Raffaella Maniero
Raffaella Maniero
Tutti i proventi di questo libro saranno devoluti a ENPA Onlus - ente nazionale protezione animali
a Spike, il mio leone il custode della mia anima Grazie per avermi insegnato la vita Cammini al mio fianco ogni giorno
a Mirko, l’unico sei la parte migliore di me
a Bianca che tu possa avere una vita meravigliosamente colma di amici sinceri come specialmente gli animali sanno essere
Due righe per voi.
Spike non è un cane qualsiasi. È un cane speciale perché oggi è diventato un simbolo per la sua voglia di farcela. Spike ha subito una violenza difficile da raccontare. Un uomo, o più uomini gli hanno violato per sempre il volto. Sì, il volto, non il muso. Leggendo la sua storia ci accorgeremo infatti che in questo cane c’è più umanità che in tante persone che ancora oggi si scandalizzano dell’amore che può nascere fra un essere umano ed un cane. Spike è infatti amore assoluto. È l’abnegazione che solo un cane può avere verso un uomo. Spike è perdono, una volta e un’altra ancora. È fiducia che supera la paura... Perseguire la giustizia però è compito nostro. Nessuno escluso. Licia Colò
Ho deciso di raccontare questa storia perché è una storia semplice, che scalda il cuore, che parla di sentimenti veri, di speranza; che parla semplicemente d’amore. È una storia che ho avuto la fortuna di vivere personalmente e che desidero regalare a tutti quelli che vorranno leggerla e che, attraverso questo libro, contribuiranno ad aiutare degli amici a quattro zampe. È una storia che vi farà ridere, piangere, riflettere, sognare e forse cambierà il vostro modo di affrontare la vita, come è successo a me. È una storia che ho deciso di raccontare perché resti oltre il mio cuore, perché resti dopo di me. Ho deciso di farlo oggi, perché oggi è un giorno triste. Questa è una storia vera e tutte le persone citate esistono davvero. Io le ho menzionate usando i loro nomi reali con il loro gentilissimo consenso.
Premessa I miei pensieri non avevano una direzione precisa. Intendo quel pomeriggio, ma forse anche in generale. Ero appena rientrata a casa e stavo facendo una cosa senza importanza. Mi trovai fra le mani un sacchetto di carta sul quale era raffigurata l’immagine di una mano che stringeva una zampa. Mi colpì perché suggeriva un’alleanza perfetta nella diversità, un’unione indissolubile. Era il simbolo dell’E.N.P.A., l’Ente Nazionale Protezione Animali. Il cambiamento può avvenire in due modi: uno fulmineo, immediato - all’improvviso ci si spalanca davanti qualcosa che fino all’istante prima non vedevamo; e uno graduale, lento, fatto di pazienza e perseveranza. Per me quel giorno di primavera fu la folgorazione, il cambio di marcia; da allora è iniziato il cammino che, passo dopo passo, ha cambiato e continua a cambiare la mia vita.
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capitolo 1
LA PROTEZIONE ANIMALI «Proteggere gli animali contro la crudeltà degli uomini, dar loro da mangiare se hanno fame, da bere se hanno sete; correre in loro aiuto se estenuati dalle fatiche, questa è la virtù più bella del forte verso il debole». Giuseppe Garibaldi (Fondatore della Società Protettrice degli Animali,1871)
Quel giorno di primavera di qualche anno fa decisi, irrevocabilmente, che avrei dedicato il mio tempo libero a qualcosa che davvero amavo fare con tutto il cuore, lasciando perdere la palestra e i corsi di ogni genere dai quali non ricavavo mai piena soddisfazione né il giusto appagamento. Il sacchetto di carta con il simbolo dell’ENPA arrivava da mia madre. Qualche giorno prima, mentre faceva compere, si era fermata a un «banchetto» organizzato dall’associazione e aveva fatto un’offerta. I volontari gliel’avevano consegnato, pieno di materiali informativi e di sensibilizzazione sulle attività della locale sezione, e lei l’aveva riciclato, mettendoci dei vestiti che aveva stirato per me. Senza saperlo mi aveva dato un suggerimento prezioso. Ecco cosa voglio davvero fare pensai. Dedicare ogni mio attimo libero ad aiutare gli indifesi, i meno fortunati, quelli che hanno davvero bisogno: diventare una volontaria di questa
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associazione che tanto si adopera per la tutela dei diritti, e non solo, degli animali. Anime pulite che avevo sempre sentito a me affini, con le quali mi ero sempre trovata a mio agio e che avevo avuto la fortuna di osservare da vicino, perché in casa dei miei genitori e mia ce n’erano sempre stati. Così, senza perdere altro tempo, cercai in Internet il sito dell’associazione e la sede più vicina. Contattai via e-mail la Responsabile della Sezione di Saronno (che, per chi non fosse della zona, è una città di poco meno di 40.000 abitanti in provincia di Varese), presi appuntamento con lei e due giorni dopo ero là, emozionata e ansiosa di cominciare. La sede ENPA di Saronno è ospitata in alcuni locali di una scuola, anzi - per la precisione - di un Istituto Comprensivo Statale, insieme a quelle di altre associazioni: una scuola di danza, una scuola di recitazione, una per parrucchieri e la sede di Amnesty International. La sera qui c’è sempre fermento, gente che va e che viene... Passando da un cancello mi trovai in un grande atrio, scesi una rampa di scale e notai subito la prima porta a destra: non solo perché riconobbi il logo della Protezione Animali, ma anche perché qualcuno, appassionato di découpage oltre che di animali, l’aveva «personalizzata». Era impossibile sbagliare. Accanto c’era una bacheca zeppa di volantini e annunci. Mentre bussavo mi chiesi per un istante se sarei stata all’altezza. Dopotutto avevo deciso così, a priori, che quella cosa faceva per me. Ma come potevo sapere se io ero la persona adatta per farla? Quel dubbio ebbe vita brevissima. In realtà fu tutto molto semplice: in quel momento non mi resi conto del perché, ma la sensazione di trovarmi in un luogo sconosciuto con persone nuove sparì ancor prima di nascere, perché mi sentii da subito «a casa». Oggi so qual è la ragione di quell’immediata famigliarità: le persone che ho conosciuto quella sera, allora perfette estranee, avevano con me un comune denominatore,
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l’amore incondizionato per gli animali e la «voglia di fare» per loro. Così, senza tanti convenevoli, senza tante formalità ci siamo presentate - piacere, Raffaella, Evi, Silvia, Giorgia - e via, giro della sede. Pur trovandosi nel piano seminterrato, i suoi tre locali ricevono luce da ampie finestre con i vetri smerigliati che si affacciano sul giardino della scuola. La prima stanza, quella in cui avevamo fatto le presentazioni, è adibita a ufficio e sala riunioni; al centro c’è una scrivania sulla quale si lasciano messaggi e materiale e che diventa punto di riferimento quando ci si riunisce. I mobili e gli scaffali alle pareti contengono l’archivio: i dossier di affido degli animali (ogni cane e ogni gatto preso in carico dall’ENPA e affidato ha la sua scheda personale, contenente i dati e i riferimenti della persona o della famiglia che lo adotta), i raccoglitori della corrispondenza, quelli relativi alle iniziative che organizziamo, ai rapporti con la stampa e le istituzioni locali e con le altre associazioni. Evi mi spiegò a grandi linee come funzionava il servizio di segreteria e chi si occupava di cosa, e mi fu chiaro che il prendersi cura degli amici animali, recuperarli, curarli e cercare loro una nuova casa era solo una parte dell’attività che si svolgeva in quei locali. Ognuno contribuiva finanziariamente e con il proprio tempo in base alle caratteristiche e alle attitudini personali; c’era chi si rivelava particolarmente dotato per rispondere al telefono, chi preferiva andare a fare la spesa, chi riusciva bene nell’intessere e mantenere rapporti con i Comuni, le ASL e così via. Tutti, oltre alla buona volontà e all’entusiasmo, avevano occasione di dimostrare senso dell’organizzazione, spirito collaborativo e... pazienza. La seconda stanza in cui entrammo era quella che viene chiamata la Zona Gatti, che ospita una serie di grandi gabbie in cui sono alloggiati i mici. Ogni gabbia - un po’ come i letti degli ospedali - è numerata e identificata da un cartello sul quale è scritto il nome del gatto temporaneamente ospitato,
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la data di ingresso nella sede e tutte le informazioni importanti su di lui, in particolare le terapie da eseguire o eseguite se il gatto ha problemi di salute. «In questo modo chiunque sia di turno sa immediatamente cosa dare loro da mangiare, se seguono una dieta, o che medicinali somministrare» mi spiegò Silvia. Poi mi presentò Mirò, Sam e una cucciolata di sette gattini piccolissimi, che qualcuno aveva lasciato in uno scatolone davanti alla porta delle sede con la loro mamma Ira, una splendida tricolore; e poi ancora Milù, Romeo, Tarzan... Per farmi entrare in Zona Gatti, Silvia aveva aperto un cancelletto alto poco meno di un metro, montato nell’apertura della porta. Il motivo di quell’accorgimento era evidente: c’era qualcuno che là non doveva entrare, e quel qualcuno erano i cagnolini di piccola e media taglia che, provvisoriamente, vengono tenuti nella sede in attesa di adozione. La loro stanza, dove si trovano le cucce e le ciotole con acqua e cibo, è separata dalla sala riunioni da una grande porta azzurra a due battenti che però viene tenuta normalmente aperta, in modo che i cani possano muoversi liberamente dappertutto (Zona Gatti esclusa, appunto), facendo compagnia ai volontari in ogni loro attività. «Più che ospiti, direi che questi sono casi disperati» spiegò Giorgia. «Non possiamo tenerli in canile, così stanno qui, dove li abbiamo sempre sott’occhio». Per farmi un esempio di cosa intendessero per «caso disperato» mi presentarono Taddeo, un vecchietto di tredici anni beige a macchie nere e bianche, una variazione smilza sul tema del Beagle. Era lì perché la sua «mamma» umana, dopo un lungo periodo in ospedale, non ce l’aveva fatta, e i suoi eredi non volevano saperne di tenerlo con loro. Sapendo quale fine possono fare i cani abbandonati, commentai che a Taddeo non era andata così male: in fondo era stato affidato alle mani giuste. «Quando sono così anziani» intervenne Silvia, «fanno ancora
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più tenerezza dei cuccioli, specialmente se provengono da una famiglia: è come se non capissero cosa è successo, e perché». Con il tempo, osservandoli, ho elaborato una mia personale teoria sull’argomento: secondo me questi cani si sentono in colpa, come se avessero commesso qualche errore, e imputano a se stessi, e non a coloro che li considerano come un peso da scaricare, il fatto di essere stati abbandonati. Quella sera guardai Taddeo e cercai di immaginare cosa gli passasse per la testa. Chissà se allora si sarebbe immaginato che un giorno Evi, commossa dalla sua storia, l’avrebbe portato a casa con sé, e che sarebbe diventato parte della Banda Mibelli? «Vieni» mi disse a quel punto Giorgia. Ci avvicinammo a uno degli armadi della stanza, dove un’anta era rimasta semiaperta. Mi chinai come stava facendo lei e incontrai, al buio di quella tana improvvisata, due grandi occhi neri dall’espressione impaurita. Era Bobo, cucciolo incrocio Boxer. Nato da una cucciolata non voluta, finito in canile, era stato portato via di là perché non ce l’avrebbe fatta: se fosse sopravvissuto - e questo non era sicuro, perché avrebbe potuto rifiutare il cibo - sarebbe cresciuto così, terrorizzato da chiunque e da qualunque cosa, irrecuperabile a una vita decente. Nei giorni, nei mesi a seguire avrei imparato da Giorgia a instaurare un rapporto con lui, avvicinandomi poco alla volta, inginocchiandomi per trovarmi alla sua stessa altezza, cercando dapprima il contatto visivo e poi allungando lentamente la mano per farmela annusare. Giorgia fu la prima a conquistarsi la sua fiducia, parlandogli dolcemente, dedicandogli ore e ore... e fu lei a trovargli, finalmente, la famiglia giusta. Così, quella sera ebbe inizio la mia avventura d’amore. Mi sentivo già in sintonia con Evi, Silvia e Giorgia. Ero passata di lì solo per presentarmi e invece mi fermai per tutta la durata del turno: aiutai a pulire, sfamare gli affamati, coccolarli,
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portarli fuori per il giretto serale. I turni di «servizio» in sede sono due, uno la mattina attorno alle 10,00 e uno la sera verso le 18,00; più o meno, compatibilmente con gli orari dei volontari. L’importante è che venga comunque garantito un passaggio per due volte al giorno. A seconda del numero di ospiti presenti in sede si decide di quante persone c’è bisogno per ogni turno; di norma una persona sola è sufficiente, e se la cava in un paio d’ore al massimo. I volontari nuovi arrivati vengono sempre affiancati da un volontario esperto, in modo da acquisire familiarità e sicurezza in tutte le mansioni. Non si tratta di operazioni particolarmente difficili, basta sapersi organizzare. Bisogna provvedere al rifornimento di cibo e di acqua, lavare le gabbie e il pavimento, le ciotole e le lettiere. Evi mi spiegò che nella stagione calda non deve mai rimanere cibo avanzato nelle ciotole, perché provocherebbe cattivi odori. «Anche per questo ogni turno inizia con la somministrazione del cibo. Diamo da mangiare agli affamati, loro si calmano, diventano più coccoloni, e c’è modo di provvedere a tutto il resto!» Le terapie che normalmente vengono somministrate in sede non sono mai invasive né complesse, ma i volontari imparano a seguire le istruzioni e le «dritte» dei più esperti di loro. I medicinali e gli strumenti devono essere maneggiati in modo corretto e il meno fastidioso possibile per i pazienti (e rischioso per gli infermieri!). In sede, comunque, non avrei mai trovato animali affetti da problemi particolarmente gravi o complessi da curare: in quei casi, cani e gatti vengono tenuti in clinica veterinaria finché sono fuori pericolo. Quella sera assistetti alla cura di due mici: Oliver, cucciolo rosso di un paio di mesi, con una forte congiuntivite, venne medicato da Silvia con una crema antibiotica oftalmica, facile da applicare in entrambi gli occhi (ma lui stesso era bravissimo,
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docile e collaborativo); Gandalf, che soffriva di bronchite cronica, aveva bisogno di una cura giornaliera composta da una pastiglia e da una fiala di fluidificante. Il veterinario aveva consigliato una soluzione «due in un botto»: sbriciolare la pastiglia in un cucchiaino da caffè, unire il contenuto della fialetta, mescolare, aspirare il tutto in una siringa e... spruzzare in bocca a Gandalf, che sicuramente non gradì, ma sopportò, visto che si trattava di un’operazione eseguita a velocità da record. In tutto questo - a cominciare dalla preparazione del cibo, fino alla pulizia delle lettiere e alle medicazioni - Evi, Silvia, Giorgia e io eravamo rigorosamente munite di guanti, e veniva prestata la massima attenzione all’igiene. In Zona Gatti ogni gabbia è dotata di una «sua» paletta per pulire la lettiera e di «sue» ciotole, in modo da evitare qualsiasi tipo di promiscuità o di contagio. Da allora, settimana dopo settimana, presi sempre più confidenza con le mansioni da svolgere e conobbi altri volontari, imparai a relazionarmi con le persone che si presentavano da noi e a rispondere nel modo più consono alle telefonate. Un compito non sempre facile, riservato ai volontari più esperti e capaci... perché alcune persone davvero, e dico davvero, non se la meriterebbero, una risposta educata! E invece, per il bene dell’animale, bisogna essere decisi ma anche cortesi, determinati ma anche pazienti, non perdere mai di vista lo scopo finale, anche quando il contenuto delle telefonate sembra pazzesco, assurdo... Ecco un esempio (di tutte le telefonate che arrivano in Sede esiste una «memoria», sulla segreteria telefonica e poi in appositi registri): Dal registro delle telefonate: RIF. N° 281 del 08.05.2007 «HO PROBLEMI CON I MIEI VICINI, SI LAMENTANO PERCHÉ IL MIO CANE FA RUMORE CAMMINANDO! POTETE FARE QUALCOSA?»
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In questo caso avevamo a che fare con: • un cane, che certo non poteva fare a meno di camminare; • un vicino di casa ipersensibile, che poteva soffrire di qualche disturbo nervoso, o essere semplicemente uno di quegli individui che si rendono ridicoli senza saperlo, convinti di essere i padroni del mondo; • il proprietario del cane, che chiedeva aiuto perché non sapeva più che pesci pigliare. Per un volontario la prima reazione, istintiva e da evitare, sarebbe perdere le staffe, ovviamente non nei confronti di chi chiede aiuto, ma di chi lamenta il disturbo. E invece no: la nostra funzione in questi casi consiste nel fornire consigli pratici e di buon senso, sempre all’insegna del rispetto reciproco, e quindi anche del rispetto verso chi non ama gli animali. A uno stadio successivo, se i consigli non hanno funzionato, suggeriamo le corrette istruzioni sulla procedura da seguire - ad esempio, avvisare la Polizia Locale o la ASL competente; in casi ancora più complessi, mettiamo a disposizione di chi ne ha bisogno un avvocato di fiducia. Come tutti, anch’io da volontaria ho imparato a tenere a freno le emozioni che vorrebbero uscire da me, quelle che provo nei confronti degli altri. Una cosa che invece non ho imparato è mettere un filtro alle emozioni che entrano in me, indossando una corazza per proteggermi dalla rabbia e dal dolore, per evitare di sentirmi troppo coinvolta e in certi casi di stare male partecipando alla sofferenza. Questo non lo imparerò - e in realtà non voglio impararlo, perché io voglio sentirmi coinvolta. Voglio dare il cuore, voglio mettermi in prima fila, e se c’è da cadere cadrò, se c’è da piangere piangerò, se c’è da lottare lotterò, se c’è da piegare la testa la piegherò... ma quando c’è da gioire, perché uno di loro ce l’ha fatta - è guarito, o ha trovato casa, o ha ritrovato la sua
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famiglia - be’, allora non c’è gioia più grande. E non c’è niente di paragonabile allo sguardo d’intesa, allo scodinzolio o alle fusa di chi ti zampetta intorno semplicemente per dirti Ciao, che bello, sei qui, sono felice di vederti! I giorni passarono veloci; io coprivo due turni, il giovedì sera e un sabato mattina al mese, e la mia amicizia con Evi, Silvia e Giorgia, che dividevano con me il tempo in sede, diventava sempre più salda. Mentre lavoravamo si parlava di iniziative benefiche, di letture fatte o consigliate, di progetti futuri. Se ormai mi era chiaro che oltre ad accudire animali bisognava occuparsi di animali altrui, far quadrare i conti delle entrate e delle uscite, andare avanti e indietro dagli studi veterinari e via discorrendo, scoprii che la sezione si occupava di moltissime altre attività. C’era la sensibilizzazione sui temi e le problematiche legate agli animali, e c’erano le iniziative di impegno sociale che ci avrebbero visti in prima fila: il pomeriggio in allegria in una casa di riposo per anziani, la festa del «Cane Fantasia», la maratona benefica in compagnia dei nostri cani... Oltre ai turni in Sede, la mia vita si stava riempiendo di impegni. Siccome sono una divoratrice di libri, e in particolare di libri dedicati agli animali, Evi mi propose di curare una rubrica di recensioni sul nostro sito Internet. Consigliare la lettura di storie vere che raccontassero l’empatia tra uomo e animale. Presi quell’impegno come un onore e, tutto sommato, devo ammettere che è una rubrica ben fatta e con un suo seguito. Abbiamo anche una «libreria di fiducia», dove grazie alla disponibilità dei titolari, Carla e Giulio, i clienti possono decidere di devolvere a noi il cinque per cento del ricavato dei loro acquisti. In pratica, Carla e Giulio si «tassano» a favore dei nostri animali. Come fanno tutte le persone che ci aiutano con la loro generosità, dandoci la possibilità di andare avanti, perché noi non riceviamo finanziamenti o sovvenzioni, né
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dallo Stato, né da altre istituzioni, pur svolgendo, come tante altre associazioni, un compito di utilità sociale. Con agosto arrivarono anche le vacanze, e garantimmo ai nostri ospiti una presenza costante, accordandoci sui turni da coprire. In alcuni casi, arrivammo a ospitare personalmente qualche amico quattrozampe nelle nostre case. Partii per gli Stati Uniti - venti giorni di una vacanza fantastica, da San Francisco a Las Vegas, poi il Bryce Canyon e il Gran Canyon, la Monument Valley, Los Angeles, Santa Barbara, San Diego - e tornai con tanta voglia di rivederli tutti. La vita riprese con i ritmi della quotidianità: il lavoro, la casa con il mio gattone Orazio, i turni in sede. Finché una sera, esattamente mercoledì 8 ottobre, Silvia mi chiamò, e intuii dalla sua voce rotta dalla rabbia che era successo qualcosa di brutto. «Hanno letteralmente bruciato un cane con dell’acido, i proprietari ci hanno chiamato, non sanno più cosa fare, hanno bisogno di aiuto. Te la senti di venire domani con me a vederlo per capire cosa possiamo fare per lui?» Per un attimo fu come se non capissi bene, un cane, bruciato, con l’acido, ma cosa sta dicendo? Questa è roba da film dell’orrore! Ma visto che Silvia, come del resto tutti noi, non scherza mai su questi argomenti, non ci pensai un solo istante e le risposi che poteva contare su di me.
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Comunicato stampa E.N.P.A., dal sito ENPA di Saronno La sofferenza di un cane bruciato dall’acido! Atto di gratuita violenza ai danni di un cane alla Cascina Ferrara Saronno, 7 Ottobre 2008 Il povero animale è stato ritrovato in condizioni drammatiche al mattino, al risveglio dei proprietari. Colpito alla testa e alle zampe ha completamente perso il pelo, e la pelle è rimasta gravemente ustionata, al punto che il cane rischia la perdita di entrambi i padiglioni auricolari e l’amputazione della zampa posteriore (la cui muscolatura è stata letteralmente ‘mangiata’ dall’acido). Un povero cane di 40 chili, innocuo e buono con tutti. L’unico lavoro che svolgeva per conto della famiglia era quella di guardiano della proprietà, compito che ha sempre svolto senza recare danno e fastidio ad alcuno. I proprietari sono costernati ed avviliti per le condizioni in cui hanno ritrovato il loro povero e amato animale. «Al mio risveglio - racconta la proprietaria - ho notato che il mio cane era più silenzioso del solito. Una volta scesa in giardino per chiamarlo e farlo entrare in casa, ho avuto davanti agli occhi l’amara sorpresa. Non un lamento povera creatura, eppure doveva soffrire da morire… Ho chiamato immediatamente il veterinario che si è precipitato sul posto e ha constatato, con un prelievo della sostanza rinvenuta vicino al cane, che si trattava di acido muriatico. L’ha portato immediatamente in clinica per le prime cure, trattenendolo poi per fare la prima operazione sui tessuti danneggiati. Ora lo sto curando tutti i giorni, facendo medicazioni lunghe e dolorose cui il mio povero cane si sottopone con incredibile stoicismo. Sta soffrendo molto. A brevissimo dovrà sottoporsi a un secondo intervento… Mi auguro solo che
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possa servire a qualcosa. Vederlo soffrire così mi fa star male e mi domando chi possa aver commesso un atto tanto incivile e inqualificabile». L’ENPA sospetta sia qualcuno della zona… «La singolarità della vicenda - commentano i volontari - è che il cane non abbia abbaiato come normalmente fa con le persone estranee, il che fa supporre sia qualcuno di conosciuto dal povero animale. In ogni caso la signora ha già depositato denuncia ai Carabinieri - tra l’altro intervenuti sul posto per le constatazioni del caso e per verificare le condizioni del cane - e il fascicolo è già stato inviato in Procura». L’ENPA rammenta, tra l’altro, che la zona pare essere purtroppo abitata e frequentata da soggetti che si sono già resi colpevoli di altri atti di gratuita violenza. Primi fra tutti sui gatti randagi, di cui alcuni esemplari sono stati ritrovati impallinati e altri avvelenati. «Alla Cascina Ferrara peraltro - spiegano dalla sede ENPA - si è consumato poco più di un anno fa la vicenda del cane Charlie, rapito e abbandonato nelle campagne di Misinto e poi fortunatamente ritrovato. Per quanto riguarda i gatti - aggiungono i volontari - ci stiamo muovendo con le sterilizzazioni Asl ed è davvero inqualificabile che a fronte dell’impegno dedicato alla salvaguardia e al contenimento della crescita demografica dei felini, qualcuno si diverta ad ammazzarli». Sulla vicenda del cane martoriato dall’acido l’ENPA è feroce: «Si tratta di un atto di tale stupidità e inciviltà che non ha bisogno di essere commentato. Il tanto razionale e sensibile essere umano è lontano anni luce dall’aver chiaro cosa sia il rispetto della vita. Indifferente se per persone o animali, a questo punto. Individui come questi sono pericolosi. Per l’ignoranza e per la brutalità che dimostrano. E ricordiamoci che dall’animale all’essere umano il passo è davvero breve».
Evi Mibelli (Resp. ENPA Onlus Sezione Saronno)
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capitolo 2
L’INCONTRO «È come una magia, non servirà a cambiare il mondo, ma certamente cambia qualcosa, soprattutto noi stessi». Laura Mancuso, In volo senza confini
«Fissa lo sguardo del tuo cane e prova ancora ad affermare che la bestia non ha un’anima». Victor Hugo
Silvia e Giorgia sono sorelle e sono anche le due volontarie dell’ENPA con le quali ho stretto il legame più forte. Con Silvia ho condiviso i primi turni: mi ha fatto da maestra e mi ha seguito per tutto il periodo di apprendimento. È una ragazza straordinaria, la sua allegria e simpatia sono contagiose; se sei di cattivo umore riesce sempre a strapparti un sorriso. Mi è stata particolarmente vicina nei momenti duri e c’è sempre quando la chiami per un’emergenza. Silvia è anche una delle persone più forti che conosca ed è incredibile come tutta questa forza e determinazione si sposino con la sua innata dolcezza. L’ho vista compiere azioni indescrivibili; quando un cane, un cucciolo, un micio è in difficoltà Silvia diventa una furia cieca e non si ferma davanti a niente e a nessuno finché non ha tratto in salvo chi merita di essere difeso. Ero con lei il giorno che ha portato via da un canile privato un cucciolo che era stato sbranato da altri cani: di fronte a lei c’era il proprietario del canile, un omone di
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quasi cento chili che le intimava di lasciar perdere, ma Silvia, il piccolo Lex in braccio e un’espressione inequivocabile in viso, ha tirato diritto e ci hanno fatto uscire. Soprattutto grazie a lei, e poi a quelli di noi che giorno dopo giorno lo hanno curato, Lex vive felice in una nuova famiglia che lo ama come merita. Se fosse rimasto nel canile le infezioni lo avrebbero ucciso, il suo sistema immunitario era già compromesso. Silvia mi inviò via e-mail le foto del cane bruciato, per prepararmi. Certo, per prepararmi. Quello che vidi fu indescrivibile, ma proverò a cercare le parole per raccontarlo. Le immagini mostravano un meraviglioso cane nero, un meticcio, probabilmente un incrocio tra un pastore tedesco e un labrador nero, taglia grossa; sul corpo e sulla testa aveva piaghe enormi, dovute alla corrosione dell’acido. La carne viva, staccata dal resto del corpo. Non avevo mai visto niente di simile. Le ferite erano tanto profonde che avrei potuto infilarci un’intera mano; in alcuni punti, specialmente sulla testa, si intravedeva l’osso. Le lesioni più critiche erano proprio lì, tra le orecchie e fino al collo, poi sulla coscia sinistra e sulla zampa anteriore destra, e poi ce n’erano altre, meno importanti, ma ugualmente dolorose. Sembrava che con l’acido gli avessero fatto la doccia. Dove non c’erano le ferite il pelo era caduto a chiazze e la pelle rimasta scoperta era come corrosa nei punti dove probabilmente il cane si era appoggiato durante la notte, dopo l’aggressione. L’azione dell’acido era continuata durante le ore notturne, consumando i tessuti cutanei. Spike era talmente scioccato che non si era nemmeno lamentato. SPIKE, il nome del cane. Spike. Silvia e io ci incontrammo in pausa pranzo e andammo da Spike e dalla sua famiglia. La casa si trova a pochi passi dal centro della città, in un isolato formato da edifici di corte con
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piccoli giardini. In uno di questi giardini il cane era solito trascorrere le sue giornate, e lì aveva subito l’aggressione con l’acido. Silvia era già stata in quella casa, per fotografare il cane e per prendere accordi sul da farsi. La porta, in quell’ottobre dal clima ancora mite, era aperta; Marilena e Cesare ci stavano aspettando. Ci presentammo e notai quanto sembravano scossi, lei soprattutto. Per prima cosa vollero mostrare anche a me i punti in cui l’acido aveva corroso il terreno e la pavimentazione del cortile. Le macchie sul muro della recinzione facevano pensare che il liquido fosse stato versato proprio da lì, e che la persona che aveva commesso quel gesto si fosse dovuta arrampicare fin lassù dalla strada. Entrammo in casa. Lui era lì, accucciato a terra, su un giaciglio che avevano sistemato per farlo stare il più comodo possibile. Alzò il muso per guardarci e io rimasi folgorata dai suoi occhi color ruggine, occhi da leone, che raccontavano un dolore disumano. Ci osservò per qualche istante, appoggiò la testa sulle zampe anteriori ed emise un sospiro di fatica, di infinita pazienza. Ciò che avevo colto nei suoi occhi era tanto male, troppo, ma la cosa che più mi toccò in quello sguardo fu la dignità. Mai nella mia vita ho incontrato un essere dotato di tanta dignità come Spike. Nel dolore combatteva contro il suo aguzzino e voleva farcela, voleva vivere. Mi guardai attorno. Era una casa normale, accogliente, abitata da persone normali, gentili. Chi poteva avercela con loro al punto da compiere quel gesto? Marilena ci mostrò dove teneva tutto il necessario per le medicazioni e ci spiegò qual era la procedura da seguire secondo le istruzioni del veterinario. In quella prima fase della cura le medicazioni avrebbero richiesto più di un’ora, e dovevano essere eseguite tre volte al giorno. Era venuto il momento. Ci facemmo annusare da Spike e ci sedemmo a terra vicino a lui. Silvia, come dicevo, era già stata in quella casa, accompagnata
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da altri due volontari che però non se l’erano sentita di prendersi un incarico tanto delicato. Erano rimasti troppo impressionati dalla profondità e dall’estensione delle ferite dell’animale. Non riuscivano nemmeno a guardare Spike, il quale da parte sua aveva mostrato nervosismo, compromettendo l’efficacia delle cure. Silvia invece aveva dalla sua - purtroppo, ma per Spike fu una fortuna - una certa esperienza di infermiera veterinaria da quando aveva seguito la convalescenza della sua cagnolina Giuggiola, che aveva subito un’operazione a entrambe le zampe posteriori. Certo, maneggiare la mole considerevole di un cane da quarantacinque chili per il quale era un’estranea sarebbe stato molto diverso dal prendersi cura di un incrocio di Pinscher che ti considera la sua mamma... Ci sentivamo intimidite, impacciate, ma non per timore che Spike potesse rivoltarsi contro di noi - reazione che sarebbe stata comprensibilissima, considerato il dolore, la paura e il fatto che non ci conoscesse. La nostra preoccupazione era di non provocare altro dolore, altro fastidio, altre torture a una creatura che stava già vivendo l’inferno, l’inimmaginabile. Ci avvicinammo cercando di rimanere il più tranquille possibile e cominciammo a parlargli dolcemente, vicino al muso, guardandolo negli occhi, spiegandogli cosa gli avremmo fatto e soprattutto perché. «Cucciolo, è per il tuo bene, cerchiamo di curarti per farti tornare in piedi! Spike, fatti medicare, e tutto questo passerà, ci vorrà pazienza e dedizione ma passerà… È una promessa...» E Spike mi leccò la mano. Il mio sguardo incrociò quello di Silvia, che annuì. Era come se il cane mi avesse risposto; era il suo modo di dirmi che aveva capito cosa stavamo facendo e perché. Quando uscimmo dalla casa, più di un’ora dopo, Silvia mi spiegò che secondo lei la mia presenza comunicava sicurezza a Spike, che non l’aveva mai visto così tranquillo e
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collaborativo durante una medicazione. Forse io ero per lui quello che Giorgia era stata per Bobo, il cucciolo terrorizzato che stava imparando a fidarsi del mondo. Evidentemente, pensai, i miei tentativi di essere convincente e positiva erano riusciti... Ma nonostante tutto ero certa che, mentre lo maneggiavamo con i nostri gesti ancora inesperti, Spike avvertisse anche tutti i miei dubbi: il timore che le nostre fossero soltanto parole, e che non ci sarebbe stato il lieto fine che gli stavamo promettendo. Comunque ci guardavamo negli occhi e io cercavo di essere forte per lui, e lui cercava di non mollare per mostrarsi coraggioso. Dopo averlo pulito e disinfettato iniziammo a medicarlo come indicato dal veterinario. Si trattava di un procedimento che richiedeva precisione e sangue freddo, oltreché pazienza: quello che vedevamo era la carne morta, marcia che si staccava, sentivamo il cattivo odore che promanava dalle ferite piene di materia putrefatta. I punti di sutura messi dal veterinario non tenevano, per mancanza di tessuto sano... Da quella prima volta iniziò un calvario che mise a durissima prova la nostra determinazione, ma in cui non mancarono gli spunti comici: Silvia e io, infatti, le pensavamo tutte per cercare di fasciare Spike nella maniera più professionale possibile ma, credetemi, non era così facile. Accadeva che, quando ci eravamo convinte di aver praticato la fasciatura più duratura della storia delle medicazioni, appena Spike si alzava in piedi per cambiare posizione o bere, in un battibaleno l’impalcatura si disfaceva e bisognava ricominciare tutto daccapo, e lui, pazientemente si lasciava rimettere le mani addosso. Anche lui sembrava quasi divertito, ci guardava con quei suoi occhi meravigliosi come per dire: Siete sicure di essere in grado? Cosa state combinando? Sembro una mummia...! Dopo quel primo giorno, il 9 ottobre 2008, per circa tre mesi ne seguirono tanti tutti uguali: praticavamo le medicazioni ogni
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mattina, mezzogiorno e sera… la sera anche due volte, subito dopo l’ufficio e prima di andare a dormire. In pausa pranzo Silvia e io ci incontravamo direttamente da Spike, mentre per i turni di sera e di mattina ci alternavamo, perché Marilena era presente. La mattina in cui toccava a me andavo da Spike alle sette, lo portavo in cortile a fare i suoi bisogni mentre Marilena si preparava e poi lo medicavamo insieme; caffè al volo e poi... al lavoro! Già, perché tutti dovevamo continuare ad andare al lavoro: come è ovvio che sia, tragedie o non tragedie, il mondo non si ferma. Ho riparlato spesso con Silvia di quei giorni, che hanno cementato ancora di più la nostra amicizia. Ci siamo commosse fino alle lacrime ma ci siamo anche divertite, ricordando quando lei mi disse che tutto quel darsi da fare, quelle corse in pausa pranzo che non permettevano di fare un pasto decente avrebbero influito positivamente sulla nostra linea. «Se andiamo avanti così, tra un po’ saremo due fuscelli!» aveva commentato fuori dai denti. Poi aveva aggiunto, ridendo: «E se anche sentissimo un languorino, con tutta questa puzza di marcio mangiare sarebbe impossibile!» In effetti non mancavano i motivi di puro e sano ribrezzo. Un giorno, nel bel mezzo della medicazione alle piaghe della testa, Spike si scrollò - gesto normalissimo per un cane - e un brandello di pelle morta, putrefatta e puzzolente prese il volo spiaccicandosi dritto su una lente dei miei occhiali. Silvia e io restammo impietrite per un istante; Spike ci guardò, perplesso, come per chiedere: Be’? Cos’ho fatto di strano? Silvia allora parlò. «Non so proprio come dirtelo, Raffa... Hai qualcosa sulla lente degli occhiali!» E io: «Lo vedo, Silvia, lo vedo!» La prima cosa per cui devo ringraziare Spike è la forza del legame fra me e Silvia. Medicazione dopo medicazione, operazione dopo operazione... Oltre alle terapie necessarie per
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salvare il più possibile del suo corpo, Spike ha affrontato ben quattro interventi di pulizia della materia marcia e ricostruzione dei tessuti cutanei. Le ferite più ingenti erano sicuramente quelle della testa, del collo e della zampa posteriore sinistra. Un intervento si rese necessario per chiudere un buco che l’acido aveva scavato nel gomito della zampa anteriore destra; lì i tessuti si erano lacerati anche perché per Spike era un punto d’appoggio. Per raccontare la sua storia, ho riguardato i documenti delle operazioni e la lista dei medicinali che gli sono stati somministrati. Ancora oggi, quando penso a quei momenti, alle ore di attesa durante e dopo le operazioni provo una stretta allo stomaco. Le prime due operazioni sono state le più lunghe e laboriose: dopo l’asportazione e la pulizia dei tessuti corrosi dall’acido, gli sono stati operati dei cosiddetti trasporti di tessuti, per cercare di ridurre il più possibile le ferite e operare le suture su tessuti sani. Non sempre l’esito era positivo, non dappertutto; capitava che le ferite si riaprissero, e che mentre lo medicavamo restassimo con un ciuffo di pelo in mano. Era segno che l’acido continuava, sotto sotto, a corrodere. Tutti lottavamo sperando in particolare che Spike tornasse a camminare su tutte e quattro le zampe: se infatti le cure non avessero funzionato, si sarebbe resa necessaria l’amputazione della zampa più martoriata. La muscolatura era stata completamente «mangiata» dall’acido e l’infezione era veramente profonda; inizialmente non si poteva stabilire se fossero stati compromessi anche i legamenti e le funzioni motorie. Spike teneva, ovviamente, la zampa sollevata e si spostava con le altre tre. Quando era sdraiato tentavamo di aiutarlo a muoverla per cercare di capire se ci fossero possibilità di recupero. Lottavamo, ma non ci facevamo illusioni. Eravamo convinti di dare a Spike tutte le possibili opportunità per uscirne. A cominciare dal veterinario: non appena si era resa conto di cos’era accaduto, Marilena si era
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rivolta al veterinario che aveva in cura i cani di suo fratello, perché sapeva che era un bravissimo chirurgo. È stato lui a seguire tutto l’iter clinico di Spike, dimostrando non solo bravura, ma anche determinazione e dedizione. Ed era con lui che Evi parlava, in qualità di responsabile ENPA. Silvia e io la informavamo dettagliatamente circa le terapie durante le nostre riunioni del venerdì, stilando una specie di bollettino medico che poi pubblicavamo sul sito Internet. Perché Spike era diventato famoso. Sarebbe stato meglio di no, certamente, ma a quel punto la sua storia era seguita da molte persone, e tutte volevano essere aggiornate. Quello che avrei voluto raccontare, oltre a parlare di tessuti ricostruiti e di funzionalità in via di recupero, sarebbe stata la luce che aveva negli occhi. La sua voglia di lottare e di non arrendersi. Chiunque trascorra parte della propria vita amando gli animali sa che a un certo punto, quando la loro strada è arrivata alla fine, nel loro sguardo c’è una sorta di resa. Sono momenti in cui non ci resta che accompagnarli nel loro ultimo viaggio, lasciarli andare, accettare il distacco. Spike no.
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capitolo 3
SPIKE: CHI È COSTUI? «La grandezza di una nazione e il suo progresso morale si possono giudicare dal modo in cui tratta gli animali». M. K. “Mahatma” Gandhi (1869-1948)
Forse il coraggio, la forza e l’ottimismo di fronte alla vita che Spike stava dimostrando non erano solo un dono naturale, ma scaturivano dall’esperienza. Fin dall’inizio a Spike la vita non si era presentata come una morbida cuccia circondata dall’amore. Nell’estate del 2001 Franco, un amico di famiglia di Marilena e Cesare in vacanza in Sicilia con la fidanzata, l’aveva trovato lungo una strada nei pressi di Pachino, in provincia di Siracusa, legato con una corda a un parapetto. Era solo un cucciolo di due mesi scarsi, sicuramente abbandonato e lasciato lì, sul ciglio della strada, prigioniero e completamente indifeso, lasciato al suo destino crudele come un oggetto del quale ci si libera senza scrupoli né ripensamenti. Senza anima. Se Franco non si fosse fermato e non l’avesse portato via con sé probabilmente sarebbe stato uno dei tanti, troppi sfortunati randagi di cui si è tanto parlato di recente. Non lontano da lì, in provincia di Ragusa, un bimbo di dieci anni ha perso la vita a seguito dell’aggressione da parte di un branco di cani randagi che erano stati affidati, dopo un sequestro, a un uomo di capacità discutibili invece che a un ente pubblico, all’ASL Veterinaria o a un’associazione animalista,
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come invece previsto per legge e riconosciuto per Decreto dal Ministero della Salute. È un fatto che lascia senza parole, l’effetto assurdo di una situazione degenerata. Come troppo spesso accade in Italia, si lascia correre facendo finta che il problema non esista fino al momento in cui accade qualcosa di terribile, qualcosa a cui non si può porre rimedio. La reazione da parte dell’opinione pubblica a questo dramma è stata la richiesta della pena di morte per i cani «assassini». Si pensa che sopprimendo i cani il problema sia risolto. Non è così. In primo luogo, i cani non sono i responsabili di quanto accaduto; quel dramma, come tanti altri che hanno per denominatore comune le bande di cani randagi, è il frutto di una precisa responsabilità umana. I cani hanno agito seguendo l’istinto, la fame, la rabbia del cuore. Numerosi sforzi, attraverso vere e proprie campagne di sensibilizzazione, sono stati compiuti negli anni per affrontare il tema del randagismo, ma c’è ancora molto da fare. Questo fenomeno non dovrebbe nemmeno più esistere in Paesi civili e sviluppati, ma la realtà di quella che viene comunemente considerata civiltà si dimostra profondamente diversa quando a farne le spese sono i più deboli, quelli che non hanno voce. I veri responsabili di quel fatto indegno sono le istituzioni che dovrebbero prendersi carico dei randagi. La responsabilità è di chi è deputato per legge alla tutela della salute e della sicurezza pubblica così come alla tutela degli animali. La mattanza dei cani randagi, oltreché ingiusta, è indegna e incivile prima di tutto perché sostituisce la giustizia sommaria alla legge, e legittima le inadempienze di chi non aveva preso provvedimenti quando gli era stato segnalato che la custodia di quei cani era inappropriata. I responsabili erano le persone che non si erano prese le loro responsabilità. Ci sono programmi precisi da attivare: leggi per attuare i piani di controllo delle nascite e
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una politica contro l’abbandono e a favore della sterilizzazione dei randagi sono presenti nel nostro sistema legislativo da tempo (Legge n. 15 del 2000). Alla rabbia e l’indignazione, comprensibili, non devono seguire le spedizioni punitive e l’odio nei confronti dei cani. Si deve agire insieme, i cittadini e le associazioni animaliste, facendo emergere le responsabilità degli enti che sono rimasti inattivi. Con la violenza non si sanano le inadempienze ma si colpisce ancora chi è a sua volta vittima. Ai miei occhi episodi come quello che ho ricordato sembrano altrettante rivolte da parte degli animali abbandonati a se stessi: è come se chiedessero di essere finalmente ascoltati e presi in considerazione. Le statistiche dicono che ogni anno, con i soliti picchi nel periodo estivo, vengono abbandonati sulle strade oltre 1535 mila animali, tra cani e gatti. L’80% di loro muore durante incidenti, a volte fatali anche per le persone, per malattia o per fame. I cani abbandonati sono impauriti, disorientati e vagano pericolosamente per la strada mettendo a repentaglio non solo la propria vita ma anche quella degli automobilisti. Chi abbandona un cane, ma anche un gatto o qualunque altro animale non commette solo un reato, ma potrebbe rendersi responsabile di un omicidio. L’articolo 727 del Codice Penale, innovato dalla legge 189/2004, punisce l’abbandono di animali con l’arresto fino a un anno e l’ammenda fino a 10.000 euro. Il fenomeno tuttavia resta grave, sia per il numero di animali coinvolti e per l’elevata mortalità, sia perché sul loro abbandono si è innestato un giro d’affari che nel solo anno 2006 ha sfiorato i 500 milioni di euro. Delinquenti hanno costruito la loro fortuna grazie a convenzioni milionarie con amministrazioni locali compiacenti, spesso aggiudicate con gare d’appalto falsate o al ribasso d’asta, e trattengono gli animali in strutture fatiscenti, veri e propri lager, dove è impedito l’accesso a chiunque e da
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dove i cani non usciranno mai. Chi adotta un cane o un gatto abbandonato dà un contributo importante per contrastare la cosiddetta «emergenza abbandoni»: se chi desidera un animale, invece di acquistarlo, adottasse un trovatello, assottiglierebbe il vero e proprio esercito di 600.000 cani e 2,6 milioni di gatti che vivono rinchiusi in una gabbia. Il passo successivo consiste nello sterilizzare il proprio amico a quattro zampe. Come si può essere certi di trovare chi ne adotterà i cuccioli? È quindi una scelta etica, un atto di rispetto per chi è stato meno fortunato. Se anche si riuscisse ad affidare tutti i cuccioli del proprio cane o gatto, si priverebbe della preziosa possibilità di affidamento uno dei tanti ospiti custoditi nei canili o gattili. La convivenza con un animale sterilizzato è sicuramente più serena: la sterilizzazione, intervento ormai sicuro e poco invasivo, aumenta considerevolmente l’aspettativa di vita di cani e gatti e conferisce loro maggiore equilibrio: basti pensare alle sofferenze legate al periodo dell’accoppiamento, momento nel quale gli animali sono nervosi e irrequieti, e hanno scarso appetito. Nelle femmine elimina totalmente il problema delle gravidanze isteriche. Non solo, la campagna di sterilizzazione che da anni vede la collaborazione tra associazioni animaliste e veterinari ha numerosi benefici sotto il profilo sanitario: riduzione dei tumori alla mammella e di quello alla prostata, eliminazione del cancro uterino, la prevenzione di gravi patologie, soprattutto dei felini: sterilizzare i gatti li protegge da infezioni e malattie virali quali la FIV (immunodeficienza, paragonabile all’AIDS umano) e la FELV (leucemia felina), malattie che si trasmettono attraverso la lotta o l’accoppiamento. Inoltre un cane o un gatto sterilizzato tende a integrarsi meglio nel contesto sociale, nei rapporti con il vicinato non ci potranno essere recriminazioni perché i vostri animali in amore recano disturbo o marcano il territorio.
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Cosa sarebbe successo a Spike se Franco non l’avesse raccolto lungo quella strada polverosa? Chissà. E invece rimase con loro per tutta la vacanza. Divenne un simpatico compagno di viaggio e nuotava beato nel mare, non sporcava, sembrava già educato, intelligente e composto persino in auto. Decisero di portarselo a casa. Avrebbe vissuto nel loro giardino insieme al cane che avevano già... Ma fu proprio quest’ultimo a non accettare affatto la nuova compagnia, e la situazione si rivelò più complicata del previsto. Come ben sanno non solo i volontari delle associazioni animaliste e i veterinari, ma anche le moltissime persone che hanno dovuto confrontarsi con questo problema, non è sempre possibile inserire un nuovo animale in una famiglia dove già ne sono presenti altri. A volte tutto fila liscio, altre sono necessarie pazienza e strategia, e in alcuni casi si rivela un’impresa impossibile, perché può mettere a repentaglio l’incolumità e la salute degli animali stessi. Da tempo Claudio, il figlio ventenne di Marilena e Cesare, aveva manifestato il desiderio di avere un cane. Desiderava un dalmata, forse - come spesso accade - influenzato da un film o da un libro di successo. Così cominciarono a guardarsi intorno e a riflettere sull’impegno costante e duraturo che comporta accogliere un cane nella propria casa; sapevano che sarebbe stato come aprire la porta a un nuovo componente della famiglia, perché un cane ha gli stessi diritti e le stesse esigenze di ognuno di noi, va accudito, va cresciuto, amato e soprattutto rispettato. Marilena e Cesare avevano spiegato a Claudio che i cani, come tutti gli animali, non sono oggetti, giocattoli, merce da smaltire, sono esseri viventi e come tali hanno un’anima e dei diritti, provano emozioni, affetto, amore, soffrono, si ammalano proprio come ognuno di noi. Sapendo che Marilena e famiglia erano intenzionati a prendere un cane, Franco portò Spike in visita da loro e, immediatamente, quel batuffolo di pelo dagli
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occhi irresistibili rubò il cuore a tutti. Certo, loro pensavano a un dalmata e quel cucciolo non era nemmeno lontanamente simile, a un dalmata, era buffo, simpatico, sembrava un orsetto più che un cane, tutto nero con una grande macchia bianca sul petto e bianche erano anche le punte delle zampine. Ricordava un labrador nero incrociato probabilmente con un pastore tedesco. Ma Spike non aveva bisogno di un pedigree: già da piccolo aveva la sua carta d’identità, quella che lo rendeva unico per chi gli voleva bene: un grande cuore, un’innata simpatia e un’infinita intelligenza, qualità peraltro presenti in tutti i cani. Che siano «di razza» o meno. Lo chiamarono Spike, in onore del grande regista di colore Spike Lee, passione di Claudio. E subito quel nome originale gli calzò a pennello: aveva un suono allegro e schietto, come Spike; era originale e facile da ricordare, come Spike. Una volta conosciuto, ti resta dentro e non puoi più toglietelo dal cuore. Divenuto membro a tutti gli effetti della famiglia, trovò in ognuno di loro un punto di riferimento, ognuno con un ruolo preciso. Marilena era la sua «mamma» umana: Spike la adora, letteralmente, ascolta ogni parola che esce dalla sua bocca, con lei è ubbidiente, dolce, educato e attento a come si muove, conscio del fatto che Marilena cammina piano e non ha molta forza. Posso dire che è la sua ombra; veglia su ogni suo passo. Si sposta in casa seguendola in ogni sua azione. Ha una fiducia cieca e totale in lei. E non ha torto: nella tragica vicenda di Spike Marilena è stata eccezionale, su indicazione del veterinario ha prestato da subito le prime cure completamente da sola, contando su quella che purtroppo era la sua esperienza personale. La madre di Marilena, infatti, era stata molto malata, e quindi sapeva come comportarsi di fronte a piaghe e infezioni. Ma ciò che ha dato a Spike non è stata solo l’immediata cura e assistenza medica. Spike ha avuto
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tutto l’amore che in questi casi è fondamentale per trovare la voglia di combattere il male, e ha potuto continuare a sentirsi a casa propria. L’aspetto psicologico era importantissimo per la guarigione e Spike era nella sua casa, circondato dalla sua famiglia, e veniva accudito con amore, dedizione e tanta pazienza. I primi giorni è stata Marilena a prendersi interamente carico di quelle medicazioni lunghissime, china su Spike, in una posizione per lei certo non comoda, visto che soffre di una grave forma di artrite a una gamba e a un braccio. Per Spike, Cesare è uno speciale compagno di giochi: capisce che quando vuole essere un po’ brutale, giocare e fare il burlone, trova in lui pane per i suoi denti. Hanno un gioco che è tutto loro che a Spike diverte tantissimo: Cesare, da seduto, muove velocemente i piedi e Spike, sdraiato a terra ma con il sedere in aria, cerca di prenderglieli con la bocca emettendo una specie di ringhio che tutto fa tranne paura... vederli mentre fanno il «loro» gioco è divertimento assicurato. Claudio invece è il suo amore, il suo fratello umano, il suo doppio; quando entra in casa i suoi occhi brillano ancora di più, lo fissa estasiato, in contemplazione, come se fosse il suo Dio in terra. Per lui darebbe la vita, ne sono certa. Per descrivere meglio l’effetto che fa osservarli insieme provo a usare le parole di un grande scrittore. «…Buck si accontentava di adorare a distanza. Stava sdraiato per ore, vigile e attento, ai piedi di Thornton, guardandolo in volto, contemplandolo, studiandolo, seguendo col più vivo interesse ogni sua fuggevole espressione, ogni movimento, ogni mutamento delle sue fattezze. ...E allora l’uomo contraccambiava lo sguardo senza parlare, col cuore che gli scintillava negli occhi, così come scintillava il cuore negli occhi di Buck» (Jack London, Il richiamo della foresta). Se avete un cane, questo scambio di sguardi lo conoscete bene.
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È una promessa di fedeltà e dedizione, è il ringraziamento per averci trovati. Il cucciolo nero era diventato Spike e aveva trovato la sua famiglia. Legato sotto il sole a più di mille chilometri e sette anni di distanza, era stato salvato e mentre lottava con le sue piaghe, nella sua testa e nel suo cuore, ne sono certa, ronzava una domanda che conteneva già la risposta: perché non dovrei farcela anche stavolta?
NOTE:
Le cifre sugli abbandoni e sterilizzazioni/castrazioni citate in questo capito sono quelle annualmente diffuse dai media nazionali. Le leggi e le norme sopra richiamate erano in vigore nel periodo della stesura del libro. Alcune sono state aggiornate e riviste. Per la ricerca sono stati consultati i siti internet LAV - ENPA.
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capitolo 4
LA LETTERA «Il compito più alto di un uomo è sottrarre gli animali alla crudeltà». Émile Zola
Quel giorno di ottobre, dopo il mio primo incontro con Spike, salii in macchina diretta al lavoro, e mentre guidavo le lacrime rigavano il mio viso. Non devo percorrere tanta strada per arrivare in ufficio, ma il tragitto in auto sembrava non finire mai. Piangevo per lui, per il male che gli avevano fatto, per l’agonia che doveva sopportare, per la pazienza necessaria nei lunghi mesi che sarebbero dovuti passare per poter riprendere la sua vita normale... o almeno, questa era la nostra speranza. Piangevo anche per il male che avevo nel cuore, ero arrabbiata, delusa, sbigottita dalla malvagità dell’uomo che aveva compiuto quel gesto tanto crudele, vigliacco e senza senso a danno di una creatura straordinaria, priva di colpa, priva di cattiveria, senza peccato perché così sono stati creati gli animali, tutti gli animali. Dentro il mio cuore, nel profondo del mio animo lottavano sentimenti contrastanti: la rabbia, il disgusto, la tristezza, il dolore, ma anche la voglia di credere che Spike sarebbe guarito. Tutto questo tormento si trasformò nella mia volontà - che dura tutt’oggi - di combattere queste ingiustizie e di schierarmi dalla parte degli indifesi e dei più deboli per aiutarli. Più volte mi sono chiesta come mai Silvia avesse chiamato proprio me quella sera per chiedere aiuto, e solo qualche tempo fa ho avuto
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il coraggio di domandarglielo. Abbracciandomi forte, Silvia ha risposto che sin dal primo giorno aveva capito che ero una «da prima linea»: non nel senso dell’ambizione o del protagonismo, ma una combattente che si spinge dove si prendono tutti i colpi, dove ci si ferisce e si cade, dove ci sono le persone che non si risparmiano e non hanno paura di guardare la realtà anche se a volte, anzi spesso, è brutta e dolorosa. Silvia aveva visto tutto questo in me; mi ripete spesso che ho sempre tanta voglia di fare e che non mi fermo mai, e che ha sempre saputo che non l’avrei delusa né lasciata sola. Silvia ha avuto ragione, perché dal momento in cui ho conosciuto Spike non l’ho più lasciato. Arrivata in ufficio, mi appoggiai allo schienale della sedia e cercai di riprendermi. Ero davanti al pc e non riuscii a fare altro che scrivere questa specie di lettera. Le parole sgorgavano direttamente dal cuore, dovevo scrivere per ricordare, dovevo far conoscere, dovevo lasciare qualcosa perché tutto questo non passasse col tempo, volevo scrivere queste parole in onore di Spike, volevo che ci fosse qualcosa dopo di me, per lui. Quale dono più grande e prezioso che salvare la vita di un innocente? «Oggi ho conosciuto un angelo. Non un angelo come si può pensare comunemente, ma un angelo a quattro zampe. Sì, un angelo come lo intendo io. Questo angelo si chiama Spike, ha un bellissimo pelo nero, due occhioni dolcissimi in cui mi sono persa e tanta tanta voglia di vivere, nonostante tutto. Sì, nonostante tutto ha voglia di vivere, di combattere il male che gli hanno fatto a titolo gratuito. Oggi l’ho conosciuto e non lo dimenticherò mai. Lui ha avuto la forza di insegnarmi qualcosa di importante, lui con delle piaghe enormi sul corpo, provocate dell’acido, che lo hanno bruciato vivo. Si è fatto fare tutte le medicazioni, senza ribellarsi mai, nonostante il male atroce che sicuramente sente. Spike si è fatto disinfettare, pulire, medicare, bendare con tutta la dolcezza possibile, mettendomi a mio agio. Non sono così esperta in medicazioni ma
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sono sicuramente mossa dall’amore per gli animali, per l’amore per i più deboli, per l’amore per gli indifesi, per chi, come Spike, non può parlare ma dà di più di chi può farlo. Non è forse migliore di chi ha compiuto questo barbaro e disumano gesto? Potrebbe lamentarsi, e nonostante tutto il male che sente non lo fa. Sono più ricca e questo grazie a Spike. Sono più forte e questo grazie a Spike. Sono meno ingenua e questo sempre grazie a Spike. E quindi con tanta tanta rabbia, sostenuta da chi come me ama questi esseri indifesi, mi domando senza trovare risposta perché è stato compiuto un atto così grave, tormentando chi non poteva difendersi e soprattutto senza nessun motivo. Perché? Non ci sarà mai una risposta, o forse sì, o in ogni caso non mi interessa, perché non la comprenderei né la giustificherei mai mai mai… però mi auguro che i colpevoli siano individuati e puniti a dovere. C’è solo una cosa da imparare: chiunque sia stato ha fatto male, malissimo, ma al male si è risposto con la forza del cuore, con la forza del cuore di Spike, della sua ‘famiglia umana’ e delle persone mosse dall’amore e dalla passione come me, che non sono poche e che non abbassano mai la testa davanti a queste brutalità e non smettono di lottare mai per ciò che è giusto, per ciò che ha valore… Grazie con tutto il cuore Spike per quello che mi hai insegnato, per quello che tutti quelli come te riescono a farci fare. Grazie Spike, non mollare, non arrenderti, non sei solo». Raffaella, 09.10.2008 Saronno, Ottobre 2008 Spike, il cane che alla Cassina Ferrara (Saronno) è stato ‘bruciato’ dall’acido per mano di un ‘vigliacco’ lo scorso fine settembre - spiegano dalla sede ENPA di Saronno - è stato sottoposto per la terza volta, venerdì 17 ottobre, a un intervento chirurgico che ha visto la definitiva amputazione dei padiglioni
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auricolari. Il tentativo di salvarli non ha dato l’esito sperato. Dal bollettino sanitario si evince che per la zampa posteriore la situazione è migliorata e ci sono ottime speranze che non debba essere amputata. Il muscolo quadricipite femorale è stato fortemente danneggiato ma conserva sensibilità e questo fa ben sperare nell’esito positivo per l’arto. E anche la zampa anteriore procede verso una lenta guarigione. Ciò che rimane ancora un punto critico - proseguono i volontari che si alternano tutti i giorni nelle lunghe operazioni di medicazione delle ferite - è la profondissima lesione sul collo che a tutt’oggi resta aperta per mancanza di tessuti sufficienti per procedere alla sutura. Si calcola ci vorrà ancora diverso tempo prima di poter intervenire ricostruttivamente. Al momento sono stati inseriti punti di sutura interni in modo da favorire la germinazione di nuovi tessuti. La ferita è estesa intorno a tutto il collo. Alla medicazione delle ferite si associa, ovviamente, una potente copertura antibiotica. Intanto Spike sta reagendo molto bene, ha un carattere forte e combattivo e non si lascia sfuggire l’opportunità di uscire a godersi un po’ di sole mentre i volontari si occupano di pulire e medicare le profonde ferite. Come sempre resiste al dolore in modo esemplare senza il benché minimo lamento. Una nota di riflessione viene lanciata dalla sezione ENPA Onlus sezione di Saronno all’indirizzo di tutti coloro che hanno assistito o sono al corrente di comportamenti aggressivi nei confronti di animali, o semplicemente vogliono essere informati sull’origine di comportamenti antisociali. La ricerca psicologica ha dimostrato ormai da molti anni che la violenza perpetrata nei confronti degli animali è spesso associata a disturbi psicologici, particolarmente rivolti ad atteggiamenti e comportamenti aggressivi nei confronti delle persone. La crudeltà fisica nei riguardi degli animali è stata inserita tra i sintomi del disturbo della condotta (International
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Classification of Mental and Behavioural Disorders della World Health Organization), disturbo che viene generalmente diagnosticato per la prima volta nell’infanzia e nell’adolescenza ed è descritto come «un modello ripetitivo e persistente di comportamento in cui i diritti fondamentali degli altri o le principali norme o regole sociali vengono violati. Il verificarsi di tali fenomeni violenti in età infantile e nell’adolescenza sono sintomi di una situazione patogena che è in atto e predittivi di devianze in età adulta. Resta implicito che adulti che si macchiano di tali atti sono soggetti socialmente pericolosi per coloro che a vario titolo vi si trovano in contatto siano essi bambini, donne, anziani e animali i quali diventano potenziali bersagli di comportamenti violenti e d’abuso psicologico e fisico».
Evi Mibelli - Responsabile ENPA Onlus, Sezione Saronno Il veterinario che curò Spike fu chiaro fin dall’inizio: la situazione era complicata; ma ci aveva assicurato che l’avrebbe messo di nuovo in piedi. La strada era lunga ma, insieme, avremmo combattuto e avremmo vinto. Nella tragicità di quella situazione, infatti, perlomeno l’acido non era arrivato agli occhi di Spike e di conseguenza nemmeno al cervello: significava la concreta possibilità di tornare a un’esistenza normale, dignitosa. Ogni volta, dopo le visite e le operazioni, il bollettino medico si concludeva con la stessa frase: «Sarà lunga ma può farcela, perché Spike è un leone!» Le operazioni furono quattro, e se è vero che ci dovemmo rassegnare all’amputazione dei padiglioni auricolari - in pratica, la parte esterna delle orecchie: adesso Spike ha solo dei moncherini, ed entrambi i suoi orecchi interni sono scoperti il suo veterinario ha compiuto interventi esemplari, prima di tutto trasportando e ricostruendo tessuti cutanei in vari punti del suo corpo. Io li definisco «miracoli»: vedevo Spike prima
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delle operazioni e subito dopo, e pur non essendo medico mi rendevo conto di quanto fossero determinanti e ben riuscite: ancora oggi, guardando il risultato finale, mi ripeto che è stato pazzesco. Le anestesie, gli interventi, i punti di sutura, le medicazioni profonde e dolorose: tutto questo è quello che Spike ha sopportato, senza mai un lamento, senza mai dimostrare nervosismo. Ha sempre collaborato, ha sempre capito che lo stavamo curando, ha colto cosa c’era nella nostra anima. Solo quando non riusciva proprio a sopportare il dolore mi faceva capire che dovevo fermarmi, mostrandomi semplicemente i denti: si limitava ad atteggiare la bocca come se stesse ringhiando ma senza emettere alcun suono, tutto qui, e allora io mi fermavo. Gli facevo una carezza e lui appoggiava subito la testa alla mia mano, grato che avessi compreso. Era bravo persino durante le trasferte in auto, quando lo accompagnavo all’ambulatorio per le operazioni. L’espressione dei suoi occhi lasciava trasparire forza, volontà di reagire, voglia di vivere e tornare a correre. I quotidiani della zona, le emittenti radiofoniche e televisive parlarono di Spike e della sua storia. Noi dell’ENPA pubblicavamo gli aggiornamenti tramite comunicati stampa sui quotidiani e anche sul nostro sito. Tutta la nostra organizzazione si mobilitò per Spike. Ma anche al di fuori dell’associazione molti presero a cuore la sua storia e si attivò una vera e propria catena della solidarietà per aiutare anche economicamente la famiglia di Spike a fronteggiare le operazioni e le cure. Non avevano mai chiesto nulla, ma il gesto di aiutarli venne spontaneo e dal cuore di tutti, e oltre a costituire un atto di generosità equivalse a una risposta chiara e risoluta al vigliacco che aveva ferito Spike. Era importante che accanto alla raccolta fondi per aiutare Spike e la sua famiglia umana emergesse, da parte dell’opinione pubblica, la condanna morale di quel gesto:
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e grazie a tutti quelli che per Spike si sono mobilitati, si sono attivati, hanno donato anche un solo euro, hanno detto una preghiera, questo è avvenuto. Colui che ha compiuto questa barbarie è stato condannato senza possibilità di appello, perché la sua azione non può avere nessuna giustificazione. L’affetto mosso da Spike ha dato la giusta risposta a un gesto tanto vile. Al male si è risposto con l’amore e la solidarietà. E se ben altra sarebbe la condanna che l’aguzzino di Spike merita (non spetta a me giudicare, ma la legge stessa dello Stato parla chiaro in fatto di maltrattamenti nei confronti degli animali), al silenzio di un vigliacco rimasto nell’ombra ha risposto la voce di chi non ammette gesti come il suo e dice no alla violenza. Per me le operazioni di Spike erano una specie di calvario. Ero agitata prima e soprattutto durante, non vedevo l’ora che finissero. Ad avere i contatti diretti con il veterinario era Evi, per evitare che lo tempestassimo di telefonate. Poi Evi aggiornava me e tutti gli altri. Il mio faro, la mia guida, chi mi tiene per mano senza saperlo è Evi. Sicuramente una delle persone più colte e capaci che io abbia avuto la fortuna di incontrare sulla mia strada, Evi è una giornalista di nota fama e ha anche una laurea in architettura. La sua cultura è sconfinata, spazia dall’astrologia ai diritti umani, dalla giurisprudenza allo sport, alla musica, al teatro, alla letteratura; con lei posso parlare per ore di qualsiasi argomento. Giorno dopo giorno è diventata un punto di riferimento per le cose importanti della mia vita. Lei dice la verità, e questa è una delle doti più rare e nobili che io conosca. Dice anche quello che non ti aspetti di sentirti dire, e riesce a farlo nel modo giusto, senza che sembri un’accusa; lo fa in modo che tu capisca dove e come hai sbagliato e in che modo agire per riparare all’errore. Mi ha aiutato a prendere decisioni difficili prendendo in considerazione esclusivamente
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In questa pagina sono segnalati i contributi arrivati per aiutare Spike. Abbiamo ricevuto 2.586 euro. Hanno dato il proprio contributo: 22/10/08 Bonifico di F.J 22/10/08 Posta di C.M 23/10/08 Bonifico di D.G 24/10/08 Posta di B.R. 25/10/08 Posta di H.M.C 25/10/08 Posta di T.P 25/10/08 Posta di F.B 27/10/08 Bonifico di C.F 27/10/08 Posta di G.D 27/10/08 Posta di M.R 28/10/08 Bonifico di M.M 29/10/08 Posta di V.C 30/10/08 Bonifico di G.E 30/10/08 Posta di B.M 31/10/08 Bonifico di B.M.D 03/11/08 Bonifico di L.L 06/11/08 Posta di ASD DMZ 07/11/08 Posta di Palestra Fitness Club 08/11/08 Posta di R.A 10/11/08 Posta di B.L 11/11/08 Bonifico di L.L 13/11/08 Bonifico di C.L
euro 300,00 euro 100,00 euro 30,00 euro 30,00 euro 20,00 euro 20,00 euro 30,00 euro 15,00 euro 500,00 euro 50,00 euro 1000,00 euro 20,00 euro 20,00 euro 20,00 euro 50,00 euro 25,00 euro 100,00 euro 166,00 euro 15,00 euro 20,00 euro 35,00 euro 30,00
Voglio ricordare che la meravigliosa famiglia di Spike ha devoluto quasi interamente il ricavato di questa campagna di solidarietĂ per Spike a favore dei cani ancora meno fortunati di lui, quelli ospiti dei canili.
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il mio bene, ciò che era meglio per la mia vita, e non saprò mai ringraziarla abbastanza per tutti gli insegnamenti importanti che mi ha regalato. Quello che dice Evi è semplicemente libero da ogni forma di tornaconto, lei per me è di un altro pianeta, è una delle pochissime persone che non conoscono l’invidia e la vendetta. O, meglio, le conosce ma non le interessano. Ha un aspetto molto semplice che contrasta con la preziosità della sua anima, del suo cuore, lei risplende senza il bisogno di caricarsi di inutili orpelli. Nella sua vita non trova spazio nulla di superficiale e superfluo, e incontrarla è stato come ritornare a uno stato di primitiva libertà. Anche grazie a Evi sono riuscita a intraprendere il viaggio che mi ha condotto a essere quella che sono ora, rivedendo i fondamenti sui quali era basata la mia vita. Nonostante non potessi fare nemmeno quello, quando Spike veniva operato non riuscivo a pensare ad altro. Non riuscivo a concentrarmi su nulla, ero nervosa, preoccupata; doveva farcela, Spike doveva farcela. Questa era l’unica cosa che passava per la mia mente nelle lunghe ore degli interventi. Continuavo a controllare il cellulare, magari rispondevo al telefono, scrivevo, insomma lavoravo... ma la mia testa era altrove, era con Spike: volevo che lui mi sentisse vicino, che non avesse paura, che non si sentisse solo. Era in ottime mani, forse le migliori, ma la preoccupazione era sempre tanta, soprattutto durante i primi interventi, quelli determinanti per la sua ripresa. La zampa posteriore, quella che rischiava di essere amputata, ha pressoché riacquistato la muscolatura originaria, ma è rimasta comunque la parte più delicata di Spike: ogni tanto zoppica, la tiene sollevata saltellando; anche se lo sorregge bene, ogni tanto si riapre un po’ e spurga, e allora ci affrettiamo a curare le ferite che Spike pazientemente ci lascia controllare, «aiutato» da biscotti e coccole. Scopo principale della terza operazione fu chiudere la ferita al
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cranio. Andò bene, anzi benissimo: anche dopo era comunque impressionante, perché l’apertura nel pelo era ancora larga quasi tre dita, ma i tessuti erano sani e da allora in poi iniziarono a cicatrizzare bene. Oggi Spike ha una cicatrice che gli fa come da cerchietto da orecchio a orecchio, ma giorno dopo giorno la pelle sta riacquistando la giusta pigmentazione nera, e non fa più impressione come prima. L’ultima operazione, sempre in anestesia totale, si concentrò sul danno riportato dalla zampa anteriore destra. Un polpastrello era stato corroso e l’unghia cresceva storta, infiammando l’intera zampa. Si intervenne effettuando una pulizia dei tessuti e ulteriori suture, notando che anche il gomito sul quale Spike era solito appoggiarsi era stato corroso fino a mostrare l’osso. Si pulì a fondo e suturò anche quello. Così oggi Spike è in grado di correre sotto il sole, sotto la pioggia e anche in mezzo alla neve, anche se i segni dell’aggressione non smettono di ripercuotersi su di lui. Durante l’inverno la zampa anteriore è soggetta a geloni e Spike si fa infilare delle apposite calze, realizzate con un tessuto impermeabile sia all’acqua sia al freddo, come quello delle mute da sub, e con questo escamotage anche l’inverno si supera quasi senza problemi. Tra un’operazione e l’altra, continuai a correre a Saronno da Spike due o tre volte al giorno per tre mesi circa. Continuavo ad alternarmi con Silvia e, trascorso il primo periodo (sicuramente il primo mese e mezzo), le medicazioni erano diventate più veloci e, per quanto possibile, noi due eravamo diventate più esperte. Spike era diventato parte della mia routine, forse, in quel momento, la parte più importante. Me ne resi conto quando all’improvviso ricordai che dovevo lasciarlo.
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capitolo 5
RAFFAELLA: CHI È COSTEI? «Qualunque cosa tu possa fare o tu creda di poter fare, iniziala, l’audacia ha in sé genio, potenza e magia». J.W. Goethe
Completamente presa da tutta questa storia, quasi mi dimenticai che da tempo avevo programmato una vacanza con la mia adorata mamma. Era un suo regalo per me. Mia mamma ha sempre lavorato, da qualche mese era in pensione: desideravamo stare un po’ insieme per godere l’una della compagnia dell’altra e non avevamo mai fatto un viaggio lei e io, da sole. La vita di Spike è avventurosa, purtroppo verrebbe da dire, lui è una specie di eroe. Io invece sono una ragazza normale, come ce ne sono tante, tantissime. Non ho niente di diverso dalla maggior parte delle ragazze della mia età. Ho trentacinque anni, sono appassionata di viaggi, amo stare con gli amici, uscire la sera, vedere bei film sia al cinema che a casa in DVD, riempire il mio tempo delle cose che amo fare e che mi fanno stare bene. Ho una vera passione per i libri e le librerie; è quasi un’ossessione: anche se ho sempre una bella scorta di libri da leggere non riesco a resistere alla tentazione di comprarne altri, mi rilassa, mi appaga… Certo, poi li leggo tutti, assolutamente; solo che la scorta diventa infinita, per la gioia dei librai. Abito in una casa disposta su due piani che condivido con Mirko, il mio compagno, e con Orazio e Red, i miei
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due amici felini. Tutte le persone che sono state a casa mia dicono che sa di me, che appena entrati si riconosce molto del mio carattere: è allegra, solare, calda, bianca e colori pastello, disseminata di libri su scaffali, su mobiletti sparsi ovunque, impilati negli angoli a formare vere e proprie colonne, di riviste di viaggi, e... di animali. Oltre a quelli in carne e ossa, Orazio e Red appunto e, come capita, a ospiti temporanei, ce ne sono ovunque, appoggiati, appesi, sospesi, seduti, che sbucano facendo capolino. Sono quadri, disegni, soprammobili, pupazzi e peluche raffiguranti orsi, leoni, uccellini, cani e gatti, balene e delfini, lupi... insomma, una vera e propria riserva popolata da abitanti di ogni specie. Su una parete della scala che conduce al piano mansardato un vero e proprio stormo di farfalle si librano leggere volando verso il cielo… insomma, a casa mia ci sono tutte le cose che amo e che mi rappresentano, disordine compreso. Fin da bambina sono stata appassionata di animali, e loro da sempre sono i miei compagni di giochi. I miei genitori lavoravano entrambi e io sono cresciuta nella grande casa a corte dei miei nonni paterni, adiacente a una grande cascina dove vivevano ogni sorta di animali, cani, gatti, galline, conigli, mucche e pecore. Aggiungete il fatto che sono figlia unica e che nelle vicinanze non c’erano tanti bambini, che sprizzavo energia da tutti i pori e avevo una gran voglia di stare all’aria aperta: difficilmente aiutavo la nonna nelle faccende «da signora», preferivo stare nell’orto con il nonno, sbrigando le mansioni del «contadino» e del «fattore». Crescendo, questo amore per la natura e gli animali è diventato una costante nella mia vita, ogni occasione era buona per dimostrarlo: nei giochi con il mio papà la domenica mattina nel lettone, mimando le avventure di Simba, il leone bianco, durante le serate trascorse sul terrazzo di casa, sotto le stelle, guardando documentari sugli animali, e naturalmente anche a scuola. In V elementare scrissi un racconto che aveva per oggetto una gita in montagna, e ricevetti una piccola borsa di studio dal Sindaco del Comune nel quale abito. Svolsi il tema di Maturità,
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che prendeva spunto dalla riflessione sulla famosa frase del filosofo Hobbes, «Homo homini lupus», per approfondire il mio punto di vista sull’utilizzo da parte dell’uomo della violenza a carattere puramente gratuito, sostenendo che invece, nel caso specifico del lupo come per tutti gli animali, la violenza e l’aggressività sono legate solo alla sopravvivenza e determinate dalla necessità di nutrirsi. Avevo letto più di un libro sull’argomento. Il lupo all’interno del branco segue una gerarchia simile a quella della famiglia umana; il livello di organizzazione e la distribuzione delle mansioni tra i membri del branco sono stupefacenti, priorità assoluta è la sicurezza del gruppo, della famiglia, che vanno difesi a qualsiasi prezzo. Nel tema concludevo che c’è molto da apprendere e a cui ispirarsi, osservando e conoscendo meglio queste creature spesso considerate «inferiori». E poi c’erano gli innumerevoli cani e gatti soccorsi per strada tornando da scuola, avventure che movimentavano la mia vita di ragazzina. Dopo il liceo scientifico mi iscrissi alla facoltà di Giurisprudenza a Milano. Studiare mi piaceva e scelsi quella facoltà non per diventare avvocato, ma perché desideravo approfondire il diritto internazionale. La passione per i viaggi mi faceva sognare una carriera diplomatica in qualche ambasciata in giro per il mondo, la possibilità di conoscere realtà diverse dalla mia. Perché non scelsi una facoltà come veterinaria o biologia? Le materie scientifiche non erano per niente il mio forte, anzi! Come sempre mi davo un gran da fare. Nonostante gli impegni universitari lavoravo come commessa in un negozio di abbigliamento, per guadagnare qualcosa e non sentirmi completamente un «peso» per i miei genitori. Ero adulta e ritenevo giusto contribuire in qualche modo, anche se loro non lo avevano mai richiesto. Gli esami andavano bene, la media non era del 30 ma comunque mi difendevo... quando dovetti iscrivermi al terzo anno, però, presi tempo: avevo ricevuto un’offerta di lavoro interessante - il lavoro che tutt’ora svolgo - e avevo conosciuto il ragazzo che sarebbe poi diventato mio marito. La voglia di essere
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indipendente, di crearmi un futuro tutto mio, era forte e fu quella che mi fece prendere queste due importanti decisioni: lasciai l’università e decisi di sposarmi. La mia vita prese questa direzione. Si creò una sorta di equilibrio che sembrava funzionare. Dal punto di vista professionale, niente da dire. Da dieci anni lavoro presso uno studio di ingegneria in un paese che dista pochi chilometri da quello dove abito, in provincia di Como. Sono località piccole e molto semplici, fortunatamente vicine a centri più importanti come Saronno, Como, Cantù, Varese; anche Milano si raggiunge in mezz’ora, traffico permettendo. Tutto sommato in queste zone si vive piuttosto bene, certo non ci sono tutte le opportunità offerte dalle città, ma in cambio si può godere ancora di un colpo d’occhio verde: quando vado a spasso con i cani ho a disposizione aree verdi sconfinate, e anche semplicemente il percorso quotidiano per recarmi in ufficio è immerso nella natura, in una vallata che cambia vestito a ogni stagione. Il mio lavoro mi piace. Ho la grande fortuna di lavorare a contatto con persone simpatiche e il rapporto con il titolare è famigliare, la fiducia reciproca ci permettere di essere un’ottima squadra e il privilegio di gestire liberamente il mio lavoro di amministrazione e contabilità lo fa diventare più piacevole di quanto sia realmente. Il mio «capo» ha tantissimi impegni e vuole sentirsi sollevato dalle scadenze amministrative, quindi l’organizzazione di questa parte del lavoro è esclusivamente mia; una volta al mese ci troviamo per rivedere tutto insieme. Nella sfera dei sentimenti, invece, covava un disagio che per tanto tempo non è riuscito a emergere. Tutte le persone che frequentavo e frequento quotidianamente per lavoro - alcune erano anche le mie amicizie più strette - sono ottime compagnie. Mi capita però talvolta di sentirmi come un’estranea in mezzo a loro. Credo che si tratti di un modo diverso di reagire ai ritmi frenetici, alle scadenze, e di una diversa scala di valori e priorità. Affannarsi per presentare un progetto di ristrutturazione di una casa, per quanto importante sia
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rispettare i tempi e rientrare così nei parametri che ti permettono di risparmiare un sacco di quattrini, è importante, ma se lo metto sulla bilancia di quelle che considero le cose importanti della vita, mi sembra che si esageri: la maggior parte delle volte sembra che sul tavolo da lavoro non ci siano pratiche, ma persone da operare! In queste circostanze mi sento completamente estranea alla frenesia, alle arrabbiature, ai musi lunghi, anche se mi rendo conto dell’importanza di quanto sta accadendo. Quello che mi fa stare male è altro, così come quello che mi procura gioia e felicità. E anche il giro delle amicizie che avevo in comune con mio marito per certi versi non mi rispecchiavano affatto. Ora che ne ho preso coscienza, riesco a riconoscerlo e a raccontarlo. Ma per molto tempo ho vissuto totalmente immersa in quella prospettiva, ed ero preda di nervosismi inutili che si ripercuotevano su tutto quello che mi stava intorno. Non riuscivo mai a staccare la spina, perché le persone che frequentavo nel tempo libero erano così, convinte che ciò che conta va di pari passo con quello che ti fa guadagnare tanto, che l’importante è avere ciò che è di moda, la realtà è quella patinata dei locali di grido frequentati da gente che appare su qualche giornaletto, e ogni volta che mi trovavo in situazioni di questo genere mi rendevo conto di non c’entrarci nulla e mi sentivo inadeguata e impacciata. Lungi da me emettere sentenze su quello che è giusto o sbagliato: ma, fortunatamente per me, in quelle situazioni non mi ci ritrovo più. Semplicemente per il fatto che tutto quel mettersi in mostra non mi piaceva, non mi lasciava nulla, ho gradualmente iniziato a evitarle, a non volerci essere, a trascorrere il tempo molto più semplicemente, e a furia di eclissarmi ho cambiato completamente rotta, lasciando indietro passo dopo passo queste «amicizie», il mio matrimonio, e tutte le situazioni create intorno a me ma che facevano solo da specchio per altre persone nelle quali mai mi sono realmente riflessa. Poi c’è stato l’incontro con l’ENPA e con Spike. Soprattutto grazie a Spike ho incontrato persone schiette e sincere
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che non si nascondono dietro un titolo di studio o un vestito elegante e costoso. Una delle cose che più mi resterà nel cuore, che ricorderò con gioia e soddisfazione e terrò con me per sempre, è che una situazione tragica, di violenza, apparentemente senza speranza, in cui nessun essere razionale si sarebbe aspettato di ricevere qualcosa di buono, ha cambiato la mia vita in meglio. Posso dire che se oggi sono felice lo devo in gran parte a Spike e al coraggio che mi ha insegnato. Oltre a tutte le persone meravigliose che ho conosciuto, che abbiamo incontrato sulla nostra strada, cominciando dalla famiglia di Spike fino alla mia amica Vera e a tanti altri che oggi formano la schiera dei miei affetti, l’insegnamento più prezioso e che oggi sta a fondamento della mia vita, di come instauro relazioni e amicizie, è che mi sento libera di essere me stessa in un rapporto: soprattutto non mi «costringo» più a trascorrere del tempo in situazioni che non «sento», che non sono consone al mio stato d’animo. Già siamo costretti, per lavoro, in ruoli che dobbiamo recitare; allora il tempo libero è rigorosamente «sacro», non importa se mi è successo per la prima volta con un cane, anzi grazie a un cane. Ho imparato a sentirmi libera di manifestare quello che penso e in cui credo, anche se non raccoglie unanimi consensi, anche se non risulta alla moda, anche se a qualcuno può sembrare banale. Preferisco vivere in semplicità, per esempio nella semplicità di una passeggiata con Spike. È stato lui a suggerirmi come ritrovare la vera essenza della vita, nutrire la mia anima di gesti semplici a quotidiani e avere il coraggio di stare con chi mi fa stare finalmente bene anche semplicemente camminando silenziosamente al tuo fianco. Mi sono spogliata delle apparenze. Come se avessi fatto una lunga doccia, sfregandomi per bene la pelle intossicata da smog e false certezze. Mi sono cambiata d’abito indossandone uno più comodo ma non necessariamente meno bello - tutt’altro - che si adatta meglio ai miei movimenti, alla mia persona, al mio tempo, senza compromessi con il «look» o le tendenze. Ho seguito il mio cuore, ho seguito l’istinto e
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sono arrivata al sole. Era questo il viaggio che stavo compiendo dentro di me quando partii con mia mamma per quell’altro viaggio. Programmato alla fine di ottobre, si trattava di un safari in Tanzania, nella Riserva Selous, seguito da qualche giorno di relax al mare paradisiaco di Zanzibar. Davvero niente male, anzi una vacanza da sogno, così come poi è stata davvero. Potrei parlare all’infinito della mia passione per l’Africa, madre terra dove tutto è cominciato, dove tutto dovrebbe essere preservato così com’è, di cui i figli dei nostri figli dovrebbero poter vedere la bellezza infinita e incontaminata, i suoi animali liberi. Ho avuto il privilegio di trovarmi a pochi metri da un leone, l’emozione di scrutare i suoi occhi e rendermi conto che è davvero il Signore indiscusso di questa terra... ma questa è la storia del «mio» leone e nonostante tutto l’entusiasmo per l’Africa, Spike aveva rapito completamente il mio cuore. Non l’ho mai confessato a mia madre, ma probabilmente non ce n’era bisogno, lei legge i miei occhi e conosce la mia anima: partivo a malincuore, perché avrei preferito rimanere vicina a Spike. Stava per affrontare la quarta e definitiva operazione e io sarei stata così lontana... come se, restando a casa, avessi potuto fare qualcosa! Be’, io volevo essere lì, volevo che mi sentisse, volevo che sapesse che io c’ero... e invece sarei stata dall’altra parte del mondo. Ma non era questione di distanza. Ero nel suo cuore come lui era nel mio. E quel che successe in Africa, proprio mentre Spike era in sala operatoria, ne fu la prova. Già dalla mattina di «quel» giorno ero di malumore, irrequieta, impaziente; mi trovavo sulla spiaggia bianca e incontaminata di Zanzibar con la compagnia di mia mamma e di una coppia di amici conosciuti durante il safari, Maria Carla e Paolo, ma stavo sempre con il telefono in mano - anche se sapevo benissimo che l’operazione si sarebbe svolta nel pomeriggio e sarebbe durata più di tre ore inviavo messaggi a Evi, Silvia e Mirko per sapere di Spike e una dopo l’altro, ma come se fossero in coro, mi rispondevano di stare tranquilla, che appena dopo l’operazione mi avrebbero
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immediatamente aggiornata. Non contenta, contattai Marilena e anche lei, con la sua solita pazienza e dolcezza, mi scrisse praticamente la stessa cosa: sarai la prima che chiamerò, stai serena e goditi il sole, qui fa un freddo!!! Sì, sembra facile... Sembra che esageri, descrivendo quanto e come partecipavamo alle operazioni di Spike, ma è davvero andata così! Non riuscivo nemmeno a leggere prendendo il sole, cosa che faccio senza il minimo sforzo anche con temperature tropicali: sto lì, leggo e mi rilasso, tant’è vero che parto sempre con una scorta di libri non indifferente e spesso la termino e mi devo concentrare per leggere libri in inglese che trovo in giro per il mondo. Ma quel giorno niente da fare, non sopportavo nulla; anche la mia pelle ebbe una reazione insolita, nonostante l’abbronzatura spuntò un fastidioso eritema. Così, dopo l’ennesimo sbuffo decisi di andare in camera. Mi incamminai verso il mio lodge per ricoprirmi di crema... o forse per ammortizzare almeno un altro quarto d’ora di tensione. Quando tornai in spiaggia, sotto l’ombrellone, esattamente sotto il mio lettino, si era accoccolata una cagnolona e stava lì, a guardarmi tranquilla tranquilla. «E lei, da dove sbuca?» chiesi a mia madre, a Carla e Paolo. «È arrivata dalla spiaggia ed è venuta qui: si è guardata in giro più volte, e poi si è messa lì sotto!» «Cerca l’amica degli animali!» Mi chinai verso di lei, le feci annusare la mia mano e subito ci intendemmo, la accarezzai sulla testa e lei si lasciò fare, era dolcissima, lo sguardo intelligente rifletteva la sua anima, un’anima buona. Restò lì beata a farsi coccolare, poi le diedi qualche biscotto, stavano servendo il tè delle cinque agli ospiti e ne approfittai per condividere la merenda con la mia nuova amica. Rimase con me fino a quando mi ritirai dalla spiaggia per prepararmi per la cena. Mi alzai e le chiesi: «Vieni con me o torni a casa?» Lei si alzò con fare tranquillo e soddisfatto, mi si avvicinò, mosse il muso come per salutarmi e tornò a camminare sulla spiaggia, proprio da dove era arrivata. Non l’ho più vista. Niente mi toglie dalla testa che era un messaggio d’amore mandato da Spike per me.
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capitolo 6
E VIA DI CORSA! «Aveva osservato Lloyd combattere con la sua ferita, combattere per sopravvivere, sopportare la peggiore solitudine e la disperazione, solo per continuare a vivere nel proprio corpo coperto di pelo nero che era miracolosamente guarito. Ma quel corpo era cambiato. L’andatura zoppicante si era integrata in un corpo leggermente alterato. Lloyd aveva una nuova vita e un corpo modificato». Jacqueline Sheehan, Amori smarriti
Atterrai all’aeroporto di Malpensa venerdì sera verso l’ora di cena e il mio pensiero fisso era che l’indomani avrei visto il mio Spike, l’avrei finalmente riabbracciato, coccolato, avrei incontrato i suoi occhi. L’operazione era andata bene; toccava di nuovo a me. Non vedevo l’ora! Quando arrivai da Spike lui era fuori, sotto il porticato della sua casa. Era una giornata grigia, tipicamente autunnale, ma non fredda. Marilena aveva controllato le medicazioni e si erano sistemati fuori all’aria aperta, Spike adora stare all’aperto e ciò è stato di aiuto anche per asciugare le ferite. Appena lo vidi mi emozionai tantissimo, lacrime di gioia bagnavano il mio viso, lui mi guardò, mi riconobbe, cominciò a guaire e scodinzolare energicamente. Lo abbracciai e mi feci leccare il viso finché sembrò soddisfatto di avermi detto, a modo suo, BENTORNATA! Stava benissimo, l’operazione - Marilena me lo confermò - era andata alla grande, il veterinario era davvero soddisfatto e orgoglioso del proprio lavoro ma soprattutto di Spike, che ogni volta dimostrava di essere un vero combattente, di avere coraggio
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da vendere e un’inesauribile voglia di vivere. Eravamo tutti felici; nel frattempo erano arrivati Evi, Claudio e Mirko per girare un video che sarebbe stato caricato sul sito Internet dell’ENPA. Avrebbe aggiornato tutti gli amici e i sostenitori sulle condizioni di Spike. Il cane-leone aveva superato la sfida, le lunghe medicazioni erano finite; solo la grossa ferita sulla testa aveva bisogno di essere costantemente ricoperta di una polvere cicatrizzante che aiutava la germinazione e la ricostruzione dei tessuti cutanei. Ero felice, orgogliosa e fiera di lui e non riuscivo a smettere di guardarlo, di accarezzarlo, di sussurrargli paroline dolci, di coccolarlo con i suoi adorati «grattini» sul petto. Gli dissi che la mia presenza non sarebbe più stata sinonimo di medicazioni infinite: da adesso in poi significava uscire insieme per passeggiate ogni giorno più lunghe, ogni giorno saremmo andati al parco e avremmo scoperto insieme sentieri, percorsi, passaggi, incontrato i suoi abitanti e la sua magia. Avremmo ascoltato la musica del bosco, ci saremmo conosciuti ancora meglio e la sua zampa ferita sarebbe tornata abbastanza forte da sorreggerlo per fargli marcare il territorio. Era la mia promessa, forse l’unica che in tutta la mia vita sarei riuscita davvero a mantenere senza che rappresentasse mai, per me, un peso o una privazione. Era un onore stare con lui, mi aveva insegnato molto e molto dovevo ancora imparare. Volevo conoscerlo e farmi conoscere, essere per lui un punto di riferimento come lui lo era per me. Era l’inizio di novembre, il tempo non sembrava dalla nostra parte ma non riuscì mai a imbrigliare la nostra voglia di uscire. Anzi, ci piaceva: come ha scritto Garth Stern in L’arte di correre sotto la pioggia, «Se la pioggia pesante soffoca gli aromi, la pioggerella fine fine li amplifica libera le molecole, dà vita agli odori e li trasporta nell’aria fino al mio naso». Io uscivo attrezzatissima con stivali di gomma, cappello impermeabile e sciarpa; Spike, nei giorni più piovosi, con un simpatico k-way rosso e giallo - tanto per non passare
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inosservato! All’inizio portava ancora il «collare elisabettiano» per proteggere la ferita sulla testa, sia dalle sue zampe che dagli oggetti che avrebbero potuto graffiarlo. Ma dalla fine del mese poté toglierlo e la sua felicità arrivò al cielo: si intrufolava sotto i rami degli alberi, in cerca degli odori del bosco che per tanti mesi gli erano mancati. Lo guardavo camminare nel parco, alzare il muso per annusare l’aria, osservare la natura e i suoi abitanti, e vedevo pura gioia di vivere. Spike era tornato, e osservandolo mi era chiaro cosa stava provando. Non perdeva nulla di tutto ciò che ci circondava, proprio come chi è stato vicino alla morte, chi ha lottato con ogni forza e, felice di essere finalmente libero, nel pieno delle proprie forze, si gode totalmente la vita e ogni aspetto del mondo, respira a pieni polmoni, cattura con gli occhi tutta la bellezza che poteva essere perduta per sempre. Alla pioggia seguì la neve, ma noi ci divertivamo un mondo lo stesso. Spike abbaiava ai fiocchi, si rotolava nei prati a balzi e ruzzoloni che ricoprivano di neve anche me, io ridevo e lui si girava a guardarmi, poi tornava a rincorrere la neve, faceva dietrofront e si presentava da me per il biscotto... Riprendeva peso, appoggiava sempre più e meglio la zampa malata. Giorno dopo giorno lo vedevo provare a sorreggersi per alzare quella sana; le prime volte, la zampa sfigurata non reggeva il peso, ma lui non si dava per vinto, e ora non solo riesce a sorreggersi, ma dopo aver fatto i suoi bisogni o dopo aver annusato qualcosa per lui interessante riesce a raspare la terra, la neve, il prato... a volte sembra farlo apposta per sporcarmi! Il nostro parco, il Parco regionale del Lura, si trova proprio dietro la casa di Spike. Prende il nome dal nome di un corso d’acqua che nasce dalle Prealpi e, dopo aver attraversato Varesotto e Comasco, scorre a nord di Saronno, nel quartiere della Cascina Ferrara, ed è un vasto spazio verde composto da aree boschive e agricole, molte coltivate. I sentieri delimitano i campi, corrono lungo viali
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e siepi fino a prati e radure nel fitto dei boschi, e la vegetazione è molto ricca e variegata. Dominano la farnia e il carpino, ma si possono trovare il rovere, l’acero campestre e quello di monte, il biancospino, robinie, frassini, pioppi, ontani neri, il pino silvestre e il pino strobo, tante piante da frutto - noccioli, ciliegi, prugnoli. Accanto alle radure grandi come campi da calcio, dove i cani possono correre e gli umani divertirsi liberamente, c’è l’ambiente protetto e riparato del sottobosco, popolato da numerose specie animali. È facilissimo incontrare leprotti, ricci e volpi; passeggiando con Spike, sempre attento e pronto all’attacco, devo prestare molta attenzione. Con la sua mole e le sue energie, se non anticipassi sempre le sue mosse, riuscirebbe a trascinarmi e a buttarmi a terra come un sacco di patate: del resto, pesa quasi quanto me! Nel parco si incontrano anche moltissime specie di uccelli e nelle giornate serene e limpide è bellissimo osservarli. Spike ovviamente è attentissimo anche a loro, ai loro voli più bassi, alle loro planate, e forse anche grazie a lui ho imparato a notarli e riconoscerli: la cincia bigia, il rampichino, il picchio muratore e uccelli anche più maestosi come il falco pecchiaiolo, un raro rapace che sverna in Africa e a primavera inoltrata ritorna in Europa per nidificare. Sono un po’ più difficili da vedere, ma se si ascolta il silenzio del bosco si può udire il tambureggiare del picchio verde e del picchio rosso maggiore, così come la melodia del canto del fringuello e del pettirosso, e osservare le planate e i balzi nei campi di pannocchie del comunissimo corvo nero. Passeggiando è anche frequente incontrare scoiattoli rossi che salgono e scendono dagli alberi in cerca di cibo, mentre fra i tronchi degli alberi trovano rifugio i ghiri e i rapaci notturni come l’allocco, il meraviglioso gufo comune e lo sperviere, che sferra i suoi attacchi comparendo all’improvviso dal fitto degli alberi. Verso la fine di marzo e nei primi giorni di aprile in questa zona si può assistere alla migrazione dei rospi verso i luoghi di riproduzione, laghi o torrenti dal bacino largo.
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Questi simpatici animaletti hanno l’abitudine di compiere una vera e propria discesa verso il corso d’acqua a loro più vicino per riprodursi; è per loro la stagione dell’amore. Incuranti dei pericoli, attraversano strade molto frequentate e spesso sono vittime delle auto. Noi volontari dell’ENPA organizziamo vere e proprie spedizioni di salvataggio, recuperando dalle strade la sera e anche per tutta la notte i rospi che vagano sulle carreggiate, coordinando l’operazione con i responsabili del parco e la Polizia stradale. Certo la loro migrazione non ha nulla a che vedere con lo spettacolo che si può ammirare in Tanzania attraverso il Serengeti... ma è ugualmente meritevole di rispetto, tutela e sensibilizzazione. In ogni stagione il parco ci regala paesaggi che sembrano rubati da un calendario fotografico; in primavera il terreno si ricopre di splendide fioriture, vere e proprie macchie di colore formate da primule, polmonarie, pervinche, mughetti, anemoni dei boschi e scille. Nelle giornate invernali, subito dopo le nevicate e nelle giornate più fredde, quando la brina riveste ogni cosa, ci copriamo bene, Spike indossa anche i suoi calzari per proteggere il danno permanente alla zampa anteriore destra, sempre a rischio di geloni, e ci inoltriamo nei bosco. Il paesaggio che ci attende è davvero unico e per me magico. Io dico sempre che l’atmosfera è quella delle Cronache di Narnia, i rami delle piante sembrano di cristallo, tutto è ricoperto da un manto candido che regala sensazioni di pace... quando fa così freddo non incontriamo nessuno e sul sentiero rimangono solo le mie impronte e quelle di Spike, restano impresse nella neve al nostro passaggio come gli attimi che restano dentro di noi. Mentre passeggiamo ci guardiamo e senza bisogno di parole o gesti eclatanti trascorriamo momenti felici, semplicemente restando l’uno in compagnia dell’altra. Lui mi porge il muso, io lo guardo, mi chino, lo stringo forte e gli bacio la punta del naso umido sussurrandogli che gli voglio bene... lui si scosta e mi guarda, strizzando gli occhi.
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Basta questo, e il mio cuore esplode di gioia. Ma il parco è anche un vero e proprio punto d’incontro per cinofili: soprattutto il sabato mattina, l’affluenza è copiosa e ci si ritrova tutti insieme nel prato più grande per far giocare i cani chiacchierando del più e del meno. Spike e io non facciamo sempre parte del gruppo, perché ci sono dei cani che con Spike non vanno d’accordo; è normale, e in particolare se si tratta di altri cani di grossa taglia ci si evita per non creare situazioni imbarazzanti. Ma gli amici di Spike sono tanti e quando ci incontriamo le passeggiate sono più divertenti fatte in compagnia. Le sue preferite sono Macy e Piera, due cagnoline meravigliose. Spike è un furbone buongustaio! Macy è una cucciola di Cavalier King Charles; oltre a essere bellissima è veramente un delizioso bocconcino: quando vede arrivare Spike e me ci corre incontro con le sue orecchie danzanti e appena ci raggiunge si butta letteralmente pancia all’aria per farsi salutare dal suo amico gigante. Il suo papà umano Gabriele è tra le persone che al parco incontriamo più spesso; Gabriele ama scrivere - è anche parte del suo lavoro - e adora farlo immerso nella natura, così qui lui trova l’ispirazione e Macy si diverte un mondo... un’ottima soluzione per entrambi. Piera invece è una cagnolona di taglia medio-grossa, adottata dai suoi simpatici proprietari Roberto e Gianna dal canile di un paese vicino. Ha un carattere splendido, è socievole e giocherellona con tutti, ed essendo quasi della stessa taglia di Spike, quando il gioco diventa «poco delicato» nessuno dei due sembra rimetterci troppo. Vederli giocare e divertirsi è una sensazione unica... Uno dei miei sogni è quello di poter un giorno arrivare alla simbiosi, all’empatia totale: poter passeggiare tutti insieme cani e padroni, senza guinzagli, senza il bisogno di guinzagli ma con un solo legame, quello del rispetto e dell’amicizia. Il signore con il suo alano arlecchino Artù è una delle persone che incontriamo più spesso anche durante la settimana, ma
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non possiamo dialogare a tu per tu: Spike e Artù sono entrambi maschi e dominanti, sarebbe un gran pasticcio... così, quando ci vediamo da lontano, ci indichiamo a vicenda il percorso che intendiamo seguire per non far incontrare i cani, ci scambiamo i saluti e ci aggiorniamo sulle novità a buona distanza. A volte è una situazione decisamente buffa, ma anche se il proprietario di Artù è un uomo distinto pressappoco dell’età di mio padre, non sembra disturbato da questo dialogo pittoresco e ci salutiamo sempre con molto entusiasmo. Anche a grande distanza, in inverno, quando la vegetazione non è fitta basta alzare un braccio e accennare un saluto che subito viene ricambiato. Poi ci sono i campioni di eleganza. Il sabato mattina incontriamo quasi sempre Giulia con i suoi due barboncini neri. Si dice che i cani assomiglino ai loro proprietari; ecco, non voglio dire che Giulia assomigli a un barboncino, ma sicuramente le sue due «bimbe» hanno molte caratteristiche che le rendono «sue». Anche lei è scura di capelli, e se si presenta con un accessorio particolare come degli occhiali da sole viola, immancabilmente le due barboncine sfoggiano pettorina e guinzaglio in tinta. Tutto questo è fantastico e mi diverte moltissimo, perché dietro la ricercatezza di un accessorio c’è quello di cui le due cagnoline hanno bisogno: amore, amicizia e rispetto. Ricordo anche la signora con levriero in cui ci imbattemmo in un giorno freddissimo: per la figura e il portamento sembrava stessero sfilando, e mentre Spike e io eravamo imbacuccati alla bell’e meglio con i nostri soliti colori sgargianti, loro sfoggiavano addirittura un coordinato di alta moda: sciarpa e cappello di lei erano dello stesso scozzese che avvolgeva la coperta del levriero, stretta da una cintura di cuoio intorno... la classe non è acqua! Tra gli incontri che hanno per protagonisti i levrieri c’è anche un ragazzo che ho scoperto essere il presidente di un’associazione che salva i cani di questa razza destinati alla morte, protagonisti di famigerate corse illegali, usati
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come oggetti e poi lasciati a morire, spesso con le gambe spezzate. Poi c’è Michael. La prima volta che lo incontrammo notò le ferite di Spike e mi fermò per chiedermi cosa gli fosse successo. Capii subito che non era italiano, o meglio: come seppi dopo era italiano ma da sempre trapiantato a Londra, e quindi parlava molto bene ma con un buffissimo accento. Era al parco con i cani di sua sorella, e appena rivolsi a loro l’attenzione rimasi esterrefatta: erano due bellissimi barboncini bianchi, ma con le orecchie tinte di fucsia! Fu il mio turno di fare domande, e lui mi assicurò che non si trattava di nulla di nocivo; la sorella era una persona molto eccentrica e nel negozio di toelettatura di cui era cliente, conoscendola, le avevano proposto quella novità, arrivata da poco dall’America... Che dire? Non amo affatto queste cose, ma se non è nocivo per il cane, allora che ognuno faccia quello che ritiene giusto! Passeggiammo un pochino insieme e Michael mi raccontò della sua vita a Londra, dove viveva in un minuscolo appartamento, non aveva la possibilità di dare casa a un cane ma prestava servizio come volontario al canile. Il parco si conferma un luogo interessante per i rapporti sociali, se si ha voglia di parlare e di ascoltare. E quando Spike e io, lungo il nostro itinerario preferito, veniamo notati dai proprietari di una certa casa (dove abitano insieme a un enorme pastore tedesco con tanto di bandana al collo, a un cagnolino di piccola taglia e a tanti gatti persiani), capita anche di vedersi offrire un buon caffè... «La gioia di un cane portato fuori per la sua passeggiatina rallegra gli angeli». J. Bastaire
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capitolo 7
INCONTRI Un giorno di novembre, mentre Spike e io rientravamo dalla nostra passeggiata, da una casa vicina a quella di Marilena e Cesare uscì una ragazzina. Aveva l’aria disperata, sapeva che ero una volontaria ENPA e cercava il mio aiuto. Martina - si chiama così - raccontò che la sera prima qualcuno, passando in auto, aveva buttato un gattino nel giardino della sua abitazione. Non aveva pensato di leggere il numero di targa o di riconoscere il modello dell’auto di quell’essere senza coscienza né cuore: preoccupata per il micio, aveva cercato di prenderlo ma non era ancora riuscita. Il gattino era, ovviamente, terrorizzato e dalla sera prima non usciva dalla siepe nella quale aveva trovato temporaneo riparo. Non esitai a offrirle il mio aiuto. Quell’azione si commentava da sola. Ero sconcertata, affranta e demoralizzata, ma in quel momento la cosa più importante era preoccuparsi del gattino che era già stato traumatizzato a sufficienza. Cercai di tranquillizzare la ragazzina, portai a casa Spike e, tornando, mi procurai un trasportino. Lo posizionammo vicino alla siepe, aperto e con all’interno del cibo, nella speranza che il gattino, affamato come doveva essere, ci entrasse. Ci allontanammo e poco dopo infatti il micio entrò per mangiare. Appena lo afferrai cominciò a miagolare e mi accorsi che aveva bisogno urgente di un veterinario: c’era del sangue vicino al nasino e un polpastrello di una zampina era completamente divelto e sanguinava. Era sporco e malnutrito, e doveva avere al massimo tre mesi. Decisi di portarlo a casa.
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Durante tutto il viaggio in auto il piccolo piangeva terrorizzato, di certo era anche stremato dalla fame. Cercavo di parlargli dolcemente per tranquillizzarlo, ma senza grandi risultati. Arrivata a casa gli diedi alloggio in uno dei bagni di casa: vicino al calorifero disposi una cesta imbottita di vecchie coperte, accanto misi del cibo e dell’acqua, improvvisai una lettiera per i suoi bisogni con una teglia di alluminio usa e getta e lo lascia tranquillo. A casa con me c’era Orazio, il mio gattone di tre anni, e non potevo mettere il piccolo subito a contatto con lui. Non ne sapevo nulla, poteva essere malato e contagioso, avere dei parassiti - quasi sempre presenti nei gattini non ancora sverminati - ed era davvero troppo terrorizzato. Così quella che per me fu una soluzione d’istinto si rivelò essere la mossa giusta. Orazio... anche lui da piccolo se l’era vista brutta. Nel maggio 2006 un sacchetto di plastica contenente lui e i suoi tre fratelli, ben chiuso con lo scopo di provocarne la morte per soffocamento, era stato gettato nel giardino di una mia vicina di casa. Colette, la vicina, mi avvertì subito e corse dal veterinario per accertarsi che stessero bene. Erano piccolissimi, avevano appena aperto gli occhi… I fratelli di Orazio furono fortunati: due li tenne il veterinario, uno venne affidato a una signora che proprio quel pomeriggio era passata dallo studio veterinario in cerca di un micino. Orazio, quello che ora è un gattone di sette chili, era il più piccolo e il più brutto. Colette se lo portò a casa, ma non aveva intenzione di tenerlo. Appena rientrai dal lavoro andai da lei, e me lo fece vedere. Fu amore a prima vista. «Se non lo vuole nessuno significa che è destinato a me» pensai, e così iniziò lo svezzamento di Orazio. Doveva mangiare ogni tre ore, latte in polvere. La prima settimana chiesi addirittura dei permessi per uscire dall’ufficio e tornare a casa a nutrirlo. Ovviamente, il legame che si è creato tra noi è particolarmente forte. Orazio ha dei veri e propri riti da
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cucciolo che mantiene tuttora, come succhiare il mio dito la sera, prima di addormentarsi, straiato accanto a me… E ovviamente non reagì molto bene all’arrivo del gattino. Orazio è geloso, molto geloso, e fino a quel momento era stato il «principe» di casa. Anche se non l’aveva neppure visto, percepì immediatamente la presenza dell’intruso attraverso la porta del bagno, ed era visibilmente preoccupato... L’indomani portai il piccolo alla clinica veterinaria dove la dottoressa di turno, Paola, gli prestò tutte le cure del caso. La diagnosi non era poi così cattiva; sicuramente il micio era terrorizzato e con lui bisognava svolgere un vero e proprio lavoro di «contatto» senza il quale non avrebbe mai recuperato fiducia nell’uomo - e forse non aveva poi torto, considerato il trattamento che gli avevano riservato. Per il resto sia il nasino che il polpastrello si sarebbero cicatrizzati senza conseguenze, le ferite erano state provocate dalla caduta. Con una cura antibiotica di quindici giorni sarebbero stati debellati i parassiti intestinali. Decisi di occuparmi di lui. Non appena si fosse rimesso e il lavoro di contatto avesse dato buoni frutti, gli avremmo cercato una famiglia. Lo chiamai Ombra per quattro ragioni: perché quando lo avevo portato a casa era talmente spaventato che non ero riuscita a capire se fosse una femminuccia o un maschietto, così ci voleva un nome che andasse bene in entrambi i casi; • Ombra è il gatto personaggio di un bellissimo libro intitolato La tredicesima storia; • Ombra perché aveva paura persino della propria ombra! • Ombra perché inizia con la O di Orazio, il mio splendido gattone. I giorni passavano e Ombra, da terrorizzato, si trasformò in diffidente, poi in fiducioso, e infine in coccolone e giocherellone.
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L’antibiotico fece effetto, così poté incontrare Orazio. Da quel momento Ombra gli era sempre addosso per giocare, voleva fare la lotta e rincorrerlo e imitava Orazio in tutto: se Orazio dormiva sul divano, poco distante c’era Ombra esattamente nella stessa posizione, se andava a mangiare, anche Ombra faceva uno spuntino… Quando leggevo a letto prima di dormire, Orazio prendeva subito posizione, accoccolato sopra la mia pancia, e Ombra, piccino ma determinatissimo, saliva con gran sforzo sul letto e si coricava al mio fianco. Orazio mi guadava con occhi rassegnati come sospirando: «Vabbe’... C’è posto anche per lui!... ma non su di te… Vicino, ma non su di te!» Decisi di impegnarmi per trovare a Ombra una casa. La sua segnalazione era già presente sul sito dell’ENPA; tappezzai la mia zona di cartelli con la sua foto e qualche riga di descrizione. Portai volantini dal fornaio, dal fruttivendolo, dal tabaccaio e al bar della mia cara amica Cristiana e fu proprio lì che una mattina, mentre facevo colazione prima di andare in ufficio, una signora giovane e carina entrò nel bar esclamando che doveva assolutamente prendere il numero che aveva visto vicino alla foto di Ombra perché suo figlio Matteo, commosso dal fatto che il gattino avesse sofferto tanto, voleva dargli amore e una casa. Sussultai e mi presentai: «Ombra è a casa mia, venite pure a vederlo quando volete!» e così la sera stessa Ombra, Elena e Matteo s’incontrarono. «E l’antica amicizia, la gioia di essere cane e di essere uomo tramutata in un solo animale che cammina muovendo sei zampe e una coda intrisa di rugiada». Pablo Neruda
I giorni passavano e con dicembre arrivarono anche il Natale e le mie vacanze dal lavoro.
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Di solito dopo aver festeggiato il Natale con la mia famiglia partivo per qualche giorno, ma stavolta non avevo voglia di andare da nessuna parte (e poi ero appena stata in Africa). Decisi che avrei impiegato il tempo libero per l’ENPA e soprattutto per aiutare Spike nella riabilitazione. Fervevano i preparativi per il Natale e sotto l’albero, oltre alla calza di Orazio piena di leccornie, giochi e una bellissima ciotola per l’acqua - tutta bianca con le zampettine stampate azzurre - c’era anche il regalo per Spike, anzi: i regali per Spike, regali meritatissimi! Approfittando di una giornata di sconti pre-natalizi del negozio vicino casa, dove mi reco abitualmente per comprare tutto quello che mi serve per i miei amici a quattro zampe, avevo trovato una brandina con tanto di materassino morbido morbido per onorare i sonnellini del mio amico e, d’accordo con Marilena, l’avevo acquistata. Appena la vide la inaugurò con un salto, si mise subito seduto e tutto fiero del suo regalo mi guardò compiaciuto, approvando con un abbaio la mia scelta. La brandina diventò uno dei suoi luoghi preferiti per schiacciare pennichelle. Marilena la piazzò nella grande cucina dove Spike trascorreva la maggior parte del tempo. I suoi proprietari avevano deciso che non sarebbe più stato da solo fuori, in cortile: temevamo tutti un nuovo gesto di violenza nei suoi confronti. Lui, la vittima, si dimostrava totalmente indifferente al luogo dove aveva subito l’aggressione. Ci passiamo accanto tutti i giorni, uscendo per le nostre passeggiate, e non ho mai riscontrato in lui alcun tipo di emozione, né paura, né sospetto nei confronti di «quel» muro. Qualcosa però è cambiato quando avverte certe presenze all’esterno della casa: basta un rumore, il cigolio di un cancelletto e lui balza verso la finestra digrignando i denti. Come dargli torto? Abbiamo smesso da tempo di chiederci chi ha versato l’acido addosso a Spike. Chiunque sia stato, è ancora
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là fuori, impunito. L’unica soddisfazione per me è pensare che possa vederci mentre usciamo per le nostre passeggiate. «Rosica, rosica!» mi capita di pensare... Tenere quel cagnone in casa sarebbe stato un impegno ulteriore per Marilena, ma perlomeno Spike si dimostrò da subito un bravo cane. Certo, un po’ esuberante: quando arrivavo da loro la sua gioia era incontenibile, mi sembrava di piombare nel bel mezzo di una corsa a ostacoli: Spike cominciava saltandomi addosso per farmi festa, poi correva come un pazzo per tutta la casa manifestando la sua felicità, i tappeti volavano, saltava sulla sua branda e correva davanti alla porta tutto ansioso di uscire in passeggiata. Io ridevo come una bambina e lui si agitava ancora di più, così tra una corsa, un urlo di Marilena, una battuta di Cesare, Spike e io ci dileguavamo nel parco per tornare a casa solo dopo una lunga camminata entrambi affamati, assetati e stanchi. Arrivavamo a camminare nella neve per quasi due ore di fila e i miglioramenti erano evidenti: tutte le persone che incontravamo con i loro amici cani ci facevano i complimenti, Spike era ormai il beniamino di tutti. È incredibile come una passione comune faccia da filo conduttore per incontri che talvolta si trasformano in amicizie e si rivelano essere i più importanti della vita. Oltre a godermi la compagnia di Spike, quelle vacanze servirono a rafforzare la mia amicizia con Marilena e Cesare, che spesso mi invitavano a restare a pranzo da loro. Il biglietto che accompagnava i loro regali di Natale diceva la verità: «Anche nelle azioni più meschine, più brutte, più tristi, come quella che è stata fatta a Spike, può nascere qualcosa di bello come la nostra amicizia». Marilena ha la stessa età di mia mamma e sin dal primo istante, nella circostanza drammatica in cui entrai nella loro casa, mi piacque. Seguo molto l’istinto e «a pelle» la sentii subito vicina. Lavora in banca e si dà un gran da fare per gli altri, è generosa e
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altruista. Come ho già ricordato, i primi giorni dopo l’aggressione di Spike svolse un lavoro magnifico. Conoscendola, chiedere aiuto le è sicuramente costato molto: non ama sentirsi di peso, e a muoverla è stato solo l’amore per il suo cane. Io mi sono sempre fatta molti scrupoli per come piombavo a casa sua, non volevo disturbare e all’inizio concordavamo sempre le mie visite, ma presto Marilena e la sua famiglia mi hanno fatto sentire una di loro. L’amore per Spike fa da comune denominatore e ci ha unito all’istante, tutti desideriamo il suo bene e che non soffra più, così posso dire di essermi integrata totalmente in questa bella famiglia, che ogni giorno ringrazio perché mi permettono di stare con il mio caro Spike. Cesare è totalmente diverso da Marilena: se non lo conosci a fondo e ti fermi a giudicare il suo involucro non hai un quadro molto positivo. Di carattere scontroso e molto spontaneo, può sembrare persino aggressivo, ma avendo l’opportunità di frequentarlo e trascorrendo tempo con lui ho capito che ha un cuore grande. L’unica cosa che gli rimprovero sempre è di essere dispettoso con Spike... il quale in verità non sembra preoccuparsene più di tanto, e quando non gradisce le attenzioni un po’ manesche di Cesare non fa altro che avvertirlo di smettere mostrandogli i denti. Inizialmente, forse, ho un po’ imposto la mia presenza in casa loro, ma ora sembrano contenti di avermi intorno. Cerco di essere sempre serena e contenta, e non perché sia sempre di buonumore, anzi: di solito sbuffo in continuazione! Ma il solo pensiero di andare da Spike, di vederlo felice della mia presenza, vederlo correre come un pazzo per casa in quell’atmosfera da giochi senza frontiere, prenderlo e andare insieme al parco per una passeggiata, semplicemente camminare e stare insieme mi dà buonumore, mi rende serena, tranquilla, mi rilassa. Spike, come poche altre cose nella vita, mi rende felice. Grazie a lui ho riscoperto la gioia nelle piccole cose, ho riscoperto il valore
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di stare bene con poco, e questo poco in realtà è invece tanto, tantissimo per me, perché nessuno mi aveva mai fatto sentire così importante, nessuno salta di gioia quanto mi vede, nessuno mi corre incontro quando varco la porta di casa; a lui non importa che io sia vestita bene, in ordine, impeccabile. A lui importa semplicemente che io ci sia, che io arrivi per le nostre passeggiate, è contento di questo e questo mi rende felice. Si potrebbe pensare che tutto ciò è banale, più comunemente e superficialmente si potrebbe dire: «È SOLO UN CANE!» Proprio così! Chiunque abbia avuto un cane nella vita sa benissimo cosa voglio dire. Quello che ti dà è amore allo stato puro, amore libero. Spike mi ha insegnato la profondità e la ricchezza delle cose semplici come una carezza al momento giusto, uno sguardo d’intesa quando ne hai bisogno. Coloro che liquidano la cosa come se io stessi delirando, è perché non hanno mai interagito veramente con un animale, non ne hanno mai incontrato lo sguardo né di conseguenza l’anima. Ora che so cosa significa, perché l’ho vissuto, è certamente una mancanza enorme, un vuoto incolmabile. «Chi non ha mai posseduto un cane non sa cosa significa essere amato» ha scritto Arthur Schopenhauer. Nessuna creatura può donarti tanto. Con questo non voglio assolutamente sminuire il valore dei sentimenti e degli scambi tra persone, ma quello che si riceve dagli animali è di tutt’altra natura, profondità, trasparenza e sensibilità. L’amore che ricevi e che vivi è libero da qualsiasi secondo fine o riscontro, ti amano perché amano semplicemente stare con te, per trascorrere dieci minuti in tua compagnia sono capaci di aspettarti un intero giorno e di fare di quei dieci minuti il centro della loro esistenza. Tra le cose più importanti che mi ha insegnato Spike c’è la forza di guardarmi dentro e di vivere secondo principi che per me sono fondamentali. La sua amicizia non ha fatto solo eco
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alla mia voglia di dare e fare per gli indifesi, di evadere dalla routine e sentirmi finalmente viva, ma ha inciso ancora più profondamente sulla mia vita personale, rendendo più nitida la consapevolezza di vivere una realtà sentimentale ormai naufragata da tempo, il mio matrimonio. Il mio amore per gli animali è una passione autentica che mi accompagna da quando ero una bambina e sarà con me in ogni passo della mia vita, non un’evasione dall’ambiente famigliare o un passatempo per sciogliere lo stress da lavoro. La vita con Claudio, il mio ex marito, nonostante i bei momenti che porterò nel cuore e ricorderò sempre con un sorriso, non era quella che desideravo per me. Ero stanca di dovermi preoccupare semplicemente dell’apparire e di ciò che riguardava il benessere materiale. I miei sogni non corrispondevano ai suoi, le mie esigenze non erano le sue, credevo in principi che lui non condivideva e soprattutto crescendo, maturando, le mie convinzioni venivano supportate dall’esperienza che facevo sulla mia pelle, vissuta in prima linea, coinvolgente, di situazioni e viaggi meravigliosi. Non riuscivo in nessun modo a farmi ascoltare, tantomeno a rendere partecipe chi era al mio fianco in ciò che mi faceva stare bene, che mi dava soddisfazione. Non entro nel merito del giusto e dello sbagliato, perché non è di questo che si tratta. Semplicemente per me tutto quello che facevo con l’ENPA e soprattutto con Spike, anche se nato da una situazione dolorosa, mi dava pace, e non potevo dividerlo con il mio compagno; ma, cosa più importante, mi rendevo conto, giorno dopo giorno, che non sarei più potuta tornare indietro a occuparmi della gabbia dorata che era la mia vita con lui. In passato avevamo già vissuto una rottura che poi avevamo superato, o almeno cercato di superare, ripromettendoci di essere più vicini l’uno all’altra. Forse non ci credevamo veramente, forse l’affetto reciproco ci aveva abbagliato facendoci pensare, anche un po’ per comodità,
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che si potesse vivere bene lo stesso, accontentandoci di quello che avevamo. Ma né io, né lui siamo stati in grado di dedicare ogni energia al nostro rapporto - o, forse, né io né lui siamo capaci di farci andare bene delle situazioni di comodo - e alla fine di comune accordo abbiamo deciso di separarci definitivamente, nella maniera più discreta, ricordando solo le cose belle che l’uno aveva fatto per l’altra. Non avevamo la minima intenzione di sprecare altre energie in un rapporto finito da tempo. Io ringrazio ogni giorno Spike per la forza che mi ha dato in quei momenti. Non intendo dire che è merito suo, ma sicuramente grazie alla mia amicizia con questo fantastico cane sono ritornata in contatto con valori ed emozioni che da tempo erano sopite e che risvegliandosi dentro di me non potevano più essere soffocate. Una passeggiata, un abbraccio, un sorriso, il piacere di trascorrere del tempo a contatto della natura, emozionarsi per un piccolo traguardo conquistato, tutto questo per me aveva più valore di qualsiasi altra cosa. Ero cresciuta in campagna dai nonni, con gli animali, trascorrendo le giornate all’aperto, vivendo di emozioni condivise con persone che amavano le stesse cose, e ora potevo dire che la vita che volevo era diversa da quella che stavo vivendo. L’unico modo per essere leale con gli altri e con me stessa era voltare pagina, vivere ciò che mi faceva stare bene senza danneggiare chi era al mio fianco e che non capiva ciò che tante volte avevo provato a spiegargli. Arrivò Capodanno, e il mio amico Spike non poteva non entrare nel nuovo anno con qualcosa di rosso, secondo tradizione. Mi recai in città e comprai una bellissima bandana rossa. Ora la indossa con disinvoltura, ma quando gliela mostrai per la prima volta mi saltò addosso e la prese in bocca, convinto che fosse uno straccetto di quelli con cui ci capita spesso di giocare al tiro alla fune!
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capitolo 8
UNA MANO IN MENO, UN’AMICA IN PIÙ SPIKE sta bene!!! Si è conclusa la raccolta dei fondi AIUTIAMO SPIKE. La cifra raggiunta copre le spese sostenute per le operazioni. Grazie a VOI questo meraviglioso cane è tornato a vivere. Spike sta bene, ha recuperato forze e voglia di giocare. Appena ci vede fa le feste e ci «trascina» a fare le passeggiate che tanto ama. È un cane formidabile, di gran carattere e temperamento. Ha vinto la sua battaglia e con lui tutti voi che l’avete aiutato.
Erano i primi giorni di febbraio, e anche se sapevamo che avrebbe portato per sempre i segni dell’aggressione subita, Spike migliorava a vista d’occhio. La zampa posteriore era sempre più forte, e ormai la appoggiava sempre. Andavo da lui tre volte la settimana, il martedì e il giovedì in pausa pranzo lo prendevo e andavamo al parco per una passeggiata rigenerante, il sole cominciava a essere caldo e insieme godevamo di quell’angolo di paradiso. Il sabato invece andavo da Spike la mattina per una passeggiata più lunga. La seconda settimana di febbraio cambiai i miei programmi e andai da Spike di lunedì, perché il giorno seguente avrei dovuto eseguire dei controlli in ospedale. Era una giornata ormai primaverile e dopo un po’ il caldo cominciava a farsi sentire. Spike e io corremmo giù dalla collina nel grande
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prato ridendo come matti - lo facciamo sempre - e pensai di farlo bere alla fontanella vicino all’area di ristoro, attrezzata con panche e tavoloni di legno. Come sempre, mi posizionai dietro la fontanella per aprire il rubinetto a pressione in modo che Spike potesse bere tranquillamente, ma non mi accorsi che il rubinetto era rotto. Quando azionai il pulsante sentii un dolore fortissimo al mignolo della mano sinistra che, non trovando il movimento rientrante del rubinetto, nell’urto si era come divelto dalla mano. Dal male mi si annebbiò la vista, tutto d’un colpo mi sentii debolissima e mi accasciai per terra. Non potevo perdere totalmente i sensi, non potevo lasciarmi andare perché mi trovavo in mezzo al bosco, da sola con Spike. Cosa ci sarebbe successo se mi fossi sentita male? Se fossi svenuta? Così cercai di mettermi almeno seduta. Spike si comportò in maniera esemplare: nonostante non lo tenessi più al guinzaglio non ne approfittò per farsi un giro libero da tutto, capì perfettamente che non stavo bene, che mi era successo qualcosa e mi restò accanto finché non fui in grado di rimettermi in piedi. Restò lì, vicino a me, e con la testa mi dava dolcemente dei colpetti sul viso, poi mi si metteva di fronte e mi chiamava abbaiando per attirare l’attenzione. Voleva che non perdessi i sensi, che non mi deconcentrassi. Così, anche grazie al suo aiuto, mi rimisi in piedi, presi il guinzaglio con la mano sana e ci avviammo pian piano verso casa di Spike. Marilena mi medicò con una pomata e mi bendò la mano in modo da contenere il dolore. Ne sentiì beneficio, non ero ferita, non si vendevano tagli. Presi l’auto e, sempre con molta calma e attenzione, mi recai in ufficio. La mano era diventata gonfia e blu e continuavo a sentire un forte dolore, così poco dopo mi portarono al Pronto Soccorso. Fu un’odissea: arrivata alle 14,30 del pomeriggio, mi visitarono
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alle 23,30 per dirmi che avevo fratturato il 5° metacarpo della mano sinistra. L’indomani avrei dovuto presentarmi in sala gessi per farmi visitare dall’ortopedico e medicare con una bendatura rigida. Insomma, avrei dovuto portare il gesso per un po’ di tempo! Non volevo crederci, mi ero fratturata il dito. E ora come facevo? Il lavoro, tutte le cose che dovevo fare, soprattutto Spike... lui aveva bisogno di me! Ero così giù di morale e stanca per quella giornata infinita che quando arrivai a casa mi lavai in qualche modo e mi addormentai subito. La mattina seguente il mio morale precipitò ancora più giù, perché quando l’ortopedico mi visitò e, soprattutto, dopo aver guardato le lastre della mia mano, mi diede la brutta notizia che mettere il gesso non bastava: la frattura era scomposta, e quindi avrei dovuto subire un piccolo intervento chirurgico per riposizionare l’osso rotto nel giusto sedimento. La guarigione sarebbe stata lunga, lunghissima. Mi avrebbero operato il 16 febbraio e solo nei primi giorni di aprile sarei stata libera da tutto. Era davvero troppo tempo, come facevo a organizzarmi? Non potevo certo stare a riposo fino a quel giorno! Non potevo assentarmi dal lavoro tutto quel tempo, non potevo non occuparmi di Spike, e soprattutto per qualsiasi esigenza o spostamento avrei avuto bisogno di qualcuno, dovevo chiedere di essere portata nel tal posto piuttosto che da un’altra parte: quanto avrei resistito? E soprattutto, quanto mi avrebbero sopportato in quello stato? Be’, non avevo scelta. E alla fine tutto andò bene. Le persone che mi sono state vicino, i miei genitori in particolar modo, sono state fantastiche, mi hanno sopportato e accontentato in tutto. Più di quanto mi aspettassi e meritassi. I primi giorni dopo l’intervento furono i peggiori: la mano mi faceva molto male, non trovavo nessuna posizione comoda, di giorno sdraiata sul divano con la borsa del ghiaccio, dal male non riuscivo nemmeno a leggere, di
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notte non riuscivo a dormire perché sentivo più dolore e non c’era verso che il braccio, ingessato fino al gomito, mi permettesse di trovare una posizione confortevole. Non potevo uscire perché il dolore non mi permetteva neppure di stare in piedi per tanto tempo. Lentamente, però, le cose migliorarono e dieci giorni dopo ripresi ad andare in ufficio. Almeno una sera la settimana e sempre al sabato mattina mi recavo, accompagnata ovviamente, dal mio Spike. Spike mi vide dopo esattamente cinque giorni dall’operazione. Appena arrivai la felicità gli si leggeva negli occhi, ma subito la sua attenzione fu attirata dalla mano con il gesso. Sentiva che mi faceva male, stava attento nel muoversi quasi non volesse rischiare di urtarmi, la annusava e poi mi guardava, leccava le dita che sporgevano dal gesso... Completamente conquistata da lui, piansi dalla commozione. Fu in quel periodo che mia mamma e mio papà incontrarono Spike e la sua famiglia. Con mia mamma fu subito un coccolone ruffiano, si fece subito voler bene: le saltava addosso tributandole, a modo suo, tutti i complimenti del mondo, lei parlando dolcemente gli diceva di stare giù, gli spiegava che non era abituata a tanta forza, a tanta energia. La reazione con mio padre fu completamente diversa. Conobbe Spike un sabato mattina, e il mio amico non gli diede affatto il benvenuto, anzi: gli abbaiò forte, forse non gradiva che fossi accompagnata da lui, non capiva chi fosse quella presenza. Allora gli parlai con dolcezza, come faccio sempre, poi diedi un bacio a mio padre sulla guancia, abbracciandolo, e Spike capì. Da allora in poi fece le feste anche a lui, alzandosi sulle zampe posteriori per giocare e chiedendogli il biscotto. Spike entrò anche nel loro cuore, fecero amicizia con Marilena e Cesare e quando ci aveva per casa, Spike era al settimo cielo, e non esitava a dimostrarlo.
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Il giorno che mi tolsero il gesso volli festeggiare. Era il pomeriggio di una giornata bellissima, portai Spike al parco e a noi si unì mia mamma... che vide così dove andavo quando non pranzavo con i miei genitori. Ero la persona più felice del mondo. Stavo così bene, ero così tranquilla, stavo gustando una passeggiata con Spike e la mia mamma... mi sembrava un sogno stare con loro, insieme. Mia mamma, che da sempre comprende quello di cui ho bisogno, e Spike, che una volta di più mi ricordava, con la sua semplicità mai scontata né banale, di cosa dovevo nutrire il mio spirito per arrivare finalmente a sentirmi bene. La gioia di dare agli altri, di donare senza aspettarsi niente, avendo in cambio un dono meraviglioso, più prezioso di regali costosi, vestiti alla moda e gioielli preziosi, la pace nel cuore. Una volta di più, mentre mi godevo quella passeggiata in un pomeriggio di aprile, mi ripromisi di proteggere con tutte le mie forze quella conquista e di custodirla come uno degli insegnamenti più importanti della mia vita. Quello che ho ricevuto da Spike in particolare e che ricevo dal mio gatto Orazio ogni istante e ogni volta che interagisco con i miei amici animali, è AMORE nel suo significato più vero, un sentimento dove non importa più chi è uomo, donna o animale, ciò che c’è tra noi va al di là delle classificazioni e oltre il pensare comune. Non mi vergogno a sostenerlo, anche se da molti verrò considerata esagerata e antimorale: non mi importa niente, so che quello che do è autentico e quello che ricevo è puro, e se il prezzo da pagare è essere derisa e considerata infantile non mi importa. Per loro sono disposta a sopportare questo e altro, come sono certa che loro non arretrerebbero mai davanti a nulla per me. Il mio non è un tentativo di personificare gli animali, anzi: loro sono così fantastici che se fossero più simili all’uomo perderebbero delle qualità uniche. Quando parlo di amore
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per loro è per sostenere che la loro presenza è importante quanto quella delle persone. La loro amicizia è ugualmente preziosa, stare con loro arricchisce altrettanto lo spirito. Quindi se succede loro qualcosa di brutto, quando si ammalano o muoiono, soffriamo tanto, tantissimo, il vuoto che lasciano è incolmabile, come la perdita di un componente della nostra famiglia. Provare dolore, piangere, sentire la loro mancanza è legittimo perché commisurato al bene che sentiamo, come in qualsiasi rapporto affettivo. Chi sa cosa intendo non può fraintendermi. Con la mano infortunata, tutte le mattine, aspettavo che mio padre passasse a prendermi per accompagnarmi in ufficio, e fu in quei momenti di attesa che feci un altro incontro fondamentale. Infatti, proprio all’interno della casa limitrofa alla mia, tutte le mattine mi imbattevo in una graziosa e simpatica cagnolina, che attirò la mia attenzione per quanto sapeva suscitare in me infinita dolcezza. Si chiama Lilly e, purtroppo, non è libera di muoversi come vorrebbe perché i suoi padroni la tengono legata a una corda. Giorno dopo giorno, presi confidenza con lei finché una sera, al ritorno dall’ufficio, la vidi completamente ingarbugliata in quella maledetta corda. Suonai il campanello, ma nessuno mi rispose. Non ci pensai due volte e, forzando il cancello, mi precipitai all’interno del giardino. Fortunatamente non era (ancora) in una situazione di pericolo, ma non mi andava di lasciarla così e far finta di nulla. Mi avvicinai e la liberai, per poi risistemare per bene la corda e rimetterla come i suoi proprietari desiderano. Dicono che danneggia il giardino scavando buche, così si giustificano dicendo che con una corda abbastanza lunga lei è «libera» di muoversi e loro limitano i danni. Ovviamente non sono assolutamente d’accordo e continuo a insistere perché la situazione cambi,
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anche se non è facile trattare con persone che considerano gli animali dei suppellettili. Appena tornarono a casa mi precipitai da loro per raccontare quanto accaduto e far loro sapere che ero entrata nella loro proprietà, ma solo ed esclusivamente perché Lilly era in pericolo; da quella sera, Lilly vive sotto la mia protezione. Ho avuto il permesso di occuparmi di lei, che è quello che desideravo dal momento stesso che sono entrata a liberarla. Usciamo a fare una passeggiata due volte al giorno, la mattina presto verso le sei, prima che io vada al lavoro, e la sera prima di cena per la mia corsetta quotidiana nel bosco. Correre mi aiuta a scaricare lo stress e lei si diverte a seguirmi, mi fermo per i miei esercizi e lei si riposa o cerca le coccole seduta accanto a me; insomma, divido con lei l’inizio e la fine della mia giornata e, vi assicuro, per questo non potrei trovare niente di meglio della sua compagnia. Lilly non aspetta altro che i suoi amici umani le dedichino un po’ di attenzione e passino un po’ del loro tempo con lei. Come Spike e tutti i cani, non chiede di più e ci ripaga della moneta più preziosa, un’amicizia eterna e fedele che mai verrà tradita, rinfacciata né tanto meno soppesata. Se solo cercassimo di essere più simili a loro saremmo tutti persone migliori. Lilly è una delle creature più dolci che ho avuto la fortuna di incontrare. La nostra amicizia è un’altra bella cosa nata per puro caso da un evento negativo, la conferma che non tutti i mali vengono per nuocere... nemmeno le fratture alle mani. «Ben entra piano nell’acqua fredda finché non gli arriva al busto, poi nuota per andare a prendere una palla di gomma che gli lancio io, lontano, nel grosso stagno. È una vista magnifica quella di Ben che fende l’acqua, con gli alberi alle spalle, alla luce della sera. Dopo la passeggiata serale e la nuotata, ci sediamo nell’erba alta che costeggia gli stagni.
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Ben si scrolla per asciugarsi, poi si sdraia accanto a me, a osservare e ascoltare. Le anatre arrivano pigramente in volo nello stagno piĂš sopra Highgate Hill. La gente ci passa sopra. Dietro di noi padri e figli giocano con gli aquiloniÂť. David Wilson, Una vita da scapolo con cane
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capitolo 9
TERAPIA PER TUTTI «C’è nell’uomo un soffio, uno spirito che assomiglia al soffio e allo spirito di Dio. Gli animali non ne sono privi». Giovanni Paolo II
Accanto alle attività di protezione degli animali, l’ENPA svolge delle attività sociali che hanno lo scopo di avvicinare la popolazione e sensibilizzarla sui temi del rispetto e della tutela degli animali e della natura in generale. Giorgia è la volontaria con cui condivido l’organizzazione di queste attività, in particolare le manifestazioni rivolte alle persone anziane e ai bambini. Giorgia lavora in un asilo nido e con i bimbi è a dir poco fantastica. È giovanissima - ha poco più di vent’anni - ma la sua maturità supera di gran lunga quella di molti adulti di mia conoscenza, e la sua voglia di adoperarsi per aiutare gli altri è incontenibile. Forse sarei dovuta essere io a insegnarle qualcosa, visto che ho dieci anni di più, e invece è successo il contrario: Giorgia mi ha aiutato a credere in me stessa, a sentirmi libera. Non importa se ciò che faccio non trova il consenso che mi aspetto: l’importante è che faccia bene a me e, naturalmente, che non danneggi gli altri. La lezione di vita di Giorgia mi è arrivata accompagnata dal suo esempio, perché lei preferisce sacrificare quello che di norma le ragazze della sua età mettono al primo posto, i vestiti, le borse, le scarpe... lo shopping insomma, e impiegare gran parte dei suoi guadagni
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per curare gli animali. Non si vergogna di ammettere, anzi ne va fiera, che i suoi vestiti sono spesso comprati ai mercatini dell’usato o regalati da chi sa quanto bene fa per gli altri. Nei suoi grandi occhi blu c’è la gioia di vivere, e le auguro di restare sempre così meravigliosamente «pura». Dal mese di dicembre ci stavamo occupando insieme all’ENPA di Varese (sezione con la quale spesso collaboriamo insieme a quella di Monza e Brianza) di un sequestro di un canile-lager a Gornate Olona, in provincia di Varese. Proprio durante i giorni della mia degenza, dopo tutta la solita e il più delle volte troppo lunga, dannosa e assurda trafila burocratica, ci fu permesso, in qualità di Ente investito di autorità dall’Amministrazione Comunale e dal Tribunale, di entrare finalmente nella struttura e occuparci di quei poveri cani. Il lavoro dei miei colleghi volontari fu esemplare e mi rammaricai molto di non poter essere con loro. I cani più sfortunati, più deboli, più malati non erano riusciti a sopravvivere alla lunga attesa del nostro soccorso, ma i sopravvissuti furono curati e affidati a famiglie che li hanno accolti nelle loro case. Riuscii invece a essere presente alla festa di Carnevale alla casa di riposo intercomunale della città di Saronno «FOCRIS», nella quale durante tutto l’arco dell’anno svolgiamo attività ricreative ed educative. Tra gli anziani ospiti ci sono realtà sofferenti, tristi, ingiuste e noi, come il personale che lavora al loro fianco tutti i giorni, cerchiamo di offrire a queste persone occasioni di spensieratezza e allegria. A Carnevale con loro avremmo fatto un po’ di tutto: colorato maschere, fatto lavoretti di bricolage da regalare ai loro famigliari, ascoltato le cose che avevano voglia di raccontarci, ma soprattutto portato tanti bambini in maschera e i nostri amici cani tra le sedie e le carrozzine di queste anime, facendoli sorridere, facendoli commuovere con le loro storie, scattando
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insieme foto ricordo e divertendoci tutti insieme. Arrivai alla casa di riposo con Spike. Ci accompagnava Mirko, che ormai seguiva sempre più da vicino il recupero di Spike (e anche il mio...). Giorgia ed Evi erano felicissime della sua presenza e lui le ricambiò con le sue feste acrobatiche, salti e corse senza fine. Il cane leone divenne il beniamino di tutti. Tenne un comportamento esemplare: all’inizio era un po’ spaesato, non essendo abituato a stare insieme a tanta gente e ad altri cani, ma si adattò subito. Mi ascoltava, camminava lentamente tra gli ospiti per farsi conoscere mentre io raccontavo loro la sua storia e loro lo accarezzavano. Si sedeva, mi dava la zampa e i baci, insomma mostrava tutto il suo repertorio e si vedeva chiaramente quanto ne fossi orgogliosa e quanto profondo fosse il bene che gli volevo: tutti dicevano che i miei occhi brillavano guardandolo. La giornata si concluse con una merenda a base di chiacchiere e succo di frutta, tanti racconti e soprattutto con la promessa di ritornare a breve per un altro pomeriggio in compagnia, ma all’aria aperta, non appena il tempo lo avrebbe permesso. Fu un’esperienza davvero toccante perché sperimentai di persona quello che avevo letto su tanti libri e riviste: come la presenza di un cane, di un animale possa far bene all’animo delle persone. Io non avevo bisogno di prove, ma ebbi l’ennesima conferma che questi esseri sono speciali. Avevano portato allegria e buonumore, incuriosito persino gli ospiti più chiusi in se stessi, frantumato le barriere della solitudine. Un uomo che non aveva voluto parlare, colorare, interagire con nessuno di noi né tanto meno con il personale della struttura, appena ebbe vicino Spike allungò la mano per toccarlo e girò lo sguardo per incontrare i suoi occhi. Spike non compie miracoli, non è questo che voglio farvi credere perché non è così. Ma lui e tutti i cani, i gatti, gli altri animali, in alcune occasioni sono terapeutici, sono in grado di portare
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pace, tranquillità, buonumore. So che quello che hanno ricevuto gli ospiti della Focris quel pomeriggio è stato tanto e ha giovato loro per tanto tempo, non solo nell’istante in cui siamo stati insieme. Ciò che hanno ricevuto e condiviso va oltre, resta dentro, il ricordo li fa sorridere, dà loro felicità. Per loro è una storia da raccontare, da condividere, una storia che terranno nel loro cuore. Gli animali possono essere il tramite che unisce mondi lontani, colmano distanze infinite, avvicinano situazioni estreme. Con loro si interagisce con persone anche gravemente problematiche, come quelle affette da autismo; riescono ad arrivare in fondo allo spirito perché loro stessi ne possiedono uno e conoscono più di chiunque altro la solitudine. Jon Kats, nel suo Izzy & Leonore, una storia d’amore ha immaginato di far parlare uno di loro: «Sono qui per farti visita, per darti un po’ di conforto. Non chiedo nulla in cambio, eccetto di poterti stare vicino». «Sono giunto alla conclusione che nulla è più misterioso o toccante delle emozioni che i cani possono suscitare, nulla è più straordinario della loro capacità di aiutarci a guarire. (…) Spesso mi sono chiesto dove nasca il potere terapeutico dei cani. Come fa Izzy ad avvicinarsi con estremo tatto ai malati? è un dono, il suo, o mero istinto, o, ancora, un veicolo attraverso il quale passano i calori umani? Un mito? Ho letto montagne di libri, articoli e saggi sui cani utilizzati per alleviare il dolore degli uomini è non ho mai trovato una spiegazione chiara a questo fenomeno. (…) Tuttavia non esistono prove scientifiche a sostegno di tali capacità. Certi studi dimostrano che le persone che vivono con uno o più animali sono più longeve e godono di una salute migliore di coloro che non ne possiedono: fanno più movimento, hanno una buona pressione sanguigna e un cuore più sano. Ma non si va oltre queste semplici considerazioni. Per quanto mi riguarda, mi piace il mistero insito nelle doti degli animali. Alcune straordinarie capacità, dei cani come degli altri animali,
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permangono semplicemente inesplicabili per l’uomo che, purtroppo, non è dotato del medesimo acuto istinto. La presenza degli animali nelle case di cura, negli ospedali e nelle scuole dove vengono affiancati ad adulti e bambini affetti dalle più diverse malattie, disabilità e problemi emotivi, li aiutano a sentirsi meglio, li inducono a sorridere». Amo leggere. E amo leggere di tutto, dai romanzi alle storie di spionaggio ai gialli, ma ultimamente la mia attenzione si è concentrata sulle storie vere riguardanti il rapporto uomoanimale. Conoscendo questa mia passione, Evi mi ha proposto di curare uno spazio dedicato alla lettura sul sito Internet dell’ENPA di Saronno. Così ho una rubrica tutta mia, Letti per voi, nella quale, a cadenza mensile, consiglio la lettura di un libro che mi è particolarmente piaciuto sull’argomento della condivisione della vita con gli animali, non solo cani e gatti ma anche animali selvatici. Da questo spazio è partito un progetto molto più importante, rivolto in particolare agli studenti: il «Progetto Liceo». In sede funzionava già lo «storico» gruppo «ENPA junior», voluto e curato da Giorgia: lei e un gruppo di ragazze e ragazzi si riuniscono una sera la settimana e, oltre a occuparsi degli animali della sede svolgendo il turno settimanale di pulizia, pappa e terapie, preparano il materiale di sensibilizzazione sui diritti degli animali che affianca tutte le nostre iniziative pubbliche. Parlando con Evi delle forti emozioni che certi libri hanno suscitato in me e della corrispondenza - fino a quel momento a carattere puramente personale - che mi capitava di scambiare con tanti autori, le ho proposto di organizzare degli incontriconferenze serali per gli adulti e diurne, appunto al liceo, con i ragazzi. Volevo che tante altre persone incontrassero chi aveva vissuto e descritto quelle incredibili esperienze di
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empatia uomo-animale. Pensavo che se solo una di quelle storie che tanto avevano cambiato la vita dei loro protagonisti avesse lasciato un messaggio, un valore, un sogno destinato a durare nel tempo, se anche una sola persona fosse rimasta coinvolta come lo ero rimasta io, sarebbe stato abbastanza per giustificare l’intero progetto e lo sforzo per realizzarlo. Perché la luce che brilla negli occhi di chi vive questi legami profondi, magari spendendo la propria vita per tutelare creature in via di estinzione, ma anche semplicemente alimentando un rapporto basato sulla reciproca stima e rispetto, ha qualcosa di contagioso: se sei pronto a coglierla, ti lascia nel cuore una sensazione magica. Una piccola luce nasce anche in te e può trasformarsi in un faro, guidandoti su un percorso che ti porta a spenderti per chi ha più bisogno. E se questo non succede a tutti, regala comunque qualcosa di più prezioso di un semplice programma televisivo. Così è nato il nostro progetto: gli incontri con gli autori sarebbero stati il primo passo per sensibilizzare tutti, ma in particolare gli adolescenti, alle tematiche della protezione e della tutela della natura e degli animali. La nostra convinzione è che solo coinvolgendo i ragazzi, sicuramente meno condizionati dai pregiudizi e dai preconcetti rispetto alle generazioni precedenti, si possono aprire nuovi spiragli di coscienza perché la battaglia di civiltà per i diritti dei più deboli - tra cui gli animali - possa continuare e risultare vincente. E il progetto, presentato all’attenzione del Comune come iniziativa di cultura sociale per le conferenze serali e per entrare all’interno del Liceo Scientifico, ha subito trovato parere favorevole, ottenendo addirittura il patrocinio del Comune stesso. Il primo incontro è stato con Laura Mancuso, moglie di Angelo D’Arrigo, il deltaplanista pluricampione del mondo, scomparso nel marzo 2006. Laura ha raccontato del carattere e della passione che ha permesso a D’Arrigo di raggiungere
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traguardi sportivi di altissimo livello, di scrivere pagine di storia con le sue imprese e soprattutto della vocazione che ha messo al servizio della protezione e della salvaguardia dei grandi signori del cielo: aquile, condor, uccelli migratori, contribuendo in prima persona a salvare persino una specie in via di estinzione come le gru siberiane. Sara Turretta, presidente di Save the Dogs, ha raccontato come ha dedicato la propria vita al salvataggio dei cani in Romania; Alessandra Soresina, biologa e fotografa, ha descritto la sua esperienza in Tanzania, dove si occupa della tutela dei grandi felini africani all’interno del Lion Project Tarangire. Ogni incontro è stato un’emozione e un successo. E una salutare boccata d’ossigeno per noi che nei momenti più difficili, quando (troppo spesso!) ci troviamo di fronte a casi strazianti, ci domandiamo se ce la faremo mai a estirparlo, un po’ di male, se riusciremo a svuotare il mare della violenza sugli indifesi con il piccolo cucchiaio che è il nostro lavoro di volontari. Quando queste domande ti tolgono il sonno e ti fanno montare la rabbia, serate come quelle sono come delle ricariche di energia e di fiducia. Se tanto deve essere ancora fatto, l’azione di un singolo è già un successo. Il singolo sarà parte di una squadra più grande, una singola voce potrà diventare un coro. I nostri interventi nei canili, nelle case di chi chiede aiuto per gli amici animali non riuscirà sicuramente a cambiare il mondo, ma certamente cambia delle vite: la vita delle vittime, e soprattutto quella di chi presta loro soccorso. E nel programma di incontri del Progetto Liceo sono comparsa anche come relatrice, per raccontare ai ragazzi l’esperienza che ho vissuto in prima persona a contatto con i cetacei nell’estate del 2004 a bordo della Gemini Lab, imbarcazione del Tethys Research Institute. A parlare con me c’era Gilberto Germani, figura importantissima dell’ENPA, responsabile dell’Ufficio nazionale antivivisezione. Non potete immaginare cosa
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significhi ascoltare i racconti di quest’uomo: si resta incantati e affascinati da tutto ciò che narra, con la sua esperienza e la sua preparazione riesce ad avvincere la platea più esigente... figuriamoci dei ragazzi incuriositi dal nostro ruolo di volontari! Gilberto ha tenuto una bellissima introduzione, spiegando il nostro operato con cani e gatti, gli animali di affezione a noi più vicini, ma sottolineando anche il diritto di tutti gli animali al rispetto e alla tutela. Ha toccato quindi argomenti come la reclusione degli animali selvatici in circhi, acquari, delfinari e parchi acquatici, introducendo così la mia testimonianza sulla possibilità di osservare i cetacei non reclusi in una gabbia d’acqua, ma liberi nel loro habitat naturale. Accompagnando il mio racconto con fotografie e filmati, ho descritto la mia partecipazione a una spedizione scientifica in qualità di volontaria pagante. Mi sono sempre interessata e documentata moltissimo sui cetacei: per me erano una passione fin da ragazzina, i giganti del mare come le balene mi hanno sempre incuriosito e affascinato. La loro mole imponente in contrasto con la loro eleganza e straordinaria sensibilità, la profonda intelligenza e soprattutto i tanti punti di contatto tra la loro specie e la nostra... Avevo già fatto qualche escursione sul Mar Ligure, nella zona che sarebbe poi divenuta il «Santuario dei cetacei», ma desideravo approfondire quell’esperienza. Contattai il Tethys Research Institute, un’organizzazione privata non-profit specializzata nella ricerca dei cetacei, e appresi che offrivano la possibilità di partecipare alle loro spedizioni. Bisognava ovviamente rendersi disponibili a collaborare con i biologi nello svolgimento di mansioni di ogni tipo e contribuire con una quota di partecipazione a sostegno della ricerca. Durante le spedizioni, i biologi compiono vere e proprie ricerche con il fine di studiare il comportamento delle balene, censendo
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i gruppi di cetacei presenti nel nostro mare. Grazie a fotografie e prelevamenti di tessuto, di ogni esemplare incontrato si compila una scheda che ne raccoglie tutti i dati identificativi. In questo modo, negli anni, si è formato un ricchissimo archivio. La «mia» spedizione durò dieci giorni, durante i quali feci di tutto: oltre ai turni di avvistamento delle balene e dei delfini a qualsiasi ora del giorno e della notte, c’erano le attività di routine per l’equipaggio di un’imbarcazione come quella, dalla preparazione dei pasti alle pulizie. Ho avuto la fortuna di trascorrere quei giorni in presenza del Presidente della fondazione, Sabina Airoldi, che oltre ad arricchire ulteriormente le nostre giornate con i suoi racconti di avventure intorno al mondo ha dato l’opportunità a tutti noi di essere presenti alla registrazione di un documentario, svoltosi a bordo, per la trasmissione televisiva Geo&Geo. Ed è stata una spedizione fortunata anche perché un tardo pomeriggio, quando ormai la giornata di ricerca sembrava conclusa, abbiamo incontrato e fotografato la balena Margherita. La sua caratteristica è di avere solo metà coda, particolarità che la rende facilmente riconoscibile nel momento in cui si immerge. Da quasi due anni i biologi non la incontravano, già temevano il peggio... ed ecco che «la ragazza» si è fatta ammirare nuovamente. A bordo è stata come una festa: sembravano tutti impazziti di gioia. Ho consigliato alcune letture sull’argomento per chi volesse approfondire: La vita segreta delle balene di Robert Payne, vero e proprio manuale indispensabile per chi vuole scoprire ogni dettaglio su questi animali, e Il ragazzo e il defino di Pascale Noa Bercovitch, meravigliosa storia vera di amicizia e solidarietà tra un delfino tursiope e un ragazzino sordomuto. Abbiamo concluso la conferenza parlando dell’importanza di dare e fare qualcosa per gli altri, chiunque essi siano, animali,
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bambini, anziani, di salvaguardare la terra sulla quale viviamo cambiando il nostro atteggiamento da padroni assoluti, di renderci conto che siamo tutti, umani e animali, parte di uno stesso disegno e che l’uno non può prescindere dal destino dell’altro. I ragazzi ci hanno ascoltato con attenzione, e poi sono fioccate le domande. Di quella mattina conservo ancora un ricordo prezioso. Spero anche di aver lasciato un piccolo seme. Chissà che magari non porti a qualcosa di più grande... «Ritengo che gli acquari come gli zoo sono ergastoli per animali nati per vivere liberi. Costringere un delfino, un pescecane, una balena nati per i grandi spazi degli oceani a vivere in una vasca significa ridurli a uno stato simile alla pazzia. È quello che potrebbe succedere ad una persona innocente che fosse condannata all’ergastolo per un errore giudiziario. Perciò acquari e zoo non sono nemmeno utili per far conoscere le caratteristiche e le abitudini di questi animali. D’altra parte oggi ci sono tante istruttive trasmissioni televisive che ci mostrano questi animali nel loro habitat naturale. Io spero che si voglia riflettere su questa inutile, dispendiosa e crudele impresa, che altro non è che una delle tante sofferenze che l’uomo egoisticamente e vigliaccamente infligge a creature innocenti». Margherita Hack
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capitolo 10
LICIA Non lontano da qui, un’associazione chiamata «Gli amici del cane» ha attrezzato uno spazio all’aperto dedicato appositamente ai nostri amici a quattro zampe, dove possono correre, sfogarsi e giocare liberamente. Non si poteva non offrire a Spike l’occasione di provarlo e un sabato pomeriggio, dopo la consueta passeggiata nel parco, ci prendemmo un altro paio d’ore tutte per noi e andammo al «Parco del Cane». Fummo i primi ad arrivare e Spike ne approfittò per godersi in solitaria quello spazio sicuro: annusò ed esplorò tutto, dall’erba ai tavolini agli attrezzi, correva lungo la recinzione e dopo un po’ tornava da me, entusiasta ed eccitato da quell’ambiente nuovo e stimolante. Si può dire che i cani sorridono? Credo proprio di sì, e sicuramente quel giorno Spike aveva un sorriso stampato sul suo bel muso. Quando arrivarono altri cani si comportò in maniera esemplare, facendo conoscenza e giocando per un po’, ma sembrava più che altro interessato a tenere la situazione sotto controllo. Si guardava attorno fiero e attento, e da un certo momento in poi non prestò più molta attenzione agli altri. Avevo dato appuntamento a una persona che poi sarebbe diventata una delle mie amiche più care. Volevo farle conoscere Spike e avere da lei un parere professionale. Vera, questo il suo nome, è un’educatrice cinofila, e qualche tempo prima avevo visto il suo biglietto da visita appeso nella bacheca del parco e deciso di chiamarla. Da qualche giorno, infatti, Spike aveva un atteggiamento alquanto bizzarro. In più occasioni aveva tentato di avere la meglio sia su di me sia sulla
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sua padrona; il suo poteva essere facilmente frainteso come un gesto di dominio sessuale, invece - così mi avrebbe spiegato Vera - non lo era affatto: si trattava di un sintomo del disagio che Spike provava, dell’accumulo di stress e tensione che gli derivava dall’aggressione subita e che sfogava in quel modo. Quel pomeriggio Vera arrivò con Joska, la golden retriever insieme alla quale ha conseguito il diploma di educatrice cinofila. Si fece annusare da Spike, poi iniziammo a camminare, e Spike prese a manifestare il suo comportamento dominante anche con lei. Ogni volta Vera, per tutta risposta, si girava prontamente a dargli le spalle e «ringhiava» un deciso. NO! Conoscendo la sua storia e osservandolo, mi disse che probabilmente Spike doveva ancora smaltire l’esperienza dell’aggressione subita, a cui si era aggiunta la situazione per lui nuova di vivere all’interno della casa: come accade alle persone, anche i cani possono vivere il cambiamento come uno stress. Secondo Vera il problema era risolvibile, ma ci sarebbe stato bisogno di qualche seduta insieme alla persona con cui Spike normalmente trascorreva più tempo, cioè Cesare. Bastarono una decina di incontri: Vera corresse il comportamento dominante di Spike e lavorò con lui per migliorare la convivenza in famiglia: ad esempio, Spike imparò a stare calmo durante i pasti altrui e a non voler sempre assaggiare tutto. Perché lui imparasse davvero era necessaria la collaborazione di Cesare, che ricevette da Vera le istruzioni su come dare la pappa a Spike in maniera corretta. Alcune sedute furono dedicate al rispetto degli spazi e altre a insegnare a Spike a non tirare al guinzaglio quando incontrava altri cani. Ero certa che con l’aiuto di una professionista sarebbe diventato ancora più bravo e educato. Tutte le sue manifestazioni «burrascose» si fecero meno frequenti e sia Cesare, sia Marilena ne furono molto soddisfatti. Anche loro, ora, erano in grado di
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comprenderne il linguaggio e di rapportarsi con lui in modo più armonioso ed equilibrato: in particolare, ora sapevano che sgridare un cane come fosse un bambino in realtà non solo non serve, ma addirittura ne rafforza i comportamenti scorretti... Anch’io, grazie alla presenza e all’aiuto di Vera, imparai dei comandi-base che tutt’oggi risultano davvero importanti per gestire diverse situazioni. Consiglio a tutti quelli che dividono la vita con un amico cane di rivolgersi a un educatore: non si devono sottovalutare il carattere né le esigenze del nostro amico, e alcuni nostri atteggiamenti che riteniamo «giusti» possono essere fraintesi e creare confusione nell’animale. Grazie a poche sedute guidate da questi esperti saremo più felici e tranquilli, i nostri amici e noi. Dopo quel primo incontro con Vera rientrammo a casa. Spike svuotò in un attimo la sua ciotola piena d’acqua e si sdraiò, completamente rilassato, vicino a me e si addormentò soddisfatto di quella giornata all’aperto, delle esperienze nuove e piacevoli, di quel posto strano ma tanto bello che gli avevo fatto conoscere, dove aveva potuto sfogarsi, libero dal guinzaglio. Abituato e già contento della sua routine, stava scoprendo giorno dopo giorno, passeggiata dopo passeggiata qualcosa di nuovo, e i suoi progressi nel relazionarsi con gli altri, sia con le persone che con gli altri cani, erano sorprendentemente soddisfacenti. Ero davvero felice di quello che Spike mi stava dimostrando. Certi suoi progressi, che potrebbero essere interpretati come banali, erano per me una dimostrazione infinita di intelligenza e di quanto questo cane fosse straordinario. Quando avevamo iniziato a uscire per le nostre passeggiate, Marilena e Cesare mi avevano raccomandato la massima attenzione: se nel parco avessimo incontrato qualche altro cane, dicevano, Spike avrebbe cominciato a tirare e avrebbe cercato di scappare per corrergli incontro, e non sempre con intenzioni amichevoli. Certo, a volte faceva così, ancora adesso succede che alcuni dei cani che
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incontriamo non gli sono proprio simpaticissimi - soprattutto quelli di piccola taglia - e tende ad agitarsi, ma incontro dopo incontro capisce che gli altri cani non sono una minaccia per lui, non sono il nemico. Anzi, ora a volte sembra dimostrare persino una regale indifferenza e molto più interesse nei confronti di quanto lo circonda e tira dritto, tutto aria soddisfatta e passo sicuro, fiero e armonioso. E così, oltre alle nostre incursioni nel bosco, da quel pomeriggio abbiamo un appuntamento fisso al «Parco del Cane», e le cose che facciamo insieme diventano sempre di più. Ho portato nella vita di Spike un po’ di novità, un sabato mattina siamo usciti in passeggiata con Evi e Buki, la sua dolcissima pechinese. Quel giorno dovevo passare da lei a ritirare dei documenti prima di andare da Spike, e ha fatto la bellissima sorpresa di farsi trovare pronta con Buki per una lunga passeggiata, tutti e quattro insieme. Fu uno spasso: quando arrivammo a casa di Spike lui capì immediatamente che con me c’era qualcun altro e, dopo il solito rituale di benvenuto, salutò con entusiasmo anche Evi, che già conosceva, e poi dimostrò curiosità per la piccola Buki. Si annusarono per bene e poi tutti insieme ci incamminammo verso il parco. Spike era il capo della muta, seguito da tutte noi. Ogni tanto tornava indietro, si metteva dietro Buki e, annusandola, la sollevava di peso con il muso: sembrava volerla spingere verso il parco. Lei non era per niente intimorita, anzi: alzando il musetto con aria snob tirava dritto accelerando solo un po’ il passo, come a dire: «Ho capito!» Fu una mattina splendida, il sole era caldo, la primavera ormai inoltrata e tutto era inondato dai suoi colori pastello. Incontrammo moltissime persone, Spike e Buki ogni volta fecero gli onori di casa; dopo le presentazioni, si giocava un pochino e poi ognuno proseguiva per la sua strada. Rientrammo nella stessa formazione, Spike in testa e noi «signorine» al seguito.
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Qualche giorno dopo, durante una delle passeggiate in pausa pranzo, ricevetti una telefonata tanto inaspettata quanto importante. La persona che mi chiamava per conto di Licia Colò era Alessio Guerini e lavorava al programma televisivo ANIMALI & ANIMALI. Da sempre ammiro l’impegno di Licia a favore degli animali, e sin dall’inizio della vicenda di Spike le avevo scritto per denunciare quanto il mio amico era stato costretto a subire per la malvagità umana. Licia mi aveva risposto tempestivamente, con alcune righe che per me furono preziose: capiva il mio disgusto nei confronti di tutto ciò e mi era vicina perché dalle mie parole sentiva chiaramente quello che provavo, sapeva quanto soggetti come l’aggressore di Spike fossero pericolosi e, affinché tutta questa violenza gratuita non restasse vana, aveva denunciato l’accaduto parlandone nel suo sito. Nel corso dei mesi successivi continuai a scrivere alla trasmissione, tenendola informata sullo stato di salute di Spike. E ora Alessio, collaboratore «storico» di Licia, mi stava confermando che avevano letto le mie mail, che si erano appassionati alla storia e avevano preso a cuore il destino di Spike... insomma, erano diventati suoi fans. Si informò delle condizioni di Spike e io risposi tutta fiera che proprio in quel momento ci stavamo godendo il sole primaverile nel parco delle nostre passeggiate quotidiane. A quel punto, Alessio mi spiegò che stavano programmando le puntate estive della trasmissione e che sarebbero stati felici di dedicarne una a Spike. Non mi sembrava vero: mi stava invitando a raggiungerli a Roma, la settimana successiva, per portare in TV la storia di Spike! Avrei raccontato a tutti la violenza subita e la sua battaglia per sopravvivere. Lui sarebbe stato il protagonista; io sarei stata solo la sua voce. Per me non si trattava di una soddisfazione personale, ero orgogliosa del mio amico, avevo sotto i miei occhi la sua voglia
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di vivere, la sua felicità quando ero insieme a lui ed ero fiera di poterlo raccontare. Avrei avuto il privilegio di parlare per lui e di testimoniare il sentimento che a lui mi lega. Mi sarebbe piaciuto che venisse a Roma con me; in fin dei conti quello era il «nostro» viaggio. Per motivi organizzativi e pratici, invece, dovetti andare sola. Spike però sarebbe stato lo stesso con me, come sempre, insieme a quanto di più prezioso ho nel mio cuore... E così la settimana successiva partii per Roma, in treno, andata e ritorno in giornata. Alla stazione ad aspettarmi c’era l’autista di ANIMALI & ANIMALI, un ragazzo simpaticissimo che mi accompagnò in un agriturismo alle porte della città dove veniva registrata la trasmissione. Emozionatissima, gli chiesi di Licia: ero così emozionata e contenta di conoscerla che non stavo più nella pelle. Licia è già straordinaria vista in TV, ma vi garantisco che di persona è ancora meglio. Mi ha subito fatto sentire come in famiglia, chiacchierava con me come se ci conoscessimo da sempre. Non è stato molto il tempo che ho trascorso con lei e con l’equipe di ANIMALI & ANIMALI, ma posso dire che tutte quelle persone le ho sentite davvero vicine. Come succede sempre, anche se ognuno di noi è sicuramente unico e diverso dagli altri, con le persone a noi affini non ci sente mai estranei perché si è sintonizzati sulla stessa lunghezza d’onda: in qualche modo ci si «riconosce». Già il fatto di registrare in un meraviglioso agriturismo e non in un freddo studio televisivo era di per sé rilassante; già si respirava una straordinaria armonia e un clima di collaborazione tra le persone «addette ai lavori»; ma soprattutto ho potuto cogliere in quella circostanza che tutti insieme si lavorava accomunati da un unico nobile denominatore, l’amore per gli animali, l’informazione e la sensibilizzazione per il loro rispetto e la loro tutela. La giornata volò e il tempo di tornare a Milano arrivò presto. Mi rimisero sul treno e io, appagata dalla splendida giornata e cullata dal movimento del treno, mi assopii
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e arrivai a Milano senza accorgermene. Era l’ora di cena e ad attendermi c’erano i miei genitori. Insieme gustammo una pizza mentre raccontavo i dettagli della giornata, mostrando le foto che avevo fatto insieme a Licia e le dediche che mi aveva scritto sui suoi libri, che avevo portato con me per rendere ancora più speciale quella giornata. La puntata dedicata a Spike venne mandata in onda il alle 13 del 19 giugno 2009. Come si può immaginare, ero emozionata e impaziente. Avevo registrato una breve intervista, in cui Licia mi faceva raccontare l’accaduto, il procedere della guarigione di Spike e il crescere della nostra amicizia, ma anche per me il «lavoro finito» era una sorpresa. A Roma mi avevano spiegato che ciò che avevo registrato sarebbe stato montato ed elaborato con le foto e i filmati che io stessa avevo fornito. Non appena saputa la data della messa in onda avevo avvisato tutte le persone a me care, quelle che ritengo sensibili all’argomento e naturalmente l’ENPA, che si mobilitò per far conoscere a tutti, con comunicati stampa sul sito e sui quotidiani locali, che la storia di Spike sarebbe arrivata in TV. Era un onore e un’occasione far sapere quello che Spike aveva sopportato. Era giusto far conoscere per sensibilizzare, per denunciare, per condannare. Chi aveva commesso quella violenza doveva sentirsi sprofondare dalla vergogna, sentirsi un uomo senz’anima vedendo con quanto amore Spike era stato aiutato da tutti, sostenuto, curato, amato. Anche se probabilmente quell’individuo non guarda le trasmissioni di Licia Colò, non si sofferma a leggere gli articoli che denunciano le violenze sugli animali né leggerà mai le mie parole... Stavo pensando a questo quando mi trovavo a tavola con la mia famiglia e la trasmissione iniziò. Licia iniziò ricordando altri casi di violenza avvenuti in passato su cani innocenti come Spike e
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introdusse la nostra storia. Partirono i filmati, vennero mostrate le foto e gli articoli di giornale, e infine mi presentò. Ero evidentemente emozionata, ma rivedendomi constatai con una certa soddisfazione che ero riuscita a esporre chiaramente gli argomenti e a rispondere a tutte le domande di Licia. Volevo far onore a Spike e quindi dovevo essere esauriente e distaccata ma anche trasparente, lasciando emergere il mio coinvolgimento. Mentre mi riguardavo mi commossi di gioia e di dolore allo stesso tempo, per tutto quello che Spike aveva dovuto subire, per la tortura alla quale era stato ingiustamente sottoposto e per gli straordinari risultati che era stato in grado di ottenere; il mio LEONE era in TV, tutti potevano sapere che era riuscito a guarire al meglio, recuperando le forze, senza restare traumatizzato da quanto gli era successo. Spike è il mio orgoglio, sono immensamente fiera di lui. Nessuno mi ha mai fatto un regalo tanto bello come Spike credendo nella vita, nelle proprie forze, credendo anche in me e lasciandosi curare, fidandosi delle mie parole e delle mie promesse. Ed ecco adesso, davanti ai miei occhi, un altro regalo: uno dei giorni più belli ed emozionanti della mia vita. Grazie a Spike avevo conosciuto una persona che stimo enormemente. Certo, è stato emozionante apparire in TV ed ero felice di averlo fatto e di aver vissuto quell’esperienza con Spike, ma la cosa che mi ha fatto più piacere è stato l’aver dato visibilità al nostro operato come ENPA, alle nostre iniziative, a quello che facciamo ogni giorno. Per una volta tutti i volontari della mia sezione erano protagonisti con me e venivano loro riconosciuti i sacrifici che fanno quotidianamente, «rubando» tempo alle famiglie per dedicarlo ai loro amici sfortunati. Per esperienza personale so che non sempre chi ci è accanto capisce davvero la passione che ci anima, e così il lavoro che abbiamo scelto di svolgere diventa ancora più duro. Affrontiamo spesso situazioni tristi, faticose e sconfortanti,
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e poterle condividere con chi ci è vicino è un privilegio enorme. Per questo, anche per le persone che ci danno il loro appoggio e condividono la nostra passione, è stato un onore raccontare una delle tante nostre storie. Ciò che ci muove è l’amore che proviamo per gli animali e il non smettere mai di credere che le cose possano cambiare, almeno un po’, che non può sempre vincere il «non vedere», il «far finta di niente», sapendo che ognuno di noi traccia la propria strada, disegna la vita che vuole vivere. Spesso anche all’interno dell’ENPA nascono delle polemiche, non sempre si è tutti d’accordo: c’è chi vuole che una cosa sia fatta in un modo, chi nell’altro; qualcuno dà importanza a un aspetto, qualcun altro agisce di testa sua... insomma, non è sempre facile, ma l’importante è che ognuno può fare qualcosa, dare il proprio contributo sulla base delle sue possibilità. Molte volte ho fatto violenza su me stessa per guardare realtà sconvolgenti per quanto erano violente ai danni di questi esseri più deboli. Li torturano, li vivisezionano, li scuoiano vivi per quello schifo di pellicce, li allevano per poi ammazzarli, e si giustificano dicendo che «sono da allevamento» o che usano il pelo di quelli già morti: certo, ma come muoiono non lo dicono affatto, ho visto filmati arrivare da un paese vicino all’Italia dove risolvono il problema del randagismo esclusivamente con la violenza, senza il minimo scrupolo, e l’unico faro di luce su questa drammatica realtà é una ragazza italiana e la sua associazione SAVE THE DOGS AND OTHER ANIMALS che da anni si batte per questi poveri cani ottenendo risultati incredibili - ma mai sufficienti per cambiare totalmente la situazione tuttora tragica. Ho guardato in faccia tutte le realtà come questa, so che non posso più tornare indietro e mi adopero, giorno dopo giorno, per fare qualcosa, con tutte le forze che ho. Ho visto dove voglio arrivare ma soprattutto come e con chi, e la ricompensa sono i piccoli miracoli che talvolta vedo accadere. Quello che si ha dentro assomiglia alla magia,
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non tutti la vedono, la comprendono, ma chi riesce a coglierla ne rimane come impigliato. Non parlo di magia che cambia il mondo, parlo di gesti quotidiani che ognuno di noi può compiere, possono cambiare qualcosa e in particolare cambiano noi stessi rendendoci migliori. Credo che l’uomo non abbia progredito nel corso della storia per distruggere il suo patrimonio, credo che una svolta sia possibile, ma solo attraverso un disegno unanime, una sensibilizzazione maggiore, una coscienza diversa da quella attuale, più profonda. Credo servano anche istituzioni che garantiscano la salvaguardia dei più deboli anche se non «servono» per le campagne elettorali; credo in individui come Gareth Patterson, l’uomo che ha restituito alla libertà i suoi tre leoni e dedica la vita agli animali selvaggi in Africa, credo in Stacey O’Brien che ha condiviso la vita con un piccolo gufo, credo in Jane Goodall che ha salvato e salva moltissimi primati, credo in Henry, il cane protagonista del libro Un amico come Henry di Nuala Patterson, che ha curato il suo padrone dall’autismo, credo in Jill Robinson che salva gli «Orsi della Luna», credo che gli uomini non siano proprio tutti uguali e che se anche i media ci soffocano di luoghi comuni, propinando Grandi Fratelli, salotti domenicali, valanghe di squallore, uomini di potere a caccia di favori sessuali in cambio di raccomandazioni, chi vuole, chi ha coscienza può trovare anche possibilità e realtà diverse: con il lavoro, la dedizione, il sacrificio i sogni si possono avverare, e se non si avverano pienamente almeno si è vissuto fino in fondo spendendo le proprie energie per qualcosa in cui si crede. Io ho curato un cane di nome Spike che mi ha cambiato la vita e al quale voglio molto bene. Il bene di queste creature meravigliose e indifese, i loro cuori puliti come li chiamo io, sono la forza che alimenta le nostre energie per non mollare mai davanti alle difficoltà a volte devastanti, ingestibili e apparentemente insormontabili.
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capitolo 11
LE MERITATE VACANZE «Possiamo giudicare il cuore di un uomo dal modo in cui tratta gli animali». Immanuel Kant
All’inizio dell’estate la nostra sezione dell’ENPA organizza sempre una festa in onore dei cani, un’intera giornata dedicata ai nostri amici a quattro zampe. La manifestazione si svolge nel parco di una villa comunale dove vengono allestite bancarelle, stand e percorsi a ostacoli per trascorrere una giornata in allegria tutti insieme. All’interno di questa manifestazione, oltre a una dimostrazione di «Agility» con dei cani estremamente atletici e intelligenti si svolge anche una simpatica sfilata per tutti quelli che aderiscono all’iniziativa. Già dal mattino, aperte le iscrizioni, classifichiamo i partecipanti dividendoli in tre categorie: piccola taglia, grande taglia, cane più simpatico. Ognuno sfila in una breve passerella insieme al suo amico umano per poi avere una valutazione da una giuria amatoriale, composta da nostri simpatizzanti. Tutto il ricavato della manifestazione è destinato alle cure e al mantenimento degli amici più sfortunati. Per me si tratta sempre di un’occasione speciale, ma quella festa del «Cane Fantasia» è stata ancora più speciale: Spike ha ricevuto un premio. Tra una sfilata e l’altra, Spike e io siamo stati invitati a raggiungere il centro della manifestazione e a raccontare la storia della nostra
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amicizia nata in seguito alla sua aggressione. Evi, che ha presentato e coordinato tutta la manifestazione, ha esposto brevemente i fatti e l’evolversi della sua degenza e successiva guarigione. Quasi tutti lo conoscevano, quasi tutti avevano letto di lui sui giornali e la reazione unanime dei presenti è stata commovente. Quando Evi ha premiato Spike con la coppa di CANE CORAGGIO è stato un trionfo, tutti hanno applaudito commossi e una musica di grida di gioia, cori e manifestazioni d’affetto hanno riempito le nostre orecchie. Alla premiazione c’era ovviamente anche la famiglia di Spike. A Marilena e Cesare è andata tutta la riconoscenza che meritano per aver tenuto duro in quei momenti di dolore e di rabbia, rispondendo a un atto ignobile con tutto l’amore possibile. Non so se Spike ha idea di quante persone lo amino e di come lo amino. Forse non ne ha piena coscienza, ma vi garantisco che per ciascuno di noi, che gli siamo vicini, ha un suo modo di ricambiare che non è mai lo stesso. Io amo prendergli il muso fra le mani e coccolarlo a dovere, lui arretra di un solo passo, mi guarda diritto negli occhi, piega leggermente la testa verso destra e torna per ricoprirmi il viso di baci. Decisi che quell’anno avrei trascorso le vacanze estive con Spike. Volevo avere più tempo per stare con il mio amico senza essere schiava di orari, corse in ufficio e impegni vari. Con me e Spike ci sarebbe stato Mirko. In quei mesi mi ero resa conto che è l’amore della mia vita, l’uomo che partecipa con passione a ogni mio progetto, condivide ogni mio stato d’animo, semplicemente cammina al mio fianco sempre, la persona giusta, che ha capito come sono e mi vuole bene per ciò che sono. Cercai un posto dove la presenza di Spike fosse accettata, dove rilassarci, riposare, passeggiare nella natura. Dopo il periodo burrascoso che avevo trascorso sentivo la necessità di staccare da tutto. Dopo un’attenta ricerca trovai un bellissimo agriturismo sulle colline toscane vicino a Camaiore. I cani erano ammessi, anche di grossa
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taglia; raccontai al proprietario la storia di Spike e sembrò davvero felice di ospitarci. Partimmo il giorno di ferragosto. Il viaggio fu tranquillo: nonostante Spike non sia abituato ad andare in auto, si dimostrò un bravissimo passeggero. A metà strada ci fermammo per una sosta e per i suoi bisogni, una sgranchita di gambe e poi via, non vedevamo l’ora di arrivare per goderci la nostra vacanza e scoprire un posto nuovo. All’arrivo il proprietario ci mostrò la porzione di casolare che per una settimana intera sarebbe stata la nostra casa. Sistemammo con calma tutte le nostre cose mentre Spike ci aiutava a modo suo, sempre dietro le nostre gambe per controllare quello che facevamo. Avevamo portato anche la sua brandina per farlo sentire a suo agio oltre alla pappa e alle sue medicine. Niente più medicazioni dolorose ormai, ma la cicatrice che ha sulla testa necessita di essere costantemente idratata e ben pulita, altrimenti la cute si secca troppo e si lacera. Oltre alle sue creme di routine ora avevamo con noi anche una crema solare ad alta protezione, proprio come quella per i bimbi: la troppa esposizione al sole caldo dell’estate poteva scottare al povero Spike le zone di pelle che gli rimanevano esposte. Bastò davvero poco perché Spike si ambientasse. Capì subito quale era la sua nuova casa e la nostra zona all’interno della proprietà. L’agriturismo è in completa armonia con la natura, circondato da 5 chilometri di percorsi e sentieri sicuri e perfettamente praticabili. Spike ci svegliava alle sette per la sua corsetta e così uscivamo a goderci il fresco delle prime ore della giornata. Durante quelle passeggiate abbiamo incontrato gli animali che popolano le colline toscane: la volpe, il tasso, lo scoiattolo, il fagiano e parecchi cinghiali. In cielo si vedevano volare i falchi, con le loro ali spiegate disegnavano percorsi che spesso ci incantavamo ad ammirare. La ricca vegetazione, con le tante qualità di piante di alto fusto come il castagno, il faggio, il pino mediterraneo, l’acacia ci permettevano sempre di scovare percorsi ben ombreggiati per non far patire
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a Spike il caldo estivo. Visto il caldo tropicale di quell’estate, la vacanza fu davvero un toccasana: in collina le temperature non erano così elevate e la presenza di una bellissima piscina a nostra completa disposizione aiutava nelle ore più calde della giornata. Spike amava sdraiarsi sul bordo della piscina e tenere sotto controllo tutti i miei movimenti. Le prime volte che mi tuffai abbaiò spaventato, io allora mi avvicinavo per rassicurarlo... e dopo un paio di giorni nemmeno ci faceva più caso. La nostra settimana di relax non è trascorsa solo nel silenzio e nel verde della natura: abbiamo portato Spike a Lucca e una sera siamo andati a cena a Forte dei Marmi, con tanto di passeggiata tra i favolosi negozi, e un’altra sera a Viareggio. A Forte dei Marmi Mirko e Spike sono stati protagonisti di un vero e proprio show: ero entrata in un negozio ad acquistare delle cartoline e, quando sono uscita, ho trovato Mirko circondato da un capannello di persone che stavano ascoltando... la storia di Spike! Una persona, mi raccontò poi Mirko, gli aveva chiesto perché il cane non avesse più le orecchie e cosa fossero quelle cicatrici, e lui aveva iniziato a raccontarlo, trovando subito un pubblico interessato e partecipe. Sono sempre felice di poter dire che abbiamo incontrato sulla nostra strada tante persone che amano i cani e gli animali, ma mi permetto di osservare che se si vuole davvero risolvere e arginare il problema dell’abbandono e del randagismo, soprattutto concentrato nel periodo estivo, bisogna creare più strutture che permettano l’accesso dei cani. Pianificando la nostra vacanza avevo contattato diversi hotel in Versilia prima di decidere per l’agriturismo, e qualcuno era ben disposto ad accogliermi con Spike, ma non mi era riuscito di trovare neppure uno stabilimento balneare che ci permettesse di portarlo con noi in spiaggia. La maggior parte delle strutture alberghiere e dei ristoranti, poi, accolgono solo cani di piccola taglia,
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dando per scontato che la misura della taglia sia direttamente proporzionale al disturbo arrecato dal cane: piccolo cane, poco disturbo, cane di grossa taglia, ingestibile. Be’, non funziona così. La mia esperienza mi fa osservare che è necessario porre l’attenzione sull’educazione del cane e non sulle dimensioni. E anche per questo motivo, quando si decide di dividere la propria vita con un cane sarebbe opportuno, soprattutto per i primi mesi, farsi affiancare da un bravo comportamentista o educatore cinofilo, che ci insegni come comportarci non solo in casa o in passeggiata, ma anche nei locali pubblici. Saremo così liberi di portarlo ovunque senza vivere situazioni imbarazzanti, condividendo ogni nostra esperienza con lui. La settimana di vacanza volò in un attimo. Spike fu bravo e tranquillo anche durante tutto il viaggio di ritorno, ma non appena riconobbe la strada che portava al cortile della sua casa cominciò a piangere di gioia come solo i cani sanno fare, strappandoti l’anima. Quando vide Marilena e Cesare che lo aspettavano sulla soglia di casa la sua felicità esplose incontenibile e cominciò ad agitarsi finché non fu tra loro braccia... ero felice di aver avuto la prova del meraviglioso amore che lega Spike alla sua famiglia. Spike ha il cuore pieno d’amore ed è sereno dopo tutto quello che ha sopportato, Spike è un vincitore assoluto. «Ben ha fatto una cosa strana. È arrivato fino in riva al mare, si è seduto e ha preso ad abbaiare alle onde. Non so cosa gli passasse per la mente. Il cane di città era diventato un tutt’uno con la natura e la stava salutando dicendo arrivederci… Ha lasciato una fila di orme perfette sulla sabbia bagnata, presto saremmo partiti e tutte le tracce del nostro passaggio sarebbero state lavate via. Un paesaggio così pieno di storia ci ricorda che un giorno le tracce di ognuno di noi potrebbero scomparire. Ma conosco un cane che in una breve gita è già stato in paradiso». David Wilson, Una vita da scapolo con cane
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Spike ha nella sua anima un’impronta di memoria che ha il mio volto e la mia voce, io porto con me il suo cuore, il suo grande cuore e il suo coraggio per sempre. Lui si abbandona fra le mie braccia, ricambiando il mio amore a modo suo, senza mai rivelare o spiegare nulla su come fa a leggere la mia anima, limitandosi a manifestare l’affetto, la fedeltà e l’amicizia che lo lega a me per sempre. In una sera di fine estate, dove ormai tutto è tornato alla solita quotidianità, dove il mondo nemmeno per un attimo si é fermato per farci respirare quanto di raro stiamo vivendo, Spike e io ci siamo regalati ancora una passeggiata nel bosco dove tutto sembra immobile come in un fermo-immagine ma in realtà cambia continuamente, dove abbiamo visto il risvegliarsi del colore dei prati e respirato il sapore delle stagioni, dove abbiamo goduto della vita e del rinascere della natura, dove giorno dopo giorno siamo diventati sempre più amici. Abbiamo camminato tanto, ancora camminiamo e continueremo a farlo senza stancarci, senza guardare indietro ma solo andando incontro al futuro insieme, perché insieme ci regaliamo forza e tutto sembra diverso, anche le cose più brutte hanno una faccia meno brutta e quelle belle sono più intense, condivise con chi ami, arricchiremo vicendevolmente le nostre vite come accade nei rapporti più veri, nelle amicizie profonde, dove non c’è crescita senza confronto, dove non esistono la prepotenza e l’egoismo ma il rispetto dell’altro e soprattutto delle esigenze e necessità dell’amico, dove non c’è tradimento né tantomeno menzogna e ipocrisia. Dove non c’è possesso né dominio. Abbiamo camminato fino a raggiungere il nostro posto segreto e finalmente, sedendoci l’uno accanto all’altra, vicini, appoggiati quasi per sostenerci, dall’altura abbiamo visto il sole tramontare dietro la collina in un crescendo di sfumature
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che spaziano dal giallo, all’arancio, al rosso infuocato. Abbiamo osservato gli altri da lontano lasciando che i rumori di sottofondo insieme al nostro respiro fossero l’unica musica che accompagnava i nostri pensieri, e dentro di me un’unica sensazione prende forma e diventa reale. Grazie, Spike, per avermi regalato quello che in vita mia non avevo mai provato, è immensamente piacevole prendersi cura di qualcuno che ha bisogno di te e che si lascia guidare, sostenere e che ripone in te totale fiducia, ma in realtà - senza saperlo - è lui che ti sta guidando e tenendo la mano in un percorso di crescita che non hai ancora capito di aver intrapreso. Solo ora ho la consapevolezza di aver vissuto anch’io, per anni, dentro il mio personale recinto come un povero cane nel serraglio di un canile, o come la meravigliosa Lilly legata alla corda, e di avere trascorso tanto tempo a correre e correre, a darmi un gran da fare, senza raggiungere mai alcuna meta. Solo ora posso dire di essere libera e, comunque vada a finire questa storia per me o per Spike, sarà stata sempre una vittoria per entrambi, un’esperienza meravigliosa, unica e rara. Spike e io siamo stati davvero fortunati. Spike, amico mio, grazie a te ho migliorato la persona che sono, dando voce a quella parte di me che non trovava fiato, grazie per avermi dato il coraggio di accettare i miei limiti e quelli degli altri senza più volerli cambiare su misura delle mie aspettative, valorizzando l’individualità, la diversità, imparando che ciò che è diverso da noi non è per forza sbagliato o senza valore e che aprendoci agli altri nutriamo la nostra anima; imparando infine ad accettare le realtà che fanno male e che, se non possono essere cambiate perché sono parte di un disegno più grande di noi, vanno affrontate e superate, metabolizzate e soprattutto archiviate, perché solo in questo modo possiamo sentirci liberi di continuare il nostro cammino. Mi hai dato la
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forza di voltare definitivamente pagina, quella pagina che non era più mia. Per la mia rinascita devo dire grazie a te. Mentre scrivo Spike è qui, accanto a me. Ha deciso di mettersi comodo ma di non perdersi niente e così ogni tanto, nel sonno, apre un occhio per controllare che io sia sempre vicino a lui. Anch’io resterò qui, Spike, vicino a te. Grazie Spike, grazie cane-leone, grazie meraviglioso amico mio. «…ricordo di avere accarezzato l’idea, comune ai miti di molte culture, dell’animale che viene a cercarci per toglierci dal nostro isolamento, dal nostro stato di abbandono, e che ci porta in qualche luogo dove da soli non potremmo mai andare». Jon Katz, Izzy&Lenore
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capitolo 12
CIAO SPIKE Mai avrei voluto scrivere queste parole, mai così presto, mai alla fine di questa storia. Ho iniziato a scrivere di Spike dicendo che tutto ha cominciato a sgorgare fuori da me in un giorno triste. Quel giorno avevo accompagnato nell’ultimo sonno un meraviglioso incrocio di cane maremmano che le mie colleghe volontarie e io avevamo curato per due settimane. Era stato investito e lasciato sul bordo della strada con la schiena spezzata finché non ha incrociato i nostri destini, lo abbiamo curato, medicato, nutrito, coccolato, fatto sentire amato dalla nostra famiglia ENPA e abbiamo tentato il tutto per tutto, ma per lui non c’è stato nulla da fare: una forma di setticemia ne aveva già compromesso il sistema immunitario e così, tenendolo tra le braccia, l’abbiamo accompagnato nel suo ultimo viaggio. Ora devo raccontarvi di Spike e di cosa è accaduto, perché in qualche modo questo assurdo cerchio si chiuda… Nel mese di agosto 2010, un anno dopo la nostra vacanza in Toscana, Spike è stato portato via da un cancro alla milza che aveva formato un’enorme massa provocando una pesante emorragia. Abbiamo fatto per Spike tutto quello che si poteva fare, terapie, controlli, indagini, ecografie, e fiduciosi deciso di operarlo per asportare la massa sperando fosse localizzata, tentando il tutto per tutto. Era il 17 agosto quando con Spike ero sdraiata sul lettino dell’ambulatorio di Cristian, il suo veterinario. Lui aspettava l’ecografia ed io ero sopra di lui, il mio viso sul suo muso, le mie braccia cingevano le sue spalle e così
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aspettavamo l’esito finale. All’infinito gli ho sussurrato il mio amore e che tutto sarebbe andato bene, tutto sembrava infatti possibile... Ero a pezzi, l’indomani sarei dovuta partire per la mia vacanza in Africa ed ero pronta ad annullare il viaggio, ma Cristian era fiducioso e si era reso disponibile a tenere Spike per tutta la durata della degenza fino al mio ritorno in modo che fosse costantemente sotto controllo e io potessi partire tranquilla. Quel pomeriggio Spike, Mirko e io siamo tornati da Cesare e Marilena; anche noi eravamo fiduciosi che il nostro leone sarebbe riuscito a sconfiggere quel male oscuro. Marilena e Cesare si raccomandarono di non fare sciocchezze e partire: mi avrebbero chiamato non appena tutto fosse finito e al mio ritorno, dopo soli nove giorni, Spike sarebbe già stato sulla via della guarigione. Alle 18 del 18 agosto atterrai a Nairobi e, mentre stavamo controllando ogni dettaglio della partenza, all’alba dell’indomani, per il Masai Mara, Cristian mi chiamò. Lo capii immediatamente dal suo tono di voce: aveva aperto Spike e trovato una situazione gravissima, che non si sarebbe risolta neppure con l’asportazione della massa tumorale. Tutto l’intestino di Spike era compromesso e sarebbe stata solo questione di giorni, dolorosissimi giorni per il nostro leone. Così aveva chiesto a Marilena e Cesare e adesso stava chiedendo a me: eravamo tutti d’accordo per l’eutanasia, per non far soffrire Spike inutilmente? Stavolta eravamo di fronte a qualcosa che neppure lui sarebbe stato in grado di sconfiggere, neppure mettendoci tutto il suo coraggio e la sua forza. Non volevo crederci, ricordo che non riuscivo nemmeno a parlare, cominciai a piangere e Mirko, che era di fronte a me, si avvicinò e mi abbracciò… Passai a lui il telefono e me ne andai uscii fuori, sulla terrazza dove si vedevano atterrare gli aerei. In Kenia, nella terra che amavo, stavo dicendo addio al mio più caro amico, nella terra dei leoni salutavo il mio
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leone… Mi sentivo sola, persa, stavo male, ero arrabbiata con me stessa, con il mondo intero, non lo avrei più rivisto e appena ventiquattr’ore prima ero con lui per combattere la sua ennesima battaglia… Mi sentii in colpa per essere partita, avrei voluto essere con lui anche non sapendolo solo... In tutto questo male, che provavo e provo tutt’ora senza sosta, provo però una specie di serenità: perché in tutto quello che ho vissuto con Spike nulla è stato lasciato al caso e abbiamo sempre fatto tutto insieme, senza mai rimandare a domani quello che potevamo fare oggi; tutto è stato fatto per il meglio, tutto è stato ipotizzato e analizzato, anche in quel momento; tutto è stato programmato nel dettaglio, era con la sua famiglia, con il miglior veterinario-amico possibile, che lo conosceva bene e gli aveva ridato la vita, e io ero stata con lui ogni giorno da un mese, da quando aveva cominciato a non stare bene… Non so se Spike sentiva che era arrivata la fine, ma quando l’ho lasciato la sera prima della partenza mi ha guardato e baciato come era solito fare e non era l’ultimo saluto, mi stava solo dicendo ciao, vai a vedere i tuoi amati leoni, io sono dentro di te e ci sarò per sempre, sarò qui al tuo ritorno… Invece, sono partita ed è partito anche lui. Sono tornata e il vuoto è incolmabile, ma lui vive per sempre dentro di me. E anche nel suo modo di andarsene mi ha lasciato un’altra grande verità. Sono triste, piango e mi manca immensamente ma non ho rimpianti, Spike mi ha insegnato a vivere ogni istante, ogni attimo e anche nel suo saluto ha voluto così… ha voluto che partissi, che non rinunciassi all’Africa. Lui era con la sua amata famiglia e si è addormentato per sempre tra le braccia della sua dolcissima mamma umana Marilena, al suo fianco c’erano Cesare e Cristian, il veterinario amico. Spike non lascerà mai il mio cuore. Cammino ogni giorno con il suo cuore nel mio e nella mia borsa, sempre, la sua bandana rossa come portafortuna.
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Saluti a Spike Nei giorni seguenti mi arrivarono tutti questi meravigliosi messaggi: tutti avevano Spike nel cuore e mi erano vicini nel dolore assordante che provavo. Spike aveva tantissimi amici, queste parole sono solo per lui e testimoniano la grandezza della sua anima. raffaella ciao, ho saputo da laura di spike...e anche se non l¹ho conosciuto personalmente, ti dico che sono davvero addolorato. è sempre così, almeno per me. almeno quando si tratta di anime gentili...sempre meno umane, ahinoi. è molto bello ciò che hai scritto... sono molto belle le immagini di spike, soprattutto la back, che è straziante. te lo dico con le lacrime agli occhi. avrei voluto ritrarvi... a volte però le immagini non hanno bisogno di materia...a volte vivono solo nel nostro intimo: sono le migliori. sono quelle che non temono confronto e cambiano continuamente a nostro piacimento. Sì... però mi sarebbe piaciuto ritrarti con spike. Efrem Cara Raffa, che triste sentire di Spike..mi sono messa a piangere anche io senza averlo mai conosciuto! Mi è tornato in mente il mio cane al quale abbiamo dovuto fare la puntura perchè era rimasto paralizzato e stringerlo mentre si addormentava è stata una delle cose più strazianti della mia vita! Ale Cara Raffa, che notizia tremenda... sono senza parole, anche se non conoscevo Spike di persona lo immaginavo forte, fiero, coraggioso, sì, come dici tu un leone, e lo immaginavo felice e soprattutto fortunato per averti incontrato... non voglio scrivere di più, scriverei parole banali, ne vorrei parlare con te a quattr’occhi...
Simona
Gli angeli non hanno ali... e talvolta nemmeno le orecchie ;))) Grazie. Laura immagino mia carissima Raffa. Spike è stato un cane straordinario. Anzi. Credo fosse un angelo mandato qui per insegnarci la vita. Ora sarà il custode della tua anima.
Evi Dolce Raffaella Non ci sono parole… I nostri cari amore se ne vanno lasciandoci in lacrime. E’ partito anche Francesco, il mio vecchione sordo e zoppicante, prelevato personalmente lo scorso anno dal canile - è così che ho conosciuto Evi -, se ne è andata Soriana, Bianco,… E tutti gli altri abbandonati e uccisi sulle strade e dalla fame. Si incontreranno tutti lassù, sulla luna dei miei orsi e con loro, ne sono sicura, parleranno un po’ anche di noi che li abbiamo amati così tanto….. Carmen Angelo Ti avevo appunto scritto di Spike…. In particolare che aveva scelto il suo ultimo giorno di vita come per far capire a tutti che non avrebbe vissuto un solo giorno lontano da te. Un abbraccio Flavio Cara Raffaella Ti sono vicina per il tuo Spike. Tu con il tuo amore gli hai permesso di essere un cane felice nonostante tutto! Un abbraccio Magda
Ho saputo di Spike non so se il messaggio ti arriverà mi è preso un colpo al cuore. Silvia Tesoro ho ricevuto la brutta notizia del nostro eroe. Gli ho regalato una lacrima… sono sicura che se guardi il cielo lo vedi, lui ci guarda da lassù, e ora incontrerà tutti i nostri più grandi pezzetti di cuore che come lui sono volati via. Un abbraccio
Gio Amore ora lui è in cielo, tra gli angeli e da li seguirà ogni tuo passo, proteggendoti come ha sempre fatto.
Mamma Cara Raffaella Condoglianze per il povero Spike. Un sorriso.
Licia
A Spike Tu eri, sei e sarai per sempre il mio miglior amico. Quando ti ho incontrato avevi bisogno di me per guarire dalle ferite che barbaramente e ingiustamente ti avevano inflitto, mi sono offerta di aiutare la tua famiglia nelle lunghe cure di cui avevi bisogno e insieme siamo tornati a correre. Ci siamo conosciuti, siamo diventati amici e non ci siamo più lasciati. In tutto questo tempo, caro Spike, sei stato tu ad aver curato me e la mia anima in tormento. Tu mi hai restituito il sorriso, tu mi hai insegnato la perseveranza, il coraggio, la forza, l’allegria, la dolcezza, la voglia di vivere infinita, l’amicizia. Tu mi hai insegnato la vita. E insieme abbiamo vinto, tu contro il tuo sconosciuto aguzzino e la sofferenza, io contro le paure nascoste nel cuore. Ora tu sei volato via e io mi sento sola e mi manchi profondamente, mi manchi da fare male al cuore, mi giro e ti vedo, apro la porta e vorrei vederti saltare correre e gioire per darmi il buongiorno, le giornate sono prive di quel sapore allegro che solo tu mi regalavi, ma sono sicura che in qualsiasi cielo tu sei adesso mi osservi costantemente, mi proteggi e vegli su di me e solo per questo cerco di essere forte e nonostante tutto allegra, perché tu mi ami così. Spike mi manchi, ma sei dentro il mio cuore e sei il mio spirito guida. Sono certa che chi ci ha visto insieme, passeggiare al parco, continuerà a vederci l’uno accanto all’altra, ridere e guardare avanti, vivere la vita insieme. Ho preso tra le mani il tuo dolce muso infinite volte, mi perdevo nei tuoi occhi pieni di saggezza, di verità che si immergevano nei miei, ti ho baciato rendendomi ridicola ai più, e infinite volte ti ho detto quanto ti voglio bene, quanto sei importante per me, eppure non sembrava mai abbastanza, ora non mi sembra abbastanza, e per questo ogni giorno da adesso in poi urlo contro il cielo: «Ciao leone, ciao Spike, incontriamoci ancora…» 18.08.2010 - Raffaella
Indice LA PROTEZIONE ANIMALI
pag. 13
L’INCONTRO pag. 25 SPIKE: CHI è COSTUI? pag. 33 LA LETTERA
pag. 41
RAFFAELLA: CHI è COSTEI?
pag. 51
E VIA DI CORSA!
pag. 59
INCONTRI
pag. 67
UNA MANO IN MENO, UN’AMICA IN PIù
pag. 77
TERAPIA PER TUTTI
pag. 85
LICIA
pag. 95
LE MERITATE VACANZE
pag. 105
CIAO SPIKE
pag. 113
SALUTI A SPIKE RINGRAZIAMENTI CITAZIONI
Spike ha il merito di tutte queste parole e lo ringrazierò per tutta la vita facendo onore e aiutando tutti i cani che incontrerò sulla mia strada. Ringrazio Mirko con tutto il cuore per essermi sempre stato accanto, per non avermi mai ostacolato dandomi tutto lo spazio di cui ho costantemente bisogno e di condividere con me ogni aspetto della mia vita. Ringrazio i miei genitori per l’appoggio ricevuto e per avermi sempre incoraggiato anche di fronte alle avversità. Ringrazio Evi per la nostra amicizia speciale e tutti i volontari dell’ENPA in particolare Silvia per avermi inviato le prime foto di Spike e per avermi aiutato nella sua guarigione. Ringrazio Cristian per ogni singolo miracolo compiuto su Spike e per la sua professionalità e buon cuore. Ringrazio Laura De Tomasi per aver creduto in me, in Spike e nella nostra amicizia e soprattutto per averci dedicato tanto tempo aiutandomi nella stesura del libro, ricordo con tanta nostalgia le nostre riunioni di lavoro al parco, sedute sotto le piante con Spike curioso tra di noi…
Ringrazio Marilena e Cesare per avermi accettato nella loro famiglia dandomi la possibilità di stare vicino a Spike ogni giorno. Ringrazio Mino Di Vita per il concreto e generoso aiuto nella realizzazione di questo progetto, per i suoi consigli e la sua pazienza. Ringrazio fin d’ora tutte le persone che acquisteranno questo libro perché con il loro contributo potremo curare tanti amici animali… e se anche uno solo di loro sarà salvato in nome di questo progetto sarà davvero valsa la pena averlo scritto. In ultimo, un immenso grazie a DIVITA S.r.l., società che distribuisce Ricola in Italia, per aver contribuito generosamente alla pubblicazione di questo libro rendendo possibile il sogno di aiutare numerosi animali abbandonati e in difficoltà condividendo e credendo in questo progetto con me. Una dedica speciale va inoltre a Ricola, cagnolina nostra mascotte, salvata da un crudele abbandono e adottata da una famiglia speciale; anche questa impresa è stata sostenuta dalla generosità di DIVITA S.r.l. commossa dalla sua storia. Anche Ricola ha un ampio spazio a lei dedicato nel sito: ww.enpasaronno.it nella sezione archivio
Bibliografia Il richiamo della foresta, J.London, BUR pag. 113 Amori smarriti, J. Sheehan, CAIRO EDITORE pag. 143 Izzy&Lenore, J. Katz, ARMENIA pag. 34, pag. 238 Una vita da scapolo con cane, D. Wilson, PIEMME pag. 133, pag 190 In volo senza confini, L. Mancuso, CORBACCIO pag. 151 L’arte di correre sotto la pioggia, G. Stern, PIEMME pag. 194
Per scelta personale non ho voluto inserire nel libro le foto di Spike, alcune davvero forti dove si testimonia l’aggressione subita, i più sensibili sarebbero stati fortemente impressionati. Alla storia di Spike è dedicato un ampio spazio all’interno del sito Enpa di Saronno: www.enpasaronno.it/spike Qui potete trovare tutta la nostra documentazione fotografica e il video della puntata di ANIMALI&ANIMALI - RAI che ci vede protagonisti.
Progetto grafico: Matteo Tamburrino Editor: Laura De Tomasi Edizione: LAB63 - Milano - info@lab63.it - www.lab63.it ISBN: 978-88-905054-1-6 © RAFFAELLA MANIERO Tutti i diritti sono riservati. è vietata la riproduzione anche parziale dell’opera, in ogni forma e con ogni mezzo, inclusi la fotocopia, la registrazione e il trattamento informatico, senza l’autorizzazione del possessore dei diritti. Prima edizione: settembre 2011 Stampato presso: Grafica Sette S.r.l. - Bagnolo Mella (BS) In copertina: Spike (foto di Raffaella Maniero)
«Spike è infatti amore assoluto. È l’abnegazione che solo un cane può avere verso un uomo. Spike è perdono, una volta e un’altra ancora. È fiducia che supera la paura... Perseguire la giustizia però è compito nostro. Nessuno escluso»
Licia Colò
Tutti i proventi di questo libro saranno devoluti a ENPA Onlus - ente nazionale protezione animali ISBN: 978-88-905054-1-6
THE CREATIVE MOOD
10,00 euro