ISSN 2281-0994
Trimestrale culturale a diffusione gratuita - Gen-Mar 2013 ♦ anno III - numero 8
Anemos neuroscienze
trimestrale di neuroscienze, scienze cognitive, psicologia clinica e filosofia della mente
IL CERVELLO CHE PARLA NEUROSCIENZE E PSICOLINGUISTICA
La lingua, le lingue, il linguaggio, tra neuroscienze, questioni sociologiche e didattica delle lingue straniere
Dialogare nell'era web 2.0 Le emergenze, intese come fenomeni sociali rilevanti, che l'impiego dei nuovi strumenti di comunicazione (PC, cellulari, tablet, ecc.) ha introdotto nella vita di ognuno di noi
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Neurochirurgia
I tumori spinali pediatrici sono rari ma il loro trattamento è impegnativo poiché è necessario confrontarsi con la preservazione della colonna vertebrale nella fase della crescita
Potrete contribuire così con le vostre idee
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CENTRO DI NEUROSCIENZE ANEMOS Direttore sanitario: Dott. Marco Ruini
AREA DI PSICOLOGIA CLINICA PSICOLOGIA CLINICA Psicodiagnosi (Dott.ssa Laura Torricelli) Psicoterapia individuale (Dott.ssa Giorgia Maestri) Psicoterapia di coppia e famigliare (Dott Federico Gasparini) Psicotraumatologia e EMDR (Dott.ssa Federica Maldini) Mindfulness (Dott.ssa Laura Torricelli) NEUROPSICOLOGIA ADULTI (Dott.ssa Caterina Barletta Rodolfi, Dott. Federico Gasparini) NEUROPSICOLOGIA dello SVILUPPO (Dott.ssa Lisa Faietti, Dott.ssa Linda Iotti) AREA DI PSICHIATRIA
Dott. Arcangelo Dell’Anna (psicoanalista) Dott. Giuseppe Cupello Dott. Raffaele Bertolini
AREA DI OCULISTICA Dott. Valeriano Gilioli
SERVIZIO DI NEUROCHIRURGIA
Dr. Marco Ruini: Responsabile del servizio Dr. Marco Ruini: Neurochirurgo, Patologia del rachide e cerebrale Dr. Davide Guasti: Ortopedico, Tecniche mininvasive sul rachide Dr. Andrea Veroni: Neurochirurgo, Patologia del rachide nell’anziano Dr. Andrea Seghedoni: Neurochirurgo, Instabilità del rachide Dott.ssa Alessandra Isidori: Neurochirurgo, Patologia del rachide e cerebrale
Collaboratori:
Dr. Ignazio Borghesi, Neurochirurgo Prof. Vitaliano Nizzoli, Neurochirurgo Prof. Lorenzo Genitori, Neurochirurgia Pediatrica Dr. Bruno Zanotti, Neurochirurgo
SERVIZIO DI TERAPIA ANTALGICA
Dr. Roberto Bianco, Anestesista, Terapia infiltrativa, Agopuntura Dr. Ezio Gulli, Anestesista, Terapia infiltrativa Dr. Davide Guasti, Ortopedico, Trattamenti mininvasivi
faccette articolari e intradiscali
SERVIZIO DI RIABILITAZIONE E RIEDUCAZIONE FUNZIONALE Dr. Rocco Ferrari, Chiroterapia Dr. Raffaele Zoboli, Fisiatra SERVIZIO DI NEUROLOGIA E DI NEUROFISIOLOGIA Dr. Mario Baratti, Neurologo, Elettromiografia e Potenziali evocati Dott. Devetak Massimiliano, Neurologo, doppler tronchi sovraortici e transcranico ANEMOS | Centro Servizi di Neuroscienze Poliambulatorio Medico | Libera Università | Ass. Culturale Via Meuccio Ruini, 6 | 42124 Reggio Emilia tel. 0522 922052 | Fax 0522 517538 | www.anemoscns.it info@anemoscns.it | www.associazioneanemos.org
Centro di riferimento: Centro di Neuroscienze Anemos, Reggio Emilia. Centri Ospedalieri per la Neurochirurgia del rachide e le tecniche mininvasive: Casa di Cura Salus Hospital (Re), Ospedale di Suzzara (Mn), Casa di Cura San Clemente (Mn), Casa di Cura Villa Maria Cecilia di Cotignola (Ra). Ambulatori: Reggio Emilia, Correggio, Guastalla, Reggiolo, Suzzara, Poggio Rusco, Mantova, Carpi, Modena, Fiorenzuola, Olbia e Roma.
Gen-Mar 2013 | anno III - numero 8
Linguaggio, tra scienze biologiche e sociali
Anemos neuroscienze
Editoriale
E
sce, con una gestazione un po' più lunga del consueto, il numero di «Neuroscienze Anemos» del nuovo anno. Tema dominante è il filo che lega il complesso fenomeno del linguaggio alle neuroscienze. Occasione per la pubblicazione degli articoli che seguono è stata la serie di lezioni/dialogo tenutesi nel dicembre 2012, organizzate da la Libera Università di Neuroscienze Anemos e La Clessidra Editrice, presso il Centro Internazionale Loris Malaguzzi di Reggio Emilia, in collaborazione con Reggio Children, meritevole istituzione nel campo psico-pedagogico della prima infanzia. Il primo degli interventi è la sintesi della relazione tenuta dal dott. Enrico Ghidoni, neurologo, docente di Neuropsicologia e Neurolinguistica presso l'Università di Modena e Reggio Emilia. L'intervento è una utile introduzione alla visione neuroscientifica del linguaggio e alle tante implicazioni sociologiche e psicologiche che la lingua porta con sè. Nel testo si risponde a domande quali: in che aree si localizzano il controllo dei fenomeni linguistici? Esiste una base biologica alla distinzione fonologica, morfologica, sintattica e semantica del linguaggio? Secondo intervento dello speciale è il testo della dott.ssa Linda Torresin, dottoranda di ricerca presso l'Università Ca' Foscari di Venezia. Si tratta in questo testo, in senso lato, di didattica delle lingue straniere, argomento quanto mai attuale in un mondo sempre più multiculturale e multietnico. Segue l'intervento dello scrittore e giornalista Adriano Amati, attivo intellettuale mantovano e collaboratore della nostra casa editrice, che ripropone l'attualissimo tema del dialogo nell'epoca del web 2.0. Chiude lo speciale una discussione del filosofo Antonio Petrucci, abilmente dissimulata nell'ironia ma contemporaneamente seria, sul ruolo della chiacchiera e sui risvolti sociologici e filosofici di un certo modo di usare "socialmente" il linguaggio. In coda al numero si pubblica un importante articolo di carattere medico, non inedito: si tratta dell'analisi retrospettiva con follow up prospettico dei pazienti trattati per tumore spinale presso l’unità di Neurochirurgia Pediatrica dell’Ospedale Pediatrico “Anna Meyer” di Firenze in un periodo di diciassette anni. Si tratta di una patologia rara, ma dai numeri significativi e che pone importanti problemi diagnostici e di trattamento; è pertanto un bene conoscerla per l'alta frequenza in età giovanile, periodo della vita che vediamo erroneamente più libero da malattie e problemi.■ Gli Editori La Clessidra Editrice Libera Università di Neuroscienze Anemos
Si possono inviare proposte di articoli, segnalazioni di eventi, commenti o altro all’indirizzo redazione@neuroscienzeanemos.it
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SOMMARIO
IL CERVELLO CHE PARLA Editore: Editrice La Clessidra / Anemos Redazione Via 25 aprile, 33 42046 Reggiolo (RE) info@neuroscienzeanemos.it Tel 0522 210183 Direttore Responsabile Davide Donadio
La lingua, le lingue, il linguaggio, tra neuroscienze, questioni sociologiche e didattica delle lingue straniere
Rubriche
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Direttore Scientifico Marco Ruini
Comitato scientifico*
Alessandro Genitori Lorenzo Genitori Enrico Ghidoni Franco Prandi Laura Torricelli Bruno Zanotti
Litio e neurogenesi ▪ Accurati o frettolosi? ▪ Il cervello degli atleti ▪ In breve
Redazione: Adriano Amati, Marco Barbieri, Tommy Manfredini, Paola Torelli.
Laura Andrao Massimo Barberi Ignazio Borghesi Claudio Brigati Alessandro Carlini Giuseppe Cupello Pinuccia Fagandini
Neuronews
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L'uomo macchina Barocco 2.0
di Davide Donadio
Hanno inoltre collaborato: Antonio Petrucci, Milo Neri, Linda Torresin.
Coordinamento Regionale Neurochirurgia Pediatrica Barbara Spacca, Flavio Giordano, Federico Mussa, Mirko Scagnet, Regina Mura, Michele Parolin, Massimiliano Sanzo, Luigi Sardo, Pierarturo Donati
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Diario di bordo Il filo rosso dell'isteria di Arcangelo Dell'Anna
Luogo di stampa
E.Lui Tipografia - Reggiolo (RE) Registrazione n. 1244 del 01/02/2011 Tribunale di Reggio Emilia Iconografia: alcune immagini presenti in «Neuroscienze Anemos» sono tratte da siti internet contenenti banche dati di immagini di libero utilizzo. Qualora vi fossero stati errori e omissioni relativi al diritto d’autore l’editore rimane a disposizione per sanare la sua posizione.
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* Il comitato scientifico è composto da persone che partecipano a vario titolo e con continuità differente alle attività organizzate dalla Libera Università di Neuroscienze Anemos e di La Clessidra Editrice.
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MusicalMente
Il più melodico dei compositori: Franz Schubert di Lorenzo Genitori
Anemos neuroscienze
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Neuroscienze / Linguistica Neuroscienze e linguaggio
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di Enrico Ghidoni
Psicologia / Linguistica Vademecum del poliglotta moderno di Linda Torresin
30
Sociologia / Psicologia Dialogare al tempo di sms e tweet di Adriano Amati
38
Filosofia / Psicologia sociale Sociologia della chiacchiera
di Antonio Petrucci
Altri approfondimenti
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AttualitĂ / Neuroscienze
44
Neurologia / Medicina
La scomparsa di Rita Levi Montalcini
I tumori spinali in etĂ pediatrica di Lorenzo Genitori e altri
Spazio dibattito e altre informazioni 54
Risposta a "Dialogare al tempo di sms e tweet" di Milo Neri
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Concorso Sno-Anemos
neutrali a bersaglio: 55 Da il "sogno" di viaggiare
come reporter di guerra
di Alessandro Genitori
Regolamento concorso
www.neuroscienzeanemos.it
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Neuronews
Gen-Mar 2013 | anno III - numero 8
Rassegna di notizie tra neuroscienza, filosofia e scienze cognitive
Litio e neurogenesi
Il litio, farmaco già utilizzato nel trattamento dei disturbi dell'umore, riduce i deficit cognitivi associati a numerose patologie
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a scoperta, effettuata su topi di laboratorio, è pubblicata sul «Journal of Clinical Investigation» da Laura Gasparini e colleghi dell'Istituto Italiano di Tecnologia di Genova. Somministrando la sostanza ai topi di laboratorio è stata ristabilita la formazione di nuovi neuroni nell'ippocampo, un'area cerebrale che sovrintende ai processi di memoria e di apprendimento. Tale scoperta, se sarà confermata da ulteriori studi in futuro, potrebbe dare il via alla sperimentazione sull'uomo. Ma come si è giunti a tale scoperta? Si è partiti dalla considerazione che nei mammiferi i nuovi neuroni vengono prodotti nel corso di tutta la
vita in due aree: la zona subventricolare (SVZ) e il giro dentato ippocampale (GD), quest'ultimo noto per l'importante ruolo svolto nei processi cognitivi. A questo si aggiunge che i neuroni di nuova formazione sono essenziali per il funzionamento dell'ippocampo perché sono dotati di una maggiore plasticità sinaptica rispetto alle cellule mature preesistenti. Viste tali peculiarità, è nata l'ipotesi che nei topi i neuroni di nuova formazione in fase di maturazione contribuiscano all'elaborazione dell'informazione nel GD e partecipino all'espressione di specifiche forme di apprendimento e formazione dei ricordi dipendenti dall'ippocampo.
Nei topi si è indotta una proliferazione dei “precursori” neuronali attraverso l'attivazione farmacologica di uno specifico percorso biochimico, ripristinando così la neurogenesi adulta nel giro dentato ippocampale fino a livelli fisiologici. Si è successivamente notato un recupero della plasticità sinaptica dei neuroni di recente formazione e un notevole miglioramento delle prestazioni nei test.
Accurati o frettolosi?
Ecco come cambia l'attivazione cerebrale nei due approcci
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ella corteccia prefrontale del cervello e in altre aree, avviene un mutamento di attivazione quando si transita da una situazione in cui sono implicate decisioni meditate e accurate e in situazioni dove occorre una decisione rapida. Questo è quanto sembra a partire da uno studio condotto su primati da Richard Heitz e Jeffrey Schall della Vanderbilt University pubblicato su «Neuron». Viene così smentito l'attuale modello di riferimento che riguarda questa attività del cervello. Prima dello studio di Heitz e Schall, l'analisi del processo decisionale non era mai arrivata a livello di singoli neuroni. Heitz e Schall si sono avvalsi di
un metodo con cui addestrare le scimmie a passare da una decisione lenta e accurata a una rapida, scegliendo uno degli oggetti di un gruppo visualizzati su uno schermo. In una condizione sperimentale, le scimmie hanno imparato che solo una decisione ponderata avrebbe ricevuto una ricompensa. Hanno poi appreso che in certi contesti la decisione andava presa in fretta, anche commettendo qualche errore. In entrambi i casi, i ricercatori hanno monitorato l'attività di singoli neuroni nella corteccia prefrontale, l'area cerebrale deputata ai processi cognitivi di ordine superiore. Dai dati ottenuti è emerso che in tutte e due le condizioni sperimentali inizialmente l'attività della cortec-
cia prefrontale aumentava mentre la scimmia decideva come rispondere. Si sono, tuttavia, manifestate differenze quando l'animale era sottoposto a uno “stress di rapidità”, così che l'attività neurale era amplificata, rispetto a quando le condizioni erano di “stress di accuratezza”, in cui la stessa attività era soppressa. Tutto questo ha permesso di concludere che “una stessa informazione è stata analizzata dal cervello in modi differenti nelle due situazioni di stress” secondo le parole di Schall.
Anemos neuroscienze
Gen-Mar 2013 | anno III - numero 8
Il cervello degli atleti Una ricerca pubblicata su «Scientific Reports» rivela che gli sportivi sono in grado di riconoscere automaticamente i comportamenti scorretti in 4 decimi di secondo grazie ai neuroni specchio
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a ricerca condotta da un team interdisciplinare del Dipartimento di psicologia dell'Università di Milano-Bicocca e dell'Istituto di bioimmagini e fisiologia molecolare del Consiglio nazionale delle ricerche (IBFM-CNR) ha individuato il coinvolgimento anche nella rappresentazione a livello cerebrale delle norme che regolano le azioni complesse trasmesse culturalmente o apprese per imitazione e mediante l'esercizio. Si conosceva questo meccanismo che riguardava il sistema di neuroni specchio nel rappresentare e “rispecchiare” le azioni intenzionali istintuali (afferrare, raccogliere, per esempio), ma non si sospettava che questo potesse riguardare anche la rappresentazione di norme che regolano le azioni complesse come gli sport o le abilità motorie che si apprendono dopo un lungo training, per imitazione. Lo studio (Who needs a referee?
How incorrect basketball actions are automatically detected by basketball players' brain), è stato pubblicato su «Scientific Reports». “Grazie alla tecnica di neuroimmagine swLORETA abbiamo identificato quali popolazioni di neuroni specchio visuo-motori rappresentano le norme che regolano le azioni complesse (in questo caso le regole del basket) da un punto di vista motorio. - ha spiegato alla stampa la professoressa Alice Mado Proverbio, docente di psicobiologia e psicologia fisiologica presso l'ateneo milanese. La regione visiva extrastriata specializzata nel riconoscimento del corpo umano e il solco temporale superiore (che codifica i suoi movimenti e le intenzioni dei giocatori) sembrano rivestire un ruolo fondamentale nell'apprendimento delle regole sportive basate su input visivo”.
InBreve ►►Da staminali neuroni contro Parkinson. Curati i difetti del movimento in scimmie con morbo. Cellule nervose ottenute da staminali adulte hanno risolto i difetti del movimento in scimmie con il morbo di Parkinson. Il risultato, che è stato pubblicato sul «Journal of Clinical Investigation», è opera del gruppo di ricerca giapponese coordinato da Takuya Hayashi, del Centro Riken di Immagini Molecolare a Kobe. ►► Lo sbadiglio è contagioso anche per le scimmie. Anche per i bonobo pare che lo sbadiglio sia contagioso. Questa specie, come la nostra, risponde a uno sbadiglio spalancando a sua volta la bocca, di solito entro un minuto dalla percezione dello stimolo. Ce ne parla una ricerca su «Plos One» che, come detto sopra, ha studiato i bonobo (Pan paniscus), grandi scimmie antropomorfe che vivono in comunità. È noto anche che questa specie mostri un vasto repertorio di comportamenti sociali, di altruismo, consolazione, gioco e interazioni sessuali ricreative. Lo studio, condotto nel parco naturalistico di Apenheul in Olanda, è durato tre mesi e ha coinvolto dodici bonobo, registrando 1.260 sbadigli, 295 dei quali innescati per contagio. ►►Geni e umanità. È la specificità dei meccanismi di regolazione dell’espressione genica nei neuroni a determinare le peculiarità cognitive umane. Uno studio che ha analizzato e confrontato frammenti di cromatina prelevata da cellule nervose della corteccia frontale di esseri umani e di altri primati e pubblicato su «Plos Biology» sembra confermarlo, e pare che i tratti distintivi del cervello umano siano da ricondurre a meccanismi "epigenetici", ovvero a quei meccanismi che regolano l'espressione del DNA, più che ai geni.
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Gen-Mar 2013 | anno III - numero 8
Rassegna di notizie tra neuroscienza, filosofia e scienze cognitive
Le cause dell'ingenuità
Situate nel cervello le cause dell'ingenuità, soprattutto in età senile
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a cronaca riporta spesso casi di truffe ai danni di anziani che vengono ingannati da finti addetti della luce o del gas. Pare che ora vi sia una risposta a questa facilità con cui cadono vittime gli anziani. In soggetti di età avanzata, infatti, sembra sia un po' meno efficiente un'area cerebrale utilizzata per distinguere “l'onestà”. Nello specifico, una ricerca di ambito psicologico condotta da Shelley Taylor dell'Università di Los Angeles (UCLA), e pubblicata su «Proceedings of the National Academy of Sciences» (PNAS), ha cercato di comprendere cosa avvenga sul piano psicologico in questi casi. Taylor ha condotto due studi: nel primo sono stati coinvolti 119 adulti e anziani di 55-84 anni e 24 giovani con un'età media di 23 anni, ai quali ha chiesto di guardare 30 foto di facce e giudicare quanto secondo loro sembrassero persone fidate, affidabili e avvicinabili senza correre rischi. Gli anziani non sono capaci di capire l'affidabilità delle persone solo dal volto, anche quando queste hanno marcatamente (e socialmente) un aspetto poco rassicurante. Così, dal secondo studio (su 23 anziani di 55-80 anni e 21 giovani di età media 33) si è tentato di comprendere cosa accade nel cervello. Pare, dunque, che negli anziani non si accenda come dovrebbe un allarme istintivo che è localizzato nell'insula anteriore, area cerebrale deputata ad avvertirci dei pericoli e ad indurre reazioni di difesa o di fuga.
Ansie matematiche
Il pensiero di dover eseguire un'equazione attiva addirittura le reti deputate all'elaborazione del dolore nel cervello
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ggi pare che la mancanza di bravura in matematica abbia un alibi scientifico. Uno studio, condotto da Ian Lyons e i suoi colleghi dell'Università di Chicago e pubblicato su «Plos One», ha rivelato che nelle persone che presentano alti livelli di ansia di fronte a compiti di matematica si attivano le regioni collegate con l'esperienza della sofferenza fisica e il rilevamento di una minaccia. All'aumentare dell'ansia da matematica, risulta ancora più l'attività di queste aree cerebrali. D'altra parte anche precedenti ricerche avevano dimostrato che forti stress psicologici (magari dovuti ad eventi che hanno portato a esclusioni sociali o conflitti accesi) possono suscitare questo tipo di reazione mol-
to simile al dolore fisico. Lo studio di cui si è parlato sopra, però, esamina la risposta dolorosa associata all'anticipazione di un evento ansiogeno (in questo caso l'espletamento di un compito matematico). La sola anticipazione di eventi spiacevoli è in grado di attivare le regioni neurali coinvolte nel dolore fisico. Queste conclusioni, forse prevedibili ma non banali, devono far riflettere anche sul piano didattico e scolastico, visto che chi detesta questa o altre materie di insegnamento finisce per mettere in campo strategie di evitamento, che spesso portano a scegliere corsi di studio privi di queste cause ansiogene.
Anemos neuroscienze
Gen-Mar 2013 | anno III - numero 8
Un cervello artificiale Si chiama Spaun e sa riconoscere i numeri e scrivere
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e da notizia la rivista «Science»: si tratta di un progetto realizzato nell'università canadese di Waterloo. Si tratta di un cervello artificiale in grado di percepire, riconoscere numeri, ricordare liste e disegnare con un braccio robotico. Rispetto al cervello umano è piuttosto svantaggiato, visto che è dotato “solamente” di 2,5 milioni di neuroni. Ma questa dotazione gli è sufficiente per riprodurre alcuni comportamenti complessi dei viventi. Il suo nome, Spaun, è l'acronimo di
Semantic Network Architecture Pointer, ed è stato pensato per realizzare in maniera rapida e flessibile una serie di operazioni, come riconoscere numeri, ricordarli e poi scriverli che sembrano molto semplici per noi. In realtà tali operazioni coinvolgono complesse aree cognitive che vengono simulate dai neuroni elettronici di Spaun. La strada differente percorsa dal gruppo di ricerca canadese è partita dal basso, da un numero esiguo di neuroni organizzati in sistemi che voglio-
no imitare l'attività di alcune aree del cervello. Il risultato è Spaun, che con i suoi due milioni e mezzo di neuroni è riuscito dove i suoi predecessori avevano fallito, visto che è in grado di eseguire otto diversi compiti, riconoscere l'immagine di un numero o di una lettera ed elaborare una risposta che viene poi disegnata per mezzo di un braccio robotico.
Alzheimer e microglia
Come proteggere il cervello
Muovere il mouse con il pensiero
Nuova tecnologia pensata per chi è impossibilitato a usare le mani
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i tratta di un progetto realizzato dall'università di Stanford e rende possibile controllare il cursore del mouse su uno schermo con il pensiero con una precisione quasi pari a quella che si ottiene con le mani. Questo sistema è stato descritto su «Nature Neuroscience», ed è un passo avanti per l'utilizzo del computer da parte di persone disabili. Il meccanismo si basa sulla “immaginazione” di muovere un arto e sulle relative cellule cerebrali che controllano il movimento che quindi si attivano come se non ci fosse il problema. Il sistema utilizza un chip di silicio impiantato nel cervello che raccoglie i dati sull'attività neurale registrati da una serie di elettrodi, inviando i dati a un computer.
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no studio dell'University of Easter Finland sembra rivelare che microglia, cellule interpretate a lungo con la sola funzione di sostegno, ma che ora si sa hanno anche funzione immunitaria, nutritizia e staminale, potrebbero avere un ruolo nel proteggere il cervello dall'Alzheimer. I depositi di placche amiloidi, ovvero le proteine responsabili dell'Alzheimer, determinano una sorta di infiammazione nel cervello che “accende” la microglia e che può interferire con le cellule cerebrali o persino eliminarle. Ma è possibile fermare questa attivazione anche senza rimuovere le proteine. I ricercatori dell'University of Easter Finland hanno studiato topi geneticamente modificati per sviluppare l'Alzheimer con delle immunoglobuline umane (Ivig), hanno ottenuto la soppressione dell'attivazione della microglia e la promozione della sopravvivenza dei neuroni dell'ippocampo, dove si deposita la memoria: “Questi studi hanno rivelato qualche nuovo meccanismo molto importante - spiegano gli autori - secondo cui il trattamento con anticorpi umani può essere d'aiuto ai pazienti con Alzheimer”.
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L'uomo macchina
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Appunti liberi tra filosofia della mente e divagazioni antropologiche
Barocco 2.0
Azzardati accostamenti tra passato e presente, tra psicologia sociale e storia dell'arte
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hi ha avuto la pazienza di leggere le riflessioni proposte in questa rubrica nei numeri scorsi di «Neuroscienze Anemos», ormai avrà certamente capito che qui non si propongono teorie o visioni coerenti, ma più modesti spunti di riflessione, e talvolta inconsuete contaminazioni tra discipline che si dovrebbero incontrare nella più vasta e mai finita riflessione sull'uomo, centro di riflessione ultima anche delle neuroscienze (in questo certamente scienze atipiche rispetto alla posizione di desiderata e disincarnata oggettività delle scienze naturali). Enunciata la consueta premessa a mo' di giustificazione, l'ennesimo improprio accostamento qui proposto riguarda la storia dell'arte (ma più in generale la storia della cultura) e la rete internet, in particolare quello che viene definito il web 2.0. Alla mente classica pre-internet (sequenziale, più lenta, ma per certi aspetti più ordinata e efficiente) è seguita una mente barocca, parallela, disordinata, mutevole e forse più creativa. Per comprendere fino in fondo questa metafora, occorrerà delimitare i concetti, che appartengono alla storia della cultura, di classicismo e barocco. Quest'ultimo termine nasce in chiave polemica per indicare le forme delle arti e delle letterature del secolo XVII, e per estensione ricomprende una più ampia visione del mondo propria del Seicento e del primo Settecento. Ora, come veniva intesa la temperie culturale barocca in antitesi al precedente classicismo (che quindi in negativo si esplica nella definizione di barocco)?
di Davide Donadio Barocco è bizzarria senza scopo, per puro gioco, è rottura di equilibrio e di leggi di armonia, in luogo delle quali si sviluppa la fantasia e il gusto dell'eccesso decorativo, retorico, espressivo. Questa era la posizione dei critici del XVIII e XIX secolo che ovviamente auspicavano un ritorno alla più congeniale attitudine classicista. Strano destino è questo alternarsi di classicismo e del suo contrario nella storia culturale dell'Occidente, quasi come se si ripresentasse in quest'andamento ciclico ciò che avrebbe dovuto concretizzarsi nella visione classica dell'economia. Un paradigma ancora dominante (che pare si stia rilevando errato) e che invece ben si adatta a quel settore della “vita dello spirito” che così a lungo abbiamo considerato il regno della libertà imprevedibile. Vista da dentro la contemporaneità pare un fermento caotico che contiene e mescola incessantemente i contrari. Si tratta del vecchio vizio del “presente”, una debolezza che spinge le società a pensarsi come momento di cesura e di eccezionalità nel fluire della storia. Oggi non facciamo eccezione, e probabilmente la percezione del caos straordinario è dovuta alla ovvia mancanza di prospettiva da cui la guarderanno gli storici del futuro. Se ci poniamo nella posizione di ipotetici storici, filosofi sociali, critici, del futuro potremmo guardare la cesura (oggi percepita debolmente) tra il periodo precedente agli anni Ottanta del XX secolo e il periodo ad esso seguito. L'Occidente e la sua ormai globalizzata estensione è transitata, piuttosto velocemente, dal suo classicismo ad un nuovo barocco. E non parliamo qui di parti-
colari visioni o scuole di pensiero (anzi, fino a ieri nella filosofia ha dominato una vasta famiglia costruttivista che di “classico” nel senso che intendiamo qui ha ben poco), ci riferiamo piuttosto ad una “mente” sociale, uno stile di vivere il sé in connessione con il sociale, persino ad uno stile di apprendimento, acquisizione della realtà che caratterizza oggi il nostro punto di vista. In luogo della lineare direzione “classica” di rapportarsi al mondo, fatta di ricerca di equilibri, di ottimismi di crescita continua, di benessere materiale infinito, subentra l'idea di crisi e mutamento inarrestabile dei nostri giorni.
Anemos neuroscienze
Gen-Mar 2013 | anno III - numero 8
«Il neo-Barocco, come il suo più illustre antenato, ha prodotto e produce inquietanti aberrazioni sociali, politiche, economiche. La libertà dai dogmi diventa licenza in cui tutto è lecito, il moltiplicarsi degli stimoli emotivi e sensoriali diviene solo distrazione»
Un nuovo brivido di esaltazione verso il non-finito, un'attrazione-repulsione verso il contaminato sembra ritornare come nei pensatori seicenteschi (si pensi a Bruno e ai suoi universi). Certamente il fenomeno del cosiddetto web 2.0, ovvero quell'incredibile connessione sociale dell'individuo in questa rete infinita di rimandi, informazioni, commenti, interazioni, non può essere sottovalutata, ma è probabile che questo aspetto, che riguarda più da vicino la tecnologia delle comunicazioni e lo sviluppo materiale della società umana, sia contemporaneamente causa ed effetto
di questo spostamento “barocco”. Nessuno si azzarderebbe ad accostare il patetismo esasperato delle emozioni della meravigliosa pittura sacra barocca e delle teatrali rappresentazioni del dolore di tante pale conservate in tutti i musei e i luoghi di culto europei, alla nostra rappresentazione del sentimento che - con pari esasperato patetismo e teatralità - si affaccia dai talk show dei nostri tempi, dalla morbosa ricerca del macabro nell'informazione televisiva così importante fino a tempi recentissimi e ora messa sempre più ai margini dai nuovi media.
Eppure, se questa chiave di lettura semiseria viene applicata con ironica disinvoltura, le liti in televisione, i pianti di madri disperate, i penosi sfoghi di uomini abbandonati, di amanti tradite, sono il corrispettivo di quell'arte così sublime nel Seicento, la reazione barocca al composto e classico teatro sociale che ha dominato (anche in politica!) fino a qualche decennio fa. Il rovescio della medaglia è, anche per il nostro neo-barocco, il maggior spazio potenziale della creatività (meno libera in regime di classicismo), la liberazione da alcuni dogmi, un più sano edonismo che in luogo di fastose cerimonie religiose dei secoli passati si materializza nel lussuoso ed effimero mondo della moda e del culto della bellezza del corpo, come innocua, quando non dannosa in profondità, e momentanea fuga dall'eterna crisi. Il neo-Barocco, come del suo più illustre antenato, ha prodotto e produce inquietanti aberrazioni sociali, politiche, economiche. La libertà dai dogmi diventa licenza in cui tutto, il moltiplicarsi degli stimoli emotivi e sensoriali diviene solo distrazione e rende impossibile qualsiasi meditazione profonda su noi stessi e sul mondo che ci circonda. Presto occorrerà un nuovo classicismo che stemperi queste contraddizioni. In filosofia già si medita un ritorno al classicismo, che per l'occasione diverrà - a quanto pare - il “nuovo realismo”.■
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Diario di bordo
Gen-Mar 2013 | anno III - numero 8
dall’atelier di uno psicoanalista
Il filo rosso dell’isteria "Il filo rosso dell’isteria" è il secondo capitolo della monografia "Gli spostamenti di Eugenia": un saggio inedito costruito sulla base del carteggio raccolto in un’antica cartella clinica conservata nell’archivio storico dell’ex Ospedale Psichiatrico S. Lazzaro di Reggio Emilia. Il primo capitolo (‘Lettere e destino’) è stato pubblicato sul nº 7 di Neuroscienze Anemos ed è consultabile su www.arcangelodellanna.it di Arcangelo Dell’Anna
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n ordine cronologico, la prima missiva (22 ottobre 189.) è del prof. Tamburini per il Marchese Rodolfo in cui, fra l’altro, si legge: “Lo stato d’esaltamento non durerà a lungo … non presenta un decorso proprio schizoide … si è già intrapresa una cura calmante onde sedare lo stato di eccitamento…”. Segue una lettera del Marchese ad Eugenia (24 ottobre) il quale, dopo i convenevoli d’apertura, dichiara: “Io so bene che qualche volta il tuo isterismo ti impedisce di fare ciò che sarebbe meglio per te, ma metti tutto l’impegno ad ubbidire e vedrai che le medicine ti gioveranno. Tua madre desidera tanto tue lettere e tutti sospirano tue notizie. Ti prego di mille rispetti al Sig. Direttore e tu ama sempre il tuo affezionatissimo padre”. Accattivante ed adulatorio il Marchese, asciutta e perentoria la Marchesa Filomena, costretta a contenere le sue missive sull’unica facciata di un biglietto da visita, essendo l’altra interamente occupata dalla riproduzione dello stemma nobiliare del marito. Scrive la Marchesa al prof. Tamburini: “Vengo a pregarla di darmi in questi primi tempi il più spesso possibile notizie dettagliate di mia figlia Eugenia… Anche le cose più indifferenti per me divengono interessanti … Non dubito punto che Lei non ne prenda tutte le cure … sicché mi riposo su di Lei, ma desidero vengano mitigate le pene della lontananza … colla frequente relazione dello stato morale e fisico di mia figlia”. Alcune settimane dopo, avuto il sospetto che alcune delle lettere scritte dalla figlia fossero sottoposte a censura e indebitamente trattenute presso l’Istituto, la madre intima il prof. Tamburini di inviarle “regolarmente” tutte le lettere che Eugenia indirizza
ai genitori “anche se vi siano stramberie poco ragionevoli” (1.11). *** E in effetti le notizie che nei primi tempi provengono dall’Ospedale non sono molto confortanti: “Fuga delle idee … momenti di eccitamento intercalati a momenti di calma … continua l’esaltamento”. Alla fine di novembre la Marchesa Filomena, sempre più allarmata dal mancato arrivo di lettere della figlia ed evidentemente non soddisfatta dalle notizie che i sanitari le fornivano, scrive una nuova missiva non più indirizzata al Direttore ma all’assistente medico che più da vicino si occupa della figlia. A questo nuovo destinatario - oltre alla richiesta di “notizie più dettagliate” della figlia “che ha cessato di scrivermi” - affiderà anche l’angoscia e il sospetto di una propria colpa: “Forse che nelle mie lettere vi era qualcosa che l’ha urtata? Non so come spiegarmi questo silenzio … Vorrei anche sapere quali sono le cause più abituali delle sue eccitazioni e se è irritata contro di noi. Lei che ha famiglia può intendere quanto soffra di vivere così alla cieca sopra un soggetto che tanto mi interessa e spero non vorrà negarmi il favore di darmi qualche maggiore (sottolineato nell’originale) ragguaglio”. Il padre, da parte sua, nello stesso giorno in cui la moglie scrive la lettera sopra riportata, indirizza al prof. Tamburini le seguenti note: “Ho lasciato a G. l’ordine che spediscano la cassa con la biancheria al suo indirizzo per non mettere quello di mia figlia. Se avessi conosciuto il nome dell’Economo o di qualche altro impiegato avrei ordinato la spedizione diversamente”. Sebbene la disinvoltura con cui in
seguito precisa che: “La biancheria porta le mie iniziali, M.R.P., ma credo che sarà lo stesso” non riesca a dissimulare del tutto - in noi più che in lui stesso - il dubbio di una violazione di Eugenia sulla cui carne da allora in avanti aliterà lo stesso marchio impresso sulla carta da lettera della madre. Effetti collaterali di presunti diritti di proprietà. *** Negli ultimi giorni di novembre partono da G. due lettere; la prima (28.11) della madre, l’altra (29.11) del padre. Entrambe si riferiscono alla medesima questione, ma quanto diversamente trattata nei rispettivi testi. Vedremo più avanti quella del padre; qui, intanto, la lettera della Marchesa Filomena: “Mia figlia già più di una volta mi esternò il desiderio di aprire il suo cuore ad un Ministro di Dio. Quando ancora era in casa abbiamo osservato che tutte le volte che lo ha fatto, anche in stato di eccitazione, ne ritornò tranquilla e più serena. Certamente è necessario che questo Sacerdote sia persona molto prudente ed illuminata, ma per questo avrei modo di prendere le mie informazioni. Mia figlia è giovane, molto espansiva ed ha bisogno di sollevare il suo cuore con persona che le ispiri fiducia. Negandole questo conforto temerei che avvenisse come ad una caldaia in ebollizione che chiusa ermeticamente, finisse con scoppiare. Favorisca di rispondermi qualcosa in proposito … In questi giorni scorsi forse sarà stata meno bene trovandosi nell’epoca della sua ricorrenza mensile. Riguardo poi alla causa dei suoi disturbi nervosi quale crede possa essere? Forse anemia? Mi dicono che in molte giovani li stessi incomodi sono cagionati da povertà di san-
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gue …”. Con quanta consapevolezza, è impossibile a dirsi. Sta di fatto che con queste sue parole Filomena formulava in capo alla figlia una precisa diagnosi e garbatamente la suggeriva al Professore. In ogni caso il richiamo alla caldaia in ebollizione, alla ricorrenza mensile e alla povertà di sangue comprovano quanto fosse tenace ancora, alle soglie del XX secolo e persino in una donna presumibilmente erudita, la persistenza di antiche superstizioni e incrollabili pregiudizi. Nel corso della sua storia millenaria, l’isteria si è lasciata alle spalle una lunga scia rossa di sangue mestruale, da subito additato a cifra e simbolo della sua patogenesi. *** Nella visione mitologica, l’isteria nasce sotto il segno della donna insubordinata e ribelle che, come Artemide o le Amazzoni, detesta il contatto maschile e rifiuta i pericoli della gravidanza e del parto. Ma sottraendo vagina e utero ai compiti considerati fisiologici, la donna scoprirà che la loro conformazione
cava li predispone ad esser resi gonfi ed umidi a causa del sangue mestruale che vi si raccoglie1. È tuttavia con Ippocrate che l’isteria esce dal mito per assumere coerenza clinica secondo uno schema isteria come morbus virginum - che tuttavia del mito mantiene e diffonde errore e pregiudizi: il rifiuto del coito produce la retentio menstruorum, responsabile del progressivo accumulo di sangue mestruale e di umori stagnanti. Traboccante oltremisura di gas e liquami, l’utero allora romperà i propri legami anatomici e prenderà a vagabondare incattivito all’interno del corpo femminile colpendo, mordendo e strangolando: scoperta della ‘migrazione uterina’, la celebre uteri transmotio. Da Ippocrate a Galeno attraverso Aristotele, la medicina pneumatica, il vitalismo, l’indirizzo solidistico, la medicina araba e quella bizantina, il discorso clinico sull’isteria si mantiene strettamente organizzato attorno al paradigma repletio-evacuatio. Nonostante un’innovazione non marginale che - da Galeno in avanti - manda assolto l’utero, organo della maternità, per chiamare in causa il sistema vagina-clitoride, sede
del piacere: a causare la retentio - dunque - non sarà più l’accumulo di sangue mestruale ma la mancata espulsione del seme vaginale, seminis cohibitio. Eppure, a fronte di questa innovazione, la cura resta sempre la stessa. Giacché, secondo il dettato mitologico e la prescrizione ippocratica, anche adesso come in precedenza l’unica efficace misura preventiva, terapeutica e riabilitativa permane il concubitus viri, il ‘salutare’ coito. *** È soltanto fra il XVII ed il XVIII secolo che inizia a farsi strada una lettura dell’isteria affrancata dal primitivo modello pletorico. Ciò si verifica quando la ‘teoria vaporosa’ (che attribuisce un ruolo psicologicamente deleterio alle immagini mentali a contenuto erotico) innesta fresche scoperte di anatomia e fisiologia femminile sul tronco di vecchie intuizioni della medicina stoica e, soprattutto, della filosofia platonica. Unico fra quanti se ne erano anticamente occupati, Platone non nell’ingorgo di umori uterini o nel- ►
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la seminis cohibitio bensì nella passio, nella sofferenza dell’anima, aveva individuato la causa remota ma indiscussa dell’isteria. La riabilitazione della platonica teoria del pathos - febbrile inquietudine che instancabilmente tende a riprodursi nel phantasma di un desiderio irrisolto - riprende e valorizza un percorso concettuale cui avrebbe fatto capo ogni successiva ipotesi psicodinamica dell’isteria. Neppure la teoria vaporosa, tuttavia, riuscì a far stabile breccia nel ‘discorso medico’ dell’isteria all’interno del quale venne assai presto derubricata ad un ruolo sostanzialmente irrilevante dal punto di vista teorico ma soprattutto nullo sotto il profilo clinico. Anzi, proprio di essa si servirono alcuni autori per avvallare “un’impostazione che sarà progressivamente sviluppata sino ad assumere un valore preminente verso i primi decenni del XIX secolo: il comportamento isterico è dettato da un tentativo di soluzione simulatoria ad interiori problematiche psichiche ed esistenziali con il fine di ottenere un vantaggio tramite una malattia fittizia”2. L’enunciato sull’isteria continuò quindi a consumarsi in una duplice impasse: rinserrato all’interno del discorso medico nei ristretti confini del rozzo paradigma pletorico; mentre, all’altro capo, ogni tentativo di un più adeguato ‘orientamento psicodinamico’ implacabilmente esitava in una grottesca deformazione dell’originaria ispirazione platonica. La passio avvierebbe sì la produzione isterica ma ciò che soprattutto la sostiene è lo smodato immaginario di una personalità patomimica al limite della messa in scena e della frode. *** È infine con Charcot - come ricorda
Freud - che l’isteria, liberata dal “pregiudizio che collega la nevrosi a malattie dell’apparato genitale femminile”3, viene ammessa e definitivamente mantenuta - sia pure problematicamente - all’interno del discorso medico: “Il faut bien que l’on sache que l’hystérie est una maladie psychique d’une façon absolue”4. Eppure lo stesso Freud, tutto preso dal tentativo di conferire alla psicoanalisi solide basi neurofisiologiche che la rendessero ben accetta ai circoli accademici viennesi, fa all’inizio un passo indietro rispetto allo stesso Maestro francese combinando la lezione di Charcot con il secolare archetipo pletorico. Per cui se un tempo era il sangue mestruale a infarcire l’utero, ora è il conflitto l’elemento che porta alla formazione del sintomo isterico. Cambia la natura del tossico, ma il modello resta sempre l’ingorgo. Se allora “l’isterica soffrirebbe per lo più di reminiscenze”, lo è nel senso che i ricordi rimossi ingombrano l’apparato psichico in quanto non riescono a trovare un varco attraverso la “strettoia della coscienza”5. Palese richiamo (la strettoia) all’anatomia femminile che, unitamente ai coevi concetti di scarica e di abreazione6, segnala la sopravvivenza, in questa fase pioneristica della metapsicologia freudiana, dell’antico schema repletio-evacuatio. Per il primo Freud l’isteria da difesa si confonde ancora con l’isteria da ritenzione7.
Fliess e la complessità dei passaggi teorici e clinici che progressivamente indussero Freud a rinunciare del tutto ad ogni residuo di organicità di cui - va detto - aveva ben presto iniziato a dubitare. Soltanto colmando attraverso anni di ricerche e ripensamenti il secolare vuoto di sapere fra struttura psichica del soggetto e formazione del sintomo, Freud sarebbe infine riuscito a non arretrare là dove tutte le precedenti interpretazioni non-organicistiche dell’isteria si erano arenate. Impedendo, in buona sostanza, il rapido degrado della sua nuova talking cure (cura parlata) da lui stesso inventata nella tradizionale pratica igienica del chimney-sweeping9 (spazzare il camino): palese equivalente verbale di quel salubre disintasamento del ‘camino’ femminile che la visione mitica e la teoria classica avevano da sempre additato come necessario correlato della prevenzione e della cura dell’isteria. ■ www.arcangelodellanna.it
*** A testimonianza di quanto sia stato lungo e complesso lo spostamento da una concezione di isteria ancora immersa nell’opaco realismo della retentio ad una diversa teoria fondata sul ruolo strutturante delle “forze psichiche”8, restano la corrispondenza privata con Wilhelm
Note G. Roccatagliata, Isteria, p. 261. Il Pensiero Scientifico Editore,1990, Roma. S. Freud, Isteria, (1888), in O.C., vol. I, p. 43. Boringhieri, Torino. 3 J.M. Charcot, Lezioni alla Salpetriere p. 23, 1989. Guerini e Associati, Milano. 4 S. Freud, Isteria, op. cit., p. 43. 5 S. Freud, Lettere a Wilhelm Fliess, lettera n. 193 del 21. 9. 1897; p. 297. 6 Ricordo, inoltre, che la traduzione letterale del termine tedesco che sta per abreazione, abreagiren, è deflusso. 7 Da questo punto di vista, “la caldaia in ebollizione che chiusa ermeticamente, finisse con scoppiare” che descrive la preoccupazione di Filomena per la salute della figlia, può riferirsi sia alla lettura tradizionale di isteria da ritenzione, e qui la caldaia è l’utero sia, assai più improbabilmente, all’acerba ipotesi psicodinamica freudiana in cui la caldaia rappresenterebbe la psiche. 8 S. Freud, Le mie opinioni sul ruolo della sessualità nell’eziologia delle nevrosi (1905) p. 217, in OC, vol. V, p. 222. Boringhieri, Torino. 9 Con entrambi questi termini, Anna O. designava, non senza malizia, il nuovo modello terapeutico sperimentato da Breuer (S. Freud, O.C., vol., I, p.197. Boringhieri, Torino). 1
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A Il tema del numero
IL CERVELLO CHE PARLA La lingua, le lingue, il linguaggio, tra neuroscienze, questioni sociologiche e didattica delle lingue straniere
Pagina 18 Neuroscienze Pagina 30 Sociologia e Pagina 38 Filosofia e linguistica psicologia e psicologia sociale
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IL CERVELLO CHE PARLA
Mappa concettuale: il Tema del numero Percorsi interdisciplinari
2 PSICOLOGIA E LINGUISTICA
Apprendimento delle lingue straniere, tra didattica e psicolinguistica
1 Neuroscienze e linguistica
Quali sono le sedi del linguaggio? Che rapporto c'è tra la struttura del linguaggio e il cervello?
Neuroscienze e discipline scientifiche connesse 16
Anemos neuroscienze
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Strumenti di lettura I testi di «Neuroscienze Anemos» sono idealmente suddivisi in In - Interdisciplina App - Approfondimenti R/Np - Ricerca e nuove proposte Agli articoli viene inoltre assegnato un numero che indica la complessità di comprensione del testo da 1 a 5.
1 2 3 4 5
3 sociologia e psicologia
Lo sviluppo del web 2.0 e il nuovo approccio con il dialogo e la comunicazione
approfondimenti
4
Filosofia
Le regole della "chiacchiera" tra ironia e seria riflessione di un uso sociale
NEUROCHIRURGIA
Altri
I tumori spinali in età pediatrica
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Scienze umane, sociali e altri punti di vista 17
Neuroscienze Linguistica
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NEUROSCIENZE E LINGUaGGIO
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Il tema del numero
di Enrico Ghidoni* App 3
parole chiave. Linguaggio, afasie, cervello, Paul Broca, Carl Wernicke Abstract. Il linguaggio è uno dei processi più complessi che l'uomo compie e rappresenta una caratteristica della sua specie. A rendere evidente la complessità del linguaggio verbale sono anche i diversi sottoprocessi che portano alla sua formazione, che ne caratterizzano non solo l'apprendimento ma anche l'uso. Oggi sappiamo che la sede del linguaggio è localizzata in alcune aree dell'emisfero cerebrale di sinistra e che per arrivare ad un corretto funzionamento del nostro sistema verbale esistono dei processi relativamente disgiunti, per cui una lesione localizzata in una determinata zona può determinare un disturbo specifico.
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ottoprocessi del linguaggio. Il linguaggio è una realtà molto complessa, all'interno della quale la concorrente verbale rappresenta uno degli aspetti che definisce la specificità umana. Sebbene esistano molti linguaggi, alcuni dei quali posseduti anche dagli animali, sappiamo che il linguaggio verbale è un fenomeno tipicamente umano che definisce lo spazio entro cui si svolge la maggior parte della nostra comunicazione, nonostante l'esistenza di molti altri tipi di linguaggio (dei gesti, del corpo, non verbale...). Per spiegare il funzionamento del linguaggio umano possiamo prendere come esempio un caso reale: una signora di poco più di 60 anni che, secondo i familiari, da circa due anni presenta disturbi di memoria. Eppure, quando parla, la signora non fa errori e il suo linguaggio è corretto. L'unica impressione che si ha è che a volte perda di vista il senso del discorso e tenda a deviare su argomenti differenti. Ma è solo quando si decide di porle qualche semplice domanda che ci si rende conto del suo reale disturbo: alla richiesta “mi spieghi come si prepara la pasta al sugo” la signora afferma di non capire a cosa si riferisca la parola “sugo” e alla domanda “chi ci dà il latte?” la signora afferma prima “il supermercato” e poi, incalzata da altre domande, risponde “deve essere un animale...”. Un caso di questo tipo ci mostra la complessità del linguaggio. Una persona, infatti, parlando con la signora non si sarebbe resa conto del problema,
dal momento che la conversazione era adeguata. È solo in un momento successivo, ponendole domande più precise, che diventa manifesto questo baratro di conoscenza del significato delle parole. Questa situazione ci permette di avere un'idea dei possibili problemi a cui può andare incontro il nostro linguaggio verbale, ma anche di fotografare una delle componenti del linguaggio, cioè la conoscenza del significato. La signora in questione presenta una patologia chiamata demenza semantica, che porta a una perdita del significato delle parole, dovuta ad una atrofia del lobo temporale sinistro (sede del linguaggio), e in particolare della zona sede della semantica, vale a dire della nostra conoscenza di tutti i significati delle parole. Un caso come questo ci insegna, quindi, che il linguaggio è formato da tanti sottoprocessi, ciascuno dei quali può essere colpito da un disturbo degenerativo anche in maniera isolata. Componenti del linguaggio. Il linguaggio si compone delle seguenti parti:
Figura 1.1 - In alto un ritratto di Paul Pierre Broca (1824-1880), neurologo, chirurgo e antropologo francese. Ebbe un ruolo importante nello studio del linguaggio in connessione con il sistema nervoso centrale.
- fonetica: si occupa dei fonemi (suoni) elementari che compongono il linguaggio; fonologia: studia i suoni linguistici e l'organizzazione dei fonemi in parole; - morfologia: concerne la capacità di cambiare le parole in funzione del significato e del contesto;
- sintassi: l'insieme delle regole che permettono di mettere insieme le parole al fine di compiere frasi di senso compiuto; - lessico: il vocabolario mentale, l'insieme delle parole che conosciamo (esistono due lessici, uno uditivo e uno ►
*Il testo è tratto dalla relazione tenuta dal Dott. Enrico Ghidoni nel corso della conferenza "Neuroscienze e Linguaggio", organizzata dalla Libera Università di Neuroscienze Anemos e La Clessidra Editrice, tenutasi in due sere differenti presso il Centro Internazionale Loris Malaguzzi di Reggio Emilia nel corso del dicembre 2012.
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Neuroscienze Linguistica
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Figura 1.2
Tradizionalmente il linguaggio è organizzato gerarchicamente dal basso verso l'alto in fonologia, morfologia, sintassi e semantica, che in sequenza temporale ne caratterizzano anche l'apprendimento e l'uso. è interessante notare che la "reale" esistenza di questi livelli è dimostrata anche dal fatto che quando abbiamo delle situazioni patologiche, come danni alle strutture cerebrali, possiamo avere effetti sulle strutture del linguaggio di differente entità, che possono essere interessate in modo indipendente le une dalle altre, dal momento che il nostro cervello si basa su una struttura modulare.
◄ visivo/ortografico);
- semantica: i significati delle parole; - pragmatica: il modo in cui usiamo il linguaggio, l'insieme delle regole esplicite che usiamo per comunicare, la capacità di adattarsi al contesto e all'interlocutore.
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Il linguaggio è organizzato gerarchicamente dal basso verso l'alto in fonologia, morfologia, sintassi e semantica, che in sequenza temporale ne caratterizzano anche l'apprendimento e l'uso. L'esistenza di questi aspetti del linguaggio è dimostrata dal fatto che quando abbiamo delle situazioni patologiche, come danni alle strutture cerebrali, possiamo avere effetti sulle strutture del linguaggio di differente entità. Cioè questi diversi aspetti possono essere interessati in modo indipendente gli uni dagli altri, dal momento che il nostro cervello si basa su una struttura modulare. Un deficit del linguaggio può, quindi, essere schematizzato all'interno e lungo questa gerarchia. Il linguaggio è un sistema simbolico specificamente umano, di importanza cruciale per le abilità cognitive e co-
municative dell'individuo e della sua specie. È una funzione cognitiva che ha permesso alle altre nostre funzioni cognitive di svilupparsi in un modo altrimenti impensabile. Livelli di rappresentazione. È possibile distinguere i seguenti livelli di rappresentazione: lessicale (delle singole parole), formazione delle parole (le parole sono formate da singoli suoni e fonemi), proposizionale (la costruzione delle frasi) e discorso (le frasi sono organizzate per esporre un determinato argomento). Il livello lessicale è costituito dalle singole parole (rappresentazione fonologica e ortografica). Ogni item lessicale è associato ad una categoria sintattica (sostantivi, verbi, aggettivi, articoli, preposizioni...) e ad ogni entrata lessicale è collegato un valore semantico (oggetti concreti, concetti astratti, verbi, attributi, connettori logici...). Il livello di formazione delle parole (morfologia) è un altro livello interessante del linguaggio che permette di formare parole a partire da altre, utilizzando prefissi, suffissi o creando parole composte. Esistono processi di
semantica
sintassi
morfologia
Fonologia derivazione (ad esempio: distruggere, distruzione, distruttivo) e di flessione (ad esempio: distruggo, distruggi, distruggeva...). Sebbene questa possa sembrare una classificazione astratta, in realtà esistono soggetti che per afasie del linguaggio possono avere come sintomo principale un disturbo di tipo morfologico o errori di tipo singolare/ plurale. Il livello proposizionale consiste, invece, in strutture sintattiche entro cui si inseriscono le parole. Seguire queste regole è importante perché la semantica, il significato di una frase, dipende dal modo in cui si combinano i significati delle parole nella struttura sintattica. Il significato di una frase non dipende, infatti, dalle singole parole, ma dal loro ordine. Nel livello del discorso le varie frasi entrano in una struttura più ampia allo scopo di veicolare un messaggio. I significati proposizionali delle frasi entrano in strutture di ordine superiore che costituiscono il livello del discorso, un tema difficile da esaminare perché entra in gioco anche il concetto di libertà personale. A tale livello, inoltre, si trovano il tema generale di
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Il tema del numero
Diversi tipi di afasie Afasia di Broca Lesione: area di Broca, piede della terza circonvoluzione frontale Linguaggio spontaneo: non fluente, produzione verbale scarsa. Se lieve: solo disprosodia. Se grave: espressione verbale ridotta o abolita. Consapevolezza della propria incapacità. Reazioni “catastrofiche”. Intrusione di espressione automatiche (emisfero destro). Ripetizione: alterata Comprensione orale: parzialmente deficitaria Lettura ad alta voce: alterata Scrittura: alterata (anche per emiparesi facio-brachio-crurale destra) Afasia di Wernicke Lesione: area di Wernicke, terzo posteriore della prima e seconda circonvoluzione temporale Linguaggio spontaneo: scorrevole, abbondante e logorroico, ma incomprensibile per parafasie verbali e letterali, neologismi e gergofasia. Prosodia corretta. Soggetto privo di consapevolezza. Ripetizione: notevolmente alterata Comprensione orale: notevolmente alterata Comprensione scritta: variamente compromessa Lettura ad alta voce: alterata Scrittura: notevolmente alterata Afasia di conduzione Lesione: regione perisilviana, fascicolo arcuato, giro sopramarginale, area 40 Linguaggio spontaneo: fluente, interrotto da anomie, frasi fatte. Si associa a deficit della memoria. Prosodia corretta Ripetizione: impossibile Comprensione orale: relativamente risparmiata Comprensione scritta: relativamente risparmiata Lettura ad alta voce: alterata Scrittura: notevolmente alterata Afasia globale Sono pazienti che non solo non capiscono quello che viene loro detto ma non parlano neanche. È il caso più grave di afasia. Lesione: intera area centrale del linguaggio dell'emisfero dominante (polo anteriore e posteriore) Linguaggio spontaneo: notevolmente ridotto, abolito Ripetizione: pressoché abolita Comprensione orale: pressoché abolita Comprensione scritta: pressoché abolita Lettura ad alta voce: abolita Scrittura: abolita
Anemos neuroscienze
discussione, il focus di attenzione, la novità dell'informazione, l'ordine temporale e i nessi causali. L'informazione serve per aggiornare la conoscenza del mondo, ragionare e pianificare attività e coinvolge molti processi non linguistici (esempio: ricerca nella memoria semantica, inferenze logiche...). Afasie. Oggi si sa che la sede del linguaggio è localizzata in alcune aree dell'emisfero cerebrale di sinistra. Tuttavia, è interessante ricordare come sono nate le nostre conoscenze sul cervello e i primi passi delle neuroscienze del linguaggio. Il caso di studio più celebre al riguardo è stato quello del signor Leborgne esaminato dal neurologo Paul Broca nel 1860. Il signor Leborgne perse la capacità di parlare a 31 anni. Era solo in grado di rispondere “TanTan” ad ogni domanda che gli veniva posta. Eppure comprendeva tutto, l'intelligenza era conservata, era persa solo la capacità di articolare le parole (afasia di Broca). Alla sua morte, Broca analizzò il cervello del signor Leborgne. All'autopsia il cervello mostrava una lesione che interessava in particolare la terza circonvoluzione del lobo frontale e il neurologo mise perciò in rapporto tale area con la perdita della capacità di articolare le parole. Una decina di anni più tardi un altro neurologo, Carl Wernicke, si occupò di pazienti con difficoltà a parlare, ma che a differenza del signor Leborgne, parlavano molto ma non capivano ciò che stavano dicendo (afasia di Wernicke). Risultò quindi chiaro a Wernicke come anche questi pazienti presentassero una lesione cerebrale e, analizzando i loro cervelli, scoprì una lesione in un'area al confine tra il lobo temporale e parietale (area di Wernicke). Se il nostro cervello ha questi due centri, uno che produce le parole e uno che le comprende, è chiaro che questi non possono essere isolati. Già Wernicke pensò che esistessero dei fasci nervosi di collegamento tra una fascia e l'altra, fasci di fibre nervose che in realtà esistono. Cosa succede, quindi, quando la lesione non va a colpire né l'area di Broca né quella di Wernicke, ma il ►
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◄ loro fascio di collegamento? Si assiste
all'impossibilità di ripetere. Quando si ha l'interruzione del fascio che collega le due aree, il soggetto capisce tutto, parla correttamente, non sembra avere un disturbo del linguaggio, ma non è in grado di ripetere passivamente una frase, dal momento che salta il collegamento dall'area di Wernicke, dove entra l'input uditivo, all'area di Broca. Si parla in questo caso di afasia di conduzione. È un'afasia più difficile da individuare rispetto alle precedenti, perché i pazienti comprendono il linguaggio, parlano correttamente, ma non riescono a ripetere frasi, anche se banali. Siccome hanno compreso il significato, dicono una frase che veicola lo stesso senso, ma usando parole diverse. Esistono dei processi nel nostro cervello che sono relativamente disgiunti, per cui una lesione localizzata in una zona dove passano delle vie strategiche per quel processo può determinare un disturbo estremamente settoriale. Basi neurologiche del lin-
guaggio. Sembra che l'uomo nasca già con una predisposizione ad utilizzare l'emisfero sinistro per parlare, poiché vi è una zona, molto vasta rispetto a quella di destra, che si trova proprio sopra il lobo temporale e che al suo interno ospita l'area di Wernicke (anche nell'emisfero di destra c'è l'area di Wernicke, ma poichè non serve per il linguaggio è molto più piccola). Questo significa che il nostro cervello si sviluppa con il progetto di specializzarsi in modo tale che nell'emisfero di sinistra ci sia un substrato neurologico che svolga una funzione precisa che ha bisogno di una grossa massa di neuroni, proprio come accade per il nostro linguaggio. Tutto ciò ammesso che la persona abbia la localizzazione del linguaggio a sinistra, poiché vi sono alcune persone, soprattutto i mancini, che l'hanno a destra. Queste informazioni sulla localizzazione del linguaggio nel nostro cervello sono state rinforzate negli anni '50 dai neurochirurghi W. Penfields e L. Roberts. Approfittando del fatto che il
cervello è insensibile al dolore, hanno effettuato delle stimolazioni sulla corteccia cerebrale durante interventi neurochirurgici a pazienti svegli. Penfields scoprì così che ci sono dei punti in cui la stimolazione arresta completamente il linguaggio oppure lo rende difficoltoso. Questi punti si concentrano nell'area di Broca e di Wernicke. Negli anni successivi si è assistito a vari tentativi di localizzare i diversi aspetti del linguaggio (morfologia, semantica...). È probabile che la sintassi e la pragmatica siano dipendenti da strutture del lobo frontale, mentre la fonologia e la morfologia si concentrano nelle aree centrali del linguaggio, intorno alla scissura di Silvio, e la semantica nel lobo temporale occipitale, nella parte posteriore dell'emisfero. Modello standard del linguaggio. Per capire il sistema generale di funzionamento del linguaggio, si può fare riferimento al modello standard del linguaggio (Caramazza ed altri), uno schema unificante che
MODELLO STANDARD DEL LINGUAGGIO (Caramazza et al.) Parola udita
Oggetto
Parola scritta
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Analisi uditiva
Analisi visiva
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Parola articolata
SISTEMA SEMANTICO
Conversione fonologico-ortografica
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Buffer fonemico
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Conversione ortografico fonologica
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Lessico ortografico di input
Rappresentazione strutturale
Conversione acustico fonologica
Lessico fonologico di output
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Lessico fonologico di input
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Analisi visiva
Lessico ortografico di output
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Buffer grafemico
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Parola scritta
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raccoglie tutti i processi principali che compongono il linguaggio. A seconda del compito che decidiamo di eseguire (ascoltare, leggere, ripetere...) ad essere coinvolte sono aree diverse del cervello in un ordine variabile. Per esempio, quando ascoltiamo una parola, su questo suono facciamo un'analisi uditiva essenzialmente a livello di strutture periferiche (orecchio) e poi in strutture cerebrali (area di Wernicke). Una volta effettuata questa prima analisi, ci spostiamo nell'area preposta al lessico fonologico di tutte le parole che possiamo udire e conoscere e da qui andiamo in una specie di magazzino temporaneo (buffer fonemico) da cui possiamo poi articolare la parola. Quando, invece, ci troviamo di fronte a una parola scritta, facciamo un'analisi visiva che ci porta ad imboccare una via che passa nel lessico (lettura lessicale), va al sistema semantico e dal lessico ortografico di input ci porta al lessico ortografico di output in uscita, al buffer grafemico e, infine, alla parola scritta. Se dobbiamo ripetere delle parole, per prima cosa facciamo l'analisi uditiva (se è una parola che non conosciamo facciamo la conversione dal fonema al grafema), andiamo al buffer fonemico e articoliamo la parola. Se invece conosciamo già le parole, non ci sarà bisogno della conversione fonologica, ma si seguirà la via lessicale che permette di spostarsi al sistema semantico. La ripetizione arriva all'area uditiva, da qui all'area di Wernicke, fa il giro del fascicolo arcuato e arriva nell'area di Broca, dove la trasmissione degli impulsi nervosi si sposta nella corteccia motoria, da dove è possibile dare i comandi ai muscoli che vanno alla bocca e artico-
lare concretamente la parola. Nel caso di lettura di parole ad alta voce, nel nostro cervello si attiva come prima cosa la parola scritta e nell'ordine vengono fatte l'analisi visiva e la conversione ortografica/fonologica da grafema a fonema, infine ci si sposta al buffer fonologico in cui si trovano le sequenze di fonemi che permettono di dire a voce alta la parola. Se si conosce esattamente il significato della parola che si sta leggendo, si può fare lo stesso procedimento passando dal lessico ortografico, al lessico fonologico in uscita e poi al buffer fonologico. Il processo può coinvolgere anche il livello semantico, dal momento che mentre leggiamo una parola che conosciamo arriviamo in automatico al suo significato. Se il compito che ci viene proposto è, invece, quello di comprendere il significato delle parole che ci vengono dette o che dobbiamo leggere, esistono due processi diversi. Nel primo caso per comprendere dobbiamo necessariamente fare l'analisi uditiva di ciò che abbiamo ascoltato, spostarci nel lessico e analizzare le informazioni semantiche che quella parola ha attivato. Nel caso, invece, di una comprensione visiva delle parole, l'analisi parte dalla parola scritta, e dal momento che la maggior parte delle volte le parole scritte sono parole che già conosciamo, ci spostiamo immediatamente nel lessico e da lì al sistema semantico e dei significati delle parole. Anche nel caso in cui dobbiamo denominare un oggetto, e quindi, dire il suo nome, il processo che compiamo cambia a seconda che questa denominazione sia orale o scritta. Quando la denominazione è orale, una volta che abbiamo davanti un oggetto, faccia-
Indicazioni bibliografiche Bibliografia di orientamento compilata a cura della redazione. Stefano Arduini e Roberta Fabbri, Che cos'è la linguistica cognitiva, Carocci, Roma, 2008 L. Camaioni, Psicologia dello sviluppo e del linguaggio, Ed. Il Mulino, Bologna, 2001. A. Caramazza, Cognitive Neuropsychology and Neurolinguistics: Advances in Models of Cognitive Function and Impairment, Psychology Press, 1990. Gazzaniga M.S., Ivry R.B., Mangun G.R., Neuroscienze Cognitive, Zanichelli,
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mo un'analisi visiva, lo identifichiamo, accediamo alla sua rappresentazione mentale strutturale e ci spostiamo nell'ordine: al sistema semantico, al lessico fonologico, al buffer fonemico e da lì siamo in grado di articolare la parola. Quando, invece, la denominazione è scritta, dopo aver fatto l'analisi visiva, passiamo alla rappresentazione strutturale e al sistema semantico, da dove viene attivato il lessico ortografico di uscita, poi il buffer grafemico e come ultimo processo la scrittura della parola. ■
Enrico Ghidoni. Laureato in Medicina e Chirurgia presso l’Università di Modena (1977) e specializzato in Neurologia con lode il 5/12/81 presso l’Università di Modena. Ha prestato servizio come assistente medico in ruolo a tempo pieno presso la divisione Neurologica dell’Ospedale Civile di Mantova dall’1/2/82 al 15/8/83. Dal 16/8/83 lavora come assistente e poi come aiuto (dal 28/12/92) presso la Divisione Neurologica dell’Arcispedale S.Maria Nuova di Reggio Emilia. Ha conseguito l’idoneità per la posizione funzionale apicale di Neurologia nella sessione 1989. Ha partecipato come relatore e coautore a diversi congressi e convegni. È socio della sezione di Neuropsicologia della Società Italiana di Neurologia dal 1985 e quindi della Società Italiana di Neuropsicologia. È responsabile del Laboratorio di Neuropsicologia dell’Arcispedale S. Maria Nuova (Reggio E.). È responsabile clinico del Centro Esperto Interaziendale Demenze di Reggio Emilia dal 2000. Ha svolto insegnamento presso la Scuola Infermieri Professionali di Reggio E. negli anni scolastici 1991-92, 1992-93, 1993-94, 1994-95 (materie insegnate: Neurologia, Psichiatria). Svolge attività di consulenza neuropsicologica per il Servizio di Recupero e Riabilitazione Funzionale dell’Azienda USL di Reggio Emilia da luglio 1996. È docente presso il Corso per diploma universitario di Fisioterapia, Università di Modena e Reggio Emilia (materie insegnate: Neuropsicologia e Neurolinguistica). È autore di circa 30 pubblicazioni di argomento neurologico e neuropsicologico. Dal maggio 2001 al 2005 è stato presidente nazionale della Associazione Italiana Dislessia. Dal 2007 al 2009 vicepresidente. Responsabile nazionale del progetto di formazione MIUR-AID “azione 7” e del progetto MIUR-AID-Fondazione Telecom Italia “A Scuola di Dislessia”.
Bologna, 2005. A. Marini, Elementi di Psicolinguistica Generale, Milano, Springer, 2001. A. Marini, Manuale di Neurolinguistica. Fondamenti teorici, tecniche di indagine, applicazioni, Carocci, Roma, 2008. Lev Vygotskij, Pensiero e linguaggio. Ricerche psicologiche, a cura di L. Mecacci , 10a ed., Roma-Bari, Laterza, 1990.
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VADEMECUM DEL POLIGLOTTA MODERNO
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di Linda Torresin App 2 1. A vy govoritie po-russcki?
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enezia. Una coppia di turisti russi di mezza età, smarritisi fra le calli della Serenissima, vi ferma per strada con sguardo implorante e gesti concitati, chiedendovi qual è la via più breve per raggiungere San Marco. Il più delle volte parlano un inglese stentato misto a vocaboli italiani mal abbinati con forti cadenze russofone, pongono una sfilza di domande senza aspettare né afferrare le vostre risposte. In questa situazione la vostra spiegazione nella cosiddetta “lingua universale” verrà difficilmente recepita. Molto meglio se parlate il russo: potrete assicurarvi che la coppia straniera arrivi felicemente a destinazione. Il bisogno linguistico della modernità. Una delle conseguenze più significative della globalizzazione è l’abolizione delle barriere fra stati, il “rimpicciolimento del mondo”, che
Il tema del numero
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parole chiave. Lingue, linguistica, didattica, apprendimento Abstract. L'articolo descrive l'aspetto psicolinguistico e didattico nell'acquisizione di una lingua straniera (L2) in rapporto alla lingua madre (L1). Vengono inoltre approfonditi i fenomeni di acquisizione e di apprendimento, fino ad arrivare alla definizione di problemi di metodo (in ambito della didattica delle lingue) e su un piano più generale di antropologia culturale relativamente alla necessità di "penetrazione" nella cultura, non solo linguistica, che si apre nel contesto dell'apprendimento delle lingue straniere. bussa fuori dalla nostra porta, e la necessità di persone poliglotte che siano in grado di farsi mediatrici tra lingue e culture diverse. E non basta più conoscere qualche parola in inglese per considerarsi cittadini della Terra. Con sempre maggior vigore e insistenza sentiamo l’esigenza di avvicinarci ad altre lingue, alcune a noi più affini per motivi geografici, storico-politici e culturali, altre più lontane ma ugualmente presenti nella nostra vita quotidiana, professionale e non. La ►
«I meccanismi di assimilazione nella lingua materna e in quella non materna sono diversi: si parla di“acquisizione” e “apprendimento”. L’“acquisizione” è l’ambito della produzione linguistica inconscia e spontanea, rapida da riutilizzare, tipica della lingua nativa, l’“apprendimento” è un processo razionale, conscio e strutturato, di breve durata.»
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Figura 2.1 - L’apprendimento linguistico corrisponde ad un’attività combinata dei due emisferi cerebrali, riassunta dai due princìpi di “bimodalità” e “direzionalità”.
◄ Emisfero sinistro
◄
Passa all’emisfero sinistro, che presiede all’elaborazione analitica del linguaggio
Emisrero destro L’informazione linguistica, accolta dall’emisfero destro, responsabile della percezione globale, simultanea e analogica
Ciò può avvenire solo se l’“input” (l’oggetto dell’apprendimento) che interessa il discente è “comprensibile” ovvero non procede “a salti” ma è graduale e conformemente orientato dalle conoscenze già note a quelle nuove, ancora da acquisire
Il “miracolo” della padronanza di una lingua non è un “miracolo”: è “fatica”, ma è una “fatica” commisurata al particolare “stile cognitivo” o strategie di apprendimento dell’allievo, ai suoi sacrifici, alla sua voglia d’imparare e di conoscere, alla sua capacità di trasformare le proprie conoscenze meccaniche, “apprese”, in sapere vivo e flessibile, in “acquisizione” linguistica.
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► cifra caratteristica della modernità
è, dunque, un bisogno linguistico senza precedenti e senza distinzione d’età o di ceto. A vy govorite po-russki?
2. Quello che dovrebbe sapere un poliglotta “Acquisizione” e “apprendimento”: la difficoltà (e il piacere) d’imparare. Una lingua straniera o seconda (L2) è di per sé cosa nient’affatto semplice da studiare, perché non è la nostra lingua materna. Quest’affermazione apparentemente banale sottende in realtà una profonda differenza fra i meccanismi di assimilazione nella lingua materna e in quella non materna, che Stephen Krashen ha battezzato rispettivamente “acquisizione” (acquisition) e “apprendimento” (learning). Laddove l’“acquisizione” è l’àmbito della produzione linguistica inconscia e spontanea, rapida da riutilizzare, tipica della lingua nativa, l’“apprendimento” è, al contrario, un
processo razionale, conscio e strutturato, di breve durata, che funziona come “monitor” per lo studio di altre lingue (Krashen 1981 e 1982; Krashen - Terrell 1983). In sostanza, imparare una lingua straniera o seconda è “più difficile” e “meno naturale” che imparare la propria lingua materna. Un aspirante poliglotta, pur mirando (anche involontariamente) alla perfezione e alla consapevolezza linguistica di un bambino madrelingua - e quindi all’“acquisizione” e non all’“apprendimento” linguistico -, non dovrà aspettarsi risultati immediati senza un’applicazione costante e impegnativa, né tali risultati sono da considerarsi eterni ma dovranno essere corroborati da un assiduo lavoro di mantenimento del livello linguistico raggiunto: lo studio di una L2 è un iter complesso, graduale e continuo, lifelong, tanto più se questa lingua differisce completamente dalla nostra lingua madre, appartenendo ad un ceppo linguistico diverso, come può essere l’arabo per un madrelingua inglese o il russo per chi parla l’italiano come L1.
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Il “miracolo” della padronanza di una lingua non è un “miracolo”: è “fatica”, ma è una “fatica” commisurata al particolare “stile cognitivo” o strategie di apprendimento dell’allievo, ai suoi sacrifici, alla sua voglia d’imparare e di conoscere, alla sua capacità di trasformare le proprie conoscenze meccaniche, “apprese”, in sapere vivo e flessibile, in “acquisizione” linguistica. Le premesse dello studio di una lingua seconda/straniera. Ma cosa stimola lo studio di una lingua seconda o straniera e ne garantisce l’efficacia? Innanzitutto, l’intellegibilità e la progressività di quanto si va ad imparare. Come insegna la neurolinguistica, l’apprendimento corrisponde ad un’attività combinata dei due emisferi cerebrali, riassunta dai due princì-
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pi di “bimodalità” e “direzionalità”. L’informazione linguistica, accolta dall’emisfero destro, responsabile della percezione globale, simultanea e analogica, passa all’emisfero sinistro, che presiede all’elaborazione analitica del linguaggio. Tuttavia ciò può avvenire solo se l’“input” (l’oggetto dell’apprendimento) che interessa il discente è “comprensibile” e inserito in un “ordine naturale i + 1”, ovvero non procede “a salti” ma è graduale e conformemente orientato dalle conoscenze già note a quelle nuove, ancora Terzo presupposto e fondamento dell’assimilazione di qualsiasi lingua “altra” rispetto alla lingua madre: una buona “motivazione”. Sono sostanzialmente tre le ragioni principali che ci spingono a studiare una lingua straniera: il “bisogno”, il “dovere” e il “piacere”
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da acquisire (Krashen 1985). In secondo luogo, un elemento imprescindibile è l’assenza del “filtro affettivo”, quella difesa psicologica che la mente innesca in stati ansiogeni e che può compromettere se non addirittura bloccare completamente l’apprendimento (Krashen 1985). Alle scoperte krasheriane aggiungiamo un terzo presupposto e fondamento dell’assimilazione di qualsiasi lingua “altra” rispetto alla lingua madre: una buona “motivazione”. Sono sostanzialmente tre le ragioni principali che ci spingono a studiare una lingua straniera: il “bisogno”, il “dovere” e il “piacere”. Ma può essere fruttuosa e di successo una formazione linguistica generata da ragioni esterne ed estranee al soggetto, come il “bisogno” o il “dovere”? Chiaramente no. Una lingua si dovrebbe studiare sempre e solo “per piacere”, per il ►
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noscenza, della novità, di viaggiare, di sperimentare, della sfida (Balboni 1994). Quest’ultimo criterio è il pilastro su cui si regge l’intero edificio - altrimenti pericolante - dell’educazione linguistica. 3. Come si imparano le lingue I metodi di apprendimento linguistico. A questo punto cerchiamo di capire “come avviene”, dal punto di vista didattico e pratico, l’acquisizione di una L2, e in particolare di una lingua straniera. Svariati “approcci” (filosofie di fondo delle proposte glottodidattiche) con
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relativi “metodi” (modelli operativi) e procedure didattiche o “tecniche” (Richards - Rodgers 1917) hanno da sempre cercato - invano - di trovare la formula del perfetto poliglotta. Fra il XIX e il XX secolo, con il coinvolgimento della linguistica applicata nei problemi dell’apprendimento delle lingue straniere, sono state elaborate molte modalità di insegnamento e studio di una L2 spesso in contrasto le une con le altre, più o meno idonee, ma non di rado settoriali e insoddisfacenti. Il modello di acquisizione linguistica più adeguato è, senza ombra di dubbio, l’“approccio comunicativo”, nato negli anni Sessanta e ancor oggi determinante nella didattica delle lingue straniere, in cui l’allievo e i suoi biso-
gni sono posti al centro del processo educativo e la “competenza comunicativa” è concepita come l’obiettivo primario dell’apprendimento, fondato sull’“autenticità” dei materiali didattici (film, articoli di giornali, canzoni, testi letterari, etc.). Benché sia il discente il vero nucleo di ogni attività didattica, è evidente che l’insegnante esercita comunque una funzione insostituibile all’interno del LASS, ovvero Language Acquisition Support System (Bruner 1983), quella di guida e facilitatore dell’acquisizione, e che è quindi preferibile - almeno nelle fasi iniziali di accostamento ad una nuova lingua all’apprendimento da autodidatta con l’ausilio di manuali, corsi di lingue in CD e siti online. Chi, poi, pensa di
Il modello di acquisizione linguistica più adeguato è, senza ombra di dubbio, l’“approccio comunicativo”, nato negli anni Sessanta e ancor oggi determinante nella didattica delle lingue straniere, in cui l’allievo e i suoi bisogni sono posti al centro del processo educativo e la “competenza comunicativa” è concepita come l’obiettivo primario dell’apprendimento, fondato sull’“autenticità” dei materiali didattici
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dominare una L2 memorizzando la costruzione del passivo o dei generi nominali, si sbaglia di grosso. Garanzia di una preparazione proficua con risultati positivi è - diversamente che nell’“approccio grammaticale-traduttivo”, utilizzato a partire dal Settecento per lo studio delle lingue classiche - un rapporto dinamico con la grammatica, intesa come “riflessione sulla lingua” necessaria ma posteriore, mai deduttiva ma induttiva, ed esito naturale dell’osservazione del funzionamento dei meccanismi linguistici. Le competenze comunicative verranno agevolmente accresciute e potenziate dall’interazione con i parlanti madrelingua (Ellis 1999), fondamentale per consentire al discente di superare la “fase del silenzio” e cominciare a produrre in lingua seconda. Riassumendo, è cioè la pratica, e non la teoria, a farla da padrone nell’acquisizione di una lingua straniera. La regola d’oro per imparare una L2 è quella di sfruttare tutte le occasioni a nostra disposizione per servirci della lingua studiata, come soggiorni all’estero, conversazioni con madrelingua o chat, visione di film e programmi televisivi, lettura di libri in versione originale, e chi più ne ha più ne metta. E non facciamoci scoraggiare dagli errori che commettiamo, ma cominciamo a considerar-
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li come tappe necessarie della nostra crescita personale: gli unici ostacoli da temere sono la mancanza di forza di volontà e di sete di conoscenza. In realtà non ci sono “ricette di apprendimento” uguali per tutti. Ciascuno ha il suo metodo personale e la sua particolare sensibilità linguistica, sotto un comune denominatore: la passione e la delicatezza verso la lingua. Perché dietro ogni lingua si nasconde una cultura. Nel cuore della lingua... la cultura. La lingua è un organismo vivo. Non si identifica solo con la morfologia, la sintassi o il lessico, ma con il “carattere”, il “respiro”, il “tocco personale” di un popolo, o, in altre parole, con la sua “cultura”. Nella prospettiva lévi-straussiana tutto ciò che non è “natura” è “cultura”, concetto invisibile, onnipresente e discibile del quale la lingua è parte e che abbraccia le manifestazioni verbali ed extraverbali di una collettività. Imparare una lingua straniera presuppone il superamento delle barriere della comunicazione interculturale. Questo non significa che si debba tendere all’omologazione fra la propria cultura e quella studiata; anzi, la vera acquisizione linguistica dovrebbe essere volta al confronto e allo scontro, allo scambio vivace e fecondo tra genti, lingue e mondi differenti. “Cultura” significa dialogo interetnico e arricchimento incessante di chi vi partecipa. Ad uno studente di russo il
modo di dire Ne krasná izbá uglámi, a krasná pirogámi (“L’isba non è bella per gli angoli, ma per i pirogí”) racconta del valore dell’ospitalità per i russi, e al contempo, ad un esame più accurato, della loro diffidenza verso l’esteriorità, controbilanciata dall’attenzione alle qualità morali individuali. La lingua non ci permette di accontentarci di gettare uno sguardo superficiale sulle cose, ma ci invita ad analizzarle “in profondità”, come segni culturali. Quando si conosce davvero una lingua straniera? Quando si è immersi nel suo humus culturale, quando si pensa e si agisce come chi la parla, quando si riconosce la sua gente dalle scarpe che porta o dalle fisionomie, quando tutto ciò ci sembra “estremamente familiare” e déjà vu, perché è ormai entrato a far parte di noi, del nostro stile di vita e della nostra Weltanschauung. ■
Linda Torresin. Nata a Cittadella (PD) nel 1986. Risiede a Venezia, dove nel 2011 si è laureata con lode in “Lingue e letterature europee, americane e postcoloniali” presso l’Università Ca’ Foscari. Attualmente è dottoranda in Lingue, culture e società moderne presso la medesima università. I suoi interessi di ricerca abbracciano la letteratura russa del Novecento e, in particolare, la prosa simbolista. Ha partecipato con relazioni a numerosi convegni in Italia e all’estero ed è autrice di vari articoli e traduzioni. Collabora con “Retroguardia 2.0”, “Caffè Goya”, “La Frusta” e “L’Eretico”. Nel tempo libero scrive poesie e racconti.
Indicazioni bibliografiche Balboni, P. 1994, Didattica dell’italiano a stranieri. Roma: Bonacci. Bruner, J. 1983, Child's Talk: Learning to Use Language. New York: Norton. Ellis, V. R. 1999, Learning a Second Language through Interaction. Amsterdam; Philadelphia: John Benjamins Publishing Company. Krashen, S. D. 1981, Second Language Acquisition and Second Language Learning. Oxford: Pergamon Press.
Krashen, S. D. 1982, Principles and Practice in Second Language Acquisition. New York: Pergamon Press. Krashen, S. D. 1985, The Input Hypothesis: Issues and Implications. London: Longman. Krashen, S. D. - Terrell, T. D. 1983, The Natural Approach. Oxford: Pergamon Press. Richards, J. C. - Rodgers, T. S. 19917, Approaches and Methods in Language Teaching. Cambridge; New York; Port Chester; Melbourne; Sydney: Cambridge University Press.
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Adriano Amati
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parole chiave. Social network, internet, lingua, comunicazione, psicolinguistica. Abstract. Questi appunti, scaturiti da scritti di sociolinguistica e spunti letterari diversi, costituiscono la traccia dell'incontro tenutosi al centro Internazionale Loris Malaguzzi di Reggio Emilia (vedi editoriale) il 26 novembre 2012. Essi tentano di cogliere le emergenze, intese come fenomeni sociali rilevanti, che l'impiego dei nuovi strumenti di comunicazione (PC, cellulari, tablet, ecc.) ha introdotto nella vita di ognuno di noi.
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l millennio che sta per chiudersi ha visto nascere ed espandersi le lingue moderne dell'Occidente e le letterature che di queste lingue hanno esplorato le possibilità espressive e cognitive e immaginative. È stato anche il millennio del libro, in quanto ha visto l'oggetto-libro prendere la forma che ci è familiare. Forse il segno che il millennio sta per chiudersi è la frequenza con cui ci si interroga sulla sorte della letteratura e del libro nell'era tecnologica cosiddetta postindustriale... La mia fiducia nel futuro della letteratura consiste nel sapere che ci sono cose che solo la letteratura può dare con i suoi mezzi specifici”.
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ueste parole di Calvino, scritte nel 1984, risuonano oggi preoccupate e profetiche. Le notizie relative all'avvento delle nuove tecnologie, in particolare dei nuovi strumenti di comunicazione, che in quegli anni trapelavano frammentarie dagli ambienti tecno-scientifici più avanzati, evidentemente suscitavano negli ambienti letterari una qualche perplessità: si temeva uno sconvolgimento della lingua e del suo strumento più nobile, il libro. Tale prospettiva infatti si concretizzò nel decennio successivo, quando i primi computer e i primi cellulari
si diffusero negli uffici, nelle fabbriche, presso gli uomini d'affari, i politici e i professionisti. All'uomo del terzo millennio, avvertito da Calvino sulla necessità vitale di salvaguardare la lingua e la letteratura, che compito tocca, dunque? Ecco la domanda a cui dobbiamo rispondere, certamente con la consapevolezza che l'impiego degli strumenti tecnologici per comunicare e assumere informazioni è ormai irrinunciabile. Su questo punto focale s'innesta il nostro dibattito odierno. Innanzi tutto soffermiamoci sul titolo, per mettere bene a fuoco l'argomento di cui si tratta. Il termine dialogo (dal greco dià, "attraverso" e logos, "discorso") indica il confronto verbale tra due o più persone, mezzo utile per esprimere sentimenti diversi e discutere idee contrapposte. Come pratica sociale, modello ideologico e forma letteraria, il dialogo appare caratteristico di società a larga facilità di comunicazione. Questa l'impostazione “classica”. Ma non c'è bisogno di scomodare Socrate e la sua maieutica, anche se il suo metodo dialogico - consistente nell'aiutare il suo interlocutore a trovare in sé le risposte, grazie allo scambio di domande e risposte - resta pur sempre la base di partenza di una cultura che, anche in epoca ►
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Figura 3.1 - In alto il tablet di Apple, l'i-Pad, oggetto elettronico che ha avuto una enorme risonanza mediatica. ► moderna (ad esempio con la psicanali-
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si), ha saputo trovare, se non la verità, almeno qualche ulteriore elemento di conoscenza di sé. La parola “dialogo” infatti è diventata un principio sociale di valenza assoluta, così come i concetti di “libertà” e “giustizia”. Insomma, il dialogo all'interno della coppia, tra genitori e figli, in politica o semplicemente tra conoscenti, è ormai accettato da tutti come lo strumento indispensabile per una migliore convivenza sociale e una maggiore conoscenza di sé. Ma è evidente, alla luce dei moderni metodi di comunicazione, che ci siamo allontanati dalla sua definizione primigenia per approdare ad una nuova e multiforme impostazione concettuale. La seconda parte del titolo (il tempo di sms e tweet) sottolinea invece l'attualità epocale di questo argomento, parliamo cioè di oggi, di questo nostro tempo che ha conosciuto la rivoluzione tecnologica e in breve ha modificato gli strumenti di dialogo, il modo di comunicare e l'intera nostra cultura linguistica. Ma com'è questo tempo in cui viviamo? Proviamo a descriverlo con alcuni esempi. Si discute se l'età “giusta” per far usare i nuovi tablet non debba scendere sotto i tre anni... I bambini che usano i ta-
blet tra i 2-4 anni sono il 39%, tra i 5-8 il 52%; l'utilizzano per gioco (77%), per istruzione (57%), per distrarsi durante un viaggio (55%), per guardare la tv (43%), come passatempo (41%), per comunicare tra parenti e amici (15%). A tale proposito va detto che la Apple ha ordinato ai suoi fornitori asiatici 9-10 milioni di mini iPad da immettere sul mercato: sono stati distribuiti ai primi di novembre 2012. Intanto si sta testando a Milano (1.300 cavie), da parte di Vodafone e Telecom, il pagamento elettronico tramite telefono cellulare: con uno smartphone abilitato (cioè con specifica carta SIM) non serviranno più i contanti, i bancomat, la carte di credito, e nemmeno le tessere rilasciate dai supermercati, i buoni sconto, le schede di raccolta punti, il biglietto del tram e via dicendo. E c'è già chi pensa che il cellulare possa sostituire la tessera sanitaria, il codice fiscale, ecc. È in atto la cosiddetta rivoluzione Microsoft (92% dei pc mondiali), ovvero Windows 8: nuova interfaccia (non più icone ma “mattonelle”) e touch screen impiegati su pc e tablet per (futuribili) 400 milioni di nuovi clienti. Le nuove parole d'ordine sono: “cambieremo il lavoro di 1 miliardo di persone” e
I bambini che usano i tablet tra i 2-4 anni sono il 39%, tra i 5-8 il 52%; l'utilizzano per gioco (77%) per istruzione (57%) per distrarsi durante un viaggio (55%) per guardare la tv (43%), come passatempo (41%) per comunicare tra parenti e amici (15%)
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era biomediatica ► “tutto in uno”, ovvero si persegue l'integrazione tra tutte le piattaforme (un unico sistema per pc, computer e smartphone). Inoltre Google metterà in commercio i Project Glass, ovvero occhiali che aprono applicazioni e danno la possibilità di vivere dentro una realtà “aumentata”, come se il mondo fosse un desktop in cui muoversi e agire; e questo entro il 2014. Tale strumento eliminerà del tutto la condivisione, ovvero il vedere tutti la stessa cosa. Infine: il Nobel per la Fisica assegnato il 9 ottobre scorso è andato a due ricercatori, l'americano Wineland e il francese Haroche, che hanno mosso i primi passi verso i futuri computer quantistici, strumenti che faranno impallidire gli attuali supercomputer che già hanno potenzialità eccezionali. I due ricercatori sono riusciti a manipolare degli atomi in modo tale da utilizzare il loro comportamento nella prospettiva di realizzare il QuBit, cioè l'unità di elaborazione fondamentale dei futuri computer quantistici. Queste note, fornite a mo' di esempio, danno l'idea di quali siano le attuali frontiere tecno-scientifiche; ovvero quali tempi stiamo vivendo. L'opinione diffusa tra gli intellettuali, gli scrittori, gli insegnanti e molti uomini di cultura (compreso anche qualche giornalista) è che la trasformazione linguistica avvenuta sia del tutto evidente, inequivocabile, lapalissiana. E a questa scontata verità la maggior parte di loro fa seguire una critica piuttosto feroce: che solitamente, pur riconoscendo una certa utilità ai nuovi strumenti tecnologici (internet, cellulari, tablet, ecc.), denuncia il progressivo scadimento della capacità linguistica, soprattutto dei più giovani, la sostanziale incapacità di esprimersi con concetti poco più che banali, e la formazione culturale frammentata e posticcia degli studenti, non esclusi quelli universitari.
Ma procediamo con ordine. Ecco una sintesi del quadro generale (Rapporto Censis 2012) di quest'era biomediatica (in cui si condivide la propria vita via computer): - più di sei italiani su dieci navigano sul web e uno su due ha Facebook (79,7% dei giovani tra i 14 e i 29 anni) - ¼ di chi si collega segue i programmi tv sul web - 4 su 10 (il 42,4 %) li cerca su You Tube e si costruisce i palinsesti su misura - la tv la guarda il 98,3% della popolazione - aumenta invece l'ascolto della radio e si attesta sul 84%, perché la lingua parlata è più simile a quella dei social network (libera, informale, se non gergale) - i giovani leggono meno giornali (calo del 2,3%) e meno libri (calo del 4%), sono diventati “imprenditori di sé stessi” (autopromozione) e indossano protesi tecnologiche - al tempo di “Portobello” e “Pronto Raffaella” la media di telespettatori era di 25 milioni a puntata, oggi per spettacoli analoghi si arriva a 5 milioni. Inoltre non c'è più un solo schermo ma più schermi (realtà crossmediale). Ora le nuove tv hanno telecamera, microfono, internet e skipe, tutti integrati (e la Play station e Wii interagiscono con rete e tv). Ma schemi e contenuti restano uguali - un dato inquietante: il 71% della popolazione è al di sotto del livello minimo di comprensione di un testo di media difficoltà (studio OCSE) - editoria: cala il fatturato (-4,6%), calano le vendite in libreria (-3,7%) ma aumentano gli acquisti online (+ 14,2%), aumentano i titoli (36,6%) e aumenta il settore degli e-book (ma è solo lo 0,9% del mercato); ma soprattutto calano le piccole librerie indipendenti, quelle “storiche” che hanno segnato tappe importanti dell'attività letteraria italiana del Novecento; e ►
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Dal Rapporto Censis 2012: più di sei italiani su dieci navigano sul web e uno su due ha Facebook (79,7% dei giovani tra i 14 e i 29 anni) ¼ di chi si collega segue i programmi tv sul web 4 su 10 (il 42,4 %) li cerca su You Tube e si costruisce i palinsesti su misura la tv la guarda il 98,3% della popolazione, aumenta invece l'ascolto della radio e si attesta sul 84%, perché la lingua parlata è più simile a quella dei social network (libera, informale, se non gergale) i giovani leggono meno giornali (calo del 2,3%) e meno libri (calo del 4%) al tempo di “Portobello” e “Pronto Raffaella” la media di telespettatori era di 25 milioni a puntata, oggi per spettacoli analoghi si arriva a 5 milioni un dato inquietante: il 71% della popolazione è al di sotto del livello minimo di comprensione di un testo di media difficoltà (studio OCSE)
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Sociologia Psicologia
►sta scomparendo la figura del libraiolettore che dava consigli.
Ma la questione non riguarda solo l'apprendimento culturale e linguistico delle giovani generazioni ma anche e soprattutto la profonda modificazione sociale avvenuta nel campo della lingua, delle comunicazioni, e in definitiva del modo di dialogare tra i singoli. Cominciamo dall'apprendimento. È cominciato il nuovo anno scolastico e tutti discutono della “rivoluzione digitale” annunciata dal ministro Profumo, ovvero la dotazione di ogni singola classe di idonei strumenti digitali: computer, ma soprattutto i nuovi “tablet”. Progetto che, come si usa dire, vuole introdurre modalità nuove di apprendimento “per stare al passo coi tempi”. La reazione dei docenti è stata immediata: “I ragazzi non sanno più né ascoltare né leggere, non capiscono termini che fuoriescono anche di poco dalle abitudini quotidiane, ed il loro linguaggio è figlio di un vocabolario ridotto e strutture sintattiche elementari”. Qual è la causa? Quali sono i fattori della mediosfera che hanno provocato tale situazione? Proprio l'uso - o forse l'abuso - di questi strumenti digitali. Le cui modalità di fruizione riguardano: - velocità d'impiego, ovvero messaggi brevi, sgrammaticati, il salto da uno strumento all'altro
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- testi non argomentativi (frutto di un pensiero simultaneo), impiego in situazioni non ottimali (si è passati da una concezione classica di lettura - in solitudine e silenzio - a circostanze caotiche, che impongono brevità, semplicità e un'elevata frammentazione della lettura), superficialità: sul piano informativo, la rapida consultazione dei siti, il “copia e incolla” e la brevità imposta ad esempio da twitter (max. 140 caratteri + il nick name) rendono impossibile qualsiasi approfondimento: si tratta di un linguaggio di commento, non di una lingua d'invenzione (ma ci torneremo poi) perdita dell'oralità (email, facebook, twitter, messaggini al cellulare, ecc. comportano solo l'impiego di parole scritte): non c'è più il tono né il timbro della voce, e dunque si è persa la vivezza della dimensione colloquiale. Non c'è più l'interazione con il “corpo fisico” (manca l' NVC, il linguaggio non verbale). Continuiamo col considerare ora gli effetti, questa volta positivi, prodotti dai nuovi strumenti tecnologici, che solo 30 anni fa erano impensabili: visione globale del mondo, e dunque maggior conoscenza delle più lontane regioni del pianeta, informazioni da tutto il mondo “in tempo reale”, ovvero rapidi scambi di notizie che il giornalismo ufficiale spesso occulta o mistifica (vedi Primavera Araba), ap-
prendimento veloce, anche se superficiale, delle lingue straniere, l'inglese in particolare, possibilità di accedere al sapere da fonti diverse, maggiore possibilità di esprimere la propria creatività (testi, immagini, grafica, ecc.) da parte di ciascun internauta (autopromozione), maggiore capacità organizzativa individuale (studio, viaggi, vacanze, ecc.), e per quanto attiene alla scuola: possibilità di eliminare il libro “fisso” per creare uno strumento di lettura e consultazione multimediale e flessibile (anche se “leggere a video” è molto più faticoso che sul foglio di carta), esiste inoltre l'e-learning, ovvero la possibilità di insegnare ad una classe virtuale: sviluppa tutti gli aspetti dell'attività didattica classica (scrittura, conversazione, ascolto, lettura) e piace molto agli studenti che lo praticano, perché possono seguire la lezione in ogni luogo e situazione, possono anche consultare rapidamente vocabolari on line e sviluppano una discreta abilità di scrittura, meglio che gli studenti face-to-face, fenomeno delle “nonneblogger”, anziane anche ultraottantenni che si affacciano sul web. Infine c'è la “reputation cleaning”, ovvero la pratica di “ripulitura” di foto, post e amicizie di cui ci si è pentiti: con 10 mila euro un team di professionisti si occupa di rimuovere i materiali negativi pubblicati (personalmente o da
Pro ► visione globale del mondo, e dunque maggior conoscenza delle più lontane regioni del pianeta
web 2.0 i pro e i contro
► informazioni da tutto il mondo “in tempo reale”, ovvero rapidi scambi di notizie che il giornalismo ufficiale spesso occulta o mistifica (vedi Primavera Araba), possibilità di accedere al sapere da fonti diverse ► apprendimento veloce, anche se superficiale, delle lingue straniere, l'inglese in particolare ► maggiore possibilità di esprimere la propria creatività (testi, immagini, grafica, ecc.) da parte di ciascun internauta (autopromozione) maggiore capacità organizzativa individuale (studio, viaggi, vacanze, ecc.) ► a scuola: possibilità di eliminare il libro “fisso” per creare uno strumento di lettura e consultazione multimediale e flessibile (anche se “leggere a video” è molto più faticoso che sul foglio di carta) ► e-learning, ovvero la possibilità di insegnare ad una classe virtuale: sviluppa tutti gli aspetti dell'attività didattica classica e piace molto agli studenti altri) che danneggiano l'immagine di un blogger pentito. Questi esperti dichiarano: “Noi progettiamo l'identità di una persona”. Ovviamente con la massima discrezione, perché qui come per la chirurgia estetica - chi la fa non lo dice. E ora spostiamo lo sguardo sulla comunicazione interpersonale, ovvero su come e quanto essa si sia modificata e si vada modificando in ambito sociale: - l'anonimato, l'uso di nick name o “nome di battaglia” (con conseguente perdita della propria identità, o spersonalizzazione)
Contro ► messaggi brevi e sgrammaticati per velocità di impiego ► testi non argomentativi (frutto di un pensiero simultaneo)
► impiego in situazioni non ottimali (si è passati da una concezione classica di lettura - in solitudine e silenzio - a circostanze caotiche, che impongono brevità, semplicità e un'elevata frammentazione della lettura) ► superficialità: sul piano informativo, la rapida consultazione dei siti, il “copia e incolla” e la brevità imposta ad esempio da twitter (max. 140 caratteri + il nick name) rendono impossibile qualsiasi approfondimento ► si usa un linguaggio di commento, non una lingua d'invenzione (vedi approfondimento nel testo) ► perdita dell'oralità (e-mail, facebook, twitter, messaggini al cellulare, ecc. comportano solo l'impiego di parole scritte): non c'è più il tono né il timbro della voce, e dunque si è persa la vivezza della dimensione colloquiale. Non c'è più l'interazione con il “corpo fisico” (manca l'NVC, il linguaggio non verbale)
- la molteplicità delle comunicazioni dalla notizia al pettegolezzo, dallo scherzo alla critica velenosa (esempio di Philip Roth, che ha chiesto a Wikipedia di correggere un errore relativo al suo romanzo “La macchia umana”... ma la democrazia dello sbaglio di Wikipedia è che se l'errore è condiviso dalla maggioranza... diventa verità) - l'auto promozione di sé e della propria “opera” senza alcun filtro - le “amicizie” virtuali che si allacciano e si tagliano senza che vi sia mai nulla di veramente personale, come in un gigantesco reality. (Per ovviare all'inconveniente di frequentare un social
network dove le persone si conoscono appena è nato Tuenti, s.n. Spagnolo “per pochi intimi”) - la frequenza dei “contatti” quotidiani, che spesso si svolge secondo una compulsione a ripetere (ma il “desiderio” non è sempre autentico, esiste infatti in psichiatria una precisa patologia in tal senso) - l'incertezza, dovuta al fraintendimento delle circostanze e delle intenzioni emotive di chi ci spedisce un messaggio e infine bisognerebbe aprire un discorso sullo sguardo, pilastro fondante la relazione, cioè su quell'interazione ►
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Sociologia Psicologia
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Figura 3.2 - A fianco la copertina dell'edizione inglese delle "Lezioni americane" di Italo Calvino. ►irripetibile tra il sé e l'Altro, che qui
manca; ma il discorso porterebbe lontano, basti per ora riflettere su come si possa qualificare un dialogo in assenza dello sguardo.
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A fronte di questa sintetica disamina, su cosa ha comportato e comporta l'uso di questi nuovi strumenti di comunicazione, vorremmo fare una riflessione di natura letteraria che si può considerare agli antipodi delle considerazioni sin qui fatte. Parliamo allora della lingua di invenzione, non del linguaggio di commento (la cui fruizione è passiva come nel linguaggio divulgativo dei media): troviamo cioè l'altro polo della questione, per stabilire un campo di discussione che vada dal linguaggio dei nuovi strumenti a quello del libro. Arbitrariamente scegliamo le Lezioni Americane di Italo Calvino, quel suo manoscritto seguito all'invito ricevuto nel 1984 dall'Università di Harvard, per tenere un ciclo di conferenze (dette “poetry lectures”) sulla comunicazione poetica - letteraria, musicale, figurativa. Calvino ha l'idea di parlare dei valori letterari che si sarebbero dovuti conservare nel nuovo millennio, cioè questo nostro. Quasi con intuizione profetica, egli si rende conto che certi valori linguistici sono fondamentali e perciò vanno salvaguardati per la sorte stessa della letteratura; la sua fiducia nel futuro della letteratura - come detto - consiste nel sapere che ci sono cose che solo essa può dare con i suoi mezzi specifici. In particolare egli individua i seguenti elementi, che ogni autore dovrebbe impiegare nella stesura di un testo: leggerezza, rapidità, esattezza, visibilità e molteplicità. Nelle Lezioni Americane sostiene che la letteratura ha una funzione esistenziale, cioè compenetra tutta quanta la sfera personale dell'autore/lettore e si svolge come ricerca di una maggiore conoscenza di sé e del mondo. E questo comporta che gli elementi valoriali
di cui sopra vengano attentamente impiegati per far sì che la letteratura sia “la più esatta possibile”, nel tentativo di rappresentare con piena corrispondenza la realtà planetaria. È evidente quanto l'idea di scrittura dell'Autore scomparso nel 1985 sia lontana anni luce dall'attuale, benché siano passati appena 27 anni da quelle sue riflessioni. Non solo per gli autori cui si riferisce - ovvero i classici e i maggiori scrittori dell'universo letterario - ma anche e soprattutto per la qualità della forma narrativa e per le modalità di fruizione del testo. C'è poi un aspetto di natura, per così dire, psicologica - secondo Roberto Cotroneo (giornalista): la concentrazione perduta nella rete. Egli sostiene che perdere la concentrazione significa perdere l'identità. Nel web infatti il centro è ovunque, come in un paradosso matematico, perciò non è da nessuna parte: ma l'idea di centralità è fondamentale per stare al mondo. Serve un punto di osservazione per guardarsi attorno ed avere una prospettiva stabile. E Cotroneo fa un riferimento mitologico, suggerito proprio da Calvino in una sua Lezione: Mercurio (che discende da Urano, il cui regno è quello della continuità indifferenziata) rappresenta la sintonia e la partecipazione al mondo intorno a noi, Vulcano (che discende da Saturno, quello dell'isolamento egocentrico) rappresenta la focalità, ovvero la concentrazione costruttiva. Per il giornalista, Mercurio si è incarnato nel web (con una straordinaria sintonia verso il mondo), solo che - nella nostra testa (come realtà arcaica e profonda) - la focalità di Vulcano esiste ancora e costituisce un elemento indispensabile per il nostro orientamento. Noi internauti siamo presi tra queste due forze, Mercurio e Vulcano, ed è per questo che tutti stanno in rete ma al tempo stesso tutti diffidano della rete: tale contraddizione, le cui cause profonde sono vissute (spesso) inconsapevolmente, dipende da questa perdita di centralità. La sintonia, nel web, ha
dunque vinto sulla focalità? Le Lezioni di Calvino, che abbiamo scelto per rappresentare uno dei poli della questione di cui si tratta, costituiscono l'aspetto umanistico-novecentesco nel quale molti di noi si sono formati; gli odierni metodi di scrittura - che abbiamo semplificato con i termini sms e tweet - il polo opposto, il cosiddetto linguaggio della mediosfera. Parlare di letteratura in un discorso sul dialogo a mio avviso non è affatto fuori luogo, poiché ritengo che la capacità di esprimersi compiutamente dipenda in modo direttamente proporzionale dalle acquisizioni linguistico-culturali che si ottengono in ambito letterario,
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re compiutamente un concetto o un sentimento - e più esso risulterà autentico, e avrà la forza d'una sincera convinzione. E, effetto determinante, più facilmente giungerà a intendimento. Se penso “pusillanime” e dico “vigliacco” il mio interlocutore percepirà una nota critica maggiore di quella che io intendevo esprimere. Perché se è vero che il malinteso è fisiologico, nella comunicazione, è altrettanto vero che le mie scarse capacità linguistiche sono destinate ad amplificarlo fino a farlo diventare fattore di polemica e conflitto (ciò che spesso accade in politica).
quale che sia il versante su cui si opera (vuoi come semplice lettore vuoi come autore di uno scritto). Insomma, banalizzando: saper leggere per saper parlare, e saper parlare per saper scrivere. È infatti noto ed evidente che più il mio dire è puntuale, esatto, circostanziato e fedele al mio sentire - cioè più io riesco ad esprime-
Noi esistiamo nella parola, anche qui, ora. Significa che la parola ci attribuisce non solo lo statuto di parlanti - come specie - ma qualifica la nostra esistenza di individui sociali: abbiamo la possibilità di scambiare idee e opinioni, emozioni e sentimenti, e attraverso questa possibilità di dialogare noi troviamo il nostro posto nel mondo. Scopo ultimo è conoscere e capire la realtà oggettiva, la singolarità di ciascuno e la specificità delle cose del mondo. E siamo figli di una cultura umanistica che sta lasciando il posto al cosiddetto post-umanesimo, in cui addirittura si ipotizza che l'individuo perderà i suoi predicati ontologici e diventerà una cosa Altra (un'entità in rapporto con l'eterospecifico: questo termine è usato soprattutto in zooantropologia, e ribadisce l'alterità dell'animale rispetto all'uomo, fondamentale per istituire un “dialogo”. Per estensione l'eterospecifico è da intendersi anche in relazione al rapporto uomo-macchina). Logico dunque che la lingua accompagni tale prospettiva culturale, peraltro già attuale (impianto di cellule staminali, assunzione di insulina animale, nanotecnologie, ecc.): l'alterità nonumana, animale e tecnologica.
Indicazioni bibliografiche Italo Calvino, Lezioni americane, Ed. Garzanti, 1988 Gianrico Carofiglio, La manomissione delle parole, Ed. Rizzoli, 2010 Edoardo Lombardi Vallauri, Parlare l'italiano - Come usare meglio la nostra lingua, Ed.Il Mulino, 2012
Anemos neuroscienze
Steve Jobs aveva preconizzato il mondo post-pc, e come abbiamo visto all'inizio di questa disanima (l'ultima proposta Microsoft) esso si sta avverando; insomma, la trasformazione tecnologica è rapidissima e potente, e ciò porterà anche la lingua ad ulteriori sconvolgimenti. Il mondo cambia (velocemente) e dunque la lingua deve trovare parole nuove, senza però dimenticare, o peggio non conoscere affatto, quelle del più recente passato. Infatti il cambiamento cui si fa cenno comporta una maggiore complessità, non solo tecnologica, e la complessità comporta a sua volta la necessità di una lingua sempre più articolata, capace cioè di innervarsi nelle molteplici “cose nuove” che il cambiamento ha portato e porterà. Anche se comunichiamo più velocemente e diffusamente di un tempo, la realtà che ci aspetta deve trovare le parole adatte per mostrarcela, nel senso di “darle corpo”. Se esistiamo nella parola è bene che essa ci conservi a lungo. ■
Adriano Amati. Ha studiato scienze politiche presso l’Università di Bologna. Giornalista e scrittore, si occupa da sempre di comunicazione. Ha pubblicato libri di turismo e d'arte, ha diretto cinque testate mantovane, ha scritto articoli e saggi collaborando con testate locali e nazionali. Per Paolini Editore di Mantova ha pubblicato Turista a Tebaide (1991) e Bertrand il matematico (1994), per la Severgnini di Milano Dialoghi del namoro (1997), inoltre Domicilio Mantova (Editoriale La Cronaca di Mantova, 2003), Detto tra noi (Prospecta Edizioni Mantova, 2005), I miei (Il Cartiglio Mantovano Mantova, 2006), per la casa editrice E.Lui di Reggiolo la raccolta di poesie Una voglia di Sur (2008) e il romanzo L'iride azzurra (2010).
Lorenzo Renzi, Come cambia la lingua - L'italiano in movimento, Ed. Il Mulino, 2012
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SOCIOLOGIA DELLA CHIACCHIERA Antonio Petrucci In 1
parole chiave. Chiacchiera, società, comunicazione, Heidegger Abstract. L'articolo analizza il fenomeno sociale della "chiacchiera" e - tra ironia e seria riflessione sociologica - ne descrive la natura, il funzionamento e le regole che coinvolgono questo aspetto della comunicazione sociale. Vengono descritte le cosiddette regole della chiacchera come l'estrapolazione, la decentrazione, l'esagerazione e l'integrazione.
«Comprati il “parlapoco”» proverbio siciliano
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he cosa è la chiacchiera? Si tratta di un fenomeno molto diffuso - a tutti i livelli della popolazione - ma complessivamente poco studiato. Eppure la chiacchiera presenta, da un punto di vista sociologico, alcuni aspetti interessanti. Cerchiamo di darne una definizione. La chiacchiera non è una bugia. La chiacchiera è un discorso “riportato”, senza prove né testimoni né verifiche di alcun tipo. In genere, la chiacchiera si presenta come una confidenza e cioè viene fatta, quasi segno di fiducia, a persona intima. Viene inoltre preceduta e seguita dalla raccomandazione del segreto o del riserbo. In teoria, dovrebbe limitarsi a due persone; in pratica, per la sua stessa natura “leggera”, percorre un lungo cammino. Poiché la chiacchiera è un discorso orale, si modifica ad ogni passaggio. Nel dialogo fra due persone, in genere, il fraintendimento viene evitato
dal feed-back e cioè dalla risposta che i due interlocutori si scambiano continuamente. Ma la catena della chiacchiera è aperta: nel senso che l’interlocutore cambia continuamente e così l’equivoco è inevitabile. Proviamo a fare un esempio. All’interno di un lungo discorso, A fa una confidenza a B relativa a C: gli dice che C, che è sposata con D, è stata vista uscire dall’appartamento di E. A insiste con B sulla delicatezza della questione e lo prega di tenere la confidenza per sé. B promette che non ne parlerà ad anima viva, ma quella stessa sera racconta a sua moglie di avere saputo da fonte autorevole che C, sposata con D, è probabilmente l’amante di E. La moglie ha una carissima amica, amica d’infanzia, più che una sorella, alla quale non ha mai nascosto nulla e così le racconta che C, sposata con D, è l’amante di E. Anzi, sollecitata dall’amica, ci mette del suo e cioè aggiunge che D, marito di C, sa che la
moglie è l’amante di E, ma lascia correre perché anche lui ha un’amante, che poi è una vicina di casa. La storia di C, D ed E continua a passare di bocca in bocca. E un bel giorno da un tal X viene riferito ad A che C, moglie di D, è amante di E e che la cosa è di dominio pubblico: poiché in pratica lo sanno tutti, X non ritiene neanche necessario pregare A di tenere per sé la confidenza. A è costernato e chiede a B conto e ragione, ma B si giustifica un po’ incolpando la moglie, una terribile chiacchierona, e un po’ assicurando A che comunque la storia di C, D ed E era già nota a tutta la città. Così A e B si lasciano tranquillizzati. Le regole della chiacchiera. Esistono regole che governano la chiacchiera? A prima vista sembrerebbe di no. Ma un’attenta riflessione induce a conclusioni diverse. La prima regola - che è anche la più ►
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Filosofia Psicologia sociale
► evidente - è l’estrapolazione.
L’estrapolazione è la legge fondamentale della chiacchiera giacché chi chiacchiera toglie ciò che dice da un discorso e da un contesto. L’estrapolazione è un processo di isolamento che cancella premesse e conseguenze. Perché non ci sia estrapolazione, un discorso dovrebbe essere riportato integralmente, dalla prima all’ultima parola, ma ciò è evidentemente impossibile. La seconda regola è la decentrazione. La decentrazione consiste nel non riportare l’argomento fondamentale del discorso, ma un suo aspetto secondario, se non addirittura marginale. La terza regola è l’esagerazione. L’esagerazione è la conseguenza della decentrazione giacché, riportando un aspetto secondario o marginale, si tende naturalmente a dargli un’importanza maggiore di quella che aveva nel discorso originario. Non si può infine trascurare una regola ulteriore: l’integrazione. L’integrazione è il completamento dei vuoti di memoria o di informazione, completamento dovuto a interpretazioni e opinioni di chi riferisce. È facile adesso comprendere il tortuoso cammino della chiacchiera, il suo nascere, gonfiarsi, procedere a zig-zag, arricchirsi di elementi nuovi.
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Approfondimenti. Il linguag-
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Per Martin Heidegger, il filosofo di "Essere e tempo", la chiacchiera, il pettegolezzo e l’equivoco sono le espressioni della vita inautentica cioè dall’esistenza caratterizzata dalla impersonalità e dalla massificazione. Il pettegolezzo, infatti, è l’anima della chiacchiera e l’equivoco ne è l’inevitabile conseguenza. gio è ciò che rende umani gli uomini. Il linguaggio segna la differenza fra noi e le altre specie: ci permette di pensare o almeno di esprimere il pensiero; di trasmettere cultura alle generazioni future; di creare la poesia, la storia, la filosofia, la scienza, ecc. C’è poi un uso pratico del linguaggio che ci consente di evocare gli oggetti anche in loro assenza o di comunicare le nostre emozioni. C’è infine anche un uso ludico del linguaggio, che va dalla normale conversazione fra amici fino alla filastrocca o altro gioco linguistico. Si potrebbe perciò pensare che la chiacchiera ap-
partenga a quest’ultima categoria. Senonché la chiacchiera va oltre la normale conversazione: ne costituisce anzi la deformazione. Per Martin Heidegger, il filosofo di "Essere e tempo", la chiacchiera, il pettegolezzo e l’equivoco sono le espressioni della vita inautentica cioè dall’esistenza caratterizzata dalla impersonalità e dalla massificazione. Il pettegolezzo, infatti, è l’anima della chiacchiera e l’equivoco ne è l’inevitabile conseguenza. Qualcuno ha provato a difendere la chiacchiera, sostenendo che essa è innocente - un innocuo passatempo. Innocente può essere colui che chiacchiera, nel senso che non ha intenzioni malvagie. Ma la chiacchiera non è mai un innocuo passatempo. Si diceva, una volta, una donna “chiacchierata” di una donna che aveva avuto relazioni proibite o comunque comportamenti moralmente discutibili: una donna chiacchierata aveva poche possibilità di essere chiesta in moglie o di fare un buon matrimonio: si legga a tal proposito il romanzo di John Fowles, La donna del tenente francese. Si legga anche il romanzo di Pirandello L’esclusa, dove una donna innocente viene allontanata dal marito per via dei pettegolezzi che si fanno su di lei. Interessante anche l’inizio de Il processo di Kafka: “Qualcuno doveva avere parlato male di Joseph K. giacché senza che avesse fatto alcunché di male una mattina venne arrestato.” Si pensi inoltre alla superstizione. Ovviamente la superstizione nasce dal sopravvivere del pensiero magico nell’età della tecnica; essa però si “consolida” e si comunica attraverso le chiacchiere. Così nascono i giorni, gli animali, gli oggetti fausti e infausti; così nascono le streghe, il malocchio e i talismani per combatterlo; così nascono anche i processi alle streghe, le torture e le condanne oppure quelle forme di emarginazione che ne hanno preso il posto nel mondo moderno. La maldicenza e la calunnia.Prima di concludere le nostre riflessioni, dobbiamo esaminare anche il fenomeno della chiacchiera “guidata”:
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Anemos neuroscienze
Esistono regole che governano la chiacchiera? A prima vista sembrerebbe di no. Ma un’attenta riflessione induce a conclusioni diverse. L’estrapolazione è la legge fondamentale della chiacchiera giacché chi chiacchiera toglie ciò che dice da un discorso e da un contesto. La decentrazione consiste nel non riportare l’argomento fondamentale del discorso, ma un suo aspetto secondario. L’esagerazione è la conseguenza della decentrazione. L’integrazione è il completamento dei vuoti di memoria o di informazione, completamento dovuto a interpretazioni e opinioni di chi riferisce.
chiamiamola, per distinguere, diceria o maldicenza. La diceria mira a fabbricare la verità perché il suo obiettivo è quello di fare male a qualcuno. La diceria è una chiacchiera mirata, messa in giro ad arte, ha uno scopo preciso, voluto, previsto. Mentre la chiacchiera è libera, autodiretta, fluttuante e sfrontata, la diceria è comandata, eterodiretta, rigida e spesso moralista. Anche in questo caso, converrà fare un esempio. Un paio d’anni fa, al concorso nazionale di “Miss Italia”, una concorrente è stata accusata di essere un trans: non era vero, ma l’accusa ha rischiato di porla fuori gara; e in ogni caso è servita a metterla in cattiva luce.
Mentre la chiacchiera, come abbiamo visto, potrebbe essere veritiera, la maldicenza rientra sicuramente nella categoria delle menzogne. Ancora un passo e la maldicenza diventa calunnia: si pensi ai due vecchi che accusano Susanna, per salvare se stessi, nel Vecchio Testamento (Supplementi a Daniele, 13). Susanna, una bella e giovane sposa ingiustamente accusata di adulterio, rischia una condanna a morte. Per sua fortuna, viene salvata da Daniele, che fa condannare i suoi calunniatori, ma non tutti i calunniati hanno la fortuna di trovare un giudice o un avvocato ispirato da Dio. (Per inciso: l’accusa di adulterio non è solo un modo di vendicarsi delle donne, è anche un modo di colpirle nella loro credibilità morale o sociale.) Si pensi anche a ciò che accadde al Giudice Giovanni Falcone, nel 1989, quando era diventato il simbolo della lotta alla mafia: una serie di lettere anonime, inviate dal cosiddetto “Corvo”, lo accusarono di manipolare il pentito Salvatore Contorno per fargli eliminare i Corleonesi. La maldicenza e la calunnia sono diventate una consuetudine della lotta politica. Servono a distruggere l’avversario o a ricattarlo - al fine di fargli “sgombrare il campo”. Nella Russia di
Putin circolano dossier fabbricati appositamente per distruggere la credibilità degli avversari. Ma non è che il resto del mondo, cominciando dall’Europa, sia esente dall’usare questi metodi. Giornali e giornalisti spesso si prestano a questo gioco al massacro. Con crescente smarrimento di chi continua a credere nell’importanza dell’informazione in una democrazia. Terminiamo con una annotazione biblica. Fra i dieci comandamenti (Esodo, 20, 1-17) ce ne è uno che riguarda il nostro tema: è il nono comandamento “Non testimoniare il falso contro nessuno”. Curioso il fatto che sia uno dei comandamenti più trascurati, anzi uno di quelli che si fa più fatica a ricordare. ■ Antonio Petrucci. Ha insegnato filosofia all'indirizzo socio-psico-pedagogico dell'Istituto "Matilde di Canossa" di Reggio Emilia. Giornalista e saggista si occupa, oltre che di filosofia, di letteratura e di storia dell'OttoNovecento. Fra le pubblicazioni filosofiche: "Per un'etica della presenza. Saggio di filosofia morale" su l'Almanacco di Reggio Emilia n. 55-56, dic.2010; "Filosofia e medicina. Un intinerario storico" su l'Almanacco n. 58, dic. 2011; "Dell'uomo giusto e del tiranno. Letture platoniche" su l'Almanacco n. 60, dic. 2012.
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Attualità e Neuroscienze
La scomparsa di Rita Levi Montalcini
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i è spenta a Roma, il 30 dicembre 2012, Rita Levi Montalcini, all'età di 103 anni. In migliaia hanno dato l'ultimo saluto alla scienziata e senatrice a vita al cimitero monumentale di Torino il 3 gennaio di quest'anno. Un breve corteo funebre si è svolto all'interno del complesso tra due ali di folla che ha applaudito la scienziata e la più grande donna del secolo (come da più parti è stata definita). Allieva di Giuseppe Levi, ha condotto le sue ricerche all'estero come tanti giovani ricercatori italiani di oggi, ma non ha dimenticato l'Italia. E proprio nel nostro paese Rita Levi Montalcini ha fondato l'Istituto Europeo per la ricerca sul cervello, aprendo le porte e aiutando soprattutto i giovani. Nell'intervista rilasciata in occasione del suo centesimo com-
pleanno non parlò di sè e del suo passato, ma dei giovani: "I giovani sono il paese"; e mettendo in guardia il mondo politico: "La ricerca va finalizzata in base ai meriti, e non all'appartenenza politica". La studiosa italiana ricevette il Premio Nobel per la medicina nel 1986. Tale riconoscimento le veniva dalla serie di ricerche condotte negli anni Cinquanta che la portarono alla scoperta e all'identificazione del fattore di accrescimento della fibra nervosa (NGF). Alle cronache degli ultimi anni è nota anche per l'impegno sociale e per il titolo ricevuto - una volta tanto meritato - di senatrice a vita "per aver illustrato la Patria con altissimi meriti nel campo scientifico e sociale". Teneva molto caro questo riconoscimento che interpretò come impegno
civile e politico nel senso più alto del termine. Partecipò attivamente, nonostante l'età, alla vita del Parlamento con senso etico e morale. Importante è stato il suo contributo alle Pari Opportunità della donna e diversi sono i testi dei quali è stata autrice. Si ricorda, tra le altre cose, che è stata la prima donna a essere ammessa alla Pontificia Accademia delle Scienze; era inoltre socia nazionale dell'Accademia dei Lincei per la classe delle scienze fisiche e socia fondatrice della Fondazione Idis-Città della Scienza. Le dedicheremo uno spazio importante sul numero di “Neuroscienze Anemos” previsto per la fine di marzo 2013.
A Oltre il tema del mese
ALTRI APPROFONDIMENTI Pagina 44 Neurologia e medicina
Pagina 54 Internet e tecnologia
Pagina 55 Opinioni e comunicazioni
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Gen-Mar | anno III Sett-Dic 2012 | anno2013 II - numero 7 - numero 8
I Tumori spinali in età pediatrica Barbara Spacca, Flavio Giordano, Federico Mussa, Mirko Scagnet, Regina Mura, Michele Parolin, Massimiliano Sanzo, Luigi Sardo, Pierarturo Donati e Lorenzo Genitori*
parole chiave. Tumore spinale, neuropatologia, sistema nervoso periferico
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Abstract. Studio: analisi retrospettiva con follow up prospettico dei pazienti trattati per tumore spinale presso l’unità di Neurochirurgia Pediatrica dell’Ospedale Pediatrico “Anna Meyer” di Firenze in un periodo di diciassette anni. Obiettivo: analizzare la popolazione, la presentazione clinica, l’istologia dei tumori, l’evoluzione nella valutazione diagnostica, l’indicazione chirurgica, il trattamento chirurgico, i risultati. Riassunto: i tumori spinali nella popolazione pediatrica sono rari ma il loro trattamento è molto impegnativo poiché è necessario confrontarsi sia con la patologia sia con la preservazione della stabilità della colonna vertebrale nella fase della crescita. Metodo: tra il 1995 e il 2011 sono stati ricoverati per tumore spinale 134 pazienti, 75 maschi e 59 femmine, che rappresentano il 7,7% di tutti i pazienti ricoverati per tumori del sistema nervoso centrale. L’età media al ricovero era 8,5 anni (14 giorni-26 anni); il follow up medio di 28 mesi (3 mesi-13 anni). I sintomi più comuni che portavano alla valutazione medica erano il dolore (43,3%) e i deficit neurologici focali (40,3%). I tumori
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erano suddivisi per sede in: 46 intramidollari, 25 intradurali extramidollari, 44 extradurali, 10 paravertebrali e 9 lesioni ossee. Il glioma di basso grado era la più comune diagnosi istologica (22,4%). I pazienti trattati chirurgicamente sono stati 117, per un totale di 138 procedure chirurgiche. In 80 casi si è proceduto attraverso una laminoplastica con approccio posteriore. La radioterapia e la chemioterapia sono state effettuate rispettivamente in 22 e 26 pazienti. Risultati: la mortalità all’ultimo follow up era dell’11,9% (16 pazienti). Un buon controllo della lesione tumorale con un miglioramento della clinica è stata riportata in 94 pazienti (70,2%). 18 pazienti hanno sviluppato instabilità vertebrale (13,4%). Conclusioni: gli obiettivi del trattamento chirurgico sono la diagnosi istologica, la decompressione delle strutture nervose, la preservazione della stabilità vertebrale. Una accurata pianificazione basata sulle indagini neuroradiologiche, il tipo di tumore e le condizioni generali conducono a un buon risultato in termini di preservazione di una adeguata qualità di vita riducendo il rischio di deformità spinali.
* UOA Neurochirurgia, Ospedale “Meyer”, Firenze, Coordinamento Regionale Neurochirurgia Pediatrica
Anemos neuroscienze
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ntroduzione. I tumori vertebrali nella popolazione pediatrica sono una patologia rara ma complessa a causa dell'eterogeneità nella presentazione, nell'istologia, nell'evoluzione e nel trattamento. In molti casi la diagnosi può avvenire con ritardo a causa della scarsa specificità dei sintomi e segni clinici. I tumori possono originare dal tessuto nervoso, dalle meningi, dal tessuto osseo e dalle regioni paravertebrali. Nel trattamento bisogna considerare la storia naturale della lesione tumorale ma, quando si deve definire il piano terapeutico, è importante valutare le caratteristiche biomeccaniche della colonna vertebrale in fase di crescita. Presentiamo la nostra esperienza di tumori spinali basata su una serie di 134 giovani pazienti (pediatrici e non) trattati tra il 1995 e il 2011 presso una singola unità di Neurochirurgia Pediatrica. Lo scopo del nostro studio è di mettere in risalto le difficoltà di gestione e le complicanze correlate a una patologia così complessa. Materiali e metodi. Tra il 1995 e il 2011 134 pazienti, 74 maschi e 59 femmine (M:F 1,3:1), affetti da tumore spinale sono stati ricoverati presso l’Unità di Neurochirurgia Pediatrica dell’Ospedale Anna Meyer in Firenze. Questi pazienti rappresentano il 7,7% di tutti i pazienti ricoverati nello stesso periodo per lesioni tumora- ►
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«I tumori spinali nella popolazione pediatrica sono rari ma il loro trattamento è molto impegnativo poiché è necessario confrontarsi sia con la patologia sia con la preservazione della stabilità della colonna vertebrale nella fase della crescita» Qui a fianco e alle pagine 49 e 50 immagini evocative in contesti pediatrici
◄ li del sistema nervoso centrale. La
documentazione clinica è stata revisionata in maniera retrospettiva con follow up prospettico. Età: L’età media è di 8,5 anni (14 giorni-26 anni). Dopo aver analizzato la distribuzione della popolazione secondo l’età sono stati notati due picchi: il primo tra la nascita e i 36 mesi, con 31 pazienti (23,1%), e il secondo tra i 10 e 15 anni, con 46 pazienti (34,3%).
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Presentazione clinica: I segni e i sintomi di esordio sono vari e spesso aspecifici. I più comuni sono il dolore, in 54 pazienti (40,3%), la presenza di masse palpabili, in 17 pazienti (12,7%), deficit neurologici focali, in 30 pazienti (22,5%), consistenti in paraparesi (16 pazienti), monoparesi (11 pazienti), problemi sfinterici (6 pazienti), emiparesi (1 paziente), deficit sensitivi (1 paziente) e atassia (1 paziente). 6 pazienti erano stati studiati per deformità spinali: scoliosi in 4 casi e cifosi in 2 casi. 11 pazienti (8,1%) erano completamente asintomatici. In questo gruppo la diagnosi è stata posta grazie a studi neuroradiologici effettuati per control-
li routinari in tumori primari cerebrali, in 8 casi (ependimoma) o a seguito di traumi spinali, in 3 casi. 16 pazienti (11,9%) si lamentavano principalmente di sintomi aspecifici come cefalea, perdita di peso, vomito, dispnea e torcicollo. 25 pazienti tra quelli che hanno manifestato solamente sintomi aspecifici o dolore rachideo sono stati trattati inizialmente con varie terapie: 8 sono stati valutati da uno psicologo, 4 sono stati trattati per disturbi gastroenterologici, 4 per disturbi nefrologici, 3 sono stati trattati con collare, 2 hanno iniziato una terapia antibiotica, 2 sono stati sottoposti ad agopuntura, 1 a trattamento fisioterapico e 1 ad indagini reumatologiche. Quasi tutti i pazienti che hanno manifestato dolore sono
stati trattati inizialmente con farmaci antiinfiammatori e valutati in maniera adeguata da uno specialista neurologo o neurochirurgo, solo quando il dolore è diventato insopportabile e non responsivo alla terapia farmacologica o sono comparsi deficit neurologici focali. Questo ha portato ad un ritardo medio tra l’esordio dei sintomi/segni e la diagnosi di tumore spinale di 5,3 mesi (1 giorno-24 mesi). Quando si paragona la valutazione clinica al momento della diagnosi al primo segno clinico presentato dal paziente, si riscontra un incremento nel numero di pazienti con dolore (65 vs 54) e nel numero di pazienti con deficit neurologici: 46 con deficit di forza (paraparesi 29, monoparesi 11, emipa-
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ti (34,3%); in 25 (18,7%) è stato osservato un tumore intradurale, extramidollare; i tumori extradurali sono stati riscontrati in 44 casi (32,8%), in 23 casi con coinvolgimento vertebrale e in 21 senza coinvolgimento vertebrale; 10 pazienti (7,5%) sono stati classificati come paravertebrali e 9 (6,7%) come puramente tumori ossei. A seconda della localizzazione lungo la colonna vertebrale le lesioni tumorali erano riscontrate principalmente a livello cervicale o dorsale (93 pazienti, 69,4%): 37 (27%) a livello cervicale, 38 (28%) a livello toracico e 18 (13,4%) al passaggio cervico-toracico. Le restati 41 lesioni espansive (30,6%) erano localizzate a livello lombare con o senza estensione toracica e sacrococcigea.
resi 6); 18 con problemi sfinterici; 14 con deformità vertebrale; 16 con deficit sensitivi (14 anestesia/ipoestesia e 2 parestesia). In 16 pazienti (16,5%) è stata diagnosticata una patologia ereditaria confermata da specifici esami di laboratorio: neurofibromatosi tipo 1 in 13 pazienti, neurofibromatosi tipo 2 in 1 caso, malattia di Von Hippel-Lindau in 1 paziente e adrenoleucodistrofia in 1 caso. Tipo di tumore: I pazienti sono stati suddivisi in 4 gruppi a seconda della relazione tra la lesione espansiva e il midollo spinale, le meningi e la colonna vertebrale. I tumori intramidollari sono stati diagnosticati in 46 pazien-
Trattamento: In tutti i pazienti è stata considerata la possibilità dell’intervento chirurgico almeno per ottenere una diagnosi istologica. Tuttavia 17 pazienti non sono stati sottoposti ad intervento chirurgico per diverse cause: in 1 paziente a causa dello scadimento delle condizioni generali; in 8 pazienti la tipologia del tumore primitivo era già conosciuta (8 pazienti) e, dopo discussione collegiale con il team di neuro-oncologia, si iniziava direttamente una terapia medica (chemioterapia e/o radioterapia); in 7 pazienti era già stata fatta diagnosi di NF1 e non erano presenti segni o sintomi correlati alla lesione spinale; in 1 caso il paziente presentava multiple lesioni ossee per cui si preferiva eseguire una biopsia a livello della mastoide. La testiera a tre punte è stata utilizzata solamente nei pazienti con più di 3 anni e in cui la lesione era localizzata a livello cervicale o cervico-dorsale. Nei pazienti più giovani di 3 anni si pre-
feriva utilizzare la testiera a ferro di cavallo. La laminotomia osteoplastica è stata la tecnica di prima scelta negli approcci posteriori ed è stata utilizzata in 80 casi. Dopo un’incisione cutanea mediana e la scheletrizzazione, le lamine erano sezionate con l’uso o di scalpelli, o di una fresa ad alta velocità o con una fresa ad ultrasuoni (Mectron Piezosurgery Medical System). Nei pazienti in età neonatale la laminotomia era eseguita con le forbici. La laminotomia si estendeva 1 o 2 livelli oltre l’estensione craniale e caudale della lesione tumorale evidenziata agli esami neuroradiologici. La sezione delle lamine era eseguita bilateralmente, mantenendo una angolazione di circa 30° da laterale a mediale. Una attenzione particolare era prestata nel conservare le masse laterali allo scopo di ridurre il rischio di instabilità e quindi di deformità vertebrali postoperatorie. Questa tecnica permetteva di ottenere un piano osseo adeguato al riposizionamento delle lamine a fine intervento. Il legamento interspinoso, il legamento posteriore e il legamento giallo erano sezionati solamente ad una estremità mentre erano mantenuti intatti ai restanti livelli in modo da permettere di ribaltare la laminotomia interamente. Al termine della procedura le lamine erano poi riposizionate nella loro sede originale e suturate (Vicryl NR) a livello dell’estremità legamentosa precedentemente sezionata. In pazienti molto piccoli la sutura era effettuata attraverso i processi spinosi. In pazienti più grandi in alcuni casi erano utilizzate delle placchette in titanio fissate alle lamine. Nella sutura dei piani profondi dei muscoli paravertebrali si poneva attenzione a coinvolgere anche il legamento spinoso. Nei restanti 37 casi è stato eseguito un approccio posteriore tramite laminectomia (31 casi) o un approccio anteriore trans-toracico o retroperitoneale (5 casi). In 1 caso la diagnosi istologica è stata ottenuta tramite biopsia TACguidata. In 13 casi la chirurgia è stata eseguita mediante 2 differenti proce- ►
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◄ dure. In 1 di tali casi un approc-
cio anteriore e posteriore è stato necessario. La laminectomia è stata la procedura di scelta quando il tumore aveva già distrutto la vertebra (ad esempio: cisti ossee aneurismatiche), o quando il numero dei livelli coinvolti era numericamente limitato e il distretto interessato era a livello toracico. Dopo l’apertura ossea la chirurgia proseguiva sotto visione microscopica. Nelle lesioni espansive intradurali erano possibili 2 approcci: nei casi in cui era presente un buon piano tra il tumore e il tessuto circostante era eseguita una attenta dissezione e rimozione; nelle lesioni infiltranti la massa era ridotta di volume dall’interno il più possibile. La rimozione era ottenuta anche tramite aspirazione ad ultrasuoni (CUSA). Per ridurre il rischio di fistola liquorale nel periodo postoperatorio i pazienti, in cui la dura era aperta, erano mantenuti in posizione di Trendelemburg per 3 giorni e successivamente in posizione supina a 0° per 2 giorni prima di essere mobilizzati. In tutti i casi ai pazienti era permesso di mobilizzarsi in ortostatismo solo con corsetto. I controlli radiologici (RM e/o TAC e/o RX) erano effettuati entro il terzo giorno postoperatorio per verificare l’estensione della resezione e l’allineamento vertebrale. Ulteriori trattamenti (chemioterapia e/o radioterapia) erano eseguiti nei seguenti casi: gliomi di alto grado, ependimomi, linfomi, sarcomi, teratoma rabdoide atipico (ATRT), neuroblastomi, medulloblastomi metastatici (19 pazienti). I gliomi a basso grado ricevevano il trattamento audiuvante solo nei casi di recidiva (6 pazienti). Complicanze. Complicanze associate alla procedura chirurgica si verificavano in 23 pazienti (19,6%). 4 pazienti hanno sviluppato una fistola liquorale che è stata trattata in tutti i casi in maniera conservativa mantenendo il paziente in posizione di Trendelemburg; 2 pazienti hanno sviluppato una infezione della ferita
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chirurgica che è stata trattata con terapia antibiotica. In 8 casi si è osservato un peggioramento postoperatorio dell’esame neurologico in relazione ad uno shock midollare (8 casi) o ad un danno delle radici nervose (2 casi). Lo shock spinale si manifestava con paraparesi, cloni, perdita della funzione sfinterica e priapismo. In 7 pazienti si è osservato un recupero completo dei deficit neurologici entro 3 mesi dalla chirurgia. Solamente 1 paziente ha residuato una spasticità per cui è stato necessario impiantare una pompa per l’infusione intratecale di Baclofen con un buon miglioramento nella marcia senza bisogno di alcun ausilio. 3 pazienti trattati con tecnica laminoplastica e 2 pazienti trattati mediante laminectomia hanno presentato una instabilità vertebrale postoperatoria. Un caso ha sviluppato un idrocefalo trattato con derivazione ventricolo peritoneale. 1 paziente ha sviluppato
I numeri in sintesi Quando: periodo tra il 1995 e il 2011. Quante persone: 134 pazienti (74 maschi e 59 femmine) affetti da tumore spinale rappresentano il 7,7% di tutti i pazienti ricoverati nello stesso periodo per lesioni tumorali del sistema nervoso centrale. Dove: Unità di Neurochirurgia Pediatrica dell’Ospedale Anna Meyer in Firenze. Età: l’età media è di 8,5 anni (14 giorni-26 anni). Dopo aver analizzato la distribuzione della popolazione secondo l’età sono stati notati due picchi: il primo tra la nascita e i 36 mesi, con 31 pazienti (23,1%), e il secondo tra i 10 e 15 anni, con 46 pazienti (34,3%).
un improvviso deterioramento neurologico con paraparesi durante la terza giornata postoperatoria a causa di un sanguinamento intradurale. L’ematoma è stato evacuato con il completo recupero della funzionalità neurologica. Istologia. Gli esami istologici hanno mostrato 29 differenti diagnosi. Le più comuni erano glioma di basso grado (19 pazienti), neuroblastoma (12 pazienti), neurofibroma (11 pazienti), neurinoma (11 pazienti), sarcoma (9 pazienti), cavernoma e malformazioni vascolari (9 pazienti), ependimoma (9 pazienti), gliomi ad alto grado (6 pazienti), linfoma (4 pazienti). 1 paziente a cui era stato diagnosticato un glioma di basso grado presentava una recidiva a 12 mesi dall’intervento. Alla recidiva l’esame istologico dimostrava una progressione verso una lesione gliale di alto grado. Tale paziente non aveva ricevuto alcun trattamento audiuvante (chemioterapia e/o radioterapia). Risultati. Tutti i pazienti sono stati rivalutati in ambulatorio a 1, 3, 6, 12 mesi dall’intervento e successivamente su base annuale. Dopo ogni controllo i casi erano ridiscussi collegialmente con il team di neuro-oncologia. I pazienti che erano sottoposti a trattamento chemioterapico o radioterapico erano seguiti dai colleghi oncologi. L’ultimo controllo è in media avvenuto 28 mesi dopo il trattamento (3 mesi-13 anni). Radiografie della colonna vertebrale sono state ottenute a 1, 3 e 6 mesi dopo l’intervento chirurgico per valutare la fusione della laminoplastica e la stabilità vertebrale. Noi abbiamo considerato come soddisfacente un RX invariato o migliorato rispetto al controllo preoperatorio e postoperatorio precoce riguardo alle caratteristiche della colonna vertebrale. In questi casi non abbiamo effettuato specifiche misurazioni sulla colonna vertebrale e i corsetti sono stati rimossi a 3 mesi dall’intervento ogni volta che gli esami radiologici e le condizioni generali e neurologiche erano giudicate soddi-
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sfacenti. Ai pazienti con un peggioramento di deformità vertebrali pregresse o con una deformità di nuova insorgenza era consigliato di mantenere il corsetto per altri 3 mesi. Durante il controllo 5 pazienti hanno sviluppato una instabilità vertebrale che necessitava di un trattamento chirurgico. In tre casi la deformità era giudicata essere conseguenza di un fallimento della tecnica laminoplastica: in 1 caso una inadeguata angolazione di sezione delle lamine non aveva permesso un buon riallineamento dei monconi ossei portando ad una dislocazione dell’arco posteriore all’interno del canale vertebrale; in 2 casi la laminotomia era stata estesa troppo lateralmente coinvolgendo le masse laterali. 2 di questi pazienti avevano già una diagnosi di deformità vertebrale che peggiorava nel postopera-
torio. Il trattamento chirurgico per la deformità è stato effettuato in 4 di questi pazienti (1 approccio anteriore, 2 approcci posteriori e 1 approccio combinato anteriore e posteriore). 1 paziente non era trattato a causa delle condizioni generali. Altri 13 pazienti presentavano al controllo a 3 mesi un quadro radiologico non considerato adeguato per la rimozione del busto che veniva quindi mantenuto per altri 3 mesi. Al controllo a 6 mesi non mostravano progressioni ulteriori che richiedessero un trattamento chirurgico e il busto veniva rimosso senza ulteriori conseguenze sulla stabilità della colonna al follow up successivo. Una Risonanza Magnetica era programmata prima di ogni controllo postoperatorio; diverso atteggiamento era tenuto per i pazienti inseriti in ►
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«La mortalità e la morbilità dei tumori spinali in età pediatrica è strettamente correlata alla localizzazione anatomica, alla diagnosi istologica, all’entità della resezione chirurgica e alla sensibilità della lesione espansiva alla chemioterapia e radioterapia.»
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protocolli correlati alla chemioterapia e/o radioterapia. In 12 casi si assisteva ad una recidiva della lesione, di questi 7 erano affetti da tumore intradurali. In tutti i casi di recidiva si procedeva ad una seconda chirurgia. In 1 caso di glioma di basso grado trattato solamente con la chirurgia si assisteva ad una progressione della lesione a glioma ad alto grado. Ulteriori trattamenti erano proposti nei casi di gliomi intramidollari di basso grado recidivanti. All’ultimo controllo (media 28 mesi) 8 pazienti (5,9%) presentano un peggioramento delle condizioni neurologiche, 10 (7,4%) sono invariati e 100 (74,6%) sono migliorati. La mortalità correlata alla progressione della malattia è stata osservata in 16 pazienti (11,9%), 8 di loro avevano un tumore intramidollare.
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Discussione. I tumori spinali nei pazienti pediatrici sono un’entità insidiosa a causa della loro presentazione clinica e della diagnosi istologica. L’incidenza dei tumori spinali rispetto ai
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tumori del sistema nervoso centrale è minore nei bambini che negli adulti. Nella nostra serie rappresentano il 7,7% di tutti i tumori del sistema nervoso centrale, percentuale che è comparabile con quelle descritte in letteratura (5-20%). Molte problematiche insorgono a riguardo della loro gestione, non solo per la loro rarità ma anche per la loro grande varietà di localizzazione, istologia e comportamento. Noi abbiamo suddiviso la nostra serie in 4 gruppi a seconda della sede: tumori intramidollari, diagnosticati in 46 pazienti (34,3%); tumori intradurali, extramidollari evidenziati in 25 pazienti (18,76%); tumori extradurali, riscontrati in 44 casi (32,8%) e ulteriormente suddivisi in lesioni espansive con coinvolgimento vertebrale in 23 casi e senza coinvolgimento vertebrale in 21; tumori paravertebrali diagnosticati in 10 pazienti (7,5%) e tumori puramente ossei in 9 (6,7%). Questi dati sono ancora simili a quelli presenti in letteratura. Wetjen e Raffel hanno rivalutato la distribuzione dei tumori riportata in
«In tutti i pazienti è stata considerata la possibilità dell’intervento chirurgico almeno per ottenere una diagnosi istologica. Tuttavia 17 pazienti non sono stati sottoposti ad intervento chirurgico per diverse cause, per lo scadimento delle condizioni generali o perchè la patologia era già conosciuta; quindi si è iniziato direttamente con la terapia medica.» 10 studi con popolazioni numerose, secondo la suddivisione da noi utilizzata: tumori intramidollari 29,7%, tumori intradurali extramidollari 24,6%, tumori extradurali 34,5%, altre localizzazioni 11,2%. Nella nostra serie la diagnosi è stata la prima difficoltà incontrata. A fianco di pazienti che hanno presentato un esor- ►
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FIGURE Tumore intramidollare (1); Tumore intramidollare, Glioma di alto grado (2);
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Tumore intramidollare prima (3); Tumore intramidollare dopo chirurgia e chemioterapia (4); Ependimoma (5); Cisti aneurismatica dell'osso (6).
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dio acuto caratterizzato da focalità neurologiche (30 casi) e da comparsa di masse palpabili (17), ci sono pazienti che hanno avuto un esordio insidioso e che sono stati investigati per patologie spinali solo dopo che diverse patologie sono state escluse. In questo modo si è avuto un importante ritardo che ha influenzato negativamente l’esame neurologico ottenuto al momento della diagnosi. È difficile tracciare delle indicazioni in merito a quando sia opportuno eseguire indagini neuroradiologiche sulla colonna spinale in bambini senza una pregressa anamnesi positiva per patologia spinale e con un esame neurologico nella norma, i cui disturbi non sembrano direttamente correlati a problemi spinali. È però utile osservare che il dolore rachideo in un bambino per il resto asintomatico e senza storia clinica positiva per trauma è piuttosto inusuale. Nella nostra popolazione il dolore riferito al rachide, senza associata pregressa storia di traumi, è stato il primo disturbo in 54 pazienti (40,3%). Anche dopo che la diagnosi è stata fatta si è di fronte alla complessità delle scelte terapeutiche. I tumori spinali nella popolazione pediatrica sono rari ed eterogenei e la stessa tipologia di tumore in bambini di differente età può richiedere diverse strategie. In tutti i casi i nostri obiettivi erano: ottenere una diagnosi istologica, rimuovere la maggior parte di tumore, preservare la stabilità vertebrale e mantenere invariate le condizioni neurologiche del paziente. L’approccio da noi preferito per aggredire la lesione espansiva è stato in tutti i casi quello posteriore. Qualora non fosse percorribile, un approccio trans addominale era eseguito con l’ausilio di un chirurgo generale. In tutti i casi l’approccio posteriore di scelta è stato quello mediante laminotomia osteoplastica, infatti tale tecnica permette di ottenere una buona esposizione chirurgica e una buona fusione dell’osso, dopo il riposizionamento delle lamine, nei pazienti che hanno indossato un corsetto per almeno 3 mesi. Alla diagnosi una deformità vertebrale
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era già evidente in 14 pazienti, scoliosi in 11 e cifosi in 3 e tale deformità peggiorava dopo la chirurgia in 7 casi; in altri 11 casi una nuova deformità vertebrale insorgeva dopo la chirurgia. In 5 dei pazienti con una progressione della deformità, 3 con una pregressa deformità vertebrale e 2 con una nuova insorgenza di deformità, è stata posta indicazione chirurgica alla fissazione con mezzi di sintesi. Gli altri pazienti di questo gruppo sono stati mantenuti in corsetto per un tempo prolungato, 6 mesi, bloccando in tal modo la progressione della deformità. Quando paragoniamo i nostri risultati sulla deformità vertebrale con quelli riportati in letteratura si osserva che le popolazioni di pazienti pediatrici operati mediante laminectomia sviluppano deformità che richiedono ulteriori trattamenti chirurgici in un terzo dei casi; in alcune serie l’incidenza di queste complicanze raggiunge il 100% quando la chirurgica è effettuata a livello cervicale. D’altra parte, da quando è stata descritta la prima volta da Raimondi et al. nel 1976, è noto che la laminoplastica è associata ad un’incidenza minore di progressione della deformità vertebrale richiedente intervento chirurgico. Tuttavia è probabile che il rischio di sviluppare una instabilità spinale in un bambino trattato per tumore spinale non dipenda esclusivamente dall’effetto destruente della chirurgia. Costantini sostiene che la chirurgia, la terapia audiuvante e l’effetto neurogenico dei tumori intramidollari siano la ragione della maggiore incidenza di deformità vertebrali dopo la laminotomia (31% nella sua serie) mentre egli non riporta alcuna complicanza acuta in più di 300 laminoplastiche eseguite per le rizotomie. Di altro parere è invece Ratliff che, nel suo studio, non evidenzia alcun beneficio della laminoplastica sulla laminectomia a livello cervicale nei pazienti adulti. È probabilmente vero che anche con la laminoplastica la regione cervicale sia più soggetta a sviluppare instabilità, infatti nella nostra serie 2 dei 5 casi che hanno sviluppato una deformità importante presentavano lesioni espansi-
ve a livello cervicale. Probabilmente la lassità legamentosa, il contenuto di cartilagine a livello dell’osso e il vettore di crescita, che è parzialmente controllato dal tessuto osseo adiacente, rendono la colonna vertebrale in età pediatrica più soggetta a sviluppare deformità se le lamine sono rimosse completamente, cosa che induce a ritenere che la maggiore conservatività della laminotomia osteoplastica abbia un effetto benefico sulla riduzione del rischio di instabilità vertebrale. Tuttavia l’effetto delle terapie adiuvanti su queste stesse strutture non è evidentemente scevro di possibili rischi nella direzione dell’instabilità vertebrale stessa. La mortalità e la morbilità dei tumori spinali in età pediatrica è strettamente correlata alla localizzazione anatomica, alla diagnosi istologica, all’entità della resezione chirurgica e alla sensibilità della lesione espansiva alla chemioterapia e radioterapia. I tumori intramidollari ad alto grado di malignità hanno la prognosi peggiore. Nel nostro studio all’ultimo controllo (3 mesi-13 anni, media 28 mesi) 16 pazienti (11,9%) erano deceduti: 12 di questi erano affetti da tumori intramidollari o intradurali extramidollari e 4 da tumori extradurali. Considerando la morbilità chirurgica, abbiamo osservato, nel periodo postoperatorio, un improvviso peggioramento clinico della forza e/o sensibilità e/o funzionalità sfinteriale in 57 pazienti operati per tumori intradurali extramidollari e intramidollari; di questi 8 hanno presentato uno shock midollare. Tali pazienti erano trattati con corticosteroidi per via endovenosa ed erano trasferiti presso una Unità di Neuroriabilitazione Pediatrica. Al controllo effettuato a 3 mesi solamente in un paziente permaneva un peggioramento neurologico rispetto alla valutazione preoperatoria; tale peggioramento è conseguente ad uno shock midollare da cui reliquava una spasticità agli arti inferiori che necessitava di trattamento con il baclofen per via intratecale. Un peggioramento delle condizioni neurologiche solamente temporaneo è stato descritto anche in molti altri studi. Le con-
seguenze a carattere permanente sembrano invece correlate alle condizioni neurologiche preoperatorie, mentre la sopravvivenza, per quanto riguarda i tumori intramidollari, sembra essere principalmente correlata alla diagnosi istologica e al tipo di tumore. In conclusione, da un punto di vista della tecnica chirurgica e della mortalità e morbilità correlata alla chirurgia i tumori spinali in età pediatrica hanno avuto, negli ultimi 30 anni, un significativo miglioramento. Nella revisione dei nostri casi abbiamo osservato un
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ottimo risultato nella riduzione delle deformità vertebrali postoperatorie ricorrendo alla tecnica chirurgica della laminotomia osteoplastica. Una asportazione macroscopicamente radicale della lesione espansiva, specialmente nei tumori ad alto grado di malignità, è uno dei principali obiettivi per migliorare la prognosi. Il ritardo nella diagnosi è ancora uno dei problemi di difficile soluzione che necessitano di ulteriori indagini. La gestione multidisciplinare dei bambini affetti da tumore spinale è, sicuramente, una
delle migliori opzioni da offrire a questi pazienti. ■
Lorenzo Genitori. Specialista in Neurochirurgia. Primario Neurochirurgia Pediatrica ospediale pediatrico Meyer, Firenze. Altri autori dell'area di Neurochirurgia dell'Ospedale Pediatrico Meyer di Firenze: Barbara Spacca, Flavio Giordano, Federico Mussa, Mirko Scagnet, Regina Mura, Michele Parolin, Massimiliano Sanzo, Luigi Sardo, Pierarturo Donati.
Indicazioni bibliografiche Kanos CC, Muhlbauer MS. Extramedullary, intradural and extradural spinal cord tumors. In McLone DG, ed. Pediatric neurosurgery. - fourth edition. WB Saunders Company, Philadelphia, 2001: 873-884. Wetjen NM, Raffel C. Spinal extradural neoplasms and intradural extramedullary neoplasms. In Albright AL, Pollack IF, Adelson PD eds. Principles and Practice of Pediatric Neurosurgery. Thieme New York; 2008: 694705. Kothbauer KF, Abbott R. Intramedullary spinal cord tumors. In Albright AL, Pollack IF, Adelson PD eds. Principles and Practice of Pediatric Neurosurgery. Thieme New York; 2008: 706-720. Ridgway EB, Weiner HL. Spine tumors. In Albright AL, Pollack IF, Adelson PD eds. Principles and Practice of Pediatric Neurosurgery. Thieme New York; 2008: 721-734. Ratliff JK, Cooper PR. Cervical laminoplasty: a critical review. I.Neurosurg. (Spine) 2003; 98: 230-238. McGirt MJ, Garcés-Ambrossi GL, Parker SL, Scott L, Sciubba DM, Bydon A, Wolinksy JP, Gokaslan ZL, Jallo J, Witham F. Short term progressive spinal deformity following laminoplasty versus laminectomy for resection of intradural spinal tumors: analysis of 238 patients. Neurosurgery 2010; 66(5):
1005-1012. Hsu W, Pradilla G, Constantini S, Jallo GI. Surgical considerations of spinal ependymomas in the pediatric population. Childs. Nerv. Syst. 2009; 25: 12531259. Raimondi AJ, Gutierrez FA, Di Rocco C. Laminotomy and total reconstruction of the posterior spinal arch for spinal canal surgery in childhood. J.Neurosurg. 1976; 45: 555-560. Fassett DR, Clark R, Brockmeyer DL, Schmidt MH. Cervical spine deformity associated with resection of spinal cord tumors. Neurosurg. Focus. 2006; 20(2): E2. Yao KC, McGirt MJ, Chaichana KL, Constantini S, Jallo GI. Risk factors for progressive spinal deformity following resection of intramedullary spinal cord tumors in children: an analysis of 161 consecutive cases. J.Neurosurg. (6 Suppl Pediatrics). 2007; 107: 463-468. Winograd E, Pencovich N, Yalon M, Soffer D, Beni-Adani L, Constantini S. Malignant trasformation in pediatric spinal intramedullary tumors: casebased update. Childs. Nerv. Syst. 2012; Epab ahead of print.
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Gen-Mar 2013 | anno III - numero 8
AreaDibattito Nel corso delle ultime conferenze promosse dalla Libera Università di Neuroscienze Anemos di Reggio Emilia e dalla Clessidra Editrice, con il prezioso supporto di Reggio Children, si sono sviluppati interessanti dibattiti sui temi trattati dai relatori. Proprio in occasione della relazione di Adriano Amati "Dialogare al tempo di sms e twitter", è intervenuto il giovane Milo Neri, che ha portato il punto di vista della sua generazione che con ironia e partecipazione emotiva ben si inserisce nel dibattito aperto e apre un varco fra linguaggi della cultura umanistica e post-umanistica.
Risposta a "dialogare al tempo di sms e twitter"
di Milo Neri
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ecentemente ho partecipato alla conferenza tenuta dal dottor Adriano Amati, "Dialogare al tempo di SMS e Twitter", alla fine della quale mi è stato chiesto un contributo, essendo io un "addetto ai lavori". Spero di poter contribuire a questo dibattito portando il punto della mia generazione, che con i "nuovi media" è cresciuta, lavora e spera di costruirsi un futuro. Nella conferenza ho trovato alcuni punti che ritengo possa essere interessante approfondire. Prima di tutto, l'idea che l'uso delle nuove tecnologie possa portare ad uno svilimento del linguaggio. Io credo che mentre è sicuramente vero che leggendo un SMS troviamo scorrettezze grammaticali e lessicali, contrazioni, linguaggio gergale e quant'altro, è anche vero che quando noi stessi li scriviamo non abbiamo intenzione di dargli una qualsivoglia valenza letteraria. Questi messaggi dovrebbero essere visti in un'ottica pragmatica, al pari di un telegramma e non paragonati ad un'opera letteraria, e lo stesso discorso credo si debba applicare anche a tutte le comunicazioni simili che si hanno sul web. Quando scrivo un post o rispondo ad un topic o partecipo ad un thread modifico il mio linguaggio per adeguarlo al contesto della discussione alterando, storpiando, se vogliamo, alcune parole, esattamente come faccio quando parlo con i miei amici face-to-face. Questo non è comunque "fare letteratura". La questione da porsi forse è un'altra: questo nuovo linguaggio, diverso, consentirà ancora ad un
artista di esprimere la propria creatività attraverso le parole? Pensiamo ad Ungaretti: "Soldati" è una poesia con un lessico semplice, comprensibile anche ad un bambino, ma resta comunque incredibilmente profonda ed efficace. Montale, al contrario, necessita di una mediazione e ringrazio la mia professoressa per avermelo spiegato; o almeno per averci provato. Un altro punto che mi preme approfondire è quello della perdita dell'oralità, dell'aspetto parlato e del linguaggio non verbale che evidentemente non è presente sul web. Secondo me anche questo non è del tutto corretto perchè ad oggi, tralasciando le piattaforme social, che non riflettono un vero dialogo face-to-face, le chat non sono certo l'unica maniera di comunicare via internet. Già da molti anni con programmi come Skype, MSN Messenger, Ichat e altre piattaforme di instant messaging possiamo sentire il nostro interlocutore, con una qualità discreta, anche se si trova letteralmente dall'altra parte del mondo e, con ancora qualche incertezza, vederlo se possiede una webcam. Andando avanti, possiamo presumere che la tecnologia migliori e che quindi si recuperi una buona parte degli elementi non verbali della comunicazione. Ma li vogliamo davvero recuperare? Spesso io scelgo di non vedere i miei interlocutori, perchè mi consente di chiacchierare continuando a lavorare e, se la comunicazione è ancora meno "prioritaria" resta solo una chat e questo non ha mai "svilito" la conversazione. Tre anni fa, ad esempio, giocavo ad un MMORPG o, in italiano, un gioco di ruolo di massa online, dove ho conosciuto moltissime persone, prima attraverso la chat del gioco e poi con Teamspeak, un programma che consente di creare delle stanze virtuali (canali) per parlare tutti assieme. Siccome il gioco in questione prevedeva lunghissime sessioni di accumulo di punti, noiosissime, diventava una scusa per sedersi tutti al computer e chiacchierare. Questo era vero per quasi tutti nel gruppo e dopo un anno circa ci siamo ritrovati a Bologna per una cena, in 30, senza esserci mai visti prima. Per me è stata un'esperienza quasi incredibile perchè, nonostante il fatto di non esserci mai visti prima e di es-
serci sempre chiamati con i nostri nicknames, non abbiamo avuto nessuna difficoltà incontrandoci, anzi, ci siamo divertiti molto, abbiamo continuato a chiamarci con i rispettivi nicknames, a parlare di videogiochi, in 30 tra i 16 e cinquant'anni, senza esserci mai visti prima, amici. A proposito di nicknames, vorrei spendere alcune parole a favore di questo escamotage della rete, ormai indispensabile. Il nick nasce per sopperire alla necessità di proteggere l'username di un utente su di un determinato sito. Il meccanismo è semplice: il sito mostra il nickname dell'utente invece dell'username reale, che resta protetto all'interno del database del sito assieme alla sua password. Questo sistema consente di avere una piccola protezione extra, ma non solo, ci consente di presentarci virtualmente, è la prima informazione che diamo di noi e, se usato propriamente, può arricchire molto l'idea che diamo di noi agli altri; il nick non ci dissocia da noi stessi, al contrario, ci identifica meglio per quello che siamo piuttosto che per chi siamo. Un esempio abbastanza comune di questo uso del nick sono tutte quelle persone che utilizzano nomi di personaggi presi da romanzi, film, serie tv o cartoni animati. Tramite il solo nickname ci comunicano che gli piace quel genere di intrattenimento, che gli piace quel personaggio in particolare, con il quale, presumibilmente, pensano di avere qualcosa in comune, pensano che li rifletta in qualche modo. In ogni caso il nickname "fantasioso" con l'arrivo dei social network è diventato un trend in calo. Un altro trend in calo è quello del "leggere libri" come ha sottolineato il dottor Amati - i giovani leggono sempre meno libri e ci sono sempre meno giovani che leggono il giornale - un dato in cui mi rispecchio abbastanza; non leggo il giornale, non mi fido delle notizie che riporta, temo che non siano davvero imparziali, trovo più affidabili le testate straniere che posso leggere sul web e non leggo molti libri, meno di dieci all'anno, in parte perchè sono molto lento a leggere, in parte perchè trovo difficile leggere per molte ore consecutive ma soprattutto perchè faccio altre cose. Credo che sotto questo punto di vista l'unica colpa dei nuovi media sia di esistere, ossia di offrire un'alternativa in più di fare qualcos'altro a chi già
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prima non aveva voglia di leggere. Altri dati molto interessanti sono quelli riguardanti il livello di istruzione: il 70% degli italiani non è in grado di comprendere un testo di media complessità, eppure si è anche riscontrato che un bambino in età prescolare è in grado di utilizzare un tablet. A questo punto forse è ora di portare davvero questi mezzi nelle scuole. Non è una novità che i mezzi atti all'istruzione si siano modificati per incontrare la moda e la forma mentis del loro tempo, basta fare un piccolo passo indietro, basta prendere i miei libri di testo delle superiori e paragonarli a quelli della generazione precedente, a quelli di mia madre, ed ecco che si possono notare differenze a dir poco lampanti: i suoi libri erano saggi, simili ad edizioni tascabili, mentre i miei somigliano molto di più a riviste: sono più grandi, impaginati a colonne, hanno dei trafiletti, articoli di approfondimento e molte più immagini; i tablet sono solo il prossimo step. Quest'estate ho lavorato presso la ditta che produce le versioni multimediali dei libri di Zanichelli per LIM e tablet; il processo in sè non è nè complesso nè "oscuro". Semplicemente si prende l'intero impaginato del libro, che viene già realizzato a computer, lo si esporta in PDF che viene convertito in SWF sfogliabile ed inserito nella piattaforma eseguibile, il programma vero e proprio. Dopodichè si posizionano in pagina i collegamenti agli elementi multimediali tramite un file di configurazione XML, un lavoro semplice ed estremamente noioso. Il prodotto che si ottiene è un libro uguale a quello cartaceo che in più ha diverse risorse collegate che ne approfondiscono gli argomenti, batterie extra di esercizi, video, animazioni e file audio. Alcuni libri hanno anche lo speakeraggio completo delle pagine, cioè sono audiolibri e si possono ascoltare per intero. La piattaforma consente inoltre di prendere appunti e di collegare questi alla pagina relativa, come le classiche note a margine, solo ordinate e conservate in un archivio organico. E tutto questo non è altro che una fase transitoria: il "formato rivista" dei libri di scolastica attuali non è molto adatto ad essere traslato pagina per pagina sullo schermo di un tablet. Zanichelli sta preparando versioni web dei libri impostate in un formato più consono ai tablet e con funzioni molto più interessanti ed avanzate, prima fra tutte la possibilità di avere la definizione di ogni singola parola del testo immediatamente, cliccandoci
sopra, poi suggerimenti per ampliare la ricerca a wikipedia o ad altri siti più specializzati. Inoltre la piattaforma online mira a creare una sorta di social network della scuola in cui si potranno registrare studenti ed insegnanti, formare le classi, creare lezioni online, scambiarsi materiali ed altro ancora. Il fatto di poter ampliare e approfondire un dato argomento direttamente dalla piattaforma del libro mi ha interessato molto perchè io sono abituato, ormai, ad imparare dal web, cercando da solo le risorse che mi servono. Credo che questo sia uno degli aspetti più affascinanti della rete: un mondo di esperti pronti a consultarsi e ad essere consultati ventiquattr'ore su ventiquattro. Ora, se una casa editrice come Zanichelli sta letteralmente buttandosi in questa direzione, è tardi per pensare che questi mezzi provocheranno un danno, perchè il cambiamento è già avvenuto, cinque anni fa, quando si sono diffusi. Adesso sarà compito della scuola, come lo è sempre stato, utilizzare anche questi nuovi mezzi per insegnare nel miglior modo possibile. Quello che credo sia invece veramente interessante chiedersi è cosa si è modificato, si sta modificando, nel nostro cervello? Qual è l'impatto di queste tecnologie sulla nostra psiche? Perchè non riesco a far si che mia madre si arrangi col suo computer e perchè io ci impiego un mese a leggere un libro che lei brucia in tre giorni? Come mai io apprendo meglio con quattro ricerche aperte in parallelo fra siti generici, forum di esperti e prove pratiche mentre lei corre in libreria ad ordinare l'ultimo saggio del tal autore, sperando che ci sia abbastanza spazio a margine per le note? Sono nato nel'92, ho iniziato ad usare il computer in Quarta Elementare, ho scaricato la mia prima canzone a undici anni, in Terza Media chattavo con tutti i miei amici su MSN Messenger e in Prima Superiore sapevo creare una pagina web in linguaggio HTML da zero. Adesso una ragazza della Florida mi racconta i suoi alti e bassi con il fidanzato svizzero e un ingeniere russo trentaquattrenne ha appena finito di spiegarmi perchè lo scarabocchio di astronave che gli ho mostrato non volerà mai fino a Marte. Ovviamente ho sbagliato la proporzione fra massa fissile e massa dell'astronave. Ovviamente. ■
Il seguente intervento si riallaccia al tema "La mente in viaggio" del numero precedente. Il testo di Alessandro Genitori apporta alla complessa metafora del viaggio, il punto di vista del reporter di guerra
Da neutrali a bersaglio: Il “sogno” di viaggiare come reporter di guerra di Alessandro G. Genitori
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gni guerra ha bisogno di essere raccontata, compito eccezionalmente gravoso che non può essere considerato solamente come una professione. Il reporter affronta i combattimenti armato di “penna” mentre intorno fioccano proiettili, giocando un ruolo spesso scomodo in conflitti che celano complessità ben maggiori rispetto alle motivazione date all’opinione pubblica. Fin dalla loro comparsa all’interno degli scenari bellici i giornalisti sono stati personaggi di cruciale importanza, mettendo a repentaglio la propria integrità fisica e, talvolta, morale. “Se è obbediente, ligio ai regolamenti, o prigioniero di un’ideologia, il corrispondente di guerra non ha alcun peso”, le emblematiche parole di Bernardo Valle, inviato speciale negli anni ‘60 e ‘70 del «Giorno» e del «Corriere della Sera» in Vietnam, India e Cina, premiato nel 1998 con il Premio Saint Vincent per il giornalismo. Capostipite di tale categoria fu un “volgare irlandese” amante dei sigari e del brandy: William Howard Russell. Durante gli scontri in Crimea tra il 1853 e il 1855, ideò la corrispondenza di guerra come il primo giornalista civile a recarsi al fronte, precedendo la nascita della Croce Rossa concepita da Henry Dunant nel 1863. Attraverso il telegrafo, invenzione che segnò il primo fondamentale passo verso la trasmissione sempre più veloce delle notizie, i testi di Russell sulla ferocia dei combattimenti fecero levare cori di indignazione e protesta in Inghilterra, al punto tale che ai soldati fu vietato di parlare con lui. Una spaccatura cresciuta di pari passo con la brama insaziabile di notizie, mentre l’aurea di neutralità che sembrava avvolgere i giornalisti è mutata fino a considerarli, in alcuni casi, dei bersagli. Tale clima di tensione non ha però scoraggiato gli aspiranti giovani reporter, incentivati da una realtà dove quasi l’intero pianeta risulta essere raggiungibile, o meglio ancora, “collegato”. In tale mondo sempre più rimpicciolito si accentua il desiderio di recarsi personalContinua nella pagina seguente ►
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mente in luoghi distanti culturalmente dalle proprie terre d’origine. Sentimento studiato dalla Dott.ssa Eleonora Romanini, psicoterapeuta delle emergenze nazionali e internazionali, membro dell’Associazione Nazionale Carabinieri di Bassano del Grappa, Responsabile del Team degli Psicologi dell’Emergenza dell’Associazione per la Regione Veneto, la quale si occupa
del sonno, la necessità di evitare alcuni luoghi, flash-back e intrusioni improvvise di ricordi. Patologie che possono insorgere immediatamente o dopo alcuni mesi dall’evento scatenante, con la necessità in alcuni casi di interventi clinici con psicoterapia.” Ciò nonostante il “Festival Internazionale del Giornalismo”, tenutosi a Perugia
attivamente dei disturbi post-traumatici: “Chi decide di partire per zone di guerra o in luoghi dove si sono verificati calamità, spesso prova un desiderio di distacco dalla quotidianità, un bisogno di fuggire. Spinte anche da fattori fisiologici, molte persone necessitano d’importanti scariche di adrenalina.” Fattori a volte impossibili da controllare che portano persone a confrontarsi con realtà ostili senza avere la dovuta preparazione. “La psicologia consiglia tre fasi per chi decide di recarsi in luoghi considerati a rischio: pre, durante e post viaggio.” - ha spiegato la dottoressa Romanini - “In alcuni casi la prima fase risulta però carente o addirittura assente, con la conseguenza che ognuno matura un’aspettativa, errata, accentuando i possibili traumi.” Pericolosa sottovalutazione che comporta gravi rischi per chi decide di partire senza la necessaria preparazione. “Il disturbo post traumatico da stress dipende dal tipo di esperienza fatta, da che cosa è successo durante il soggiorno, per es. la sensazione di impotenza verso eventi non controllabili, fino alla morte di persone care. Causando vari tipi di patologie con vari livelli di gravità, da un disturbo da stress, fino a veri traumi: alterazioni
nell’aprile 2012, ha evidenziato il desiderio di molti giovani di intraprendere la professione. Viaggiare per il mondo per documentare piccoli e grandi eventi della storia moderna è un sogno che spinge alcuni ragazzi e ragazze a diventare reporter di guerra, inseguendo ideali tra romanticismo ed avventura, apparentemente incuranti delle possibili conseguenze che tale desiderio può portare. Ma sono davvero pronti ad affrontare ciò che li aspetta? Con una calma glaciale ha risposto il 45enne cameraman di Al Jazeera, Laith Mushtaq. “Un corpo squartato ha un odore che non potete immaginare. - ha commentato con un’esposizione secca, disillusa e attenta - Vi rimarrà nelle narici a lungo. Per me ancor oggi è difficile mangiare la carne. O anche solo vederla. La bellezza non significa più nulla; ho visto il 75% del pianeta e per me non ha più alcun senso. Potete perdere la vita, ma anche i sentimenti. Non è un gioco! Siete pronti a far soffrire le persone che vi amano?” Concetti scanditi senza giri di parole, con l’intento di scostarsi fin da subito dall’idea di guerra spesso trasmessa nel mondo occidentale, con film d’azione e videogame che rappresentano i conflitti armati come un gioco,
un’eroica avventura. La realtà è ben diversa, come dimostrano le testimonianze di Laith Mushtaq, uno dei pochi giornalisti non “embedded” - ossia senza protezione e controllo delle forze armate - presente a Fallujah durante i cruenti scontri del 2004, ma anche in Afghanistan, Chad, Niger, Mali, Nigeria, Uganda, Darfur, nel Gran Deserto Sabbioso, in Mauritania Egitto e Libia. “Bisogna resistere contro le multinazionali, i giochi di potere e politica che vogliono queste guerre e possono rendere un inferno le vostre vite.” Conflitti d’ogni genere che hanno sconvolto non solo un territorio, ma l’anima di intere popolazioni, dove il confine tra la vita e la morte è una linea impalpabile. Per chiunque decida di seguire la difficile carriera del reporter di guerra è di vitale importanza la conoscenza e il rispetto per usi e costumi locali, abbinare la meticolosa preparazione al viaggio ad un’alta dose di sangue freddo e creatività nel saper gestire situazioni capaci di degenerare per i più futili motivi. Indossare scarpe adatte, vestiti che non possono essere confusi con quelli dei militari, ricordarsi sempre che la mancanza di luce e acqua può diventare più pericolosa di una pallottola. Non fidarsi di chiunque, non instaurare rapporti di amicizia con i ribelli, non legarsi troppo ai propri informatori. Possono sembrare concetti banali ma diventano le prime cause di mortalità una volta giunti faccia a faccia con tali realtà. “La vostra vita vale più della notizia” ha ribadito il cameraman, ricordando le morti di giornalisti i cui nomi hanno fatto il giro del mondo, il più delle volte facendo cadere nell’oblio l’evento che stavano “coprendo” nel momento fatale. “Siete lì come messaggeri: nulla di più, nulla di meno. Ruolo dei reporter è raccontare gli orrori della guerra, l’inutilità che si cela dietro ogni conflitto. Il pianeta è sufficientemente grande per accogliere tutti” ha bisbigliato infine Laith. Una frase di speranza, quella che negli occhi stanchi del giornalista sembra ormai perduta. Durante gli ultimi attimi della conferenza sembravano volersi posare su ognuno, in un ultimo tentativo di far comprendere che, al di là delle parole, la guerra è un sacrificio non solo della propria vita, ma anche di una parte di sé. ■
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Gen-Mar 2013 | anno III - numero 8
Rapporto tra musica e cervello
Il più melodico dei compositori: Franz Schubert Aspetti cognitivi della neuro sifilide. Guida all’ascolto degli “improvvisi” op. 90 e op. 142 (1827) di Lorenzo Genitori*
L
a vita. Franz Schubert (31 gennaio 1797 - 19 novembre 1828) era piccolo di statura, portava gli occhiali, aveva un viso tondo, beveva e fumava moltissimo. Dodicesimo di quattordici bimbi, di cui solo 5 sopravvissero ai primi anni di vita, ebbe un’infanzia segnata dalla musica. Fu violinista e pianista prima dei 12 anni, e dimostrò grande passione per la composizione: spesso era solito affermare “sono venuto al mondo soltanto per comporre”. Come Mozart, era rapidissimo nello scrivere: era come se avesse tutta la partitura in mente prima di trascriverla su carta. Così facendo compose migliaia di opere in pochissimo tempo. Si dice componesse senza pianoforte e, di fatto, si registra che non ne possedette mai uno di sua proprietà. A differenza di molti altri compositori, Franz fu attorniato da una grande e bella famiglia che si occupò sempre di lui. Il fratello Ferdinand e la giovanissima sorellina erano i suoi più ardenti sostenitori, anche nelle faccende quotidiane e pratiche. Schubert non aveva capacità manageriali e non lo interessavano i guadagni. Non era neanche interessato a che la sua musica fosse eseguita! Tuttavia, era anche un personaggio a volte molto cupo. Si dice avesse una vita sessuale trasgressiva e nascosta che lo portò a contrarre
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la sifilide circa sei anni prima della morte. Non si conoscono legami duraturi, ma tanti amori “sciagurati” come quelli per Therese Grob prima e Karoline Esterhazy poi. Ambedue non gli concessero i loro favori. La malattia. Nel 1823 si ammalò e perse i capelli. Fu subito chiaro che si trattava di sifilide e fu quindi costretto ad indossare una parrucca. Probabilmente l’infezione Treponemica gli fu trasmessa da prostitute che frequentava assiduamente. Il suo corpo si copriva di eruzioni cutanee di cui il nostro compositore si vergognava amaramente. Ebbe sicuramente la sifilide primaria, secondaria e probabilmente terziaria. In quel tempo gli unici rimedi erano i mercuriali, assolutamente inefficaci sulla malattia e dannosi per la salute. I biografi non sono concordi sui sintomi mentali della malattia presenti in Schubert. Una cosa è certa: egli soffriva di forti vertigini. L’interessamento cerebrale della sifilide si manifesta con la presenza di granulomi gommosi che distruggono i neuroni e le cellule astrocitarie, trasformando il tessuto nervoso in un ammasso senza funzione. Le sinapsi e le interconnessioni assoniche risultano così alterate ed interrotte da questi accumuli sparsi un po’ ovunque all’interno dell’encefalo. La de-
menza è la conseguenza certa di questo processo che, in assenza di cure appropriate, porta a morte il paziente in tempi non rapidi. L’ultimo giorno dell'ottobre 1828, durante una cena a base di pesce preparata dal fratello Ferdinand, che lo ospitò nella sua casa fuori Vienna nelle settimane prima della sua morte, il giovane Franz smise di alimentarsi. Egli disse che la nausea gli impediva di inghiottire qualunque alimento. Si sostiene che da quel momento apparse una febbre, anche se la febbre a quel tempo era un fatto molto soggettivo (il primo termometro a mercurio fu inventato dopo il 1850). Cominciò a soffrire di dolori addominali che contribuirono a peggiorare il precario stato clinico, già molto debilitato. Il suo medico, Von Rinna, fece diagnosi di “tifo”. Alle tre del pomeriggio del 18 novembre 1828, un anno dopo Beethoven, all’età di neanche 32 anni, Franz Schubert si spegneva nella casa familiare. Famosa è la frase riportata dal fratello secondo cui, nel delirio, Franz avrebbe chiesto di essere spostato dal suo letto poiché non riusciva a vedere Beethoven accanto a lui nella stessa sepoltura. Seppur con costi altissimi per la famiglia, quest’ultimo desiderio, anche se espresso nel pieno delirio, venne esaudito.
Neurochirurgo, coordinatore regionale Toscana per la neurochirurgia ad indirizzo pediatrico
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Schubert è sepolto accanto alla salma di Beethoven nel cimitero centrale di Vienna. Musica e patologia. Compositore delicatissimo, le sue opere per piano hanno un valore incommensurabile. Per Franz Schubert la sifilide, malattia vergognosa, anche se molto diffusa, ebbe un ruolo determinante nella genesi
della sua musica. Ciò è dovuto al fatto che nel nostro Compositore albergavano due anime; una buia, turbolenta, con istinti sessuali trasgressivi, probabilmente non in grado di rapportarsi serenamente con l’altro sesso che lo portò definitivamente alla morte rendendo il suo fisico debole ed esposto alle infezioni anche le più frequenti, come la febbre tifoide, endemica
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nella Vienna di quegli anni, ma che fu fatale per il giovane Franz minato dalla malattia luetica. L’altra dolcissima, sensibile, buona, schiva, capace di composizioni in grado di placare anche le ansie più profonde in chi le ascolta, vedi gli “improvvisi” per piano op. 90 e op. 142. ■
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concorso sno-anemos
Regolamento concorso per tesi di laurea, specializzazione e dottorato in neuroscienze
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a Società di Neuroscienze Ospedaliere (SNO) e la Libera Università di Neuroscienze Anemos (Anemos) bandiscono un concorso per la selezione di tesi inerenti le neuroscienze e le discipline affini. 1. Gli elaborati possono essere tesi di laurea, di specializzazione, di dottorato o di master specialistici. 2. Gli estensori possono essere di nazionalità italiana o straniera ed i testi possono essere redatti in lingua italiana o inglese. 3. Non vi sono limiti di estensione di testo, di tabelle, di immagini, di schemi o di disegni. 4. La bibliografia deve essere inserita e redatta secondo quanto stabilito dalle norme editoriali di “Progress in Neuroscience” (www. progressneuroscience.com), pena l’esclusione dal concorso. 5. Gli elaborati devono essere inviati in formato PDF a: - redazione@bollettinosno.it e - ruini@anemoscns.it Inoltre, una copia cartacea deve essere inviata alla “Biblioteca del Centro di Neuroscienze Anemos” (via M. Ruini 6, 42100 Reggio Emilia). Tutte le tesi inviate saranno liberamente disponibili per essere consultate dagli studiosi presso la Biblioteca stessa. 6. L’invio della tesi deve essere accompagnato da una liberatoria da parte del tutor e della direzione
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dell’Istituto di appartenenza. Inoltre, vanno inviati i dati personali dell’estensore (nominativo, data di nascita, indirizzo per la corrispondenza, e-mail, cellulare, Istituto di riferimento, nome del tutor) e la dichiarazione che l’elaborato è originale e non è ancora stato integralmente pubblicato né a stampa né in formato elettronico. 7. Le tesi devono essere state presentate e discusse nell’arco degli anni 2011-2012. 8. Le tesi saranno valutate da una Commissione selezionatrice composta da 3 membri delegati da SNO (più il Presidente di SNO) e 3 membri delegati da Anemos (più il Direttore di Anemos). 9. La Commissione può premiare al massimo 3 tesi ed il premio consiste nella pubblicazione a stampa delle tesi stesse in una collana dedicata dotata di codice internazionale ISBN. All’autore sarà fornito anche un congruo numero di volumi stampati per uso personale. 10. Se nessuno degli elaborati presentati sarà ritenuto degno di pubblicazione il Concorso si chiuderà senza la selezione di un vincitore. Dell’esito della competizione verrà data comunicazione sugli organi d’informazione di SNO e di Anemos. 11. I vincitori vengono premiati con la pubblicazione dell’elaborato, ma non acquisiscono eventuali diritti d’autore inerenti la pubblicazione stessa.
11. I vincitori si impegnano a fornire direttamente all’Editore il testo ed il materiale iconografico allegato secondo le modalità stabilite dalle norme editoriali di “Progress in Neuroscience” (www. progressneuroscience.com). Se il materiale presentato non rientra in queste modalità, decadrà l’impegno di pubblicazione da parte di SNO ed Anemos. 12. È data facoltà all’estensore della tesi, nel momento dell’eventuale selezione per la stampa, di segnalare e richiedere l’inserimento di coautori del suo gruppo di ricerca. Quanto riferito in merito ad obblighi e restrizioni al primo autore si estende anche sugli eventuali coautori. 13. I volumi saranno presentati ufficialmente in occasione del prossimo Congresso Nazionale SNO, che si terrà a Firenze nel maggio del 2013. I vincitori saranno ospiti del Congresso, ma dovranno predisporre una comunicazione, inerente il loro elaborato, di circa 30 minuti, da esporre ai convenuti. 14. Per ogni dubbio o controversia è competente, in modo insindacabile, il Consiglio Direttivo SNO. ■
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Oggetti e azioni Ecco come il nostro cervello categorizza le azioni e i concetti
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onostante il cervello elabori migliaia di concetti, esiste un’area cerebrale specifica dedicata alle facce e ai movimenti del corpo. La rappresentazione di quasi tutti gli altri fenomeni si estende sulla corteccia per intero, con una distribuzione legata alla gerarchia semantica che ogni concetto intrattiene con concetti affini. Di questi risultati ne parla la rivista «Neuron», descrivendo la mappa spaziale (la prima di questo tipo ottenuta) della rappresentazione semantica di oggetti e azioni sulla superficie del cervello, realizzata da un gruppo di ricercatori dell’Università di Berkeley, in California. Come si diceva sopra, alcuni studi hanno indicato che alcune categorie di oggetti e di azioni sono rappresentate in specifiche aree cerebrali. Fra questi compaiono le facce, le parti del corpo e i loro movimenti. La limitazione deriva anche dal fatto che il cervello umano ha dimensioni ridotte ed è quindi piuttosto irragionevole
aspettarsi che ogni categoria sia rappresentata in una zona del cervello diversa. Un modo efficace per la rappresentazione cerebrale di categorie di oggetti e di azioni potrebbe essere l’organizzarle in uno spazio semantico, dove la topologia riflette la somiglianza semantica tra le categorie. La verifica di questa ipotesi è avvenuta utilizzando i dati sui livelli di attivazione del cervello (o per la precisione di singole piccole unità volumetriche, o voxel, della corteccia cerebrale) ottenuti applicando la Bold fMRI (che permette di valutare il consumo di ossigeno dei neuroni delle diverse aree) a un gruppo di soggetti. Così, attraverso dati statistici, si sono definiti “pesi” che indicano la risposta di ciascun voxel della corteccia cerebrale a ognuna delle categorie e si è dimostrato che le categorie sono rappresentate, secondo specifici gradienti, su tutta la superficie della corteccia del cervello.
Altre NeuroNews ►►Rigenerate cellule udito nei topi. Il farmaco apre nuove prospettive per la cura della sordità anche nell’uomo. La sperimentazione sui topi è stata realizzata da un gruppo di
ricerca internazionale coordinato da Harvard. I risultati sono stati pubblicati sulla rivista «Neuron» e sembrano dimostrare che le cellule ciliate, i sensori per l’udito presenti nella coclea, possono essere rigenerate utilizzando dei farmaci. ►►Un test visivo per le vittime di ictus. Si tratta di un test che consente di individuare quale parte del cervello è stata danneggiata. Questo test, sviluppato da scienziati australiani, è rapido, facile e di basso costo e consente di individuare quale parte del cervello è stata danneggiata in una vittima di ictus, e in che misura. Un test, detto TrueField Analyzer, che potrà salvare molte vite in una condizione che, secondo l’Oms, e’ la sesta causa di morte più comune nel mondo. La procedura richiede che il paziente guardi dentro un congegno per circa 10 minuti.
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Cervello e micro ictus
A differenza dei normali ictus acuti, i micro ictus necessitano di tempi terapeutici più lunghi per guarire e possono favorire lo sviluppo di demenze
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n gruppo di ricercatori del Neurosurgery at the University of Rochester Medical Center ha scoperto come esistano importanti differenze tra l’evoluzione dei micro ictus e quella dei normali ictus acuti. A darne notizia, un articolo pubblicato sul «Journal of Neuroscience». Si calcola che quasi il 50% degli individui sopra i 60 anni abbia avuto almeno un micro infarto cerebrale. Pur presentando una sintomatologia transitoria, dal momento che non provoca la morte immediata dei neuroni coinvolti, questo tipo di infarto cerebrale non va sottovalutato, poichè i micro ictus multipli possono favorire l’insorgere di una demenza. Ciò che li differenzia dagli ictus cerebrali acuti è che non solo interessano una piccola parte del tessuto cerebrale, ma portano alla comparsa di una lesione per così dire “incompleta”, che necessita di un tempo maggiore per intervenire e rimediare ai danni subiti. La comparsa di una sequenza di micro ictus può quindi avere ripercussioni sulle facoltà cognitive a lunga durata, confermando così il rapporto, già ipotizzato da diversi studi, tra micro icuts multipli e lo sviluppo di demenze. “Nella maggior parte dei microinfarti cerebrali la lesione non è completa.” - ha concluso Maiken Nedergaard, a capo dell’equipe di ricerca - “Non è presente tessuto cicatriziale che separi il sito dell’ictus dal resto del cervello, ma le cellule che normalmente supportano i neuroni potrebbero non funzionare correttamente. Come risultato, i neuroni nel sito continuano a morire lentamente, come un fuoco senza fiamma. Questo suggerisce che, a differenza di un ictus ischemico acuto, dove la morte cellulare avviene nelle prime 24 ore, c’è un periodo più lungo in cui si può intervenire e fermare la morte neuronale conseguente a un micro ictus.”
Gen-Mar 2013 | anno III - numero 8
Una proteina alla base dell’ascolto dei suoni
La scoperta potrà avere importanti ripercussioni nello studio di alcune forme di sordità
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n recente studio, condotto dai ricercatori dello Scripps Research Institute (TSRI) di La Jolla, in California, con a capo Ulrich Mueller, e apparso sulla rivista «Cell», ha mostrato come esista una proteina alla base della trasformazione dei suoni in impulsi nervosi. Questa proteina, chiamata dai ricercatori Tmhs, agisce in una specifica struttura dell’orecchio interno e permette la conversione delle onde sonore in impulsi elettrici. La ricerca apre così nuovi spiragli per la creazione di una terapia genica in grado di ristabilire l’udito in determinate forme di sordità. La percezione uditiva è un processo molto complesso, che richiede la presenza di diversi fattori che possono a loro volta condizionare la sua normale e corretta fun-
zionalità. In particolare, tra le cause di molte forme di sordità ci sono le cellule ciliate che, sviluppatesi prima della nascita, non aumentano nel corso della vita. La ricerca di Mueller ha richiesto anni di studi ed è riuscita a definire, grazie anche agli studi sui topi (dotati di un apparato uditivo simile a quello umano) decine di geni che rivestono un ruolo importante nella perdita dell’udito. Nel corso degli anni, il gruppo di Mueller è riuscito a identificare molti geni coinvolti nella perdita dell’udito. Tuttavia, solo la scoperta del Tmhs ha permesso di dare una svolta significativa agli studi, dal momento che questa proteina si trova nei filamenti di collegamento che regolano le cilia consentendo il loro movimento coordinato.
ASSOCIAZIONE CULTURALE E DI VOLONTARIATO «ANEMOS» Presidente: dr. Marco Ruini
Le attività L
’Associazione Anemos, fondata nel marzo 2009, nasce per coordinare e ampliare le attività di volontariato sociale di un gruppo di amici di Novellara (RE), nonchè le attività culturali del Centro di Neuroscienze Anemos, l’attività editoriale scientifica in collaborazione con la casa editrice New Magazine Edizioni e con la casa editrice La Clessidra. Tra i vari campi d’attività accennati: ♦ Libera Università di Neuroscienze Anemos: organizza convegni, seminari e corsi multidisciplinari sul tema delle neuroscienze in collaborazione con La Clessidra Editrice. ♦ “Libri Anemos”. Attività editoriale con la Casa Editrice New Magazine con una collana di Neuroscienze e una collana di Narrativa ♦ Biblioteca di Neuroscienze Anemos ♦ Promozione e valorizzazione di giovani artisti ♦ Programmi di volontariato sociale nei paesi in via di sviluppo e in Italia
www.associazioneanemos.org
La rivista N
ell’autunno del 2010 è nato «Neuroscienze Anemos», trimestrale di neuroscienze, scienze cognitive, psicologia clinica e filosofia della mente. Il periodico di divulgazione scientifica, distribuito gratuitamente nelle biblioteche pubbliche della provincia di Reggio Emilia e Mantova, si sviluppa in stretta correlazione con La Clessidra Editrice, giovane casa editrice Reggiana (con sede a Reggiolo, RE) nata in un contesto di associazionismo culturale nel 2004 e costituitasi come casa editrice nel 2006. Editrice La Clessidra è specializzata in editoria periodica locale e settoriale. Nel settore dell’editoria libraria, vengono promosse opere letterarie e filosofiche e quelle di interesse storico locale.
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L’ospedale con l’amore dentro Ospedale Pediatrico Meyer, Firenze Un ospedale pediatrico moderno è qualcosa di nettamente diverso da una struttura sanitaria tradizionale, pensata per i “grandi”. Le sue attività spaziano in molte direzioni: dalla cura alla ricerca non solo medica ma anche scientifica e una continua formazione dei suoi professionisti. Il Meyer è un Ospedale Pediatrico. E proprio perché si dedica alla cura, al benessere dei bambini e alla promozione della salute, è una struttura speciale. Il Meyer organizza e concepisce tutta la sua attività in funzione delle esigenze dei bambini e dei loro genitori. Così all’alta specializzazione medica e chirurgica e alla ricerca scientifica, affianca una serie di servizi e progetti di accoglienza che permettono ai bambini di non rinunciare alla dimensione di gioco e di fantasia.
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