Promozione e Sviluppo per l’Architettura del Paesaggio
XVI CONVEGNO INTERNAZIONALE INTERDISCIPLINARE
IL MOSAICO PAESISTICO-CULTURALE IN TRANSIZIONE: DINAMICHE, DISINCANTI, DISSOLVENZE UDINE 22-23 Settembre 2011
PALAZZI CAISELLI E ANTONINI
Il paesaggio tecnologico dell’architettura contemporanea PAYSAGE TOPSCAPE
allegato al n° 9 di Editore
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Promozione e Sviluppo per l’Architettura del Paesaggio
Katia Gasparini Università IUAV di Venezia
Relazione Nel progetto architettonico contemporaneo si sta diffondendo sempre più la costruzione di facciate mediatiche, sistemi che nell’immaginario collettivo rimandano a un rivestimento di tipo esclusivamente elettronico: display digitali, video wall o sistemi di proiezione architetturale fra i più disparati, spesso di tipo informativo. Fra questi si sono distinti in questi anni oggetti singolari e superfici fantastiche, abbiamo assistito alla realizzazione di installazioni, light-art e meta-superfici che utilizzano le tecnologie del colore e della luce con estrema precisione, creando nuove visioni artificiali nel paesaggio contemporaneo. E’ importante capire il ruolo che questi nuovi simboli giocano nella percezione delle superfici urbane e le ripercussioni visive nel paesaggio circostante. Come si integrano con l’architettura esistente, se si integrano, e in che rapporto sono con la storia, con la pianificazione urbana e con gli edifici simbolo di una città. Queste sono alcune delle domande cui si cercherà di dare una risposta attraverso l’analisi sia di alcuni interventi importanti in città simbolo dal punto di vista costruttivo e architettonico, diverse fra loro per radici cultutali, storiche e sociali del paesaggio naturale e antropizzato, oltre che della popolazione. Sono le metropoli americame come Chicago, capitali europee come Berlino, asiatiche e proprie della cultura araba. Quali sono le forme e soprattutto le tecnologie che si presentano in queste nuove visioni e da quali dinamiche sono caratterizzate? Di seguito si riportano gli esiti di una ricerca in corso presso l’Università IUAV di Venezia presso l’Unità di Ricerca “Colore e luce in architettura”. 1. Installazioni luminose, landmark e icone digitali del nuovo paesaggio urbano La percezione del nuovo paesaggio urbano è influenzata dal movimento e dalla frammentazione, dalla combinazione di punti di vista diversi sia propri che del paesaggio antropizzato. Il paesaggio contemporaneo sembra un insieme frammentato di visioni, fermo-immagine o scatti fotografici composti come un puzzle digitale, formati da una moltitudine di nuovi punti di vista, assolutamente personali o personalizzabili grazie alle nuove tecnologie digitali: google earth, mappe satellitari, webcam, mezzi di trasporto veloce, ecc.. Ma non si tratta solo di visioni, cambiano di conseguenza a questa evoluzione elettronica anche i punti di riferimento fisici che identificano un determinato luogo o contesto, i cosidetti landmark. Letteralmente e storicamente il Landmark identificava un luogo geografico utilizzato da esploratori e viaggiatori per trovare la strada del ritorno o attraversare un’area vasta: una torre, il faro, per esempio. Nell'uso contemporaneo un punto di riferimento include tutto ciò che è facilmente riconoscibile, come un monumento, una costruzione o altra struttura: la Statua della Libertà negli Stati Uniti o la Piramide di Cheope in Egitto, la Sagrada Familia a Barcellona … prima che fossero costruite la Torre Agbar e le altre torri nei dintorni.
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Promozione e Sviluppo per l’Architettura del Paesaggio La Torre Agbar, appunto, alla stregua del KunstMuseum di Graz, dell’Alba di Luce di Milano o la Crown Fountaine di Chicago, fino all’Indemann Project tedesco: il paesaggio contemporaneo sembra identificarsi in simboli luminosi, icone digitali interattive. Cambiano le tecnologie e i sistemi costruttivi: da quelli storici o geografici si passa alla realizzazione di punti di vista assolutamente decontestualizzati rispetto il paesaggio, strutture autoreferenziali quanto basta con l’unico obiettivo di attirare-stupire-comunicare. L’”Alba di Luce” di Milano, di Ian Ritchie Architects, è l’installazione vincitrice del concorso internazionale bandito per Milano 2001 III Millennio “Segno Luminoso”. In questa opera la luminosità della fibra ottica è stata fonte di ispirazione per proporre un tessuto luminoso che identifica la fama mondiale di Milano come capitale della moda e del design, della qualità e innovazione. L’installazione era visibile sia di giorno che di notte: di giorno a luce fissa, di notte variabile a intermittenza. Era costituita da fibre ottiche intessute con filo di acciaio inossidabile. “L’ Alba” di Ritchie venne consegnata alla città il 18 gennaio 2001, ma non seppe catturare l’ammirazione di molti. Incompresa dai più, fu presto oggetto di polemiche. Tra l’aprile e l’agosto del 2002, “la branda”, come fu ribattezzata di lì a poco, fu smantellata e abbandonata in un capannone nella periferia della città. Questo in Italia, che come vedremo più avanti, è un caso a parte nel panorama contemporaneo mondiale per quanto riguarda l’architettura mediatica. In realtà nel resto del Mondo le tecnologie luminose e digitali caratterizzano i nuovi landmark ovunque. Il più dirompente sembra essere “Indemann Project”, di Maurer United Architects, realizzato nella città di Inden. Nel comune di Inden esiste una miniera di carbone a cielo aperto. È un’area in cui sono stati realizzati numerosi villaggi per ospitare la mano d’opera necessaria all’estrazione del minerale. La miniera attualmente copre una superficie di 4.500 ettari, un’estensione territoriale in cui le operazioni di scavo hanno creato un paesaggio insolito. Questo scenario cambierà nuovamente dopo il 2030 quando cesseranno definitivamente le operazioni di scavo e il sito sarà trasformato in una grande area per gli sport d'acqua e altre attività ricreative. Il comune di Inden in questo luogo ha voluto innalzare un landmark, una sorta di torre di guardia visibile da grandi distanze, che identificasse questo paesaggio lunare. Per il progetto gli architetti si sono ispirati alla forma di un enorme robot alto 36 m. Il design di Indemann è caratterizzato da un aspetto esterno imponente, ma la vera sorpresa sta al suo interno. Il progetto è stato concepito come una composizione di esperimenti architettonici, con enormi elementi a sbalzo lucidi e luminosi, pavimenti a griglia metallica accessibili nel braccio teso del robot a 18 metri dal suolo. La superficie è rivestita da 40.000 Led e funziona come uno schermo dal quale possono essere proiettate animazioni. In questo modo la struttura-landmark assolve alla funzione di un vero faro al calare della notte. Dal momento del suo completamento l'edificio è divenuto un punto di riferimento visivo nella regione Mosa-Reno, visibile dall’autostrada A4 tra Aquisgrana e Colonia. L'apertura ha attirato 10.000 visitatori1. Durante il giorno la superficie metallica brilla e riflette la luce, la notte prende vita uno spettacolo a gestione informatizzata. Si sono diffuse negli ultimi anni in modo più incisivo, specialmente in Italia, anche le proiezioni luminose, un strumento relativamente semplice per realizzare facciate mediatiche, ma di grande
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Nico Saieh, http://www.archdaily.com, 21/03/2010
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Promozione e Sviluppo per l’Architettura del Paesaggio effetto. Con questa tecnologia è possibile trasmettere per mezzo di una serie di proiettori sistemati a un’adeguata distanza filmati su una vasta superficie verticale. L’utilizzo dei proiettori ad alta definizione collegati in serie e gestiti da un computer consente la realizzazione di immagini e video di grande formato dove la superficie di proiezione -se è vetratasembra rappresentare il confine fra il mondo reale e il mondo virtuale: l’immagine reale dietro il vetro si fonde con quella delle proiezioni in primo piano, dando luogo a quella che Virilio definisce “stereorealtà”. La tecnologia delle proiezioni urbane si è evoluta in primo luogo più all’esterno degli edifici legandosi a specifici eventi e sfruttando per esempio le superfici di edifici storici, realizzando così l’interazione fra immagini proiettate e elementi architettonici. Con questi sistemi si impiegano tipologie di proiettori a potenza elevata, anche fino a 2500 watt per una distanza dalla parete di proiezione anche di 1500 metri. Secondo l’estensione della superficie di proiezione si possono mettere in serie più proiettori e gli obiettivi sono intercambiabili in funzione della distanza da coprire. L’uso di videoproiettori invece consente di visualizzare l'immagine video a dimensioni che possono raggiungere decine di metri di diagonale (metodo di misura delle dimensioni dei monitor), quindi anche di gran lunga superiori a quelle di un monitor o di un televisore. Il progetto 555 KUBIK di Daniel Rossa realizzato sulla superficie della Amburgo Kunsthalle di Ungers nel 2009, che ha richiesto la realizzazione di una proiezione della dimensione di 2048 x 768 pixels, per una durata di 16 minuti, è solo uno dei tanti eventi a dimensione urbana che caratterizzano ormai la città contemporanea. 2. Lo sviluppo dell’architettura mediatica nel vecchio e nuovo continente: paesaggi a confronto La differenza nella nascita e sviluppo di questa tipologia comunicativa nel nuovo e vecchio continente risiede sostanzialmente nelle radici storiche dell’architettura e dell’urbanistica.Ovvero nella loro esistenza o assoluta assenza. Quali sono i diversi modi di interpretare la comunicazione in superficie in queste diverse parti del mondo e di conseguenza le tipologie e tecnologie adottate? Quali le ripercussioni? Semplificando, i dati (in progress) ricavati dalle analisi in corso hanno posto in evidenza la diffusione di costruzioni mediatiche fini a sé stesse nelle metropoli americane e asiatiche, cioè in luoghi a sviluppo storico e urbano relativamente recente. In questo caso siamo di fronte fondamentalmente a due tipologie. La prima è relativa allo sviluppo e diffusione di sistemi comunicativi video definiti dapprima insegne luminose (vedi il caso di Las Vegas), perfezionatisi poi nei video-wall (le metropoli asiatiche: Hong Kong, Shangay, ecc.), oggi definiti urban-screen (New York, Chicago, ecc.). La seconda tipologia afferisce alle installazioni, nello specifico site specific, in alcune circostanze assimilate alla stregua di “opere d’arte”. In realtà si tratta di progetti di architettura mediatica, solitamente padiglioni espositivi, sale concerto, totem luminosi, che identificano percettivamente un luogo. Sono costruzioni senza alcun legame con il contesto urbano e architettonico nel quale sono inserite, nemmeno urbanistico o storico. Sono assolutamente autoreferenziali, con l’unico scopo di mostrare sé stesse. Queste icone, simboli o segni (come sono spesso definiti) potrebbero essere collocati in qualsiasi luogo, sono progetti che ovunque si trovino sono decontestualizzati dal tutto. L’esempio più significativo in questo senso è il Millenium Park di Chicago. 2.1 Urban screen e installazioni nel nuovo continente Gli Stati Uniti sono luogo di conquista, con una storia relativamente recente, dove le popolazioni e le costruzioni si sono localizzate e sviluppate avendo a disposizione vaste aree, poche vie di
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Promozione e Sviluppo per l’Architettura del Paesaggio comunicazione e pochi servizi. Questo ha dato origine a uno sviluppo planimetrico e urbano assolutamente pianificato e basato su una griglia ortogonale, oppure a uno sviluppo che si snoda lungo le principali vie di comunicazione. Due esempi significativi sono Las Vegas e Chicago, che riportano anche i casi emblematici delle due tipologie mediatiche anzi descritte. Las Vegas è la città della finzione, della facciata “posticcia” (come potrebbe essere definita) o della maschera posta davanti a contenitori anonimi se non addirittura container. L’altra, Chicago, che rinasce dalle proprie ceneri, pianificata. Las Vegas è una città di passaggio, nata e sviluppatasi lungo una strada che attraversa il deserto. Non ha radici storiche. La sua origine è il luogo di sosta, la stazione di servizio: una sequenza di episodi commerciali, di servizio e ludici che hanno dato origine al “non-luogo” per eccellenza. Dalle prime stazioni di servizio con i primi cartelloni pubblicitari –billboard-, alle insegne al neon, ai supermarket e poi all’apparizione dei casinò. Una città-insegna in cui non esiste alcune differenza fra il giorno e la notte, fra interno ed esterno. Nell’America anni Cinquanta/Sessanta Robert Venturi, superando la logica del rapporto formafunzione nella nuova società di massa, ha riconsiderato la figura dell'architetto, identificandolo come decoratore di superfici e comunicatore. Venturi concepisce un’architettura che, abbandonato l’imperativo di dover assolutamente veicolare informazioni attraverso la propria forma, può diventare altro da sé, cioè il supporto di altri media con potenzialità comunicative infinitamente maggiori: schermi televisivi, tabelloni pubblicitari, oggetti iconicamente caratterizzati. Si tratta dell’architettura intesa come spettacolo urbano. Per estensione, Venturi adotta il termine in rapporto alle città identificandole in una sorta di teatro. Lo spettacolo come “simulazione”, un artificio in cui non è più possibile distinguere la copia dal modello e il reale dal virtuale. In riferimento al paesaggio di Las Vegas Venturi sostiene che si trattava di “un’ architettura di comunicazione invece che di spazio; la comunicazione domina lo spazio come elemento fondamentale nell’architettura e nel paesaggio (Learning from Las Vegas, 1967, p.30). Nello sviluppo pianificatorio ed edificatorio di Las Vegas si possono riconoscere tre diversi livelli: monodimensionale, bidimensionale e tridimensionale. a. l’epoca monodimensionale corrisponde agli esordi, il 1900. In questo frangente sono le vie di comunicazione che danno forma all’insediamento che sta sorgendo, le classiche autostrade nel deserto. Si riscontrano nel panorama urbano radi edifici per la sosta degli automobilisti, insegne fatte da cartelloni stampati. b. l’epoca bidimensionale corrisponde agli anni Venti-Trenta del secolo scorso. E’ l’era dei neon e delle insegne elettriche, dei casinò e della conquista della visibilità lungo la strada. Il carattere della città è percepibile solo di notte: la forma si scinde dalla funzione. Da questa esperienza visiva hanno origine le teorie di Robert Venturi. c. L’epoca tridimensionale si percepisce dagli anni Novanta del secolo scorso. E’ l’era della spettacolarizzazione e dell’iper-reale. In quest’epoca la strip si trasforma in un parco tematico all’aperto, gli spettacoli di ogni casinò si portano all’esterno per attrarre i visitatori. Le strade sono pulite e decorate come i corridoi di un centro commerciale all’aperto, le insegne diventano dinamiche ed eccessive. Non c’è distinzione fra l’illuminazione internaesterna delle strade e dei locali commerciali. Dai casinò spariscono gli orologi per annullare la percezione del tempo, che dev’essere un’entità astratta. Il caso di Chicago è diverso da Las Vegas: mentre nel primo caso l’evoluzione della città è più legata allo sviluppo e diffusione della tecnologia, del commercio e della moneta o del benessere, in
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Promozione e Sviluppo per l’Architettura del Paesaggio altre città e stati l’evoluzione urbanistica e/o architettonica è conseguente agli eventi storici e culturali. Il Millenium Park di Chicago può essere considerato un episodio di land art, decontestualizzato dal contesto urbano. Un tentativo di dare vita ad un luogo di ritrovo (senza radici storiche) quale è la piazza, concetto che non esiste nella cultura locale. Il parco è composto da una serie di episodi che si possono definire progettuali slegati sia dal contesto che fra loro, sono sia installazioni che opere d’arte realizzate tramite un’applicazione esasperata della tecnologia e del design. Non possono nemmeno essere considerate architetture, alcune forse media-architecture, la municipalità stessa le ha classificate come opere d’arte. Involucri fluidi e specchiati come il padiglione di Anish Kapoor, il Pritzker pavillion di Gehry che aldilà della forma, si espande nella funzione verso la piazza coinvolgendo sensorialmente gli utenti, le Crown Fountain con i totem digitali che sembrano interagire con gli utenti attraverso un sistema di blocchetti attivi e display ad alta definizione. 2.2 Urban screen e installazioni nel vecchio continente In Europa l’esistenza di radici culturali e storiche fa sì che il paesaggio tecnologico tenti un’integrazione più graduale con il paesaggio naturale e antropizzato esistente, cercando un accordo visivo e percettivo sovente attraverso installazioni temporanee, rivestimenti mediatici di facciata, che interagiscono con la città e gli utenti. E’ stato significativo a questo proposito l’intervento di ampliamento del KunstMuseum di Graz che, pur nella forma biomorfa e nella superficie mediatica, ha tentato un approccio interattivo con il tutto: la città, il paesaggio, il museo stesso e le opere d’arte ivi ospitate. Questo probabilmente è dovuto grazie ad una visione olistica del progetto da parte degli attori coinvolti: il museo, i progettisti –Peter Cook e Colin Fournier-, i progettisti della facciata mediatica interattiva –lo studio realities:united-. A Graz si è realizzata la simbiosi fra lo spazio espositivo e l’arte, in stretta relazione con l’architettura e il sistema mediatico. Questo ha potuto dare origine a un linguaggio univoco che lega i concetti di monumento-pubblicità e meta pubblicità. La stessa tecnologia comunicativa, il sistema Bix, adotatta per l’involucro mediatico del KunstMuseum, è stata adotatta per la facciata temporanea che si affaccia su PotsDamer Platz: la facciata Spot realizzata davanti all’edificio semicircolare progettato da Schweger + Partner. Potsdamer Platz è luogo storicamente e architettonicamente significativo per Berlino, di convergenza geografica e politica, luogo di guerra e poi di riunificazione. La piazza è stata ricostruita nell’ultimo ventennio su progetto e pianificazione di Renzo Piano. Nell’immediato paesaggio circostante è però circondata da episodi architettonici significativi, afferenti al movimento moderno come per esempio: la Galleria Nazionale progettata da Mies V.D. Rohe nel 1962, la Berlin Philharmonic di Scharoun del 1956, il Sony Center di Helmut Jahn. Gli interventi recenti realizzati a Berlino non hanno nulla di dirompente come successo nei casi americani descritti anzi, Potsdamer Platz è un caso emblematico perché gli interveti hanno mirato a mantenere le radici storiche e urbanistiche, ricostruendo sul sedime con tecnologie contemporanee. Gli edifici vengono rivestiti di superfici mediatiche e interattive, solo una pelle superficiale, non un edificio decontestualizzato. La facciata mediatica interattiva Spot è stata un’installazione temporanea, un rivestimento mediale di facciata. Interventi più radicali e astrusi dal contesto sono realizzati in aree ai margini dei centri abitati, deserte o abbandonate con il preciso scopo di dare loro visibilità. Ecco allora che si realizzano strutture luminose come l’Indeman oppure installazioni realizzate con il recupero di vecchi oggetti dismessi (frigoriferi, ruote d’auto, taniche, ecc.) come nelle realizzazioni del gruppo Refunc.
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Promozione e Sviluppo per l’Architettura del Paesaggio L’Italia è un caso a sé. Una cultura architettonica e una tradizione storica molto radicate, quindi in fase di lento cambiamento. Le innovazioni ormai obsolete a New York o a Shangay qui non hanno certo trovato terreno fertile. In Italia possiamo assistere piuttosto ad uno sviluppo più marcato negli ultimi anni della cultura del lighting e del multi vision design attraverso l’uso di proiezioni architetturali. Artisti e gruppi come Paolo Buroni, Elastik Grouop of Research e altri si stanno distinguendo per gli interventi luminosi e per le nuove teorie sulla comunicazione visiva. Se si esclude il piano degli interventi per expo 2015, il primo e forse unico episodio di facciata mediatica e interattiva mai realizzata in Italia su una vasta superficie, è stato MIA - Milano in alto, di Urbanscreen Spa, a Piazza Duomo. Ma anche in questo caso si è trattato di installazione temporanea. 3. Il paesaggio tecnologico nelle aree a cultura araba Sono significativi due casi internazionali assolutamente diversi fra loro, agli antipodi, relativi a cittàcapitali con radici culturali e storiche completamente diverse. Anzi, a città in cui o ci sono profonde tradizioni storico-architettoniche o dove assolutamente non c’è storia: il caso del Cairo e di Dubai. Al Cairo fino a quasi tutto il Novecento i materiali impiegati nelle costruzioni sono reperibili in loco: pietra, legno, mattoni di fango e paglia. Si identificano all’interno della città cinque principali tipologie edilizie tradizionali: le residenze collettive, le residenze a patio con ballatoio, le residenze unifamiliari su più piani, gli edifici commerciali a corte, con negozi al piano terra e alloggi per turisti e viaggiatori al piano primo, infine le residenze universitarie. Dal 1980 circa la città assiste ad un massiccio sviluppo del turismo, grazie alla diffusione dei voli low cost, dei viaggi organizzati e di quella famosa frammentazione spazio-temporale di cui si è accennato prima. Questo porta alla costruzione di grandi complessi turistici e alberghieri, i famosi villaggi-vacanze, grand-hotel e centri direzionali. In questo contesto, essendo gli investitori perlopiù grandi società occidentali, salta completamente la tradizione costruttiva del luogo e si assiste all’utilizzo di nuove tecnologie e tecniche costruttive tipiche europee: strutture in acciaio e calcestruzzo armato, grandi superfici in vetro che si concentrano principalmente lungo il waterfront del Nilo. Tuttavia, questo modus operandi europeo non si è integrato con il genius loci della popolazione egiziana che continua a costruire con materiali del luogo i tipi edilizi egiziani. Quindi si percepisce costruttivamente e culturalmente una linea di demarcazione fisica e sociale piuttosto evidente. Contemporaneamente negli ultimi venti anni, circa, sono state poste le basi di un grande piano di rivitalizzazione dell’intero centro de Il Cairo che mira a proteggere e preservare la parte storica con l’obiettivo di trasformare vaste aree in un museo all’aria aperta come accade in Share’ Al-Muiz. Al Cairo è stato approntato un vasto progetto generale di illuminazione per il cuore della città, lungo le rive del Nilo e sui relativi ponti del centro, che costituisce lo strumento per il recupero urbano e architettonico. Elemento base dei progetti è un sistema di illuminazione dedicato per ognuno degli edifici storici e moderni, in parte già attuato. Nulla di più. Nel senso che, per preservare la città storica, è stato deciso di valorizzarne il costruito con progetti di lighting, senza inserire però interventi dirompenti avulsi dal contesto. Per contro, è stato approntato il piano “CAIRO 2050” che prevede il ridisegno del waterfront sul Nilo attraverso il posizionamento di grattacieli e landmark ad uso direzionale ed alberghiero lungo le rive del Nilo, la realizzazione di polmoni verdi per la città, il progetto della monumentale Khufu Avenue da realizzarsi mediante sventramento di molte aree della parte residenziale di Giza allo scopo di creare un asse monumentale di 8km di lunghezza e 600 metri di larghezza, dalle piramidi a Zamalek. Oltre, ovviamente, diffuse opere infrastrutturali.
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Promozione e Sviluppo per l’Architettura del Paesaggio Per contro, la città di Dubai inizia a esistere negli anni Settanta del secolo scorso, con la costituzione degli Emirati Arabi Uniti e la svolta economica a seguito della scoperta dei giacimenti petroliferi. Dagli anni Novanta, dopo la guerra del golfo, inizia in modo massiccio l’epoca degli investimenti commerciali e turistici. Da questo momento inizia la costruzione di penisole artificiali, grandi edifici dalle forme più astruse e dalle altezze sempre maggiori, centri direzionali e aree commerciali e di svago artificiali. Il tutto a dimostrare la potenza economica del piccolo paese. Edifici che, se dapprima potevano essere considerati dei Landmark, dei simboli o icone di un paesaggio in sviluppo, ora gareggiano fra loro per il primato dell’altezza, laddove non c’è più distinzione fra l’uno e l’altro. Più che architettura-icona o Landmark si potrebbe parlare di paesaggio-icona, simbolo di potere economico più che tecnologico. Dal 2002 infatti, grazie a una tassazione agevolata, si assiste all’aumento di investimenti privati soprattutto nel campo immobiliare: inizia il ridisegno dello skyline di Dubai su vasta scala.
Cv relatore Katia Gasparini, architetto, PhD in Tecnologia dell’architettura, dall’anno accademico 2009-2010 insegna Tecnologia dell’Architettura presso l’Università Iuav di Venezia, facoltà di Architettura, dall’a.a. 2011/12 insegna Innovazione Tecnologica per l’involucro edilizio presso il Politecnico di Milano, Scuola di Architettura e Società. Laureata presso lo IUAV con una tesi sui Media Buildings, ha conseguito il dottorato di ricerca presso l’Università di Ferrara, facoltà di Architettura con una ricerca sulle superfici mediatiche. Svolge attività didattica, di ricerca e di sperimentazione sui temi della qualità ambientale e dell’innovazione in architettura, in particolare sugli aspetti riguardanti l’espressività dei materiali e delle tecnologie delle superfici architettoniche contemporanee comunicative. Membro dell’Unità di ricerca “Colore e luce”dell’Università Iuav di Venezia. Autrice e curatrice di monografie e manuali, saggi e articoli nazionali e internazionali relativi all’involucro edilizio contemporaneo. Architetto libero professionista, svolge attività di consulenza e progettazione sui mediabuilding e nuove tecnologie per l’involucro mediatico Interessi di ricerca: progetto e tecnologie delle facciate mediatiche, qualità ambientale e innovazione tecnologica nell’involucro architettonico, colore e luce in architettura.
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