Palazzo Campanella

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F. Arillotta - D. Gimigliano

Palazzo Campanella del Consiglio regionale della Calabria

tra Storia e Architettura

© Kaleidon di Roberto Arillotta casa editrice di cultura calabrese

REFERENZE FOTOGRAFICHE © Consiglio regionale della Calabria ‘Ufficio Relazioni con il pubblico’: pp. 87/90/92/94/95/102/120/121/126/127/128 FD trading: pp. 96/99/101 Foto Pasquale Garreffa: pp. 104/124b ©

Coordinamento editoriale

Roberto Arillotta Progetto grafico e videoimpaginazione

Kaleidon

Kaleidon Foto Domenico Nucera: p. 12 Foto Gaetano Labate: p. 21 Foto Antonio Sollazzo: copertina, pp. 56/64/76/78/80/82/84/86/88/89/91/97/103/ 106/107/108/109/110/111/112/113/114/122/ 123/124a/125/132

Per gentile concessione: Arch. Natale Cutrupi: p. 26 Dott. Alberto Cafarelli: p. 31 (Palazzina Ufficiali) Direzione Museo Sacrario del Vittoriano: p. 34 Rev. parr. don Antonino Morabito: p. 43

Elaborazione grafica copertina

Studio Onatas Stampa

Grafiche Femia

Codice ISBN 978-88-88867-19-9

2010 A.D. Tutti i diritti sono riservati. Nessuna parte di questo volume può essere riprodotta, memorizzata o trasmessa in alcuna forma o con alcun mezzo elettronico, meccanico o altro senza autorizzazione scritta dell’editore.


la

Storia di

Francesco Arillotta

PALAZZO CAMPANELLA

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la Contrada

il Palazzo

Da una carta militare del 1844, che rileva l’area a nord di Reggio Calabria, si evidenzia la contrada Borrace, con le proprietà Melissari e l’ubicazione dell’odierno ‘Palazzo Campanella’


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GENNAIO 1982: il Consiglio Comunale di Reggio Calabria scioglie definitivamente il nodo dell’area su cui far sorgere il Palazzo della Regione, vale a dire l’edificio che deve ospitare le strutture del Consiglio Regionale della Calabria, collocato per statuto appunto nella Città dello Stretto. Il palazzo si sarebbe costruito dove una volta sorgevano i padiglioni della, da tempo ormai disusa e abbandonata, ex-‘Caserma Borrace’, nell’omonimo Rione. Si trattava di una zona molto vasta, posta sul lato di nord-est della Città. Una zona urbanizzata solo dagli anni ’20 in poi, dopo che le conseguenze abitative del terremoto del 1908 avevano spinto il centro storico di Reggio ad uscire dalle antiche dimensioni ottocentesche e a spingersi di là del mitico Torrente Santa Lucia, fino alla Fiumara dell’Annunziata, il tumultuoso torrente che delimita a nord l’insediamento cittadino. Essa aveva avuto, sempre negli anni immediatamente successivi al terremoto, una ben precisa destinazione. Era, infatti, su quel terreno che era sorta, nel 1909, la grande caserma baraccata del 20° Reggimento di Fanteria, di stanza nella città. Con, attorno, centinaia di altre baracche civili, destinate ad ospitare, purtroppo per decenni, i superstiti del catastrofico sisma. L’area in questione aveva una sua, particolare vicenda da raccontare, sin da quando era toponomicamente indicata col misterioso nome di ‘Borrace’.

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le firme apposte dai fratelli Antonino e Saverio Melissari e da Bartolo, figlio di Saverio, nell’atto del 1824

pagina a fronte la campagna di Borrace in una bella figurazione del 1849, in cui è indicato anche il sito della diruta chiesetta di San Lorenzo

Il che ci porta, quindi, ad affermare che, quanto meno in età storica, il territorio posto nel tratto centrale del Torrente Caserta era caratterizzato dalla preponderante presenza, appunto, di piante di asfodelo. E torna particolarmente suggestivo immaginare questa distesa di cerulei fiori, arditi sui loro lunghi e solidi gambi, tanto imponente da dare il nome ad un’intera contrada del pomerio reggino!

Gli antichi toponimi

Fra le tante, numerose testimonianze sulla passata dimensione socio-economica della zona che ci interessa, va citato un atto notarile del 16 dicembre 1824, (3) con il quale i fratelli Antonino e Saverio fu Bartolo con il figlio di Saverio, Bartolo, componenti della antichissima famiglia Melissari – una famiglia originaria della vicina Fiumara di Muro, fortemente legata alle lotte quattrocentesche fra Angioini e Aragonesi, ma da secoli definitivamente integrata in Città – vogliono procedere alla divisione del patrimonio avito. (4) Un patrimonio di tutto rispetto, visto che ascende ad un valore globale di oltre 80 mila ducati – qualcosa come alcune centinaia di milioni degli attuali euro –. Perché citiamo quel rogito: perché vi troviamo elencati anche i fondi che i Melissari possiedono nella contrada Borrace. L’interesse di quest’elencazione sta nella serie di toponimi che essa contiene, e che descrivono una realtà ormai in concreto scomparsa.

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3)

ASRC, nt. A. Lofaro, bst. 362, anno 1824

4)

ASRC, inv. 65, cart. A, vol. 769, p. 509, per. 43


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la contrada Tremulini nel 1846; si notano i percorsi delle canalizzazioni costruite a servizio dei mulini

Li riportiamo proprio per quel forte potere evocativo che essi contengono: La Batìa o Pietra dello Schiavo, Il Fego di Geria, Il Vallone Marianazzo, Il Piano di Ficarra, Il Vallone del Fego, Il Pantano, La Chiusa di Vitetta, La Chiusa sotto il Casino, La Terra Grande, La Terra della Spasara, Il Carmine, La Terra sotto i Tagli di Condera, La Lenza di Malavenda, La Petrara ossia Perrone, Costa di Casciano, Il Muro di Pace, Il Serro della Nave, Il Pozzicello, La Grotta, Il Sagramento, La Forgiara, Sopra l’aia, Tremulini o Nicoletta, La Gornicella, La Terra del Calderaio, Crocevia, La Pietra del Tamburo, Il Lumbone, La Graziella. Ci sono denominazioni ancora oggi presenti, come il ‘Vallone Marianazzo’, ‘Tremulini’, ‘Crocevia’, il ‘Lumbone’, il ‘Piano di Ficarra’; altre che tradiscono la loro antica funzionalità rispetto alla gestione delle colture, come il pozzicello, le ‘chiuse’, l’aia, la ‘lenza’, la ‘gornicella’, la ‘costa’. Ma di altre ancora, ormai, è assolutamente impossibile dare una qualche interpretazione, come ‘il muro di pace’, ‘il serro della nave’, ‘la pietra dello schiavo’ o, addirittura, ‘la pietra del tamburo’. Il toponimo ‘Tremulini’ indica quella parte nord-est del rione che confina con la Fiumara dell’Annunziata. (5) E tre mulini, quelli di Giovanni Lavagna, Giuseppe Spanò e Paolo Manti, c’erano effettivamente sulla sponda sinistra del torrente, che forniva l’acqua necessaria per farli funzionare tutto l’anno.

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5)

ASRC, inv. 65, cart. A, vol. 772, p. 34, per. 43


carta del 1879, con il fondo Spinelli, posto dove il Torrente Caserta, o ‘Torrente Borrace’, riceve le acque del Vallone Petrara

Il Torrente Caserta

6)

ASCRC, Fondo Consiglio Edilizio, bst. 4, fsc. 2, 1879

7)

ASCRC, Fondo Consiglio Edilizio, bst. 3, fsc. 4, 1881

8)

ASCRC, Fondo Consiglio Edilizio, bst. 6, fsc. 1, 1884

9)

F. Arillotta, Reggio nella Calabria Spagnola, storia di una città scomparsa (1600-1650), Villa S.G., 1981, p. 55

Il fianco meridionale del rione Borrace è chiuso dal Torrente Caserta, corso d’acqua particolarmente prezioso per l’irrigazione dei fondi che, in un passato ormai lontano, lo affiancavano. È, però, un torrente particolarmente infido, perché sono spesso segnalate le sue rovinose esondazioni, con conseguente distruzione di colture e caseggiati, nonché morti sorpresi dalla piena nelle loro case. Come accadde ai fratelli Spinelli nel 1879, allorquando dovettero provvedere d’urgenza a ripristinare gli argini dei loro terreni sulla sponda sinistra del torrente, portati via dall’alluvione, (6) o ad Annunziato Colica, che dovette ricostruire una piccola cappella mantenuta dai suoi antenati con l’effigie della Protettrice, posta quasi in mezzo all’alveo e danneggiata dalle piogge del 20 ottobre 1880, (7) o a Domenico Sergi che, nella stessa circostanza, si vide demolita la casa e asportato un tratto dell’acquedotto d’irrigazione del suo fondo. (8) Anche questo toponimo ha un’interessante origine, perché è il cognome di una famiglia che nel ’600 possedeva vaste proprietà proprio sulla riva sinistra del corso d’acqua, raggruppate attorno ad un cospicuo agglomerato di case, site là dove esso faceva una decisa – ed innaturale – piega verso sud-ovest. (9)

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G li u ltimi 1 0 0 anni pagina a fronte ufficiali e soldati del 20° Fanteria davanti ad uno dei padiglioni baraccati della Caserma, nel 1910

Il terremoto del 28 dicembre 1908

28 dicembre 1908, lunedì, ore 5:20’23”. Non è ancora l’alba; è buio pesto, perché c’è cattivo tempo; la gente, nella stragrande maggioranza, è immersa nel sonno. Ed ecco scatenarsi una serie impressionante di fortissime scosse sismiche. Il primo movimento è sussultorio, dura venti ‘interminabili’ secondi, con intensità crescente e decrescente; il secondo è ondulatorio, per quasi diciassette, altrettanto interminabili, secondi; viene toccato il 10° grado della Scala Mercalli. Dopo poco più di cinque minuti, un’altra, egualmente potente, scossa scuote la terra, provocando crolli definitivi. Reggio Calabria e la dirimpettaia Messina, con buona parte degli altri centri abitati delle rispettive province, sono distrutte. Ai danni del sisma si aggiungono quelli provocati dal mare: tra gli otto e i dieci minuti dopo il terremoto, le acque dello Stretto si ritirano dalla costa, per poi tornare in onde gigantesche, alte quasi dieci metri, che raggiungono il litorale, spazzando tutto e risucchiando case, barche, cadaveri e superstiti. Numerosissime scosse di assestamento si ripeteranno nelle giornate successive e continueranno fino al marzo 1909, gettando nel terrore quanti sono fortunosamente sopravvissuti.

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i poderi Sacco, Spanò Bolani, Spinelli e Guarna oggetto di espropriazione per essere utilizzati come aree di insediamento di complessi baraccati

Quindicimila morti nel solo Comune di Reggio, che all’epoca non comprendeva i quattordici centri minori che nel 1927 andranno a costituire la ‘Grande Reggio’. Aggiungasi un numero mai calcolato con esattezza di feriti e il 90% delle costruzioni pubbliche e private distrutte o irrecuperabili. Tutto il mondo rimase commosso per l’entità del dramma umano che il sisma aveva provocato. Fu un accorrere di uomini generosi, che venivano per dare aiuto a chi non aveva più niente. Fu un fiorire di Comitati, che in tutta Italia, in tutta Europa ed anche nelle lontane – ma vicinissime per la presenza dei nostri conterranei lì emigrati – Americhe si costituirono, allo scopo di raccogliere fondi per inviare materiale d’ogni genere, che venisse incontro alle infinite esigenze dei superstiti.

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la sistemazione urbanistica della parte alta dell’area precedente. Il terreno al di sopra della via Borrace è oggi occupato dal Palazzo della Regione

Gli aiuti alla popolazione: i baraccamenti civili

Uno dei problemi più vistosi fu, naturalmente, quello di dare un tetto a quanti erano rimasti in vita. Si decise di utilizzare terreni fuori dell’antico nucleo urbano, che era ingombro di enormi cumuli di macerie; e fu nel vecchio contado agricolo: a Sbarre, a Tremulini, sulle colline ad oriente, che sorsero, oltre ai vasti baraccamenti costruiti dall’Esercito, quelli del Comitato Romano, del Comitato Friulano, del Comitato Americano, delle Croci Rosse svizzere e norvegesi. Se ne trovano ancora tracce nella toponomastica cittadina. Trattando più particolareggiatamente dell’area di cui stiamo parlando, baracche furono rapidamente costruite fin nei primi giorni del 1909 dal Genio Civile, fra la ‘Strada Borrace’ – successivamente denominata ‘Borrace alla Caserma’ e che oggi passa davanti all’edificio regionale – ad Est, e la ‘Strada Tremulini’ – all’incirca l’odierno ‘viale Giovanni Amendola’ – ad Ovest, il Torrente Caserta a Sud e l’attuale ‘Via Achille Sacchi’ a Nord. Le baracche furono realizzate in due gruppi: ‘area Tremulini’ e ‘area Borrace’. La prima si articolava su nove strade interne, indicate con numeri romani, da XXI a XXIX, e vi trovarono

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un’inedita immagine delle baracche costruite dal Governo e dalla Croce Rossa degli USA nella zona sud della città nel 1909 pagina a fronte due planimetrie del fondo Sacco, al momento dell’esproprio e con la collocazione dei padiglioni ancora la Palazzina Ufficiali

posto 554 strutture abitative; nella seconda, servita da sette Traverse, distinte con numeri arabi, dalla 23 alla 29, se ne eressero altre 123, per un totale di 667 famiglie. Immediatamente al di sotto della Strada Tremulini, furono collocate altre 350 baracche. (24) Ancora più ad Ovest, fu sistemato il baraccamento inviato dagli Stati Uniti d’America, che passerà alla storia urbanistica reggina del post-terremoto come il ‘baraccamento americano’. Una curiosità: in omaggio a quella generosa Nazione, le strade di questo baraccamento furono tutte intitolate con nomi di Stati, Città e personaggi americani come Arizona, Brooklyn, Virginia, Indiana, Georgia, Carolina, New Jersey. Ci fu anche una via ‘Belknap’; e abbiamo scoperto, in una pubblicazione conservata nella Biblioteca della California University, che quello era il cognome dell’ufficiale americano – Reginald Rowan Belknap, lieutenant-commader della Marina Militare statunitense, nonché attachè navale presso l’Ambasciata Americana a Roma – che comandava la Task Force cui fu affidato il compito di costruire (in concomitanza dell’altro realizzato a Messina, che, però, comprendeva anche un ospedale, un albergo, una scuola e una chiesa) il baraccamento donato dalla Croce Rossa Usa. (25) Il ‘rione’ contava 725 baracche, per cui il totale di tutte le baracche installate fra il torrente Santa Lucia e la fiumara dell’Annunziata, e fra Borrace e il mare fu di ben 1779 alloggi. Il che dà un’idea precisa della dimensione di quella che sarà definita ‘la città di legno’.

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ASCRC, Serie ‘baracche’, cat. X-8-11, Fondo Ente Edilizio, bst. 1, fsc. 4, 1914

24)

R.R. Belknap, American house building in Messina and Reggio, G.P. Putnam’s Sons, New York and London, The knickerbocker press, 1910

25)


Il baraccamento militare

ASRC, inv. 25, Fondo Prefettura, affari speciali dei Comuni, Reggio Calabria, 2 ottobre 1909, fgl. 284, n. 1901, decreto di esproprio

26)

27)

ASRC, ibidem, verbale di consistenza

P. Aliquò Mazzei, I baraccamenti militari definitivi di Messina e Reggio, Roma 1911

28)

All’indomani del terremoto, per affrontare i problemi di ordine pubblico generati da quel disastro, il Governo decise di impiantare, nelle vicinanze della città distrutta, anche una grande struttura militare baraccata. Il Genio Civile, dovendo sistemare l’impegnativo baraccamento, sceglierà ancora la contrada Borrace per il suo insediamento. Il terreno è quello dei Melissari, passato in proprietà alla famiglia Sacco, e più precisamente ad un Bartolo Sacco, barone di Anomèri, – che è genero del senatore, nonché sindaco della città, Fabrizio Plutino –, il quale porta come secondo cognome ‘Melissari’, cioè quello della madre Lucrezia, che ha portato in dote proprio quell’area. Il decreto prefettizio di esproprio è del 6 aprile 1909 (26) e dal verbale di consistenza steso nella circostanza, apprendiamo che furono occupati ben 40.150 metri quadrati di terreno, coltivati per la gran parte a vigneto. (27) I lavori furono condotti dal maggiore del Genio Militare Pietro Aliquò Mazzei. (28) Si realizzarono dieci grandi padiglioni per l’alloggiamento della truppa, dodici baracche per accogliere gli ufficiali e le loro famiglie, ed un’elegante palazzina per il Comando del Reggimento; oltre, naturalmente, alle scuderie, alle cucine e a capienti magazzini.

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la Storia

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schizzo a matita della collocazione di famiglie di ‘sfollati’ in uno dei quattordici padiglioni della Caserma, steso per la successiva assegnazione di alloggi popolari

Gli ‘sfollati’ nella Caserma

Per completare la storia del baraccamento di Borrace, va ricordato che subito dopo la conclusione ‘reggina’ della Seconda Guerra Mondiale – con lo sbarco alleato sulla nostra costa il 3 settembre 1943 e conseguente ‘liberazione’ di Reggio –, le vaste baracche della Caserma, vuote dei militari, furono invase da tantissime famiglie che avevano avuto la casa distrutta o danneggiata dai massicci bombardamenti del maggio-giugno di quell’anno, o che comunque cercavano un alloggio, sia pure di fortuna, in città. Si creò, allora, una situazione di assoluta emergenza, che, purtroppo, si protrasse per moltissimi anni. (46) Ancora nel 1969, sindaco Pietro Battaglia, le cronache parlano degli interventi municipali per la demolizione delle ultime, fatiscenti, baracche esistenti all’interno dell’area, e della sistemazione, in case costruite nella zona Sud della città, delle ben duecentocinquanta famiglie che vi risiedevano.

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ASCRC, Fondo Pubblica Istruzione, cat. LX, bst. 34, fsc. 7; Fondo Patrimonio Edilizio, cat. V-XI-1, bst. 11, fsc 6

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l’

Architettura di

DOMENICO GIMIGLIANO

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schizzo di uno dei primi disegni di massima del progetto del Palazzo: il corpo aggettante sull’ingresso principale

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Q

UANDO, il 7 ottobre 1983, fu pubblicato il bando della Presidenza del Consiglio Regionale, per la progettazione della sede del Consiglio calabrese, da realizzarsi in Reggio Calabria, io, i miei amici, i miei colleghi e collaboratori, fummo subito affascinati dall’idea di poter fare qualcosa in proposito. Il Palazzo del Consiglio Regionale! La finalizzazione di una battaglia fatta in nome della dignità di un Popolo, un sogno a lungo inseguito, la ricollocazione fisica di Reggio al centro del panorama politico regionale. E pensammo a lungo su quali potevano essere le forme edilizie che meglio potessero dare espressione a questi sentimenti. Un primo suggerimento ci venne dal fatto che la Calabria, all’epoca, era ancora distinta nelle tre province di Reggio, Catanzaro e Cosenza: il numero ‘perfetto’ per antonomasia, che poteva rappresentare la base del discorso architettonico che volevamo fare. Poi immaginammo una sala del Consiglio che fosse anche fisicamente il punto ‘clou’ della vita democratica della Regione. Ed allora puntammo su una struttura articolata in tre membri, strettamente collegati fra di loro da vincoli indissolubili, inalterabili, ferrei – come le passerelle che oggi si stagliano nel panorama dell’edificio – e che avesse al centro, nel suo cuore, sospesa nel futuro ma solidamente ancorata al territorio, appunto quella sala, dalla quale per i tempi a venire si sarebbero

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uno schizzo aereo del complesso, completo delle destinazioni delle rimanenti parti dell’area interessata

il 12%, ha facilitato lo sviluppo di un impianto edilizio lungo fasce parallele poste a differenti quote altimetriche. La struttura, infatti, si colloca all’interno di una maglia quadrata, parallela ed ortogonale al sistema urbano principale dei lotti, che è caratteristico della Città di Reggio Calabria, ricostruita in epoca illuministica, distribuendo i corpi principali lungo i lati prospicienti la città, a valle, nella direzione Nord-Ovest e Sud-Ovest e, lungo la sua diagonale, nella direzione Sud-Nord.

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Nel loro rapporto planimetrico, i tre corpi definiscono uno spazio interno triangolare. Questo spazio vuole rappresentare una “piazza interna”, opportunamente attrezzata, che riequilibra funzionalmente quinte esterne ed interne dell’organismo, diventando così una componente vincolante dell’intero complesso, non impostato sulle differenziazioni usuali di parti principali e parti secondarie, ma definito con un orientamento di distribuzione più maturo dei suoi spazi funzionali esterni ed interni. Per rendere ancor maggiormente caratterizzante l’elemento “piazza”, interviene, come scelta progettuale precisa e, nello stesso tempo, come parametro funzionale principale, l’ubicazione dell’aula del Consiglio che viene collocata sul baricentro dell’area interna. Infatti, quattro grandi setti cementizi definiscono, sul piano di questa area/piazza, una vera e propria ‘Agorà’, una cavea gradinata, che attrezza la piazza stessa per funzioni diverse da quelle di semplice collegamento. E sulla piazza si erge, sospesa sui quattro setti portanti rispetto al piano di calpestio, l’aula del Consiglio Regionale. Così collocata, a parte il significato simbolico di centro delle attività ufficiali del Consiglio Regionale, e quindi cuore delle funzioni amministrative della Regione, essa diventa, anche per la sua particolare maestosità e per la sua assoluta razionalità, elemento unificante dei tre corpi di fabbrica sviluppati nelle direzioni descritte.

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Piano rialzato, a q. 52,00 s.l.m.

AUDITORIUM

CORPO B2

CORPO A2 AULA CONSILIARE

CORPO A1

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D’ COR AN G PO OLO

CORPO B1

Il Corpo A1, prospiciente la via Quartiere Militare, ha caratteristiche di ufficialità; per una rampa pedonale, si accede all’ingresso principale dell’intero organismo, alla vasta hall di rappresentanza – con affaccio panoramico sul lato mare dell’edificio – e alla Sala ‘Nicholas Green’, che è direttamente collegata all’‘Agorà’ sia funzionalmente che visivamente, attraverso grandi pareti vetrate. Il Corpo A2, prospiciente la via Card. Portanova, è maggiormente destinato ad una fruizione pubblica. Vi si apre l’ingresso alla Sala ‘Federica Monteleone’. Il Corpo d’Angolo contiene la hall d’ingresso del pubblico e l’accesso alle sale di riunione. Il Corpo B presenta un profondo atrio, con accesso dall’Agorà. Dall’atrio si accede, a sinistra (Corpo B1): alla Buvetteria, a destra (Corpo B2): ai locali dell’Ufficio Rapporti con il Pubblico e alla ‘Biblioteca dell’Identità Calabrese’. Attraversato l’atrio, si entra nel grande Auditorium.


Piano ammezzato Ăˆ presente solo nel Corpo B, ove vi sono ricavati: nel Corpo B1 il ristorante, con le annesse cucine, e nel Corpo B2 la Sede Provinciale RAI, le emittenti locali a livello regionale ed il Settore Flussi Informatici.

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Quinto piano o ‘attico’, a quota 71,20 s.l.m. L’intero piano è stato progettualmente destinato ad ospitare, con tutte le comodità e la riservatezza che può garantire un ‘piano attico’, gli Uffici di ciascun Consigliere Regionale. Nella parte centrale del Corpo B, si trovano i locali dell’Associazione fra gli ex Consiglieri Regionali. Per l’intero complesso edilizio è presente un impianto di diffusione sonora.

PIANTA PIANO QUINTO

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La centrale tecnologica A debita distanza dal complesso, su un’area di ben 960 mq, si trova il corpo di fabbrica della Centrale per gli impianti tecnologici, che include, oltre all’impianto elettrico, l’impianto di climatizzazione, l’impianto antincendio e l’impianto di potabilizzazione, quest’ultimo alimentato da un pozzo di falda profondo ben 48 metri.

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il

Palazzo Oggi PALAZZO CAMPANELLA

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A

reggio Calabria, l’architettura urbana offre all’osservatore due aspetti particolari, fortemente diversi fra di loro, direttamente legati alla sua storia recente. Com’è noto, all’alba del 28 dicembre 1908, la Città, sotto le spinte parossistiche di un sisma del decimo grado della Scala Mercalli, fu d’improvviso trasformata in un mucchio dolorante di rovine. Dopo una prima sistemazione in complessi baraccati, la popolazione superstite iniziò la lenta e faticosa ricostruzione del centro abitato. Ricostruzione che fu notevolmente influenzata, sotto il profilo artistico, da quella linea decò che è passata alla Storia dell’Arte con il nome di ‘art nouveau’ o più comunemente come ‘stile liberty’. Moltissimi suoi edifici costruiti tra il 1910 e il 1930 offrono significativi saggi di questo modo di progettare e di decorare. Di ciò godette particolarmente il Corso Garibaldi, che, anche per le norme antisismiche in vigore, che proibivano costruzioni alzate per più di due piani, risultò presentare uno skyline particolarmente raffinato, tanto da dare all’intera città una spiccata personalità. Dagli anni ’60 in poi, purtroppo, questo indirizzo progettuale andò perduto, preferendosi progettare in forma essenziale, a molti piani, senza particolari caratterizzazioni stilistiche. Anzi anche molti edifici di particolare pregio artistico del Corso furono ‘aggrediti’ da interventi speculativi, che hanno stravolto quell’immagine.

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Aula consiliare ‘Francesco Fortugno’ L’Aula del Consiglio Regionale, come già detto, è il cuore dell’imponente complesso edilizio, e vuole rappresentare anche il centro dell’attività politica regionale. È stata inaugurata il 18 marzo 2002. Oltre alla Presidenza e ai membri del Consiglio Regionale calabrese, parteciparono anche i Presidenti di altri Consigli Regionali, come la Toscana, la Basilicata, il Friuli, il Molise, il Trentino, il Veneto, la Sicilia, e Roberto Louvin, Presidente del Consiglio della Valle d’Aosta, all’epoca Coordinatore nazionale della Conferenza dei Presidenti delle Regioni. A rappresentare il Governo fu l’on. Mario Tassone. Presenziarono deputati e senatori calabresi, il Presidente della Giunta Regionale, Giuseppe Chiaravalloti, con l’intera Giunta, gli ex Presidenti del Consiglio, Anton Giulio Galati e Giuseppe Scopelliti, l’arcivescovo mons. Mondello. Il discorso ufficiale fu tenuto dal Presidente Luigi Fedele, il quale evidenziò la solennità del momento, che vedeva il Palazzo finalmente completato. Elegante, accogliente, confortevole, con i suoi arredi in pelle, legno e cristallo, la grande sala è rivestita in noce e ciliegio rosso. Strutturata a gradoni, su un lato sono collocati i banchi della Presidenza e della Giunta, sui due lati contrapposti quelli dei Consiglieri, e di fronte i settori dei resocontisti e del pubblico.

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I ‘Bronzi di Riace’ il giorno della loro sistemazione nella sala ‘Monteleone’ del palazzo, per un delicato check up di restauro, alla presenza del Presidente del Consiglio regionale, on. Giuseppe Bova, e del Soprintendente Archeologico regionale, dr.ssa Simonetta Bonomi

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L E O P E R E D ’ A RT E

Tommaso Campanella San Francesco che attraversa lo Stretto di Messina San Giorgio Zaleuco Ncuddamula cu cori Scilla, il mito Assassinio di Giuditta Levato La Fata Morgana Il giardino di Adone

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Tommaso Campanella

ANDREA VALERE, ritrattista, nasce a Reggio Calabria nel 1952, si diploma al Liceo artistico ‘Mattia Preti’ di Reggio Calabria nel 1969 e si laurea in Architettura a Firenze.

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San Francesco che attraversa lo Stretto di Messina

ANDREA VALERE

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Assassinio di Giuditta Levato

MIKE ARRUZZA, pittore, è nato a Dasà, nell’entroterra vibonese, dove è rientrato da qualche anno, dopo aver vissuto per molto tempo a Milano e negli Stati Uniti.

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i Giardini del Palazzo PALAZZO CAMPANELLA

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Il ‘Palmarium’ Giardino Mediterraneo dell’Accoglienza delle cinque Province

Lo splendido Orto Botanico recentemente realizzato nella parte settentrionale dell’area su cui insiste il Palazzo Campanella, con piante di grande pregio e di specie uniche, resa fruibile alla cittadinanza per mezzo di un elegante reticolo di vialetti bordati di erbe aromatiche.

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i Giardini del Palazzo


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i Giardini del Palazzo

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“La Calabria e il mare” Il monumento in bronzo, opera dello scultore reggino Michele Di Raco, alto oltre sei metri, che presenta, attraverso una serie di figure, suggestivamente collocate in verticale, la pesca del pescespada, e con cui si vuole simboleggiare il rapporto fra i Calabresi e il mare, ma anche l’esigenza di un profondo, costante equilibrio nel rapporto fra l’Uomo e la Natura.

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i Giardini del Palazzo


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i Giardini del Palazzo

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Kaleidon casa editrice di cultura calabrese via Mili - S. Anna 21 I-89128 REGGIO CALABRIA tel/fax 0965.324211 libro@kaleidoneditrice.it www. kaleidoneditrice .it


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