"Neuroscienze Anemos" lug-sett 2016 ♦ anno VI - numero 22

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Trimestrale culturale a diffusione gratuita - lug-sett 2016 ♦ anno VI - numero 22

ISSN 2281-0994

Anemos neuroscienze

Trimestrale INTERDISCIPLINARE PER L'INTEGRAZIONE TRA NEUROSCIENZE E ALTRE DISCIPLINE

neuroscienze

conformismo e onestà?

psicologia

cattivi si nasce o si diventa?

malingering

il confine tra onestà e simulazione di malattia

Politiche dell'onestà Il rapporto tra corruzione e onestà indagato attraverso le neuroscienze e la dimensione giuridico-sociale FILOSOFIA

Sull'onestà degli antichi e sulla nostra. Dottrina morale, concetti di onestà e corruzione

Giurisprudenza Creare una società ispirata a valori di "onestà", è giuridicamente possibile?

ECONOMIA

ECONOMIA E CORRUZIONE

UN'ANALISI: COSTI, CAUSE E FATTORI

letteratura

La lingua corrotta. Riflessioni sulle proprietà e gli usi della lingua


CENTRO DI NEUROSCIENZE ANEMOS Direttore sanitario: Dott. Marco Ruini

area di psichiatria e PSICOLOGIA CLINICA Dott. Giuseppe Cupello, Dott. Raffaele Bertolini, Psichiatri Dr.ssa Sangiorgi Annamaria, Dr. Gasparini Federico Dr.ssa Barletta Rodolfi Caterina, Dr.ssa Beltrami Daniela Dr.ssa Maldini Federica, Dr.ssa Muscatello Laura Dr.ssa Faietti Lisa, Dr.ssa Landini Morena, Psicologi Dr.ssa Cocca Sandra, Logopedista

AREA DI OCULISTICA Dott. Valeriano Gilioli, oculista Dott. Vicenzo Vittici, oculista SERVIZIO DI NEUROCHIRURGIA Dr. Marco Ruini: Neurochirurgo Dr. Andrea Veroni: Neurochirurgo Dr. Andrea Seghedoni: Neurochirurgo Dr. Nicola Nicassio: Neurochirurgo Collaborazioni

Dr. Ignazio Borghesi, Neurochirurgo Prof. Vitaliano Nizzoli, Neurochirurgo Prof. Lorenzo Genitori, Neurochirurgia Pediatrica Dr. Aldo Sinigallia, ortopedico, patologia degenerativa del rachide e scoliosi Dr. Bruno Zanotti, Neurochirurgo

SERVIZIO DI TERAPIA ANTALGICA Dr. Ezio Gulli, Anestesista, Terapia infiltrativa

SERVIZIO DI RIEDUCAZIONE FUNZIONALE Dr. Aurelio Giavatto, Manipolazioni viscerali, dermatologo Dr. Nicolas Negrete, Dr.ssa Ft. Bisay Soledad Maria, Fisioterapista Dr. Giorgio Reggiani, Fisiatra SERVIZIO DI NEUROLOGIA E DI NEUROFISIOLOGIA Dr. Mario Baratti, Neurologo e neurofisiologo Dr. Devetak Massimiliano, Neurologo, patologia vascolare Dr. Enrico Ghidoni, Neurologo, neuropsicologia clinica AREA DI ORTOPEDIA Dr. Antonio Laganà, Ortopedico Dr. Ivo Tartaglia, Ortopedico ALTRE AREE Dr.ssa Ghinoi Alessandra, Reumatologa Dr. Piazza Rosario, Urologo Dr.ssa Fontanesi Marta, Scienze dell’alimentazione

ANEMOS | Centro Servizi di Neuroscienze Poliambulatorio Medico | Libera Università | Ass. Culturale Via Meuccio Ruini, 6 | 42124 Reggio Emilia tel. 0522 922052 | Fax 0522 517538 | www.anemoscns.it info@anemoscns.it | www.associazioneanemos.org

Centro di riferimento: Centro di Neuroscienze Anemos, Reggio Emilia. Centri Ospedalieri per la Neurochirurgia del rachide e le tecniche mininvasive: Casa di Cura Salus Hospital (Re), Ospedale di Suzzara (Mn), Casa di Cura San Clemente (Mn), Casa di Cura Villa Maria Cecilia di Cotignola (Ra). Ambulatori: Reggio Emilia, Correggio, Suzzara, Poggio Rusco, Mantova, Carpi, Modena, Fiorenzuola, Olbia e Agrigento.


Anemos neuroscienze

Lug-Set 2016 | anno VI - numero 22

Editoriale

Etologia o convenzione? I concetti di onestà e corruzione indagati da molteplici punti di vista

A @

CONTATTI. Si possono inviare proposte di articoli, segnalazioni di eventi, commenti o altro all’indirizzo che segue: redazione@clessidraeditrice.it Su Facebook. Neuroscienze Anemos LaClessidraEditrice

Un ringraziamento particolare al Liceo Ariosto Spallanzani di Reggio Emilia che ha collaborato con l'Associazione Culturale Anemos nell'organizzazione del convegno "Politiche dell'onestà in tempi di corruzione".

nche il presente numero, come il precedente, è collegato ad un convegno tematico tenutosi presso il Centro Internazionale Loris Malaguzzi di Reggio Emilia: “Politiche dell'onestà in tempi di corruzione”. Tuttavia, a differenza del numero dedicato alla neuroestetica, il presente numero non corrisponde precisamente agli atti del convegno, ma riporta alcuni articoli tratti dagli interventi, integrando con altri scritti che toccano differenti discipline. Il convegno ha visto la partecipazione di Mario Baratti (neurologo e neurofisiologo) di Lapo Berti (economista e filosofo) e di Vittorio Borraccetti (magistrato). L'evento è stato organizzato con la partecipazione della Libera Università di Neuroscienze Anemos e del Liceo Ariosto Spallanzani di Reggio Emilia. Ma torniamo al contenuto del numero di “Neuroscienze Anemos”. Corruzione e onestà sono due concetti molto dibattuti nella nostra attualità. Il nostro panorama politico nazionale è spesso associato a fenomeni di corruzione. Anche se occorre distinguere la percezione sociale derivata anche dai media dalla reale diffusione della corruzione nella gestione della cosa pubblica, è indubbio che “i corrotti” siano una piaga endemica della nostra Repubblica. Queste tematiche vengono indagate, come consuetudine, partendo da alcune considerazioni generali (filosofiche, che poi vengono riprese in modo più approfondito), passando ad un approccio generalmente di tipo biologico. Non manca la lente essenziale della visione sociale e

giuridica su questo fenomeno, il comportamento sociale nelle sue dimensioni di onestà e corruzione, che proprio nel vivere in gruppi sociali regolati dalla “legge” trova la sua espressione più concreta e contestualizzata. Tra responsabilità e legge si colloca la questione della valutazione psichiatrico-forense, vero ponte tra due concetti interrelati e cruciali in tutte le questioni affrontate. Si passa, infine, alla questione della lingua. Innanzitutto con l'analisi inaspettata del romanzo, riduttivamente definito per l'infanzia, "Pinocchio". Dell'opera collodiana non si analizza soltanto il valore artistico, come dicevamo ben superiore all'etichetta di genere, ma anche la valenza metaforica e universale che la narrazione assume, come sempre avviene per le opere universali. E ancora: la lingua impiegata come mezzo strumentale, “disonesto” e mirato a mistificare la realtà e a manipolarla. Le prospettive di indagine sovraesposte sono trattate da autori di formazione differente (per il profilo dei quali vi rimandiamo agli articoli stessi), che passano dall'ambito medico, a quello giuridico, filosofico e letterario. Rimane aperta la questione del relativismo giuridico, se sia presente, in modo innato ed etologicamente impostata, una dimensione di empatia intraspecica che possa definirsi senso del bene e dell'onestà nel nostro comportamento sociale. Gli Editori La Clessidra Editrice Libera Università di Neuroscienze Anemos

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lug-set 2016 | anno VI - numero 22

Politiche dell'onestà

Il rapporto tra corruzione e onestà indagato attraverso le neuroscienze e la dimensione giuridico-sociale

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L'uomo macchina

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64 Informazioni sugli editori

"Parole parole parole". L'associazione Anemos Apprendimento Neuronews La Clessidra Editrice Incontri e didattica delle lingue, ▪ Come il cervello e il nuovo progetto IISF tra innovazione ▪ Festival della Filosofia immagina gli spostamenti e tradizione di Modena, Carpi e Sassuolo ▪ Autismo e cervello di Davide Donadio ▪ Festival della mente ▪ L'equazione di Sarzana della felicità ▪ Eventi in breve ▪ I dialetti fanno bene al cervello Editore Editrice La Clessidra / Anemos Redazione Via 25 aprile, 33 42046 Reggiolo (RE) redazione@clessidraeditrice.it Tel 0522 210183 Direttore Responsabile Davide Donadio davidedonadio@clessidraeditrice.it

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Direttore Scientifico Marco Ruini info@anemoscns.it

www.clessidraeditrice.it

Redazione:

Marco Barbieri, Federica Castagnoli, Tommy Manfredini, Paola Torelli. Comitato scientifico* Adriano Amati Laura Andrao Mario Baratti Mauro Bertani Raffaele Bertolini Vitaliano Biondi Ilenia Compagnoni Giuseppe Cupello Lorenzo Genitori Enrico Ghidoni

Aurelio Giavatto Franco Insalaco Danilo Morini Antonio Petrucci Sara Pinelli Giorgio Reggiani Ivana Soncini Leonardo Teggi Sara Uboldi Bruno Zanotti

* Il comitato scientifico è composto da persone che partecipano a vario titolo e con continuità differente alle attività organizzate dalla Libera Università di Neuroscienze Anemos e di La Clessidra Editrice.

Hanno inoltre collaborato:

Lapo Berti, Vittorio Borraccetti, Laura Muscatello Luogo di stampa

E.Lui Tipografia - Reggiolo (RE) Registrazione n. 1244 del 01/02/2011 Tribunale di Reggio Emilia Iconografia: alcune immagini presenti in «Neuroscienze Anemos» sono tratte da siti internet contenenti banche dati di immagini di libero utilizzo. Qualora vi fossero stati errori e omissioni relativi al diritto d’autore l’editore rimane a disposizione per sanare la sua posizione.


SOMMARIO

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Anemos neuroscienze

Neuroscienze | sociologia

Conformismo e onestà Cattivi si nasce o si diventa? di Marco Ruini

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Neuroscienze | biologia

Onestà: un concetto complesso Il contributo delle neuroscienze di Mario Baratti

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psicologia | Psichiatria forense

Malingering

Il confine tra onestà e simulazione di malattia di Giuseppe Cupello e Laura Muscatello

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economia | società

Economia e corruzione

Costi, cause e fattori: un'analisi della corruzione di Lapo Berti

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approfondimenti

Onestà e corruzione Il caso italiano di Leonardo Teggi

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giurisprudenza | società

Politiche di onestà in tempi di corruzione Come creare una società ispirata ai valori dell'onestà di Vittorio Borraccetti

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filosofia

Tra morale ed etica L'uomo nel pensiero di Spinoza e Hobbes di Franco Insalaco

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filosofia | storia

Sull'onesta degli antichi e sulla nostra Dottrina morale e i concetti di onestà e corruzione di Mauro Bertani

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letteratura

Pinocchio

Un'interpretazione della società italiana nella fiaba di Collodi di Vitaliano Biondi

letteratura | Psicologia

La lingua corrotta del potere Riflessioni sulle proprietà della lingua di Adriano Amati

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neuronews

RUBRICHE

Rassegna di notizie dal mondo della scienza

autismo e cervello Alcune manifestazioni di questo disturbo sarebbero legate a una disfunzione del sistema nervoso sensoriale

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no studio condotto dai ricercatori della Harvard Medical School e dello Howard Hughes Medical Institute, pubblicato su “Cell” getta nuova luce sul rapporto tra autismo e cervello. Le ricerche hanno evidenziato che alcune manifestazioni dei disturbi legati all'autismo dipendono da una disfunzione del sistema nervoso sensoriale periferico. Fra queste, ad esempio, vi sono il modo in cui viene percepito il tocco, l'ansia e le difficoltà nei contatti sociali. Per giungere a queste conclusioni, i ricercatori hanno esaminato gli effetti delle mutazioni in due geni spesso implicati nei disturbi dello spettro autistico (Mecp2 e GABRB3), creando ceppi di topi in cui le mutazioni manifestano i loro effetti solamente nei nervi sensoriali periferici. Analizzando come reagivano i roditori ai diversi stimoli a cui venivano sottoposti, i ricercatori hanno scoperto che gli animali avevano un'ipersensibilità agli stimoli tattili e che la trasmissione degli impulsi nervosi dai neuroni sensoriali della pelle a quelli del midollo spinale, che mandano i segnali tattili, al cervello era anomala. Inoltre, questo deficit tattile si ripercuoteva sullo stato di ansia e sulle interazioni sociali degli animali: gli animali con le mutazioni evitavano le situazioni di interazione.

Come il cervello immagina gli spostamenti Quando ci muoviamo da un luogo all'altro, il cervello suddivide il percorso in tappe grazie alla memoria episodica

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postarci da un posto all'altro è un'operazione che compiamo quotidiamente più volte e che ci risulta automatica, ma come prefigura il cervello gli spostamenti? Ad indagarlo è stato un gruppo di ricercatori della Stanford University, che ha pubblicato le sue scoperte sulla rivista "Science". Gli studiosi hanno così scoperto che la nostra capacità di raggiungere un determinato luogo dipende da uno scambio costante di informazioni tra alcune aree della corteccia prefrontale e l'ippocampo. Questo scambio è gestito dalla corteccia orbitofrontale e permette di creare una simulazione del percorso da compiere, già comprensivo di tutte le tappe intermedie. Entra poi in gioco durante questo processo, in secondo momento, l'ippocampo che richiama alla memoria le caratteristiche delle diverse tappe. Subito dopo intervengono la corteccia temporale mediale, quella entorinale e quella retrospleniale che contribusicono a mettere in ordine le diverse immagini prodotte dall'ippocampo fino a creare una mappa del percorso.

Risultati analoghi erano stati ottenuti in precedenza anche in studi condotti sui topi, ma è grazie a questa ricerca condotta tramite l'ausilio di una risonanza magnetica funzionale, che si ha avuto la conferma che gli stessi esiti valgono anche per gli esseri umani. La risonanza magnetica funzionale richiede che durante le scansioni il soggetto rimanga fermo e per questo viene difficilmente usata negli studi sul movimento. Per ovviare al probelma, i ricercatori hanno addestrato i soggetti a "navigare" in un ambiente virtuale, che veniva mostrato loro su un monitor, mentre erano sottoposti a scansione, e nel quale grazie a un pulsante potevano compiere gli spostamenti. L'uso della risonanza magnetica funzionale ha portato, inoltre, ad una nuova scoperta: l'ippocampo, nel processo di pianificazione degli spostamenti ha un ruolo attivo nella prefigurazione mentale del percorso corretto attraverso la mobilitazione della memoria episodica, vale a dire dei vissuti autobiografici legati ai diversi luoghi.


Anemos neuroscienze

Lug-Set 2016 | anno VI - numero 22

L'equazione della felicità La formula matematica per essere felici sottolinea l'importanza del legame con gli altri

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n'equazione della felicità? È quella che hanno sviluppato gli scienziati dell'University College London e mostra come ad influire sulla nostra felicità non sia solo ciò che accade a noi, ma anche la fortuna degli altri e quello che succede loro. Non solo, la fortuna degli altri influirebbe anche sulla nostra generosità. Lo studio rappresenta una versione aggiornata della precedente equazione della felicità del 2014 ed è stato pubblicato su “Nature Communication”. Rispetto all'equazione precedente, in questa viene sottolineato come le disuguaglianze sociali determinano infelicità, indipendentemente dal fatto che gli altri stiano meglio o peggio di noi. Gli autori della ricerca hanno spiegato: “la nostra equazione

predice esattamente come si sentiranno le persone in base non solo a quello che succede a loro, ma anche a quello che accade ai loro vicini. A seconda di come la disuguaglianza incide sulla felicità di ciascuno, riusciamo anche a prevedere chi sarà più o meno altruista”. Per giungere a questi risultati l'equipe di ricerca ha sottoposto alcuni soggetti ad una serie di esperimenti. In una prima serie, è stato chiesto ad alcuni soggetti di giocare per vincere del denaro e successivamente di confrontare i propri risultati con quelli di un partner assegnato. Hanno così scoperto che quando il primo giocatore vinceva, era più felice se il partner otteneva la stessa vincita, quando inve-

I dialetti fanno bene al cervello La nostra mente li percepisce allo stesso modo di una lingua straniera

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n nuovo studio attribuisce importanza ai dialetti, troppo spesso sottovalutati quando si parla di lingue. Il nostro cervello, infatti, percepirebbe i dialetti allo stesso modo di una lingua straniera con tutti i vantaggi che ne conseguono quando si parla di “allenare” il cervello. Napoleon Katsos, ricercatore

dell'Università di Cambridge, e i suoi colleghi dell'Università di Cipro e della Cyprus University of Technology, hanno deciso di studiare le performance cognitive dei bambini cresciuti parlando sia il greco moderno che il greco cipriota (due varianti strettamente legate, ma che differiscono a ogni livello dell'analisi linguistica).

ce perdeva, era più felice se la stessa sorte era toccata anche al compagno. In un'altra serie di esperimenti, 47 volontari, tra di loro sconosciuti, hanno dovuto rivelare come avrebbero suddiviso in modo anonimo un'ipotetica vincita in denaro. Dai risultati è emerso che la generosità non dipendeva dalla preferenza per il partner, ma da specifici tratti di personalità del soggetto: le persone che si sentivano maggiormente colpite dal ricevere più degli altri erano disposte a donare il 30% della propria vincita, le altre erano disposte a donare solo il 10%.

L'analisi ha coinvolto 64 bambini bi-dialettali, 47 multilingui e 25 monolingue. I tre gruppi sono stati messi a confronto, tenendo conto delle condizioni socio-economiche, del livello d'intelligenza generale e delle competenze linguistiche. Katsos ha riportato i risultati della ricerca sulla rivista “Quartz”: “Un po' a sorpresa i bimbi multilingui e quelli bi-dialettali hanno dimostrato un vantaggio su quelli monolingue in un punteggio composito di processi cognitivi, basato su test della memoria, attenzione e flessibilità”.

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L'uomo macchina

RUBRICHE

Appunti liberi tra filosofia della mente, divagazioni antropologiche e letterarie

“Parole parole parole...” Apprendimento e didattica delle lingue, tra innovazione e tradizione di Davide Donadio

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pprendere, una delle attività” principali della vita animale (uomo compreso). Da sempre campo di ricerca della psicologia, l'apprendimento, come tutte le funzioni complesse, viene indagato anche nei suoi presupposti neurobiologici e nei suoi risvolti comportamentali in relazione all'ambiente (etologia). Il processo di apprendimento comporta una modificazione, più o meno permanente, del comportamento, partendo dai più semplici riflessi di base, per arrivare ad acquisire contenuti e schemi comportamentali che richiedono un'organizzazione complessa di informazioni. Tra i processi di apprendimento complessi possiamo senz'altro annoverare l'acquisizione del linguaggio, capacità che si concretizza nelle lingue naturali, sia essa la lingua materna o lingua straniera acquisita in età diverse della vita. Circostanze molto concrete di ambito professionale, mi hanno portato negli ultimi tempi a riflettere su questioni di didattica delle lingue straniere per adulti. L'offerta di corsi di lingue destinati ad un pubblico eterogeneo e dalla durata limitata, ci hanno portato a riflettere sull'efficacia dell'insegnamento e dell'apprendimento delle lingue. Quella delle metodologie di

insegnamento delle lingue (o, se guardata dall'altro lato, dell'apprendimento) è questione antica, ma oggi decisamente attuale, se si pensa che una conoscenza sufficiente di lingue franche come l'inglese, l'arabo, il cinese, è diventata utile persino nella vita quotidiana a causa dei massicci flussi migratori, e non solo per coloro che hanno orizzonti internazionali di lavoro e relazione. È noto che lo stile cognitivo non è lo stesso per ogni individuo: alcuni di noi apprendono meglio con un approccio “analitico”, altri con un approccio “globale”. Nella didattica delle lingue si sono succedute varie “mode”, e dal più tradizionale metodo formalistico (per conoscere una lingua occorre innanzi tutto conoscere le regole che permettono di formare espressioni dotate di senso), passando per i metodi diretti e comunicativi che prevedono la presentazione della lingua in modo diretto e intese come “competenza” e non come insieme di regole astratte. Su questi concetti si basa, tra l'altro, il quadro comune europeo di riferimento per la conoscenza delle lingue. Oggi domina, più in ambito professionale che nella scuola pubblica, un mix di metodologie comunicative dirette. Si espone il discente alla lingua, integran-

do solo qua e là con spiegazioni sintattiche e grammaticali, mirando a far acquisire la lingua in modo naturale. Niente o poche regole, nessuna lista lessicale da memorizzare, ma proposta di una lingua viva da usare che, secondo le intenzioni, dovrebbe portare ad una fissazione spontanea. Ma nei contesti suddetti (professionali, target di adulti), le buone intenzioni delle metodologie comunicative dirette non sembrano dare i risultati sperati. Basta guardare il dibattito in rete e nella relativa produzione editoriale che cerca di proporre metodi e strumenti per ovviare al problema dell'apprendimento delle lingue. Qui non voglio certo proporre una soluzione all'inefficacia di certi approcci didattici, ma posso avanzare alcuni dubbi che, per ipotesi di lavoro, voglio provare a generalizzare. Può sembrare di una banalità sconcertante, ma sapere una lin-


Anemos neuroscienze

Lug-Set 2016 | anno VI - numero 22

gua è essenzialmente conoscere parole, espressioni (fraseologia) e combinare questi elementi secondo certe regole. Ora, se si pensa ai primi elementi di questo elen-

co, si capisce come la memoria giochi un ruolo fondamentale nel fornire quel bacino a cui attingere nell'uso concreto della lingua. Nel parlare di “parole”, la complessa relazione tra suono, concetto, forma scritta qui può essere tranquillamente ignorata, soprattutto se consideriamo in sede di apprendimento un'esigenza comunicativa primaria che riguardi contesti, processi e oggetti della vita quotidiana. Uno dei punti deboli degli approcci didattici comunicativi diretti è proprio lo scetticismo con cui vengono visti gli sforzi mnemonici del discente. Questi sforzi, pare si sostenga più o meno implicitamente, avrebbero un riflesso negativo sulla motivazione del discente che quindi necessita di un percorso agevolato e naturale. A sostegno di questo, si indica spesso l'esempio dell'apprendimento della lingua durante

l'infanzia che sarebbe più rapido e, appunto, naturale. Un vero luogo comune, a mio avviso essenzialmente errato, che non considera come il bambino sia in realtà esposto per anni alla lingua prima di arrivare ad una competenza linguistica reale. Questo processo più lungo di quanto si pensi, risalta maggiormente se viene considerata la fascia di età scolare e l'acquisizione di una seconda lingua da parte del bambino (bilinguismo successivo e non simultaneo). Anche se rispetto all'adulto il bambino è esposto per una quantità di tempo molto maggiore (nel gioco, nella vita relazionale più libera rispetto all'adulto) i tempi di questa presunta acquisizione “naturale” sono ben più lunghi di quanto non si dica. Quel processo di fatica mnemonica, di cui ho già parlato sulle pagine di questa rubrica in termine generali, viene semplicemente prolungato nel tempo. Ma la didattica rivolta agli adulti deve essere più pragmaticamente orientata e deve considerare i tempi brevi della vita adulta, sia in termini di parte del giorno da poter dedicare all'acquisizione linguistica, sia in termini di prospettiva futura: in quanto tempo raggiungere certi obiettivi? Ecco che partendo da una impostazione pragmatica, quasi contabile, possiamo ragionevolmente impostare un programma, un vero e proprio calendario, di acquisizione linguistica basata sul vocabolario fondamentale di una lingua, (consideriamo, per semplificare, la piena sovrapponibilità lessicale tra L1 e L2). Quante e quali sono le parole e le espressioni di cui un adulto deve impadronirsi (comprensione e produzione) per relazionarsi nella vita quotidiana? E in quella pro-

fessionale (terminologia tecnica e settoriale)? Se si incrociano questi dati quantitativi linguistici con quelli temporali (tempo di sedute giornaliere di studio e tempo stimato di acquisizione di un numero prestabilito di “dati” e “regole”), la didattica può avere l'ambizione di poter raggiungere alcuni obiettivi in tempi, se non certi, almeno più prevedibili, implementando strumenti concreti per raggiungerli (schedatura programmata e organizzata e relativa organizzazione del tempo). Ovviamente integrando alcune importanti conquiste dei suddetti metodi comunicativi diretti, che non vanno certo abbandonati. Mi si perdoni l'ingenuità con cui sembra stia presentando una ricetta miracolosa, ancorché di estrema semplicità, peraltro senza una effettiva sperimentazione numericamente rilevante; mi rendo conto, inoltre, che la glottodidattica è affare molto più complesso di quanto non appaia da queste riflessioni e il quadro storico-epistemologico della disciplina è stato qui solo sfiorato, senza accennare ad autori e correnti per non rendere queste note troppo pedanti. Vorrei, però, semplicemente porre l'accento sul legame lingua-memoria e sul fatto che le presunte metodologie naturali e induttive con cui si cerca di evitare la fatica dell'apprendimento siano destinate a fallire se prese alla lettera. E non c'è agevolazione emotiva, metodologica, contestuale o tecnologica che tenga. Dopo tutto, questa considerazione sulla necessità, e perché no del piacere, dello sforzo cognitivo-mnemonico penso si possa estendere più in generale alla formazione globale dell'individuo. ■

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INCONTRI

RUBRICHE

Eventi scientifici e culturali

Festival della filosofia 2016 A Modena, Carpi e Sassuolo, con il patrocinio Unesco

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ema dell'anno: “Agonismo”. Nomi di studiosi illustri, nazionali e intarnazionali. Anche quest'anno patrocinio Unesco al festival, secondo il comunicato stampa ufficiale. Con una lettera a Gian Carlo Muzzarelli, Sindaco di Modena e Presidente del Consorzio per il festivalfilosofia, il Presidente della Commissione Nazionale Unesco, Franco Bernabè, ha comunicato nei giorni scorsi la concessione del Patrocinio della Commissione all’edizione 2016 del festivalfilosofia,agonismo, in programma dal 16 al 18 settembre, «in considerazione del valore culturale dell’iniziativa». Si tratta della quarta concessione, visto che il festival si era fregiato di un analogo patrocinio anche nel 2007, nel 2008 e da ultimo nella passata edizione del 2015. Il riconoscimento è motivo di particolare orgoglio per una manifestazione che, oltre ad avere la diffusione della cultura come propria vocazione, tiene diversi appuntamenti del programma all’interno del sito Unesco di Duomo, Piazza Grande e Torre Ghirlandina di Modena.

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Il Festival della Mente di Sarzana

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2/3/4 settembre 2016

ente e non solo. Il Festival della mente di Sarzana spesso tratta di temi come la creatività e i processi creativi. Il programma del 2016 è articolato, alla data di pubblicazione di questo numero non è disponibile un calendario preciso e definitivo, ma sarà possibile consultarlo sul sito ufficiale http://www.festivaldellamente. it. Ecco alcuni dati del Festival, giunto ormai alla sua tredicesima edizione, che traiamo dai comunicati ufficiali. Si svolge a Sarzana, in provincia di La Spezia, in Liguria, a fine estate. La direzione scientifica attuale è di Gustavo Pietropolli Charmet e la direzione artistica di Benedetta Marietti. Il festival è promosso dalla Fondazione Cassa di Risparmio della Spezia e dal Comune di Sarzana. Tre giornate in cui relatori italiani

e internazionali propongono incontri, letture, spettacoli, laboratori e momenti di approfondimento culturale, indagando i cambiamenti, le energie e le speranze della società di oggi, rivolgendosi con un linguaggio accessibile al pubblico ampio e intergenerazionale che è la vera anima del festival. Il programma prevede una sezione per bambini e ragazzi realizzata con il contributo di Carispezia-Gruppo Cariparma Crédit Agricole e curata da Francesca Gianfranchi. Insostituibile è l’apporto dei giovani volontari – ogni anno oltre cinquecento – che contribuiscono a creare il clima di accoglienza e condivisione che da sempre contraddistingue il Festival della Mente. Il Festival della Mente è stato diretto dal 2004 al 2007 da Giulia Cogoli e Raffaele Cardone; dal 2008 al 2013 da Giulia Cogoli.

Eventi in breve

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Convegni area neurologia

- 8 Luglio 2016, Milano Second International Meeting of the Milan Center for Neuroscience (Neuromi) Prediction and Prevention of Dementia: New Hope. Segreteria Organizzativa: Studio Conventursiena tel. 0577 270870 e- mail: info@neuro.it 11 - 14 Ottobre 2016, Acireale XIX Congresso Nazionale della Società italiana di Neuropsicofarmacologia Segreteria Organizzativa: More-

comunicazione Tel. 06 87678154 e-mail: annamaria.costantini@ morecomunicazione.it 17 - 18 Novembre 2016, Terni Epilessia dell'adulto e in età pediatrica 6 - 3 Dicembre 2016, Roma Corso di alta formazione in elettromiografia clinica Per informazioni: Dott.ssa Emanuela Onesti e-mail: corsoaltaformazioneemg@gmail.com


A Il tema del numero

Politiche dell'onestĂ

Il rapporto tra corruzione e onestĂ indagato attraverso le neuroscienze e la dimensione giuridico-sociale

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Gli argomenti trattati nel numero

conformismo e onestĂ Cattivi si nasce o si diventa

Articolo pp 14 e ss.

1

malingering

un concetto complesso

Si può simulare la mancanza di responsabilità delle proprie azioni?

Articoli pp 24 e ss.

Il punto di vista delle Neuroscienze tra biologia e societĂ

2

Articolo pp. 18 e ss.

Mappa concettuale: il Tema del numero

Proposte per percorsi di lettura interdisciplinari 12

3


Anemos neuroscienze

Approfondimenti interdisciplinari e altri punti di vista

Lingua e corruzione

economia, politica e corruzione

Tra metafore letterarie (romanzo di Pinocchio) e uso strumentale della lingua

Il peso economico, sociale della corruzione nella società contemporanea

5

Articoli pp 30 e ss..

4

Strumenti di lettura

{

I testi di «Neuroscienze Anemos» sono idealmente suddivisi in In - Interdisciplina App - Approfondimenti R/Np - Ricerca e nuove proposte Agli articoli viene inoltre assegnato un numero che indica la complessità di comprensione del testo da 1 a 5.

1 2 3 4 5

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Neuroscienze

Sociologia

Conformismo e onestà Cattivi si nasce o si diventa?

di Marco Ruini

App 1 parole chiave. Bene, male, cervello, società, comportamento, neuroscienze.

Abstract. Fin dall'antichità il comportamento umano è stato oggetto di indagine. Negli ultimi cinquant’anni le Neuroscienze, spinte dalla pressante richiesta del perché siano così incrementati genocidi, torture e razzismo hanno studiato come funziona il nostro cervello in queste situazioni e cosa porta persone “normali” a compiere atti dominati dall'odio e dalla violenza. Nasciamo buoni e veniamo corrotti da una società malvagia o nasciamo cattivi? E che ruolo hanno la società e l'ambiente esterno in tutto ciò?

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attivi si diventa? Il comportamento umano è stato oggetto di dibattito, soprattutto filosofico, fin dall’antichità. Negli ultimi cinquant’anni le Neuroscienze, spinte dalla pressante richiesta del perché siano così incrementati genocidi, torture, razzismo a partire dalla Seconda Guerra Mondiale, hanno studiato come funzioni il nostro cervello

in queste situazioni che vorremmo ritenere folli e eccezionali e invece diventano sempre più la norma. Le parole “mai più” che ci siamo detti tra gli anni Sessanta e Settanta, quelli della presa di coscienza, sono state ovunque disattese. Non riusciamo a governare i nostri comportamenti, soprattutto quando è il gruppo a richiederli, così che l’ambiente esterno contribuisce a strutturare il nostro cer-

vello e riesce a influenzarlo. L’onestà, la disonestà, la corruzione, il libero arbitrio, il conformismo, il bisogno di appartenenza e di sicurezza hanno correlati neurobiologici nel cervello, ma anche nei retroterra culturale, politico e religioso dominanti. I risultati delle ricerche neuroscientifiche ci lasciano attoniti e confutano tanti luoghi comuni, in primis la presunzione che a noi non potrà mai accadere di


Anemos neuroscienze

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essere disonesti o razzisti o di fare del male agli altri, perché siamo protetti dalla nostra educazione e dagli esempi del passato. Hannah Arendt, pubblicando nel 1963 La banalità del male. Eichmann a Gerusalemme, per la prima volta mostrò come la forza della propaganda e l’odio seminato e giustificato dalle istituzioni, abbiano indotto persone normali a compiere atti orrendi. Non mostri, quindi, o psicopatici, ma persone normali convinte dalle autorità che obbedire agli ordini fosse un giusto dovere e un sacrificio inevitabile per raggiungere il bene assoluto. Secondo i loro difensori, Eichmann e gli altri pianificatori ed esecutori della “soluzione finale” nei campi di concentramento si sono comportati in modo onesto, rispettando le leggi e servendo le istituzioni. Il primo problema che si apre è quindi se onestà corrisponda a legalità, al rispetto delle regole e delle leggi dello stato, e non al rispetto di regole morali ed etiche, ma si rischia di spostare il problema senza risolverlo perché anche morale ed etica sono figlie dei tempi, giuste al momento per la cultura dominante, ma non valide in assoluto. Basti guardare ai danni delle morali religiose quando creano il diverso che fa presto a diventare il rappresentante del male, il mostro da eliminare. Philip Zimbardo, psicologo sociale, ha studiato il comportamento umano in situazioni particolari, come il carcere, e ha raccolto le ricerche più significative sue e di altri scienziati in un volume edito da Raffaello Cortina Editore nel 2008: L’effetto Lucifero. Cattivi si diventa?. Nella sua analisi parte da una semplice domanda: siamo nati buoni e poi siamo stati corrotti da una società malvagia o siamo nati cattivi e poi siamo stati redenti da una società

Figura 1.1 - A fianco lo psicologo Philip George Zimbardo. La sua ricerca più famosa è consistita nel tentativo di confutare la credenza secondo cui i comportamenti violenti osservabili all'interno di un'istituzione, come il carcere, sono dovuti a disfunzioni della personalità. I suoi studi hanno dimostrato che tali condotte dipendono dalle caratteristiche della situazione contestuale.

buona? Questa doppia visione della natura del nostro cervello per alcuni secoli ha animato il dibattito filosofico. Da una parte i pensatori come Jean Jacques Rousseau che presentava l’essere umano come il buon selvaggio le cui virtù sono state minate dalle forze sociali malvagie, da un potere corruttore. Nell’articolo seguente anche il Dott. Mario Baratti sposa la teoria di un cervello buono congenito in quanto l’uomo è per natura portato alla socialità e ci sono strutture cerebrali preposte a questo. Ci sono anche strutture come l’amigdala per l’aggressività, per il piacere personale e quando si trova in difficoltà l’essere umano mette il proprio vantaggio davanti a quello degli altri. Non esiste un cervello uguale all’altro né come struttura né come funzionamento, dicono studi recenti. Ci sono infatti pensatori come Hobbes e il suo Homo homini lupus (ogni uomo è lupo per gli altri uomini) per i quali l’uomo è malvagio di natura, succube a desideri e impulsi istintivi, irrazionale. Solo l’autorità dello stato, della religione e della famiglia, tramite l’educazione, lo rendono essere razionale e buono.

È quindi un essere sociale per necessità. Oltre a queste due visioni opposte, ci sono teorie che tendono a escludere visioni così radicali mettendo in luce la caratteristica principale del cervello, la sua plasticità. Un cervello plastico. L’essere umano è l’unico essere vivente che nasce immaturo e resta tale tutta la vita, non si specializza come gli altri animali che diventano perfetti per vivere in un certo ambiente al di fuori del quale non sopravvivrebbero. Il nostro cervello, e di conseguenza l’organismo, non specializzandosi mai, rimane plastico e in grado di apprendere e di modificarsi tutta la vita continuando ad adattarsi ad ambienti e situazioni nuove e diverse. Questa sua caratteristica è un punto di forza per la nostra specie che ha colonizzato e infestato ogni angolo della terra, ma è anche un punto di debolezza per il singolo individuo perché lo rende dipendente e influenzabile dall’ambiente e dagli altri che manipola, ma dai quali viene anche manipolato. È inoltre insicuro come lo sono tutti gli esseri immaturi, propenso ad accettare imposizioni ◄

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Neuroscienze

Sociologia

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◄ e a obbedire pur di rimanere protetto nel gruppo. Lo avevano ben capito sia Etienne de la Boétie nel suo Discorso sulla servitù volontaria del 1554 che Erich Fromm in Fuga dalla libertà (1941). Quindi, di fronte al dualismo bontà congenita o cattiveria congenita, alcuni settori delle Neuroscienze dicono che il cervello non è né buono né cattivo, né razionale né irrazionale. Queste sono categorie morali, etiche, culturali determinate dall’ambiente culturale, sociale, educativo, in breve dal contesto o dalla situazione e genetica, ambiente, epigenetica concorrono allo stesso modo a determinare il nostro comportamento anche relativamente a onestà, disonestà, accondiscendenza alla corruzione e alla delega ad altri della responsabilità di scelta. La plasticità del cervello, dei suoi neuroni e connessioni che formano il cosiddetto “connettoma”, varia nel tempo e definisce la pla- Figura 1.2 - Sopra il campo di concentramento di Auschwitz - Birkenau, uno dei luoghi simbolo delle efferatezze compiute durante la Seconda Guerra Mondiale. Il sticità della natura umana e la sua complesso dei campi di Auschwitz, situato nella Polonia meridionale, è il più grande volubilità. Il cervello può essere realizzato dal nazismo. stimolato nello stesso modo a fare il bene o il male, a essere razionale personificare il mostro o il nemico sociali e culturali che regolano la noo irrazionale o a fare entrambi in tempi diversi in quanto geneticamen- da isolare e distruggere ricompattan- stra vita, i fattori situazionali, costrute è predisposto a farli entrambi, ha le do il gruppo eletto. Dei volontari di iscono realtà pervasive che hanno il strutture per farci essere santi o mostri media estrazione sociale furono coin- potere di spingere a un conformismo in base alle situazioni. Questo spiega volti in un esperimento sull’influenza di gruppo e all’obbedienza all’autorità la facilità con la quale persone ricche dell’ambiente sul comportamento. fino al punto di trasformare in mostri di valori, di sentimenti, di affetti pos- Metà nella veste di prigionieri, l’altra persone comuni che si sentono servisano in breve diventare feroci aguzzi- metà come guardie alle quali venne tori di una buona causa. È questo a ni e compiere crimini odiosi in base detto che potevano fare tutto ciò che lasciarci sgomenti perché ognuno di alle circostanze sociali e culturali che ritenevano necessario per mantenere noi ha l’illusione di essere speciale, condizionano il nostro pensiero. Lo l’ordine tra i prigionieri. Alle guardie che a noi non potranno mai accadere vediamo nei genocidi, ma anche nei veniva garantito l’anonimato me- cose simili e invece tutto starebbe a femminicidi, nelle madri che ammaz- diante divisa cachi uguale per tutti e dimostrare la nostra fragilità, sopratzano i propri figli, negli omicidi degli occhiali a specchio per nascondere tutto se inseriti in un gruppo omointegralisti e nelle violenze fisiche e gli sguardi. L’esperimento avrebbe geneo dove il pensiero divergente, verbali dei razzisti. Ci sembra strano dovuto durare due settimane, dopo anche se giusto, diventa debolezza. A che possa accadere, ma purtroppo una settimana venne sospeso perché partire dalla caccia alle streghe dove l’evidenza ci insegna questo, e anche le aggressioni fisiche e psicologiche povere donne sono state torturate e la ricerca. Zimbardo nel 1971 fece un delle guardie stavano mettendo a ri- violentate, perché trasformate in capri esperimento di prigionia simulata che schio l’incolumità dei prigionieri. Il espiatori, simboli del male da estirpaaprì la strada a una lunga serie di studi ruolo, il compito assegnato da una re, l’intelligenza di persone normali si sull’allineamento ai principi espressi istituzione, l’autorizzazione di chi ge- è messa a disposizione del potere di dalla maggioranza, sul conformismo, rarchicamente stava sopra e governava turno, inventando ogni sorta di atrosull’obbedienza all’autorità, sui ruoli l’esperimento, li aveva resi insensibili cità e punizioni che sono state usate gerarchici, sul bisogno di appartenen- alla sofferenza e privi di compassione. (e tutt’ora lo sono) nei lager, nei guza, sulla costruzione del diverso per Zimbardo conclude che le circostanze lag, in Ruanda, in Somalia, in Turchia,

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Anemos neuroscienze

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in Vietnam, in Bosnia, nel carcere di Abu Ghraib, dall’ISIS e così via, tanto che nel secolo scorso oltre 50 milioni di persone sono state trucidate non da psicopatici, ma da cittadini che avremmo detto normali, invasati dalle parole di altri, col compito morale di distruggere il mostro, il Male o il nemico. Un bilancio in vite umane maggiore di quello di tutte le guerre messe assieme. Se questo è valido per casi così gravi come i genocidi, ancor più facilmente si giustificano forme più lievi di disonestà e corruzione. Tra le forze psichiche che maggiormente influenzano le nostre condotte ci stanno il bisogno di appartenenza e di approvazione sociale. La paura di essere esclusi, di non far parte del gruppo, di perdere privilegi, di non essere considerati dagli altri portano al conformismo e alla omologazione la maggior parte di noi. E se il gruppo di riferimento è corrotto, abbiamo un’altra probabilità di diventarlo anche noi in quanto al suo interno prevale l’idea che i soldi siano la base del riconoscimento sociale e della felicità e che abbiamo il diritto di cercarli in ogni modo perché senza soccomberemmo nelle necessità o nell’anonimato. Salomon Ash ha condotto un altro famoso esperimento per dimostrare la nostra inclinazione al conformismo. Ha mostrato a un gruppo di volontari tre cartoncini con disegnate tre linee di lunghezza diversa e ha chiesto quale linea fosse uguale a una di confronto. Quando le persone erano testate singolarmente davano la risposta giusta nel 99% dei casi. Quando il volontario da testare, a sua insaputa, era inserito in un gruppo di attori concordi nel dare una risposta sbagliata, nel 70% dei casi, pur nell’evidenza, si adeguava alla risposta sbagliata del gruppo di attori. Questa tendenza a omologarsi, ad allinearsi alla maggioranza, dimostra il nostro bisogno di appartenenza e la paura di essere iso-

lati, di essere considerati diversi dagli altri. L'influenza dell’ambiente. L’Italia è al primo posto, in Europa, come corruzione, come disonestà individuale e di chi ci governa. Da secoli siamo educati al conformismo, al controllo tramite l’approvazione sociale, a una visione gerarchica di ogni forma organizzata. Ci scandalizzano le irregolarità compiute dagli altri, ma nel nostro piccolo abbiamo tante piccole disonestà, scorrettezze o abusi giustificati dal fatto che gli altri fanno peggio. Giustificate anche da leggi spesso ambigue: il precariato e i pagamenti con voucher legalizzano in pratica il lavoro nero; non permettere di scaricare le spese fa lievitare decisamente i costi se pretendiamo le fatture. Questi sono solo esempi di come l’ambiente possa spingerci a una illegalità diffusa. Crediamo che questo sia insignificante rispetto a ciò che fanno gli altri e ci illudiamo di essere immuni dalle forme gravi. Queste ricerche ci dimostrano che ci piace illuderci, ma sono le situazioni e le occasioni a determinare i nostri comportamenti più della forza di volontà. Ancora una volta la realtà non è quella che appare. Luigi Pirandello scrisse: “...abbiamo in noi, senza sapere né come né perché né da chi, la necessità di ingannare di continuo noi stessi con la spontanea creazione di una realtà (una per ciascuno e non mai la stessa per tutti) la quale di tratto in tratto si scopre vana e illusoria. Chi ha capito il gioco, non riesce più a ingannarsi, ma chi non riesce più a ingannarsi non può più prendere né gusto né piacere alla vita”. Portò queste considerazioni come causa della propria depressione. Le neuroscienze ci dicono però che vivere nella beata ignoranza comporta stare in un clima di paure governate da altri; capire il funzionamento del cervello e il perché dei comportamenti ci lascerebbe, se

Indicazioni bibliografiche Hannah Arendt, La banalità del male. Eichmann a Gerusalemme, 1963 Etienne de la Boétie, Discorso sulla servitù volontaria, 1554 Erich Fromm, Fuga dalla libertà, 1941 Arthur Schopenhauer, L’arte di essere felici

non altro, meno condizionabili e un po' più liberi. Dovrebbe anche metterci al riparo dagli eccessi. Zimbardo conclude il suo lavoro mettendo comunque in guardia dal giustizialismo: “Capire il perché (di ciò che è stato fatto) non significa giustificare (cosa è stato fatto). Individui e gruppi che si comportano immoralmente o illegalmente debbono comunque essere ritenuti responsabili anche giuridicamente della loro complicità e dei loro reati”. Il bene e il male hanno un confine molto aleatorio, sposare il Bene Assoluto, mettendosi acriticamente al suo servizio, crea vittime e carnefici, eletti e dannati e porta a giustificare il sangue e il dolore delle vittime. Come possiamo difenderci dal non diventare inconsciamente carnefici o disonesti o corrotti? Zimbardo suggerisce che: “eroe non è l’essere straordinario capace di uccidere e morire per un assoluto, ma l’uomo e la donna del tutto ordinari che sappiano disobbedire a qualunque assoluto. Eroe è chi vede il dolore inferto, e decide di prender partito”. Nel nostro piccolo potremmo veramente essere eroi visionari, andare controcorrente, soprattutto sapendo, come disse Schopenhauer in L’arte di essere felici, che a determinare la felicità è in primo luogo la considerazione in sé stessi, mentre il riconoscimento degli altri e le ricchezze sono poco significativi. E stiamo attenti ai luoghi comuni come quello che i cittadini hanno i politici che si meritano. È vero, si lasciano corrompere, ma la forza e i mezzi che lo stato e la politica mettono in campo per corromperli e garantirsi potere e privilegi, come abbiamo dimostrato, sono infinitamente maggiori rispetto alle difese che abbiamo per rifiutare.■

Marco Ruini. Neurologo e neurochirurgo. Responsabile del Centro Medico Anemos di Reggio Emilia.

Philip Zimbardo, L’effetto Lucifero. Cattivi si diventa?, Raffaello Cortina Editore, 2008

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Neuroscienze

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Biologia

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ONESTà:

un concetto complesso il contributo delle neuroscienze

App 2

di Mario Baratti

parole chiave. Onestà, cervello emozionale, cervello cognitivo, codice morale. Abstract. Il concetto di onestà è un concetto complesso che ha a che fare con diversi fattori (intenzioni, motivazioni...). È possibile tuttavia trovare, attraverso le leggi della natura, una base biologica del comportamento morale?

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l concetto di onestà. Onestà ha a che fare con intenzioni, motivi e disposizioni del carattere e del comportamento di una persona. Il concetto di onestà è più complesso di quanto comunemente si creda. Può essere considerato in senso esteso: non mentire, non ingannare, non nascondere od omettere informazioni, non rubare; oppure essere considerato in senso ristretto, limitato al solo aspetto economico: evitare furto, imbroglio, corruzione e concussione. Da anni, soprattutto nell’ultimo decennio, i concetti di onestà e corruzione sono di estrema attualità, per cui, nell’uso contemporaneo, il concetto di onestà è prevalentemente connesso con l’aspetto commercialeeconomico. Sono di attualità poiché la corruzione chiama in causa tutti gli aspetti della società, perché sono diffuse in tutto il mondo le colossali truffe dell’alta finanza, perché i politici corrotti occupano ormai molta parte dei nostri giornali e telegiornali (e non solo in Italia). Da sempre i medici (soprattutto gli

Psichiatri ed i Neurologi) si sono occupati del comportamento umano, alla ricerca di “una base biologica” dello stesso. Proprio per l’attualità degli argomenti prima menzionati, l’attenzione si è spostata sul comportamento morale, sulla natura morale dell’uomo. In passato, questo era un argomento che si era sviluppato più in ambito giuridico, filosofico, economico e teologico. I dati che ho raccolto cercheranno di avvicinare il lettore al quesito: è possibile trovare, attraverso le leggi della natura, una base biologica del pensiero, in particolare del comportamento morale? La mente è sempre stata considerata come qualcosa di immateriale. Attraverso le leggi scientifiche, è stato dimostrato com’è strutturato un organismo. Capire se ci sono cellule o molecole alla base del pensiero e del comportamento umano e morale dell’uomo credo sia una delle sfide più entusiasmanti della ricerca scientifica. Il contributo delle neuroscienze parte da una domanda: esistono dei principi morali innati nel- ◄

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Neuroscienze

Biologia

la nostra specie (quelle che noi definiremmo emozioni morali o sociomorali)? Le abbiamo già dentro di noi al momento della nascita. L’ambiente può influenzare ciò che è geneticamente determinato oppure è l’ambiente stesso il determinante di tutto? Come si può dimostrare? Studi sui pazienti. Come neurologo e come clinico, la dimostrazione inizia con i pazienti stessi. Ad esempio si possono fare ipotesi e trarre conclusioni riguardo al comportamento di un paziente legando il comportamento stesso ad una lesione presente nel cervello di quel paziente. Questa considerazione oggi sembra quasi scontata ma ci sono voluti migliaia di anni per arrivare a questa affermazione. Dal 1700 in poi si parla del cervello come della sede dei processi cognitivi ed emozionali, alla base del comportamento umano (Cartesio, empiristi inglesi, illuminismo). Nell’antica Grecia c’era il mito di Prometeo, l’uomo che sfidò Zeus. Un uomo di fegato (la sede delle decisioni umane erano nel fegato), che venne punito proprio con la condanna a farsi mangiare il fegato da un’aquila per l’eternità. Col cristianesimo, invece, si parlava dell’uomo di cuore, in quanto il cuore era visto come la sede delle nostre emozioni. È da circa 300 anni che si parla dell’uomo di cervello, per arrivare di conseguenza al neurone, la principale cellula cerebrale. Il neurone è formato da un corpo, da un lungo prolungamento, denominato assone, e dai dendriti, propaggini più brevi e più numerose: sono questi che permettono il maggior numero di connessioni

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fra i neuroni, sono la parte più importante nella funzione del neurone per lo sviluppo dell’intelligenza (queste connessioni sono alla base del concetto di intelligenza artificiale). A ulteriore dimostrazione di quanto detto finora, relazione tra cervello, scelte razionali e valutazioni morali si cita il caso Phineas Gage. Nel 1848, durante la costruzione delle ferrovie nel New England, troviamo il giovane Phineas Gage, uomo onesto, efficiente, preciso, che si attiene alle regole proprio perché innato in lui questo modo di essere. Durante i lavori accadde un incidente e Phineas subì una lesione cerebrale in sede frontale (una scheggia metallica penetrò dalla guancia sinistra e fuoriuscì dalla volta cranica) . All’apparenza non sembrò nulla di grave, Phineas si allontanò con le sue gambe e raccontò il tutto ai suoi colleghi. Dopo qualche settimana, quando tornò a lavorare, il suo modo di essere era completamente cambiato: irriverente, blasfemo, bizzarro, disonesto, pronto ad elaborare programmi di attività future, abbandonate poco dopo, “non si poteva più fare affidamento su di lui”. Nell’ambito della neurologia iniziò da questo caso un dibattito su come un evento traumatico potesse cambiare il comportamento di un uomo e se fosse responsabilità effettiva del trauma. Negli anni ’90 il cervello di Phineas è stato studiato da un neurofisiologo (Damasio), che arrivò ad affermare che alcune modificazioni del cervello (il lobo frontale in questo caso) potevano alterare il comportamento di una persona. Oltre che attraverso i pazienti, la dimo-

strazione avviene attraverso l’utilizzo delle nuove tecnologie (Risonanza magnetica funzionale e Pet) oltre agli studi di etologia e genetica sempre più sofisticati. La politica è importante: è stata proprio una scelta politica, fatta dal Presidente americano Clinton, “la decade del cervello”, cioè dedicare 10 anni alla ricerca sul cervello, negli anni ’90. Furono stanziati finanziamenti pubblici e privati: da questi 10 anni di ricerca si affinarono quelle tecnologie, come la RM funzionale, in grado di evidenziare le aree cerebrali, più attive, ad esempio, nell’esecuzione di un compito manuale oppure nel pensare ad un comportamento particolare (un’azione disonesta, una esperienza visiva gratificante, ecc). Riprendiamo dal punto: esistono dei principi morali innati nella nostra specie. Si veda la tabella (fig. 2.1). Codice morale. Il codice morale innato è legato all’interesse ed al benessere di una società o gruppo, piuttosto che a quello del singolo individuo. Quindi, nei nostri circuiti cerebrali, che possiedono una dimensione sociale, c’è un inconscio collettivo oltre che una coscienza collettiva. Questi circuiti cerebrali sono più propensi all’empatia verso l’esterno, verso gli altri, che non verso noi stessi. “Non fare all’altro quello che non vorresti venisse fatto a te stesso” non è una frase del cristianesimo, che ne ha ulteriormente sublimato il concetto portandolo all’idea di amare l’altro più

Figura

2.1 - Sotto, tabella che elenca i principi morali innati nell'essere umano.

PRINCIPI MORALI INNATI "EMOZIONI MORALI O SOCIO-MORALI" Il rifiuto di nuocere al prossimo La gratitudine Il senso di giustizia La reciprocità La lealtà al gruppo L'empatia, l'assertività, la "teoria della mente"

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La fedeltà La vergogna L'imbarazzo L'onestà L'orgoglio L'indignazione ed il disprezzo


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CERVELLO DELLE EMOZIONI

◄ AMBIENTE

CERVELLO SOCIALE

Figura

2.2 - Schema delle relazioni tra cervello delle emozioni, cervello sociale, cervello delle funzioni cognitive e ambiente.

zia e lealtà al gruppo, però struttura le proprie relazioni sociali in senso molto gerarchico. Il bonobo, invece, non gerarchizza il rapporto all’interno del proprio gruppo; i rapporti si sviluppano per lo più per via sessuale. Questo esempio per dimostrare che ci sono una quantità di emozioni sociali e morali innate non solo nell’uomo ma anche negli animali più evoluti. Cervello cognitivo e cervello emozionale. Per capire questo schema, rappresentato nella fig. 2.2, definiamo il cervello cognitivo ed il cervello emozionale. Il cervello delle funzioni cognitive è costituito prevalentemente dai lobi frontali che sono coinvolti nei processi di regolazione del comportamento adattivo all’ambiente e nel controllo dei processi cognitivi superiori, che intervengono nei contesti quoti-

tendenza all’onestà. Del resto Jung sostenne che come c’era stata una evoluzione, darwiniana, dell’organismo vi era stata anche una evoluzione della psiche e del pensiero: la formazione di una coscienza collettiva oltre che ad un inconscio collettivo. Questo concetto fu ripreso dopo decenni anche nella poesia e nel romanzo: si leggano i poeti ed i romanzieri della Beat Generation (Ferlinghetti, Kerouac, Corso, Ginsberg et al.) Basterebbe seguire la nostra vera natura, inscritta nella nostra biologia cerebrale, per avere una società più pacificata? Fondamentalmente, a questa domanda, si deve rispondere di sì, purtroppo bisogna ricordare che subentrerà l’ambiente. Per capire ciò bisogna fare qualche altro passo. Se riprendiamo la tabella con i principi morali innati: quelli sulla sinistra sono presenti nell’essere umano e nei primati, quelli sulla destra, invece, sono appannaggio dell’evoluzione psicologica dell’essere umano. L’Etologia ci viene in aiuto. Nello scimpanzé è presente senso di giusti-

◄ che noi stessi. Il concetto ci porta a pensare che l’altruismo e la bontà siano innati nel nostro cervello, che noi siamo naturalmente buoni alla nascita, la nostra età dell’oro. In seguito è certo che l’ambiente esterno modificherà questa innata propensione all’altro. Se c’è stata una evoluzione dell’organismo e della psiche è perché il cervello ha permesso la perpetuazione della specie. Se il nostro cervello fosse stato strutturato fisicamente e psicologicamente al pensare solo a noi stessi, l’umanità sarebbe probabilmente ferma all’età della pietra. Un termine a cui si deve ricorrere spesso è “empatia”, cioè il capire e mettersi in sintonia con l’altro. Solo così si può superare l’egoismo e si possono domare tante altre emozioni più o meno sociali che tutti abbiamo dentro di noi (circuiti della rabbia, dell’aggressività, dell’insicurezza…). Sappiamo di poter dominare tali circuiti soprattutto mettendoli (e mettendoci) in relazione con gli altri e ciò ci rimanda dei messaggi non tanto di speranza quanto di certezza sulla nostra capacità e

CERVELLO DELLE FUNZIONI COGNITIVE

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Neuroscienze

Biologia

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Figura 2.3 - Esempio di Risonanza Magnetica funzionale effettuata per studiare il sistema di gratificazione. È attivata l'area orbito-frontale. ◄

diani complessi o non abituali: - pianificazione - decision making (processo di decisione) e problem solving - attuazione e conclusione di comportamenti diretti ad uno scopo attraverso azioni coordinate e strategiche - integrazione e sintesi di informazioni - organizzazione - regolazione del comportamento emotivo, implicato quindi nei processi emotivi ed affettivi. Nell’ambito dei lobi frontali sono da individuare le aree prefrontali: Corteccia prefrontale orbito-frontale e ventro-laterale: - punizione altruistica: desiderio morale di giustizia ed equità e può mettere in atto sentimenti di avversione, esclusione sociale (come rabbia, indignazione, disgusto e disprezzo). - presa di decisione: mantiene in memoria l’associazione fra uno stimolo familiare e la risposta considerata gratificante del soggetto; interverrebbe nel sopprimere una risposta abituale per sostituirla con una nuova più appropriata al contesto sociale, partecipando al controllo inibitorio degli automatismi (risposte impulsivo-automatiche dell’amigdala, deputata a processare situazioni o stimoli percepiti come paurosi o pericolosi) - aspetto emozionale dell’empatia, empatia affettiva cioè “sento quello che tu senti”. Contagio emotivo, sistema più antico. Partecipazione empatica > comportamento biosociale preesistente alla comunicazione linguistica e che comunque orienta le relazioni inter-individuali.

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Corteccia prefrontale ventro-mediale: - funzione di attribuire valore morale ed emozionale agli eventi sociali, anticipando il loro risultato futuro

- ruolo fondamentale nell’ambito del senso morale intrinseco es. “dilemma morale personale”, cioè un giudizio morale esplicito, con il rischio di provocare un danno a qualcuno - meccanismo della teoria della mente e dell’empatia (due processi strettamente correlati alla moralità): percepire e comprendere sentimenti, pensieri, convinzioni ed intenzioni altrui > empatia cognitiva (sistema filogeneticamente nuovo). “comprendo ciò che tu senti”

da numerose aree, molte ancora da definire. Le più rappresentative sono:

Corteccia prefrontale dorso-laterale: - processi esecutivo-motori: funzioni esecutive - comportamenti strategici con procedimenti razionali applicati alle varie questioni morali - pianificazione dell’azione astrazione > concetto universale - ragionamento logico e flessibilità cognitiva - working-memory. Quindi pianificazione dell’azione (recupero conoscenze passate e la loro rappresentazione depositate nella memoria a lungo termine) > utilizzarle nel dirigere le modalità di comportamento nel presente. Alcuni studiosi hanno ipotizzato che il network morale (interazione emozioni - processi cognitivi) possa essere bypassato dai soli processi razionali mediati dalla corteccia prefrontale dorsolaterale e portare all’utilitarismo.

Insula e corteccia somatosensoriale: - Percezione, autoconsapevolezza, esperienze interpersonali e stato d’animo altrui - Vergogna, insicurezza

Il cervello delle emozioni è composta

Amigdala: - Centro di integrazione delle emozioni (memoria emozionale) - Sistema di comparazione degli stimoli recenti con le esperienze passate - Risposta al pericolo, allarme, paura (sentinella ed innesco di emozioni negative) - Sistema preposto al contagio emotivo con funzione sociale

Corteccia cingolata: - Processi di selezione - Decision making - Controllo volontario del comportamento altrui (riconosce se la risposta dell’individuo è inadeguata rispetto alla situazione). Il cervello sociale non è che l’interazione - collaborazione, precisa, tra il cervello delle emozioni ed il cervello cognitivo. Su tutto interviene, pesantemente, il fattore ambiente. A conferma di quanto affermato: Ultimatum game. È uno studio Pubblicato su Science nel 2006, che dimostra interazione tra cervello cognitivo e cervello emotivo, da qui il cervello sociale. In questo studio un giocatore deve dividere una somma di de-


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naro con un secondo giocatore. Se quest’ultimo rifiuta la divisione perché ingiusta, nessuno dei due riceve nulla. Il rifiuto dell’offerta scorretta riflette sia il senso di giustizia che il desiderio della punizione altrui. L’area prefrontale ventro-mediale è coinvolta nell’attribuzione e deduzione delle intenzioni del comportamento altrui. L’area orbito-frontale e le aree del cervello emotivo, soprattutto l’amigdala, mettono conseguentemente in atto la punizione altruistica, suscitando sentimenti di rabbia, indignazione (sentimenti di avversione/esclusione). Oggi, queste aree, in soggetti volontari o paziente che si sottopongono durante il test a RM funzionale, sono maggiormente evidenziate (ad es. iperlucenti oppure di colore diverso). È riportato un esempio di RM funzionale, fig. 2.3, effettuata per studiare il sistema di gratificazione: altra connessione cerebrale tra i “cervelli” prima descritti. Il sistema di gratificazione. Durante la propria esistenza tutti gli esseri viventi perseguono due finalità biologiche essenziali: la propria sopravvivenza e la conservazione della specie. Il raggiungimento di queste finalità è basato sul soddisfacimento di alcuni istinti come la fame e la sete, il sesso e la cura della prole ed è garantito da un sistema cerebrale di gratificazione. Durante la vita questo sistema ci incoraggia a ripetere anche i comporta-

menti acquisiti che ci danno piacere. La dopamina è il neurotrasmettitore di questo sistema cerebrale. Le basi neurobiologiche della dipendenza da sostanze o da certi comportamenti sembrerebbero dati da un’alterazione dei meccanismi cerebrali che controllano la gratificazione. Le vie cerebrali interessate sono: la via mesolimbica che dall’Area Ventrale Tegmentale (VTA) e substantia nigra (area dorsale) innerva diverse strutture del sistema limbico, incluso il Nucleo Accumbens (tutte aree cerebrali nell’ambito del cervello delle emozioni) e, con la via mesocorticale, prosegue fino alla Corteccia prefrontale orbito-frontale e ventro-laterale. Si veda la fig. 2.3. Neuroni a specchio. Infine, la scoperta dei neuroni a specchio. Sono alla base di comportamenti imitativi, una sorta di collegamento tra l’osservatore e l’attore. Rispecchiano ciò che compie il soggetto osservato, sia in senso motorio sia in senso emozionale. Sono alla base, pertanto, dell’interazione sociale, della reciprocità, della risonanza con l’altro, in una parola, dell’empatia (“sentire” il prossimo è alla base del giudizio morale, la reciprocità ci porta a trattare l’altro come noi vorremmo essere trattati). Per concludere. - Presenza di una base neurale del codice morale innato o morale «normativa» (emozioni, sentimenti e modi

Indicazioni bibliografiche Bottaccioli F.: Epigenetica e Psico-neuro-endocrinoimmunologia (Edra,2014) Comerio E. Tesi di Laurea “Cervello Sociale” (2010) Damasio A et al. : The feeling of What Happens. Body and Emotion in the Making of Consciousness (Adelphi, 2000) Haidt J.: The moral emotion (Psychol Rev, 2001) Knoch D. et al.: Diminishing reciprocal fairness by disrupting the right prefrontal cortex (Science, 2006)

Marazziti D. et al.: Esiste una neurobiologia del comportamento morale? (Giorn Ital Psicopat, 2011) Oliverio A.: Neuscoscienze ed etica (Iride, 2008) Ratiu P et al: The tale of Phineas Gage, digitally remastered (N Engl J Med, 2004) Rigotti F.: Onestà (Raffaello Cortina, 2014) Rizzolatti G. et al.: So quel che fai. Il cervello che agisce ed i neuroni a specchio (Scienza e idee. Raffaello Cortina, 2006)

di agire tipici ed esclusivi della nostra specie, alla base della coesione e cooperazione sociale). Le alterazioni di questo network possono spiegare, almeno in parte, comportamenti devianti, sociopatici, criminali. - Il senso morale deriva dalla perfetta integrazione, interazione ed integrità dei processi razionali - cognitivi e di quelli emozionali. - L’eccesso di input e stimoli a cui sono sottoposti i nostri cervelli nel mondo attuale (Sherry Turkle, sociologa al MIT, ha affermato, di recente, marzo 2016, “la prima vittima, delle tecnologie digitali, sarà l’empatia”) impedirebbe la memorizzazione dell’engramma emozionale, di quella risonanza affettiva dello stimolo che sarebbe fondamentale per formulare un giudizio morale adeguato. - La ripetitività di un comportamento, ad es. disonesto, porta a favorire, con rimaneggiamenti morfo-funzionali (aumento dei dendriti, dei recettori, di certi neurotrasmettitori), una determinata interazione nell’ambito del cervello sociale, cosiddetta via neurale «preferita»: non è più un processo razionale-emotivo ma automatico, asettico, anaffettivo. - Si rischia di perdere quella moralità innata che è stata la molla fondamentale per l’evoluzione ed il miglioramento della nostra specie. ■

Mario Baratti. Neurologo e neurofisiologo, ha lavorato presso la Divisione Neurologica del S. Maria Nuova di Reggio Emilia e presso l'U.O. di Neurologia dell'Ospedale "Ramazzini" di Carpi, dove ha diretto il modulo professionale: Malattia di Parkinson e Disordini del Movimento; ed è stato responsabile dell'Unità Ictus dell'Unità Operativa di Neurologia. Lavora presso il Centro Medico Anemos di Reggio Emilia. Ha pubblicato numerosi lavori scientifici, è stato relatore in convegni nazionali ed internazionali, ha tenuto lezioni in sedi universitarie e corsi di aggiornamento, occupandosi in particolare di malattie del Sistema Extrapiramidale, di malattie del Sistema Carebrovascolare, di malattie Neuro-degenerative, Depressione, Cefalee, Metodiche Neurofisiologiche. Si occupa inoltre di Neuroetica ed in particolare delle basi neurobiologiche del comportamento.

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Psicologia

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MALINGERING Il confine fra onestà e simulazione di malattia

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di Giuseppe Cupello e Laura Muscatello

parole chiave. Malingering, simulazione, psichiatria, valutazione, sintomi. Abstract. Parlando di onestà, l’articolo vuole illustrare l’attività del clinico forense durante la sua pratica di valutazione psicologica e psichiatrico-forense nel procedimento in corso per cui sorga la necessità di considerare l’ipotesi che l’esaminando stia simulando una malattia psichica o un disturbo ai fini processuali.

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alingering. Secondo il DSM-5, per simulazione o malingering si intende: “la produzione intenzionale di sintomi fisici o psicologici falsi o grossolanamente esagerati, motivata da incentivi esterni”. In questa definizione è contemplata in primo luogo la consapevolezza del soggetto di porre in atto sintomi fisici o psichici che non corrispondono a realtà. In secondo luogo, per porre la diagnosi di simulazione è necessaria da parte dell’osservatore, l’individuazione di una motivazione legata ad incentivi esterni di carattere obiettivo. Ciò può accadere, ad esempio, nei casi dove una diagnosi di malattia psichica può portare all’assoluzione dell’imputato, oppure alla valutazione del danno bio-psicologico, in cui la stessa diagnosi può condurre ad un considerevole risarcimento del danno

(Rogers R., 2008). Più specificatamente: in ambito penale, simulare una malattia psichiatrica può far sì che l’esaminando non debba rispondere agli interrogatori, non debba partecipare al processo, che possa godere di trasferimenti in reparti clinici o psichiatrici o di misure diverse dalla custodia cautelare in carcere, possa vedersi riconosciuto un vizio di mente al momento del fatto e via dicendo. In ambito civile i vantaggi possono essere il vedersi riconosciuto un danno biologico di natura psichica a varia genesi e dinamica, ottenere una pensione, godere di un favorevole riconoscimento del danno e via discorrendo (Fornari, 2013). Appare inoltre importante evidenziare il sempre più attuale problema relativo alla simulazione dei disturbi cognitivi. Esso si inserisce nel panorama della neuropsicologia clinica, ossia quella disciplina che si occupa dei ◄


Anemos neuroscienze

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Psicologia ◄

Psichiatria

deficit cognitivi ed emotivomotivazionali causati da lesioni o disfunzioni del sistema nervoso centrale. Attraverso infatti il principio della correlazione anatomoclinica, introdotta da Bouillaud e Broca (Vallar G., Papagno C., 2011), la sede e l’estensione di una lesione cerebrale sono messe in relazione con i deficit delle funzioni mentali presentati dal soggetto. Ciò appare di particolare importanza se associato alla neuropsicologia forense, poiché permette di identificare tali deficit in ambito medico-legale e di individuare la presenza di simulazione e dissimulazione di sintomi cognitivi e comportamentali. In ambito medico-legale la valutazione delle capacità cognitive di un soggetto è di cruciale importanza quando si deve accertare la presenza di sintomi psicopatologici e di deficit neuropsicologici oggetto di risarcimento. Traumi cranici, colpi di frusta cervicali, sindromi da fatica cronica, procedimenti di inabilitazione o interdizione legale in pato-

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logie focali o diffuse sono tra le più frequenti affezioni passibili di una verifica neuropsicologica in ambito forense (Zago S., Sartori G., Scarlato G., 2004). Questa ha l’obiettivo di fornire una misura quantitativa delle differenti capacità cognitive indagate (attenzione, memoria, linguaggio, percezione, funzioni frontali, etc.) e il più delle volte di verificare la presenza di disturbi del comportamento associati al danno neurologico (ansia, depressione, tratti ossessivi, etc.). Il carattere oggettivo e quantitativo dei dati ricavati dovrebbe consentire di determinare con maggior precisione l’entità reale del deficit riportato, predirne l’impatto sul piano personale, sociale e lavorativo e, in ultima analisi, quantificarne l’eventuale indennizzo remunerativo (Morgan J.E., Sweet J.J., 2015). Tipologia clinica della simulazione di malattia psichiatrica. Appare utile illustrare qui di seguito quelle che sono le modalità di simulazione più frequentemente osser-

vate nella pratica clinica (Volterra, 2010). - Creazione: creazione di sintomi psichici secondo le proprie aspettative e credenze sulla malattia mentale. Nella creazione il soggetto che simula la malattia mentale non presenta, nel momento dell’esame, una sintomatologia di interesse psichiatrico, non ha mai sofferto anamnesticamente di patologie psichiatriche e non ha mai avuto occasione di rimanere a stretto contatto con una patologia psicotica; di conseguenza i simulatori che creano una malattia mentale tendono ad “esasperare” e teatralizzare i sintomi e i comportamenti secondo il pregiudizio che più i soggetti appaiono bizzarri e

Figura 3.1 - Tra le affezioni più frequentemente oggetto di verifica neuropsicologica in ambito forense si possono trovare traumi cranici, colpi di frusta cervicali, sindromi da fatica cronica, procedimenti di inabilitazione o interdizione legale in patologie focali o diffuse.


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strani e più dovrebbero essere psicotici. - Imitazione: riproduzione di sintomi psichici in precedenza osservati in pazienti psichiatrici. Il paziente che simula per imitazione non ha alcuna sintomatologia psichiatrica reale, né ha mai sofferto in passato di alcuna malattia psichiatrica; tuttavia ha avuto la possibilità di osservare un’altra persona affetta da malattia psichiatrica. È stato sottolineato che il simulatore tende a manifestare sintomi singoli e isolati prodotti principalmente per imitazione e non ricollegabili ad un quadro clinico. - Rievocazione: richiamo di sintomi psichici sofferti in passato ma attualmente assenti. - Stabilizzazione: presentazione di sintomi psichici realmente sofferti in passato e allo stato attuale parzialmente regrediti. - Radicamento: costruzione di sintomi non reali che tendono a diventare reali. Il soggetto che aveva inizialmente, in piena coscienza, simulato una sintomatologia psichiatrica che non esisteva, con il progredire del tempo diviene vittima non più cosciente della patologia presentata. Si riscontra il passaggio fra quella che viene chiamata simulazione conscia (il paziente sa ed è consapevole che sta simulando) a quella che viene denominata simulazione inconscia (il paziente ritiene reale la sintomatologia che inizialmente stava coscientemente simulando). Un esempio interessante a questo proposito riguarda la sindrome di Ganser. Descritta inizialmente in criminali carcerati, detenuti in attesa di giudizio o interrogatorio, traumatizzati cranici con problemi di indennizzo, militari sottoposti a procedura disciplinare ecc., è stata anche ri-

scontrata in caso di catastrofi, in corso di psicosi endogene, in svariate sindromi psicorganiche e in soggetti con basso livello intellettivo (Fornari, 2013). È molto frequente che nella genesi della sindrome intervenga un rilevante stress psicologico. Secondo Volterra (2010) essa descrive un quadro clinico caratterizzato da una sintomatologia pseudodemenziale e da uno stato crepuscolare isterico che può essere manifestato dal detenuto. Quest’ultimo cercherebbe di recitare, più o meno consapevolmente, la parte del malato di mente, in conformità a quello che egli ha imparato o ritiene essere la malattia mentale; tuttavia, la componente intenzionale diverrebbe più sfumata e prevarrebbe la componente dissociativa, con evidenti e accentuati aspetti confusionali e crepuscolari psicogeni. È pertanto importante in questi casi operare una distinzione fra quadri reattivi alla carcerazione e veri quadri psicotici. - Esagerazione: aumento volontario della gravità dei sintomi esistenti. Nell’esagerazione il paziente presenta una sintomatologia di interesse psichiatrico, ma ne aumenta, enfatizza ed esaspera i sintomi e i comportamenti, rendendola molto più grave di quanto sia nella realtà. - Allegazione: arricchimento della sintomatologia psichica con una sintomatologia organica inesistente. Si prospettano problemi clinici relativi alle relazioni fra danni organici e sintomatologia psichica, per quanto concerne per esempio i traumi cranici. - Pretestazione: attribuzione di falsa causalità alla sintomatologia psichica reale. Il paziente attribuisce la sua sintomatologia reale a una falsa causalità al fine di ottenere ◄

SIMULAZIONE DI MALATTIA PSICHIATRICA

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n rapido schema delle modalità di simulazione della malattia pscichiatrica osservate più frequentemente durante la pratica clinica: • Creazione di sintomi psichici secondo le proprie credenze sulla malattia mentale. • Imitazione di sintomi psichici osservati precedentemente in pazienti psichiatrici. • Rievocazione di sintomi psichici sofferti in passato ma al momento assenti. • Stabilizzazione di sintomi psichici realmente sofferti in passato ma parzialmente regrediti. • Radicamento di sintomi non reali che tendono a diventare reali. • Esagerazione volontaria della gravità dei sintomi esistenti. • Allegazione della sintomatologia psichica con una sintomatologia organica inesistente. • Pretestazione di falsa causalità alla sintomatologia psichica reale. • Autoinduzione della patologia psichica, causata tramitre farmaci, droghe, lesioni personali... • Mascheramento con l'esibizione di sintomi che nascondono la reale psicopatologia.

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Figura 3.2 - Se da un lato si trova il caso di pazienti che fingono una patologia o una lesione, caso opposto sono quei soggetti che simulano uno stato di benessere per nascondere una reale psicopatologia.

un vantaggio facilmente identificabile. - Autoinduzione: presenza di patologia psichica volontariamente causata usando adeguate modalità come, per esempio, farmaci, droghe, lesioni personali e via dicendo. Per queste forme simulatorie autoprocurate è spesso necessario operare una diagnosi differenziale con altre sintomatologie, come per esempio i disturbi fittizi. I disturbi fittizi differiscono dalla simulazione in quanto tale, poiché in questo caso, il fine/obiettivo del soggetto non è rappresentato da un incentivo esterno (come può essere un vantaggio economico) ma bensì dal ricevere attenzione nell’assumere il ruolo del malato (Sindrome di Münchausen). Nella sindrome di Münchausen per procura, invece, la produzione intenzionale di una patologia avviene in un soggetto passivo. In quest’ultimo caso il ruolo di malato non viene assunto personalmente dal soggetto in questione ma soddisfatto per interposta persona (solitamente si tratta di madri che inducono i sintomi nei propri figli). - Mascheramento: esibizione di sintomi che nascondono la reale psicopatologia. Si tratta in genere di pazienti alla ricerca di accudimento e di accettazione e che offrono al professionista una sintomatologia di copertura per evitare situazioni emotive spiacevoli.

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Dissimulazione della malattia psichiatrica. Il concetto di simulazione porta con sé il tema della dissimulazione, ovvero l’offerta di uno stato di benessere che nasconde una reale psicopatologia. Secondo Fornari (2013) in ambito psicopatologico, dissimulare significa nascondere, non far trasparire o far trasparire

solo in parte la propria sofferenza e i segni della propria malattia. Il dissimulatore mantiene la distanza emotiva dall’esaminatore, presenta atteggiamenti di tipo ipomaniacale, di fuga e di negazione dell’angoscia psicotica, si mostra come scontroso, diffidente, irritante e antipatico e questa sua “maschera” può essere confusa con un disturbo di personalità (antisociale o narcisistico). Fra i disturbi più facilmente dissimulati vi sono quelli depressivi maggiori e quelli deliranti. Perché dunque dissimulare? In riferimento al modello adattivo (Volterra, 2010) la dissimulazione della malattia mentale è intesa come un comportamento mirato ad ottenere dei vantaggi o a ridurre dei possibili danni che possono interessare il soggetto. Quest’ultimo può nascondere i sintomi per esempio per il timore di subire un ricovero forzato in un’istituzione o essere obbligato ad assumere farmaci che per suo percepito personale gli indurrebbero stati d’animo negativi. L’intento può inoltre essere quello di evitare l’interdizione o l’inabilitazione, la revoca della patente, del porto d’armi, di un lavoro o, semplicemente, il tentativo di preservare uno status che renda socialmente desiderabili. Valutazione della simulazione e applicazione testistica. L’analisi

psicopatologica può permettere di discriminare coloro che presentano una sofferenza psichica o un danno cognitivo autentici. Nella valutazione della simulazione il colloquio clinico deve prevedere un’attenta indagine sulla storia personale del soggetto, un’analisi accurata dei sintomi attuali ed un attento esame dello stato mentale (Fornari, 2013). Attraverso quindi un’osservazione psichiatrica tempestiva e protratta del modo in cui il paziente si comporta e racconta l’esordio e la progressione della sua malattia, oltre ad un’opportuna analisi della sua storia clinica, si possono cogliere quelle incongruenze che al clinico addestrato forniscono conferme di simulazione. Secondo Drob & Berger (1987), compito dell’intervistatore è quello di far sì che l’esaminando, almeno per un attimo, dimentichi o abbandoni il “ruolo”. Il simulatore, nei periodi iniziali solitamente osserva sintomi singoli, isolati, riproducendoli ed imitandoli senza quella coerenza e peculiarità espressive della malattia mentale (Rogers R., 2008). Solitamente esibisce ed elenca spontaneamente e con immediatezza espressiva i propri disturbi patologici e non è in grado di mantenere una distanza emotiva dall’esaminatore, che cerca di coinvolgere nella propria sofferenza. Appare inoltre non coerente, non co-


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stante e non convincente. Lo sviluppo di metodiche adeguate nel tentativo di individuare prove sensibili per la simulazione è stato oggetto di un ricco numero di studi. In particolare, sono state effettuate indagini per individuare misure oggettive relative alle caratteristiche degli errori e al loro numero. Alcuni di questi "marker della simulazione" sarebbero riscontrabili in reattivi abitualmente impiegati in ambito clinico, altri invece, in test o questionari ideati per individuare i simulatori (Rogers R. 2012). Si tratta di prove la cui fedeltà e validità statistica è stata ampiamente verificata su grandi campioni di soggetti normali e di controllo, tenendo conto di variabili che possono influenzare i punteggi, quali l’età, la scolarità e il sesso (Boone Kyle Brauer, 2007). In ambito psicodiagnostico i test utili al rilevamento della simulazione si possono distinguere in tre categorie: - questionari di personalità che contengono al loro interno delle scale specificatamente costruite per rilevare la malattia mentale finta come il Minnesota Multiphasic Personality Inventory - 2 (MMPI-2) ed il Personality Assessment Inventory (PAI). Il PAI

oltre alle scale cliniche utili per l’inquadramento diagnostico - prevede scale di controllo e altri indicatori di simulazione e malingering. - test costruiti per valutare la finta psicosi come la Structured Interview of Reported Symptoms (SIRS) e la Structured Interview of Reported Symptoms-2 (SIRS-2, in fase di adattamento e standardizzazione italiana Ciappi S., Pezzuolo S., Zago S., Hogrefe Editore) (Roger et al. 1992; Roger et al. 2010). - Test per la detezione di simulazione di deficit cognitivi (Morgan J.E., Sweet J.J.,2015): Rey’s 15 - Item Memory Test (RFMT), Rey’s World Recognition List (RWRL), Benton Visual Retention Test (BVRT), Scala Wechsler di Memoria; California Verbal Learning Test (CVLT),Warrington Recognition Memory Test (RMT), Symptom ValidityTest (SVT), Hiscock and Hiscock Test o Digit Memory Test, Portland Digit Recognition Test: Binder e Willis (1991), Amsterdam Short-Term Memory Test, b test, Dot Counting Test: questa prova viene usata per individuare la tendenza a simulare o aggravare difficoltà intellettive o specifici deficit visuo-percettivi, Test of Memory Malingering (TOMM).

Indicazioni bibliografiche American Psychiatric Association (2014). Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali. Quinta edizione. DSM-5. Milano: Raffaello Cortina Editore. Boone Kyle Brauer (2007). Assessment of faigned cognitive impairment. New York: The Guilford Press Drob S.L., Berger R.H. (1987). The determination of malingering: A comprehensive clinical-forensic approach. The Journal of Psychiatry and Law, 15, 519-538. Fornari U. (2013). Trattato di psichiatria forense. Milano: UTET giuridica Morgan J.E., Sweet J.J. (2015). Neuropsychology of Malingering Casebook. New York :Psychology Press Rogers R., Bagby R.M., & Dickens S.E. (1992). Structured Interview of Reported Symptoms (SIRS): Professional Manual. Odessa, FL: Psychological Assessment Resources. Rogers, R., Jackosn, R.L., Sewell, K.W., Harrison, K.S. (2004). An examination of the ECST-R as screen for feigned incompetency to stand trial. Psychological Assessment, 16, 213-223. Rogers R. (2008) Clinical Assessment of Malingering and Deception, Third Edition. New York: The Guilford Press Rogers R., Sewell K. W., & Gillard N. D. (2010). Structured Interview of Reported Symptoms (SIRS), 2nd Edition, Professional Manual. Lutz, FL: Psycho-

In conclusione, l’argomento trattato appare di particolare rilevanza in termini di onestà, in quanto la possibilità che un soggetto manifesti un quadro clinico che non abbia un’effettiva corrispondenza con la sua realtà psicologica, oppure presenti dei sintomi che non corrispondano alla sua esperienza sensoriale e cognitiva, è certamente più frequente di quanto il clinico ritenga di solito. Stime recenti hanno infatti evidenziato una consistente presenza di quadri clinici simulati in una percentuale che si colloca tra il 13 e il 21% (Rogers, et al. 2004; Vitacco et al., 2007). Questi dati devono inevitabilmente indirizzare il consulente verso la consapevolezza che il simulatore esiste e che pertanto il professionista, durante gli accertamenti peritali, si debba necessariamente munire degli strumenti psicodiagnostici necessari al fine di individuare questi ormai, non rari casi, di simulazione di malattia. ■

Giuseppe Cupello. Medico specialista in Psichiatria, Psicoterapeuta, Psichiatra forense. Socio della Soc. Italiana di Psicoterapia della Gestalt, già vice direttore di Ospedale Psichiatrico Giudiziario, già dirigente Az. USL Reggio Emilia; consulente tecnico e perito per i Tribunali, supervisore di equipe di lavoro (in ambito psichiatrico e di tossicodipendenze); esperienza ed interesse in diagnosi e terapia delle psicosi, disturbi dell’umore e disturbi d’ansia. Laura Muscatello. Laureata in Psicologia

Clinica presso l'Università degli studi di Padological Assessment va. Iscritta all’Albo degli Psicologi dell’Emilia Resources, Inc. (ad. Romagna n. 8167. Master in Psicopatologia e it.: a cura di S. Ciappi, Neuropsicologia Forense - UniPD. Psicologa S. Pezzuolo, S. Zago. e psicodiagnosta presso ANEMOS - Centro Firenze: Hogrefe Edidi Neuroscienze a Reggio Emilia. Membro tore, in press). dell’American Academy of Forensic Sciences Rogers R. (2012). (AAFS) dal 2013. Clinical Assessment of malingering and deception. New York: The Guilford Press Vallar G., Papagno C. (2011). Manuale di neuropsicologia. Bologna: Il Mulino Vitacco M.J., Rogers R., Gabel J. (2007). An evaluation of malingering screens with competency to stand trial patients: A known groups comparison. Law and Human Behavior, 31, 249-260. Volterra V. (2010). Psichiatria forense, criminologia ed etica psichiatrica. Milano: Masson Zago S., Sartori G., Scarlato G. (2004). Malingering and retrograde amnesia: the historic case of the Collegno amnesic, Cortex, 40(3):519-32.

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Economia

Società

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economia e corruzione

Costi, cause e fattori: un'analisi della corruzione di Lapo Berti

App 3 parole chiave. Corruzione, Italia, economia, politica, società.

Abstract. L'articolo indaga la parte economica della corruzione. Il fenomeno corruttivo risulta complicato da quantificare da un punto di vista economico in quanto non viene mostrato pubblicamente. Ne deriva che dati e informazioni sfuggono ad analisi che permettano di fornire cifre sull’entità della corruzione all’interno di un paese.

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ercezione della corruzione in Italia. La corruzione è un problema molto complesso ed articolato, che chiama in causa tutti gli aspetti della società in cui viviamo: politico, economico, sociale e morale. Per questo stesso motivo è difficile, per una persona sola, darne una visione completa, comprensiva di tutti gli aspetti e le problematiche coinvolte. Io mi occuperò della parte economica ed anche sotto questo punto di vista il compito è complesso, vista la quantità di fattori di cui tener conto. Comincio tentando di dare una dimensione al fenomeno della corruzione, naturalmente riferendomi

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al sistema Italia. La corruzione esiste da sempre ed è presente in tutto il mondo, ma nelle diverse fasi storiche e nei diversi paesi assume connotati differenti ed anche l’Italia presenta alcune caratteristiche distintive che cercherò di illustrare meglio più avanti. Un primo dato che si può fornire è quello dato da un organismo internazionale (non a scopi di lucro) che promuove azioni contro la corruzione e iniziative volte alla sensibilizzazione verso tale tema: Transparency International. Tale organo pubblica ogni anno una relazione sull’andamento del fenomeno corruttivo nel mondo, basandosi su di un indice elaborato dall’organiz-

zazione stessa. Viene anche stilata una classifica dei paesi a seconda del grado di corruzione che li caratterizza. Occorre precisare che l'indice si riferisce alla percezione della corruzione; si tratta, quindi, di un indice soggettivo. L’Italia in questa classifica, per quanto riguarda il 2015, occupava il 61esimo posto rispetto ai 170 paesi circa che compongono la lista (tale posizione risulta migliorata, seppur di poco, rispetto agli anni precedenti). Per dare un senso più pregnante a questo dato è necessario tenere presente che quasi tutti i paesi europei si posizionano tra i primi 20 posti nella classifica e in testa troviamo paesi del nord Europa come Dani-


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marca, Finlandia, Svezia. Dei paesi europei che seguono dopo l’Italia si trova solo la Bulgaria e subito prima abbiamo Grecia e Romania. La corruzione del punto di vista economico. Il fenomeno corruttivo risulta complicato da circoscrivere e da quantificare da un punto di vista economico in quanto, per sua stessa definizione, non è cosa che viene fatta “alla luce del giorno”. Ne deriva che dati e informazioni sfuggono ad analisi che permettano di fornire cifre sull’entità della corruzione all’interno di un paese. Una valutazione sulle problematiche statistiche di lettura della corruzione è stata elaborata recentemente dal

dott. Picci, in collaborazione con vari istituti internazionali (si tratta di una elaborazione e quindi soggetta a notevoli rischi di errore). Tale valutazione mostra che, se in Italia ci fosse lo stesso grado di corruzione presente in Germania, il reddito medio aumenterebbe di diecimila euro (attualmente il R.M. è di 26.000 euro). Se questa analisi fosse corretta, anche solo parzialmente, lo scenario economico italiano cambierebbe sostanzialmente: vorrebbe dire che il divario che separa l'Italia dalla Germania sul piano economico non sarebbe dovuto, come generalmente si ritiene, al differenziale di produttività, ma vi giocherebbero un ruolo decisivo

anche le dimensioni del fenomeno della corruzione. Un altro dato da prendere in considerazione, per avere una dimensione quantitativa del fenomeno, è la valutazione fatta pochi anni fa dalla Corte dei Conti, che ha stimato in circa 60miliardi il costo che la corruzione per l'Italia. Trasparency International definisce la corruzione come “l’abuso di potere delegato a fini di guadagno privato”. Definiamo con il termine corruzione tutti gli atti di cui si rende responsabile un soggetto investito di un qualche potere pubblico che utilizza lo stesso a vantaggio proprio o di terzi. Trasparency distingue, inoltre, tre gradi di intensità della corruzio- ◄

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Economia

Società

◄ ne. La corruzione può essere

classificata come grande, futile e politica. - La grande corruzione consiste in atti commessi a livelli di governo elevati, i quali distorcono le politiche o il funzionamento centrale dello stato, consentendo ai leader di godere di benefici a spese del bene pubblico. - La corruzione futile si riferisce all’abuso quotidiano di un potere delegato da parte di funzionari pubblici di basso e medio livello nella loro interazione con i cittadini comuni, i quali spesso stanno tentando di accedere a beni o servizi elementari in posti come gli ospedali, le scuole, i dipartimenti di polizia e altre agenzie. - La corruzione politica è una manipolazione delle politiche, delle istituzioni e delle norme di procedura nell’allocazione delle risorse e dei finanziamenti da parte di decisori politici che abusano della loro posizione per sostenere il loro potere, il loro status e la loro ricchezza. In maniera ancora più sintetica, si può definire la corruzione come quell’insieme di atti e di comportamenti che hanno come scopo o come effetto quello di distorcere la distribuzione di risorse rispetto alle regole pubbliche, giuridiche o economico-sociali, che la giustificano, al fine di ottenere vantaggi (economici) privati. Il presupposto è che si incontrino due persone che detengono risorse scambiabili e sono disposte a scambiarle, in violazione delle leggi, per ottenere vantaggi privati, di natura pecuniaria o altra. Per riassumere e fissare un primo punto di carattere generale sulla corruzione e sulle sue conseguenze economiche, possiamo dire che essa ha come effetto quello di distogliere e reindirizzare l’allocazione delle risorse economiche e finanziarie, rendendo il sistema inefficiente ed inefficace a causa dei costi generati dal fenomeno e dell'assenza di controlli che lo accompagna. La corruzione pesa negativamente sull'efficienza complessiva del sistema economico e riduce, quindi, il benessere collettivo che esso sarebbe in grado di generare. La corruzione è un fenomeno dalle forti implicazioni

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economiche e sociali nonché, ovviamente, politiche. Costi della corruzione. Tutti comprendono che la corruzione finisce col pesare sulla spesa pubblica. Senza dilungarsi troppo, un esempio può essere dato dal confronto tra le spese in infrastrutture ferroviarie in Italia e in Francia. Nel caso italiano, un chilometro di ferrovia costa il doppio che in Francia. E gli esempi si potrebbero agevolmente moltiplicare. L’enorme debito pubblico, responsabile del freno all’evoluzione economica italiana, nasconde al suo interno anche gli effetti di atti corruttivi passati e presenti. I costi della corruzione, anche se difficili da quantificare, sono indubbiamente rilevanti. Costi diretti. Il più semplice da capire è quello che deriva dal fatto che una determinata opera pubblica viene a costare di più a causa della corruzione e delle tangenti pagate. Costi indiretti - Invece che impegnarsi ad accrescere la produttività mediante investimenti in innovazione, le imprese si dedicano a ottenere favori normativi e finanziari dai politici e dai funzionari pubblici con il pagamento di mazzette. - Per i funzionari pubblici sussiste un interesse a mantenere le inefficienze della pubblica amministrazione perché questo crea lo spazio affinché le imprese che operano con la pubblica amministrazione siano spinte al pagamento di mazzette per superarle, ottenendo corsie preferenziali, accorciamento dei tempi per l’esecuzione di una pratica e così via. - I funzionari pubblici si oppongono alle innovazioni e alla semplificazione legislativa perché questo limiterebbe il loro ruolo e prosciugherebbe la fonte dei versamenti illeciti. - La corruzione percepita mina la credibilità delle istituzioni e la fiducia dei cittadini, i quali, a loro volta, possono lasciarsi indurre, più facilmente, ad avvantaggiarsi di pratiche correttive anche a livelli minimali, concorrendo all’accettazione sociale della corruzione.

Cause della corruzione. Esistono vari fattori che sono causa della corruzione. Nonostante sia problematico dire con precisione da cosa essa è determinata, si possono individuare alcune condizioni che ne favoriscono ed aumentano le probabilità. 1. La presenza di norme giuridiche fragili ed una loro applicazione non sempre puntuale o inefficace. Da ciò consegue una convenienza del non rispetto delle regole dovuta alla mancanza del deterrente. 2. Un fattore concomitante, molto importante perché strutturale, è dato dalla mancanza di senso civico (fatto diffuso in Italia anche storicamente). Ciò comporta un basso interesse per ciò che è il bene pubblico rispetto a quello privato. Negli anni ‘50 un sociologo americano studiò un paese dell’Italia meridionale arrivando a coniare il termine “familismo amorale”, che si riferiva alla rilevazione della presenza di un atteggiamento privilegiante l’interesse della famiglia, delle relazioni familiari e tra le famiglie stesse rispetto al bene pubblico. L’assenza di un movente alla tutela dell’interesse pubblico non può essere considerata una causa della corruzione, ma certamente un fattore facilitante. 3. Più sullo sfondo troviamo un altro


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Figura 4.1 - Cosa si intende per corruzione? Corruzione è quell’insieme di atti e di comportamenti che hanno come scopo o come effetto quello di distorcere la distribuzione di risorse rispetto alle regole pubbliche, giuridiche o economico-sociali, che la giustificano, al fine di ottenere vantaggi privati.

elemento, cioè una certa assuefazione all’illegalità. Tale elemento parte dal basso, dal non rispetto di una fila allo sportello alla ricerca di una “raccomandazione” per l’ottenimento di qualcosa, spesso per ottenere un posto di lavoro. Si tratta di situazioni di piccola illegalità accettate di fatto, non esposte a una censura sociale abbastanza severa. Spesso c'è la strizzatina d'occhi di semi-approvazione, la connivenza. Questa accettazione diffusa dell'illegalità spicciola costituisce il brodo di coltura dove cresce e si sviluppa la corruzione. L'intero sistema finisce per esserne permeato. Nuovamente si denota una mancanza di senso civico, che è all'origine del degrado sociale, dello scadimento della vita collettiva, che caratterizza il nostro paese. Ne discende una conclusione che vorrei sottolineare con forza: trattandosi prima di tutto di un fenomeno sociale, nessuno di noi è tenuto a pensare che la corruzione non lo riguardi in quanto aderiamo a questo sistema collusivo. Essa è un indice della qualità della vita sociale, della capacità che una società ha di funzionare nel rispetto delle regole e delle leggi che si è data. Analisi della corruzione. Oggi viviamo un’epoca nella quale la corru-

zione è aumentata. È aumentata nella percezione che ne abbiamo come collettività. Ma sono anche aumentati oggettivamente gli episodi di corruzione sia a livello internazionale che a livello nazionale. Per una prospettiva di analisi della corruzione che guardi più lontano sono da tenere presenti due importanti dimensioni. Una di queste riguarda specificatamente la storia italiana, in quanto le basi del sistema corruttivo italiano hanno a che vedere con la stessa formazione del sistema economico italiano alla nascita del nostro paese, con l’industrializzazione e l’affermazione di un sistema capitalistico, denotato da caratteristiche specifiche. L’Italia è arrivata a questo stadio evolutivo con una scarsità di capitale, una sorta di “capitalismo privo di capitale” dove lo stato si è fatto finanziatore del sistema industriale insieme alle banche. Ciò ha creato un intreccio tra lo stato, detentore dei capitali, le imprese richiedenti lo stesso ed il sistema bancario, che funge da intermediario. Questo incrocio ha posto le basi sulle quali è cresciuta la grande corruzione economica e politica. Gli americani definiscono questo sistema come “crony capitalism”, capitalismo clientelare, cioè un capitalismo che non punta a confrontarsi con i con-

correnti sul mercato, ma punta all’acquisizione di favoritismi e di finanziamenti, di norme mirate, di privilegi in concessione. Un capitalismo che vive di relazioni con lo stato e con la politica, piuttosto che di competizione sui mercati. Qui mi pare doveroso accennare all’antitrust, l'istituzione in cui ho lavorato per quasi un ventennio. Si tratta di un organo deputato ad applicare una legge che dovrebbe garantire la trasparenza del mercato e impedire la formazione di monopoli e cartelli. L’Italia è stata l’ultimo paese europeo a dotarsi di un tale sistema di controllo e tutela, nel 1990, esattamente un secolo dopo che l'avevano fatto gli USA e un buon trentennio dopo che l'avevano fatto tutti i maggiori paesi europei. Tale legge è stata alla fine varata per le pressioni dell'Unione europea, che ci chiedeva di eliminare questa ennesima anomalia. È il caso di ricordare che tale legge fu approvata con tutto il mondo imprenditoriale italiano, quello della grande industria, più o meno manifestamente contrario. Questa circostanza può aiutarci a capire il 61esimo posto nella classifica mondiale della corruzione citata all’inizio. Ancora oggi molta parte delle imprese italiane fonda la sua esistenza, e i suoi profitti, su di un rapporto privilegiato con lo stato e con la politica. Un altro elemento forte di cambiamento che ha inciso sulla dimensione corruttiva (non solo nel nostro paese) è l’evoluzione che abbiamo vissuto nell’ultimo trentennio. Si tratta quasi di un cambiamento antropologico, che si sostanzia in una esplosione dell’individualismo, soprattutto in campo economico, e nella svaluta-

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Economia

Società

zione di tutte le componenti cooperative positive, valorizzando la figura dell’individuo e spingendone al massimo le capacità personali. Questo è avvenuto all’interno di un contesto dove la società occidentale ha finito con l’affidare al mercato la gestione di tutte le attività, imponendo una trasformazione degli obiettivi di vita e di lavoro e rendendo tutto ottenibile tramite moneta. In tale situazione la ricerca della felicità è identificata nel conseguimento della ricchezza, finendo in un “mondo machiavellico” dove il fine giustifica i mezzi, dove la posizione conquistata da un individuo oscura i metodi utilizzati per arrivare alla stessa, anche se illegali o non eticamente accettabili. Questa è una delle nuove radici pesanti e persistenti della corruzione. Politiche dell'onestà. “Le politiche dell’onestà” è una definizione molto impegnativa. Io preferisco provare a rispondere ad una domanda di livello un pochino più basso: “è possibile fare qualcosa contro la corruzione?”. Sì, certo che si può fare, ma è necessario capire che non è facile farlo. Come detto inizialmente, uno degli elementi facilitanti la corruzione risiede nell’ambito normativo. Quindi è possibile creare norme migliori e/o migliorarne l’applicazione. È possibile creare strumenti atti a meglio sorvegliare il mondo economico, al fine di evitare che vengano posti in essere atti corruttivi. Ad esempio, in Italia è stata recentemente costituita una autorità che si occupa del controllo dell’andamento degli appalti pubblici. Questo è già un notevole passo avanti, in quanto la trasparenza è, per definizione, uno degli strumenti adatti al combattere la corruzione. Oggigiorno, tale trasparenza nei processi di scambio economico che vedono implicati politici ed amministratori pubblici, è possibile tramite la rete. È necessaria una spinta verso la trasparenza non come fatto eccezionale ed episodico, ma come sistema. Le nuove tecnologie e la capacità di immagazzinare dati sono strumenti di aiuto fondamentali, in quanto danno la possibilità di controllare ed effet-

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tuare in diretta il monitoraggio di ciò che avviene nel mondo delle relazioni economiche tra settore pubblico e settore privato e di rilevare tempestivamente possibili anomalie. Per attuare tutto questo sono necessarie la volontà politica di fare e la strumentazione amministrativa per realizzare, ma spesso la struttura collusiva del potere respinge queste cose. Il settore pubblico tende a rifiutare qualsiasi forma di trasparenza imposta, come la semplificazione normativa, in quanto è vissuta come un'azione che limita il suo potere discrezionale di assegnare risorse (creando possibilità di corruzione). Ricordiamo che la corruzione ha radici nella nostra mentalità, quindi è necessario modificare anche questa, costruendo quel senso civico che oggi scarseggia. Qui è fondamentale e decisivo il ruolo della scuola, in quanto è a partire da essa che si possono far circolare tempestivamente nelle persone quei concetti e quel modo di concepire e appartenere alla società che sono elementi idonei a contrastare il dilagare della corruzione. Un ruolo importante in questa ottica educativa e nel far maturare una cultura sociale è affidato ai media. In particolare la televisione pubblica dovrebbe farsi carico di iniziative culturali, a vari livelli, atte a diffondere fra gli spettatori i valori sociali dell'onestà, della trasparenza, della solidarietà, del rispetto delle persone e della cosa pubblica. Infine, non posso chiudere senza ricordare un altro elemento necessario per un deciso cambio di passo nella lotta alla corruzione: puntare al ricambio della classe dirigente, sia politica che economica, perché essa è in gran parte corresponsabile, se non causa, del dilagare della corruzione. Se la corruzione si è ormai estesa all'intero sistema sociale, se coinvolge tanti cittadini, questo è perché, per troppo tempo, una classe dirigente politica ed economica ha potuto farvi ricorso impunemente. Una nuova classe dirigente, impegnata a portare l'Italia fuori dalla crisi di sistema che ormai l'attanaglia da decenni e che non troverà rimedio in politiche di breve respiro, è l'unica speranza che possiamo coltivare e un

obiettivo in cui sarebbe importante che tutti ci impegnassimo. Vorrei concludere con una citazione, che ci riporta a un periodo di grandi speranze e aspettative, quando si pensava di poter rigenerare un intero paese, alle parole di un giovane che si avviava a morire e rifletteva sul futuro che ci aspettava: “Dobbiamo rifare noi stessi” (Giacomo Ulivi, nell'immagine in alto, partigiano, fucilato, per rappresaglia, sulla Piazza del Duomo di Modena il 10 Novembre 1944 da un plotone della Guardia Nazionale Repubblicana. Aveva 19 anni). ■

Lapo Berti. Economista e filosofo, ha collaborato tra gli anni Sessanta e Settanta con diversi progetti editoriali e con riviste e gruppi di ricerca e riflessione militante. È diventato poi dirigente presso l'Autorità garante della concorrenza e del mercato, nonochè docente di Politica economica e finanziaria. Si è occupato di problemi di teoria monetaria, di storia del pensiero economico e di politica economica. È autore di diversi libri (tra i più recenti L'Antieuropa delle monete, Saldi di fine secolo, Il mercato oltre le ideologie, le stagioni dell'antitrust, Trattatello sulla felicità) e scrive regolarmente su diversi blog.


APPROFONDIMENTI ♦ filosofia del diritto

Anemos neuroscienze

Onestà e Corruzione il caso Italiano di Leonardo Teggi

S

ignificato di onestà. Onestà è un termine sublime, che racchiude o perlomeno riporta al pensiero contenuti e significati di grande valore. È molto difficile definire e chiarire tutti i significati che questa semplice parola denota, tuttavia si può sostenere, in linea generale, che l’uso del termine onestà rimanda inequivocabilmente a un’area concettuale in cui emerge una specifica attitudine di carattere morale e sociale improntata e finalizzata a un comportamento virtuoso, accompagnato da una forma più o meno accentuata di decoro, dignità e soprattutto responsabilità. Dunque può essere considerata onesta una persona, una determinata cerchia di pratiche sociali ed interazioni tra persone, o ancora una collettività e i costumi che la caratterizzano. Il concetto di Onestà richiama anche a un principio etico generale, il quale tendenzialmente viene accettato in linea teorica da chiunque*, dal momento che è alquanto raro (se non addirittura impossibile) trovarsi dinnanzi a un soggetto che esplicitamente si conforma a un principio contrario a quello summenzionato. Inoltre, l’onestà, intesa appunto come principio, possiede anche una sua specifica declinazione in senso giuridico, facilmente riscontrabile fin dalle origini del diritto romano. Infatti, nel II sec. d.c., Eneo Domizio Ulpiano, che fu uno dei giuristi più rilevanti

della Roma imperiale, nelle sue Regulae esplicitamente diceva: "Iustitia est constans et perpetua voluntas ius suum cuique tribuendi. Iuris praecepta sunt haec: honeste vivere, alterum non laedere, suum cuique tribuere." ("La giustizia consiste nella costante e perpetua volontà di attribuire a ciascuno il suo diritto. Le regole del diritto sono queste: vivere onestamente, non recare danno ad altri, attribuire a ciascuno il suo"). Chiaramente non è possibile in questa sede commentare in maniera adeguata la frase del giurista, ma nonostante ciò si può brevemente evidenziare che per Ulpiano la giustizia dipenda da una volontà precisamente umana, pertanto non cade dall’alto a guisa di una volontà divina. Essa è ancorata, strictu senso, alla garanzia, che ogni cittadino deve avere, di esercitare liberamente le proprie pretese soggettive legittime. A questo proposito le regole essenziali che prescrivono i modi e tempi di esternazione dei propri diritti all’interno di una determinata collettività comprendono anche l’altisonante “honeste vivere” come peculiarità etico-morale presupposta nei singoli individui, soggetti all’ordinamento giuridico. Ovviamente nessuno dispone di mezzi adeguati per misurare il grado di onestà di una società e forse ciò non dovrebbe nemmeno essere auspicabile, la stessa intenzione potrebbe essere tranquillamente, e non senza ragione, ritenuta risibile. In ogni caso, ciò che si

può riscontrare in maniera evidente è la regolarità con cui determinati fenomeni accadono, andando a costituire nel profondo il tessuto etico-morale e i costumi di una collettività, nonché la stessa diffusa mentalità dominante. Ad esempio il problema della corruzione in Italia, della sua diffusione e pervasività, nonché il modo in cui si è scelto giuridicamente di affrontarlo e di combatterlo, possono fornirci spunti di riflessione interessanti e di notevole portata per valutare il grado e la misura dell’onestà (in un senso molto generale, ma allo stesso tempo intuitivo, del termine) all’interno della società civile italiana. Normativa italiana. Transparency International ha presentato il suo Corruption Preceptions Index nel 2015 annoverando il nostro paese al sessantunesimo posto nella classifica mondiale circa la tematica della corruzione. A livello europeo gli stessi dati collocano l’Italia al penultimo posto, appena sopra alla Grecia. Inoltre, sono noti a tutti gli scandali che emergono di continuo, quasi senza sosta, all’interno delle istituzioni dell’intera Repubblica. Basti pensare alla stessa Roma, ormai in balia di forze e poteri talmente devianti, disfunzionali e dannosi che la corruzione nella città appare come normalità, o perlomeno non si sbaglierebbe a pensare che proprio la corruzione (piccola o grande che sia) risulti essere la struttura ◄

* Nonostante un sistema di norme sia, in termini etici, del tutto relativo al tempo e al contesto che lo ha adottato, la percezione individuale e sociale è tendenzialmente quella di accetare come "naturale" alcuni fatti comportamentali ritenuti come "buoni" e "giusti". Se poi questa percezione sia innata o culturalmente acquisita, è questione dibattuta in questo numero. (ndr).

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APPROFONDIMENTI ♦ filosofia del diritto ◄ (dis)portante della Capitale. Que-

sto è solo uno dei tanti casi che si possono citare e la lista potrebbe continuare, tuttavia qui non interessa ripercorrere e descrivere gli eventi di corruzione più rilevanti degli ultimi tempi. Ciò che mi preme è mostrare invece un aspetto giuridico, probabilmente sconosciuto ai più, circa il modo con cui l’ordinamento appunto ha tentato di affrontare il fenomeno della corruzione. Nel codice penale italiano il reato di corruzione non è una fattispecie singola, ma si articola in diverse disposizioni normative specifiche che hanno ad oggetto aspetti altrettanti specifici riguardanti il fenomeno corruttivo declinato nelle sue dinamiche concrete (corruzione in atti giudiziari, istigazione alla corruzione, induzione indebita a dare o promettere utilità, ecc). Il dato comune a tutti i reati di corruzione consiste nel fatto che “il mercimonio dei doveri inerenti alla pubblica funzione o al pubblico servizio […] viene a compromettere il buon andamento e l’imparzialità della pubblica amministrazione”, pertanto a seconda di come avvenga lo “scambio illecito” dei doveri in capo ai pubblici ufficiali e agli incaricati di pubblico servizio si configureranno ipotesi distinte di corruzione. L’articolo 319 del codice penale intitolato “Corruzione per atto contra-

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rio ai doveri d’ufficio” recita al primo comma (l’unico che qui interessa): “Il pubblico ufficiale, che, per omettere o ritardare o per aver omesso o ritardato un atto del suo ufficio, ovvero per compiere o per aver compiuto un atto contrario ai doveri di ufficio, riceve, per sé o per un terzo, denaro od altra utilità, o ne accetta la promessa, è punito con la reclusione da sei a dieci anni.” In questa sede non è possibile commentare il comma appena citato cercando di render conto della immane complessità che caratterizza le “azioni” e le “prescrizioni” che vi si trovano descritte. Ciò che qui rileva è solo il “senso generico” e “intuitivo” a cui l’articolo allude. Infatti da esso si comprende nitidamente che la base inequivocabile di un, seppur anche minimo, fenomeno corruttivo consiste nel porre in essere o nell’astenersi dal compiere da parte di un pubblico ufficiale (cioè di un soggetto facente parte della pubblica amministrazione italiana) un “atto” che viene classificato come contrario ai doveri d'ufficio, ovvero a leggi, regolamenti, istruzioni o ordini legittimamente impartiti. Pertanto viene ricompreso ogni atto che viola tanto i doveri generici di fedeltà, correttezza ed onestà quanto quelli specificatamente relativi alla trattazione di un determinato affare. Schematicamente è dunque questo il tipo di “attività” che viene annoverato dal

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senso comune al concetto generale di corruzione. Un soggetto investito da un ufficio pubblico pone in essere volontariamente comportamenti che contraddicono determinate norme vincolanti a fronte di un vantaggio strettamente personale che può avere varia natura come, ad esempio, una dazione di denaro oppure una prestazione che conferisca un qualche tipo di utilità indebita al soggetto in questione. Questa disposizione normativa risulta probabilmente abbastanza chiara e lampante, tant’è che rappresenta giuridicamente l’ipotesi più classica di contrasto alla corruzione sostanzialmente in tutti i paesi liberal-democratici occidentali. Legge anti-corruzione. Ma il Legislatore italiano ha giustamente reputato insufficiente la normativa vigente per sanzionare un fatto così complesso come quello della corruzione. A questo proposito la riforma legislativa attuata con la L. 190/2012 (cosiddetta legge anti-corruzione) ha modificato alcuni articoli in maniera marcata e decisamente rilevante, affinché si potessero adeguare le norme al concreto dilagare senza tregua della stessa corruzione all’interno delle istituzioni e della società civile italiana (inoltre la corruzione tra privati è un altro fenomeno altamente dannoso e potente-


Anemos neuroscienze

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mente diffuso, di cui però non si può trattare in questa sede). L’articolo 318 del codice penale, prima della riforma intitolato “corruzione per un atto d’ufficio”, è una delle più importanti novità tra le modifiche apportate dal legislatore. Il titolo, tutt’ora vigente, è “corruzione per l’esercizio della funzione” e l’articolo in questione recita: “Il pubblico ufficiale che, per l'esercizio delle sue funzioni o dei suoi poteri, indebitamente riceve, per sè o per un terzo, denaro o altra utilità o ne accetta la promessa è punito con la reclusione da uno a sei anni.” Alla luce di quanto prescritto nel testo normativa appena citato, risulta evidente che il legislatore italiano ha scelto di contrastare il fenomeno corruttivo non solo sanzionando un soggetto che produce atti contrari ai doveri del suo ufficio per ottenere un vantaggio personale, ma anche configurando normativamente l’ipotesi, data la sua pesante diffusione nella realtà sociale e istituzionale, in cui un pubblico ufficiale compia esattamente ciò che il suo ufficio gli impone di fare e che i poteri ad esso attribuiti gli concedono, a fronte di una indebita ricezione di una qualche utilità. Quel che rileva quindi è che “la ricezione della dazione o l’accettazione della promessa (riguardante il vantaggio-utilità), sono collegate in via esclusiva all’espletamento delle sue funzioni o dei suoi poteri, senza che rilevi qualsivoglia loro direzione verso il compimento di un determinato atto e, a maggior ragione, il fatto che questo possa essere secundum o contra ius.” In breve e sempre molto schematicamente, ciò che si vuole contrastare è dunque il fatto in cui il pubblico ufficiale non esercita la propria funzione prevista giuridicamente e lecitamente dal suo ufficio e permessa dai suoi stessi poteri se non a fronte di una ricezione, a lui personalmente vantaggiosa, di denaro o altra utilità la quale non può che considerarsi illecita e antigiuridica. Questa paradossale, ma al contempo essenziale, previsione normativa dimostra come il fenomeno della corruzione sia profondamente pervasivo e strutturale. In breve, ci fornisce un elemento, di carattere giuridico, chia-

ro e distinto che permette di guardare il fenomeno della corruzione in Italia come un “male radicale” del paese, difficilmente estirpabile e affrontabile da un punto di vista esclusivamente etico-morale e di costume. Il diritto, infatti, è uno dei tanti strumenti di cui si dispone per tentare di modificare determinate pratiche collettive, indirizzandole altrove o sopprimendole direttamente attraverso l’uso di sanzioni anche molto pesanti, ponendosi come scopo appunto quello di dare una forma al corpo sociale al fine di rendere agevole ed efficace l’esercizio dei diritti attribuiti alla cittadinanza. Honeste vivere. Tuttavia lo strumento giuridico, e in particolare il diritto penale (che dovrebbe funzionare sempre come extrema ratio all’interno dell’economia di un ordinamento), non può senza snaturare se stesso, funzionare come il solo fattore di innovazione e cambiamento. Ci sono numerosi aspetti della vita sociale e individuale in cui una regolamentazione normativa chiara ed efficiente può comunque risultare insufficiente nei suoi risultati pratici, dal momento che il diritto non nasce quasi mai per cambiare una società o parti di essa ma nel migliore dei casi può produrre solo mutamenti parziali e contingenti. Si era parlato all’inizio di onestà per mostrare come questa parola contenga in sé un valore altamente rilevante per tenere insieme una specifica compagine sociale e far in modo che all’interno di essa possa funzionare un ordinamento giuridico finalizzato a garantire certamente i diritti di ognuno. Nella citazione di Ulpiano si nota come la Giustizia, fra gli uomini, non possa darsi che attraverso lo stesso diritto il quale è caratterizzato da quelle tre Regulae di base che fungono da presupposto perché diritto e giustizia si possano considerare in atto. Forse non è un caso che “non danneggiare nessuno” e “attribuire a ciascuno il suo” compaiano subito dopo quell’honeste vivere. Forse tra queste tre massime, così generali ma anche così auliche e autorevoli, intercorre un rapporto “gerarchico”, in cui l’onestà del e nel vivere è da conside-

rarsi un presupposto per le altre due regole ed infine anche affinché possa darsi almeno in parte, all’interno del corpo sociale e politico, un qualche barlume o parvenza di Giustizia. Ma oggi in Italia, quell’honeste vivere sembra più un obiettivo che necessita di essere realizzato o un ideale che deve trovare le sue fondamenta, per fare ciò il solo diritto non è affatto bastevole. Ciò che è necessario è un radicale mutamento di mentalità e di stile di vita della cittadinanza, che il diritto (e quello penale in particolare) può al massimo solo limitarsi a rafforzare cercando di alimentarlo. Fintanto che non muteranno i costumi e fintanto che la coscienza (sociale e individuale) dei singoli soggetti rimarrà offuscata unicamente dalla cecità dei propri interessi strettamente personali o famigliari (spesso anche esplicitamente contra ius), la parola Giustizia continuerà a rimanere puro “Flatus Vocis”, se non addirittura rumore assordante. ■ Bibliografia AA.VV. Diritto penale Lineamenti di parte speciale Sesta edizione, Monduzzi Editoriale, Milano, 2014 Codice Penale, a cura di Marino Raffaele-Petrucci Rossana Edizioni giuridiche Simone, Napoli, 2013 Ulpiano Eneo Domizio, Liber singularis regularum, Tituli ex corpore Ulpiani, edizioni giuridiche Simone online

Leonardo Teggi. Studente iscritto al quinto anno del corso di laurea in Giurisprudenza presso l'Università di Bologna. Si interessa di filosofia e storia del diritto, nonchè delle interazioni tra gli aspetti giuridici relativi alla persona, all'identità personale e la loro rilevanza rispetto alle moderne scoperte neuroscientifiche. Inoltre si è occupato di carcere, delle strutture rieducative in generale e del loro impatto sociale e psicologico sui detenuti.

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Giurisprudenza

Società

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Politiche di onestà

in tempi di corruzione Come creare una società ispirata ai valori dell'onestà

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Anemos neuroscienze

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di Vittorio Borraccetti

In 2 parole chiave. Onestà, corruzione, politica, società.

Abstract. La vita politica ed istituzionale del nostro paese è pervasa purtroppo da anni dalla corruzione. Quando si parla di “Politiche dell’onestà in tempi di corruzione” significa da una parte avere presente il contesto attuale e fare i conti con la diffusione endemica della corruzione nella nostra società, dall’altra individuare le risposte necessarie per costruire una società fondata sui valori dell'onestà.

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orruzione. Ragionare di onestà ai tempi della corruzione, significa da una parte fare i conti con la diffusione endemica della corruzione nella nostra società, dall’altra individuare le modalità della necessaria reazione per creare una società ispirata ai valori dell’onestà. La corruzione pervade da anni la vita politica ed istituzionale del nostro paese. È altresì vero che da anni viene contrastata dalle azioni della magistratura e delle forze di polizia giudiziaria, con risultati positivi incontestabili. La stagione di mani pulite, espressione con cui si indicano appunto i molti processi per corruzione degli anni ’90, appartiene alla storia recente del nostro paese. L’azione della magistratura di contrasto alla corruzione è stata possibile anche per la condizione di indipendenza, rispetto agli altri poteri, riconosciuta dalla Costituzione al potere giudiziario. Tale indipendenza non è da tutti vista di buon occhio ed è stata spesso oggetto di attacchi e di tentativi di limitazione. Ma l’indipendenza della magistratura è la condizione di base affinché la corruzione, così come gli altri reati, vengano perseguiti. Così come è la condizione base per la tutela della libertà e dei diritti di ciascuno di noi. Oltre 20 anni dopo la stagione di mani pulite e nonostante le molte inchieste giudiziarie, siamo purtroppo ancora,

nel 2016, alle prese con il fenomeno corruttivo nella vita pubblica, come la cronaca di tutti i giorni ci racconta. Cos’è la corruzione? Innanzitutto, con riferimento alla vita pubblica, politica e istituzionale, possiamo definire la corruzione come l’uso della funzione o del servizio pubblico per trarne vantaggio o più in generale per perseguire interessi privati. È la distorsione della funzione o del servizio pubblico di cui taluno è titolare a fini di vantaggio proprio o di terzi (esempio: favorire nell’assegnazione di un appalto un imprenditore amico ovvero che paga una tangente, o pretendere una ricompensa per il rilascio di un permesso o di un'autorizzazione). Funzione e servizio pubblico attribuiti nell'interesse generale di tutta la collettività vengono così piegati al perseguimento di vantaggi particolari del suo titolare o di suoi amici o sodali. Quando si parla di corruzione si prendono di mira (giustamente) politici e funzionari pubblici corrotti, ma non si deve dimenticare che la corruzione è un reato a concorso necessario. Se vi sono i corrotti è perché ci sono i corruttori. I primi appartengono spesso alla politica e alle cosiddette caste, ma i secondi provengono dalla cosiddetta società civile (spesso dal mondo imprenditoriale). Se esiste purtroppo una disponibilità ad essere corrotti tra i politici e i funzionari pubblici, è anche vero che esiste una propensione

ad usare la corruzione per sottrarsi all'osservanza delle regole da parte di chi appartiene a quella che si definisce società civile. La corruzione, inoltre, è fenomeno che tocca anche i rapporti privati, nel settore dell’economia soprattutto. Essa si verifica tutte le volte che si utilizzano posizioni di potere per conseguire vantaggi personali come prezzo per alterare il funzionamento corretto dei meccanismi di mercato, per esempio, anche in questo caso, nel campo degli appalti e delle forniture alle imprese. In senso più generale si possono far rientrare nella corruzione quei comportamenti, legati a situazioni diverse della vita quotidiana, con i quali si persegue un risultato nel proprio interesse, in violazione delle leggi. Per esempio quando si tratta di accedere ai servizi di una pubblica amministrazione per ottenere un'autorizzazione o anche un semplice documento e si offre una ricompensa ad un funzionario anche solo per affrettare i tempi del rilascio. Oppure per evitare una sanzione seguita ad un'infrazione commessa. Ma vicini alla corruzione vi sono comportamenti non legali che possano incontrarsi con essa e che comunque costituiscono un terreno favorevole alla sua diffusione. Dobbiamo constatare purtroppo che nella nostra società è frequente la propensione a violare le leggi per tornaconto ◄

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Giurisprudenza

Società

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Figura 6.1 - Per creare una "politica dell'onestà" non solo le istituzioni devono fare la loro parte, ma anche i singoli cittadini. Per questo è essenziale rispettare le regole e non cercare di aggirarle quando non sono utili al nostro tornaconto personale. ◄ personale. Pensiamo al fenomeno

dell’evasione fiscale, strettamente legata a fenomeni corruttivi in quanto consente agli imprenditori di costituire fondi neri finalizzati all’impiego nella corruzione vera e propria. E all’abusivismo edilizio molto diffuso in alcune zone del territorio nazionale, con gravi danni all’ambiente al paesaggio. Pensiamo a fatti come la truffa agli enti previdenziali (i falsi invalidi), la truffa alle compagnie di assicurazione (i falsi incidenti stradali), i falsi nella certificazione degli orari di lavoro da parte di dipendenti pubblici.

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Violazione delle regole per tornaconto personale. Questi fatti costituiscono veri e propri reati. Ma sullo sfondo vi è un più generale atteggiamento di propensione alla violazione delle regole per tornaconto personale, che possiamo riscontrare nella frequente violazione delle regole della circolazione stradale o nel mancato pagamento del biglietto sui mezzi di trasporto pubblici. E nella facilità con cui questi comportamenti vengono giustificati. Essi sono la spia di una propensione a considerare l’osservanza o meno delle regole a seconda del proprio tornaconto. Secondo alcuni osservatori della nostra società, questa diffusa “propensione all’imbroglio” costituisce una delle ragioni che spiegherebbe l’eccesso di burocrazia nel nostro paese. Esisterebbe una diffidenza reciproca tra pubblica amministrazione e cittadini: questi si lamentano delle complicazioni della burocrazia nel rapporto con le istituzioni pubbliche, specie quando si chiede un'autorizzazione, una concessione o un semplice documento. Ma gli adempimenti burocratici trovano spesso la loro originaria ragione nella necessità di controllare

le affermazioni dei cittadini richiedenti per prevenire comportamenti truffaldini. Qui ci troviamo di fronte ad un grande paradosso in quanto il moltiplicarsi della burocrazia per difendersi dall’imbroglio può essere a sua volta generatore del moltiplicarsi della corruzione. Perché a qualcuno può venire in mente di offrire un compenso al pubblico ufficiale per sveltire le pratiche burocratiche, per saltare una coda, per avere prima del tempo dovuto e prima degli altri un documento. Cosa complica ulteriormente le cose nel nostro paese? L’esistenza e la presenza della criminalità organizzata di tipo mafioso, con radici in alcune regioni del sud, ma con infiltrazioni in tutta Italia e oltre. Esiste un nesso evidente tra criminalità organizzata e corruzione, in quanto la seconda è uno degli strumenti, accanto alla intimidazione e violenza, con cui la prima opera. Tale strumento è utilizzato per infiltrarsi in tutti i settori della vita pubblica, per condizionare politica ed economia, per impadronirsi di imprese e condizionare la finanza.

Una società dove sia debole il senso civico che l'alta propensione a violare le regole per tornaconto personale costituiscono un terreno favorevole per le organizzazioni criminali, per i loro tentativi di infiltrazione, non evidenti né violenti, ma sicuramente insidiosi per la salute civile e sociale di una comunità. Leggi contro la corruzione. Il quadro è preoccupante e la reazione - “le politiche dell’onestà” - è essenziale per fermare questa degenerazione e determinare una inversione di tendenza. A questo proposito è utile chiedersi in cosa consistano e a chi spettino le politiche e la pratica dell’onestà. Sicuramente, in primo luogo, a chi ha responsabilità politica e di governo della cosa pubblica a tutti i livelli. Ma alla fine a ciascuno di noi. Ci chiediamo se abbiamo leggi adeguate a contrastare la corruzione. Possiamo rispondere che le leggi adeguate ci sono, nonostante negli ultimi anni siano state ripetute modifiche non sempre di segno positivo. L’azione repressiva continua ad essere fonda-


Anemos neuroscienze

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mentale, nel senso che è necessario scoprire i fenomeni corruttivi e reagire ad essi punendo chi li ha messi in essere, però questa azione non basta. La repressione penale è per la legalità quello che per la salute è l'attività del chirurgo che interviene ad asportare il “male” una volta formatosi: sarebbe meglio non arrivare a questa necessità attraverso la prevenzione. Come la salute non può consistere esclusivamente nell’asportare le parti malate del corpo ma in uno stile di vita che ci tenga il più possibile al riparo delle malattie, così l’onestà non può essere solo repressione della corruzione verificatasi, ma uno stile di vita pubblico e sociale che ci tenga il più possibile al riparo da essa. Contro la corruzione tutti chiediamo un grande cambiamento della politica e forse oggi questa è la cosa più necessaria. Una politica che, senza rinunciare alle contrapposizioni ideali e al conflitto tra diverse visioni della società, torni però a porre al centro della propria azione l’interesse generale, il bene comune. La politica ha una cattiva fama a causa di gran parte dei suoi attuali protagonisti. Ma essa è assolutamente necessaria in quanto significa occuparsi della convivenza comune. Il papa Paolo VI ebbe a definire la politica (in accezione cristiana, ma con valenza generale) “una delle più alte forme di carità”, in quanto fare politica significa “interessarsi agli altri”. Osservando a cosa è ridotta la politica da molto tempo, questa definizione ci mette in grande difficoltà, non ci appare credibile. Ma di politica e di buona politica c’è bisogno. Ed è compito anche dei giovani praticarla, dedicando una parte del proprio tempo e della propria intelligenza al bene comune, all’interno di una concezione ideale della società e dei rapporti tra le persone. Nella polemica contro la cattiva politica c’è la rappresentazione di una società buona da una parte e di una poli-

tica cattiva e di caste dall’altra. Questa visione artefatta non corrisponde alla realtà, poiché la corruzione pervade la società nella sua interezza. Non solo molti politici sono corrotti o poco attenti alla legalità. Anche nella società si è affermata e va contrastata l’incultura favorevole all’illegalità. Non si tratta solo di pretendere l’onestà dai politici. Ciò vuol dire che ciascuno di noi deve costruire la propria esistenza, oltre che intorno ai valori della propria concezione di vita, anche intorno al valore della legalità, nella convinzione che le regole sono utili ed è utile rispettarle per una buona qualità della vita, individuale e sociale. Dobbiamo essere convinti che la legalità costituisce il presupposto per essere liberi ed avere diritti e che senza regole viene meno la tutela della libertà e dei diritti. La legalità è limite al potere. Senza regole non c’è maggiore libertà ma la prepotenza del più forte. La legalità non va intesa solo o innanzitutto come repressione dei delitti e degli illeciti in generale, bensì in un senso più ampio e positivo: è sulla base di leggi e regole che vengono tutelate le condizioni essenziali della nostra esistenza. Pensiamo a tre cose: scuola, salute e lavoro. Tre settori in cui si invocano giustamente diritti e tutela degli stessi, ma senza leggi e regole a fondamento degli stessi non sarebbe possibile invocarli. A fondamento di essi ci sono le leggi e soprattutto la legge fondamentale, la Costituzione, il patto fondante della nostra convivenza, nella quale sono scritti i principi a cui tutte le leggi devono ispirarsi. Richiamando alla legalità non si fa della legge un tabù, non si nega la presenza di leggi sbagliate e della necessità talora anche di battersi contro di esse per arrivare ad un cambiamento. Ciò che va invece respinta è la banalizzazione della violazione delle regole, cioè l’idea che si possono aggirare quando non sono utili al nostro personale tornaconto. Non solo dunque alle istituzioni e alla politica dobbiamo chiedere un forte e rinnovato impegno contro la

corruzione e per la legalità. Non toccano solo alle istituzioni le politiche dell’onestà. Anche ciascuno di noi come cittadino, come componente della comunità in cui vive, deve fare la propria parte innanzitutto tendendo in considerazione le regole, anche quelle che piacciono di meno o non piacciono. E conformandosi alle regole nei rapporti con gli altri, con le istituzioni e con la pubblica amministrazione. A partire da questa base ci si può impegnare nella vita sociale nei modi a ciascuno congeniali e secondo le proprie concezioni ideali, trovando un terreno comune per l’incontro con gli altri.■

Vittorio Borraccetti. Magistrato, dopo essere stato Pubblico Ministero presso il Tribunale di Padova, lavorando in particolare ad indagini e processi sul terrorismo, ha prestato servizio presso la Direziona Nazionale Antimafia di Roma come Sostituto e poi Procuratore nazionale antimafia aggiunto, curando tra l'altro il coordinamento delle indagini sulla criminalità organizzata nelle regioni del Nord Est. Fino al giugno 2010 è stato Procuratore Capo della Repubblica presso il Tribunale di Venezia. Dal luglio 2010 a settembre 2014 è stato membro del Consiglio Superiore della Magistratura. Ha collaborato alla rivista Questione Giustizia e ha scritto articoli e saggi in particolare su argomenti riguardanti il processo penale, l'ordinamento giudiziario, l'assetto costituzionale della magistratura. Ha curato nel 1985 la pubblicazione del volume Eversione di destra, terrorismo e stragi.

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Sull’onestà degli antichi e sulla nostra Dottrina morale e i concetti di onestà e corruzione

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di Mauro Bertani

parole chiave. Etica, onestà, corruzione, società, politica, filosofia. Abstract. L'articolo fa un excursus storico - filosofico dei termini “onestà” e “corruzione” dagli antichi fino ai giorni nostri. Indaga così i diversi significati che questi termini hanno avuto nel corso del tempo e come abbiano influenzato la dottrina morale delle diverse epoche.

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erdita di valori. Di fronte alla sequela di devastazioni economiche, politiche, sociali e persino antropologiche, prodotte da una corruzione che alligna nei gangli vitali dello Stato centrale come in quelli dell’amministrazione periferica, e che coinvolge con le stesse responsabilità anche la società civile e i singoli cittadini, in tanti sostengono che sarebbero necessarie nuove politiche educative, culturali, legislative o giudiziarie. Ma da sole - è la nostra ipotesi - queste non saranno mai sufficienti. Occorre, infatti, un lavoro di lunga lena, che esige forse, innanzitutto, lo sforzo di ripensare le assise morali su cui l’intera società poggia, nonché i suoi modi di dotarsi di una determinata configurazione etica e di darsi quelli che un tempo venivano chiamati “valori” (diventati, ai nostri giorni, unicamente quelli indicizzati nei listini di Borsa). Compito immenso, che non potrà mai essere sostituito, come già insegnava Kant, dalla proliferazione di una normatività di tipo legale e giudiziario, osservata solo in virtù del timore della sanzione e che in ogni caso può sempre essere aggirata o piegata ai pervertimenti dei particolari (ovviamente da parte di coloro che ne hanno i mezzi e che sono all’origine dei grandi illegalismi). Compito immenso, dunque, rispetto al quale, per ora, chi fa ricerca, cura, insegna, dovrà accontentarsi di provare a studiare e comprendere perché la nostra società sia diventata moralmente così indigente (e indecente). E perché la corruzione, correlato diretto della perdita di valore dell’onestà e di una vita “secondo verità”, sia diventata la cifra dominante dei nostri legami, di quelli politici e persino di quelli sociali. E forse - ma si tratta solo di un’ipotesi che dovrebbe essere messa alla prova di un’indagine genealogica - il modo in cui la corruzione è stata fatta oggetto di pensiero e di riflessività teorica, un qualche rilievo, nell’inflettere in una certa direzione il fenomeno in questione, l’ha avuto. Il termine “onestà”. Partiremo dalla polisemia del lemma “onestà”, al cui proposito è possibile constatare la presenza di tutta una costellazione di significati. Se ci atteniamo alla ricostruzione dei lessici e dei repertori tradizionali, tra i primi ad utilizzare la locuzione, Lattanzio, che la definisce “honor perpetuus ad aliquem secundo populi rumore delatus” (“un onore perpetuo ◄

Figura 7.1 - Nell'immagine i filosofi greci Aristotele e Platone raffigurati da Raffaello nell'affresco La Scuola di Atene, databile tra il 1509 e il 1511 e situato all'interno dei Palazzi Apostolici in Vaticano.

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dato ad altri dalla comune opinione del volgo”), e che, cosa ancora più importante, attribuiva ad Aristotele la sua identificazione col “sommo bene”. Era già stata identificata (da Cicerone) con la dignità, l’onore, la gloria (come sosterrà anche Filone di Alessandria) e si riferisce ai buoni costumi, alla virtù, alla rettitudine, mentre in Aulo Gellio è uno degli attributi dell’amicizia. Per lo più, insomma, i filosofi antichi e tardo-antichi la considerano in associazione alla virtù, alla probità, alla sincerità e alla liberalità. Ma una svolta interviene allorché Macrobio la identifica con la moderazione e la pudicizia, e Tertulliano e Agostino la associano al pudore e alla castità. Ricordo sinteticamente tutto questo per sottolineare come l’onestà non sia sempre stata la stessa, ed in particolare noi oggi non sap-

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piamo più che cosa essa sia stata per il mondo antico. Se proprio volessimo circoscriverne il nucleo essenziale, dovremmo tuttavia riconoscere che era intimamente e intrinsecamente legata alla verità. Anzi, forse, coincideva con la verità, o almeno con una certa figura della verità. Per noi, viceversa, essa è diventata solamente una modalità, più o meno praticata, del comportamento, pubblico o privato, ed è proprio il fatto che sia stata a lungo associata alla verità ad essere diventato difficile da comprendere per noi oggi. Siamo infatti abituati a considerare quella della verità una questione puramente epistemologico-ontologica (verità vs errore nella scienza, verità vs illusione nella realtà), ed abbiamo dimenticato quel che per gli antichi era invece un’evidenza, ovvero il fatto che quello della verità

(e quindi dell’onestà) era innanzitutto un problema etico e politico, che riguardava essenzialmente il modo in cui l’individuo costituiva se stesso come soggetto libero e autonomo, capace di governare se stesso (scil. di esercitare la propria signoria su se stesso senza dipendere da altro o da altri, senza bisogno di menzogne o infingimenti, lusinghe e inganni nei confronti di se stesso e degli altri) e in grado, pertanto, di un’enunciazione vera. Di atti di parola parresiastici, dove parrhesia stava a indicare la libertà, la franchezza e il coraggio della verità. Il termine “corruzione”. Lo stesso vale per la corruzione. Per il più remoto pensiero greco arcaico, e fino al pensiero antico e tardo antico, la corruzione risultava associata alla morte e alla distruzione,


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Figura 7.2 e 7.3 - A fianco lo storico, filosofo, scrittore, politico e

drammaturgo italiano Nicolò Machiavelli (1469-1527). È considerato un tipico esempio di uomo rinascimentale, grazie alla sua intelligenza acuta e sottile. Nel 1513 scrisse Il Principe (a fianco la copertina dell'edizione del 1550), un trattato di dottrina politica nel quale espone le caratteristiche dei principati e dei metodi per mantenerli e conquistarli. Nell'opera Machiavelli sostiene che i soli fondamenti della politica diventano gli interessi del principe e la sicurezza e utilità del principato. Il principe, perciò, per assicurare la sopravvivenza dello Stato, non dovrà esitare a fare ricorso, a seconda delle circostanze, alla forza e all’inganno.

era il complemento, riconosciuto come necessario - da Empedocle e Democrito ad Aristotele, agli stoici e agli epicurei - della generazione, ed investiva ogni aspetto e ogni dimensione dell’essere. Tutto ciò che nasce, sapevano bene gli antichi, è destinato a perire. Ma con il cristianesimo il termine si carica di nuove valenze, associando alla corruzione fisica del corpo quella della volontà e dell’anima “per causa del peccato”, come scriverà Agostino d’Ippona, per mezzo del quale il male avrebbe fatto il suo ingresso nel mondo. Il peccato provocato dalla inoboedientia alla legge divina avrebbe fatto sì che fossero “trasmessi anche ai posteri la soggezione al peccato e il destino della morte” (De Civ. Dei, XIV, 1), e soprattutto la definitiva corruzione della natura umana, tanto nell’individuo quanto nella specie. Trasformando così l’intera discendenza di Adamo nella “immortale massa di putredine, eternamente maleodorante e orrenda” come dirà secoli dopo, nel De comptentu mundi sive de miseria humanae conditione

libri tres (I, 1) (trad. it. La miseria della condizione umana, Mondadori, Milano 2003), papa Innocenzo III. Che da allora in poi tale tema abbia assillato, ossessionato, angosciato la nostra civiltà, non v’è bisogno di sottolinearlo. E che ne sia venuta una trasformazione decisiva nel nostro modo di intendere e fare esperienza dell’onestà e della verità è altrettanto evidente. Con i padri della Chiesa, in particolare, le giustificazioni della condanna della menzogna e della disonestà mutano profondamente rispetto al mondo greco. Il dovere di verità e di onestà è infatti piuttosto immanente all’atto che è diventato quello decisivo nell’esperienza del cristiano, la confessione. Intesa come professione di fede, da un lato essa implica un dovere di trasparenza e onestà nell’intimo della coscienza che si rivolge direttamente a Dio, la cui parola è la verità stessa ed esige, in cambio, altrettanta verità. Dall’altro, però, è l’atto di riconoscimento della propria natura di peccatori e la remissione dei peccati implica che si sia onesti con i vicari di Cristo. Quando l’uomo di fede si rivolge a coloro che fan parte della sua stessa comunità ha pertanto un dovere di onestà e verità, poiché la menzogna e l’inganno sono opera del maligno, e farvi ricorso significherebbe rinnegare Dio e dunque se stessi. Ma trasgredire il dovere di onestà e verità significherebbe anche tradire la comunità cui si appartiene e che impone di manifestare se stessi, attraverso gli atti e gli enunciati, in quello e per ciò che si è effettivamente. Venir meno a tali obblighi comporterebbe erodere le fondamenta e compromet-

tere l’esistenza della communitas. E come spiega Agostino d’Ippona, essere indulgenti su tale questione aprirebbe la strada alle opinioni erronee e alle dottrine fallaci delle sette che tentano di sviare i cristiani e di distruggere, su ispirazione del maligno, la Chiesa. Con Tommaso d’Aquino inizierà poi una forma di analisi che aprirà la strada all'ammissione di eccezioni al dovere assoluto e incondizionato di onestà e verità, come quando afferma la liceità “di occultare con prudenza la verità sotto qualche specie di dissimulazione” allorché si mente per una “buona causa”. A partire dalla combinazione tra un’antropologia negativa, come quella che il cristianesimo ha edificato sul fondamento del peccato, e un dispositivo di governo delle anime e dei corpi come quello incentrato sulle pratiche confessionali, la riflessione morale si è progressivamente trasformata in un'incessante e immensa attività di legiferazione e codificazione di tipo precettistico. Ma partendo dalle stesse premesse, anche il pensiero moderno vivrà un’esperienza assai complessa e contraddittoria nei confronti della menzogna e della condotta disonesta. Da un lato, sarà la politica a costituire un’eccezione rispetto al dovere di onestà e verità che ha corso nel diritto e nella morale. Diceva già Platone nella celebra Lettera VII che “è difficile essere onesti in politica”, e aggiungeva nel terzo libro della Repubblica che “spetta solo ai governanti, e a nessun altro al mondo, di fare ricorso alla menzogna al fine di ingannare sia i nemici, sia i propri concittadini, in funzione dell’interesse ◄

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dello Stato”. È vero che si tratta degli unici luoghi in cui Platone ammette una deroga rispetto al dovere parresiastico, ma è sufficiente per aprire la strada alla rinuncia all’esistenza (o almeno alla promozione), in politica, di principi etici riconosciuti come validi. Machiavelli potrà così sostenere che i soli fondamenti della politica diventano gli interessi del principe e la sicurezza e utilità del principato. Principe che, per assicurare la sopravvivenza dello Stato (e del proprio potere), non dovrà esitare a fare ricorso, a seconda delle circostanze, alla forza crudele del leone e all’astuzia ingannatrice della volpe, non dovrà arretrare dinanzi all’infamia e al vizio ed essere simulatore e dissimulatore, vista la natura degli uomini, malvagi e stupidi, vista la corruzione dei principi e delle corti, e visto lo stato in cui versano ormai in modo quasi permanente gli Stati, ovvero la guerra, che rende non solo possibile, ma addirittura necessari l’inganno e la dissimulazione più o meno disonesta. Il mondo diventa il grande teatro da cui la verità sembra definitivamente scomparsa e il reale è accessibile ormai solo sotto apparenze ingannatrici; e nello

Figura 7.4 e 7.5 - A fianco,

statua raffigurante Marco Tullio Cicerone (106 a.C. - 43 a.C). Nel De officiis Cicerone mette in relazione il problema dell’onestà/verità con la questione dei beni ritenuti “utili” e afferma che non si possono dissociare utilità e onestà, e che quindi non abbiamo il diritto di mentire e di agire in modo disonesto, anche quando ciò ci risultasse vantaggioso. Nella pagina a fianco, statua conservata al Louvre dell'imperatore e filosofo romano Marco Aurelio (121180). Proprio come per Cicerone, anche per Marco Aurelio contravvenire al dovere di onestà e sincerità comporta una contraddizione con se stessi.

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stato di guerra permanente l’inganno e la menzogna sono diventati la regola, si ripeterà da Botero a Grozio. La nuova ars gubernatoria della modernità è diventata quella di una nuova razionalità, in cui la disonestà è iscritta nel cuore delle tecnologie allestite per controllare e disciplinare gli uomini, le popolazioni, gli stati, fatte di segreti e menzogne (House of Cards non è un’invenzione dei nostri giorni), di inganni e finzioni, astuzie ed espedienti, per decifrare i quali verrà allestito tutto un repertorio di saperi, fondati sul postulato secondo il quale occorre diffidare delle parole degli uomini, in particolare di chi governa, per guardare piuttosto agli interessi e alle utilità marginali delle loro azioni e dei loro discorsi. In tal modo, però, stante un simile regime di verità,

era inevitabile che l’ambiguità del linguaggio si iscrivesse nell’anima degli uomini, che l’errore, la menzogna e l’inganno diventassero parti integranti di una soggettività, quella moderna, che a dispetto della sua fondazione sulla supposta trasparenza di una coscienza a se stessa, come nel cogito cartesiano, non sa più dove si trovi la verità. La concezione etica degli antichi. In reazione a tutto questo, un versante della filosofia moderna tenterà di fondare teoricamente la condanna e il rigetto incondizionato della menzogna e della disonestà legandola, come gli antichi stoici, alla libertà e al principio di ragione. Come


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farà Spinoza, che scrive che “l’uomo libero non agisce mai con dolo, ma sempre con lealtà”, poiché altrimenti non si avrebbero “diritti comuni”, mentre “chiunque sia guidato dalla ragione desidera che appartenga anche agli altri il bene che appetisce per sé” (Eth. IV, p. LXXII et scol.; LXXIII scol). Una pallida eco della concezione antica e tardo antica della verità la ritroviamo ancora in Kant, allorché prescrive il dovere morale incondizionato di “dire sempre la verità” e di non mentire mai, poiché la menzogna e l’inganno implicano la negazione della dignità delle persone in quanto esseri razionali, ovvero indicano che non stiamo trattando gli altri come “fini in sé” bensì come semplici mezzi, stante la seconda formulazione dell’imperativo categorico. L’obbligo di dire il vero non ammette eccezioni, sostiene Kant, altrimenti non sarebbe possibile fondare il diritto su dei principi universali e neppure sarebbe più possibile formare quel “regno dei fini” costituito in-

nanzitutto dalla comunità ideale (che deve cioè essere fatta esistere) degli esseri razionali. Ultimo, tragico (per le contraddizioni che lo attraverseranno, le ambiguità che lo accompagneranno e le utilizzazioni che ne verranno fatte, come dimostra il caso di Eichmann) tentativo di riannodare un legame con una concezione dell’etica come era stata quella degli antichi. Potremmo allora definire l’onestà antica il frutto dell’ascesi, ovvero delle procedure e delle esperienze di trasformazione di sé da parte di un soggetto chiamato a compiere su di sé un certa sperimentazione, una certa esperienza di sé, viste come condizioni preliminari, nella forma della melete (meditazione), della praemeditatio (la preparazione alle sventure) e della paraskeue (l’addestramento), per accedere alla verità. Le varie tecnologie ascetiche proprie del mondo antico e tardo antico (resistenza, addestramento, studio della natura, ecc.) miravano tutte a conferire al soggetto una forma e un piano di consistenza eminentemente etici, senza l’intenzione di dare sostanza ad una struttura psicologica soggiacente e preesistente (innanzitutto ritrovando i meandri e le peripezie del desiderio). La loro finalità, cioè, non era stata quella di definire l’identità degli individui, bensì quella di rispondere all’interrogativo intorno a ciò che essi potessero e dovessero fare della loro esistenza. Il loro scopo era stato quello di addestrare un soggetto per renderlo capace di azione, politica innanzitutto, chiamandolo ad assicurare il dominio

e la padronanza di sé e, attraverso differenti schemi di condotta, preparandolo a realizzare una forma di vita adeguata alle circostanze, al momento e al contesto politico. Una pragmatica, un’etopoietica, non una psicologia (con la casuistica che le verrà legata). Parresia. Il luogo e la modalità elettiva di tale capacità era stata, un tempo, la parresia. Nell’esperienza greca, la democrazia era intrinsecamente e costitutivamente legata alla parresia, nella misura in cui non bastava, in quell’esperienza, garantire l’isonomia (uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge), l’isegoria (l’uguale diritto di parola), e persino una buona politeia (ordinamento politico), per vedere fondata e rispettata la democrazia. Occorreva anche la condizione supplementare - e decisiva - della pratica della parresia, del “parlar franco”, del coraggio della verità, del dir vero, e insomma dell’onestà, senza di cui la democrazia degenera e si corrompe. Il “dir vero politico” appartiene dunque all’esperienza della democrazia ateniese e designa la presa di parola di chi, se anche arriva ad esercitare un ascendente sugli altri e a far valere il proprio punto di vista a proposito del bene pubblico, lo fa - questo il prezzo che dovrà invariabilmente pagare - a rischio di vedere poi i suoi concittadini rivoltarsi contro di lui, o di incontrare la collera e la violenza del tiranno - se non sarà riuscito ad educarlo e a guidarlo. Ma anche di essere lui stesso all’origine di un qualche pervertimento del dir vero, nella misura in cui la democrazia è appunto lo spazio in cui si rischia di legittimare tanto il vero quanto il falso, e la stessa parresia - in quanto parola libera - può trasformarsi in parola vuota, chiacchiera, menzogna. Il “gioco parresiastico” implica dunque, innanzitutto, il coraggio e la decisione di dire solo ed unicamente la verità. Ciò significa che non è consentita alcuna concessione alla lusinga, ◄

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all’inganno, alla menzogna e che chi proferisce la verità deve aderirvi incondizionatamente, dandovi corpo ed espressione con la sua stessa vita, senza accomodamenti e senza compromessi. Vanno in questa direzione, sia pure con modalità diverse, tanto gli sforzi di Socrate, quanto quelli degli stoici e dei cinici. La parresia socratica mira a trasformare colui al quale essa si rivolge attraverso il richiamo ad occuparsi di sé, anche a rischio della vita. Nello stoicismo è possibile rinvenire invece la nascita della direzione dell’esistenza, in cui la cura dell’anima del discepolo da parte del maestro passa attraverso lo sforzo di accordare gli atti e le parole, in modo da dar vita ad un’esistenza retta; nel cinismo, infine, il dir vero mira alla destabilizzazione dell’interlocutore - di solito chi detiene il potere - e viene autenticato dal genere di vita che si conduce, con le parole provocatorie, l’erranza e la povertà di cui si deve diventare capaci, attraverso cui vengono denunciate in modo brutale le convenzioni e le ipocrisie sociali, mostrando le esigenze radicali, dure e severe, sia della verità che della libertà. La parresia, oltrechè una specifica modalità di enunciazione, è stata dunque una forma di vita, una postura etica, caratterizzata dalla decisione consapevole di assumere il rischio di perdere la vita affrontando e sfidando il potere, di contravvenire all’ordinamento della città e di rimetterne in discussione le assise. È solo così che la volontà di dire il vero si riversa in una condotta da cui traluce la verità, ovvero l’ethos si rivela essere non solo la condizione di possibilità del dir vero, ma diventa a sua volta manifestazione effettiva e visibile, nella esistenza concreta del soggetto, della verità. Socrate, infatti,

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non è semplicemente colui che osa guardare in faccia la morte, come nel caso del filosofo hegeliano, ma è chi, iscrivendo la parresia nell’epimeleia heautou, istituendo un legame inscindibile tra le due, fa della propria anima la superficie su cui si incide la verità, e insieme diventa colui il quale realizza un ethos che lo rende capace di affrontare la messa alla prova di se stesso nel reale, di trasfigurare se stesso nell’atto stesso in cui trasforma il reale. In Socrate prende il via anche il processo destinato a condurre al problema di come conferire all’esistenza una certa forma, una certa stilizzazione, che sia confor-

me al discorso vero che si tiene; a una modalità di vita che traduca gli enunciati veri, all’interno di una relazione circolare tra l’ethos che si prolunga in parresia e la parresia che orienta, determina e plasma la maniera di vivere. Si tratta di una via che Foucault aveva iniziato a chiamare “estetica dell’esistenza” in cui il telos è, per il soggetto, quello della conquista della libertà e dell’autonomia che potrà avvenire solo nella forma di una salvezza realizzata grazie all’accordo tra perfezione, bellezza dell’esistenza e vera vita, che consiste, afferma Foucault, nella “vita nella verità e nella vita per la verità”, ovvero in

Figura 7.6 - Sotto il filosofo tedesco Immanuel Kant (1724-1804). Secondo Kant il dotarsi di nuovi valori e di una nuova etica nella società non possono essere semplicemente sostituiti dalla proliferazione di una normativa di tipo legale e giudiziario, rispettata solo in virtù del timore della sanzione e che in ogni caso può essere aggirata.


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forma di specifica “cura della verità”, che è quanto Socrate manifesta visibilmente con la sua morte. Dottrina morale. Nel mondo antico e tardo antico saranno poi in particolare gli stoici (soprattutto il medio stoicismo di Panezio e Posidonio) a elaborare una dottrina morale fondata sul principio del valore della legge morale presente nello heghemonikòn, ovvero nel princìpio attivo dell'anima, in cui va ricercata la guida dell'azione (a cui dovrà sottostare l’elemento passivo, pàthos). Da tale legge morale, identificata direttamente col logos universale di cui partecipa l’anima dell’uomo, discendono alcuni doveri (katekonta) dalla cui osservanza rigorosa dipenderà la virtù, che consiste a sua volta nel vivere in conformità con una razionalità che impone di scegliere, in ogni circostanza della vita, quel che più conviene alla nostra natura (appunto, di esseri razionali). Solo a queste condizioni gli individui potranno raggiungere la saggezza, diventando cioè padroni e signori di se stessi, ovvero liberi, grazie al fatto che la volontà obbedisce ad un dovere che procede dalla sua stessa razionalità e non le si impone come una forza - o una legge - che provenga e agisca dall’esterno. E grazie al fatto che si raggiunge così anche il dominio sulle passioni, e su tutte quelle azioni e quei comportamenti che ci orientano verso

quelle “qualità” - ricchezza, potere, gloria, onori, ecc. - che per individui che cercano di assumere il punto di vista del logos universale sono degli “indifferenti” (adiaphora). Nel terzo libro del De officiis Cicerone riassumerà tutto ciò - ma al contempo iniziando ad infletterlo in altra direzione - mettendo in relazione il problema dell’onestà/ verità con la questione dei beni ritenuti “utili”. Lo farà affermando che non possiamo dissociare utilità e onestà, e che dunque non abbiamo il diritto di mentire e di agire in modo disonesto, anche quando ciò fosse destinato a risultare vantaggioso, poiché così facendo contravveniamo ai principi fondamentali della natura. Anche per Marco Aurelio contravvenire al dovere di onestà e sincerità comporta una contraddizione con se stessi, dal momento che è all’ordine universale retto dal logos che noi, a nostra volta, in quanto esseri razionali, apparteniamo, ed è da esso che ricaviamo regole e principi. Trasgredirli, infatti, significa essere “in disaccordo con la natura dell’universo” e pertanto “combattere contro se stessi”. L’onestà non è sempre stata la stessa, si è detto iniziando. Grazie al valore conferito alle virtù, gli individui hanno potuto un tempo sostenersi di fronte a se stessi (senza vergognarsi di sé) e al cospetto degli altri, consentendo pertanto alle società di funzionare riconoscendo, o almeno ammettendo, un sistema normativo e un insieme di valori condiviso abbastanza da rendere possibile forme di coesistenza relativamente tollerabili. Da molto tempo non è più così, come aveva già diagnosticato Hegel, per il quale “il parlare della virtù confina facilmente con la declamazione vuota, poiché così si parla soltanto di qualcosa di astratto e di indeterminato”. Contro tale declino protesterà Nietzsche, per il quale la virtù - anche quando ne svelava la pudenda origo - risultava comunque strettamente legata alla libertà dello spirito, che non è nient’altro se non il coraggio della verità

(che giungeva persino ad identificare con una certa qual forma di eroismo: “Ciascuno è al contempo eroe e uomo comune, e i fini che ogni uomo si può proporre come eroe li realizzerà in quanto uomo comune”). Ma il corso del mondo è, come insegnava sempre Hegel, inesorabile, e in linea di massima “vince sempre”. Aveva già vinto quando, con Machiavelli, quello che con una certa magniloquenza viene chiamato il realismo politico aveva preso il sopravvento sull’etica, o quando l’esigenza di sicurezza, e con essa la paura della morte, come aveva già intravisto Hobbes, erano diventate le sole passioni. Ma forse è arrivato il momento di ridiventare nuovamente parresiasti e “spiriti liberi”. O anche solo, modestamente, uomini onesti, in modi e forme che restano ancora tutti da inventare. ■

Mauro Bertani. Storico del pensiero filosofico e della psichiatria, ha edito diverse opere di Michel Foucault. È stato tra i curatori di La psicoanalisi e l’antisemitismo (1999) e di Psiche. Dizionario storico di psicologia, psichiatria, psicoanalisi, neuroscienze (20062007). È coautore di L’illusione dell’ultima parola. Alcuni casi di coscienza in psichiatria e psicoanalisi. Storie e dialoghi (2013).

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Tra morale ed etica

L'uomo nel pensiero di Spinoza e Hobbes di Franco Insalaco

In 3 parole chiave. Morale, etica, diritto, Spinoza, Hobbes.

Abstract. Morale ed etica: che ruolo hanno nello strutturare la mente e il comportamento umani? L'articolo mette a confronto il pensiero di Spinoza e Hobbes, due importanti filosofi che si sono occupati dell'argomento.

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iamo quello che possiamo. Si parte al centro della questione, un mondo rovesciato è plausibile per i filosofi, lo avevano declinato già a partire da Hobbes che diceva in poche parole: l'uomo non è né razionale, né sociale. Pensate, confronto alla morale cristiana, che ribaltone. Come, non è l'uomo nella sua essenza razionale e sociale? Proprio la morale indica ciò che l'uomo deve essere. L'uomo deve divenire se non lo è (ma chi è perfetto?) ciò che potenzialmente indica la sua essenza, cioè il valore per cui diventa uomo, indicato dal bene e dalla perfezione a cui aspira. Certo il peccato lo ha relegato in basso e deve lottare per risalire la china, può aiutarlo il prete, il saggio, l'esperto, così che ritrovi la strada verso i valori che ha perso e che costituiscono da sempre la sua essenza. Sarà in questa prospettiva morale che gli uomini dovranno vivere nel giudizio del loro operato, positivo se va verso l'essenza, che è il bene, negativo se va verso il male. La morale è sempre predefinita, è assiomatica, dice già a cosa deve tendere la creatura. La morale e

la legge sono così indirizzate a definire la sfera delle attività che sono possibili. L'uomo non vi si può sottrarre poiché la sua vera natura è indicata dalla morale e dalla legge. Cosa fa Hobbes? Ribalta il meccanismo, non è vero che l'uomo ha una essenza, non c'è nulla che viene prima a definirlo, l'uomo è invece quello che può. Il diritto naturale è perciò ciò che è in potere ad ogni essere. Ciò comporta che se un leone mi può mangiare il diritto naturale lo mette in grado di farlo, a meno che io non sia armato e possa colpirlo. Ecco, qui sta tutta la questione. Per questo l'uomo non è sociale. Se potesse prendere la casa del vicino che è più bella lo farebbe. Non lo fa perché per diritto naturale il vicino è più grosso e ne avrebbe malpartito. Homo homini lupus. Proprio per non essere esposto al continuo pericolo, l'uomo necessita di un diritto positivo. A partire dalla sicurezza della propria sopravvivenza è più facile difendersi insieme che da soli. Il diritto positivo si formula a partire dalla seguente questione: quanta potenza sono disposto a sottrarre per avere più sicurezza insieme agli altri? Io e gli altri

cediamo la potenza al sovrano che legifera aumentando la sicurezza politica e sociale. La prospettiva di Hobbes sarà ripresa da Spinoza. Questi la declina nel modo seguente. Se io sono ciò che posso allora ciascuno è differente, cioè non possiamo categorizzare in generale ciò che siamo. In questo senso una mucca e un cavallo da tiro sono più prossimi di quanto lo siano un cavallo da tiro e uno da corsa. Perché possono le stesse cose, la mucca e il cavallo da tiro. Il cavallo da corsa e il levriere altrettanto. Ciò che possiamo è l'elemento che li distingue o li unifica. Ma ciò che può un corpo non lo sappiamo, così dice Spinoza. Cosa significa? Che non si può sapere prima, solo ◄

Figura

8.1 - A fianco il filosofo e matematico britannico Thomas Hobbes (1588-1679). Per Hobbes l'uomo per sua natura è sostanzialmente competitivo ed egoista, il suo pensiero è esemplificato dalle frasi Bellum omnium contra omnes ("la guerra di tutti contro tutti" nello stato di natura), e Homo homini lupus ("ogni uomo è lupo per l'altro uomo").


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dopo. Dopo che cosa? Dopo che ha vissuto. Allora non c'è un'essenza che già prima dice cosa è l'uomo, il cavallo, la mucca? No, la classificazione tradizionale che Aristotele aveva inventato a Spinoza non interessa. Ritiene confonda le idee. Ciò che siamo è manifestato attraverso la nostra esistenza. Dunque si apre una prospettiva che non va verso il dovere, il giudizio, la morale a indicare ciò che dobbiamo divenire, funziona invece in direzione dell'etologia, dell'ethos, dell'etica. Etologia uguale scienza dei comportamenti animali, ma possiamo estenderla all'uomo e alla donna. Scienza pratica delle maniere di essere. Se queste maniere sono già date, allora siamo dentro un ambito morale, cioè relativo all'essenza e ai valori. Attraverso i valori siamo riconsegnati alla nostra essenza. Ma se definiamo così l'essere, allora ciò implica che ci sia qualcosa di sopra dell'essere, cioè l'essenza e i valori. Per l'ontologia è impossibile la morale, perché la precederebbe. Come se ci fosse qualcosa di superiore all'Essere. La morale allora giudicherebbe l'essere stesso, non solo gli enti, in nome di una istanza superiore. Sarebbe quindi l'essenza ciò che condiziona l'Essere a

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partire da una istanza superiore, cioè trascendente. Tuttavia, l'uomo è un animale razionale, dice Aristotele, ma allora perché continua a comportarsi irrazionalmente? Perché la sua essenza non è ancora realizzata, direbbe il filosofo greco. La sua è una condizione in potenza deviata dagli incidenti che gli occorrono nella vita. Si tratta perciò di valutare e giudicare quanto lontani siamo per riprendere il filo potenziale che riconduce verso la nostra vera natura. Ciò avviene attraverso le essenze, cioè ciò che di essenziale appartiene alla natura umana. In ciò di aiuto sarà chi è in grado di valutare la nostra posizione, di giudicarla: il moralista, il prete, il giudice. Trascendenza o immanenza? Per Spinoza l'essenza non è più astratta, parla di enti nella loro singolarità, ciascuno esprimerà la propria essenza. L'Essere in questo caso non è misurato dall'ambito dell'essenza ma dell'esistenza. Quasi in anticipo sull'esistenzialismo. Non più essenze comuni, generali, ma singolari, l'etica si preoccuperà allora di confrontare queste essenze singolari. Grande rovesciamento perché non si tratta più di trascenden-

Figura 8.2 - Sotto il filosofo olandese Baruch Spinoza (1632-1677). Secondo la sua visione, ciò che siamo è manifestato attraverso la nostra esistenza. Apre così una nuova prospettiva che va in direzione dell'etologia, dell'ethos, dell'etica.

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za ma di immanenza. Non c'è alcun valore che precede ma solo che segue l'esistenza. Ciò avviene a partire dal fatto che per Spinoza creatura e creatore coincidono. Non c'è differenza di essenza, di valore, di sapienza. Ci sono solo differenze di intensità che distinguono appunto ciò che ciascuno può. Tanto più può, tanto più felice, tanto più prossimo a Dio, che delle potenze in atto è la massima possibile, addirittura infinita. Manifesta pertanto tutte le possibilità che ci sono. In tutte le manifestazioni creatura e creatore coincidono. Non possiamo giudicare quanto può ciascuna creatura essendo manifestazione diretta di Dio. Possiamo solo valutare quanto l'incontro con altro sia per noi deprimente o potenziante. Quanto ogni ente sia consonante o dissonante con il nostro. Possiamo giudicare a partire da noi e vedere se è, direbbe Leibniz, un rapporto compossibile o impossibile. Siamo allora per strada a comprendere che non siamo tutti uguali. Che in base a quello che può, un corpo si distingue potendosi o meno mettere in relazione con un altro, in base al fatto che quella relazione per lui è benefica o venefica. Nietzsche, che ama Spinoza, si inserisce nella stessa tradizione. Dirà che la morale è proprio ciò che divide i corpi da ciò che possono. Il giudizio morale vuole cioè limitare quello che hanno in potere. Un'aquila ama l'agnello e se lo pappa. La morale dell'agnello però direbbe all'aquila che il suo è un comportamento cattivo. Per essere buona dovrebbe fare come loro. L'aquila si deve dividere da ciò che può. Il diritto positivo è così l'affermazione dei deboli, di coloro che non possono che limitare il signore che va libero per la sua strada. Fatto è che in effetti la morale cristiana si è posta sempre come indice di ciò che va fatto controllando in modo selettivo, fino alla confessione individuale, il comportamento di ciascuno. Diritto naturale e positivo. Insomma, siamo di fronte a due opposte visioni. Quella normativa che limita l'esistenza e quella che invece lascia esprimere l'esistenza verso il suo gradiente più alto, quando è più felice ed esplica la sua potenza esprimendo la


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sua natura e divenendo anche più reale. Per farlo deve però non fare il passo più lungo della gamba, deve sapere ciò che può, secondo grado di conoscenza, fra poco lo vedremo. La sua natura, essendo più libera di esprimersi nel caso etico confronto alla morale, si svincola da questa. Condizione che lascia l'uomo libero di valutare se aderire a quanto la morale e la legge del suo tempo impongono. Perchè la legge e la morale cambiano a seconda delle epoche. Legge è anche quella razziale emessa nel periodo fascista. Se seguiamo la morale, la legge dobbiamo rispettarla. Se seguiamo l'etica di Spinoza no. Perché rispettare tale legge a volte è desolante, seguire l'ordine che mi dà è depressivo, nel caso delle leggi razziali limitare la libertà agli altri significa limitarla a se stessi. Non posso andare contro me stesso. Perciò disubbidisco. Non è morale disubbidire ma è etico. Lo aveva visto bene Hannah Arendt come cambiano i costumi in pochissimo tempo. I suoi amici le volgono le spalle quando la questione razziale diventa in Germania un fattore centrale. Non è la morale che può indicare all'uomo come comportarsi. Né la legge quando ordina ciò che è ingiusto. A parte che sempre la legge è accompagnata dalla forza per essere ubbidita, cioè parte già, direbbe Simone Weil, con il piede sbagliato, essendo dentro il dispositivo dell'essenza se non vuoi andare verso tale direzione la legge ti ci obbliga, con le forze dell'ordine. D'altronde si deve riconoscere che il nostro diritto viene tutelato anche grazie alle forze dell'ordine, come evidenzia la Arendt. Per il nazismo l'essenza è l'arianesimo, la storia è l'affermazione nei prossimi secoli della razza ariana. L'essenza umana per i nazisti è espressa da tale idea. Chiunque la ostacola va sotto le ruote della storia. Ecco un bell'esempio sull'essenza espressa dai nazisti. Per non essere sopra il carro della sto-

ria, cioè della legge, si va sotto le sue ruote. Come evitarlo? Eliminando l'essenza dell'origine, cristianesimo e altre religioni, e anche quella futura, vedi il totalitarismo. Non sappiamo cosa può un corpo, non sappiamo cosa farà, non possiamo dirlo prima, quindi non è possibile indicarlo e guidarlo se non amputandolo violentemente. Morale ed etica. La vita allora non si esprime moralmente ma eticamente. L'essenza non è altro che il grado di potenza di ciascun ente. La potenza non è ciò che voglio ma ciò che ho, distinzione fondamentale. Attenzione non è per Spinoza, ma neanche per Nietzsche, una questione di potere. Cosa hai il dovere di fare in virtù della tua essenza è invece la questione che pone la morale. Cosa hai il dovere ti sarà presto detto. Invece non sarà detto nel caso etico. Ad esempio, tra folle e razionale ciascuno persevererà in ciò che può. Dal punto di vista morale c'è differenza, da quello etico no, ognuno non può che essere com'è. Sotto questo profilo per l'etica il folle e il razionale si equivalgono. Poi si tratta di vedere se e in che modo preferisco mettermi in relazione con l'uno o l'altro, si confà più essere in relazione con un folle o con un razionale, si vedrà, non è che la risposta venga prima. In certi casi forse possiamo preferire il folle. Comunque, per Spinoza essere ragionevole è senz'altro meglio sotto il profilo della potenza. Perché si è in grado di comprendere non solo se una cosa piace o no, primo grado di conoscenza, ma anche perché piace, secondo grado, e solo così si diventa più potenti, aumentando la propria gioia. Cosa permette questa possibilità? Gli affetti, cioè le relazioni, che sono di due tipi: potenzianti o depotenzianti. Cioè, tutto ciò che sperimentiamo attivamente o passivamente aumenta o diminuisce la nostra letizia, la nostra

Indicazioni bibliografiche N. Bobbio, Il pensiero politico di Hobbes, Torino 2004. G. Deleuze, Spinoza filosofia pratica, Milano 1998. G. Deluz,: Cosa può un corpo, Verona 2010.

Si prenda qualsiasi edizione tascabile delle seguenti opere: T. Hobbes, Leviatano. T. Hobbes, De cive. Elementi filosofici sul cittadino. B. Spinoza, Etica. B. Spinoza, Trattato teologico-politico.

gioia, la nostra potenza. Sono gli affetti allora che permettono di distinguere l'uomo ragionevole dal folle. Gli affetti scelti perché mi potenziano sono quelli ragionevoli. Se un tale criterio non si attiva allora sono succube, in balia, degli affetti che capitano, con ciò non è detto che io sia un folle perché secondo Spinoza la maggior parte di noi vive solo nel primo grado di conoscenza. Se guardo le differenze sotto il profilo della potenza non ne trovo nessuna, se guardo sotto il profilo degli affetti ne trovo molte. Molte che sono poi una, con il secondo grado di conoscenza agisco cominciando a scegliere sapendo la causa. Ora Spinoza non fa come Hobbes che abbandona il diritto naturale a favore del positivo, neanche di fronte al contratto che sottoscriviamo socialmente e politicamente con il sovrano e la legge. Quindi, per Spinoza, io sono dentro ad un consesso civile ma non sono sottoposto al sovrano, che secondo Hobbes è l'unico a conservare il diritto naturale. Insomma, non c'è nessuno chi mi dica cosa devo fare orientandomi verso la fantomatica essenza umana. Per Spinoza quindi, anche se sono dentro al diritto positivo, posso e devo continuare a scegliere. Così mantiene il filosofo olandese una pronunciata apertura politica. Per questo il contratto positivo lo accetta fino ad un certo punto, cioè finché invece di potenziare depotenzia. Ecco allora la domanda spinoziana: “perché le persone si battono per essere schiave?”. Fare dell'etica un fatto politico, invece, significa battersi per essere liberi anche di cambiare le leggi se sono ingiuste. Concludo ricordando che il pensiero non è democratico, se 100 contro 1 la pensano in un certo modo non è detto che abbiano ragione, anzi spesso non ce l'hanno. ■

Franco Insalaco. Autore di saggi filosofici e testi poetici. Organizza reading letterari e incontri culturali. Nel 2005 con il filosofo Pietro M. Toesca ha realizzato la “Festa Cantiere della Poesia” promossa dal Comune di San Gimignano e dalla Provincia di Siena. È stato direttore del bimestrale filosofico «Éupolis. Rivista critica di ecologia territoriale». Indirizzo web del Giardino Filosofico: http://giardinofilosofico. blogspot.it.

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LA LINGUA corrotta DEL potere Riflessioni sulle proprietà della lingua

In

di Adriano Amati

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parole chiave. Lingua, parole, società. Abstract. “Chiamare le cose col loro nome è un gesto rivoluzionario”, dichiarava Rosa Luxemburg ormai un secolo fa. Oggi ripensare le parole significa immaginare una nuova forma di vita. Ecco dieci riflessioni sulle proprietà della lingua e sulla necessità di tutelarla.

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. All'origine del linguaggio le parole sono l'equivalente delle cose, anzi, sono le cose. Innanzi tutto sono gli Dei (“nomina sunt numina”), e poi sono le persone, gli animali, gli alberi, le pietre. Sono i mari, i monti, le stelle del cielo. Soltanto in un tempo successivo la sfera delle cose e quella delle parole incominciano a non coincidere più tra loro. Il linguaggio, lentissimamente, si al-

lontana da una realtà, a cui pure resta legato da un rapporto magico, fatto di consonanze, di assonanze e altro ancora. È in questa fase che nasce la letteratura. L'alone di mistero che avvolge ogni singola parola dà vita e forza alla poesia delle origini (il primo poeta, in ogni lingua, è sempre Omero), ma può anche diventare un ostacolo insuperabile per l'uso delle parole a fini profani: soprattutto delle parole scritte.

Il rapporto degli antichi con le parole era diverso dal nostro, perché le parole che si usano oggi sono molto più lontane dal loro significato di quelle di un tempo. Ancora non se ne sono separate del tutto (quando lo saranno il mondo sarà cambiato un'altra volta e anche la letteratura sarà cambiata), ma ciò che restituiscono è un'immagine della realtà sempre più convenzionale e sempre più simbolica. Per usare un termine attuale: sempre più virtuale.


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Le parole di un tempo erano le cose, quelle di oggi, al massimo, sono i loro riflessi. 2. Uno dei fondatori della poesia d'avanguardia, il poeta tedesco Hugo Ball, al Cabaret Voltaire di Zurigo, il 23 giugno 1916, nascosto da una maschera, davanti a un pubblico stupito, indignato e affascinato, aveva recitato un poema fonetico fatto di sillabe e voci senza senso. L'esperienza di Ball sconfinò nella trance religiosa; fu un ritorno all'esorcismo magico o, più precisamente, a un linguaggio anteriore al linguaggio: “Con quelle poesie fatte di suoni rinunciammo completamente al linguaggio corrotto e reso inutilizzabile dal giornalismo. Ritornammo all'alchimia profonda della parola, al di là del lessico, mettendo così al sicuro la poesia nel suo ultimo sacro dominio”. La poesia fonetica di Ball rivelò la nostalgia religiosa di un linguaggio originale, incontaminato, che pur intraducibile in questo o quel signifi-

cato non mancava di senso: ciò che veniva enunciato non stava “prima” ma dopo la significazione, non era un balbettio presignificativo, ma una realtà a un tempo fisica e spirituale, udibile e mentale. Non stava al di qua ma al di là del significato. All'alba del progresso tecnologico che avrebbe portato all'invenzione e alla diffusione dei moderni strumenti di comunicazione, esattamente un secolo fa, si sentiva già il bisogno di restituire alle parole la loro integrità, di ridare all'atto di parola piena dignità, di tornare al significato primigenio che l'uso e l'abuso della lingua parlata e scritta avevano lentamente corroso, ovvero deteriorato. La lingua è fatta di parole e le parole, fatalmente, si trasmettono deformandosi: per eccesso di interpretazione, per deliberato fraintendimento, o più semplicemente perché non sono più capite, e vengono trascritte in maniera errata. Una sola virgola messa al punto sbagliato, l'omissione di un pronome o fatti del genere possono

creare conseguenze a catena capaci di influenzare sia la comunicazione che la sua comprensione; per non parlare dell'apprendimento, che ne risulta irreparabilmente compromesso. 3. Gianrico Carofiglio: “Gustavo Zagrebelsky ha detto: il numero di parole conosciute e usate è direttamente proporzionale al grado di sviluppo della democrazia e dell'uguaglianza delle possibilità. Poche parole e poche idee, poca possibilità e poca democrazia; più sono le parole che si conoscono, più ricca è la discussione politica e, con essa, la vita democratica”. Il ragionamento di Carofiglio prosegue con una riflessione sul rapporto stretto tra scarsi strumenti linguistici e violenza, sostiene che chi non sa gestire una conversazione, non sa nominare le proprie emozioni e non sa raccontare la propria storia, ebbene costui tradurrà in azione ciò che poteva trovare uno sbocco solo verbale; e conclude affermando che la povertà delle comunicazione si traduce, in ◄

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molti casi, in povertà dell'intelligenza, nel doloroso e pericoloso soffocamento delle emozioni. “Nelle scienze cognitive - afferma lo scrittore - questo fenomeno (la mancanza di parole, e dunque di idee e modelli di interpretazione della realtà esteriore e interiore) è chiamato ipocognizione”. E prosegue citando Ludwig Wittgestein: “I limiti del mio linguaggio significano i limiti del mio mondo; la caduta del linguaggio - si può arrivare a dire - è la caduta dell'uomo”. Quindi l'abbondanza, la ricchezza delle parole, è una condizione del dominio sul reale: e diventa, inevitabilmente, strumento del potere politico. Per questo, e lo scrittore cita di nuovo Zagrebelsky - è necessario che la conoscenza, il possesso delle parole, siano esenti da discriminazioni e garantiti da una scuola uguale per tutti. E naturalmente il discorso va esteso non solo alla quantità ma anche e soprattutto alla qualità, dal loro stato di salute, da come sono utilizzate, da quello che riescono a significare. Carofiglio conclude il ragionamento con questa affermazione: “Tutti possiamo verificare, ogni giorno, che lo stato di salute delle parole è quanto meno preoccupante, la loro capacità di indicare con precisione cose e idee gravemente menomata”. 4. Chi pratica la scrittura sperimenta ogni giorno la forza e l'intrinseca debolezza della lingua. Flaubert addirittura la considerava inadeguata a rendere in modo congruo e puntuale il pensiero di chi la esprime, tanto da affermare che “la parola è come un paiolo incrinato sul quale andiamo battendo melodie atte a far ballare gli orsi, mentre vorremmo intenerire le stelle”. Eppure noi esistiamo nella parola, in quanto essa descrive la realtà e nel contempo l'inventa; nel primo caso è il fattore preminente della descrizione del mondo, degli uomini e delle loro vicende, nel secondo caso, come ad esempio in letteratura, essa diventa invenzione, fantasia, immaginazione, ed apre un universo di mondi altri nei quali opera attraverso la finzione.

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Fragile ed esposta a molteplici forme di usura, la lingua può diventare uno strumento manipolatorio in mano al potere, che può impiegare la comunicazione in modo strumentale, per creare un consenso forzato, disinformazione, se non addirittura repressione. Essa viene allora “manomessa”, ovvero impiegata in modo improprio, le parole perdono così il loro significato originario per assumere di volta in volta connotati semantici diversi; a lungo andare questo costume esecrabile produce inevitabilmente una corruzione che intacca la stessa intelligibilità del messaggio espresso, mettendo chi ascolta nella condizione di assorbirlo senza intenderlo. Se poi questo messaggio viene reiterato in modo martellante, le parole si svuotano di significato e perdono presa, producendo l'effetto degli slogan e delle frasi fatte, che si danno per acquisite

in modo acritico. Di nuovo Carofiglio: “Oltre la sciatteria, la banalizzazione, l'uso meccanico della lingua, esiste però un fenomeno più grave, inquietante e pericoloso: un processo patologico di vera e propria conversione del linguaggio all'ideologia dominante. Un processo che si realizza attraverso l'occupazione della lingua, la manipolazione e l'abusivo impossessamento di parole chiave del lessico politico e civile”. 5. C'è una definizione che in ambito anglosassone è usata da oltre vent'anni: grammar nazi. Infatti fu proprio David Foster Wallace, nel 1996, a lamentarsi di essere chiamato così dai suoi studenti; lui aveva pubblicato un saggio sul rapporto tra autorità e uso della lingua, e in qualità di insegnante aveva compiuto un'opera indefessa a difesa dei predicati ontologici della


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lingua. D'altra parte già nell'Ottocento ci furono puristi di fede giacobina, come ad esempio Luigi Angeloni, che sosteneva l'idea di un modello linguistico basato sugli “eccellenti scrittori” del Trecento. Nel Rinascimento invece i sostenitori della buona lingua potevano essere definiti “parolai”, “logodedali” o “scrutinaparole”. Questo per ribadire che, anche se la grammatica cambia nel tempo, esiste tuttavia una norma linguistica (che Gramsci nei suoi Quaderni dal carcere chiamava “grammatica normativa”) che rappresenta insieme un diritto e un dovere; non si tratta di un insieme astratto di regole polverose, ma di uno strumento sociale dinamico, decisivo per l'appartenenza a una comunità e per la costruzione di una cittadinanza consapevole. È evidente che chi non possiede strumenti linguistici adeguati rimane un individuo a cittadinanza limitata, che non sa e non può svolgere un ruolo attivo e propositivo nella società.

Una considerazione legata alla nostra attualità: i dati Ocse ci dicono che un terzo dei ragazzi italiani non è in grado di capire fino in fondo che cosa c'è scritto in un articolo di giornale. Cosa si fa per risolvere questa situazione, per fornire cioè gli adeguati strumenti linguistici? Poco o nulla; anzi, invece di cercare d'alzare le competenze linguistiche si preferisce abbassarne il livello, e questo avviene specialmente nei social network ma anche e soprattutto nel dibattito politico, alla televisione, nell'intrattenimento, ove il dibattito è tutto giocato sul ribasso qualitativo della comunicazione. 6. Le idee dominanti sono le idee della classe dominante. Carlo Marx. Un'intuizione non difficile ma senz'altro determinante per capire come la cultura, l'arte e la letteratura - alcuni dei principali strumenti divulgativi delle idee - risultino inevitabilmente condizionati dal potere (politico, eco-

Figura 9.1 e 9.2 - A sinistra Dante Alighieri, sotto il linguista italiano, ed ex Ministro della Pubblica Istruzione, Tullio De Mauro. Secondo uno studio realizzato da De Mauro, il miglior "fabbro" della nostra lingua sarebbe Dante Alighieri: nella Divina Commedia compaiono per la prima volta parole come accidioso, squadernare, inurbarsi, trasmutare, bolgia, tetragono, contrappasso e molte altre.

nomico, culturale). E qual è, se non la lingua, il fattore principe con cui vengono elaborati gli stilemi culturali, si esercita la critica d'arte e si realizza l'intera produzione editoriale? Allora l'equazione che segue ci porta una seconda riflessione: la lingua dominante è la lingua della classe dominante. Ne consegue che la lingua della comunicazione impiegata dal potere non può che essere funzionale al potere stesso, al suo irrobustirsi, al suo perpetuarsi; ma esso non ha interesse a fornire adeguati strumenti linguistici ai cittadini, al contrario, ne fa un uso strumentale al fine di incrementare il loro consenso, tenerli all'oscuro delle proprie strategie e rendergli facilmente accettabili provvedimenti che altrimenti susciterebbero scontento e malumore. Gli esempi più eclatanti di manipolazione linguistica sono naturalmente ascrivibili alle grandi dittature del Novecento, in particolare al fascismo, al nazismo e allo stalinismo. Ad accomunarle è innanzi tutto la semplificazione del linguaggio, poiché dovendo parlare “a tutti” la lingua deve ridursi a esprimere concetti elementari, con parole d'uso quotidiano; a seguire c'è l'elemento sentimentale, nel senso che invece della logica razionale la lingua fa presa sull'emotività dei cittadini, con l'impiego di termini che evocano grandi sentimenti e che posseggono la proprietà di commuovere trasversalmente tutte le generazioni; un terzo elemento è la ripetitività di alcune parole d'ordine, o slogan, cioè frasi fatte che a forza di essere riproposte vengono assimilate acriticamente e infine accettate come vere. Ecco perché la tutela della lingua non è una pratica reazionaria o fascista, come si è a lungo creduto, ma estremamente democratica: se la lingua popolare si fa populista, come è accaduto in passato e ancora accade in quest'epoca, difenderlo è da partigiani, anzi, da rivoluzionari. Non è un caso infatti che il potere dittatoriale metta sempre il bavaglio agli artisti, agli in- ◄

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Figura 9.3 - A fianco lo scrittore

Gianrico Carofiglio. Nel suo libro La manomissione delle parole lo scrittore riflette sulle lingue del potere e della sopraffazione e si dedica al recupero di cinque parole chiave del lessico civile: vergogna, giustizia, ribellione, bellezza, scelta.

tellettuali e agli scrittori, la cui ricchezza espressiva è in netto contrasto con la grettezza limitante delle sue comunicazioni ufficiali.

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7. Gli esempi dell'uso improprio o manipolatorio della lingua sono innumerevoli. In politica si travisano, impiegandoli fuori dal loro contesto pertinente, termini come democrazia, libertà, giustizia, che vengono usati sempre a sproposito per accusare gli avversari politici di esserne privi. Ma vi sono manipolazioni più sottili, striscianti, per così dire, parole che all'apparenza non hanno nulla di nocivo ma che in pratica, poiché chi ascolta spesso non ne conosce l'esatto significato, vengono considerate corrette e perciò accettate pedissequamente. Quando nel 2003 si approvò la legge nota con la locuzione “lodo Schifani”, che poi la Consulta sentenziò fosse incostituzionale, il cui intento era impedire di celebrare tutti i processi a carico dell'allora premier Berlusconi (“le più alte cariche dello Stato non possono essere perseguite...”), ebbene, nell'occasione venne impiegato il termine “lodo”, che il dizionario definisce una formula di transizione o di compromesso in una controversia, proposta da una persona di riconosciuta imparzialità e autorevolezza. Nel caso di cui si parla non solo non c'era alcuna imparzialità da parte di chi sovrintendeva alla controversia, ma non si trattava assolutamente di un compromesso o di una transazione, bensì di una palese imposizione della maggioranza che andava contro il principio costituzionale che sancisce l'uguaglianza di tutti i cittadini dinnanzi alla legge. Insomma, “lodo” era una parola palesemente sbagliata e fuorviante, eppure tutti quanti - destra, sinistra, televisioni e giornali - la impiegarono a lungo

senza che nessuno fosse consapevole di questo “slittamento semantico”. Conclude Carofiglio: “Chiamando lodo ciò che lodo non era, infatti, si comunicava falsamente un'idea di bonaria, imparziale, autorevole sistemazione di una controversia, con reciproca soddisfazione delle parti in causa”. 8. Un altro fattore di strumentalizzazione della lingua è il cosiddetto linguaggio per iniziati, ovvero un sistema lessicale comprensibile solo agli addetti ai lavori di una determinata categoria professionale o di un livello culturale elevato, non al grande pubblico. Se all'uomo della strada, categoria che intende riferirsi alla medietà culturale di un individuo, io dico “La pangenetica è l'obliterazione dell'io cosciente che s'infutura nell'archetipo prototipo dell'antropomorfismo universale” costui mi guarderà stralunato e non capirà assolutamente nulla di

quello che ho voluto dire. L'effetto, oltre allo stupore, sarà quello di sentirsi in una condizione di soggezione culturale, di inadeguatezza e ignoranza; all'imbarazzo che ne seguirà, c'è la possibilità che l'interdetto interlocutore sia indotto ad assumere un atteggiamento di sottomissione, ritenendomi (ingiustamente) superiore a lui. Il linguaggio per iniziati è un linguaggio elusivo, tende ad escludere dalla comprensione la quasi totalità degli ascoltatori, impossibilitati a fruire le informazioni che all'interno di quel sistema lessicale vengono loro fornite. Perché allora lo si impiega? La risposta non può che essere una, duplice: per mantenere il potere che quella categoria o casta esercita, e per poterlo usare liberamente, senza interlocuzioni, evitando così possibili intralci, contestazioni, opposizioni. Chi consapevolmente non vuole impiegare un vocabolario divulgativo, cioè facilmente accessibile, intende


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mantenere un ambito linguistico ristretto, aperto solo ai suoi pari, in cui può esercitare le proprie competenze senza doversi confrontare (democraticamente) con le istanze sociali più diverse; ciò accade sovente in ambito giuridico, burocratico, medico, scientifico e, come detto, culturale. Se le parole non sono al servizio del dialogo e dell'intendimento, se vengono impiegate in modo scorretto, strumentale, e non hanno più corrispondenza col loro significato originario, il nostro parlare e scrivere diventano strumenti settari, antidemocratici, mistificanti; la loro cura diventa perciò essenziale, essa sta a garanzia della piena consapevolezza degli individui e della loro capacità di descrivere la realtà o di reinventarne una sempre nuova.

alimentata; quindi si deve andare oltre la semplice conservazione, oltre il purismo di quanti chiedono l'intoccabilità di un vocabolario tradizionale codificato una volta per sempre. Ha fatto notizia l'approvazione da parte dell'Accademia della Crusca, l'istituzione chiamata a tutelare e promuovere la lingua italiana, del termine “petaloso”, impiegato da un bambino di otto anni in un esercizio di grammatica presso una scuola elementare del ferrarese. “Dovevo descrivere il mio fiore preferito” ha dichiarato Matteo, e la maestra ha trovato che “l'errore” fosse bello e lo ha segnalato all'Accademia, che l'ha accettato. Il passaggio su Facebook l'ha reso virale, e quella parola nuova è così entrata a far parte ufficialmente del nostro vocabolario.

9. Cos'è l'onomaturgia? La creazione, l'invenzione di parole nuove o anche lo studio linguistico relativo alla coniazione di parole nuove. Il termine si deve al linguista Bruno Migliorini che ha indicato nel “onomaturgo” il creatore. In verità si tratta di un ripescaggio, infatti il termine compariva nel Cratilo di Platone e onomaturgia era usato da Proclo. Le due voci sono state riprese nel linguaggio della filosofia e della critica letteraria del XX secolo. E chi è stato il miglior fabbro del nostro parlare? Naturalmente Dante Alighieri. Secondo uno studio attento realizzato da Tullio De Mauro, nella sua Commedia debuttano parole come accidioso, squadernare, inurbarsi, trasmutare, bolgia, tetragono, contrappasso e numerose altre. Tutte queste notizie le fornisce Giuseppe Antonelli in un bel articolo dal titolo “Gli inventori di parole” pubblicato sul Corriere della Sera del 25 febbraio 2016, e qui se ne parla per significare che la lingua non va solo difesa ma anche arricchita, perché come tutti gli organismi “vivi” deve essere

10. La lingua cambia ma non ce ne accorgiamo. A cambiarla siamo noi parlanti, perché è soprattutto nell'oralità che i mutamenti s'insinuano, prima con formule derivate dal dialetto, poi con un lento radicamento nel lessico quotidiano; il passaggio successivo avviene quando espressioni e modi di dire, che vengono impiegati parlando, entrano a far parte del racconto scritto, all'inizio come tentativi di riproporre il linguaggio verbale in modo realistico, successivamente (come avviene oralmente) prendendo posto stabilmente nei testi degli autori contemporanei. È questo un fenomeno fisiologico, del tutto naturale, si verifica per quella duttilità e malleabilità della lingua che tende ad uniformarsi agli usi e costumi dei parlanti, e ad adeguarsi alle nuove modalità della comunicazione che, specie in quest'epoca multimediale, subiscono profondi mutamenti tecnologici. Ebbene, questa lenta trasformazione risponde alle proprietà ontologiche della lingua, dunque si tratta solo di prenderne atto con la giusta consa-

Indicazioni bibliografiche Gianrico Carofiglio, La manomissione delle parole, Ed. Rizzoli Octavio Paz, Passione e lettura, Ed. Garzanti Sebastiano Vassalli, Amore lontano, Einaudi

Se le parole non sono al servizio del dialogo e dell'intendimento, se vengono impiegate in modo scorretto, strumentale e non hanno più corrispondenza col loro significato originario, il nostro parlare e scrivere diventano settari, antidemocratici, mistificanti. pevolezza; al contempo però bisogna vigilare che tali trasformazioni non vengano provocate in modo strumentale, strategico, ovvero con intenzioni manipolatorie. Da chi? Dalla politica - cui dà voce una stampa superficiale, acquiescente se non succube - dai potentati economici, dalle lobbie, dai cosiddetti opinion maker, e da certi intellettuali organici a questo o quel partito, ovvero da chi si avvantaggia se un fatto, un provvedimento o un qualunque messaggio arriva ai cittadini opportunamente arrangiato, storpiato o mistificato, affinché il suo intendimento risulti funzionale all'interesse di parte di cui lo speaker è portavoce.■

Adriano Amati. Scrittore. Oltre a libri di turismo ed arte ha pubblicato: Turista a Tebaide (1991) e Bertrand il matematico (1994) per Paolini Editore; Dialoghi del namoro (1997) per Severgnini Editore; Domicilio Mantova (2003) per l'Editoriale La Cronaca; Detto tra noi (2005) per Prospecta Editore; I miei (2006) per il Cartiglio Mantovano; Una voglia di Sur (2008) e L'iride azzurra (2010) per Lui Editore; Ballate (2013) per Clessidra Editrice; Nebbia a teatro (2014) per Paolini Editore. Partecipa attivamente alle iniziative editoriali di Clessidra Editrice.

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Letteratura

Lug-Set 2016 | anno VI - numero 22

PINOCCHIO un'interpretazione della società italiana nella fiaba di Collodi

In

di Vitaliano Biondi

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parole chiave. Pinocchio, Collodi, società, letteratura. Abstract. Scritta da Collodi nel 1881, Pinocchio è una delle fiabe più famose di tutti i tempi che si è prestata a molte interpretazioni e ha ispirato rifacimenti teatrali e cinematografici. È possibile rivedere nel suo testo una rappresentazione dell'Italia dell'epoca storica in cui l'opera è stata scritta che ben si adatta anche alla situazione attuale.

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inocchio come rappresentazione dell'italiano medio. C’era una volta un romanzo, scritto nel 1881 da Carlo Lorenzini detto Collodi, divenuto il libro italiano più famoso nel mondo. Una fiaba interpretata in chiave cristiana, esoterica, massonica, psicoanalitica che ha ispirato, e ancora ispira, ogni genere di rilettura e interpretazione: dai disegni alle trasposizioni cinematografiche. Favola che ha regalato al mondo una rassegna di personaggi diventati simboli (il Gatto e la Volpe, il Grillo parlante e Mangiafuoco). Divenire un classico della letteratura ad un burattino, che di studiare proprio non ne voleva sapere, deve essere sembrato davvero una burla del destino. Pinocchio è un “racconto di veglia”, un romanzo di (tras)formazione, il cui meccanismo narrativo fondamentale è la “metamorfosi”, il passaggio da una condizione all’altra,

una favola seria, un insieme di fantastico e di realistico. Pinocchio “non è un libro pedagogico”, va oltre, poiché la sua favola non è mai fiaba. Molti sono stati i rifacimenti, dalla “variazione” di Carmelo Bene al “libro parallelo” di Giorgio Manganelli, dal cartone animato di Walt Disney al film di Benigni. Come sosteneva Carmelo Bene, che di Pinocchio ne ha fatto un testo teatrale, Pinocchio è la maschera dell’italiano medio, l’ultima grande maschera italiana. Non per nulla l’autore gli fa abbracciare a un certo punto Arlecchino e il burattino si dichiara disposto a morire per lui, soltanto per lui. In Pinocchio, dove convivono l'indole cialtrona e furbesca dell'italiano medio c'è l'esaltazione della scappatoia, del sotterfugio bugiardo, del compromesso, del pressappochismo, dell'inconcludenza, tutti ingredienti mescolati, però, col senso del dovere e del timore della punizione. Pinocchio, prima di essere un furbe-

sco burattino, è un figlio che tradisce tutti coloro che lo amano e incarna in sé quel senso di colpa tipicamente mammone e tutto italico. Pinocchio è un burattino e vuole essere umano, ma non è né adulto né bambino. È un po’ come l'Italia che non è mai stata una nazione, però è stata creata come sostitutivo di nazione. Periodo storico dell'opera. Il libro di Pinocchio, scritto tra il 1881 e il 1893, vive in un periodo cruciale della storia del nostro paese che, avendo da poco raggiunta l'unità nel 1861, attendeva, come si augurava Massimo D'Azeglio, che nel frattempo si «facessero anche gli italiani». “Pinocchio ritrae l’italiano vero soprattutto se lo si colloca nell'epoca dell'Italia postunitaria, colta nella trasformazione da un Paese rurale e agricolo a un Paese di impronta cittadina e mercantile. Pinocchio vuole riscattare la sua condizione di nascita, vuole migliorare economica-


Anemos neuroscienze

Lug-Set 2016 | anno VI - numero 22

mente, e non a caso difende gli zecchini fino all'ultimo”. Fino alla morte, visto che si fa impiccare piuttosto che consegnarli al Gatto e alla Volpe. “Sì, fino alla morte. La volontà di arricchimento nell'Italia di quell'epoca è tale per cui la stessa trasformazione di Pinocchio da burattino a uomo è secondaria rispetto al possesso degli zecchini”. Il tentativo di Pinocchio di far fruttare i soldi sotterrandoli nel Campo dei Miracoli per farli fiorire in piante cariche di zecchini, è da interpretarsi non come un'ingenua curiosità, ma come “una poco infantile avidità, una voglia di lucro che diventerà un'ossessione permanente per i soldi”. “La situazione dell'Italia, sia quella rurale, sia quella mercantile, è rappresentata da Collodi a tinte fosche. Nell'Italia dell'epoca la fame è una condizione molto comune, e Pinocchio nelle prime pagine del libro non trova niente da mangiare nel Paese, perché è tutto chiuso e buio: “pareva il paese dei morti”. Ma anche più avanti, nella città di Acchiappacitrulli, Pinocchio incontra una terra desolata con cani spelacchiati, pecore tosate e infreddolite, galline senza cresta e farfalle senza ali. Pinocchio è in fuga dalla povertà verso la ricchezza e in questo senso il Gatto e la Volpe tentano di truffare un adulto in cerca di ricchezza e non un bambino in cerca di avventure”. Collodi è perciò ben consapevole di creare uno scenario che nella finzione letteraria ha però molti punti di riscontro con

la realtà storica. L'analisi pessimistica di Collodi si estende anche all'istruzione: l'ansia di Geppetto di comperare l'abbecedario a Pinocchio e di mandarlo a scuola rispecchia la situazione dell'Italia del tempo “con 17 milioni di analfabeti, ossia l'80 per cento della popolazione”. “Geppetto rappresenta la tipologia classica del genitore che vuole per il figlio una condizione migliore della propria e cerca innanzitutto di dargli più istruzione, ma Geppetto perde ben presto l'iniziativa e non la recupera più, il padre è alla fine un fallito, a cui Pinocchio “scappa di mano”, perché è il figlio e non il padre a rappresentare il dinamismo della nuova Italia”. “Pinocchio è anche furbo, o meglio lo diventa dopo essere stato ingannato, e soprattutto rappresenta lo spirito di avventura che gli consente di effettuare un passaggio di classe. Diventa un lavoratore e salva anche quella quasi madre, quasi moglie, quasi sorella che è la Fata. Pinocchio rappresenta in fondo anche la figura dell'emigrante italiano quando si fa guidare dal Colombo (nome scelto non certo a caso!) alla ricerca di Geppetto, a sua volta emigrato per cercare il figlio. Pinocchio incarna quindi lo spirito imprenditoriale dell'Italia, con un carattere fortemente individualista, perché non c'è solidarietà o amicizia duratura nelle sue avventure Non è tanto la diversità corporea a essere decisiva, non è un complesso per Pinocchio essere un burattino, la differenza la fanno gli zecchini”. Insomma Collodi vede bene che l'istruzione conta sì, se però riesce a produrre denaro. “Denaro ed eleganza, ricordiamo che per Pinocchio l'eleganza è molto importante, appena ha dei soldi da parte vuole comperarsi un vestito nuovo e anche da somaro. Pinocchio è soprattutto molto elegante, ben agghindato, “un ciuchino da innamorare””. Un'opera attuale? In ogni caso l’opera intera del romanzo Pinocchio, risulta essere il frutto dell’intuizione e di una capacità di prevedere gli avvenimenti o di descriverli con una validità

ancora attuale. A questo proposito mi piace citare il capito XVIII di cui ricordo sinteticamente il contenuto per chi lo avesse dimenticato; si racconta di quando Pinocchio, mandato dalla fata Turchina incontro al suo Babbo, incontra il Gatto e la Volpe che lo convincono a andare con loro per moltiplicare il denaro seppellendolo nel Campo dei Miracoli. Prima della semina del denaro, i tre arrivano in un paese di nome Acchiappacitrulli. Il paese è pieno di poveri e di disperati di cui si intuisce il precedente benessere. Collodi così lo descrive: “In mezzo a questa folla di accattoni e di poveri vergognosi, passavano di tanto in tanto alcune carrozze signorili con dentro o qualche volpe, o qualche gazza ladra, o qualche uccellaccio di rapina”. È un paese tanto particolare che quando Pinocchio, dopo aver seppellito le monete d’oro nel Campo dei Miracoli ed essersi accorto che il Gatto e la Volpe gli avevano rubato i soldi, si rivolge al Giudice e ai Gendarmi per ottenere giustizia, viene immediatamente arrestato e condannato alla galera. Ricordo tutto questo perché la descrizione sembra bene dipingere i tempi che stiamo vivendo. In questo paese, le parti più deboli (anziani, giovani, malati, emarginati, ecc.) sono le vittime predestinate di bande di “ladri e truffatori” senza che la legge si preoccupi della loro tutela. Quella va semmai ai truffatori, se la truffa è ben congeniata e i costi e i tempi per cercare di ottenere giustizia sono inimmaginabili. In questo scenario i cittadini, non hanno nessuna possibilità di difendersi e sono destinati inevitabilmente a soccombere nella totale indifferenza o, peggio, nella difesa dell'ineluttabilità del sistema. Ci troviamo poi immersi in un sistema economico sociale, governato esclusivamente dalla prevalenza del denaro finanziario, che dimostra maggiore abilità solo nello spreco ed è nemico della sana economia reale. Già nel 2008 le Banche Internazionali avevano creato denaro finanziario in derivati (1.285 trilioni di $) sufficiente a sostenere la vita economica di 21 Pianeti, di 21 simil Terre nel Cosmo. Nonostante questo i 4/5 delle Perso- ◄

Figura 10.1 - A fianco l'attore, regista e drammaturgo Carmelo Bene (1937 - 2002). Nella sua opera teatrale, andata in scena per la prima volta al Teatro Laboratorio di Roma nel 1961, Pinocchio rappresenta la maschera dell'italiano medio.

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Letteratura ◄ ne incarnate sull'unica Terra reale ha sofferto e continua a soffrire la fame per l'incomprensibile mancanza di mezzi di sussistenza. Il rischio tuttavia è di parlarne e di scriverne nell'indifferenza generale. L'assuefazione è l'arma più potente che il potere, qualsiasi potere, utilizza senza sparare un solo colpo. Sarebbe però un errore pensare che solo il Palazzo sia coinvolto in questa maxi rapina, il Palazzo è l'espressione di una società che è fatta anche da finanza, imprese, burocrazia, in parole più semplici, la nostra cultura è quella di una cleptocrazia elevata a sistema dove gli sfruttati sono sfruttatori di altri sfruttati. I furbetti di ieri parlavano di costi della politica, quelli di oggi, parlano di casi isolati e di fatti accaduti a loro insaputa. Quelli di ieri avevano una logica: comandavano e rubavano e più rubavano, più comandavano, quelli di oggi dicono che la colpa è della magistratura e che si tratta di persecuzioni giudiziarie. Quelli di ieri erano la Banda Bassotti, quelli di oggi sono più raffinati e tra di loro non esiste neppure la figura del corruttore pentito. Ero partito da una favola e mi piace lasciarvi proponendovi qui di seguito il racconto di un’altra. Si tratta de “La pecora nera, favola di un altro grande scrittore, Italo Calvino, quanto mai attuale se leggiamo le cronache di quotidiane “ruberie” nostrane. C’era un paese dove erano tutti ladri. La notte ogni abitante usciva, coi grimaldelli e la lanterna cieca, e andava a scassinare la casa di un vicino. Rincasava all’alba, carico, e trovata la casa svaligiata. E così tutti vivevano in concordia e senza danno, poiché l’uno rubava all’altro, e questo a un altro ancora e così via, finché non si rubava a un ultimo che rubava al primo. Il commercio in quel paese si praticava solo sotto forma d’imbroglio e da parte di chi vendeva e da parte di chi comprava. Il governo era un’associazione a delinquere ai danni dei sudditi, e i sudditi dal canto loro badavano solo a frodare il governo. Così la vita proseguiva senza inciampi, e non c’erano né ricchi né poveri. Ora, non si sa come, accadde che nel paese

Lug-Set 2016 | anno VI - numero 22 di venisse a trovare un uomo onesto. La notte, invece di uscirsene col sacco e la lanterna, stava in casa a fumare e a leggere romanzi. Venivano i ladri, vedevano la luce accesa e non salivano. Questo fatto durò per un poco: poi bisognò fargli comprendere che se lui voleva vivere senza far niente, non era una buona ragione per non lasciar fare agli altri. Ogni notte che lui passava in casa, era una famiglia che non mangiava l’indomani. Di fronte a queste ragioni l’uomo onesto non poteva opporsi. Prese anche lui a uscire la sera per tornare all’alba, ma a rubare non ci andava. Onesto era, non c’era nulla da fare. Andava fino al ponte e stava a veder passare l’acqua sotto. Tornava a casa, e la trovava svaligiata. In meno di una settimana l’uomo onesto si trovò senza un soldo, senza di che mangiare, con la casa vuota. Ma fin qui poco male, perché era colpa sua; il guaio era che da questo suo modo di fare ne nasceva tutto un cambiamento. Perché lui si faceva rubare tutto e intanto non rubava a nessuno; così c’era sempre qualcuno che rincasando all’alba trovava la casa intatta: la casa che avrebbe dovuto svaligiare lui. Fatto sta che dopo un poco quelli che non venivano derubati si trovarono ad essere più ricchi degli altri e a non voler più rubare. E, d’altronde, quelli che venivano per rubare in casa dell’uomo onesto la trovarono sempre vuota; così diventavano poveri. Intanto, quelli diventati ricchi presero l’abitudine anche loro di andare la notte sul punte, a veder l’acqua che passava sotto. Questo aumentò lo scompiglio, perché ci furono molti altri che diventarono ricchi e molti altri che diventarono poveri. Ora, i ricchi videro che ad andare la notte sul punte, dopo un po’ sarebbero diventati poveri. E pensarono: Paghiamo dei poveri

Figura 10.2 - Sopra, lo scrittore

e giornalista Carlo Lorenzini (18261890), meglio conosciuto con il nome di Carlo Collodi è diventato celebre per essere l'autore del romanzo Le avventure di Pinocchio. Storia di un burattino. che vadano a rubare per conto nostro. Si fecero i contratti, furono stabiliti i salari, le percentuali: naturalmente sempre ladri erano e cercavano di ingannarsi gli uni con gli altri. Ma, come succede, i ricchi diventavano sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri. C’erano dei ricchi così ricchi da non avere più bisogno di rubare per continuare a esser ricchi. Però se smettevano di rubare diventavano poveri perché i poveri li derubavano. Allora pagarono i più poveri dei poveri per difendere la roba loro dagli altri poveri, e così istituirono la polizia, e costruirono le carceri. In tal modo, già pochi anni dopo l’avvenimento dell’uomo onesto, non si parlava più di rubare o di esser derubati ma solo di ricchi e poveri; eppure erano sempre tutti ladri. Di onesti c’è stato solo quel tale, ed era morto subito, di fame. Italo Calvino ■

Vitaliano Biondi. Architetto, si occupa di architettura, giardini, paesaggio ed eventi culturali. Suoi lavori sono stati esposti alla Biennale di Venezia, al Beaubourg ed al Grand Palais di Parigi.

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’Associazione culturale e di volontariato Anemos, fondata nel marzo 2009, nasce per coordinare e ampliare le attività di volontariato sociale di un gruppo di amici di Novellara (RE), nonchè le attività culturali del Centro di Neuroscienze Anemos, l’attività editoriale scientifica in collaborazione con la casa editrice New Magazine Edizioni e con la casa editrice La Clessidra. Tra i vari campi d’attività accennati: Libera Università di Neuroscienze Anemos: organizza convegni, seminari e corsi multidisciplinari sul tema delle neuroscienze in collaborazione con La Clessidra Editrice (vedi testo sotto). Pubblicazione della rivista «Neuroscienze Anemos» ♦ “Libri Anemos”. Attività editoriale con la Casa Editrice New Magazine con una collana di Neuroscienze e una collana di Narrativa e Poesia ♦ Biblioteca di Neuroscienze Anemos ♦ Promozione e valorizzazione di giovani artisti ♦ Programmi di volontariato sociale nei paesi in via di sviluppo e in Italia

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ell’autunno del 2010 è nato il progetto «Neuroscienze Anemos», trimestrale interdisciplinare per l'integrazione tra le neuroscienze e le altre discipline. Il periodico di divulgazione scientifica, distribuito gratuitamente nelle biblioteche pubbliche della provincia di Reggio Emilia e Mantova e in altri circuiti distributivi, si sviluppa dalla collaborazione con La Clessidra Editrice, giovane casa editrice Reggiana (con sede a Reggiolo, RE) nata in un contesto di associazionismo culturale nel 2004 e costituitasi come casa editrice nel 2006. Editrice La Clessidra è specializzata in editoria periodica locale e settoriale, ma tra le sue attività si annovera anche l'editoria libraria; è inoltre attiva nel settore della comunicazione e del web marketing. Tra i nuovi progetti in corso si ricora "IISF. Istituto interdisciplinare di studi e formazione". Il centro è un luogo di ricerca, promozione della cultura, di scambio interdisciplinare, di formazione culturale e professionale. L'offerta formativa prevede corsi in vari ambiti disciplinari tenuti da esperti dei vari settori, seminari, gruppi di studio. Per approfondimenti si veda la pagina precedente.

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