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3.1 - Pregiudizio e stereotipo

Eppure, ci dicono gli antropologi, questo è un uso distorto dei termini coniati dall’antropologia che devono essere intesi per quello che sono, delle “finzioni”, cioè delle convenzioni che rendono possibile un discorso, ed essere sempre vigili affinché non ne venga fatto un uso totalmente distorto come è accaduto e sta tuttora accadendo in Italia, dove sono stati inventati miti di etnie del Nord semplicemente per giustificare dei cambiamenti nell’assetto istituzionale del Paese e dove essi rappresentano l’espressione di interessi precisi di certi strati sociali. A questo punto l’etnia è intesa non come strumento di analisi ma come ideologia, altrettanto falsa di quella che esalta l’italianità, come se in Italia esistesse un’unica etnia e non fosse invece, l’Italia, il risultato del sovrapporsi di gruppi e tradizioni diversi. Cercare di definire l’etnia e il gruppo etnico, di nuovo, come per il concetto di cultura, si presenta dunque come compito arduo poiché ogni concetto sfuma facilmente nell’altro. Tuttavia, è generalmente considerato un gruppo etnico un gruppo di persone che condividono un’identità collettiva basata su un senso comune della storia degli antenati. I gruppi etnici possiederebbero quindi una cultura propria, dei costumi, delle norme e delle tradizioni. Altre caratteristiche che si riconoscerebbero condivise sono la lingua, le origini geografiche, la letteratura e la religione. Un gruppo etnico può essere maggioritario o minoritario in una più ampia comunità. L’etnicità è un fenomeno culturale e distinto da quello di “razza” che è percepito avere una base biologica: la cultura è appresa e tramandata di generazione in generazione e, come si è visto, evolve e cambia e il riconoscimento di questa fluidità è importante in modo da non stereotipizzare un gruppo etnico in un insieme fisso di espressioni della sua identità culturale.

È difficile distinguere pregiudizi e stereotipi nel linguaggio comune e quotidiano, così come nelle teorie scientifiche. I pregiudizi sono giudizi che ci facciamo su altri senza conoscerli e, essendo appresi come parte del processo d’inculturazione, sono molto resistenti. Il pregiudizio etnico è la predisposizione a percepire, giudicare, agire in maniera sfavorevole nei confronti di appartenenti a gruppi etnici diversi dal proprio.

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Secondo teorie di stampo psico-sociale, lo stereotipo è una forma di organizzazione preventiva dei dati necessaria alla conoscenza di una realtà che, a causa della sua estrema complessità, non può essere conosciuta in quanto tale ma solo attraverso dei processi di semplificazione e di organizzazione delle conoscenze5. La categorizzazione è il principale di questi meccanismi e avviene raggruppando stimoli ed eventi in insiemi il più possibile omogenei. Una volta formati, tali insiemi tendono a permanere immutati anche di fronte ad esperienze diverse, in questo modo condizionando a loro volta i processi cognitivi di percezione ed elaborazione dei dati della realtà. L’altro processo che entra in gioco nella formazione dei pregiudizi è la generalizzazione, cioè la tendenza costante della mente umana ad estendere ad ampie serie di eventi le osservazioni effettuate sui pochi eventi disponibili. Dalla combinazione di categorizzazione e generalizzazione nasce lo stereotipo, ossia una combinazione di immagini fisse, valutazioni e aspettative che si aggiungono ad una categoria per descriverla e per giustificare il nostro comportamento. Allo stereotipo viene però riconosciuta anche un’origine sociale in quanto deriva essenzialmente dal contesto culturale, economico e politico e svolge l’importante funzione di spiegare e razionalizzare l’organizzazione sociale esistente: lo status dei gruppi, le dinamiche di maggioranza e minoranza, la distribuzione sociale delle risorse, i processi di produzione e trasmissione della cultura e delle ideologie sociali ed è in concreto ciò che attiva le dinamiche psico-sociali di differenziazione. Le teorie di stampo sociale trovano che questi elementi siano determinanti e che, dunque, lo stereotipo non sia il risultato di un’errata procedura cognitiva ma sia piuttosto il risultato del contesto nel quale avviene la definizione dell’identità, perché ogni cultura fornisce un insieme di credenze che orientano i giudizi e i pre-giudizi dei suoi membri. Tanto è vero che gli stereotipi cambiano nel tempo, col cambiare delle condizioni storico-politiche, come è dimostrato da ricerche condotte negli USA che mostrarono come nel 1951 gli stereotipi che descrivevano i giapponesi e i tedeschi (nemici fino a poco tempo prima nella guerra) avevano connotazioni estremamente negative e ostili mentre, col passare degli anni, emergevano caratteristiche come l’industriosità e l’intelligenza.

suggerimenti per la formazione

Fai una lista di stereotipi sugli “extracomunitari”.

es. – spacciatori

Fai una lista di stereotipi sui “poliziotti”.

es. – violenti

Rispondi alle seguenti domande:

> Si tratta di cose vere o false? > Esistono cittadini non comunitari che non corrispondono a questa descrizione? > Esistono poliziotti che non corrispondono a questa descrizione? > Se sì,allora qual è il processo che interviene nella creazione di uno stereotipo? > Che ruolo hanno i mezzi di comunicazione di massa nel creare, diffondere e rafforzare uno stereotipo? > C’è in gioco un elemento di “potere”nella creazione e riproduzione di uno stereotipo?

Come sempre,abbiamo cercato di rispondere alle stesse domande e queste sono le nostre osservazioni:

• Gli stereotipi sono socialmente condivisi e creare stereotipi spesso riflette il potere culturale e sociale di un gruppo su un altro gruppo.I nostri giudizi e le giustificazioni che ne diamo sono fortemente influenzati dal nostro etnocentrismo:ciò significa che siamo convinti che la nostra risposta al mondo – la nostra cultura – è quella giusta,gli altri “sbagliano”o “non sono normali”.Ci sembra che i nostri valori e il nostro modo di vivere siano universali e corretti per tutti,gli “altri”sono semplicemente troppo stupidi per capire questa ovvietà.Il semplice contatto con persone appartenenti ad altre culture può addirittura rafforzare i nostri pregiudizi tanto gli occhiali del nostro etnocentrismo ci rendono ciechi a tutto tranne a quello che vogliamo vedere.La dimensione collettiva,ideologica, istituzionale che gli stereotipi spesso assumono rende inadeguato un approccio puramente individuale a questi fenomeni; citando

Mantovani:“I nazisti non erano persone che avessero,ciascuna per conto proprio,maturato un personale astio contro gli ebrei.Essi erano invece membri a pieno diritto di un’illustre cultura europea - trasmessa da famiglie,scuole,chiese,partiti,giornali e storielle sugli ebrei – che portava in sé,nella sua storia,alcuni dei germi di quella violenza”6 .

• Non li creiamo personalmente ma li apprendiamo dall’ambiente, dalle tradizioni e da tutto ciò che ci rimanda ad una cornice culturale che provvede a fornire di senso ciò che incontriamo sulla nostra strada.Ciò che vogliamo dire è che,come conseguenza,il razzismo non nasce solo da un “atteggiamento”mentale di una data persona ma esso è nutrito,anche nell’inconsapevolezza della persona stessa,da una cultura che,attraverso una religione,una legge dello stato o una convinzione morale condivisa e rispettata,consegna al singolo individuo ciò che può apparire come un “semplice”, personale pregiudizio.Arrivano da lontano i pregiudizi nefasti nei confronti degli ebrei (l’Europa cristiana medievale e moderna),dei neri africani schiavizzati nel nuovo mondo da conquistatori della vecchia Europa,ecc.

suggerimenti per la formazione

• Sono generalizzazioni non soggette alla smentita. Di fronte alla prova del contrario si scoprono le “eccezioni”.Pregiudizi e stereotipi sono categorizzazioni che ci aiutano a comprendere la realtà: quando la realtà non corrisponde al nostro pregiudizio è più facile per il nostro cervello cambiare la nostra interpretazione della realtà che cambiare il pregiudizio.

• Spesso sono frutto di una pigrizia mentale ma anche di un meccanismo di economia delle risorse di cui disponiamo per conoscere il mondo. È infatti attraverso l’assegnazione di nomi e il loro raggruppamento in categorie che gli esseri umani ordinano il loro mondo fisico e sociale e proprio le categorie ci servono per mettere in evidenza analogie e differenze.L’attribuire ad una categoria cose, eventi, persone, ci permette di trattarle allo stesso modo anche se non le conosciamo per esperienza diretta.

• A volte essi generano un fastidio che non dipende da un contenuto positivo o negativo dello stereotipo ma dal fatto che le persone in questione si sentono oggetto di una generalizzazione invece di sentirsi considerate come individui.

• Il fatto che alcuni individui corrispondano ad alcuni stereotipi non vuol dire che questi siano ‘veri’per tutti i membri di un dato gruppo.

per chi vuole approfondire

Guerre “etniche”, partiti e movimenti che raccolgono consensi attorno a programmi di esclusione e di “purezza del sangue”,conflitti di stampo nazionalista-religioso,razzismi sono fenomeni che vorremmo vedere estinti,eppure non è così.Per spiegarli servono interpretazioni di carattere storico,economico e politico come il controllo delle materie prime, il commercio delle armi,l’imposizione di modelli di sviluppo,ecc.,ed elementi di dinamica psico-sociale:l’appartenenza,la differenza,il pregiudizio,lo stereotipo. Sembrerebbe un fatto incontrovertibile, sostenuto dalle ricerche di tipo psico-sociale e antropologico,che tutti i gruppi umani sono etnocentrici,manifestano cioè una tendenza a vedere il proprio gruppo come positivo e desiderabile e gli altri gruppi come inferiori, barbari,incivili.D’altra parte l’etnicità costituisce un “complesso pratico-simbolico sfaccettato,il quale ha la sua ragion d’essere in motivi di ordine politico,ideologico,simbolico,psicologico,affettivo,economico,che solo se letti simultaneamente possono rendere conto con sufficiente plausibilità del fenomeno”7 . Esso è il risultato di un processo sociale:sorge e si sviluppa nell’interazione quotidiana con gli altri;ne consegue che solo riconoscendosi nell’altro l’individuo riconosce se stesso.8 Anche l’identità etnica nasce da una serie di processi complessi ed è pensabile solo in questi termini di “contrasto”: per potere pensare me stesso devo potere pensare a qualcun altro.Lo stesso accade quando definisco gli altri.L’identità ci viene attribuita dagli altri: veniamo “etichettati”(secondo la labelling theory – la teoria dell’etichettamento) e perciò identificati in ragione dei saperi e dei saper fare che possiamo mettere in campo in circostanze date.Come sempre,è lo sguardo degli altri che ci fa essere. L’identità etnica quindi è una definizione del sé e/o dell’altro collettivi che sembra affondare le proprie radici in rapporti di forza tra gruppi che riconoscono di avere gli stessi interessi in precise circostanze storiche,sociali e politiche.Tanto è vero che le identità etniche cambiano,nascono e muoiono.Si pensi ad esempio alla recente novità della rappresentazione etnica degli abitanti del Nord-Est da parte di partiti politici e del richiamo alle origini celtiche fino a pochi anni fa da nessuno rivendicato.Appare evidente come esse siano un costrutto culturale suggerito e richiesto da ragioni di tipo politico ed economico. Una volta costruite però,le etnie assumono una consistenza molto concreta per coloro che vi si riconoscono e la prova sono i conflitti etnici i quali però non sono altro,secondo molti,che il risultato di processi di etnicizzazione voluti e favoriti dall’esterno o da gruppi che competono,appunto,in precisi momenti storici,per l’accesso a determinate risorse materiali o simboliche. Il pregiudizio diventa dunque strumentale agli interessi di una classe,al potere costituito,a individui senza scrupoli.

Le teorie per spiegare questo fenomeno sono innumerevoli e sono cambiate negli anni e provengono da discipline tanto diverse come la biologia,la genetica,l’etologia,la psicologia (in particolare la psicologia sociale),l’antropologia e la sociologia. Le prime spiegazioni di questo fenomeno, dalla fine dell’Ottocento fino ai primi del Novecento,sono state di tipo biologico,centrate sul ruolo della competizione come legge fondamentale della natura e fortemente ancorate alla prospettiva evoluzionistica darwiniana. Esse hanno ripreso vigore negli ultimi anni grazie all’approccio socio-biologico secondo il quale anche la dimensione sociale e culturale dell’uomo,assieme a quella fisiologica,sono influenzate dalla sua dotazione genetica.All’altro estremo si trovano le teorie che considerano ogni riferimento alle teorie biologiche come un tentativo di giustificare le forme di aggressività e di ostilità nei confronti degli altri (se sono naturali sono dunque inevitabili), trascurando la dimensione politico-economica della discriminazione. Una delle discipline considerate più colpevoli al riguardo è la psicologia sociale che tanto ha studiato questi fenomeni e che viene accusata da alcuni di “riduzionismo psicologico”,vale a dire di tendere ad ignorare le determinanti sociali e culturali di fenomeni complessi come la conflittualità interetnica e la discriminazione,riducendole allo studio delle caratteristiche psicologiche individuali.Tali critiche sono condivisibili,a nostro avviso.Tuttavia,è condivisibile anche la critica che le più avanzate teorie in campo di social cognition psicologia culturale avanzano nei confronti di teorie puramente sociologiche ed economiciste di non riconoscere la funzionalità psicologica delle diverse forme di semplificazione e di schematizzazione della realtà.Esse rappresentano il modo con cui il sistema cognitivo fa fronte alla sovrabbondanza e all’estrema varietà delle informazioni provenienti dall’ambiente esterno e costituiscono però anche la base dei fenomeni di stereotipizzazione e di pregiudizio che contribuiscono a produrre conflittualità tra gruppi.Sicché oggi è opinione molto diffusa tra più autori che le spiegazioni a tali fenomeni non possano che venire da una collaborazione di discipline diverse – dalla biologia alla sociologia – riconoscendo dunque tutta la complessità delle cause che entrano in gioco nel determinare l’aggressività dei gruppi umani nei confronti degli altri.Inoltre,anche nelle teorie evoluzionistiche di stampo biologico e genetico,si viene ormai riconoscendo che,accanto alla tendenza alla chiusura dei gruppi (pregiudizi,stereotipi,auto-favoritismo) esiste una tendenza all’apertura (che si manifesta attraverso il confronto sociale,l’apprendimento,l’elaborazione collettiva della conoscenza) e che gli individui sceglieranno l’una o l’altra via secondo una valutazione strategica di opportunità che fa riferimento ad altre variabili,quali lo status del gruppo di appartenenza,la condizione di pluriappartenenza (l’appartenenza cioè contemporaneamente a più gruppi),la reciprocità dei comportamenti cooperativi.

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