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FocusOn 2/2017
Mercato dell’arte Manovra 2018: rischi e opportunità per il mondo dell’arte 3 Diritto Bancario Il mutuo concesso per un importo superiore all’80% del valore del bene è nullo 6 Diritto Civile Gli atti costitutivi di un Fondo patrimoniale e quelli aventi ad oggetto il conferimento di beni in un Trust sono soggetti a revocatoria ordinaria quando si dimostri che siano stati eseguiti in pregiudizio delle ragioni dei creditori 8 Terzo Settore Impresa sociale in campo culturale: iniziamo a ragionare 9 Diritto Societario Le scelte gestorie degli amministratori di società di capitali incontrano il limite della ragionevolezza 14 Società commerciali Società benefit: riassunto delle puntate precedenti 16 Diritto immobiliare Maurizio De Tilla: Le locazioni 23 Arte in Studio Io, Renato Calaj 25
Mercato dell’arte Manovra 2018: rischi e opportunità per il mondo dell’arte. Qualche anno fa Hans Magnus Enzensberger raccolse alcuni suoi articoli in un volume che intitolò Zig Zag. Si trattava di saggi su argomenti eterogenei e apparentemente slegati, volutamente non lineari. Il concetto, di Enzensberger è che la vita non è l’essere ed essere uniformi e coerenti, ma una transizione continua. La vita procede a saltelli, a zig zag, appunto, e qualsiasi pensiero che proceda in linea retta non sarà mai adeguato alla nostra ricerca della comprensione, pur limitata, della realtà. Probabilmente è questo concetto che ispira, ogni anno, la formazione della legge di bilancio: un ammasso eterogeneo di norme, talvolta incoerenti e di cui non sempre si comprende il senso o, se lo si comprende, questo può sembrare distante dagli obiettivi che parrebbero logici. Di certo un testo che varrebbe la pena leggere solo una volta approvato ma anche certamente un testo che è meglio leggere in ogni suo passaggio per evitare che siano approvati scempi. E anche questo è procedere a zig zag, in fondo. LA MANOVRA 2018 Il mondo dell’arte è un gigante d’argilla, un organismo fragile, un elefante pauroso e, forse, immaturo ed è bastato un attimo per creare il panico. Il tempo di ipotizzare una norma, scritta davvero male, che prevedeva la tassazione delle plusvalenze sulle opere d’arte e apriti cielo. L’homo erectus, o detto più semplicemente noi è più vicino alla verità quando accetta la propria fallibilità, quando ammette l’idea che nella vita nulla sia per sempre. Che si procede sempre di bolina. Che non importa seguire una strada dritta per camminare, orgogliosamente, eretti. E quindi è sempre possibile cambiare idea. Auspicabile talvolta. Lo ha fatto chi quell’articolo lo aveva scritto o quanto meno qualcuno al di sopra che ha capito quanto l’interpretazione data dell’art. 67.1.i del TUIR fosse imbarazzante, scorretta, soprattutto scoordinata. E non tanto nell’idea che le plusvalenze sulle opere d’arte possano essere soggette a tassazione (lo sono già a determinate e frequenti condizioni) ma in quella che tutto questo non debba essere inserito in un quadro più ampio, scritto meglio evitando retroattività, sanzioni e danni a un settore potenzialmente enorme. LA NORMA FANTASMA Quando in altri settori si sta lavorando per fornire un’immagine attrattiva, se l’Italia intera si sta spendendo per portare a Milano l’Agenzia europea del farmaco, se immaginiamo la brexit come opportunità e, al di là di questo frangente, se pensiamo a quanto il
mercato dell’arte possa essere anche economicamente trainante per il nostro paese beh, forse non è il caso di intervenire a gamba tesa. La norma fantasma aveva carattere interpretativo. E alcune riflessioni la merita: • Non ha senso considerare attività commerciale la vendita di qualcosa che sia stato ereditato o ricevuto in donazione. Perché ci sia commercio servono almeno un acquisto e almeno una vendita. E in questo caso, lo capisce chiunque, un pezzo manca. • Non ha senso rendere retroattiva una interpretazione perché se serve una norma per chiarire una situazione vuol dire che quella situazione non era così chiara. E anche ammesso che si voglia tornare indietro nel tempo beh, le sanzioni proprio no! • Non ha senso, soprattutto, parlarne ancora perché quell’articolato è sparito dalle ipotesi. Quello che ha senso è mettersi attorno a un tavolo per capire cosa fare davvero. Senza preconcetti, senza voler difendere rendite di posizione o un vuoto normativo che è il paradiso solo per i furbetti del quadrettino. C’è bisogno di altro e non vuol dire immaginare il settore immune da ogni contagio fiscale. Vuol dire pensare a un sistema, vuol dire creare un complesso di regole che assicurino la competizione leale, la contribuzione corretta, lo sviluppo del mercato, la lealtà del gioco. Pensare a colpire le plusvalenze ma tenendo conto delle minusvalenze (anche quelle latenti derivanti da atti esterni come, ad esempio, quelle derivanti dalla dichiarazione di interesse su opere non più esportabili), discutere dell’iva sulle importazioni ma anche di un’aliquota ordinaria fuori mercato a livello internazionale, valorizzare la fruizione pubblica delle opere, favorire gli scambi, i finanziamenti, la sburocratizzazione e tutte le leve possibili necessarie alla crescita. Soprattutto far sì che chi scrive le leggi sappia di cosa sta parlando e non metta parole a caso, concetti forse validi in altri settori e non applicabili invece a questo. Perché procedere a zig zag nella ricerca della verità è una ricetta che va bene al singolo ma non alla collettività. ***
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Diritto Bancario Cassazione civile, sentenza n. 17352 del 13 luglio 2017
Il mutuo concesso per un importo superiore all’80% del valore del bene è nullo. Il mutuo fondiario concesso per una somma eccedente il limite di finanziabilità (pari all’80 % del valore del bene oggetto di finanziamento) è nullo. Ciò perché la norma violata (art. 38 TUB) non costituisce una mera regola di comportamento, bensì una regola di validità del contratto in quanto introduce un elemento essenziale del mutuo fondiario (i.e. il limite di finanziabilità). Ribaltando il precedente indirizzo giurisprudenziale (che, alla violazione dell’art. 38 TUB, aveva fatto corrispondere solamente un rimedio sanzionatorio a carico della banca condente il mutuo) la Cassazione afferma, invece, la nullità del contratto, con conseguente nullità, anche, delle garanzie ipotecarie costituite dal soggetto mutuatario a favore dell’ente creditizio. Nella sostanza la cassazione afferma che, poiché la norma è tesa a tutelare interessi economici nazionali (i.e. aventi finalità pubblica) la sua violazione non può consentire di mantenere intatti il contratto di mutuo e la “prelazione” (i.e., la garanzia ipotecaria) ai danni dell’intero ceto creditorio. Sicché non potrebbe giustificarsi un rimedio di sola natura sanzionatoria a carico della banca che lasciasse, però, inalterati il privilegio della banca a scapito di tutti gli altri creditori. Il mancato rispetto del limite di finanziabilità ai sensi dell’art. 38 TUB, dunque, determina la nullità del contratto di mutuo fondiario. Poiché detto limite è essenziale ai fini della qualificazione del finanziamento ipotecario come “fondiario” lo sconfinamento di esso conduce automaticamente alla nullità dell’intero contratto, salva la possibilità di conversione di questo in un ordinario finanziamento ipotecario ove ne risultino accertati i presupposti. ***
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Diritto Civile Cassazione civile, sentenza n. 19376 del 3 agosto 2017
Gli atti costitutivi di un Fondo patrimoniale e quelli aventi ad oggetto il conferimento di beni in un Trust sono soggetti a revocatoria ordinaria quando si dimostri che siano stati eseguiti in pregiudizio delle ragioni dei creditori È legittima la dichiarazione di inefficacia ex art. 2901 e ss. c.c. degli atti di costituzione del fondo patrimoniale e di istituzione di un trust (nella fattispecie familiare), qualora siano stati istituiti a seguito dell’insorgenza di un debito e arrechino un danno alle pretese creditorie. Come perentoriamente affermato dalla Corte di Cassazione nella sentenza in commento il pregiudizio alle ragioni creditorie sta nel solo fatto della costituzione dei beni in trust in quanto i beni a ciò costituiti sono, ai sensi dell’art. 2 e 11 della Convenzione dell’Aja, 1° luglio 1985 (ratificata con Legge 16 ottobre 1989, n. 364), impignorabili e sottratti alle ragioni dei creditori dei disponenti e del trustee. Salvo (ovviamente) che il debitore non dimostri di avere altri beni su cui i creditori possano soddisfare le loro pretese creditorie. Analoga la conclusione anche per l’atto costitutivo del fondo patrimoniale con riguardo al quale l’indisponibilità dei beni in esso costituiti è consacrata dall’art. 170 c.c. Soggetti legittimati a essere convenuti in giudizio dai creditori pregiudicati dagli atti dispositivi in questione sono, per quel che riguarda il Trust il solo trustee in quanto unico soggetto di riferimento nei rapporti con i terzi in quanto soggetto che dispone dei beni (ancorché nell’interesse dei beneficiari del Trust). Contro questi ultimi la lite non va promossa (né devono essere necessariamente convenuti quali litisconsorti necessari) in quanto non sono titolari di nessun diritto attuale e concreto (ma, al più, titolari di una mera aspettativa). Relativamente al fondo patrimoniale legittimati passivi sono i coniugi in quanto è pacifico che la sua costituzione comporta solo un vincolo di destinazione dei beni (affinché con i loro frutti sia assicurato il soddisfacimento dei bisogni della famiglia) non incidendo sulla titolarità degli stessi che continua a rimanere in capo ai primi. Sulla base delle argomentazioni sopra espresse la Corte ha ribadito il principio per cui, in presenza di debiti sorti anteriormente alla costituzione del fondo patrimoniale e al conferimento di beni in Trust, tali operazioni risultano scientemente preordinate alla 6
sottrazione dei beni alla garanzia dei creditori e, pertanto, possono essere dichiarate inefficaci ex articolo 2901 cod. civ. ***
Terzo Settore Impresa sociale in campo culturale: iniziamo a ragionare (in collaborazione con Marco D’Isanto, dottore commercialista in Napoli) La riforma del Terzo Settore oltre a mettere a sistema una serie finora frammentaria di norme talvolta contraddittorie ha indicato abbastanza chiaramente la volontà del legislatore di dividere questo comparto in due precisi e divisi mondi. Da una parte il volontariato puro, l’associazionismo filantropico in cui è il dono, fosse anche solo del tempo, la base fondante. Dall’altro lato si è fortemente spinto affinché gli enti che per la propria sostenibilità e forse anche seguendo una propria predisposizione naturale erano, sono e saranno impresa vengano allo scoperto e si strutturino adeguatamente. Non è forse un caso che i decreti aventi a oggetto gli Enti del Terzo Settore (ETS) e quello sull’Impresa Sociale (IS) di cui la riforma si struttura siano separati quando, teoricamente, avrebbero potuto anche essere scritti assieme. L’IS, quindi, è la meta cui dovranno tendere tutti coloro che esercitano un’attività economica non lucrativa e a questa tipologia organizzativa si dovrà guardare con grande interesse e attenzione. Indipendentemente dalla forma giuridica originaria è la configurazione di IS che consente ai diversi attori non profit di esercitare in forma stabile una attività economica. Non mancano, però, alcuni aspetti controversi sui quali vale la pena riflettere nell’auspicio che nei prossimi mesi possano essere superati. Per chi opera in ambito culturale le attività di interesse generale che il decreto individua come esercitabili dalle imprese sociali da una parte allargano positivamente i confini di operatività di tali soggetti ma, dall’altra, necessitano di essere puntualmente meglio specificate. In particolare ci interessa ragionare su quelle che il decreto definisce attività culturali di interesse sociale con finalità educativa, l’organizzazione e gestione di attività culturali, artistiche o ricreative di interesse sociale, l’organizzazione e gestione di attività turistiche di interesse sociale, culturale o religioso e, infine, attività di carattere residenziale temporaneo diretta a soddisfare bisogni sociali, sanitari, culturali, formativi o lavorativi. L’impressione che si ricava dalla lettura della norma è che questo si presti 7
ad abusi della qualificazione sociale di tali attività che, come troppo spesso accade, lascia ampi margini interpretativi quelli che, come sempre, possono alla fine inficiare la bontà dei presupposti di una norma. È necessario chiarire, per fare un esempio, cosa si voglia intendere per attività turistiche di interesse culturale al fine di evitare distorsioni e per consentire, quindi, agli operatori di inquadrare correttamente il campo delle proprie attività e che queste non vengano strumentalmente piegate . Perché dalla lettura della norma questo non è chiaro. Un b&b a poca distanza da un museo famoso rientra in questo oggetto? Lo stesso vale per qualsiasi gita turistica o visita guidata in un sito di interesse culturale? E i centurioni al di fuori del Colosseo? Una camera con vista venduta su airbnb è conforme a una attività di carattere residenziale temporaneo diretta a soddisfare culturali? Si tratta di provocazioni (ma non troppo) che però danno l’idea di come il perimetro non sia ben definito e di come le interpretazioni possono essere molto soggettive. Un ulteriore aspetto controverso riguarda il trattamento tributario. La riforma non ha introdotto, correttamente, un modello tipizzato di IS. Questa è, nella realtà dei fatti, una qualifica che può essere acquisita da parte di tutti gli enti privati inclusi quelli costituiti nelle forme societarie e ne consegue che possono essere IS soggetti con natura, complessità, e norme di riferimento completamente diverse potendosi fregiare di tale titolo, nei limiti di quanto previsto dal decreto, un ventaglio di figure che vanno dalla SpA alla associazione. Tutto questo è ben chiaro e comprensibile. Quello che, al contrario, non è raccontato è se esista un trattamento fiscale unitario per le varie forme di IS o se ogni forma giuridica conserva l’originaria configurazione tributaria. Il precedente decreto, che disciplinava l’IS, conteneva una previsione secondo la quale alle “organizzazioni non lucrative di utilità sociale e gli enti non commerciali che acquisiscono anche la qualifica di impresa sociale, continuano ad applicare le disposizioni tributarie previste dal medesimo decreto legislativo n. 460 del 1997, subordinatamente al rispetto dei requisiti soggettivi e delle altre condizioni ivi previsti”. Questa puntuale previsione aveva fatto prevalere, nell’opinione degli interpreti, l’ipotesi della neutralità fiscale dell’acquisizione della qualifica di IS da parte di un ente associativo qualificato come ente non commerciale. Questo comportava che un’associazione culturale in possesso della qualifica di Impresa sociale continuava a non tassare sia ai fini iva che Ires i proventi dell’attività istituzionale. La natura di ente non commerciale e tutte le agevolazioni conseguenti veniva dunque conservata. 8
Nel testo della riforma, però, un’analoga previsione non esiste. Si allude ripetutamente all’esercizio continuativo e stabile di una attività d’impresa che renderebbe chiaro lo status di enti commerciali a tutti i soggetti in possesso della qualifica di impresa sociale. Per determinare, in relazione all’attività principale da essi svolta, la natura del reddito degli enti non commerciali sarà necessario, quindi, indagare l’oggetto esclusivo o principale delle proprie attività. Secondo il nuovo decreto risulterebbe evidente che gli enti qualificati come IS dovranno esercitare in via stabile e principale un’attività d’impresa e dunque il reddito relativo alle attività realizzate sarà attratto nell’ambito del reddito d’impresa. E questo avrebbe conseguenza, sia ai fini iva che ai fini Ires l’acquisizione per l’associazione dello status di ente commerciale. I benefici fiscali connessi alla non imponibilità dei proventi afferenti l’attività istituzionale ai verrebbe persa. Chiaramente in quanto impresa sociale l’associazione applicherebbe la normativa di favore prevista per questi soggetti tra cui la detassazione degli utili realizzati. Diverso è invece il criterio di determinazione del reddito. Nella relazione illustrativa al decreto, infatti, si legge che “quella di impresa sociale è una qualifica normativa che può essere assunta da diverse tipologie di enti. Di conseguenza, i relativi redditi sono determinati secondo le norme tributarie ordinariamente applicabili alle diverse tipologie di enti che possono assumere la qualifica di impresa sociale”. Non sfugge qui il richiamo alla determinazione dei redditi che chiaramente per gli enti non commerciali segue regole diverse dagli altri. Le società infatti sono ontologicamente enti commerciali: il reddito che producono, indipendentemente dalla fonte, viene attratto interamente nella sfera del reddito d’impresa. Gli enti non commerciali possono, invece, conseguire redditi appartenenti a categorie diverse (fondiari, di capitale, d’impresa e redditi diversi) e il reddito complessivo è dato dalla somma dei redditi delle diverse categorie. Per questi enti diversi dalle società, i redditi e le perdite che concorrono a formare il reddito complessivo sarebbero determinati distintamente per ciascuna categoria in base al risultato complessivo di tutti i cespiti che vi rientrano. La formulazione contenuta nella relazione illustrativa però apre la strada a dei dubbi interpretativi: alcuni hanno infatti intravisto la possibilità che non solo gli enti non commerciali conservino le proprie regole di determinazione del reddito ma che conservino anche lo status tributario di enti non commerciali. L’assenza di una previsione normativa esplicita in questo senso, al contrario, farebbe propendere verso l’ipotesi di qualificare quelli relativi alle attività principali realizzate come redditi 9
d’impresa e quindi, accogliendo la formulazione della relazione illustrativa, le associazioni manterrebbero esclusivamente la facoltà di determinare i redditi sulla base della normativa originaria degli enti non commerciali. Per concludere: il percorso logico interpretativo proposto conduce dunque al risultato che il mutamento di status dal punto di vista tributario attrae le associazioni tra gli enti commerciali. Questo equiparerebbe, dal punto di vista fiscale, per gli enti non commerciali, l’acquisizione della qualifica di IS alla trasformazione da soggetto non commerciale in società commerciali. E anche quest’aspetto merita di essere chiarito. Quindi: la riforma del terzo settore interviene in un comparto che aveva decisamente bisogno di una regolamentazione organica e di un indirizzo professionale in termini di sostenibilità e di governance anche in considerazione dei numeri in grado di sviluppare e delle particolari forme di finanziamento che lo stesso necessita. Questo non significa che tutto sia perfetto. Esistono zone grigie su cui sarà necessario intervenire, quelle accennate sono solo alcune. Il tempo delle analisi è appena cominciato. ***
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Diritto Societario Le scelte gestorie degli amministratori di società di capitali incontrano il limite della ragionevolezza. L’insindacabilità della discrezionalità del merito delle scelte gestorie degli amministratori di società di capitali incontra il limite della loro ragionevolezza; per cui si ha responsabilità degli amministratori ogniqualvolta essi non abbiano adottato le cautele necessarie nel compimento delle attività loro demandate, non avendo corredato le proprie scelte con le verifiche, le indagini e le informazioni preventive normalmente richieste per una scelta di quel tipo, operata in quelle circostanze e con quelle modalità. Nel caso di specie, una società consortile per azioni chiedeva al Tribunale di Roma la condanna dell’ex presidente del proprio Consiglio di amministrazione al risarcimento dei danni subiti a seguito di atti e comportamenti tenuti dallo stesso nel periodo in cui ha rivestito la carica, tra cui la stipula di contratti risultanti privi di utilità per il consorzio. In Cassazione l’amministratore convenuto chiedeva la riforma della sentenza con cui, in appello, era stata confermata la sua condanna al risarcimento dei danni; ciò sul presupposto che il giudice del merito si sarebbe ingerito nelle scelte di gestione dell’amministratore, affermandosi che non sarebbe possibile imputare all’amministratore di una società a titolo di responsabilità, le scelte economiche considerate inopportune, tutte le volte che esse attengono a una sua valutazione discrezionale. La Cassazione ribadisce che, sebbene sia pacifico che “all’amministratore di una società non può essere imputato a titolo di responsabilità ex art. 2392 c.c. di aver computo scelte inopportune dal punto di vista economico”, tuttavia l’insindacabilità delle scelte di gestione non è priva di limiti tout court dovendo sempre l’amministratore prendere le decisioni senza omettere “quelle cautele, verifiche e informazioni preventive, normalmente richieste per una scelta di quel tipo, operata in quelle circostanze e con quelle modalità” necessarie ad apprezzare “preventivamente i margini di rischio connessi all’operazione da intraprendere”. ***
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Società commerciali Società benefit: riassunto delle puntate precedenti Per generare sviluppo oggi non si può più tenere in considerazione solo il valore economico ma assume sempre maggiore rilevanza l’impatto sociale delle attività d’impresa cosicché l’interesse delle società è sempre più rivolto a questi e agli aspetti legati reputazionali e di responsabilità sociale. La corporate social responsability è una strada che sempre di più incrocia le scelte imprenditoriali e che in qualche modo realizza le idee che già erano di Adriano Olivetti. Negli Stati Uniti l’attenzione al ruolo sociale dell’impresa ha portato all’emanazione disordinata di norme ma anche alla nascita di un vero e proprio movimento: un modo alternativo di fare business che si è dato forma in una organizzazione no-profit chiamata B-Lab volta a promuovere e certificare su tutto il territorio nazionale l’utilizzo di una nuova forma societaria (introdotta ufficialmente solo nell’ordinamento di alcuni Stati americani con il nome di Benefit Corporation). Negli Stati Uniti, quindi, attualmente convivono un po’ confusamente due distinte forme organizzative: le Benefit Corporation (in vigore in Stati come, ad esempio, il Maryland) e le Certified B Corporations, società che hanno ottenuto la certificazione da B-Lab. L’Italia, partendo dell’esperienza americana, è il primo Stato in Europa ad aver riconosciuto nel proprio ordinamento, con La legge di stabilità 2016, le Società Benefit comparabili al modello statunitense della Benefit Corporation. La Società Benefit nell’esercizio della propria attività economica oltre a perseguire il fine del profitto si impegna in una o più finalità di beneficio comune. Si supera in tal modo la classica dicotomia tra profit e no-profit arrivando a un modello d’impresa socialmente responsabile in cui entrambi gli elementi sono fortemente connessi ed ogni processo decisionale e strategico non può prescindere dalla valutazione economica e dall’impatto sociale delle azioni che si andranno ad intraprendere. Le Società Benefit non prescindono dallo scopo lucrativo ma rappresentano una nuova possibilità data alle imprese già esistenti o di nuova costituzione di proteggere l’attività imprenditoriale nel lungo termine puntando a massimizzare non solo i dividendi per i soci come nelle strutture societarie profit ma anche l’impatto positivo sugli altri portatori d’interesse. Secondo quanto previsto dalla Legge i dividendi potranno essere liberamente distribuiti ma le imprese dovranno destinare una parte delle proprie risorse gestionali ed 14
economiche:
al benessere di persone e comunità, alla conservazione e al recupero di beni del patrimonio artistico e archeologico, alla diffusione e al sostegno delle attività culturali e sociali nonché di enti ed associazioni con finalità rivolte alla collettività e al benessere sociale.
Le Società Benefit, che non devono essere confuse con le imprese sociali le quali, al contrario, non perseguono il profitto ma unicamente un fine collettivo, non sono un nuovo tipo di società, sia chiaro, ma solo una modello organizzativo d’impresa con caratteristiche ben precise:
l’oggetto sociale deve indicare, oltre all’attività propria dell’impresa, anche le
finalità di beneficio comune devono essere amministrate in modo da bilanciare gli interessi dei soci e il
perseguimento di finalità sociali vi è la possibilità di introdurre, accanto alla denominazione sociale, le parole Società benefit o l’abbreviazione SB e di utilizzare tale denominazione nei titoli
emessi, nella documentazione e nelle comunicazioni verso terzi gli amministratori hanno l’obbligo di operare in modo responsabile, sostenibile e trasparente nei confronti di persone, comunità, territori e ambiente, beni ed attività culturali e sociali, enti e associazioni e altri portatori di interesse.
Qualsiasi tipologia di società può evolversi in Società Benefit continuando a rispettare la disciplina prevista dal codice civile per le singole forme societarie. Le società che vorranno trasformarsi in benefit dovranno però modificare l’oggetto sociale come sopra descritto e indicare i soggetti responsabili cui affidare il perseguimento delle finalità sociali. Le Società Benefit oltre ai normali adempimenti richiesti dalla forma societaria dovranno allegare al bilancio una relazione in merito al perseguimento del beneficio comune che include: la descrizione degli obiettivi specifici, delle modalità e delle azioni attuate dagli amministratori per il perseguimento delle finalità di beneficio comune e delle eventuali circostanze che lo hanno impedito o rallentato la valutazione dell’impatto generato utilizzando lo standard di valutazione esterno con caratteristiche descritte dalla Legge e che comprende le aree di valutazione identificate dalla stessa una sezione dedicata alla descrizione dei nuovi obiettivi che la società intende perseguire nell’esercizio successivo. Le valutazioni sugli obiettivi raggiunti dalla Società Benefit devono essere certificate da 15
un ente esterno secondo lo standard di valutazione previsto dalla Legge. Ma chi può essere l’ente esterno? Su questo punto il nostro legislatore non è stato esplicito. Negli Stati
Uniti
B-Lab
ha
fornito
un
elenco
degli
enti
a
cui
rivolgersi
(http://benefitcorp.net/businesses/how-do-i-pick-third-party-standard) dando un’idea di come si possa operare anche se, attualmente, in Italia non vi esiste una lista che indichi agli operatori economici a chi rivolgersi per espletare gli adempimenti richiesti dalla Legge. Infine molti autori, sia in Italia che in America, hanno rilevato che la mancata introduzione di incentivi fiscali alle società benefit rende meno appetibile la loro diffusione. Rimane il fatto che la questione fiscale può certamente essere un utile volano alla loro diffusione e alla creazione di una nuova sensibilità ma, dal canto loro le aziende devono comprendere come perseguire un beneficio comune, oltre al merito di una scelta etica e sostenibile, di un impatto positivo sul sistema circostante, abbia un forte effetto in termini di immagine e di reputazione che nel lungo periodo certamente porterà a fidelizzare i consumatori e ad accrescere l’autorevolezza presso gli investitori che preferiranno una Società Benefit piuttosto che un’altra proprio per premiarne l’impegno sociale. La crescita dell’interesse per l’impatto sociale delle attività d’impresa e agli aspetti reputazionali e di responsabilità sociale di impresa ha quindi portato all’introduzione nella legislazione italiana delle società benefit. Spesso, però, nella prassi vi è la tendenza ad utilizzare Società Benefit e B-Corp in modo indistinto, ma vi sono alcune differenze che cerchiamo di sintetizzare. Le società benefit sono un nuovo modello di impresa introdotto in Italia con la legge di stabilità del 2016 e da questa regolato (di cui abbiamo detto sopra).
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Requisito
B-Corp Certificata
Gli amministratori devono tener conto degli Accountability
effetti delle loro decisioni sia sugli azionisti che sugli stakeholder
Benefit Corporation e Società Benefit Uguale alle B-Corp certificate. Le SB formalizzano la responsabilità degli amministratori nello statuto L’azienda deve rendere pubblico, insieme al bilancio, un
Le B-Corp certificate hanno, rispetto alle Trasparenza
società benefit, obbligo di verifica e certificazione da parte di B-Lab
rapporto che valuta il suo impatto complessivo, redatto secondo uno standard indipendente. La legge non ha definito in modo puntuale lo standard.
Le performance sono verificate e certificate Performance
dal B-Lab attraverso lo standard B-Impact Assessment. Va dimostrata una performance
Auto-dichiarata
>= 80 punti su 200. Verifica nel tempo è relativa ai Verifiche Permanenti
requisiti di trasparenza e Deve rinnovare la certificazione ogni due anni
veridicità a cura dell’Autorità Garante della concorrenza e del mercato.
Assistenza e uso del Brand ‘Certified B Corp®’
Accesso a una gamma di servizi e supporto da parte di B-Lab. Le B-Corp certificate possono usare il brand e il logo ‘Certified BCorp’ sui loro prodotti e in tutte le loro comunicazioni
Nessun tipo di supporto formale da parte di B-Lab. Non è possibile usare il brand BCorp® In Italia, dove dal 1 gennaio
A chi si rivolge
Qualsiasi impresa privata in ogni parte del mondo
2016 è stata introdotta la forma di Società Benefit, alle società di cui al Libro V, titoli V e VI del Codice Civile
Oneri
La tariffa annuale per la certificazione B-Corp varia tra 500 € e 50.000 €, in base al fatturato annuale dell’azienda. La fee copre parte dei costi operativi della non profit B-Lab, consente l’accesso ai servizi per le B-Corp certificate e sostiene la diffusione degli strumenti di misura
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dell’impatto delle B-Corp (B-Impact Assessment).
In Italia gli oneri sono quelli legati alle modifiche statutarie aziendali.
B-
Corp certificate sono aziende che inseguono oltre il profitto, scopi di impatto positivo verso i dipendenti, il sociale, l’ambiente. La certificazione viene rilasciata da B-Lab, un’organizzazione no profit il cui scopo è di diffondere un diverso concetto di business. I due modelli sono complementari e per sottolineare tale complementarietà le B-Corp certificate in Italia hanno l’obbligo di trasformarsi in società benefit entro 2 anni dalla prima certificazione . Riportiamo di seguito una tabella comparativa riadattata (fonte: Il manuale delle B-Corp) : In definitiva per diventare una società benefit si deve procedere ad una modifica statutaria e questo fornisce maggiori garanzie di protezione dei valori fondamentali dell’impresa mentre la certificazione BCorp è la misurazione quantitativa della performance che permette di far comprendere se l’azienda sta rispettando i valori ambientali, sociali e di governance. La questione delle società benefit in Italia, però, è un po’ come una corsa sui duecento piani, una gara in tre fasi. La partenza, questione di riflessi, di scatto, di impulso. Di reazione agli stimoli. E qui non andiamo male. Quando c’è da partire partiamo, sempre. L’Italia è il primo stato a dotarsi di una normativa nata e cresciuta sull’onda di quella presente in alcuni stati USA. È stato il primo paese che per caratteristiche culturali e responsabilità sociale e per il rapporto che lega le nostre PMI al territorio in cui sono nate e di cui sono figlie, ha saputo leggere con anticipo le mosse dello starter, i segnali di cambiamento, la sempre più sottile barriera che separa concetti come profit e no profit, destinati a perdere senso come destra e sinistra nei parlamenti di mezza Europa. Le società commerciali, tradizionalmente, nascono e operano per un unico scopo il cui risultato ultimo è quello di remunerare il capitale. Gli utili sono un diritto dei soci, il fine definitivo è la massimizzazione del profitto, lo shareholder value, la soddisfazione dei soci. Un concetto ben riassunto già nel 1919 nella famosa causa tra i fratelli Dodge e la Ford Motor Company: a business corporation is organized and carried on primarily for the profit of the stockholders. Prima gli azionisti, parafrasando Trump. Con le società benefit tutto questo si stempera: l’interesse si moltiplica a vantaggio di altri beneficiari, l’egoismo utilitaristico lascia il passo al beneficio comune e il fine vira verso lo stakeholder value. E ancora: quello che prima era relegato ad atto occasionale e soggetto al giudizio dell’assemblea diventa parte integrante del processo aziendale, ciò che era sporadico si ritrova sistemico, quello che spesso era casuale diventa una 18
prassi non solo possibile ma addirittura obbligatoria. Quello che era soggettivo, quindi, è ora parte dell’oggetto sociale, attività sottoposta al controllo non più incentrato sul perché ma sul come. Una volta partiti c’è da impostare la curva, mantenere il controllo e l’equilibrio mentre le gambe cominciano a prendere ritmo. È il momento di stabilizzare le leve, non perdere appoggio, sostenere la progressione. Di abituare il corpo a inclinarsi verso l’interno della pista, per contrastare l’azione della forza centrifuga, che tende a portare verso l’esterno, a perdere il centro del discorso, a deviare rispetto all’obiettivo finale. Le società benefit hanno bisogno di cominciare a correre. Partire bene (e velocemente) ma avere certezza. Le norme sono poche e chiare. Nessun regime speciale ma semplicemente società che si danno un obiettivo più grande. E a fronte del proprio impegno tradizionale affiancano un intento responsabile. Un oggetto aggiuntivo, che può correlarsi con il core business, un’inclinazione che la società si concede e che ha il più delle volte declinazioni ambientali ma che possono, perché no, virare verso ambiti culturali. Non ultimo il caso di una società immobiliare che ha deciso di investire in giovani artisti contemporanei inserendo nei propri cantieri opere, assumendo così l’impegno di committente per la produzione di progetti architettonici nuovi o per il restauro e riuso dell’esistente, con attenzione, certamente, alla qualitàà̀ e sicurezza della costruzione e al recupero dei materiali, oltre che alla loro funzione di servizio e godimento per le persone che vi trascorrono parti della vita ma soprattutto alla loro bellezza, sostenendo un dialogo fluido e dinamico fra artisti, artigiani, designers, architetti, ingegneri, umanisti, animalisti, creativi, sociologi, filosofi, antropologi, futurologi, pubblicitari, ecologisti, collezionisti, ecc. in un interscambio di competenze e suggestioni che possano creare un vero e proprio cantiere di produzione culturale, dove possa emergere il ruolo dell’artista come interprete di contemporaneitàà̀ e conduttore di valori e bellezza di cui possano beneficiare gli investitori, i fruitori e la collettivitàà̀ e la Societàà̀ stessa, che guadagneràà̀ di più. Un simile meccanismo che combina ingranaggi economici con altri prettamente culturali così come per tutte le altre società benefit potrà avere una sua propulsione solo se la pista sarà liscia, priva di buche interpretative, libera da ostacoli burocratici. La novità della norma, l’assenza o quasi di prassi, la scarsità di informazioni rendono aleatorio il campo in cui si corre e non rendono ancora certo il suo percorso. Servono prese di posizione chiare da parte dell’Amministrazione Finanziaria, certezze che liberino il passo, permettano di affrontare le curve con decisione e sicurezza. 19
E infine il rettilineo finale dove allungare il passo, accelerare il ritmo, forzare in attesa del traguardo. Dove muovere le gambe ad una velocità superiore, certi del risultato che è lì a qualche metro. Fuor di metafora servirà osare ancora di più, immaginare nuovi limiti e nuove possibilità. Un lavoro sulla normativa fiscale applicabile alle società benefit potrebbe davvero segnare un cambio di passo. Per le società benefit non sono state introdotte deroghe né al diritto societario né, men che meno, a quello tributario. Non ci sono agevolazioni, scorciatoie, assimilazioni ad altre diverse e favorevolmente normate forme societarie come, ad esempio, l’impresa sociale. L’impresa benefit è impresa profit e nulla cambia rispetto al passato. Ma se davvero puntiamo a raggiungere il nostro vero traguardo, a percorrere i nostri ultimi metri più in fretta forse sarebbe il caso di pensarci. La società benefit è un nuovo modello di business, risponde appieno alla corporate social responsability, è un’idea moderna che coniuga interesse privato e beneficio comune, guadagno e restituzione. Ipotizzare l’applicazione di una fiscalità favorevole, ad esempio, sugli utili prodotti e non distribuiti così come per l’IVA sugli acquisti legati alle attività ‘benefit’ fungerebbe da integratore allo sviluppo di uno strumento prezioso che, se declinato in ambito culturale si avvicinerebbe di molto al traguardo dell’impresa culturale da più parti reclamato senza ancora uno sviluppo certo e prevedibile. ***
Diritto immobiliare Maurizio De Tilla: Le locazioni Con la pubblicazione del Secondo Volume la Collana de “Il diritto immobiliare - trattato sistematico di giurisprudenza ragionata per casi. Le Locazioni”, scritta e diretta dall’avv. Maurizio de Tilla ed edita da Giuffrè, è giunta alla sua settima edizione. Il trattato analizza in maniera sistematica le diverse casistiche che interessano la materia delle locazioni, fornendo un quadro pressoché completo delle circostanze che possono interessare tale istituto. L’autore, tramite un attento ragionamento svolto su una raccolta giurisprudenziale mirata, conferisce all’opera un assetto tale da renderla un forte ausilio per l’operatore che voglia individuare le singole casistiche e la relativa giurisprudenza di interesse.
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L'edizione è stata completamente rivista e organizzata in maniera organica, a partire dalla precedente che era in otto volumi (operazione analoga a quella realizzata nel caso de “Il condominio” dello stesso autore). Il trattato sviscera in maniera sistematica il diritto immobiliare, fornendo a chi legge un quadro chiaro e completo della disciplina, attraverso una trattazione che offre risposte di immediata fruibilità per il lettore. Proprio la schematica analisi delle diverse ipotesi che viene proposta rende agevole la consultazione delle singole sezioni argomentative. Il primo volume, diviso in sei capitoli e ampiamente articolato in sotto capitoli, si concentra sul concetto di locazione, sui profili normativi e di durata del contratto, contemplando le casistiche di recesso del conduttore o di diniego di rinnovazione. L’autore dedica spazio anche ai casi di successione nel rapporto, sublocazione e cessione del contratto. Nel secondo volume (pubblicato a ottobre 2017), composto da 5 macro-sezioni, l’avv. Maurizio de Tilla dedica attenzione a giurisprudenza e disciplina relativi al canone, agli oneri, ai casi di locazioni particolari, non trascurando le pronunce giurisprudenziali in materia di indennità di avviamento, prelazione e riscatto. L’intera opera è corredata di utilissimo indice sistematico generale e analitico. ***
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Arte in Studio Io, Renato Calaj Le opere presenti su questo numero di FocusOn sono di Renato Calaj, giovane artista albanese in mostra presso lo sudio Lombard DCA dal 5 dicembre 2017 al 19 gennaio 2018 (courtesy galleria Amy-d Arte Spazio, amyd.it) Qui di seguito trovate la presentazione dell’evento, opera di Rosella Ghezzi. * L’Arte svela e si rivela attraverso bellezza, pensiero, concetto, emozione, sensazione. Talvolta scegliendo più aspetti per manifestarsi, sapientemente conformata dall’azione dall’artista, in modi discreti, evidenti, sfacciati, con nuove figurazioni, forme o linguaggi. Talaltra, più segretamente, nasconde la sua essenza celandola misteriosamente dietro apparenze silenziose, e invitando a cercare soffermando l’attenzione e l’osservazione più a lungo. Più enigmatica e intrigante, abita i territori dell’ambiguità e del mistero, tra presenza e assenza, tracce minime, frammenti e segni sconosciuti. Un invito irresistibile per chi vuole andare oltre l’apparenza, ricalcando i percorsi e individuando i processi nei quali Renato Calaj si muove e opera. Scegliendo quasi sempre le qualità delle tonalità monocrome, che azzerano le suggestioni emozionali veicolate dal colore, per sottolineare i procedimenti di creazione di una pittura rivisitata, dove i contenuti non sono descritti in maniera esplicita, ma trasformati in forme astratte e fascinose che rimandano agli stessi processi di costituzione dell’immagine. Il giovane artista riprende l’esperienza street, che lo ha portato a realizzare interventi di arte pubblica, con stencil e murales in ambienti urbani e parchi, riportandola sullo spazio definito della tela. Ma non si limita a trasporre il proprio linguaggio figurativo e pop in una dimensione rimpicciolita. Dopo aver riprodotto i suoi muri nel quadro, inizia un processo di stratificazioni di toni monocromi che modificano gradualmente l’immagine precedente, lasciandone trasparire alcuni lacerti. Apparizioni che intercettano la superficie, quali presenze fantasmagoriche di una realtà precedente, mutuata in un nuovo esito; segni veloci tracciati a spray che definiscono profondità insospettate, o cancellazioni totali che annullano ogni forma, su cui l’artista applica ritagli geometrici di tele bianche, che rimandano ad un nuovo spazio libero e da interpretare con l’immaginazione. 23
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