“Neuroscienze Anemos. Trimestrale interdisciplinare per l'integrazione tra neuroscienze e altre disc

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ISSN 2281-0994

Trimestrale culturale a diffusione gratuita - Lug-Set 2014 ♦ anno IV - numero 14

Anemos neuroscienze

Trimestrale INTERDISCIPLINARE PER L'INTEGRAZIONE TRA NEUROSCIENZE E ALTRE DISCIPLINE

PSICOLOGIA E SOCIETà

PENSIERO AL FEMMINILE

L'ERA INTERNET

Una vita sempre "connessa", una rivoluzione culturale e mentale

artemisia gentileschi

La vita difficile di una donna geniale

NEUROBIOLOGIA E FISICA

NEUROchirurgia

un corpo in movimento

Differenti sistemi di neuroni presiedono ai movimenti lenti e veloci

Lento vs. veloce Le categorie "fast" e "slow" nella vita moderna, tra psicologia sociale, vissuto interiore e approcci biomedici

Cranioplastica

Neuroscienze

L'approccio fast o slow alla cranioplastica va valutato caso per caso, come sempre avviene in questioni chirurgiche

Il libero arbitrio, un tema sempre molto sentito nel dibattito tra neuroscienze e filosofia

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CENTRO DI NEUROSCIENZE ANEMOS Direttore sanitario: Dott. Marco Ruini

PSICOLOGIA CLINICA Psicodiagnosi (Dott.ssa Laura Torricelli) Psicoterapia di coppia e famigliare (Dott Federico Gasparini) Psicotraumatologia e EMDR (Dott.ssa Federica Maldini) Mindfulness (Dott.ssa Laura Torricelli) Psicopatologia dell'apprendimento (Dott.ssa Enrica Giaroli) NEUROPSICOLOGIA ADULTI

(Dott.ssa Caterina Barletta Rodolfi, Dott. Federico Gasparini)

NEUROPSICOLOGIA dello SVILUPPO (Dott.ssa Lisa Faietti, Dott.ssa Linda Iotti) AREA DI PSICHIATRIA Dott. Giuseppe Cupello Dott. Raffaele Bertolini

AREA DI OCULISTICA Dott. Valeriano Gilioli Dott. Vicenzo Vittici

SERVIZIO DI NEUROCHIRURGIA Dr. Marco Ruini: Responsabile Dr. Marco Ruini: Neurochirurgo, Patologia del rachide e cerebrale Dr. Andrea Veroni: Neurochirurgo, Patologia del rachide nell’anziano Dr. Andrea Seghedoni: Neurochirurgo, Instabilità del rachide Dr. Giampiero Muggianu: Neurochirurgo, Patologia del rachide e cerebrale

Collaborazioni Dr. Ignazio Borghesi, Neurochirurgo Prof. Vitaliano Nizzoli, Neurochirurgo Prof. Lorenzo Genitori, Neurochirurgia Pediatrica Dr. Bruno Zanotti, Neurochirurgo SERVIZIO DI TERAPIA ANTALGICA

Dr. Roberto Bianco, Anestesista, Terapia infiltrativa, Agopuntura Dr. Ezio Gulli, Anestesista, Terapia infiltrativa

SERVIZIO DI RIABILITAZIONE E RIEDUCAZIONE FUNZIONALE Dr. Aurelio Giavatto, Manipolazioni viscerali Dr. Nicolas Negrete, Fisioterapista Dott.ssa Maela Grassi, Osteopata SERVIZIO DI NEUROLOGIA E DI NEUROFISIOLOGIA Dr. Mario Baratti, Neurologo, Elettromiografia e Potenziali evocati Dott. Devetak Massimiliano, Neurologo, doppler tronchi sovraortici e transcranico Dr.ssa Daniela Monaco, Neurologia, Doppler transcranico per Parkinson

ANEMOS | Centro Servizi di Neuroscienze Poliambulatorio Medico | Libera Università | Ass. Culturale Via Meuccio Ruini, 6 | 42124 Reggio Emilia tel. 0522 922052 | Fax 0522 517538 | www.anemoscns.it info@anemoscns.it | www.associazioneanemos.org

Centro di riferimento: Centro di Neuroscienze Anemos, Reggio Emilia. Centri Ospedalieri per la Neurochirurgia del rachide e le tecniche mininvasive: Casa di Cura Salus Hospital (Re), Ospedale di Suzzara (Mn), Casa di Cura San Clemente (Mn), Casa di Cura Villa Maria Cecilia di Cotignola (Ra). Ambulatori: Reggio Emilia, Correggio, Suzzara, Poggio Rusco, Mantova, Carpi, Modena, Fiorenzuola, Olbia e Agrigento.


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Lug-Set 2014 | anno IV - numero 14

Uno sguardo globale

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uesto numero di “Neuroscienze Anemos” si costruisce su un tema che in apparenza appartiene più ai campi della sociologia e dell'antropologia che alle neuroscienze. Tuttavia, nel raccogliere il materiale, si è notato come il tema proposto (la contrapposizione tra vita veloce e lenta nella società attuale, categorie rese con i termini inglesi fast e slow per via dell'iconicità e forza simbolica assunta dai termini inglesi) si prestasse a discussioni veramente interessanti sul nostro mondo contemporaneo, aprendo un discorso di respiro molto ampio che comprende anche il funzionamento del cervello. Un periodico che ha l'ambizione di divulgare una prospettiva interdisciplinare nell'approccio alle scienze pure, applicate, sociali ed umane, non può che privilegiare uno sguardo sul presente, con lo scopo di capire gli adattamenti della mente alle nuove situazioni ambientali dovute soprattutto allo sviluppo tecnologico. Ciò non significa un mero appiattimento sull'oggi (lo dimostrano le tante e frequenti incursioni nel passato dei nostri approfondimenti), ma altresì il desiderio di non scadere in un'erudizione fine a se stessa o in un atteggiamento quasi didattico verso il lettore, anche perché le strategie di funzionamento del cervello sono le stesse da milioni di anni, ma l'ambiente, i condizionamenti, la cultura determinano come si estrinsecano. Abbiamo parlato di prospettiva interdisciplinare. Ci si presenta così l'occasione di far notare una piccola, ma importante novità che riguarda la testata. Mano a mano che la prospettiva si allargava, le neuroscienze allargavano la loro visione abbracciando non solo le discipline affini, ma tutto ciò che influisce sulla nostra vita: pensiero filosofico, estetica, etica, architettura, arte. Ecco, quindi, che “Neuroscienze Anemos” viene più opportunamente definito come trimestrale interdisciplinare per l'integrazione tra neuroscienze e altre discipline. I paradigmi e le problematiche delle neuroscienze rimangono il punto di partenza di ogni discussione, anche perché riteniamo che queste offrano il collegamento con altre discipline che si interrogano sull'uomo e sul mondo che l'uomo vive e costruisce. Sono il punto di raccordo che se non è prospettiva unica, è certamente tra le più importanti di oggi. In questo senso, le neuroscienze, se saranno capaci di integrarsi e sposarsi con problemi filosofici, contribuiranno a rispondere a quelle domande che fin dalla nascita del pensiero, forse fino dalla nascita dell'umano, ci poniamo. Il lettore avrà notato nei numeri del passato che sovente convivono contributi di studiosi affermati (accademici di varia formazione, professionisti del settore medico o psicologico), con contributi di stampo più opinionistico e problematico, lontani da certa assertività più tipica di

Editoriale

testi scientifici. Questo laboratorio di confronto è altra caratteristica costitutiva della linea editoriale di questo progetto. Ed in questa linea rientra anche la possibilità di dare spazio a giovani studiosi e culturi delle materie che via via tratteremo. A questo proposito in questo numero trovate un articolo, tratto dalla tesi di laurea della Dr.ssa Ilenia Compagnoni, giovane cultrice di neuroscienze laureata in psicologia. L'articolo fa il punto Si possono inviare proposte di articoli, della situazione segnalazioni di eventi, commenti del complesso tema o altro all’indirizzo del libero arbitrio, redazione@clessidraeditrice.it affrontato dal punto di vista della neurobiologia e della neuropsicologia. Ci trovate anche su Facebook La Dott.ssa https://www.facebook.com/Rivista.Anemos https://www.facebook.com/LaClessidraEditrice Compagnoni parte dal noto esperimento di B. Libet, per poi analizzare i risultati successivi e più recenti. Oltre a essere un modo per valorizzare giovani studiosi, riteniamo sia interesse di tutti rendere pubbliche le tesi di laurea più significative. La Libera Università di Neuroscienze Anemos ha iniziato a pubblicare integralmente le più significate tra quelle che ci vengono inviate. Come per il numero precedente, in chiusura trovate l'approfondimento dedicato al “pensiero al femminile”. Il personaggio è Artemisia Gentileschi, pittrice donna in un mondo, quello dell'arte del XVII secolo, fatto di uomini. La sua figura è commentata dal Prof. Pavesi Mario, importante scultore e pittore contemporaneo. Le vicende della famosa pittrice sono emblematiche per la condizione della donna e una riflessione su Artemisia è ancora utile e attuale. Gli Editori La Clessidra Editrice Libera Università di Neuroscienze Anemos

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SOMMARIO

Lug-Set 2014 | anno IV - numero 14

Lento vs. veloce

Le categorie "fast" e "slow" nella vita moderna, tra psicologia sociale, vissuto interiore e approcci biomedici

Editore: Editrice La Clessidra / Anemos Redazione Via 25 aprile, 33 42046 Reggiolo (RE) redazione@clessidraeditrice.it Tel 0522 210183 Direttore Responsabile Davide Donadio davidedonadio@clessidraeditrice.it Direttore Scientifico Marco Ruini info@anemoscns.it Redazione: Marco Barbieri, Tommy Manfredini, Paola Torelli. Comitato scientifico* Adriano Amati Laura Andrao Mario Baratti Mauro Bertani Raffaele Bertolini Vitaliano Biondi Arcangelo Dell'Anna Sergio Calzari Giuseppe Cupello Pinuccia Fagandini Lorenzo Genitori

Enrico Ghidoni Franco Insalaco Giovanni Malferarri Antonio Petrucci Sara Pinelli Ivana Soncini Leonardo Teggi Laura Torricelli Bruno Zanotti Maria Luisa Zedde

Rubriche e notizie 06

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Registrazione n. 1244 del 01/02/2011 Tribunale di Reggio Emilia Iconografia: alcune immagini presenti in «Neuroscienze Anemos» sono tratte da siti internet contenenti banche dati di immagini di libero utilizzo. Qualora vi fossero stati errori e omissioni relativi al diritto d’autore l’editore rimane a disposizione per sanare la sua posizione.

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* Il comitato scientifico è composto da persone che partecipano a vario titolo e con continuità differente alle attività organizzate dalla Libera Università di Neuroscienze Anemos e di La Clessidra Editrice.

L'uomo macchina Un recupero (critico) di Konrad Lorenz

Hanno inoltre collaborato:

Luogo di stampa

La mappa del dolore

▪ La mappa mentale delle api ▪ Muscoli e cervello ▪ L'amore fa ringiovanire

Alessandro Carlini, Ilenia Compagnoni, Gian Marco Fulgeri, Pier Camillo Parodi, Mario Pavesi, Angela Verlicchi, Nicola Zingaretti.

E.Lui Tipografia - Reggiolo (RE)

Neuronews

di Davide Donadio

Incontri 12 La sessualità e l'handicap Incontro a settembre


Anemos neuroscienze

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Una vita troppo veloce?

Tra psicologia e rivoluzione culturale. Da sempre la contrapposizione tra il passato e la modernità è stata resa emblematicamente con i concetti contrapposti di fast e slow

Psicologia / Sociologia Iperconnettività

La velocità della comunicazione ha comportato diversi cambiamenti psico-sociali. Una vita "sempre connessa" che ha risvolti positivi e negativi

di Gian Marco Fulgeri

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Psicologia / Filosofia Una vita troppo veloce

La velocità come valore positivo? Quando la dimensione esistenziale del fast risulta disadattiva di Raffaele Bertolini

Tu chiamale se vuoi, emozioni

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di Laura Andrao

Neurofisiologia / Fisica Un corpo in movimento

Azioni lente e azioni veloci rispondono a diverse strutture neuromuscolari di Alessandro Carlini

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Chirurgia / Psicologia Cranioplastiche: né fast né slow!

Il fattore velocità non è sempre determinante come si pensa di B. Zanotti, A. Verlicchi, N. Zingaretti, P.C. Parodi

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Sociologia / Storiografia L'invenzione delle vacanze

Un uso che ha seguito lo sviluppo sociale e giuridico. Parliamo di vacanze, tra mode e comportamenti consapevoli di Vitaliano Biondi

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Neuroscienze / Filosofia

Altri Approfondimenti

Ma siamo liberi?

Libero arbitrio e neuroscienze. Come e perchè decidiamo le nostre azioni?

di Ilenia Compagnoni

Artemisia Gentileschi: il personaggio

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Artemisia Gentileschi

di Mario Pavesi

Madri e donne nei dipinti di Artemisia www.clessidraeditrice.it


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Rassegna di notizie tra neuroscienza, filosofia e scienze cognitive

Conoscere il funzionamento delle sinapsi Ora è possibile grazie alla creazione di un modello che spiega il funzionamento di migliaia di proteine

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er la prima volta uno studio condotto da un gruppo di ricercatori dell'Università di Göttingen, del Max-Planck-Institute per la biofisica chimica e del Leibniz Institut per la farmacologia molecolare ha creato un modello delle sinapsi, cioè di quelle strutture che permettono ai neuroni cerebrali di comunicare tra loro. Il modello tridimensionale creato analizza una sinapsi comune del cervello di un ratto e permette di visualizzarne alcune migliaia in dettaglio atomico. La scoperta, pubblicata su “Science”, avrà importanti ripercussioni per quanto riguarda la nostra capacità di comprendere il funzionamento del sistema nervoso. Un impulso elettrico viene trasmesso da un neurone all'altro attraverso il rilascio di neuromediatori, particolari sostanze che vengono rilasciate nello spazio sinaptico che separa i due neuroni. Quando raggiungono il secondo neurone, i neuromediatori provocano la sua attivazione e una loro parte viene riassorbita dal neurone e riciclata. Per il loro studio i ricercatori hanno isolato nel cervello di topo alcune sinapsi e analizzato i livelli quantitativi delle diverse proteine durante le fasi di rilascio e ricaptazione dei neurotrasmettitori. Le sinapsi sono state, inoltre, analizzate con un microscopio elettronico che ha permesso di osservare la posizione, le dimensioni e il numero degli organelli coinvolti. Si è così scoperto come il numero di copie di ogni proteina presente nella sinapsi varia nel corso delle diverse fasi del riciclo delle vescicole sinaptiche.

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Una mappa della sensibilità al dolore

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L'acuità spaziale al dolore è massima sulla fronte e sulla punta delle dita

a nostra capacità di provare dolore è indipendente dal tatto e varia nelle diverse zone del corpo: è massima sulla fronte e sulle dita. A fare questa scoperta e a realizzare la prima mappa dell'acuità al dolore, ovvero la capacità umana di distinguere spazialmente gli stimoli dolorosi, è stata un'equipe formata da ricercatoti dello University College London e dell'Università di Modena. Lo studio, pubblicato su "Annals of Neurology", ha inoltre indagato i rapporti fra sensibilità al tatto e sensibilità al dolore. L'esperimento è stato condotto prima su 26 volontari e poi su un paziente affetto da un'anomalia che lo rendeva insensibile al tatto e non al dolore. Su alcuni punti del corpo dei soggetti sono stati puntati due laser, appositamente calibrati affinché stimolassero solo i nervi del dolore presenti nello strato superiore delle pelle e non le cellule che si trovano più in profondità e che percepiscono il tatto. I pazienti sono stati bendati di modo che non fossero in grado di vedere se ad essere in funzione era un solo laser o entrambi e dovevano comunicare ai ricercatori

se sentivano una puntura o due. L'esperimento è stato poi ripetuto sul paziente affetto da anomalia e i risultati hanno confermato che l'acuità per il dolore è indipendente da quella per il tatto. I risultati hanno dimostrato come l'acuità spaziale migliori andando verso il centro del corpo, ad eccezione della pelle del palmo delle mani, mentre, al contrario, l'acuità del tatto è migliore alle estremità. La ricerca ha, inoltre, evidenziato un aspetto particolare: solitamente l'acuità sensoriale è maggiore in quelle zone del corpo che hanno una maggiore densità di fibre nervose. Eppure le dita sono risultate estremamente sensibili, nonostante abbiano una bassa densità di cellule nervose sensibili al dolore. Secondo i ricercatori, ciò potrebbe dipendere dall'utilizzo pressoché continuo che facciamo dei polpastrelli, che avrebbe reso il sistema nervoso centrale in grado di elaborare le informazioni in modo particolarmente accurato.


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Come si orientano le api? Mente animale. Secondo nuovi studi, le api sono in grado di formare mappe mentali dell'ambiente in cui si trovano

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e api sono in grado di orientarsi? E se sì, come fanno? A rispondere a questa domanda è stato uno studio pubblicato sui “Proceedings of the National Academy of Sciences” a firma di James F. Cheeseman e colleghi dell'Università di Auckland. Sappiamo, infatti, che i mammiferi sono in grado di orientarsi grazie alla capacità di generare, aggiornare e conservare mentalmente una mappa cognitiva dell'ambiente in cui si trovano e che stanno esplorando. Questa capacità presuppone l'utilizzo di una grande quantità di risorse cognitive, che hanno fatto la loro comparsa solo ad un punto avanzato dell'evoluzione, motivo per cui le specie animali più semplici non le possiedono. Alcune ricerche condotte sugli invertebrati hanno, tuttavia, dimostrato che anche essi possiedono notevoli capacità di orientamento. In particolare le api per orientarsi non solo farebbero riferimento alla posizione del Sole, come già dimostrato in precedenza, ma sarebbero in grado di costruirsi una vera mappa

mentale dell'ambiente che stanno esplorando. Per arrivare alla scoperta di questi risultati sono stati condotti diversi esperimenti. In un primo caso, un'ape, in volo verso l'alveare, veniva catturata dai ricercatori, per poi essere liberata in un altro punto sempre dello stesso ambiente. Una volta rimessa in libertà, tuttavia, l'ape riprendeva a volare, andando nella stessa direzione verso cui stava andando prima di essere catturata. Questo porterebbe quindi a supporre che le api non siano in grado di crearsi una mappa cognitiva dell'ambiente in cui si trovano, perchè in questo caso avrebbero dovuto cogliere le differenze con il paesaggio visto prima della cattura e ricalcolare il percorso dalla nuova posizione. Approfondendo lo studio, si è invece notato come le api non smarriscano del tutto la strada per arrivare al loro obiettivo, ma dopo un primo momento di disorientamento in cui si accorgono di non essere in grado di arrivare al loro obiettivo, riprendono la via corretta per

Il flusso sanguigno

nel cervello degli adolescenti

Nel corso dell'adolescenza si assiste ad una diversa irrorazione sanguigna del cervello di maschi e femmine

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urante l'adolescenza si assiste ad un minore afflusso di sangue che raggiunge il cervello. Questa differenza è maggiormente evidente se si analizza il cervello di maschi e femmine: la riduzione risulta essere più marcata nei maschi, portando così a quella situazione di minore irrorazione che caratterizza il cervello dell'uomo rispetto a quello della donna. Si sa, infatti, che il flusso sanguigno cerebrale è più elevato nei bambini che negli adulti. In particolare, ciò su cui si è soffermata questa ricerca,

condotta dall'Università della Pennsylvania e pubblicata sui “Proceedings of the National Academy of Sciences”, è stato cercare di capire come e quando nasce e si sviluppa questa differenza. Lo studio è stato condotto su un campione di 922 soggetti con un'età compresa tra gli 8 e i 22 anni e ha da subito dimostrato come all'inizio della pubertà il flusso sanguigno inizi a diminuire lentamente e con lo stesso ritmo nei due sessi. È solo a metà della fase della pubertà che si assiste ad un cambiamento tra maschi e femmine: nei ma-

raggiungerlo. Secondo alcuni ricercatori, le api avrebbero delle mappe mentali molto elementari, basate sulle immagini dell'ambiente in cui si muovono e prenderebbero come riferimento la posizione del Sole. Nel suo studio Cheeseman ha, invece, voluto aggiungere un ulteriore elemento di disorientamento per le api, addormentandole con un anestetico istantaneo. In questo modo al loro risveglio, non solo si trovavano in un punto diverso dell'ambiente, ma anche la posizione del Sole era cambiata. Nonostante le maggiori difficoltà, gli insetti sono stati in grado di riprendere la strada corretta verso il loro obiettivo. È stato così dimostrato come le api abbiamo sufficienti risorse cognitive per costruirsi una mappa mentale.

schi la diminuzione diventa più rapida e marcata fino all'inizio dell'età adulta. Al contrario, nel momento in cui finisce l'adolescenza si registra nelle femmine un nuovo aumento. Questa differenza sembra dipendere dalla diversa produzione di estrogeni, che anche dalla stimolazione del flusso sanguigno che agisce sulla neurogenesi, che in particolare riguarda quelle strutture che si occupano di creare associazioni tra stimoli di tipo diverso e gestione dell'affettività come l'insula anteriore e la corteccia orbitofrontale. Lo studio potrebbe avere importanti implicazioni nella comprensione di alcuni disturbi che solitamente si manifestano dopo la pubertà e che registrano un'incidenza diversa tra i due sessi, come la depressione, i disturbi ansiosi e la schizofrenia.

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Rassegna di notizie tra neuroscienza, filosofia e scienze cognitive

BREVI

Mente e... coltivazioni Le diverse pratiche di coltivazione di grano e riso porterebbero a differenti stili di pensiero

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a molto tempo si dibatte sulle differenze tra cultura orientale e occidentale e sulle loro origini. Ciò che distingue maggiormente le due culture è un diverso stile di pensiero: olistico e cooperativo nel primo caso, analitico e individualistico nel secondo. Una ricerca, effettuata da Thomas Talhelm dell'Università della Virginia a Charlottesville e da colleghi psicologi dell'Università del Michigan a Ann Arbor e della Beijing Normal University a Pechino, si inserisce nel lungo dibattito sulle origini delle differenze tra cultura orientale e occidentale ed è giunta alla conclusione che i diversi stili di pensiero affondano le loro radici nelle diverse pratiche di coltivazione richieste dai due cereali più diffusi al mondo: grano e riso. La coltivazione del grano favorirebbe la nascita di una cultura individualistica, mentre quella del riso di una cultura cooperativa. Finora il confronto tra questi due tipi di cultura è stato speculativo, dal momento che si basava sul confronto di culture che si trovano in contesti differenti: diversa posizione geografia, grado di istruzione, ricchezza, cultura... Questa ricerca, invece, i cui risultati sono stati pubblicati su “Science”, ha eliminato gran parte di queste differenze, dal momento che è stata condotta in Cina in regioni la cui principale differenza riguarda il cereale coltivato. Lo studio, durato quattro anni, si è basato sull'osservazione degli abitanti delle regioni settentrionali e di quelle meridionali. Talhelm ha, inoltre, analizzato il pensiero individualistico di un campione di studenti universitari provenienti dalle diverse province attraverso una serie di test psicologici standard. Si è così visto che gli abitanti delle province meridionali, che coltivavano riso, erano meno individualisti di quelli delle regioni settentrionali. La coltivazione del riso, infatti, richiede più fatica di quella del grano e un lavoro che coinvolge più persone dal momento che richiede il doppio delle ore, oltre alla condivisione delle acque in cui viene coltivato il cereale, la costruzione di dighe e canali e una loro costante manutenzione.

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Il catalogo delle proteine dell'uomo

Scoperta la "libreria genetica" dell'uomo

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uò essere considerato un vero catalogo delle proteine dell'uomo il risultato di due ricerche distinte compiute dall'Università Johns Hopkins di Baltimora e dall'Università di Tecnologia di Monaco. Una scoperta talmente importante che la rivista “Nature” ha deciso di dedicarle la copertina. Secondo lo studio le proteine che compongono quella che può essere definita la “libreria genetica” dell'uomo sono prodotte da 17.294 geni. La scoperta ha effetti persino più importanti rispetto a quella del genoma umano, dal momento che mentre i geni si occupano di fornire le istruzioni per il corretto funzionamento delle cellule, le proteine sono quelle che eseguono il lavoro richiesto. Sapere, quindi, quante sono le proteine e qual è il loro compito permette di avere un quadro di riferimento dell'uomo ancora più dettagliato. Per ottenere questi risultati i ricercatori hanno mappato le proteine presenti in diversi tipi di tessuto umano, grazie a particolari enzimi in grado di analizzare piccoli pezzi di proteine. L'uso di speciali marcatori ha, infine, reso possibile riconoscere i componenti di ogni proteina e la loro presenza nelle diverse cellule. In questo modo è stato, inoltre, possibile identificare 193 proteine provenienti da quella parte di Dna definito “Dna spazzatura” che si credeva erroneamente non codificasse alcuna proteina.

L'amore fa ringiovanire L'ossitocina combatte l'invecchiamento dei muscoli

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'ossitocina, l'ormone dell'amore e della fiducia, sarebbe in grado di far ringiovanire i muscoli. A scoprirlo sono stati i ricercatori dell'università californiana di Berkeley che hanno notato come questo ormone riesca a risvegliare le cellule staminali muscolari che comunemente si assopiscono man mano che l'età avanza. L'esperimento, pubblicato su “Nature Communications”, è stato condotto sui topi e se i risultati fossero confermati sull'uomo potrebbero avere importanti ripercussioni dal momento che l'ossitocina è la prima molecola antiinvecchiamento che è stata approvata nell'impiego clinico sull'uomo dalla Food and Drug Administration americana. Il suo utilizzo permetterebbe di creare un nuovo tipo di terapie adatte a prevenire o contrastare l'invecchiamento muscolare.


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Il superamento della barriera

tra sangue e cervello

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La scoperta di un nuovo gene permetterebbe di superare la barriera ematoencefalica e di favorire la terapia delle patologie cerebrali

no studio condotto da un'equipe della Harvard Medical School, pubblicato su “Nature”, ha individuato un meccanismo in grado di superare l'impermeabilità della barriera ematoencefalicaalla magg maggioranza delle molecole. La scoperta potrebbe avere importanti ripercussioni per quanto riguarda la cura di patologie cerebrali, dal momento che permetterebbe ai farmaci di arrivare al cervello. La barriera ematoencefalica, infatti, svolge una funzione fondamentale, mantenendo intatto il delicato ambiente

che circonda le cellule del cervello, dal momento che si occupa di selezionare le molecole che possono essere trasmesse dal sangue ai tessuti cerebrali. Se da una parte, quindi, ha un compito così importante, dall'altra in alcuni casi funge da ostacolo a farmaci che, raggiungendo il cervello, potrebbero curare tumori o infezioni. Come ha spiegato Chenghua Gu, direttore della ricerca, il 98% delle piccole molecole farmacologiche e il 100% di quelle grandi e degli anticorpi non riesce ad oltrepassare questa barriera. Durante il loro studio, condotto sui topi,

Chenghua Gu e colleghi hanno identificato un gene, chiamato Mfsd2a, attivo unicamente nelle cellule della membrana ematoencefalica. Hanno così scoperto che Mfsd2a è in grado di inibire la transcitosi, un meccanismo di trasporto delle molecole attraverso le barriere corporee, che risulta attivo in tutte le barriere che isolano organi tranne che in quella ematoencefalica. La scoperta permetterebbe di studiare nuove strategie per far arrivare i farmaci al sistema nervoso centrale. Inoltre, potenziando l'attività del gene Mfsd2a sarebbe possibile rafforzare la barriera ematoencefalica, il cui degrado è alla base di alcune malattie del cervello come Alzheimer, sclerosi laterale amiotrofica e sclerosi multipla.

Evoluzione e variabilità genetica La variabilità genetica all'interno della popolazione dei Neanderthal era inferiore rispetto a quella degli umani moderni

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ui “Proceedings of the National Academy of Sciences” è apparso recentemente un articolo firmato dai ricercatori del Max Planck Institut per l'antropologia evoluzionistica diretti da Svante Pääbo che ha esaminato la variabilità genetica nelle popolazioni di uomini di Neanderthal, di Denisova e di esseri umani moderni. Dai risultati è emerso come all'interno della popolazione dei Neanderthal, che vivevano in gruppi isolati molto ristretti, la diversità genetica era inferiore rispetto a quella degli umani moderni. Anche il tipo di diversità genetica è differente tra uomo di Neanderthal e uomini moderni: nei primi riguarda soprattutto la morfologia dello scheletro, mentre nei secondi si concentra nei geni relativi al comportamento e alla pigmentazione. Lo studio è stato condotto sui fossili

di tre uomini di Neanderthal ritrovati in Spagna (49.000 anni fa), in Croazia (44.000 anni) e in Siberia (50.000 anni fa), questi ultimi vicino a dove sono stati trovati i resti dell'uomo di Denisova. È così emerso come esista tra i Neanderthal esaminati una parentela genetica, nonostante siano stati ritrovati in siti molto lontani tra loro e siano databili in anni diversi. Inoltre, dalla ricerca è emerso come l'uomo di Denisova sia in realtà un gruppo fratello dell'uomo di Neanderthal: la loro diversificazione

si è avuta circa 100.000 anni dopo la loro separazione dal ramo evolutivo che ha portato poi alla nascita dell'uomo moderno. Osservando le variazioni di singolo nucleotide (SNP), che sono alla base del Dna, i ricercatori hanno scoperto che prima che l'uomo di Neanderthal e quello di Denisova si separassero, queste riguardavano principalmente i geni legati a tratti morfologici, al metabolismo, al sistema cardiovascolare e alla distribuzione dei peli. Successivamente le variazioni si sono concentrate nella variazione dei geni che definiscono la lordosi della colonna vertebrale. Nell'uomo moderno, invece, la variazione risulta maggiore in quei geni che controllano la pigmentazione, dando così vita alla attuale variabilità cromatica.

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L'uomo macchina

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Appunti liberi tra filosofia della mente, divagazioni antropologiche e letterarie

Un recupero (critico) di Konrad Lorenz Il pensiero dell'etologo austriaco è ancora utile e vitale per il lettore-studioso moderno

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e dovessimo individuare il paradigma dominante di questo inizio di millennio a proposito della nostra autorappresentazione, probabilmente sarebbe l'immagine dell'uomo che ci viene rappresentato dalla genetica ad occupare il primo posto. Nella pubblicistica, nelle comunicazioni di massa, nel cinema, l'uomo (e l'animale) manipolato in laboratorio dai biologi molecolari, è spesso il protagonista. Se poi all'uomo “genetico” affianchiamo l'azione della tecnologia, in particolare dell'integrazione uomo-informatica, ecco che avremo le principali componenti dell'immaginario contemporaneo. Ed è normale che sia così, ogni epoca vive di immaginari specifici. Negli ultimi anni, il paradigma dell'uomo naturale è vittima di una sorta di reflusso contro la visione sistematizzata all'epoca di Darwin e via via strutturatasi in modo sempre più preciso con il progredire degli studi naturalistici. Tuttavia, tale paradigma regge il colpo. Potrebbe contribuire ad un'idea meno superficiale e meno ideologica di tale paradigma, un recupero critico del pensiero di Konrad Lorenz, noto studioso austriaco e dai più ritenuto uno dei padri fondatori della moderna etologia. Il punto di partenza di questo ipote-

di Davide Donadio tico recupero, potrebbe partire per un lettore curioso da una godibile raccolta di saggi curata da Irenaus Eibl-Eibesfeldt (già allievo di Lorenz), quando ancora l'etologo era in vita: Natura e destino. (L'ultima edizione reperibile, a quanto mi risulta, è dell'inizio degli anni Novanta). La raccolta dei saggi compresi in questa pubblicazione ha il merito di rappresentare gli interessi dell'etologo ben oltre la semplice ricerca sul comportamento e la psicologia comparata. Lorenz, infatti, sentiva costantemente l'esigenza di avere un'idea generale dell'uomo, e per questo spesso le sue riflessioni, partendo da osservazioni sperimentali e oggettive, arrivano a considerazioni di tipo sociologico e filosofico. Secondo Lorenz, l'osservazione del mondo animale è utile per spiegare le connessioni tra l'evoluzione naturale e culturale. E per far questo non esita nel tentativo di dare una forma filosofica alle scienze naturali, e viceversa a ricondurre a spiegazioni naturalistiche le idee filosofiche. Un esempio tra tutti: l'intelletto è una funzione organica, e le forme dell'intuizione e le categorie fissate prime dell'esperienza non sono niente di più di un adattamento evolutivo, come lo zoccolo del cavallo sviluppatosi in rapporto al terreno su cui l'animale vive.

Insomma, Kant rivisto, o meglio dimostrato, dal punto di vista evolutivo: Che tutte le leggi della “ragione pura” siano sostanzialmente biologiche e si basino, se si vuole, addirittura su strutture meccaniche del sistema nervoso centrale umano, evolutesi, come ogni altro organo, nel corso di un millenario sviluppo, è un fatto che, una volta acquisito, invita alla modestia e che, se da un lato scuote la nostra fiducia in loro, dall'altro la aumenta sensibilmente. Appare una presunzione antropocentrica affermare la loro validità assoluta, e perfino che ogni possibile essere razionale, un angelo al limite, debba possedere le stessi leggi del pensiero. (p. 91 K Lorenz, Natura e destino, Arnoldo Mondadori Editore, Milano 1985. P.91 e ss.)

Interessante anche un'affermazione emblematica di Lorenz: la vita è un processo cognitivo. Vale a dire, l'adattamento dell'individuo e della specie nel corso delle generazioni risponde essenzialmente ad un processo di acquisizione di informazioni tratte dall'ambiente. E questo vale tanto per i comportamenti macroscopici, per esempio per quelli sociali, umani e animali, quanto per quelli strettamente biologici. Lorenz non critica apertamente il


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«Interessante anche un'affermazione emblematica di Lorenz: la vita è un processo cognitivo. Vale a dire, l'adattamento dell'individuo e della specie nel corso delle generazioni risponde essenzialmente ad un processo di acquisizione di informazioni tratte dall'ambiente.» Immagini - In alto Konrad Lorenz (1903-1985)

zoologo ed etologo austriaco considerato il fondatore della moderna etologia. A fianco Lorenz con un gruppo di oche. Alcuni risultati, come quelli dell'attacamento delle oche per gli esseri visti dopo la schiusa delle uova, resero lo studioso famoso.

riduzionismo delle scienze. Sostiene semplicemente che il riduzionismo generalizzante, come quello proficuamente impiegato dalla fisica, si possa applicare alla “struttura”, mentre un riduzionismo di tipo metodico, come quello delle scienze biologiche, possa essere applicato allo studio del particolare, tipico di questa sfera di indagine. È vero, però, che lo studioso austriaco tende a costruirsi una visione che per certi aspetti potrebbe definirsi conservatrice e a questa cerca di dare spiegazioni naturali. Ciò avviene, ad esempio, quando da più generiche considerazioni sociali-comportamentali relative all'uomo, l'autore si cala nella contemporaneità e vede, ad esempio nel mutamento dei rapporti tra i generi e i legami di coppia, un'involuzione dannosa. Parimenti, le sue posizioni sulla degenerazione della civiltà sanno un po' di ideolo-

gia, nonostante siano coerenti con la visione evoluzionistica che non assegna una direzione unica di progresso ai mutamenti temporali, ma solo di opportunismo ambientale. L'argomentare è abile, desunto da presupposti naturalistici, ma irrimediabilmente ideologico. È vero che Lorenz, attento osservatore della realtà, aveva ancora nella memoria l'epocale rivoluzione culturale avvenuta negli anni Sessanta, da un lato così proficua per alcuni importanti traguardi nell'evoluzione del costume e nell'estensione dei diritti, ma dall'altro lato fonte di inasprimenti ideologici violenti negli anni Settanta e preludio all'individualismo che

Lorenz aveva sotto gli occhi durante gli anni Ottanta. Fatte salve queste riserve, doverose a qualsiasi approccio critico, la lettura di Lorenz è ancora utile e formativa per il lettore del secondo decennio del XXI secolo. ♦

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Incontri

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Un convegno sul tema Sessualità e disabilità Incontro il 29 settembre a Reggio Emilia in occasione della "Settimana della Salute Mentale"

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i svolgerà lunedì 29 settembre dalle ore 14.00 alle 18.00 presso la Sala Galloni di Reggio Emilia (Via Amendola, 2) il convegno dal tema "Sessualità e disabilità". Promosso in occasione della "Settimana della Salute Mentale" organizzata dalla Ausl di Reggio Emilia, si svolge in collaborazione con Ass. Dopodinoi, Ass. Sostegno e Zucchero Onlus e Libera Università di Neuroscienze Anemos. Questo il programma: - ore 14.00: registrazione dei partecipanti - ore 14.30: saluti e introduzione al tema con Gaddomaria Grassi e Marco Ruini - ore 14.45: proiezione del documentario “Cinquanta di questi giorni” di A. Lascioli, R. Pezzetta, F. Tosini. Moderatori: Marco Ruini e Sergio Calzari. - ore 15.20: Prof. Nicola Cuomo “La farfalla sulla pelle: team multidisciplinare” - ore 15.40: Dott.ssa Laura Andrao “Disabilità e sessualità: laboratorio dei

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vecchi e dei nuovi diritti” - ore 16.00: Dott.ssa Morena Landini “Sessualità e disabilità: aspetti clinicosociali e prospettive” - ore 16.20: Dott.ssa Mariana Garsi “All you need is love” - ore 16.40-16.50: coffee break - ore 16.50: testimonianze di Luciana Redeghieri (Ass. Sostegno e Zucchero), Delia Francavilla (Ass. L’Orlando Furioso), Dott.ssa Lorena Ficarelli (Ausl di Reggio Emilia) - ore 17.30: discussione e conclusioni A seguire, questionari ECM. Ingresso gratuito. Per iscrizioni rivolgersi a graziella.salardi@ausl.re.it Moderatori: Gaddomaria Grassi: Dirigente Medico Amministrazione Ausl di Reggio Emilia - Marco Ruini: neurochirurgo, direttore Associazione Culturale onlus Anemos - Sergio Calzari: presidente Associazione onlus “La Fondazione”. Relatori:

dagogista, professore associato confermato di didattica e pedagogia speciale presso il Dipartimento di Scienze dell’Educazione “Giovanni Maria Bertin” - Dott.ssa Laura Andrao: legale dell’associazione nazionale di ragazzi disabili de@si - Dott.ssa Morena Landini: psicologa, consulente in Sessuologia Clinica - Dott.ssa Marianna Garsi: ostetrica - Maria Lorena Ficarelli: responsabile area sociale del distretto presso Ausl - Delia Francavilla: rappresentante dell’associazione “Sostegno e Zucchero”. A seguire, in serata, presso la sala convegni dell’Associazione Culturale Anemos (via M. Ruini, 6 - Reggio Emilia) alle ore 21.00 saluti e introduzione al tema di Marco Ruini. Alle ore 21.20 proiezione del film: “The special needs” di Carlo Ziratti. Alla fine della proiezione, commento al film e discussione. Per informazioni: info@anemoscns.it

Prof. Nicola Cuomo: pe-

Settimana della salute mentale


A Il tema del numero

lento vs veloce Le categorie "fast" e "slow" nella vita moderna, tra psicologia sociale, vissuto interiore e approcci biomedici

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lento vs veloce

Le categorie "fast" e "slow" nella vita moderna, tra psicologia sociale, vissuto interiore e approcci biomedici Mappa concettuale: il Tema del numero

Percorsi interdisciplinari

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psicologia e filosofia La velocitĂ come valore positivo?

NEUROFISIOLOGIA E FISICA Azioni lente e azioni veloci rispondono a diverse strutture neuromuscolari

1 PSICOLOGIA E SOCIOLOGIA

La velocitĂ della comunicazione ha comportato diversi cambiamenti psicosociali.

Dalle neuroscienze alle scienze umane e sociali 14


Anemos neuroscienze

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Strumenti di lettura I testi di «Neuroscienze Anemos» sono idealmente suddivisi in In - Interdisciplina App - Approfondimenti R/Np - Ricerca e nuove proposte Agli articoli viene inoltre assegnato un numero che indica la complessità di comprensione del testo da 1 a 5.

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5 6 Il fattore velocità non è sempre determinante come si pensa

sociologia e storiografia L'invenzione delle vacanze: un uso che ha seguito lo sviluppo sociale e giuridico

Altri approfondimenti

CHIRURGIA E PSICOLOGIA

NEUROSCIENZE E FILOSOFIA Libero arbitrio e neuroscienze. Come e perchè decidiamo le nostre azioni?

IL PERSONAGGIO Artemisia Gentileschi: la vita difficile di una donna geniale

7 Approfondimenti interdisciplinari e altri punti di vista 15


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INTRODUZIONE AL TEMA

una vita troppo veloce?

Tra psicologia e rivoluzione culturale Da sempre la contrapposizione tra il passato e la modernità è stata resa emblematicamente con i concetti contrapposti di fast e slow

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l tema. Il lettore non scambi per un vezzo della moda l'utilizzo di termini inglesi al posto di quelli italiani, certamente equivalenti. La motivazione è da individuarsi negli artifici della comunicazione. Un termine di una lingua straniera (in questo caso la lingua globale, l'inglese) risalta nel discorso e assume anche valori simbolici e concettuali. Terminata questa sorta di giustificazione, ora spiegheremo il punto di partenza dal quale siamo partiti per affrontare il tema in esame. Le contrapposizioni sono, fin dalla cultura antica e dalle antiche civiltà orientali, fonte di interesse speculativo. Da queste, si è spesso sostenuto, deriva la realtà. Lo teorizzavano i mistici con terminologie di sapore religioso, ma lo riproponeva, in un certo qual modo, anche un pensatore come Hegel. Oggi, in un mondo globalizzato in cui convivono visioni differenti, sappiamo che anche sul piano epistemologico una visione che prenda in considerazione le contrapposizioni è necessaria per vivere in pace: solo accettando il punto di vista dell'altro è possibile vivere in pace. Sul piano linguistico, però, le contrapposizioni rivestono ancora tutto il loro impatto comunicativo, e qualche volta indicano questioni di sostanza e non solo di forma. Quando è terminata la vita “slow”? Per alcuni, dopo la fine del Medioevo e l'allargamento degli orizzonti al nuovo mondo. Per altri, forse più motivatamente, dopo la rivoluzione industriale. Gli sviluppi impetuosi che essa ha comportato, però, sono diventati travolgenti solo nel corso del Novecento. L'Italia, ad esempio, è divenuto un vero paese industriale solo dopo la Seconda Guerra Mondiale, in particolare nel tanto celebrato periodo del boom economico (1959-1963) in cui la crescita del Prodotto Interno Lordo era paragonabile a quello delle odierne potenze asiatiche. Tuttavia, l'onda lunga della rivoluzione industriale è arrivata fino alla fine del secolo, con la nascita e la diffusione planetaria di Internet. Questa fondamentale ed epocale innovazione tecnologica ha ulteriormente velocizzato lo stile di vita contemporaneo, causando una vera e propria rivo-

Anemos neuroscienze

luzione culturale e mentale delle nostre società. I contenuti. Questo primo aspetto è analizzato dal Dott. Gian Marco Fulgeri, (filosofo e psicologo) ricercatore presso l'Università di Modena e Reggio Emilia. Il Dott. Fulgeri analizza i cambiamenti psico-sociali e comportamentali avvenuti, o in corso, in relazione ad una vita perennemente connessa. Da una prospettiva diversa parte il Dott. Raffaele Bertolini (Psichiatra), che con un approccio forse più filosofico che psicologico, individua una potenziale disadattiva nella vita “fast”, intesa come fattore totalizzante e positivo nella frenetica vita odierna. È poi sembrato utile approfondire l'idea di movimento nell'essere umano. Un modo per passare da una categoria che per certi versi è stata trattata in termini metafisici, ad una sua visione più pratica. Il Dott. Alessandro Carlini, ricercatore presso il CNRS - "LEAD" Laboratory for Research on Learning and Development, Université de la Bourgogne, Dijon, France, ci descrive il funzionamento dei sistemi che consentono movimenti veloci e movimenti lenti, sistemi coordinati da diverse tipologie di neuroni e che si appoggiano ad altri circuiti relativi alla visione e all'udito. Un'ulteriore passo verso la concretezza del corpo, è dato dal contributo del Dott. Bruno Zanotti (Neurologo e Neurochirurgo) e colleghi. Il Dott. Zanotti si sofferma su una specifica tipologia di interventi chirurgici (la cranioplastica) per mettere in evidenza come l'idea a volte errata della velocità di intervento sia relativa. Chiude la sezione dedicata al tema di copertina, un godibile articolo di Vitaliano Biondi, architetto dai molteplici interessi, che si sofferma sull'uso sociale della vacanza, pretesto per concedersi a riflessioni su uno stile di vita non rispettoso della lentezza e dell'integrità della natura. Ricordiamo anche il breve contributo della Dottoressa Laura Andrao che ha realizzato un approfondimento relativo agli sport estremi e all'ansia di velocità che li caratterizza. ♦

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Psicologia Sociologia

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IPERCONNETTIVITà La velocità della comunicazione ha comportato diversi cambiamenti psico-sociali. Una vita "sempre connessa" che ha risvolti positivi e negativi In

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di Gian Marco Fulgeri

parole chiave. Connessione, internet, social network, dipendenza, adrenalina. Abstract. L'utilizzo di internet è un'azione ormai quotidiana per quasi ognuno di noi. Per molti, inoltre, questo utilizzo avviene quasi in ogni istante con il proprio smartphone, attraverso e-mail, Facebook, WhatsApp, ecc. L'impatto che internet sta avendo sulle nostre vite è quindi molto importante, al punto che in alcuni casi può provocare vere e proprie dipendenze che restano in molti casi non percepite come tali.

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na vita sempre connessa. A settembre dell’anno scorso l’Huffington Post ha pubblicato una lista degli 8 posti senza connessione a internet più belli del mondo. Nessuna connessione tramite smartphone e pochissimi hotel che offrono una connessione Wi-Fi, niente e-mail, Facebook, ecc. L’articolo è singolare, considerando che viviamo in una società che sembra preoccuparsi della velocità di connessione, dando per scontato che la connessione ad Internet debba essere sempre a disposizione. Ancor più singolare è che l’articolo non ci sembra per nulla strano: per

“staccare la spina”, infatti, cosa potrebbe essere più d’aiuto che la scusa di non avere internet per evitare di controllare le proprie e-mail o di rispondere ai messaggi di Facebook e WhatsApp? La pervasività con la quale Internet si è imposto nella nostra vita è innegabile; guardandoci intorno, infatti, sempre più persone hanno la testa china sul loro smartphone (che ormai è obsoleto chiamare cellulare), sempre connessi in ogni istante. Un gruppo di ricerca dell’Università di Modena e Reggio Emilia coordinato dal prof. Sandro Rubichi, ordinario di Psicologia Generale, ha rilevato che lo smartphone ha aumentato sensibilmente il nostro utilizzo di


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internet e che in un campione di più di 300 studenti universitari quasi il 18% dei ragazzi indicava un impatto importante di internet sulla propria vita: su 20 persone, quindi, almeno 3 lamentavano di far fatica a disconnettersi. Pensiamo ad esempio al senso di smarrimento quando ci capita di dimenticare a casa il nostro telefono: quanti km saremmo disposti a fare per tornare a prenderlo? Saremmo disposti a fare altrettanti km se ci fossimo scordati l’orologio, l’agenda o la lista della spesa? O penseremmo piuttosto ad alcune strategie per “come fare senza”? L’attrattiva che genera internet è considerevole e come strumento ha

Anemos neuroscienze

migliorato la qualità di vita sotto diversi aspetti. Le sue potenzialità sembrano essere senza limiti; è di poco tempo fa la notizia che Google sta sperimentando alcuni prototipi di automobili elettriche senza conducente utilizzabili con solo un tasto on/off, adatte quindi anche a ciechi, bambini, ecc. per le quali è possibile selezionare la destinazione tramite la stessa autovettura, ma anche tramite lo smartphone o il PC (tutti, naturalmente, connessi ad internet), ed essere trasportati automaticamente. È invece più “navigato” il prototipo del 2012 (già in commercio dall’anno scorso), sempre di Google, degli occhiali costantemente connessi ad internet, ◄

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60 secondi di internet

vengono effettuate 2 milioni di ricerche su Google

Vengono caricate 72-100 ore di filmati su Youtube

vengono creati 278 account Twitter

su Facebook si cliccano 1,8 milioni di “mi piace”

Internet può considerarsi il corrispettivo sociale della globalizzazione dell'economia cominciata negli anni Novanta del XX secolo. Cosa succede su internet ogni 60 secondi? Vengono caricate 72-100 ore di filmati su Youtube, vengono effettuate 2 milioni di ricerche su Google, vengono creati 278 account Twitter, e su Facebook si cliccano 1,8 milioni di “mi piace”. Una statistica indicativa, ma precaria perchè in continua evoluzione.

◄ che permettono di telefonare,

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di navigare su internet, di fare da GPS personale, e così via. Oggi il prototipo è una realtà sempre più vicina rispetto al passato; il primo iPhone, ad esempio, è solo del 2007 e vedere come questo tipo di tecnologia è entrato nelle nostre vite ci permette di avere la misura di come sia recente il mutamento culturale che la nostra società sta vivendo. Oggi, ad esempio, nessun adolescente sotto i 18 anni di età comprerebbe un CD di musica o un film in DVD, ed è più probabile che lo scarichi gratuitamente (ed illegalmente) da internet. È infatti esemplificativa la pubblicità, ormai vecchia di più di 10 anni, nella quale si vedeva un ragazzo che entrava in un negozio e iniziava a rubare i CD e le videocassette e terminava con un roboante “Tu lo faresti?”, riferito al download pirata che si stava allora diffondendo su larga scala. Napster, uno dei primi software programma di file sharing che accanto a quelli

peer-to-peer (ossia quelli che permettevano il download gratuito di musica e film) iniziò a diffondersi solo nel 2000 ed è qualche anno più tardi, con le prime tariffe flat tramite ADSL (ossia una connessione veloce ad internet con un costo fisso, indipendentemente dal numero di ore con le quali si restava connessi), che lo spazio ed il tempo di internet diventano più “ampi”. È singolare anche notare quante persone utilizzino la macchina fotografica del proprio smartphone per fotografare il piatto che stanno per mangiare al ristorante per poi pubblicarlo su qualche social network come Facebook e condividere la loro esperienza con il gruppo di “amici”. Anche le relazioni tra amici sembrano aver subito sensibili mutamenti dall’aumento di accessibilità ad internet. Da un lato, infatti, molti di noi hanno un contatto costante e quotidiano con chiunque tramite i diversi social network e software di instant messaging (come WhatsApp). Sem-

pre al ristorante, è esperienza ormai comune vedere quante persone siano indaffarate sul loro smartphone a discapito della conversazione o in contemporanea a questa. In 2001: odissea nello spazio Kubrick immaginava che le macchine si sarebbero ribellate all’uomo, ma che l’uomo potesse sviluppare una sottomissione di questo tipo sarebbe stato difficile da immaginare. Essere in contatto continuo con le altre persone ci permette inoltre di toccare quotidianamente con mano i difetti che ognuno di noi ha. Una frequentazione un po’ meno assidua ci permetteva infatti di sorvolare e sopportare meglio le particolarità di ognuno. La sopportazione e l’attesa online è inoltre molto diversa rispetto a quella nella vita offline: in quest’ultima siamo infatti più propensi a metterci in fila, attendere il nostro turno e passare anche mezz’ora ad aspettare. Saremmo disposti ad aspettare mezz’ora su internet per ottenere qualcosa? O piuttosto spegneremmo il nostro di-


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Figura 1.1 - Nell'immagine la rappresentazione di una rete sociale, concetto estendibile anche alle reti formate dai social network. Le piattaforme web, infatti, consentono di superare in modo esponenziale la quantità di "nodi" (di individui appartenenti alla rete) rispetto alla vita reale. Ma si tratta veramente di interazione sociale?

spositivo spazientiti? Un contatto costante: individuo e società. Da un lato, quindi, l’esperienza di un contatto costante con le altre persone che sembra non avere solo aspetti positivi; dall’altro lato la selezione dei gruppi di amici. Un aspetto importante delle relazioni amicali classiche è il livellamento sociale che hanno: quando un membro del gruppo ha atteggiamenti che non sarebbero ben accetti in società, come ad esempio la superbia, l’immotivata preoccupazione (gergalmente definita come ansia), e altri fattori ritenuti negativi, gli altri membri fungono da livellatori sociali (tramite prese in giro, confronti) permettendo all’individuo di avere un’idea più chiara di cosa sia o non sia ben accetto all’interno di quel gruppo culturale (che può essere la propria zona, la propria città, il proprio posto di lavoro). All’interno

dei social network come Facebook, invece, ognuno può selezionare il proprio gruppo di cosiddetti amici ed essere lui stesso il livellatore, eliminando le amicizie che contrastano con le proprie opinioni. Sembra quindi essersi invertita la sequenza: non siamo più noi ad imparare cosa sia lecito o non lecito in società, ma decidiamo quello che per noi è lecito o non lecito creando così un nostro gruppo di amici ad hoc. Più che amici, in questo caso, sarebbe forse più corretto definirli seguaci o fans in quanto si limitano a cliccare “mi piace” sulle nostre affermazioni o a supportarle attraverso brevi commenti. In questi social network ognuno è al contempo protagonista e fan di altri protagonisti, tutti un po’ allergici a commenti negativi o ai pochi “mi piace”. Esistono, però, anche casi estremi di cosiddetto cyberbullismo, nei quali la vittima rischia di essere tormentata da una molti-

tudine di protagonisti e di loro fans molto più estesa e costante rispetto a quando era relegata al gruppo classe o al piccolo gruppo di persone fuori dalla scuola, con conseguenze anche tragiche, come viene riportato di tanto in tanto dalle cronache nazionali. Nel 1976 Amelie Rorty indicò la differenza tra una società fatta di persone ed una società fatta di individui: i diritti della persona, disse, vengono formulati all’interno di una società, mentre quelli degli individui scaturiscono da una rivendicazione nei confronti della società. La società che sembra delinearsi all’interno di internet sembra in effetti molto più vicina a quest’ultima, fatta di individui. In una società di “io”, però, l’individuo è molto più solo con sé stesso, anche se elettronicamente interconnesso con centinaia (e anche migliaia) di altri individui in ogni istante. E questa solitudine “reale” può alle volte essere sintomo di un disagio o di un malessere che può svilupparsi in diverse forme, tra cui una vera e propria dipendenza da quel mezzo che permette di colmare questo vuoto: internet. Internet dipendenza. Le dipendenze, come sappiamo, possono essere di due forme: con sostanze (come droghe, tabacco, alcool, ecc.) o senza sostanze (come il gioco, lo shopping compulsivo, ecc.). La comunità scientifica ultimamente sembra essere concorde nel pensare che non esistano tra le due forme di dipendenza particolari differenze comportamentali o neurobiologiche. Per entrambe, infatti, il sistema di ricompensa o di gratificazione (reward, in inglese) è media- ◄

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Psicologia Sociologia ◄ to dalla dopamina attiva lungo

le vie mesolimbiche. Il rilascio di questo trasmettitore comporta una potente attivazione dei recettori post sinaptici, con intensa gratificazione. Stimoli che producono motivazione e ricompensa come il sesso, il buon cibo, l’acqua, le sostanze stupefacenti, l'ascolto della musica, e simili (quindi cose sia normali, sia patologiche), stimolano il rilascio di dopamina. Il sistema del piacere è la fase finale in cui si raggiunge la gratificazione e la consumazione (del sesso, del cibo, delle droghe); questa ricompensa genera i meccanismi di rinforzo che sono alla base di tutte le dipendenze. Recenti ricerche hanno evidenziato come gli utenti più a rischio di sviluppare una dipendenza da internet sono quelli che lo utilizzano da minor tempo. In particolare, i più giovani presentano una maggiore tendenza a ricercare emozioni, ad evadere dalle difficoltà della vita reale e a sperimentare fenomeni dissociativi conseguenti ad un uso prolungato di internet. Queste ricerche hanno inoltre evidenziato la valenza compensatoria dell’uso della rete in soggetti con tendenza ad evadere dalla realtà e carenza di difese adeguate a rispondere alle sollecitazioni

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dell’ambiente circostante. La fuga nel virtuale sembra essere frequentemente connessa anche a difficoltà nei rapporti interpersonali. Alcuni individui presentano una varietà d’interessi o una dispersione degli stessi, modalità sollecitate anche dal grado di complessità degli ambienti virtuali, attraverso i suoi ipertesti (un insieme di documenti messi in relazione tra loro per mezzo di parole chiave, come ad esempio Wikipedia dove ogni parola rimanda ad un altro documento e cliccandoci sopra si può condurre una lettura a diversi livelli), e una tendenza a ricercare sensazioni che sottende intolleranza alla noia. In Giappone diversi clinici e ricercatori hanno notato atteggiamenti comuni nelle persone che avevano un uso prolungato di internet (dalle 1012 ore al giorno in su): queste persone avevano scelto di ritirarsi dalla vita sociale, spesso cercando livelli estremi di isolamento. Nei casi più gravi non uscivano dalla loro stanza né per lavarsi, né per alimentarsi, chiedendo addirittura che il cibo gli fosse lasciato alla porta di accesso alla stanza. Questa sindrome è stata chiamata di Hikikomori che in giapponese significa “stare in disparte, isolarsi”. Chi soffre della sindrome

«Nel 1976 Amelie Rorty indicò la differenza tra una società fatta di persone ed una società fatta di individui: i diritti della persona, disse, vengono formulati all’interno di una società, mentre quelli degli individui scaturiscono da una rivendicazione nei confronti della società. La società che sembra delinearsi all’interno di internet sembra in effetti molto più vicina a quest’ultima, fatta di individui.»

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GLOSSARIO MINIMO DELL'ERA INTERNET Browser. Un programma che consente di leggere le informazioni, e di navigare nella rete come Microsoft Explorer. Adsl. Asymmetric Digital Subscriber Line, cioè linea digitale asimmetrica, è un sistema che sfrutta per intero il flusso disponibile delle informazioni sul cavo telefonico privilegiando lo scaricamento dei dati da parte dell'utente. Dominio. Detto anche Nome di Dominio, è il nome che identifica un server (Web, di posta elettronica, Ftp, ecc.) su Internet ed è costituito dall'ultima parte completa del nome. Ipertesto. Stringa di testo attiva che consente il collegamento ad altre informazioni presenti nel documento, nella rete o ad una nuova Url. I link (che se cliccati provvedono a far caricare al browser una nuova pagina) sono appunto definiti Ipertesto. Peer-to-peer (P2P), il peer to peer è un modello di comunicazione nel quale ciascuna delle parti ha le stesse funzionalità e ognuna delle parti può iniziare la sessione di comunicazione, in contrasto con altri modelli come il server/client o il master/slave. Per quanto riguarda internet, P2P è un tipo di network transiente che permette ad un gruppo di persone con lo stesso programma, di connettersi e accedere direttamente alle risorse condivise. Server. Viene così definito un qualsiasi computer che, connesso alla rete, fornisce file, immagini, dati o servizi rendendoli pubblicamente disponibili.


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Figura 1.2 - In alto un adolescente giapponese intento a giocare con un video game. Il Giappone, per via della precoce diffusione della tecnologia, è stato uno tra i primi paesi in cui si è manifestata la dipendenza da internet, tanto da aver fornito il termine: questa sindrome è stata chiamata di Hikikomori che in giapponese significa “stare in disparte, isolarsi”. A fianco, le tremende condizioni in cui si riduce la stanza in cui questi ragazzi vivono isolati. di Hikikomori, generalmente ha un’età compresa tra i 19 e i 27 anni e per oltre il 90% dei casi è maschio e di estrazione sociale medio-alta. Il Giappone e tutto il bacino del sudest asiatico sono i Paesi con un’incidenza di accesso ad internet molto più alta che nel resto del mondo; gli stessi ricercatori credevano infatti che per le caratteristiche della popolazione e del territorio non fosse possibile trovare un Hikokomori al di fuori di queste aree. Recenti ricerche condotte negli Stati Uniti e in Europa hanno però contestato queste prospettive, trovando casi clinici anche nei loro paesi (compresa l’Italia).

Le dipendenze da internet possono avere diverse forme; i ricercatori ne hanno evidenziate 5: social network e chat, giochi online, shopping online, online sex e ricerca di notizie (news). La versione più recente del Manuale dei Disturbi Mentali più utilizzato al mondo, il DSM-V, ha inserito i giochi online (ossia quelli fatti utilizzando internet) tra le forme di dipendenza ormai unanimemente riconosciute dai clinici e dai ricercatori. Questa forma di dipendenza ha infatti origini nella generazione degli anni ’80 e sta avendo il suo apogeo con internet attraverso i MMORPG (Massively Multiplayer Online Role-

Playing Game, ovvero gioco di ruolo online multigiocatore di massa). Uno dei videogiochi maggiormente esemplificativi sembra essere World of Warcraft, un mondo virtuale ambientato in un medioevo popolato da orchi e fate, come la saga de Il Signore degli Anelli di Tolkien. In questo mondo virtuale non esistono limiti né di spazio né di tempo e l’utente può scegliere se essere un orco, un umano, una fata, può scegliere il sesso del proprio avatar (l’alter ego virtuale; la scelta del sesso che non sempre combacia con quello reale avrebbe bisogno dello spazio di un altro articolo per essere trattato), sceglie le casate e le alleanze con ◄

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Psicologia Sociologia

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◄ gli altri personaggi (che a loro

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volta sono gli avatar di qualcun altro), e così via. Migliaia di giocatori da ogni parte del globo possono interagire interpretando personaggi che si evolvono insieme al mondo che li circonda e in cui vivono. Si combattono guerre, nascono storie d’amore tra i personaggi in un parallelo con la vita reale che sembra non avere sempre un confine ben definito con quella virtuale (un hikikomori può innamorarsi di un personaggio virtuale? Se no, come interpretiamo questa emozione?). World of Warcraft, inoltre, ha un proprio tempo, anch’esso diviso in ore e giorni, con un’unica differenza con il mondo reale: il fuso orario. Per decidere una campagna di guerra, ad esempio, i vari personaggi si danno un appuntamento che può corrispondere alle 3:00 di mattina in Italia, alle 16:00 negli Stati Uniti e alle 21:00 in Nuova Zelanda, tutti appartenenti alla stessa brigata di combattenti. Nei casi di dipendenza da videogioco online notiamo allora che per poter essere presenti nel mondo virtuale si perdono ore di sonno, si trascura il lavoro e ci si disinteressa della famiglia. Le dinamiche della seconda dipendenza da internet, quella delle chat e dei social network, sono state brevemente accennate durante l’intero articolo. Nel Febbraio del 2014 Facebook contava 1,23 miliardi di utenti; 1/12 rispetto ai 100 milioni del 2008. Nel rapporto State of the Internet 2014 (http://www.kpcb. com/internet-trends) si rileva che continua ad aumentare la diffusione degli smartphone (+20%) e tablet (+52%) e il traffico che arriva da piattaforme mobili è aumentato dell’80%. I video sono i contenuti che portano più traffico, tant’è che Facebook ha comprato WhatsApp (una delle più importanti chat utilizzabili su smartphone; nell’Aprile del 2014 contava 500 milioni di utenti attivi che ogni giorno scambiavano 700 milioni di fotografie e circa 10 miliardi di messaggi di testo) per 19 miliardi di dollari. Sono cifre molto importanti che sembrano delineare la tendenza ad un utilizzo di internet sempre più “portatile” e sempre meno legato ad una scrivania ed un Computer. L’utilizzo delle chat e dei social network, come abbiamo visto

Figura 1.3 - In alto fotogramma del gioco World of Warcraft, uno dei videogames di gioco on-line più diffuso al mondo. Attraverso questi giochi, in condizioni patologiche, gli adolescenti entrano in un altro mondo, perdendo la cognizione del tempo e l'interesse per il mondo reale. dagli esempi iniziali delle persone nei ristoranti che chattavano durante la conversazione (o a discapito di questa), sembra stia diventando sempre più pervasivo. La linea di demarcazione, quindi, tra la dipendenza e la normalità sembra essere inerente l’impatto che ha sulla propria vita: riusciresti a farne a meno? Un altro tipo di dipendenza da internet è quella che riguarda il sesso online. L’internet sexuality (o OSA, Online Sexual Activities) si riferisce al contenuto e alle attività correlate al sesso osservabili su internet e designa una varietà di fenomeni sessuali (ad esempio, la pornografia, l'educazione sessuale, rapporti sessuali, ecc.) relativi a un ampio spettro di servizi on-line e applicazioni (come siti web, chat room, le reti peer-topeer). Gli incontri sessuali standard sono stati ampliati dal cosiddetto sesso online o cybersex, una forma mediata di incontro sessuale spesso caratterizzata da standard alternativi di selezione dei partner e script sessuali divergenti. La pornografia online inizia ad essere una dipendenza quando la si preferisce all’intimità reale con il proprio partner o, comunque, quando ha un impatto talmente importante che l’individuo è sottomesso al desiderio di andare online per accedere a siti pornografici. La penultima dipendenza da internet identificata dalle ricerche, lo

shopping compulsivo online, ha subito alcune modificazioni rispetto alla forma classica già conosciuta da diverso tempo sia dai clinici che dai ricercatori. La principale differenza è tangibile: infatti, non si tratta più di oggetti materiali, ma di immagini. La caratteristica principale dello shopping compulsivo, sia classico che online, non è nell’acquisto, ma nel desiderio incontrollabile dell’acquisto, fino al punto di spendere molto oltre le proprie possibilità per comprare oggetti (qualsiasi cosa: generalmente vestiti, ma anche suppellettili per la casa, accessori, e così via); inizialmente le persone che soffrono di questa dipendenza comprano per il piacere che si ricava da un nuovo acquisto, in seguito riportano uno stato di tensione crescente, ed il desiderio di comprare diventa un impulso irrefrenabile. Le immagini dei propri acquisti online diventeranno oggetti una volta spediti a casa ma una differenza importante con la dipendenza classica è la percezione della spesa: online, infatti, non si hanno ingombranti sporte dei propri acquisti che danno una misura dei prodotti acquistati. Sia online che offline è spesso utilizzata la carta di credito, per cui in entrambi i casi difficilmente si ha una indicazione immediata dei soldi spesi, ma il limite della dipendenza classica risiede anche nel dover uscire di casa: lo shopping compulsivo online, infatti,


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non richiede di doversi vestire, uscire di casa, recarsi nei negozi, interagire con i commessi, e così via. Da casa, tramite internet, aumenta la possibilità con cui si può dar sfogo al proprio impulso di acquisto e di conseguenza anche il numero di volte in cui lo si fa. L’ultima forma di dipendenza da internet identificata dai ricercatori è quella della ricerca di notizie (news). Questo tipo di dipendenza riguarda quelle persone “bulimiche” di notizie ansa, locali e nazionali. Spesso vengono attivati diversi alert (un servizio di aggiornamenti via e-mail o

Anemos neuroscienze

Il tema del numero

se forme di dipendenza da internet possono anche interagire tra loro: ad esempio, in molti videogames (tra cui lo stesso World of Warcraft) è disponibile un servizio di chat per interagire anche verbalmente con gli altri utenti; mentre si acquista online si possono vedere anche le notizie quotidiane, e così via. Tramite internet non esistono limiti di spazio e di tempo, a differenza del nostro fisico e della nostra mente, dotati di limiti dei quali hanno addirittura bisogno per poter condurre una vita equilibrata. Senza limiti, infatti, non avremmo la possibilità di

gliora la nostra qualità di vita, possiamo infatti prenotare un biglietto del treno, vedere quale ristorante è il più consigliato nella nostra zona e rispondere per tempo ad una email importante. Attraverso la rete siamo però all’interno di un mondo che non ha limiti sensoriali, per cui la nostra stessa percezione è dilatata, e rischiamo di non avere una chiara idea del tempo che sta passando e del nostro mondo reale che stiamo trascurando. Pertanto in alcuni casi, come abbiamo visto, le dipendenze si ampliano e difficilmente i famigliari e gli amici della persona che

Figura 1.4 - Nell'immagine la struttura della dopamina. Un neurotrasmettitore è una sostanza che veicola le informazioni fra le cellule componenti il sistema nervoso. Le dipendenze, la finzione di “ricompensa” o di gratificazione (reward, in inglese) sono mediate dalla dopamina attiva lungo le vie mesolimbiche. Il rilascio di questo trasmettitore comporta una potente attivazione dei recettori post sinaptici, con intensa gratificazione. Questa ricompensa genera i meccanismi di rinforzo che sono alla base di tutte le dipendenze.

sms sui più recenti risultati pertinenti ai criteri impostati) inerenti un argomento specifico o anche generico (che può riguardare la propria città, le cronache nazionali, ecc.). La realtà alterata. Le diver-

“staccare la spina” dal nostro lavoro, dalle nostre frequentazioni, dai nostri hobby e quotidianamente anche dalla nostra stessa giornata, alla fine della quale ci rilassiamo sul divano prima di andare a letto. Un uso “normale” di internet mi-

Indicazioni bibliografiche E. Aguglia, M.S. Signorelli, C. Pollicino, E. Arcidiacono, A. Petralia (2010), Il fenomeno dell’hikikomori: cultural bound o quadro psicopatologico emergente?, Giornale Italiano di Psicopatologia, 16:157-164

sta sviluppando una dipendenza da internet hanno una concreta percezione della gravità: il nostro infatti è in casa o sta usando (un po’ troppo) il suo smartphone, e questo… che male può fare? ♦ Gian Marco Fulgeri. Laurea in Filosofia indirizzo Psicologia Cognitiva, Master di II livello in Psicologia Clinica, è ricercatore presso l'Università di Modena e Reggio Emilia. Allievo di Giacomo Stella e di Enrico Ghidoni, è autore di numerose pubblicazioni inerenti la narrazione del sè e la costruzione dell'identità nella dislessia. Fa inoltre parte di un gruppo di ricerca sulle dipendenze da internet coordinato da Sandro Rubichi.

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Psicologia

Filosofia

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una vita troppo veloce

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Il tema del numero

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La velocità come valore positivo? Quando la dimensione esistenziale del fast risulta disadattiva

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di Raffaele Bertolini

parole chiave. Fast, slow, disadattivo, evoluzione, ambiente. Abstract. Sebbene alcune dicotomie concettuali siano semplicemente strumenti relazionali di comodo, nell'era attuale la contrapposizione fast/slow ha assunto una connotazione reale, in seguito all'aumento della velocità della vita, in particolare grazie alla velocità delle comunicazioni. La dimensione “fast” ha assunto l'unico valore positivo in contrapposizione a quella “slow”, identificata con il fallimento. Ma ciò ha comportato conseguenze disadattive per l'esclusiva attenzione sul presente e il divenire.

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a realtà della velocità. I costrutti sono rappresentazioni della realtà finalizzate all'omologazione degli oggetti osservati, in termini di similitudine e di contrasto: sono quindi chiavi di lettura, ipotesi interpretative e predittive, attraverso cui le persone leggono ed impostano la loro esistenza in molteplici aspetti, da quelli più profondi a quelli più pratici e correnti, e formulano previsioni sul loro futuro; il valore semantico dell’interpretazione del mondo, in termini di similitudine-contrasto è dato proprio dalla complementarietà dell’interconnessione dei termini, in modo che l’uno evoca lo scenario degli altri, omologhi e/o contrastanti: se io dico che quell’uomo è alto, dimostro di avere un’idea della rappresentazione dell’alta statura a cui appartiene quell’uomo e anche altri uomini simili a lui, ma mentre lo dico, evoco contemporaneamente in me una figura stereotipa contrastante all’uomo alto, che arbitrariamente pongo nella classe dei bassi di statura; è ovvio che il concetto di alto è culturalmente e individualmente soggettivo, ma ciò non interferisce nella costruzione delle relazioni complementari tra queste due categorie. Così il nostro mondo può essere descritto anche attraverso costrutti che tracciano termini di similitudine tra due soggetti e di differenziazione tra loro rispetto a tutti gli altri, impongono discriminazioni

categoriali del tipo brutto-bello, intelligente-stupido, triste-allegro, ricco-povero… virtuoso-vizioso e così via. Il costrutto “fast-slow” non è più una chiave di lettura come gli altri, perché il mondo della “informazione su rete”, lo ha reso una realtà vera, anche se virtuale, una dimensione prospettica, un modo di relazionarsi, ma soprattutto, un modo di vivere e di pensare la vita; diventando azione ed interazione, ha perso il valore semantico in cui l’un concetto implica l’altro ed è diventato antinomia dove un termine esclude categoricamente l’altro. In tal caso le polarità dicotomiche assolute ed incompatibili tra loro sono quella “del tutto veloce” e l’altra del “tutto lento”. La logica del pensiero dicotomico ("o tutto o nulla") è la seguente: se una situazione non è perfetta (e per esserlo deve avere il 100% di attributi esemplari del costrutto) allora non è altro che mancanza e completo fallimento. Quando la dimensione esistenziale del fast è disadattiva. Nella logica dicotomica sulla polarità dominante del costrutto (fast), il soggetto pone persone e cose che secondo il suo giudizio soggettivo posseggono il 100% degli attributi connotativi (del costrutto stesso: fast) e li rappresenta implicitamente in termini valoriali assoluti di positività (giudizio valoriale assolutamente ◄

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Psicologia

Filosofia

◄ positivo: “fast è bello, buono,

bravo, intelligente, vincente, giovane, efficace, amato, ricercato informato”). Quando la dimensione del “tutto fast” travalica dalla dimensione originale dei network ai contesti di vita, acquisendo aspetti valoriali assoluti e quasi sempre arbitrari, la velocità, l’ampiezza e la pregnanza comunicativa perdono la loro dimensione descrittiva e diventano concetti valoriali impiegati ad assolutizzare il raggiungimento degli scopi e a semplificare le interazioni in funzione del loro esponenziale allargamento; il passo disadattivo successivo è quello di “vivere fast” in modo sempre più globalizzante, attribuendo a questa dimensione i

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Figura 2.1 - In alto un'antenna

per le telecomunicazioni. La rete satellitare integrata con la rete internet ha permesso di rendere praticamente istantanee le informazioni in tutte le parti del globo, contribuendo a dare la sensazione di un mondo velocissimo.

valori rappresentativi della perfezione, che non possono appartenerle (così come a nessun'altra dimensione umana), e su cui arbitrariamente misurarsi in funzione dell’affermazione di sé. Ecco lo scopo per cui il soggetto assolutizza la positività della condizione fast (polarità dominante del costrutto). Sulla polarità subordinata del costrut-

to si pongono tutti gli altri soggetti, persone e cose che si giudica non possiedano gli attributi connotativi del costrutto al 100%, e che per il fatto di non possederli vengono implicitamente giudicati in modo discriminativo. “Ciò che non è totalmente fast e disprezzabile”; queste variabili concettuali (contenuti di pensiero, opinioni, valori, motivazioni) proprie sulla polarità “perdente” (slow), in quanto non premiante o non spendibile o non vantaggiosa o non appartenente alla cultura dominante, diventano sommerse e scompaiono, pertanto chi è slow non è tale, ma è semplicemente no fast, che significa lentezza, fallimento, inefficacia, inutilità. Questo modo di pensare è presente negli ambienti e nelle relazioni ove l’interlocutore si rende conto che il metro di giudizio è posto in termini di giusto-sbagliato, ove non sono contemplate le opinioni di mediazione, non sono tollerate le frustrazioni dei propri scopi, e dove è dominante l’atteggiamento del “perfezionismo e del “dover essere sempre nel giusto”, che porta all’intolleranza nei confronti dell’errore. La proiezione ortogenetica e l’esperienza del “vivere fast”. La proiezione ortogenetica è un concetto con cui Maturana (biologo cileno a cui si sono ispirati i Costruttivisti Cognitivi e Relazionali)

Figura 2.2 - In basso la rappresentazione per frames della corsa di un atleta. Identificando il vivere con il "vivere fast", non siamo in grado di formare una rappresentazione complessiva del sé, ma solo di percepire un'immediatezza sempre attuale. Così il “continuare a vivere” consiste nell’aggiornamento immediato di questa dimensione del vivere sé stessi momento per momento.

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Il tema del numero

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psicologia e cultura di massa

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uante volte nei mass media ci siamo imbattuti nel termine “borderline”? Protagonista di titoli di film e di libri, questo termine è entrato nella cultura di massa con un significato molto ampio e impreciso. Generalmente, con esso si indica il disturbo caratterizzato da vissuto emozionale eccessivo e variabile, o solo disturbo borderline. Si tratta di un disturbo di personalità che viene sinteticamente descritto come patologia caratterizzata da instabilità pervasiva dell'umore, delle relazioni interpersonali, dell'immagine di sé, dell'identità e del comportamento, e una più generale anomalia nella percezione del senso di sé. Per una più precisa definizione di questa famiglia di disturbi, si rimanda al Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali (DSM), uno dei sistemi nosografici per i disturbi mentali o psicopatologici più utilizzato da medici, psichiatri e psicologi di tutto il mondo. questa teoria è invece spendibile per dare una cornice temporale alla chiave esplicativa della nostra esistenza, che ha un inizio e una fine oggettive, ma che è fatta da una sequela di esperienze soggettive da connettere attraverso libere attribuzioni di significato; in questo processo semantico la rappresentazione della freccia del tempo, inteso come fenomeno fisico unidirezionale passato-presentefuturo, non contempla l’aspetto soggettivo del sentirsi e del diventare diversi da prima vivendo le nostre esperienze del bambino, dell’adulto, del vecchio che è in noi. Maturana rappresenta il tempo biologico come la storia delle strutturazioni evolutive dell’organizzazione autoreferenziale del sistema, fino alla sua disintegrazione; avendo come punti di riferimento, nella stesura della nostra biografia, i due eventi ineludibili che sono la narrazione della nostra nascita e la rappresentazione anticipatoria della nostra morte, è utile vedere la progressione temporale come una rappresentazione del processo maturativo esperienziale che connette lo stato indifferenziato del primo istante della nascita a quello di massima complessità esperienziale nell’istante della nostra morte: in mezzo a questi due istanti fatali, ci sono le vicende della nostra vita come ce le hanno

«[...] si diventa uomini senza biografia, la cui memoria è solo a breve termine e coincide con i processi procedurali di apprendimento» raccontate, come le abbiamo vissute, come le abbiamo “significate”, come le ricordiamo e come le narriamo noi stessi agli altri, e ciò ci serve per capire chi siamo noi. La dimensione temporale del “fast”. L’esperienza del “vivere fast” è rappresentabile, se riusciamo a immettere il qui ed ora delle esperienze immediate nelle nostre mappe, per aggiornarle, e se riusciamo a trovare in esse le radici e le premesse per dare un senso al presente in modo da continuare a tracciare un percorso in cui ipotizzare orientamenti da verificare; ma se la dimensione temporale è

descrive la storia evolutiva dei sistemi biologici che, secondo il suo pensiero, sono tutti autoreferenziali, nel senso che hanno insito in loro stessi il destino di vita, di evoluzione, di estinzione “pre-scritto”, immodificabile, su cui l’ambiente non è agente evolutivo attivo (Darwin), ma è solo una fonte (non l’unica) di inputs evolutivi aspecifici. Ciò significa che il sistema biologico autopoietico in questione può accogliere o meno ogni cambiamento ambientale come un input aspecifico alla modificazione evolutiva dell’attuale struttura morfologica della sua organizzazione solo se il suo genoma lo prevede; l’organizzazione biologica del sistema autopoietico è comunque immodificabile, in quanto identificativa del Sistema stesso, esso ha scritto in sé la sua evoluzione fino alla sua fine, che sarà sancita dall’ultimo cambiamento strutturale ortogenetico contemplato ai fini dell’estinzione. La validità di questa teoria in campo biologico è stata messa fortemente in crisi dal fatto che le mappe cromosomiche speci-specifiche delle scimmie antropomorfe sono quasi simili a quella umana. Ma l’uomo ha seguito finora un altro tipo di evoluzione rispetto alle scimmie, il chè avvalora l’evoluzionismo darwiniano; nel campo delle scienze umane e sociali

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Filosofia

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Figura 2.3 - A fianco Narciso dipinto da Caravaggio. Il mito classico rappresentava la vanità, ma l'atto dello specchiarsi è da sempre carico di simbologie relative all'identità. La vita moderna ha compromesso questa sfera della vita interiore e della riflessione su se stessi. Il processo autoriflessivo dinamicamente metarappresentativo è compromesso da una concezione di vita immersa in un presente continuo. ◄ rigorosamente radicata nel pre-

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sente, il passato risulta bruciato dal divenire incessante delle azioni che non ammettono che l’attenzione rivolta alla raccolta delle informazioni sfoci nel loro immagazzinamento mnesico, in quanto la impiegano nel riutilizzo degli outputs informativi nella costruzione di nuove sequele esperienziali; la conseguenza disadattiva che ne può derivare è di tralasciare la semantica del presente, mentre la viviamo, la cui esperienza così va persa, appena trascorsa: si diventa uomini senza biografia, la cui memoria è solo a breve termine e coincide con i processi procedurali di apprendimento, utilissimi nel trovare la direzionalità immediata del proprio agire, che accorcia il futuro fino a farlo coincidere con il presente; la proiezione prospettica del desiderio è annientata dallo scarico immediato dell’energia motivazionale in direzione degli scopi, il cui raggiungimento dà un fugace piacere del desiderio appagato; è difficile comprenderne o approfondirne il significato, nell’ambito della dimensione personale ed interpersonale, in quanto l’incalzare motivazionale genera scopi ulteriori, verso cui orientare nuove energie personali. Se il divenire è già presente, perché compreso nei domini esistenziali previsti e prevedibili, è il trionfo del “vivere fast” in quanto permette la realizzazione immediata dei propri scopi e a questa dimensione il soggetto lega la realizzazione dell’autostima; questo quadro esistenziale potrebbe essere la descrizione stereotipa del modo di vivere di una persona che presenta un Disturbo narcistitico di Personalità, che pone il suo luogo desiderato ove costruire la propria identificazione nei contesti auto-premianti del dominio personale sugli

eventi sugli Altri e il luogo temuto nella condizione in cui gli Altri si sono dimenticati di te! L’oblio personale agli occhi degli altri è rappresentato come condizione procurata da uno scacco prestazionale, da un risultato non raggiunto o che si è rivelato irraggiungibile. Ciò avviene quando l’esperienza che viviamo si sta rivelando non prevista e se è da tempo che le mie mappe personali non sono state aggiornate, se insomma è un po’ che non mi interrogo sul “dove sto andando”; “il divenire incessante delle richieste mi soverchia e mi annienta; così mi ritrovo svuotato di energia e di significati un essere ancorato solo al presente proprio come prima. Così, lo stato attuale diviene spaesante all'inizio, e transita poi nello stato del distacco dal mondo e da me stesso, in una dimensione di indifferenza dolorosa, in cui il passato è narrato solo dalla ruminazione depressiva “del cosa ho sbagliato” e il futuro è solo un prolungamento doloroso e vuoto del presente.

I processi di identificazione nel “vivere fast”. Un'altra area dell’identificazione personale che “il vivere fast” rende più difficile da strutturare, perché ne esige la realizzazione continua in tempi incalzanti, è la consapevolezza del sé, processo autoriflessivo dinamicamente metarappresentativo che non corrisponde alla semplice auto-osservazione cioè al “guardarsi dentro per comprendere chi si è”, ma implica l’integrazione delle informazioni interne del “come mi sento qui ed ora”, ai fini della strutturazione dinamica dell’Io cenestesico esperienziale immediato: “il chi sento di essere, mentre vivo gli eventi, attimo per attimo”, attraverso il dominio dei miei stati interni, fatti di sensazioni, emozioni, sentimenti; i pensieri appartengono all’area rappresentazionale e qui non c’è alcuna rappresentazione del sé, ma solo l’immediatezza del vivere come unità esistenziale; le azioni così importanti ai fini della nostra collocazione sociale, sono solo una conseguenza del pensare e del sentire. È intuitivo che il “continuare a vivere” consiste


APPROFONDIMENTI ♦ Società

Anemos neuroscienze

RACCONTI

tu chiamale se vuoi, emozioni L'esplorazione dell'ignoto e della velocità di Laura Andrao

È

con un nome che voglio iniziare questo mio breve contributo: il nome in questione, e la persona che lo porta, è Felix Baumgartner. L’abbiamo visto tutti quell’uomo imbustato nella sua tuta da astronauta, l’abbiamo visto seduto dentro una capsula e precisamente nella stratosfera, a 39 km d’altezza. L’abbiamo visto prepararsi e poi buttarsi giù fino ad incontrare la Terra, così come un cavallo salta la staccionata, egli ha saltato, ha saltato e basta, fino a superare il muro del suono raggiungendo una velocità di picco pari a 1.342 km/h e alla fine, col fiato sospeso (il nostro, davanti alla tv) l’abbiamo visto giungere al suolo con la naturalezza di un bambino che atterra sul tappeto dopo essersi lanciato dal divano. È difficile e limitativo definire quest’impresa uno sport estremo; in realtà ci troviamo innanzi ad un esperimento scientifico. Ma cosa cercano in fondo uno scienziato

ed uno sportivo estremo se non Figura 2.4 - Nell'immagine l’esplorazione dell’ignoto? Ciò di sfondo Felix Baumgartner, che non si conosce ha di per sé paracadutista e base jumper un alone di mistero e di rischio e austriaco. Baumgartner è noto per di fatto ci troviamo di fronte ad un pericoloso esperimento (dal greco aver stabilito il record del salto più alto in caduta libera: l'obiettivo era saltare peirao, provare). da 120.000 ft (36.600 m). L’atleta estremo, l’atleta fast, è un pioniere delle sensazioni e delle situazioni, un ricercatore delle emozioni forti per poi dimostrare sportive estreme hanno la capacità di aumentare la “secrezione di di poterle controllare. Se poi chiamiamo in causa la adrenalina”. In situazioni particoscienza, vediamo che le situzioni lari in cui ci si confronta con eleestreme scatenano secrezioni en- menti incerti, come il vuoto, l’altezdogene massicce di ormoni tipiche za, la velocità, si aziona il rilascio delle situazioni ansiogene fra cui fisiologico di neurotrasmettitori, adrenalina, noradrenalina, ACTH, l’organismo produce dopamina in cortisolo, ormone GH somatotro- abbondanza e la stessa genera po, prolattina e tendenzialmente sensazioni cosiddette “da brivido”. Alcune persone poi si assuefanno flussi di dopamina. Per dirla con Battisti: “guidare alla dopamina secreta, e così non come un pazzo a fari spenti nella si è mai abbastanza in alto, non si notte per vedere se poi è così diffi- va mai sufficientemente veloci e ci cile morire […] tu chiamale se vuoi si spinge così, sempre oltre, alla ricerca di un nuovo brivido, forse emozioni”. Numerosi studi hanno cercato fino all’ultimo brivido, al più estredi dimostrare che queste attività mo e al più definitivo.

nell’aggiornamento immediato di questa dimensione del vivere sé stessi momento per momento: il “vivere fast” rappresenta la modalità stimolante (se ricercata), pressante (se subita), di vivere l’immediatezza del sé, in un divenire esistenziale accelerato; nella psicopatologia, il primato di questo modo di vivere è tipico del modello del Disturbo Border-line di

Personalità, in cui il “soggetto portatore” è descritto come “persona che vive la vita attraverso le sue emozioni” e che, per questo, trova difficoltà ad autoprogrammarsi, nel senso che trova grande difficoltà ad orientare e a finalizzare le proprie azioni e le proprie relazioni, comprese quelle affettive verso la meta prefissata. La fase successiva consiste nell’iden-

tificazione personale, che è la costruzione di un'immagine di sé, in cui ritrovarsi, spendibile all’esterno: “fuori casa non posso essere una persona diversa da come sono a casa, ma devo connettere la mia esigenza identificatoria interna, con l’esigenza di dare di me agli altri un’immagine quanto più nitida possibile, in modo che sappiano intuitivamente chi

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APPROFONDIMENTI ♦ Società psicologia/economia

I

L'ILLUSIONE DI CONTROLLARE IL TEMPO Time management, tecniche per la gestione del tempo

l Time management è la capacità di collocare efficacemente le azioni nel tempo. Si tratta di tecniche organizzative che si basano sulla concezione "fast" ed efficientista della vita moderna. Riportiamo di seguito alcune tecniche di Time management.

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Valutare le priorità. I risultati si ottengono facendo le cose giuste al momento giusto. Per stabilire una scala gerarchica delle cose, occorre partire dagli obiettivi da raggiungere, successivamente vanno esaminate le attività ed i compiti da svolgere per conseguire tali obiettivi. Attenzione, molto spesso il termine "urgente" è usato come sinonimo di "importante". In realtà un'attività è definita importante solo se è determinante per il conseguimento di un obiettivo. L’urgenza, invece, entra in gioco in termini di scadenza entro cui un'attività deve essere terminata. Il Principio di Pareto, o legge 80/20, recita: "la maggior parte degli effetti è dovuta ad un numero ristretto di cause". Incrociando questa legge con la constatazione che il 20% delle attività consuma l'80% di tempo e risorse, se ne deduce che molto, se non troppo tempo, viene sprecato per cose poco importanti. È vitale, quindi, focalizzarsi su ciò che è realmente importante cioè solo su quel 20% che produce maggiori risultati. In pratica bisogna fare una lista per gli obiettivi e una per le attività da fare. Per ogni lista, ad ogni riga vanno dati due voti, da 1 a 4 in ordine crescente di importanza, il primo voto definisce l’effetto che produce sui risultati, il secondo riguarda l’urgenza, ovvero la scadenza entro cui ultimare la cosa. È bene reiterare l’esercizio più volte, confrontando ogni riga con tutte le altre prese una

per volta per verificare qual è la più importante delle due e, se è il caso, rivedendo i voti. Alla fine si potrà verificare che solo una su cinque (20%) è veramente importante. Adesso prendiamo un piano cartesiano e mettiamo sulle ascisse i valori di urgenza e sulle ordinate i valori di importanza. Quindi posizioniamo ogni attività a seconda dei voti assegnati e dividiamo il grafico in quattro quadranti. Quadrante A: attività più importanti e meno urgenti - Possono essere pianificate rispetto agli obiettivi. Quadrante B: attività più importanti ed urgenti - Queste sono le priorità su cui bisogna concentrare la propria attenzione. Quadrante C: attività meno importanti e meno urgenti - Da tralasciare, spesso si estinguono da sole. Quadrante D: attività poco importanti ma urgenti - Sono i classici imprevisti che necessitano di essere seguiti ma non hanno una rilevanza in termini di obiettivi a lungo termine. Mirare al risultato. Una volta si diceva “l’ottimo si raggiunge per successive approssimazioni” ovvero si procedeva per tentativi che permettevano di aggiustare, man mano, il tiro. Oggi, invece, gli obiettivi debbono essere centrati al primo colpo “one shot one goal”. Come è possibile affermare ciò? Si è visto che le fasi preparatorie vengono spesso sottovalutate e ci si imbarca in imprese confidando nella capacità di correzione “in corsa”. Questo, spesso, si rivela uno spreco di energie e di tempo. Facciamo un esempio pratico: quanti si soffermano ad organizzare una ricerca in internet prima di iniziare a navigare? Sembra che ogni ricerca richieda, in media, circa 15 minuti di cui si spendono solo pochi secondi

per la scelta delle parole-chiave da usare. Quindi quasi tutto il tempo è impiegato per analizzare e “scartare” i risultati della ricerca. Se si spendesse un tempo maggiore (diciamo da 1 a 3 minuti) per l’organizzazione della ricerca, parole-chiave e criteri di esame, il numero delle selezioni si abbatterebbe drasticamente così come il tempo di analisi. Allora in circa 5 minuti si potrebbe concludere positivamente la ricerca. Questo è valido in qualunque progetto, se la progettazione viene pianificata correttamente, cioè includendo simulazioni, controllo dei costi, esame delle possibili alternative, ecc., il risultato è conseguito in un minor tempo globale; errori, imprevisti e reiterazioni di tutta o parte del progetto sono abbattuti drasticamente. Pianificare. Fare le cose al momento giusto vuol dire collocarle correttamente rispetto agli eventi correlati e, di conseguenza, disporli nel tempo. Fare ciò è importante per la definizione delle tempistiche del progetto, della definizione temporale del fabbisogno di risorse, dei percorsi critici, ecc. PERT/CPM (Program Evaluation and Review Technique / Critical Path Method) ovvero una tecnica reticolare che consente la valutazione delle tempistiche delle varie fasi di un programma e l’individuazione del percorso critico. Quest’ultimo è importante per conoscere le attività che possono influenzare il risultato finale e, quindi, quelle da ottimizzare e controllare correttamente. In questa sede non è possibile descrivere le tecniche di realizzazione di un reticolo; per questo si rimanda allo studio di testi dedicati. (A cura della redazione)


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◄ sono, cosa mi fa piacere e cosa

no”. Ciò implica il presentarmi agli Altri, in modo coerente e leggibile, ma anche la necessità di essere accettato da loro, qui dove mi trovo a vivere ora le mie esperienze, attraverso un’immagine di me stesso sintonizzata sull’esterno, per avviare e sostenere ogni tipo di dialogo. La rappresentazione di sé implica la capacità di spiegarsi l’esperienza interna (emozioni, sensazioni) che si sta vivendo in modo autentico, per riconoscersi in questa immagine riflessa e di farlo in modo compatibile con la nostra autostima: essa implicitamente include il giudizio positivo degli altri nei nostri confronti; ciò implica l’applicazione di un processo che i Costruttivisti di prima generazione hanno chiamato auto-inganno, considerandolo una procedura auto-organizzativa di manipolazione del mondo interno dell’Io (soggetto vivente) proprio in funzione della coerenza esterna del Sé (oggetto rappresentativo), manipolazione che riguarderebbe i processi di raccolta e di assemblaggio delle informazioni provenienti da dento e da fuori, ai fini di fornire un immagazzinamento pilotato dell’esperienza su cui strutturare un significato personale coerente rispetto a chi siamo stati finora e a chi vogliamo essere; una prova empirica di questa tendenza alla manipolazione è rappresentata dalle distorsioni cognitive specifiche che fanno parte di espressività psicopatologiche stereotipe: il depresso, il paranoico, l’abbandonico, l’ansioso, colgono nella vita quotidiana le informazioni che rinforzano i loro significati esistenziali di depresso, di paranoico, di ansioso, in base ai quali fanno scelte coerenti e previsioni certe (“nevrosi del destino”): in tal

Il tema del numero

caso le manipolazioni interne sono in funzione di una coerenza autobiografica e di un tipo di autostima altamente disfunzionali, con spiegazioni di questo tipo: “da quando ero piccolo io sono stato oggetto della malevolenza degli altri, e non so perché, cerco sempre di comportarmi bene con tutti!”; “non capisco perché io abbia il destino di essere lasciata da chi amo… sono sempre premurosa ed affettuosa con le persone sbagliate” (ovviamente oggetto di gelosia e di controllo insopportabili che li costringono a cercare una via di fuga). È facilmente comprensibile come un processo difettoso di rispecchiamento si manifesti con i sintomi dell’area della depersonalizzazione, come la difficoltà a sintonizzarsi con l’esterno porti al claster polimorfo dei sintomi della derealizzazione e dell’isolamento autoreferenziale-autistico, come un’immagine di sé, non corroborata da autostima, veicoli una dimensione esistenziale carica di difficoltà nell’ambito della realizzazione personale nei campi di esposizione scelti, tipica dei disturbi di personalità, come un processo di autoinganno troppo drastico conduca a una turba della connotazione emotiva di tipo alessitimico. La dimensione del vivere slow. Come detto all’inizio, si può ritenere che in tutte le realtà rappresentate attraverso il modello categoriale dicotomico, le esperienze che rappresentano i valori non rappresentabili, in quanto perdenti, diventino occulte e quindi cessino di essere; in tal senso si può considerare la dimensione attuale del vivere slow, normalmente non esistente nella vita reale, insita nella realtà virtuale delle istanze, dei propositi, dei desideri,

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Gooleey Tristan (2012, Vallardi) G.A. Kelly (1991 e 2004, Raffaello Cortina) La psicologia dei costrutti personali Riso Lawrence P. (2011, Eclipsi) Schemi cognitivie credenze di base Sassaroli Sandra e Coll. (2006, Cortina) Psicoterapia cognitiva dell’ansia Sassaroli Sandra e Coll (2000, Cortina) La mente prigioniera

Anemos neuroscienze

così come prima lo era la dimensione del fast, stile esistenziale improponibile, fino a un tempo recente, per carenza di supporti tecnici e comunicativi. Oggi abitualmente viviamo “fast” senza porci il problema se sia vantaggioso, agevole, oneroso inquietante: lo viviamo e basta, allo stesso modo di un canoista esperto che non vuole discendere il torrente lentamente. Il suo intento è quello di lasciarsi trasportare dalla corrente, anche se vorticosa, senza inconvenienti: riuscirci non è solo una questione di energia profusa e di fortuna (fattori comunque importanti), ma di perizia nel saper leggere le rapide secondo la mappa del canoista, mappa che tratta della conformazione del fiume e della rappresentazione di sé in canoa. In conclusione, quindi si potrebbe proporre di riflettere sulla modalità fast del proprio vivere e del vivere degli altri, sulle qualità delle proprie interazioni fast, e degli accadimenti fast, del mondo, per trarne delle ipotesi spendibili nell’ambito dell'esistenza: per l'autore di questo contributo, questo appartiene all’unica dimensione slow funzionale a leggere il fast, lasciando perdere ogni iconografia di maniera di una modalità di vita autenticamente obsoleta, o artificiosamente mantenuta nelle serre di nicchia. ♦

Raffaele Bertolini. Psichiatra, psicoterapeuta cognitivo-comportamentale, relazionale, schema therapy; esperto nel trattamento dei disturbi del comportamento alimentare; già Direttore dei Servizi di Salute Mentale e del Centro per la cura dei disturbi del comportamento alimentare di Guastalla e di Correggio (RE).

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un corpo in movimento

Azioni lente e azioni veloci rispondono a diverse strutture neuromuscolari

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Anemos neuroscienze

Il tema del numero

In

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di Alessandro Carlini

parole chiave. Performance motoria, fibra neuromuscolare, corteccia cerebrale motoria, azione, intenzione. Abstract. L'articolo indaga la possibilità umana di produrre azioni rapide e lente, partendo dal concetto di “unità motoria”, modulo fondamentale di produzione del movimento. Il movimento lento e il movimento veloce sono presieduti da unità motorie di diversa natura e la coordinazione dei movimenti è dovuta alla collaborazione tra diversi sistemi (tra cui quello visivo e uditivo).

complessa e dinamica “macchina” che, grazie all’azione finemente coordinata di muscoli e neuroni, può cambiare la propria posizione e postura nello spazio, secondo tempi e modi differenti e ben determinati. Scopriremo in questa sede che, quando ci occorre produrre un’azione rapida, la velocità di intervento ci è permessa da struttu-

base di queste informazioni egli sarà poi in grado di dedurre importanti informazioni relative al movimento (ritmo e rapidità d’azione, sviluppo futuro dell’azione, intenzione, efficacia dell’azione e così via), ed eventualmente di interagire con esso. Solo un’ottima percezione del movimento gli permetterà di disporre di tutte le informazioni necessarie

Figura 3.1 - Afferrare un oggetto posto di fronte a noi

sembra un'operazione banale. In realtà entrano in gioco più sistemi, oltre a quello motorio, anche quello uditivo e visivo. La coordinazione di questi sistemi è particolarmente importante se l'oggetto da afferrare è in movimento, per esempio un bicchiere che cade.

re neuromuscolari differenti da quelle deputate alle azioni lente. Al contempo questo movimento è percepibile da un qualunque osservatore attorno a noi; la seconda parte dell'articolo mette in luce i meccanismi che permettono a questo osservatore di seguire l’azione, cogliendone anche i più fini dettagli nonostante questo richieda prestazioni assolutamente elevate - poichè sulla

e corrette; solo un pronto controllo motorio permetterà, anche nel suo caso, di produrre un’azione sincronizzata ed efficace. Il movimento creato: la velocità è una questione di fibra. Un bicchiere preso al volo prima che cada, un sasso piatto lanciato sulla superficie dell’acqua, una mossa di karate: esempi di azioni svolte a gran velocità, talvolta alla massima velocità di cui siamo capaci. Cosa ci permette di intervenire tanto rapidamente? La performance motoria è generalmente associata a nozioni di fatica e recupero, ma in questo articolo scopriremo che la velocità d’azione è dovuta alla presenza di una struttura speci-

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ntroduzione. Lento e veloce sono due stime relative di una stessa quantità che, nel caso che prenderemo in esame, è il movimento. In particolare, il movimento oggetto della prima parte dell'articolo è quello che riguarda ognuno di noi: il movimento del nostro corpo. Questa

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Figura 3.2 - Nell'immagine qui

a fianco uno schema sommario e semplificato della comunicazione tra motoneuroni e fibra muscolare. Un'unità motoria è un modulo funzionale composto da un motoneurone e da tutte le fibre muscolari da esso innervate. Il motoneurone è un particolare tipo di neurone, preposto alla comunicazione con il muscolo.

◄ ficatamente dedicata a produrre

azioni a grande velocità. Questa catena motoria tanto rapida presenta però anche degli svantaggi. L’origine del comando motorio volontario, il “seme” di qualunque azione che venga sviluppata in modo cosciente ed orientato, si situa nella corteccia cerebrale motoria, l’area dove il lobo frontale lambisce quello parietale. Una moltitudine di connessioni con altre aree comunicano a quest’area i presupposti per creare l’azione, ma il comando che viene inviato ai muscoli del nostro corpo ha origine qui; il suo tragitto segue la corda spinale, per essere trasmesso alla periferia del sistema nervoso, e giungere alla struttura muscolare chiamata ad intervenire. Per quanto riguarda il sistema nervoso, le velocità di elaborazione ed invio delle informazioni non sono né controllabili né variabili. Il sistema nervso può sviluppare, in conseguenza di numerose ripetizioni, delle circuiterie più corte e semplici, che richiederanno meno tempo, ma le velocità di conduzione dei segnali dipendono unicamente dalle caratteristiche fisiologiche di ogni struttura neurale. Nell’elaborazione delle informazioni, più il processo è complesso e strutturato, e più tempo è richiesto per terminare l’elaborazione e disporre del risultato. Riguardo invece la trasmissione dei segnali, che si effettua da un neurone a tutti quelli a lui connessi tramite assoni e dendriti, le velocità dipendono dalle caratteristiche del singolo neurone (ad esempio: più grosso è l’assone - elemento condut-

Il tema del numero

tore dell’informazione in uscita dal neurone - e maggiore è la velocità di conduzione dell’informazione lungo l’assone stesso). In media le velocità di conduzione dei segnali, per la tipologia di neuroni facenti parte del sistema di controllo motorio, sono comprese tra 50 e 140 metri al secondo. Per comprendere cosa ci permetta la produzione di azioni più o meno rapide, dobbiamo ora introdurre il concetto di “unità motoria”, che costituisce il modulo fondamentale di produzione del movimento.

Anemos neuroscienze

(due fibre muscolari adiacenti non sono mai innervate dallo stesso motoneurone) e sinergia (tutte le fibre muscolari collegate allo stesso motoneurone vengo attivate contemporaneamente). Il controllo che abbiamo sulle nostre azioni è possibile grazie all’esistenza di motoneuroni differenti per taglia e caratteristiche funzionali. La dimensione del motoneurone, la frequenza con cui viene stimolato e il numero di fibre innervate, permettono infatti di determinare e modulare la forza di ogni intervento

«L’origine del comando motorio volontario, il “seme” di qualunque azione che venga sviluppata in modo cosciente ed orientato, si situa nella corteccia cerebrale motoria, l’area dove il lobo frontale lambisce quello parietale.» Una unità motoria è un modulo funzionale composto da un motoneurone e da tutte le fibre muscolari da esso innervate. Il motoneurone è un particolare tipo di neurone, preposto alla comunicazione con il muscolo. Ogni motoneurone innerva un certo numero di fibre del muscolo, garantendo distribuzione

muscolare. La presenza di unità motrici lente ed unità motrici veloci, invece, ci permette di modulare la rapidità d’azione. Le unità motrici lente sono composte da un motoneurone di dimensioni ridotte, caratterizzato da un assone di dimensioni più picco- ► le, che garantisce una velocità di

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◄ trasmissione dell’ordine di 60

tervento muscolare, in ragione sia della maggior rapidità di trasmissione del motoneurone, sia della disponibilità di fibre muscolari maggiore in numero e in rapidità contrattiva. Performances così elevate, però, hanno un costo importante! Le fibre muscolari lente (tipo “I”) sono fibre di dimensione ridotta, capaci quindi di sviluppare una forza modesta; queste fibre però presentano e permettono un maggior rifornimento di sangue, e sono caratterizzate da un metabolismo energetico prevalentemente aerobico, condizioni che consentono sforzi meno intensi ma molto più protratti nel tempo. Le fibre muscolari a dominante rapida (tipo “II”) hanno un diametro maggiore, garantendo quindi maggior forza; sono inoltre caratterizzate da un’attività contrattiva molto più rapida, ma questa at-

~ 80 metri al secondo. Questo motoneurone innerva un numero ridotto di fibre muscolari, ed in particolare innerva delle fibre dette “a dominante lenta” (o di tipo “I”). Le unità motrici rapide, invece, sono composte da un motoneurone di dimensioni ben più grandi. L’assone di diametro superiore garantisce una velocità di conduzione più importante (tra 80 e 130 metri al secondo). Ancora più importante: ogni motoneurone di tipo rapido innerva un numero molto più grande di fibre muscolari - garantendo uno scatto più pronto - ed innerva fibre muscolari a dominante rapida - che garantiscono maggior rapidità - e che si dividono in fibre rapide (tipo “IIa”) e fibre super rapide (tipo “Iib”). Le unità motrici rapide permettono quindi una maggiore rapidità d’in-

tività è resa disponibile solo per una durata ridotta: queste fibre infatti presentano un metabolismo energetico prevalentemente di tipo anaerobico, che limita le performances alla quantità di energia localmente presente. Le unità motrici rapide quindi permettono prestazioni a gran velocità, ma solo durante un lasso di tempo molto contenuto, alla fine del quale la fatica ne indebolisce sensibilmente l’azione. Ci è permesso il controllo di tutto il nostro corpo, e la modulazione di ogni singolo movimento, grazie a questa sofisticata catena di comando. Il sistema nervoso elabora la quasi totalità delle informazioni a livello centrale, per poi distribuire capillarmente i segnali di attivazione ad ogni muscolo. I muscoli scheletrici sono composti in percentuali diverse da fibre di tipo I, IIa e IIb.

il cervello: il sistema visivo

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l sistema visivo degli esseri umani e degli altri animali dotati di una vista analogamente sviluppata, è fonte di un gran numero di informazioni. Ubicazione, forma, colore e consistenza degli oggetti sono le informazioni che un semplice sguardo può dare all'osservatore.

Nervo ottico Chiasma ottico Nucleo genicolato laterale

Tratto ottico

Ipotalamo: regolazione dei ritmi circadiani Pretetto: controllo riflesso della pupilla e del cristallino

Redazione

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Le fasi iniziali del proottica cesso visivo riguardano la trasmissione e la rifrazione della luce da parte delle componenti ottiche Corteccia striata dell'occhio. I segnali luminosi vengono trasformati in segnali elettrici visive, però, causano in diverse da parte dei fotorecettori e questi aree dell'encefalo reazioni diverelaborano segnali attraverso le se che culminano nella perceziointerazioni sinaptiche coinvolte ne cosciente della scena visiva, nei circuiti nervosi della retina. Un stimolando riflessi comportamencomplesso sistema biochimico tali (protezione da oggetti che si (canali ionici cGMP-dipendenti) è avvicinano in movimento, afferraresponsabile dei cambiamenti in- re oggetti che cadono, ecc.). Tra dotti dalla luce sull'attività fotoelet- le varie vie e strutture coinvolte trica dei recettori. Le informazioni nella visione, citiamo a titolo di

Collicolo superiore: controllo dei movimenti della testa e degli occhi

esempio il nucleo genicolare laterale del talamo e la corteccia visiva primaria. Diverse classi di neuroni decodificano i vari aspetti dell'informazione visiva, dalla luminanza, all'orientamento, al movimento.


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Il tema del numero

Anemos neuroscienze

Figura 3.3 - A fianco l'immagine di tre neuroni marcati nella corteccia somatosensoriale di topo. Il neurone piramidale a sinistra innerva il neurone piramidale alla sua destra e l'interneurone bipolare in basso a destra (fonte iconografica Enciclopedia Treccani). In media le velocità di conduzione dei segnali, per la tipologia di neuroni facenti parte del sistema di controllo motorio, sono comprese tra 50 e 140 metri al secondo.

tipo di attività o di allenamento a cui è sottoposto il nostro corpo determina la quota di unità motrici e di fibre muscolari presenti, lente o veloci. Ad esempio, un allenamento di grande intensità, intervallato da pause di recupero, permette di sviluppare le fibre rapide; attività di bassa intensità e di lunga durata stimolano invece la presenza di fibre lente. Sarà adesso chiara la ragione per cui, approfittando di una passeggiata tranquilla per fare il giro del parco, il nostro organismo e i nostri muscoli risultano meno affaticati dall’attività fisica svolta; facendo invece lo stesso giro a passo di corsa, se il percorso è lungo saremo obbligati a fermarci prima della fine, e in ogni caso arriveremo molto più

stanchi ed affaticati (a vantaggio però di una velocità maggiore, che ci ha permesso di coprire la stessa distanza in un tempo minore). Inoltre, se ripetiamo l’attività nei modi opportuni, il nostro corpo risponderà all’allenamento sviluppando le strutture neuro-muscolari adeguate a migliorare le performance. Il movimento osservato: l’inseguimento visivo, con una marcia in più. Eraclito, in fondo, aveva ragione: “tutto si muove e nulla sta fermo”. E noi, per seguire tutto questo divenire, abbiamo bisogno di un buon sistema visivo. Il movimento è infatti una delle componenti principali che caratterizza il “mondo fenomenico”, il mondo esterno che osserviamo e con il quale siamo chiamati a confrontarci ed

interagire continuamente. L’efficacia della percezione di ciò che è in movimento attorno a noi è essenziale, per essere pronti ad intervenire nei tempi e nelle modalità opportuni. Questa complessa percezione, sviluppata nell’epoca in cui eravamo cacciatori (o prede) all’interno della foresta, è ancora fondamentale dopo migliaia di anni di evoluzione, anche solo per attraversare la strada. Ora ci soffermeremo sulla percezione visiva del movimento, ma è opportuno sottolineare che anche altri sensi contribuiscono a questa percezione, e tra tutti l’udito è forse il caso più interessante. L’udito, infatti, pilota l’attenzione verso qualunque fonte di rumore che sia indizio di possibile pericolo; grazie alla capacità di orientamento spaziale ci permette l’inseguimento o “pursuit” della sorgente sonora in movimento; ed infine la sua grande sensibilità nella percezione delle frequenze sonore ci consente - grazie all’effetto Doppler - di cogliere se la sorgente del suono è in avvicinamento o allontanamento, anche nel caso essa sia molto distante o fuori dal campo visivo. Tornando ad indagare la percezione visiva del movimento, scopriamo che è tra i meccanismi più affascinanti del sistema nervoso umano: essa si avvale tanto delle funzionalità delle strutture periferiche - l’occhio prima di tutte - quanto di complesse ed intrecciate elaborazione corticali e sub-corticali. Per cominciare ripercorriamo gli elementi che compongono la via visiva principale, seguendo il percorso dell’informazione a cominciare

Il

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Neurofisiologia Fisica

◄ dall’occhio.

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L’informazione “fotografata” da coni e bastoncelli è pre-elaborata a livello della retina, per poi essere trasportata dal nervo ottico, attraversare il Nucleo Genicolato Laterale e raggiungere il lobo occipitale del cervello, in cui hanno sede le aree visive principali. L’informazione viene poi progressivamente “decodificata” nel suo transito in diverse aree della corteccia parietale e temporale, in cui le informazioni relative all’identità dell’oggetto osservato e alla posizione che ricopre, vengono decodificate ed assumono per l’osservatore un reale significato. Una porzione del nervo ottico, però, non raggiunge le aree visive corticali, ma “decussa” ed alimenta le vie visive secondarie - nel mesencefalo - proiettandosi principalmente nel Collicolo Superiore e nel Pulvinar. È proprio il Collicolo Superiore, che fino a pochi anni fa era ritenuto competente solo per il controllo delle saccadi oculari, ad assumere oggi un ruolo da protagonista nell’attività di inseguimento visivo di un qualunque oggetto in movimento. Re-

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Figura 3.4 - In alto sezione del cranio con anatomia del bulbo oculare e dei muscoli che permettono la visione. Alla base dei movimenti dell'occhio per seguire un oggetto in movimento c'è la cosiddetta saccade, movimenti a scatti. Questo tipo di movimento, che potrebbe sembrare svantaggioso, comporta in realtà vantaggi in termini di precisione e velocità. Per approfondimenti si rimanda al testo dell'articolo. centi studi hanno infatti individuato nel Collicolo Superiore la presenza di aree partecipi ai processi di individuazione del “bersaglio” che deve essere oggetto dell’inseguimento oculare, così come della successiva orientazione dello sguardo verso lo stesso, e la sincronizzazione del movimento oculare per mantenere il bersaglio stesso al centro del campo visivo. L’inseguimento oculare, supportato dal Collicolo, è forse la condizione più comune: l’orientamento degli occhi è costantemente aggiornato ed allineato sull’oggetto in movimento, e la conoscenza della contrazione dei singoli muscoli responsabili del moto oculare permette di dedurre la posizione e la velocità dell’oggetto. Questo meccanismo, però, ha un limite importante, probabilmente

dovuto proprio alla sua complessità. L’inseguimento oculare necessita di una certa quantità di elaborazioni dell’informazione visiva; elaborazioni che impiegano frazioni di secondo per essere svolte e trasmettere un risultato. Pur se apparentemente piccoli, il tempo richiesto per l’insieme delle elaborazioni necessarie può generare ritardi importanti e compromettere l’efficacia dell’inseguimento visivo, soprattutto se l’oggetto si muove ad una velocità elevata. Il sistema visivo, per sopperire a questo problema, ha sviluppato una strategia di recupero, finalizzata a riportare il puntamento oculare sul bersaglio: la saccade. Le saccadi sono movimenti che portano lo sguardo da un punto A ad un punto B del campo visivo, in modo repen-


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tino; questo movimento è “balistico”: viene programmato alla partenza, nel punto A, ed una volta messo in esecuzione non può essere modificato prima del raggiungimento del punto B. Per ottenere la rapidità di movimento necessaria, vi è però un prezzo da pagare in termini di perdita di alcune funzionalità durante il movimento stesso: durante il suo compimento la saccade non può essere modificata, e soprattutto durante tutto il movimento non è disponibile la visione cosciente. Durante una saccade infatti le immagini di cui disponiamo in modo cosciente sono l’ultima “fotografata” nella posizione A, a cui segue subito dopo la prima nella posizione B. Apriamo una breve parentesi per definire il criterio di misura della velocità di inseguimento oculare. Poiché un oggetto che si muove con una certa velocità fissata è più difficile da inseguire con lo sguardo quando è vicino (poiché obbliga gli occhi ad uno spostamento più rapido) rispetto a quando è lontano, per riportarci alla medesima condizione - indipendentemente dalla distanza dell’oggetto - usiamo come misura della velocità la rotazione degli occhi, in gradi al secondo. Tornando ora ai meccanismi di inseguimento visivo, fino a qui le saccadi sembrano un meccanismo svantaggioso che ci priva di alcuni istanti di visione; se però valutiamo le performances in termini di velocità, tutto appare sotto un’altra luce. L’inseguimento oculare, o pursuit, è pienamente efficace solo per velocità inferiori ai 20~25 gradi al secondo. In genere si considera come limite massimo, per un pursuit corretto e nella prima età adulta, la velocità di

Anemos neuroscienze

Il tema del numero

30 gradi al secondo. Oltre questa soglia, a causa dei tempi necessari al suo controllo, questo meccanismo risulta in costante ritardo nell’inseguire il bersaglio, fino a perderlo. Una saccade, invece, permette delle rotazioni degli occhi a velocità dell’ordine di 400 ~ 600 gradi al secondo. Questo significa che le saccadi ci consentono di disporre di velocità di orientamento dell’asse oculare fino a venti volte superiore a quella permessa col pursuit. Il sistema visivo, quindi, dispone di due diversi sistemi di inseguimento che, nelle normali attività quotidiane, vengono alternati e combinati per ottimizzare l’osservazione di ogni oggetto in movimento; questi stessi meccanismi permettono anche di dedurre la velocità di movimento dell’oggetto stesso. La conoscenza della velocità dell’oggetto è fondamentale, tra le tante ragioni, anche per poter programmare una saccade in modo da far corrispondere il punto di arrivo “B” con la posizione corretta dell’oggetto negli istanti successivi. Tutto questo complesso meccanismo è messo in atto senza che noi ce ne accorgiamo, ogni qualvolta che osserviamo un uccello volare, una moto durante una gara, o il bicchiere che stava cadendo e che siamo riusciti a prendere al volo.

senza del bicchiere integro è la dimostrazione che questo complesso meccanismo è stato estremamente rapido ed efficace. Come abbiamo visto le performances dei sistemi motorio e visivo sono importanti, ma un tale risultato è possibile solo grazie al funzionamento coordinato dei due sistemi. Il modo di operare di percezione e motricità è infatti strettamente collaborativo, al punto da far perdere i confini delle competenze dell’uno e dell’altro. La conoscenza delle leggi di movimento permette al sistema visivo di sapere dove guardare, mentre la percezione delle caratteristiche dell’oggetto con il quale dobbiamo interagire permettono al sistema motorio di intervenire in modo sincrono, o magari in anticipo, rispetto agli eventi. Una così grande efficacia, merita un brindisi.♦

Epilogo. L’efficacia che abbiamo dimostrato nel salvare il bicchiere è veramente stupefacente. Solo poche frazioni di secondo sono disponibili per osservare quello che sta succedendo, capirne la dinamica e le conseguenze, programmare l’azione ed eseguirla in modo rapido ed opportuno. Ciò nonostante, la pre-

Indicazioni bibliografiche Carlini, A., Actis-Grosso, R., Stucchi, N. & Pozzo, T. (2012) Forward to the past. Frontiers in Human Neuroscience, 6: 174 Carlini, A., French, R. (2014) Visual tracking combined with hand-tracking improves time perception of moving stimuli. Scientific Report Krauzlis, R.J. and Lisberger, S.G. (1994) Temporal properties of visual motion signals for the initiation of smooth pursuit eye movements in monkeys. J. Neurophysiol. 72:150-162 Sparks, D. L. (1999) Conceptual issues related to the role of the superior colliculus in the control of gaze. Curr. Opin. Neurobiol. 9, 698–707

Alessandro Carlini. Laureato in Ingegneria Aereospaziale presso il Politecnico di Milano, ha poi spostato i suoi interessi verso la bio ingegneria. Attualemente è Ricercatore Associato presso CNRS - "LEAD" Laboratory for Research on Learning and Development Université de la Bourgogne, Dijon, France.

Zajac, F. E., & Faden, J. S. (1985) Relationship among recruitment order, axonal conduction velocity, and muscle-unit properties of type-identified motor units in cat plantaris muscle. Journal of neurophysiology, 53(5), 1303-1322

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Chirurgia

Psicologia

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Cranioplastiche: né fast né slow! Il fattore velocità non è sempre determinante come si pensa

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Il tema del numero

di B. Zanotti, A. Verlicchi, N. Zingaretti, P.C. Parodi

parole chiave. Cranioplastica, Syndrome of trephined, craniolacunia. Abstract. Credenze sbagliate in merito alla rapidità di intervento possono portare a scelte sbagliate. In questo breve articolo riportiamo alcuni esempi di interventi chirurgici in cui vengono coinvolte problematiche di tempistiche, emblematicamente rappresentate dai concetti di fast e slow.

C

redenze sbagliate. Le leggende metropolitane sono inesauribili e le più varie. Anche il settore

più di danno che di guadagno per il paziente. Un po’ per abitudine, un po’ per ignoranza, un po’ a causa dei cattivi maestri, non è infrequente sentire

drome” (sindrome del lembo cutaneo affossato), molti puntualizzano che in alcuni casi è un intervento “estetico” e quindi differibile. Ma la craniolacunia, anche se non accom-

Figura 4.1 - Immagine 3D riguardante la cranioplastica. L’atteggiamento mentale per decidere il timing per le cranioplastiche deve essere ben equilibrato, spesso si pensa che l'intervento immediato sia la cosa migliore, ma occorre valutare caso per caso.

Slow: è un intervento prevalentemente di carattere “estetico”. Sebbene sia accettato da tutti che la cranioplastica si impone per prevenire o far regredire la “Syndrome of trephined” (sindrome del trapanato cranico) e la “Sinking skin flap syn-

pagnata da una sindrome neurologica, crea sempre un disagio psicologico da deturpamento cranico. Le conseguenze sono ben classificabili nei vari manuali di psichiatria e, a meno di non considerare tale disagio non patologico, il trattamento con la cranioplastica è sempre e comunque terapeutico. Infatti, la cranioplastica serve a correggere la deformità cranica, a proteggere il tessuto cerebrale, a ridurre il corteo sintomatologico legato alla craniolacunia, a permettere una migliore accettazione del sé corporeo dopo il drammatico evento che ha prodotto la craniolacunia. Indicazione fast: appena le condizioni cliniche del Paziente lo permettono. Fast: ad uno stato vegetativo non vale la pena mettere una cranioplastica su misura, basta una modellata a mano, costa meno e si fa prima. Se consideriamo che, prima di de-

medico che qui andiamo ad indagare, le cranioplastiche, non si sottrae a questa logica. E le leggende, frequentemente, influenzano il nostro pensiero (spesso creando dei preconcetti) e, alla fine, anche le nostre scelte. Scelte che, se consideriamo la chirurgia dell’estremità cefalica, possono essere deleterie e foriere

affermazioni in merito alle cranioplastiche che, sebbene non smaccatamente menzognere, non sono suffragate dai dati della letteratura e della buona pratica. In sintesi, l’atteggiamento mentale per decidere il timing per le cranioplastiche deve essere ben equilibrato fra fast and slow. Di seguito alcune affermazioni in ordine sparso relativamente ad un approccio fast and slow.

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Chirurgia

Psicologia

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◄ finire, nel caso posttraumatico,

che uno stato vegetativo è persistente deve trascorrere almeno un anno dall’evento acuto (almeno tre mesi nei casi dovuti a danno metabolico) mentre la cranioplastica, in via generale, si dovrebbe impiantare il prima possibile, nell’ordine di mesi, non pare giustificato privare queste Persone della tecnologia migliore (custom made) al fine di non compromettere in alcun modo un recupero, sempre possibile e non solo auspicabile. Chi è in stato vegetativo non dovrebbe essere penalizzato due volte (dalla vita, che lo ha portato in quello stato, e dalla comunità che, nell’ottica del risparmio, lo relega a non poter fruire della prestazione sanitaria migliore attualmente disponibile). Indicazione slow: fruendo della tecnologia “su misura”. Fast: se si infetta la protesi, va sempre asportata il prima possibile. Che la regola aurea in caso di infezione della protesi sia l’asportazione del manufatto è sempre valida, ma con alcune importanti eccezioni che vanno considerate. In alcuni casi, riportati anche in letteratura, è possibile salvare la protesi custom made. Considerando alcuni basilari principi: valutare il tipo di contaminante e la sua aggressività, valutare se la cute sovrastante è trofica e ben irrorata e se la dura sottostante è naturale o sintetica. Sono elementi che entrano in gioco per provare a salvare la cranioplastica. Indicazione slow: se vi sono le condizioni, provare a salvare la cranioplastica. Slow: per impiantare nuovamente una cranioplastica, dopo un’infezione, bisogna aspettare almeno 3 mesi. Questa affermazione non è suffragata da nessuna evidenza scientifica. Già nel secolo scorso si affermava che, soprattutto in prossimità dei seni cranici, il pericolo di infezione per la cranioplastica non è mai scongiurato, neanche a distanza di decenni. Né la bonifica dei seni, né l’esclusione di questi sono una garanzia sufficiente. Vero è che vi sarebbe una “finestra” (dai 3 ai 6 mesi) dove le complicanze della chirurgia delle cranioplastiche sarebbero maggiori.

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Glossario minimo Cranioplastica. La cranioplastica definisce ambivalentemente sia l’oggetto (la protesi) sia l’atto chirurgico che sottende al suo posizionamento nella lacuna cranica. La cranioplastica, vale a dire il rimodellamento e/o la riparazione mediante opercolo osseo o protesi di una lacuna cranica, trova il suo razionale nel correggere una deformità cranica, nel proteggere il tessuto cerebrale e nel ridurre il corteo sintomatologico legato alla craniolacunia. Quest’ultima può essere congenita, traumatica o chirurgica. Il deficit osseo può essere colmato con osso autologo opportunamente conservato e/o devitalizzato o con protesi in materiale biocompatibile modellate a mano intraoperatoriamente o con manufatti “su misura” (custom made) mediante tecniche stereolitografiche e di prototipazione d’avanguardia che si basano sui dati TC 3D del cranio del Paziente. A seconda della tipologia del difetto cranico le procedure che si possono adottare sono almeno tre: la cranioplastica, la demolizione-ricostruzione cranica in un unico tempo e il craniofilling. Le sindromi cliniche delle craniolacunie sono sostanzialmente due. 1- La “Syndrome of trephined”, la sindrome del “trefinato” (cioè, di chi ha il buco nel cranio) è caratterizzata da una sintomatologia neurologica, per lo più soggettiva, caratterizzata da mal di testa, vertigini, affaticabilità, fastidio nella sede del difetto cranico, sensazione di apprensione ed insicurezza, depressione ed intolleranza alle vibrazioni. 2- La “Sinking skin flap syndrome”. La sindrome del “lembo affossato” è prevalentemente caratterizzata da sintomi oggettivi, vale a dire da veri e propri deficit neurologici, soprattutto motori e delle funzioni cognitive. A queste due sindromi va aggiunta, comunque, la “sindrome di disagio psicologico” che può influire grandemente sulla vita di relazione e che è quindi da considerarsi, a pieno titolo, come una malattia. Si parla quindi di cranioplastica terapeutica a tutto campo, senza distinzione fra quanto attribuibile al versante funzionale o a quello morfologico (spesso inquadrato come “estetico”).


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Il tema del numero

Cranioplastica. « [...] molti puntualizzano che in alcuni casi è un intervento “estetico” e quindi differibile. Ma la craniolacunia, anche se non accompagnata da una sindrome neurologica, crea sempre un disagio psicologico da deturpamento cranico.» L’impianto della successiva cranioplastica dovrebbe avvenire, il prima possibile, dopo la bonifica dell’avvenuta infezione (documentata con tutti gli strumenti a disposizione, anche con scintigrafia con leucociti marcati), al di là di un tempo prestabilito aprioristicamente. Indicazione fast: la certezza di annullare il rischio di una complicanza infettiva non si azzera mai. Fast: se la craniolacunia è piccola (sotto i 25 cmq) si può realizzare una protesi fatta a mano che va bene lo stesso e si realizza più velocemente. È vero che siamo in fase di limitazione delle risorse, ma il principio

etico imporrebbe che tutti abbiamo pari diritto alla migliore prestazione sanitaria in essere in quel momento. Quindi, il custom made dovrebbe essere appannaggio di tutti, senza fare distinzioni di dimensioni. Ma, se proprio si vuole puntare al contenimento dei costi, anche in questo caso bisogna fare dei distinguo. Se la craniolacunia è nell’area frontale o il paziente è calvo pensare ad una protesi fatta a mano e non custom made può essere una scelta non solo sbagliata, ma che può portare il paziente ad aumentare il suo disagio psicologico. Il fattore morfostrutturale non va affatto sottovalutato in quanto può portare al paziente

rilevanti problemi nella vita di relazione che sfociano in veri e propri disagi psichici ben parametrati nella diagnostica neuropsicologica e quindi da considerarsi a pieno titolo fra le malattie. Indicazione slow: i risultati funzionali ripagano dell’attesa per avere una protesi su misura. In conclusione, la cranioplastica deve essere inserita il prima possibile per prevenire o limitare le sindromi cliniche correlate alla craniolacunia. Ma l’attesa per avere una cranioplastica “su misura” è quasi sempre giustificata. Abbiamo cercato di affrontare solo qualche opinabile argomentazione che, dentro o fuori le sale, si sente spesso. Contro i preconcetti l’unica arma a disposizione è quella culturale. ♦

Bruno Zanotti. Neurologo, Neurochirurgo, Dottore di Ricerca. Segretario Nazionale della Società di Neuroscienze Ospedaliere (SNO). Direttore Scientifico della rivista “Topics in Medicine” ed Editorial Assistant del periodico “Progress in Neuroscience”.

Indicazioni bibliografiche Zanotti B., Verlicchi A., Almesberger D., De Franceschi D., Guarneri G.F., Rampino Cordaro E., De Blasio F., Lazzaro L., Calabrese S., Rivilli M., Zanin C., Zingaretti N., Parodi P.C. Cranioplastiche custom made: appunti di lavoro. In: Cranioplastica terapeutica (a cura di B. Zanotti, A. Verlicchi, P.C. Parodi), new Magazine edizioni, Trento, 2013: 47-56. www.cranioplastica.it

Angela Verlicchi. Neurologa, collabora con la “Libera Università di Neuroscienze Anemos” di Reggio Emilia e con l’Associazione “SOS Cervello”. Con B. Zanotti ha pubblicato, fra l’altro, “Il coma & Co.” e ha curato il volume “Statovegetativo.it - I limiti della medicina che salva”. Suo anche il volume “La Sindrome di Rett”. Nicola Zingaretti. Clinica di Chirurgia Plastica e Ricostruttiva dell’Università di Udine. Pier Camillo Parodi. Direttore della Clinica di Chirurgia Plastica e Ricostruttiva dell’Università di Udine. Centinaia le pubblicazioni al suo attivo.

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Sociologia

Storiografia

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L'invenzione

delle vacanze

In

1

di Vitaliano Biondi

parole chiave. Viaggio, usi e costumi, turismo, tempo, lavoro. Abstract. L'invenzione delle vacanze consente anche una cesura temporale al tempo veloce della modernità, fatto di ritmi scanditi da lavoro e soste dal lavoro. In questo articolo si delinea una breve storia della “vacanza” in senso giuridico e sociale. La vacanza nella cultura di massa ha perso quella connotazione conoscitiva, per diventare spesso visita di “non luoghi” tutti simili tra loro (camere di alberghi, villaggi turistici). A contribuire a questa mancanza di senso di autenticità dei luoghi è stata la scomparsa del patrimonio paesaggistico, artistico e monumentale dovuto alle guerre, alla speculazione edilizia e ad una previsione assente del nostro futuro.

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P

iccola storia delle vacanze. Vacanza deriva dal latino vacantia, neutro plurale sostantivato di vacans, participio presente di vacare, essere vuoto, un vuoto che suona piacevole, un vuoto che sa di libertà. Il termine, in italiano, rimanda allo spezzare l’abitudine che vorrebbe che le cose continuassero a ripetersi. La corrispondente parola anglosassone holiday, ha invece un che di sacrale; gli holiday sono giorni sacri, quelli in cui il Signore si riposò alla fine della creazione, a ricordare agli umani che “per ogni cosa c’è il suo momento, il suo tempo per ogni faccenda sotto il sole” (Qo 3,1). Tempo sottratto al lavoro, allo studio, agli impegni quotidiani, la vacanza sembra scontato sia sempre esistita, ma il diritto al “periodo annuo feriale di riposo retribuito” venne sancito, per la prima volta, in Italia, dal XVI disposto contenuto nella Carta del Lavoro, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 100 del 30 aprile 1927. Di seguito, la Costituzione italiana stabilì che ogni lavoratore ha un diritto personale ed inalienabile ad un periodo di ferie al quale non può rinunciare e di cui deve fruire (art. 36). La moda della vacanza, o meglio della villeggiatura, inizia nella seconda metà del Settecento. Goldoni, osservatore attento delle pratiche sociali e di costume, mette in satira, in ben tre commedie, gli effetti di questo capriccio della vanità che, a parer suo, minava la secolare austerità dei costumi veneziani. A parte i nobili e gli aristocratici, che compiono frequenti viaggi di svago o cultura come il Gran Tour

(così veniva chiamato il lungo viaggio conoscitivo dell'epoca, con meta soprattutto l'Italia), ben pochi, prima della metà dell'Ottocento, potevano permettersi di andare in villeggiatura. Verso però la fine del Novecento, la borghesia cominciò a mutuare, dai ceti aristocratici, l'idea di trascorrere l’estate «in villa», per fuggire la calura della città. La vera trasformazione arriva però negli anni Trenta, quando viene sancito il diritto alle ferie retribuite, riconosciute nei contratti di lavoro di milioni di salariati in Europa e sindacati e cooperative creano i primi centri vacanze per tutti. L’aristocrazia europea fa vela verso altri lidi e, fuggendo luoghi divenuti affollati, si spinge verso località d’oltremare, scoprendo anche il piacere di alternare periodi di villeggiatura balneare ad escursioni in montagna. Sarà solo però la crescita economica degli anni Sessanta e la diffusione dell’automobile a rendere tutti signori delle proprie vacanze. Proliferano gli stabilimenti balneari, gli alberghi, i villaggi turistici ed i primi impianti di risalita in montagna mentre un po' ovunque spuntano «seconde case». Ancora meglio potrà l'aeroplano che, a partire dalla metà degli anni Sessanta, consentirà di volare, in una giornata, dall'altra parte del globo, aprendo la strada ad una irrefrenabile invasione che ancora sta trasformando il volto del mondo. Perdita del senso del viaggio. Non ci sono che viaggiatori e i sedentari sono visti come degli stravaganti. I viaggi non sono più un capriccio, ma il richiamo a misteriose leggi


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A

Il tema del numero

Anemos neuroscienze

Un uso che ha seguito lo sviluppo sociale e giuridico. Parliamo di vacanze, tra mode e comportamenti consapevoli la Cina o di casa nostra. Rimpianti sterminati: gli antichi mausolei di Timbuctù, le bellissime case coloniche che ornavano il paesaggio d’Italia, le mura antiche di Pechino, distrutte come le mura antiche di Firenze. A cancellare quei viaggi sono stati le guerre, la speculazione edilizia, una previsione assente del nostro futuro, l’ignoranza, l’imperialismo delle multinazionali, gli odi razziali, il terrorismo, dal suo viaggio, il flaneur, i disastri ecologici. Abbiamo Figura 5.1 liberato da vincoli temperduto, per sempre, luoghi - In alto un porali, può calarsi nella del pianeta e città un tempo moderno aereo realtà del luogo, viverla sognati, coltivando il deside- passeggeri. secondo quelli che sono rio di poterli un giorno visi- L'introduzione i suoi ritmi naturali e metare. Solo ormai le fotografie dei voli aerei nel glio comprenderla. Il ripossono aiutarci a pensarle turismo di massa fiuto di percorrere sentieha reso qualsiasi ri obbligati, rispetto alle ancora presenti. Senza affrontare mari lonta- luogo del pianeta tipiche guide turistiche, ni, possiamo anche fare i turi- raggiungibile in ha portato alla crescita sti senza uscire di casa come poche ore. di lettori che vogliono racconta Xavier de Maistre in sperimentare la flanerie, Voyage autour de ma chambre, in viaggi e percorsi indiun romanzo scritto tra il 1790 viduali, all'interno delle e il 1794. In quarantadue cacittà, costruendo mappe pitoli, quanti sono i giorni di confi- personalizzate. Pensando al crescennamento, Xavier de Maistre percorre te utilizzo dell’automobile, ci si poi 36 passi di lato della sua stanza qua- teva attendere l’estinzione della figudrata, compiendo un viaggio meravi- ra del flaneur che oggi è ancora ben glioso, standosene seduto sulla pro- presente forse anche grazie al compipria poltrona e prendendo spunto da to narrativo che gli spetta. Possiamo mobili ed oggetti, per resuscitare an- ipotizzare anche l’esercizio di una tichi ricordi. Oppure lasciarci sedurre cyberflanerie, in colui che naviga su dalla flanerie nella nostra città. internet e quindi fisicamente non si A differenza del turista, il flâneur sposta o di una flanerie rurale, come come Baudelaire, animale urbano nel caso dell'artista Luigi Ghirri che, per eccellenza, assomiglia più ad un attraverso la fotografia, ha testimoesploratore che incarna il desiderio niato la lenta scomparsa della civiltà di libertà e di ribellione verso la cul- contadina e, con essa, le illusioni di tura di massa. Tratteggiato dal Ben- un mondo rurale. Vi è poi una figujamin dei Passages, il flaneur nasce ra temuta per la libertà di muoversi a Parigi e designa l’intellettuale che, e quindi di sfuggire al controllo che bighellonando tra la folla, ne osserva è il vagabondo, sradicato, ovunque i comportamenti. Per questo si pone egli vada sempre straniero in terra in una posizione di equilibrio tra la straniera. Diversamente dal pellegrinecessità di essere all'esterno per os- no, il vagabondo non ha alcuna deservare l'insieme e l'essere coinvolto stinazione. Non conosce la prossima per poter fare esperienza autentica. A meta, dal momento che neppure lui differenza del turista che deve fare un lo sa e non se ne preoccupa. uso efficiente del tempo a disposizio- Vagabondare è un atteggiamento ne per poter trarre il maggior profitto dello spirito che ha accomunato

di transumanza. Secondo l'Organizzazione Mondiale del Turismo, ogni anno, un’orda di settecento milioni di gitanti abbandona la casa per invadere città, spiagge e montagne. L'ottanta per cento di chi lascia il patrio suolo riguarda però gli abitanti di soli venti paesi, ovviamente i più ricchi del mondo, che poco o nulla si curano della distruzione provocata dal loro passaggio. Anche se aumenta il desiderio di autenticità, è ormai difficile trovarla anche nei viaggi verso i paradisi più lontani. In questi anni di intensa frequentazione turistica è stata costruita, dai molti mediatori che accompagnano ed accolgono il turista, una sorta di cappa protettiva al fine di anestetizzarne lo choc dell'incontro. Ed è una mediazione cui non sfuggono nemmeno le forme alternative di turismo, condizionate come sono da un immaginario confezionato prima ancora di partire. Spostandoci poi in aereo, abbiamo perso il senso dell’esperienza del viaggio e le città che raggiungiamo sono del tutto simili a quelle che abbiamo lasciato. Ci attende un altrove, anche per le destinazioni lontane, che non serba ormai sorprese, popolato da «non luoghi» del tutto simili a quelli in cui viviamo: alberghi progettati anche negli interni per essere uguali a quelli di tutto il mondo, Tv satellitare per non perdere nessuna puntata del nostro programma preferito ed una cucina che non riserba sorprese e ti fa sentire come a casa tua. Se poi aggiungiamo che la violenza, di cui i turisti, esponenti di un'odiata razza padrona, sono sempre di più vittima, sta generando un turismo sorvegliato e militarizzato, si capisce allora come la possibilità di scoprire nuovi paesaggi e di incontrare persone diverse sia ormai negata. Dopo l'etica del lavoro, forse è giunto il tempo di parlare di un'etica del turismo. Soltanto una maggiore consapevolezza è in grado di ridare senso al viaggio, all'antico piacere dell’ospitalità ed ottenere quella crescita individuale, grazie all’incontro con l’altro. In meno di cinquant’anni però il mondo si è rimpicciolito, fra i genocidi dell’Africa, le macerie della Siria, le distruzioni dell’antica cultura del-

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Sociologia

Storiografia

◄ scrittori come Thoreau, Kerouac,

Chatwin e William Least HeatMoon e che può esserci utile ad osservare la vita con occhi diversi. A capire come davvero la felicità non dipenda da quanto possediamo, ma piuttosto dall’essere padroni del nostro tempo. Troppe persone, schiave delle proprie cure, spendono la loro vita sognando viaggi che mai compiranno. Come ebbe a notare Thoreau, l’umanità spreca «la parte migliore della vita a fare soldi per poter godere di una dubbia libertà nella parte meno preziosa della vita». Intanto si compie ogni giorno lo spettacolo del mondo, senza che i nostri occhi abbiamo un minuto per osservarlo. L’unica vera ricchezza dell’uomo è il tempo che gli è dato di vivere ma, come insegna il Buddha, l’illuminazione è un percorso individuale ed ognuno di noi può arrivarci seguendo il sentiero a lui più adatto. Altre frontiere. L’ultima frontiera del turismo la propone Benvenuti a Chernobyl, diario di viaggio scritto da Andrew Blackwel che descrive i luoghi più inquinati della Terra, da Chernobyl a Kanpur, mete proposte anche dall’agenzia londinese di turismo “geopolitico”, Lupin Travel. Ecoturista alternativo, Blackwell è determinato a smascherare una coscienza ambientale che “per tanta parte è solo estetica e che regala la sensazione ingannevole che basti conoscere i problemi per essere già sulla strada della loro risoluzione”. Mostrare immagini di inferni ambientali provoca indignazione, orrore e disgusto, cui segue però il sollievo di essere altrove e di poter dire: i problemi sono lì, noi invece siamo sani. Così, con tenacia, Blackwell si impegna a trovare “la scorza di bellezza” che può esistere in ogni posto del mondo. Anche in luoghi inquinati e sporchi, come suggerisce la loro fama, ma che per qualcuno rappresentano “casa”. L’ambientalismo tradizionale ha da sempre mirato alla salvaguardia di una Natura ideale, “ripulita” anche dalla presenza dell’uomo. Ne è testimone, a metà Ottocento, la costituzione del primo Parco Nazionale del mondo, quello di Yellowstone, vietato agli esseri umani... a meno che non

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fossero turisti! “Siamo così affascinati dal concetto di natura-come-purezza che non affrontiamo la realtà. Oggi l’obiettivo non è di preservare l’idea fantasiosa di una natura pura e a sé stante, ma di capire quanto siamo parte integrante della nuova natura che è ancora in vita. Solo così possiamo conservare lei e noi”. Dovremmo forse rivolgere un po’ più di attenzione e pure un po’ di amore a tutti quegli inferni devastati e contaminati dalla stoltezza dell’uomo e che fanno comunque, sempre di più, parte del nostro mondo. Conclusioni. “Ho scoperto che tutte le disgrazie dell’uomo derivano da un’unica sorgente, cioè il fatto che egli è incapace di restarsene tranquillo nella sua stanza”, scrisse il filosofo seicentesco Blaise Pascal. Ma “il mondo è un libro e chi non viaggia ne legge soltanto una pagina”, avrebbe potuto rispondergli Sant'Agostino, grande pioniere per lunga parte della sua vita del vagabondaggio. Il World Travel and Tourism Council di Oxford stima che il fatturato del turismo si aggiri sul 6% del prodotto mondiale lordo, più dell'industria automobilistica, dell'elettronica e dell'agricoltura. Il turismo impiega 130 milioni di lavoratori, uno ogni quindici occupati in tutto il mondo, costituisce la principale voce di spesa dopo gli alimenti, muove, ogni anno, oltre cinque miliardi di persone, tra cui quasi 600 milioni, verso l'estero. Alle soglie del duemila il turismo era la principale attività economica del globo e, nelle sue applicazioni di massa e di lusso, ha spesso effetti devastanti su culture, economie ed ambienti dei paesi visitati. “Il turista distrugge ciò che cerca nel momento in cui lo trova”, ma essendo fonte di immensi guadagni, poco si parla dei danni che produce. Tuttavia sta crescendo una nuova attenzione alle modalità del viaggio di vacanze. In Italia, i primi passi del turismo responsabile risalgono agli anni Ottanta, con la finalità di restituire senso al viaggio ed inducendo il turista ad adeguarsi ai tempi, ai mezzi, ai cibi, alle convenzioni sociali del posto. Moltiplicando i baratti di cuore e dello spirito forse sarà più facile

Indicazioni bibliografiche

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Andrew Blackwel, Benvenuti a Chernobyl. E altre avventure nei luoghi più inquinati del mondo. Laterza, Roma-Bari 2013 Walter Benjamin, I passages di Parigi, Einaudi, Torino 2010 Xavier de Maistre, Voyage autour de ma chambre, BUR, into e trad N. Muschitiello, Milano 1991

la comprensione dell’altro. Il settore dell’industria turistica, che ora registra il più alto tasso, è l’ecoturismo visto che ormai la metà del turismo internazionale è fatto di turismo di natura. La International Ecotourism Society americana ha definito l’ecoturismo come un modo responsabile di viaggiare in aree naturali, che conserva l’ambiente e sostiene il benessere delle popolazioni locali. A parte le iniziative in malafede il dilemma sta nei numeri. Se parlare di numero chiuso fa alzare alti lai ai populisti che, della democratizzazione del viaggio, fanno una crociata (se non un business), è chiaro che l’accesso incontrollato ad ecosistemi fragili risulta devastante. Data la straripante crescita, l’ecoturismo rischia di riprodurre il clamoroso paradosso del turismo tradizionale, trasformandosi solo in una lucrativa strategia di marketing e sono molte le voci ormai concordi sul fatto che l’elemento discriminante nella pratica di un ecoturismo profondo sia quello della reciprocità, cioè del rapporto che si crea con chi vive nei luoghi visitati. In questi termini, i confini tra ecoturismo e turismo sostenibile diventano fluidi. Per scoprire quanto i progetti eco turistici siano ideati e controllati dalle popolazioni locali, l’Organizzazione Mondiale del Turismo ha comunque individuato tre caratteristiche irrinunciabili del turismo sostenibile: le risorse ambientali devono essere protette, le comunità locali devono beneficiare del turismo, sia in termini di reddito che in qualità della vita (reddito e qualità della vita non sempre coincidono) ed i visitatori devono vivere un’esperienza di qualità. Per la maggior parte dei turisti, le ferie costituiscono una pausa di libertà dopo undici mesi di fatica ma che non deve significare oltraggio o indifferenza verso i valori e le pratiche del paese che si visita. Il turista è un ospite in casa d'altri, le comunità locali devono mantenere il diritto di aprirgli o meno le porte, preferendo chi garantisce un interesse genuino ed è disponibile a rapporti continuativi di cooperazione solidale. ♦

Vitaliano Biondi. Architetto, si occupa di architettura, giardini, paesaggio ed eventi culturali. Suoi lavori sono stati esposti alla Biennale di Venezia, al Beaubourg e al Grand Palais di Parigi.


A Approfondimenti

Altri approfondimenti â–ş NEUROSCIENZE COGNITIVE Siamo veramente liberi? Riflessioni sul libero arbitrio

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Neuroscienze

Filosofia

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MA SIAMO LIBERI? Libero arbitrio e neuroscienze. Come e perchè decidiamo le nostre azioni? 50


Anemos neuroscienze

Lug-Set 2014 | anno IV - numero 14

In

3

di Ilenia Compagnoni

parole chiave. Libero arbitrio, tempi di decisione, Libet, EEG, Potenziale di Prontezza Motoria. Abstract. Il seguente articolo affronta, da un punto di vista neuroscientifico, alcuni dei più importanti esperimenti rivolti allo studio di ciò che viene comunemente definito “libero arbitrio”. Dal noto esperimento di Benjamin Libet ai più recenti studi di Deiber e Demanet, la ricerca ha fatto notevoli progressi per quanto riguarda la differenziazione funzionale delle regioni potenzialmente coinvolte nei processi di presa di decisione consapevole. Nonostante le sorprendenti scoperte in questo campo, mancano dati effettivamente conclusivi che chiariscano ogni aspetto di questa delicata e sfaccettata tematica.

ultimi decenni, grazie a più sofisticate tecnologie sviluppate in ambito scientifico e in particolare neuroscientifico, l’argomento è riemerso alla luce di nuovi ambiti di studio. Le prime indagini volte allo studio del libero arbitrio e della consapevolezza motoria furono effettuate da un noto fisiologo dell’Illinois: Benjamin Libet. Le sue ricerche si focalizzarono inizialmente sull’ipotetica relazione esistente tra la con-

sapevolezza nell’iniziare un atto motorio e l’attività neurofisiologica sottostante. Nel suo più celebre esperimento, svoltosi nei primi anni ’80, Libet registrò l’attività cerebrale dei soggetti mentre questi erano impegnati a eseguire un compito di decisione motoria molto semplice. L’istruzione consisteva nel muovere il polso della mano destra quando avessero voluto farlo, riferendo poi il momento preciso in cui rite-

L

ibertà e neuroscienze. Il libero arbitrio rappresenta la caratteristica, essenzialmente umana, di voler agire in un determinato modo, senza vincoli esterni che influenzino il comportamento effettivamente agito. Per secoli, questa affascinante tematica è stata affrontata da innumerevoli prospettive, partendo soprattutto dalla filosofia e dalla teologia. Negli

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Neuroscienze

Filosofia

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Libet's Experiment

W - Awareness of Intention - 200 ms

Voltage scalp EEG

Rise of RP - 550 ms

Action 0 ms

Time (ms)

Figura 6.1 -

Illustrazione grafica dei risultati ottenuti da Libet nel suo primo esperimento. Sull’asse delle ordinate è rappresentato il voltaggio rilevato sullo scalpo tramite EEG; sull’asse delle ascisse viene rappresentato il tempo in millisecondi.

◄ nevano di aver preso la decisio-

ne di agire. Ai soggetti era infatti richiesto di fissare, durante l’intera durata della prova, un quadrante simile a un orologio, l’oscilloscopio, le cui lancette si muovevano a intervalli prestabiliti. In seguito il soggetto avrebbe dovuto indicare la posizione delle lancette nell’istante in cui aveva avuto la sensazione di aver deciso il movimento da compiere. Durante questo esperimento venne ro registrate l’attività cerebrale, tramite EEG, e l’attività neurofisiologica dei muscoli dell’avambraccio destro, tramite EMG. I risultati vennero dal confronto tra questi ultimi dati e quelli ottenuti dal resoconto introspettivo dei soggetti alla fine dell’esperimento. Si riuscì così a ottenere una successione di eventi elettrici cerebrali, alcuni dei quali precedevano di molto l’istante in cui i soggetti riferivano di aver voluto agire intenzionalmente. Questi segnali elettrici precoci confermarono l’esistenza di uno specifico segnale elettrico o Potenziale elettrico: il Potenziale di Prontezza Motoria (PPM). Vista la scarsa affidabilità del metodo introspettivo, usato nei suoi primi esperimenti, Libet sottopose i soggetti a diversi tipi di situazioni sperimentali, grazie alle quali riuscì a indagare in modo più approfondito la correlazione, dimostrata negli esperimenti precedenti, tra il Potenziale di Prontezza e la manifestazione dell’intenzione cosciente di agire. Dall’analisi dei risultati ottenuti,

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Figura 6.2 - In alto Benjamin Libet (1916 - 2007) neurofisiologo e psicologo statunitense, pioniere nelle ricerche sulla coscienza. Libet chiarì l’esistenza di due diversi tipi di attività cerebrale all’interno del Potenziale di Prontezza Motoria, che ipotizzò essere correlati a due diverse tipologie di processi neuronali, entrambi collegati all’esecuzione di movimenti volontari: il primo tipo di PPM era legato a movimenti preprogrammati; il secondo tipo di PPM faceva invece riferimento a movimento più spontanei. Ulteriori analisi dei dati mostrarono poi una specifica sequenza di variazioni nell’attività neuronale, nel momento in cui il soggetto inizia un atto motorio, sia nel caso di azioni

preprogrammate sia nel caso di azioni non pianificate precedentemente dal soggetto. La libertà “nel cervello”. È indubbio che Libet fu uno dei più noti pionieri nell’ambito dello studio sui tempi di presa di decisione. Oltre a lui, anche altri si sono recentemente addentrati in questo ambito di ricerca, cercando di approfondirne le mille sfaccettature. Soon e collegi, per esempio, trovarono tempi di attivazione neuronale di molto antecedenti a quelli trovati da Libet nei suoi esperimenti. Nel


Anemos neuroscienze

Lug-Set 2014 | anno IV - numero 14

Corteccia cingolata

Anteriore Ventrale

loro paradigma di ricerca chiesero ai soggetti di fissare uno schermo sul quale venivano proiettate delle lettere dell’alfabeto a distanza di circa 50 msec l’una dall’altra. Il compito richiedeva sostanzialmente di premere uno tra due pulsanti, quando avessero sentito il bisogno di farlo, riportando successivamente quale lettera era presente sullo schermo nel momento in cui avevano avuto la sensazione di aver deciso quale pulsante premere. Durante il compito sperimentale, veniva registrata l’attività cerebrale dei soggetti impegnati nel compito di decisione tramite fMRI. Dai dati ottenuti emerse, oltre ad

una attivazione che Amigdala precedeva Lobo temporale di molti secondi quella constatata negli esperimenti di Libet, anche il coinvolgimento di due particolari regioni cerebrali, maggiormente attive rispetto alle altre aree da cui venne registrata l’attività elettrica. La prima regione, denominata BA10, attiva circa 7 secondi prima della presa di decisione consapevole, è localizzata nella Corteccia Frontopolare; la seconda regione è localizzata tra la

Figura 6.4 - Nelle azioni spontaneamente iniziate si possono individuare variazioni dell’attività neuronale che seguono una specifica sequenza. Il Potenziale di Prontezza Motoria di primo tipo (RP I) si manifesta un secondo prima dell’inizio del movimento; il Potenziale di Prontezza Motoria di secondo tipo (RP II) parte 0,5 secondi dopo RP I; la percezione di aver preso una decisione sul compito da svolgere (W), in base a quanto riferito introspettivamente dai soggetti sperimentali, avviene 0,2 secondi prima di dare inizio al movimento; la sensazione di aver percepito uno stimolo tattile somministrato a

Dorsale Posteriore

Ippocampo

Corteccia Parietale e quella Cingolata Posteriore. Dopo una serie di esperimenti successivi, volti all’indagine della specifica funzione di queste aree cerebrali tramite risonanza spaziale, Soon e col. avanzarono un'ipotesi finale circa il loro coinvolgimento nella presa di decisione motoria. Secondo questa ipotesi conclusiva, la Cortec-

Figura 6.3 - Nell’immagine viene mostrata la Corteccia Cingolata, suddivisa in 4 regioni: dorsale, ventrale, posteriore, anteriore. Questa regione cerebrale sta alla base della Teoria unificatrice di Holroyd e Yeung.

intervalli irregolari (S) avviene pochi millisecondi prima della sua percezione. Gli studi di Libet si concentrarono soprattutto sullo scarto (di 350 millisecondi) esistente tra il Potenziale di Prontezza di secondo tipo e il ricordo introspettivo dei soggetti sul momento nel quale avevano avuto consapevolezza della loro decisione di agire. Quindi, sia il desiderio di agire, sia la decisione di attuare un movimento, sia la percezione di stimoli sensoriali avvengono prima della registrazione elettromiografica e dopo il Potenziale di Prontezza di secondo tipo.

Azioni spontaneamente iniziate (RP I)

(RP II)

↓ -1000

(Desiderio cosciente)

-500

EMG

s

-200

Linea temporale

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Neuroscienze

Filosofia

Lug-Set 2014 | anno IV - numero 14

vennero da Desmurget e colleghi, i quali vollero indagare il ruolo di due specifiche aree cerebrali e la loro connessione ai processi di consapevolezza dell’agire. In un loro noto esperimento usarono la stimolazione elettrica diretta del cervello di alcuni soggetti volontari, affetti da tumori cerebrali. Ai soggetti veniva somministrato un anestetico locale, per minimizzare eventuali danni postoperatori. Vennero stimolate, in tutto, 57 regioni, localizzate nelle Cortecce Frontale Parietale e Temporale. Dai risultati e dall’analisi dei dati raccolti, Desmurget notò l’esistenza di differenze funzionali in due delle regioni studiate. Desmurget avan-

◄ cia Frontopolare laterale avreb-

be un ruolo nella prima fase di creazione della decisione motoria, mentre l’area tra la Corteccia Parietale e quella Cingolata Posteriore avrebbe la funzione di mantenere in memoria la decisione fino all’avvenuta presa di consapevolezza della decisione stessa. Questi risultati potrebbero quindi indicare che l’Area Supplementare Motoria, generalmente collegata alla pianificazione di attività motorie, abbia, di fatto, un ruolo secondario nei processi di presa di decisione, attivandosi molto tempo dopo altre regioni cerebrali, quali quelle scoperte da Soon e col. Studi più specifici in questo senso

zò quindi un’ipotesi circa il ruolo di queste due regioni: la prima, la Corteccia Parietale Posteriore, produrrebbe la sensazione di star compiendo l’azione, anche in assenza di movimenti muscolari effettivi; la seconda, la Corteccia Premotoria, produrrebbe invece la concreta esecuzione del movimento muscolare, ma senza che il soggetto abbia la percezione dell’azione che sta compiendo. Intenzione e consapevolezza dell’azione sembrano, secondo questa ipotesi, essere la conseguenza di una maggior attività parietale; il senso di agency sembra, invece, dipendere in misura maggiore dalla precedente intenzione cosciente di agire e dalle conseguenze previste

APPROFONDIMENTI

I

Il Potenziale di Prontezza Motoria

l Potenziale di Prontezza Motoria (PPM) rappresenta una variazione dell’attività elettrica cerebrale appartenente ai cosiddetti Potenziali Lenti, i quali variano in modo sincrono rispetto all’attività psicomotoria dell’organismo. Il PPM è quindi una rappresentazione lenta e negativa dell’attività cerebrale, che appare prima dell’inizio del segnale elettromiografico e per un intervallo temporale molto lungo rispetto alla nostra percezione del movimento che stiamo eseguendo. Esso rappresenta un elemento importante per lo studio dell’attività cerebrale legata ai comportamenti motori volontari proprio in virtù di queste sue due ultime caratteristiche peculiari. Detto anche Readiness Potential (RP), o Bereintschafpotential, è una misura del contributo della Corteccia Motoria e dell’Area Supplementare Motoria nella pianificazione premotoria del movimento intenzionale. Il PPM fu rilevato per la prima volta da Bates nel 1951 e da Walter

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nel 1965, i quali però non lo correlarono, almeno inizialmente, ad attività cerebrali antecedenti il movimento consapevole. Il merito di aver attribuito al Bereintschaftpotential un ruolo nell’attività elettrica cerebrale va a Kornhuber e Deecke nei primi anni Sessanta. Questi studiosi effettuarono una serie di esperimenti sul movimento volontario nell’uomo, grazie ai quali riuscirono ad indagare approfonditamente il funzionamento e l’andamento temporale del PPM. Registrando l’attività neurofisiologica dei soggetti sperimentali tramite EEG, EMG e EOG, chiesero ai soggetti stessi di flettere l’indice della mano destra a intervalli irregolari, mentre tenevano fisso lo sguardo, cercando di sbattere le palpebre il meno possibile. Dall’analisi dei dati raccolti, scoprirono che il PPM si manifesta tra 1,5 e 0,8 secondi prima dell’atto motorio, con ampiezza che varia in modo proporzionale al suo inizio temporale (ov-

vero prima inizia e più è ampia) e la cui distribuzione coinvolge in particolare le aree parietali e precentrali di entrambi gli emisferi cerebrali. Dai dati raccolti, sembra inoltre essere un evento generalmente costante, ma influenzabile da fattori esterni quali l’attenzione e la motivazione. Nonostante queste caratteristiche lo facciano essere un elemento fondamentale del comportamento motorio volontario, esso non rappresenta il comando motorio vero e proprio a causa della sua lunga durata temporale. Esso sembra piuttosto implicato in una sorta di preparazione motoria del comportamento. Estendendo il loro paradigma di ricerca a compiti più complessi, quali quelli di espressione verbale e scrittura, Kornhuber e Deecke arrivarono alla conclusione che la sede della pianificazione motoria sembra essere situata nella Corteccia Frontale. Ipotizzarono, inoltre, una tripartizione di questa regione cerebrale: la parte orbitale sarebbe coinvolta nella componente “cosa” del


Anemos neuroscienze

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Altre ricerche sulle differenze funzionali tra aree corticali. Attraverso la fRM, il gruppo di ricercatori di Desmurget indagò l’attività elettrica cerebrale di vari soggetti, ai quali era richiesto di eseguire 5 tipi diversi di compiti sperimentali, ognuno dei quali prevedeva di muovere un joystick in base ai

5 diversi tipi di comandi imposti. Grazie ai dati ottenuti si vide una interessante differenza nell’attivazione neuronale di due regioni cerebrali coinvolte nei processi di decisione motoria: l’Area Supplementare Motoria e la Regione del Cingolo. Utilizzando set di prove diversi, Deiber e col. riuscirono a ipotizzare una correlazione, relativamente a queste due aree, tra il loro livello di attivazione elettrica nelle varie situazioni sperimentali e il loro ruolo

nei meccanismi di presa di decisione consapevole. L’Area Supplementare Motoria risulta essere coinvolta soprattutto nei movimenti di tipo sequenziale, per quanto riguarda la parte posteriore, e in attività aventi una certa velocità e spontaneità, per quanto concerne la parte anteriore di questa regione; la Regione del Cingolo sembra correlata a movimenti di tipo più spontaneo, nella sua porzione rostrale, e sembra avere un qualche tipo di rapporto con le

dell’azione programmata, rispetto al movimento effettivamente prodotto a livello muscolare.

Giro precentrale Potenziale di preparazione

- 800

Onda positiva premotoria

- 90 msec 0 Giro postcentrale

Figura 6.2 - Viene qui illustrato l’andamento temporale dei Potenziali Lenti e la loro diversa polarità. controllo motorio; la parte laterale sarebbe coinvolta nel “come”; la parte centrale mediale nel “quando”. Nonostante l’utilità e il fascino di una così schematica suddivisione dei processi decisionali, servono altri dati a sostegno di questa ipotetica divisione funzionale della Corteccia Frontale. La definizione libettiana di base di un atto pienamente volontario prevede che esso sia un’attività endogena, non imposta o limitata da fattori esterni, avvertita dal soggetto che la compie come un’azione che viene da se stesso e verso la quale sperimenta un sentimento di agency. Il senso di agency corrisponde alla capacità di agire attivamente sull’ambiente che ci circonda,

trasformandolo, unito a un senso di operatività e causazione sulle modifiche apportate ad entità esterne con il nostro comportamento. È collegato all’intenzionalità dell’agire in un determinato modo per raggiungere certi scopi e al potere di cambiare il mondo che ci circonda. Durante i suoi esperimenti e grazie ai dati che ne derivarono, Benjamin Libet sviluppò un approccio teorico grazie al quale poter spiegare i risultati ottenuti: la Time on Theory. Questa teoria di base si basa sull’assunto secondo il quale il tempo sarebbe il fattore discriminante tra processi mentali consapevoli e non. L’assunto fondamentale di questo approccio teorico sostie-

ne che la produzione di attività mentali coscienti dipende direttamente dal tempo che impiega il cervello a raggiungere la cosiddetta “adeguatezza neuronale”, ovvero la durata minima di tempo necessaria per raggiungere un'appropriata attivazione neuronale. Le ricerche successive del fisiologo verteranno, infatti, in misura sempre maggiore, sull’estensione dei paradigmi di ricerca, usati precedentemente nell’indagine sui tempi di percezione cosciente di stimoli esterni, alla distinzione tra fenomeni consapevoli e non, basandosi soprattutto sulle peculiari caratteristiche temporali del Potenziale di Prontezza.

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Neuroscienze

Filosofia

◄ caratteristiche di velocità e com-

plessità del compito, soprattutto per quanto riguarda la sua porzione caudale. Ancor più di recente (2013), Demanet e col. si sono impegnati a testare la loro ipotesi di base, secondo la quale il controllo intenzionale risulta essere meno efficace se le scelte sono distorte da altri fattori, quali esperienze

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prio, i soggetti riuscirono a distinguere 4 gruppi di risposte che potevano scegliere durante l’iter sperimentale, i quali facevano riferimento ad altrettante tipologie di condizioni sperimentali. Confrontando successivamente i pattern di attivazione neuronale, ottenuti tramite MRI, nelle 4 condizioni sperimentali, trovarono differenze nell’attivazione cerebrale

Riguardo quest’ultima ricerca, Holroyd e Yeung hanno recentemente fornito una teoria unificatrice in merito al funzionamento della Zona Cingolata Rostrale, basandosi sul confronto tra gli studi di Demanet e col. e altri studi simili effettuati sulla stessa regione. Secondo questa teoria, la Zona Cingolata Rostrale avrebbe la funzione di selezionare e soppesare

« [...] la Corteccia Frontopolare laterale avrebbe un ruolo nella prima fase di creazione della decisione motoria, mentre l’area tra la Corteccia Parietale e quella Cingolata Posteriore avrebbe la funzione di mantenere in memoria la decisione fino all’avvenuta presa di consapevolezza della decisione stessa.» passate o stimoli target appartenenti all’immaginario collettivo. In uno dei suoi esperimenti, Demanet chiese ai soggetti di scegliere tra due tipi di compito, entrambi comprendenti una serie di sostantivi presentati visivamente al soggetto, ma appartenenti a categorie semantiche diverse (oggetti viventi/non, oggetti piccoli/grandi). Tramite l’utilizzo di prove sperimentali differenziate e sedute di apprendimento del compito precedenti l’esperimento vero e pro-

della Zona Cingolata Rostrale, rispetto alle altre regioni esaminate. L’attività di questa regione era minore quando il soggetto operava una scelta compatibile con il compito svolto precedentemente, in modo specifico e indipendente dall’attività delle altre regioni cerebrali. La Zona Cingolata Rostrale venne, quindi, associata al processo di valutazione delle varie alternative possibili in una data condizione, prima che sia stata presa una decisione d’azione.

Indicazioni bibliografiche Brass M., Lynn M. T., Demanet J., Rigoni D. (2013). Imaging volition: what the brain can tell us about the will. "Exp Brain Res" (2013), 229, pp. 301-312. De caro M., Lavazza A., Sartori G. (2010). Siamo davvero liberi? Le neuroscienze e il mistero del libero arbitrio, Codice edizioni, Torino. Demanet J., De Baene W., Arrington M. C., Brass M. (2013). Biasing free choices: The role of the rostral cingulate zone in the intentional control. "Neuroimage", 72, pp. 207-213. Desmurget M. et al. (2009). Movement Intention After Parietal Cortex Stimulation in Humans. "Science", vol. 324, pp. 811-813. Libet B. et al. (1983). Time of conscious intention to act in relation to onset of cerebral activity (readiness-potential). The unconscious initiation of a freely voluntary act. "Brain", vol.106, pp.

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623-642. Soon C. S., Brass M., Heinze H. J., Haynes J. D. (2008). Unconscious determinants of decision in the human brain. "Nature neuroscience", vol. 11, No. 5, pp. 543-545. Soon C. S., Brass M., Heinze H. J., Haynes J. D. (2008). Unconscious determinants of decision in the human brain. "Nature neuroscience", vol. 11, No. 5, pp. 543-545. Bibliografia degli approfondimenti: Cavallaro F. (2001-2002). Azione, Volontà e Consapevolezza. Elementi per una critica epistemologica degli esperimenti di Benjamin Libet. Deecke, L., Grözinger, B., Kornhuber, H.H. (1976). Voluntary Finger Movement in Man: Cerebral Potentials and Theory. "Biological Cybernetics", 23, pp. 99-119.

le opzioni di azioni, in vista di uno specifico scopo e in contesti altamente specifici. Sarebbe quindi coinvolta nelle scelte socialmente apprese come più appropriate in una determinata situazione. La teoria di Holroyd e Yeung fa poi riferimento anche ad altre aree cerebrali, altrettanto importanti nell’effettiva attuazione del comportamento intenzionale.♦

Ilenia Compagnoni. Ha frequentato il Liceo Scientifico presso l'istituto statale superiore Bertrand Russell di Guastalla. Nel 2014 si è laureata presso l'Università degli Studi di Parma in Scienze e Tecniche Psicologiche. La sua tesi di laurea, svolta con relatore il Professor L. Fogassi, che ha avuto un ruolo importante nelle ricerche che portarono alla scoperta dei neuroni specchio, faceva riferimento agli studi di Libet e dei suoi successori sui correlati neuronali del libero arbitrio.


A

Pensiero al femminile

Artemisia Gentileschi La vita difficile di una donna geniale

Pensiero al femminile. L'approccio multidisciplinare di ÂŤNeuroscienze AnemosÂť guarda anche al mondo della psicologia sociale. La questione delle discriminazioni di genere e del ruolo della donna nella societĂ rientra tra le problematiche anche della nostra epoca. Da qui l'esigenza di puntare la lente sul contributo del genere femminile ai settori importanti della scienza e della cultura.

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IL PERSONAGGIO

ARTEMISIA Gentileschi Divina e passionaria. Le ossessioni di un'artista eccezionale

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Anemos neuroscienze

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In

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di Mario Pavesi

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parole chiave. Artemisia Gentileschi, arte, pittura, barocco. Abstract. Artemisia Gentileschi (1593-1656 circa) fu una delle poche protagoniste femminili della storia dell’Arte europea. Vittima di uno stupro da parte di un amico del padre e del pubblico processo che ne seguì, la sua figura artistica si intreccia con la sua vicenda umana. Con il maturare della sua arte, i soggetti delle sue opere, infatti, diventano sempre più ossessivi e si arricchiscono di figure mitologiche che fanno riferimento alla sua storia personale, come se volesse rivendicare il suo diritto di denuncia. Fu l'unica donna nel 1616 ad essere ammessa all’Accademia del Disegno di Firenze.

cenziosa che l’accompagnerà per tutta la vita, l’accaduto procura ad Artemisia un marito riparatore nella figura del mediocre pittore fiorentino Pierantonio Stiattesi. Artemisia “pittora”. Nei primi mesi del 1613, assieme al marito, si trasferì a Firenze, iniziando a tenere una fitta rete di relazioni rivolte all’ambiente artistico e intellettuale del granducato, attirando l’attenzione di Michelangelo Buonarroti il Giovane, Galileo Galilei e dell’affermato pittore Cristofano Allori. La sua pittura nel frattempo si evolse accentuando quell’originalissima drammaticità espressiva che sarà alla base delle sue creazioni, senza mai perdere di vista i grandi maestri del tempo: Caravaggio, Rubens, Van Dyck, il padre, Allori, Vouet. Artemisia “pittora”, con l’aiuto di Allori e Galileo, riuscì, nel 1616, unica donna,

ad essere ammessa all’Accademia del Disegno di Firenze. In questo periodo nacquero i quattro figli (Giovanni Battista,

I

primi passi nell'arte e il processo. Artemisia Gentileschi nacque a Roma l’8 luglio del 1593 e fu una delle pochissime protagoniste femminili della storia dell’Arte europea, anche se la sua storia di donna, a seguito di ciò che le accadde, avrebbe potuto farla sprofondare nell’oblio e privarci per sempre di questa grande e geniale pittrice. Figlia di Orazio, pittore stimato (1563 - 1639), venne educata alla pittura fin dalla più tenera età. Intuendone (il padre) le straordinarie doti creative, la introdusse nella sua bottega al tempo frequentatissima dai maggiori interpreti della pittura romana e non, uno su tutti Caravaggio, perché imparasse e soprattutto respirasse l’humus necessario per affermarsi. Cresciuta nella Roma di Paolo V, andò perfezionando il suo apprendistato, seguendo il padre/ maestro nelle ricche dimore cardinalizie e nelle abitazioni sontuose della nobiltà del tempo. Il 6 maggio 1611 venne stuprata nella casa di via della Croce da un amico e collega del padre, Agostino Tassi (1580 - 1644) e divenne, suo malgrado, protagonista di un pubblico processo, che fu tra le più seguite “causes celebres” dell’epoca. Dopo essere stata sottoposta ad ingiurie di ogni sorta e torturata (schiacciamento dei pollici) per stabilire la veridicità dell’accusa, alla fine, nel novembre del 1612, il tribunale condanna Agostino Tassi all’esilio. Oltre alla reputazione di donna li-

Figura 7.1 - A fianco L'Estasi di Santa Teresa del Bernini. Roma, durante il Seicento, conservò il suo ruolo di centro culturale e artistico, nonostante la decadenza economica e politica dell'Italia.

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IL PERSONAGGIO

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Anemos neuroscienze

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Figura 7.2 - A sinistra Giuditta che decapita Oloferne,

realizzato fra il 1612 e il 1613 dalla pittrice Artemisia Gentileschi. È conservato nel Museo Capodimonte di Napoli. A destra Susanna e i vecchioni è un dipinto a olio su tela (170x119 cm) realizzato nel 1610; fa parte della Collezione Graf von Schönborn, che si trova a Pommersfelden in Germania.

◄ Cristofano, Prudenzia e Lisa-

betta) e conobbe il gentiluomo Francesco Maria Maringhi, coetaneo, rampollo di una delle famiglie più ricche di Firenze e socio in affari di Frescobaldi, che diventerà il grande amore della sua vita. I periodi a Roma e a Napoli. Nel 1620 dovette fuggire da Firenze perché soverchiata dai debiti (il tenore di vita che conduceva era notevolmente superiore alle sue possibilità). Ritornò a Roma, seguita di lì a poco dal Maringhi, mentre il marito, Pierantonio Stiattesi, uscì definitivamente dalla sua vita. I soggetti delle sue opere divennero sempre più ossessivi e si arricchirono di figure mitologiche che fanno spesso riferimento alla sua storia personale: Giuditte, Cleopatre, Maddalene, Susanne, Betsabee, Giaele, ecc., quasi a voler rivendicare per sé il diritto di denuncia. Il padre Orazio nel 1626 venne chiamato come pittore di corte presso Carlo I d’Inghilterra e alcuni anni dopo (1637) Artemisia lo raggiunse sulle ali di una fama che oramai correva per tutta l’Europa. Alla morte del padre (1639) tornò in Italia, precisamente a Napoli, e il suo studio divenne una sorta di Accademia. Ad Artemisia, oramai affermata e apprezzata come pittrice dagli stessi colleghi pittori che operavano nel periodo a Napoli, Giordano Bruno,

Ribera, Cavallino, Stanzione, furono riconosciute doti di grande intelligenza e cultura intrattenendo contatti epistolari con il duca di Modena, il granduca di Toscana e Galileo Galilei. Morte e popolarità. La nostra “pittora” è stata sicuramente la protagonista di una vicenda umana contraddittoria, dove spesso si intrecciavano elementi sentimentali a sete di potere economico e sociale, facendo emergere quell’ambizione che l'ha caratterizzata per tutta la vita. Fama e successo furono però effimeri perché, per i motivi sopracitati, negli ultimi tempi conobbe solitudine e povertà. La data di morte non è stabilita con certezza, forse 1656 a causa della peste che in quel periodo decimò la popolazione di Napoli. Fu sepolta nella chiesa di San Giovanni dei Fiorentini a Napoli sotto una lapide che recitava: heic Artemisia. Dopo la morte venne presto dimenticata come pittrice, ma venne ricordata come figura leggen-

Indicazioni bibliografiche T. Agnati, Artemisia Gentileschi, Giunti, Firenze 2010. F. Imparato, Documenti relativi ad Artemisia Lomi Gentileschi, in “Archivio Storico dell'arte”, 1889.

R. Longhi, Gentileschi padre e figlia, in “L'Arte”, 1916. Orazio e Artemisia Gentileschi, catalogo della mostra, Milano 2001.

daria. La sua rivalutazione da un punto di vista artistico avvenne nel 1916 ad opera di Roberto Longhi che di lei disse: “L’unica donna in Italia che abbia mai saputo che cosa sia pittura, colore, impasto e simili essenzialità”. Negli anni '70 del 900 raggiunse il massimo della popolarità attraverso i movimenti femministi di tutto il mondo, che restituirono piena dignità a questa eroina del Barocco. ♦

Mario Pavesi. Dopo gli studi superiori, si iscrive all'Accademia delle Belle Arti di Bologna e segue il Corso di Scultura di Umberto Mastroianni. In questa sede incontra lo scultore Dante Carpigiani che, insieme al pittore novellarese Vivaldo Poli, diventerà punto di riferimento per la sua formazione umana e artistica. In quarant'anni di attività ha sperimentato vari percorsi pittorici e scultorei, svincolati sempre e comunque dalle logiche del mercato e dalle mode del momento, ma sempre legati alla sfera delle emozioni e alla ricerca incessante di una interiorità sofferta. Attualmente, oltre alla produzione artistica, si dedica ad una intensa attività didattica, tenendo corsi di formazione a vari livelli. Vive e lavora a Novellara, in provincia di Reggio Emilia.

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IL PERSONAGGIO

Madri e donne nei dipinti di Artemisia

Come una diversa sensibilità porta a una pittura intensa

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on è certo un caso che la presenza di nomi femminili, non solo in pittura ma in tutti i campi, sia veramente un fatto raro. Artemisia Gentileschi, dunque, è un'eccezione, dovuta al suo incredibile genio, ma anche alle circostanze favorevoli e fortuite (mostre e recuperi critici nel corso nel Novecento) che hanno consentito alla sua figura di giungere fino a noi. La donna, per gran parte della storia, e in particolare al tempo di Artemisia, aveva due strade da poter seguire: il matrimonio o il convento. La carriera della donna pittrice, invero non molto prestigiosa anche per gli uomini, a parte per certe celebrità, perchè veniva ritenuta una forma di artigianato, era non solo svantaggiosa, ma socialmente condannata. Questa visione maliziosa e degradante degli uomini sulle donne traspare in un certo senso anche nei dipinti di Artemisia. I “vecchioni” che importunano Susanna sono dei veri molestatori e il personaggio femminile ha veramente un'espressione di turbamento, al con-

trario di tanti analoghi soggetti femminili in cui lo stereotipo del soggetto non rendeva la sofferenza di Susanna, semplice icona femminile di bellezza inespressiva. Queste caratteristiche della prepotenza maschile, che traspaiono nei dipinti di Artemisia, sono certamente anche il frutto dell'esperienza personale di violenza che la pittrice subì e della mancata giustizia, nonché della titubanza del padre nel procedere contro il responsabile, Agostino Tassi, già suo assistente. Alcuni interpreti hanno voluto vedere nei dipinti di Giuditta che decapita Oloferne una sorta di vendetta verso l'uomo, poiché l'espressione delle due donne è concetrata e determinata, non disgustata o titubante come appare, ad esempio, nell'analogo dipinto di Caravaggio conservato a Palazzo Barberini a Roma. Si tratta di una teoria suggestiva, probabilmente contenente qualcosa di

vero, ma indimostrabile sotto il profilo critico e psicologico. La sensibilità femminile, d'altra parte, quando non è fatta di luoghi comuni, traspare anche in termini positivi nelle rappresentazioni pittoriche dell'artista. Artemisia non dipinse, ancora una volta, stereotipi di maternità, ma donne reali nel loro rapporto con il bambino. Tra i vari dipinti, si pensi ad esempio alla Madonna col bambino del 1609, conservata presso la Galleria Spada di Roma. In questo dipinto il piccolo accarezza il viso della madre, fatto unico in questa tipologia iconografica. Considerando, dunque, la differente sensibilità da cui un'artista femminile partiva per realizzare soggetti ricorrenti, non possiamo che rimpiangere che la storia dell'arte sia stata, fino a tempo molto recente, solo un'emanazione della parte maschile dell'umanità. ♦


29 luglio 2014 ore 20,30

serata di meditazione SANGHA

e di presentazione del corso di Mindfulness che inizierà nel mese di settembre

con la dott.ssa Laura Torricelli presso

In ambito psicologico, Mindfulness indica la consapevolezza dei propri pensieri e delle proprie azioni. Il suo obiettivo è quello di risolvere la sofferenza interiore, portando ad una maggiore accettazione di sé.

Ingresso gratutito, portare abbigliamento comodo, tappetino da yoga e cuscino

INFO E PRENOTAZIONI: info@anemoscns.it - tel. 0522 922052 via Meuccio Ruini, 6 - 42124 Reggio Emilia


Gli Editori

L'Associazione Anemos

Presidente: dr. Marco Ruini

L

’Associazione culturale e di volontariato Anemos, fondata nel marzo 2009, nasce per coordinare e ampliare le attività di volontariato sociale di un gruppo di amici di Novellara (RE), nonchè le attività culturali del Centro di Neuroscienze Anemos, l’attività editoriale scientifica in collaborazione con la casa editrice New Magazine Edizioni e con la casa editrice La Clessidra. Tra i vari campi d’attività accennati: ♦ Libera Università di Neuroscienze Anemos: organizza convegni, seminari e corsi multidisciplinari sul tema delle neuroscienze in collaborazione con La Clessidra Editrice (vedi testo sotto). Pubblicazione della rivista «Neuroscienze Anemos» ♦ “Libri Anemos”. Attività editoriale con la Casa Editrice New Magazine con una collana di Neuroscienze e una collana di Narrativa e Poesia ♦ Biblioteca di Neuroscienze Anemos ♦ Promozione e valorizzazione di giovani artisti ♦ Programmi di volontariato sociale nei paesi in via di sviluppo e in Italia

www.associazioneanemos.org

La Clessidra Editrice Direzione editoriale: Davide Donadio Tommy Manfredini

N

ell’autunno del 2010 è nato il progetto «Neuroscienze Anemos», trimestrale di neuroscienze, scienze cognitive, psicologia clinica e filosofia della mente. Il periodico di divulgazione scientifica, distribuito gratuitamente nelle biblioteche pubbliche della provincia di Reggio Emilia e Mantova e in altri circuiti distributivi, si sviluppa in stretta correlazione con La Clessidra Editrice, giovane casa editrice Reggiana (con sede a Reggiolo, RE) nata in un contesto di associazionismo culturale nel 2004 e costituitasi come casa editrice nel 2006. ditrice La Clessidra è specializzata in editoria periodica locale e settoriale. La giovane casa editrice raduna intorno a sé un attivo gruppo di intellettuali, collaboratori abituali e occasionali, che agiscono oltre la sfera dell'editoria. otto questo aspetto, le attività promosse dall'editore contribuiscono ad alimentare il dibattito sulla contemporaneità, non solo presentando e divulgando la propria attività e quella di altri operatori culturali, ma anche promuovendo convegni e seminari (riguardanti l'ambito scientifico e le scienze umane) , divulgando l'attività di artisti, scrittori, studiosi di varie discipline.

E S

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Le Clessidra Editrice. Redazione editrice e della rivista: via XXV aprile, 33 - 42046 Reggiolo (RE) tel. 0522 210183


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