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Anno 2 n. 8 settembre/ottobre bimestrale Registrato il 9 dicembre 2005 presso il Tribunale di Perugia N.29/2005 R.P

ArtiCO taccuino di viaggio dal continente della creativitĂ

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ARTICOli PAG 4

Le arti in città

di Andrea Cernicchi

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Anatomia dell’Irrequietezza Intervista a Luca Beatrice

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di Antonella Carrera

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Flussi - Le arti in città di Moreno Barboni

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Murcof, il cosmonauta dell’elettronica di Vincenzo Prencipe

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Isabella Bordoni Attraversamenti poetici di Antonella Carrera

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Saguatti/Basmati Framing the contemporary di Vincenzo Prencipe

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Suoni/Visioni Sotto la pelle della città Sollima/Di Mino

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di Vincenzo Prencipe

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Germinazioni

di Piercarlo Pettirossi

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Contraband - Daniel Zezelj di Antonella Carrera

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Per un’arte ambientalista Umane Energie

di Vincenzo Prencipe Andrea Lanzilotto

Direttore Maurizio Troccoli Redattori Francesco Capponi Vincenzo Prencipe Fabrizio Troccoli Luciano Carrera Antonella Carrera

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info e contatti:

di Vincenzo Prencipe

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Umbria Contemporanea Es.Terni

BAtik - Spazio 1999 2001 odissea nello spazio

Hanno collaborato Moreno Barboni Andrea Cernicchi Andrea Lanzilotto Piercarlo Pettrossi

redazione@articoweb.it

Comunicazione e marketing Sergio Saggiomo Grafica Luciano Carrera Le Fucine Art&Media

www.articoweb.it


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“Il viaggio è una dichiarazione d’amore per la diversità” L. Sepulveda La definizione di viaggio data dal grande scrittore cileno lo scorso febbraio, nella straordinaria cornice del Teatro Pavone gremito, ha immediatamente costituito l’assoluta, definitiva, sintetica rappresentazione delle motivazioni che ci hanno spinto a trasformare il 2007 perugino nell’anno dedicato alla tematica del viaggio. Dal confronto con alcuni amici proprio sulle idee che avremmo poi trasformato in progetto e programma, è emerso come parlare di viaggio nella nostra città rappresenti una imperdibile possibilità: dare risalto a quella realtà, umana e viva, che fa di Perugia interprete dinamica della contemporaneità, con i suoi giovani, con le sue istituzioni formative, con i suoi studenti “dal mondo”, con il suo essere fucina di arti e di storie. Avvertiamo, forte, l’esigenza di integrare il nostro essere collettività riconoscibile. Accanto all’accecante bellezza della nostra piazza con la laica sacralità della fontana, alle mura etrusche

e medievali, al museo nel Palazzo con opere universalmente ammirate, vogliamo che il mondo sappia anche della nostra capacità di innovare, di sperimentare linguaggi, di costruire modelli, di relazionarci dinamicamente con la realtà globale. Siamo convinti che il futuro sia più fecondo quando affonda le radici in un importante passato, ma l’una dimensione non può soverchiare l’altra. Tutela, promozione, sperimentazione e ricerca costituiscono la nostra rosa dei venti, punti cardinali di un incedere che vogliamo maggiormente attento alle prossime sfide. Abbiamo lungamente riflettuto su come proporre una progettualità interamente dedicata alla contemporaneità e alla creatività che facesse della qualità e dell’apertura la propria cifra identificativa. Nel farlo Perugia ci è apparsa molto più ricca di quello che attendevamo: associazioni, giovani artisti, mondo delle professioni, realtà formative, imprenditori, assolu-


tamente in grado di esprimere grande qualità, straordinaria vitalità e significativi rapporti con realtà socio culturali nazionali e internazionali, relazioni ora a nostra disposizione. Abbiamo scoperto un universo che aspetta solamente di essere messo a sistema, compito questo delle istituzioni, senza dubbio e senza alcuna possibilità di fuga. “Le Arti in Città – Perugia Contemporanea” nasce così da più intelligenze, può vantare numerosi interpreti, desidera far dialogare la città con altri importanti fenomeni culturali. La manifestazione, sostenuta dal programma regionale “Spettacolo Umbria”, è inserita nel contenitore “PGTR - Le forme del contemporaneo 2007”. Questa sottolineatura non deve essere considerata un dovere istituzionale. La nostra collaborazione con la città di Terni, fortemente perseguita da entrambi gli Assessorati, costituisce una novità nel panorama delle relazioni interistituzionali umbre, troppo spesso gravate di beceri campanilismi, egoismi incomprensibili, deteriori e sciocchi. Non possiamo pretendere di costruire un nuovo linguaggio universale in grado di avvicinare i popoli se non riusciamo a comunicare nemmeno con chi ci è prossimo, per non parlare del nostro livello di competitività materiale ed economica in uno scenario globale dalle caratteristiche attuali. In questo senso ringrazio Sonia Berrettini, mia omologa ternana, donna intelligente e dalla grande sensibilità politica. Il programma si sviluppa tentando di trasformare la città in un set dedicato al contemporaneo: Germinazioni, Flussi, Umane Energie, Anatomia dell’Irrequietezza, Batik i passaggi principali, segmenti di un tutto complesso fatto di colori, suoni e atmosfere che speriamo gradite. Con una piccola e raffinata proposta: Midnight Frame, due perle musicali all’interno della magia di San Francesco al Prato, struttura sempre più vicina alla definitiva restituzione alla città. Il tutto possibile a partire da un’inversione di tendenza operata dall’attuale Governo in merito ai finanziamenti alla cultura. Un grazie a tutti coloro, e sono tanti, che con la loro disponibilità, con la loro intelligenza e con il loro lavoro hanno reso e renderanno possibile la manifestazione che ora presentiamo. Un pensiero particolare per Piercarlo, Moreno, Luca e Vladimiro, amici che, assieme alle “specialiste e specialisti” di Palazzo della Penna capitanati da Loredana, hanno avuto il buon cuore di sopportarmi in un periodo “di svolta” nel progetto che, assieme a tanti altri, stiamo portando avanti. Andrea Cernicchi Assessore alla Cultura e alle Politiche Giovanili

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A dell'Irreq

Luca Beatrice sarà curatore della mostra di arti visive Anatomia dell’Irrequietezza, che si terrà a Palazzo della Penna a Perugia dal 30 settembre al 6 gennaio 2008, come momento culminante della rassegna annuale di attività culturali intitolata “Il Viaggio”, promossa dal Comune di Perugia - Assessorato alle Politiche Culturali e Giovanili - in collaborazione con la Regione Umbria. Il progetto ha preso il via il 2 Febbraio scorso con l’incontro talk-show che ha visto il critico protagonista insieme a ospiti di rilievo quali lo scrittore cileno Luis Sepulveda e il musicista Boosta, tastierista del noto gruppo dei Subsonica. Sostenitore dello scambio tra i diversi linguaggi artistici, della contaminazione, del “viaggio” nei territori di confine tra le arti, Beatrice è stato inoltre curatore della mostra Sound & Vision, prima grande rassegna in Italia, dedicata al crossover tra musica e arti visive dal 1967 a oggi, tenutasi nel giugno 2006 a Perugia a Palazzo della Penna. Lo abbiamo intervistato. Assumere il tema del viaggio quale filo conduttore per la programmazione di una serie di iniziative

di diverso segno da realizzarsi nell’arco dell’anno 2007, permette di sperimentare una modalità inedita di proporre attività culturali e in contro tendenza con il proliferare di Notti Bianche che diventano sempre più spesso contenitori poco attenti e insensibili, onnivori. Quali sono gli aspetti davvero innovativi di tale scelta e invece quelli più rischiosi dal suo punto di vista? La scelta innovativa sta senz’altro nel creare un pubblico “fidelizzato”, che cresce e si alimenta soprattutto grazie al passaparola, forma di comunicazione molto più efficace che non le tonnellate di pubblicità cartacee che si confondono nella folla. Un pubblico che abbia voglia di novità e di emozioni, che tenda a riconoscersi, a identificarsi nella nostra proposta culturale. I rischi? Di due generi: il primo, climatico. Se piove o fa troppo caldo il pubblico potrebbe rispondere meno, ma soprattutto le lentezze burocratiche che troppo spesso ritardano cose che si potrebbero fare più rapidamente investendo energie in mille altri progetti.


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Anatomia quietezza

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Intervista a Luca Beatrice L’idea del viaggio presuppone uno spostamento da un luogo ad un altro, sul piano fisico, temporale e culturale. L’idea dell’esistenza di un “luogo altro” ha rappresentato storicamente una dimensione di grandi opportunità, ma anche di mistero e di diversità. Quali sono i “luoghi altri” del panorama artistico contemporaneo che andrebbero esplorati? Altro è ovunque: è la voglia di conoscenza, di mettersi in gioco, sforzarsi di capire e non tentare di imporsi. Il viaggio è fatto essenzialmente di due incontri: l’uomo e il paesaggio. Bisogna essere disponibili, sia che si vada in Afghanistan sia che ci si fermi in un piccolo paese dell’Italia.

Molto spesso si fa riferimento all’identità artistica di una regione, di un territorio, di un contesto socio-culturale ecc... come fosse un concetto statico, immutabile. Alla luce di ciò, come si rapportano i concetti di contaminazione, cross-over, pluralità di linguaggi con quello di identità? Sono destinati a entrare in collisione?

Anatomia dell’Irrequietezza è il titolo, ispirato a una famosa raccolta di saggi e articoli di Bruce Chatwin, della mostra che la vedrà curatore. Come si accorderà al tema del Viaggio?

Lo scrittore inglese era un esperto d’arte e un instancabile viaggiatore, abilissimo narratore di storie nelle Individuare l’identità con la staticità, l’immobilità, mi quali il viaggio è considerato materia prima che alipare un luogo comune, così come contrapporvi cro- menta la nostra intelligenza. sover e pluralità. Le proposte migliori nascono sempre dal mix tra questi due atteggiamenti, il locale si fon- Quali saranno le sezioni tematiche? da con il globale, il particolare con l’universale. Non è certo una mia scoperta. Basti constatare il successo Il Grand Tour, l’Orientalismo, i grandi maestri italiani, le dell’arte cinese, che al tipico unisce l’universalità. Una ultime generazioni, la fotografia, l’arte concettuale, il filone dei materici. collisione senz’altro positiva, vitale.


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La mostra svilupperà il tema del viaggio attraverso le diverse epoche sino ad arrivare al terzo millennio? Punto di partenza il Grand Tour settecentesco che i pittori stranieri compivano come percorso di iniziazione e apprendimento, poiché nel viaggio in Italia riscoprivano la tradizione classica filtrata dallo spirito romantico. Punto d’arrivo il futuro, i viaggi reali e virtuali dell’era globale nel terzo millennio. Sin dalla mitologia antica, il viaggio altro non è che metafora della vita stessa. Può essere letto, infatti, sia come momento concreto, di spostamento fisico nello spazio e nel tempo, ma anche in senso simbolico come desiderio, tensione di conoscenza e di

ricerca, o ancora abbandono, esilio, perdita, allontanamento, riconquista del proprio io attraverso i luoghi dell’interiorità. Il significato recondito spesso sta nel percorso e nelle sue tappe, più che nella meta. Quali i principali artisti in mostra? Tra i maestri italiani ci sono Salvo, Luigi Ontani, Mario Schifano e Aldo Mondino; tra gli Orientalisti, Giuseppe Tominz, tra i materici Claudio Costa e Renata Boero, tra gli stranieri Jimmie Durham, Anne e Patrick Poirier, Jhang Zhi, Bodys Isek Kingelez, Beat Streuli, Boris Mikhailov e Richard Long.

Anatomia dell'irrequietezza Il mito del viaggio dal Grand Tour all'era virtuale 30 settembre 2007 - 6 gennaio 2008 Conferenza stampa venerdì 28 settembre ore 11.30 Inaugurazione sabato 29 settembre ore 18.00

a Guerre stellari di George Lucas (1977), da Marakkesh Express di Gabriele Salvatores (1989) a Viaggio a Kandahar di Mohsen Makhmalbaf (2001), da Thelma&Louise di Ridley Scott (1990) a Passaggio in India di David Lean (1985).

Palazzo della Penna Via Podiani 11, Perugia

La mostra è accompagnata da un catalogo edito da Damiani, (formato cm 25 x 19, 160 pagine a colori circa, 100 riproduzioni circa) con testi di Luca Beatrice, Marina Bon, Alberto Campo, Gianni Canova, Andrea Cernicchi, Piersandro Pallavicini e Silvano Rometti

Precede l’ingresso in mostra la proiezione in loop di spezzoni tratti da opere cinematografiche: da Il viaggio (El viaje) di Fernando E. Solanas (1992)


La sezione Flussi de Le Arti in Città propone nel 2007 degli interventi nello spazio urbano derivanti da workshop incentrati sulla creazione di ambienti poetici intermediali e immersivi, sull’interazione fra arti visive e sonore nelle installazioni, sulla performance audio-video. Infatti, i laboratori sono progettati per dar vita ognuno ad un evento che vedrà il pieno coinvolgimento dei partecipanti insieme agli artisti docenti. Quest’edizione guarda alla città come luogo di transiti e di percezioni soggettive, di memoria stratificata e di “flusso di pensiero”, di voci o lingue diverse e di paesaggi sonori. Perugia sarà perciò osservata e ascoltata, percorsa e registrata, per raccogliere un database audio e video dei suoi ‘flussi’ che saranno ricreati in laboratorio e ricombinati nelle performance che si terranno nella Rocca Paolina, a San Francesco al Prato e negli stessi luoghi urbani prima fonte di ispirazione e poi musicati all’improvviso. I tre eventi conclusivi saranno anticipati da altrettanti eventi, quali: la progettazione sonora per gli impianti audio di tutte le scale mobili di Isabella Bordoni e Angelo Benedetti con la versione remixed del testo poetico Lì dove l’ombra appare, arricchita da frammenti della conferenza di John Cage del 1992; l’apertura della mostra multimediale CROSSING/canto di Antonio Di Mino e Giovanni Sollima presso il CERP della Provincia di Perugia; l’anteprima del laboratorio Urbane Visioni con le rarefatte atmosfere elettroniche e classiche di Murcof (musicista messicano residente a Barcellona e figura di riferimento internazionale) al loro secondo incontro, dopo Parigi, con le metamorfiche immagini dipinte dal vivo di Saguatti, nella suggestiva cornice del futuro auditorium. Moreno Barboni

FLUSSI

Le arti in città

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Fernando Corona, aka Murcof, trentasettenne musicista messicano dal volto pacioso e barbuto, è considerato uno dei più influenti performer elettronici degli ultimi anni. Planet Magazine nel 2005 lo ha inserito, insieme a personaggi del calibro di David Byrne, Lars Von Trier, Naomi Klein, nella lista dei 30 artisti “più visionari” del mondo; nel

2006 ha vinto il Qwarz Electronic Music Award come musicista più promettente. Ancora, lo scorso anno, partecipa al Montreux Jazz Festival in un suggestivo live set con il trombettista Erik Truffaz e l’eclettico musicista anglo-indiano Talvin Singh. Difficile definire la sua musica: “... una sorta di sperimentazione tra

classica ed elettronica nella loro forma più minimalista, un confronto tra la precisione digitale ed il calore acustico alla ricerca dell’armonia e complementarietà tra loro, in modo tale da riflettere i rapporti di interazione tra l’universo digitale ed il mondo reale”, recita il suo profilo su MySpace.


Murcof, il osmonauta ’elettronica

Sul suo percorso iniziatico alla musica ha molto influito la provenienza da una famiglia di musicisti dove il padre, polistrumentista, legato alla Buncho Records di Tijuana, gli ha trasmesso la passione per la musica classica, Bach su tutti, mentre la folgorazione elettronica è arrivata dopo l’ascolto di un disco di Jean Michel Jarre. Altre influenze dichiarate sono Giacinto Scelsi, Alva Noto, Arvo Pärt, John Santo, Kraftwerk.

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L’ “elettronica colta” di Murcof sembra proporre una tensione continua verso il viaggio ed il mistero, la ricerca spirituale ed introspettiva, una sorta di colonna sonora dell’incontro tra Natura ed Uomo (tecnologico). La tecnologia appunto, tecnica e scienza insieme, è per Murcof uno “strumento della trascendenza” *. Non intaccata da un personale giudizio di merito sulla sua positività o negatività in termini assoluti, la digitalizzazione dell’esistenza, intesa come aspetto fondante della cultura contemporanea e di rimando, la musica elettronica come strumento espressivo, è solo un mezzo attraverso cui raggiungere un fine altro. A settembre di quest’anno, per la Leaf Label, prestigiosa casa di produzione britannica votata alla sperimentazione (con la quale Murcof collabora dal 2002), uscirà la versione finale del suo ultimo lavoro Cosmos che egli definisce come: “... uno sguardo verso le stelle, il tetto cosmico sotto la cui influenza viviamo, influenza che tendiamo a negare e nascondere, così impegnati come siamo nel tentativo di far funzionare il nostro ‘moderno’ stile di vita.”

Tutti i titoli dei suoi lavori precedenti Martes, Ulysses, Memoria, Utopia, Remembranza indicano una influenza profonda nel vissuto artistico di Murcof di un immaginario letterario e filmico legato alla fantascienza ed al mito della scoperta. Le tracce contenute in questi lavori sarebbero perfette come colonne sonore per film di genere anni ‘70. La fantascienza di Fernando, come egli stesso sottolinea è però “estremamente legata alla realtà”, una sorta di mistica del vivere quotidiano che si basa sulla consapevolezza che, oltre al mondo creato dagli uomini, esiste un alterità che domina le nostre vite. La sua musica, in questo senso, sembra suggerire le traiettorie di spostamento all’interno di una dimensione immaginifica che supera i confini tra reale ed irreale, quasi una dark ambient irrequieta e precaria.

Così, tra le infinità cosmiche e le profondità oceaniche disegnate da soffici tratteggi di piano, fiati ed archi, si insinuano freddi suoni elettronici, glitch e campionamenti minimali, pause significative (a volte più del suono), la cui fusione si produce in un mantra disconnesso che favorisce il trasporto dell’ascoltatore dal mondo terreno a quello onirico, l’attraversamento e la compenetrazione tra l’Io liquido dell’umano e la forza misteriosa e poderosa dell’ambiente che lo circonda. * i virgolettati di questo articolo, dove non specificato diversamente, sono tratti da una intervista con l’artista.


MURCOF + SAGUATTI Live Set/Live Paint

Navata di S. Francesco al Prato, 30 settembre ore 22.00

La Live Media Performance è uno dei più interessanti orizzonti delle arti elettroniche. Audio e video, in questo contesto liminale, sono soggetti ad una ibridazione reciproca che confonde i confini dell’una e dell’altra disciplina, rendendo tortuosi i percorsi relazionali tra loro e producendo un’estetica multiforme attraverso la dispersione del visuale nel sonoro e viceversa. Terreno complesso, dove soundscapes e videoscapes si confrontano su un terreno paritario, la Live Media Performance unisce entertainment, architettura, design, arti plastiche e musica in un unicum spaziotemporale in presentia, dove la sperimentazione e la casualità mettono in scena uno spettacolo sempre nuovo, vivificato dal confronto artistico tra personalità creative differenti. Nella navata di San Francesco al Prato, Saul Saguatti, media performer tra i più apprezzati a livello nazionale ed internazionale (vedi pag. 20) proporrà, insieme a Murcof, una realizzazione inedita di Live Paint, (azione originariamente ideata e realizzata dal video-artista bolognese insieme al musicista Andrea Martignoni). All’evento seguirà il live set dell’artista messicano. Murcof e Saguatti hanno avuto la possibilità di conoscersi e di apprezzare il

reciproco lavoro nel 2006 in occasione della manifestazione torinese Club To Club, Festival Internazionale di Musiche e Arti Elettroniche, dove hanno messo in scena Life From Pluto remix04, riadattamento in chiave live di un cortometraggio di Saguatti del 2000 (realizzato in tecnica mista sperimentale con pellicola super 8 animata a passo uno digitale). Successivamente, a “La Geode” IMAX Theater di Parigi, il duetto ha riproposto una spettacolare operazione sullo schermo di quattrocento metri quadrati del teatro, con una amplificazione di 12.000 watt. Live Paint si sviluppa attraverso l’articolazione di relazioni plurime tra videocamera, live painting, musica e computer grafic. Su un supporto di vetro, ripreso in controluce dalla telecamera, vengono prodotte a mano dall’artista, seguendo le suggestioni sonore, delle tracce di colore mischiate a schiume e solventi che poi, manipolate attraverso il computer, vengono proiettate nello spazio. Sicuramente, la performance perugina si arricchirà di un ennesimo e spettacolare elemento: gli ambienti ancora provvisori ed in divenire della basilica di S. Francesco in fase di ristrutturazione, che con le sue suggestioni, renderanno l’evento quanto mai irripetibile.

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La città vive in me come un poema che non m’è riuscito di fissare in parole. Da un lato v’è la eccezione di alcuni versi; dall’altro, accantonandoli, la vita percorre il tempo, come terrore che usurpa tutta l’anima. Ci sono sempre altri crepuscoli, altra gloria; io provo il logorarsi dello specchio che non si placa in una sola immagine. J.L.Borges, Carme presunto e altre storie

Nei suoi lavori poesia, suono, arti visive, architettura, entrano in relazione reciproca e in relazione con la scena. Qual’è il rapporto con tali mezzi espressivi? Volendo tracciare delle coordinate del mio lavoro nel tempo, direi che mi interesso agli eventi acustici e visivi, al linguaggio e ai sistemi della comunicazione, alle tecnologie sensibili alla memoria. I miei spazi di relazione sono il teatro, la radio, la performance, i media. I materiali sono lo spazio, il tempo, la natura. Gli strumenti sono la parola soprattutto poetica, il suono,


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Isabella Bordoni

versamenti poetici l’immagine. Dunque da sempre mi muovo abitualmente tra i mondi, tra queste “diverse nature”. Ho iniziato il mio percorso artistico alla metà degli anni ’80, precipitando come per reazione chimica, nella scena delle arti visive, sonore e performative del Nord Europa; Austria, Germania, Belgio, Olanda, Danimarca sono stati i primi scenari geografici e sentimentali di questo viaggio. Sono arrivate poi presto le residenze in Austria, in particolare a Linz, a Graz, a Vienna, nei centri di ricerca sulle nuove tecnologie applicate alle arti, in America come scrittrice residente e in Germania, a Berlino e Brema. Sono cresciuta in quegli anni tra gli ‘80 e i ‘90 alla “scuola” della sperimentazione acustica e radiofonica che ha visto in Heidi Grudmann e Bob Adrian e nell’esperienza austriaca di Kunstradio, dei maestri e dei promotori. Erano gli anni in cui si esploravano e si attraversavano i confini delle arti, questo attraversamento è stata la lezione prima e tangibile nonché la condizione inalienabile della mia ricerca. Negli anni che vanno dal 1985 al 2000 sono anche stata “l’anima poetica di Giardini Pensili” (prendo a prestito questa definizione che diedero del mio lavoro Laura Mariani e Claudio Meldolesi), compagnia teatrale che ha segnato nel decennio 1985-‘95 la ricerca italiana nell’ambito delle arti sceniche e le nuove tecnologie, e dalla quale mi sono successivamente allontanata per dare voce ad un progetto che ponesse al centro la poesia. Non la poesia come esercizio di scrittura ma come modalità di abitare il mondo, come militanza. Da allora ho creato nel 2000 Progetto per le Arti/IB_Project for the Art, un cantiere delle arti e delle tecniche nomade

Bio Isabella Bordoni, poeta, performer, artista multimediale, curatrice di eventi site specific, docente di videoarte (corpi e territori e arte dei luoghi all’Accademia di Belle Arti di Rimini e alla NABA di Milano) è nata nel 1962, a Rimini. Nel 1985 ha creato con Roberto Paci Dalò GIARDINI PENSILI, compagnia teatrale e laboratorio di media, cantiere delle arti e delle tecniche. Nel 1999 ha dato vita con Rupert Huber al progetto Shadow 44/48, dedicato al rapporto compositivo tra testo, voce e suono, area di ricerca da sempre al centro del proprio lavoro. Dalla metà degli anni ‘80 sia come autrice che come interprete realizza opere teatrali e radiofoniche, allestimenti e installazioni, progetti telematici, libri, cd.


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tra Italia, Austria e Germania. Sembra esserci alla base l’esigenza di “transitare” di spostarsi da un luogo espressivo ad un altro, di evocare dimensioni liminali. Uno specie di sguardo dove nessuno guarda? L’esperienza e la poetica del “liminale” sono stati senz’altro territori di esplorazione personale, artistica ed umana. Credo infatti che proprio nel “liminale” - la cui natura risiede anche nello spostarsi tra diversi ambiti della percezione sensibile e del comportamento - vengano rappresentati davvero bene i luoghi verso i quali tendo. Si tratta di luoghi posti al bivio tra materia sensibile e non, tra pubblico e privato, tra naturale e artificiale. Mi interessano quindi le zone interstiziali, residuali, quelle che Gilles Clemént definisce magnificamente nel suo Manifesto del Terzo Paesaggio. Credo quindi in un’arte impura, contaminata nei linguaggi e nelle ideologie. Non univoca e pertanto, forse, anche irrisolta e certamente minore. Lei stessa ha definito la sua un’arte che sta nelle sfumature, che vive nelle pieghe dei luoghi, nelle minoranze, nei luoghi di transito. Come in una specie di rituale di passaggio? C’è un piccolo libro di Giorgio Agamben che ho letto in diverse fasi della mia vita e che amo rileggere come si legge un breviario laico. Appartiene al novero di quei libri che hanno per me la portata più che di un vero e proprio ragionamento quella di un’intuizione felice, di una divinazione, di un augurio, di un prodigio che è della mente e del cuore. Nel suo “La comunità

che viene” Agamben tratteggia con segno che è insieme poetico e filosofico, la condizione del Limbo. Nel definire le creature del Limbo egli ci dice che la loro è innanzitutto “neutralità rispetto alla salvezza, l’obiezione più grande che sia mai stata levata contro l’idea stessa della redenzione”. In questa liminalitá trovo risiedano contemporaneamente umiltà e potenza e questi due stati - non solo l’uno o l’altro, non l’uno senza l’altro - creano forze che sovvertono l’ordine e la percezione. Trovo che questo sovvertimento sia l’eversione che cerco e che chiamo poetica. E’ certamente un rituale di passaggio e come tale appartiene alle trame preziose della vita che ci insegnano che vivere è questo transitare di soglia in soglia, tra soglia e soglia. L’eversione poetica è per propria natura minore perché non interessata alla

spartizione e al possesso, non alla proprietà ma al transito ed alla condivisione dei saperi. Non alla permanenza ma al passaggio. Ricordavo prima Gilles Clément con Manifesto del terzo paesaggio. Ebbene lui dice che “Se si smette di guardare il paesaggio come l’oggetto di un’attività umana subito si scopre (sarà una dimenticanza del cartografo, una negligenza del politico?) una quantità di spazi indecisi, privi di funzione sui quali è difficile posare un nome. Quest’insieme non appartiene né al territorio dell’ombra né a quello della luce. Tra questi frammenti di paesaggio nessuna somiglianza di forma. Un solo punto in comune: tutti costituiscono un territorio di rifugio per la diversità. Ovunque, altrove, questa è scacciata. Questo rende giustificabile rac-


coglierli sotto un unico termine. Propongo Terzo paesaggio, terzo termine di un’analisi che ha raggruppato i principali dati osservabili sotto l’ombra da un lato, la luce dall’altro.” … Terzo paesaggio rinvia a Terzo stato... Uno spazio che non esprime né il potere né la sottomissione al potere… Cos’è “poetry.scapes” ? Letteralmente significa “paesaggi poetici”. Dal 2001 uso il termine poetry.scapes per designare un progetto permanente che si concretizza in una serie di allestimenti ed eventi realizzati su diversa scala, “ambienti poetici, visivi e sonori” spesso commissionati come project room o site specific, a volte progettati anche con utilizzo di sistemi interattivi. In questo senso

anche il lavoro che presento a Perugia è un poetry.scapes, in quanto elaborazione di una mappa sensoriale e percettiva proposta all’interno di un luogo monumentale della città che è anche il cuore pulsante del sistema di transito urbano. Con poetry.scapes si interpellano luoghi nei quali lo spazio effettivo diventa anche spazio affettivo. Si creano quindi spazi di ampia natura poetica e civile, dedicati in maniera permanente o temporanea alla comunità che li abita o/e vi transita. E’ un lavoro di svelamento delle anime poetiche delle aree urbane o extraurbane, del centro o delle periferie dei nostri poli aggregativi... poiché un percorso possibile per la società contemporanea è quello di immaginare e creare percorsi urbani al pari di percorsi poetici. Lì si creano nuove geografie emozio-

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nali. La città, le sue periferie, i luoghi pubblici, un parco, una piazza, un luogo di passaggio...vengono interpretati come stanze d’ascolto aperte; il luogo si fa ambiente polisemantico dove lo spaesamento è traccia di un nuovo luogo, nuovo paese dell’anima. Qualche anno fa ha portato avanti un progetto intorno all’opera di Ingeborg Bachmann e al tema delle migrazioni, viste sia come spostamenti geografici che da un punto di vista intellettuale e artistico; in questo lavoro il tema del viaggio, dello spostamento tra confini anche interiori è centrale. Come anche l’esperienza della separazione, dell’abbandono, della distanza che vive ogni migrante. Che relazione ha il lavoro che propone a Perugia con quello iniziato precedentemente? Amo molto l’opera della Bachmann. Amo la sua scrittura poetica e la prosa, la saggistica, la scrittura di reportage. Amo quello stare in bilico tra luoghi esitanti e stati della coscienza, lo sguardo lirico e civile, spietato eppure pietoso. Quell’ospitare la ferita aperta della natura fragile della mente e quella propria della natura caduca dei corpi, delle vite. Trovo nella sua scrittura lo spazio, la visione, i suoni. La sua scrittura è fatta di scie luminose, aperture e chiusure del senso, lei ci dice la condizione irreparabile della natura umana. Attraverso le prime letture della Bachmann ho incontrato successivamente la mia scrittura. In questo senso devo a lei più che ad altri o ad altro il fatto di avere iniziato a scrivere io stessa a partire dagli anni ’80. Nel 2003 ho avuto poi la fortuna di


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incontrare il lavoro e l’intelligenza di Stella Avallone alla direzione del Forum Austriaco di Cultura di Milano. Con lei mi sono dedicata alla cura a Rimini di “Scrivere contro la guerra. Ingeborg Bachmann 19261973” mostra dedicata alla vita e le opere della scrittrice austriaca. Fu l’occasione per riaprire le porte ad un amore e da allora il lavoro intorno a Ingeborg Bachmann è diventato un progetto più ampio e complesso che ho chiamato “Andante con figure_nel verso di IB” . Questo progetto è stato realizzato in collaborazione con il centro viennese Literatur-Verein zur Förderung
von Werk- und Kunstverständnis Ingeborg Bachmann, diretto Christian Moser, nipote di Ingeborg, e da Helga Pöcheim, presentato in Austria come evento scenico e radiofonico. Nel mio lavoro mi muovo su traiettorie piuttosto che su argomenti o temi. In questo senso la condizione del nomadismo non è per me metafora ma vera pratica artistica. Chiamo attraversamento lo stare tra i confini delle identità, nelle zone del pensiero critico, tra soglie di coscienza a volte tutte interiori, altre volte drammaticamente geografiche, storiche... Attraversamento è, anche, farsi zona permeabile, luogo di crisi, corpo e mente dubitante. Di questo lavoro porto con me, in un mix inestricabile, la certezza e l’incertezza dei paesaggi, dei luoghi che sono state vie di fuga. Ho chiare l’intensità delle pause, le risate, il pianto, la forza dello sguardo… Di un lavoro così, così duro e così vero, è perfino difficile direi oggi che “è andato bene”. Un lavoro così ha aperto appena una fessura, propone all’arte la responsabilità di un altro interrogarsi e altro atto creativo. C’è dunque conti-

nuità della domanda tra un lavoro e l’altro, tra i tutti i lavori, compreso questo Diverse Nature che presento a Perugia. Quanto si presta il luogo e la città (di Perugia) a divenire un ambiente poetico? Quest’anno ho condotto un progetto con gli studenti dell’Accademia di Belle Arti di Rimini, lavorando sull’identità di un piccolo paese di costa. Un passaggio concettuale interessante che è stato fatto, consiste nell’avere superato il concetto di Non-Luogo per coniare ed abbracciare quello forse più complesso dell’Ovunque-Luogo. “dichterisch wohnt der Mensch auf dieser Erde”, “poeticamente abita l’uomo su questa terra” è un verso di Hölderlin a cui si riferisce Heidegger in un suo saggio sulla poesia. Questo per dire che l’uomo abita ovunque ed ovunque vi è Luogo. Ogni abitare richiama l’uomo a fare casa nella parola, ogni luogo è spazio architettonico per un Ovunque Poetico. Nel mio lavoro parto dal presuppo-

sto che non c’è luogo che non conservi una propria visibile o invisibile natura poetica. Per Perugia poi le prospettive si aprono magnificamente sulla città che è stratificazione di storia e civiltà, ed in particolare il luogo dell’intervento di Diverse Nature, l’interno della Rocca Paolina nella zona compresa tra la scala mobile, la piattaforma di transito, il Grande Nero di Burri e le ramificazioni dei corridoi e delle stanze sotterranee, è un luogo ideale di innesto tra le diverse identità del luogo, tra storia e modernità, tra architettura e tecnica.


Workshop Diverse Nature Isabella Bordoni sarà curatrice del workshop DIVERSE NATURE, evento dal vivo, installazione audio video e ambienti poetici per luoghi di transito urbano ed extraurbano. Attraverso 4 orizzonti tematici Poesia e Paesaggio, Infanzia e Tempo e quattro linee di lavoro e di ricerca: immagine/ voce-suono/poesia-drammaturgia poetica/scena, Diverse Nature immagina una nuova sintassi poetica della città, come un flusso di pensiero che la attraversa. Si tratta di un intervento non invasivo in termini di potenza acustica e di impatto sonoro, al contrario “minimo” e tuttavia immersivo, perché interpella acusticamente, visivamente ed emotivamente la città e il cittadino, all’interno di percorsi di Cittadinanza poetica. Metodi di lavoro sono il cammino, l’osservazione, lo sguardo su mondi esterni ed interni, sul luogo che ci include ed esclude, sulle parole che lo nominano

e ci nominano. Poesia e Paesaggio, Infanzia e Tempo sono mondi di relazione che collidono, si urtano, scorticano e accarezzano. Questo è il tracciato di ciò che compone la geopoetica teatrale di Diverse Nature. DIVERSE NATURE Workshop, evento dal vivo, installazione audio video e ambienti poetici per luoghi di transito urbano ed extraurbano a cura di Isabella Bordoni. Scadenza per la presentazione delle domande: 14 settembre 2007 Periodo workshop 24/29 settembre 2007 Per maggiori informazioni e per scaricare i bandi e le domande di partecipazione fare rifermento al sito web del Comune di Perugia (www.comune.perugia.it/ cultura).

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F con

Basmati (www.basmati.com) è il nome del progetto italo-francese voluto da Saul Saguatti e Audrey Coïaniz che hanno deciso di creare un’associazione culturale per organizzare e dare forma unitaria ad una produzione decennale e pluriautoriale di sperimentazione sui temi dell’animazione, della fotografia, del video digitale. L’associazione si offre come una fucina di produzione artistica incentrata sulla interdisciplinarietà e convergenza tra una serie di approcci e tecniche di

realizzazioni visive e sonore diverse come la pittura, il disegno, l’animazione pre-cinematografica e d’avanguardia, la fotografia sperimentale, la grafica, l’illustrazione, il video-digitale, la musica elettronica. A Perugia, Basmati realizzerà il workshop Urbane Visioni e per l’occasione abbiamo fatto alcune domande a Saguatti per cercare di capire, attraverso una più attenta analisi del lavoro del video-artista bolognese, cosa aspettarci dalla sua session perugina:


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Saguatti/Basmati

Framing the ntemporary Immergendosi nel suo lavoro per la prima volta, quello che colpisce è il riscontro di una molteplicità di approcci tecnici alle discipline artistico-visuali (animazione, fotografia, video, documentario, live performance, vjing), e tuttavia emerge una certa capacità di mantenere il tutto entro una firma riconoscibile, molto personale, che sfrutta la contaminazione tra il montaggio fotografico (il passo uno, la posa-b) e la pittura, lo schizzo veloce ed istintivo. Può delinearci quali sono le linee teoriche e tecniche, i cardini del suo lavoro? Sicuramente le fondamenta sono legate al serbatoio storico dell’animazione sperimentale, nata prima del cinema. Questa forma espressiva, divenuta un sistema mediatico di convergenza per molti tecnici ed artisti, ha prodotto una molteplicità di opere ad alto “tasso energetico” che usano le tecniche di passo uno in quasi tutti i modi possibili, creando un mare di punti di riferimento e spunti. Altra considerazione su questa base storico-artistica è la incredibile apertura di applicazioni possibili. Ho sempre visto questi lavori sperimentali come paralleli al cinema ma più convergenti verso forme narrative di tipo pittorico. Il tipo di narrazione che prediligo è quello della sintesi, come in un un quadro, piuttosto che essere didascalici come spesso avviene nel linguaggio classico cinematografico. Questo approccio permette usi diversi dello stesso materiale, forse un linguaggio più ermetico ma sicuramente molto più libero.

Bio Saul Saguatti nasce nel 1966 nella provincia bolognese. Compie gli studi artistici diplomandosi presso l’Accademia di Belle Arti di Bologna; si specializza in tecniche di animazione. I primi lavori sperimentali sono indirizzati verso la contaminazione tra tecniche diverse: animazione, pittura, fumetto, disegno su pellicola. Lavora anche per la televisione (Discovery Channel Europe, Rai, Tele+), per la pubblicità, ed è regista ed animatore per videoclip musicali (Adamsky, Prozac, Stadio, Aeroplanitaliani, Skiantos). Attivo anche in campo teatrale come visual per rappresentazioni di Sanguinetti (Ritratto del 900) e Giuseppe Bertolucci. Live media perfomer è stato vj resident della discoteca bolognese Salara.


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Molte delle sue produzioni più sperimentali ed oniriche (Life on Pluto, Basmati) partono dall’utilizzo di forme e simbolismi ancestrali, tratti signici che figurano riti magici, pitture rupestri, organismi monocellulari, primordiali riferimenti mitici. Un altro filone più “realista” parte dalla ricombinazione di materiale di repertorio (trash e splatter anni ‘80 e ‘90 su tutti). Nei lavori più recenti poi (i vari Fotorama, Woodsroads) dedica particolare attenzione all’ambiente circostante, soprattutto all’ecosistema urbano. Può dirci quali sono i punti di riferimento culturali che la influenzano ed ispirano? Ogni supporto ha una sua filosofia e un suo potere narrativo. Il mio è stato un percorso circolare che spazia attraverso diversi media. Nell’individuare i contenuti e nel muoverli tra i vari supporti ho cercato di avere una grammatica personale in grado di dialogare con le

varie lingue parlate da questi mezzi fine nel raccontare una città, senespressivi. tendola invece come un percorso Mi ha sempre interessato capire il in continua modificazione, la vera confine comunicativo di lavori non sintesi del micro-macro cosmo. narrativi. Mantenendo il più possi- Mi piace giocare con le strutture bile valide le regole di ingaggio e di esistenti, dargli una energia mobiattrazione tipiche del cinema clas- le, far danzare un palazzo, curvare sico, ho cercato di raccontare del- una tangenziale veloce, esaltare le le “non storie” usando sistemi più illuminazioni pubbliche, facendole emotivi, come certe visioni magico- diventare palle di luce aliene. ermetiche; in questo modo è stato possibile realizzare nelle storie punti di appoggio narrativi. Nel mio percorso artistico non per forza la cronologia dei lavori rappresenta una crescita. Meglio semplicemente considerarli un accumulo di esperienze che facilitano gli approcci con i nuovi lavori. Sicuramente la sfida più interessante sono le opere astratte, dove non hai nessun punto di riferimento codificato per creare pause o tensioni narrative. Ad esempio il racconto dei panorami urbani è una esperienza perfetta per realizzare questa apertura. Non vedo un inizio e una

Nelle sue visioni riveste particolare importanza il supporto sonoro. Collabora abitualmente con Wang Inc., Andrea Martignoni, Murcof. Proprio con quest’ultimo presenterà a Perugia una performance di live painting. Può delineare i rapporti di reciprocità tra il suo lavoro visuale e i sounscapes sonori? Il lavoro Paint nasce con Andrea Martignoni ma in questo caso è realizzato con Murcof. Con Andrea faremo il live finale sui lavori di Urbane Visioni. Il riferimento produttivo al mondo musicale è dovuto e in parte forza-


to. Parlando di lavori con narrazioni emotive non lineari, le esperienze di riferimento, a parte il mondo storico dell’animazione, provengono dal mondo musicale e dalla loro assoluta libertà creativa. Nelle mie opere il flusso narrativo è impostato dalle ritmiche, dalle sonorità e dal modularsi nei ritmi di vuoto

e pieno, un sistema di costruzione grammaticale che tento di riportare a livello visivo. Mi piace del mondo musicale anche la filiera produttiva o comunicativa, la comunicazione tra autori e la capacità di legare percorsi autoriali diversi con estrema facilità, in una parola – duttilità – .

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Sempre in riferimento al mondo musicale, anche la capacità di produrre lavori altrui è una cosa che vorrei fare mia. Con Basmati, abbiamo anche in programma di produrre lavori di altri autori tra illustrazione e fotografia, in modo tale da dare un senso più ampio a molte delle nostre esperienze lavorative.


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Un’ultima domanda sul suo workshop. “Urbane Visoni” nasce da un’esperienza pregressa che ha chiamato Fotorama, già presentata con successo in diverse parti d’Italia. Ci spiega in cosa consiste e quali sono i percorsi creativi che intende intraprendere e quali i risultati produttivi a cui approdare. Ha già pensato ad un impianto particolare dello stesso per la città di Perugia? Rispetto a Fotorama abbiamo deciso, con Moreno Barboni, curatore dell’evento, di dare a questo workshop, un taglio più forte, da cui nasce appunto Urbane Visioni. Cambia in primis la provenienza culturale dei partecipanti, selezionati tra ragazzi e ragazze che abbiano già un proprio percorso autoriale, a differen-

za di un’utenza generica dei precedenti lavori. Ci aspettiamo un’indagine più forte, dove dedicheremo meno energie alle tecniche di lavoro e più attenzione al lavoro di ogni partecipante, cercando di dare un legame a diverse linee di flusso. Perugia rappresenta una città di sintesi dell’Italia. Soprattutto dal coinvolgimento di partecipanti stranieri ci aspettiamo punti di vista particolari e poi Perugia è perfetta per questo tipo di lavoro, una città stratificata con molti percorsi possibili e soprattutto a misura d’uomo, facilmente gestibile per spazi e dimensioni, in modo tale da evitare una dispersione inutile di energie.


URBANE VISIONI Saul Saguatti e Audrey Coïaniz per Basmati + Andrea Martignoni Urbane Visioni si propone come strumento di riflessione sul contemporaneo, sulla città, sulla tecnologia e sul rapporto tra questi e l’umanità inurbata. L’iniziativa nasce da un riadattamento formale del progetto Futurama, offrendosi come percorso didattico e creativo per la realizzazione di un documento visuale collettivo che analizzi il paesaggio urbano attraverso la sensibilità artistica ed il filtro esperenziale dei singoli partecipanti. Urbane Visioni ha come obiettivo quello di utilizzare le tecniche e gli strumenti della fotografia e dell’audio digitali per realizzare un “documentario onirico” multiautoriale che, rielaborando in maniera creativa il rapporto tra la città ed il vissuto quotidiano dei partecipanti, fornisca un percorso di lettura visuale (uno dei tanti possibili!) della realtà territoriale in senso storico, culturale ma anche passionale, dipingendo e letteralmente “mettendo in scena” una visione collettiva della stessa. Il risultato finale del laboratorio, che porrà in questa versione perugina maggiore attenzione ai procedimenti creativi rispetto alle funzionalità didattiche, si concretizzerà nella produzione di un cortometrag-

gio digitale in tecnica fotografica mista, una sorta di archivio visuale flessibile, aperto, non-lineare, non-narrativo e noninterpretativo che può essere utilizzato a fini documentali, installativi, di live media, di vjing. La parte sonora del lavoro sarà realizzata attraverso la registrazione in situ dei suoni della città. Il lavoro finale verrà presento al pubblico in una sessione live di quaranta minuti dove i diversi partecipanti si alterneranno alla consolle con sonorizzazione di Andrea Martignoni.

URBANE VISIONI A cura di: Saul Saguatti - Audrey Coïaniz / Basmati e Andrea Martignoni. Scadenza per la presentazione delle domande: 14 settembre 2007 Periodo workshop 1/6 ottobre 2007 Per maggiori informazioni e per scaricare i bandi e le domande di partecipazione fare rifermento al sito web del Comune di Perugia (www.comune.perugia.it/ cultura)

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Suoni/Vision

Sott d

Sono Entrambi di Palermo, il primo, Giovanni Sollima, quarantacinque anni, violoncellista conosciuto ed apprezzato a livello internazionale (vanta collaborazioni con Giuseppe Sinopoli, Bruno Canino, Gidon Kremer, Bob Wilson, Philip Glass, Alessandro Baricco, Peter Greenaway, Marco Tullio Giordana, Patti Smith, Riccardio Muti) il secondo, Antonio di Mino, artista visuale, pittore con alle spalle una laurea in architettura e diverse importanti mostre, giovanissimo (quasi venti anni separano i due), entrambi appassionati sperimentatori e attivi propositori, con approcci filosofici e stilistici diversi, di una contaminazione in stile neo-avanguardista tra musica, pittura, installazione e performance. Da alcuni anni Sollima e Di Mino hanno dato vita ad

un sodalizio artistico che propone una interazione attiva tra musica ed immagine pittorica in una forma sperimentale che il critico Luca Beatrice, in un testo per il catalogo di “IN CROSS/linee di canto”, esibizione realizzata ad aprile presso lo spazio Ducrot ai Cantieri Culturali alla Zisa di Palermo, ha definito dalla “spiccata tensione performantica”. E’ infatti una passione spropositata per il corporeo, per il materiale, ma anche per una certa metafisica del gesto, quella dei due artisti siciliani: improvvisazione ed istinto fusi e con-fusi alla ricerca (recherche), allo studio dello spazio, all’analisi dei possibili frame di azione individuale e combinatoria. La precisione di uno spartito che diventa traccia visuale e l’animalità


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to la pelle della città

Sollima/Di Mino

del movimento pittorico che risuona. E’ insieme casualità, come per la costruzione del violoncello fatti di materiali di risulta nella Chiesa Madre di Quaroni, come i loop musicali che si autogenerano, e calcolo, con la circolarità e la ritualità della divisone spaziale delle installazioni e dei tempi musicali che seguono un grammatica ben definita e codificata. Quella di Sollima (che potrete ascoltare in concerto al Teatro Morlacchi di Perugia il 16 Settembre, all’interno della rassegna Sagra Musicale Umbra) e Di Mino è un arte panica, del tutto compreso, è arte del corpo e dell’ambiente, è azione del tempo che si trasforma in spazio, è bramosia di possedere i segreti dell’Universo, in questo senso è alchemica, è suono che si fa pittura e segno che diventa suono, è Teatro, come afferma lo stesso Di Mino.

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Oltre ad essere un apprezzatissimo violoncellista “classico”, ciò che colpisce nel suo curriculum è la trasversalità degli interessi ed un approccio sperimentale ai diversi ambiti creativi con cui si confronta abitualmente (teatro, cinema, televisione, performance). E’ possibile delineare un minimo comune dominatore nella sua personale ricerca artistica?

Non saprei, dovrei seguire con la mente ciò che ho fatto nel corso degli ultimi 7 anni, una sorta di viaggio senza mappa - inizialmente assai caotico – costituito da “incontri” di varia natura, sogni ed altro ancora. In realtà non faccio altro che raccogliere senza sosta materiale di ogni genere, lo faccio da sempre, tutta roba che si affastella senza un ordine preciso, un grande archivio dove convive di tutto, dove il contrasto stridente e l’apparente incompatibilità degli elementi accostati assume – almeno per me – una sua motivazione espressiva. Suoni ma anche immagini, testi, luoghi, gente, lingue, cibo… Da qualche tempo – cosa forse molto legata al tipo di vita che conduco – ho un modo ancora più primordiale di operare sia nella scelta che nel processo compositivo, credo che il lavoro di “cesello” sia stato sostituito, in tempi recenti, dalla “clava”. A questo si aggiunga una mai sopita curiosità di tipo patologico. Più che approccio sperimentale parlerei di approccio sentimentale, sono perennemente spinto da una frenesia indagatoria che mi ha portato a sostare (il viaggio senza mappa…) in più luoghi del suono o della creatività, talvolta per pochi atti-

Antonio Di Mino Lei sarà a Perugia insieme a Giovanni Sollima nella duplice veste di insegnante-narratore per quanto riguarda le attività del workshop Skinning PG, e come performer nell’opera CROSSING/Canto. Ci illustrerebbe i diversi aspetti della vostra trasferta perugina? L’ esperienza di “In Cross” sviluppata insieme a Giovanni Sollima, ha definito un interscambio di elementi differenti per natura, per tempi e spazi di realizzazione. La trasferta perugina, all’interno del centro espositivo della Rocca Paolina, ha portato ad una totale rispazializzazione del progetto palermitano sotto ogni punto di vista. La frammentazione e le caratteristiche multiprospettiche degli spazi della Rocca, hanno evocato a entrambi una “esplosione” e integrazione di elementi, che invece a Palermo, nel grande spazio industriale delle ex officine Ducrot, dialogavano tutti-subito. Complice di questa ri-progettazione, lo studio su alcuni aspetti della città di Perugia, di cui il CERP ed in generale il borgo sotterraneo della Rocca sono uno dei nodi principali dell’interessante stratificazione e formazione della città. Appunto la stratificazione perugina e questo forte senso di attraversamento verticale che vive da sempre insieme alla città ha evocato assieme a questa ricollocazione di elementi anche una rimodellazione degli strati sonori, utilizzando una sezione tripartita e sfruttando le caratteristiche acustiche del CERP (molto diverse da quelle palermitane). Naturale quindi l’elemento di connessione con la città, uno

SOLLIMA

Giovanni Sollima

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Lei e Sollima siete entrambi palermitani, ma di due generazioni differenti. Su quali basi è stato possibile iniziare la vostra collaborazione artistica? Quali sono le tensioni creative che uniscono il vostro lavoro?

Credo che il fattore principale di questa continua lettura reciproca, sia la grande passione verso qualcosa che definirei come la matericità del gesto. Le strutture circolari, geometriche e razionali che sono lo scheletro di tutti i miei lavori pittorici

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spazio inedito, in posizione che definirei “iniziatica” rispetto al resto dell’installazione dal forte carattere verticale, quasi un ennesimo elemento di risalita temporaneo, in uno spazio già fortemente solcato da interventi illustri, di qualche tempo fa, quali quello di Plessi e Studio Azzurro. Parallelamente al progetto in cross, insieme alla collaborazione di Angelo Di Mino e Carlo Gargano (allievi di Sollima) vi sarà questo laboratorio interdisciplinare di tre giorni, Skinning PG, in cui sarà interessante far interagire la “ricodificazione” di una serie di 14 elementi cittadini, con gli spazi dell’installazione stessa ed alcuni luoghi della città, che al momento potranno diventare sede di performance sonore, installazioni o altro, tutto sempre apertissimo alla massima improvvisazione e sperimentazione.

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mi, in altri casi per qualche anno o per un tempo X e indefinito, ma eviterei di parlare per linee di pensiero o, peggio ancora, “labels” (tipo minimalismo, espressionismo o simili). Tuttavia mi sono confrontato con forme apprese o assimilate grazie a certe esperienze successivamente metabolizzate e, in alcuni casi, del tutto scomparse. E’ vero, mi sento violoncellista a tutti gli effetti, lo strumento filtra il presente e l’antichità, ne combina gli elementi, le tecniche, stabilisce contatti con le più svariate forme di vocalità, quindi diventa esso stesso strumento ideale per la pratica improvvisativa o per la composizione in tempo reale. E’ sempre (o quasi) presente nei miei lavori in collaborazione con Bob Wilson, Carolyn Carlson, Peter Greenway e quindi anche con Antonio Di Mino. Ma è il violoncello la clava di cui parlavo…? La sua musica sembra scaturire da un rapporto viscerale, carnale, con lo strumento che suona. Anche il lavoro precedente che ha svolto con Antonio Di Mino (Skinned Suona, 2006), è incentrato sul corpo, sulla separazione e stratificazione della pelle-materia, sulla unionedisgiunzione tra spazi e sostanze apparentemente difformi (suono e pittura) che cercano di approdare ad una unicità. Può definire i termini di questo percorso e del rapporto tra la sua musica e la pittura di Antonio? Si, in effetti è proprio lo strumento che suono a guidarmi o a guidare il mio corpo. O è dal mio stesso


corpo guidato. A tratti sembra proprio un test; sul piano compositivo, proprio a causa del violoncello, ho del tutto perso ogni contatto con la “scrivania” (sia in senso metaforico che reale). In questo credo di non essere un compositore nel senso tradizionale del termine (anzi, credo proprio di non essere un compositore), mi definirei più uno che si sporca le mani, che deve concepire, verificare, sviluppare, definire, ridefinire, stravolgere, rimettere in discussione il proprio lavoro attraverso lo strumento, in continuo contatto con il corpo e con la mente. In fondo il violoncello è forse l’unico strumento che occupa l’80% del corpo, forma una diagonale su un corpo a sua volta a 90° rispetto al suolo, ti vibra addosso, ti tiene in tensione. Una forma di unicità sta proprio nel rapporto di simbiosi. Può essere tuttavia un’arma a doppio taglio proprio perché istintivamente, attraverso il violoncello, strumento prevalentemente monofonico o polifonico al 30% (anche se fin dalle Suites di Bach la polifonia ha la sua forza nel “virtuale”, nel non detto, nell’immaginato e addirittura nel subliminale) sono portato a pensare a linee orizzontali e spazio-temporali in continua metamorfosi e meno alla verticalità dell’armonia. Devo anche dire che ho usato il violoncello per comporre brani per flauto o pianoforte o coro o orchestra, proprio per la varietà timbrica che esso offre e per il contatto diretto sulla mia pelle. Separazione e stratificazione della pelle-materia è argomento ampiamente discusso con Antonio, sia nel suo caso che nel mio ciò può arrivare da una forma di esorcizzazione o terapia di un disagio. Io scrivo per liberami, per mettere da parte o per cercare di interpretare un solco o un segno poco chiaro,

e delle sue composizioni, si ispessiscono di un “gesto” complesso, forte e passionale, avvolte dal processo creativo caotico e sempre riconducibile ad un fondamentale e comune rapporto con il corpo umano. Giovanni racconta di quando studente alla Musikhochschule di Stoccarda studiava il rigore più assoluto della dodecafonia pura al mattino e, di notte prendeva lezioni private di sitar, come sappiamo uno strumento indiano regolato da esecuzioni esclusivamente improvvisate, mai messe in notazione, legate a elementi emozionali o naturali quali l’evolversi del giorno e della notte, le stagioni, le fasi lunari etc. Paradossalmente trovo nelle nostre attuali modalità compositive questo stesso doppio approccio. Al di là delle nostre collaborazioni, l’impatto percettivo, quella ricerca della “vibrazione” che avviene nello spazio tra l’opera pittorica o l’esecuzione di un pezzo di Giovanni e lo spettatore, rimane una finalità fondamentale e comune del nostro lavoro, pluridiscussa insieme, anche se ottenuta con mezzi totalmente differenti. Penso che lo scarto generazionale tra me e Giovanni sia di grande interesse dal punto di vista sperimentale. Entrambi veniamo da conoscenze multiple e differenti, che si interscambiano naturalmente durante la gestazione di un progetto, fatto di tanti episodi creativamente differenti [...] Come è avvenuto nelle altre collaborazioni insieme, quali il lavoro scenografico per “Songs from the Divine Comedy” (2004) e “Skinned Suona” (2006) e con più forza nel lavoro per ”IN CROSS/linee di canto”, si sono prodotte spontaneamente delle sottili zone borderline tra la gestione dello spazio, la pittura, i video e il suono, in cui ogni singola cellula

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del progetto vive autonomamente ma è legata imprescindibilmente all’atto di contaminazione iniziale che le ha prodotte. Vi è così una trama sottesa, che ne definisce una linea di connessione generale ed il momento in cui premi l’immaginario bottone “play”, che come scrive Luca Beatrice nel testo in catalogo crea “un tutt’uno inscindibile, un movimento irripetibile” Si è laureato in architettura. Le sue opere sembrano avere uno stretto rapporto con lo spazio tridimensionale. Come interagisce la sua pittura con l’ambiente che la contiene, con le sonorità di Sollima e cosa l’una (l’azione pittorica) aggiunge all’altra (la performance musicale) e viceversa?

In questa dialettica costante, esistono due livelli con cui mi confronto. Il primo è quello relativo al dipinto stesso, in cui convivono strutture semplici e rigorose sempre rivolte ad un concetto molto vicino all’architettura, la ripetizione, e il gesto istintivo fatto di materia e segni che cambiano continuamente la “pelle”, senza mai cancellare la traccia iniziale, costituendone il necessario valore di variazione. Utilizzando un linguaggio prettamente musicale li definirei Loop dalla struttura identica che si sporcano di elementi imprevedibili. Il secondo livello è quello prettamente legato al rapporto tra lo spazio fisico percorribile ed il dipinto, e nel caso specifico di in cross e delle altre collaborazioni, anche di altri elementi, sonori

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e scrivo con il mio strumento, sentendo addosso tutto il peso del suono. Antonio, se mi è permesso dirlo, ha iniziato a dipingere partendo da se stesso e dalla necessità di interpretare-neutralizzare la reazione stessa del suo corpo che, come più o meno tutti i corpi, parla e sputa fuori ciò che la mente trattiene. Unione-disgiunzione tra spazi e sostanze apparentemente difformi (suono e pittura) che cercano di approdare ad una unicità: direi rappresentazione, con un procedimento e schema non dissimile da quello di una sceneggiatura teatrale o cinematografica o di un libretto d’opera. Credo che su tutto, almeno da ciò che avviene durante gli incontri con Antonio, prevalga la voglia di individuare una curva espressiva, una linea drammaturgica. Il procedimento è semplice e inizia sempre da elementi essenziali, minimi, l’utilizzo dei mezzi è anch’esso (almeno per quanto riguarda la fase preparatoria) essenziale e minimo; una videocamera - perché il mezzo filmico è il supporto ideale nel nostro caso per prendere appunti mettendo d’accordo suoni e immagini in tempo reale con la percezione dello scorrimento temporale e perché talvolta, ma è del tutto casuale, la ripresa stessa editata o lasciata grezza - diventa performance, un violoncello (o altri strumenti, anche autocostruiti), una grande tela bianca dove trova spazio un’altra forma di conversazione (a volte muta), di idee, provocazioni, stralci musicali, odori (cibo…), foto, studi, ecc. Poi ci sono gli indispensabili Carlo Gargano e Angelo Di Mino, entrambi musicisti (violoncellisti compositori).

MINO

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SOLLI

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Cosa accadrà nella performance perugina rispetto a quella siciliana?

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Secondo me è un rituale. Al tempo stesso è un tema con variazioni, o una variazione perpetua (dal tema invisibile). Non è casuale la scelta di Gibellina, luogo spettrale e sublime e quasi luogo della mente. Costituito da brandelli che abbiamo assemblato, come il violoncello realizzato in 15 minuti con materiale di risulta all’interno della semicrollata Chiesa Madre di Quaroni e registrato dentro l’abside superstite (una sorta di grande utero dall’acustica assai complessa e affascinante). Il terremoto del ‘68 ha reso il luogo a brandelli, nel corso degli anni sono sorti edifici e opere visionarie come il Cretto di Burri in uno spazio altrettanto visionario che ancora oggi, a distanza di anni, lascia risuonare, ogni giorno da una torre, i suoni e le grida di quell’evento. Brandelli dimenticati, ritrovati e ricomposti su una fascia sonora - un loop di circa mezz’ora. L’idea del rituale, un misto di sacro e profano dal respiro alternato, resta, almeno per me, quella su cui è articolato “In Cross/Linee di Canto”. Il ritmo narrativo scorre lentamente (e ancora più lentamente sul piano percettivo), i “brandelli” sonori e visivi sono in buona parte galleggianti rispetto alla time-line e le grandi tele scandiscono un tempo dagli intervalli equidistanti. Con Antonio, Carlo e Angelo lo abbiamo ripensato quasi del tutto per Perugia, riprendendo o cercando di mantenere integra l’idea di stratificazione che lo aveva caratterizzato nella versione palermitana (Palermo stessa è luogo stratificato e a tratti indecodificabile) ma stravolgendolo, facendolo diventare anche un’altra cosa. Con Antonio - che è architetto e ha trascorso qualche giorno a Perugia riempendo di dati videocamera, fotocamera e laptop – ci siamo resi conto che il progetto andava radicalmente ripensato nella distribuzione del materiale, ampliato (nel frattempo sono nate, spontaneamente, altre variazioni) e messo in relazione con lo spazio che lo ospita a Perugia (altro luogo stratificato seppur così diverso da Palermo). Con Antonio ci siamo resi conto che “In Cross” è un work in progress che va di volta in volta riconfigurato (dilatato o compresso) e che il concetto – anche vago - di variazione, o di circolarità cangiante o di altra forma musicale-architettonica-teatrale-pittorica dalle infinite possibilità ed evoluzioni può (speriamo) renderlo ancora di più come organismo vivente.

ed extra-pittorici, in cui la “trama”, che citavo prima, viene dichiarata da strutture e rapporti semplici tra elementi, spesso invisibili ed antididascalici. Penso che il punto fondamentale d’interazione, in cui si produce questo plusvalore, viva nel carattere teatrale dei nostri progetti. Entrambi veniamo da uno studio approfondito del teatro visionario di Bob Wilson (insomma…Giovanni non lo ha solo studiato, ma ci ha lavorato insieme diverse volte!) in cui la fusione totale tra corpo umano, luce, architettura, design, musica e linguaggio è controllata dal mezzo scenico e dalla scansione temporale . Penso che in in cross, esista una scena, o qualcosa che la ricorda, anche se non esplicitamente dichiarata: gli elementi pittorici che ne ritmano l’aspetto spaziale, i bagliori ciclici dei video, le variazioni sonore, che sono il grande collante, l’aspetto temporale, accentuato da un diffuso rallentamento percettivo che verrà notevolmente dilatato nel lavoro di Perugia, (per via di un incremento del numero di variazioni 5 – 5, 7 – 7), e brandelli di voci e grida che contaminano casualmente la timeline preordinata, formando ogni 40 minuti circa, loop differenti all’infinito.


SKINNING PG Lavorare sulla pelle della città, sulle sue stratificazioni - di memoria, di architetture - e sui rapporti tra uomo e realtà urbana sul vissuto quotidiano di ciascuno, sugli spostamenti, sull’interazione tra funzione sociale degli spazi ed individualità. Nei tre giorni di workshop il violoncellista Giovanni Sollima ed il pittore Antonio Di Mino (insieme ad Angelo Di Mino e Carlo Gargano), daranno vita ad un percorso didattico ed operativo a carattere sperimentale, attraverso il quale reinterpreteranno in chiave sonora e visuale, quattordici luoghi della città di Perugia. Ogni luogo verrà svelato e dispiegato attraverso la lettura personale di ogni partecipante al laboratorio, e fatto interagire, nel suo riassunto video-sonoro, con altri luoghi e simboli della città stessa. Le diverse operazioni potranno relazionarsi tra loro oppure dissociarsi in percorsi individuali, altre potranno direttamente intervenire sulla installazione del CERP “CROSSING/Canto” realizzata dai due artisti, ma tutte insieme agiranno come un “flusso” in grado di rimodellare e ristratificare (come una seconda pelle) la percezione dello spazio urbano.

SKINNING PG A cura di: Giovanni Sollima / Antonio Di Mino Scadenza per la presentazione delle domande: venerdì 14 settembre 2007 Periodo workshop 24/26 settembre 2007 Per maggiori informazioni e per scaricare i bandi e le domande di partecipazione farerifermento al sito web del Comune di Perugia (www.comune.perugia.it/ cultura)

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GERMINAZIONI è la sezione de Le Arti in Città_Perugia contemporanea volta a far emergere e sottolineare la presenza di giovani artisti attivi nella nostra comunità territoriale, i loro linguaggi, i temi trattati, la produzione artistica e gli spazi fisici e relazionali nei quali l’arte prende forma, si struttura, si mostra. Un vero e proprio viaggio nella creatività artistica contemporanea i cui 6HH:HHDG6ID contenuti ed espressioni non solo 6AA: EDA>I>8=: 8JAIJG6A> vengono indagati e rappresentati : <>DK6C>A> ma proposti, offerti quali possibili chiavi di lettura per interpretare o, se si preferisce, re-interpretare la città nella sua dimensione architet-

tonica, culturale, sociale ed economica. Seguendo tale orizzonte progettuale, GERMINAZIONI è stata strutturata in due momenti distinti ma al contempo strettamente correlati: un bando di concorso rivolto ad artisti under 30 e una serie di mostre, installazioni, performance di artisti emergenti diffuse nello spazio urbano.

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Il bando, chiuso lo scorso 31 luglio, non è stato indetto al fine di promuovere una competizione quanto, piuttosto, per offrire ai partecipanti un’occasione di confronto, mo* ,1 `> Ê£xÇÎ

desto contributo alla loro crescita professionale. In quest’ottica si è scelto di ammettere alla selezione un’ampia tipologia di tecniche espressive superando la distinzione tra ricerca artistica pura e arti applicate; di affidare la selezione alle sensibilità di tre critici operanti in ambito nazionale e anagraficamente contigui ai partecipanti: Chiara Canali, Norma Mangione e Alberto Zanchetta e, non da ultimo, di riconoscere come premio un’ulteriore possibilità ovvero, la realizzazione di un’esposizione collettiva che, curata dagli stessi selezionatori, sarà allestita negli ambienti


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minazioni germe s.m. in biologia, embrione nella prima fase del suo sviluppo (detto spec. di embrione vegetale) germinazione s.f. in botanica, trasformazione che avviene nel seme maturo, quando sia messo in condizioni ambientali favorevoli (giusto grado di umidità e di temperatura), e che porta alla formazione del primo germe da cui si sviluppa poi il nuovo individuo. di Palazzo della Penna nel corso del 2008 e promossa tra i soggetti appartenenti alla rete GAI (Giovani artisti italiani) per favorirne la circuitazione in ambito nazionale. Il secondo elemento costitutivo di GERMINAZIONI che, insieme al bando, definisce e completa il senso dell’operazione, si configura come una sorta di percorso contemporaneo ovvero, un itinerario concreto e ideale il cui tracciato ci conduce verso spazi urbani parzialmente in ombra, svelandone inconsueti punti di osservazione. Il percorso proposto in questa prima

edizione si dipana, essenzialmente, sull’asse viario che da via Alessi conduce sino a Piazza Fortebraccio - meglio nota come Piazza Grimana – con interventi che solo in alcuni casi esulano da quest’area per lasciare il proprio segno artistico in luoghi diversi. Gli artisti coinvolti in tale operazione sono per lo più soggetti collettivi di recente costituzione: gruppi formali e informali, associazioni, comitati dei quali, oltre alla riflessione e produzione artistica, si è inteso valorizzare la scelta dell’agire condiviso nell’intento di favorire la costruzione di una più ampia rete di relazioni artistiche ed

umane capace di stimolare e agevolare uno scambio di linguaggi ed esperienze, nonché un’interrelazione più stretta e profonda tra i nodi che la compongono. Questi, in estrema sintesi, le forme e i contenuti della prima edizione di GERMINAZIONI, un evento articolato configurabile come intervento che, in una terra ricca di storia e antichi saperi, invita a volgere lo sguardo anche al presente, favorendone una germinazione la quale, dovesse mancare, non solo ci priverebbe dell’ora e adesso, ma lascerebbe senza radici il futuro. Piercarlo Pettirossi


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Con

«Mi affascinano di Zezelj le sue prospettive minacciose e spettrali, il modo in cui riesce ad esprimere attraverso le sue storie e i suoi personaggi il senso della mestizia, di qualcosa di funesto che incombe. Tutto questo viene rappresentato con grande talento e uno stile che riesce a mostrare la sua visione cupa del mondo con originalità e coerenza.» (Federico Fellini)

Danijel Zezelj nasce nel 1966 a Zagabria, in Croazia. Si avvicina al fumetto ai corsi della locale Accademia di Belle Arti; nel 1991 la rivista “Il Grifo” delle omonime edizioni di Montepulciano comincia a pubblicarlo in Italia decretandone l’immediato successo, con grande entusiasmo di Federico Fellini come testimoniato dal testo in apertura. Vive a Londra, poi in Italia (a Montepulciano dal 1992), quindi in USA (Seattle pri-

ma e oggi a Brooklyn). Collabora oltre che con le edizioni del Grifo con l’italiana Liberty e la francese Mosquito; nel 1999 esce negli USA la sua prima graphic novel per DC Comics: ”Congo Bill”, su testi di Scott Cunningham. Seguiranno altre opere su testi propri o di importanti scrittori come Darko Macan, Brian Azzarello e Chuck Austen. A Perugia, il 15 settembre all’ex

Chiesa di S. Maria della Misercordia sarà inaugurata la mostra Contraband a lui dedicata. Non ama particolarmente essere definito un poeta e preferisce essere considerato un migrante. Quanto questa condizione ha influenzato la sua produzione artistica? Mi piacerebbe che non mi fosse


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ntraband

Daniel Zezelj

attribuita un’ etichetta. E non ho mai considerato il mio lavoro “poetico” anche se qualcuno lo considera tale. Invece la migrazione, lo spostarmi continuamente da un posto ad un altro, ormai è parte integrante di me e della mia vita. E non sempre si è trattato di una scelta. Mi ha permesso di mettere continuamente in discussione valori o concetti come la stabilità e la continuità e di approcciare alla

vita e al lavoro come ad un processo di metamorfosi continua, ma in una maniera molto concreta. Quali sono state le tappe maggiormente significative del suo percorso professionale-creativo? Non saprei dire quali siano state le tappe fondamentali. Ma se dovessi fare una scelta, sicuramente impor-

tante è stato frequentare il liceo artistico a Zagabria dove ho imparato le basi della pittura e del disegno, e dove ho scoperto per la prima volta i dipinti di Caravaggio e i fumetti di Munoz. Come anche frequentare l’Accademia di Belle Arti sempre a Zagabria, oppure quando ho pubblicato il mio primo fumetto integrale per la rivista Grifo. Seppure scioccante, l’inizio della guerra nella ex-Yugoslavia, quando sono


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partito per l’Inghilterra e poi sono approdato a Montepulciano, sicuramente vivere e lavorare in Italia, e ripartire prima per Seattle e poi per Brooklyn. Ma più di ogni cosa le influenze più significative sono state determinate dagli incontri, dalle persone sul mio cammino, dagli amici, da mia moglie.

E’ un disegnatore croato, ex Jugoslavo, che vive negli Stati Uniti e che ha un rapporto molto forte anche con l’Italia. Secondo lei ci sono realtà che si mostrano maggiormente attente e ricettive al lavoro di una artista? Che differenza c’è tra lavorare in Italia e negli Stati Uniti?

Tutti noi veniamo influenzati da ciò che ci accade intorno e ogni singolo posto ha la sua propria identità e senso della realtà. Non ho mai creduto nell’universale e nella globalità. Credo fermamente nel locale e peculiare. Si può parlare davvero di comunicazione quando vi sono espressioni tanto soggettive quanto oneste. E quando ci si mette in relazione in uno scambio realmente intimo e personale. Seppure differenti e distanti gli uni dagli altri, tutta l’umanità si somiglia. Ogni altra cosa resta in superficie. E dunque sicuramente c’è una grande differenza tra l’Italia e gli Stati Uniti ma è la medesima che vi è tra paese e paese della stessa Italia. Non riesco bene a descrivere il forte impatto che ciò che mi circonda provoca in me, perché fondamentalmente provo a viverci dentro o a sopravviverci giorno dopo giorno.


A Zagabria qualche hanno fa ha fondato la casa editrice Petikat. Ci racconta come è nato questo progetto? Petikat nasce come un laboratorio artistico, un spazio libero dove creare, produrre e pubblicare i miei progetti e quelli di Stanislav Habjan, un artista, scrittore, grafico, e designer. Collaboriamo con altri artisti come il fotografo Boris Cvjetanovic, il designer Josko Jureskin, la musicista Jessica Lurie, e molti altri. E’ uno spazio mentale e fisico di possibilità creative libere che prova a stare in piedi di fianco al mondo del business e del profit. Diciamo che da un punto di vista creativo e della soddisfazione personale é davvero un succeso, lo è meno dal punto di vista commerciale. Ma nonostante ciò sopravviviamo. Sta lavorando a qualcosa di nuovo? Ha qualche progetto in cantiere? Sto lavorando alla mostra che sarà presentata a Perugia il 15 settembre e che si chiamerà Contraband, in cui saranno esposti anche degli inediti oltre ai lavori precedenti. Ho appena ultimato una graphic novel chamata King of Nekropolis. Ci sarebbero un paio di editori interessati in Italia, ma nulla di definito. Sto lavorando ad alcune edizioni per DC Vertigo serials DMZ e Hellblazer. Inoltre ho pubblicato con Petikat un libro che potrei definire sperimentale, intitolato Dedicated to Chaos.

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La questione energetica, così come quella ambientale e climatica, insieme ai temi della produzione di rifiuti, al problema idrico, a quello dellas deforestazione, etc.., non sono tematiche peculiari del periodo post uragano Katrina. E’ dagli anni settanta che il ‘tema ecologico’, in diversa misura e forma, è presente nell’agenda politica internazionale: accesso democratico alle risorse planetarie, rapporti nord-sud del mondo, differenze tra un approccio allo sviluppo globalmente sostenibile e la corsa alla produzione ed al consumo delle economie emergenti, per citarne alcuni. Sempre a ridosso della fine degli anni sessanta, parallelamente alla crescita del movimento ecologista, anche in campo artistico inizia a manifestarsi una sensibilità particolare per i temi ambientalisti. Ad esempio, l’utilizzo del termine ‘arte ecologica’, risale al 1968 ad opera del critico Herb Aach in riferimento ad alcuni lavori di Duchamp e Klein. In quel contesto produttivo però, con il termine ‘ecologico’ si andava ad individuare un tipo di arte che cercava di enfatizzare alcuni processi di tipo fisico, biologico e chimico pro-

Per ambi pri dell’ambiente naturale, attraverso la riproduzione di micro-biosfere e fenomeni naturali. Quasi contemporaneamente, Gerry Schum, in un famoso documentario sul lavoro di artisti come Richard Long, Robert Smithson, Dennis Oppenheim, Walter De Maria, Christo, conia il termine ‘Land Art’ (o anche ‘Earth Art’ ). La Land Art, insieme ad altri tipi di interventi site-specific, all’Arte Povera o ad alcuni filoni della Minimal Art, pone le sue basi concettuali sul rifiuto della novità formale tipica della scultura novecentesca, troppo celebrativa dello strapotere della tecnica sulla natura, cercando di delocalizzare l’attenzione su un tipo di produzione artistica che fosse maggiormente consonante con i ritmi naturali e riarmonizzasse l’umanità con l’ambiente circostante. Vero è che non è del tutto possibile inserire la prima land art nella categoria di ‘arte ecologista’ in senso stretto. A prescindere da meriti estetici o concettuali, celebrate operazioni artistiche che hanno fatto la storia di questo movimento, sono state molto criticate proprio dagli ambientalisti per aver impattato pesantemente e negativamente sull’ambiente in cui


r un’arte ientalista

Umane Energie

sono state installate. Spiral Jetty (1969) dello statunitense Robert Smithson, una spiarale di 450 metri, disegnata con terra e pietre in una amena località dello stato dello Utah, ha richiesto il massiccio utilizzo di bulldozer, influenzando l’ecosistema lacustre della zona. Christo, in una azione del 1969 presso una baia marina a sud di Sydney, in Australia, intrappolò, insieme ad un consistente pezzo di linea costiera, pinguini, nidi di uccelli ed un gabbiano. Le montanti critiche degli attivisti servirono, in questi casi, a ripensare queste espressioni artistiche in termini maggiormente responsabili verso l’ambiente. Fu solo successivamente, in un saggio del 1998, degli studiosi Kastner e Wallis, intitolato Land and Environmental Art, che il termine ‘ambientalismo’ fece capolino per la prima volta in una tassonomia a carattere artistico. Nell’ampia classificazione prodotta da Kastner e Wallis, che incorpora ben dodici sottocategorie, vengono sistematizzati alcuni concetti di base che differenziano i diversi interventi di arte ambientalista. Rosi Lister, direttrice di una agenzia inglese non-profit specializzata in educazione ambientale tramite l’arte, ristruttura questa lista individuando una tipologia tripartita di interventi di environmental art.

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La prima tipologia si colloca all’interno del filone più classico indicato come ‘osservazione interattiva’, nel quale artisti (come i britannici Andy Goldsworthy, Chris Drury, Richard Long) utilizzano materiali naturali trovati in loco (pietre, foglie, legno etc...) per intervenire in maniera scultorea sull’orizzonte naturale. In un altra macro-area, denominata come ‘sviluppatori di Ecovention’, (Spaid, Ecovention; current art to transform ecologies, 2002), si collocano i lavori di artisti come Hans Haake, Joseph Beuys, Robert Morris, Alan Sonfist. Il termine ‘ecovention’ sta per eco-

logy ed inventions ed indica quegli interventi artistici che puntano ad attuare una strategia di intervento attivo e di miglioramento di un ecosistema localizzato. Si attribuisce a Beuys una delle opere più note di questo tipo, 7000 Oaks, performance prodotta durante l’edizione del 1982 di Documenta, nel quale l’artista ha cercato, attraverso la collocazione di settemila alberi, di intervenire sull’ambiente circostante, danneggiato dalla deforestazione. Una terza corrente è quella che è stata definita come ‘agente di cambiamento percettivo’ (Spaid,

2000) attraverso il quale l’artista si impegna in una attività sociale e di comunicazione a fine pedagogico per sensibilizzare il pubblico sui temi ambientali. L’azione artistica vera e propria, in questo caso, lascia il posto ad una attività interdisciplinare fatta di conferenze, workshop, coinvolgimento di gruppi e comunità ed ha il carattere della non-spettacolarità e del non essere ‘orientata al prodotto artistico’. Lister, pur consapevole dell’esistenza di una tendenza creativa dinamicamente orientata a scardinare questa tripartizione attraverso una azione di crossover tra i diversi approcci presentati, manca di fornire una tipizzazione per una emergenza di artisti e di opere che uniscono, parallelamente al fine spettacolare dell’opera stessa, un orientamento apertamente e volutamente pedagogico (di comunicazione, sensibilizzazione e socializzazione delle problematiche ambientali) che mi sembra essere uno dei risvolti più interessanti che può assumere l’arte ambientalista. Una vera arte ambientalista quindi, qualora volesse risultare efficace da un punto di vista politico e sociale dovrebbe utilizzare le potenzialità creative dell’artista in un concept work il più possibile diretto, che utilizzi un tipo di comunicazione più primitiva ed immediata con il pubblico, una specie di teoria ipodermica dell’arte ambientalista, dove il ‘proiettile magico’ del messaggio ecologista sia legato ad una azione artistica di causa-effetto per la quale, in una interazione continua tra il fruitore e l’opera d’arte stessa, si inneschi un sistema reciproco di cambiamenti e modificazioni tale da ricreare ed evidenziare quel rapporto eco-logico, appunto, che lega l’uomo alla natura.


Umane Energie: prove creative di ecologia virtuale Trasformare tecnologicamente l’open space e gli altri micro ambienti della Ex Chiesa di Santa Maria della Misericordia, in via Oberdan, a Perugia, in una biosfera virtuale con l’obiettivo di sensibilizzare il pubblico ai problemi ambientali. Questo è l’ambizioso fine che, per il secondo anno consecutivo, la mostra interattiva Umane Energie cerca di perseguire.

lazioni, naturalmente, reagiranno agli input forniti dagli utilizzatori ed ognuna di esse, fornendo una risposta univoca alle sollecitazioni ricevute, produrrà un mutamento in tutto il resto del sistema, influenzando in maniera positiva o negativa, a secondo del tipo di scelta effettuata (conservativa o dissipativa di energia), il corretto funzionamento di tutta la biosfera o di alcune sue parti.

Il concept del progetto: riprodurre attraverso installazioni interattive e multimediali un ecosistema naturale completo, con il quale gli attori umani possano confrontarsi attivamente, così da evidenziare come ogni scelta di questi intervenga a modificare, in maniera sistemica, e non solo localizzata, l’equilibrio a cui naturalmente tende l’ambiente stesso. Il parco multimediale si comporrà di diversi ambienti visuali realizzati attraverso la proiezione di video. Tutte insieme, queste proiezioni, andranno a comporre un unico ecosistema virtuale con il quale il pubblico è invitato ad interagire. Le videoinstal-

Per creare questo ‘simulatore ambientale’ sono stati individuati cinque campi di azione con cui il pubblico può confrontarsi: creazione e trasformazione di energia, consumo, creazione di rifiuti, smaltimento e riciclo dei rifiuti, ciclo dell’acqua. A completare questa biosfera virtuale saranno posizionate, nelle altre sale che compongono il complesso architettonico, una serie di installazioni che simuleranno altri processi naturali come quello del tempo, della fotosintesi clorofilliana, dei processi metereologici.

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contem

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Umbria, Terra di Maestri, come recita il titolo della grande mostra inaugurata il 5 agosto scorso a Villa Fidelia di Spello, alla presenza dell’ex-onorevole Sgarbi (oggi, per qualcuno, ancora meno onorevole per i ben noti fatti della mostra-scandalo milanese). Sarebbe auspicabile che l’Umbria, una volta tanto, fosse celebrata, invece che come ‘terra di monumenti’ alla memoria, grandi ed onorevolissimi sia inteso, come possibile ‘terra dei fermenti’: culturali, politici, sociali. Così non è. Ma qualcosa inizia a muoversi. Prima di tutto c’è da fare una considerazione relativamente al fatto che il capitolo ‘cultura’, nel bilancio delle amministrazioni pubbliche, non deve essere inteso, come spesso avviene, solo come una voce passiva. La cultura, e l’arte quindi, devono rappresentare una opportunità e non presentarsi come un ‘buco nero’

che ingoia soldi ed energie. Solo attraverso una visione positiva dell’investimento culturale possiamo pensare di rilanciare una discussione che consideri questo elemento, giustamente, come indispensabile per la vita sociale di una comunità e, in maniera meno scontata, anche un possibile volano per il rilancio del territorio, della sua economia, della coesione sociale. In poche parole bisogna credereci, fortemente, nel sistema-cultura. Come ci hanno creduto città come Rovereto, con il suo Mart. Oppure Ferrara, con il Palazzo dei Diamanti ed il rilancio del Centro Video Arte, cittadina questa che ha saputo coniugare, insieme alla sua vocazione storica di area ‘orientata al passato’, l’arte moderna e contemporanea e addirittura l’ars electronica. Altro esempio è Torino, che è stata in grado


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Umbria mporanea

Ripensare i flussi cultruali in maniera diffusa

di mettere insieme sinergie tali tra pubblico e privato (Galleria d’Arte Moderna, fondazione CRT, Castello di Rivoli, Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, Comune) che, dopo un periodo di torpore culturale, è riuscita a reinventarsi come centro vivacissimo di produzione e sperimentazione in molteplici campi artistici soprattutto contemporanei. Un termine va molto di moda oggi nelle riflessioni che uniscono cultura e territorio, ed è distretto culturale. Presentarsi come tale vuol dire che si è riusciti a fare sistema, a diffondere in maniera orizzontale la gestione del patrimonio artistico tra tutti i soggetti della cosiddetta società civile: amministrazione pubblica, aziende, associazioni, istituzioni culturali, fondazioni, privati cittadini. La rivalutazione e la spinta in senso culturale del territorio, del distretto, passa quindi tra una divisione di competenze tra i diversi soggetti che nel territorio e nel suo sviluppo trovano convenienza: in senso economico, sociale, politico. L’Umbria, in questo senso sembra provarci, a diventare un distretto, nel senso che sta cercando di ‘fare rizoma’ (Deleuze – Guattari, 1972 ), attraverso l’instaurarsi di un rapporto sinergico di comunicazione e condivisione, coordinato a livello regionale con il Progetto Spettacolo Umbria, (piano triennale della Regione Umbria collegato al lavoro organizzato dalla Conferenza Stato-Regioni dedicato allo spettacolo

dal vivo), e tra il comune di Terni e quello di Perugia con PG-TR Forme del contemporaneo, e le forze creative più vive delle due cittadine, cercando di guardare ache fuori, alle regioni limitrofe. Quei fermenti in transito di cui si parlava all’inizio si chiamano quindi Germinazioni, Nutrimenti, Umane Energie, FCU (Forme Contemporane Umbre che si sviluppano sull’asse ferroviario - Ferrovia Centrale Umbra), One Book Two Communities, ES.Terni, Flussi, Dimora Fragile. L’ Umbria non è una terra particolarmente portata a parlare il linguaggio della contemporaneità o se e quando lo fa, le voci sono isolate, sporadiche, comunicano per brevi periodi e poi si azzittiscono. Anche per questo, quello che il progetto Spettacolo Umbria tenta di mettere in atto è un processo ambizioso e che richiede tempo, un processo di creazione di un grammatica comune, di un linguaggio condiviso, di un percorso pedagogico orientato alla sperimentazione ed alla innovatività. Quello che serve insomma è un intervento strutturale, generato da un agire politico consapevole di doversi impegnare oggi per raccogliere i frutti a medio-lungo termine, agevolando una mentalità costruttiva comune, di cui si stanno posando i primi mattoni, stimo-


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ES.TERNI lando il confronto e l’integrazione tra le comunità, favorendo l’emersione dei talenti e delle potenzialità locali, educando la popolazione al contemporaneo. E’ necessario perciò fare un pò come predicano quelle teorie macro-economiche di stampo keynesiano, ovvero rilanciare l’economia (culturale) sostenendo, tramite l’impegno del ‘pubblico diffuso’, la domanda di prodotti (artistici) attraverso un aumento dell’offerta degli stessi. Potremmo chiamare questo percorso, affascinante e utopistico come - teoria diffusa dei flussi culturali, flussi che, una volta liberati, saranno in grado di riprodursi autonomamente ingenerando un plusvalore culturale che ripagherà di tutti gli sforzi iniziali.

festival internazionale della creazione contemporanea

di Andrea Lanzilotto Dal 20 al 30 settembre Terni ospiterà, all’interno dell’antico complesso chimico Ex Siri, la seconda edizione del Festival internazionale della creazione contemporanea: ES.TERNI. Il progetto è frutto di una collaborazione tra le associazioni Demetra, Compagnia del Pino e Indisciplina®te, l’Assessorato alla Cultura del Comune di Terni, la Biblioteca Comunale di Terni, il Teatro stabile dell’Umbriacon il coordinamento di Progetto Spettacolo Umbria. Per undici giorni la città diventerà un cantiere creativo delle arti contemporanee. Più di venti formazioni artistiche nazionali ed internazionali, emergenti ed affermate, proporranno le loro rappresentazioni di te-

atro, danza, arti visive, performance, installazioni e video. E’ chiaro come l’obiettivo dell’organizzazione sia quello di fornire, attraverso la pluralità dei generi proposti, uno spaccato significativo di quelle che sono le nuove tendenze della creatività a 360°. Tra gli artisti più attesi di questa edizione troviamo Raffaella Giordano, coreografa che proporrà lo spettacolo “Cuocere il mondo”, ispirato all’Ultima Cena di Leonardo Da Vinci ed Antonio Taglierini, eccezionale performer solista che porterà in scena Show, ultimo spettacolo della sua allucinata trilogia (Freezy e Senza titolo). Ci sarà la prima nazionale dello spettacolo di Antonio Latella, regista ed attore teatrale, che per l’edizione 2006


del prestigioso corso internazionale di perfezionamento teatrale “Ecole des Maitres”, ha curato la messa in scena del Pericle di Shakespeare. Tra i protagonisti stranieri rilevante presenza sarà quella del canadese Dave St-Pierre che con la sua compagnia di 17 danzat(t)ori proporrà lo spettacolo “La pornographie des ames”. L’olandese Dries Verhoven invece giocherà sulle piccole emozioni dell’amore a prima vista e dell’incontro con uno sconosciuto. Sempre dall’Olanda, Alexandra Broeder proporrà “Wasteland”, coinvolgendo 7 bambini per descrivere con tratto sottile il ruolo dei grandi visto dai più giovani. Ancora, ma questa volta dall’Italia, verrà proposta l’azione sperimentale del gruppo Kinkalieri, in bilico tra una molteplicità di linguaggi espressivi differenti, simbolo del transito irrequieto di cui la manifestazione ternana vuole cibarsi. In primo piano per quanto riguarda la sezione dedicata alle opere visive e cinematografiche, la retrospettiva dedicata alla trentennale carriera del coreografo Wim Vandekeybus e della sua compagnia Ultima Vez, e il nuovo film di Jerome Bel, eclettico coreografo francese,“Film Veronique Doisneau”. La seconda edizione di Es.Terni darà particolare rilevanza agli artisti esordienti, nasce infatti il progetto Dimora Fragile, con il quale si intende dare spazio alle realtà artistiche emergenti della scena nazionale; ci sarà la possibilità per i giovani protagonisti di usufruire di un periodo di residenza creativa nei luoghi performativi messi a disposizione dalla città, oltre all’ExSiri, il Centro di Palmetta, il Centro Multimediale e la biblioteca comunale, del supporto tecnico e amministrativo e del confronto artistico. Sarà attivo anche un piano di affiancamento degli artisti da parte di alcune personalità della scena culturale contemporanea, da Sven Birkeland del teatro norvegese BIT a Silvia Bottiroli, giovane curatri-

ce indipendente, dall’inglese Bush Hartshorn al dj Bertallot. Dimora Fragile si impegna a dare spazio e risorse alla progettualità, a offrire una reale opportunità di rendere visibile, al pubblico ed agli operatori del settore, il lavoro ed il potenziale di artisti locali emergenti. Al bando hanno risposto in 250, solo dieci lavori hanno la possibilità di accedere alla fase finale del progetto, che si svilupperà in due anni, cinque quest’anno e gli altri nel 2008. Per quanto rigurda la rassegna vera e propria, a settembre potremo assistere a diversi spettacoli: Plumes dans la tete proporranno un progetto di carattere installativoperformativo dal titolo “Quiescenza del seme”, i Menoventi presenteranno “Samiramis”, lavoro teatrale figlio di una ricerca sulla cattività prolungata di un essere umano, Gilda Bellifemine affronterà i clichè legati alla femminilità, Davide

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Tidoni una rifelssione sul suono e la sua fruizione, Milena Costanzo e Roberto Rustioni un lavoro legato alla vita e agli scritti di Cristina Campo. Durante il Festival si avrà l’occasione di osservare anche il lavoro di Andrea Abbatangelo, W.A.Y.what about you, con il quale l’artista ha lavorato sul concetto di distanza. Il risultato è un macro-progetto che raccoglie al suo interno quattro interventi site-specific pensati per ottenere una nuova e temporanea geografia dei luoghi. Grazie anche a queste nuove iniziative Es.Terni vuole proporsi come crocevia in Umbria dell’arte e della cultura contemporanea, centro di sperimentazione ed innovazione culturale orientato al superamento della distinzione di genere dove la creazione contemporanea è arte performativa ma anche visiva, arte plastica e tecnologica.


…spazio 1999 2001 odissea nello spazio… VIAGGIO AI CONFINI DEL CINEMA (E OLTRE...

IL PROGRAMMA PRIMO PIANO LUCA RONCONI PRIMO PIANO SILVIO SOLDINI OMAGGIO A NINO MANFREDI CONTRO IL CINEMA: GUY DEBORD RETROSPETTIVA IL VIAGGIO 1: OMAGGIO ALLA SERIE TV SPAZIO 1999 RETROSPETTIVA IL VIAGGIO 2: ROAD TO PERDITION, STRADE PERDUTE UN’ALTRA IDEA DI CINEMA UN’ALTRA IDEA DI MONDO PREMIO VIGO: SILVIO SOLDINI PREMIO HOLLYWOOD PARTY I LUOGHI TEATRO MORLACCHI GALLERIA NAZIONALE DELL’UMBRIA ROCCA PAOLINA ORATORIO DI SANTA CECILIACINEMA ZENITH Info: Zero In Condotta Associazione Piazza Raffaello, 11 06122 Perugia Tel: 075 5734794 Fax: 075 5739253 Skype: batik.film.festival info@batikfilmfestival.it www.batikfilmfestival.it

...spazio 1999 2001 odissea nello spazio... Un titolo circolare. Un anno prima del 2000, un anno dopo del 2000. In così poco tempo si concentra il viaggio spaziotemporale del cinema che bATiK Film Festival affronta superando i limiti e i confini dell’abituale distribuzione consumo sfruttamento cinematografico. Gli operai dello spettacolo escono dalla catena di montaggio delle multisale aziendali per entrare nella zona d’ombra del teatrosetsotterraneo del cinema della differenza. Un’Odissea dello spazio. Dopo la NONaEDIZIONE nel 2005 e la DecimaEdizione-CHE COSA SONO LE NUVOLE nel 2006, bATiK [Film] Festival presenta la sua UNDICESIMA EDIZIONE. Festival dedicato al cinema d’autore italiano e internazionale, bATiK dedica la sua programmazione al cinema “nonvisto”, o ripresenta/rivede/riscopre film o autori con nuovi e particolari punti di vista.


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... Spazio

1999 2001

odissea nello spazio...

UNDICI ANNI di (attraversamenti di) cinema, autori, film differenti. Differenti film di un cinema differente. Manifestazione basata sull’Eccentricità, sullo ricerca del cinema di sperimentazione e d’autore, sull’internazionalità della programmazione e sull’eccezione culturale. Uno sguardo ostinatamente ibrido.

Gratuito La manifestazione rimane tuttora una tra le poche ad ingresso gratuito per rompere interrompere il rapporto di tipo economico che lega e vincola lo spettatore alla visione del film.

Inoltre il bATiK Film Festival ha creato ed ospitato: Stare sul limite ed essere sulla soglia, mai al centro. Correre sul confine. Restare in ascolto. In ascolto sul Premio Vigo margine del bosco per sentire le voci provenire del edizione italiana del più noto Prix Vigo. Oggi alla terbuio. Essere in attesa dell’evento e dell’epifania. za edizione [Film] Si sospende tra parentesi quadra la parola [Film], come intenzione di prescindere dal supporto pellicola e per segnare l’uscita dal confine di un approccio troppo specifico a favore di una apertura e sconfinamento nell’immaginario delle arti e della cultura sincretica e “digitale”.

Premio Hollywood Party per il giovane cinema italiano in collaborazione con RadioTre e l’omonima trasmissione radiofonica. Oggi alla quinta edizione. a cura di bATìk [Film] Festival


Daniele Silvestri in concerto 15 settembre ore 21.30 Piazza IV Novembre, Perugia ingresso libero




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