Dies irae « Dies irae, dies illa, dies tribulationis et angustiae, dies calamitatis et miseriae, dies tenebrarum et caliginis, dies nebulae et turbinis, dies tubae et clangoris super civitates munitas et super angulos excelsos. » (IT) Nella cultura popolare, l’espressione fine del mondo viene usata in senso generico per indicare un eventuale evento (o una serie di eventi) con conseguenze catastrofiche a livello mondiale, tali da causare per esempio la distruzione della terra, della biosfera, o della specie umana. Il tema della fine della mondo è presente in molte mitologie e religioni ed è ricorrente nella narrativa fantastica e fantascientifica. Secondo l’ematologia cristiana, il Giudizio universale avverrà alla fine dei tempi: Dio giudicherà tutti gli uomini in base alle azioni da loro compiute durante la vita, e destinerà ciascuno al Paradiso oppure all’Inferno. Questa dottrina fa riferimento ad una celebre parabola di Gesù (Matteo 25,31-46). Secondo la Chiesa cattolica e quella ortodossa, in effetti, gli uomini vengono giudicati subito dopo la morte (giudizio particolare), e le loro anime accedono al Paradiso o all’Inferno immediatamente, o, nel caso del Paradiso, dopo un periodo più o meno lungo di penitenza in Purgatorio. Alla fine dei tempi vi sarà invece la resurrezione della carne, con la quale i corpi risusciteranno e si riuniranno alle anime. Altre confessioni cristiane, ad esempio i Testimoni di Geova, ritengono invece che anche le persone non possano accedere al Paradiso terrestre, o alla distruzione eterna fino al Giudizio universale. Una tradizione, ispirata da alcuni passi biblici e diffusa soprattutto tra i protestanti, sostiene che immediatamente prima del Giudizio universale vi sarà una grande battaglia finale tra le forze del bene e quelle del male nel luogo, letterale o simbolico, del monte di Megiddo o Armageddon, presso Gerusalemme. È incredibile come l’uomo pur essendo talmente evoluto non riesca a controllare le improvvise ribellioni della natura. L’unica risposta plausibile che si possa dare è che l’uomo è solo di passaggio sulla Terra e non può pretendere di comprendere ne tanto meno controllare fenomeni come i terremoti, gli tsunami o gli uragani che sono sempre esistiti e che forse,la Terra,senza di essi, “morirebbe”. D’altra parte bisogna considerare che l’uomo è in parte causa di questi fenomeni che ormai avvengono sempre più frequentemente:sta distruggendo un luogo fantastico e armonioso;ogni giorno che passa c’è sempre meno verde e più grigio, il tasso di inquinamento nell’aria è ormai critico e la Terra che non può che rispondere con delle catastrofi. Numerosi sono stati i poeti che hanno scritto della Natura e del rapporto uomo Natura. Citandone uno fra tutti, Giacomo Leopardi possiamo notare come le catastrofi naturali sono intrinseche della vita dell’uomo, il poeta con la “teoria del piacere” sostiene che l’uomo nella sua vita tende sempre a ricercare un piacere infinito, come soddisfazione di un desiderio illimitato. Esso viene cercato soprattutto grazie alla facoltà immaginativa dell’uomo, che può concepire le cose che non sono reali. Poiché grazie alla facoltà immaginativa l’uomo può figurarsi piaceri inesistenti, e figurarseli come infiniti in numero, durata ed estensione, non bisogna stupirsi che la speranza sia il bene maggiore e che la felicità umana corrisponda all’immaginazione stessa. La natura fornisce tale facoltà all’uomo come strumento per giungere non alla veri Università degli Studi di Firenze - Facolt di Architettura CDL Magistrale in Design ‘‘Multimedia Design” doc. Prof. Giuseppe Ridolfi - Esercitazione 1
tà, ma ad un’illusoria felicità Un ulteriore aggiustamento della concezione di natura si ebbe quando il poeta spostò la sua attenzione dal tema del Piacere, che non si può avere, a quello della Sofferenza che non si può evitare. Anche se l’individuo potesse raggiungere il piacere, il bilancio della sua esistenza sarebbe comunque negativo, per la quantità dei mali reali (infortuni, malattie, invecchiamento, morte) con cui la natura, dopo averlo prodotto, tende a eliminarlo per dar luogo ad altri individui in una lunga vicenda di produzione e distruzione, destinata a perpetuare l’esistenza e non a rendere felice il singolo. In altri momenti il Leopardi approfondisce la sua meditazione sul problema del dolore e conclude scoprendo che la causa di esso è proprio la natura, perché è proprio essa che ha creato l’uomo con un profondo desiderio di felicità, pur sapendo che egli non l’avrebbe mai raggiunta: “0 natura, natura, perché non rendi poi quel che prometti allor? Perché di tanto inganni i figli tuoi?” dice il poeta nel canto “A Silvia”. Così, di fronte alla natura, il Leopardi assume un duplice atteggiamento: ne sente allo stesso tempo il fascino e la repulsione, in una specie di “odi et amo” catulliano. L’ama per i suoi spettacoli di bellezza, di potenza e di armonia; la odia per il concetto filosofico che si forma di essa, fino a considerarla non più la madre benigna e pia (del primo pessimismo), ma una matrigna crudele ed indifferente ai dolori degli uomini, una forza oscura e misteriosa, governata da leggi meccaniche ed inesorabili . E’ questo il terzo aspetto del pessimismo leopardiano che investe tutte le creature (sia gli uomini che gli animali). Ma in questo momento della sua meditazione il Leopardi rivaluta la ragione, prima considerata causa di infelicità. Essa gli appare colpevole di aver distrutto le illusioni con la scoperta del vero, ma è anche l’unico bene rimasto agli uomini, i quali, forti della loro ragione, possono non solo porsi eroicamente di fronte al vero, ma anche conservare nelle sventure la propria dignità, anzi, unendosi tra loro con fraterna solidarietà, come egli dice nella “Ginestra”, possono vincere o almeno lenire il dolore. Il nostro Dies Irae vuole appunto mettere in evidenza la forza e al tempo stesso l’indistruttibilità della natura e l’uomo non ha potuto far altro che restare ad osservare impotente di fronte a tanta devastazione. Quando la natura si ribella l’uomo non può difendersi nonostante le sue grandi capacità intellettive ed è per questo che viene catturato dal desiderio di fuggire, in quanto pensa istintivamente di riuscire a scampare il pericolo, ma la forza sovrannaturale lo trascina nel vortice non lasciandogli scampo. Il triste spettacolo offerto dalla fuga degli uomini, viene regalato al mondo dei pesci, i quali comodamente immersi in un mondo cristallino continuano a nuotare tra le limpide acque non curanti di ciò che accade sulla terra ormai trasformatasi in un teatro di malvagità dove l’uomo viene inghiottito dalle crepe naturali. MULTIMEDIASCAPE “Dies Irae” Maddalena Lagala, Chiara Cagusi, Matteo Forni
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1° movimento da 00:00 - 2’30” - Canto Gregoriano, lento sommesso
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2° movimento da 2’:30” - 5’55” - Vivace Forte Carl Jenkins ”Dies Irae”
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7’:25”
3° movimento da 5’:55” - 7’25” - Piano Crescendo Requiem Verdi
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4° movimento da 7’:25” - 9’:30” - Maestoso Dies Irae Dvorak
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9”:30”
5° movimento da 9’30” fino alla fine - Fine spettacolo, uscita spettatori Gregorian - Losing my Religion
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SEZIONE 1 Nella prima sezione osserviamo il collocamento di due proiettori: PROIETTORE 1 Per poter proiettare sull’arcata che contraddistingue il soffitto della Chiesa di Santa Verdiana, abbiamo posizionato un proiettore sulla scalinata che conduce all’altare: la direzione dell’asse ottico della lente è leggermente spostata dal centro geometrico delimitato dalle pareti, per favorire così il circolare all’interno della stanza da parte dei visitatori.
PROIETTORE 2 Le proiezioni sulle pareti laterali sono sono realizzate tramite il posizionamento di due proiettori, all’altezza dei capitelli sulla colonne d’ingresso. Sono proiettori che offrono possibilità di correggere l’effetto prospettico dell’immagine, proiettatasu una superficie piana inclinata.
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SEZIONE 2 Le proiezioni prevedono la loro azione esclusivamente nella navata centrale, l’ingresso ad arcate della Chiesa resta completamente buio, l’evento quindi si offre in una sola zona della Chiesa.
SEZIONE 3 Il carattere epico-religioso della tematica concettuale, ha condotto la nostra attenzione anche sugl’affreschi, che disposti a trittico, decorano l’altare. Per rendere visibili questi tre elementi dalla supercficie piana abbiamo posizionato tre lampade in prossimità della base di ciascuno, la luce irradiata è resa fredda dall’applicazione di una gelatina 80(A/B) davanti alla lampada.
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PANNELLI O VELI IN TULLE I proiettori che proiettano all’interno delle finestre, si trovano in posizione decentrata, l’asse ottico del proiettore non coincide perpendicolarmente con il piano di proiezione. Le “finestre” hanno infatti una certa profondità che abbiamo recuperato, portando il piano di proiezione ad una superficie adatta, posizionando dei pannelli in legno, e come seconda scelta dei teli in tulle. In assenza di pannelli/teli la profondità della finestra verso la parete avrebbe impedito alla luce, proiettata dagli strumenti, di raggiungere tutta la superficie interna alla cornice delineata dalla finestra.