaro dalla quale ebbe 4 figli: Felicia (nata nel 1946), Benedetto (nato nel 1948), Domenico e Antonio. Benedetto e Antonio furono vittime della lupara bianca nel corso della seconda guerra di mafia. Durante la sua vita, Buscetta ebbe tre mogli e otto figli. Per far soldi iniziò una serie di attività illegali nel mercato nero, come lo smercio clandestino delle tessere per il razionamento della farina, diffuse durante il ventennio fascista. Questa attività lo rese abbastanza celebre anche a Palermo, dove nonostante la giovanissima età venne soprannominato Don Masino. A 17 anni entrò nella famiglia mafiosa di Porta Nuova. Al termine della seconda guerra mondiale si recò a Buenos Aires e a Rio de Janeiro, dove aprì una vetreria: gli scarsi risultati economici del suo nuovo lavoro lo costrinsero, nel 1950, a tornare a Palermo. Qui, negli anni cinquanta, Buscetta si legò al clan di Salvatore La Barbera iniziando il contrabbando del tabacco, che praticò fino al 1963 quando, con lo scoppio della prima guerra di mafia, si diede alla latitanza. Tommaso Buscetta da giovane

Il Sudamerica, la droga e la prima estradizione Buscetta riuscì a costruire in sud America un impero basato sulla produzione e sullo spaccio di eroina e cocaina, con un sistema di aerei per poterla trasportare in tutto il mondo, costituì una compagnia di tassisti e una catena di pizzerie e ristoranti per poter reinvestire il denaro frutto del traffico di stupefacenti[3] (Buscetta ha, però, sempre smentito con forza di aver mai trafficato droga in tutta la sua vita). Per dieci anni, Buscetta riuscì a eludere la legge, utilizzando false identità (Manuel López Cadena, Adalberto Barbieri e Paulo Roberto Felice), sottoponendosi anche a un'operazione di chirurgia plastica[1], e spostandosi da paese a paese, passando per gli Stati Uniti d'America, il


Tommaso Buscetta

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Brasile e il Messico. Arrestato dalla polizia brasiliana il 2 novembre del 1972 e successivamente estradato, venne rinchiuso nel carcere dell'Ucciardone e condannato a dieci anni di reclusione, ridotti ad otto in appello, per traffico di stupefacenti. Nel suo covo in Brasile, le autorità trovarono eroina pura per un valore di 25 miliardi di lire dell'epoca[4]. Trasferito successivamente nel carcere piemontese delle Nuove, riuscì ad evadere quando gli venne concessa la semilibertà, facendo ritorno in Brasile e sottoponendosi a un nuovo intervento di chirurgia plastica oltre che a un intervento per modificare la voce[4].

Lo sterminio dei familiari durante la seconda guerra di mafia La seconda guerra di mafia e l'ascesa dei corleonesi, schieramento opposto a quello palermitano di Buscetta e degli altri boss, portarono allo sterminio della sua famiglia. Tra il 1982 e il 1984, sotto ordine diretto del boss corleonese Totò Riina, i due figli di Buscetta scomparvero per non essere mai più ritrovati, evidente caso di lupara bianca[5]. Vennero inoltre uccisi un fratello, un genero, un cognato e quattro nipoti[5].

L'arresto in Brasile e l'estradizione Il 24 ottobre 1983 quaranta poliziotti circondarono la sua abitazione a San Paolo e lo arrestarono assieme alla moglie, portandolo in commissariato. A nulla valse un tentativo di corruzione operato dallo stesso Buscetta[4], che venne rinchiuso in prigione per alcuni omicidi collegati con lo spaccio di droga[4].

Tommaso Buscetta il 15 luglio 1984 all'aeroporto di Roma.

Nel 1984 i giudici Giovanni Falcone e Vincenzo Geraci si recarono da lui invitandolo a collaborare con la giustizia, ma Buscetta inizialmente rifiutò. Lo stato italiano ne chiese allora l'estradizione alle autorità brasiliane.

Alla notizia dell'estradizione in Italia[6], Buscetta tentò il suicidio ingerendo barbiturici[7], nel tentativo di evitare di giungere in Italia. Salvato, arrivò in Italia dove decise di collaborare, cominciando a rivelare organigrammi e piani della mafia al giudice Falcone[8]. Viene per questo considerato uno dei primi pentiti della storia, dopo Leonardo Vitale[9]. Egli non condivideva più quella che era la nuova Cosa Nostra, poiché sosteneva che essa stessa aveva perso la sua identità[10].

La collaborazione con Falcone e il ritorno negli Usa Grazie a lui, lo stato e i suoi magistrati hanno capito e conosciuto il sistema di Cosa Nostra. Un sistema piramidale detto cupola[11], alla base del quale vi erano i soldati scelti dalla famiglia, sopra di essi i capi decina, scelti dal capo della famiglia, sopra ancora vi erano i consiglieri, e infine il capo famiglia. Buscetta parlò di livelli superiori, occulti, di cui facevano parte forze politiche[10][12]. Nel 1984 Buscetta venne estradato negli Stati Uniti ricevendo dal governo una nuova identità, la cittadinanza e la libertà vigilata in cambio di nuove rivelazioni contro i piani di Cosa nostra americana[13][14]. Dopo aver fatto parlare di sé per una crociera nel Mediterraneo[15], muore di cancro nel 2000 all'età di 72 anni[16], non prima di aver manifestato, in un libro-intervista di Saverio Lodato (ed. Mondadori, 1999), il suo disappunto per la mancata distruzione di Cosa Nostra da parte dello Stato italiano[17].


Tommaso Buscetta

Note [1] Don Masino, Boss dei 2 mondi, cosi lo chiamava la malavita - La Repubblica 1984 (http:/ / ricerca. repubblica. it/ repubblica/ archivio/ repubblica/ 1984/ 09/ 30/ don-masino-boss-dei-due-mondi-cosi. html) [2] Sono Don Masino, non dico altro - La Repubblica 1984 (http:/ / ricerca. repubblica. it/ repubblica/ archivio/ repubblica/ 1984/ 07/ 18/ sono-don-masino-non-dico-altro. html) [3] Don Masino, Boss dei 2 mondi, cosi lo chiamava la malavità - La Repubblica 1984 (http:/ / ricerca. repubblica. it/ repubblica/ archivio/ repubblica/ 1984/ 09/ 30/ don-masino-boss-dei-due-mondi-cosi. html) [4] Don Masino Boss Dei Due Mondi Cosi' Lo Chiamava La Malavita - Repubblica.It » Ricerca (http:/ / ricerca. repubblica. it/ repubblica/ archivio/ repubblica/ 1984/ 09/ 30/ don-masino-boss-dei-due-mondi-cosi. html) [5] Un impero basato sulla cocaina che gestiva come un Gangster - La Repubblica, luglio 1984 (http:/ / ricerca. repubblica. it/ repubblica/ archivio/ repubblica/ 1984/ 07/ 17/ un-impero-basato-sulla-cocaina-che-gestiva. html) [6] Il Brasile Ha Concesso L' Estradizione Tommaso Buscetta Presto In Ital - Repubblica.It » Ricerca (http:/ / ricerca. repubblica. it/ repubblica/ archivio/ repubblica/ 1984/ 06/ 28/ il-brasile-ha-concesso-estradizione-tommaso. html) [7] Forse Gia' Domani Tommaso Buscetta Arriva In Italia - Repubblica.It » Ricerca (http:/ / ricerca. repubblica. it/ repubblica/ archivio/ repubblica/ 1984/ 07/ 15/ forse-gia-domani-tommaso-buscetta-arriva-in. html) [8] 'SONO DON MASINO. NON DICO ALTRO...' - Repubblica.it » Ricerca (http:/ / ricerca. repubblica. it/ repubblica/ archivio/ repubblica/ 1984/ 07/ 18/ sono-don-masino-non-dico-altro. html) [9] Buscetta, il primo pentito - Repubblica.it » Ricerca (http:/ / ricerca. repubblica. it/ repubblica/ archivio/ repubblica/ 2000/ 04/ 05/ buscetta-il-primo-pentito. html) [10] BUSCETTA CI DISSE: 'NON SONO UN NEMICO' - Repubblica.it » Ricerca (http:/ / ricerca. repubblica. it/ repubblica/ archivio/ repubblica/ 1984/ 10/ 02/ buscetta-ci-disse-non-sono-un-nemico. html) [11] Per la Cassazione la Cupola esiste e funziona come l'ha descritta il pentito Buscetta - La Stampa 31/1/1992 (http:/ / archivio. lastampa. it/ LaStampaArchivio/ main/ History/ tmpl_viewObj. jsp?objid=894340) [12] Buscetta: alzerò il velo su Cosa Nostra e politica. Appello di Calderone agli uomini arruolati dai boss <Abbandonateli sono pazzi criminali> - La Stampa 15/11/1992 (http:/ / archivio. lastampa. it/ LaStampaArchivio/ main/ History/ tmpl_viewObj. jsp?objid=1015117) [13] BUSCETTA: ' ONORE AL GRANDE EX NEMICO' - Repubblica.it » Ricerca (http:/ / ricerca. repubblica. it/ repubblica/ archivio/ repubblica/ 1992/ 05/ 26/ buscetta-onore-al-grande-ex-nemico. html) [14] CITTADINANZA AMERICANA AL PENTITO BUSCETTA - Repubblica.it » Ricerca (http:/ / ricerca. repubblica. it/ repubblica/ archivio/ repubblica/ 1985/ 11/ 15/ cittadinanza-americana-al-pentito-buscetta. html) [15] BUSCETTA IN CROCIERA D' AMORE - Repubblica.it » Ricerca (http:/ / ricerca. repubblica. it/ repubblica/ archivio/ repubblica/ 1995/ 08/ 23/ buscetta-in-crociera-amore. html) [16] la Repubblica/cronaca: È morto Tommaso Buscetta Svelo' i segreti di Cosa Nostra (http:/ / www. repubblica. it/ online/ cronaca/ buscetta/ morto/ morto. html) [17] Buscetta: la mafia è un fatto politico - Corriere della Sera 1999 (http:/ / archiviostorico. corriere. it/ 1999/ ottobre/ 12/ Buscetta_mafia_fatto_politico_co_0_9910124279. shtml)

Voci correlate • • • • • • •

Mafia Cosa Nostra Pentito Cupola mafiosa Giovanni Falcone Totò Riina Lupara bianca

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Tommaso Buscetta

Altri progetti •

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Collegamenti esterni • Boss mafiosi (http://digilander.libero.it/inmemoria/boss_mafiosi.htm)

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Fonti e autori delle voci

Fonti e autori delle voci Sandro Pertini Fonte: http://it.wikipedia.org/w/index.php?oldid=54692571 Autori:: .anaconda, AKappa, Airon90, Al Pereira, Alberto di Cristina, Ale santos, AleR, Aleksander Sestak, Alfreddo, Andre86, AnjaQantina, Antonello Piccone, Antonio1952, Apologeta, Ar70-90, Archeologo, Armando, Armilio, ArtAttack, Asdf1234, Ask21, AttoRenato, Barbaking, Blackcat, Blakwolf, Borgolibero, Bouncey2k, Bramfab, Bronzino, Brownout, Bultro, Calabash, Carlomorino, Castel, Caulfield, Chaoleonard, Chem, Civa61, Cloj, ColdShine, Consbuonomo, Copis, Cruccone, Cryptex, Dantadd, Daviboz, Deguef, Demart81, Demiurgo, Demostene119, Demostenes, Derfel74, Dome, Dommac, DonPaolo, Dr Zimbu, Dr.Gabriel, Drugonot, Duca6000, Dunferr, EdithTag, Edowikip, Emanuele Saiu, Er Cicero, Erinaceus, Etrusko25, Eumolpa, Eumolpo, F l a n k e r, F. 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Shebs, SteGrifo27, Stefano Tordi, Stigliani, Supernino, Taueres, Tempiese, Teoeva, The White Duke, Ticket 2010081310004741, TierrayLibertad, Tontolculo, Torsolo, Turgon, Twice25, Urli mancati, Varie11, Villy81, Vipera, Viscontino, Wadysh, Whitewolf, Wim b, Yoggysot, Yoruno, Zappuddu, Zerosei, Zerotarma, 467 Modifiche anonime Giovanni Falcone Fonte: http://it.wikipedia.org/w/index.php?oldid=54738046 Autori:: %Pier%, .anaconda, .sEdivad, .snoopy., 2010071210025884, ANGELUS, ASP, Aboliamoli.eu, Accurimbono, Airon90, Alberto89m, Alkalin, Alleborgo, Allergic, Amarvudol, AndreA, Andrew88, Aplasia, ArmorShieldA99, ArtAttack, Ary29, Azrael555, BMF81, Barbaking, Basilicofresco, Borgil, Bronzino, Bultro, Calabash, Camelyerdey, Caulfield, Cinzia, Civa61, Civvì, Cloj, Clé italienne, Codas, ComputerXtreme, Conocybe, Consbuonomo, Crisarco, CristianCantoro, D'arcywretzy, DCGIURSUN, DarTar, Dark knight, Dedda71, Demostenes, Desyman, Dmerico, Dome, Domino89, DoppioM, Dr Zimbu, Dread83, Elitre, Entella Chiavari, Ethicom, Etrusko25, Eumolpa, Eumolpo, Fabio Matteo, Fabr, Fantasma, Ferdinando Scala, Figiu, Flariccia, Formica rufa, Francy9797, Franz Liszt, Franztanz, Freddyballo, Frigotoni, Gacio, Galessandroni, Garen, Gcalderone, Geghesors, Generale Lee, Gfagone, Giancarlo Rossi, Gianreali, Giggiggio76, Ginevra82, Giorgio Cadorini, Giovanni Gruttad'Auria, Giuseppe 90, Gnumarcoo, Gondola, Guidomac, Gusme, Hal8999, Hanyell29, Hauteville, Hellis, Henrykus, Homer, Ignlig, Il Borg, Il Tuchino, Ilciospo, Ilsocialista, IndyJr, Johnlong, Kal-El, Kattoliko, Keltorrics, Klaudio, Klone123, Kormoran, Legendcrow, Leveking, Limpar, Lingtft, Llodi, Lorenzopetta, Losògià, LuckyLisp, M7, MM, Manfredi88, Mangoz, Manutius, Marcok, Marcopil64, Marcuscalabresus, Mariogyn, Mark91, Marko86, Markos90, Matrixmorbidoso, Maximianus, Mechanical, Melkor II, Melos, Menion89, Mephistos, Metralla, Michele.B, Milano98, Monozigote, Moroboshi, Msimei2, Nandorum, Nevermindfc, NewLibertine, Nick1915, Nicoli, No2, Nubifer, Ondalibera, PROXIMO, Peppo, Peter Benjamin, Phantomas, Phyk, Piero, Pil56, Pracchia-78, Pupi 100873-4, Quoniam, Rael, Rago, Razzabarese, Remulazz, Reo-chan, Resigua, Restu20, Roccuz, Rutja76, SCDBob, Sailko, Senza nome.txt, Sf71177, Shivanarayana, Sicilarch, Simotdi, Snowdog, Squattaturi, Stefanofonzi, Superchilum, Supernino, Tenebroso, Teresa19, Tia solzago, Ticket 2010081310004741, Tirinto, Tizi101, Tricolore88, Udonknome, Umberto Basilica, Una giornata uggiosa '94, Vale maio, Valepert, Viames, Vin junior, Vituzzu, Vmoscarda, Vomitron, WINDWILDE, WalrusTR, Wiggin, Wikif, WolfRayet, Wolland, Wyszinski, Yiyi, Yoggysot, Zikan, Zimmon, Zuzeca, 515 Modifiche anonime Paolo Borsellino Fonte: http://it.wikipedia.org/w/index.php?oldid=54738479 Autori:: *Raphael*, .jhc., .mau., AKappa, ANGELUS, Accurimbono, Airon90, Alberto89m, Aldolat, Alessandromano, Alfio, Alfovel, Alleborgo, AmonSûl, Amux, AndreA, Angelo.romano, AntonEgger, Aplasia, Archeologo, Ary29, Avaleri, Baroc, Bennycalasanzio, 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http://it.wikipedia.org/w/index.php?oldid=53499771 Autori:: %Pier%, ANGELUS, ARCHIsavio, Alleborgo, Andreas987, Antonio1952, Aplasia, Archeologo, ArtAttack, Arturolorioli, Ary29, AttoRenato, Axl8713, Baruneju, Blackcat, Bramfab, Caulfield, Cesalpino, Chiappinik, Cialz, Civa61, Civvì, Cloj, Codas, Cruccone, Dedda71, DerfelLink, Dr Zimbu, Eumolpo, F l a n k e r, F. 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Fonti e autori delle voci Salvatore Riina Fonte: http://it.wikipedia.org/w/index.php?oldid=54737180 Autori:: .sEdivad, Alberto di Cristina, Andrea81milano, Antonio Vista, Aplasia, ArtAttack, Ary29, Audiola, Basilio Elio Antoci, Blackcat, Blues 1911, Bonehead, Camelyerdey, Civa61, Cloj, Codas, DanieleFavara, Danpjk, DeHonno, Dedda71, Devil550, Django, Dome, Domyinik, Dr Zimbu, EH101, Elwood, Engineer123, Erinaceus, Ethicom, F. Cosoleto, Felix 93, Fiaschi, Formica rufa, Francesco.Lassandro, Franz Liszt, Freddyballo, GJo, Gac, Gacio, Generale Lee, George.cri91, Giancarlo Rossi, GiuseppeMassimo, Griffo83, Guidomac, Gvnn, Horcrux92, Igor0102, Italiafutura, Johnlong, Jok3r, Kaspo, Kaus, Kiado, Kibira, Klaudio, Klone123, LORENZOILMAGNIFICO, Lavico, Lingtft, Lord Possum, Lordfe, M7, MacLucky, Malemar, MapiVanPelt, Marcko, Marco Cabizza, Marcuscalabresus, Marius, Mark91, Markos90, Massimiliano Lincetto, Massimiliano Panu, Masuper, Mauro742, Mds32, Meirut, Melos, Michele Zaccaria, Mitchan, Moroboshi, Mrtb, Nalegato, Neq00, No2, Nubifer, Ocinico, Olando, Orion21, Osk, PROXIMO, Paulatz, Pequod76, Phantomas, Pierluigi1982, Pokipsy76, Qbert88, Rael, Raiko, Ramatteo, Remulazz, Rhockher, Robyvecchio, Ruthven, Senpai, Senza nome.txt, Sf71177, Shaix2389, Shivanarayana, Silas Flannery, Simosigno, Simoz, Smuggler, Snowdog, SonnyfromCorleone, Squattaturi, Stefanox1985, Stefliebe, Steven Chiefa, Supernino, Svello89, Taker, Tanonero, Taueres, Terrasque, Thewikifox, Ticket 2010081310004741, Ticket2009082110052454, Tirinto, TonyCiccione, Trixt, Unuomo, VAN ZANT, Vale93b, Valkiry, ValterVB, Vituzzu, Whiles, Wikiknowledge, Zebrone84, Zooropaforever, 483 Modifiche anonime Bernardo Provenzano Fonte: http://it.wikipedia.org/w/index.php?oldid=54679133 Autori:: Abisys, Accurimbono, Akela, Ale santos, AlessioR, Alex3, AlxRose, Amux, Archenzo, Aristotele77, Atti, AttoRenato, Audiola, Azrael555, Bala79, Basilero, Blakwolf, Bronzin, Brownout, Camelyerdey, Cerrigno, Codas, Dakoom, Dantadd, Darth Kule, Davide21, Dipralb, Django, Drea23, Ekalio, ErixonBlues1980, Ernesttico, Esculapio, F. Cosoleto, Fantasma, Fbeshox, Fiaschi, Formica rufa, Frazzone, Furriadroxiu, Gac, Gala.martin, Gataz, Gepgenius, Giacomo Augusto, Giancarlo Rossi, Gianfranco, Gierre, GilGalaad, Ginkobiloba, Gizm0, Griffo83, Gsdefender2, Hellis, Hill, Horcrux92, Ilario, IndyJr, Jaqen, Jojino, Kaus, Kenilchattiero, Klaudio, Klone123, Larry Yuma, Leoman3000, Lingtft, Luisa, Lusum, M7, Malemar, Marco Daniele, Marcok, Marcuscalabresus, Markolino, Markos90, Marrabbio2, Masuper, Matafione, Maximianus, Microsoikos, Mirkocav, Mitchan, Moongateclimber, Moroboshi, Nicola Romani, Nicoli, No2, Olando, Orric, Pagey, Paginazero, Pakdooik, Paolonapo, Pap3rinik, Pequod76, PersOnLine, Peter Benjamin, Pifoyde, Pingon, Poemswheel12, Rdocb, Red devil 666, Redecke, Retaggio, Riccardo.fabris, Richzena, Roberto82, Roccuz, Rollopack, Sbisolo, Senpai, Sergejpinka, Sf71177, Shaka, Silas Flannery, Sir marek, Sirabder87, Snowdog, Squattaturi, Stefano Tordi, Stefanox1985, Steven Chiefa, Taccolamat, Taker, Ticket 2010081310004741, TierrayLibertad, Tizi101, Tomi, Tooby, Torsolo, Triquetra, TuttoTv, Twice25, Varre93, Venturik, Vituzzu, Wappi76, 217 Modifiche anonime Tommaso Buscetta Fonte: http://it.wikipedia.org/w/index.php?oldid=54085588 Autori:: Al Pereira, Antonio la trippa, Barba Nane, Bonehead, Cloj, Codas, DaniDF1995, Dantadd, Dipralb, Dubitoergosum, Eberk89, Elitre, Formica rufa, Foto archivio storico, Frigotoni, Gacio, Generale Lee, Giancarlo Rossi, Giona LoRe, Griffo83, Ignlig, Jaqen, Leofiore, Leonardoprosperi, Lingtft, MM, Malemar, Marcok, Marcuscalabresus, Matafione, Matt.mac, Moroboshi, Nicoli, Orion21, Orric, P.schicher, Retaggio, Rutja76, Senza nome.txt, Silas Flannery, Simo82, Smuggler, Squattaturi, Stefanox1985, Sumail, Tano-kun, Taueres, The king of kings, Ticket 2010081310004741, Triple 8, Vipstano, Yerul, Yugiri, 82 Modifiche anonime

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