ISSN 2281-0994
Trimestrale culturale a diffusione gratuita - Ott-Dic 2015 ♦ anno V - numero 19
Anemos neuroscienze
Trimestrale INTERDISCIPLINARE PER L'INTEGRAZIONE TRA NEUROSCIENZE E ALTRE DISCIPLINE ANTROPOLOGIA E LETTERATURA
PENSIERO AL FEMMINILE
raccontarE storiE Un'invenzione evolutiva per creare identità
LA donna
nell’Antico Egitto: un ruolo importante nella società
Cos’è l’identità?
FILOSOFIA E PSICOLOGIA
peripezie di un concetto
Uno dei più discussi e importanti concetti filosofici visti attraverso la neuropsicologia, il pensiero giuridico, la letteratura
I principali snodi concettuali dell’identità, tra pensiero greco ed età contemporanea
Neuropsicologia
Filosofia del diritto
Patologia della memoria e mutamenti di indentità
Ripercorrere il concetto di persona nella cultura giuridica occidentale
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CENTRO DI NEUROSCIENZE ANEMOS Direttore sanitario: Dott. Marco Ruini
PSICOLOGIA CLINICA Psicologia (Dott.ssa Anna Maria Sangiorgi) Psicoterapia di coppia e famigliare (Dott Federico Gasparini) Psicotraumatologia e EMDR (Dott.ssa Federica Maldini) Psicopatologia dell'apprendimento (Dott.ssa Enrica Giaroli) Logopedia (Dott.ssa Sandra Cocca) NEUROPSICOLOGIA ADULTI (Dott. Federico Gasparini)
NEUROPSICOLOGIA dello SVILUPPO (Dott.ssa Lisa Faietti, Dott.ssa Linda Iotti) AREA DI PSICHIATRIA Dott. Giuseppe Cupello Dott. Raffaele Bertolini
AREA DI OCULISTICA Dott. Valeriano Gilioli Dott. Vicenzo Vittici
SERVIZIO DI NEUROCHIRURGIA Dr. Marco Ruini: Responsabile Dr. Marco Ruini: Neurochirurgo Dr. Andrea Veroni: Neurochirurgo Dr. Andrea Seghedoni: Neurochirurgo Dr. Nicola Nicassio: Neurochirurgo Dr. Raffaele Scrofani: Neurochirurgo
Collaborazioni Dr. Ignazio Borghesi, Neurochirurgo Prof. Vitaliano Nizzoli, Neurochirurgo Prof. Lorenzo Genitori, Neurochirurgia Pediatrica Dr. Bruno Zanotti, Neurochirurgo SERVIZIO DI TERAPIA ANTALGICA
Dr. Roberto Bianco, Anestesista, Terapia infiltrativa, Agopuntura Dr. Ezio Gulli, Anestesista, Terapia infiltrativa
SERVIZIO DI RIABILITAZIONE E RIEDUCAZIONE FUNZIONALE Dr. Aurelio Giavatto, Manipolazioni viscerali Dr. Nicolas Negrete, Fisioterapista Dr. Giorgio Reggiani, Fisiatra SERVIZIO DI NEUROLOGIA E DI NEUROFISIOLOGIA Dr. Mario Baratti, Neurologo, Elettromiografia e Potenziali evocati Dott. Devetak Massimiliano, Neurologo, doppler tronchi sovraortici e transcranico Dr.ssa Daniela Monaco, Neurologia, Doppler transcranico per Parkinson ANEMOS | Centro Servizi di Neuroscienze Poliambulatorio Medico | Libera UniversitĂ | Ass. Culturale Via Meuccio Ruini, 6 | 42124 Reggio Emilia tel. 0522 922052 | Fax 0522 517538 | www.anemoscns.it info@anemoscns.it | www.associazioneanemos.org
Centro di riferimento: Centro di Neuroscienze Anemos, Reggio Emilia. Centri Ospedalieri per la Neurochirurgia del rachide e le tecniche mininvasive: Casa di Cura Salus Hospital (Re), Ospedale di Suzzara (Mn), Casa di Cura San Clemente (Mn), Casa di Cura Villa Maria Cecilia di Cotignola (Ra). Ambulatori: Reggio Emilia, Correggio, Suzzara, Poggio Rusco, Mantova, Carpi, Modena, Fiorenzuola, Olbia e Agrigento.
Anemos neuroscienze
Ott-Dic 2015 | anno V - numero 19
A
Una sana integrazione
ffrontare un concetto così complesso e problematico come quello di identità rientra certamente – si perdoni la battuta - nello spirito un po' incosciente che anima “Neuroscienze Anemos”. È molto difficile, infatti, condensare in poche pagine le peripezie di un concetto che è certamente tra i fondanti della riflessione filosofica e che implica anche temi dominanti nell'alveo delle scienze cognitive. Ci solleva dal peso di questo tentativo ambizioso il pretesto di “Neuroscienze Anemos di innescare dibattiti anche intorno a temi complessi, così che non rimangano confinati tra gli addetti ai lavori e alle discussioni accademiche. Le riflessioni riportate poco sopra a proposito di un sapere auto-referente inducono a qualche riflessione ulteriore. Da anni si parla di crisi dell'Università italiana. Carenza strutturale di fondi, nepotismo, incapacità di attrarre forze intellettuali dall'estero e di valorizzare quelle autoctone. Questo è ciò che si sente spesso ripetere a proposito del mondo accademico nostrano. Nel mondo anglosassone e asiatico le cose vanno decisamente meglio. La capacità di investire (in capitali, ma anche in immagine), premia. Tuttavia, è la ricerca applicata a godere dei budget di finanziamenti pubblici e privati (o, quando si tratta di ricerca pura, riguarda ben definiti ambiti disciplinari). Questo ha fatto delle istituzioni accademiche a vocazione internazionale delle potenti macchine da nobel e brevetti, ma le ha svuotate del ruolo di dibattito e confronto i cui effetti si riverberino sulla società. Non si parla solo di divulgazione, ma della necessità di far entrare le istituzioni del sapere nella società e di integrarle con altre realtà e contesti ove si pratica “cultura”. Il sapere, per essere vivo e non solo tecnico-pratico, deve configurarsi socialmente come un costante confronto interdisciplinare.
Molti dei ritardi sociali del nostro paese, per esempio, sono il frutto un'opinione pubblica immatura e prescientifica (si pensi alle innumerevoli teorie del complotto e ai saperi pseudoscientifici che ispirano spesso il comportamento individuale, sia in ambito medico-sanitario che in quello socio-relazionale). La politica raramente ha il coraggio di superare questi ritardi sociali e spesso subisce le scelte di un'opinione pubblica immatura nel timore di perdere il consenso. Era la vecchia critica indirizzata alle forme democratiche da Platone: non operare per il bene generale, ma soddisfare solo alcune false esigenze emotive dell'elettorato per mantenere il consenso. Da qui l'esigenza non solo di divulgare, ma di abituare la società ad un approccio analitico e razionale, ben oltre l'illusoria massa di informazioni/non-informazioni che oggi pare di avere a disposizione (si vedano gli editoriali dei numeri scorsi sull'incapacità di filtrare criticamente la massa di informazioni a cui siamo esposti). Come avviene questa integrazione tra istituti di “produzione” del sapere e società? La forma aperta e associazionistica che caratterizza questa esperienza editoriale, forma di cui abbiamo così spesso parlato al lettore, è un tentativo neanche troppo velato di realizzare questa integrazione. Ricercatori e professionisti di ambiti molto differenti tra loro, insegnanti, divulgatori di professione, letterati e artisti, studenti si confrontano apertamente alla ricerca di temi che, resi accessibili da un tono divulgativo (ma non troppo!), possano fornire spunti di riflessione nella direzione sopra indicata.
Editoriale
In copertina: La toilette E. Kirchner (1912) Si possono inviare proposte di articoli, segnalazioni di eventi, commenti o altro all’indirizzo redazione@clessidraeditrice.it
Ci trovate anche su Facebook https://www.facebook.com/Rivista.Anemos https://www.facebook.com/LaClessidraEditrice
Gli Editori La Clessidra Editrice Libera Università di Neuroscienze Anemos
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SOMMARIO
Editore: Editrice La Clessidra / Anemos Redazione Via 25 aprile, 33 42046 Reggiolo (RE) redazione@clessidraeditrice.it Tel 0522 210183 Direttore Responsabile Davide Donadio davidedonadio@clessidraeditrice.it Direttore Scientifico Marco Ruini info@anemoscns.it Redazione: Marco Barbieri, Catia Corradini, Tommy Manfredini, Paola Torelli. Comitato scientifico* Adriano Amati Laura Andrao Mario Baratti Mauro Bertani Raffaele Bertolini Vitaliano Biondi Ilenia Compagnoni Giuseppe Cupello Lorenzo Genitori Enrico Ghidoni
Aurelio Giavatto Franco Insalaco Danilo Morini Antonio Petrucci Sara Pinelli Giorgio Reggiani Ivana Soncini Leonardo Teggi Bruno Zanotti
Ott-Dic 2015 | anno V - numero 19
Cos’è l’identità?
Uno dei più discussi e importanti concetti filosoficii visti attraverso la neuropsicologia, il pensiero giuridico, la letteratura
Rubriche e notizie 06
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Registrazione n. 1244 del 01/02/2011 Tribunale di Reggio Emilia Iconografia: alcune immagini presenti in «Neuroscienze Anemos» sono tratte da siti internet contenenti banche dati di immagini di libero utilizzo. Qualora vi fossero stati errori e omissioni relativi al diritto d’autore l’editore rimane a disposizione per sanare la sua posizione.
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* Il comitato scientifico è composto da persone che partecipano a vario titolo e con continuità differente alle attività organizzate dalla Libera Università di Neuroscienze Anemos e di La Clessidra Editrice.
L'uomo macchina Mangiare, conoscere
Hanno inoltre collaborato:
Luogo di stampa
Ogni neurone è unico
▪ Empatia e dolore: due lati della stessa medaglia ▪ I musicisti e l'integrazione tra i sensi
Massimo Bondavalli, Stefano Calabrese, Roberta Torreggiani, Sara Uboldi
E.Lui Tipografia - Reggiolo (RE)
Neuronews
di Davide Donadio
Incontri 10 Convegni e congressi Incontri in programma nei prossimi mesi
Anemos neuroscienze
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Neurologia / Psicologia Riflessioni neuropsicologiche sull'identità
L'amnesia: una patologia della memoria che può portare alla perdita della propria identità di Enrico Ghidoni e Massimo Bondavalli
20
Psichiatria / Psicologia L'identità ritrovata Premesse teoriche
26
di Raffaele Bertolini
Filosofia / Psichiatria Peripezie di un concetto: identità
Percorso storico-filosofico del termine "identità" e del suo utilizzo di Mauro Bertani
32
Giurisprudenza / Storia La persona giuridica
Storia del concetto di persona nella cultura giuridica occidentale di Leonardo Teggi
38
Sociologia / Marketing Immagine coordinata
Creare un'identità universalmente conosciuta e ri-conoscibile di Sara Pinelli
42
Letteratura / Semiotica Identità e narrazione Raccontare per sopravvivere
di Sara Uboldi e Stefano Calabrese
48
Filosofia / Linguistica Poesia moderna e identità Le tendenze linguistiche moderne
di Franco Insalaco
54
Sociologia / Letteratura La prolissità dell'io
Introduzione e rifiuto d'identità nella letteratura del primo Novecento di Adriano Amati
Approfondimento
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L'importanza della donna nell'antico Egitto di Roberta Torreggiani
www.clessidraeditrice.it
Neuronews
Ott-Dic 2015 | anno V - numero 19
Rassegna di notizie tra neuroscienza, filosofia e scienze cognitive
Ogni neurone è unico Mutazioni non ereditarie che avvengono nel corso della vita differenziano i neuroni gli uni dagli altri
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e mutazioni genetiche possono rendere unico ogni singolo neurone. La natura di queste mutazioni è differente da quella che caratterizza le mutazioni che intervengono in altri tipi di cellule. Si pensa, quindi che alcune malattie neurodegenerative possano trovare la loro causa proprio da questo meccanismo. Di tale scoperta si parla su un articolo pubblicato su “Science” da un gruppo di ricercatori dello Howard Hughes Medical Institute. Solitamente le mutazioni cellulari si verificano durante la replicazione della cellula per un “errore” di copiatura del DNA o per fattori esterni (come radiazioni). Poichè i neuroni sono cellule particolari che non si replicano, si pensava che in essi le mutazioni fossero improbabili e molto limitate. Quando però Michael Lodato e colleghi hanno sequenziato l'intero genoma di 36 singoli neuroni prelevati dalla corteccia prefrontale di tre soggetti sani, si sono resi conto che la media delle mutazioni previste era molto maggiore di quella attesa. Ed inoltre la mutazione riguardava solo quella cellula e non quelle circostanti. Inoltre, sono i geni con il maggior numero di mutazioni quelli che tendono a essere più usati nel cervello. In qualche modo questa scoperta fa dei neuroni cellule ancora più speciali di quanto già non vengano considerate, e non è da escludere che queste diversità siano in qualche modo legate alla sfera cognitiva. Ma sono le conseguenze mediche, quelle che potrebbero avere sviluppi. Le mutazioni che potrebbero causare malattie neurodegenerative sono solo una piccola frazione, ma la scoperta si presta alla comprensione dell'origine delle patologie neurodegenerative.
Empatia e dolore? Due lati della stessa medaglia I circuiti cerebrali che modulano questi sentimenti sono sovrapposti in misura significativa
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mpatia e sensibilità al dolore sono modulati da circuiti cerebrali che si sovrappongono parzialmente. Ne consegue che la riduzione del dolore comporta una riduzione della risposta empatica. A dimostrarlo è una ricerca effettuata dall'Università di Vienna in un articolo pubblicato sui “Proceedings of the National Academy of Sciences”. Gli studi si sono basati sull'analisi delle immagini cerebrali ottenute con la risonanza magnetica funzionale, e hanno mostrato che la partecipazione al dolore altrui attiva due aree: insula anteriore e corteccia del cingolo anteriore mediale, che sono fortemente attivate anche quando si prova il dolore in prima persona. Si è ipotizzato che il motivo di questa sovrapposizione risieda nel fatto che l'empatia si basi su una simulazione cerebrale del dolore degli altri. I dati ottenuti con neuroimaging non rappresentano però una prova definitiva di questa dipendenza. Infatti sono anche altre aree cognitiva ad essere coinvolte nel dolore e nell'empatia.
Claus Lamm e colleghi hanno eseguito una risonanza magnetica funzionale su un gruppo di 102 persone a cui era stato somministrato un antidolorifico placebo, oltre che su un gruppo senza questa somministrazione. Le persone di questo gruppo sottoposte a uno stimolo doloroso hanno riferito di aver sperimentato una sensazione di intensità inferiore a quella del gruppo di controllo, che è risultata associata a una minore attivazione dell'insula anteriore e del cingolo anteriore mediale. Una riduzione di pari entità di quelle aree è stata registrata nei soggetti sotto analgesia placebo nei compiti usati per valutare la loro empatia, che si è dimostrata anch'essa ridotta. Successivamente, dopo aver indotto l'analgesia placebo, gli autori hanno somministrato ad alcuni soggetti naltrexone, un antagonista degli oppioidi endogeni, così da bloccare l'effetto antidolorifico. Le risposte al dolore di coloro che avevano ricevuto il naltrexone sono tornate normali, e così è avvenuto per il livello di risposta empatica.
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I musicisti e l'integrazione tra i sensi La lettura di uno spartito da parte di chi conosce la musica comporta una vivace attività neuronale fra le aree che presiedono all'elaborazione degli stimoli uditivi, motori e visivi
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a tempo è noto come i fatti culturali ed educativi influiscano direttamente sul cervello in termini biologici. L'educazione musicale non è da meno, visto che riorganizza e potenzia la capacità di integrazione sensoriale, modificando connessioni fra i circuiti cerebrali di aree sensoriali differenti. Lo dimostrano i ricercatori delle Università di Tessalonica, in Grecia, e di Münster, in Germania, che firmano un articolo sui “Proceedings of the National Academy of Sciences”. Come avviene spesso nelle ricerche che implieeeeano conseguenze cognitive e neurobiologiche, si sono impegati metodi “visivi”: il team ha sottoposto a risonanza magnetica funzionale (fMRI) e a magnetoencefalografia (MEG) 26 persone mentre leggevano uno spartito e contemporaneamente ascoltavano delle note. Metà dei
Sei abile nel ragionamento? L'importanza del nostro patrimonio genetico
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a capacità di “ragionare in fretta” non si acquisisce, fa parte del nostro patrimonio genetico. È quanto emerge da uno studio pubblicato sulla rivista Molecular Psychiatry dai ricercatori dell’Università di Edimburgo (Scozia), secondo cui la velocità con cui si elaborano le informazioni rappresenta un’“abilità base”, ossia un elemento che consente di preservare le altre facoltà cognitive in età avanzata. Pertanto, la scoperta potrebbe aiutare a comprendere il motivo per cui alcune persone sviluppano un declino cognitivo, mentre altre no. Nel corso della ricerca, gli autori hanno scoperto che le persone più “lente”, cioè quelle che avevano bisogno di più tempo per analizzare le informazioni, presentavano una variante del gene Cadm2. Questo elemento risulta coinvolto nel processo di comunicazione tra le cellule cerebrali, in particolare tra quelle della corteccia frontale e quelle della corteccia cingolata, che sono collegate alla velocità di ragionamento. Vita quotidiana e digitale La Rete narra la nostra vita
soggetti aveva formazione musicale, l'altra metà aveva avuto un'educazione musicale molto limitata. Il primo gruppo è risultato avere aree cerebrali molto più attive e distribuite. Quando venivano mostrate incongruenze tra stimoli visivi e uditivi, infatti, nei non musicisti la rilevazione delle incongruenze era collegata principalmente all'elaborazione degli stimoli visivi, mentre nei soggetti con formazione musicale si attivava una fitta rete di collegamenti che aveva il suo centro nelle aree destinate all'elaborazione dei segnali uditivi. Pare ragionevole supporre, allora, che quando un ambito cognitivo diventa rilevante per un individuo, la connettività cerebrale subisce una riorganizzazione su vasta scala attraverso una forte plasticità nella formazione dei circuiti corticali.
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sploratori o abitudinari. Tutti, in base a come e quanto ci spostiamo, apparteniamo chiaramente a uno di questi due gruppi, tra i quali non esistono vie di mezzo. A scoprirlo è stato un team di scienziati nato dalla collaborazione fra il Kdd Lab dell’Università di Pisa, l’Istituto di scienza e tecnologie dell’informazione (Isti) del Cnr della stessa città e il centro di ricerca sulle reti complesse Barabasi Lab di Budapest e Boston, che ha pubblicato i risultati della ricerca, basata sull’analisi di big data, sulla rivista Nature Communications. Gli scienziati hanno confrontato il raggio di mobilità ricorrente, relativo cioè agli spostamenti di routine, come i tragitti tra casa e il posto di lavoro o di studio, e quello totale, che riguarda tutti gli spostamenti. In questo modo si sono delineati due gruppi nettamente diversi. Da questi primi risultati, sarà possibile in futuro studiare come cambiano le abitudini di mobilità, indagare fenomeni sociali e aiutare la pianificazione urbanistica e dei trasporti con analisi realistiche. La ricercatrice dell'Isti-Cnr racconta: «Attraverso l’uso di carte di credito, navigatori Gps, social network, telefonini, lasciamo continue tracce digitali che possono essere analizzate. Un gruppo di scienziati, per esempio, studia la felicità monitorando su Twitter la ricorrenza di parole positive in relazione anche ai luoghi e ai momenti della giornata, per capire dove e quando si è più felici».
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L'uomo macchina
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Appunti liberi tra filosofia della mente, divagazioni antropologiche e letterarie
Mangiare, conoscere Assegnare simboli: una pratica costitutiva del vivere sociale e relazionale
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di Davide Donadio
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onsiderate un'azione che compiamo tutti i giorni, che rientra tra quei bisogni che vengono definiti primari:
mangiare. La storia del cibo, come avviene sempre per i bisogni essenziali, si è caricata da sempre di intensi significati simbolici presso tutte le civiltà nel corso della storia. Ed anche oggi, in un'epoca di contraddizione, tra sovrabbondanza e penuria, il cibo è presente in ogni settore della vita sociale. Invitando come di consueto il lettore a non prendere troppo sul serio quanto andrò dicendo qui di seguito, vorrei suggerire un'analogia. Mangiare e conoscere sono due lati di uno stesso desiderio, di uno stesso bisogno. Questo accostamento non va inteso in senso diretto. Cibarsi, dopo tutto, ha la sua finalità primaria nel sostenere l'organismo, fornirci energia, materiale per la rigenerazione dei tessuti e per il corretto funzionamento della nostra fisiologia. Ma attraverso quel processo, spesso involontario e pasticcione, di simbolizzazione delle nostre azioni e del no-
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stro vivere sociale, mangiare diviene ben altro. Per vivere, e magari per vivere bene, cerchiamo per tutto il corso dell'esistenza di capire il mondo che ci sta intorno e farlo funzionare a nostro vantaggio, o almeno non a nostro danno. Questo percorso di “conoscenza” si potrebbe descrivere metaforicamente
così: quello che sta fuori, per comprenderlo, lo portiamo dentro di noi, rielaborandolo e utilizzandolo a nostro uso e consumo. Ciò che sta fuori, allora, è come se venisse in un qualche modo mangiato, digerito e reso una parte di noi. Così, nel divorare avidamente un pasto, oppure gustandolo con lentezza e
Tratto da Nichilisti innamorati. La poesia della visione scientifica riduzionista, Reggiolo (RE) 2014, pp. 92 e ss.
Anemos neuroscienze
Ott-Dic 2015 | anno V - numero 19
Immagini - Sopra uno dei dipinti più famosi di Caravaggio (1571-1610) Canestra di frutta (1599). A fianco porzione della nota stanza di Amore e Psiche realizzato da Giulio Romano a Palazzo Te, a Mantova. Nell'arte antica e rinascimentale quello del banchetto è tema ricorrente, ricco di significati simbolici. ricercatezza, compiamo un atto di alto significato simbolico e dalle valenze persino filosofiche. Insieme al tatto, il gusto è un modo diretto per assaggiare il mondo perché vi appoggiamo sopra una parte di noi, oppure ne asportiamo un pezzettino e lo introduciamo dentro di noi. E tutto questo lo possiamo fare rimanendo all'interno delle nostre abitudini, dei nostri riferimenti, oppure cercando incessantemente nuovi gusti, nuove sensazioni in un percorso di ricerca che forse caratterizza gli spiriti inquieti. E poi vi è il rapporto con l'altro. Se mangiare rientra anche nella sfera dei “piaceri”, non possiamo che accostare il desiderio di cibo al desiderio erotico. Freud identificava due pulsioni fondamentali che caratterizzerebbero il nostro dualismo psicologico e che sono passate sotto queste denominazioni di ascendenza classica nella psicoanalisi successiva: Eros e Thanatos (e qui
intendo l'uso dei concetti freudiani in modo disinvolto e secondo quanto ne diceva Italo Svevo: "Grande uomo quel nostro Freud, ma più per i romanzieri che per gli ammalati”). Eros rappresenterebbe la pulsione della vita, Thanatos una pulsione di morte e distruzione. Non è un caso forse che la bocca e le mani siano l'altra parte fondamentale dell'erotismo. Nel rapporto amorosoerotico letto in senso gastronomico le due pulsioni, Eros e Thanatos, si confondono in un vortice di sensualità conoscitiva ed esplorativa, e non sono poi così contrapposte: ti “mangi” lui o lei per interiorizzarla, assimilandola la conosci e ne trai il tuo vantaggio egoistico, almeno nell'illusorio tratto di tempo in cui questo reciproco sacrificio si consuma. E noi, a nostra volta, subiamo lo stesso supplizio contraddittorio di piacere e veniamo divorati e conosciuti. Il consumo del cibo avviene spesso in
contesti di forte ritualità, dal più informale pranzo con amici, al consumo durante culti religiosi di bevande ed alimenti. E se pare scontato sostenere che sia la cultura ad avere creato riti nell'interazione con gli altri (atti che secondo natura non avrebbero alcun senso) si pensi di contro ai rituali di accoppiamento degli animali, certamente meno alterati dal contrasto natura/cultura. L'assegnare simboli, allora, è forse una pratica costitutiva del vivere sociale e relazionale degli esseri viventi. Continuando su questa strada di divertita provocazione, auspicherei di riuscire un giorno a coniugare perfettamente, in un unico intenso momento, senso del gusto e cibo, ricerca di conoscenza, piacere e carnalità. ♦
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Incontri
Ott-Dic 2015 | anno V - numero 19
L'eredità del sapere
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Roma, 14 novembre
n Convegno intitolato “L'eredità del sapere” si svolgerà il 14 novembre, presso il teatro di Villa Torlonia a Roma. L'evento vuole essere l’occasione per riflettere sulla trasmissione del “sapere” inteso come conoscenza, ma anche processo esperienziale attraverso il quale si costruisce l’identità personale e collettiva.In questa prospettiva, il tema del rapporto fra maestro e allievo assume un rilievo speciale, reso ancora più urgente dalla evidente crisi dei modelli educativi tradizionali e dal rapido proliferare di nuovi strumenti di informazione, costruzione e condivisione delle conoscenze. Trasmettere il sapere vuole dire promuovere nelle nuove generazioni la creatività e il pensiero critico nel difficile equilibrio fra rispetto della tradizione e necessità di innovazione. La delicatezza di questo processo è evidente e l’esito può essere la trasmissione transgenerazionale degli aspetti patologici: dogmatismo, mortificazione della creatività, conformismo. Il Convegno metterà a confronto prospettive diverse. La psicoanalisi, in primo luogo, ma anche la filosofia, il mondo della scuola e la pedagogia.
Neurologia pediatrica Bologna, 25-28 novembre
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a Società Italiana di Neurologia Pediatrica organizza, con Biomedia, l’annuale Congresso a Bologna (25-28 novembre 2015) comprendente un Corso precongressuale per soli specializzandi in NP ed un congresso infermieristico in data 28 novembre. La sede è il Savoia Hotels di Bologna, Via Pilastro 2. Il XLI Congresso Nazionale porta il titolo: “La competenza clinica in neurologia pediatrica: dalla diagnosi alla terapia”. Fra i principali argomenti trattati: inquadramento del bambino con sindrome malformativa e coinvolgimento neurologico, l'urgenza neurologica pediatrica in pronto soccorso, nuovi modelli di patologia. Verranno illustrati nuovi strumenti e strategie in neurologia pediatrica, concentrandosi sulle emergenze/urgenze neurologiche del bambino e sulla gestione del paziente neurologico complesso.
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Società italiana di Psicofisiologia Congresso nazionale, 19-21 novembre
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i terrà tra il 19 e il 21 novembre 2015, il XXIII Congresso Nazionale della Società Italiana di Psicofisiologia, tradizionalmente, un momento d’incontro e confronto scientifico interdisciplinare sui temi di maggiore rilevanza nell'ambito della Psicofisiologia e delle Neuroscienze di base e cliniche. Nel momento in cui la nostra società si appassiona ai network e alla comunicazione sociale, anche il cervello umano è descritto dagli scienziati con gli occhi della connettività e dell’integrazione dell’informazione. Ne sono esempio i grandi progetti internazionali di cooperazione scientifica, dall’Human Connectome Project americano, al Brainnetome cinese fino all’europeo Human Brain Project. È in quest’ottica che i contenuti del XXIII Congresso Nazionale SIPF verteranno sulle parole chiave di maggiore interesse del momento: integrazione e segregazione, connettività, reti, complessità, comunicazione. Nella splendida cornice del Complesso Conventuale di San Francesco a Lucca, esperti nazionali e internazionali delle Neuroscienze di base, ed esperti clinici, presenteranno gli ultimi sviluppi, e i più recenti aggiornamenti, relativi alla complessità delle funzioni mentali. Fra i principali argomenti trattati: approcci multimodali per lo studio del cervello umano, integrazione delle neuroimmagini avanzate, neurostimolazione e dati comportamentali nello studio della connettività cerebrale, la complessità cerebrale della rappresentazione delle azioni, trattamenti analgesici non-farmacologici per le varie componenti del dolore, i confini tra la percezione tattile del sè e degli altri, plasticità e neuropsicologia del sistema visivo, dinamiche spaziotemporali e risposte affettive a stimoli artificiali e naturalistici. Il congresso si pone l'obiettivo di presentare gli ultimi aggiornamenti teorici e metodologici nell’ambito delle neuroscienze di base e della psicofisiologia. Inoltre, si illustreranno le più recenti possibilità di traslazionalità dalle conoscenze di base alle applicazioni cliniche, per fornire competenze e strumenti utili allo sviluppo di nuove strategie diagnostiche e terapeutiche.
A Il tema del numero
cos'è l'identità ? Uno dei piÚ discussi e importanti concetti filosoficii visti attraverso la neuropsicologia, il pensiero giuridico, la letteratura
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Ott-Dic 2015 | anno V - numero 19
cos'è l'identità?
Uno dei più discussi e importanti concetti filosoficii visti attraverso la neuropsicologia, il pensiero giuridico, la letteratura Mappa concettuale: il Tema del numero
Percorsi interdisciplinari
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PSIChiatria e psicologia L'identità ritrovata: premesse teoriche
filosofia e psichiatria Percorso storico-filosofico del termine "identità" e del suo utilizzo
1 neurologia e psicologia
L'amnesia: una patologia della memoria che può portare alla perdita della propria identità
Dalle neuroscienze alle scienze umane e sociali 12
Anemos neuroscienze
Lug-Set 2015 Ott-Dic 2015 || anno anno V V -- numero numero 19 18
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Strumenti di lettura I testi di «Neuroscienze Anemos» sono idealmente suddivisi in In - Interdisciplina App - Approfondimenti R/Np - Ricerca e nuove proposte Agli articoli viene inoltre assegnato un numero che indica la complessità di comprensione del testo da 1 a 5.
1 2 3 4 5
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giurisprudenza sociologia e storia e marketing Storia del concetto di persona nella cultura giuridica occidentale
Creare un'identità universalmente conosciuta e ri-conoscibile
6
Identità e narrazione
7
Raccontare per sopravvivere
linguistica e sociologia
Altri approfondimenti
Poesia moderna e identità Introspezione e rifiuto d'identità nella letteratura del primo Novecento
PENSIERO AL FEMMINILE La funzione femminile nella società egiziana
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Approfondimenti interdisciplinari e altri punti di vista 13
Neurologia Psicologia
Ott-Dic 2015 | anno V - numero 19
RIFLESSIONI NEUROPSICOLOGICHE SULL'IDENTITà L'amnesia: una patologia della memoria che può portare alla perdita della propria identità
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Ott-Dic 2015 | anno V - numero 19
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Anemos neuroscienze
Il tema del numero
App 1
di Enrico Ghidoni e Massimo Bondavalli
parole chiave. Deterioramento cognitivo, amnesia, costruzione identitaria. Abstract. Molte caratteristiche della nostra identità dipendono dalle relazioni che instauriamo nel corso della nostra vita, dal nostro ruolo sociale nella famiglia e nel lavoro, così come da fattori più profondi a livello cognitivo e comportamentale. Tutte le situazioni che alterano il funzionamento personale possono portare a modificazioni della nostra identità, ovvero ciò che è il risultato della nostra storia autobiografica, delle esperienze che abbiamo vissuto. L'articolo si concentra, in modo particolare, su una patologia della memoria che può causare un forte deterioramento cognitivo e una conseguente perdita d'identità: l'amnesia.
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'identità personale può essere alterata? L'identità è un concetto polimorfo che esprime un'esigenza e una caratteristica alla base dell'essenza della persona umana. A seconda dei contesti in cui se ne parla, il tema dell'identità assume connotazioni e valori differenti, tutti comunque di grande rilievo per la persona. Il concetto di identità, pertanto, viene discusso a molti livelli disciplinari: psicologia, sociologia, filosofia, antropologia, in cui vengono sottolineati di volta in volta aspetti e problematiche particolari. Molte caratteristiche della nostra identità dipendono dalle relazioni che instauriamo e dal nostro ruolo sociale, nella famiglia e nel lavoro. Ma vi sono anche fattori più profondi e personali, intrinseci di personalità e doti individuali a livello cognitivo e comportamentale. A proposito dell'importanza di diversi fattori nella strutturazione e nella conservazione dell'identità personale, sono rilevanti le informazioni che possiamo raccogliere da situazioni particolari in ambito neuropsicologico. Ovviamente, tutte le situazioni che alterano il funzio-
namento personale, quindi per esempio le patologie neurologiche e psichiatriche, possono determinare modificazioni dell'identità personale, sia nei suoi aspetti di percezione da parte del soggetto, sia riguardo alla percezione sociale della stessa. Si potrebbe pertanto fare un elenco infinito di situazioni, la cui descrizione si presterebbe a considerazioni interessanti e specifiche. Il primo esempio possiamo trarlo dalla patologia della memoria. è ovvio che la nostra identità personale dipende dalla nostra storia, dall'accumularsi nel tempo degli episodi della nostra vita, delle cose e delle persone che abbiamo amato, delle nostre esperienze ed attività che ci definiscono. Perdere questo patrimonio di informazioni può cambiare profondamente la nostra personalità. Le patologie della memoria pertanto sono fra le cause principali di alterazione dell'identità. L'autobiografia personale è fondamentale nel mantenimento del proprio patrimonio identitario. Se un grave trauma cranico comporta la perdita della memoria recente, per esempio degli ultimi cinque anni di vita del soggetto, e se in quei cinque anni sono accadute cose rilevanti ◄
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Neurologia Psicologia
Ott-Dic 2015 | anno V - numero 19
Figura 1.2 - A fianco il drammaturgo, regista e sceneggiatore teatrale francese Jean Marie Lucien Pierre Anouilh (1910 - 1987). Protagonista della sua opera Il viaggiatore senza bagaglio (1937) è un soldato che, dopo la fine della guerra, viene ritrovato totalmente privo di memoria. ◄
per definirne l'identità (come una nuova relazione affettiva o un nuovo lavoro), la perdita di queste informazioni può far riemergere un quadro identitario differente da quello attuale: il soggetto continua a ricordare una relazione che ormai è finita, mentre non riconosce la persona che ora gli è accanto, e ritiene di svolgere il lavoro che svolgeva cinque anni prima. Questo ha inevitabili ricadute su come la sua identità sociale e relazionale viene percepita dagli altri. Viaggiatori nel mondo senza bagaglio. Un elemento fondamentale costitutivo dell'identità, o meglio un suo attributo semantico, è il nome e cognome: informazione basilare che ben raramente può essere perduta. Anche nel caso di un deterioramento cognitivo di livello grave, la persona conosce sempre il proprio nome e cognome. Talvolta potrebbe non riuscire a parlare, ma comunque risponderà se chiamata con il proprio nome. Eppure, esiste una condizione molto particolare in cui la persona perde anche questo ricordo. Si tratta di pazienti che presentano, di solito improvvisamente, uno stato definito amnesia retrograda pura, in cui tutto il loro passato viene perduto, diventa inaccessibile, come pure il proprio nome, per cui si trovano a viaggiare nel mondo senza identità, senza alcun bagaglio di informazioni personali. Il viaggiatore senza bagaglio è il titolo di un dramma di Jean Anouilh (1937) il cui protagonista è un sol-
Diego Marani, Nuova grammatica finlandese, Bompiani, Milano, 2002. Umberto Eco, La misteriosa fiamma della regina Loana, Bompiani, Milani, 2005. 3 Claudio Dotti, Il sentiero delle betulle, Marsilio, Venezia. 4 J.C. Grangé, Amnesia, Garzanti, Milano. 5 Andrea Camilleri, La scomparsa di Patò, Mondadori, Milano, 2002. 1 2
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dato che, dopo la fine della guerra, viene ritrovato totalmente privo di memoria. Diverse famiglie si presentano, rivendicandolo come un proprio familiare. Il poveretto, a poco a poco, scopre che la sua vera identità corrispondeva ad una persona meschina e crudele che ora preferisce dimenticare. L'uomo passa così da uno stato di amnesia inconsapevole ad una consapevole scelta di dimenticare, tanto che alla fine sceglie di non riuniusi alla sua vera famiglia ma ad un’altra, più confacente alla sua attuale personalità. Il tema dell’amnesico ha sempre affascinato la letteratura. La figura della persona senza più identità,
senza il fardello del passato, pronta a iniziare una nuova e migliore vita, è forse una metafora della libertà in opposizione al destino. I romanzi ed i racconti che hanno sfruttato questa figura sono innumerevoli sia nel passato che nella letteratura più recente, basti pensare ai libri di Diego Marani1, di Umberto Eco2, di Claudio Dotti3, di Jean-Cristophe Grangé4, di Andrea Camilleri5, per citarne solo alcuni. In queste opere, come pure in molti film, il tema della perdita della memoria è declinato nei modi più bizzarri, talvolta però con sorprendenti analogie con il mondo della clinica di questa particolare sindrome che i neurologi e gli
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Il tema del numero
Anemos neuroscienze
Figura 1.3 - I bambini con disturbi di apprendimento si scontrano spesso in contesti come la scuola, in cui emerge una loro diversità rispetto i compagni che si manifesta in frequenti insuccessi.Ciò li porta a vivere frustrazioni e traumi che minano la loro autostima e la costruzione di una identità coerente.
psichiatri possono incontrare nella loro vita professionale, rimanendo sempre stupiti e perplessi. La storia di queste persone che hanno perso l'identità inizia quasi sempre con un viaggio o con una fuga. Mario Rossi esce di casa per comprare le sigarette ma non fa più ritorno. Durante la notte la moglie, in ansia, telefona ad amici e parenti, poi al pronto soccorso degli ospedali più vicini, senza riuscire a raccogliere alcun indizio utile a ritrovarlo. La faccenda si protrae, a volte, per parecchi giorni e settimane. Viene coinvolta la polizia, ma il sig. Rossi sembra essersi volatilizzato. La sua auto è ritrovata a pochi chilometri da casa, intatta, aperta, con il cellulare abbandonato su un sedile.
Abbiamo visto già molte decine di casi simili, descritti in letteratura scientifica in vari modi: amnesia funzionale, amnesia dissociativa, psicogena, retrograda. A volte, dopo alcuni giorni o settimane il signor X, che ha viaggiato spostandosi anche per lunghe distanze (di solito in treno), si ritrova perplesso a vagare in qualche piazza o nell’atrio di una stazione finchè non viene avvicinato da un vigile o un poliziotto, quando lui stesso non si rivolge a qualcuno per chiedere aiuto: “Scusate, non so chi sono, potete aiutarmi?”. Portato in ospedale, il soggetto, che non ha in tasca alcunché di utile a identificarlo, si mostra come persona gentile ed educata, a volte comportandosi in maniera
un po' strana: per esempio, chiede come si apre il rubinetto dell’acqua oppure mangia una banana con la buccia (dato che non ricorda nulla del mondo e di come funziona), ma apprende con grande velocità ciò che gli si dice, riconosce medici ed infermieri dopo il primo incontro. Insomma, la sua memoria funziona benissimo “in avanti”, mentre non sa più nulla del suo passato remoto e recente, fino al momento in cui è scomparso. La manifestazione più clamorosa e drammatica si ha allorché il soggetto viene identificato e i familiari giungono in ospedale per riabbracciarlo: il paziente non li riconosce, e nei giorni successivi li riconosce solamente perché li ha visti il giorno prima e gli è stato detto ◄
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Neurologia Psicologia
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Figura 1.4 - La costruzione dell'identità rappresenta un processo lungo e complesso, che può subire variazioni nel corso dela vita. Infatti l'identità può subire modificazioni talora radicali, ma anche molto meno evidenti, che portano a cambiamenti nel modo in cui una persona vede sé stessa e come è vista dagli altri.
◄ esplicitamente chi sono. Un caso famoso che ha diviso per decenni l’opinione pubblica ed i giornali italiani è la storia del famoso “smemorato di Collegno”, risalente agli anni fra le due guerre mondiali. Due famiglie, Bruneri e Cannella, se lo contendevano. Il risvolto del caso rimane tuttora un mistero, come evidenziato nella acuta analisi pubblicata qualche anno fa da Stefano Zago6. Nel 1926, la scrittrice Agata Christie, ben nota per i romanzi e racconti di argomento poliziesco, sparì per undici giorni. Venne, infine, ritrovata in un hotel dove si era registrata con il cognome dell’amante del marito. In quel periodo il suo matrimonio era in crisi e il marito aveva chiesto il divorzio. Da notare che in questi casi la perdita
di memoria non è un atto volontario (tuttavia sono anche stati segnalati casi di simulazione), ma una specie di decisione inconscia: meccanismi mentali sotterranei di fronte ad una situazione esistenziale di forte stress e senza una via di uscita accettabile, che comportano un improvviso azzeramento del sistema, operano un reset mentale, come se il soggetto dovesse iniziare una nuova vita costruendo una nuova biografia, una nuova memoria autobiografica e una nuova identità. Il lungo processo di costruzione dell'identità. Ma cerchiamo di analizzare come si costruisce l'identità personale: tutti sappiamo l'importanza che svolgono, nella storia individuale, episodi
significativi che, durante l'infanzia e l'adolescenza, possono segnare per sempre, nel bene e nel male, quella che sarà la vita di una persona. La costruzione dell'identità è un processo lungo e complesso, che non si può mai dire terminato del tutto. Infatti l'identità, nel corso della vita, può subire cambiamenti e modificazioni talora radicali (si pensi, per esempio, alle persone transgender, che transitano da una identità sessuale ad un'altra), ma anche molto meno appariscenti, in cui il mutare delle condizioni esterne, delle relazioni e dei valori, determinano sottili cambiamenti in come una persona vede sé stessa e come è vista dagli altri. Cambiamenti ambientali significativi possono, nel corso della vita, mutare la prospettiva in cui un uomo considera sé stesso, il proprio passato, la propria biografia. Elementi, un tempo considerati secondari, assumono un ruolo più rilevante sotto nuove luci e l'interpretazione del proprio passato, come la strutturazione della propria memoria, cambia in funzione di nuovi valori. Ma se torniamo all'origine del processo di formazione, quando è tutto
S. Zago, G. Sartori, G. Scarlato, Malingering and retrogade amnesia: the historic case of the Collegno amnesic, Cortex, n.40, 2004, pp. 511 – 532. J. Palombo, Learning disorders and disorders of the self in children and adolescents, Norton, New York, 2001. 8 D. Toschi, Dislessia come trauma in Giovani adulti con DSA, diagnosi, aspetti psicologicie prospettive di sviluppo, a cura di E. Ghidoni, G. Guarandi, E. Genovese, Erikson, Trento, 2015. 6 7
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«Il tema dell’amnesico ha sempre affascinato la letteratura. La figura della persona senza più identità, senza il fardello del passato, pronta a iniziare una nuova e migliore vita, è forse una metafora della libertà in opposizione al destino. I romanzi ed i racconti che hanno sfruttato questa figura sono innumerevoli sia nel passato che nella letteratura più recente.» in una fase dinamica, nell'età evolutiva, i fattori critici che determinano le vicende personali sono da un lato la dotazione individuale (a livello cognitivo, affettivo) e dall'altro lato le aspettative e le reazioni dell'ambiente in cui il soggetto è immerso. Le esperienze che il soggetto vive, e che contribuiscono a definirne l'identità attraverso la costruzione di una storia (narrativa), sono filtrate e definite da fattori individuali e da
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fattori di contesto che determinano il carattere unico di tali esperienze, vissute e connotate in maniera differente per ogni individuo (7). L'unicità di tali esperienze, fattori importanti nel determinare l'identità, è ancora più spiccata nel caso in cui la dotazione individuale, il substrato neurobiologico del soggetto, presenti delle particolarità con aree di forza e altre di debolezza. E' il caso, per esempio, di soggetti con disturbi di apprendimento, che vivono precocemente il conflitto tra le aspettative dell'ambiente e una difficoltà sovente misconosciuta, che determina precoci frustrazioni e traumi8, che minano l'autostima e, quindi, la costruzione di una identità coerente e proiettata positivamente verso lo sviluppo. In questi casi, l'identità subisce continui intralci e minacce che possono impedire la stabilizzazione di una relativa ed equilibrata immagine di sé. I bambini e ragazzi con disturbi di apprendimento, se da un lato si sentono normali nelle attività di gioco e di relazione, dall'altro lato si scontrano in contesti come la scuola, in cui emerge una loro diversità che si manifesta nei frequenti insuccessi. In questa situazione, si rischia di non riuscire a costruire una narrazione di sè coerente, poiché l'identità subisce ripetute ferite a causa del significato che l'ambiente attribuisce agli errori e agli insuccessi scolastici. Crescere con una forte identità in queste condizioni è una grande sfida vitale, e se alcuni sviluppano maggiori capacità di resistere (resilienza), altri possono soccombere in uno stato di basso funzionamento e di bassa autostima che segnerà la loro identità. Tuttavia
Indicazioni bibliografiche Per le indicazioni bibliografiche di questo articolo si rimanda alle note a piè di pagina.
Anemos neuroscienze
anche in situazioni di questo genere, l'identificazione corretta del problema (trovare qualcuno che fa una diagnosi adeguata) può essere un passo decisivo per modificare profondamente l'equilibrio, fornendo alla persona armi per reinterpretare sotto una nuova luce la propria biografia. Anche in ragazzi adolescenti o adulti, l'introduzione dell'evento diagnostico può costituire un fatto traumatico (in senso positivo) che cambia le carte del gioco, svela nuovi significati delle esperienze dolorose del passato e permette di razionalizzarle e vederle sotto una nuova luce più corretta, fornendo gli strumenti per raggiungere un nuovo equilibrio e una più consapevole gestione delle proprie abilità e difficoltà. ♦
Enrico Ghidoni. è neurologo presso l’Unità Operativa Complessa (UOC) di Neurologia dell’Arcispedale Santa Maria Nuova di Reggio Emilia, dove è anche responsabile della Struttura Semplice di Neuropsicologia Clinica, Disturbi Cognitivi e Dislessia dell'Adulto. È, inoltre, docente di Neuroscienze presso i corsi di laurea in Logoterapia, Fisioterapia e Terapia Occupazionale dell’Università di Modena e Reggio Emilia. Responsabile clinico del Centro Esperto Disturbi Cognitivi di Reggio Emilia dal 2000, svolge attività di consulenza neuropsicologica per il reparto di Neuroriabilitazione dell’Azienda USL di Reggio Emilia. Socio fondatore dell’Associazione Italiana Dislessia, ha ricoperto la carica di Presidente dell’associazione dal 2001 al 2005, di Vice-Presidente dal 2007 al 2009. Attualmente è membro del Consiglio di Amministrazione della Fondazione Italiana Dislessia. È autore di studi sulla dislessia in particolare sui giovani adulti. In collaborazione con altri studiosi ha pubblicato diversi volumi sull’argomento, tra i quali Dislessia e università (2010), Dislessia nei giovani adulti. Strumenti compensativi e strategie per il successo (2011), Dislessia in età adulta. Percorsi ed esperienze tra università e mondo del lavoro (2012), Discalculia nel giovane adulto (2013), Dislessia e apprendimento delle lingue (2014), Giovani adulti con DSA (2015). Massimo Bondavalli. è neurologo presso l’Unità Operativa Complessa (UOC) di Neurologia dell’Arcispedale Santa Maria Nuova di Reggio Emilia, dove ha svolto attività di diagnosi neuropsicologica. Attualmente svolge attività clinica nel reparto di Degenza e nell'ambulatorio per l'Epilessia. Inoltre, effettua attività di consulenza neurologica presso l'ospedale di Montecchio (Reggio E.).
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Psicologia
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L’IDENTITÀ RITROVATA Premesse teoriche di Raffaele Bertolini
App 2 parole chiave. Identità, personificazione, psicoterapia, memoria retrogada.
Abstract. Nella prima parte dell'articolo viene affrontato il tema della costruzione dell'identità personale dell'individuo. Questa si compone attraverso due processi mentali: la percezione del sé, uno stato interno conseguente alle singole vicende esistenziali; e la realizzazione di una specifica immagine consapevole della propria persona, mediante la quale il soggetto si identifica e si presenta agli altri. Nella seconda parte, si narra di una seduta psicoterapeutica. Dopo anni di misconoscimento, il terapeuta ricostruisce l'identità del paziente facendogli rivivere una vicenda traumatica della sua infanzia.
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l sè e la conoscenza del mondo. Secondo la concezione Costruttivista, la Realtà esterna è un’infinita rete di processi molteplici e multidimensionali di sistemi autonomi-autorganizzativi (Multiversa), di cui ognuno ha un percorso evolutivo proprio. Negli esseri viventi e soprattutto nell’uomo, il processo del conoscere la realtà esterna coincide appunto con il continuum delle esperienze del vivere momento per momento all’interno di queste reti di sistemi multidimensionali: in questo senso, la conoscenza è un processo “costruttivo di entità esterne”. Ciascun soggetto provvede ad ordinare, a sistematizzare la sequela delle sue vicende esistenziali, dandone una descrizione-rappresentazione, coerente e rappresentativa del proprio ordine interno” (self), che è parte esso stesso dei “Multiversa”. Addentrandoci ulteriormente in tale visione antropocentrica del mondo,
l’uomo costruisce la sua realtà esterna esclusivamente vivendola secondo un proprio ordine interno e, quindi, l’una risulta un’emanazione e un prodotto di rispecchiamento delle trame interne dell’altra. L’uomo acquisisce la conoscenza del mondo, attraverso il processo di costruzione della propria identità personale, sul piano biologico (la maturazione), sul piano cenestesico–emozionale e su quello meta-cognitivo. Le due componenti dell’identità personale. Ogni soggetto costruisce la propria identità attraverso due processi mentali: l’uno, è l’esperienza del sentirsi in un preciso stato interno (percezione di sé), vivendo ogni vicenda esistenziale; l’altro, è il processo di attribuzione di questi multiformi e contingenti modi di essere a una specifica rappresentazione della propria persona (immagine consapevole di sé). La percezione del sè è il sentimen-
to del vivere l’esperienza, è il sentirsi “individuo” che vive gli eventi e le relazioni interattive, che sente l’invarianza della propria essenza, sia nell’ambito della variabilità dei contesti in corso, che in quello della proiezione evolutiva dei propri tratti personali, lungo l’asse del fluire del tempo. Nel “qui ed ora” delle proprie vicende esistenziali, ogni soggetto costruisce quindi la propria identità attraverso il sentimento di irriducibile unicità dell’esperienza del viverle ognuna, momento per momento, sentendosi in un preciso e connotabile stato interiore, fatto di sentimenti, emozioni e sensazioni che inducono conseguenti condotte: “Ciò che sento di essere, attraverso le mie emozioni, sensazioni, stati somatici e comportamenti, vivendo le esperienze della mia vita”. Il sentimento di sé è la componente dell’identità più connaturata e primigenia, in quanto sintonizzato sulla modulazione emozionale ◄
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Psichiatria
Psicologia
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COSTRUTTIVISMO
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ossiamo descrivere il costruttivismo come un movimento d’avanguardia che si sviluppò in Russia nel complesso clima d’impegno ideologico e culturale degli anni successivi alla Rivoluzione del 1917, nell'ambito di indagini concernenti biologia, psicologia della percezione, cibernetica, teoria dei sistemi, antropologia, linguistica, sociologia della conoscenza, epistemologia e altri settori disciplinari. Il costruttivismo si costituisce come tentativo di organizza-
◄ in corso in quel frangente: alla sua
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componente cenestesica rappresentata dagli arousals (ritmi neurofisiologici, mimici, motori, viscerali) e alla sua componente mnesica-immaginativa, cioè lo scenario prototipico che la rappresenta (lo scenario della paura) nella sua mente, da quando l’ha provata una prima volta nella primissima infanzia e l’ha imparata a riconoscere attraverso la riverberazione della mamma. Tali scenari mnestico-immaginativi contengono assemblaggi di rappresentazioni di relazioni primarie, ologrammi di espressività mimiche motorie di tonalità affettive della figura di attaccamento sostanziati da flussi esperienziali sensoriali visivi, uditivi, cenestesici prototipici, rappresentazioni oniriche-fantasmatiche infantili, rappresentazioni mnesiche di esperienze vissute, ricordi analogici-cenestesici di sé, specifiche sensazioni di sé legate a eventi significativi associate a nitide rappresentazioni (sensoriali cenestesiche/percettive di sé) di esperienze recenti analoghe. Questo processo di personificazione su base cenestesica-emozionale si realizza entro l’anno di vita, veicolato dalla costante sintonizzazione che
re entro una modellizzazione concettuale coerente le riflessioni gneseologiche suscitate da tali studi. In base alla sua tesi centrale, nessun sistema biologico può “uscire da sé stesso” per acquisire informazioni sul mondo “così com'è”: ogni organismo reagisce a stimoli percettivi, che costituiscono i momenti elementari dell'esperienza e danno luogo alla sola informazione in suo possesso; informazione che esso codifica ed elabora facendone il nucleo del proprio comportamento. Se-
il piccolo agisce su ogni tonalità emotiva materna, basandosi sulla mimica facciale, per riceverne riverberazione, cioè un imprintig delle modulazioni emotive materne sul suo stato emozionale diffuso. Una disfunzione della percezione di sé è spesso avvertita dal soggetto come una pervasiva sensazione di vaghezza nel vivere ogni esperienza ed è spesso dovuta alla difficoltà di mentalizzare i propri stati interni e, in specifico, gli scenari mnesici immaginativi delle emozioni (Alessitimia). L’espressività cenestesica, emozionale, somatica, della percezione di sé, va riferita a quell’ immagine rappresentativa del “chi si vuol essere” nei cui tratti descrittivi, il soggetto consapevolmente si identifica, e attraverso la quale propone agli altri la propria individualità. Tale rappresentazione di sé è una sorta di struttura semantica “esportabile” ai contesti esterni e si origina intorno all’anno di vita, con la comparsa del linguaggio, attraverso il processo del riconoscersi (Self Recognition), attraverso la descrizione materna dei propri tratti estetici e temperamentali. Si struttura, poi, diventando sempre più radicata e complessa attraverso i
condo il costruttivismo critico, ad esempio, la conoscenza risulta costruita dall'individuo attraverso le sue interazioni con l'ambiente, e l'apprendimento non viene inteso come ricezione passiva di informazioni circa fatti neutri. Nel processo di conoscenza, i significati sono costantemente costruiti in modo attivo e, conseguentemente, anche il mondo reale risulta una costruzione, esito di interpretazioni soggettive socialmente condivise.
vissuti nell’ambito delle interazioni significative delle epoche maturative successive (infanzia, fanciulezza, pubertà, adolescenza), che implicano il giudizio degli altri su di sé e viceversa, diventando la rappresentazione consapevole di sé: dell’adulto strutturata su specifici schemi personali ed interpersonali, cioè su credenze riguardanti la propria persona autoanalizzata, rispetto ai propri tratti personologici; e del futuro, ovvero la propria traiettoria temporale, il rapporto con il mondo, riguardo ai domini esperienziali (le vicende esistenziali) ed interpersonali (le relazioni con gli altri significativi e non). Anche questa immagine di sé in corso è sempre strutturata sul concetto di presentabilità personale al giudizio degli altri e vincolata alle (o condizionata dalle) trame di riferimento personale: teorie causali, temi di vita, vincoli morali, principi pedagogico/educativi, inferenze culturali, valori (familiari, sociali), credenze religiose. Una difficoltà che il soggetto può avere nel costruirsi un’immagine personale, in cui riconoscersi e farsi riconoscere, può essere quella di costruirla coerente, riuscendo ad assemblare le molteplici rappresen-
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tazioni di sé stesso che emergono nei diversi contesti esistenziali, o ricercando un nesso di continuità nelle rappresentazioni di sé, lungo l’asse del tempo, oppure tramite la costruzione di un immagine di sé stessi deludente e/o mai incisiva sostenuta da credenze di negatività personale, frutto di esperienze traumatiche precoci. La ricerca di coerenza e di autostima è la motivazione implicita che sottende molte richieste di psicoterapia personale, così come lo è l’apparente incapacità di provare emozioni e/o sentimenti oppure di contenerli. Pertanto la psicoterapia, in questi casi, risulta un percorso di conoscenza personale lungo le trame della memoria retrograda, fino a giungere al fulcro della disfunzione personale, rappresentato da un cluster di schemi maladattivi, originatasi nella prima infanzia, che ne attivano le dinamiche attuali, che appunto occorre ristrutturare: per alcuni profili appartenenti al dominio dell’abbandono, del distacco, del rifiuto, della inadeguatezza personale. Le metodiche psicoterapeutiche puntano a una ristrutturazione su base emotiva, adottando pratiche di imagery. Il caso. Il racconto che segue è la cronaca di una seduta psicoterapeutica che potrebbe essere di ogni persona che ha problemi relazionali, nell’ambito dei contesti esterni, che nascono da una pregressa disistima in sé stesso. In questa seduta, il terapeuta, avendo ipotizzato che nel paziente l’immagine personale negativa in corso abbia una fonte nella sua vergogna riguardante le proprie origini (figlio di una madre ricoverata all'ospedale psichiatrico) e nel suo vissuto di fanciullo deprivato, per diverse ragioni, dell’amore di tutti coloro dai quali, invece, avrebbe dovuto ricevere affetto, empatia sostegno, complicità (genitori, parenti, insegnati e compagni di scuola), promuove un suo viaggio retrogrado nel tempo ad incontrare il bambino vulnerabile che era, proprio nella sua Scuola primaria: uno dei tanti contesti, che al tempo della sua fanciullezza, erano teatro di vicende traumatiche per lui, proprio
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come quella che viene ri-vissuta nel “qui ed ora” della seduta. Mentre saliva le scale, osservava l’ascensore in ferro battuto, su cui non era ancora riuscito a salire, neppure dopo un anno di sedute settimanali. Era depresso riguardo a quell’uomo che era e che non voleva più essere, ma interruppe ogni ruminazione, perché era già arrivato al quarto piano. In contemporanea, uscì “la signora dell’ora prima”, un saluto accennato passando dalla piccola anticamera e poi entrò nello studio. Seduto sulla chaise longue, iniziò a parlare di sé: “Mi sento sbagliato” anche oggi, come ieri e come domani […]”. Il TP (Terapeuta): “Cosa è successo che l’ha così turbata?” “Il rapporto con il mio Direttore mi risulta insopportabile. Appena mi guarda mi sento attraversato dal suo sguardo di critica”. Il TP continuò: “Mi riferisca un episodio preciso in proposito”. Il paziente: “Alla fine della mattinata, mi chiama la sua segretaria, con il solito tono che mi fa battere il cuore al massimo, mezz’ora dopo entro nel suo studio e già so che non vado bene, mi metto a sudare, arrossisco, mi gira la testa, anche se non mi ha ancora parlato, poi lui mi dice 'si accomodi, purtroppo non ho tanto tempo da dedicarle e così vengo al sodo, per dirle che ho letto il suo rapporto da portare al Consiglio ma non lo trovo soddisfacente'. Non so se ha detto proprio così, perché ero già nel pallone e non lo ascoltavo più, ma poi sono rientrato bruscamente in me, esattamente quando mi ha detto che sarebbe stato opportuno che andassi in pensione e, per invogliarmi, disse anche che ci sarebbe stato anche “un modesto ma significativo ringraziamento” da parte dell'azienda, per la dedizione dimostrata. Un incentivo alla rottamazione insomma, infatti non ha detto proprio pensione. Ha detto, quiescenza. Mmmm... ho pensato, siamo nel 2005, ho cinquantanove anni, sono entrato come impiegato in quest’azienda nel 1967, dopo aver lavorato in mille posti e fatto due guerre, forse ho fatto il mio tempo davvero.” Il TP: “Cerchi di focalizzarsi non sul fatto, ma su come si è sentito dentro”. “Male, molto male”.
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TP: “Male come?”. “Come uno messo da una parte, perché non vale più niente. Ho in mente il suo sguardo che mi compatisce”. TP: “Ecco, proprio riguardo a quello sguardo che lo ha attraversato umiliandolo, che le ha segnato di vergogna il viso, che altro sguardo del passato le fa venire in mente?”. Stava iniziando la sua esperienza settimanale di “viaggiatore del tempo” in cui lasciava la realtà dello studio, per vivere, nella dimensione del déja vu, le immagini che l’inconscio gli produceva e così si trovò puntati addosso gli occhi cerulei della maestra Malvina, in seconda, mentre il sudore dell’ansia gli ghiacciava la schiena: “Ruffolo, continua tu a leggere, che sei tanto bravo a parlare!”. La testa gli era andata altrove, come spesso gli capitava, e realizzò brutalmente di aver perso il segno di lettura. Farfugliò qualcosa di goffo. La maestra lo riprese: “Anche stavolta hai perso la riga, Ruffolo, sei sempre sulle nuvole. Fila in castigo!” Essere dietro alla lavagna significava non vedere nulla per tre o quattro ore, se disgraziatamente ci andavi all’inizio della mattinata. Per come aveva orchestrato la maestra Malvina tale punizione, per Ruffolo, significava sentire parlare di sé in termini sarcastici, critici, allusivi e canzonatori in continuazione: in questo, era Malvina stessa il corifeo, nella funzione della derisione, mentre gli scolari la seguivano con crudeltà innocente; per lui, l’esperienza era una sorta di “forca caudina”, la cui distruttività non aveva sentito subito su di sé, ma che nel tempo, era risultata irrimediabilmente erosiva sulla sua autostima. Così quella mattina di novembre del 1952, la trascorse piangendo a dirotto, sui suoi mali dell’anima, perseguitato da una voce interna pervasiva e giaculatoria che, facendo il verso ai cori meschini, gli andava ripetendo una frase terribile “ Chi è causa del suo mal, pianga se stesso […] sei matto come tua madre che sta in manicomio… chi è causa del suo mal, pianga se stesso… sei matto come tua madre che sta in manicomio […]”. Per le cronache psichiatriche, la mamma di Ruffolo, era affetta da schizofrenia, che ai tempi del
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Psichiatria
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◄ dopoguerra, era ancora giudica-
ta irreversibilmente distruttiva di ogni forma di pensiero e di affetto: erano gli anni in cui la malattia mentale era considerata ancora una malattia organica stigmatica ed ereditaria e in cui negli ospedali psichiatrici venivano rinchiusi derelitti, sovversivi, figli di nessuno, etilisti, poveri di ogni estrazione, che i Governi dell’epoca, impegnati nella ricostruzione dell’Italia, nell’ambito degli ultimi aiuti americani all’Europa (piano Marchal 1947-1951), non avevano granché a cuore. Per le cronache storiche, nel 1952 vigeva ancora la legge n° 36 sui Manicomi del 1904 (Governo Giolitti), che sanciva l’internamento del paziente a causa della sua pericolosità sociale e il suo pubblico scandalo, in quanto “folle”. Il TP continuò: “Mario cosa sta provando per quel bambino che piange disperato in quella sordida classe?” La voce lo riportò nel presente, operando una sorta di brutale scissione interna: “Niente dottore, non sto
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provando nulla!”. TP:“ Mario è importante che comprenda che è venuto il momento di riconoscere le sue radici. Se lei è nato in un sordido quartiere della città e lì ha vissuto la sua infanzia non è colpa sua, ma ha il merito di esserne uscito. Se non ha avuto la mamma vicina ed è nato senza papà, ha il merito di averlo sopportato. Non perda di vista quel bambino che era […] lo guardi […] è in balia di una situazione per lui angosciosa, ha bisogno di aiuto. Cerchi di provare verso di lui quella tenerezza compassionevole che proverebbe, se lo incontrasse piangente, in un angolo della strada più buia del suo quartiere. Non lo lasci senza aiuto, come lui pensa di essere, ha bisogno di lei. Vada a prenderlo dov’è, la prego, e lo porti via di là.”. Mario piangeva lacrime di dolore e di tenerezza, intraprendendo l’inquieto
cammino a ritroso, per incontrare e portare affetto al bambino che era nel 1952. Tutto era immerso in una nebbia compatta, la scuola era un edificio massiccio di un colore chiaro, sporcato dalla fuliggine del tempo. Varcandone l’ingresso, si trovò a rivivere l’esperienza di cinquanta anni prima, nel tanfo stagnante di quell’aula , stipata da banchi neri di legno massiccio, il volto sagace di Einaudi e il profilo affilato di Papa Pacelli alle pareti, una fila di cappottini e di berretti appesi. Con il cuore che batteva forte, già intimidito dal vociare scomposto degli scolari, titubante davanti a Malvina, che lo guardava accigliata e interrogativa, stretta in un vestito nero, lungo e accollato, chiuso davanti da una fila interminabile di bottoni grigio perla, i capelli grigi raccolti, gli occhi turchini più penetranti al mondo.
Figura 2.1 - Secondo la concezione costruttivista, l’uomo acquisisce la propria conoscenza del mondo, tramite il processo di costruzione della propria identità personale sia sul piano biologico che su quelli cenestesico–emozionale e meta-cognitivo.
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Aveva voglia di essere altrove, come allora. Ma vide le gambine storte del piccolo Mario, le sue ginocchia rosse di cera spuntare tra i massicci piedi della lavagna e lo sentì singhiozzare piano. Ebbe un moto di tenerezza per lui e rabbia trattenuta verso di lei che lo fece parlare sicuro, come non aveva mai fatto: “Sono venuto a prendere il piccolo Mario e a portarlo lontano da qui, nella dimensione dell’anima mia, per sentirmelo dentro e ascoltarne i suoi bisogni affettivi. É il valore di questo intento ritrovato, che oggi mi dà la fiducia e la forza di farmi valere!” Succede, quindi, che il piccolo Mario esce dall’aula e dalla scuola, tenendo per mano Mario grande che lo ha ritrovato e si è ritrovato, mentre la gente di allora e di oggi li lascia passare, in un silenzio assorto. TP: “Non entri nella dimensione narcisista del suo sé grandioso, attraverso la presenza del piccolo Mario, fornendogli la versione arrogante del suo sé fragile, per tranquillizzarlo. Lasci perdere la folla plaudente, lo porti fuori da quel ghetto immondo, se può!”. Camminò con lui, cingendogli le spalle, sullo sfondo di filari di platani senza foglie e di alti cipressi, inghiottiti insieme dalla nebbia del parco. Sedettero sui gradini del Teatro, osservando la piazza insolitamente vuota, il giallo sbiadito dei portici della Trinità, la torre del Monte di Pietà sullo sfondo. Si ritrovarono poi in centro, davanti alla Confetteria-Pasticceria Helvethia, già di ditta Romualdo Nazzani, inventore del biscione, dove ci sono pannelli pubblicitari Buchard chocolat, Suisse chocolat sulla facciata chiara e in alto, l’in-
Il tema del numero
segna della Casa, smaltata rosso scuro, vetrine sfavillanti di argenti e stagnole. “È un posto amato dai bambini e scelto dai grandi , per le delizie di cioccolato e zucchero, per le torte della Ditta fatte da rinomati maestri pasticceri” racconta Mario grande. Entrano, passando davanti al banco chiaro di legno laccato. Sullo sfondo, solo vetrine di caramelle, cioccolatini, confetti argentati, croccantini, pasticcini di crema, torte dalle glasse sontuose, decorate con arte pasticcera. Il piccolo Mario guarda tutto, ammutolito da un tale splendore degli occhi e del palato, in quell’ambiente profumato di caffè e cannella, seduto davanti a una tazza di latte e cioccolato, debordante di morbido “latte miele” e un enorme bignè. Il nasino bianco di vaniglia, gli occhioni grandi sul visino pallido, le labbra deliziosamente impegolate. Il TP concluse: “ Ora gli dica il bene che gli vuole, lo abbracci come farebbe quel padre affettuoso che quel bambino non ha mai avuto. Vedrà che lo rincontrerà…certo che lo rincontrerà!”. Mario: “Ti voglio ricordare così, sporco di crema, piccolo bambino mio. Ti porterò sempre nel cuore, per sempre e sempre”. “Ora Sfumi lo scenario” gli disse il TP “e ritorni qui”. Lo strinse al petto e lo baciò nei capelli ricciolini, mentre il piccolo gli svaniva davanti. Uscì con gli occhi ancora lucidi dallo studio, scese le scale umide, ripensando a quello strano incontro nel tempo, con quel bimbo ricciolino, di cui aveva già tanta nostalgia. Quando fu in strada, si accorse che c’era una tiepida estate nell’aria e che il piccolo Mario non si era
Indicazioni bibliografiche Arnoud Arntz, Hannie van Genderen, La Schema Therapy per il disturbo borderline di personalità, Raffaello Cortina Editore, Milano, 2011. Aaron T. Beck, Denise D. Davis, Arthur Freeman, Cognitive Therapy of Personality Disorders, Guilford Press, New York, 1990. George A. Kelly, La psicologia dei costrutti personali,
Raffaello Cortina Editore, Milano, 2004. Lawrence P. Riso, Pieter L. Du-Toit, Dan J. Stein, Jeffrey E. Young, Schemi cognitivi e credenze di base, Eclipsi, Firenze, 2011. Jeffrey E. Young, Janet S. Koslo, Marjorie E. Weishaar, Schema Therapy, Eclipsi, Firenze, 2007.
Anemos neuroscienze
perduto nel tempo, come pensava: si sentiva felice, come stesse ancora camminandogli a fianco, nel sole radente del tramonto. Conclusioni. Nel racconto, la (ri-)costruzione dell’Identità di Mario, inizia con il riconoscimento delle proprie origini, agito attraverso la metafora del tenero abbraccio del bambino vulnerabile che era: dopo anni di misconoscimento, ne introietta la figura che, solo ora, riconosce come la parte di sé originaria, e ciò conferisce completezza e consistenza alla sua immagine di sé. Quando il paziente ha compiuto questo passo, si può avviare il processo di ristrutturazione cognitiva degli SMP su cui poggia il suo sentimento di inadeguatezza. ♦
Raffaele Bertolini. Psichiatra, psicoterapeuta cognitivo-comportamentale, relazionale, schema therapy; esperto nel trattamento dei disturbi del comportamento alimentare; già Direttore dei Servizi di Salute Mentale e del Centro per la cura dei disturbi del comportamento alimentare di Guastalla e di Correggio (RE).
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Filosofia
Psichiatria
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Peripezie di un concetto: identità Percorso storico-filosofico del termine "identità" e del suo utilizzo App 3
di Mauro Bertani
parole chiave. Filosofia, identità ontologica, identità logica, identità personale. Abstract. Oggi, il termine identità viene usato comunemente e, spesso, in modo improprio. L'articolo, seguendo un percorso storico-filosofico, descrive i diversi impieghi e i differenti campi d'applicazione del concetto, concentrandosi sulla filosofia greca e sull'esperienza di pensiero moderna e contemporanea.
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l termine identità. Il concetto di identità occupa oggi il proscenio della discussione pubblica. Tutti vi fanno riferimento, occasionalmente a ragione, ma troppe volte a torto, se non addirittura a vanvera, in relazione a questioni come quella che viene definita l’identità di genere e/o sessuale, l’identità personale, per poi estendersi a quella di gruppo, all’identità di popolo, a quella nazionale, e addirittura a quella di un’intera civiltà (vedi le recenti discussioni sull'identità dell’Europa) e a quella che si pretende assicurata dalle religioni (identità cristiana, islamica, e così via). Sono frequenti alcune vertiginose cadute nel grottesco*, come quando si parla dell’identità di un brand, di un marchio, di un prodotto o addirittura di un logo (si è potuto leggere, di recente, un saggio sull'identità professionale del farmacista e il design
Il tema del numero
organizzativo della farmacia, un altro sull'identità gastronomica della Francia, un altro ancora sull'identità del contratto a tutele crescenti, per non citare che alcuni esempi particolarmente esilaranti). Insomma, il lemma sembra diventato un termine passepartout, che si può usare indifferentemente, nei contesti più diversi, nelle accezioni e con i significati più eterogenei e persino incompatibili gli uni con gli altri. Ma perché è potuta avvenire una simile utilizzazione tous azimuts, secondo la celebre formula gaullista, che mescola questioni ridicole a temi molto seri? Ad esempio, allorché si discute della crisi o della perdita dell’identità nelle popolazioni dei migranti, o di quella ad insorgenza drammatica negli stati schizofrenici, melanconici o maniacali, non si fa che creare confusioni, travisamenti e equivocazioni (a volte, veri e propri imbrogli deliberati ed intenzio-
Anemos neuroscienze
nali) di un termine, che rimanda ad un concetto che ha avuto una storia precisa, ha ricevuto una serie di descrizioni e di condizioni d’impiego elaborate all’interno di contesti teorici e conoscitivi altrettanto determinati, a partire dalla ταὐτότης greca, per diventare poi una sorta di vero e proprio “crampo linguistico”, come avrebbe detto L. Wittgenstein, rispetto al quale sarebbe necessaria innanzitutto un’opera di chiarificazione e di analisi capace di ristabilirne condizioni d’uso appena un po' rigorose. Non è ovviamente questa la sede per avviare un tal genere di lavoro, che del resto è già in corso da tempo nel pensiero contemporaneo, ed in particolare nell’ambito della filosofia analitica (si vedano, ad esempio, i lavori di D. Parfit e di V. Descombes). Resta comunque il fatto che, negli usi effettivi del lemma, tali variazioni e tali slittamenti di significato si sono verificati, e di
* In questo stesso numero se ne parla, ma con la consapevolezza dello slittamento metaforico dell'uso del concetto di identità.
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Filosofia
Psichiatria
◄ essi si dovrebbe comunque dar
conto. Non essendo possibile affrontare qui tale questione, ci limiteremo a richiamare soltanto un problema storico, relativo ai diversi impieghi e ai differenti campi ed oggetti d’applicazione, del concetto d’identità all’interno di due diverse esperienze di pensiero, quella antica, da un lato, e quella moderna e contemporanea, dall’altro, per chiederci come mai, ad un certo punto di quella storia, abbia potuto verificarsi una torsione, un rivolgimento nel significato e nel campo d’applicazione del concetto, come quello che cercheremo di descrivere.
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Il concetto di identità nella filosofia greca. Partiamo da un’osservazione preliminare del logico e matematico G. Frege, il quale ha scritto che dal momento che ogni definizione stabilisce un’identità, ne segue che a sua volta “l’identità non può essere definita”. Il che ne fa un concetto che implica una relativa indeterminatezza, variabile e mutevo-
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le a seconda dei contesti e dei campi disciplinari che vi fanno ricorso, e il cui significato, pertanto, come ha scritto il filosofo J. Austin, resta oscuro. Ciò non ha impedito che, nel corso della storia del pensiero e delle varie forme di sapere, venissero elaborati veri e propri sistemi incentrati su tale concetto e che, ad esso, si facesse ricorso nei più disparati ambiti (dalla logica alla metafisica, dalla matematica alla fisica, dalla psicologia all’antropologia alle scienze sociali), che dovranno pertanto essere intesi come altrettanti tentativi di fissarne, in maniera sempre provvisoria e approssimativa, il senso. Nella Vita di Teseo, compresa nell'opera Vite degli uomini illustri, Plutarco, che riprende una serie di questioni che risalivano all’epoca della sofistica ateniese, fornisce una prima testimonianza della natura dell’interrogazione greca intorno al problema dell’identità, riportando il caso della nave di Teseo: una nave “ch’era di trenta remi, sulla quale Teseo andò co’ fanciulli e ne tornò
Figura 3.1 e 3.2 - Sopra
il filosofo tedesco Georg Wilhelm Friedrich Hegel (1770–1831). A fianco John Locke (1632 – 1704). Fu un filosofo e medico britannico. Le loro riflessioni filosofiche ebbero grande importanza nello sviluppo del pensisero successivo a proposito di "identità".
salvo, conservata era dagli Ateniesi fin dai tempi di Demetrio Falereo, poiché essi, levandone i legni che s’infradiciavano, ve ne inserivano de’ sodi; cosicché i filosofi, quistionando intorno all’aumento delle cose, portavano per esempio d’ambiguità questa nave, altri dicendo ch’ella restava sempre la medesima, ed altri no”. L’esempio verrà ripreso e discusso innumerevoli volte (ricordiamo in particolare il capitolo XI del De corpore di Th. Hobbes e I nuovi saggi sull’intelletto umano (II, 27, 4) di G. W. Leibniz, su cui torneremo), ma è evidente che nella storia raccontata da Plutarco viene ricapitolato un problema che aveva assillato il pensiero filosofico greco fin
dalle origini, costituendone anzi il problema centrale e fondamentale, vale a dire quello dell’essere. Qualcuno ha potuto sostenere che per la filosofia greca il problema dell’identità coincide, per l’essenziale, col problema di tutto ciò che esiste, ed esiste assolutamente, senza alcuna condizione, prima e indipendentemente dalle sue modalità e dai suoi predicati, col problema della totalità del reale, prima e indipendentemente dalle distinzioni tra sensibile e intelligibile, univocità e molteplicità, immanenza e trascendenza, finitezza e infinitezza, e così via. Per la filosofia greca, quello di identità è innanzitutto, ed eminentemente, come osservava Aristotele nel quinto libro della Metafisica, un concetto che ha valore logico e ontologico al contempo. Già per i presocratici è l’intera struttura della realtà fisiconaturale, pur nella molteplicità degli
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Il tema del numero
elementi che la compongono e nelle variazioni delle sue manifestazioni, a presentare un carattere unitario, invariante e permanente, perennemente identico a sé stesso. In Parmenide, in particolare, tale identità dell’elemento sostanziale con sé stesso verrà designata con l’espressione destinata a segnare la storia del pensiero occidentale: τὸ εἶναι, i cui predicati fondamentali saranno quelli dell’eternità, dell’indivisibilità, dell’immortalità, dell’immobilità e dell’univocità. E proprio questi caratteri fan sì che solo la conoscenza dell’essere in quanto tale garantisca la verità, di contro alla conoscenza del mondo fenomenico che risulterà relegata nella sfera dell’opinione fallace. A partire da Parmenide, dunque, il principio d’identità costituirà il principio fondamentale dell’essere, ed anche quando tale concetto non verrà più pensato nei termini
Anemos neuroscienze
assolutamente unitari e monadici di Parmenide, come ad esempio in Platone e in Aristotele, bensì nei termini di una sua costitutiva differenza, tale per cui esistono i molti in relazione dialettica gli uni con gli altri e tutti in relazione con l’uno, come dirà Platone, o tale per cui solo gli enti concreti, ovvero gli individui, costituiscono la vera realtà, come vorrà Aristotele. Resta il fatto che ogni ente, che si tratti delle idee o delle sostanze prime, ovvero degli individui, è determinato nella sua generalità o nella sua individualità in virtù della sua identità con sé stesso. L’identità è dunque un principio che si impone, in tutto il pensiero greco (con le uniche eccezioni di Eraclito, dei Sofisti e dei Cinici) come verità immediatamente evidente, legge dell’essere e legge del pensiero al contempo. Non potremmo infatti pensare nulla se non lo pensassimo come un alcunché di determinato, vale a dire qualcosa che è tale in quanto sottoposto al principio di identità. Un'identità che assumerà aspetti diversi (Aristotele distingue l’identità numerica da quella specifica o generica “secondo la materia”), ma che, da allora, fungerà da canone, insieme al principio di non contraddizione e a quello del terzo escluso che da esso derivano, per ogni pensiero che voglia attenersi alle regole di una logica ben temperata. Il pensiero occidentale. Identità ontologica e identità logica si richiamano dunque reciprocamente. Ma mentre dal punto di vista ontologico l’identità sostanziale, ovvero l’identità di un ente, consiste nella sua unità e continuità nel tempo e nello spazio, da un punto di vista logico l’identità verrà definita come una relazione di equivalenza caratterizzata dalla indiscernibilità. Sarà Leibniz a stabilire che se le proprietà di x e di y sono comuni, allora x e y sono identici (principio dell'identità degli indiscernibili) e che, reciprocamente, x e y sono identici se e solo se ogni predicato valido per x è valido anche per y, e viceversa (principio dell'indiscernibilità degli identici). Vale dunque il principio di sostituibilità che recita: Eadem
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◄ sunt, quorum unum potest substitui
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alteri salva veritate, che la logica formale enuncia così: ∀P, ∀x, ∀y : (x = y ←→ (Px ←→ Py). La logica posteriore, in particolare con Frege e Russel, preciserà che, in quanto relazione di equivalenza, l’identità dovrà possedere i caratteri della riflessività (x = x), della simmetria (se x = y, allora y = x) e della transitività (se x = y e y = z, allora x = z). Sarà ben presto evidente che le condizioni formali dell’identità logica non sono sufficienti a giustificare tutti i caratteri dell’identità e che le sue proprietà formali non consentono di stabilire né quando e in cosa due oggetti di tipo particolare sono realmente identici, ma neppure quando e a quali condizioni un oggetto resta lo stesso, come nel caso della nave di Teseo, per cui si dovrà giocoforza tornare ad un’analisi di tipo ontologicometafisico. Un'analisi come quella sviluppata da Hegel, che giungerà nella Scienza della logica a negare il concetto di identità immediata. A partire da Parmenide questo era stato applicato e riferito all’essere in quanto tale, ma fu inteso da Hegel come pura indeterminazione e, pertanto, identificato con il nulla. Il vero essere, per Hegel, non è l’essere immediato, semplice unum atque idem, sostanza immobile, bensì divenire che incorpora come costitutive (e non semplici accidenti) anche le differenze ed il molteplice, facendo della contraddizione non l’errore da espungere, ma il motore e la legge che governano, grazie all’Aufhebung, il vero e il reale, tale per cui la vera identità si configura come “identità dell’identità e della non identità”. Una identità che si identifica, pertanto, con una processualità che è intero, totalità, universale, ovvero risultato in cui propriamente consiste l’essere in sé e per sé dello spirito, al cui servizio sta, e al cui interno trova la sua giustificazione, persino la contraddizione (contradictio est regula veri, non contradictio falsi). Ma già prima di Hegel e del suo tentativo di rifusione dell’intera riflessione antica sull’identità era avvenuto qualcosa di fondamentale nella storia del pensiero occidenta-
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le; qualcosa che avrebbe spostato in maniera decisiva l’asse e il sistema di riferimento della riflessione a proposito dell’identità. Possiamo farne risalire l’origine metafisica a quel simplici mentis intuitu in cui, secondo Cartesio, consiste la conoscenza immediatamente evidente della verità del cogito come fondamento dell’essere che collocherà, non più a parte objecti, bensì a parte subjecti, l’interrogazione sull’identità, aprendo la strada a quello che è, sia pure trasformato e modificato, nei metodi e nelle forme di indagine, ancora oggi, il cuore di tale interrogazione. Cartesio cercherà di pensare l’iden-
tità nel cambiamento o nel divenire, come nel pezzo di cera che resta uno in virtù della sua natura di res extensa, nonostante le modificazioni che subisce a causa del calore prodotto dalla fiamma. Ma per poter riconoscere tale identità sostanziale, il filosofo sosterrà che occorre l’intervento del soggetto conoscente: “Quand'io distinguo la cera delle sue forme esteriori, e, come se le avessi tolto i suoi vestimenti, la considero tutta nuda, certo, benché si possa ancora incontrare qualche errore nel mio giudizio, non la posso concepire in questa maniera se non con mente umana” (Meditazione secon-
Figura 3.4 - Notissime rappresentazioni di Platone e Aristotele nell'affresco
di Raffaello Sanzio La Scuola di Atene (1509-1511). Come in quasi tutti i campi della speculazione filosofica, anche a proposito di identità i due maestri greci tracciarono problemi destinati ad essere dibattuti per secoli.
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da, in Meditazioni). Il che aprirà un fronte nella riflessione sull’identità, il quale resta, ancora oggi, decisivo. La nuova definizione di identità. Si pone, cioè, il problema dell’identità, non più intesa nella sola accezione logica e ontologica, dell’individuo in cui quella mente umana alberga. Da qui l’inizio di una interrogazione (in origine filosofica, e diventata oggi psicologica, neuroscientifica, eccetera) intorno a ciò che fa sì che un individuo resti lo stesso, dalla nascita all’età adulta, pur conservando solo poche tracce materiali delle sue origini, e su ciò che rende possibile agli individui percepire, o diventare coscienti, di continuare ad essere sé stessi, ovvero sempre gli stessi, nel corso di tutta quanta l’esistenza, e di essere riconosciuti dagli altri come dotati di una personalità, di un io, di un’identità. E se per Cartesio a definire tale identità sarà l’esistenza di una sostanza separata, da lui detta res cogitans, la cui intera natura si risolve nella pura e semplice attività del pensare, per altri essa consisterà nell’accidente di un corpo, o in processi di individuazione, sempre particolari, che si radicano comunque nell’organismo. Per altri ancora, anche se l’identità non avrà nulla a che fare con alcuna sostanzialità (spirituale o materiale) dell’io, o del self, come scrive Locke nel suo Saggio sull’intelletto umano, bensì si risolverà nella serie delle impressioni sensibili immediatamente provate di cui il self è cosciente e che fan sì che sia interessato a sé stesso e riconosca come proprie tutte le affezioni sperimentate e tutte le azioni compiute. Da qui l’importanza della temporalità (se per gli antichi la modalità di esistenza dell’essere era quella dell’eternità, per i moderni e
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i contemporanei è il tempo, e con esso la storia, l’orizzonte incontornabile dell’essere) per gli individui, che non si limitano ad avere una semplice presenza nel mondo, come gli oggetti, ma sono appunto soggetti, definiti da una coscienza continua di sé nel presente, legata alla coscienza dei propri stati nel passato. L’identità viene così sempre più intrinsecamente correlata alla memoria che le è sottesa, ma a questo punto si apre un vero e proprio paradosso (in verità più d’uno) per l’identità personale. Avere coscienza di sé non garantisce di essere effettivamente ciò di cui si ha coscienza (come mostreranno, rispettivamente, Kant, a proposito dei paralogismi della psicologia razionale, ed Hegel, in relazione alle peripezie della coscienza e dell’autocoscienza, con tutti i loro erramenti e le loro alienazioni necessarie, prima di poter raggiungere il sapere assoluto in cui si risolveranno ed invereranno), ed, inoltre, la memoria è il risultato complesso di una serie di operazioni e costruzioni complicate che, piuttosto che garanzia dell’identità, sono parte integrante dei meccanismi di identificazione, ovvero di quei processi inconsci che modellano e modificano lo psichismo, rendendolo simile agli elementi del mondo rappresentato dagli altri, iscrivendolo in una genealogia. Come ha scritto P. Ricoeur, “l’identità di una persona, di una comunità, è fatta di identificazioni-a dei valori, delle norme, degli ideali, dei modelli nei quali la persona, la comunità si riconoscono. Il riconoscersi-in contribuisce al riconoscersi-a”. Tutto ciò ha consentito di dire (tra gli altri a M. Mauss) che l’identità personale (quando essa si forma, cioè quando accade che essa divenga qualcosa di indipendente dagli
Indicazioni bibliografiche Plutarco, Pompei Girolamo, Vite degli uomini illustri, Guigoni, Milano, 1875. Aristotele, Metafisica, Bompiani, Milano. Georg Wilhelm Friedrich Hegel, La scienza della logica, UTET, Torino. Georg Wilhelm Friedrich Hegel, Fenomenologia dello spirito, Armando Editore, Roma.
Cartesio, Meditazioni, Bompiani, Milano. John Locke, Saggio sull'intelletto umano, UTET, Torino. Paul Ricoeur, Sé come un altro, Feltrinelli, Milano. Gottfried W. Leibniz, I nuovi saggi sull'intelletto umano, Laterza, 1988.
Anemos neuroscienze
altri, il che non si realizza, ad esempio, nelle società cosiddette primitive) dipende in buona parte da ciò che avviene, attraverso una serie di processi storici e sociali sempre determinati, fuori dall’individuo stesso. “L’Io è un Noi, e il Noi un Io”, aveva già scritto Hegel nella Fenomenologia dello spirito, il che dovrebbe renderci vigili intorno ai pericoli che potrebbero comportare l’iscrizione dell’identità nei meccanismi della psicologia delle masse, come l’aveva chiamata Freud, e dunque all’interno di strutture, dispositivi, apparati, volti a costruirla, produrla accuratamente, fissarla, mantenerla o trasformarla, in funzioni di un certo numero di finalità che non sono certo quelle scelte dall’individuo. Conclusione. Avere compreso che l’identità è anche il prodotto di tecniche, saperi, meccanismi di natura eminentemente storica e sociale, che comportano relazioni di potere (quando non di dominio) che attraversano, governano e definiscono gli individui, potendo giungere ad oggettivarli e assoggettarli, dovrebbe dunque renderci coscienti di quanto, nella questione dell’identità, sia in gioco la nostra libertà. E fino a che punto, in determinate circostanze della storia, potrebbe essere necessario rifiutare il genere di identità che ci è stata imposta. ♦
Mauro Bertani. Storico del pensiero filosofico e della psichiatria, ha edito diverse opere di Michel Foucault. È stato tra i curatori di La psicoanalisi e l’antisemitismo (1999) e di Psiche. Dizionario storico di psicologia, psichiatria, psicoanalisi, neuroscienze (2006-2007). È coautore di L’illusione dell’ultima parola. Alcuni casi di coscienza in psichiatria e psicoanalisi. Storie e dialoghi (2013).
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la persona giuridica Storia del concetto di persona nella cultura giuridica occidentale Int
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di Leonardo Teggi
parole chiave. Individuo, persona giuridica, patologizzazione delle anormalità. Abstract. L’articolo si propone di ripercorrere sinteticamente l’itinerario che ha coinvolto il concetto di persona nella cultura giuridica occidentale, dalla riflessione Romana fino alla modernità. L’obiettivo è quello di far emergere le differenze e le discontinuità che hanno investito l’articolazione della persona all’interno del discorso giuridico, tentando di mostrare la distanza che caratterizza noi contemporanei rispetto al momento dell’origine del suddetto concetto. Inoltre, verranno sollevate alcune problematiche inerenti a quei processi di identificazione della soggettività di cui la modernità si è fatta portatrice fin dal momento in cui si è iniziato a declinare la persona in termini di “soggetto di diritto” e, allo stesso tempo, a pensare il diritto come potere esercitabile da un soggetto rigorosamente libero e padrone di sé.
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enni storici. Il linguaggio giuridico non contempla, generalmente, il termine individuo ma tende a usare espressioni, per quanto simili, più significative quali uomo, soggetto e persona con differenti valenze normative e di significato. Il concetto di individuo quindi non dice ancora nulla da un punto di vista strettamente giuridico ed è necessario capire come declinare questa mera entità fattuale. In breve, l’individuo umano deve essere interpretato, pertanto si tratterà di capire come lo “statuto giuridico della persona” e della sua identità sia stato storicamente soggetto a mutamenti che ne hanno radicalmente trasformato la valenza teorica e come questa abbia influenzato la pratica del diritto. In particolare, la nozione di persona è stata
oggetto di riflessione di numerose discipline, o comunque il suo statuto è stato interrogato da una molteplicità di prospettive differenti. Generalmente si pensa che sia stato l’avvento del Cristianesimo, sostenuto da una profonda speculazione teologica, a elevare la persona a nucleo centrale in ambito etico-politico e filosofico. Ciò è senz’altro vero, ma non è meno vero che questo processo si innesta su una concettualità di carattere specificamente giuridico che gli preesisteva. Infatti nella cultura greca e, in modo ancor più marcato, in quella romana era già presente la nozione di persona nel suo significato originario, la quale alludeva a una dimensione artificiale e fittizia. Letteralmente, come è noto, la parola “persona” significa maschera, impersonare significa fingersi altro da sé, mettersi nei panni di ►
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Giurisprudenza
Storia
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propri. Non a caso Cicerone parlava di “personam genere”, cioè della possibilità di rappresentare, e quindi di rendere presente, qualcuno o qualcosa a cui si doveva imputare una azione e una responsabilità. Pertanto il concetto di persona rendeva possibile la congiunzione e la compenetrazione di individui separati tra loro permettendo appunto ad altri di impersonare un ruolo senza che questi perdesse la propria individualità. La persona, dunque, non era una creazione giuridica ma, più acutamente, era un preciso modo di considerare, classificare e parlare in senso giuridico dell’uomo reale. Il termine homo infatti, alquanto diffuso tra i giuristi romani, era un termine tecnico e specifico e non indicava la generalità degli esseri umani ma, al contrario, definiva uno status, distinto ad esempio da quello di puer o da quello di liberto. Il carattere decisamente astratto del concetto di persona si prestava a designare efficacemente ogni essere umano, al di là di tutte le differenze economiche, sessuali, sociali ecc. Addirittura si parlava di persona publica per indicare la comunità dei cives, dei cittadini di una comunità. La persona era chi agiva, chi si muoveva e parlava nella scena, chiunque apputo impersonasse un ruolo. L’astrattezza e l’onnicomprensività di questa nozione erano le peculiarità specifiche che vennero osteggiate, criticate e modificate alla radice in un primo momento da una certa forma di stoicismo e successivamente, per l'appunto, dalla speculazione teologica cristiana. Quest’ultima, infatti, tentò di ricollocare la persona in una dimensione decisamente concreta e particolare, conferendogli una sostanzialità estranea al momento storico precedente. Per citare qualche esempio, Sant’Agostino parla di “aliquid singulare atque individuum" e più tardi un altro grande rappresentante del pensiero Cristiano, Severino Boezio (considerato da alcuni studiosi addirittura il padre della scolastica), darà concretezza al concetto di persona sostenendo che essa è un soggetto, un sostrato, definendola a sua volta una “substantia individua”. Tutto ciò non poteva non avere conseguenze per la riflessione giuridica, la quale fu
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chiamata a ripensare lo statuto della persona alla luce del radicale mutamento concettuale che l’aveva investita. In realtà, ancora oggi la scienza giuridica è chiamata a tradurre la singolarità e la irripetibilità, intese come valore assoluto della persona singola, in termini giuridici sempre più precisi ed efficaci in modo da garantirne la massima protezione. Il Cristianesimo si è, dunque, reso causa della presa di coscienza del valore della persona singola e ciò ha prodotto notevoli conseguenze sia pratiche che teoriche. Diritto romano. Come si diceva, appunto, la persona nel diritto romano delle origini era considerata come un “ruolo all’interno della scena”, una maschera che cela le differenze individuali ma che al contempo permette di avere molti volti. Ma, per quanto si avesse la massima astrazione dall’individualità singola, al con-
tempo tutto il diritto era imperniato ed innestato su una struttura sociale costituita da rigidi status. Da un lato vi era la massima universalizzazione della persona e dall’altro la sua relativizzazione ai contesti sociali (si pensi ad esempio a quello della familia): la persona come distaccata da ruoli e situazioni e la persona come personaggio. Tra questi due aspetti, però, il
Figura 4.1 e 4.2 - Sotto il
giurista, filosofo e scrittore olandese Ugo Grozio (1583 – 1645) nel ritratto realizzato da Michiel Jansz van Mierevelt nel 1631. Grozio è considerato uno dei padri del diritto internazionale in epoca moderna. A fianco Thomas Hobbes (ritratto di John Michael Wright, XVII secolo). Hobbes (1588 – 1679) è stato un filosofo e matematico britannico. Oltre che di teoria politica scrisse anche di storia, geometria, etica ed economia.
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più originario e imprescindibile era la presenza della ferrea struttura sociale articolata in status, in cui si è inserita la dimensione della persona come maschera, come attore. E’ noto che l’uguaglianza giuridica degli uomini è un concetto totalmente estraneo al diritto romano, sarà solo lo stoicismo che in parte valorizzerà l’aspetto della persona singola e del suo valore intrinseco all’interno dell’ordine razionale-cosmico sovraordinandola (anche se solo moralmente) rispetto al posto che essa occupa all’interno della societas. Tuttavia, sta di fatto che le persone, nel diritto romano, venivano definite sulla base proprio di questi status a cui appartenevano. Pertanto è possibile affermare che il diritto (romano) non nasce come deduzione dal concetto di persona, ma ha piuttosto una origine storica e sociale. Esso riguarda la giusta ripartizione dei beni secondo un ordine spontaneo, considerato naturale e immodificabile e l’individuo, in
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tutto questo, non è visto che come mero e astratto agente all’interno di quest’ordine, come suo partecipante. La natura delle cose è il criterio di ripartizione di beni e ruoli, nei confronti di ciò l’individuo non vanta alcun diritto. Questo aspetto del diritto rimane fondamentale anche successivamente, quando lo statuto della persona (intesa come singolo) fu elevato a valore. Ad esempio anche per San Tommaso il diritto è res iusta, ma ora l’ordine da preservare non è più relativo solo ai beni ma anche alle relazioni instaurate tra le singole persone all’interno della comunità. Si conserva, pur ampliandosi, la specificità della natura della cose, valore essenziale che il diritto deve custodire e ristabilire qualora fosse violato. La persona giuridica. Questo equilibrio verrà definitivamente spezzato dallo statuto moderno della persona. è qui che “la finzione degli
Anemos neuroscienze
antichi diviene l’artificio dei moderni”, qui si creano le condizioni per un radicale mutamento di prospettiva non solo giuridica ma più in generale filosofica, sociale e politica. La persona giuridica in senso moderno, infatti, si costituisce come soggetto di diritto; e anche se è possibile rintracciare le sue origini storiche nello stoicismo non si deve pensare che questo concetto esistesse già prima e che il suo venir alla luce non sia altro che un’epurazione delle imperfezioni che caratterizzavano già la riflessione sulla persona. La modernità è caratterizzata da una forma di giusnaturalismo che si distanzia pesantemente da quella antica e da ogni richiamo a un qualsiasi modello intelligibile circa la natura delle cose o l’ordine sociale. Per Grozio, infatti, il diritto non è più res iusta, ma bensì esso viene definito come facultas o come qualitas moralis; Hobbes ha definito la persona come “la relazione della imputazione delle azioni” e distingueva la persona naturalis, le cui parole ed azioni sono considerate come sue proprie, dalla persona artificiale quando esse sono considerate di un altro. Il pensatore inglese arriverà a concepire lo Stato come persona civilis, cioè come un prodotto fittizio e artificiale (non sarebbe eccessivo parlare dello Stato moderno come un vero e proprio Dio artificiale) e il sovrano sarà pensato come l’attore delle azioni dei suoi sudditi, a loro volta meri attori inerti e passivi. In breve, il diritto da riflessione sulla natura delle cose diventa potere del soggetto, diventa una potestas della persona di cui essa dispone nei confronti delle cose e degli altri. Questo ha comportato l’eliminazione definitiva degli status sociali e la conseguente parificazione tra libertà e proprietà del soggetto. Si entra in un campo che consiste in un insieme di relazioni dominative sui beni e sugli individui. Il soggetto si definisce in relazione all’oggetto anche quando questo oggetto è se stesso, quindi rinunciare a un diritto viene a consistere in una abdicazione di una parte del proprio potere personale potenzialmente esercitabile, rinunciare a una parte della pro- ◄
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Giurisprudenza
Storia
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Figura 4.3 - Nel diritto romano non esisteva il concetto di uguaglianza giuridica degli uomini. Solo con lo stoicismo si avrà la valorizzazione della persona singola e del suo valore intrinseco rispetto al posto che essa occupa all’interno della societas. ◄ pria libertà nel senso di diminu-
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zione della relazione dominativa di un soggetto sulle cose che gli appartengono. La soggettività giuridica moderna rompe la continuità tra uomo e natura, quest’ultima ora appare come fondo disponibile per il primo, inoltre vengono meno le differenze strutturali causate dalle dimensioni degli status sociali, che avevano un carattere quasi-naturale e immodificabile. Vi è la definitiva fusione tra libertà e proprietà e da ciò si deducono tutte le altre facoltà in capo a un soggetto. La persona,ora, è posta dal diritto stesso come indipendente dagli altri e padrona delle cose e da questa equiparazione degli aspetti della persona emerge il nuovo concetto di uguaglianza tra gli uomini. Prosegue e si porta a compimento quel processo di moralizzazione del diritto che ha elevato il singolo a ente autonomo (ed in questo sen-
so morale) rispetto alla natura e agli altri uomini, sostanzializzandolo come se fosse una fortezza chiusa, un cogito cartesiano appunto, uno spazio a partire da cui è possibile ordinare il mondo esterno, da cui l’io del soggetto può e deve astrarsi per esercitare il suo potere, quindi i suoi diritti. Tra le altre cose, non è un caso che, in stretta continuità con la riflessione sulla soggettività giuridica della persona, venga elaborata anche una nuova teoria sulla personalità dello stato inteso come centro di unificazione delle volontà dei singoli consociati. In breve, anche lo Stato diventa un soggetto giuridico, il legislatore. Per ciò che riguarda in particolare la dimensione del soggetto di diritto, del singolo individuo che dispone liberamente di sé ed esercita i suoi diritti nella forma della potestas, si deve però dire che la riflessione da parte dei giuristi, e della scienza giu-
ridica in generale, è ancora in divenire e sono tante le differenze che ci distanziano dal momento storico in cui comparve l’evento della soggettività giuridica come discorso intorno allo statuto della persona. Infatti basterà, qui, solo enunciare che, oggi, il soggetto di diritto non è più semplicemente pensato e considerato come un ente che ha potere su di sé e sulle cose esterne a sé (compresi gli altri soggetti), ma bensì come un soggetto che è portatore di beni giuridici quali la vita, la salute e la dignità, che vengono considerati valori, indipendenti ed essenziali, dal diritto stesso e proprio per questo meritevoli di tutela. Quest’ultima, quindi, si estrinsecherà necessariamente nella protezione più efficace possibile proprio del portatore di quei beni fondamentali della persona umana. Ciò detto, la differenza che viene instaurata dal discorso sulla soggettività giuridica rimane
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ancora oggi di primaria importanza. Si tratta di capire che con l’avvento del soggetto giuridico, ma anche filosofico, la persona diviene pensabile come soggettività cioè come padrona (proprietaria) di se stessa, individuo irriducibile. Sarà proprio la presenza e la visibilità della soggettività che permetterà di rendere quest’ultima un oggetto per un sapere. E’ questa una delle condizioni a partire da cui potranno nascere scienze e saperi che si cureranno di capire chi è un determinato individuo, quali sono le sue inclinazioni, le sue devianze, le sue peculiarità; in breve, tenteranno di conoscerlo. L'identificazione dell'uomo. Se per la cultura occidentale, come scriveva il filosofo francofortese Theodor Adorno, “pensare è identificare”, con la comparsa della soggettività umana all’interno dell’ordine del discorso, l’identificazione non è più relegata al mondo delle cose o della natura, ma sfonda questo limite, lo travalica ricomprendendo anche e soprattutto le sfuggenti declinazioni della soggettività umana. L’uomo diventa per se, e a se stesso stesso, un oggetto di conoscenza. Allora, per le istituzioni e la scienza giuridiche in generale, il diritto funziona, viene praticato ed imposto come strumento a disposizione di un libero soggetto, o meglio di più soggetti liberi in relazione tra loro all’interno della società. Il soggetto è dunque chiamato a essere libero per essere completamente in grado di esercitare i suoi diritti (il potere su ciò che dispone e quindi anche su di sé), prendere decisioni su come impiegare i propri beni, la propria forza lavoro e in generale le proprie capacità in quanto anche queste sono parte essenziale del patrimonio del soggetto. In breve, si tratta di capire che la soggettività di cui si parla
Il tema del numero
consiste nell’essere padrone assoluto di sé. Questo è il velato presupposto che, segnatamente, struttura la possibilità stessa del funzionamento del diritto moderno e ne giustifica la logica di esistenza. Esso fonda se stesso nella possibilità del soggetto di avere il pieno e completo controllo su di sè, quindi qualora si scorgesse che un individuo non sia in grado di essere autonomo, nel senso suddetto, non potrà esercitare i propri diritti poiché non avrà potere su di sé, sul proprio patrimonio. Verrà interdetto, in tutte le forme che il diritto predispone. Sta qui la enorme differenza della modernità: ora diventa necessario capire chi è un individuo. In particolare la giurisprudenza, cioè le decisioni dei giudici e delle corti, ha almeno in parte modificato il proprio ambito di indagine: se prima si trattava di capire e accertare semplicemente un determinato fatto, a questo si è aggiunto l’elemento nuovo che consiste nell’indagare e nell’accertare che la soggettività della persona sia scevra da irrazionalità, da anomalie e che quindi, nel fare le proprie scelte (che sia compiere un omicidio o stipulare un contratto) quest’ultima sia pienamente consapevole di sé. In breve, il soggetto su cui si basa il diritto nella modernità diventa il soggetto “normale”, da cui verranno differenziati tutti quegli individui che mostrano anomalie, e rispetto al quale verrà instaurata quella pratica di patologizzazione delle anormalità. Il discorso giuridico della modernità, fondandosi su la nozione apparentemente scoperta del soggetto di diritto, diviene una delle condizioni storiche affinché possano emergere insidiosi meccanismi di identificazione della persona attraverso numerosi saperi e discipline, come quelle psicologiche e mediche, le quali assumono il compito di capire se un individuo è in
Indicazioni bibliografiche S. Agostino, Opera Omnia. Vol 17 Ed. Città Nuova, 1981 Roma. Cicerone, Opere politiche. Testo latino a fronte. Vol. 1: Lo stato, le leggi, i doveri. Cicerone M. Tullio, cur. Ferrero L., Zorzetti N., UTET, Torino 2009.
P Sebastianelli, Il diritto naturale dell'appropriazione. Ugo Grozio alle origini del pubblico e del privato cur. Negri T., 2012, I Libri di Emil. T. Hobbes, Il Leviathano, Bur, Milano 2013.
Anemos neuroscienze
grado di essere liberamente padrone di sé oppure se, al contrario, un individuo necessita di cure, di internamento o comunque non può essere lasciato libero nell’esercizio dei suoi diritti poiché non avendo controllo sulle proprie azioni, essendo classificato come deviato, egli va interdetto. Da qui si sviluppa e si alimenta quella fenomenale collaborazione, cominciata grosso modo agli inizi del XIX secolo, tra la giurisprudenza (cioè le corti, i giudici, il carcere e in generale tutto l’apparato pratico-applicativo del diritto) e la schiera di medici, psichiatri, psicologi, criminologi e periti di ogni tipo. In definitiva, è stato possibile far germogliare un generale, diffuso e microfisico potere di normalizzazione della persona, dell’individualità umana, delle condotte sociali, e di conseguenza produrre una normalità che è diventata senso comune, ciò a cui è necessario adeguarsi per non risultare folli, malati, incapaci di intendere e di volere. La soggettività del singolo, la sua identità, le sue caratteristiche, le sue inclinazioni e in generale tutto ciò che concorre a strutturala, diventa, con la modernità, oggetto privilegiato di indagine, elemento determinante da conoscere al fine di governare una popolazione e di rendere compatto ed efficiente il corpo sociale eliminando da esso le marginalità anomale e inutili ai suoi scopi. ♦
Leonardo Teggi Studente universitario di giurisprudenza, si interessa a questioni di filosofia del diritto. Fa parte del comitato redazionale del periodico “Neuroscienze Anemos”.
Bibliografia essenziale a cura della redazione.
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Sociologia
Marketing
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Immagine coordinata Creare un’identità universalmente conosciuta e ri-conoscibile App 2
di Sara Pinelli
parole chiave. Corporate identity, pubblicità, marketing, fidelizzazione del cliente. Abstract. Nell'ultimo ventennio del Novecento, l'immagine di un'azienda, di un ente o di un gruppo di aziende era strettamente legata alla struttura estetica della pubblicità, al design del prodotto o al particolare stile dei servizi offerti. Oggi, nell'epoca delle tecnologie digitali, l'identità di un brand non è più sotto il diretto controllo del brand stesso. Grazie alla diffusione dei social network, ogni singolo utente, attraverso la pubblicazione di un semplice post o video, può indirizzare il mercato. Nel mondo del web partecipativo, i fruitori si scambiano consigli e giudizi. Le imprese, di conseguenza, hanno dovuto cambiare strategia: è necessario creare un feeling emozionale con il pubblico.
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'importanza di un'immagine. L’immagine coordinata (o corporate identity) è l’immagine che aziende, enti, gruppi di aziende, danno di sé, attraverso la particolare struttura estetica della pubblicità, degli stampati, della segnaletica, oltre al design dei prodotti, o dal particolare stile dei servizi offerti. Sono tutte quelle azioni volte a creare un’identità riconosciuta e riconoscibile di un marchio. Diamo ormai per scontato che il logotipo, i colori della comunicazione, i caratteri/font, dei marchi che conosciamo aderiscano ad un concetto unitario: quando andiamo all’IKEA, in ogni
Il tema del numero
parte del mondo, ci aspettiamo un edificio blu con un logo giallo in rilevo, quando sfogliamo un suo catalogo ci aspettiamo il logo stampato con gli stessi caratteri e gli stessi colori. Se siamo in autogrill e abbiamo sete, riconosciamo una bottiglietta di coca cola da lontano, al primo colpo d’occhio, per il colore rosso con la scritta bianca, utilizzato sia sulle lattine, sia sulle bottigliette in vetro. Lo stesso logo ci appare alla fine di una pubblicità, in calce ad un cartellone pubblicitario, declinato su un distributore automatico, su un furgone personalizzato. La grafica tradizionale si occupava di raccogliere uno o più valori chiave di una società e tra-
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durli in colore, logotipo e caratteri/ font e, una volta definiti, declinarli in tutti le espressioni del marchio. Questo atteggiamento semplifica la realtà del fruitore che può, così, facilmente riconoscere il marchio nella plurale e variopinta offerta, preferirlo la prima volta proprio perché ne riconosce la personalità, e continuare a sceglierlo nel tempo adottando un automatismo proprio perché familiare agli occhi, rassicurante e fidato. Il professore Gaetano Brunazzi, per anni a capo del’istituto di studi storici “Gaetano Salvemini” di Torino, paragonava questo processo di genesi e declinazione del logotipo alla iconografia della Croce nella cultura cattolica: ◄
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Sociologia
Marketing
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Figura 5.1 - Sempre più spesso i social network vengono utilizzati dai brand, soprattutto di moda, per creare un’esperienza attrattiva, emozionante e coinvolgente per il consumatore. Scopo dell'impresa è quello di creare un feeling emozionale con il consumatore.
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dalle originarie sculture sui fonti battesimali, ai codici miniati, al famoso crocifisso di Cimabue, alla pianta del duomo di Bordeaux, la croce cristiana cambia forma e funzione, aderendo ad ogni manifestazione della vita cristiana.
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Comunicatività pubblicitaria. Il gruppo FIAT, alla fine degli anni ’60, decide di basare tutta la comunicazione del gruppo su una forma geometrica semplice, l’elemento unificatore prescelto sarà il rombo, che viene inserito nel logotipo fiat e in tutte le attività e i prodotti del gruppo. Negli anni ’80, sempre il gruppo Fiat, fece una campagna pubblicitaria molto di successo, che segnò un forte cambiamento di mentalità. Una campagna pubblicitaria che compì una rivoluzione copernicana in materia comunicativa. Nel 1983 viene lanciata la FIAT Uno con una campagna pubblicitaria a fumetti di Forattini, e con slogan divertenti e informali con suffisso in –osa (è comodosa, risparmiosa, sciccosa). Il pay-off dei cartelloni afferma: “Uno! è una fiat” a rimarcare quanto il marchio fosse allora sinonimo di sicurezza e affidabilità nella mente degli acquirenti (frutto del lavoro di creazione di una forte identità d’immagine). La pubblicità viene declinata in ogni mezzo di comunicazione di allora, nei giornali, televisione, cartellonistica pubblicitaria, volantini, showrooms che vengono letteralmente rivestiti dal nuovo claim. L’impatto sul pubblico è immediato e nel 1984 la Uno vince il premio auto dell’anno. La macchina è funzionale e moderna, ma il grande successo viene attribuito alla
campagna pubblicitaria. Come mai? Che strategia ha adottato la Fiat in questo caso? Ha cambiato modo di pensare. Ha cercato di entrare nella mente del consumatore, ma non tanto nella direzione di un’indagine di mercato per comprenderne i reali bisogni, quanto piuttosto volta ad individuarne l’identità per entrare in sintonia. Ha messo al centro chi voleva colpire, ne ha tratteggiato un quadro psicologico e ha iniziato a comunicare con lui utilizzando un linguaggio appropriato. Chi sono i potenziali clienti? Sono famiglie con bambini (la Uno possiede le 5 porte di serie, novità per le auto del settore), ed ecco perché i fumetti di Forattini; sono giovani (la Uno esce con 15 diverse colorazioni di serie) ed ecco perchè il linguaggio informale e divertente: “sciccosa”, “morbidosa”, “risparmiosa”. Ma, soprattutto sono persone già avvezze alla pubblicità. Si inizia, così, ad acquistare più un’idea che una funzione. Nella cartellonistica, negli showrooms, negli inserti sui giornali, non si fa accenno a nessuna caratteristica tecnica, per quello si rimanda alla consolidata affidabilità Fiat, tutto il resto e’ concettuale: l’idea di essere alla moda, di divertirsi, di sposare un'attitudine che istintivamente appare calzante, giusta. Si desidera un prodotto, non per un reale bisogno,
ma perché necessario per comunicare l’immagine che si vuole dare di sé. Questo atteggiamento è definito dal marketing: CRM (Customer relationship management) ed è costruito da tutte le azioni che un’azienda può compiere per creare una relazione di medio-lungo periodo con i clienti più profittevoli, cercando di entrare nella loro psicologia, di creare i loro bisogni per poi soddisfarli , ottenendo cosi la fidelizzazione di quest’ultimi per un periodo di tempo discretamente lungo. Fiducia digitale. Parlare oggi di relazioni verticali appare non esaustivo alla luce della crescente rilevanza, anche in campo commerciale, dei social network. Attraverso le tecnologie digitali, l’identità di un brand non è più sotto controllo del brand stesso. Gli utenti possono rimaneggiarla con commenti, passaparola, autoproduzione di immagini e video, questo significa che la capacità di indirizzo del mercato e il controllo effettivo delle imprese sul proprio brand si va riducendo; si tratta di un cambiamento molto rilevante soprattutto per le imprese che operano nella moda, del design, nel lusso, nell’agroalimentare. Questo tipo di aziende sta modificando significativamente il proprio atteggiamento: meno bombardamen-
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to pubblicitario per indurre l’acquisto (in gergo, spray and spray) e più conversazione per costruire fiducia digitale. Serve un orientamento verso coloro che, nel mondo digitale, possono svolgere un ruolo di influenzatori dei pari attraverso l’innesco di un passaparola positivo. Per questo motivo le aziende hanno iniziato ad occupare personale che si occupi solamente di aggiornare i canali sui social network, incrementandoli costantemente di contenuti, cercando la collaborazione di blogger influenti del settore in modo da creare, così, una vita del brand sul web che esprima un modo di essere, prima che i prodotti da vendere. Vengono inoltre aggiunti articoli di interesse per la fascia di mercato che si vuole colpire, suggerimenti ed eventi a cui invitare il pubblico, eventi che poi, andranno ad arricchire il contenuto social di immagini e video e in cui, i clienti, potranno vedere, vedersi, scaricare e condividere. Per rendersi conto di questa tendenza basta guardare la pagina facebook o Instagram di un qualsiasi brand di moda: la maggior parte delle notizie pubblicate non “spingono” i prodotti in vendita, che, anzi, vengono velatamente accennati, ma creano un’atmosfera, un mondo. Il singolo, attraverso il digitale, deve vivere un’esperienza attrattiva, emozionante, coinvolgente. L’impresa deve creare un feeling emozionale, entrare nei suoi pensieri, nei suoi desideri, influenzarlo, e soprattutto fare in modo che senta il bisogno di acquistare qualcosa come se già gli appartenesse, come se già fosse parte di lui in un’ identità immaginaria stimolata dai social.
Il tema del numero
La scala di valori dei consumatori. Per chiarire meglio l’entità di questo insieme di azioni, vorrei citare una nota ditta che produce cibo per gatti. La stessa azienda, presso gli stessi stabilimenti, con le stesse lavorazioni, produce tre diversi marchi di cibo per gatti. Sembra un’assurdità. Perché mai dovrebbe spendere risorse per attivare tre diverse pubblicità? Tre diversi canali di distribuzione? Tre diversi packaging? Dato che il prodotto è lo stesso, non sarebbe più efficace concentrarsi su un unico marchio? La scelta è stata dettata dalla differente scala di valori dei consumatori. L’azienda ha identificato tre diverse tipologie di possessori di gatti. E ha creato tre differenti mondi: Whiskas, Kitekat, Shiba. Whiskas ha come colore predominante il rosa. Mostra spesso un gattino cucciolo, giocherellone. Più che sul contenuto delle scatolette punta sul packaging e i formati. Infatti crea delle confezioni che ricordano il muso di un gatto e dei formati ridotti, chiamati i pranzetti. Il claim è: “C’è un grande felino in ogni piccolo felino”. Nei video pubblicitari si vede un grande felino maculato che, nell’entrare in casa si trasforma in un piccolo gatto tigrato cicciottello molto dolce ed affettuoso. è studiato per le persone che trattano il gatto come un cucciolo di casa, se ne prendono cura come un membro della famiglia a tutti gli effetti, come un figlio cuccioletto. Kitekat ha un’immagine con colori forti a contrasto su sfondo verde, ma molto semplici. Si trova spesso nei siti in cui si fa shopping on line. Presenta numerose offerte di prezzo. Il prodotto viene presentato senza mostrare la presenza umana, ma soltanto l’immagine di un gatto. Viene venduto anche nel formato scatolette di latta, molto più economico. Ci sono formati famiglia, comode busti-
Indicazioni bibliografiche G. Brunazzi, Immagine coordinata 1, Gruppo editoriale Forma, 1984. M.Ornati, Oltre il CRM, Franco Angeli Editore, Milano, 2013. A. Foglio, Il marketing della cultura, Franco Angeli Editore, Milano, 2005. M. Webb, Corporate identity - the plan, Scripta ma-
nent edizioni, Bologna, 2011. Molta parte delle informazioni in questo articolo si basano su esperienza diretta, o training aziendali.
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ne monodose e maxipacchi con gusti assortiti. Il prodotto è presentato senza fronzoli, puntando più l’attenzione sul risparmio che sul tipo di gatto o la ricercatezza della ricetta del cibo. Questo prodotto è pensato per quelle persone che amano i gatti, magari sono anche animalisti, ma che si preoccupano più che altro di nutrirli. Mettono una distanza tra la famiglia e l’animale. Magari ne accudiscono anche molti ma hanno bene chiaro che sono animali e non animati da personalità umana. Sheba: il nome richiama l’antico regno di Saba (o Sheba), la grafica è a fondo dorato con il logotipo nero in font morbido ed elegante che richiama una certa regalità. Il gatto utilizzato nella pubblicità è un vero e proprio testimonial, denominato il blu di russia. Il contenuto delle scatolette viene definito con termini ricercati , facendo spesso allusione alla seduzione, all’eleganza, alla raffinatezza. Gli ingredienti utilizzati sono sofisticati come la carne di anatra, di oca, di pesce baltico. Il claim è “Sheba. Pura seduzione felina”. In questo caso il macrogruppo di clienti che si vuole coinvolgere ed emozionare, è quello di chi considera il gatto come una figura sublime, dal fascino irresistibile e misterioso e vuole trattarlo come principe/principessa della casa, quasi in un rapporto ribaltato in cui il padrone e’ suddito del meraviglioso animale. Il marketing sta spostando sempre più l’ attenzione sul dialogo con le neuroscienze per migliorare l'appetibilità e la fruibilità degli spazi e del prodotto, in supporto alle strategie di vendita, utilizzando strumenti come l’olfattotecnica e la psicologia ambientale ed architettonica. ♦
Sara Pinelli. Laureata in architettura presso l'Università degli Studi di Parma e in teatro presso lo IUAV di Venezia. Lavora nell'opera lirica come assistente alle scenografie e al light design. Dal 2011 lavora presso Max Mara Fashion Group e si occupa, in qualità di progettista, dell'immagine dei punti vendita. Partecipa al Master Internazionale di Management in arte e spettacolo presso l’Universita’ Bocconi di Milano.
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identità e narrazione Raccontare per sopravvivere
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di Sara Uboldi e Stefano Calabrese
parole chiave. Narratologia, Virtual Reality, storyworld, trasporto narrativo, suspense. Abstract. Possiamo considerare l’insopprimibile tendenza della mente umana alla produzione e al consumo di narrazioni come un universale, termine che, in antropologia, individua tutti quegli elementi con carattere di ricorrenza e di stabilità nei tempi e nelle culture. Lo storytelling si configura come uno strumento selezionato dall’evoluzione per aumentare la capacità di sopravvivenza della specie. Gli esseri umani raccontano e si raccontano per interpretare la realtà e costruire la propria identità e il senso del sé. Nel corso dell’esistenza, l’individuo appare impegnato in un prolungato, inintermesso racconto di sé stesso nel mondo e dell’io in rapporto all’altro. La narratologia di nuova generazione guarda con attenzione al fenomeno della transmedialità, identificando comuni modelli alla base della fiction e rilevando come le storie, o meglio le buone storie (condotte da media tradizionali o da nuove tecnologie) siano costituite da una comune grammatica strutturale in grado di supportare i processi di costruzione identitaria e di migliorare le competenze sociali degli individui.
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Narratologia, Virtual Reality e identità di Sara Uboldi
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a Virtual Reality. Le tecnologie più avanzate rendono possibile la creazione di paesaggi immaginativi e creano esperienze capaci di enfatizzare le percezioni fisiche e sensoriali, trasportando l’utente fuori dal proprio corpo e consentendogli di adottare multiple identità. In generale, la Virtual Reality (VR) indica un’esperienza immersiva e interattiva generata da un computer. La VR ripropone il mondo o lo trasforma e può, nel contempo, attraverso le sue metalettiche prerogative, mettere in discussione lo statuto ontologico della stessa realtà, minando i confini tra reale e fiction. La VR può divenire un sostituto della realtà, è in grado di generare piacere, così come può costituire un rischio, può configurarsi come training cognitivo e conferire nuovi poteri all’user. Di fatto, la VR è l’ultimo approdo di una contemporaneità fluida che ricerca nei surrogati tecnologici quelle intense esperienze sensoriali da sempre prerogativa delle arti e degli stati mistici, la cui ancestrale origine è da ricercare nei cicli rupestri del Paleolitico superiore. Nei secoli successivi, i libri sono stati dei potenti generatori di realtà artificiale e di vere e proprie iperboli del mondo sensibile: grazie alle loro pagine, generazioni di lettori hanno potuto godere di vivide immagini mentali e vivere in modo vicario le intense emozioni dei personaggi di carta. Il concetto di immersione nei mondi virtuali trova molteplici affinità con la più recente teoria della fiction. Tra i vari approcci sviluppati dagli studi letterari, l’idea dell’universo narrativo come generatore di mondi possibili è alla base di diverse prospettive elaborate da autori come Umberto Eco, Lubomir Dolezen, Thomas Pavel, fino ai più recenti contributi dei narratologi David Herman e Marie Laure Ryan. Questi modelli hanno in comune la distinzione tra reale e non reale, tra actual world e possible world, categorie che possono essere concepite come assolute o relative, in rapporto ai punti di vista. I mondi possibili sono costituiti dai
Il tema del numero
controfattuali, dalle ipotetiche alternative a uno storyworld: sono il prodotto di attività mentali di lettori, autori e personaggi, quali il sogno, la volontà, le ipotesi, le credenze, l’immaginazione, la scrittura stessa. La VR aggiunge a tutto ciò un catalogo di relazioni possibili che coinvolgono non solo la mente, ma anche il corpo dell’user. I mondi possibili virtuali divengono così entità percepibili crosssensorialmente, nonostante l’assenza di corporeità (Ryan, 2015). I dispositivi letterari e retorici che creano un senso di partecipazione ai mondi finzionali presentano molti parallelismi con le variabili capaci di determinare lo stato di immersione tipico del virtuale definito come telepresenza. Una di queste variabili è la proiezione dello spazio tridimensionale, l’equivalente narratologico è costituito dalla profondità dell’universo narrativo. Lo storyworld può infatti essere dotato di una profondità nascosta popolata da personaggi a tutto tondo. La profondità della fiction è restituita proprio da ciò che si cela dietro il narrato: la complessità della mente dei suoi personaggi, i loro desideri e le emozioni, le omissioni e le ellissi narrative della trama, ovvero tutto ciò che il lettore è portato a ricostruire durante i processi d’inferenza e di interpretazione della storia. Anche la profondità dell’ekphrasis, l’accuratezza nelle descrizioni, è in grado di aumentare il livello di immer-
Anemos neuroscienze
sione del lettore, soprattutto se vi si aggiunge il fattore rilevante del controllo sensoriale. Il lettore è infatti portato a percepire ciò che il narratore mostra, ciò che fa udire, vedere, annusare, assaggiare. Il potere d’autenticazione del narratore - la demiurgica prerogativa di poter modellare gli storyworld, rendendo finzionale ciò che è originariamente solo ipotetico - consente di sfruttare la mobilità del punto di vista narrativo, con effetti non così distanti da quelli della virtualità. Lo sviluppo delle tipologie narratoriali e della prospettiva (narratore onnisciente-narratore esterno -narratore interno, focalizzazione a grado zerointerna-esterna) libera la fiction dai vincoli del mondo reale e della comunicazione pragmaticamente credibile. Il narratore, con la libertà di una coscienza disincarnata, può quindi restituire al lettore il mondo della finzione da qualsiasi punto di vista, scegliendo ad esempio come focalizzatore uno o più personaggi all’interno della diegesi, o assumendo una qualsiasi posizione come punto privilegiato di osservazione, spostandosi nello spazio e nel ◄ tempo con prolessi e analessi.
Figura 6.1 - L’esperienza di trasporto che si prova quando si legge un libro o si guarda un film è un’esperienza condivisa che fa appello a processi neuronali, emozionali e fisiologici presenti in tutti gli uomini.
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Letteratura
Semiotica
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Parole chiave La narratologia è una disciplina che studia le forme e le strutture della narrazione. Il termine è stato introdotto dal linguista bulgaro T. Todorov nel 1969 ed in genere si riferisce all'area critico-letteraria che nacque all'interno dello Strutturalismo. Si fa iniziare, però, l'analisi narratologica già dall'opera di Vladimir Propp, linguista e folklorista russo che individuò le “funzioni narrative” ricorrenti nelle fiabe russe. In italia, temi di carattere narratologico sono stati portati avanti da Maria Corti, Cesare Segre, Umberto Eco. Metalessi. Particolare tipo di metonimia in cui un termine che indica l’effetto è sostituito con uno indicante la causa (es. mangerai il lavoro delle tue mani). Si intende con questo termine anche un artificio letterario in cui l'autore finge di operare gli effetti che narra, come "ha fatto morire" il personaggio. Lo storytelling è l'atto del narrare, termine con cui da alcuni si intende anche la disciplina che usa i principi della retorica e della narratologia. L'Ekphrasis. Termine che indica la descrizione verbale di un'opera d'arte visiva, come ad un quadro, una scultura o un'opera architettonica. Glossario a cura della redazione
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Lo spostamento deittico consente non solo di muoversi nella distanza temporale e spaziale, ma anche attraverso le identità. In particolare, sono i dispositivi indessicali, come gli avverbi di luogo e di tempo, l’uso dei verbi e, soprattutto, i pronomi personali, possessivi e dimostrativi a restituire nel discorso l’orientamento spaziale del centro deittico, l’io che è sempre in riferimento all’altro. Se è vero quanto sostengono gli esperti di VR che “nella realtà virtuale, noi possiamo, con facilità sconcertante, sostituire il nostro sguardo con quello di altre persone, e vedere noi stessi e il mondo dal loro punto di vista” (Lasko-Harvill, 1992), è ancor più certo che tale peculiarità sia stata innanzitutto prerogativa dello storytelling orale e sia poi passata alla tradizione letteraria e al genere romanzo, in particolare. Da sempre psicologa dell’animo umano, la letteratura costituisce un eccelso strumento di straniamento che consente di incontrare l’altro, il diverso, lo straniero e di rifondare il proprio sé. L'immersione nei testi letterari. La tendenza dei lettori di romanzi a identificarsi nei personaggi delle narrazioni altrui indica una tensione dell’individuo alla declinazione plurale del sé o, usando la terminologia di Jerome Seymour Bruner, che a lungo si è occupato di narrazioni e identità, a un sé distribuito. L’identità si costruisce come testo, in un continuo processo di interpretazione e re-interpretazione narrativa, e in quanto tale è dialogica o, meglio, polifonica, nel senso più forte dato da Bachtin: è prodotto di una stratificazione di voci, di una accumulazione di narrazioni. Non è un caso quindi che la psicologia discorsiva (pensiamo ad autori come Edwards e Potter o Harré e Gillet) abbia individuato proprio nella dimensione narrativa il fondamento della costruzione delle identità personali. L’io si articola dunque in una
pluralità di livelli compresenti che sono sottoposti a una continua contrattazione in rapporto all’interazione quotidiana del soggetto, durante la quale il sé può assumere i ruoli di narratore, di commentatore o di personaggio. Proprio la terza modalità identitaria prevede un io proiettato che sfrutta l’identità altrui al fine di rimodellare la propria. La Teoria della mente aiuta a spiegare tale processo nei termini più profondi di simulazione incarnata. Con l’acronimo FoB (Feeling of Body), il neuroscienziato Vittorio Gallese ha voluto identificare i processi di specchiamento che si attivano durante gli stati di immersione nei testi letterari, individuando nel sistema specchiante l’origine dell’empatia che scaturisce dall’incontro con i personaggi finzionali (Gallese e Wojciehowski, 2011). L’esperienza incarnata consente di modificare la nostra storia contaminandola con i sé incontrati durante l’esperienza vicaria. In questi termini, le narrazioni si configurano sia come ‘palestre’ per sviluppare le competenze di mindreading sia come ‘officine’ di costruzione e negoziazione delle identità. Come le storie modellano le nostre identità. I romanzi consentono ai lettori di vivere le vite altrui. In proposito, lo scrittore Antonio Tabacchi descrive, nella post-prefazione di Autobiografie degli altri, la lettera di un lettore convinto di essere lui il protagonista di una sua opera: “… svariate missive di lettori e lettrici, a proposito di Si sta facendo sempre più tardi, secondo i quali avrei raccontato la loro storia, perché si erano riconosciuti in questa o in quella lettera. E fin qui, passi. Ma figurati se un signore, credo uno scienziato del ramo medico che vive negli Stati Uniti e che assicura di avermi conosciuto a Genova vent’anni fa, ha scritto una lettera al regista Ferdinando Lopez dove pretende che la sua figura (di lui, il
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Il tema del numero
Figura 6.2 - Nel corso
Anemos neuroscienze
dei secoli i libri sono stati dei veri e propri generatori di realtà artificialee: generazioni di lettori hanno potuto immedesimarsi con i personaggi di carta e vivere le loro stesse emozioni.
medico) mi sarebbe servita per il personaggio di Spino, abbassando però il suo livello sociale e professionale. Spino in realtà sarei io” (Tabucchi, 2003). Fenomeni di questo genere sono collegati al potere di trasporto delle narrazioni, cioè all’efficacia persuasiva e alla valenza emotiva esercitata dal plot. La psicologia cognitivista ci offre un’interessante teoria sui meccanismi di persuasione che consentono di trasportare il lettore nelle narrazioni, cambiando in modo potente e stabile i suoi atteggiamenti, le sue credenze, le sue emozioni e le intenzioni, modellando la sua identità secondo la direzione suggerita dalle storie. Il trasporto narrativo è un’esperienza ad alto impatto che restituisce al lettore la sensazione di perdersi in una dimensione finzionale (Green, Brock, Kaufman, 2004). Un individuo trasportato si trasforma in una sorta di avatar coinvolto in prima persona nella storia, a livello emotivo e cognitivo, grazie a un flusso che innesca vivide immagini mentali. Il trasporto allontana di fatto il suo sistema percettivo dal mondo reale, è come se si lasciasse alle spalle il mondo d’origine per viaggiare in universi finzionali. Durante questo processo, la realtà diviene in parte inaccessibile e ciò genera una contrapposizione nei termini di qui/ là, ora/prima, mondo d’origine/storyworld, nella quale il centro deittico del lettore subisce uno spostamento. Le sue facoltà mentali appaiono tutte tese alla connessione con i personaggi (empatia) e all’inferenza con il plot della storia (immagini mentali) (Van Laer et al. 2014). Il lettore pertanto scivola in una dimensione parallela e questo movimento cognitivo trasforma lo storyworld in uno spazio abitabile preso in prestito per un tempo transitorio, un sorta di “appartamento in affitto”(De Certeau, 2001).
L’esperienza del trasporto rassomiglia pertanto a un flusso o a un presente alternativo vissuto in prima persona, il che comporta importanti trasformazioni nelle convinzioni, nei gusti e nelle scelte dei lettori (Green e Brock, 2000). Il grado di trasporto narrativo può determinare il livello della persuasione, gli effetti sociali della narrazione e l’adesione identitaria a un modello. Sono ormai numerosi gli esperimenti che consentono di condurre una riflessione sull’impatto sociale delle storie, anche quelle veicolate dai nuovi media. Solo per citare alcuni esempi, gli studi sui serial televisivi dimostrano come queste narrazioni di massa possano influenzare le scelte coniugali e familiari degli spettatori (Van Laer et al. 2014), i manga giapponesi sembrano dirigere le scelte alimentari dei cittadini newyorkesi afroamericani o ispanici (Leung et al. 2014), mentre la lettura di best seller conduce i lettori ad assimilare alcune caratteristiche dei personaggi, le abitudini e le preferenze, e persino a riproporre nella realtà i legami sociali presenti in improbabili storyworld, quali quelli delle saghe fantasy di Harry Potter (J.K. Rowling), o Twilight (S. Meyer) (Gabriel, Young, 2014; Kidd, Castano, 2014). Persino l’immersione in un mondo virtuale animato da avatar eroici o malvagi (Yoon, Vargas, 2014) dimostra di avere effetti sociali a lungo termine: gli individui sono portati ad assumere alcuni tratti della personalità, positivi
o negativi, in rapporto allo status del personaggio incarnato nella VR. Proprio in rapporto ai meccanismi identificativi e ai processi d’empatizzazione che possono essere attivati dalle narrazioni, gli psicologi cognitivisti Shira Gabriel e Ariana Young hanno parlato di «assimilazione narrativa collettiva», predisponendo una scala di valutazione utile a misurare la tendenza di user e lettori a innescare un transfert nella realtà degli aspetti sociali e collettivi della fiction. Di fatto, le storie hanno sempre avuto una dimensione collettiva; oggi sappiamo che l’attività regolatrice a livello sociale, che è alla base di ogni forma di storytelling, si manifesta e viene assimilata anche durante la solitaria lettura di un romanzo, la visione di un film o l’immersione in uno storyworld virtuale. L’esperienza di trasporto è infatti un’esperienza condivisa e collettiva che fa appello, pur nelle differenze e peculiarità di ogni individuo, a processi neuronali, emozionali e fisiologici presenti in tutti gli uomini. Jonathan Gottschall, uno studioso di letteratura che si è a lungo occupato del rapporto tra evoluzione, mente e narrazione, ha scritto che “le storie sono il centro senza il quale il resto non potrebbe tenersi insieme” (2014). Ne siamo perfettamente persuasi: le storie connettono gli individui, sono forza coesiva nei legami umani e potenti antidoti contro l’entropia. ♦
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Letteratura
Semiotica
Il caso delle narrazioni a struttura sospesa di Stefano Calabrese
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a suspense. Se provassimo a sintetizzare per funzioni dominanti la storia della suspense in letteratura dovremmo dire che quando inizia, nel Settecento, ad agire come un operatore di significato negli intrecci romanzeschi (è la suspense, oltre e insieme al mind reading, a dare un senso alla realtà e a orientare le relazioni umane verso uno scopo condiviso), essa corrisponde a una funzionalità che oggi si è ulteriormente potenziata, poiché la lettura della mente e l'allertamento predittivo sono più che mai legati a strategie di sopravvivenza sociale o affettiva. L'effetto principale prodotto da questa eccessiva tendenza mentalista (impegnarsi nella predizione del futuro conduce a un'inevitabile sottostima del presente) è la derealizzazione della realtà, la scomparsa di qualsivoglia referente oggettivo e la sensazione da parte dell'individuo di trovarsi a vivere in un mondo sconosciuto e incoerente. Il contrario di ciò che ci si sarebbe atteso. Come dimostra in Italia Andrea Camilleri, i cui romanzi hanno iniziato ad avere successo solo nel momento in cui il pubblico ne ha avuto bisogno, a quindici anni di distanza dal suo esordio narrativo, le narrazioni a struttura sospesa e di tipologia poliziesca sono indubbiamente il metagenere che in questo inizio di terzo Millennio governa le riottose colonie della narratività, dal rosa al romanzo storico. Perché? Per alcuni il poliziesco agisce come un aggregatore di codici differenti, e il suo merito è avere allentato, come dire, il protezionismo doganale dei singoli generi letterari, attraendo elementi dalla crime story, dalla spy story, dal detection novel classico, dal noir di derivazione hard boiled dove il detective è perduto nei ghirigori del suo passato, e infine dalla docufiction del tipo esemplificato in Italia da Romanzo criminale (2002) di Giancarlo De Cataldo, focalizzato sulla "vera" banda della Magliana.
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Il piacere dell'attesa. Naturalmente, le narrazioni a struttura sospesa non sarebbero diventate l'aggregatore della narratività contemporanea
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se non si fossero rivelate funzionali al coinvolgimento empatico del lettore (attraverso induttori formali di ansia e curiosità come l'esca e il cliffhanger, di cui abbiamo già parlato) e se non avessero dimostrato di poter inglobare tutto e il contrario di tutto, come un buco nero in cui i coefficienti di materia sono talmente elevati da perdere in visibilità. Le narrazioni esemplate sulla suspense infatti perseguono sì un'idea di giustizia, ma laica e legata Figura 6.3 - Sopra il regista e produttore alle istituzioni giuricinematografico Alfred Hitchcock (1899-1980). È diche; mettono sì in considerato uno dei maestri della suspence sul grande scena gli impulsi più schermo. violenti dell'uomo, ma mostrano come l'aspetto durativo della temporalità, il tali impulsi siano identificabili, censurabili, perseguibili; suo scorrimento lento o veloce verso ruotano sì intorno a detective che si un punto di fuga di cui non sappiamo oppongono al male, ma mostrandoceli molto: a questo serve oggi la suspense, come intimamente fragili (Spinazzola, anche perché se in passato tutto era facilmente prevedibile e si riusciva a 2007, pp. 65 ss.). Oggi si ritiene che il successo della intaccare il futuro con una plausibile suspense sia dovuto ai processi antro- certezza, oggi ciascun segmento tempopologici di profonda trasformazione rale è per così dire reso autonomo dagli delle categorie spazio-temporali, e so- altri e non esiste più un continuum. Gli prattutto alla perdita delle durate, cui si istanti sono intercambiabili, e ciascuno tenterebbe di porre rimedio sia attraver- di essi deve autoleggittimarsi attraverso il rinvio del soddisfacimento, sia in- so la massima soddisfazione possibile: troducendo un intervallo temporale tra questo spiegherebbe le attuali tendenze qualcosa e la sua accessibilità. In luogo della suspense verso un modello emodi rinviare alla temporalità dell’incer- tivo (suspense of uncertainty) e non più tezza e dell'attesa, nel contesto storico- cognitivo (suspense of anticipation) in sociale della globalizzazione i desideri contesti narrativi che valorizzano più acquisiscono "una fisionomia ancora la successione temporale che non la più indecisa, a causa dell’accelerazione collocazione spaziale degli eventi, ma subita dal tempo storico, che introdu- darebbe una giustificazione altrettanto ce ritmi più rapidi nella rettificazione valida del successo di Hitchcok, indotdei loro contorni e nella riformulazio- to a preferire gli effetti duraturi della ne dei loro obiettivi. Più che asintoti- suspense allo choc istantaneo indotto ci (in via di approssimazione al loro dalla sorpresa (Highsmith, 2007, pp. 18 obiettivo, senza poterlo mai definiti- ss.). vamente raggiungere), questi desideri Mai come oggi la suspense riesce a insono insituabili, stanno in un altrove terpretare il nostro crescente bisogno mai pienamente identificabile se non a di hot cognition (cognizione calda, costo della distruzione dei piaceri d’at- espressione con cui gli psicologi inditesa" (Bodei, 1992, p. 21). Focalizzare cano forme miste di ragionamento ed
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emotività), cioè di governare tutte le situazioni in cui l'emozione e la motivazione incontrano le attività cognitive strettamente intese e un tempo preponderanti: il percepire, il comprendere e il pensare (Sanford, Emmott, 2012, p. 84). Non c'è dubbio che la suspense sia il momento più rilevante di questo territorio della hot cognition, soprattutto se si parte dalla celebre tripartizione degli universali narrativi di Meir Sternberg (Sternberg, 1992): la curiosità, che si orienta al passato; la suspense, che si orienta al futuro e riguarda l'ansia relativamente a qualcosa che minaccia un personaggio buono o cattivo; la sorpresa, che si ha quando giunge, senza che fosse attesa, un'informazione del tutto nuova in grado di cambiare la dimensione del presente. Se si assume come normale la sequenza seguente: 1. X mette del veleno nel vino; 2. X offre il vino a Y; 3. Y beve il vino; 4. Y muore per avvelenamento i tre universali sternberghiani assumono le seguenti sequenze narrative: Curiosità 1. Y muore; 2. X mette del veleno nel vino; 3. X offre il vino a Y; 4. Y beve il vino.
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Sorpresa 1. X offre del vino a Y; 2. Y beve il vino; 3. Y muore. Punto. Suspense 1. X mette del veleno nel vino; 2. X offre il vino a Y; 3. Y beve il vino. Punto. Naturalmente, la differenza tra queste modalità narrative non passa attraverso una differenziazione nel dislocare temporalmente gli avvenimenti, ma concerne appunto la hot cognition: il gap tra tempo della storia (che stiamo leggendo) e tempo della lettura costituisce il cuore emozionale della suspense, che funziona come i pozzi artesiani: più la si fa crescere (moltiplicando l'incertezza e l'ansia del futuro) più deve seguire una fase di azzeramento risolutivo dell'eccitazione, altrimenti la narrazione produce fastidio, noia, disappetenza. Si potrebbe concludere che le reazioni del lettore/spettatore ai meccanismi di suspense dipendono strettamente dal tempo del discorso narrativo. Se nondimeno guardiamo ai testi letterari nella loro specificità, non c'è dubbio che nella tradizione della detective story troviamo soprattutto morfologie di curiosità (come quando nei gialli di Conan Doyle e Agatha Christie ci chiediamo chi sia stato l'autore di un
Indicazioni bibliografiche R. Bodei, Geometria delle passioni. Paura, speranza, felicità: filosofia e uso politico, Feltrinelli, Milano, 1992. M. De Certeau, L’invenzione del quotidiano, trad. it., Edizioni Lavoro, Roma, 2001. S. Gabriel, A.Young, Becoming a vampire without being bitten: the Narrative Collective, Assimilation Hypothesis, in Psichology Science, 22-8, 2011, pp. 990-994. V. Gallese, H.C. Wojciehowski, How stories Make Us Feel: Toward an Embodied Narratology, in California Italian Studies, 2, 1, 2011, pp. 3-37. M.C. Green, T.C. Brock, G.F. Kaufman, Understanding Media Enjoyment: The Role of Transportation Into Narrative Worlds, in Communication Theory, IV, 2004, pp. 311-327. M.C. Green, T.C. Brock, The Role of Transportation in the Persuasiveness of Public Narratives, in Journal of Personality and Social Psychology, 79:5, 2000, pp. 701-721. J. Gottschall, L’istinto di narrare. Come le storie ci hanno resi umani, Bollati Boringhieri, Torino, 2014. P. Highsmith, Come si scrive un giallo. Teoria e pratica della suspense, Minimum fax, Milano, 2007.
D.C. Kidd, E. Castano, Reading Literary Fiction Improves Theory of Mind, in Science, 342, 2014, pp. 377-380. A. Lasko-Harvill, Identity and Mask in Virtual Reality, in Discourse, 14.2, 1992, pp. 222-234. M.M. Leung, G. Tripicchio, A. Agaronov, N. Hou, Manga Comics Influences Snack Selection in Black and Ispanic New York City Young, in Journal of Nutrition Education and Behaviour, 46:2, 2014, pp. 142-147. M.L. Ryan, Narrative as Virtual Reality 2: Revisiting Immersion and Interactivity in Literature and Electronic Media, Johns Hopkins University Press, Baltimora, 2015. A.J. Sanford, C. Emmott, Mind, Brain and Narrative, Cambridge University Press, Cambridge, 2012. V. Spinazzola, Perchè leggiamo i gialli, in Id. (a cura di), Tirature '07. Le avventure del giallo, il Saggiatore, Milano, 2007. M. Sternberg, Telling in Time (II): Chronology, Teleology, Narrativity, in Poetics Today, 13, 1992, pp. 463-541. A. Tabucchi, Autobiografie altrui. Poetiche a posteriori, Feltrinelli, Milano, 2003.
Anemos neuroscienze
reato) e di sorpresa (come quando scopriamo l'identità di un colpevole che non avremmo immaginato), ma molto più di rado di suspense (quando un killer minaccia ad esempio di uccidere ancora), divenuta dominante solo nel cinema e nella letteratura degli ultimi anni. In questo caso, la suspense è un effetto che risulta dall’immersione temporale e affettiva del lettore in una narrazione, e descrive il suo desiderio di conoscerne i risultati: meglio ancora, la suspense coincide con un’emozione che deriva dall’attesa circa lo svolgimento o l’esito di un’azione, profondamente legata ai meccanismi della prefigurazione (quando situazioni o eventi sono suggeriti in anticipo) e dell’esca, un elemento narrativo il cui significato diventa chiaro solo dopo la sua prima menzione. Insomma, nelle narrazioni a struttura sospesa il momento in cui le parole sono pronunciate non coincide mai con il momento in cui rivelano il loro significato. Tutto è simultaneo, nella comunicazione; tutto è anisocrono (non coincidente temporalmente), nell'interpretazione. I personaggi sono per un verso sé stessi, per l'altro si autocancellano per diventare ciò che cercano, e il bello che noi lettori/spettatori ci comportiamo esattamente nello stesso modo. ♦
Stefano Calabrese. Professore Ordinario di Semiotica del testo presso l’Università di Modena e Reggio Emilia, insegna inoltre Semiotica presso lo ULM di Milano e Letteratura per l’Infanzia presso la Libera Università di Bolzano. Tra le sue recenti pubblicazioni, Anatomia del best seller (Laterza, Roma-Bari 2015) e Retorica e Neuroscienze cognitive (Carocci, Roma 2014). Sara Uboldi. PhD in Scienze Umanistiche presso l’Università di Modena e Reggio Emilia, si occupa prevalentemente di Narratologia, Cognitive Poetics, storytelling e patrimonio culturale. Tra le sue pubblicazioni, Fiaba e Neuroscienze Cognitive (Ledizioni, Milano 2014), Aby Warburg: immagini permanenti. Saggi su arte e divinazione (a c. di, con S. Calabrese), (Bologna, Archetipolibri-Clueb).
T. Van Laer, K. de Ruyter, L.M. Visconti, M. Wetzels, The Extended Transportation-Imagery Model: A Meta-Analysis of the Antecedents and Consequences of Consumers’ Narrative Transportation, in Journal of Consumer Research, 40(5), 2014, pp. 797-817. G. Yoon, P.T. Vargas, Know the avatar: the Unintended Effect of Virtual-Self Representation in Behavior, in Psychologic Science, 25(4), 2014.
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Poesia moderna e identità
Le tendenze linguistiche moderne App 3
di Franco insalaco
parole chiave. Linguistica, psicoanalisi, linguaggio, poesia, etica. Abstract. Due sono le tendenze linguistiche moderne. La prima pensa la cosiddetta relazione arbitraria tra significato e significante. La seconda tendenza, più diffusa, è quella del soggetto di enunciazione: il linguaggio è assunto da un soggetto che vuole dire qualcosa. Freud, superando l'aspetto fenomenologico con cui il linguaggio si esplica, indica le pulsioni che ne sono alla base. Ogni enunciazione richiede una identificazione, una separazione del soggetto dalla propria immagine e contemporaneamente dai propri oggetti e fra i propri oggetti.
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ivoluzione poetica. Cosa hanno di rivoluzionario i poeti soprattutto moderni? Hanno iniziato a scavare il verbo, cosa che finora spettava alla teologia. Così oggi per la prima volta questo scavo diventa esperienza laica. In anticipo sui tempi Mallarmé e Lautremont attaccano quello che è il punto più duro e resistente, inconscio e comunitario, cioè su tutti i fronti il meccanismo della significanza. La novità di questa rivoluzione è che la fanno a partire dalla forma, da allora non sarà più apparenza o superficie ma snodo di strategie eterogenee, semiotiche e simboliche. Nel XIX secolo le avanguardie, quasi con un contraccolpo dell'immaginario che ha rivelato il suo limite istituzionalizzandosi con
il culto dell'uomo, della ragion di stato e del discorso realistico, sperimentano linguaggi che cercano di evocare l'innominabile. Cosa rimane innominabile se il cielo è vuoto? Dove rivolgono il loro gioco simbolico se Dio non fa più da sponda? Si occupano del reale certo, ma con un sovrappiù che costituisce la loro forma rivoluzionaria. Il simbolico, di cui sono debitori all'arte sacra, lo rivolgono al meccanismo del linguaggio, esplorano le scansioni cosa/senso/suono. Testi che si interessano, Joyce dopo Mallarmé, della torsione fantasmatica inflitta alla carica sessuale dalla censura. Una letteratura che non ha più nulla di umano. Il soggetto è interlocutorio, qual'è la soggettività in un linguaggio poetico che non risponde ma produce il rimaneggiamento in ◄
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Filosofia
Linguistica
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corso? Linguaggio che si curva al punto da produrre un senso che elevato nell'idea discende nell'affetto che lo fa esistere, eclissando la significazione in un infinito processo di nominazione, incessante e in perdita, sempre da rifare. La linguistica. Due sono le tendenze linguistiche moderne. La prima pensa la cosiddetta relazione arbitraria tra significato e significante esaminando alcuni sistemi in cui questa relazione è motivata. Tale motivazione risiede, ad esempio, nella dottrina freudiana dell'inconscio, per cui pulsioni e processo primario sono le basi di spostamenti e condensazioni (metafora e metonimia) che sostituiscono all'arbitrarietà un'articolazione. Questo atteggiamento è in debito con Melanie Klein che restituisce l'io alle pulsioni interne dentro al processo primario, quello iniziale, a cui subentrerà via via quello secondario, più mediato e in grado di rinviare il godimento. L'io già presente per la Klein appena nati,
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si va costituendo a partire dalle pulsioni e da operazioni di spostamento, condensazioni e differenze vocaliche. Secondo la Kristeva questa impostazione kleiniana è importante a capire il processo della significanza nel suo insieme. La seconda tendenza, più diffusa, è quella del soggetto di enunciazione che parte dalla fenomenologia di Husserl e dalla linguistica di Benveniste. Il linguaggio è assunto da un soggetto che vuole dire qualcosa. Una espansione del soggetto cartesiano che possiamo riepilogare con Benveniste che scrive a proposito della polarità io tu: “ego ha sempre una posizione trascendente rispetto a tu”. Ego è allora il principale motore che muove la significanza ed è il soggetto dell'enunciazione o soggetto fenomenologico. Sul significato di fenomenologico riporto dal suo inventore Lambert ciò che intendeva con questa scienza, voleva studiare le apparenze illusorie. Fenomenologia, che sarà ripresa da Kant, ricordate la divisione fenomeno noumeno, da Hegel che a partire dai
«Una rivoluzione del linguaggio poetico, nel senso dell'ostinata rotazione della terra attorno al sole, c'è da sempre. Strumento della rimozione, il linguaggio poetico ritorna sulle proprie tracce e a forza di ripassare di là fa sì che avvenga il rimosso. Non come sintomo o come angoscia consunta, analizzata. Ma quasi aurora sopra la notte, quasi luce piena sul viso incavato, quasi iperbole di un fuoco incessante. Eraclito è il sublime pensatore di questa poeticità che ogni linguaggio cela, anzi ora si avverte come ciascun sema, ciascun morfema sia già una metafora. Il linguaggio poetico è la messa a nudo di questa logica, di questa rivoluzione che costituisce l'essere parlante in quanto parla cioè ripete senza sosta le proprie rotture, le proprie separazioni e le sposta indefinitamente, all'infinito, per farne poi quel che risulta un senso.» Julia Kristeva, La rivoluzione del linguaggio poetico
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fenomeni che si presentano storicamente cercherà di cogliere il progresso dello Spirito Assoluto, ma diverrà un metodo veramente filosofico solo con Husserl. Il suo maestro, Brentano, definiva la coscienza come intenzionale, cioè che ha sempre uno scopo, un obiettivo. I fenomeni psichici sono sempre sotto una intenzionalità. Il soggetto di tale operazione è appunto l'Ego trascendentale. Cioè trascendente il tu, ma sempre immanente a tutto il discorso. Un Ego appunto con la E maiuscola, l'Ego trascendentale di Husserl. Ego trascendente il tu ma immanente al linguaggio. Ora le due tendenze che nella linguistica contribuiscono a definire il processo della significanza sono il semiotico e il simbolico. Modalità inseparabili nel linguaggio naturale che ne tollera diversi modi di articolazione. A parte sistemi significanti non verbali che si costituiscono solo a partire dal semiotico, come la musica. La psicoanalisi. Esclusività del tutto relativa proprio per la necessaria articolazione dei due piani costitutivi del soggetto. Il soggetto è cioè sempre simbolico e semiotico, non può essere altrimenti che sempre in debito ai due piani. Per semiotico non possiamo che riprendere il senso greco del termine: segno, traccia, indizio, impronta, ma in tutti questi significati ciò che permette di individuare il suo contributo al meccanismo della significanza è la distintività o differenza. Questo è il varco strutturante la disposizione delle pulsioni secondo Freud. Cioè, nei processi primari, quei meccanismi che spostano e condensano sia le energie sia la loro iscrizione. Quantità discrete di energia che percorrono il corpo di quello che diventerà un soggetto secondo le disposizioni imposte a livello familiare e sociale. Cariche energetiche e marche psichiche, potremmo chiamarle engrammi, per ritornare a un termine familiare di cui abbiamo sentito parlare dal Warburg, che costituiscono la chora semiotica, definita da Platone nel Timeo come un ricettacolo che in modo del tutto provvisorio mobile, plasmabile, registra i movimenti e le loro effimere stasi. Bene, la disposizione, cioè la differenza è registrata nel ricettacolo, la madre dirà Platone,
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in cui si imprimono le forme, seppure prive di significato, che verranno tradotte poi dall'infante in modo vocalico e corporeo, ecolalico e sinestetico (vedi Ramachandra), con gridi, pianti, movimenti, ritmi spaziati, che costituiscono le prime relazioni del nuovo nato con il mondo. Melanie Klein fornirà quelle che sono le evidenze teoriche su cui basa la sua analisi dalla nascita all'adolescenza. Il neonato viene al mondo sotto la costrizione di un essere gettato, come dirà Heidegger, nel mondo, seguirà lo stato di angoscia che questa condizione traccia nella sua psiche. La relazione con la madre, o chi la sostituisce, è quindi, secondo Melanie Klein, fondamentale per superare l'angoscia. La relazione che il neonato avrà con gli oggetti e con gli altri dipende sostanzialmente da un primo oggetto, cioè il seno, ma non solo, l'oggetto insomma del desiderio. Dalla sua disponibilità, dalla relazione che attraverso l'alimentazione si instaurerà con la madre in parte dipenderà se le reazioni successive saranno vitali o mortifere. L'oggetto è per Lacan caratterizzato dalla sua continuità, il bimbo con esso è tutt'uno. Lacan aggiunge che ciò che fa dell’oggetto a qualcosa che può funzionare come equivalente del godimento è proprio questa struttura topologica. Struttura che, in ciascuna delle quattro forme che lui ha indicato, è caratterizzata dalla continuità del bordo. Questo fa sì che ci sia in ciascuna di esse un posto che congiunge l’intimo alla radicale esteriorità. L’oggetto a è quindi in postura di funzionare come luogo di cattura del godimento, un godimento che percorre il suo bordo che è continuo. Interno esterno senza soluzione di continuità, cioè senza interruzione. Il processo di costituzione della significanza per la psicoanalisi freudiana, kleiniana e lacaniana avviene in questo momento. In questo spazio ritmato ma senza tesi né posizione. Uno spazio ancora non unificato in un Universo, essendo assente Dio. La chora, in cui è assente Dio, non è unita, è priva di identità, però è sottoposta a regolazione, seppure non da quella della legge simbolica, effettua continuamente discontinuità articolandole provvisoriamente e ricominciando sempre di nuovo. Modalità della significanza in cui il segno
Il tema del numero
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Figura 7.1 - Sopra il psichiatra e filosofo francese Jacques Lacan (19011981). Secondo Lacan l'inconscio è strutturato come il linguaggio e produce il soggetto senza ridursi al suo processo. linguistico ancora non è nato, privo quindi di oggetto e di articolazione tra reale e simbolico, ma sottomesso ad un ordinamento dovuto alle costrizioni naturali e sociostoriche. Ordina cioè una funzionalità preverbale che già si affaccia a guardare il simbolico sin dai primi mesi, quando il bambino chiama bau bau il cane indicandolo. Il soggetto. Posizione non ancora cognitiva, cioè consapevole, posizione cinesica e semiotica ma non simbolica, poiché quest'ultima proviene dal linguaggio. Come avviene allora che il simbolico nella chora semiotica taglia ciò che poi viene posto come il senso? Questa è la domanda più difficile. Il neonato è posto in un ricettacolo, il ventre materno, nel quale la fusione è completa. Dove l'aspetto
semiotico è costituito da sensazioni, suoni, colori, toccamenti, scambi tra il nascituro e il corpo materno ma anche provenienti dall'esterno, quel fuori in cui è angosciosamente gettato. Una volta nato il neonato vivrà nella fusione senza distinguersi dal corpo della madre o dalle cose che gli sono intorno. La fase tetica ancora deve arrivare. Sarà questa la svolta decisiva. Quando l'infante inizierà a tagliare quel ricettacolo semiotico in cui si sente ancora fuso. Il senso allora sarà il taglio di quella fusione. Il soggetto è il risultato del taglio fisico, corporeo, da quella massa di impressioni, suoni, colori, forme, oggetti, differenze senza nome in cui è fuso dalla nascita. Taglio che separa appunto il soggetto dall'oggetto, innanzitutto dal corpo materno, ricettacolo semiotico ◄
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nel quale da sempre è immerso. Il simbolico avanza attraverso questa scissione, il bimbo già nell'indicare bau bau impone al segno un significato, attribuisce una posizione identitaria e di differenza, metaforica e metonimica. La significazione, insomma, è solo quella che sviluppa la fase tetica e riguarda il rapporto tra la proposizione e l'oggetto, la loro complicità. Ogni segno è in questo senso tetico, già proposizione in germe, attribuisce significato a un oggetto, la copula svolgerà poi la funzione definitiva di significato, bau è bello, è nero, ecc., con il verbo essere che unisce l'oggetto a qualche suo predicato. Ma dove avviene questa condizione per cui l'Ego trascendentale taglia la chora semiotica e produce la significazione? Per la Kristeva, Freud e il successivo sviluppo lacaniano la soluzione è chiara. L'operazione avviene a livello inconscio. L'inconscio è strutturato come il linguaggio dirà Lacan. L'inconscio allora produce il soggetto senza ridursi al suo processo. Un taglio della chora che riguarda due momenti, due fasi, che Freud indica nella formazione del cucciolo dell'uomo: la fase dello specchio e quella edipica, la castrazione. Questi due tagli si susseguono rapidamente, il primo nelle prime fasi della vita, l'altro successivamente. La costruzione del soggetto avviene all'interno di una condizione psicosomatica, diceva Freud; cioè di una costrizione organizzatrice di tipo biologico e sociale. Perciò il semiotico, abbiamo visto costituisce uno dei lati del linguaggio essendo l'altro il simbolico, fa parte di un processo più ampio che lo ingloba, il processo della significanza. La significanza, il semiotico e il simbolico costituiscono il soggetto stesso. Il semiotico è perciò una modalità del processo della significanza in vista del soggetto posto (ma come assente) dal simbolico.
ta della formazione del significante sono anteriori al soggetto cartesiano e alla sua grammatica, ma anche sincroni rispetto al suo svolgimento. Il semiotico, le pulsioni e loro articolazioni, li distinguiamo dalla significanza, poiché essa richiede una proposizione e un giudizio, ossia una posizione, cioè il linguaggio. Le pulsioni che Freud individua sono proprio alla base e all'origine di questa fase tetica. Ogni enunciazione richiede una identificazione, una separazione del soggetto dalla propria immagine e contemporaneamente dai propri oggetti e fra i propri oggetti. La fase tetica è per questo la struttura più profonda dell'enunciabilità, cioè della significazione, quindi della proposizione. Ora questa fase tetica per Freud, ma anche per il successivo sviluppo lacaniano, è uno stadio producibile solo attraverso precise condizioni. Due sono le fasi, come abbiamo già detto, lo specchio e la castrazione. La prima è fondamentale per la spazialità necessaria a stabilire una differenza tra soggetto e oggetto. Il bimbo per cogliere una immagine di se stesso e del mondo la vede allo specchio e contemporaneamente si separa da essa. La nascita umana è per Lacan, ma anche per i biologi, immatura, tale condizione influisce sulla percezione della propria immagine, che ancora deve maturare e separarsi. L'investimento su questa immagine, narcisismo primario, apre la via alla costituzione di un oggetto staccato dalla chora semiotica. Cioè di un oggetto che è dentro allo specchio ma anche fuori dallo spazio rappresentativo, un oggetto che è il proprio sé. L'identità si costituisce a partire da questo momento.
Il linguaggio e l'identità. Cosa fa Freud in più dei linguisti strutturalisti? Va oltre l'aspetto fenomenologico con cui il linguaggio si esplica, l'inventore della psicoanalisi indica le pulsioni che ne sono alla base, le fondamen-
La poesia moderna. Ora cosa avviene nell'opera d'arte? A differenza di quel movimento attraverso cui la chora semiotica viene assunta in cielo, cioè nel linguag-
Figura 7.2 - A fianco Roland Barthes (1915-1980), saggista, critico letterario, linguista e semiologo francese. Barthes è autore dell'opera Introduzione all'analisi strutturale di un racconto (1966).
gio, sembra che il linguaggio sprofondi all'inferno della chora semiotica. Ma se questo è vero per la psicosi e la schizofrenia, altrettanto non accade nella poesia. In realtà è sempre in atto un taglio nella chora, ma articolato in una nuova disposizione che sostituisce al procedimento tetico la mimesi. La significazione poetica presuppone sempre una denotazione, ma anziché seguirne la concatenazione che di giudizio in giudizio porta alla conoscenza dell'oggetto reale, si indirizza verso la costruzione di un oggetto non vero ma verosimile, posto in quanto tale, non denotato ma notato, in dipendenza interna ad un soggetto dell'enunciazione che non è più l'ego trascendentale, quello di Husserl, che è intenzionale, cioè ha davanti a sé un oggetto che può manipolare, ora essendo la chora semiotica non soppressa ma sollevata allo statuto di significante, non si obbedisce più alle norme della locuzione grammaticale. La mimesi ci fa partecipare dell'ordine simbolico riproducendone le regole costitutive, cioè la grammaticalità. Barthes lo esprime quando dice che: “La funzione del racconto non è di
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rappresentare ma è quella di costruire uno spettacolo che ci resta ancora assai enigmatico. La logica ha qui un valore di emancipazione – e con essa tutto il racconto; certo gli uomini immettono nel racconto ciò che essi hanno conosciuto, quel che hanno vissuto, ma questo avviene in una forma che ha però trionfato sulla ripetizione e ha istituito il modello di un divenire. Il racconto non fa vedere, non imita, la passione che può infiammarci nella lettura di un romanzo non è quella di una visione (ed infatti non vediamo niente) ma quella di un senso: ciò che avviene è solo il linguaggio il cui avvento non cessa mai di essere festeggiato.” (Introduzione all'analisi strutturale di un racconto, Roland Barthes). Il movimento nella poesia moderna, non solo con la mimesi, sfalda la denotazione, cioè la verosimiglianza che sottende alla mimesi classica, ma inoltre sfalda anche la imposizione di un soggetto. Sfalda la mimesi classica e la posizione stessa dell'enunciazione, ossia la posizione assente del soggetto nel significante, perché lo mette in processo attraverso una rete di marche e di varchi semiotici. La nuova etica. La prospettiva nuova con cui si pone la poesia è la messa in rilievo del soggetto nel linguaggio e più in generale nel senso. Etico in questo senso è qualcosa che pone e dissolve il senso e l'unità del soggetto. Nella poetica moderna l'etica non si enuncia, si pratica in perdita. Mallarmé scrive: “Reverente all'opinione di Poe, dico che nessun vestigio d'una filosofia, etica che sia o metafisica, trasparirà. Aggiungo che ci vuole, ma inclusa e latente. Qual'è allora questa etica inclusa e latente? La messa in evidenza del processo che crea il soggetto, la sua relativizzazione, la sua messa a distanza, la caduta
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del suo imperio”. In questo cosa c'è di notevole? Scrive ancora Malarmé: “Di notevole c'è che, per la prima volta nel corso della storia letteraria d'ogni popolo, concorrentemente ai grandi organi generali e secolari, ove si esalta, secondo una latente tastiera, l'ortodossia, chiunque può, col suo modulo e il suo orecchio individuali, comporsi uno strumento: basta che vi soffi, lo strofini e lo batta con scienza; e può usarne per conto suo od anche dedicarlo alla Lingua.” Per giungere a questo esito sarà necessario liberare il verso. Mancare alle regole generali che lo guidano, nascerà così un poeta libero di giocare tra semiotico e simbolico, cioè sul taglio tetico, nel modo che gli aggrada. Qualunque modo sia, esso non farà altro che relativizzare il dominio del soggetto. Proprio questa negazione del dominio del soggetto è l'etica dell'estetica moderna. Genotesto e fenotesto. Il linguaggio o per meglio dire la significanza è costituita da due strati che chiameremo genotesto e fenotesto. Il primo è relativo alla genesi del testo, cioè a quella chora semiotica che ne costituisce l'elemento di partenza, Il fenotesto è il linguaggio vero e proprio. Tra questi due livelli assume rilievo il genotesto poiché in esso sono compresi tutti i processi semiotici. Il genotesto è quindi il trasporto delle energie pulsionali che organizza lo spazio in cui ancora il soggetto è un'unità divisa che sfuma per dare luogo al simbolico che si struttura tale come processo di varchi e marche sotto la costrizione della struttura biologica e sociale. Il genotesto seppure individuabile sotto il fenotesto non è di natura linguistica. Ma è il genotesto a determinare le divisioni che contraddistinguono il fenotesto, ad esempio le strutture familiari che
Indicazioni bibliografiche Per approfondimenti bibliografici del tema dell'articolo si rimanda agli autori e ai testi citati nelle pagine precedenti.
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traducono le costrizioni capitalistiche nel mondo del lavoro. Capite allora come sul piano del fenotesto non si cambia nulla. E' come dire a una persona in difficoltà che è sufficiente fare quel che non riesce a fare per superare la sua difficoltà, non è così, perché vi riesca è necessario cambiare la logica con cui ragiona. Altrettanto per cambiare le categorie della sintassi si deve intervenire nel genotesto. Dunque il fenotesto è la componente linguistica che adempie alla comunicazione con competenza e con maggiori o minori performance, esso è scisso e irriducibile in rapporto al processo semiotico che attua il genotesto. Il fenotesto è una struttura che obbedisce alle regole comunicative, presuppone un soggetto dell'enunciazione e un destinatario. Il genotesto è topologico, il fenotesto algebrico. Detto in modo semplificato, se voglio cambiare il fenotesto lo devo distruggere, devo cioè agire sadicamente irrompendo al suo interno proprio con il genotesto. Altrimenti il soggetto che parla finché opera nell'ambito comunicativo e della conoscenza legata alla verità, nella funzionalità descritta dalla Kristeva, rischia di essere maschilista, capitalista e razzista. Mallarmé e Lautremont sono antenne che avvertono questa condizione e rompono con il racconto totale, con l'opera, cercano nella polifonia il senso ormai esploso con l'aggiunta di un ipersimbolismo in cui il senso si perde per poi ritrovarsi aperto, pluralizzato, ritmato e irriconoscibile. Tra tetico che rimuove la pulsione e la pulsione che spazza via il tetico, il testo poetico li dialettizza e mima la costituzione e la decostituzione del soggetto, un soggetto, dirà Mallarmé, furioso di intelligenza. Una talpa che rode ogni tesi. ♦
Franco Insalaco. Autore di saggi filosofici e testi poetici. Organizza reading letterari e incontri culturali. Nel 2005 con il filosofo Pietro M. Toesca ha realizzato la “Festa Cantiere della Poesia” promossa dal Comune di San Gimignano e dalla Provincia di Siena. È stato direttore del bimestrale filosofico «Éupolis. Rivista critica di ecologia territoriale». Indirizzo web del Giardino Filosofico: http://giardinofilosofico. blogspot.it.
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LA PROLISSITà DELL'IO
Introspezione e rifiuto d'identità nella letteratura del primo Novecento di Adriano Amati
App 3 parole chiave. Autore, personaggio, alterità, personalità multipla.
Abstract. Nei primi decenni del Novecento, avviene un importante sconvolgimento in ambito teatrale e letterario: ci si concentra sull'introspezione, viene messa in gioco la sfera intima dell'individuo. Come illustra l'articolo, molte opere trattano di rifiuti di identità, di personalità multipla, di amnesie. Il patrimonio identitario di ciascun individuo viene considerato un elemento complesso e misterioso, responsabile di un nuovo fattore: l'alterità.
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ndagine introspettiva. Nel momento in cui l'io irrompe nel romanzo, l'autore cerca di distruggerlo e il protagonista subisce uno scacco identitario destinato a diventare lo snodo della vicenda narrativa. Paradossale ma vero. L'autore, incarnato in questo incerto io-narrante, si smarrisce in un pelago di dubbi esistenziali, spesso rifiutando ogni precisa identità e andando alla ricerca di biografie alternative alla sua nelle quali collocarsi. Perché questo accade? Ma soprattutto, quando? L'epoca interessata da questo fenomeno letterario copre i primi decenni del Novecento, anni in cui avvengono grandi sconvolgimenti: due guerre mondiali, molte dittature, la rivoluzione russa del 1917, la guerra civile spagnola, la grande crisi economica del 1929, un incredibile progresso tecnologico e scientifico, un poderoso sviluppo industriale, la nuova dottrina della produzione in fabbrica teorizzata da Taylor e applicata da Ford (meccanizzazione, divisione del lavoro e catena di montaggio), e poi aerei,
treni, automobili. Ma le innovazioni da indagare qui sono quelle culturali, che toccano l'ambito letterario, poetico e teatrale; nascono all'inizio del secolo scorso, quando Freud pubblica L'interpretazione dei sogni, e spalanca con questo libro una finestra su un mondo nuovo, mai indagato prima in modo scientifico: l'inconscio. La psicanalisi apre così una voragine introspettiva destinata a stravolgere qualsivoglia cimento artistico: si scoprono i segreti più profondi dell'io, e con essi i molti comportamenti della nostra psiche, come i traumi, le nevrosi e naturalmente i sogni. Si vuole conoscere l'universo onirico dell'individuo e tutta la sua sfera intima viene messa in gioco; si comincia a capire che l'identità, fino a poco prima data per scontata, quasi fosse un carattere congenito, ora è un elemento complesso e fragile, misterioso e contraddittorio, anzi, responsabile di un nuovo fattore d'indagine: l'alterità. Il rifiuto della propria identità. Nel 1904, Pirandello pubblica Il fu
Mattia Pascal, che Giorgio De Rienzo definisce il primo romanzo esistenzialista italiano. In quest'opera si precisano i connotati di quello scacco identitario di cui si diceva all'inizio: il protagonista cerca di assumere un'altra identità, nell'illusione di poter cambiare così la propria vita, ma alla fine della storia si accorge che neppure quella nuova è in grado di dargli una personalità stabile, e quella vecchia è ormai inutilizzabile. Egli resta perciò sospeso tra chi non voleva essere e chi non è potuto diventare e ciò gli procurerà un inevitabile smarrimento. Poi sappiamo che il drammaturgo siciliano ha sviluppato ancora, negli anni a venire, questa questione identitaria. L'ha fatto con la trilogia del “teatro nel teatro”: al Fu Mattia Pascal fa seguire infatti Sei personaggi in cerca di autore e Questa sera si recita a soggetto, che costituiscono una svolta fondamentale destinata a cambiare la concezione e la natura stessa dell'opera teatrale. In queste pièce pone come centrali il rapporto attore/personaggio e il rapporto dell'autore con la compagnia ◄
Figura 8.1 - A sinistra lo scrittore e drammaturgo siciliano Luigi Pirandello (1867 - 1936). Per la sua produzione e l'innovazione che portò all'interno del racconto teatrale è considerato uno dei maggiori drammaturghi del XX secolo. Fu insignito del Premio Nobel per la letteratura nel 1934.
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Figura 8.2 e 8.3 - A sinistra Antonio Machado e a destra
Fernando Pessoa. Machado (1875-1939) è stato un poeta e scrittore spagnolo. Nella sua opera El hombre que muriò en la guerra, riprende le stesse tematiche del Fu Mattia Pascal. Anche nelle opere del poeta e scrittore portoghese Fernando Pessoa (1888 - 1935) torna il tema della personalità multipla, ma non come espediente letterario nel suo caso, ma in quanto l'autore soffriva di un distrubo dissociato.
◄ recitante, relazioni in cui il ruolo
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di ciascuno è labile, se non compromesso dall'incerta prospettiva nella quale si muove: il soggetto non riesce ad aderire pienamente alla parte che è chiamato a svolgere. In tal modo personaggio e copione dissolvono, e la vicenda si svolge con una liquidità di ruoli dall'effetto paradossale e straniante. Surreale. Se Pirandello rappresenta senz'altro la punta di diamante della nuova drammaturgia italiana, in altri paesi europei altri autori hanno impresso analoghe innovazioni in ambito teatrale e letterario. Antonio Machado, ad esempio, col suo El hombre que murió en la guerra, ricalca da Madrid le medesime tematiche del Fu Mattia Pascal: anche qui c'è un cambio d'identità parzialmente riuscito. Un giovane borghese partito per la guerra (la Prima Guerra Mondiale) assume l'identità di un compagno d'armi deceduto in battaglia, e sotto questa nuova veste fa ritorno alla casa paterna; sarà la vecchia governante a riconoscerlo, mentre i genitori accet-
teranno l'idea che il figlio sia morto e accoglieranno in casa il giovane credendolo un suo vecchio amico. Qui Machado insiste sul desiderio del protagonista di voler cancellare quell'ottuso passato borghese per assumere un'identità più confacente alle sue nuove atmosfere esistenziali. Siamo nel 1928 in una Spagna sottoposta ad una dittatura militare, e questo può spiegare in parte la volontà del drammaturgo di voler assegnare al personaggio la possibilità di un futuro diverso, con aperture inusitate slegate da quel presente così cupo e opprimente. Personalità multipla. Lasciando il teatro per la letteratura troviamo a Lisbona l'autore che più di chiunque altro ha costruito una personalità multipla, affidando ai suoi eteronimi il compito di mostrare nella narrazione poetica l'impossibilità di individuare per il protagonista un'identità stabile, Fernando Pessoa. Intendiamoci, non si tratta di un espediente narrativo, di un trucco per rendere più originali i lavori che fissava sulla carta, Pessoa era
effettivamente dissociato. Alberto Caeiro, Ricardo Reis e Alvaro de Campo erano parti del suo io che egli viveva in modo intermittente: ciascuno di loro aveva una propria biografia e un proprio peculiare sentimento della vita. Tanto che una volta si presentò alla fidanzata Ophelia come Alvaro de Campo, dicendo che l'amico Fernando era stato trattenuto altrove; assecondava in tal modo i diversi umori mentali, i diversi stati d'animo provocati dalla sua alienazione: nonostante la piena consapevolezza di tale conturbante alterità, non poteva evitarla, dovendo rincorrere di volta in volta quell'io così vacuo da non lasciarlo dormire. Circa la prolissità dell'io, scriverà: “Mi sono moltiplicato per sentirmi, per sentirmi ho dovuto sentire tutto, sono straripato, non ho fatto altro che traboccarmi... (Devo) sentire tutto in tutte le maniere, vivere da tutte le parti, essere la stessa cosa in tutti i modi possibili e nello stesso tempo”. E per restare in tema va detto che anche il citato Machado parlava di “essenziale eterogeneità dell'essere”,
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L'identità, così tanto invocata ed evocata, è un punto vuoto attorno a cui giostrano elementi instabili, insituabili in un “io” permanente e riconoscibile. Nell'accettazione dell'alterità inseguiamo noi stessi tra suggestioni, contraddizioni e antinomie. principio che stava alla base della sua teoria e pratica dell'apocrifo, cioè testi che sosteneva gli fossero stati falsamente attribuiti. Intendeva così sottrarsi alla logica dell'autoreprotagonista dell'opera e sosteneva che l'io poetico doveva mostrarsi dissolvendosi nella sua essenziale molteplicità. Aveva un progetto ambizioso Machado: dar vita a “dodici poeti che sarebbero potuti esistere” e a sei inesistenti filosofi spagnoli dell'Ottocento: qui affiora la volontà di cancellare del tutto qualsiasi possibile identificazione autore/opera, ciò che conta è l'opera e non il suo artefice. Questi infatti non ha nome, non c'è modo di riconoscerlo e collegarlo al suo lavoro. Tra gli autori di lingua spagnola il riferimento a Borges è d'obbligo. Anche perché esiste un suo scritto poco conosciuto, apparso nel volume Tutte le Opere, in cui pone in modo magistrale la questione dell'alterità; egli parla di sé in prima e in terza persona, dichiarando che l'uomo-Borges conosce a malapena il poeta-Borges ed ha con lui un rapporto difficile. Ammette che ci sono punti in comune tra i due, eppure afferma di non riuscire mai a farli coincidere, cioè a farli diventare uno. È un bellissimo scritto e s'intitola Borges ed io. Eccone un brano: “All'altro, a Borges, accadono le cose. Io cammino per Buenos Aires e indugio, forse ormai meccanicamente, a guardare l'arco di un androne e la porta che dà a un cortile; di Borges ho notizie attraverso la posta e vedo il suo nome in una terna di professori o in un dizionario biografico. Mi piacciono gli orologi a sabbia, le mappe, le stampe del secolo XVIII°, il sapore del caffè e la prosa di Stevenson; l'altro condivi-
de queste preferenze, ma in un modo vanitoso che le muta negli attributi di un attore.. Sarebbe esagerato affermare che la nostra è una relazione d'ostilità; io vivo, mi lascio vivere, perché Borges possa tramare la sua letteratura, e questo mi giustifica. Non ho difficoltà a riconoscere che ha dato vita ad alcune pagine valide, ma quelle pagine non possono salvarmi, forse perché ciò che vi è di buono non appartiene a nessuno, neppure all'altro, ma al linguaggio o alla tradizione. D'altronde io sono destinato a perdermi definitivamente, e solo qualche istante mio potrà sopravvivere nell'altro”. Nella "Nebbia" di un'identità. Allora, dov'è quell'io tanto decantato dai sostenitori ad oltranza del primato dell'individualità? Si potrà obiettare che certe problematiche risultano ormai datate, che da allora è passato un secolo e certi aspetti perturbanti dell'identità sono stati superati, almeno in ambito letterario. Ebbene, allora prendiamo un esempio recente, il Premio Nobel per la Letteratura del 2014 Patrick Modiano, e il suo Via delle botteghe oscure. Il personaggio del suo romanzo, tale Pedro, svolge un'accurata indagine sul proprio passato, per superare l'amnesia che gli ha fatto dimenticare chi egli sia veramente. All'uopo incontra vari personaggi che in qualche modo hanno sfiorato la sua vita, “gente strana, che al passaggio lascia solo una scia di nebbia che prontamente svanisce”. Si tratta di individui le cui orme si perdono, vengono dal nulla (della memoria) e al nulla tornano dopo un fugace brillio. Ecco l'incipit: “Non sono nulla. Soltanto una sagoma chiara, quella sera, seduta all'esterno di un caffè”. Ecco, il contemporaneo Modiano ci conduce in una viaggio nella nebbia di un'identità impossibile, avendo per compagno il dubbio. E come non collegare queste sue parole a quelle di Pessoa,
che un secolo prima scriveva: “Non sono niente, Non sarò mai niente. Non posso voler essere niente. A parte questo ho in me tutti i sogni del mondo”. Un altro personaggio importante dell'epoca che stiamo trattando è lo scrittore e filosofo spagnolo Miguel de Unamuno, il quale – in un articolo pubblicato nel 1923 e intitolato Pirandello y yo - ebbe a rilevare le straordinarie somiglianze teoriche tra lui e il drammaturgo siciliano, di cui aveva conosciuto l'opera ma che non aveva mai incontrato di persona. Anche se sul piano narrativo e non teatrale, Unamuno sviluppò alcuni concetti cari a Pirandello. In particolare puntò il proprio obiettivo letterario sul rapporto tra autore, personaggio e lettore, che definì enti di finzione, e mise tutti sullo stesso piano funzionale, tutti co-autori con pari dignità nell'ambito della vicenda letteraria. Cancellò così la tradizione che affidava compiti peculiari a ciascuno, abbatté i muri (ideologici) che separavano i rispettivi ruoli, e per farlo li collocò tutti quanti nell'universo onirico di cui, sosteneva, tutti noi facciamo parte, quale che sia il versante letterario sul quale ci troviamo. Lo smarrimento esistenziale era dunque il naturale approdo di ogni ente di finzione, che cessava di avere una riconoscibile identità individuale e si perdeva nella nebbia del vivere quotidiano. Per approfondire questo suo pensiero bisogna leggere il romanzo Nebbia, che egli pubblicò nel 1914: è la storia del classico triangolo amoroso, nulla di eccezionale, ma a un certo punto del romanzo autore e personaggio si incontrano e tra loro si svolge un dialogo surreale ma efficacissimo circa le tematiche relative al ruolo di ogni ente. Ciò lo portò addirittura a inventare una nuovo genere letterario: definì infatti Nebbia una nivola (crasi tra la parola niebla, nebbia, e novela, ◄
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Figura 8.4 - A destra lo scrittore e poeta argentino Jorge Luis Borges Acevedo (1899 – 1986). È ritenuto uno dei più importanti e influenti scrittori del XX secolo. Nelle sue opere coniuga idee filosofiche con il tema del fantastico. ◄ romanzo), un racconto dialogato in
cui colloca all'interno della vicenda quegli snodi di finzione che gli servono per evidenziare il suo pensiero.
La stessa sostanza di cui son fatti i sogni. Per chiudere la carrellata degli autori latini che hanno impresso una svolta letteraria puntando sullo snodo identitario dell'autore/ personaggio, l'epoca presa in esame annovera Macedonio Fernandez, esponente dell'Ultraismo argentino. La sua disquisizione filosofica sulla mancanza di una realtà condivisibile ha trasformato la struttura del romanzo: il suo Museo del romanzo della Eterna è l'esempio di una metafisica al quadrato, i personaggi sono concetti, sentimenti, ideali e miti legati all'esistenza psichica dei protagonisti, poiché per lui tutto avviene a livello psichico. Dunque ogni vicenda “ha la stessa sostanza di cui son fatti i sogni”; dissolve così ogni questione identitaria, e la distinzione tra essere e non-essere da lui effettuata è legata solo alle suggestioni intellettuali del suo pensiero. Fernandez, padre intellettuale di Borges, sosteneva infatti che la scrittura era al servizio del pensiero, e pertanto tutta la sua letteratura è una lunga serie di appunti cui non cercava di dare altra consequenzialità che quella puramente concettuale. Insomma, a indagare il pensiero e le opere degli autori menzionati, in quegli anni in cui tutte le attività artistiche hanno subito una profonda trasformazione, emerge con chiarezza un io
molteplice, instabile, talvolta confuso e spesso rinnegato, che ha trasformato il realismo del romanzo ottocentesco, in cui si raccontava la realtà esterna, nell'intimismo del romanzo del Novecento, in cui ora si racconta la realtà interiore. E paradossalmente, appena l'io diventa centrale, subito si cerca di demolirlo, di cancellarlo, di dissolverlo; intanto l'esistenzialismo comincia ad affermare il primato dell'esistenza sull'essenza e prende per oggetto l'analisi dell'esistenza stessa intesa come categoria comprensiva di tutte le cose del mondo. ♦ Foto autori. I personaggi scelti per questa breve disamina sull'identità in letteratura fanno parte del mio personale pantheon letterario. Perciò si tratta di una selezione assolutamente arbitraria e – mi rendo conto – molto parziale; ma spero sufficiente a chiarire i termini di come, in quegli anni, l'identità/alterità diviene lo snodo narrativo attorno a cui si sviluppa il dramma. All'inizio del Novecento, dal racconto storico-popolare si passa ad un'indagine più intima e personale, il cui nucleo principale è costituito dalle atmosfere mentali, psichiche ed oniriche del protagonista.
Indicazioni bibliografiche
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S. Freud, L'interpretazione dei sogni, Mondadori, Milano. L. Pirandello, Il fu Mattia Pascal, Mondadori, Milano, 1993. L. Pirandello, Sei personaggi in cerca d'autore, Einaudi, Milano, 2005. L. Pirandello, Questa sera si recita a soggetto, Newton Compton, Roma, 2009. A. Machado, El hombre que muriò en la guerra, Gru-
po Planeta, Barcellona. J. L. Borges, Borges ed io in Tutte le opere, Mondadori, Milano, 1991. Patrick Modiano, Via delle botteghe oscure, Bompiani, Milano, 2014. M. de Unamuno, Nebbia, Fazi Editore, Roma, 2015. M. Fernandez, Museo del romanzo della Eterna, Il Melangolo, Genova, 1992.
Ciò ha orientato gran parte della letteratura novecentesca, che in tale forma si è però ridotta nei primi anni Novanta, con l'avvento di un discutibile neo-realismo: il cinema diventò docu-film, il romanzo resoconto narrativo e l'opera teatrale denuncia sociale. Ovvero, da almeno un ventennio si cerca un'adesione alla realtà – cronaca e attualità – che porta la letteratura verso una sorta di new-journalism americano; invece le sue migliori virtù sono la finzione, la qualità espressiva, e quella che Flaubert definiva “l'esecuzione formale”. La finzione infatti è il modo narrativo più efficace per indagare la questione identitaria. E' nella narrativa, più che nella saggistica, che si palesa l'efficacia dell'analisi sulla soggettività del protagonista del romanzo, l'alter-ego in cui si specchia la vicenda esistenziale dell'autore. Nulla tocca più del racconto di chi vuol essere altro da sé e s'inventa le soluzioni più stravaganti per conseguire una nuova identità; la fredda realtà scientifica del saggio non ottiene il medesimo coinvolgimento del lettore. In questo modo la letteratura ha toccato il vasto pubblico, più di quanto non abbiano fatto i pur rigorosi studi clinici sulla questione.
Adriano Amati. Scrittore. Oltre a libri di turismo ed arte ha pubblicato: Turista a Tebaide (1991) e Bertrand il matematico (1994) per Paolini Editore; Dialoghi del namoro (1997) per Severgnini Editore; Domicilio Mantova (2003) per l'Editoriale La Cronaca; Detto tra noi (2005) per Prospecta Editore; I miei (2006) per il Cartiglio Mantovano; Una voglia di Sur (2008) e L'iride azzurra (2010) per Lui Editore; Ballate (2013) per Clessidra Editrice; Nebbia a teatro (2014) per Paolini Editore. Partecipa attivamente alle iniziative editoriali di Clessidra Editrice.
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Pensiero al femminile
La donna nell'antico Egitto La condizione femminile nell'antico Egitto
Pensiero al femminile. L'approccio multidisciplinare di ÂŤNeuroscienze AnemosÂť guarda anche al mondo della psicologia sociale. La questione delle discriminazioni di genere e del ruolo della donna nella societĂ rientra tra le problematiche anche della nostra epoca. Da qui l'esigenza di puntare la lente sul contributo del genere femminile ai settori importanti della scienza e della cultura.
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APPROFONDIMENTO
L'importanza della donna nell'Antico Egitto La funzione femminile nella società egiziana di Roberta Torreggiani
App 3 parole chiave. Ideale femminile, funzione sociale della donna.
Abstract. La donna nell'Antico Egitto godeva di molti privilegi e di uno stato sociale pari all'uomo. L'articolo ci illustra la funzione femminile nella società egiziana, come dea, regina, sacerdotessa, ma anche come lavoratrice o semplice moglie.
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l nucleo famigliare. La posizione giuridica della donna egizia muta a seconda del momento storico-politico in cui essa vive. Agli albori della civiltà in Egitto, il nucleo famigliare era fondato sull'autorità del capo famiglia e sul diritto di primogenitura; la donna non poteva amministrare i propri beni e non disponeva della patria potestà sui figli neanche dopo
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la morte del marito. Le cose cambiarono radicalmente all'inizio della III dinastia, nel periodo chiamato Antico Regno (2650 – 2150 a.C.), quando l'individuo diventa una vera e propria entità giuridica e sociale e la famiglia si trasforma in un gruppo formato da personalità indipendenti. Da questo momento la donna poteva esprimere, come l'uomo, la propria volontà nel predisporre i suoi beni; essa esercitava
la sua influenza su figli e famigliari, in una posizione giuridica del tutto uguale al marito. Anche il culto funerario, diventa individuale, ciascuno dei due sposi ha il suo culto separato e le sue offerte distinte; questo è la conferma del carattere già molto antico dell'indipendenza giuridica della donna. L'alta considerazione in cui essa era tenuta si manifesta nella ricchezza di immagini che da sempre
Anemos neuroscienze
Ott-Dic 2015 | anno V - numero 19
ha ispirato agli artisti in tutte la varie epoche di questa remota civiltà e nell'eleganza dei gioielli e altri oggetti che per lei vennero confezionati con raffinata cura. La posizione privilegiata di cui godeva la donna nell'Antico Egitto è, inoltre, messa in evidenza dall'arte scultorea; ne sono un celebre esempio le statue del principe Rahotep e della sua sposa Nofret (IV dinastia), rappresentati in egual grandezza e importanza. Matrimonio e divorzio. Ignoriamo come si svolgessero i fidanzamenti, dato per scontato che esistessero, e come si celebrasse il matrimonio; secondo lo studioso francese Pierre Montet la cerimonia, che riuniva le due famiglie nel tempio, si concludeva con una benedizione. Alcuni testi riferiscono che vi erano due forme di matrimonio: uno patrilocale, in cui la sposa andava ad abitare a casa del marito, ed uno matrilocale, in cui era invece lo sposo a recarsi nella casa della moglie per abitarvi. Un documento giuridico del Nuovo Regno (1540 – 1070 a.C.) accenna al matrimonio di un operaio del villaggio di Deir el Medina, con la figlia di un altro operaio; nel testo sono riportate le parole dello sposo: “Io ho portato delle provviste nella casa di Paym e sposai sua figlia”.Questo ci induce a ritenere che il matrimonio fosse ufficializzato con la coabitazione degli sposi. Il matrimonio poteva essere sciolto col divorzio, che forse esisteva già dall'Antico Regno, ma sono scarse le notizie a questo proposito; la causa più grave era l'adulterio, che era considerato una colpa molto grave ed era severamente punito. Il marito o la moglie che aveva subito il tradimento, poteva quindi chiedere il divorzio e ottenere dall'altro un cospicuo indennizzo. La donna nella letteratura. Molti scrittori, saggi, pensatori e filosofi del tempo si sono espressi sul tema femminile dando vita ad una ricca raccolta di poesie, canti ed elogi dedicati alle donne, mettendo in evi-
denza la straordinaria considerazione in cui esse erano tenute nella società e quanto le loro doti non fossero da sottovalutare. Ricordiamo, per esempio, un manuale di consigli sul giusto comportamento che un uomo doveva tenere nei confronti di una donna, o ancora una serie di massime/ proverbi che andavano a sottolineare le caratteristiche più apprezzate nelle donne; il saggio Ptahhotep, vissuto durante la V dinastia, scrisse: “Essa (la donna) vive tutti i giorni a contatto con gli uomini ed è utile consultarla per il suo equilibrio e Figura 9.1 - Statue di Rahotep e Nofret, Antico la sua saggezza, che, Regno, provenienti da Meydum (70 km a sud de il si può Cairo), conservate al Museo Egizio de il Cairo. trovare anche presso una semplice serva di dare o togliere la vita. Sposa di Osialla macina”. ride e madre di Horus, proteggeva le La donna Dea. Il mondo religioso, pur nella sua complessità e varietà, sintetizza in maniera esemplare l'ideale femminile nell'Antico Egitto. Nelle entità divine femminili, infatti, sono proiettate le concezioni che stanno alla base della vita e dell'organizzazione sociale, a partire dal mito della creazione del mondo, secondo il quale, al principio tutto era ricoperto da un oceano primordiale metafora del caos, portatore di distruzione che impediva alla vita stessa di generarsi; l'unica forza in grado di contrastarlo risiedeva nella dea Maat, incarnazione dell'ordine cosmico, della verità e della giustizia. Un altro caposaldo per gli egizi era il principio vitale, che li accompagnava fin nell'aldilà, ed ancora una volta troviamo una figura femminile a rappresentarlo: la dea Iside, colei che aveva il potere
partorienti e i neonati; fu in grado di riportare alla vita il suo sposo dopo che fu fatto a pezzi dal fratello Seth e questo le valse il titolo di “Grande Maga”.
La donna Regina. E' sbagliato pensare che la “Grande sposa reale” fosse solo una figura di rappresentanza al fianco del faraone. Le regine sono denominate nei testi “Signore delle due terre” come i sovrani ed ebbero sempre un ruolo di primo piano, da sole o al fianco del marito, nella guida del paese. Di notevole importanza nella storia Egizia fu, per esempio, la figura della regina Teye, Grande Sposa Reale di Amenofi III; essa fu assai potente, tanto che spesso venne rappresentata sui monumenti accanto al re e il suo nome si può leggere associato a quello del consorte su molti oggetti d'uso comune. Di lei sappiamo che ◄
Figura 7.3 - Nella pagina a fianco, la dea Maat che porta sulla testa una piuma di struzzo simbolo del suo nome. Era considerata l'incarnazione dell'equilibrio, della verità, della giustizia e dell'ordine cosmico.
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APPROFONDIMENTO
Figura 9.2 - Sopra Sacerdotessa che compone le offerte per la celebrazione degli antenati.
◄ partecipava agli affari di stato,
fatto testimoniato dalla frequenza con cui appare il suo nome nella corrispondenza rinvenuta ad Amarna, e che addirittura ricevette onori divini, venne infatti associata alla dea Hathor mentre ancora era in vita. Tra gli esempi più celebri si ricordano Nefertiti, che ebbe una parte fondamentale nella riforma religiosa indetta dal marito Akhenaten, e Hatshepsut, che per ben 17 anni fu la sola sovrana d'Egitto; il suo fu un caso eccezionale e non privo di polemiche poiché continuò a regnare anche quando il figlio ebbe l'età per salire al trono; fu, inoltre, la prima regina che osò farsi rappresentare come un uomo, con la barba posticcia simbolo per eccellenza del potere regale, e fu sempre lei ad istituire il titolo di “faraone”, che noi oggi attribuiamo convenzionalmente a tutti i sovrani d'Egitto, ma che di fatto nacque all'epoca di questa sorprendente reggenza, diventando regolarmente il titolo del sovrano, da Hatshepsut e il figlio Thutmosi III
in poi, e conobbe da allora la fortuna che sappiamo. Anche nei templi incontriamo elementi femminili: prefiche, custodi, donne addette alla preparazione delle cerimonie funebri e perfino sacerdotesse che curavano la continuità del culto degli antenati attraverso le offerte, in un ruolo paritario a quello maschile e altrettanto attivo. Esse erano retribuite in egual misura degli uomini e ne portavano gli stessi titoli. Il lavoro e la vita quotidiana. Tranne qualche rara eccezione, uomini e donne svolgevano gli stessi mestieri; tutto ciò che riguardava l'abbigliamento, l'ornamento della persona, la cosmesi e l'economia domestica, nonché la filatura, la tessitura e la preparazione dei profumi rientrava nella sfera delle competenze femminili, ma non era poi così raro trovare immagini di uomini intenti a lavare i panni al fiume mentre le mogli, al loro fianco, si dedicavano alla cura personale. Le donne lavoravano poi al fianco degli uomini nei campi, nella
Indicazioni bibliografiche
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E. Boserup, Women's role in economic development, Earthscan Publications, New York, 1970. C. Desroches Noblecourt, La Regina Misteriosa – La storia di Hatshepsut, l'unica donna che regnò come faraone, Sperling&Kupfer, Milano, 2002. N. Grimal, Storia dell'Antico Egitto, Laterza, Roma,
2002. G. Robins, Women in Ancient Egypt, British Museum press, London, 1993. D.P. Silverman, Antico Egitto, Mondadori, Milano, 1998.
produzione del pane e della birra, partecipavano alle battute di caccia e pesca e spesso conducevano i commerci, con grande stupore dei Greci, i quali ridicolizzavano gli uomini Egiziani poiché “se ne stanno seduti accanto al focolare, mentre le donne trattano tutti gli affari”. Per quanto riguarda i mestieri più prestigiosi, abbiamo testimonianze di donne-scriba, che dopo un opportuno periodo di apprendistato, potevano intraprendere la carriera amministrativa civile o religiosa. Infine tra le specializzazioni che alcune donne raggiungevano, sono documentate anche la medicina e la chirurgia. Conclusioni. La donna nell'Antico Egitto godeva dunque di privilegi e di uno stato sociale pari all'uomo, svolgendo una funzione vitale nella società a tutti i livelli; come dea, regina, sacerdotessa, ma anche come lavoratrice o semplice “signora della casa”, cioè moglie. Possiamo oggi, nella nostra moderna società, affermare le stesse cose? Personalmente trovo risposta nelle parole di Alessandro Manzoni, il quale disse: “Non sempre ciò che viene dopo è progresso”. ♦
Roberta Torreggiani. Laureata in Egittologia pressa la facoltà di Conservazione dei Beni Culturali di Ravenna. Esperta in progettazione, promozione e realizzazione di attività educative; laboratori e didattica museale, visite guidate e conferenze. Ha lavorato presso il Museo Archeologico Nazionale di Parma nell'ambito del progetto “A Scuola nei Musei” con la cooperativa Artificio, per la quale ha ideato e realizzato una serie di percorsi a tema per le scuole elementari e medie. Tuttora disponibile per visite guidate nella sala egizia del suddetto museo, rivolte ad adulti e scolaresche. E-mail: robin.torre@alice.it
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’Associazione culturale e di volontariato Anemos, fondata nel marzo 2009, nasce per coordinare e ampliare le attività di volontariato sociale di un gruppo di amici di Novellara (RE), nonchè le attività culturali del Centro di Neuroscienze Anemos, l’attività editoriale scientifica in collaborazione con la casa editrice New Magazine Edizioni e con la casa editrice La Clessidra. Tra i vari campi d’attività accennati: ♦ Libera Università di Neuroscienze Anemos: organizza convegni, seminari e corsi multidisciplinari sul tema delle neuroscienze in collaborazione con La Clessidra Editrice (vedi testo sotto). Pubblicazione della rivista «Neuroscienze Anemos» ♦ “Libri Anemos”. Attività editoriale con la Casa Editrice New Magazine con una collana di Neuroscienze e una collana di Narrativa e Poesia ♦ Biblioteca di Neuroscienze Anemos ♦ Promozione e valorizzazione di giovani artisti ♦ Programmi di volontariato sociale nei paesi in via di sviluppo e in Italia
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ell’autunno del 2010 è nato il progetto «Neuroscienze Anemos», trimestrale di neuroscienze, scienze cognitive, psicologia clinica e filosofia della mente. Il periodico di divulgazione scientifica, distribuito gratuitamente nelle biblioteche pubbliche della provincia di Reggio Emilia e Mantova e in altri circuiti distributivi, si sviluppa in stretta correlazione con La Clessidra Editrice, giovane casa editrice Reggiana (con sede a Reggiolo, RE) nata in un contesto di associazionismo culturale nel 2004 e costituitasi come casa editrice nel 2006. ditrice La Clessidra è specializzata in editoria periodica locale e settoriale. La giovane casa editrice raduna intorno a sé un attivo gruppo di intellettuali, collaboratori abituali e occasionali, che agiscono oltre la sfera dell'editoria. otto questo aspetto, le attività promosse dall'editore contribuiscono ad alimentare il dibattito sulla contemporaneità, non solo presentando e divulgando la propria attività e quella di altri operatori culturali, ma anche promuovendo convegni e seminari (riguardanti l'ambito scientifico e le scienze umane) , divulgando l'attività di artisti, scrittori, studiosi di varie discipline.
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