"Neuroscienze Anemos" Gen-Mar 2014 Anni IV n. 12

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ISSN 2281-0994

Trimestrale culturale a diffusione gratuita - Gen-Mar 2014 ♦ anno IV - numero 12

Anemos neuroscienze

Trimestrale di neuroscienze, scienze cognitive, psicologia clinica e filosofia della mente

PSICHIATRIA&FILOSOFIA

lA CITTà

ELa rappresentazione LO SPAZIO dello spazio

Ludwig Binswanger. Fenomenologia e psichiatria La mania e la sua espressione paradigmatica

tra vissuto urbanistico, patologie neurologiche e riflessione filosofica Letteratura

Psicologia

Il genere letterario di fantascienza, il suo proporre un orizzonte di distanza spaziale e temporale e un incontro con l'altro e il diverso

Lo spazio del dirsi e del conoscersi, il rapporto tra l’educare e lo spazio di esplorazione del possibile

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CENTRO DI NEUROSCIENZE ANEMOS Direttore sanitario: Dott. Marco Ruini

AREA DI PSICOLOGIA PSICOLOGIA CLINICA Psicodiagnosi (Dott.ssa Laura Torricelli) Psicoterapia di coppia e famigliare (Dott Federico Gasparini) Psicotraumatologia e EMDR (Dott.ssa Federica Maldini) Mindfulness (Dott.ssa Laura Torricelli) Psicopatologia dell'apprendimento (Dott.ssa Enrica Giaroli) NEUROPSICOLOGIA ADULTI (Dott.ssa Caterina Barletta Rodolfi, Dott. Federico Gasparini) NEUROPSICOLOGIA dello SVILUPPO (Dott.ssa Lisa Faietti, Dott.ssa Linda Iotti) AREA DI PSICHIATRIA Dott. Giuseppe Cupello Dott. Raffaele Bertolini

AREA DI OCULISTICA Dott. Valeriano Gilioli Dott. Vicenzo Vittici

SERVIZIO DI NEUROCHIRURGIA Dr. Marco Ruini: Responsabile del servizio Dr. Marco Ruini: Neurochirurgo, Patologia del rachide e cerebrale Dr. Davide Guasti: Ortopedico, Tecniche mininvasive sul rachide Dr. Andrea Veroni: Neurochirurgo, Patologia del rachide nell’anziano Dr. Andrea Seghedoni: Neurochirurgo, Instabilità del rachide Dr. Giampiero Muggianu: Neurochirurgo, Patologia del rachide e cerebrale

Collaborazioni

Dr. Ignazio Borghesi, Neurochirurgo Prof. Vitaliano Nizzoli, Neurochirurgo Prof. Lorenzo Genitori, Neurochirurgia Pediatrica Dr. Bruno Zanotti, Neurochirurgo

SERVIZIO DI TERAPIA ANTALGICA Dr. Roberto Bianco, Anestesista, Terapia infiltrativa, Agopuntura Dr. Ezio Gulli, Anestesista, Terapia infiltrativa Dr. Davide Guasti, Ortopedico, Trattamenti mininvasivi faccette articolari e intradiscali

SERVIZIO DI RIABILITAZIONE E RIEDUCAZIONE FUNZIONALE Dr. Rocco Ferrari, Chiroterapia Dr. Raffaele Zoboli, Fisiatra Dr. Aurelio Giavatto, Manipolazioni viscerali Dr. Nicolas Negrete, Fisioterapista Dott.ssa Maela Grassi, Osteopata SERVIZIO DI NEUROLOGIA E DI NEUROFISIOLOGIA Dr. Mario Baratti, Neurologo, Elettromiografia e Potenziali evocati Dott. Devetak Massimiliano, Neurologo, doppler tronchi sovraortici e transcranico Dr.ssa Daniela Monaco, Neurologia, Doppler transcranico per Parkinson ANEMOS | Centro Servizi di Neuroscienze Poliambulatorio Medico | Libera Università | Ass. Culturale Via Meuccio Ruini, 6 | 42124 Reggio Emilia tel. 0522 922052 | Fax 0522 517538 | www.anemoscns.it info@anemoscns.it | www.associazioneanemos.org

Centro di riferimento: Centro di Neuroscienze Anemos, Reggio Emilia. Centri Ospedalieri per la Neurochirurgia del rachide e le tecniche mininvasive: Casa di Cura Salus Hospital (Re), Ospedale di Suzzara (Mn), Casa di Cura San Clemente (Mn), Casa di Cura Villa Maria Cecilia di Cotignola (Ra). Ambulatori: Reggio Emilia, Correggio, Guastalla, Reggiolo, Suzzara, Poggio Rusco, Mantova, Carpi, Modena, Fiorenzuola, Olbia e Messina.


Anemos neuroscienze

Gen-Mar 2014 | anno IV - numero 12

Dal tempo allo spazio

L

o spazio, come il tempo, è un’entità difficile da definire in termini assoluti. Da sempre filosofi e fisici hanno tentato di darne una definizione. Ne è risultato che il senso che noi diamo a queste due categorie interdipendenti, tempo-spazio, dipende dal paradigma iniziale, dal contesto in cui viene posta la nostra domanda, dalla cultura stratificata sotto questa idea e dal sapere specialistico a partire dal quale viene posta. Ci sono, dunque, diverse concezioni di spazio. Dal punto di vista di fisico avremo lo spazio dell’universo, quello del nostro mondo, quello della dimensione degli atomi: spazi che non rispondono alle stesse regole fisiche (o almeno alle stesse teorie che li descrivono) e che sono indissociabili dal tempo. Di questo aspetto, ce ne parlerà la Dr.ssa Monica Bertani, fisica ricercatrice presso i Laboratori Nazionali di Frascati. In filosofia il campo si allarga ulteriormente: a volte lo spazio è stato identificato col vuoto, altre volte è apparso come un recinto che contiene il reale; interpretato come una intuizione, una astrazione che ci permette di isolare la realtà o come l’insieme delle cose reali. Un excursus dell'idea di spazio ce la offre il Prof. Mauro Bertani, filosofo, che termina il suo articolo parlando dello spazio sociale, aprendo il campo allo spazio vissuto, alla nostra percezione dello spazio al di là della sua reale esistenza e delle dimensioni dell’infinitamente grande e dell’infinitamente piccolo. Per la nostra vita, per la nostra dimensione umana estremamente limitata, esistono due spazi fondamentali: uno spazio interno, quello della nostra identità, che tende ad allargarsi all’esterno nello spazio vitale, comunque in rapporto col nostro essere; uno spazio esterno, in parte frutto della nostra interpretazione del mondo e che ognuno vede come realtà soggettiva singolare. Lo spazio interno non potrebbe esistere se non ci fosse contemporaneamente quello esterno a definirne i confini. La nostra identità, che muta nel tempo, è influenzata da questo rapporto interno-esterno che varia con il modificarsi dell’ambiente, dei rapporti interpersonali, del mondo. Il conflitto tra spazio interno ed esterno è fuorviero di patologie o, quantomeno, di disagio esistenziale. Il Dr. Enrico Ghidoni, neurologo, affronta proprio la connessione tra spazio e patologia

Editoriale

neurologica. Anche in architettura si conosce quanto lo spazio esterno, il nostro modo di abitare, di utilizzare l’ambiente come sostegno alimentare, svago, valorizzazione di sé, condiziona non solo la qualità di vita, ma anche il nostro stesso essere. Lo spazio dell’abitare è fondamentale al nostro equilibrio: ce ne parla l’Architetto Vitaliano Biondi nel suo articolo sulla campagna urbana che ci apre la porta alle idee di convivialità, autonomia, solidarietà che si stanno sperimentando nei nuovi assetti di città diffusa che ormai ha inglobato la campagna. Lo spazio dell’educare è altrettanto Si possono inviare proposte di articoli, importante considerando che nei primi segnalazioni di eventi, commenti anni di vita organizziamo le strategie di o altro all’indirizzo redazione@clessidraeditrice.it risoluzione dei problemi e le metodiche In copertina: rappresentazione di città ideale di apprendimento. Sono strumenti di Leon Battista Alberti cognitivi che ci accompagneranno tutta la vita strettamente interconnessi con Ci trovate anche su Facebook gli spazi del nostro apprendere e agire: https://www.acebook.com/Rivista.Anemos impariamo il confine tra il nostro spazio https://www.facebook.com/LaClessidraEditrice vitale e quello degli altri, entriamo in più spazi contemporaneamente, quello della fantascienza, cogliendo i risvolti filosofici familiare, quello della scuola, quello dei rapporti interpersonali, quello con la città e tutti di questo genere nel suo proporre differenti orizzonti spaziali e di contatto con il diverso. influiranno sulla nostra identità. Di questo ce Gli spazi interni, invece, quelli della coscienza, ne parla la Dr.ssa Ivana Soncini, psicologa. Lo spazio esterno è l’insieme di una infinità di vengono trattati nel lavoro di Stefano Mistura (psichiatra), il quale dedica a Ludwig spazi, alcuni sono talmente strutturati, spazi Binswanger, alla fenomenologia e psichiatria, della cura (ospedali), della punizione (carceri), alcune interessanti pagine. del lavoro (fabbriche, uffici) che sono stati analizzati da una letteratura ampissima. Altri E per completare la rassegna dei contributi che troverete, indicati qui non in ordine di sono nuovi, i non spazi degli aeroporti, delle apparizione, si ricorda l'articolo di Giorgio stazioni, o inesplorati come l’iperspazio che, Reggiani (neurologo) che riportando l'argomento però, sempre più affollato, necessita già di una spazio a termini più organicistici, ci parla del legislazione particolare o di una architettura controllo motorio della postura umana. ad hoc (le stazioni spaziali). Nuovi spazi, Vista la complessità e la multidisciplinarietà luoghi, ma anche una visione diversa, positiva, di ogni aspetto che riguarda la nostra vita, del vuoto, importante in altre culture e ancora le soluzioni iperspecialistiche rischiano di carica di valenze negative nella nostra, come ci non vedere il problema nel suo insieme. racconta lo scrittore Adriano Amati. Anche L’incontro di più voci ci permette di vedere il in questo mondo globalizzato, conformista tema “spazio” da molteplici punti di vista, di e che tende all’omologazione, spazio esterno relativizzarlo, ma nello stesso tempo di vederne e spazio interno, che fanno parte del nostro spazio vissuto, delimitano un mondo soggettivo, l’importanza nella vita vissuta, oltre le dispute la nostra individualità, una possibilità di difesa accademiche.♦ dell’alterità e non possono essere trattati in Gli Editori modo categorico, con soluzioni uguali per tutti, La Clessidra Editrice standardizzate e svincolate dalle peculiarità Libera Università di Neuroscoenze Anemos ambientali e individuali. E poi ancora il Dr. Antonio Petrucci (filosofo) che effettua un'incursione nel genere letterario

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SOMMARIO

lA CITTà

E LO SPAZIO

La rappresentazione dello spazio tra vissuto urbanistico, patologie neurologiche e riflessione filosofica

Editore: Editrice La Clessidra / Anemos Redazione Via 25 aprile, 33 42046 Reggiolo (RE) redazione@clessidraeditrice.it Tel 0522 210183 Direttore Responsabile Davide Donadio davidedonadio@clessidraeditrice.it Direttore Scientifico Marco Ruini info@anemoscns.it Redazione: Marco Barbieri, Tommy Manfredini, Paola Torelli. Comitato scientifico* Adriano Amati Laura Andrao Mario Baratti Mauro Bertani Raffaele Bertolini Vitaliano Biondi Arcangelo Dell'Anna Sergio Calzari Giuseppe Cupello Pinuccia Fagandini Lorenzo Genitori

Enrico Ghidoni Franco Insalaco Giovanni Malferarri Antonio Petrucci Sara Pinelli Ivana Soncini Leonardo Teggi Laura Torricelli Bruno Zanotti Maria Luisa Zedde

Hanno inoltre collaborato:

Rubriche

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Neuronews Parola di Neanderthal ▪ L'odore del pericolo ▪ Studi sulla dislessia ▪ Altre notizie

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Monica Bertani, Stefano Mistura, Giorgio Reggiani

L'uomo macchina Nichilisti innamorati

Luogo di stampa

di Davide Donadio

E.Lui Tipografia - Reggiolo (RE) Registrazione n. 1244 del 01/02/2011 Tribunale di Reggio Emilia Iconografia: alcune immagini presenti in «Neuroscienze Anemos» sono tratte da siti internet contenenti banche dati di immagini di libero utilizzo. Qualora vi fossero stati errori e omissioni relativi al diritto d’autore l’editore rimane a disposizione per sanare la sua posizione.

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* Il comitato scientifico è composto da persone che partecipano a vario titolo e con continuità differente alle attività organizzate dalla Libera Università di Neuroscienze Anemos e di La Clessidra Editrice.

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Diario di bordo

Dove abita il cefalopodo di Arcangelo Dell'Anna


Anemos neuroscienze

Gen-Mar 2014 | anno IV - numero 12

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Neurologia / Psicologia Lo spazio del cervello

Come il cervello rielabora e interpreta le informazioni spaziali

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di Enrico Ghidoni

Psicologia / Pedagogia Lo spazio del dirsi e del conoscersi Il rapporto tra l'educare e lo spazio di esplorazione del possibile

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di Ivana Soncini

Psichiatria / Filosofia Ludwig Binswanger. Fenomenologia e psichiatria

La mania e la sua espressione paradigmatica

32

di Stefano Mistura

Filosofia / Psicologia Lo spazio intorno a noi

Il concetto di spazio tra filosofia e scienza

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di Mauro Bertani

Medicina / Neurologia La valutazione strumentale del controllo motorio e della postura

LAM (laboratorio di analisi del movimento): cenni storici, presupposti scientifici, struttura e utilizzo clinico

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di Giorgio Reggiani

Antropologia / Arte Il vuoto come apertura e ricerca Un'ipotesi speculativa

48

di Adriano Amati

Letteratura / Psicologia Anche gli androidi sono soli Per un saggio sulla fantascienza

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di Antonio Petrucci

Architettura/ Sociologia Campagne urbane

Nuovi paesaggi, nuove ecologie

58

di Vitaliano Biondi

Storia della scienza Spazio-tempo

Introduzione alla fisica dello spazio e del tempo

www.clessidraeditrice.it

di Monica Bertani


Neuronews

Gen-Mar 2014 | anno IV - numero 12

Rassegna di notizie tra neuroscienza, filosofia e scienze cognitive

L'odore del pericolo L'associazione fra stimolo ed esperienza negativa coinvolge i centri cerebrali superiori e si ripercuote anche sul sistema nervoso periferico, esaltando la capacità di riconoscere il pericolo

S

embra intuitivo: l'imparare che uno stimolo, per esempio un odore, è associato a un danno, porterebbe quello stesso stimolo ad essere percepito distintamente e prima di altri. Insomma, pare che l'apprendimento sia in grado di alterare la risposta agli stimoli percettivi. Un gruppo di ricercatori della State University of New Jersey a Piscataway, in seguito a una serie di esperimenti sui topi, ha compreso che il sistema nervoso centrale è in grado di imparare rapidamente a capire che particolari stimoli permettono di prevedere un pericolo imminente indipendentemente dalle informazioni che il soggetto ne può trarre, ma anche che le informazioni apprese alterano la risposta dei neuroni che per primi entrano in contatto con lo stimolo. Sul piano pratico, si sono impiegati un gruppo di topi “ingegnerizzati” geneticamente, così che i loro neuroni esprimessero una proteina luminescente attivandosi in seguito ad uno stimolo olfattivo. Successivamente i ricercatori hanno addestrato alcuni topi ad associare uno stimolo neutro, un odore, a una scossa elettrica. L'attivazione dei neuroni sensoriali olfattivi avviene più rapidamente e in misura più significativa in quei topi addestrati alla paura. I topi così addestrati riuscivano a distinguere meglio l'odore che segnalava il pericolo da altri odori simili.

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Parola di Neanderthal Gli ominidi, venuti prima di Homo Sapiens e a lungo convissuti accanto alla nostra specie, pare che potessero comunicare a parole

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a sempre si era creduto che gli ominidi antecedenti e contemporanei di Homo Sapiens non fossero in grado di parlare. Ma da alcuni scienziati di Trieste arriva una prima smentita: pare che l'uomo di Neanderthal fosse in grado di parlare. La tesi, sostenuta dal Centro di ricerca Elettra Sincrotone di Trieste, ha analizzato ai raggi X l'osso ioide, elemento importante per la vocalità umana, di un uomo di Neanderthal rinvenuto nel 1989 in Israele. Poichè lo ioide nell'essere umano fornisce un supporto alla laringe e serve da ancoraggio per la lingua e per altri muscoli

dal punto di vista della morfologia esterna, lo ioide dell'Homo Neanderthalensis e quello dell'uomo moderno non presentano sostanziali differenze. Sono tuttavia differenti rispetto ad altri primati. La microtomografia, una tecnica a raggi X, ha consentito di effettuare elaborazioni tridimensionali con una risoluzione non raggiungibile dalla TAC convenzionale e da queste ricostruzioni si sono effettuate simulazioni. I risultati dell'analisi hanno mostrato significative analogie nelle performance microbiomeccaniche in risposta alle stesse sollecitazioni: l'uomo di

necessari alla comunicazione verbale, le proprietà biomeccaniche di quest'osso, posto alla base della lingua, non possono essere molto diverse tra Homo Sapiens e Neanderthal. Secondo i risultati dello studio,

Neanderthal aveva, quindi, in linea teorica la capacità di parlare.


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Studi sulla dislessia

È

Forse originata da scarsa comunicazione cerebrale

noto come la dislessia sia argomento molto celebre nel campo della ricerca neuropsichiatrica. Tale interesse è suscitato anche dal fatto che la dislessia implica tutta una serie di difficoltà che riguardano la famiglia e la scuola, visto che le persone affette da dislessia possono presentare difficoltà di lettura e di apprendimento e nell'elaborazione del linguaggio scritto e parlato. Non sorprende, dunque, che rimanga uno degli ambiti di ricerca più frequentati. Uno studio pubblicato su “Science” di Bart Boets dell’Università cattolica di Leuven in Belgio ha portato alle seguenti conclusioni. Negli ultimi decenni vari studi hanno

Arte, scienza e schizofrenia Aby Warburg e lo studio delle immagini. La psicologia storica dell'espressione umana.

S

portato a ipotizzare che le persone con dislessia non sviluppassero precise rappresentazioni fonetiche e che quindi non fossero in grado di riconoscere le distinzioni più fini di una lingua. In questo modello, i dislessici avrebbero in sostanza una rappresentazione distorta dei fonemi, come se avessero appreso le parole da un vocabolario dove alcune macchie rendono indistinta l’ortografia delle parole. Secondo lo studio citato, invece, le cause della dislessia potrebbero risiedere altrove. Boets e colleghi hanno messo a confronto i due modelli utilizzando una tecnica

i tratta di un ciclo di tre incontri che si terranno presso la sede della Libera Università di Neuroscienze Anemos, a Reggio Emilia in via M. Ruini 6, il 5, 12 e 19 febbraio. Relatore il Dott. Franco Insalaco, filosofo e animatore di eventi culturali. Nella ricerca di un atlante delle immaginitempo, corrispondenti all'engramma di Semon, che illustri la storia dell'espressione visiva nel Mediterraneo, Warburg crea una

di risonanza magnetica funzionale (fMRI) per catturare immagini in 3D dell’attività cerebrale di 23 soggetti adulti con dislessia e 22 soggetti del gruppo di controllo mentre udivano la pronuncia di diversi suoni. Queste osservazioni hanno fatto ipotizzare che vi sia una scarsa comunicazione tra diverse aree cerebrali deputate all'elaborazione del linguaggio in soggetti ritenuti dislessici.

sorta di condensatore in cui raccogliere le correnti energetiche che hanno animato e continuano ad animare la memoria dell'Europa prendendo corpo dai suoi fantasmi. Attraverso questo atlante, il "buon europeo", come dice Nietzsche, avrebbe potuto conoscere la problematicità della propria tradizione culturale e, auto educandosi, guarire dalla propria schizofrenia. Per info potete telefonare al numero 0522 922052.

Controllo motorio La valutazione strumentale del controllo motorio e della postura

S

i svolgerà il 23 gennaio presso la sede della Libera Università di Neuroscienze Anemos (via M. Ruini 6, Reggio Emilia) la conferenza "La valutazione strumentale del controllo motorio e della postura" a cura del Dott. Giorgio Reggiani, direttore sanitario del centro di medicina riabilitativa e sportiva "Analife" di Medolla (MO). Per info: tel. 0522 922052.

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L'uomo macchina

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Appunti liberi tra filosofia della mente e divagazioni antropologiche e letterarie

Nichilisti innamorati Letteratura e psicologia. Gli imprevisti della ragione in Padri e figli, un classico della letteratura russa di Davide Donadio

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ompito della letteratura, quando non è solo intrattenimento, è anche quello di trasporre in storie quelle idee, figure ed emozioni che rese in forma non letteraria conserverebbero l'essenziale del loro significato, ma che forse avrebbero ben altra persuasività su coloro che le ascoltano. Da anni, con intervalli di tempo variabili, rivado - diciamo così - alla lettura di un certo romanzo di non molte pagine scritto da uno dei maggiori autori della letteratura russa: Padri e figli di Ivan Turgenev. Si è soliti sintetizzare il contenuto di Padri e figli ponendo l'accento sul contrasto - palese fin dal titolo - tra la vecchia generazione di padri progressisti che andava a costituire con difficoltà un'embrionale borghesia in una Russia fatta ancora di rapporti sociali arcaici, e la nuova generazione di figli che quel percorso di innovazione e di messa in discussione dei valori tradizionali tentava di portarlo alle sue estreme conseguenze, approdando ad un sistema di pensiero, il nichilismo, che in quegli anni e con vari sfumature di significanto andava diffondendosi nella cultura europea. Il “nichilista”, questa figura conflittuale e di transizione, è resa da Turgenev nel personaggio di Evgenij Bazarov,

giovane studioso di scienze naturali e di medicina. Bazarov si ritrova ospite del giovane Arkadij, suo amico e discepolo ben più ingenuo e pronto a cedere ad una visione borghese. Il conflitto con i “padri” scoppia nell'incontro con il buon Nikolaj Petrovic, affettuoso e bonario padre di Arkadij, e con lo zio di lui Pavel Petrovic, fiero e vanitoso rappresentante di quel progressismo che guardava all'Occidente per innovare i costumi russi, ma che rimaneva fieramente aristocratico nel modo di vivere elegante e raffinato. La generazione di Pavel Petrovic è fatta di romantici che credono ancora nella dignità umana, nella poesia, in un certo grado di apparenze esteriori e di senso dell'onore. Bazarov, al contrario, ostenta beffardo il suo credo nelle scienze naturali e in ciò che è utile. “Un chimico come si deve è venti volte più utile di qualsiasi poeta”, afferma Bazarov in una delle tese discussioni con Pavel Petrovic, che a sua volta chiede al giovane se egli creda nella sola scienza; ed ecco la risposta di Bazarov: “Le ho già detto che non credo in niente; e cos'è la scienza in generale? Ci sono delle scienze, così come ci sono dei mestieri, delle conoscenze, ma la scienza in generale non esiste affatto”.

Ancora più emblematico lo scambio di battute che si consumerà qualche giorno dopo: Pavel Petrovic agitò le mani: “Non la capisco più. Lei offende il popolo russo. Non capisco come si possano rifiutare i principi, le regole! In forza di cosa agisce lei?” “Le ho già detto, zietto, che noi non riconosciamo le autorità,” si intromise Arkadij. “Noi agiamo in forza del fatto che riconosciamo ciò che è utile,” disse Bazarov. “Al giorno d'oggi la cosa più utile è la negazione: noi neghiamo.” “Tutto?” “Tutto”. Il giovane Bazarov qui rivendica il diritto della sua generazione, cresciuta nel dissolvimento delle illusioni, di procedere sulla strada della distruzione del vecchio mondo, prima di passare ad una rifondazione che potrebbe avvenire sulla base di mere esigenze pragmatiche, e quindi appoggiarsi alle scienze. Quella che fin qui emerge, comunque, è la visione di Bazarov che appartiene alla prima parte di Padri e figli. Egli vive secondo quanto predica. La complessità e la grandezza letteraria del personaggio di Turgenev, però, si concretizza nel proseguire della storia,


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In centro, dipinto di Caspar David Friedrich, uno dei maggiori rappresentanti della pittura romantica. Sotto ritratto dello scrittore russo Ivan S. Turgenev.

quando quella cristallina visione entra in conflitto con il mondo interiore di Bazarov e con emozioni che neppure egli immaginava di poter provare. Accade che il giovane scienziato, irritandosi egli stesso per quanto va subendo, si innamori dell'altrettanto cinica Anna Sergeevna Odincova, dopo

averla conosciuta un po' per caso. Anna è una donna attraente e ancora giovane, ma che ormai sta per lasciarsi alle spalle la giovinezza secondo gli standard dell'epoca. Nel suo modo di essere e di apparire traspare tutta la sua disillusione per la vita e per gli uomini. Dotata di intelligenza superiore, l'Odincova si isola nella campagna russa e lascia che i giorni scorrano in cerimoniose formalità e ristretti convivi aristocratici che non fanno altro che accentuare il senso vuoto della vita. Anche Anna rimane colpita da Bazarov e non riesce a rimanerne indifferente. Bazarov, da parta sua, tenta di contrastare la nascita di quel sentimento “romantico” e inutile, ma alla fine, deridendosi e odiandosi per questo, vi cede e si confessa all'Odincova. Ella con estremo garbo lo respinge, forse amandolo a sua volta, ma più fedele alle sue disillusioni e alla sua “tranquillità” di quanto non lo sia lo stesso Bazarov. Il destino dei due amici, Arkadij e Bazarov, avrà ben altro corso: il primo pronto a cedere al lato emozionale della vita non appena un poco di felicità pare avvistarsi all'orizzonte (si inna-

morerà di Katia, la sorella più giovane di Anna), il secondo vittima della sua indifferenza rassegnata che lo porterà di lì a poco verso un finale involontariamente tragico. Turgenev ricevette aspre critiche tanto dai conservatori, che vedevano nel suo Bazarov un prodotto tipico della gioventù degenerata, quanto dai progressisti, che ravvisavano invece nel suo personaggio una semplice caricatura di coloro che auspicavano riforme sociali e culturali. In realtà, la grandezza di Turgenev consiste proprio nell'onestà di dipingere un personaggio - ed una visione del mondo - di per sé problematica e non univoca. Padri e figli riporta in letteratura due tensioni che così spesso si sono scontrate nella storia della cultura occidentale e che sono andate fossilizzandosi nelle categorie storiografiche di Illuminismo e Romanticismo. Pare che lo scrittore russo volesse suggerici, o almeno è come io vorrei cogliere il suo discorso, che sì, il mondo di valori di una società o più in generale del consorzio umano, il lato emozionale e morale del nostro vivere, sono problematici, inconcludenti, farraginosi e difficili da gestire; e ben varrebbe rivederli e correggerli alla luce della scienza e di una logica inconfutabile. Ma che poi, in definitiva, dall'umano non possiamo fuggire. Così, lo schermo di un'utilità distaccata che dovrebbe guidare un qualsiasi Bazarov e una nuova società rendendola più efficiente, si infrange contro un amore inaspettato, una tragedia non prevista, contro l'eterna incomprensione tra gli uomini. ♦

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Diario di bordo

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dall’atelier di uno psicoanalista

Dove abita il cefalopodo "Dove abita il cefalopodo" è il quinto e ultimo capitolo della monografia "Gli spostamenti di Eugenia": un saggio inedito costruito sulla base del carteggio raccolto in un’antica cartella clinica ritrovata nell’archivio storico dell’ex Ospedale Psichiatrico S. Lazzaro di Reggio Emilia. Eugenia è una giovane nobildonna ricoverata presso il reparto del prof. Tamburini; caratteristica peculiare del caso è la composizione della cartella clinica che risulta sostanzialmente costituita dal carteggio che separatamente ciascun genitore - il marchese Rodolfo e donna Filomena P. - intrattiene con il personale sanitario assegnato alla figlia. I primi tre capitoli sono stati pubblicati sui n. 7, 8, 9 e 11 di «Anemos Neuroscienze» e sono consultabili su www.arcangelodellanna.it

A

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ndrebbe riconsiderata, in psicoanalisi e nelle discipline che le sono affini, la nozione teorica e l'intelligenza clinica dello spazio, riprendendo la traccia a suo tempo delineata dallo stesso Freud. Traccia che sul piano clinico ha il suo modello esplicativo nella trattazione cartografica del caso del piccolo Hans mentre a livello teorico il riferimento è racchiuso in una nota scarna come un ammonimento: “L’apparato psichico è esteso, di ciò non sa nulla”1. La mente non va dunque pensata come un meccanico assemblaggio di funzioni, ma come una struttura composita la cui architettura disegna e ripropone il rapporto articolato e complesso che connette il soggetto al suo paesaggio. Lo spazio, in forma di luogo, struttura la configurazione psichica del soggetto. D’altra parte, le relazioni del soggetto con lo spazio e con i suoi movimenti all’interno di esso non sono mai semplici e lineari occorrendo - per inventarlo, calibrarlo e aggiornarlo - una lavorazione la cui durata coincide con quella della vita. Ho notato che di questa lavorazione e dei suoi esiti emerge

di Arcangelo Dell'Anna

prima o poi in ogni analisi il tracciato. Circostanza che fornisce la possibilità di riprenderlo e riavviarlo là dove, eventualmente, si fosse sfrangiato o interrotto. *** L’escursione sulla collina di proprietà dello zio sempre rinviata, favolosi viaggi in Patagonia o in Australia mai effettuati oppure sì, una volta, alle Barbados, ma risoltisi con un ricovero d’urgenza per una vecchia malattia da tempo sopita e imprevedibilmente riacutizzatasi proprio in vacanza. Trasloco dal paese in città e viceversa, ma anche da una stanza all’altra dell’appartamento. Oppure, rinunciando al silenzio e alla tranquillità del proprio studiolo, la perseveranza nel preparare la tesi di laurea in tinello o in cucina lamentandosi di essere continuamente disturbato dai familiari. Incessanti cambiamenti nella disposizione del mobilio. Difficoltà a raggiungere la sede dell’Università, neppure così lontana; vertigini all’ipermercato e inconsuete esitazioni sull’uscio del droghiere sotto casa. Controversie con la suocera, solitamente sistemata al piano

di sotto ma talvolta anche al superiore. Tensioni e liti con il fratello assieme a cui, forse incautamente, aveva costruito una villetta bifamiliare. Ma a quel tempo il padre era ancora vivo. Farsi accompagnare dalla madre all’appuntamento con la morosa. Raggiungere l’orgasmo soltanto sul divano di casa, deludendo puntualmente l’aspettativa erotica del fidanzato che inutilmente continua a organizzare eccitanti weekend in spiagge per naturisti. *** Quando nel corso di un’analisi si presentano paesaggi di questo tipo, è bene proporsi un approccio in grado di restituire allo spazio un ruolo che non è semplicemente quello passivo e neutrale di sfondo alle vicende che vi si svolgono. Così, in molti casi che, con tutta probabilità, Freud avrebbe definito di fobia di locomozione e che oggi i più (purtroppo) insistono a chiamare attacco di panico, è buona norma non sottovalutare il ruolo patogenetico delle coordinate spaziali. Principio valido anche quando a essere in gioco sono fisionomie di tipo psicotico, pre-psicotico o


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borderline (differenti quindi dalla fobia), le determinazioni topografiche del sintomo forniscono quasi sempre informazioni utili a stabilire o a precisare la direzione della cura. *** Nel repertorio favolistico europeo (e non solo), l'incipit di ogni trama invariabilmente coincide con il luogo da cui ciascun piccolo protagonista inaugura il proprio viaggio alla scoperta del mondo. Una piattaforma di avvio comune e riconoscibile innanzitutto a garantire in ogni momento al bambino, che lo vuole o ne ha bisogno, la possibilità di un ritorno. Un luogo “originario” da cui, al tempo stesso, prende avvio un’opera ambiziosa e impegnativa che tutti noi siamo chiamati a svolgere: la costruzione della mappa del mondo. In mancanza di questa, a poco o nulla servirà ricorrere a estemporanei quanto inaffidabili sostituti materiali. Perché, terminato l'ultimo sassolino bianco con cui segnare il percorso, rischieremmo subito - come Hänsel e Gretel - di finire in pericolo2. La conoscenza del mondo non può prescindere dalla capacità di rappresentarlo “in una mappa…[e dunque di

prendere in considerazione] il livello e le accidentalità del terreno, la giacitura delle valli, la direzione e l’altezza delle montagne, il corso e la larghezza dei fiumi, i laghi... la forma della città e la rete delle strade”3. Se la topografia è un’arte, la casa ne segna l’incipit. Se il cefalopodo4 inaugura il disegno del bambino, la casa gli offrirà un punto di riferimento utile prima per trasferirsi dal cielo alla terra e avviare così la composizione della sua planimetria. *** Le piantine allegate da Freud al caso del piccolo Hans ed i tragitti che ne accompagnano la descrizione hanno come punto di partenza o di arrivo la sua casa. E d’altra parte è nella casa che il fobico sempre ripara per proteggersi dall’epidemia degli attacchi di panico; mentre per lo schizofrenico è la terra intera che rischia di essere ingoiata nell’appartamento in cui sopravvive5. In casa, anche se si tratta di un monolocale, non si soffre mai di claustrofobia. L’ossessivo spazza instancabilmente la propria casa per cancellare tutto lo sporco del mondo che vi si raccoglie. Al contrario, l’isterica ed il paranoico. La prima, lasciandosi la casa alle spalle,

porta in piazza le stigmate della propria sofferenza, mentre il paranoico abbatte i vincoli che ancorano la casa alla terra e trasferisce dimora e affetti fra il sole e le stelle, come ben ha mostrato nella sua autobiografia il Presidente Schreber6. Ma la smentita è solo apparente, perché se l'isterica tenterà di fare della piazza del paese la sua nuova casa, in cielo Schreber non ritroverà altri che suo padre. Contrariamente a ciò che riteneva Gilles Deleuze7, non vi è antinomia fra psicoanalisi cartografica e psicoanalisi archeologica: a patto di disporre di una teoria dello spazio e di un modello di apparato psichico in grado di sostenerne la correlazione. Ma quella che il bambino chiama “la mia casa” non è propriamente la sua: è la casa del padre *** La casa del padre non è un posto come tanti altri. Anzi, per molto tempo e in diverse epoche è stata considerata un luogo assai pericoloso, in modo particolare ai tempi della Roma imperiale a causa della rigidità dell’ordinamento patriarcale che ne reggeva leggi e tradizione. Di qui un conflitto terribilmente aspro fra il dispotismo di un padre tirannicamente freudiano e l’insofferenza talvolta omicida dei figli. A fronte di un’opposizione padre-figlio connotata come archetipo di ogni rivalità, il teatro della sfida era la casa, o più esattamente quella “secreta domus parte” usualmente chiamata “cubiculum”8. Collocazione angusta e nascosta, come se una segreta inclinazione claustrofilica avviasse e alimentasse il conflitto edipico. Se la casa è descritta come un luogo irto di pericoli, lo spazio esterno appare viceversa indenne. ►

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► Fuori, in campagna o negli spazi

aperti della città, comunque in un luogo distante dalla domus paterna il conflitto si allenta trovandovi spesso una chiusa non cruenta. “Il luogo deserto ebbe così più forza del sangue stesso”: così Valerio Massimo conclude il racconto di una trama mortifera padre-figlio risoltasi con il pentimento e l’affetto poiché il minacciato, al colloquio decisivo, ebbe l’accortezza di organizzarlo lontano da casa9. *** Di un soggetto in divenire, un bambino o un’adolescente, è importante vagliare o ricostruire i movimenti nella e intorno alla casa. Si consideri, ancora una volta, il caso del piccolo Hans. Sappiamo, infatti, come la terapia svolta da Freud consentì di ricondurre la fobia del bambino per il cavallo alla rivalità con il padre e l’esattezza dell’interpretazione restituì il giovanissimo paziente alla famiglia e alla vita. Ma l’importanza assunta dal passaggio interpretativo di Freud nell’economia del caso e nella storia della psicoanalisi ha fatto passare in secondo piano la parabola di un altro movimento. Allo spostamento che a livello psichico sostiene l’identificazione del padre al cavallo, corrisponde al livello spaziale il progetto-fantasia-tentativo di Hans

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di aprirsi un varco attraverso le mura domestiche in direzione del paesaggio esterno. In questo senso la “passione” per il deposito del Dazio, la voglia di esplorare il caseggiato, le insistenti richieste al padre di gite a Gmuden e Lainz, sono tutti particolari che non passano inosservati allo stesso Freud il quale a un certo punto rileva “come già da qualche tempo la fantasia di Hans lavora sotto il segno del traffico”10. In altri casi invece è solo la direzione dello sguardo o l’avventura di percorrere una scala a svelare l’inclinazione che in Hans prende corpo mentre la sua fobia si va organizzando. “Non c’è modo di trattenerlo in camera e niente può convincerlo ad abbandonare il suo posto di osservazione”11 che è poi la loggetta annessa alla cucina di casa, sul cui gradino il piccolo “sta seduto per ore”12 a scrutare la ragazzina che abita nell’appartamento dirimpetto. Poi, in vacanza a Gmuden, Hans si invaghisce di Marield, la figlia quattordicenne dell’albergatore. Dialogo con i genitori: “Voglio Marield a dormire con me”. Gli viene obbiettato che Marield deve dormire con i genitori. Ed Hans “Allora vado io giù a dormire con Marield”. La madre di Hans “Vuoi davvero lasciare la mamma per andare a dormire giù?” Hans “Bè, ma domattina torno su per fare colazione e andare al gabinetto”. Madre “Se vuoi proprio andare via da papà e mamma, prenditi giacca e calzoni e addio!”. Conclu-

de il padre “Hans prende veramente il vestito e va verso la scala per andare a dormire con Marield. È ovvio che lo riportiamo in camera”13. *** La “nostra” Eugenia sembra dunque essersi ripresa, forse è definitivamente guarita. Chissà. Ma pone come condizione pregiudiziale di non tornare a G. nella casa avita. Il suo specialista avalla con autorevolezza la richiesta della giovane. Il padre la accetta e, con la consueta efficienza, organizza il soggiorno della figlia in un luogo che abbia le caratteristiche da lei richieste. Con malcelata soddisfazione, solo qualche giorno dopo, Rodolfo è in grado di annunciare che: “Il Casino di campagna è fissato a S. Luca d’A… lungo la strada che va al mare… Vi è giardino e gran villa per cui si possono fare passeggiate senza uscire. In casa si gode della massima libertà e così pure nel giardino”. Lontano dalla casa del padre, di questo padre che forse le è stato troppo vicino, la vita di Eugenia può ricominciare. ♦

Note: 1 S. Freud, Risultati, idee, problemi (1938), p. 566, in OC, vol. XI, p.566. Boringhieri. 2 J. E W. Grimm, Le fiabe del focolare, p.57-63, 1951. Einaudi, Torino. D’altra parte, anche le vicende dell’agrimensore K. ne Il Castello di Franz Kafka (1969, Mondadori, Milano) illustrano bene il disorientamento del soggetto quando è privato del riferimento teorico e geografico che il castello, nel romanzo come nei sogni degli analizzanti, sta a rappresentare. 3 N. Zingarelli, Vocabolario della lingua italiana, 1967. Zanichelli. Bologna. 4 Primo disegno del bambino, cerchio cui si aggiungono gli arti e si muove, sole che perde dei raggi. Si colloca tra il padre e la madre, ma anche tra animato ed inanimato nel luogo della funzione psichica in cui la creatività si distingue dal fondamento psicotico (Virginia Finzi Ghisi: Il Cefalopodo o l’amore senza ostacoli, in Il Piccolo Hans, 69, 1991). 5 Samonà Fratelli, 1978, Einaudi, Torino. 6 D. P. Schreber, Memorie di un malato di nervi, 1974, Adelphi, Milano. 7 G. Deleuze, Critica e clinica, p. 87, 1996. Cortina, Milano. 8 E. Pellizer e N. Zorzetti, La paura dei padri nella società antica e medievale, p. 11. 1983. Laterza, Bari-Roma. 9 Ibidem, p. 136. 10 S. Freud, Analisi della fobia di un bambino di cinque anni (Caso clinico del piccolo Hans) (1908), in OC, vol. V, p. 541. Boringhieri, Torino. 11 Ibidem, p. 489. 12 Eadem. 13 Ibidem, p. 489-490.


A Il tema del numero

lA CITTĂ E LO SPAZIO

La rappresentazione dello spazio tra vissuto urbanistico, patologie neurologiche e riflessione filosofica

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«lA CITTà E LO SPAZIO»

La rappresentazione dello spazio tra vissuto urbanistico, patologie neurologiche e riflessione filosofica Mappa concettuale: il Tema del numero Percorsi interdisciplinari

2 PSICOLOGIA E PEDAGOGIA Il rapporto tra l'educare e lo spazio di esplorazione del possibile

1 NEUROLOGIA

Come il cervello rielabora e interpreta le informazioni spaziali

Neuroscienze e discipline scientifiche connesse 14


Anemos neuroscienze

Gen-Mar 2014 | anno IV - numero 12

{

Strumenti di lettura I testi di «Neuroscienze Anemos» sono idealmente suddivisi in In - Interdisciplina App - Approfondimenti R/Np - Ricerca e nuove proposte Agli articoli viene inoltre assegnato un numero che indica la complessità di comprensione del testo da 1 a 5.

1 2 3 4 5

3

4

PSICHIATRIA

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Ludwig Binswanger, tra fenomenologia e psichiatria

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FILOSOFIA

Altri approfondimenti

Il concetto di spazio tra filosofia e scienza MEDICINA Valutazione strumentale del controllo motorio e della postura

7

LETTERATURA Viaggi nello spazio-tempo

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ARTE Lo spazio vuoto tra Occidente e Oriente URBANISTICA Nuovi paesaggi, nuove ecologie SCIENZA Teorie dello spazio da Galileo ad Einstein

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Scienze umane, sociali e altri punti di vista 15


Neurologia

Psicologia

Gen-Mar 2014 | anno IV - numero 12

Lo spazio del cer Come il cervello rielabora e interpreta le informazioni spaziali di Enrico Ghidoni In 2 parole chiave. Spazio, tempo, mente, patologia. Abstract. Come elabora il cervello la funzione cognitiva dello spazio? L'articolo traccia una breve panoramica delle concezioni attuali su questa complessa elaborazione cerebrale, "categoria" che insieme al tempo si presta ad essere interpretata con strumenti tanto filosofici, quanto scientifici e concettuali nel campo delle scienze naturali e nel campo delle scienze cognitive.

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F

unzioni spaziali. Tra le funzioni cognitive che tutti noi, anche sulla base del comune buon senso, consideriamo parti costituenti del nostro funzionamento mentale, facilmente pensiamo alla memoria, al linguaggio o anche a funzioni più specifiche come il calcolo, la lettura, o la capacità di riconoscimento visivo, ma spesso dimentichiamo una delle funzioni ecologicamente più importanti per la nostra vita quotidiana, cioè la capacità di elaborare le informazioni spaziali. La conoscenza di

questa importante funzione è abbastanza recente rispetto ad altre acquisizioni delle neuroscienze. Solo dagli studi su grandi casistiche di pazienti cerebrolesi compiuti dopo la seconda guerra mondiale è emerso che l’emisfero destro del nostro cervello, fino ad allora considerato un emisfero minore rispetto al sinistro, dominante per la sua funzione di organizzazione del linguaggio e del movimento intenzionale, aveva anch’esso una funzione dominante e specializzata per l’elaborazione spaziale. L’importanza della categoria dello spazio per il nostro funzionamento mentale è tuttora sottostimata, basti pensare che la rappresentazione di un’altra categoria fondamentale della nostra mente, quella del tempo, avviene quasi sempre in termini spaziali mediante sche-


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Il tema del numero

cervello mi, grafici, simboli visivi (es. il quadrante dell’orologio), in cui le modificazioni di parametri spaziali stanno a simboleggiare la variazioni del tempo. Ma i rapporti fra tempo e spazio sono ancora più complessi, se pensiamo ai confini della fisica, in cui il tempo può essere ridotto alla quarta dimensione dello spazio, in un continuum spazio-temporale che interessa ugualmente i fisici e i filosofi. Ma lasciamo questi ambiti troppo astratti e torniamo alla concretezza del funzionamento del nostro cervello e della mente che è il suo prodotto operante nel mondo. Che le funzioni spaziali potessero essere una facoltà indipendente era già emerso a partire dalla fine dell’800, epoca eroica della neurologia e della neuropsicologia, quando alcune descrizioni dettagliate di casi clinici evidenziarono che potevano esistere condizioni

di danno cerebrale che producevano fenomeni riconducibili alla dissoluzione di una funzione superiore, lo spazio appunto. Per es. J.A. Badal nel 1888 descrive un pa-

Anemos neuroscienze

ziente che presenta la perdita della capacità di localizzare gli oggetti nello spazio, di orientarsi in luoghi familiari, e di eseguire un disegno anche con un modello disponibile ►

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Neurologia ◄

Psicologia

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da copiare. Numerosi altri casi furono descritti, in cui i disturbi della capacità di elaborare le informazioni spaziali, di localizzare e di esplorare lo spazio si associavano spesso a problemi a carico dei movimenti oculari, e che dipendevano prevalentemente da lesioni delle aree posteriori del cervello (lobi parietali e occipitali). Un contributo fondamentale fu quello di W.R. Brain nel 1941 (il nome dello studioso non sembra casuale!) che descrisse questi vari disturbi e in particolare individuò la sindrome di emiinattenzione (detta anche neglect o agnosia spaziale unilaterale) e sottolineò la sede lesionale nelle regioni posteriori dell’emisfero destro. Così emergeva anche il concetto che l’emisfero destro, a lungo considerato di scarsa importanza, aveva invece un ruolo fondamentale nella gestione delle informazioni visivo-spaziali ambientali. Il fenomeno del neglect oggi è facilmente riconosciuto nei pazienti per es. dopo un ictus cerebrale, e costituisce un affascinante finestra sul funzionamento cerebrale e sulle sue alterazioni dopo lesione destra.

Figura 1.1 - L’importanza della categoria dello spazio per il nostro funzionamento mentale è tuttora sottostimata, basti pensare che la rappresentazione di un’altra categoria fondamentale della nostra mente, quella del tempo, avviene quasi sempre in termini spaziali mediante schemi, grafici, simboli visivi (es. il quadrante dell’orologio). La sindrome da neglect. In effetti il comportamento di una persona che presenta la sindrome da neglect è davvero singolare; di solito in seguito ad un ictus cerebrale che ha colpito la parte posteriore dell’emisfero destro, il paziente può presentare una incapacità a porre attenzione a tutto ciò che accade sul lato sinistro dello spazio. Pertanto non si accorge di oggetti e persone situati sulla sua sinistra, non esplora con lo sguardo o con la mano lo spazio alla sua sinistra; questo a volte si accompagna ad una emiparesi degli arti di sinistra, ma può essere un evento indipendente dal deficit motorio. Accade così che il paziente non si accor-

ga che un familiare si trova alla sua sinistra, e se questi lo chiama, volge lo sguardo innanzitutto verso destra; mentre sta mangiando

La linea mentale del tempo-spazio

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econdo alcune ricerche recenti (Bonato, Zorzi e Umiltà, 2012) il tempo nella nostra mente ha una rappresentazione di natura spaziale. Per es. si è visto che noi associamo il passato con la parte sinistra dello spazio, mentre il futuro è associato allo spazio destro. Ciò fa supporre che il flusso del tempo soggettivo sia rappresentato su una linea mentale che scorre da sinistra verso destra. Così lo

stretto legame spazio-tempo, che troviamo nel mondo della fisica, trova un corrispettivo nei meccanismi mentali. La linea mentale del tempo è analoga alla linea mentale dei numeri, che rappresenta le quantità su un continuum che va da sinistra, ove sono rappresentate le grandezze minori, verso destra, ove sono via via le grandezze sempre maggiori. Questa rappresentazione direzionale può dipendere almeno

in parte dalla direzione della scrittura, infatti è invertita nelle culture in cui la scrittura parte da destra verso sinistra. Fattori culturali, ma non solo, condizionano lo strutturarsi di queste rappresentazioni, che trovano comunque in un fattore spaziale il terreno comune. Lo spazio pertanto è una categoria mentale utile a rappresentare molte altre entità.


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non trova il bicchiere o le posate se sono collocate alla sua sinistra, a volte nel piatto mangia solamente il cibo che si trova a destra, per cui è necessario ad un certo punto ruotare il piatto perché possa accorgersi anche di ciò che era a sinistra. Il paziente nella lettura spesso omette le prime parole di una riga (o anche le prime lettere di una parola) per cui ciò che legge potrebbe non avere un senso, ma di solito ciò lo lascia indifferente. Per esempio davanti a questo titolo Il capo ha deciso di andare non a Parigi ma a Londra Il paziente legge “ha deciso di andare Parigi ma a Londra”, come se le prime parole di ogni riga non esistessero, con le conseguenti alterazioni del significato. Il paziente si accontenta della frase monca e non sembra concepire che possano esserci delle parole che non ha letto. Tuttavia se lo si richiama verbalmente e lo si stimola a guardare di più verso sinistra, allora può legge-

A

Il tema del numero

re la frase intera. L’esplorazione dell’ambiente esterno può essere gravemente condizionata dal disturbo: il paziente può muoversi nell’ambiente con una spiccata tendenza a girare solo verso destra, per cui lungo un percorso tende a ignorare quanto è sulla sua sinistra. Per questo può accadere che un paziente, per raggiungere il bagno che si trova alla sua sinistra, percorra un lungo giro voltando sempre a destra finché raggiunge la porta del bagno quando questa si trova alla sua destra. Il problema compare anche nella scrittura, in cui il paziente può cominciare a scrivere spostandosi sulla destra del foglio, oppure nella esecuzione di disegni, in cui gli elementi che sono posti sulla sinistra della figura sono ignorati o tracciati in maniera incompleta e approssimativa. Alcuni disegni eseguiti da pazienti con neglect: il paziente, anche quando ha il modello davanti da copiare, omette particolari della parte sinistra. Nel disegnare il quadrante di un orologio mette i numeri delle ore solo sulla parte destra. Se deve barrare un determinato stimolo su un foglio contenente molti stimoli diversi, riesce a individuare solo quelli situati a destra; se deve indicare il punto di mezzo di un segmento, o mettere delle crocette in diversi settori dello spazio sul foglio, dà delle risposte sempre spostate nella metà destra. Un esempio interessante è l’effetto di questa sindrome sulla creatività artistica (Bazner e Hennerici, 2007): il pittore tedesco Anton Raederscheidt (1892-1970) in seguito ad embolia cerebrale riportò una lesione dell’emisfero destro, ma continuò a produrre opere pittoriche, che evidenziano la presenza di un neglect per la parte sinistra dello spazio. Anche il grande regista Federico Fellini in seguito ad ictus cerebrale presentò un quadro simile; nel periodo in cui era ricoverato in ospedale eseguiva spesso dei disegni nei

Anemos neuroscienze

quali è evidente la sua difficoltà a inserire gli elementi della parte sinistra della figura (Cantagallo e Della Sala, 1998). Sia quando doveva eseguire una figura di donna vista dal davanti, o da dietro o di profilo, la parte sinistra è meno ricca di particolari o manca di parti del contorno; nel primo caso il paziente resosi conto, in seguito ai richiami dell’esaminatore, ha aggiunto in un secondo tempo un tratto che sommariamente delinea il braccio della figura, inizialmente mancante. È davvero strano l’universo di una persona che presenta un quadro di neglect per l’emispazio sinistro; a volte questo disturbo riguarda anche la parte sinistra del proprio corpo pertanto il paziente per es. quando si fa la barba, omette di usare il rasoio sulla metà sinistra della faccia, oppure quando usa il pettine si ravvia i capelli solo sul lato destro. In certi casi è come se l’intera rappresentazione mentale dello spazio fosse amputata della sua parte sinistra: la persona non è più in grado di immaginare lo spazio nella sua totalità, ma sembra possa focalizzare l’attenzione solo su ciò che si trova a destra, e questo è stato dimostrato in maniera molto elegante in un lavoro di Bisiach e Luzzatti (1978): chiedendo di descrivere a memoria gli edifici presenti in Piazza del Duomo a Milano, un paziente con neglect risponde elencando solamente gli elementi che si trovano sulla sua destra nell’immagine mentale della piazza; tuttavia può recuperare la descrizione degli elementi presenti a sinistra se gli chiediamo di immaginare la piazza da un altro punto di vista, non più di fronte al Duomo ma con il Duomo alle spalle: in tal caso gli elementi che erano negletti diventano ora gli unici che vengono riportati. È interessante notare che il fenomeno del neglect si verifica spesso per lesioni dell’emisfero destro e riguarda pertanto la metà sinistra dello spazio, mentre è rarissimo che si ◄

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Neurologia

Psicologia

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I neurologi e lo spazio

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a neurologia italiana ha avuto un ruolo importante negli studi sui disturbi spaziali. Basti pensare alla figura di Ennio De Renzi, a lungo direttore della Clinica Neurologica di Modena, uno dei padri storici della neuropsicologia italiana e internazionale; nel 1964 fondò la rivista «Cortex» che divenne rapidamente una delle più prestigiose riviste del campo; fra i suoi contributi scientifici,

◄ verifichi per lesione dell’emisfero

sinistro un neglect per l’emispazio di destra. Ciò conferma che vi è una asimmetria nell’organizzazione funzionale del nostro cervello, in cui le aree dell’emisfero destro hanno una funzione di controllo sullo spazio in generale, mentre l’emisfero sinistro ha una funzione di controllo dell’attenzione solo per lo spazio di destra; in caso di lesione dell’emisfero destro pertanto l’attenzione per l’emispazio sinistro viene compromessa mentre quella per l’emispazio destro rimane, potendo contare sui meccanismi dell’emisfero sinistro non lesionato. Le teorie per spiegare il fenomeno sono comunque piuttosto complesse e vanno oltre le nostre intenzioni in questo ambito.

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Gli altri disturbi spaziali. Pazienti con lesioni dell’emisfero destro possono presentare numerosi altri disturbi delle funzioni visive e spaziali, che possono comparire insieme con il neglect o anche in maniera isolata. Per esempio si trova-

quello sui disturbi spaziali è stato fondamentale. Il suo libro del 1982 Disorders of Space Exploration and Cognition rimane tuttora un testo di riferimento a livello internazionale. Altri esponenti della neuropsicologia italiana che hanno dato contributi importanti allo studio delle funzioni spaziali sono stati Edoardo Bisiach, Guido Gainotti, Luigi Pizzamiglio. Bisiach, mediante il famoso “test della piazza

del Duomo”, ha scoperto che il neglect per l’emispazio sinistro coinvolgeva anche le immagini mentali. Gainotti, nato in provincia di Reggio Emilia, è stato per lungo tempo neurologo all’Università Cattolica di Roma, ove ha svolto numerose ricerche sui vari disturbi dovuti a lesioni dell’emisfero destro.

no pazienti con disturbi della percezione spaziale per cui non sono in grado di valutare le distanze e i rapporti fra oggetti posti nel campo visivo, oppure fra il proprio corpo e gli oggetti. Questo può avere ricadute importanti nel modo in cui ci si muove nell’ambiente e lo si esplora. Talvolta il paziente ha un disturbo della percezione della profondità e delle distanze, per cui la scena visiva gli appare piatta come se fosse bidimensionale, come una fotografia o uno sfondo dipinto. Un altro disturbo delle funzioni spaziali è la perdita della memoria topografica, per cui la persona non riesce a orientarsi e trovare la propria strada per raggiungere un luogo conosciuto: in questi casi è perso il ricordo delle relazioni spaziali che permette di seguire un percorso effettuando le corrette scelte nei punti in cui si possono prendere più direzioni; ciononostante può essere conservata la memoria visiva riguardante particolari edifici o oggetti, pertanto il paziente dovrà utilizzare in maniera esclusiva questi riferi-

menti visivi caratteristici per orientarsi lungo il percorso. Un disturbo della conoscenza spaziale particolarmente strano è la paramnesia reduplicativa: in questi casi il paziente è convinto che un luogo sia duplicato, cioè sia presente in due sedi diverse, per es. il soggetto sostiene che l’ospedale di Reggio Emilia si trova a Bologna ed è lo stesso ospedale con gli stessi medici e infermieri, che si trova sia a Reggio che a Bologna: è singolare che in questo disturbo il paziente non sia capace di cogliere l’assurdità delle proprie affermazioni, che anzi difende strenuamente contro le critiche, benché per il resto sia perfettamente lucido e capace di ragionare in maniera logica e coerente. In questi casi probabilmente la disfunzione cerebrale ha colpito in maniera selettiva alcuni circuiti che permettono l’integrazione delle conoscenze spaziali attuali con quelle del passato, determinando dissociazioni tra aspetti diversi della coscienza. Il riscontro di tali casi ovviamente


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apre problematiche sconfinate sulla natura stessa della coscienza e sulla sua unità, che a noi, in condizioni normali, appare come un concetto solido e inoppugnabile, la base della nostra identità di persone, ma che invece è probabilmente il prodotto di meccanismi e circuiti parziali solo a posteriori integrati in una vi-

Anemos neuroscienze

Il tema del numero

sione unificante, che facilmente può sfaldarsi in condizioni di danno organico. Ma l’uso delle informazioni spaziali è pure importante per molte altre attività: per es. una funzione apparentemente così naturale come il vestirsi richiede una rapida e automatica manipolazione di informazioni spaziali riguardanti il proprio corpo e gli oggetti (indumenti) che stiamo per indossare. Ciò dipende dalle stesse aree cerebrali che sottendono alle funzioni spaziali, pertanto in caso di lesione dell’emisfero destro possiamo avere pazienti che non sono più in grado di vestirsi correttamente, sbagliano le sequenze di gesti che permettono di indossare gli abiti, con i prevedibili errori fra sopra e sotto, diritto e rovescio, destra e sinistra; questa

Figura 1.2 - Sopra Edoardo Bisiach, uno dei massimi esponenti della

neuropsicologia italiana. Al suo "test della piazza del Duomo" si deve la scoperta che i neglect per l'emisfero sinistro coinvolgono anche le immagini mentali.

Indicazioni bibliografiche H. Bäzner, M.G. Hennerici: "Painting after Right-Hemisphere Stroke Case Studies of Professional Artists". In: Bogousslavsky J, Hennerici MG (eds): Neurological Disorders in Famous Artists - Part 2. Front Neurol Neurosci. Basel, Karger, 2007, vol 22, pp 1-13 Bisiach, E., Luzzatti, C. (1978). Unilateral neglect of representational space. Cortex, 14, 129-133 Mario Bonato, Marco Zorzi, Carlo Umiltà: When time is space: Evidence for a mental time line. Neuroscience and Biobehavioral Reviews 36 (2012) 22572273 Brain WR. Visual disorientation with special reference to lesions of the right cerebral hemisphere. Brain 1941; 64: 244–72.

situazione si chiama aprassia dell’abbigliamento. Tutte queste situazioni cliniche, che si riscontrano in caso di lesioni delle regioni posteriori dell’emisfero destro, evidenziano chiaramente che tali aree cerebrali contengono dei sistemi altamente specializzati necessari per compiere una serie di differenti attività accomunate dalla connotazione spaziale, che nella nostra vita quotidiana ci permettono di muoverci e di agire nell’ambiente in maniera naturale ed efficace; una funzione così efficiente e sottesa a tante nostre attività da risultare quasi invisibile, così che la sua rilevanza si può comprendere solo quando una lesione ne compromette le operazioni. ♦

Enrico Ghidoni. Laureato in Medicina e Chirurgia e specializzato in Neurologia con lode il 5/12/81 presso l’Università di Modena. Dal 16/8/83 lavora come assistente e poi come aiuto presso la Divisione Neurologica dell’Arcispedale S. Maria Nuova di Reggio Emilia. Ha partecipato come relatore e coautore a diversi congressi e convegni. È socio della sezione di Neuropsicologia della Società Italiana di Neurologia dal 1985 e quindi della Società Italiana di Neuropsicologia. È responsabile del Laboratorio di Neuropsicologia dell’Arcispedale S. Maria Nuova (Reggio E.). È responsabile clinico del Centro Esperto Interaziendale Demenze di Reggio Emilia dal 2000. Ha svolto insegnamento presso la Scuola Infermieri Professionali di Reggio E. negli anni scolastici 1991-92, 1992-93, 199394, 1994-95. Svolge attività di consulenza neuropsicologica per il Servizio di Recupero e Riabilitazione Funzionale dell’Azienda USL di Reggio Emilia da luglio 1996. È docente presso il Corso per diploma universitario di fisioterpista, Università di Modena e Reggio Emilia (materie insegnate: Neuropsicologia e Neurolinguistica). È autore di circa 30 pubblicazioni di argomento neurologico e neuropsicologico. Dal maggio 2001 al 2005 è stato presidente nazionale della Associazione Italiana Dislessia. Dal 2007 al 2009 vicepresidente. Responsabile nazionale del progetto di formazione MIUR-AID “azione 7” e del progetto MIUR-AID- Fondazione Telecom Italia “A Scuola di Dislessia”.

Anna Cantagallo and Sergio Della Sala Preserved insight in an artist with extrapersonal spatial neglect. Cortex, (1998) 34, 163-189 Sergio Della Sala, Nicoletta Beschin: Il cervello ferito. Giunti 2006 Ennio De Renzi: Disorders of space exploration and cognition. Wiley, 1982.

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Psicologia

Pedagogia

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lo spazio

del dirsi e del conoscersi

Il rapporto tra l’educare e lo spazio di esplorazione del possibile

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Anemos neuroscienze

Il tema del numero

In 2 di Ivana Soncini parole chiave. Spazio, educazione, vissuto, apprendimento. Abstract. L'articolo esamina la tesi della soggettività dello spazio nel campo della psicologia. Tale tema è trattato inizialmente a partire da un punto di vista filosofico per poi concentrare l'attenzione sul punto di visto psico-sociale del rapporto tra l'educare, l'apprendere e lo spazio vissuto.

S

oggettività dello spazio. La nozione di spazio ha dato origine nella storia del pensiero a tante concezioni. In questo articolo si vuole prendere in considerazione la tesi della soggettività dello spazio in alcune elaborazioni proposte nel campo della psicologia. Questa tesi fu avanzata per la prima volta dal filosofo Hobbes, che definì lo spazio come “l’immagine della cosa esistente in quanto esistente, cioè in quanto non si considera di essa altro accidente se non il suo apparire al di fuori del soggetto immaginante”1. Apparire… Non esiste uno spazio ◄

1 Leibniz: considera lo spazio come l’ordine delle coesistenze; concetto discorsivo che esprime i rapporti delle cose tra loro. Kant: lo spazio è una rappresentazione necessaria a priori che sta a fondamento di tutte le intuizioni esterne. È la condizione della possibilità dei fenomeni […] è una rappresentazione a priori. K. Lewin: spazio vitale di un organismo: “campo” come l’insieme delle condizioni che rendono possibile un evento. Donald Winnicott: il gioco dei bambini si colloca in uno spazio potenziale fra il Sé individuale e l’ambiente (Gioco e realtà 1971). Henri Wallon (1962): non si può isolare l’organizzazione del campo spaziale ambientale dalla struttura del corpo e dal suo movimento. La conoscenza diretta dello spazio nella pratica quotidiana del bimbo piccolo è fatta soprattutto di spostamenti esplorativi e di manipolazioni di oggetti. La conoscenza indiretta dello spazio trasmessa dall’ambiente consiste principalmente nella denominazione degli oggetti e dei luoghi, come nelle regole che vi si riferiscono... "lo schema corporeo non coincide per forza con il corpo anatomico, ma nello schema corporeo ci sono rapporti d’ordine diversi nello spazio, non si può studiare la costruzione dello schema corporeo senza fare intervenire le posizioni del corpo nello spazio e senza definire i rapporti del corpo con l’atto mimato e con l’atto sugli oggetti con le altre persone. Da una parte lo spazio ambientale dove sistemiamo le cose e noi stessi, da un’altra parte, il risultato di queste sensibilità riportate a noi stessi e che costituisce quello che chiamiamo comunemente lo schema corporeo".

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Psicologia

Pedagogia

◄ assoluto, distinto da ciò che è

percepito dai sensi e relativo ai corpi […] “spazio è il sensorio dell’oggetto conoscente” (Kant). Inoltre, nella filosofia moderna e contemporanea la tesi della soggettività dello spazio assume la forma del carattere sempre più apparente o illusorio dello spazio stesso; idealismo e spiritualismo insistono su questa tesi. L’attenzione si sposta, dunque, su come l’essere umano percepisce, conosce, dà significato. Come pensiamo di conoscere? Come apprendiamo? Come connotiamo la realtà intorno? È la domanda che hanno sostenuto teorie scientifiche, compresa la psicologia dell’apprendimento, dalla seconda metà del secolo scorso, ma è anche la domanda che occorre porsi quando ci si occupa di educazione. Il ruolo e il reciproco rapporto tra fattori interni al soggetto e fattori esterni, tra spazio interno e spazio esterno, sollecita una pedagogia della ricerca che con-

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sideri costantemente le condizioni in cui si realizza questo reciproco rapporto. Sul piano dell’educazione e istruzione, il modo con cui tale rapporto viene concettualizzato, può spostare l’accentuazione sull’uno o sull’altro dei termini del binomio, o meglio, ricercare la loro integrazione. Poiché praticare la prospettiva dell’integrazione fra apprendimento e sviluppo, tra conoscenze, abilità, motivazioni, tra conflittualizzazioni e percorsi più lineari, praticare l’integrazione tra le varie strategie di accesso al conoscere utilizzate soggettivamente e con coetanei ed adulti, riconoscere l’integrazione tra l’agire e il sentire, ci consente di tenere e accogliere insieme tutte le parti del bambino, nella sua straordinaria unicità. In questa prospettiva, ci sono particolari concettualizzazioni di spazio in senso soggettivo, utili e così care alla pedagogia: quella di “spazio potenziale” di D. Winnicott e quella di “Zona (Spazio) Prossima-

le” di L.S. Vygotskij. Spazio potenziale. D. Winnicott (in Gioco e realtà 1971), ha elaborato la definizione di “spazio potenziale” “per dare un posto per giocare”, usando il termine potenziale come aggettivo che implica “potenza” in opposizione all’agire. Vuole indicare qualcosa che può o potrebbe agire o esistere ma non agisce o esiste ora. Pensava ad uno spazio reciproco, in cui la soggettività viene accettata ad esistere, nella sua peculiarità. La questione del tempo è incorporata nella spazialità intesa e impregnata di potenzialità di significato. Area transizionale di illusione creativa (illusione che nella vita adulta è parte intrinseca dell’arte e della religione).Spazio come luogo dove mettere in gioco la conoscenza di sé in relazione agli altri, nella possibilità di intraprendere relazioni “positive”; luogo nel quale agire il desiderio, simbolicamente, integrando i limiti necessari; luogo

Figura 2.1 e 2.2 - A sinistra Lev Semënovič

Vygotskij (1896-1934). La sua teoria interazionista costituì una rivoluzione in campo psicologico. Nell'immagine sotto Donald Woods Winnicott (1896-1971), pediatra e psicoanalista inglese.

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Il tema del numero

Figura 2.3 - L'at-

Anemos neuroscienze

tenzione e la responsabilità degli adulti devono essere rivolte a far sì che il bambino eviti il più possibile la frustrazione del fallimento. È necessario perciò aumentare nel bambino la capacità di coordinare informazioni, trovare analogie e soluzioni.

aperto a possibilità di valutazione delle strategie di relazione e di conoscenza, emergenti dalle esperienze e non giudicate a priori. L’idea di spazio richiama immediatamente anche il significato di confine. Ideare un confine come spazio di dialogo: il confine è, tra le tante cose, anche uno spazio dove si può giocare e conoscersi attraverso il piacere. Meglio ancora: il gioco può essere una forma fondamentale e molto comune di esperienza del limite e dell’avventura dello sconfinamento. L’oggetto transizionale non appartiene né alla realtà interna, né al mondo esterno e viene a dare forma a quell’area di illusione che congiunge madre e bambino, inserendosi in un’area intermedia tra dimensione soggettiva e la dimensione oggettiva, resa possibile per il bambino dalla “bontà” delle cure di chi si occupa di lui e quindi dalla fiducia che il bambino matura verso gli altri. In questo spazio potenziale il bambino inizia la sua prima esperienza di gioco, il primo uso del simbolo; il bambino raccoglie oggetti o fenomeni dal mondo esterno e li usa al servizio di qualche significato, interesse, che deriva dalla realtà interna personale. Il gioco è per Winnicott sempre un’esperienza creativa e la capacità di giocare in maniera creativa permette al soggetto di esprimere l’intero potenziale della propria personalità, grazie “alla sospensione del giudizio di verità sul mondo”, gioco

come tregua dal faticoso e doloroso processo di distinzione tra sé, i propri desideri e la realtà, le sue frustrazioni. L’atto creativo (con questa accezione) permette al bambino di trovare se stesso, di essere a contatto con il nucleo del proprio Sé, in divenire. La creatività non consiste, secondo il grande psicoanalista, nei prodotti dei lavori artistici, che sono meglio definibili “creazioni”, ma è invece costituita dal “modo che ha il soggetto di incontrarsi con la realtà esterna”. La creatività è universale non scompare, tuttavia può restare nascosta, occultata. E qui entrano in “gioco”, appunto, la qualità delle condizioni dei contesti educativi, contesti dove i bambini insieme con adulti, incontrano i loro spazi potenziali, attraverso una pluralità di offerte (L. Malaguzzi: i bambini hanno 100 e più linguaggi) di sensazioni, di relazioni, attraverso il sentimento di partecipare attivamente alla costruzione di nuove scoperte e conoscenze, allo spazio potenziale della costruzione del proprio Sé, sentendosi intelligente. Il progetto educativo deve fondarsi sul valore/ obiettivo che ogni bambino si senta intelligente (con le sue differenti caratteristiche) soprattutto in età evolutiva, l’età dell’oro, l’età del dirsi e del conoscersi, che continua tutta la

«La costruzione dell’identità è un fenomeno complesso, che prevede più livelli descrittivi e nello stesso tempo generativi dell’idea di sé, collegabili ai contesti significanti. La nostra identità “operativa” è una costruzione che dura tutta la vita, attraverso l’incontro dinamico tra spazio interno e spazio esterno.» vita, ma lì inizia… La relazione che gli adulti sanno costruire verso questa zona intermedia di fiducia è di capitale importanza; contiene la sospensione del giudizio, contiene il rispetto dei tempi ►

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Psicologia

Pedagogia

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◄ del bambino, contiene l’accredito nei suoi confronti, la valorizzazione di tutte le creazioni espressive del bambino, magari supportate dall’incontro con diversi materiali e punti di vista; contiene il valore dell’errore come strategia del conoscere, il valore della fatica e della problematizzazione, contiene la possibilità formativa dell’autovalutazione continua per l’insegnante ed il confronto delle proprie premesse, sguardi sulle esperienze. L’intera vita culturale dell’essere umano origina anch’essa nello spazio potenziale, “l’esperienza culturale comincia con il vivere in modo creativo, ciò che in primo luogo si manifesta nel gioco” (Winnicott). La creatività è uno stato di vitalità esistenziale, comune ad ogni essere umano, riempiendo con i prodotti della propria immaginazione e con l’uso dei simboli, lo spazio tra sé e l’ambiente. E tutto questo lo si coglie nell’evolversi dei pensieri dei bambini attraverso la grafica, quando una lumaca diventa nell’evoluzione del segno “il papà con gli occhiali”, quando le creazioni con i materiali più diversi ed evocativi danno forma alle parole, semantiche che il bambino ha dentro, ma di cui non ha ancora acquisito l’abilità per pronunciarle, ecc. L’identità quindi, emerge e nel bambino se ne coglie con maggior desiderio l’emozione di essere, attraverso i vari linguaggi espressivi che “naturalmente” gli appartengono. Zona (spazio) di sviluppo prossimale. Vygoskij viene definito il Mozart della psicologia, poiché è il primo ad elaborare una teoria interazionista (socioculturale), che costituisce una vera rivoluzione in psicologia. Ha anticipato alcuni temi di fondamentale importanza ed ancora attuali: l’evoluzione dei concetti, l’influenza dei fattori culturali sullo sviluppo, il rapporto pensierolinguaggio; si è occupato di apprendimento come interiorizzazione. Vygotskij criticava (nel 1934) la tendenza a determinare attraverso test il livello effettivo del bambino per adeguare ad esso l’istruzione: questa

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Figura 2.4 - È il buon apprendimento che anticipa lo sviluppo, dal momento che crea il passaggio da un piano di competenza ad uno superiore e più complesso. Lo sviluppo del bambino non è la semplice accumulazione di cambiamenti, ma è un processo dialettico caratterizzato da periodicità ed irregolarità, da trasformazioni qualitative e dall’intreccio di molteplici fattori. pratica, diceva “ha dato risultati deludenti, in particolare con bambini con ritardi mentali, con i quali l’eccesso di semplificazione confermava o aggravava la difficoltà stessa”. Il discorso vale anche per i soggetti senza questa fragilità. Il buon apprendimento è quello che anticipa lo sviluppo. L’apprendimento crea “la zona di sviluppo prossimale”, il passaggio da un piano di competenza ad uno superiore e più complesso, se ci sono condizioni che attivino processi evolutivi, quando cioè il bambino può operare con il suo mondo. Lo sviluppo non è la semplice accumulazione di cambiamenti, ma un processo dialettico caratterizzato da periodicità ed irregolarità, da trasformazioni qualitative e dall’intreccio di fattori interni ed esterni. La zona prossimale di sviluppo rappresenta la differenza tra

il livello effettivo e il livello di sviluppo potenziale, determinato attraverso situazioni/compiti di problem solving, in collaborazione con i coetanei e/o l’adulto. Il bambino usa concretamente i concetti spontanei (sue teorie…), ma non sa definirli, verificarli, riequilibrarli al di fuori dell’esperienza concreta. Sviluppo prossimo, prossimo relativamente alle capacità, motivazioni espresse dal bambino in quel tempo della sua crescita. Di conseguenza l’attenzione e la responsabilità dell’adulto devono rivolgersi all’individuazione di quelle prossimalità possibili per il bambino, per quel gruppo di bambini, allontanando così la frustrazione del fallimento e creando contesti competenti, in grado di aumentare nei bambini la capacità di coordinare informazioni, di trovare analogie, soluzioni, ovve-


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ro la competenza logica. Il bambino si dimostra sempre capace di ricercare strutture che connettano identità, ma nello stesso tempo originali e diverse tra loro. La competenza pedagogica sta nella capacità di creare contesti sensibili alle strutture di pensiero in quel momento, contesti che raccolgano le loro tracce di significati, spiegazioni, al loro modo di connettere provvisoriamente le informazioni sul mondo che vivono, contesti che orientino le zone prossimali di desideri e nuove curiosità, dando senso all’azione di bambini ed adulti. Lavorare sulle strategie personali del conoscere è una prospettiva che ci apre l’interesse verso gli altri come portatori di storie. L’approccio pedagogico a cui faccio riferimento, dal punto di vista più scientifico, riconosce nelle pratiche quotidiane un funzionamento della mente di matrice connessionista; il cervello è un sistema altamente cooperativo con parti fittamente interconnesse, la cui attività globale è caratterizzata da relazioni multilaterali e da costanti e dinamiche elaborazioni. L’attivazione delle nostre elaborazioni e connessioni tra funzioni dipende dalla qualità e dall’intensità dell’esperienza sensoriale e motoria del soggetto. Questa immagine coevolutiva del sistema nervoso non separa i processi di conoscenza con la qualità dei contesti in cui si genera la conoscenza e di conseguenza la costruzione delle conoscenze è vista come un processo di auto-organiz-

Anemos neuroscienze

Il tema del numero

zazione tra esperienze già consolidate e quelle nuove, all’interno di contesti interpersonali, contesti che danno significati alle esperienze, in un’ottica socio-costruttivista (Schaffer). Conclusioni. Una frase piuttosto conosciuta del filosofo spagnolo Josè Ortega Y Gasset, “sono una parte di tutto quello che ho incontrato”, sottolinea quanto la costruzione dell’identità sia un fenomeno complesso, che prevede più livelli descrittivi e nello stesso tempo generativi dell’idea di sé, collegabili ai contesti significanti. La nostra identità “operativa” è una costruzione che dura tutta la vita, attraverso l’incontro dinamico tra spazio interno e spazio esterno. L’identità è un fenomeno multidimensionale e multideterminato. Crescere ed apprendere vuol dire partecipare a diverse esperienze, a diverse situazioni intersoggettive, connotate affettivamente. Ogni contesto di vita tende a definire una sua cultura, dinamica, in quanto promuove alcuni modi di essere e ne scarta altri. La “logica vitale” che presiede alla costruzione dell’identità contiene la dimensione temporale in cui il Sé si manifesta attraverso livelli sempre più integrati di consapevolezza, in una prospettiva evolutiva ed è imprescindibilmente legata alle interazioni comunicative vissute. Da questa interdipendenza si genera il modo di costruire e di raccontare il proprio Sé; la coscienza non è altro che

Note e indicazioni bibliografiche C. Cornoldi (1995) Metacognizione e apprendimento - Ed. Il Mulino Denes F. Pizzamiglio L. (1993) Manuale di neuropsicologia - Ed. Zanichelli H.R. Maturana, F.J. Varala (1983) Autopoiesi e cognizione - Ed. Marsilio editore A. Karmiloff Smith. (1995) Oltre la mente modulare. Una prospettiva evolutiva sulla scienza cognitiva - Ed Il Mulino L. S. Vygotskij (1987) Il processo cognitivo - Ed. Bollati Boringhieri L.S. Vygotskij (1970) Pensiero e linguaggio - Ed. Giunti D. Winnicott (1979) Gioco e realtà - Armando editore D. Winnicott (1981) Sviluppo affettivo e ambiente - Armando ed. G. Jervis (1984) Presenza e identità - ed. Garzanti V. Ugazio (1990) Manuale di psicologia educativa - Prima infanzia. - Ed Franco

significazione, mettere in relazione, in modo assolutamente unico, significati percettivi, affettivi, culturali, cognitivi (Heinz Von Foerster). Cosa consegue a questo posizionamento teorico-scientifico (sociocostruzionista) quando ci occupiamo di infanzia e in special modo di educazione, come scuola, come genitori, come cittadini? Perchè scegliere questa prospettiva? Abbiamo bisogno di un approccio di pensiero e quindi anche metodologico che sappia far sostare lo sguardo alle dimensioni interattive ed evolutive tra i soggetti in campo (bambini, genitori, insegnanti), che sappia allenare interesse ai processi reciproci del “cammino” condiviso, attraverso il respiro dell’immaginazione del possibile. A cosa siamo chiamati a partecipare? Partecipiamo alla ricerca e costruzione della continua ridefinizione della nostra esistenza, della nostra identità e partecipiamo alla conseguenza che questa definizione “non sia lasciata” solo ad altri. Educazione come occasione di “vicinanza al Sé” (Derrida) sia per il bambino, che per il genitore, sia per una scuola che sia ponte con la realtà. ♦

Ivana Soncini. Psicologa, psicoterapeuta con indirizzo sistemico-relazionale. Fa parte del Coordinamento pedagogico dell’Istituzione nidi e scuole comunali dell’infanzia del Comune di Reggio Emilia.

Angeli J. Piaget (2000) L’epistemologia genetica - Sagittari Laterza P. Zanini (1997) Significati del confine - Bruno Mondatori Viaggiano Introduzione alla psicologia cognitiva (1998) - Università Laterza psicologia A cura di L. M. Lorenzetti, M. Zani (2007) Estetica ed esistenza - Ed Franco Angeli T. Filippini. V. Vecchi (2005) I cento linguaggi dei bambini - Reggio Children Editore B. Giudici, V: Vecchi (2003) Bambini, arte, artisti - Reggio Children editore

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Filosofia

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LUDWIG BINSWANGER

FENOMENOLOGIA E PSICHIATRIA

La mania e la sua espressione paradigmatica

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ulla fuga delle idee. Al mondo della mania, e a quello della sua espressione paradigmatica che è la fuga delle idee, il grande psichiatra svizzerotedesco Ludwig Binswanger dedicava, ormai ottant’anni fa, il suo primo grande libro. Lo aveva preceduto una serie di articoli e di studi più brevi, ma non meno innovativi nel loro tentativo di impiegare gli strumenti della fenomenologia di Husserl nell’interpretazione delle forme di esistenza psicopatologica. Con Sulla fuga delle idee Binswanger muoveva da Husserl a Heidegger, dall’analisi dei vissuti e delle loro strutture di coscienza ad un’analitica di nuovo stampo, che derivava sostanzialmente da Essere e tempo - Heidegger vedeva questa filiazione con simpatia, dapprima, con sospetto, più tardi - e che avrebbe a un certo punto preso il nome di Daseinsanalyse. Di questa metamorfosi Sulla fuga delle idee è una testimonianza ancora in fieri e, insieme, un primo frutto decisivo, originalissimo, inconfondibilmente binswangeriano nonostante il fitto, ininterrotto dialogo con la grande tradizione clinica tedesca (Kraepelin, Bleuler, Kretschmer, Wernicke), con la psicoanalisi di Freud e di Abraham, con la psicopatologia feno-

di Stefano Mistura In 2 menologica di Erwin Straus ed Eugène Minkowski. Ricollocare i sintomi e le manifestazioni della psicopatologia entro un orizzonte di senso, entro una complessiva significatività, spesso negata loro da un approccio di persistente matrice neurologica e organicista; e d’altra parte garantire a quel senso o a quella significatività una archeologia non astratta, uno statuto non semplicemente ed enigmaticamente “mentale” o “psicologico” (o coscienzialista, o ancora, il che è per certi versi lo stesso, inconscio); ma una archeologia di carne e di sangue, fenomenologicamente interpretabile sulla base del concreto essere-nel-mondo del paziente, del suo quotidiano abitare lo spazio e il tempo, del suo ininterrotto commercio con il proprio corpo e con i corpi degli altri e delle cose del mondo. Queste, in estrema sintesi, le mosse decisive di Binswanger rispetto alla psichiatria clinica tedesca per un verso, rispetto alla psicoanalisi per un altro.

parole chiave. Psichiatria, fenomenologia, Ludwig Binswanger, Heidegger, mania. Abstract. L'articolo analizza il pensiero di Ludwig Binswanger, in particolare riguardo alla psichiatria e alla fenomenologia e all'unione di questi due campi e orizzonti. Il presente contributo trova il suo senso in questo numero monografico nel fornire uno scorcio inconsueto dello "spazio interiore" dato dal pensiero di Ludwig Binswanger.

Mania. Ecco allora dispiegarsi nelle analisi di Binswanger il mondo maniacale, il mondo della leggerezza della mania, il mondo privo di resistenza in cui prospera la “fuga delle idee”: il suo discorso rapido e torrenziale, ora più coeso ora scucito e variopinto, ◄

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Psichiatria

Filosofia

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Figura 3.1 e 3.2 - Nelle foto Edmond Husserl e Martin Heiddeger. Dal lavoro di Heiddeger, Binswanger prende spunto per creare un’analitica nuova, una nuova forma di psicoterapia che prende il nome di Daseinsanalyse. ◄

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estemporaneo, aggrovigliato, dadaista. Quale mondo o quale essere-nelmondo sorregge un discorso di tal genere? Quale mondo si dispiega in esso e insieme lo alimenta? Quale mondo e quale essere-nel-mondo si esprime nei suoi nessi vacanti e insieme viene all’esperienza nella sua sintassi pericolante, nei suoi accostamenti folgoranti e ridicoli? Sono queste le altre domande, queste le altre mosse decisive di Binswanger. Per dirla in breve, un mondo in cui ogni cosa è a portata di mano, in cui spazio e tempo si assottigliano sino a coincidere con una presenza astratta, in cui ogni cosa è accanto ad ogni cosa, in un contatto tanto immediato quanto cangiante. Quel mondo, scrive Binswanger, “è plastico e malleabile”. Soprattutto, quel mondo “è evidentemente liscio”. Non segnato da asperità e da attriti. Privo di quella resistenza che ne fa, appunto, un mondo “reale” - un mondo che sfugge all’attesa, un mondo che sfugge all’immaginazione. Un mondo in alcun modo scabroso, per

un soggetto in alcun modo scabroso. Il reale è trasgressivo, dunque, e trasgressiva appare la mania. Ma la mania non è che la negazione più radicale della trasgressione. Ne è la dolorosa caricatura, la spaurita iperbole. La sua volontà segreta è volontà di scongiurare l’irruzione del reale. Il suo nemico più temuto è l’evento. La mania va loro incontro non per accoglierli, ma per prevenirli e soffocarli. La mania, se è liberazione dall’inibizione, come sostiene Binswanger rifacendosi agli studi psicoanalitici di Karl Abraham, libido sbrigliata che si affranca dal “complesso” che ne avviluppava gli slanci, è liberazione soltanto apparente, sberleffo o grido che consacra il limite, benedice il divieto, santifica il nodo di dolore che ancora la strozza. Il suo breve fuoco non fa che sancire lo scacco contro cui insorge. Leggere oggi Binswanger ottant’anni dopo. Non è breve il lasso di tempo che ce ne separa; eppure è brevissimo, per altri versi, il tratto che ci divide dalla domanda che Sulla fuga delle idee solleva intorno alla psichiatria (intor-

no al senso della psichiatria, dunque, intorno al senso del rapporto che una psichiatria intrattiene, volens nolens, con il proprio tempo, la società che ne ospita e ne sollecita l’intervento, la comunità che ne chiede, ne ottiene, a volte ne subisce, talvolta ne consacra il sapere e la pratica). Certo, quel lasso di tempo, che ci separa e ci riunisce a Binswanger, è segnato da un evento decisivo, nella storia della psichiatria e in generale nella storia della cultura - l’evento della critica alla psichiatria, con i suoi rapprentanti di spicco Ronald Laing e Franco Basaglia, entrambi molto influenzati dal pensiero di Binswanger. Leggere Binswanger oggi significa fare i conti anche con quell’evento e con le sue eredità, i suoi successi e i suoi fallimenti, come anche della stessa Daseinsanalyse. Fenomenologia. È chiaro che quei rapporti di continuità e contiguità tra psichiatria fenomenologica e di critica alla psichiatria sono rapporti di filiazione intrinseca, non semplici suc-


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cessioni di fasi e influenze culturali le une alle altre estrinseche nella vicenda intellettuale di ciascuna di quelle figure. Un esempio ovvio: la fenomenologia della corporeità, della spazialità, della temporalità. Esse non possono rimanere - a meno di un loro radicale fraintendimento e depotenziamento - semplici ricadute “concrete” e “istituzionali” e “politiche”: una psichiatria che abbia acquisito le risorse della fenomenologia non potrà ripetere a cuor leggero gli stilemi dell’anonima violenza contenitiva, normalizzatrice e oggettivante. Dovrà pensare altrimenti - praticare altrimenti - l’incontro con il paziente, il senso della cura, lo spazio del ricovero, il tempo della degenza. D’altronde, la psichiatria fenomenologica sembra non solo dissodare il terreno che sarebbe diventato, tre decenni più tardi, tipico della psichiatria critica, ma includerne in sé larghi settori, che gli anni successivi e le seguenti declinazioni socio-politiche non potevano che esplicitare, rielaborare, approfondire entro un solco che era quel che era - che era fenomenologico o daseinanalitico. Ma è anche chiaro qualcos’altro. Cioè, che la fenomenologia, tendenzialmente, è rimasta cieca ad alcuni aspetti della psichiatria che intendeva criticare e rinnovare, oltre che a rimanere cieca ad alcuni aspetti di se stessa. Tra le tante cose che essa ha proficuamente messo tra parentesi, infatti, non figurano, ad esempio, quella sua caratteristica “voce” descrittiva, quella sua vocazione alla “comprensione”. Insomma, non figura la propria pratica teorica, come Husserl stesso la definiva, con tutti i suoi peculiari effetti di senso e con tutti i suoi altrettanto peculiari effetti di nonsenso. Ad esempio, una persistente cecità al lato in ombra di un certo essenzialismo,

Il tema del numero

di una certa metafisica della presenza, di un certo antropologismo o umanismo di fondo. Cose che la fenomenologia ha da tempo fatto proprie in sede teoretica, ma che continua ad ignorare, salvo eccezioni felici quanto isolate, in sede di applicazione psicopatologica o clinica, nonché a volte di elaborazione teorica, seguitando a precludersi così possibili alleanze che per quella via invece, le si dischiuderebbero. Così, la psichiatria fenomenologica non solo non include in sé rivendicazioni e chiarimenti di natura criticopsichiatrica, ma può legittimamente attendere dal lavoro sul sapere e sulla pratica psichiatrica come nodo di istituzionalità, verità e potere, rivendicazioni e chiarimenti su se stessa - su quell’aspetto di se stessa rimasto in ombra e sulle ombre che di conseguenza seguitano ad agitarsi indisturbate in sede psichiatrica. Conclusioni. In conclusione, forse non si tratta di pensare che, se la psichiatria fenomenologica avesse a suo tempo goduto della diffusione meritata, la psichiatria critica non avrebbe avuto ragion d’essere. Vero è, forse, l’esatto contrario. La psichiatria fenomenologica ha mancato di quell’incisività, di quella vastità di ricezione proprio perché ha mancato la messa in questione politico-istituzionale del sapere e della pratica psichiatrica, nonché la messa in questione genealogica, per dir così, del sapere e della pratica fenomenologica stesse. Qualcosa di simile e di simmetrico si potrebbe dire della psichiatria critica, che ha via via lasciato cadere utili spunti fenomenologici e propriamente psicopatologici, riducendo se stessa ad un sociologismo o ad una politicizzazione generosi, ma strutturalmente impossibilitati a farsi carico della mol-

Indicazioni bibliografiche Stefano Mistura, La resurrezione dei morti (1998), Id. Figure del feticismo (2001), Id. Psichiatria in medicina d’urgenza (2003), Id. Autismo. L’umanità nascosta (2003),

Id. Psiche I e II (2006-2007), Id. L’eredità dispersa (2007), Id. La pazienza e l’imperfezione (2008).

Anemos neuroscienze

teplicità di volti della questione “follia” e della questione della “crisi” della scienza - per dirla con Husserl. Questo confronto mancato, questo duplice declino (della fenomenologia e della psichiatria critica) con le sue irrisolte ragioni e con le sue promesse sfumate, rimane oggi non solo alle nostre spalle, come una vicenda culturale trascorsa, chiusa, archiviata; ma davanti a noi, come un crocevia di senso tutto da affrontare e da mettere a frutto, perché, dopo aver attraversato stagioni di grande rinnovamento e di grande consapevolezza, ancorché imperfetta, la psichiatria sembra oggi essersi via via inoltrata nel gorgo di pratiche forse altrettanto violentemente normalizzatrici e oggettivanti di quelle della tradizione manicomiale contro cui, a loro modo, tanto la Daseinsanalyse quanto la psichiatria critica insorgevano. Pratiche non necessariamente meno pericolose della vecchia terapia elettroconvulsiva, delle fasce con cui si legavano i pazienti al letto, solo perché più morbide nel loro approccio farmacologico; più familiari nella loro mutuabile, quasi desiderabile, invadenza; più anodine nella loro pretesa di scientificità, via via obbiettivamente cresciuta, ma anche ideologicamente gonfiatasi a dismisura. Il senso della cura e il senso della sofferenza, il senso della norma, dell’anormalità e della normalizzazione rimangono, il senso dell’essere e dell’essere altro o altrimenti rimangono davanti a noi come la domanda più urgente. Una psichiatria che voglia semplicemente zittire la voce della follia è il più inquietante dei sintomi del nostro “oggi”.♦

Stefano Mistura. Medico e psichiatra, è stato direttore del Dipartimento di Salute mentale e Dipendenze patologiche e Direttore sanitario dell’Azienda USL di Piacenza. Ha curato l’edizione italiana di diverse opere di Binswanger, Minkowski, Laing, Freud. Tra le sue opere più recenti si segnalano Autismo. L’umanità nascosta (2003), Psiche I e II (2006-2007), L’eredità dispersa (2007), La pazienza e l’imperfezione (2008). Per altre opere vedere le indicazioni bibliografiche qui a fianco.

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Filosofia

Psicologia

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LO SPAZIO

INTORNO A NOI Il concetto di spazio tra filosofia e scienza App 3

di Mauro Bertani

parole chiave. Spazio, filosofia, estensione, durata, misura. Abstract. L'articolo riporta una sintesi del percorso della storia del pensiero relativo alla concezione dello spazio che, per quanto variamente intrecciatasi con l’indagine propriamente scientifica, ha sviluppato al riguardo una riflessione specifica, che ne ha provocato una vera e propria diffrazione e moltiplicazione (concettuale), di cui qui proveremo a richiamare alcuni momenti essenziali.

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Il tema del numero

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l concetto di spazio. Lo spazio, nell’arco dei secoli, è stato oggetto dell’interrogazione filosofica che, per quanto variamente intrecciatasi con l’indagine propriamente scientifica, ha sviluppato al riguardo una riflessione specifica, che ne ha provocato una vera e propria diffrazione e moltiplicazione (concettuale), di cui qui proveremo a richiamare alcuni momenti essenziali. Secondo una prima derivazione etimologica, il termine spazio proviene dalla radice σπα del greco antico σπαω, che allude all’atto del tirare, dell’allungare, e che sarà all’origine del sostantivo latino spatium, destinato ad indicare, oltre che la distanza e l’intervallo, soprattutto l’estensione. Secondo un’altra ricostruzione etimologica, rimanderebbe invece (così ad esempio in Cicerone e Lucrezio) al cammino, al campo di corsa, riferendosi in particolare ai giochi del circo (lo stadio, σταδιον, dal dorico σπαδιον). Da tale duplice radice tenteremo di mostrare che derivano almeno due concezioni fondamentali dello spazio nella riflessione filosofica moderna e contemporanea, l’una fisicogeometrica, l’altra geo-politica, o, meglio ancora, una filiazione che potremmo definire orientata lungo l’asse di una ontologica epistemica e un’altra su quello di un’ontologia storica. Lo spazio nella filosofia antica. Nella filosofia antica lo spazio è stato dapprima oggetto di un’indagine che verteva sui concetti ontologici fondamentali, a partire da quello di essere. Parmenide, in particolare, aveva per primo contrapposto all’essere, sola realtà predicabile come esistente, il vuoto del non-essere, ovvero di ciò che propriamente “non è e non può essere”, a cui lo spazio (fisico) risultava sostan-

Anemos neuroscienze

zialmente ricondotto. Saranno i primi filosofi materialisti, gli atomisti Democrito e Leucippo, a sostenere, per contro, l’esistenza del non-essere sotto le specie del vuoto (χενον), senza di che non sarebbe possibile il mondo nella sua realtà materiale, che risulta dal movimento degli atomi, elementi eterni, omogenei ed inalterabili dalla cui combinazione deriva la molteplicità delle cose in costante trasformazione: per i materialisti dell’antichità, insomma, l’esistenza del vuoto è la condizione di possibilità del movimento, il quale a sua volta è essenziale per la formazione di un universo che viene concepito come combinazione in perpetua trasformazione degli atomi. Lo spazio risulta pertanto sostanzialmente assimilato al vuoto, o almeno non è pensabile, in tale prospettiva, se non in riferimento ad esso, come ripeterà secoli dopo anche Epicuro, per il quale esiste qualcosa come uno spazio vuoto e infinito nel quale si muovono atomi infiniti anch’essi i quali, incontrandosi, aggregandosi e separandosi, danno luogo a universi infiniti, con la precisazione che in realtà esistono due differenti estensioni: un’estensione senza corpi, il vuoto-spazio, che non oppone resistenze, permettendo così, appunto il movimento, e l’estensione costituita dai corpi solidi, che sono il risultato della combinazione di quei pieni assoluti (corrispondenti all’essere parmenideo) che sono gli atomi. Platone e Aristotele si collocheranno, benchè in un modo paradossale, lungo il cammino aperto dai primi materialisti, l’uno prolungandoli e l’altro opponendovisi radicalmente. Platone insisterà (in particolare nel Timeo) sulla funzione di vero e proprio ricettacolo (Χώρα) dello spazio, intendendolo come il luogo o l’ambiente in cui le forme, ovvero i paradigmi eterni delle ◄

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Filosofia

Psicologia

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◄ cose, dotati tra l’altro delle

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caratteristiche di perfezione dei solidi regolari, assumono consistenza materiale. Aristotele contesterà invece con radicalità l’identificazione dello spazio con il vuoto. Per Aristotele, infatti, se i corpi fossero collocati in un ambito indifferenziato e indeterminato come il vuoto, non vi sarebbe ragione perché si muovessero in una direzione piuttosto che in un’altra. Inoltre, se non incontrassero altra resistenza, a parte quella eventuale e accidentale - di altri corpi, si avrebbe la conseguenza, manifestamente assurda e in contrasto con l’esperienza ordinaria, di un loro movimento a velocità infinita. Lo spazio, pertanto, come mostrano l’osservazione, l’esperienza ordinaria e l’inferenza concettuale, non può essere puro “non essere”, estensione senza corpi, bensì è essere, e precisamente, come dice nella Fisica (IV, 1), coincide con le cose che sono, le quali “sono sempre in qualche luogo (τοπος)”, luogo che è appunto la parte dello spazio occupata da un corpo. Aristotele parte dunque dai corpi per fornirne una caratterizzazione spaziale, dal momento che per lui contano innanzitutto le sostanze prime, di cui l’estensione spaziale è accidente. Il luogo, infatti, non coincide, per Aristotele, con il corpo medesimo, altrimenti essi risulterebbero indiscernibili, e il corpo non coincide con l’estensione che occupa, poiché in caso contrario non li potremmo dissociare. Piuttosto, ogni sostanza ha un luogo, e il luogo funge da limite e da contenente. Ogni corpo si trova dunque in un luogo che ha un volume la cui superficie contenente/limitante coincide con quella del corpo contenuto. Lo spazio nel suo complesso potrà così essere definito come l’insieme differenziato - ciascuna delle sue parti è differenziata dalla cosa che alberga - dei luoghi occupati dai corpi. Tale concezione risulterà fondamenta-

Figura 4.1 - Sono almeno due le concezioni fondamentali dello spazio nella riflessione filosofica moderna e contemporanea: la prima di tipo fisicogeometrica, l’altra geo-politica. le per il pensiero cristiano medievale. Anche per esso, infatti, lo spazio dipende dalle realtà corporee, definite, tuttavia, in base alla loro natura creaturale. Come dirà Tommaso d’Aquino, “non fuisse locum aut spatium ante mundum” (Sum. Theol., q. 46, a. I, ad 4). Tale visione dello spazio, infatti, rappresentandolo innanzitutto in termini qualitativi, correlandovi la teoria dei “luoghi naturali” e rifiutando la stessa possibilità dell’esistenza del vuoto, sembrava, almeno in prima istanza, presentare il fondamentale vantaggio di coincidere con i dati immediati dell’esperienza quotidiana. E non a caso proprio di qui partirà anche Cartesio, il fondatore della

filosofia moderna, che avanzerà la tesi secondo cui l’estensione spaziale si identifica con la materia, costituendone la stessa essenza. Come dirà nei Principia philosophiae (II, 10-12), “Revera enim extensio in longum latum et profundum, quae spatium constituit, eadem plane et cum illa quae consituit corpus”, differendo solo “in nostro modo concipiendi”. Anche Cartesio sostiene dunque che lo spazio e il corpo non differiscono, costituendo la sostanza materiale, e che è solo il nostro pensiero, in ragione dei suoi procedimenti e delle sue modalità di funzionamento, a distinguerli, facendo dello spazio la grandezza, e del luogo la situazione, dei corpi, ma


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Il tema del numero

Anemos neuroscienze

«Lo spazio degli uomini del Medioevo è stato essenzialmente uno “spazio di localizzazione”, quello del Rinascimento uno spazio contrassegnato dall’estensione e infine quello contemporaneo è uno spazio di dislocazione e ubicazione. Questo perché le differenti epoche della storia hanno predisposto precise strutture destinate a plasmare i rapporti degli uomini con lo spazio, e ciò sempre all’interno di determinate relazioni di forza e di potere.»

di fatto la stessa estensione che forma lo spazio - spazio indefinito, poiché non si possono immaginare i suoi limiti (ibid. II, 21) - costituisce pure il corpo. Da qui il rifiuto di identificare lo spazio col vuoto, che viene anzi negato, dal momento che il nulla non può avere proprietà e neppure, pertanto, dimensioni. Affermare che due corpi sono separati dal vuoto significa incorrere in una contraddizione: separati da nulla, i due corpi non sarebbero in realtà separati, mentre quel che Cartesio postula è la presenza, tra di essi, di una “materia sottilissima” che, per quanto inaccessibile ai nostri sensi, è logicamente necessaria e altrettanto reale della materia percepibile, e come questa passibile di essere sottoposta a tutte le operazioni conoscitive che la nuova scienza della natura, la fisica integralmente

Lo spazio tra scienza e filosofia. Sarà Newton a trarre tutte le necessarie conseguenze della rivoluzione galileiana, trascrivendole però all’interno di una precisa cornice metafisica, solitamente trascurata, eppure parte integrante del suo complessivo disegno scientifico e filosofico. Secondo Newton, lo spazio non è tanto una sostanza o un attributo dei corpi, quanto il sensorium Dei, vero e proprio attributo di Dio. Newton parte dall’esperienza meccanica delle forze centrifughe del moto rotatorio: se è infatti vero che i movimenti uniformi possono essere individuati gli uni in relazione agli altri, non è questo il caso dei movimenti accelerati. L’accelerazione che si manifesta attraverso forze d’inerzia individuabili è infatti assoluta e necessita pertanto di uno spazio dello stesso genere in relazione al quale valutarla. A partire di qui Newton inferisce l’esistenza di uno “Spatium absolutum”, del tutto indipendente dai corpi, la cui natura “absque relatione ad externum quodvis, semper manet similare et immobile”, come afferma agli inizi dei suoi Philosophiae naturalis principia mathematica. Nella nuova concezione di Newton, l’estensione di cui aveva parlato Cartesio diventa solo uno spazio “relativo”, mentre tutto quel che si muove - i corpi, i luoghi - lo

fa spostandosi attraverso un sistema di riferimento, un quadro, che resta immutabile, vale a dire indipendente dagli oggetti che vi si trovano. Esiste cioè, secondo Newton, uno spazio “assoluto”, uno spazio che nella sua totalità resta “perennemente e perfettamente identico a se stesso e immobile”, e che serve da quadro di riferimento per i movimenti - relativi - dei corpi. Solo che, in assenza dei materiali e delle prove sperimentali necessari a fondare scientificamente l’esistenza di tale spazio assoluto, e rifiutandosi di ridurre tale esistenza al rango di semplice congettura teorica - “hypotheses non fingo” - Newton farà ricorso ad una argomentazione di carattere squisitamente metafisico: lo spazio non è altro se non la presenza ovunque diffusa nella natura di Dio, il quale “non est aeternitas vel infinitas, sed aeternus et infinitus; non est duratio vel spatium, sed durat et adest (…) existendo semper et ubique durationem et spatium, aeternitatem et infinitatem constituit”. Lo spazio e il tempo assoluti, in altri termini, sono per Newton gli organi per mezzo dei quali Dio intuisce (percepisce e conosce immediatamente) l’universo, governando il vuoto infinito dello spazio assoluto nel quale si muovono secondo eterne leggi matematiche, quelle stesse che Dio ha posto in essere, i corpi. A tale riabilitazione del vuoto, e a fortiori alla identificazione di

matematizzata di Galileo, renderà possibili.

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Filosofia

Psicologia

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Figura 4.2 e 4.3 - A sinistra Isaac Newton, sotto Immanuel Kant. Kant si oppone alla concezione di Newton dello spazio. Infatti secondo Kant lo spazio “non è un concetto empirico, ricavato da esperienze esterne”, ma “una rappresentazione necessaria a priori, che sta a fondamento di tutte le intuizioni esterne”.

◄ Dio con esso, che rischiava di ri-

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stabilire una identificazione ancora più grave, propria di tanta teologia negativa e di varie correnti gnostiche, quella di Dio con il non essere, la solida tradizione della metafisica della presenza (e della pienezza) di Dio non poteva non reagire. A cominciare da Leibniz, per il quale non avrebbe senso affermare la vacuità dello spazio, poiché in tal caso non sarebbe che un “attributo senza soggetto, un’estensione per nessun corpo esteso”. Lo spazio andrà piuttosto definito come “qualcosa di puramente relativo”, e meglio ancora come “un ordine di coesistenze”, l’insieme delle reciproche posizioni dei corpi. Il fatto di considerarlo un “ordine” implica inoltre che si tratti, secondo Leibniz, di una apparenza, un fenomeno, ma un phoenomenon bene fundatum, un “fenomeno reale”. Solo Dio, infatti, ha il potere di scegliere tra tutti i possibili presenti nel suo intelletto, e lo stesso mondo è il prodotto di una scelta divina, il che fa dello spazio

non una sostanza, bensì un rapporto, un ordine, appunto, sussitente non solo tra gli esistenti, ma anche tra i possibili. È questa la ragione per cui, secondo Leibniz, se non ci fossero le cose create da Dio, lo spazio esisterebbe solo nella mente di Dio. In altri termini, lo spazio non è un essere reale assoluto - poiché se fosse tale sarebbe eterno ed infinito, coincidendo con Dio - ma solo il sistema delle relazioni, reali e possibili, tra le sostanze. Un’idea divina, insomma, e per la mente dell’uomo un’astrazione, un semplice concetto. Contro tale riduzione dello spazio a un semplice sistema di relazioni e a un ordine quasi-concettuale si organizzerà, a partire dalla tesi del 1770 De mundi sensibilis atque intelligibilis forma et principiis, per culminare nelle due edizione della Kritik der reinen Vernunft tra il 1781 e il 1787, la riflessione - decisiva - di Kant. Indagando sulla realtà dello spazio, egli finirà infatti per opporsi tanto alla concezione di Newton quanto a quella di

Leibniz. Per Kant, infatti, lo spazio non è un ordine quasi-concettuale, dal momento che è impossibile razionalizzarlo in termini assoluti (l’infinito non è totalizzabile). Ma ciò non significa, tuttavia, che al suo riguardo sia possibile solo una percezione confusa e inadeguata, altrimenti sarebbe impossibile la stessa geometria come scienza rigorosa. Lo spazio, scrive Kant, “non è un concetto empirico, ricavato da esperienze esterne”, bensì “una rappresentazione necessaria a priori, che sta a fondamento di tutte le intuizioni esterne”; non è un concetto discorsivo o universale “dei rapporti delle cose in generale”, bensì “una intuizione pura”. Non può essere un concetto che deriva dalla nostra esperienza del mondo esterno poiché una tale esperienza è possibile solo a partire dal presupposto che esso sia una rappresentazione a priori, e più particolarmente la “forma a priori delle sensibilità”, la forma a priori del “senso esterno”. La stessa matematica - di cui la geometria è


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parte - come scienza universale e necessaria è fondata su quelli che Kant chiama “giudizi sintetici a priori”, di cui egli cerca di stabilire le condizioni di possibilità che reperisce nel fatto che noi abbiamo “l’intuizione” dello spazio. Il che significa che lo spazio, per il soggetto, non è né una sensazione né un concetto, poiché se lo spazio non esistesse, non ci sarebbe neppure alcuna esperienza possibile. Noi possiamo infatti fare astrazione da tutto ciò che si trova nello spazio, ma non dallo spazio stesso; possiamo rappresentarci lo spazio senza oggetti, ma non possiamo rappresentarci gli oggetti fuori da uno spazio possibile, da cui segue, secondo Kant, che è impossibile identificare lo spazio con la sensazione, o concepirlo come una determinazione che dipende dai fenomeni esterni. Occorre piuttosto pensarlo come la stessa condizione di possibilità dei fenomeni, come quella rappresentazione a priori che serve necessariamente “da fondamento dei fenomeni esterni”. E non è un concetto poiché non ricaviamo l’intuizione dello spazio dal fatto di raccogliere in un’unica rappresentazione le notazioni comuni delle diverse esperienze che potremmo fare degli spazi particolari: “Lo spazio non è affatto un concetto discorsivo, o, come si dice

Il tema del numero

in generale, dei rapporti delle cose in genere: esso è piuttosto un’intuizione pura. In primo luogo, difatti, ci si può rappresentare soltanto uno spazio unico, e quando si parla di molti spazi, intendiamo con ciò solo delle parti di un unico e medesimo spazio. Queste parti non possono neppure precedere lo spazio unico e totalmente comprensivo, quasi si trattasse delle sue parti costitutive (onde fosse possibile comporlo assieme); al contrario, le parti sono pensate soltanto entro di esso. Lo spazio è essenzialmente unico” (KRV, I, I, 2, 53). Da sensorium divino, quale era in Newton, in un certo senso lo spazio diventa, per Kant, sensorium homini. Forma a priori della sensibilità, e dunque carattere intrinseco e costitutivo della soggettività trascendentale, lo spazio per Kant precede tutto ciò che in esso si trova o può esser dato, e come tale è intuizione originaria senza la quale nessuna conoscenza sarebbe possibile. Di qui il suo carattere di realtà empirica e insieme la sua idealità trascendentale, che ne fanno qualcosa di oggettivo e di cui tuttavia si può parlare solo in relazione al soggetto della conoscenza. Ma se usciamo fuori dalla condizione soggettiva, dice Kant, “l’idea di spazio non significherebbe più nulla”.

Anemos neuroscienze

Non è allora un caso se tutta la riflessione posteriore sullo spazio da Kant ripartirà anche allorché da lui cercherà di congedarsi. Da un lato la ricerca fondamentale in fisica e matematica, di cui si parla altrove. Kant si riferiva allo spazio euclideo, omogeneo, infinito e tridimensionale incorporato nel quadro della fisica newtoniana, ma sappiamo che non è il solo, e che esiste tanto uno spazio subatomico, in cui evolvono elettroni, neutroni, protoni e altre particelle, quanto uno spazio astronomico che costituisce il macrocosmo delle galassie. Per tali spazi la geometria euclidea non è più adeguata. Nasceranno così i concetti relativi a spazi elastici, variabili e curvi, grazie in particolare al modello iperbolico elaborato da Lobacevskij nel quale egli dimostrerà che si possono tracciare, per un punto del piano esterno ad una retta, non una “ed una sola” (come sosteneva il V postulato di Euclide) retta parallela, ma due. Lo spazio di Lobacevskij è infatti uno spazio con curvatura negativa. Riemann, circa trent’anni dopo, costruirà un’ulteriore geometria, relativa ad uno spazio con curvatura positiva, nel quale per un punto esterno ad una retta non passa nessuna parallela. Veniva in tal modo ► rimessa in discussione l’evidenza

Figura 4.4 -

È con la costruzione di ospedali, caserme, prigioni, collegi e fabbriche che nella società moderna lo spazio viene ordinato, disciplinato, classificato e governato. Lo spazio cessa così di essere una realtà naturale per diventare una realtà completamente politica.

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Filosofia

Psicologia

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Figura 4.5 - È con l’emergere della società industriale di tipo capitalistico, che si assiste ad un nuovo modo di

valorizzare e distribuire lo spazio (lavorativo, urbano, domestico, ecc.) in funzione della dinamica di produzione, distribuzione e consumo delle merci, della moneta e della forza lavoro.

◄ dei principi della geometria eu-

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clidea, a cui Kant aveva continuato a riferirsi allorchè aveva affermato che ci si può rappresentare un solo ed unico spazio, a curvatura nulla. E se degli iperspazi delle geometrie non euclidee (ricordiamo, oltre agli autori già citati, almeno i nomi di Gauss e Bolyai) si potrà dire che, per quanto con fondamento nella realtà, valgono principalmente come enti ideali senza contraddizioni interne, con le ricerche di Minkowski la concezione assoluta dello spazio sarà sostituita da una concezione assoluta dello spazio-tempo per un universo a 4 dimensioni, di cui tre spaziali (x, y, z) e la quarta temporale (c√-1t), che si rivelerà decisiva per la teoria della relatività di Einstein e la sua concezione di un universo che ha le proprietà della superficie di una ipersfera a 4 dimensioni, dotato di un raggio fisso e al cui interno la materia si distribuisce uniformemente, da cui potrà prendere il via un nuovo tentativo di geometrizzazione della fisica mirato

a render conto in termini descrittivi e predittivi dei fenomeni materiali e qualitativi. Nell’ambito della riflessione filosofica e delle scienze umane, dopo Kant, sarà Hegel a fare dello spazio una delle due dimensioni lungo le quali avviene la distensio di quella vera e propria esteriorizzazione ed oggettivazione dell’Idea che è la natura, e precisamente la prima e immediata determinazione della natura nella forma di una ”universalità astratta nella sua esteriorità”. Diventato essere “fuori di sé” senza differenza determinata, si apre così la possibilità di pensare lo spazio nei modi che saranno propri dell’antropologia moderna e delle altre scienze umane, tra cui la stessa storia. Lo farà, ad esempio, Lévi-Strauss, scoprendo un altro spazio, quello che permette di pensare le relazioni sociali proprie di una determinata popolazione. Gran parte delle società cosiddette primitive o selvagge, infatti, nella rappresentazione dello spazio proietta deliberatamente

uno schema delle proprie istituzioni sociali e della distribuzione, al suo interno, di ruoli e funzioni. Lo spazio mostra così di essere il frutto di una precisa operazione di interpretazione, codificazione e ordinamento del mondo, tanto di quello interno quanto di quello esterno. Oppure lo farà la psicologia, cercando di mettere in luce i meccanismi e i fattori esplicativi della nostra esperienza percettiva dello spazio, mostrando che l’apprensione dell’individuo del fenomeno spaziale fondamentale, la distanza, poggia sull’azione combinata di un insieme di indici che vanno dal grado di disparità delle immagini retiniche alla deformazione prospettica alla parallasse nel caso di soggetti in movimento. Lo farà infine la fenomenologia, da Husserl al primo Heidegger a Merleau-Ponty, per la quale lo spazio percepito è strutturato integralmente dal rapporto che il soggetto percipiente intrattiene con l’universo dei possibili. Il soggetto, infatti, fa l’esperienza di un mondo che gli si


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apre sotto forma di uno spazio in cui si distribuiscono dei corpi, che sono a loro volta enti i quali si ritagliano una “presenza” nell’essere occupandovi delle regioni. Ma tutto ciò è possibile - tale presenza, tale univocità e molteplicità al contempo - grazie alla nostra precomprensione del mondo circostante interamente determinata da una preliminare intelligenza delle nostre possibilità in esso. Il che conduce la fenomenologia a concludere che per il soggetto lo spazio non è intelligibile (e non è possibile averne apprensione) se non perché egli vive a sua volta “nell’apertura”, dirà Heidegger, ovvero in una condizione, rispetto a se stesso e rispetto all’ente, che è quella della possibilità permanente di situarsi ed essere “altrove” (il che fa, della vita degli uomini, essenzialmente un progetto, e non uno stato) che prescrive alla sua vista quel che potrà e dovrà vedere. E questo perché il soggetto dispone di una visione capace di aprirsi ad uno spazio in cui è a sua volta situato ed in cui di continuo e ad ogni istante egli penetra conferendogli significato. Il che farà dire ai fenomenologi che non solo il tempo è essenzialmente “tempo vissuto” (E. Minkovski), ma che anche lo spazio è, per noi, alla lettera, vitale, nella misura in cui è dall’estensione del nostro spazio che possiamo misurare la nostra “potentia essendi”. Uomini e spazio. Ora, mentre tutto un versante della riflessione fenomenologica sullo spazio si orienterà sempre più in direzione di un confronto serrato con gli sviluppi delle scienze fisico-matematiche ed un altro in direzione della fondazione di un’ontologia fondamentale, un terzo indirizzo, anch’esso erede tardi-

Il tema del numero

vo della tradizione fenomenologica, svilupperà, in stretta correlazione con la ricerca storica, un pensiero originale dello spazio, visto però essenzialmente in una prospettiva genealogica e geo-politica, facendo dello spazio soprattutto un “problema storico-politico”. Agli occhi di tale prospettiva, lo spazio appare come una realtà che costituisce uno dei principali problemi della modernità, e questo proprio perché ha una storia. Lo spazio degli uomini del Medioevo è stato infatti essenzialmente uno “spazio di localizzazione”, quello del Rinascimento uno spazio contrassegnato dall’estensione e infine quello contemporaneo è uno spazio di dislocazione e ubicazione. Questo perché le differenti epoche della storia hanno predisposto precise strutture destinate a plasmare i rapporti degli uomini con lo spazio, e ciò sempre all’interno di determinate relazioni di forza e di potere. Se nella società medievale era in gioco, nell’organizzazione e distribuzione dello spazio, la predisposizione di determinate relazioni economiche intorno alla percezione della rendita agricola e al prelevamento delle ricchezze, a partire dal XVI secolo appare una nuova spazialità politicosociale, caratterizzata dalle esigenze della politica, della guerra e della diplomazia, che culminerà con la guerra dei trent’anni e una nuova politica dell’equilibrio, innanzitutto territoriale e spaziale, tra le grandi monarchie europee. Infine, in coincidenza con l’emergere, a partire dal XVIII secolo, della società industriale di tipo capitalistico, che comporterà un modo totalmente nuovo di valorizzare e distribuire lo spazio, quel che si comincia ad effettuare è una radicale ridefinizione degli spazi - lavorativi,

Indicazioni bibliografiche Lucrezio, La natura delle cose, Mondadori, Milano 2006. Platone, Timeo, a cura di Fronterotta F., BUR, Milano 2003. Aristotele, Fisica, a curqa di Radice R., Bompiani, Milano 2011. Tommaso d'Aquino, Summa theologiae, San Paolo Edizioni, Roma 1999.

Cartesio, Opere, a cura di Belgioioso G. Bompiani, Milano 2009. I. Newton, Opere, Utet, Torino 1997. I. Kant, Critica della ragion pura, Adelphi Milano, a cura di Colli G., Milano 1995.

Anemos neuroscienze

urbani, domestici, ecc. - in funzione della dinamica di produzione, distribuzione e consumo delle merci, della moneta e della forza lavoro. Tutto questo comporterà l’apparizione di nuovi saperi, organizzati anche in funzione di tali modalità di funzionamento degli “spazi vissuti”: assistiamo cioè alla nascita di una vera e propria “tecnologia politica, scientifica ed economica” direttamente innestata sull’opera di predisposizione e organizzazione degli spazi. Si comincia proprio allora, infatti, ad “osservare, controllare e regolare” la circolazione e la distribuzione delle merci; a predisporre una classificazione razionale degli esseri viventi; a ispezionare e controllare gli uomini (presenti/ assenti; attivi/inoperosi, ecc.); a suddividere e separare gli uni dagli altri i malati e gli spazi che li ospitano. Ospedali, caserme, prigioni, collegi e fabbriche sono i dispositivi tecnologici per mezzo dei quali lo spazio - e gli uomini che lo abitano - verrà ordinato, disciplinato, classificato e governato. In questo modo, con la vera e propria saturazione di poteri e saperi che vengono predisposti a proposito dello spazio, quest’ultimo cessa di essere solo una realtà naturale (o al più culturale e metafisica), per diventare una realtà integralmente politica. Come dimostra la nostra attualità, in cui l’apparizione delle nuove tecnologie informatiche, dei nuovi apparati del digitale e del virtuale, lo spazio sembra dissolversi, rendendo con ciò stesso possibile la predisposizione di nuove forme di governo dei nostri corpi e di quel che resta delle nostre anime.♦

Mauro Bertani. Storico del pensiero filosofico e della psichiatria, ha edito diverse opere di Michel Foucault. È stato tra i curatori di La psicoanalisi e l’antisemitismo (1999) e di Psiche. Dizionario storico di psicologia, psichiatria, psicoanalisi, neuroscienze (2006-2007). È coautore di L’illusione dell’ultima parola. Alcuni casi di coscienza in psichiatria e psicoanalisi. Storie e dialoghi (2013).

Breve bibliografia dei principali testi citati a cura della redazione.

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Medicina

Neurologia

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LA valutazione strumentale

del controllo motorio e della postura LAM, laboratorio di analisi del movimento: cenni storici, presupposti scientifici, struttura e utilizzo clinico 40


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Il tema del numero

Anemos neuroscienze

di Giorgio Reggiani App 3 parole chiave. Spazio, postura, movimento, misurazione, William Fox Henry Talbot. Abstract. L'articolo tratta, con un'impostazione anche di tipo storiografico, le specificità della posturologia vista come una componente statica e dinamica del movimento strettamente correlata alla organizzazione assiale-vertebrale e del cingolo inferiore-superiore. Nella seconda parte si descrive come debba essere un laboratorio moderno di analisi del movimento, articolato su due livelli di strumenti di analisi.

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nalisi strumentale del movimento. L'analisi strumentale del movimento misura ciò che l’occhio umano o il monitoraggio clinico non è in grado di rilevare e viene applicata nella ricerca scientifica, nella clinica medica e chirurgica, nelle industrie aereospaziali, nell’industria cinematografica, nel mondo sportivo e nella ergonomia lavorativa Consente la misurazione e la valutazione di differenti parametri neuromeccanici del movimento: frame by frame (1000hz) sotto il controllo di 8-12 telecamere che inseguono lo stesso marker posto su punti convenuti del corpo e condivisi dalla comunità scientifica internazionale in uno spazio di 6/8 metri (Metodo Davis). I parametri riguardano il passo, i movimenti dei distretti articolari degli arti inferiori e del bacino. Vi sono i riferimenti di normalità, i test di stabilità dei ligamenti (CA) e di mobilità del rachide che si riferiscono ai dati anatomo funzionali conosciuti. L'aspetto fondamentale, al di là delle finalità per le quali viene utilizzato, è di fornire precisi valori (indicatori neuromeccanici) che caratterizzano singoli atti motori, gestualità, o azioni complesse (gesti sportivi). Il movimento nella storia. L'analisi del movimento si ritrova in scritti di Aristotele (384-382 ac). In De Motum Aminalium descrive il movimento animale in una visione geometrica. Questo aspetto è senz’altro attuale. La dimensione geometrica evidenzia

che Aristotele era consapevole che il movimento contiene eventi definiti e circoscritti misurabili. Come riabilitatore penso a quanto è stato scritto e detto su tanti metodi riabilitativi non ponendosi mai, come fece invece Aristotele, il problema di evidenziarne gli indispensabili indicatori di misura. Galeno, medico in epoca classica, si è occupato della misurazione del movimento nel suo De Motum Muscolorum. Leonardo Da Vinci (1452-1519) si soffermò nell'analisi del passo osservando che in tale evento fosse indispensabile mantenere il baricentro del corpo umano all'interno del piede di appoggio. Nel De motum animalium Alfonso Borelli (1608-1679), primo iatromeccanico, elabora una teoria medica che vede l'organismo umano come una macchina assemblata in cui ciascuna struttura ha un compito definito. Borelli fu il primo ad applicare il metodo scientifico di Galileo al fenomeno del movimento. Può essere considerato l'iniziatore della biodinamica e della biocinematica della locomozione e quindi il

fondatore della biomeccanica. Nel 1798 il medico francese Paul Joseph Bartez (1734-1806) pubblicò una completa teoria sul movimento degli uomini e degli animali dal titolo Mecanique des mouvements de ► l'homme et des animaux.

Figura 5.1 - William Fox Henry Talbot (1800-1877) inventore e fotografo inglese. Le sue ricerche sulla luce lo portarono all'invenzione della Calotipia (o Talbotipia), un procedimento fotografico che permetteva la riproduzione delle immagini tramite il metodo negativo / positivo.

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Medicina

Neurologia

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Figura 5.2 - Nell'analizzare il movimento, la stabilometria e

la cinetica vanno integrate con tutte le altre informazioni neuromeccaniche (cinematiche ed elettromiografiche) correlate a quelle posturali.

La scoperta della bio-elettricità di Luigi Galvani (1737-1798), fisico e medico, segna l'inizio della storia dell'elettrofisiologia e del monitoraggio delle funzioni muscolari che hanno un ruolo determinante nello studio della locomozione. I fratelli Weber, l'uno medico e l'altro fisico, utilizzarono tecniche di osservazione nel tempo del cammino. Pubblicarono un trattato scientifico sul passo misurato con mezzi ottici. Furono i primi a elaborare le fasi del passo e a osservare che il movimento oscillatorio della gamba era un "doppio pendolo invertito". La scoperta della fotografia ha determinato un miglioramento dell'analisi strumentale del movimento. Si deve al fotografo William Henry Talbot nel 1859 la scoperta della singola esposizione fotografica. Jules Marey (1830-1904) creò la cromofotografia utilizzando una singola macchina fotografica che otteneva immagini multiple. Fu il primo ad utilizzare un sistema di "marker": i soggetti indossavano una tuta nera con strisce o bottoni bianchi all'altezza delle articolazioni. Realizzò inoltre un metodo grafico per segnare il momento dell'appoggio al suolo del tallone, vuoto nel suo interno e collegato, attraverso un tubo, ad un tamburo rotante in grado di registrare le variazioni di pressione dell'aria contenuta nel circuito.

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Bernstein. Nikolaj A. Bernstein (1896-1966) fondò a Mosca nel 1922 il laboratorio di biomeccanica. Questo medico fu il primo a correlare le

componenti neuro-cognitive dei movimenti alla fisiologia della neuromotricità. Egli sosteneva che nessuna ripetizione è uguale, che il modello del movimento era caratterizzato dai seguenti aspetti: 1- Azione desiderata (intenzionalità). 2- Confronto fra l'azione desiderata e l'azione eseguita. 3- Gli aggiustamenti non sono passivi, ma attivi ed interagenti. 4- Il riflesso non è l'unità del movimento (Pavlov). Per Bernstein quindi il movimento è attivo, variabile, in grado di auto-organizzarsi e attivarsi pertanto pieno di "movimenti liberi". La relazione dinamica percezione-azione-ambiente si interfaccia con le sinergie motorie e percettivo-motorie come relazioni fra vincoli e gradi di libertà. La destrezza è la componente più importante del movimento umano. In una relazione gerarchica per Bernstein la destrezza viene prima della forza e della mobilità articolare; sono due fattori che interagiscono nel senso che la destrezza è in grado di modulare la forza e il grado di mobilità articolare. Per Bernstein la destrezza è la capacità di: - Risolvere i problemi motori. - Trovare soluzioni motorie nuove. - "Aggiustare" i movimenti data una perturbazione. - Modulare la forza muscolare e la mobilità articolare. La destrezza è possibile perché sono infinite le possibilità di movimento. Bernstein per primo introdusse il concetto di apprendimento motorio considerato come "l'acquisizione, il consolidamento, il perfezionamento e l'utilizzazione di abilità motorie nell'ambito di una continua azione cognitiva che utilizza l'apprendimento motorio come strumento

indispensabile alle attività umane articolate in azioni, scopi, intenzioni, riflessioni, ecc." Recentemente a queste osservazioni di Bernstein si sono aggiunte influenze di ordine psicologico, di cibernetica, di etologia che modulano l'apprendimento attraverso "il feed back" o il "problem solving". Per Bernstein l'apprendimento motorio è costituito da due principali ordini di movimenti: 1- L'attività manipolativa. 2- Gli spostamenti globali del corpo e degli arti inferiori nella locomozione e nella ricerca dell'equilibrio (postura). Bernstein è da considerare una figura importante poiché ha saputo: 1- Definire gli aspetti fondamentali della biomeccanica coniugandoli con i meccanismi neurocognitivi che sono alla base del controllo motorio e della postura attraverso la modulazione dell’apprendimento. 2- Considerare il laboratorio di analisi del movimento come strumento indispensabile a caratterizzare i fattori generali e i fattori personali che sono intrinseci del movimento umano. Bernstein ha tracciato le specificità della posturologia vista come una componente statica e dinamica del movimento strettamente correlata alla organizzazione assiale-vertebrale e del cingolo inferiore-superiore. Stabilometria e cinetica. A questo riguardo pensiamo al ruolo che hanno la stabilometria e la cinetica nell'analisi del movimento. Vanno certamente integrate con tutte le altre informazioni neuromeccaniche (cinematiche ed elettromiografiche) correlate a quelle posturali. La stabilometria eseguita con cellule di carico o eseguita con piattaforme di forza utilizza indicatori comuni (gomitolo, stabilogramma, hz di oscillazione, raggio di oscillazione, ecc.) ma nel primo caso misuriamo una oscillazione del peso sul centro di pres-


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sione; nel secondo caso l’energia che la persona produce oscillando. Il monitaroggio clinico di un parkinsoniano o di un paziente con polineurite presenterà caratteristiche diverse. La modulazione di un programma terapeutico (farmacologico-riabilitativo) trova in questi parametri adeguate riflessioni cliniche e di decisione terapeutica. I report prevedono le curve di normalità. Il laboratorio di analisi del movimento e della postura è in grado (oltre la stabilometria e la cinetica) di misurare contestualmente la cinematica delle articolazioni appendicolari e assiali coordinandole con la elettromiografia di superficie delle catene cinetiche muscolari. Nella cinestesi il muscolo assume il doppio ruolo di "effettore e di modulatore della percezione". Questa doppia attività del muscolo diventa stimolazione essenziale del modellamento tissutale (plasticità). Sono eventi strettamente correlati fra loro in modo tale che intenzione - percezione - elaborazione - azione siano monotorizzati verso il concetto di destrezza, energia, efficacia, plasticità, ecc. Il laboratorio pertanto è strategico nel programma riabilitativo o nello studio modulato del gesto sportivo, sino al miglioramento della occlusione, della postura vertebrale e generale. Lascia al clinico e al fisioterapista la libertà di condurre quelle elaborazioni necessarie a modulare le proprie decisioni. È uno spazio aperto Le apparecchiature in uso nei laboratori di analisi del movimento - LAM. Un laboratorio moderno di analisi del movimento è articolato su due livelli di strumenti di analisi: 1° livello: accelerometri, emgs di superficie, apparecchio per la valutazione del consumo di ossigeno, isocinetica, stabilometria, studio della occlusione. Sono strumenti di facile applicazione in grado di dare informazione sul passo, sul balance, sulla attivazione delle catene muscolari, sulla fatica meccanica o neuromotoria, sulla postura correlata alla occlu-

Il tema del numero

sione (ottimizzazione dei byte). Questi apparecchi, a parte la stabiliometria e l’isocinetica, possono essere indossati fuori dal laboratorio: sul campo, a domicilio, in fabbrica (valutazioni ergonomiche). Vorrei ricordare a questo proposito l’utilizzo della EMGS nella valutazione della disfagia già in degenza (reparti di riabilitazione, rianimazione, neurologia, medicina, ecc.). È una modalità valutativa che ho messo a punto allo scopo di nutrire in sicurezza il paziente con alta disabilità. È una modalità che si integra con altre competenze e strumenti (ORL per la Fibroscopia della deglutizione e ristagno delle vie respiratorie alte - il nutrizionista, lo staff infermieristico, il logopedista, il rianimatore, ecc.). 2° livello: rileva con sistemi optoelettronici e le piattaforme di forza la cinetica e la cinematica. Può contestualmente misurare nel movimento in esame la attività muscolare come catena cinetica e il consumo di ossigeno (come indicatore della compliance cardio respiratoria). Utilizzando 10 telecamere può dare informazioni sulla postura generale o su gesti sportivi complessi (golf-byke, atletica, tennis, calcio). Viene utilizzata nelle fasi acute delle neurolesioni, nella protesica ortopedica o nelle lesioni capsuloligamentose complesse come la lesione dei crociati o la lesione della cuffia dei rotatori. Riabilitazione. Il LAM ha strette correlazioni con la riabilitazione cognitiva in realtà immersive e la riabilitazione robotica dell’arto superiore e inferiore poichè ne può monitorizzare i risultati. A questo riguardo si stanno consolidando esperienze non solo nel campo neurologico, ma anche ortopedico-tramatologico. Ad esempio pazienti operati di lesione della cuffia dei rotatori iniziano il trattamento con il robot dell’arto superiore in sospensione di carico con integrata la EMGS dei muscoli satelliti per una riabilitazione con Bfeedback elettromiografico. La evoluzione clinica viene monitorizzata in LAM con test di Reacing. La medicina riabilitativa e quella

Anemos neuroscienze

sportiva (disabilità cronica - analisi del gesto sportivo) hanno consolidato uno stretto rapporto con il LAM. Particolare menzione va al ruolo del LAM nella analisi funzionale vertebrale (posturale-occlusale), ai suoi rapporti con il dolore vertebrale e le cefalee. Ritengo che andrebbero rinforzati i rapporti interprofessionali poichè le modificazioni possibili della postura per via chirurgica-protesica devono trovare logiche e misurate scelte riabilitative attraverso il LAM (misure certe). Qualsiasi professionista può avere informazioni tempo-spaziali del movimento compromesso potendo studiare il paziente sul piano funzionale e su quello prognostico chirurgico-medico, orientando così le scelte verso un programma terapeutico o un programma di mantenimento e conservazione delle potenzialità residue.♦

Giorgio Reggiani. Attualmente è direttore sanitario del centro di medicina riabilitativa e sportiva "Analife" di Medolla (MO). È stato primario di medicina riabilitativa a Carpi dal 1990 al 2010. Da allora ha praticato la valutazione strumentale della disabilità correlata a quella funzionale e della autonomia non solo come strumento di prognosi e di diagnosi clinica riabilitativa, ma anche come strumento di valutazione della efficacia e appropriatezza del progetto e del programma riabilitativo. Dal 2000 si occupa della disabilità indotta dalla neurolesione cronica con particolare riguardo al Pk. Nelle relative associazioni di Carpi e di Modena svolge attività nei comitati scientifici e volontariato clinico.

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Arte

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il vuoto

come apertura e ricerca Un'ipotesi speculativa

di Adriano Amati In 1

parole chiave. Spazio vuoto, pieno, Oriente, Occidente. Abstract. L'articolo pone l'accento sulla differente visione dell'idea di "spazio vuoto" nella cultura occidentale e in quella orientale, mettendo in risalto l'idea sostanzialmente negativa di vuoto nelle concezioni occidentali e al contrario come l'Oriente, in particolare l'Oriente giapponese, indichi che esso è un'opportunità, meglio ancora, una necessità, ribaltando così le suggestioni negative che da secoli accompagnano il nostro incontro col vuoto.

T

re aneddoti. Passeggiando per Tokio chiesi ad un passante dove fosse il centro, il centro storico, quel quartiere che il turista sempre cerca per arrivare al cuore pulsante di ogni città europea. Seguii le vaghe indicazioni ricevute e mi trovai in un enorme spazio punteggiato di piante e panchine, in cui non c'era assolutamente nulla; ai bordi qualche rada abitazione, senza monumenti, palazzi storici, negozi o altro del genere. Quella fu la mia prima sorpresa. La seconda arrivò poco più tardi, quando aggirandomi per una zona commerciale notai alcune enormi vetrine, molto eleganti, nelle quali erano esposte scatole di diversa dimensione, che, bellissime e raffinate, stavano posizionate su lunghi scaffali. Incuriosito entrai per chiedere cosa vi fosse dentro, e la risposta del commesso fu: “nulla, qui vendiamo solo confezioni”. Mi aprì una di quelle scatole:

dentro era vuota, bianca, immacolata. Anni dopo, per ragioni professionali, conobbi lo scultore giapponese Kengiro Azuma, che davanti a una sua scultura - una figura umana con un grosso buco all'altezza del torace - mi diede la motivazione artistica di quel buco: aveva il duplice significato di mostrare l'identità incompleta dell'individuo, e l'apertura, una specie di finestra spalancata sullo spazio d'indagine sull'alterità. In queste storielle c'è il sentore di essere di fronte ad una visione particolare dello spazio: non il vuoto da riempire, vissuto come mancanza, bensì il vuoto inteso come apertura attraverso la quale sono possibili infiniti attraversamenti; non spazio sterile ma fecondo, in cui si può esercitare la fantasia e la creatività. Insomma, il vuoto inteso come spazio utile ma inutilizzato: utile per dare respiro all'immaginazione, ma inutilizzato, perché nessuno lo occuperà con qualcosa in via definitiva.

A noi occidentali, ieri come oggi, il vuoto suscita invece sgomento. Per Aristotele il vuoto non esisteva (“La natura aborre il vuoto”, diceva), e in effetti se potessimo osservarlo su scala macroscopica esso ci apparirebbe come un mare in tempesta ribollente di ogni sorta di manifestazioni stravaganti (nonché d'aria, energia, ecc.). Ciò non toglie che nei secoli il vuoto sia stato spesso considerato come mancanza o assenza: il cielo è vuoto, il sepolcro è vuoto, il forziere è vuoto... ciò che ci aspettiamo di trovare “dentro” e non troviamo è fonte di delusione, talvolta di disagio o spavento. Da noi il centro delle cose deve essere pieno, deve essere cuore e motore di tutto l'apparato, e perciò deve avere una sua solidità fondativa: da piccoli rompevamo i giocattoli per scoprire quale “anima” li muoveva... (sul dentro e sul fuori, questioni comunque correlate a questo nostro tema, ► andrà fatto un discorso a parte).

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Antropologia

Arte

◄ Per molti poi vale l'equivalenza

vuoto = vertigine, cioè lo spazio libero percepito come il luogo in cui si può cadere o ci si può smarrire. Al contrario l'esempio giapponese indica che esso è un'opportunità, meglio ancora, una necessità, ribaltando così le suggestioni negative che da secoli accompagnano i nostri incontri col vuoto. Vediamo perché. Si è soliti dire che il silenzio è scaturigine di poesia, che questa nasce da quello; si dice inoltre che la funzione della pausa è quella di dare spazio alla parola; ebbene, per analogia possiamo dire che il vuoto è scaturigine di forma, è il presupposto grazie al quale la materia assume rilievo quando prende forma. Come il senso di una parola può migrare, e un significante linguistico opera continui rimandi ad Altro, senza attestarsi su un significato valido una volta per tutte, così questo spazio non geografico consente infiniti attraversamenti, e in ciascuna rilettura trova inediti spostamenti di forma. Il vuoto dice che la forma non risiede nella materia, ma la sopravanza, incontenibile, e inaugura una tensione

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col corpo materico dandogli spessore, in un gioco di contrasti che gli conferiscono rilievo plastico. Dal vuoto procedono la fascinosa provocazione, la profonda sollecitazione, l'intima suggestione del suo spazio mutevole, ove risiede l'indicibile, ovvero ciò che il fare artistico non ha saputo, voluto o potuto esprimere: dove la lingua incontra l'ineffabile, di fronte a tale impossibilità di comunicare, l'arte riafferma la propria inconciliabilità con la rappresentazione. Dunque: il vuoto è lo snodo dello spazio, l'apertura, l'universo in cui confluiscono senza sedimentarsi, sommarsi o confondersi le diverse visioni intellettuali, emotive, artistiche e architettoniche dell'uomo, ovvero un terreno sconfinato di libertà assoluta sul quale l'unica materia che insiste è materia del pensiero e del sentimento, fattori immateriali produttori di creatività. Come il silenzio per la poesia, la pausa per la parola. Questa ipotesi speculativa non è nuova né sconosciuta, più che altro si può dire che l'Occidente l'abbia dimenticata: perché lo spazio, proprio come

il tempo, è denaro, e questo vale per le città, le case, le industrie, e per tutti gli oggetti che occupano la nostra vita. Vuoto e concretezza non vanno d'accordo, la politica “del fare” è nemica di un concetto così vacuo e sospeso, economicamente del tutto improduttivo, come quello rappresentato dal vuoto (com'è nemica del silenzio e della pausa). Così ogni palmo di terra va riempito, la casa dev'essere piena di mobili, apparecchi e oggetti, la pagina non deve restare bianca, perché ogni spazio deve avere la propria utilità (economica), essere in qualche modo “produttivo”. D'altra parte, anche la megalopoli giapponese per mantenere quei “vuoti” urbanistici costringe milioni di persone a vivere in pochissimi metri quadri, quasi dei loculi, dove lo spazio libero è un traguardo impossibile da conseguire: Tokio incarna urbanisticamente questa contraddizione, perché la sua prospettiva si è occidentalizzata. Così è per quelle scatole vuote, perché chi le compra prima o poi le riempirà; e per la scultura “bucata”, che in ogni caso viene percepi-

AGRICOLTURA VERTICALE

edici piani coltivati a rape. Ecco la soluzione per salvare, forse, il pianeta”. Comincia così l'articolo di Severino Colombo sull'inserto domenicale del «Corriere della Sera» dell'agosto scorso. Architetti e biologi sperimentano fattorie verticali e città per maiali, ovvero grattacieli-serre ove coltivare ed allevare; la ragione risiede nel vorticoso aumento della popolazione mondiale, cui corrisponde una diminuzione della terra coltivabile. Nel 2050 il mondo conterà 9,5 miliardi di abitanti e la terra coltivabile non sarà sufficiente a sfamarli tutti; ecco allora la necessità di trovare soluzioni. I primi a pensarci sono sta-

ti gli svedesi, che in una piccola cittadina a sud di Stoccolma stanno costruendo un grattacielo di vetro alto 60 metri: vi entreranno semi e ne usciranno piante; il ciclo si completerà al piano terra, dove verranno lavorate e vendute. Produzione e vendita a “chilometro zero”, in senso letterale questa volta. Al posto di terra o torba verrà utilizzato un substrato inerte, pietra pomice e vulcanica, che potrà essere riutilizzato in diversi cicli per sette anni. Tecnica idroponica, nessun uso di fertilizzanti, concimi, pesticidi ed altri inquinanti.

Dopo le rape, previste nel progetto-pilota, si passerà ai maiali: la città dei maiali (City Pig) è già allo studio, e il luogo ove costruirla sarà probabilmente l'Olanda, maggior esportatore europeo di carne di maiale e nazione con superficie assai ridotta. Cibo, energia, pianeta, vita, di questo si parlerà all'Expo 2015, e qui lo spazio godrà anch'esso di una grande attenzione.


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Anemos neuroscienze

Il tema del numero

«A noi occidentali, ieri come oggi, il vuoto suscita invece sgomento [...] Al contrario l'esempio giapponese indica che esso è un'opportunità, meglio ancora, una necessità, ribaltando così le suggestioni negative che da secoli accompagnano i nostri incontri col vuoto.»

ta come qualcosa di pesante, robusto, indiscutibilmente materico. Insomma, gli esempi giapponesi portati valgono solo per metà; infatti sopravvive appena il simulacro di quella cultura millenaria che ha insegnato al mondo come meditare in grandi spazi vuoti. Non ne restano che sporadici cenni. A noi però bastano per una riflessione sullo spazio inteso come luogo per immaginare, ove lo sguardo non incontra resistenze e diventa appunto visione immaginifica, assolutamente libera da vincoli materiali e relativi significati. Un'energia priva di scopi predefiniti. E svuotare la mente - ciò che alcune tecniche di meditazione suggeriscono - come si colloca in questa nostra riflessione? Se molti pensieri occupano il cervello, e liberarsene consente di entrare in contatto col sé più intimo, allora anche questo vuoto è necessario per sviluppare un'energia interiore che conduce all'essenza spirituale. Delle perplessità occidentali che ammantano tale esercizio - prima fra tutte il dubbio che esista una simile essenza, un io soffocato da un pulviscolo quotidiano di pensieri - abbiamo una qualche consapevolezza: forse è proprio questo il luogo in cui il vuoto si fa vertigine, in cui temiamo di smarrirci, visto che ogni pensiero è una maniglia esistenziale cui stiamo aggrappati. Per alcuni però tale circostanza è terapeutica; essa infatti consentirebbe di avere “più fiducia in sé stessi, maggiore auto-

stima, più controllo su pensieri ed emozioni”. È l'idea suggestiva che si possano acquisire risorse (spirituali), cedendo i fattori (razionali) della nostra attività mentale, per conseguire così un maggior benessere emozionale, una più efficace armonia mente-corpo, un migliore equilibrio. Trovare tale vuoto, dunque, equivarrebbe a spalancare una finestra sul proprio io, per vivere un'emozione spirituale che cerca di cogliere il sentimento della vita, non il suo significato. Ma, imbevuti come siamo di “cultura del fare”, così tanto riproposta anche dalla cronaca politica, temo si tratti di una pratica destinata a produrre ulteriore disagio, in quanto la maggior parte degli individui non ha esperienza del silente dialogo interiore capace di toccare le corde più intime di sé: stare sospesi nel vuoto tra sentimento e ragione, non è da tutti. Questo terreno d'indagine appartiene infatti alla psicologia e alla psichiatria, per cui il rimando a tali discipline credo sia ormai inevitabile. ♦

Adriano Amati. Giornalista e scrittore, ha pubblicato libri di turismo e d’arte, ha diretto cinque testate mantovane, ha scritto articoli e saggi collaborando con testate locali e nazionali. Per Paolini Editore di Mantova ha pubblicato Turista a Tebaide (1991) e Bertrand il matematico (1994), per la Severgnini di Milano Dialoghi del namoro (1997), inoltre Domicilio Mantova (Editoriale La Cronaca di Mantova, 2003), Detto tra noi (Prospecta Edizioni Mantova, 2005), I miei (Il Cartiglio Mantovano Mantova, 2006), per la casa editrice E.LUI di Reggiolo la raccolta di poesie Una voglia di Sur (2008) e il romanzo L’iride azzurra (2010). Partecipa attivamente ai contenuti dei prodotti della Clessidra Editrice con articoli di opinione, di attualità e di letteratura e in generale ai progetti della casa editrice.

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Letteratura Psicologia

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anche gli androidi sono soli

Per un saggio sulla fantascienza

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Il tema del numero

Anemos neuroscienze

di Antonio Petrucci In 1 parole chiave. Spazio, tempo, fantascienza, androide, umano, alieno. Abstract. Nel presente articolo viene proposta una "mappa" del genere letterario di fantascienza, in particolare nel suo proporre un orizzonte di distanza spaziale e temporale e un incontro con l'altro e il diverso (l'androide, l'alieno, il viaggiatore nel tempo e nello spazio).

L

’intenzione è quella di tracciare una mappa di quel territorio letterario denominato fantascienza (science fiction o SF in in-

glese). Cominciamo col fissare un punto: cioè l’appartenenza al genere fantastico. Che la fantascienza appartenga al genere fantastico sembrerebbe cosa ovvia, ma, a differenza della letteratura fantastica, che parte da ipotesi assolutamente libere (ad es. che cosa direbbe un coccodrillo se sapesse parlare?), la SF appare legata da ipotesi scientifiche, anche se sviluppate liberamente (ad es. la conquista della Luna o le mutazioni genetiche). È, dunque, fantascientifica un’opera di immaginazione che prende spunto da una ipotesi scientifica. Si può poi ipotizzare che la SF sia compresa fra un massimo e un minimo di scienza (e un minimo o un massimo di invenzione) secondo il suo “tenersi vicino” o “prendere le distanze” dalla scienza.1 Possiamo ora procedere a tracciare la mappa di un territorio che appare più vasto del previsto. 1. Il primo settore di questo territorio è quello dei viaggi nello spazio (space opera) e dell’incontro con extra-terrestri (o alieni). In realtà questo settore si scinde in due categorie: viaggi di esplorazione di altri pianeti e invasione della Terra da parte di astronavi aliene. Appartiene alla prima categoria la famosa saga televisiva di Star Trek. Col passare degli anni, nelle storie situate in futuri lontanis-

simi (o in universi paralleli) la Terra Figura 6.1 - In alto fotogramma e i terrestri perdono la “centralità” e della pellicola Il pianeta delle scimmie, film del 1968 diretto da assumono il ruolo di protagonisti (e Franklin J. Schaffner basato sul di esploratori del cosmo) specie forromanzo La planète des singes (Il nite di logos, non umane ma simili 2 pianeta delle scimmie) di Pierre all’uomo. Boulle. Ma mi pare più interessante la seconda categoria. Il primo classico dell’invasione è La guerra dei mondi sul pianeta o ad assoggettarlo. Esiste, di G.G. Wells, uno dei padri fondato- però, anche l’altro aspetto che vuole ri del genere.3 Ma voglio ricordare an- l’extra-terrestre come un essere beneche I figli dell’invasione di John Wynd- fico e generoso. Questa ipotesi è più ham. La cittadina di Midwich rimane sfruttata dai fumetti che dai racconti isolata per un giorno intero, protetta o film di SF. È il caso di Superman, da una specie di scudo spaziale invi- il quale, sopravvissuto all’esplosione sibile che impedisce il passaggio. In del suo pianeta, Krypton, e allevaseguito, quasi tutte le donne in età to da genitori “terrestri”, ricambia, fertile si trovano misteriosamente combattendo criminali, catastrofi gravide e partoriscono bambini dal- naturali e invasioni dallo spazio. Le le pupille d’oro e dagli insoliti poteri caratteristiche di Superman sono (riescono a dominare la volontà al- quelle dell’eroe di sempre: la forza e trui). Sono “i Bambini” ovvero i figli l’invulnerabilità (si pensi ad Achille, di invasori alieni che forse vogliono Orlando, ecc.), ma lui è anche capace impadronirsi della Terra e/o sostituire di volare e di volare più veloce della gli uomini…4 luce, il che gli consente di superare la In genere, l’invasione è vista come barriera del tempo.5 un pericolo. L’invasione, infatti, è attuata da una specie tecnologicamen- 2. Il secondo settore della SF è costite più avanti dell’uomo, interessata a tuito dai viaggi di esplorazione nel ► soppiantarlo, a prendere il suo posto tempo e in particolare nel futuro.

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Figura 6.2 - A sinistra George

Orwell, pseudonimo di Eric Arthur Blair (1903-1950) saggista, scrittore britannico. A destra Aldous Leonard Huxley (1894-1963) altro noto scrittore britannico.

Anche in questo caso, l’iniziatore è Wells con La macchina del tempo. Giunto in un lontano futuro il “Viaggiatore”, uno scienziato che è riuscito a costruire uno straordinario apparecchio per viaggiare nel tempo, scopre quel che segue: una doppia mutazione genetica, dovuta alla lotta di classe, ha trasformato i borghesi in Eloi e i proletari in Morlocchi. I primi sono belli, aggraziati e gentili, ma incapaci di tutto tranne che di danzare, cogliere fiori, mangiare frutti. I Morlocchi invece vivono sottoterra ed escono di notte per... mangiare gli Eloi.6 Va poi ricordato Il pianeta delle scimmie, un romanzo del 1963 del francese Pierre Boulle.7 Il tema dei viaggi nel futuro porta inevitabilmente al terzo settore, quello delle società del futuro.

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3. Il genere “utopia” risale a Platone, è dunque un genere antico come il pensiero occidentale, ma la fantascienza sembra particolarmente propensa ad accogliere utopie positive e, soprattutto, negative (distopie) sotto forma di descrizioni di società del futuro. I due romanzi più famosi del genere sono Il mondo nuovo di Aldous Huxley, pubblicato nel 19328, e 1984, di George Orwell, pubblicato nel 1948.9 Ci limitiamo ad esaminare il primo. Biotecnologie e condizionamento psicologico (con l’aiuto della farmacologia) sono i cardini di un sistema che mira a garantire la stabilità sociale e il benessere individuale. Ovviamente ciò implica la perdita dell’arte (a cui manca il nutrimento), della scienza (ritenuta pericolosa) e della religione (ritenuta inutile) - ma anche dell’amore e della famiglia. Nel Mondo nuovo ognuno è libero di avere rapporti con chi vuole (anzi, più che libero, è obbligato ad avere rapporti con tutti), ma deve accuratamente evitare le gravidanze giacché la parola amore, cop-

pia, madre e padre, ecc. sono reputate vergognose - tali da fare arrossire. Il dramma nasce quando nel mondo nuovo viene introdotto un elemento estraneo - il così detto Selvaggio, proveniente da una Riserva in cui gli uomini vivono allo stadio “primitivo”. Finito davanti a Mustafà Mond, il Governatore del Mondo nuovo, in un dialogo drammatico, il Selvaggio difende tutte le cose che sono state sacrificate alla felicità individuale e alla stabilità sociale; ma alla fine, a causa della sua incapacità di adattamento, si suicida. Il mondo nuovo, che è del 1932, anticipa il concepimento in vitro, la clonazione, la libertà sessuale ecc.; e tuttavia lo stesso Huxley, quindici anni dopo, considerava la sua “utopia negativa” in parte superata dalla scienza e dalla storia.10 4. La quarta categoria è il genere apocalittico - oggi così di moda al cinema. Ricordiamo due classici, La peste scarlatta di Jack London e Il giorno dei trifidi di John Wyndham. La peste scarlatta viene pubblicata da London nel 1913 ed ambientata cento anni dopo. “Fu nell’estate del 2013 che scoppiò la peste scarlatta…” London narra di un morbo incontenibile, che esplode con grande violenza, distrugge i malati in poche ore, spopola l’umanità. Un vecchio sopravvissuto miracolosamente racconta a tre fanciulli selvaggi l’immane tragedia.11 Ne Il Giorno dei

trifidi di Wyndham, l’umanità rischia di essere cancellata dagli esperimenti incontrollati - in particolare i trifidi sono alberi “mutanti”, in grado di spostarsi e di uccidere con lo stelo velenoso di un fiore usato come una frusta. 12 5. Nella SF ci sono cinque tipologie di “creature” (oltre, naturalmente, gli “umani” a tutti gli effetti); sono: gli alieni (creature di altri mondi); i mutanti (esseri umani trasformati geneticamente); gli androidi (esseri costruiti artificialmente ma con materia biologica); i robot (creature artificiali meccaniche); i cyborg (sono creature in parte meccaniche e in parte di materia biologica). Poiché nella letteratura fantastica, si trovano, come ho altrove notato, creature costruite dall’immaginazione con “pezzi” di creature davvero esistenti (la sirena metà donna e metà pesce, ecc.), si conferma qui l’appartenenza della fantascienza alla letteratura fantastica; mentre d’altra parte non sfugge la peculiarità del “fantastico fantascientifico” visto che anche qui la scienza incalza da molto vicino la fantascienza: mutanti, robot e cyborg esistono già, sia pure in forma più elementare.13 Sui robot occorre ricordare le famose “leggi della robotica” di Isaac Asimov: 1. A un robot non è permesso recare danno a un essere umano, né attraver-


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so l’inazione, cioè lasciando che un essere umano subisca danno. 2. Un robot deve obbedire agli ordini che gli vengono dati dagli esseri umani, a meno che tali ordini non siano in conflitto con la Prima Legge. 3. Un robot deve proteggere la propria esistenza, a meno che tale protezione non entri in conflitto con la prima e la Seconda Legge.14 Ma sono gli androidi le creature più interessanti. Il capostipite è sicuramente Il mostro di Frankestein di Mary Shelley - scritto nel 1818. La storia - considerata da alcuni l’origine della fantascienza e dell’horror - è nota. Ciononostante la ricordiamo perché Frankestein è una possente parabola: il dottor Frankestein fabbrica un mostro che “gli sfugge di mano”; ammalato di solitudine poiché respinto dagli esseri “normali”, il mostro chiede al suo creatore una compagna; Frankestein rifiuta e il mostro si vendica.15 Straordinario anche il romanzo di

Anemos neuroscienze

Il tema del numero

Philip K. Dick, Do Androids Dream of Electric Sheep? (e cioè: Gli androidi sognano le pecore elettriche?) del 1969, tradotto in italiano come Cacciatore d’androidi. Rick Deckard deve trovare otto androidi fuggiti da Marte che si sono mescolati agli esseri umani. Ma l’ultimo prodotto di androide - il Nexus-6 dei laboratori Rosen - è talmente perfetto che è sempre più difficile distinguerlo da un essere umano: può perfino capitare di innamorarsene.16 Qual è, dunque, il limite? Che cosa distingue davvero androidi e uomini? Quando un androide diventa un essere umano perfetto? Ma per rispondere a queste domande bisognerebbe prima rispondere a un’altra domanda, più radicale: chi o che cosa è (veramente) l’uomo? Il romanzo di fantascienza approda dunque a una questione filosofica.

problemi reali, come la manipolazione del patrimonio genetico umano, l’organizzazione futura della società, la fine del mondo e la fine dell’uomo, non abbia ricevuto una maggiore attenzione dai nostri scrittori. Come mai la fantascienza non ha conosciuto, in Italia, un’esplosione simile a quella che ha avuto, nell’ultimo quindicennio, il genere giallo? Forse dipende dal fatto che i nostri narratori non hanno formazione scientifica? O da un certo snobismo verso forme di letteratura giudicate “popolari”? ♦

In conclusione, ci si potrebbe chiedere a questo punto come mai un genere letterario che consente di parlare di

Antonio Petrucci. Ha insegnato filosofia all'indirizzo socio-pscio-pedagogico dell'Istituto "Matilde di Canossa" di Reggio Emilia. Giornalista e saggista, si occupa, oltre che di filosofia, di letteratura e di storia dell'Otto-Novecento. Fra le pubblicazioni filosofiche: Per un'etica della presenza. Saggio di filosofia morale su l'Almanacco di Reggio Emilia n. 55-56, dic. 2010; Filosofia e medicina. Un itinerario storico su l'Almanacco n. 58, dic. 2011; Dell'uomo giusto e del tiranno. Letture platoniche su l'Almanacco n. 60, dic 2012.

Note e indicazioni bibliografiche Il libro più interessante che ho letto sull’argomento è quello di R. Scholes e S. Rabkin, Fantascienza - Storia - Scienza - Visione, Pratiche ed., Parma 1979. Vi si trova, oltre una breve storia della fantascienza “letteraria” e della fantascienza negli altri media, anche una sezione delle “scienze della fantascienza” cioè delle scoperte scientifiche (fisica, biologia, ecc.) che più hanno stimolato gli scrittori di fantascienza.

1

Notevole, a questo proposito, è il racconto shock di F. Brown, La sentinella. V. F. Brown, La sentinella e altri racconti, Einaudi scuola, Torino 2004.

2

H.G. Wells, La guerra dei mondi, Mursia, Milano 2004. Wells si può considerare il vero iniziatore della narrativa fantascientifica: La guerra dei mondi (1898) anticipa il tema dell’invasione, La macchina del tempo (1895) quello dei viaggi nel futuro, L’uomo invisibile (1897) quello delle mutazioni genetiche. C’è anche da ricordare L’isola del dottor Moreau (1896) dove uno scienziato folle conduce crudeli esperimenti per trasformare gli animali in uomini. Fra i padri della fantascienza va ricordato anche Jules Verne, l’autore de L’isola misteriosa, Ventimila leghe sotto i mari, ecc. 3

John Wyndham ha scritto quattro romanzi e almeno due sono capolavori del genere: V. J. Wyndham, Il giorno dei trifidi, Il risveglio dell’abisso, I figli dell’invasione, Chocky, Mondadori, Milano 1984. 4

V. il saggio di U. Eco, Il mito di Superman in Apocalittici e integrati, Bompiani, Milano.

5

H.G. Wells, La macchina del tempo, Libera informazione, Roma 1998.

6

7 P. Boulle, Il pianeta delle scimmie, Mondadori, Milano 1975. Dal romanzo di Boulle è stato tratto un film di successo, Il pianeta delle scimmie di Franklin J. Schaffner, del 1968.

A. Huxley, Il mondo nuovo, Mondadori, Milano 1933.

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9

G. Orwell, 1984, Mondadori, Milano.

10 A. Huxley, Il mondo nuovo, Ritorno al mondo nuovo, Mondadori, Milano 1961. È interessante ricordare che Huxley indica, nel Ritorno, la causa dell’insuccesso della fantascienza e cioè la troppo rapida realizzazione, da parte delle scienze, delle cose immaginate dalla letteratura. Insomma, la scienza incalzerebbe troppo da vicino la fantascienza, svuotandola troppo rapidamente del suo significato “profetico”. Di A. Huxley v. anche La scimmia e l’essenza, Mondadori, Milano 1949: la storia si svolge in un futuro imprecisato, dopo la terza guerra mondiale.

blica, Roma 2003. 12

J. Wyndham, op. cit.

13 Il tema sorpassa la fantascienza. V. N. Yehya, Homo Cyborg Il corpo postumano tra realtà e fantascienza, Elèuthera, Milano 2005. 14 I. Asimov, Il meglio di Asimov, Mondadori, Milano 1975.

M. Shelley, Frankestein ovvero Il moderno prometeo, Garzanti, Milano 2007.

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J. London, La peste scarlatta in Il richiamo della notte, Feltrinelli, Milano 1977. La peste scarlatta appartiene alla seconda fase del lavoro di London, dopo l’autobiografico John Barleycorn (1909), una fase interessata al genere fantascientifico. Del resto London, anticipando Huxley e Orwell, aveva scritto nel 1907 Il tallone di ferro su una spaventosa dittatura del futuro. L’idea iniziale de La peste scarlatta potrebbe essere il racconto di E.A. Poe La morte rossa: v. E.A. Poe, Racconti, La Repub11

16 P. K. Dick, Cacciatore d’androidi, Ed. Nord, Milano 1986. Dal romanzo è stato tratto un film altrettanto straordinario, Blade Runner di Ridley Scott del 1982.

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Architettura

Sociologia

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campagne urbane Nuovi paesaggi, nuove ecologie

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Anemos neuroscienze

Il tema del numero

di Vitaliano Biondi In 1 parole chiave. Spazio, città, campagna, agricoltura, ambiente, vivere sociale, alimentazione, clima. Abstract. Sono possibili nuove concezioni nel rapporto tra l'ambito urbano e la natura? L'articolo tratta dell'idea della città del futuro intesa come nuovo spazio di incontro tra agricoltura e vita urbana. In particolare si espone la teorizzazione di Pierre Donadieu autore del saggio Campagne urbane che porta avanti il progetto Agripolia, insieme di idee che hanno l’intento di portare le coltivazioni agricole nei centri urbani.

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età della popolazione mondiale ormai vive in centri urbani e si stima che entro la metà del secolo più dei due terzi dell'umanità vivrà in un continuum urbano rurale, luoghi ibridi che non sono più urbani ma neppure rurali. L’intero pianeta si sta trasformando in un’immensa meta-città che si fa mondo. La città, che nel

di attraversamento senza più soste, senza più segni di identità. Risulta per questo di grande interesse lo studio degli effetti prodotti dalle dinamiche di trasformazione degli spazi periurbani o le sue potenzialità ecologiche inespresse. I territori della periurbanità conservano spesso caratteri di forte naturalità che assumono valore strategico proprio per la loro vicinanza ai tessuti edificati della città. Gilles Clément

una forma di biodiversità che nasce dalla trascuratezza e dall’abbandono. Sono le aree dismesse dove crescono rovi e sterpaglie, sono spazi diversi per forma, dimensione e statuto, accomunati solo dall'assenza di attività umana, ma che presi nel loro insieme sono fondamentali per la conservazione della diversità biologica. Anche la campagna, quella che circonda le città, è colta sempre più come espansione di una città che così diventa sempre più periferica e con una ruralità diventata urbanizzata. Sono stati per questo coniati termini come “disurbanamento” e “rurbanizzazione”, che dovrebbero indurci a ritenere superata la vecchia distinzione tra città e campagna, tra aree urbane e aree rurali ed utilizzare espressioni ibride come “campagne urbane”. La città è ovunque; quindi non vi è più città (Cacciari, 2004). Nascono così paesaggi in cui si vanno delineando nuove ecologie portatrici di proposte inedite di sostenibilità e di nuove forme di spazialità. Le aree urbane sono poi solitamente più calde di alcuni gradi e per questo le parti coltivate divengono importanti, a loro volta, per abbassare e bilanciare il clima. Tuttavia anche ►

«La città, che nel Settecento ed ancora nell'Ottocento, racchiusa com'era dalle mura, si ergeva sul livello della campagna e ne era nettamente separata, è divenuta ora un organismo diffuso il cui limite è sempre meno percepibile» Settecento ed ancora nell'Ottocento, racchiusa com'era dalle mura, si ergeva sul livello della campagna e ne era nettamente separata, è divenuta ora un organismo diffuso il cui limite è sempre meno percepibile. Una globalizzazione territoriale che riduce ad unicum un paesaggio fatto di memorie, storie, vissuti, diversità come fosse un territorio

nel suo saggio Manifesto del terzo paesaggio parla appunto delle potenzialità ecologiche espresse dalle friches, i territori residuali (délaissé) e incolti, ormai abbandonati dalle attività dell’uomo, o mai sfruttati ,ma che presi nel loro insieme sono fondamentali per la conservazione della diversità biologica. La friche è uno spazio-concetto che propone

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Architettura

Sociologia

se in anni recenti, l’agricoltura urbana è stata presentata come una «soluzione innovativa», ci si dimentica che i nostri nonni coltivavano i “Giardini della Vittoria” per integrare le razioni degli anni di guerra e parchi storici come il Common di Bristol erano utilizzati per nutrire le pecore. Nelle città africane e asiatiche la popolazione più povera riesce a procurarsi da vivere coltivando piccoli angoli di terra, allevando polli e ricorrendo ai saperi appresi dalla campagna. L’agricoltura urbana in realtà è ed è sempre stata parte integrante della città. Nutrire le grandi megalopoli del futuro è una sfida enorme e non è un caso che la FAO spenda grandi risorse in programmi di agricoltura urbana. L’ansia di produrre di più a costi

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inferiori ha reso però fragile la catena alimentare, esponendola al rischio di contaminazioni e manipolazioni. Non solo: la macchina creata per generare abbondanza e liberarci dal bisogno sta schiacciando i principali depositari della sapienza agricola, i piccoli contadini, che pagano il tributo più alto al potere del mercato globale. Di contro le crisi, a partire da quella ambientale per finire con quella economica, hanno spinto molte persone a recuperare sensazioni e saperi perduti. Nell’agricoltura urbana si vanno delineando così indizi di nuove ecologie tra territorio e società, in parte dipendenti dalla cultura urbana e da quella rurale, ma per molti aspetti portatrici di nuove proposte di sostenibilità e

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di nuove forme di spazialità urbana. Teorico di questo nuovo sentire, che con il nome di Agripolia ha l’intento di portare le coltivazioni agricole nei centri urbani, è Pierre Donadieu autore del saggio Campagne urbane. Si tratta di una proposta agriurbanistica che si fonda su cinque principi. Valori sociali intangibili: libertà, uguaglianza dei diritti, solidarietà, democrazia. Glocalismo: globalizzazione e localizzazione regionale delle politiche urbane. Autonomia alimentare di prodotti freschi: per mezzo di agricolture di prossimità. Multifunzionalità dello spazio urbano non costruito. Governance territoriale e partecipazione degli abitanti. Oggi nelle aree cittadine d’Italia, si coltivano quasi 2 milioni di ettari e cresce il sostegno delle amministrazioni co-

munali al «city farming» riuscendo ad offrire così un aiuto alle famiglie e sottraendo all’incuria e al degrado i terreni incolti. Gli orti urbani da hobby del fine settimana sono diventati una pratica quotidiana per superare la crisi. A Roma, terra di orti, come testimonia la presenza dell’antica Università degli Ortolani e la mappa del Nolli del 1748 che riporta orti dentro e fuori le mura rimasti fino ai giorni nostri, Zappata Romana ha dato vita all’Hortus Urbis un progetto didattico sperimentale di difesa della biodiversità. Conterrà una selezione di piante utilizzate ai tempi dell’antica Roma. Circa settanta le varietà fra quelle utilizzate per usi alimentari, medicinali, ornamentali, selezionate fra quelle citate da Columella,

Plinio il Vecchio, Catone, Virgilio e le preziose scoperte degli scavi di Pompei. Sempre a Roma, attraverso un portale di crowdfunding per una progettazione sostenibile, la cooperativa sociale Ora d’Aria, fondata da persone libere e recluse, ha proposto di far produrre alle detenute di Rebibbia una nuova linea di vasi per orticultura e giardinaggio urbano, destinata a tutti quei cittadini che vogliono avere un orto sul proprio balcone o terrazzo. Nell’area metropolitana di Monaco di Baviera, il progetto Agropolis - Agricoltura per la città di domani, sviluppato da un team interdisciplinare di architetti, urbanisti e paesaggisti si propone di introdurre l’agricoltura urbana nella regione metropolitana, promuovendo reti regionali verdi. La sperimentazione verrà condotta nell’area di Freiham (20.000 abitanti futuri) e costituirà materia di studio per lo sviluppo di futuri processi di trasformazione ur-

«Nascono così paesaggi in cui si vanno delineando nuove ecologie portatrici di proposte inedite di sostenibilità e di nuove forme di spazialità. Le aree urbane sono poi solitamente più calde di alcuni gradi e per questo le parti coltivate divengono importanti, a loro volta, per abbassare e bilanciare il clima»


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Figura 7.1 - Qui sopra Pierre

Donadieu, autore del saggio Campagne urbane e teorico di Agripolia, insieme di idee che hanno l’intento di portare le coltivazioni agricole nei centri urbani.

bano-rurale. L’urbanizzazione comprenderà strutture e funzioni sia dei processi rurali che di quelli urbani. Assieme a diverse pratiche agricole come la rotazione delle colture, dei prati, dei pascoli, degli orti, e dei frutteti introdurrà la coltivazione agricola in balconi, case, giardini, parchi e giardini comunali. È stato notato che la pratica dell’agricoltura urbana, grazie alla qualità della vita ed al valore ricreativo che offre, attira visitatori e utenti e costituisce, in termini economici, un valore aggiunto per tutta la città. A Monaco, già città sostenibile per le politiche energetiche, verrà aggiunto il marchio di Agropolis, progredendo così sempre di più verso la sostenibilità. Si chiama UFU, Urban Farm Unit, l’invenzione dell’architetto Damien Chivialle presente in alcune realizzazioni a Parigi, Zurigo, Berlino e Bruxelles che sfruttando la modalità di coltivazione acquaponica permette di coltivare ortaggi in qualsiasi luogo della città. Si tratta di un container con installata sopra una serra. L'acqua circola all’interno della struttura in una sorta di ciclo chiuso: gli escrementi dei pesci vengono degradati da popolazioni batteriche contenute in uno speciale bacino di depurazione e trasformati

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Il tema del numero

in nutrienti per le piante. L’acqua residua della coltivazione torna poi alle vasche di allevamento dove ricomincerà il suo ciclo. Durante il procedimento si produce l’energia necessaria ad alimentare l’UFU recuperando dal bacino di depurazione il metano prodotto dall’azione dei batteri e riutilizzato per alimentare un generatore. Rivendica modalità altre di utilizzare la città, che vadano oltre quelle usualmente stabilite e lo fa attraverso il libro La Ciudad Jubilada (La Città dei Pensionati), l’architetto Pau Faus. Si tratta di una ricerca sugli orti urbani che descrive il fenomeno di autogestione ed il contrasto tra le idee degli urbanisti delle municipalità e quelle dei cittadini. Nella periferia di Barcellona, un gruppo di pensionati ha ricavato orti da fazzoletti di terra abbandonati. Ciò che rende questa storia meritevole di essere raccontata non è il fatto che coltivino senza scopo di lucro, regalando tutto ciò che raccolgono, quanto che, nonostante il divieto della municipalità, si siano costruiti i loro orti ai piedi di rotatorie in circonvallazioni, sotto pali dell’alta tensione, a pochi metri dalle rotaie del treno o in margini imprecisi di terreni bagnati dall’ultimo braccio dei fiumi che delimitano Barcellona. Nell’ambito del progetto Eu’Go European Urban Gardens Otesha (Il termine otesha è swahili e significa “una ragione per sognare”) si è svolto a Potsdam, in Germania, il primo di una serie di incontri su orti e giardini condivisi in Europa. La partecipazione di molti paesi ha consentito lo scambio di esperienze tecnico-operative ma anche di analisi degli impatti sociali che questo fenomeno sta producendo un po’ ovunque. Ne è uscito che la motivazione determinante del

Anemos neuroscienze

dedicarsi all’orto è data dalla necessità di fare comunità e di ricercare nuove relazioni di solidarietà e partecipazione. La povertà che stiamo vivendo non è solo economica ma anche di valori e di coscienze. Sono ormai in molti a pensare che il coltivare un orto possa assurgere a simbolo di una lotta contro le multinazionali o gli interessi della speculazione edilizia. La coltivazione dell’ orto permette di ritornare alle proprie radici sentendosi parte di una rete più grande che rifiuta il modello del consumatore passivo impostoci negli ultimi decenni. È una nuova sensibilità che si sta diffondendo in tutte le fasce di reddito, sempre più colpite dalla crisi e dal pensiero che il modello di società capitalista a cui siamo sottoposti possa non funzionare. Esiste ormai un vasto movimento che presenta volti diversi: dalle occupazioni degli orti urbani ai Gruppi di Acquisto Solidale, che non solo condivide un’idea diversa di agricoltura, ma anche di tutela dell’ambiente. Un libro recente, Apocalypse Town dell’urbanista Alessandro Coppola, mostra come città americane in fase di deindustrializzazione, da Youngstown a Detroit a certe parti di New York si siano reinventate nell’uso dello spazio urbano, di cui gli orti del Lower East Side di Manhattan sono l’esempio più conosciuto. Vancouver una delle città più grandi del Canada (620 mila abitanti) è anche conosciuta come la città degli orti urbani. Ospita infatti circa trenta «fattorie urbane», piccole iniziative che coltivano prodotti alimentari per poi venderli, all’interno dei confini della città. Mentre diminuiscono le fattorie in tutto il Canada, sta crescendo il numero di quelle in città. Di fronte all’invecchiamento degli agricoltori canadesi sta invece emergendo una generazione di contadini urbani, tra i venti e poco più di trenta anni, con nessuna tradizione contadina alle spalle, senza terra e capitali ma con la voglia di sperimentare qualunque coltura e in qualunque posto. Per la maggior parte utilizzano una pluralità di lotti di bassa qualità attraverso accordi con proprietari di terreni che li sostengono in ►

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Architettura

cambio di una parte del raccolto. Le città sono diventate degli incubatori per gli agricoltori urbani che possono contare anche su opportunità addizionali di reddito non agricolo e sostegno sociale. A Todmorden, un comune dell’Inghiliterra, gli abitanti coltivano i propri ortaggi in ogni luogo pubblico che lo permetta con l’obiettivo di diventare completamente autosufficienti nel giro di pochi anni. Il progetto si chiama Incredible Edible (incredibilmente commestibile) e si prefigge di rendere Todmorden autosufficiente per frutta e verdura entro il 2018. Quel che colpisce di più è l’armonia con cui il progetto procede, nessuno raccoglie più di quanto gli è necessario e le aiuole sono ovunque anche in luoghi insoliti come davanti alla stazione di polizia, al comune, o addirittura nel cimitero. Incredible Edible è anche un progetto di educazione alimentare, sono infatti attivi diversi corsi e lezioni sull’orticoltura e su come conservare i raccolti. L’iniziativa ha sicuramente fatto notizia ed in Inghilterra sono gia 21 i comuni che stanno iniziando a sperimentare dei progetti di questo tipo.

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Sociologia

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Londra, ricca di verde e di parchi, ha voluto lanciare una nuova iniziativa: quella dei “parchi tascabili”: i “Pocket Parks”. Non più grandi di un campo da tennis sorgono con l’obiettivo di migliorare alcune aree compromesse dallo sviluppo urbano. Conterranno spazi per far giocare i bambini, zone di relax, attrazioni e vasti angoli per le coltivazioni bio di frutta e verdura e per la raccolta dell’acqua piovana. NonoFigura 7.2 - L’urbanizzazione stante l’inquinamento e il paesaggio comprenderà strutture e funzioni urbano possa sembrarci poco adatto, sia dei processi rurali che di quelli si sta facendo invece strada la cosiddeturbani. Assieme a diverse pratiche ta “apicoltura di città”. Sono davvero agricole come la rotazione delle tanti i posti dedicati alla produzione colture, dei prati, dei pascoli, degli orti di miele: dai balconi di Londra ai grat- e dei frutteti introdurrà la coltivazione tacieli di New York. C’è anche un mieagricola in balconi, case, giardini, le pregiato prodotto negli alveari posti parchi e giardini comunali. sui tetti del Grand Palais di Parigi. Dal 2010, quando l’amministrazione di New York ha eliminato il bando all’allevamento delle api da miele si calcola che sui tetti newyorchesi siano state installate oltre quattrocento arnie. Si


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contano ormai una ventina di club ufficiali di apicoltura e lo scorso settembre 2013 si è anche tenuto il New York City Honey Festival. Proprio il Brooklyn Grange, il più grande giardino pensile di New York, ospita la maggiore installazione cittadina di arnie e grazie anche a un programma di crowdfunding è anche stato avviato un progetto per la selezione genetica di api adatte all’ambiente urbano di New York. In Italia, invece, esistono le cosiddette “città del miele” dove la qualità della vita è misurata proprio dalla presenza delle api, preziose perché contribuiscono a difendere la biodiversità, favorendo l’impollinazione e quindi la sopravvivenza delle numerose specie vegetali che vivono nella città. Per concludere possiamo dire che in una società in cui urbano e rurale sembrano sempre più confondersi, credo sia importante costruire i nuovi ambiti a partire da quegli spazi di natura

Il tema del numero

Anemos neuroscienze

nei quali l’agricoltura non solo è viva, ma si rinnova. Occorre per questo creare ambiti adatti a soddisfare i bisogni dei cittadini, sia per le produzioni alimentari sia per le attività di tempo libero perché possano costituire l’agorà di una società multiculturale. Nel riscoprire il Genius Loci, senza idolatrare le radici ed escludere lo straniero, dobbiamo tenere a mente che l’identità si costituisce nella diversità e l’ospitalità è più antica di ogni frontiera. Le campagne urbane ben si prestano ad accogliere l’arrivo di migranti, per inserirli in un grande flusso demografico di ripopolamento delle aree interne e di valorizzazione dell’agricoltura. Succede già nelle campagne d’Emilia dove le produzioni di Parmigiano Reggiano sarebbero in crisi senza la presenza di indiani e pachistani. Nelle terre d’Italia, per secoli si è sviluppata un’agricoltura che ha reso ricche le nostre tante città ed ha consentito il fiorire dell’artigianato, della mercatura, dell’arte. Ancora oggi quelle terre potrebbero accogliere e proteggere in forme nuove, la straordinaria biodiversità agricola del nostro paese. Nell’attività del fare infine dovremmo riconoscerci come costruttori e assieme manutentori dei territori che abitiamo, dovremo avere come ci ricorda Massimo Venturi Ferriolo “un comportamento etico”. Ethos, che in origine, aveva il significato di tana, stalla, luogo che l’uomo, in quanto costruttore, si era costruito per abitarvi. In questa attività incessante nell’ethos, nel luogo dell’abitare, ciascuno ha la propria parte, e questo è il nomos, che per noi significa la legge, la norma, la consuetudine che

è diventata legge, ma in origine, per gli antichi greci, era il pascolo, cioè la parte che veniva attribuita a ciascuno nell’ethos per la propria sopravvivenza. Vi è quindi un rapporto di partecipazione, nel significato proprio di avere parte, cioè ogni uomo partecipa del proprio luogo, ha una responsabilità verso esso, che è quella che chiameremo responsabilità etica. Quindi non c’è etica senza luogo, cioè l’etica nasce dal luogo e con il luogo.

Gilles Clément, Manifesto del Terzo paesaggio Quodlibet, 2005

Rob Hopkins Manuale Pratico della Transizione Il filo verde di Arianna, 2009

Gilles Clément, Il giardino in movimento Quodlibet, 2011Pierre Donadieu

Massimo Venturi Ferriolo, Etiche del paesaggio Il progetto del mondo umano. Editori Riuniti, 2002

Vitaliano Biondi. Architetto, si occupa di architettura, giardini, paesaggio ed eventi culturali. Suoi lavori sono stati esposti alla Biennale di Venezia, al Beaubourg ed al Grand Palais di Parigi.

“…vorrei che mi fosse cara la campagna, / l’acqua che scorre nelle valli /e potessi con umiltà / amare le foreste, i fiumi. / Felice chi si avvicina al cuore delle cose / e calpesta la paura d’ogni paura, / il fato inesorabile, / il frastuono ossessivo di Acheronte”. Publio Virgilio Marone, Georgiche, libri II, 490-492 ♦

Indicazioni bibliografiche

Pierre Donadieu, Campagne urbane. Una nuova proposta di paesaggio della città Donzelli 2006

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Storia della scienza

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sPAZIO-TEMPO Introduzione alla fisica dello spazio e del tempo

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Anemos neuroscienze

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parole chiave. Spazio, tempo, fisica, relatività, dimensioni. Abstract. Il seguente articolo è una breve descrizione dell'evoluzione del concetto di tempo e spazio nella fisica a partire da Galileo, fino ad arrivare alle attuali teorie basate sulla teoria della relatività di Einstein, quadro di riferimento ancora attuale nella fisica contemporanea nonostante l'affacciarsi di altre teorie in fasi di studio. Il contributo di storia della scienza viene presentato a supporto e come approfondimento della concezione del tempo trattata in tutta la serie di articoli precedenti in questo numero monografico.

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ntroduzione. La fisica (dal Greco physis, cioè natura) è la scienza che studia i fenomeni naturali, ovvero tutti gli eventi descrivibili da grandezze che possono essere misurate tramite strumenti opportuni. Cerca quindi di trovare le leggi e i principi che regolano le interazioni tra queste grandezze, e generalmente queste leggi sono espresse in formule matematiche. Lo spazio e il tempo sono, assieme alla massa, tra le poche grandezze fondamentali in fisica, non possono cioè essere definite tramite altre quantità ma possono essere misurate sperimentalmente. Lo spazio in senso fisico viene inizialmente introdotto da Euclide nel terzo secolo a.c., è lo spazio della nostra esperienza quotidiana, descritto dalla geometria elementare, detta appunto euclidea. Nella fisica classica vi sono tre coordinate spaziali ed una temporale ed il tempo è una quantità assoluta uguale in tutti i sistemi di riferimento e indipendente dallo spazio governato dalla geometria euclidea. Nella teoria della relatività di Einstein il tempo e lo spazio sono intimamente connessi, il tempo dipende dal sistema di riferimento. L’interdipendenza tra spazio e tempo viene descritto dalla matematica (non euclidea) di H. Minkowski. Il metodo scientifico galile-

iano. La fisica così come è oggi concepita, si basa sul metodo scientifico sperimentale introdotto da Galileo Galilei all’inizio del 1600. Si osserva un evento: ciò che si verifica in un certo momento in un certo posto a seguito di un certo fenomeno. Si formulano delle ipotesi interpretative del fenomeno la cui validità viene messa alla prova tramite esperimenti: 1) si registrano i dati prodotti dagli eventi; 2) se si osserva una regolarità ricorrente nei dati si enuncia una legge espressa attraverso il linguaggio matematico; 3) si costruisce una teoria che inglobi queste leggi e spieghi il fenomeno alla base degli eventi osservati; 4) si accetta la teoria quando questa e` in grado di prevedere il risultato di eventi non ancora osservati. Le teorie della fisica spiegano come avvengono i fenomeni, non sono ancora in grado di spiegare perchè essi avvengano! La scienza moderna comincia con l'assunto fondamentale, dovuto a Galileo Galilei, che le leggi della fisica abbiano la stessa forma matematica rispetto a qualunque sistema di riferimento nel quale valga il principio di inerzia1. Questo assunto definito nel 1609, è oggi chiamato principio di relatività galileiano, ed è tuttora valido.

APPROFONDIMENTI

di Monica Bertani In 1

Il sistema di riferimento è definito da tre assi di coordinate spaziali (x,y,z) mentre il tempo è una quantità assoluta che scorre indipendentemente. Lo spazio e il tempo di Newton. Prima di sviluppare una teoria dobbiamo prima stabilire cosa si intende per “ad un certo momento in un certo posto”. Nello stesso anno, il 1642, in cui in Italia moriva Galileo in Inghilterra nasceva lsaac Newton, un altro genio della fisica che continuò la rivoluzione scientifica galileiana elaborando e dando una formulazione matematica alle intuizioni di Galileo. Nei suoi Principi Matematici della Filosofia Naturale Newton tratta lo spazio e il tempo come entità assolute e immobili, che hanno cioè valore indipendentemente dal sistema di riferimento utilizzato. In questo Universo rigido e inalterabile il rapporto tra lo Spazio ed il Tempo è la velocità v: v = S/T e la velocità non ha un limite, può raggiungere un valore infinito. Newton è anche il padre della legge della gravitazione universale, la legge della fisica che spiega, allo stesso tempo, la caduta in verticale di una mela dall’albero, attratta dalla Terra, ed i moti reciproci dei corpi celesti: la ►

Il principio di inerzia di Galileo costituisce il primo principio della dinamica di Newton: un corpo mantiene il proprio stato di quiete o di moto rettilineo uniforme, finché una forza non agisce su di esso.

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Storia della scienza

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Luna attorno alla Terra e la Luna e la Terra insieme attorno al sole. Newton dall’osservazione della caduta dei corpi formula nel 1687 la legge di gravitazione universale: Fg = Gm1m2 r2 Questa legge dice che tra due masse puntiformi m1 e m2 si esercita sempre una forza attrattiva proporzionale al prodotto delle loro masse e inversamente proporzionale al quadrato della loro distanza. Fg è la forza ( la cui unità di misura è il Newton, N) e G la costante di gravitazione universale, che ha un valore di 6,674*10 11 Nm2kg-2 La legge di Newton è fondamento della meccanica classica e continua ad essere utilizzata come eccellente approssimazione degli effetti della gravità e descrive i fenomeni fisici per corpi che viaggiano a velocità molto minori della velocità della luce. La teoria della relatività ristretta ed il concetto di spazio-tempo. Bisogna aspettare fino all’inizio del 1900 per assistere ad una

analoga rivoluzione scientifica quando Einstein sviluppa l’affascinante teoria della Relatività Ristretta che parte da un concetto rivoluzionario della connessione tra Spazio e Tempo e porta al passaggio dalla fisica classica di Galileo e Newton alla fisica moderna. Fondamento della teoria è il postulato che la velocità della luce è la massima velocità raggiungibile da qualunque agente fisico ed è costante in ogni sistema di riferimento: c = 300.000 km/s c, dal latino celeritas, indica la velocità della luce. Da questo postulato ne segue che lo spazio e il tempo sono strettamente connessi tra loro, il loro legame è dato proprio da c. Facciamo l’esempio di una lampadina su un treno che si muove a una velocità v. La luce emessa dalla lampadina, vista da un osservatore fermo in stazione non potrà essere, come afferma Galileo, la soma c’ della sua velocità v con c: c’ = c+v, ma sarà sempre c!

Fra spazio, tempo e velocità è la velocità (cioè il rapporto fra lo spazio e il tempo impiegato a percorrerlo) e non il tempo o lo spazio, ad assumere un carattere universale e immutabile: la velocità della luce c è la stessa in ogni sistema di riferimento, lo spazio ed il tempo invece sono relativi, dipendono dal movimento del sistema di riferimento in cui si considera l’evento. E allora, se c è la velocità massima raggiungibile dei viaggiatori relativistici che raggiungono velocità prossime a c sperimenteranno i fenomeni della dilatazione dei tempi e della contrazione delle lunghezze: Dilatazione dei tempi. Un orologio in movimento ritarda sempre rispetto ad un altro, identico, fermo rispetto all’osservatore. Questo rallentamento dello scorrere del tempo corrisponde ad una dilatazione dei tempi: due eventi, contemporanei per un osservatore in quiete, non lo saranno più per un osservatore che si muova rispetto al primo. Per ogni osservatore il tic-tac del proprio orologio batterà sempre con la stessa velocità ma tanto maggiore sarà la velocità relativa dei due

Figura 8.1 - Rappresentazione grafica in tre dimensioni dello spazio-tempo ideata da Minkoswki: si definisce un cono di luce attorno all’asse del tempo: quello superiore determina il futuro, quello inferiore il passato.

futuro

presente

passato

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TEMPO

spazio


Anemos neuroscienze

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Figura 8.2 - Qui a fianco

piu nota e importante della fisica che ha aperto la strada alla fisica moderna, ma purtroppo uno degli usi che ne ha fatto l’uomo è stato come noto assai disastroso.

osservatori tanto più lento apparirà il tic-tac dell’orologio dell’altro.

lungo di quelle ferme. E = mc2

Contrazione delle lunghezze. Analogamente per lo spazio, un oggetto che si muove a velocità prossima a quella della luce appare ad un osservatore in quiete, più corto rispetto alle dimensioni dell’oggetto medesimo da fermo.Se un autobus ci passa davanti ad una velocità pari al 90% di c (270000km/s!) secondo la teoria della relatività osserveremo che la lunghezza dell’autobus si è ridotta del 44%! (rispetto alle dimensioni da fermo). E se ci troviamo dentro l’autobus? Vediamo il nostro corpo ridotto del 44%? No, vediamo tutto ciò che c’è sull’autobus esattamente come sempre… tuttavia vediamo tutto ciò che sta fuori (case, alberi, ecc.) ridotto del 44%! Il paradosso dei gemelli. E nasce così il famoso paradosso dei gemelli: un viaggiatore relativistico rimane piu` giovane del fratello gemello rimasto fermo. Il fenomeno, spesso utilizzato nella letteratura fantascientifica, è invece reale, verificato sperimentalmente con le particelle accelerate a velocità prossime a quella della luce: si è constatatato che esse vivono più a

Così come spazio e tempo sono strettamente correlati fra loro, anche massa ed energia sono correlati: acceleriamo sempre di più una particella per portarla il più vicino possible alla velocità della luce. Avvicinandoci a questo limite l’energia spesa si trasforma sempre più in massa aumentando quindi la massa della particella stessa. La formula che lega masse ed energia è la più famosa formula di fisica al mondo: E = mc2 dove E è l’energia, m la massa della particella e c2 è la velocità della luce al quadrato. Se alla fine la particella raggiungesse la velocità della luce dovrebbe avere una massa infinita, ma ciò non è possibile! L’unica particella a cui è concesso di viaggiare alla velocità della luce è il fotone (che è appunto un quanto di luce ed è quindi il costituente della luce) ma il fotone ha massa nulla e viaggia sempre e solo a c! La formula di Einstein (settembre 1905) ci dice in poche parole che ad una piccola massa corrisponde una grandissima energia dato che c è una costante molto grande! È sì la formula

La teoria della relatività generale e l’origine dello spazio-tempo. Con la teoria della Relatività Generale (1917) Einstein elaborò una nuova fisica valida sia cosmologicamente che microscopiacamente. Il tempo e lo spazio si fondono in un unico spazio-tempo che ha una struttura incurvata dalla interazione delle masse gravitazionali. La gravità non è vista più come una forza che si esercita a distanza fra due corpi di una certa massa (Newton) ma è dovuta alla deformazione dello spaziotempo, detta curvatura, causata dalla presenza di una massa. Una massa più piccola si muove allora come effetto di questa curvatura. La prima prova indiretta della validità di questa teoria fu l’osservazione durante un’eclisse solare nel 1919, della deviazione del percorso dei raggi solari causata dalla gravità del Sole. È possible pensare ad un origine dello spazio-tempo? La teoria della relatività generale prevede che l’Universo abbia avuto origine dal big bang primordiale. Osservazioni sul moto delle galassie confermano tale previsione. Al momento del big bang spazio e tempo hanno avuto inizio e con essi tutte le particelle che costituiscono l’Universo. ♦

Indicazioni bibliografiche G. Galilei, Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo, 1632, in G. Galilei Opere, vol II, UTET, Torino, 1980 Newton, Principi Matematici della filosofia naturale UTET, Torino, 1965 H.A. Lorents, A. Einstein, H. Minkowsi, H. Weil, The principle of relativity: a collection of original memoirs on the special and general theory of relativity Dover Pu-

APPROFONDIMENTI

rappresentazione della curvatura dello spazio-tempo di Einstein dovuta alla presenza di una massa, rappresentata in questo caso da una stella.

blication, New York (1952) A. Einstein, trad. Relatività: esposizione divulgativa e scritti classici su Spazio Geometria Fisica, Bollati Boringhieri, Torino (1994) A. Pais, Einstein è vissuto qui, Bollati Boringhieri, Torino (1994) S. Hawking, Dal Big Bang ai Buchi Neri. Breve storia del tempo, BUR (1998)

Monica Bertani. Laureata in fisica all’Università di Bologna, ha conseguito il dottorato di ricerca all’Università di Ferrara ed è ricercatrice presso i Laboratori Nazionali di Frascati dell’INFN. Ha svolto attività di ricerca in fisica delle particelle subnucleari agli acceleratori, dapprima al Fermilab di Chicago, poi ad ADONE e DAFNE di Frascati ed ora al BEPCII di Pechino.

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concorso sno-anemos

Regolamento concorso per tesi di laurea, specializzazione e dottorato in neuroscienze

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a Società di Neuroscienze Ospedaliere (SNO) e la Libera Università di Neuroscienze Anemos (Anemos) bandiscono un concorso per la selezione di tesi inerenti le neuroscienze e le discipline affini. 1. Gli elaborati possono essere tesi di laurea, di specializzazione, di dottorato o di master specialistici. 2. Gli estensori possono essere di nazionalità italiana o straniera ed i testi possono essere redatti in lingua italiana o inglese. 3. Non vi sono limiti di estensione di testo, di tabelle, di immagini, di schemi o di disegni. 4. La bibliografia deve essere inserita e redatta secondo quanto stabilito dalle norme editoriali di “Progress in Neuroscience” (www. progressneuroscience.com), pena l’esclusione dal concorso. 5. Gli elaborati devono essere inviati in formato PDF a: - redazione@bollettinosno.it e - ruini@anemoscns.it Inoltre, una copia cartacea deve essere inviata alla “Biblioteca del Centro di Neuroscienze Anemos” (via M. Ruini 6, 42100 Reggio Emilia). Tutte le tesi inviate saranno liberamente disponibili per essere consultate dagli studiosi presso la Biblioteca stessa. 6. L’invio della tesi deve essere accompagnato da una liberatoria

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da parte del tutor e della direzione dell’Istituto di appartenenza. Inoltre, vanno inviati i dati personali dell’estensore (nominativo, data di nascita, indirizzo per la corrispondenza, e-mail, cellulare, Istituto di riferimento, nome del tutor) e la dichiarazione che l’elaborato è originale e non è ancora stato integralmente pubblicato né a stampa né in formato elettronico. 7. Le tesi devono essere state presentate e discusse nell’arco degli anni 2011-2012. 8. Le tesi saranno valutate da una Commissione selezionatrice composta da 3 membri delegati da SNO (più il Presidente di SNO) e 3 membri delegati da Anemos (più il Direttore di Anemos). 9. La Commissione può premiare al massimo 3 tesi ed il premio consiste nella pubblicazione a stampa delle tesi stesse in una collana dedicata dotata di codice internazionale ISBN. All’autore sarà fornito anche un congruo numero di volumi stampati per uso personale. 10. Se nessuno degli elaborati presentati sarà ritenuto degno di pubblicazione il Concorso si chiuderà senza la selezione di un vincitore. Dell’esito della competizione verrà data comunicazione sugli organi d’informazione di SNO e di Anemos. 11. I vincitori vengono premiati con la pubblicazione dell’elaborato, ma non acquisiscono eventuali diritti

d’autore inerenti la pubblicazione stessa. 11. I vincitori si impegnano a fornire direttamente all’Editore il testo ed il materiale iconografico allegato secondo le modalità stabilite dalle norme editoriali di “Progress in Neuroscience” (www. progressneuroscience.com). Se il materiale presentato non rientra in queste modalità, decadrà l’impegno di pubblicazione da parte di SNO ed Anemos. 12. È data facoltà all’estensore della tesi, nel momento dell’eventuale selezione per la stampa, di segnalare e richiedere l’inserimento di coautori del suo gruppo di ricerca. Quanto riferito in merito ad obblighi e restrizioni al primo autore si estende anche sugli eventuali coautori. 13. I volumi saranno presentati ufficialmente in occasione del prossimo Congresso Nazionale SNO, che si terrà a Firenze nel maggio del 2013. I vincitori saranno ospiti del Congresso, ma dovranno predisporre una comunicazione, inerente il loro elaborato, di circa 30 minuti, da esporre ai convenuti. 14. Per ogni dubbio o controversia è competente, in modo insindacabile, il Consiglio Direttivo SNO. ■


Poesie, nuove proposte Dell’istituzione Se trascendi allora esci fuori e rischi rimanere senza potere l’orso che pesca le tasse non paga intanto che sbava e dà al salmone la caccia remando possente contro corrente e se multa arriverà insieme alla carne cruda forse l’ingoierà e anche io seppure la scaldo a fuoco lento ho bruciate le inevitabili pene che un solerte im-piegato ha spedite a piagare di noi le misere vite.

O la borsa o la vita Perché qui dimora il tarlo Si va avanti ad abbatter barriere senza vedere i letti dei fiumi e l’acque melmose si prendono vite tacite, a decine, a migliaia Si libera il mondo con le bombe che sarà tutto futuro da costruire per chi potrà portare il costo dello sfacelo in filigrana posto. [...]

Proiettarsi all’indietro Proiettarsi all’indietro vedere alle spalle, ruzzolare a valle e vedere ciò che non è o meglio, non può essere senza l’alito del pensiero o un improbabile intervento divino, senza la voglia di capire o la necessità di creare. [...]

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(Golfo di , accademico Karl Enrst von Baer ritrovato ed esploratore che ha nato il labirinto e ne ha diseg vediamo la come così a form la riportata, nell’illustrazione sopra La ne birin incli scrive : “L’uomo è così ndeg to forma ia dellatosua a lasciare una tracc sulldo’i gianti, sc to da pie quan e colar sola parti tre in oper esistenza, (G può non olfo d disabita to nel 1 se si ritrova da solo, che 83 ta i almenoKarl En Finland di Wier 8 scrivere sulle roccie ia r st ). ed -es stato qui plora von Baer traccia il suo - Sono to il , r a a, la e rocci cc di birin che h adem con frammenti ico ssore succela form to e ne h a ritrov senza curarsi se il suo ato a così ad nell’ sia stato com isegna illu potrà indovinare chi scriv strazio e la ved to e”. ne e ia il costruttor a lasc : “L’uom sopra r mo ip o ia esiste re una è così in ortata, ed stone cl tr n “On labyrinth-shap h”rit za, in p accia d ine si Nort ian Russ the in ella arti ro layouts , 1842sc. riv va da so colare q sua Karl Ernst von Baer er lo uand tracc e sulle r , che se o no occ ia con fr il suo - ie almen n può S a o senza mmenti ono stato d q cu Euro i u r r i occia arsi - OS potrà ANEM 8,00 se , il cost indovina il suo su cc re ch rutto i sia essore re”. Euro 8,00 stato ANEM “On OS la layou byrinth -s ts Karl in the R haped st one Ernst ussia n von Baer North” , 184 Euro 2. 8,00

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Gli Editori

L'Associazione Anemos

Presidente: dr. Marco Ruini

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’Associazione culturale e di volontariato Anemos, fondata nel marzo 2009, nasce per coordinare e ampliare le attività di volontariato sociale di un gruppo di amici di Novellara (RE), nonchè le attività culturali del Centro di Neuroscienze Anemos, l’attività editoriale scientifica in collaborazione con la casa editrice New Magazine Edizioni e con la casa editrice La Clessidra. Tra i vari campi d’attività accennati: ♦ Libera Università di Neuroscienze Anemos: organizza convegni, seminari e corsi multidisciplinari sul tema delle neuroscienze in collaborazione con La Clessidra Editrice (vedi testo sotto). Pubblicazione della rivista «Neuroscienze Anemos» ♦ “Libri Anemos”. Attività editoriale con la Casa Editrice New Magazine con una collana di Neuroscienze e una collana di Narrativa e Poesia ♦ Biblioteca di Neuroscienze Anemos ♦ Promozione e valorizzazione di giovani artisti ♦ Programmi di volontariato sociale nei paesi in via di sviluppo e in Italia

www.associazioneanemos.org

La Clessidra Editrice Direzione editoriale: Davide Donadio Tommy Manfredini

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ell’autunno del 2010 è nato il progetto «Neuroscienze Anemos», trimestrale di neuroscienze, scienze cognitive, psicologia clinica e filosofia della mente. Il periodico di divulgazione scientifica, distribuito gratuitamente nelle biblioteche pubbliche della provincia di Reggio Emilia e Mantova e in altri circuiti distributivi, si sviluppa in stretta correlazione con La Clessidra Editrice, giovane casa editrice Reggiana (con sede a Reggiolo, RE) nata in un contesto di associazionismo culturale nel 2004 e costituitasi come casa editrice nel 2006. ditrice La Clessidra è specializzata in editoria periodica locale e settoriale. La giovane casa editrice raduna intorno a sé un attivo gruppo di intellettuali, collaboratori abituali e occasionali, che agiscono oltre la sfera dell'editoria. otto questo aspetto, le attività promosse dall'editore contribuiscono ad alimentare il dibattito sulla contemporaneità, non solo presentando e divulgando la propria attività e quella di altri operatori culturali, ma anche promuovendo convegni e seminari (riguardanti l'ambito scientifico e le scienze umane) , divulgando l'attività di artisti, scrittori, studiosi di varie discipline.

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Le Clessidra Editrice. Redazione editrice e della rivista: via XXV aprile, 33 - 42046 Reggiolo (RE) tel. 0522 210183


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