"Neuroscienze Anemos"- Aprile- giugno 2014

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ISSN 2281-0994

Trimestrale culturale a diffusione gratuita - Apr-Giu 2014 ♌ anno IV - numero 13

Anemos neuroscienze

Trimestrale di neuroscienze, scienze cognitive, psicologia clinica e filosofia della mente

pensiero al femminile

Simone Weil Vita e pensiero di una donna coraggiosa

NEUROchirurgia

Slow Neurosurgery Quando occorre attendere

Sulle credenze

Credenza, termine dai significati multiformi, ne parliamo attraverso le scienze biomediche e sociali

Epigenetica

Neurochirurgia

Possibile che i caratteri acquisiti nel corso della vita possano trasmettersi come ereditĂ genetica? Lo sostiene l'epigenetica

Cosa sono la neurochirurgia funzionale e stereotassica? Lo stato dell'arte oggi

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Potrete contribuire cosĂŹ con le vostre idee


CENTRO DI NEUROSCIENZE ANEMOS Direttore sanitario: Dott. Marco Ruini

PSICOLOGIA CLINICA Psicodiagnosi (Dott.ssa Laura Torricelli) Psicoterapia di coppia e famigliare (Dott Federico Gasparini) Psicotraumatologia e EMDR (Dott.ssa Federica Maldini) Mindfulness (Dott.ssa Laura Torricelli) Psicopatologia dell'apprendimento (Dott.ssa Enrica Giaroli) NEUROPSICOLOGIA ADULTI (Dott.ssa Caterina Barletta Rodolfi, Dott. Federico Gasparini) NEUROPSICOLOGIA dello SVILUPPO (Dott.ssa Lisa Faietti, Dott.ssa Linda Iotti) AREA DI PSICHIATRIA Dott. Giuseppe Cupello Dott. Raffaele Bertolini

AREA DI OCULISTICA Dott. Valeriano Gilioli Dott. Vicenzo Vittici

SERVIZIO DI NEUROCHIRURGIA Dr. Marco Ruini: Responsabile Dr. Marco Ruini: Neurochirurgo, Patologia del rachide e cerebrale Dr. Andrea Veroni: Neurochirurgo, Patologia del rachide nell’anziano Dr. Andrea Seghedoni: Neurochirurgo, Instabilità del rachide Dr. Giampiero Muggianu: Neurochirurgo, Patologia del rachide e cerebrale

Collaborazioni

Dr. Ignazio Borghesi, Neurochirurgo Prof. Vitaliano Nizzoli, Neurochirurgo Prof. Lorenzo Genitori, Neurochirurgia Pediatrica Dr. Bruno Zanotti, Neurochirurgo

SERVIZIO DI TERAPIA ANTALGICA Dr. Roberto Bianco, Anestesista, Terapia infiltrativa, Agopuntura Dr. Ezio Gulli, Anestesista, Terapia infiltrativa

SERVIZIO DI RIABILITAZIONE E RIEDUCAZIONE FUNZIONALE Dr. Aurelio Giavatto, Manipolazioni viscerali Dr. Nicolas Negrete, Fisioterapista Dott.ssa Maela Grassi, Osteopata SERVIZIO DI NEUROLOGIA E DI NEUROFISIOLOGIA Dr. Mario Baratti, Neurologo, Elettromiografia e Potenziali evocati Dott. Devetak Massimiliano, Neurologo, doppler tronchi sovraortici e transcranico Dr.ssa Daniela Monaco, Neurologia, Doppler transcranico per Parkinson

ANEMOS | Centro Servizi di Neuroscienze Poliambulatorio Medico | Libera Università | Ass. Culturale Via Meuccio Ruini, 6 | 42124 Reggio Emilia tel. 0522 922052 | Fax 0522 517538 | www.anemoscns.it info@anemoscns.it | www.associazioneanemos.org

Centro di riferimento: Centro di Neuroscienze Anemos, Reggio Emilia. Centri Ospedalieri per la Neurochirurgia del rachide e le tecniche mininvasive: Casa di Cura Salus Hospital (Re), Ospedale di Suzzara (Mn), Casa di Cura San Clemente (Mn), Casa di Cura Villa Maria Cecilia di Cotignola (Ra). Ambulatori: Reggio Emilia, Correggio, Suzzara, Poggio Rusco, Mantova, Carpi, Modena, Fiorenzuola, Olbia e Messina.


Anemos neuroscienze

Apr-Giu 2014 | anno IV - numero 13

Editoriale

Dall'antropologia alla medicina

I

l secondo numero dell'anno di “Neuroscienze Anemos” risulta, a differenza di altri numeri precedenti, tripartito. Nella prima parte troverete lo speciale dedicato al tema del numero che sarà dedicato alle “credenze”. Questo concetto-termine, così poliedrico nella lingua italiana, viene analizzato da diversi punti di vista, dall'epigenetica alla sociologia, dall'antropologia alla filosofia. Non spendiamo altre parole a proposito poiché la serie di articoli è preceduta da un'introduzione che illustra scopi e impostazione dello speciale. La seconda parte è dedicata agli approfondimenti. Come ormai sarà noto ai nostri lettori, in questa sezione vengono riportati articoli di carattere più tecnico rispetto al tema del numero. In questo caso si tratta di due contributi di carattere medico. Il primo (“Slow Neurosurgery”) si deve a Bruno Zanotti e Angela Verlicchi, tratta della tempistica nella prassi neurochirurgica e ha anche esso attinenza col tema delle credenze. Come sottolineano gli autori, “si è abituati a pensare che la medicina abbia sempre meno limiti e sia spesso onnipotente. Inoltre, nel sentire comune, si ritiene che in presenza di un tumore prima si interviene, clinicamente o chirurgicamente, meglio è. Nella stragrande maggioranza dei casi ciò e vero, ma non sempre. E non sempre in neurochirurgia”. Il secondo testo della sezione approfondimenti è dovuto a Flavio Giordano, Barbara Spacca, Lorenzo Genitori, medici della struttura UOC Neurochirurgia, dell'Ospedale Meyer di Firenze. Questo articolo descrive lo stato dell'arte della neurochirurgia funzionale e stereotassica. “Si tratta di una branca della neurochirurgia che comprende gli

interventi atti a migliorare e correggere il funzionamento del sistema nervoso centrale e periferico perturbato da patologie acquisite o congenite insorte in diverse età della vita. A differenza quindi di altre procedure chirurgiche che mirano a rimuovere la patologia (per esempio tumori, emorragie) o a correggere le malformazioni (disrafismi spinali, malformazioni craniofacciali, idrocefalo), la neurochirurgia funzionale ha come scopo la rimozione, la modulazione e la ricreazione di funzioni e circuiti neuronali attraverso interventi di resezione, stimolazione, ricostruzione e trapianto”. Il testo è corredato da una nutrita iconografia tecnica che aiuta la comprensione dei concetti espressi. La terza parte di questo numero è dedicata ancora una volta al “pensiero al femminile”. L'approccio multidisciplinare di “Neuroscienze Anemos” guarda anche al mondo della psicologia sociale. La questione delle discriminazioni di genere e del ruolo della donna nella società rientra tra le problematiche anche della nostra epoca. Da qui l'esigenza di puntare la lente sul contributo del genere femminile ai settori importanti della scienza e della cultura. Il “personaggio” di questo numero è la filosofa Simone Weil, donna complessa e affascinante. Di lei riportiamo una breve biografia e una panoramica del suo pensiero filosofico.

Si possono inviare proposte di articoli, segnalazioni di eventi, commenti o altro all’indirizzo redazione@clessidraeditrice.it

Ci trovate anche su Facebook https://www.facebook.com/Rivista.Anemos https://www.facebook.com/LaClessidraEditrice

Gli Editori La Clessidra Editrice Libera Università di Neuroscienze Anemos

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SOMMARIO

Sulle credenze Credenza, termine dai significati multiformi, ne parliamo attraverso le scienze biomediche e sociali

Editore: Editrice La Clessidra / Anemos Redazione Via 25 aprile, 33 42046 Reggiolo (RE) redazione@clessidraeditrice.it Tel 0522 210183 Direttore Responsabile Davide Donadio davidedonadio@clessidraeditrice.it Direttore Scientifico Marco Ruini info@anemoscns.it Redazione: Marco Barbieri, Tommy Manfredini, Paola Torelli. Comitato scientifico* Adriano Amati Laura Andrao Mario Baratti Mauro Bertani Raffaele Bertolini Vitaliano Biondi Arcangelo Dell'Anna Sergio Calzari Giuseppe Cupello Pinuccia Fagandini Lorenzo Genitori

Enrico Ghidoni Franco Insalaco Giovanni Malferarri Antonio Petrucci Sara Pinelli Ivana Soncini Leonardo Teggi Laura Torricelli Bruno Zanotti Maria Luisa Zedde

Rubriche e notizie 06

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Registrazione n. 1244 del 01/02/2011 Tribunale di Reggio Emilia Iconografia: alcune immagini presenti in «Neuroscienze Anemos» sono tratte da siti internet contenenti banche dati di immagini di libero utilizzo. Qualora vi fossero stati errori e omissioni relativi al diritto d’autore l’editore rimane a disposizione per sanare la sua posizione.

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* Il comitato scientifico è composto da persone che partecipano a vario titolo e con continuità differente alle attività organizzate dalla Libera Università di Neuroscienze Anemos e di La Clessidra Editrice.

L'uomo macchina

Il tradimento del relativismo

Hanno inoltre collaborato:

Luogo di stampa

Memoria e neuroni

▪ Musicisti si nasce ▪ Nuove scoperte sul disturbo bipolare ▪ Cosa accade quando si perde la coscienza di sé?

Claudio Brigati, Alessandro G. Genitori, Aurelio Giavatto, Flavio Giordano, Simone Ruini, Barbara Spacca, Angela Verlicchi

E.Lui Tipografia - Reggiolo (RE)

Neuronews

di Davide Donadio

Incontri 10 La follia diventa condivisione di Alessandro G. Genitori


Anemos neuroscienze

Apr-Giu 2014 | anno IV - numero 13

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Credenze tra natura e cultura

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Genetica / Neurobiologia Epigenetica e credenze

Un campo di indagine infinito

Si ereditano anche i caratteri acquisiti? Il "dogma centrale" della biologia messo in discussione di Aurelio Giavatto

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Genetica / Antropologia La trasmissione delle credenze

Si possono ereditare comportamenti legati ai ricordi dei genitori?

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di Claudio Brigati

Storiografia / Antropologia C'era una volta...

La festa di Sant'Antonio: un esempio di assimilazione di antichi riti ed usanze operato dalla Chiesa

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di Vitaliano Biondi

Psicologia / Sociologia Credenze e coesione sociale

Come si spiega la nascita della societĂ e come riesce a perpetuarsi nel tempo? In questo sviluppo che ruolo hanno le credenze?

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di Adriano Amati

Filosofia / Antropologia Lo specchio infranto Appunti sulla superstizione

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di Antonio Petrucci

Approfondimento: antropologia Su carresegare

Il carnevale sardo, retaggio di antichi culti

La morte è bianca

42

di Sara Pinelli di Laura Andrao

Letteratura / Filosofia Sul credere

Un'incursione filosofica: credenza tra linguaggio e conoscenza

di Franco Insalaco

Altri Approfondimenti

Neurochirurgia

48

Slow Neurosurgery

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Neurochirurgia funzionale e stereotassica

di Bruno Zanotti, Angela Verlicchi

di Flavio Giordano, Barbara Spacca, Lorenzo Genitori

Simone Weil: il personaggio

58 60

Una vita in movimento Simone Weil e la gorgone www.clessidraeditrice.it

di Simone Ruini di Franco Insalaco


Neuronews

Apr-Giu 2014 | anno IV - numero 13

Rassegna di notizie tra neuroscienza, filosofia e scienze cognitive

Memoria e neuroni Individuato un ristretto gruppo di neuroni coinvolti nella formazione della memoria

Musicisti si nasce?

Individuati i geni responsabili dell'orecchio musicale. Ma da soli non bastano, servono anche fattori ambientali favorevoli

U

n recente studio pubblicato su “Current Biology” ha identificato i neuroni alla base della codificazione dei ricordi. L'equipe di ricercatori dello Scripps Research Institute, con a capo il biologo Seth Tomchik, ha infatti individuato un piccolo gruppo di neuroni che risultano coinvolti nella formazione della memoria. Gli studiosi hanno analizzato una tipologia specifica di neuroni, chiamati dopaminergici, che rappresenta una sottoclasse che risponde a un messaggero di segnalazione cellulare definito cAMP (adenosina monofosfato ciclico) che si trova alla base di molti processi biologici e risulta coinvolto in molte patologie della mente come la schizofrenia, il disturbo bipolare e l'Alzheimer. Questi neuroni sono risultati molto sensibili ad elevate quantità di cAMP in una specifica regione del cervello, nota come corpo fungiforme. Tomchik ha così spiegato i risultati della ricerca: "Abbiamo scoperto che mentre sono tantissimi i neuroni che rispondono agli stimoli sensoriali solo una determinata sottoclasse di neuroni si occupa effettivamente delle codifiche della memoria".

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M

usicisti si nasce, ma anche l'ambiente culturale in cui si cresce gioca un ruolo fondamentale nello sviluppo delle abilità e dell'attitudine musicale. Sono questi i risultati di uno studio pubblicato sulla rivista specializzata “Molecular Psychiatry”, che ha analizzato campioni di Dna di 767 persone con un'età compresa tra i 7 e i 94 anni. Dai risultati ottenuti è emerso come l'attitudine alla musica sia un tratto comportamentale complesso, influenzato sia da alcuni geni che dai fattori ambientali, come l'ambiente musicale dell'infanzia, l'esempio dei genitori e dei fratelli e l'educazione alla musica. In particolare a definire a livello di geni le nostre abilità musicali sono il Gata 2, responsabile della creazione delle "cellule ciliate" presenti nell'orecchio

interno, le cui fibre si muovono a seconda delle diverse frequenze, e il Pcdh7, che gioca un importante ruolo nell'amigdala, cioè nella parte del cervello che si occupa di gestire le emozioni. La ricerca, infatti, ha mostrato come diversi musicisti professionisti provenissero da famiglie con una forte tradizione musicale. Gli scienziati non solo hanno analizzato il codice genetico dei volontari, ma hanno anche chiesto loro di eseguire tre test musicali: distinguere tra note con una tonalità e una durata differenti e identificare delle sequenze di note leggermente diverse le une dalle altre. Da ciò è emerso come l'attitudine musicale risulti composta da una componente "primaria", vale a dire l'abilità fisica di distinguere sequenze di note, e da una “secondaria”, ovvero la capacità di suonare che dipende dall'ambiente culturale della persona.


Anemos neuroscienze

Apr-Giu 2014 | anno IV - numero 13

Nuove scoperte sul disturbo bipolare

U

Grazie all'uso delle cellule staminali si è scoperto che l'insorgenza del disturbo bipolare può essere legato ad alterazioni genetiche intervenute durante lo sviluppo del sistema nervoso

na ricerca condotta sulle cellule staminali ha permesso di ottenere nuove importanti informazioni nello studio del funzionamento del cervello in soggetti colpiti da disturbo bipolare. La ricerca condotta da un gruppo dell'Università del Michigan ad Ann Harbor e riportata su "Translational Psychiatry" ha esaminato in particolare le cellule staminali ricavate riprogrammando cellule epiteliali degli stessi pazienti. I nuovi dati suggeriscono l'idea che l'insorgenza del disturbo bipolare possa essere legato ad alterazioni genetiche intervenute durante lo sviluppo del sistema nervoso. Il disturbo bipolare è un disturbo dell'umore difficile da identificare, che

si caratterizza per l'alternanza tra un polo depressivo e uno maniacale che spesso comprende euforia, esagerata autostima, loquacità, iperattività e comportamento avventato. La ricerca si è basata sulla raccolta di alcuni campioni di cellule epiteliali prelevati da soggetti affetti da questo disturbo. In laboratorio i ricercatori hanno poi indotto queste cellule a de-differen-

Cosa accade quando si perde la coscienza di sé? A spiegarcelo uno studio dell’Università di Milano-Bicocca che ha mostrato gli effetti fisiologici di questo disturbo

L

a somatoparafrenia è un disturbo neurologico che riguarda fino al 15% delle persone vittime di lesione all’emisfero destro a causa di ictus o di ischemia. È un tipo di disturbo che si manifesta con la perdita di coscienza del proprio corpo e che può indurre chi ne è colpito a non riconoscere più come proprio un braccio o una gamba. Uno studio condotto da

ziarsi, tornando allo stato di staminali pluripotenti indotte, da cui hanno poi ottenuto neuroni da mettere a confronto con neuroni di persone sane. Dal confronto è emerso come questi neuroni si comportano e comunicano tra di loro in modo differente rispetto a quelli delle persone sane: in particolare i neuroni dei soggetti bipolari esprimono più geni per i recettori di membrana e per i canali ionici, soprattutto per quelli che si occupano di regolare lo scambio di segnali mediati dal calcio tra le cellule, fondamentali per il corretto sviluppo e funzionamento dei neuroni. Alcune importanti differenze si sono riscontrate anche nell'espressione del microRNA.

Angelo Maravita e Daniele Romano del dipartimento di Psicologia dell’Università di MilanoBicocca in collaborazione con l’Università di Pavia e l’Ospedale Niguarda “Ca’ Granda” di Milano e pubblicato sulla rivista “Brain” ha studiato gli effetti fisiologici di questo disturbo. La ricerca ha visto condurre un esperimento su 3 gruppi di pazienti affetti da patologie che comportano perdita di sensibilità o movimento degli arti, divisi in somatoparafrenici, emiplegici e anosognosici. È stato avvicinato al loro arto un ago, una potenziale fonte di dolore, per vedere se i gruppi lo percepivano come una minaccia. A differenza degli altri due gruppi, i somatoparafrenici non hanno mostrato alcuna reazione, evidenziando un'assenza di ri-

sposta di conduttanza cutanea all’avvicinarsi dell’ago. Come hanno spiegato Angelo Maravita e Daniele Romani: «Il processo di perdita di coscienza del sé è talmente profondo che non si riescono neppure a percepire le minacce e non si attiva nessuna reazione di difesa, nemmeno riflessa. Il disordine della coscienza, indotto dalla lesione, è tale che si arriva a un rifiuto incontrovertibile del proprio arto. Stiamo parlando di pazienti che non hanno alcun tipo di disturbo psichico e che sono in grado di intendere e volere. Eppure, anche se talora sono addirittura imbarazzati perché comprendono la stranezza di quanto affermano, continuano a sostenere che il braccio è di un’altra persona anche se attaccato al loro corpo».

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L'uomo macchina

Apr-Giu 2014 | anno IV - numero 13

Appunti liberi tra filosofia della mente, divagazioni antropologiche e letterarie

Il tradimento del relativismo

I

di Davide Donadio

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l termine “relativismo” è arrivato fino all'onore delle cronache nel periodo del pontificato di Benedetto XVI. Fu l'ex pontefice a scagliarsi, in nome della verità rivelata, contro una concezione incerta e precaria di verità come quella proposta dal relativismo. In realtà, come avviene sempre in termini giornalistici, quel dibattito comportò una semplificazione dei concetti e un appiattimento tra sostenitori e oppositori delle parole del papa. Il relativismo è una posizione molto antica e risale alla riflessione greca. Tra le prime posizioni relativiste, si fa rientrare il pensiero del sofista Protagora, ricordato per la sua celebre formula “l'uomo è misura di tutte le cose”. Non percorreremo, qui, la storia del concetto. Basti dire che il relativismo ha avuto grandi sostenitori in epoca contemporanea, sia nella speculazione dei filosofi analitici, sia in quella dei filosofi continentali, questi ultimi legati in particolare al pensiero di Nietzsche. Si rifanno, in qualche modo, tutti a forme di relativismo, lo storicismo marxista, il post-strutturalismo, il costruttivismo di Deleuze, l'anarchismo epistemologico di Feyerabend. Oppure, ancora, si pensi a Donald Davidson e alla sua riflessione che spaziò nei campi della filosofia della mente, della filosofia del linguaggio e della logica. Esiti relativistici possono considerarsi

Quando l'assenza di una verità assoluta viene sfruttata dal populismo demagogico le sue conclusioni che intendevano il concetto di verità come risultato della triangolazione io-tu-mondo. Ma diamo un colpo di spugna all'erudizione, e cerchiamo di dare una definizione scarna ed essenziale del relativismo. Il relativismo è una posizione filosofica che intende la verità non come assoluta, ma come dipendente dal contesto storico-culturale e/o dal punto di vista soggettivo da cui viene formulata la nozione di verità. Un esempio pratico: secondo un fedele di un determinato credo, alcuni dogmi o alcune prescrizioni comportamentali corrispondono alla verità (perché rivelate dalla divinità o perché contenute in testi sacri), mentre per altri individui che non abbracciano quel sistema di credenze, quelle posizioni sono unicamente dipendenti da quel sistema e quindi vere solo per coloro che vi aderiscono. La questione della verità non riguarda solo l'ambito delle credenze, ma anche il concetto più generico di “verità” in relazione a ciò che sappiamo o che possiamo sapere intorno al mondo. Così, anche la concreta pratica della scienza viene coinvolta nel dibattito sulla verità. Ma torniamo al relativismo e diamone una lettura, diciamo così, “politica”, lasciando da parte le questioni morali ed epistemologiche che necessariamente si legano al concetto di verità qui in gioco e che nel secondo caso

possono determinare note aporie (contestazioni al relativismo sul piano logico similari a quelle avanzate contro lo scetticismo). Per molto tempo si è intesa questa posizione come un'apertura democratica indispensabile per la convivenza di più posizioni divergenti e per non determinare la predominanza di un sistema di valori o di una concezione della realtà su un'altra. Il relativismo, dunque, è stato inteso come garanzia contro una visione uniformatrice e come garanzia di libertà e pluralismo nella società. Ciò si poteva giustificare almeno da due considerazioni. Innanzi tutto la reale e indubbia esistenza nel tempo e nello spazio di visioni differenti. Ed in secondo luogo, su un piano epistemologico, dalla difficoltà di acquisire una reale conoscenza del mondo con i mezzi e le metodologie della scienza (qualunque forma abbia assunto nel


Anemos neuroscienze

«Un conto è sostenere che una posizione non può definirsi unica depositaria della verità, un conto è affermare che nessuna forma graduale di verità sia possibile, in tutti i campi dell'agire umano.» Immagini - In queste pagine

alcuni pensatori che si sono ispirati in qualche modo a forme di pensiero relativistico. Qui a fianco, Paul Feyerabend. In altro, da sinistra, Gilles Deleuze, Donald Davidson e Friedrich Nietzsche.

passato). Ma il relativismo si è rilevato un'arma a doppio taglio, e su un piano politico si è rivolto contro coloro che l'avevano proposto proprio come garanzia di pluralismo. La strumentalizzazione di quello che viene chiamato “populismo demagogico” (spesso partendo da po-

sizioni conservatrici e antidemocratiche) ha teso ad interpretare il relativismo come la via per rendere lecita ogni posizione, anche violenta, e negare fatti storici, relegandoli al regno dell'interpretazione. Questo potrebbe far cantar vittoria a coloro che avvertivano del pericolo del relativismo propugnato dal pensiero progressista. Se questa deriva era certamente possibile, e in qualche misura persino prevedibile, non è detto che gli oppositori del relativismo, o i suoi manipolatori, abbiano in qualche modo ragione. Sarebbe più onesto parlare di tradimento del relativismo. Un conto è sostenere che una posizione non può definirsi unica depositaria della verità, un conto è affermare che nessuna for-

ma graduale di verità sia possibile, in tutti i campi dell'agire umano. Probabilmente, una forma di relativismo “debole”, che inserisca tra i valori i diritti e la dignità umana come presupposto della convivenza civile e pacifica, non tradirebbe i fondamenti del relativismo stesso e salvaguarderebbe gli scopi “politici” di questa posizione filosofica senza consentire tradimenti in malafede. Ma forse, per ottenere questo risultato, l'impostazione puramente filosofica dovrebbe integrarsi con le scienze biologico-comportamentali. Solo così sapremo se si potrà definire come “naturale” il rispetto intraspecifico tra individui e ritenere inaccettabile che in nome dell'assenza di verità assolute si neghi anche l'evidenza del buon senso. ♦

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Incontri

Apr-Giu 2014 | anno IV - numero 13

La follia diventa condivisione Il Caffè Basaglia di Torino vuole essere la voce di chi non ha voce; la voce di chi sente le voci

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di Alessandro G. Genitori

l Caffè torinese Basaglia, in via Mantova 34, la follia diventa momento di condivisione. I dipendenti del locale, alcuni dei quali seguiti dai Dipartimenti di salute mentale, lavo-

rano giorno dopo giorno con lena ed entusiasmo per cercare di creare un legame di affezione tra la clientela e il locale. Sulla malattia prende via via il sopravvento la voglia di normalità nella costruzione di un rapporto basato su affidabilità e rispetto. “Abbiamo costruito questo spazio con l’ambizione e la speranza che sia la voce di chi non ha voce. Ed anche la voce di chi sente le voci”. Questa frase, che accoglie i clienti al Caffè Basaglia, se da un lato sottolinea la particolarità di un personale dalle speciali caratteristiche, dall’altra indica anche quale sia l’anima del luogo: un angolo della vecchia Torino dove poter sostare lasciandosi alle

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spalle per un attimo il caos della città. Il progetto “Caffè Basaglia”, voluto e sorretto dall’associazione “C.i.o.p.p.” (Coordinamento internazionale oltre la patologia psichiatrica) in collaborazione con le cooperative “Ass.i.s.te”, “Insieme” e ARCI Torino, mira ad un effettivo inserimento di personale con disturbi neuropsichiatrici nel mondo lavorativo. Un progetto vincente, come dimostrano le attuali quattro assunzioni di persone affette da vari disturbi e gli anni di servizio di altre decine di pazienti/lavoratori che hanno avuto la possibilità di non essere solo e sempre visti come malati ma di “vivere il lavoro” in tutte le sue varie sfaccettature. “Al Caffè Basaglia non ci sono operatori sanitari - spiega lo psichiatra Ugo Zamburru, neopresidente dell’ARCI Torino - perché i pazienti qui non parlano dei loro problemi, ma sono dei veri dipendenti, con responsabilità che li gratificano: la comune volontà è soddisfare i clienti per far sì che ritornino”. Sono tante le persone che negli anni hanno varcato la soglia del Basaglia, costantemente impegnato a offrire nuovi percorsi gastronomici e culturali ai suoi ospiti. Fatiscente fino a pochi anni fa, il Caffè è rinato grazie alla

passione condivisa di chi, tra tazzine di caffè e piatti tipici, ha saputo creare un luogo ospitale al punto da far ridimensionare, nella quotidianità, problemi che apparivano straordinari. “La nostra volontà è dare reali opportunità a chi lavora con noi. - sottolinea Carla Stillavato, presidente dell’Ass.i.s.te - La guarigione passa attraverso una buona qualità della vita e un lavoro in ambienti strutturati in modo tale da accogliere dipendenti e clienti con percorsi condivisi di gratificazione reciproca”. In 15 anni di attività “l’impresa sociale” come viene definita dagli organiz-

zatori, ha creato lavoro per oltre 400 addetti. Perché se si responsabilizzano le persone con problematiche nella sfera psichica, essi hanno la possibilità di dare un contributo veramente unico: la “follia” di essere normali in un mondo fatto di pazzi. ♦ Alessandro G. Genitori


A Il tema del numero

Sulle credenze Credenza, termine dai significati multiformi, ne parliamo attraverso le scienze biomediche e sociali

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Apr-Giu 2014 | anno IV - numero 13

ÂŤSULLE CREDENZEÂť

Credenza, termine dai significati multiformi, ne parliamo attraverso le scienze biomediche e sociali Mappa concettuale: il Tema del numero

Percorsi interdisciplinari

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storia e credenze Un esempio di sincretismo e di sopravvivenza di culti antichi

sociologia

Le credenze come collante della coesione sociale

1 Epigenetica

I caratteri bio-psicologici acquisiti nel corso della vita e la loro trasmissibilitĂ

Dalle neuroscienze alle scienze umane e sociali 12


Anemos neuroscienze

Apr-Giu 2014 | anno IV - numero 13

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{

Strumenti di lettura I testi di «Neuroscienze Anemos» sono idealmente suddivisi in In - Interdisciplina App - Approfondimenti R/Np - Ricerca e nuove proposte Agli articoli viene inoltre assegnato un numero che indica la complessità di comprensione del testo da 1 a 5.

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5 6 Antropologia

Le ambiguità della credenza e della certezza

Altri approfondimenti

Superstizioni e carnevale: le usanze popolari come indizi di credenze

filosofia

MEDICINA Slow neurosurgery e tempi degli interventi chirurgici Neurochirurgia funzionale e stereotassica

FILOSOFIA Vita e pensiero di Simone Weil

7 Approfondimenti interdisciplinari e altri punti di vista 13


Apr-Giu 2014 | anno IV - numero 13

INTRODUZIONE AL TEMA

CREDENZE

TRA NATURA E CULTURA Un campo di indagine infinito. In questo numero cerchiamo di collegare la riflessione filosofica alle scienze cognitive e alle discipline biologiche

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Apr-Giu 2014 | anno IV - numero 13

A

Il tema del numero

I

l tema. C'è una certa ambiguità del vocabolo "credenza" nella lingua italiana. Ambiguità che non avviene per tutte le lingue occidentali. “Credenza” è un convincimento non basato su prove o dimostrazioni, ed in questo caso è sinonimo di fede, ma è anche vocabolo indicante opinione comune. D'altra parte, affermare “io credo che...” è come dire “penso che...” e di conseguenza manifestare una presa di posizione tra possibilità e certezza. In quest'ultimo caso è in gioco il concetto di verità, contrapposto a quello di opinione. Ed ancora: sostenere che un certo popolo crede in determinate divinità è utilizzare il concetto di credenza in un suo ennesimo significato. Ancora una volta, con ulteriori diramazioni: teologiche o psicologiche, etnoantropologiche o storiografiche. Il tema che segue, dunque, è un oceano infinito, e il volerlo trattare come insieme ben definito è certamente difficile. Una pubblicazione di ambito scientifico, pur divulgativa come questa, che voglia far chiarezza, dovrebbe poi dissipare le ambiguità e concetrarsi su una definizione ed un ambito delimitato di indagine. Nelle pagine che seguono, al contrario, non troverete volutamente una distinzione netta tra le sfumature semantiche, sinonimiche o persino di differenti significati che riguardano l'ambito della credenza. L'approccio è quello di “apertura” e discussione, piuttosto che quello di delimitazione e di nozionismo fine a se stesso. Partire dall'utilizzo quotidiano e dal senso comune potrebbe consentire al lettore non specialista delle materie trattate di farsi un'idea ampia e, come dicevamo prima, aperta e attiva. I contenuti. I primi due contributi (rispettivamente del Dott. Aurelio Giavatto e del Dott. Claudio Brigati), riguardano un nuovo campo di scienze bio-mediche, l'epigenetica. Si cerca di capire innanzitutto cosa sia l'epigenetica, e quindi di comprendere se le

Anemos neuroscienze

credenze, il pensiero, abbiano un risvolto “biologico”, direttamente genetico nella storia umana. Tema difficile e ancora guardato con sospetto: pare che non solo le esperienze “fisiche” abbiano una immediata conseguenza evolutiva, ma anche le credenze e la ritualità delle società umane. Alcuni studi e alcuni dati sembrano suggerire che il paradigma darwiniano (che prescrive che l'ereditarietà dei caratteri derivi non da modificazioni avvenute nel corso della vita, ma nel corso di intere generazioni) non sia valido in assoluto: modificazioni biologiche, e quindi di riflesso psicologico-comportamentale, avverrebbero anche tra una generazione e l'altra, avvalorando la prima versione di evoluzionismo sostenuta da Lamarck. Ci spostiamo, poi, in ambito storiografico e antropologico. L'architetto Vitaliano Biondi, studioso di tematiche storiche e antropologiche, analizza un esempio di sincretismo e di sopravvivenze religiose. Adriano Amati, giornalista di formazione sociologica, si sofferma invece sulle credenze come ingrediente di coesione sociale utile alla costituzione stessa della società. Antonio Petrucci, filosofo, ritorna all'idea di credenza più diffusa nel gergo comune: la superstizione. Petrucci espone significati e origini della supertizione e pone il problema dell'attualità di questa forma mentale. Rimaniamo in ambito strettamente antropologico con i contributi di Sara Pinelli e Laura Andrao (professionisti, architetto la prima e avvocato la seconda, con interessi in campi culturali e sociali). Nello specifico, vengono analizzati sotto forma di racconto l'uso del carnevale sardo, chiaro retaggio di culti del passato, e la pratica crudele nei confronti degli albini nel continente africano. Chiude lo speciale dedicato al tema, un testo di impostazione filosofica di Franco Insalaco, il quale riporta considerazioni riguardanti “credenza” e “certezza” nel pensiero di Ludwig Wittgenstein, René Girard e Theodor Adorno.♦

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Genetica Neurobiologia

Apr-Giu 2014 | anno IV - numero 13

Epigenetica e CREDENZE

Si ereditano anche i caratteri acquisiti? Il "dogma centrale" della biologia messo in discussione App 4

di Aurelio Giavatto

parole chiave. Credenze, epigenetica, cultura, rituali, comportamento. Abstract. Fin dall'epoca di Darwin si sosteneva che l'ereditarietĂ dei caratteri derivasse non da modificazioni avvenute nel corso della vita, ma nel corso di intere generazioni. Oggi pare che alcuni fattori, tra cui quelli psicologici e quindi legati al vasto mondo delle "credenze", possano indurre cambiamenti intragenerazionali, determinando l'attivazione o no di una serie di geni. Questo mette in discussione il cosiddetto "Dogma centrale della biologia".

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na legge della biologia si infrange. Conrad Waddington era uno scienziato inglese che presentò nel 1957 il suo modello di paesaggio epigenetico per spiegare i concetti della biologia dello sviluppo, della embriologia. Come si può notare dalla fig. 1.1, c'è una sfera alla sommità della collina. Nel rotolare verso il basso, la sfera può infilarsi in diversi canali per arrivare alla base della collina. Dall'immagine ci è subito chiaro che una volta che la palla ha raggiunto il fondo è verosimile che rimanga lì. Sappiamo anche che tornare alla sommità della collina sarà difficile. Questa immagine è estremamente utile per comprendere quello che succede durante lo sviluppo cellulare. La palla alla sommità della collina è lo zigote, la singola cellula che risulta dalla fusione di uno spermatozoo con un'ovocita. Man mano che le diverse cellule del corpo iniziano a differenziarsi, diventando più specializzate, ogni cellula è come una palla rotolata giù per la collina che si è infilata in uno dei canali. Una volta raggiunta la posizione definitiva, starà lì. A meno che non succeda qualcosa di estremamente radicale, quella cellula non si trasformerà mai in un altro tipo di cellula (spostarsi in un altro canale). Non potrà nemmeno risalire la china all'apice della collina e rotolare di nuovo giù in un'altra direzione dando origine a diversi tipi cellulari. Non importa che Waddington non conoscesse i dettagli dei meccanismi: il suo utilissimo modello ci ha permesso di sviluppare un modo di pensare. La legge che il processo della differenziazione sia una strada a senso unico, che le cellule non possano risalire la china e tornare ad essere cellule totipotenti in cima alla collina, è stata infranta da John Gourdon nel 1968 quando dimostrò che anche cellule epiteliali della mucosa intestinale della rana racchiudono tutta l'informazione genetica necessaria per riprodurre un'intero animale. Lo dimostrò trapiantando nuclei di cellule intestinali epiteliali in ovociti a cui era stato asportato il nucleo, generando così normali embrioni e normali rane adulte. La conclusione di questo e di altri esperimen-

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ti analoghi è che la differenziazione non cambia il genoma in modo permanente, ma altera l'espressione dei geni in modo che siano attivi solo quelli necessari per un certo tipo di tessuto. La dedifferenziazione è pertanto possibile. Questo fenomeno è estremanente importante per la rigenerazioFigura 1.1 - La logica delle cellule: una sfera ne. Robert O' Becker alla sommità della collina. Nel rotolare verso il ha sempre sostenuto basso, la sfera può infilarsi in diversi canali per che la rigenerazione arrivare alla base della collina. Una volta che la palla di parti danneggiate ha raggiunto il fondo è verosimile che rimanga lì. o mancanti è possibile e rappresenta una Ecco, dunque, che rimanendo alla tecnologia molto più efficace che l'uso di protesi o di tra- metafora iniziale, siamo riusciti a ripianti. Secondo queste potenzialità, salire il canale della collina di Wadquindi, la ricerca medica, invece di dington e a ridiscederne un altro. preoccuparsi per lo più di sviluppare apparecchi protesici o di trapiantare Ancora conferme. Recenteorgani, dovrebbe cercare di indurre mente altri ricercatori giapponesi l'organismo a rigenerare i suoi propri con altre collaborazioni (Haruko organi. Becker ha mostrato già nel Obokata, Teruhiko Wakayama, Yo1985 che la stimolazione elettrica shiki Sasai, Koji Kojima, Martin P. può indurre culture di cellule diffe- Vacanti, Hitoshi Niwa, Masayuki renziate a dedifferenziarsi in cellu- Yamato & Charles A. Vacanti) sono le totipotenti, capaci di rigenerare riusciti ad ottenere cellule staminatessuti. Gary Selden in "The body li totipotenti "tuffando" le cellule elettric" ci illustra la descrizione di ematiche in liquido acido. questa sua affascinante ricerca (si Le cellule staminali così ottenute vedano note e bibliografia in fondo possono trasformarsi in qualsiasi tessuto ed essere utilizzate per la all'articolo). Poi, nel 1996 Keith Campbell e Ian rigenerazione di tessuti riguardanti Wilnut, con tecnologia analoga, cre- organi quali occhio, cuore, cervello. arono il primo clone di un mammi- Questo ultimo sviluppo è stato appena pubblicato nella rivista "Natufero, la famosa pecora Dolly. Questo percorso di ricerca è conti- re" e potrebbe rendere la tecnologia nuato con S. Yamanaka, chirurgo veloce, economica e sicura. ortopedico. Specialista lontano dalla Il perchè tale risultato sia stato otbiologia cellulare, egli era comunque tenuto attraverso un bagno acido è desideroso di ottenere cellule toti- presto detto. È sufficiente l'esposipotenti da cellule differenziate. Nel zione ad uno stress ambientale per 2006 Yamanaka pubblicò su "Cell" riprogrammare cellule differenziate i risultati del proprio lavoro con cui e indurle a "tornare indietro" ad una riuscì ad introdurre in fibroblasti cellula pluripotente o anche totimaturi, utilizzando deboli campi potente. Non sono necessari geni, elettrici o modificando l'ambiente proteine, e neppure trasferimento chimico extracellulare, dei geni im- nucleare. Sarà sufficiente stressare le portanti per la dedifferenziazione, cellule con un bagno acido. inducendo i fibroblasti a tornare in- Le cellule così ottenute sono state denominate cellule STAP (stimulusdifferenziati. Nel 2012, Yamanaka ottenne insie- triggered acquisition of pluripotenme a John Gurdon il premio Nobel cy: acquisizione dalla pluripotenza per la medicina per il loro lavoro sul- indotta da uno stimolo). la riprogrammazione nucleare delle Il mondo della ricerca ha accolto la notizia con sorpresa. Questa rea- ◄ cellule mature.

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Figura 1.2 e 1.3 - A sinistra Shinya Yamanaka, a destra John Gurdon. Ricevettero il premio Nobel nel 2012 per la medicina per il loro lavoro sulla riprogrammazione nucleare delle cellule mature.

◄ zione, se verrà confermata anche

per le cellule umane, potrà portare ad una nuova medicina rigenerativa, in particolare riguardante le terapie contro i tumori (tra gli altri, il Prof Chris Mason, professore di medicina rigenerativa all'University College di Londra ha parlato di era della medicina personalizzata).

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È l'ambiente stupido. È questo il titolo di un capitolo del noto libro di Bruce Lipton, "La biologia delle credenze. Come il pensiero influenza il DNA e ogni cellula". Lipton ricorda il proprio docente di biologia, Irv Konisberg, che lo avvertiva che quando le cellule in coltura mostravano segni di sofferenza, si sarebbe dovuto controllarne l'ambiente: bastava correggerlo per rivitalizzare le cellule. Lipton era affascinato dall'idea di considerare le cellule come "esseri umani in miniatura": in questo modo sarebbe stato più facile comprenderne la fisiologia ed anche il comportamento. Anche questa analogia non ortodossa era considerata un'antropomorfismo eretico dalla maggior parte dei biologi. Gli esseri umani come organismi multicellulari che hanno modelli organizzativi analoghi a quelli delle singole cellule che li compongono. Anche se siamo costituiti da miliardi di cellule, ogni nostra funzione di organismi complessi esiste già in ogni singola cellula; in essa troviamo l'equivalen-

te di un sistema nervoso, digestivo, endocrino, respiratorio, muscolare, scheletrico, circolatorio, riproduttivo ed immunitario. Per comprendere meglio come ogni cellula sia un organismo intelligente che riesce a sopravvivere di per sè, basti pensare alle cellule in coltura: sondano l'ambiente per evitare le sostanze tossiche e orientarsi verso i nutrienti che favoriscaono la loro sopravvivenza, analizzano migliaia di stimoli provenienti dall'ambiente in cui vivono, e assumono i comportamenti più appropiati alle diverse situazioni ambientali. Sono anche in grado di apprendere dall'ambiente e di crearsi delle memorie che trasmettono alle generazioni successive. Evoluzione e cooperazione. Durante i primi tre miliardi di anni di vita sul nostro pianeta esistevano solo organismi unicellulari come i protozooi, i batteri, le alghe. Invece di considerare questi organismi solo come individui solitari, ora è possibile intuire come essi mettessero a disposizione molecole nell'ambiente circostante che servivano da segnali per regolare le funzioni fisiologiche ed anche il comportamento di altre cellule, consentendo così una coordinazione di comportamento che coinvolgeva altre cellule sparse nell’ambiente, permettendone la sopravvivenza. Si consideri l'esempio delle amebe. Questi organismi, in condizione di

"carestia" emettono nell'ambiente una molecola, AMP cicliclo (è un metabolita delle cellule) che si lega ai recettori di membrana per cAMP presenti nelle altre amebe, così che si attivino congregandosi in organismi multicellualri con capacità riproduttive, condividendo il Dna e producendo spore inattive pronte per l’ibernazione. Nel caso di un cambiamento dell’ambiente con cibo disponibile, le spore originano di nuovo amebe unicellulari. Circa 700 milioni di anni fa le cellule trovarono vantaggiosa questa forma di cooperazione con lo sviluppo di piante ed animali. Fu in pratica lo sviluppo di queste molecole mediatrici che permise alle comunità di cellule di coordinare le loro funzioni e di comportarsi come delle entità singole. Il ruolo fondamentale delle membrane cellulari. Nel suo libro Lipton descrive poi come le proteine cellulari possano assumere forme spaziali, aperte o chiuse, in base alle cariche ioniche degli aminoacidi che le compongono, e di come sia importante il ruolo delle membrane cellulari e delle loro proteine recettoriali nel trasferire l'informazione dall'ambiente al nucleo cellulare, inducendo poi la modificazione della espressione dei geni. Questi recettori esterni, a loro volta influenzano le proteine interne, modificandone gli angoli molecolari. I due gruppi di re-


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cettori si comportano come un reti- po della biologia cellulare. Mentre la il significato (mentale, emozionale, colo che può espandersi o contrarsi. biologia cellulare tradizionale si con- "spirituale") che assegniamo a qualIl grado di espansione determina la centra su molecole fisiche, Lipton si cosa è importante come il fatto stesdimensione e la forma delle mole- concentrò su vie elettromagnetiche so. Anche i pensieri, i sentimenti, cole, le cosiddette proteine effetrici, attraverso cui l'energia nella forma attivano una serie di geni. delle nostre credenze influenza la Le nostre emozioni e i nostri sentiche possono attraversare il reticolo. Nel suo insieme il complesso recet- nostra biologia, incluso il nostro ge- menti plasmano i nostri cervelli e stitore-vettore agisce come un interrut- noma. In un'elaborazione veramen- molano la formazione di vie neurali tore molecolare accettando segnali te elegante, così ne parla l'autore: che rinforzano vecchi percorsi o ne dall'ambiente cellulare che induco- "un campo sottile, molto debole per attivano di nuovi. E, citando Norno l'apertura del guscio proteico che avvolge il DNA. Tutti questi fattori «Le nostre credenze (vere o false, positive o concorrono ad alterare la regolazione delle proteine cellulari, invenegative, creative o distruttive) non esistono ce che ad alterare le proteine stesse solamente nelle nostre menti, esse interagiscono attraverso delle mutazioni geniche. Ricordiamo a proposito che il 98% con le infinite possibilità dell'universo quantico, ed del genoma non codifica le proteine, ma le regola attraverso quello che si influenzano le cellule dei nostri corpi, contribuendo chiama RNA non codificante (ncRall'espressione di diversi potenziali genetici.» NA). Infatti il ncRNA è stato implicato nella trasmissione "Lamarckiana" dei caratteri acquisiti (vedi box innescare qualsiasi attività cellulare, man Cousins, "le credenze divenpagina seguente). Nel 1982 Lipton iniziò ad esamina- scatena un cambiamento a livello tano biologia" (e da qui si possono re i principi della fisica quantistica e regolatorio, che poi porta ad una so- comprendere, ad esempio, fenomeni come l'effetto placebo o l'efficacia come potessero essere integrati nella stanziale risposta fisiologica". comprensione dei sistemi cellulari Le nostre credenze (vere o false, po- delle medicine complementari, non di elaborazione delle informazioni. sitive o negative, creative o distrut- allopatiche). Produsse così studi innovativi sulle tive) non esistono solamente nelle membrane cellulari che gli rivelaro- nostre menti, esse interagiscono con La grande carestia olandeno come lo strato esterno della cel- le infinite possibilità dell'universo se. Nel 1944 l'Olanda fu investita lula possa essere paragonato ad un quantico, ed influenzano le cellule da un inverno veramente freddo e chip di un computer, l'equivalente dei nostri corpi, contribuendo alla dalla conseguente carestia, a causa di un cervello della cellula. Le sue espressione di diversi potenziali ge- anche della situazione bellica in Euricerche alla Standford Universi- netici. Due individui possono avere ropa. La popolazione sopravvisse, ty School of Medicine mostrarono un'identica sequenza genetica per secondo stime a posteriori, con solo come l'ambiente, operando attraver- una particolare caratteristica. Le cre- il 30% del fabbisogno calorico giorso le membrane cellulari, controllas- denze di un individuo forniranno i naliero. se la fisiologia della cellula attivando segnali per permettere l'espressione Morirono circa 22.000 persone. La genetica, le credenze dell'altro indi- popolazione disperata si cibava di o disattivando i geni. tutto ciò che aveva l'apparenza di Lipton è stato un pioniere nella ap- viduo no. plicazione dei principi della fisica Ecco, allora, che le credenze influen- essere commestibile, dai bulbi di tuzano l'espressione lipano al sangue degli animali. quantistica (soprattutto dei nostri geni. I Queste terribili restrizioni che inriguardo la nozione che Figura 1.4 - Sotto geni possono es- teressarono una vasta popolazione l'universo quantico sia la famosa pecora Dolly, sere attivati da sti- fornirono dati e spunti per un imun insieme di probabi- imbalsamata ed esposta moli che proven- portante studio scientifico. I sopralità che sono tutte in- al National Museum of gono dall'esterno vissuti olandesi costituirono una fluenzabili dai pensieri Scotland. Fu uno degli del corpo e dal ben caratterizzata popolazione di dell'osservatore) al cam- esperimenti di genetica più famosi a livello mediatico. suo interno. Uno studio perchè tutti loro soffrirono di dei fattori che in- un definito periodo di malnutriziofluenza la even- ne, contemporaneamente. tuale attivazione Uno dei primi aspetti studiati fu dei nostri geni l'effetto del digiuno sul peso corè ad esempio poreo dei neonati di donne gravide l'esperienza. Noi in quel periodo. Se una madre era prendiamo i fatti ben nutrita durante il periodo del e le esperienze ed concepimento e malnutrita durante assegniamo loro gli ultimi mesi della gravidanza, il un significato: ai suo bambino, molto probabilmente, fini della attiva- sarebbe nato piccolo, di basso zione genetica, peso. Se invece la madre aveva ◄

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L'evoluzione secondo LamarCk e Darwin

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ella sua opera Philosophie zoologique (1809), Jean Baptiste de Lamarck avanzò la sua teoria sull’evoluzione. In quest'opera Lamarck giunse alla conclusione che gli organismi, così come si presentavano, fossero il risultato di un processo graduale di modificazione che avveniva sotto la pressione delle condizioni ambientali. Lamarck assegnava una notevole importanza al ruolo attivo degli organismi nel modificarsi in risposta agli stimoli ambientali e riteneva che l'uso di determinati organi, o parti di organi, provocasse modificazioni. Le modificazioni si sarebbero poi trasmesse alla generazione successiva. La nostra interpretazione attuale si base invece sulla teoria evoluzionistica di Darwin: riconosciamo che un uomo, i cui geni tendevano a fornirlo di grossi muscoli, avrebbe avuto un vantaggio nell'intraprendere un lavoro come quello del fabbro. Questa occupazione avrebbe attratto quelli con grossi muscoli. Giustamente ed inevitabilmente Lamarck venne oscurato da Charles Darwin. Egli propose un modello di evoluzione delle specie attraverso la selezione genetica che ha rappresentato la base concettuale della scienza biologica. Il potere di questo modello si accrebbe ulteriormente quando si abbinò al lavoro di Mendel sull'eredità ed alla nostra comprensione del DNA come struttura preposta all'ereditarietà. La sintesi darwiniana: la variazione genetica casuale crea variazioni fenotipiche (esteriori). Alcuni individui sopravviveranno meglio di altri in un particolare ambiente e questi individui con ogni probabilità avranno una prole più numerosa. I tassi di mutazione sono però molto bassi così da richiedere un lungo periodo di tempo perchè le mutazioni vantaggiose si sviluppino e si diffondano. Soprattutto nel caso in cui la mutazione dia all'individuo solo un lieve vantaggio rispetto ai suoi concorrenti. Qui è dove il modello di Lamarck delle caratteristiche acquisite supera i modelli darwiniani. Un cambiamento acquisito nel fenotipo avrebbe in qualche modo una ripercussione sulla espressione del codice del DNA e lo cambierebbe al punto tale che le caratteristiche acquisite potrebbero essere trasmesse ai discendenti nello spazio di una generazione.

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◄ sofferto la malnutrizio-

ne solo durante i primi tre mesi della gravidanza perchè la gravidanza era iniziata verso la fine del periodo della grande carestia e poi era stata ben nutrita durante gli ultimi mesi della gravidanza, allora il bambino sarebbe nato con un normale peso corporeo. E fino a qui non c'è nulla di strano, infatti i feti crescono di peso soprattutto verso la fine della gravidanza. Ma gli epidemiologi, grazie all'efficienza del sistema sanitario olandese, riuscirono a studiare questi gruppi di bambini per decenni e arrivarono ad esiti sorprendenti: i bambini nati con un basso peso rimanevano piccoli per tutta la loro vita, con una minor percentuale di obesità rispetto alla popolazione generale, nonostante avessero buona disponibilità di cibo. Fu ancora più sorprendente notare che i bimbi nati normopeso da madri malnutrite durante i primi mesi della gravidanza avevano un più alto tasso di obesità rispetto al normale. Segnalazioni più recenti hanno anche mostrato una più alta incidenza di altre malattie, anche mentali come un aumentato tasso di schizofrenia. Anche se questi individui erano perfettamente sani alla nascita, qualcosa che era accaduto durante il loro sviluppo intrauterino li avrebbe condizionati per gli anni a venire. Ciò dimostra che gli accadimenti durante i primi tre mesi dello sviluppo possono influenzare l'individuo per il resto della sua vita. Ancora più sorprendente è stato notare che questi effetti sem-

brano presenti nei bambini di individui nati da madri malnutrite durante i primi tre mesi di gravidanza. Ma come è possibile che questi effetti siano stati trasferiti alle generazioni future? Come mai gli individui non riuscirono a tornare alla normalità una volta che le condizioni ambientali si erano normalizzate? Prendiamo ora in considerazione il caso della schizofrenia nei gemelli omozigoti. Nella schizofrenia, malattia comune, la genetica gioca un ruolo predominante. Lo sappiamo dalla osservazione dello sviluppo della schizofrenia nei gemelli omozigoti (con un patrimonio genetico identico): se uno dei due gemelli soffre di schizofrenia, la probabillità che l'altro ne sia colpito è del 50%. Ma anche questo dato è sorprendente: come mai non vi è una probabilità del 100%? Come è possibile che individui apparentemente identici si sviluppino in modo così diverso? Si consideri un altro esempio riguardante i bambini abusati in tenera età, quando hanno meno di tre anni. Anche se si interviene e i bambini vengono affidati ad una nuova famiglia "sana", le statistiche dimostrano, semplificando, che spesso da adulti questi individui avranno un alto rischio di soffrire di depressione, praticare suicidio e in generale la violenza. Questi esempi, che paiono differenti, hanno la stessa spiegazione: sono tutti esempi di epigenetica. Ed è l'epigenetica la nuova disciplina che sta rivoluzionando la biologia. Si parla di epigenetica nei casi in cui il codice genetico da solo non basta per descrivere gli esiti organici e comportamentali dell'individuo. Tornando all'esempio della carestia olandese, nel caso della malnutrizione che interessa il feto, la spiegazione risiede nel modello epigenetico: negli stadi precoci della


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gravidanza, quando si stanno sviluppando diversi tipi cellulari, le proteine epigenetiche sono probabilmente fondamentali per acconsentire l'espressione genica. In questo caso l'epigenetica viene definita a livello molecolare come tutto un insieme di modificazioni al nostro materiale genetico che cambia il modo in cui i geni vengono attivati o spenti. Le credenze biologiche nella dottrina del determinismo genetico. L'aver ignorato la necessità del segnale per poter portare l'informazione fuori dal DNA ha indotto generazioni di biologi a credere che per iniziare la sintesi proteica bastasse l'informazione contenuta nel DNA stesso. È questa la cosiddetta dottrina del determinismo genetico. Anche in condizioni di sviluppo normale possono verificarsi variazioni nella espressione di queste proteine e nel preciso effetto che hanno su una specifica regione cromosomica, cambiando così l'espressione dei geni. Oggi pertanto, in seguito alla comparsa dell'epigenetica, da più parti si parla di morte del Dogma Centrale della Biologia che indicava come l'informazione genetica passi dal DNA all'RNA, alle proteine e la conseguente idea che i geni siano depositari quasi unici delle nostre informazioni che determinano caratteristiche individuali. Fu Francis Crick, uno dei padri della scoperta della doppia elica del Dna, che per primo usò questa espressione nel 1953 e pubblicò un articolo su "Nature" intitolato "Il Dogma Centrale della Biologia Molecolare". La sua influenza nel mondo scientifico è stata così pregnante da fare scartare come anomalie tutti i dati che lo contraddicevano. Uno dei molti problemi inerenti il dogma è per esempio che il numero

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dei geni contenuti nei cromosomi umani è insufficiente per contenere tutta l'informazione richiesta da un corpo umano. Il Progetto del Genoma Umano aveva l'obiettivo di catalogare tutti i geni del corpo umano. Agli inizi degli anni Novanta del XX secolo i ricercatori si aspettavano di trovare circa 120.000 geni. Tale è, pressapoco, il numero di proteine necessarie per un organismo così complesso come l'essere umano. Poi ridussero progressivamente le loro stime ed alla fine della mappatura si scoprì che il Genoma Umano consiste di solo 23.688 geni. Allora se tutta l'informazione necessaria ad un essere umano non è contenuta nei geni, da dove deriva? E chi conduce tutta la complessa "danza" che porta ad assemblare dei sistemi con molteplici organi e funzioni? La ricerca si è allora spostata dalla catalogazione dei geni a cercare di comprendere come lavorano nel contesto di un organismo che, a quanto pare, si trova in uno stato di cooperazione sistemica dove ogni parte conosce quello che fanno le altre parti. Un'altra debolezza del Dogma Centrale è che si è scoperto che i geni possono essere attivati e disattivati dall'ambiente all'interno ed all'esterno del corpo. I ricercatori stanno imparando sempre di più sui processi che attivano e disattivano i geni e sui fattori che ne influenzano l'attivazione. Esprimendosi secondo una nota metafora, noi possiamo avere sull'hardware del nostro computer tantissima informazione, ma in un dato momento ne utilizziamo solo una parte. Inoltre possiamo pure modificare i dati prima di utilizzarli. Il DNA delle nostre cellule non è qualcosa di puro e inalterabile. Piccoli composti chimici possono

Indicazioni bibliografiche Anway et al. (2005) Science: 308. Carone et al. (2010) Cell 143: 1084-1469. Cousins, Norman (1989) Beliefs become biology Advances in mind-body Medicine, 6, p. 201466-1469. Gaspar and Thrasher (2005), Exeprt Opin biol Ther 5; 1175-82. Bruce Lipton, La biologia delle credenze. Come il pensiero influenza il DNA e ogni cellula. Haruko Obokata, Teruhiko Wakayama, Yoshiki Sasai, Koji Kojima, Martin P. Vacanti, Hitoshi Niwa, Masayuki Yamato & Charles A. Vacanti Nature 505, 641-647 (30 January 2014).

essere aggiunti a regioni specifiche del DNA. Il nostro DNA è inoltre avvolto in un manicotto di proteine che possono essere ulteriormente coperte da altre sostanze chimiche. Nessuno di questi riarrangiamenti molecolari cambia il codice genetico sottostante. Ma l'aggiunta di questi gruppi chimici al DNA o alle proteine ad esso associate, o la loro rimozione, cambia l'espressione dei geni attigui. Questi cambiamenti dell'espressione genica alterano le funzioni e la natura stessa delle cellule che si differenziano. Quando questi cambiamenti insorgono durante periodi critici del nostro sviluppo la nuova organizzazione può rimanere per tutta la vita. Un importante disturbo metabolico durante l'inizio della gravidanza, come una grave carenza di cibo può alterare in modo significativo i processi epigenetici che si sviluppano nel periodo fetale. Queste cellule cambiano il loro metabolismo nel tentativo di salvaguardare la crescita del feto, cambiano la loro espressione genica per compensare la mancanza di nutrienti. E questi modelli di risposta vengono impostati per il futuro proprio in conseguenza delle modificazioni epigenetiche nei geni. Non stupisce, pertanto, che i bambini olandesi diventassero obesi nella vita adulta. Le loro cellule erano diventate epigeneticamente programmate ad ottenere il massimo da un ridotto apporto di nutrienti. Recenti studi che hanno esaminato la metilazione del DNA in questa popolazione di sopravvisuti alla grande carestia olandese hanno mostrato cambiamenti nei geni coinvolti nel controllo metabolico. ♦

Aurelio Giavatto. Medico chirurgo, specializzato in dermatologia e venereologia, esercita medicina manipolativa: viscerale, craniale, neurale e miofasciale.

Gary Selden, Robert O. Becker, The Body Electric: Electromagnetism and the foundation of life; in particolare si vedano le pag. 141-143 per la descrizione della stimolazione elettrica per indurre la riproduzione di cellule differenziate. S. Yamanaka, Induction of Pluripotent Stem Cells from Mouse Embryonic and Adult Fibroblast Cultures by Defined Factors Cell, Volume 126, Issue 4, 663-676, 25 August 2006.

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LA TRASMISSIONE DELLE CREDENZE

Si possono ereditare comportamenti legati ai ricordi dei genitori? Un approfondimento dell'articolo precedente parole chiave. Credenze, epigenetica, cultura, rituali, comportamento.

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di Claudio Brigati

Abstract. Un'importante ricerca pubblicata di recente su "Nature Neuroscience" ha dimostrato che i topi di laboratorio possono ereditare comportamenti legati a memorie dei genitori, senza mai averne avuto esperienza diretta e senza mutazioni nel loro DNA. L'origine di questo fenomeno è tuttora in parte oscura, ma gli autori suggeriscono che si debba cercare nel campo dell'epigenetica. Esiste dunque un ramo dell'epigenetica definita “sociale”, che si occupa della possibile trasmissione ai figli di comportamenti e credenze da parte dei genitori.

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reditarietà dei compor tamenti. Siete seduti su una panchina in un bel parco; è estate, una giornata afosa. Qualche cirro-cumulo sparso, un'insopportabile umidità. D'un tratto, un lampo, seguito da un debole rombo, lontano; la vostra piccola figlia ha un sussulto. Gli occhi sbarrati nel terrore, trema. Una reazione abnorme, sproporzionata al caso, pensate. In fondo, è solo una luce accecante, un piccolo rumore... Ma se scavate nella vostra memoria, forse c'è un legame: non era successo anche a voi, qualche anno addietro, poco prima dell'inizio della gravidanza di vostra moglie? Ma sì, era stato in montagna: quel fulmine vi aveva colto di sorpresa, tagliando poi sagittalmente un cirro ad una cinquantina di metri di distanza, e voi impietriti, nel panico. Questo episodio, ricavato da un'esperienza personale, serve ad introdurre un importante lavoro pubblicato nel numero di gennaio

di “Nature Neuroscience” da parte di Ressler e coll.1 dal titolo “Parental olfactory experience influences behavior and neural structure in subsequent generations”. In esso si dimostra che topi di laboratorio possono ereditare comportamenti legati a memorie dei genitori, senza mai averne avuto esperienza diretta e senza mutazioni nel loro DNA. L'approccio è stato di sottoporre topine ad una scarica elettrica di bassa intensità ogni volta che nella gabbia veniva introdotto un profumo di acetofenone (un misto di vaniglia e ciliegia). Come ampiamente previsto dal condizionamento pavloviano, dopo alcuni cicli le topine tremavano dal terrore al solo respiro del profumo. Allora, dove sta la novità? La novità sta nel fatto che, dopo accoppiamento, la reazione al profumo era trasmessa alle generazioni successive in cui i topi discendenti, nonostante non fossero mai stati esposti al profumo, avevano reazioni di tremore intenso al primo respiro dello stesso, ma non ad altri profumi, per quanto simili.

Un altro tassello importante del mosaico era che lo stesso effetto poteva essere riprodotto sottoponendo topine a fecondazione assistita con spermatozoi forniti da topi sottoposti allo stesso condizionamento, attribuendo quindi alle cellule germinali, indifferentemente maschili o femminili, un ruolo decisivo per questa trasmissione trans-generazionale. L'origine del fenomeno è ancora parzialmente oscura, ma gli autori suggeriscono che si debba cercare nel perimetro dell'epigenetica. Epigenetica, ambiente e cultura. La definizione “epigenetica”, operata da Waddington negli anni '40, descrive modificazioni chimiche a carico del DNA e delle proteine che lo avviluppano nel nucleo della cellula, gli istoni. Queste modificazioni, pur non essendo mutazioni (cioè non determinando alcun cambiamento della sequenza del DNA), agiscono in pratica come se lo fossero, potendo alterare la funzione di un dato gene o di intere serie di geni.


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Coerentemente con l'ipotesi epigenetica, esaminando l'assetto in un gene particolare coinvolto nell'olfatto, OLRF151, Ressler ha notato in spermatozoi di topi condizionati e nelle generazioni successive una massiccia de-metilazione (una modificazione che risulta in iperattività genica) rispetto al gruppo di controllo, o rispetto ad un gruppo che era stato condizionato da odori diversi. La cosa ha suscitato grande scalpore ed anche qualche scetticismo nella comunità scientifica. Senza addentrarci nelle specifiche obiezioni e nel dibattito tecnico, l'aspetto che si può sottolineare è che sempre più spesso vengono descritti, su riviste autorevoli, episodi di trasmissione trans-generazionale di fenomeni che hanno un'origine ambientale o comportamentale/culturale e l'epigenetica sembra esserne il motore molecolare. L'uomo, si sa, vive immerso in un ambiente che lo nutre e lo forgia, ma un determinismo genetico ed una credenza “genocentrica” avevano negli ultimi decenni ostacolato il passaggio della nozione che l'ambiente possa causare modificazioni trasmissibili anche senza determinare mutazioni, quasi a rivalutare un secondo “lamarckismo”. In effetti, agendo attraverso modificazioni chimiche che producono effetti immediati, l'epigenetica si pone come interfaccia ideale tra uomo ed ambiente e si rivela il mezzo efficace per un codice fisso come il DNA, per far fronte in modo rapido, reversibile e su un lungo raggio, a bruschi cambiamenti esterni. Quando questi cambiamenti avvengono anche in cellule della linea germinale (ovociti e spermatozoi) si può assistere al passaggio della modificazione funzionale nella progenie. Molte osservazioni, per esempio in

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campo metabolico, sono state legate all'epigenetica: nella cosiddetta memoria iperglicemica, dove le vasculiti diabetiche rimangono ben oltre il ripristino della glicemia normale e si propagano alla progenie2 o nella tendenza all'obesità/ipertensione di discendenti della grande carestia olandese degli anni '30-403. Esiste poi un'epigenetica “sociale”, cioè un ramo dell'epigenetica ambientale che si occupa della trasmissione ai figli di comportamenti e credenze (termini qui usati in accezione larga, per esempio anche in ambito psichiatrico). Questa disciplina tende ad approcciare argomenti finora di competenza psicosociale, come devianza, dipendenze, tendenze al suicidio, particolari attitudini creative, ideologie estreme, etc. In questo caso la spiegazione meccanicistica del fenomeno è ancora più ardua, poiché verosimilmente si dovrebbe partire da modificazioni epigenetiche a carico di neuroni in regioni della corteccia attivate da relazioni sociali, apprendimento, esperienze significative, che poi per qualche via non ancora conosciuta si trasmettono alle discendenze (attraverso le cellule germinali e non fenomeni imitativi, stando a Ressler e Coll). La difficoltà di arrivare a legare i passaggi tra soma e gameti è anche accentuata dalla diffusa cancellazione dei segnali epigenetici durante la gametogenesi, che però in questo caso sarebbe incompleta, sottendendo una pressione evolutiva a carico di questi elementi culturali.

Anemos neuroscienze

no i morti, talvolta li seppelliscono. Gli umani li piangono con rituali elaborati, occasionalmente con accompagnamenti musicali. I rituali costituiscono un legame col passato e una forma di coesione sociale. Quando sono solenni e coreografici si imprimono nella memoria in modo quasi indelebile. Nonostante la diversità fra le pratiche e la disparata collocazione geografica, le credenze e la loro rappresentazione sono una componente fondamentale di ogni società. In generale, esse vengono tramandate in modo talmente regolare da far pensare che rivestano un significato evolutivo. I rituali che accompagnano le credenze hanno un carattere stereotipato e ripetitivo, creando a volte nei protagonisti un senso di trance, e si stampano nella memoria con potenziamento a lungo termine. Servono a espandere le credenze e a rafforzarle nella popolazione, hanno varie sfaccettature: si va dall'accensione delle candele alla disposizione degli individui o oggetti nello spazio, alle decorazioni, ovviamente alla gestualità, alla musica e alla danza.

Le credenze e i rituali di accompagnamento. Alcuni animali celebra-

Figura 2.1 - A destra Conrad Hal Waddington (Evesham, 1905 - Edimburgo, 1975), fu biologo, epistemologo e genetista. È a lui che si deve la definizione negli anni '40 di "epigenetica". Docente all'università di Edimburgo dal 1946, fu presidente dell'Unione internazionale delle scienze biologiche dal 1961 al 1967.

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Genetica Antropologia

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Figura 2.2 - Le credenze sono una sorta di narrativa comune. La credenza più universale, la religione, è sempre accompagnata da rituali stereotipati e solenni. Non è certo se corrisponda ad una necessità adattativa o ad una semplice diffusione di una serie di memi, atti a mantenere la coesione sociale. Nell'immagine: stampa raffigurante il battesimo di Gesù tratta da un volume di religione popolare.

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I rituali sembrano parte integrante e inevitabile dello sviluppo dei vertebrati; molti animali prima dell'accoppiamento effettuano movenze a segmenti iterativi; nell'infanzia i bambini adottano spontaneamente, senza istruzioni esplicite, molti rituali prima di tappe importanti della giornata, per esempio prima del sonno o dei pasti. Questi comportamenti sembrano essere quasi innati e si può quindi supporre che siano trasmessi trans-generazionalmente. Si è scoperto che il rituale si accompagna spesso alla secrezione di ossitocina, un ormone implicato nella sensazione di ricompensa e sicurezza interiore. Le credenze sono una sorta di narrativa comune. La credenza più universale, la religione, è sempre accompagnata da rituali stereotipati e solenni. Non è certo se corri-

sponda ad una necessità adattativa (esiste il sospetto che lo sia, vista la sua diffusione universale) o ad una semplice diffusione di una serie di memi, atti a mantenere la coesione sociale. Un aspetto affascinante, se si indaga un ruolo evolutivo delle credenze “religiose” è quello che si ricava dall'analisi dell'idolatria. In molte civiltà passate gli idoli hanno avuto una rappresentazione spesso tesa a generare timore, quando non addirittura paura, nell'astante. Julian Jaynes ne fornisce una descrizione dettagliata nel suo celebre “Il crollo della mente bicamerale e l'origine della coscienza” (Adelphy) descrivendo per esempio l'uso frequente di bulbi oculari abnormemente ampi rispetto al capo, con le cavità spesso riempite di pietre scintillanti o rifrangenti, quasi a dar l'impres-

sione di parlare; a volte, per accrescere il terrore, gli idoli avevano occhi sovrannumerari ed il corpo cosparso di sangue. In questo caso si può presumere che empiricamente i “sacerdoti” di queste lontane civiltà abbiano riscontrato una più efficace trasmissione delle credenze sulla base di memorie associate a paura, una sorta di esperimento culturale anticipato rispetto ai risultati di Ressler e coll. Ora, la domanda che ci si può porre è: se le memorie traumatiche possono veramente trasmettersi per via epigenetica, si può supporre che anche le credenze ed i loro rituali orgiastici (così scolpiti nella memoria di chi vi partecipa) possano fare altrettanto? Epigenetica e trasmissione trans-generazionale di


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cultura e comportamento. Naturalmente non abbiamo risposte certe. Però, anche prima dell'articolo di Ressler, in letteratura esistevano descrizioni convincenti di trasmissioni trans-generazionali di

Il tema del numero

trasmissione attraverso le generazioni in casi di abusi, maltrattamenti, o l’incapacità genitoriale con tendenza all'abbandono. Purtroppo però gli esperimenti subiscono la grave limitazione di essere applicabili es-

«Ora, la domanda che ci si può porre è: se le memorie traumatiche possono veramente trasmettersi per via epigenetica, si può supporre che anche le credenze possano fare altrettanto?» connotati culturali e sociali. Nei roditori, le interazioni madrebambino durante la prima settimana post-partum mostrano variazioni naturali stabili del comportamento materno affettivo, in particolare nel leccare/grattare (L-G) e ricurvarsi sui piccoli (arching-back). I discendenti nati da madri che presentano alti livelli di L-G sono meno ansiosi in un nuovo ambiente e mostrano una ridotta risposta steroidea allo stress rispetto ai figli di madri a basso L-G. Inoltre, discendenti nelle generazioni successive sembrano mantenere il comportamento.4 A livello molecolare, le risposte allo stress nei cuccioli di madri ad alto L-G sono associate con modificazioni epigenetiche nei recettori per estrogeni e glucocorticoidi nel cervello (regione ippocampale) ed è stato postulato che nell'accudimento umano, dove L-G è sostituito da strumenti culturali, possano verificarsi situazioni simili5. Negli umani esistono solo prove correlative indicanti che le modificazioni epigenetiche possono associarsi alle interazioni genitori-figli e sarebbe interessante indagare la loro

Note e indicazioni bibliografiche Nature Neuroscience 17, 89–96 Diabetes 58, 1229–1236 3 Reproductive Toxicology, 20, 345-352. 4 Behav. Neurosci. 121, 1353–1363. 5 Frontiers in genetics 2, 111-129 6 Nature 449, 105–108. 1 2

senzialmente sui soggetti post-mortem, e la loro dimostrazione nella nostra specie è ancora lontana. Così, forse dovremmo aspettare un ulteriore sviluppo del neuroimaging. Sebbene queste tecniche stiano attualmente rilevando esclusivamente attività cellulare e non molecolare su singoli geni, l’aspettativa è che in futuro saranno in grado di rivelare anche cambiamenti epigenetici, ad alta risoluzione. Un passo avanti potrebbe essere ad esempio identificare tali modifiche in modo indiretto, attraverso il rilascio locale di sottoprodotti rivelabili6. Indubbiamente, se il lavoro di Ressler troverà una spiegazione plausibile attraverso meccanismi epigenetici, allora tutto ciò che costituisce il vissuto genitoriale, molti ricordi che hanno alla base un potenziamento a lungo termine potrebbero essere passati verticalmente ai successori e già si sta indagando sulla trasmissione alla discendenza di memorie terribili come nei reduci da guerre. Esiste allora un condizionamento a cui inconsapevolmente siamo soggetti fin dalla nascita, per merito o disgrazia dei nostri genitori? Esiste

Anemos neuroscienze

la possibilità che molti aspetti della cultura, di parte di ciò in cui crediamo, in campi disparati che vanno dalla religione alla politica alla visione della società e i rapporti interpersonali, insomma delle nostre tendenze anche più ineffabili, siano il frutto di una trasmissione genitoriale? Qui si apre un capitolo delicato, perchè spesso nella società occidentale i genitori scaricano sui figli le proprie aspettative o frustrazioni ed impongono loro il raggiungimento dei loro mancati obiettivi di vita. In questo caso la prospettiva tende a ribaltarsi e ad attribuire ai genitori una grande responsabilità: forse noi sappiamo già il loro sapere, crediamo da subito alle loro credenze. Alcuni anni fa Chris Winter della British Telecom aveva teorizzato (per fortuna solo teorizzato) la possibilità di impiantare nella retina di neonati una microcamera CCD che memorizzasse tutte le esperienze di vita dell'individuo, per poi rivivere tutte le registrazioni scaricandole su un computer. Estremizzando ulteriormente, arrivò a proporre di impiantarla in un successivo neonato, facendo in modo che il ricevente “veda scorrere” la vita del donatore. Naturalmente siamo nel campo della fantamedicina farneticante, ma forse in futuro scopriremo che la natura scrive in noi da sempre, in forma epigenetica, il romanzo delle nostre memorie più intense da tramandare, come un dono, ai nostri discendenti.♦

Claudio Brigati. Laureato in medicina e chirurgia. Già dirigente medico presso l’Istituto Nazionale per la ricerca sul cancro - sede di Genova - staff genetica/epigenetica dei tumori. Tra le sue esperienze professionali si segnalano: periodo di studio e lavoro presso l'Istituto Karolinska di Stoccolma 1983-1985, Istituto di Immunobiologia; periodo di comando presso Columbia Univ. di New York per progetto collaborativo come visiting fellow, 1989-90; periodo di comando presso Albert Einstein College di New York - Dipartimento di Biologia Cellulare, per progetto collaborativo come visiting scientist, 1996-98.

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Storiografia Antropologia

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Anemos neuroscienze

Il tema del numero

C’era una volta... La festa di Sant'Antonio: un esempio di assimilazione di antichi riti ed usanze operato dalla Chiesa

Figura 3.1 - Nella pagina

accanto "Il Cristo risorto appare a Sant'Antonio Abate", pala dell'altare della Chiesa Parrocchiale di Castelcovati (Brescia), opera di Sante Cattaneo (1739 - 1819).

parallela a quella dei teologi, mistici e artisti. Si può parlare di cristianesimo cosmico poiché da un lato, il mistero cristiano viene proiettato sulla natura intera, e dall’altro, vengono trascurati gli elementi storici del cristianesimo, insistendo invece sulla dimensione liturgica dell’esistenza del mondo.” Il periodo dell’inverno che dal solstizio si avvia all’equinozio di primavera è punteggiato di feste e cerimonie di segno contrario. La festa di Sant’Antonio, la Candelora, il Carnevale, la Quaresima. Non potendo percorrerle tutte, daremo una breve descrizione di una sola, la festa di Sant’Antonio. Festa calendariale importante che cade il 17 gennaio e che prenderemo come esemplificativa di quel fenomeno di assimilazione operata dalla Chiesa nei confronti di antichi riti ed usanze arcaiche dopo aver constatato l’impossibilità di eradicarle. La sua festa sostituisce antiche feste pagane, romane e celtiche, dedicate alle Grandi Madri e sotto il nome del santo ritrova e ripropone la primigenia funzione lustrale e propiziatoria. Nelle campagne fino a poco tempo fa il 17 di gennaio era un giorno di festa e nel giorno della vigilia il parroco veniva nelle stalle a benedire gli animali e a consegnare, come pratica apotropaica, l'immagine del santo. Sant’Antonio, patriarca del monachesimo, non è un essere leggendario ma

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di Vitaliano Biondi

parole chiave. Sant'Antonio, Chiesa, credenze, secolarizzazione. Abstract. Molte credenze e tradizioni che hanno segnato la vita degli uomini del passato sembrano oggi essere andate perdute. Nelle feste antiche simboli e tradizioni andavano a confluire in un processo continuo di assimilazione delle eredità religiose precedenti che hanno offerto ai credenti nuovi quadri di vita tentando di imporre uno stile di rapporti tra Dio e l’uomo. Dal momento che non è possibile ripercorrerle tutte, in questo articolo viene descritta la festa di Sant’Antonio (17 gennaio) che viene presa come modello per spiegare il fenomeno di assimilazione operato dalla Chiesa nei confronti di antichi riti ed usanze arcaiche dopo aver constatato l’impossibilità di eradicarle.

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esta di Sant'Antonio. Con l’inizio del secondo millennio sembrano definitivamente perdute molte tradizioni e credenze che hanno segnato la vita degli uomini del passato. Alla fine di un'epoca, quella della società agricola dell’occidente, forse non è inutile cercare di rievocare le antiche festività calendariali del mondo contadino come fece Macrobio al tramonto dell’impero romano. Nelle feste antiche confluivano simboli e tradizioni in un processo di assimilazione continuo delle eredità religiose precedenti che hanno offerto ai credenti nuovi quadri di vita tentando di imporre uno stile di rapporti tra Dio e l’uomo, tra l’uomo ed il mondo. “L’immaginazione mitologica cristiana”, come ebbe ad osservare Mircea Eliade “acquisisce e sviluppa motivi e scenari specifici della religiosità cosmica, ma che hanno già subito una reinterpretazione nel contesto biblico [...] Il fenomeno è importante perché caratterizza la creatività religiosa di tipo folkloristico - su cui non si è soffermata molto l’attenzione degli storici delle religioni - che è una creatività

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Storiografia Antropologia

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Figura 3.2 e 3.3 - A sinistra l'economista

e sociologo tedesco Max Weber (1864 - 1920). Secondo Weber il termine "disincanto del mondo" riassume l'evoluzione che ha condotto alla nascita della società borghese-capitalista e all'inizio dell'era moderna. Sotto La vergine e il bambino con San Giorgio e Sant'Antonio, opera del pittore Antonio Pisanello (1395 circa - 1455 circa), uno tra i maggiori esponenti del gotico internazionale in Italia.

◄ è vissuto in Egitto tra il 250 ed i

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356. Lo testimoniano una lettera indirizzata all’abate Teodoro e la “Vita di Antonio” scritta dal un suo discepolo, sant’Atanasio. È in Francia, dove le reliquie di sant’Antonio furono traslate nel XI secolo che nasce il culto del santo che viene raffigurato sempre in compagnia di un maiale. In alcuni quadri, come quello del Pisanello conservato alla National Gallery di Londra, è accompagnato ancora dal cinghiale. I celti onoravano il cinghiale e l’animale era l’attributo del dio celtico Lúg che era raffigurato come un giovane che porta in braccio il cinghiale. I celti adoravano questo animale tanto da porre una sua effige sugli elmi e sugli stendardi e ad acconciarsi i capelli con il gesso per riprodurre le setole dell’animale, come testimoniano i capelli della statua del Galata morente. I sacerdoti Druidi erano chiamati Grandi Cinghiali bianchi ed ancora in età medievale era credenza che l’animale fosse sacro e si narrava che tutti i re merovingi avessero il dorso coperto

di setole come i cinghiali. La chiesa nell’opera di cristianizzazione dei celti ha dunque trasferito gli attributi di Lúg a Sant’Antonio. Il maiale, animale domesticato e per questo più tranquillizzante, ha poi sostituito, secondo una strategia rivolta all’oblio degli antichi dei, il cinghiale, animale di selva, simbolo della barbara ferinità. Sant’Antonio, nel processo di cristianizzazione, assunse anche le funzioni di custode degli inferi esattamente come Lúg, signore della morte e della risurrezione. Sant’Antonio diventò il padrone del fuoco, colui che poteva salvare dal fuoco eterno le anime e che aveva combattuto i demoni che lo tentavano. Padrone anche di quel fuoco che tormentava chi era affetto da ergotismo canceroso dovuto all’ingestione di pane o altri cibi preparati con farina

contaminata dal fungo Claviceps purpurea detta volgarmente "segale cornuta", unica responsabile della malattia. Per assistere gli ammalati sorse allora l'Ordine ospedaliero degli Antoniani, che prese come insegna la gruccia a forma di Tau, tradizionale attributo di Antonio e simbolo divino in Egitto. A questo si accompagnerà la campanella che i maiali degli ospedali antoniani portavano al collo per riconoscimento. La campana non è però a ricordo di questa usanza, ma perchè simbolo della Grande Madre, simbolo di morte e resurrezione, attributi ancora una volta dell’antico dio Lúg.


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La tradizione popolare ha poi voluto vedere nel maiale il diavolo, che, sconfitto da Antonio, fu da Dio condannato a seguire docile il santo. L'epoca della secolarizzazione. Oggi forse e per sempre dopo millenni gli antichi dei ci hanno lasciato. Viviamo, di fatto, così si dice, nell'epoca della secolarizzazione, nell'epoca cioé inaugurata dalla critica della religione in età moderna e giunta ormai a compimento nel nostro secolo attraverso l'eliminazione progressiva, dalla vita degli uomini e delle società, del riferimento al sacro e del riferimento alla trascendenza ed al religioso. Viviamo insomma nell'epoca del "disincanto del mondo", come lo definiva M. Weber. Eppure in molti, nel nostro secolo, hanno voluto vedere nella scomparsa del sacro uno dei segni più drammatici della decadenza, che si annuncia come inesorabile, della civiltà occidentale, la stessa che ad un certo punto del suo cammino ha creduto di poterne fare a meno (cfr. G. Bataille ed il Collège de sociologie). La sua rimozione consente difatti il ritorno, in forma di sintomo, di quelle forze e di quelle potenze che il sacro, fino a quando aveva potuto fungere da supremo dispositivo di regolazione sociale, aveva controllato ed incanalato. Poiché proprio questa sembra essere stata, a lungo, la funzione del sacro: attraverso delle proibizioni e delle prescrizioni, istituire degli interdetti e delle obbligazioni fondamentali per l'esistenza degli uomini, dal momento che grazie ad essi gli uomini potevano costituire un universo ordinato, orientato e dotato di senso, pertanto relativamente rassicurante. L'osservazione di regole e di riti, la trasmissione attraverso narrazioni e miti, l'autorappresentazione per mezzo di iniziazioni e di misteri, l'ordinamento di un universo altrimenti inintelligibile ed impadroneggiabile: tutto questo

Il tema del numero

giustificherebbe la nascita del discorso e dell'insieme di pratiche incaricate di amministrare il sacro, le religioni, unitamente al corpo dei funzionari specializzati nella conoscenza e nella gestione del sacro. Funzione del sacro. Ma da ormai molto tempo la nostra cultura ha introdotto una separazione tra sé (noi) ed il sacro, facendone piuttosto l'oggetto di una indagine: ha fatto l'inventario delle figure del sacro, ha sviluppato l'analisi delle forme storiche che il sacro ha assunto all'interno delle grandi civiltà dell'antichità, ha dissezionato le religioni e le forme mitiche che hanno corso presso i popoli cosiddetti primitivi, ha affrontato l'esame delle forme istituzionalizzate e codificate del sacro all'interno delle grandi religioni occidentali, ha descritto come sia venuta evolvendo l'esperienza del sacro nelle diverse epoche della storia dell'occidente, secondo una rigorosa articolazione di tale esperienza al più generale ambito dei saperi, delle ideologie e delle pratiche politiche. Ancora, antropologi e sociologi hanno delineato la struttura, la natura e la funzione del sacro in una società detta "secolarizzata" come é quella contemporanea. Tra le forme, poi, del sapere contemporaneo che hanno saputo elaborare una analisi originale del fenomeno "religioso" in generale, ed in particolare della funzione del sacro nella costituzione del legame sociale "a partire da un crimine commesso in comune", come diceva Freud, e che pertanto hanno cercato di spiegarlo indagandone le strutture profonde, vi sono le discipline psicodinamiche, e tra di esse un posto privilegiato, nella configurazione contemporanea del nostro sapere, occupa la psicoanalisi, la quale analizza appunto le corrispondenze tra organizzazione immaginaria del socius e struttura simbolica che presiede alla

Indicazioni bibliografiche Georges Bataille, Opera completa, 1970-1988. Mircea Eliade Trattato di storia delle religioni, Bollati Boringhieri, 1999.

Max Weber, Scienza come vocazione. E altri testi di etica e scienza sociale, Franco Angeli, 1996.

Anemos neuroscienze

formazione della soggettività individuale. Eppure, il sovrappiù di sapere ormai inseparabile della nostra esperienza del sacro, non ci ha messo al riparo - e l'attualità sovente tragica é lì a testimoniarlo - dal riemergere delle forme più arcaiche della sua manifestazione. Ecco allora rinascere fondamentalismi antichi o recenti, accoppiarsi agli aspetti più inquietanti di vecchi e nuovi nazionalismi e tribalismi etnici. A fronte di tutto questo é urgente, forse, recuperare una domanda ed un bisogno che sono comunque soggiacenti all'esperienza del sacro, e che potremmo chiamare, con una parola antica, spiritualità. Ma quali sono i suoi luoghi, rimossi e marginali, nella nostra cultura? Probabilmente si trovano nell'arte e nella letteratura. Da almeno due secoli, ad essa sembra essere stato affidato il compito di fabbricare dei simulacri del sacro, se non dei veri e propri sostituti. Dai romantici in poi la cultura moderna ha prescritto all'esperienza estetica di costruire un nuovo universo simbolico capace di rimitizzare sempre di nuovo, l'esperienza umana, una volta che "gli dei hanno abbandonato la terra" (Holderlin). Da allora é proprio dall'esperienza artistica che gli uomini hanno atteso "un dio nuovo" (Nietzsche). Non sappiamo se esso sia giunto, né se dalle arti lo si possa (o debba) ancora ragionevolmente attendere. Ma é certo che i mondi che esse han saputo creare restano ancora, per noi, abitabili. ♦

Vitaliano Biondi. Architetto, si occupa di architettura, giardini, paesaggio ed eventi culturali. Suoi lavori sono stati esposti alla Biennale di Venezia, al Beaubourg ed al Grand Palais di Parigi.

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Psicologia

Sociologia

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Credenze e coesione sociale

Come si spiega la nascita della societĂ e come riesce a perpetuarsi nel tempo? In questo sviluppo che ruolo hanno le credenze? 30


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Anemos neuroscienze

Il tema del numero

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di Adriano Amati

parole chiave. Credenze, coesione, società, convivenza civile. Abstract. Come è possibile spiegare l'esistenza della società e il suo perpetuarsi? Sappiamo che gli esseri umani sono animali sociali, ma questo non basta per rispondere a tale quesito. Tra gli elementi da considerare c'è senz'altro quello di “ordine sociale”, che è a sua volta legato alle modalità organizzative che gli individui si danno e al pensiero e all'azione individuale in rapporto alle convenzioni sociali.

App 1

onvivenza civile. Gli umani sono animali sociali, ma tale certezza non basta a spiegare l'esistenza della società e il suo perpetuarsi. Tra gli elementi da considerare il primo è senz'altro quello di “ordine sociale”, che comporta due domande: quali sono le modalità organizzative che gli individui si danno, e quale rapporto lega l'individuo alla collettività. Un terzo elemento da analizzare riguarda il pensiero e l'azione individuale in rapporto alle convenzioni sociali. Il sociologo che per primo ha chiarito questi concetti in modo sistematico è stato Émile Durkheim, che ha analizzato anche le questioni legate all'integrazione e alla solidarietà, connaturate al tema di cui si tratta. Nonostante la ricchezza e l'eterogeneità dei contributi teorici formulati nelle varie epoche (oltre il Durkheim, Luhmann, Parsons, ecc.) tentiamo qui un'estrema sintesi di quella che possiamo considerare il fulcro della convivenza civile, a partire dalle società tribali per arrivare a quella nostra, occidentale e “razionalista”. Diciamo subito che la convivenza viene definita “civile” quando è armonica e unitaria, e si svolge nel rispetto delle singole esigenze individuali; ma, com'è facile immaginare, tale definizione assume sfaccettature diverse e non sempre è condivisa da tutti. Tuttavia la questione che qui ci interessa non concerne tanto la definizione di coesione, ampiamente spiegata in altre parti della rivista, quanto come avviene tale processo. Bisogna anzitutto partire dal concetto di coscienza collettiva, ovvero dall'insieme dei sentimenti, delle rappresentazioni dei modelli di comportamento codificati, dalle norme e dalle credenze comuni ai membri della società, rappresentazioni condivise che vanno oltre il singolo individuo. Si tratta di norme e credenze che costituiscono prodotti culturali che si sono formati storicamente e che, dopo un lento processo di assimilazione, hanno acquisito lo stesso carattere di oggettività delle cose naturali. Infatti ogni individuo di un determinato gruppo sociale sa che le rappresentazioni collettive (la messa, una parata, un corteo, ecc.) esistono “da sempre”, o comunque prima di lui e che continueranno ad esistere anche dopo di lui. Il singolo si trova perciò in un flusso di pratiche collettive che dan-

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Psicologia

Sociologia

◄ no forma, sostanza e significato

all'intera realtà sociale: si tratta anche e soprattutto di rituali dal carattere simbolico - di natura celebrativa, evocativa, scaramantica o religiosa - che ricorrono periodicamente, in cui gli individui condividono gli stessi sentimenti e analoghi valori. Durkheim suggerisce che si tratta di un fenomeno morale in cui il singolo si uniforma al fatto esterno che lo simbolizza, e che il fatto interno a ciascuno passa in secondo ordine; come accade in fisica, dove le proprietà di un singolo elemento resistono alla rottura e alla separazione, così il corpo sociale tende a mantenersi integro. La credenza. Il nodo che trattiene il singolo individuo alla società è appunto la credenza (termine tratto dal verbo intransitivo credere, che indica l'essere persuasi di un'opinione) basata sui fatti, anche solo supposti, o sulla fede. Può essere di natura religiosa, popolare, pseudo-scientifica, superstiziosa, e non opera come semplice suggestione individuale, ma come collante capace di unire l'intera comunità in un unico sentimento dalla valenza collettiva. Questo agevola il processo identitario e, di conseguenza, il sentimento di appartenenza a un gruppo di individui, per cui il singolo si riconosce in loro; non solo in termini generali e teorici, ma anche nelle minime pratiche quotidiane. Per fare un esempio attuale: credere nei messaggi della televisione, o percepirne gli effetti in modo subliminale, porta milioni di spettatoriconsumatori a comportarsi tutti in modo analogo, seguendo l'esempio che viene loro fornito. Non importa che il messaggio provenga da realtà o finzione, esso rappresenta il modello unificante che tende ad omologare i comportamenti individuali. L'emulazione, fenomeno tipico del regno animale, fa si che il singolo sia portato ad imitare l'altrui comportamento, però nel caso degli umani l'adesione

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non è solo comportamentale, ma anche valoriale o, per meglio dire, morale: le norme non scritte, ovvero tutta quella materia che il diritto non contempla, vengono comunque fatte proprie, e in modo del tutto spontaneo. Consapevole o no che sia, in tal modo il singolo diventa cittadino, membro della società, parte di un insieme che lo sopravanza, specchio del suo prossimo. L'effetto di tale identificazione è l'armonia sociale, che ai diversi livelli di qualità (assai differenziata nelle diverse aree del pianeta) fa della società una comunità integrata in cui è possibile la convivenza civile, e non si sente il bisogno né tanto meno l'impulso di sbranarsi gli uni con gli altri. Oramai la credenza non s'affida più unicamente alla suggestione, come avveniva ad esempio in epoche passate, poiché dall'illuminismo in poi la ragione ha temperato tale propensione (senza però cancellarla del tutto); né subisce più ciecamente le strumentalizzazioni del potere, in quanto la presa di coscienza individuale, di cui il Novecento è stato protagonista, ha portato la coscienza a maturare l'introspezione, l'analisi interiore che fornisce l'opportuno disincanto. Però dobbiamo prendere atto che, nonostante oggi la ragione impedisca abbagli grossolani, resta, espresso o subliminale, un condizionamento che porta a un'adesione non del tutto spontanea all'idea o all'atteggiamento della cultura dominante. Tenuto conto di questo scarto tra socialità e individualità, la credenza continua a produrre sia effetti positivi che effetti negativi, in un equilibrio instabile che bisogna a tutti i costi tenere sotto controllo. Qui s'innesta il famoso principio secondo cui la libertà di ciascuno finisce dove comincia quella dell'altro; ma tale bordo, variabile e dunque in-

Figura 4.1 - A destra il sociologo e antropologo francese Émile

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Durkheim (1858 - 1917). Fu tra i primi a comprendere lo stretto rapporto esistente tra la religione e la struttura del gruppo sociale.

situabile, è in un equilibrio instabile che va appunto attentamente sorvegliato. È il principio della democrazia liberale, nella quale è richiesta l'adesione spontanea di ciascun cittadino, libera e consapevole; adesione che spesso si conferma in pubblico con la ritualità di cui si è detto, e che serve a rassicurare gli altri membri della società circa la sua piena adesione ai valori condivisi. Le liturgie religiose, siano esse di religioni monoteiste o animiste, sono forse l'esempio principe di come i diversi gruppi umani, riuniti a pregare secondo un rito collettivo, abbiano nei secoli cementato un sentire comune. Non importa quanto vero o presunto, né se riferito a valori credibili o assurdi, essere tutti figli o sudditi di questo o quel dio rende i suoi fedeli fratelli; in quest'ambito non ha alcun senso entrare nel merito di questa o quella credenza, poiché ciascuno vi aderirà a suo modo. Se il dio a cui quei credenti s'ispirano intende punire gli uomini (con un terremoto, un'inondazione, ecc.), ebbene li punirà tutti, e dunque tutti quanti i membri si sentiranno ugualmente vittime dell'ira del loro dio. La condivisione di quella condizione è il primo passo verso la comunione; poi arri-


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Il tema del numero

Figura 4.2 - I messaggi veicolati

Anemos neuroscienze

dalla televisione portano milioni di spettatori a comportarsi in modo analogo, seguendo l'esempio che viene loro fornito. L'emulazione non riguarda solo il comportamento, ma anche i valori e la morale che viene loro veicolata.

veranno altre circostanze simili che si stratificheranno nel tempo dando vita alla tradizione, spina dorsale di ogni credenza. Rappresentazioni della realtà dell'uomo. Anche il sentito dire, il senso comune, l'opinione diffusa, l'idea prevalente di un fatto, operano in modo indipendente dalla realtà del fatto. Questo genere di rappresentazioni confina col pettegolezzo, con la diceria, con la nomea, con la voce pubblica, eppure contribuisce a costruire una certa idea su una persona, su un evento e su altro ancora. Questi “si dice” sono un complesso variamente sistematico e coerente di rappresentazioni della realtà dell'uomo (la definizione è del sociologo Luciano Gallino) che conferisce ordine e significato alla vita quotidiana. Attorno al senso comune si costruiscono poi giudizi di valore su fatti non accertabili, reazioni emotive prive di reale consapevolezza, atteggiamenti fideistici senza strutture logiche, si scelgono alcuni elementi di riferimento e li si enfatizza. Insomma, perché una credenza sia socialmente efficace, nel senso sopraindicato, essa non deve necessariamente avere riscontri scientifici né ottemperare ad esigenze logico-razionali, ma essere sentita o creduta intimamente da ciascun membro della società. Questo convincimento collettivo si tradurrà in pratiche quotidiane che danno appunto ordine e significato alla vita della comunità.

Naturalmente, l'aderire devotamente a una credenza può produrre conflitto con quanti, razionalmente motivati, vi si oppongono in forza della loro conoscenza logico-razionale e scientifica relativa all'oggetto di quella devozione. Si tratta però di una contrapposizione marginale rispetto al fulcro ideologico della comunità, per cui si svilupperanno a macchia di leopardo alcune sacche (culturali) di disapprovazione critica. Ciò però non turba l'equilibrio complessivo dei valori comuni, in quanto, anche in questo caso, la maggioranza fagocita il dissenso e, appunto, lo marginalizza. Se poi si tratta di blanda adesione e non di vera e propria devozione, come accade ad esempio con l'ascolto dell'oroscopo, il dissenso si limita a un sorriso o uno sfottò, e può benissimo convivere con quanti invece vi si attengono. L'unico strumento per eliminare ogni conflitto tra scienza e credenza è la tolleranza culturale dei membri della società, unitamente all'uguaglianza dei singoli rispetto all'ordinamento giuridico vigente: la tolleranza sta a garanzia che ciascuno sia libero di esprimere le proprie idee e di metterle

Indicazioni bibliografiche Talcott Parsons, Struttura dell'azione sociale, Ed. Il Mulino, 1962. Émile Durkheim, Le forme elementari della vita religiosa, Meltemi Editore, 2005.

Luciano Gallino, Dizionario di sociologia, Unione Tipografico-Editrice Torinese, 1978.

in pratica, e il diritto fissa i bordi delle pratiche non consentite a nessuno. L'istinto naturale di riconoscersi membri della stessa specie, il rispetto (naturale o indotto) delle idee altrui, e la legge, sono i fattori principali della coesione sociale; a questi, come in una sorta di brodo culturale, si mescolano il credo e la credenza, che convenzionalmente vengono definiti come il collante sociale capace, con i fattori citati, di unificare la sfera morale di una comunità. E per ribadire e rinverdire tale unità la comunità stessa appronta le rappresentazioni collettive, in forma rituale, partecipate da tutto il popolo; il loro periodico ripetersi crea la tradizione, fonte storicamente consolidata della sua identità.♦

Adriano Amati. Giornalista e scrittore, ha pubblicato libri di turismo e d’arte, ha diretto cinque testate mantovane, ha scritto articoli e saggi collaborando con testate locali e nazionali. Per Paolini Editore di Mantova ha pubblicato Turista a Tebaide (1991) e Bertrand il matematico (1994), per la Severgnini di Milano Dialoghi del namoro (1997), inoltre Domicilio Mantova (Editoriale La Cronaca di Mantova, 2003), Detto tra noi (Prospecta Edizioni Mantova, 2005), I miei (Il Cartiglio Mantovano Mantova, 2006), per la casa editrice E.Lui di Reggiolo la raccolta di poesie Una voglia di Sur (2008) e il romanzo L’iride azzurra (2010). Partecipa attivamente ai contenuti dei prodotti della Clessidra Editrice con articoli di opinione, di attualità e di letteratura e in generale ai progetti della casa editrice.

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Filosofia

Antropologia

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LO SPECCHIO INFRANTO Appunti sulla superstizione di Antonio Petrucci In 2 parole chiave. Superstizione, credenza, tradizioni popolari, magia, stregoneria, antropologia. Abstract. L'articolo prende in considerazione un'altra variante semantica del termine "credenza" analizzato fin qui: la credenza come superstizione. La superstizione è la credenza negli effetti nefasti (disgrazia o malasorte) o, più raramente, propizi, di un evento, di una persona o di un rituale. Si analizza l'origine di alcune superstizioni e si mette in luce cosa pensassero a tale proposito alcuni personaggi storici come Francesco Bacone e Galielo Galilei. Si prende in considerazione, inoltre, l'attualità della superstizione oggi.

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efinizione. La superstizione è la credenza negli effetti nefasti (disgrazia o malasorte) o, più raramente, propizi, di un evento, di una persona o di un rituale. Le varie superstizioni non sono, a ben pensarci, che i residui di una cultura contadina, legata alla terra, agli alberi, agli animali, ai cicli stagionali e impregnata di paganesimo e di magia. Pertanto fanno parte del folclore e noi le studieremo come “tradizioni popolari”. Tuttavia accade poi di scoprire che ciò che si credeva appartenere al passato appartiene anche al presente… e che in una cultura sempre più governata dalla tecnica esiste una sub-cultura dominata dalla magia. Ci interrogheremo, alla fine della nostra analisi, su questo inquietante

ritorno. Categorizzazione. Quello che faremo non è un catalogo di superstizioni (ci vorrebbe un libro) ma una categorizzazione (che però potrebbe servire a una catalogazione). Una buona catalogazione sarebbe un passo verso la comprensione del fenomeno, in genere, nei vari libri che se ne occupano, esposto disordinatamente. Una prima categoria di superstizioni comprende degli eventi: eventi che non prevedono una volontà avversa, l’invidia o l’ostilità di qualcuno, ma solo una casualità o un errore; sono esempi consueti lo specchio rotto o l’olio rovesciato oppure il gatto nero che attraversa la strada, il trovarsi in tredici a tavola, ecc. Una seconda categoria prevede una volontà avversa che può


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Anemos neuroscienze

Il tema del numero

esprimersi immediatamente (invidia e malocchio) o mediatamente attraverso la magia. La magia si esercita sugli uomini o sulla natura per imitazione oppure per contatto (e forse anche per contrasto). Ad esempio: per far venire la pioggia si imitano le nuvole, per uccidere un nemico si trafigge la sua immagine, ecc. Naturalmente contro il malocchio e contro la magia esistono delle “contromisure” cioè delle “contromagie”: amuleti (che difendono dal male), talismani (che portano bene), ma anche formule magiche ed incantesimi. S’intende da tutto ciò la centralità della strega. La strega non è necessariamente malvagia: può fare il male ma anche il bene, può fare la magia o difendere da essa, preparare il filtro ad mortem o il filtro ad amorem… La strega non è necessariamente malvagia - ma può diventarlo se ha rapporti con il diavolo, se deriva da questi rapporti i suoi poteri, se partecipa al sabba, che è una riunione di diavoli e streghe caratterizzata, fra l’altro, dalla licenza sessuale. In fondo la caccia alle streghe (tipica del Medioevo e del periodo dell’Inquisizione) si può intendere come espressione ultima della battaglia fra Cristianesimo e paganesimo. Lo specchio e l’olio. Una prima considerazione si impone: la superstizione nasce da osservazioni sbagliate o addirittura da dicerie non verificate e si mantiene (se si mantiene) non solo per la mancanza di verifiche ma anche perché si rifiuta di sottoporsi alla verifica. La singola superstizione

inoltre è tale nella misura in cui ignora la sua origine. Nella misura in cui la conosce cessa di essere superstizione e diventa, tutt’al più, una “tradizione”. Si prenda, dunque, a titolo d’esempio, il caso dello specchio infranto e dell’olio rovesciato. La ragione per cui rompere uno specchio porterebbe sfortuna (ben sette anni!) è storica: infatti in una società povera come quella contadina solo i signori hanno lo specchio e chi lo rompe è la serva, la quale, per il danno arrecato, rischia di essere punita o cacciata. Forse però c’è dell’altro. Accanto alla spiegazione storica viene spontanea anche un’ipotesi psicologica. Uno specchio rotto fornisce un’immagine sfregiata. Ora, se ogni immagine è un “doppio” di chi si specchia - come dimostrano i rituali magici “per somiglianza” - e se l’immagine nello specchio è “ferita”, anche colui/ colei che si specchia rischia qualche forma di ferimento. Si aggiunga che avere il volto sfregiato significa perdere la bellezza e quindi il migliore investimento sul proprio futuro (e che, infine, l’immagine frantumata in uno specchio sembra una suggestiva immagine della follia). Se il caso dello specchio infranto ci pare abbastanza comprensibile (per ragioni, come si è visto, sia storiche che psicologiche), ci pare invece incomprensibile il caso dell’olio rovesciato. In particolare ci è oscura la ragione per cui rovesciare l’olio dovrebbe portare disgrazia e rovesciare il vino, invece, fortuna. Anche oscura la ragione per cui gettare sale sull’olio versato dovrebbe

annullarne le nefaste conseguenze: e infatti, se sprecare l’olio è grave perché l’olio è prezioso, anche il sale è prezioso e sprecarlo dovrebbe essere riprovevole. In ogni caso, però, l’assoluta contraddizione logica di una tradizione superstiziosa dovrebbe avere lo stesso effetto del riconoscimento delle sue cause - e cioè svuotarla, privarla del suo significato. Il mana. Un poco più complesso sarà il discorso per quegli aspetti della superstizione che implicano una volontà ostile negli altri - cioè per il malocchio e per la magia, per i quali dovremo cercare le spiegazioni più lontano (nella etnologia e nella storia delle religioni). Secondo le cosiddette “religioni primitive” (Dinamismo, Animismo) c’è una Forza, una Potenza, un Potere, uno Spirito che pervade l’universo e fa sì che il cosmo sia cosmo cioè Ordine oppure ci sono spiriti nelle cose quali espressioni di quel Potere. Non può dunque stupirci l’opinione che questa Potenza, che è dappertutto, sia particolarmente forte, “concentrata” si potrebbe dire, in certe cose (enti). Si dice allora che queste cose o enti sono forniti di mana, sono pieni di mana, sono mana (cioè potenti e magici: potenti perché magici e magici perché potenti). Possono essere mana: uomini e spiriti, ma anche animali, piante e perfino pietre. Il significato del mana, o potere magico, può essere compreso meglio aggiungendovi alcune caratteristiche: ad esempio ciò che è mana è anche tabù, cioè ► sacro e proibito, e per-

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Filosofia

Antropologia

ciò bisogna accostarsi ad esso con reverenziale timore. Ciò che è mana può essere anche totem e cioè individuare una famiglia o una gente. Infine ciò che è fornito di mana può essere rappresentato da feticci (amuleti, maschere, immagini ataviche) ed essere portato con sé. È possibile che l’immagine di ciò che è mana diventi a sua volta (per somiglianza o contatto) mana cioè fornito di potere magico. Naturalmente chi è particolarmente pieno di mana è lo sciamano: egli è un mago/sacerdote; può volare, superare il limite oscuro fra questo mondo e l’altro, può incontrare gli spiriti e i morti, può conoscere segreti e misteri e le ragioni del vivere e del morire. Indubbiamente deve possedere poteri speciali ma deve anche educare questi poteri e “indurli” (con allucinogeni, danze, ritmi ossessivi). In fondo la strega della nostra cultura occidentale è una pallida immagine dello sciamano. Dal libro di Jack Finegan trarremo ora qualche esempio di potere magico per imitazione e vicinanza. Ad esempio, i Pigmei dell’Africa equatoriale, prima di procedere alla caccia dell’antilope, ne simulano la cattura con un rito propiziatorio - senza il quale la caccia sarebbe vana: il rito consiste nel disegnare ciò che accadrà. Egualmente i Navahos dell’America del Nord preparano sortilegi utilizzando unghie e capelli della vittima predestinata oppure facendone una immagine e “uccidendola”. Essi conoscono anche le “malie frenetiche” che sono in tutto simili ai nostri filtri ad amorem. E ancora gli Apaches del Nuovo Messico rappresentano con una danza, in cui si è mascherati, il Popolo della Montagna cioè un popolo di spiriti o esseri soprannaturali, ma, rappresentandoli, essi ne assumono i poteri. Sono da ciò evidenti le somiglianze fra le superstizioni dei popoli “evoluti” e le credenze magico/religiose dei popoli “primitivi”. Dal che si può trarre una considerazione: il pensiero superstizioso è fondamentalmente una forma di pensiero arcaico.

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Gli idola di Bacone. Nel corso

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del Rinascimento la storia della filosofia registra una fase di fioritura di astrologia, magia, alchimia e altre scienze occulte. Le scienze occulte, praticate anche da filosofi come Bruno e Campanella, aprono la strada alla scienza moderna: l’astrologia all’astronomia; la magia alla fisica; l'alchimia alla chimica. L’interesse per le erbe medicinali e per i filtri magici che con esse si possono comporre contribuisce alla nascita della farmacia moderna. Interessanti per noi, in maniera particolare, le teorie di Francesco Bacone. Nel Novum organum di Francesco Bacone (1620), si legge che il nuovo scienziato dovrà liberarsi dagli idola cioè da tutti i pregiudizi della mente che impediscono alla scienza nuova (fisica) di decollare. Gli idola specus sono i pregiudizi che inducono

tesi di lavoro e soprattutto capace di correggersi sulla base di nuove osservazioni e nuove ipotesi di lavoro. In un’altra opera, peraltro interrotta, la Nova Atlantis (1626), un’utopia tecnologica, Bacone descrive il “mondo di domani” e cioè racconta come il trionfo della scienza e della tecnica avrebbe cambiato la vita umana… Ciò che non è riuscito a prevedere è la sopravvivenza della magia nel mondo della tecnica. (Egli pensava evidentemente che il pensiero umano avesse un andamento

Figura 5.1 e 5.2 - A fianco Francesco Bacone, filosofo, politico, giurista e saggista inglese (15611626), che affermava l'importanza di liberarsi dagli idola, affinchè la scienza nuova (fisica) potesse decollare. Nella pagina accanto, Galileo Galilei (1564-1642), le cui scoperte aprirono la via a una visione moderna dell’intero universo.

l’uomo a trovare nella natura l’affinità con se stesso e ad attribuire un’anima alle cose. Il discorso del filosofo colpiva astrologi, maghi, alchimisti ed altri esperti dell’occulto. Ancora, se con gli idola specus colpiva la magia, con gli idola tribus Bacone colpiva la religione, con gli idola fori (pregiudizi del linguaggio) i metafisici, con gli idola theatri la tradizione filosofica (che era, fondamentalmente, platonica e aristotelica). Dalla sua critica agli idola nasce l’immagine di un nuovo scienziato, lo “scienziato-ape”, capace di raccogliere osservazioni seguendo un’ipo-

coerente e che il futuro avrebbe cancellato il passato. Mentre, come vedremo, non è così: il passato rimane ed è pronto anche a ritornare). Più o meno nello stesso periodo, Galileo Galilei scardinava la teoria astronomica geo-centrica cioè quella teoria che poneva la terra al centro dell’universo e fissava un limite invalicabile fra la terra e il cielo. Grazie all’uso del cannocchiale egli fece osservazioni sulla superficie lunare e sui satelliti di Giove che gli permisero di convalidare l’ipotesi copernicana (v. il Sidereus nuncius del 1610). Ciò apriva la via a una visione mo-


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Anemos neuroscienze

Il tema del numero

to ciò sia possibile.

derna dell’intero universo. L’astrologia si basa su un sistema astronomico geo-centrico, quindi la nascita dell’eliocentrismo avrebbe dovuto tagliarle le radici. Non è andata così. L’astrologia non solo è sopravvissuta alla crisi del geo-centrismo, ma si potrebbe dire che ha acquistato una crescente importanza nel mondo contemporaneo, dove - accanto a coloro che leggono l’oroscopo per curiosità e divertimento, salute, amore, lavoro, affari - c’è chi non muove un passo senza consultare l’astrologo. È il momento di chiedersi come tut-

Riflessioni conclusive. Iniziando questo studio ci siamo ripromessi di esaminare l’argomento della “attualità” della superstizione. Ovvero: come si spiega, come è possibile che in un mondo governato dalla scienza e dalla tecnica sopravvivano credenze antiche, anzi arcaiche, come quelle superstiziose? Una prima risposta è facile. È evidente che la tecnica non è in grado di rispondere alle domande ultime che l’uomo si pone: alle domande che riguardano la morte, il male, il dolore e soprattutto la paura che prende l’uomo di fronte all’ignoto (e a volte, semplicemente, di fronte al futuro). Chi, deluso dalla scienza e dalla tecnica, non ha il conforto della religione, è spinto a cercare rifugio nella magia. Seconda risposta. La paura è la parola-chiave che apre la porta alla superstizione. Essa era e rimane il motore, la motivazione principale della richiesta del magico. Accanto ad essa, certo, si possono porre le altre emozioni fondamentali: l’ira e l’amore; e in più le “emozioni derivate” come il rancore, la gelosia, ecc. Ovviamente la domanda crea l’offerta ma anche l’offerta crea la domanda: nella società tecnologica ci

sono più maghi che scienziati. Essi lucrano sull’ignoranza e sulla debolezza, dimentichi del fatto che chi ha poteri magici dovrebbe metterli gratuitamente a disposizione di chi ha bisogno (come è nelle culture primitive e contadine: per lo sciamano e per la strega). Tuttavia invocare le emozioni come causa della superstizione ci sembra ancora insufficiente. È necessario avanzare anche un’altra ipotesi: cioè che la mente umana sia “naturalmente” spinta verso la superstizione perché è spinta ad attribuire una sorta di volontà al mondo che ci circonda. La scienza e la tecnica non hanno cancellato o sradicato questo modo di pensare: lo hanno solo “confinato” in una specie di riserva. Da questa riserva esso continua ad esercitare una pressione normalmente irrilevante; ma quando la razionalità scientifico-tecnologica fallisce, il pensiero arcaico prende (o forse meglio riprende) il sopravvento. La sopravvivenza della mentalità primitiva nel mondo tecnologico ha del resto il suo riscontro nel pensiero infantile che è animista. Piaget credeva che lo fosse per un breve periodo, durante la prima e la seconda infanzia. Studi più recenti (Hooper, Kelenen) fanno persistere l'animismo tutta la vita. Si potrebbe concludere che il pensiero superstizioso non è, tutto sommato, nient’altro che un pensiero infantile che manteniamo da adulti.♦

Indicazioni bibliografiche G. Cocchiara, Il paese di cuccagna, Boringhieri, Torino, 1980. A.M. Di Nola, Lo specchio e l’olio, le superstizioni degli Italiani, Laterza, Bari, 2010. J. Finegan, Splendore delle antiche religioni, Aldo Martelli, Verona, 1955.

J.G. Frazer, Il ramo d’oro. Studio sulla magia e la religione, Boringhieri, Torino, 1976. M. Mauss, Teoria generale della magia, Einaudi, Torino, 1991.

Antonio Petrucci. Ha insegnato filosofia all’Istituto “Matilde di Canossa”. Ha collaborato a riviste e volumi collettanei. Oltre che di filosofia si occupa di letteratura e di storia. Nel 2013 ha curato il volume Sentieri interrotti. Silvio D’Arzo e il suo doppio, Consulta, Reggio Emilia.

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APPROFONDIMENTI ♦ antropologia

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RACCONTI

Su carresegare Il carnevale sardo, retaggio di antichi culti di Sara Pinelli

U

n pomeriggio di febbraio, una strada tortuosa tra i boschi di querce, pioggia battente, cielo di nuvole basse, di luce bianca, quell'aria di vento pungente, il vento di passaggio, come lo chiamava mia nonna, il vento invernale della Sardegna. Poche case, una piazza, macchine parcheggiate un po' dove capita, percorriamo la strada in salita che porta al paese, io ho in mano un cappello da cowboy, il mio amico una mascherina nera da Zorro. Suono di campanacci e urla nel futuro prossimo, nel presente silenzio e freddo umido. "Andiamo ad una festa di carnevale" - "D'accordo!" - "Vestiti pesante, è all'aperto. Vedrai il vero carnevale sardo, su carresegare". Su carresegare, ho scoperto in seguito, non è soltanto la traduzione in sardo di carnevale:

La parola carne in sardo si dice petta o pezza sia che si tratti di carne cotta sia che si tratti di carne cruda. Il termine carre invece si usa soltanto quando ci si riferisce alla carne viva e in modo particolare a quella umana. Segare significa lacerare, fare a pezzi. Dovrebbe dunque far riflettere, perché quasi certamente questa parola fu coniata per indicare la festa in cui la carne viva veniva lacerata sbranata, come le menadi fecero con Orfeo e come, in tempi successivi, fecero con gli animali, sbranandoli vivi, fossero capretti o torelli. Era insomma un rituale di antropofagia cui veniva dietro la rinascita del dio.1

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Nella piazza del paese, persone accalcate intorno, e un grande vuoto al centro; come se una forza centrifuga tenesse

tutti schiacciati sul perimetro. Dodici figure cupe con una pelliccia di caprone marrone scuro o nera, stivali neri, ognuno un volto in legno scuro di pero, una maschera ricavata da un pezzo unico di legno, cupa, tragica. Sulla testa un fazzoletto femminile nero. Sulla schiena una serie di campanacci da animali. Portati a zaino, un grappolo di campanacci di diverse dimensioni. Carico pesante, che costringe la figura a stare curva ingobbita. Nessuno procede camminando, ma saltellano zoppi, facendo suonare i campanacci sguaiati, scordati. Dietro questo gruppo, che ha qualcosa del branco ferito e braccato, un gruppo di uomini a piedi, giacca cangiante in pannolenci rosso color Valentino, pantaloni bianchi, maschera con sembianze umane, bianca, d'un bianco ottico, una grossa corda, usata come un lazzo: fatta roteare sulla testa e poi scagliata sul gruppo delle maschere scure. I due gruppi di maschere continuano la loro farsa danzando, gli uni zoppicando appesantiti dai campanacci, gli altri facendo roteare i lazzi orgogliosi. Le vittime: nere, gobbe, zoppicanti, sgraziate, rumorose, bestiali. Sas mascheras bruttas = le maschere sporche, vengono chiamate. I Mamuthones. Gli aguzzini: colorati, fieri, splendenti, umani. Sas mascheras limpias = le maschere pulite, sono chiamate gli Issoccadores. Le maschere ricoperte di stracci e pelli, col volto imbrattato di fuliggine, sono dette in tutti paesi "Sas mascheras bruttas", maschere sporche, cui si contrappongono "Sas mascherasse limpias", le maschere pulite soprattutto "Sa maschera 'e santa", con i bei lineamenti,

bianca, che sembrerebbe alludere ad una contrapposizione tra religioni diverse. "Sas mascheras bruttas" portano tutte dei sonagli, grossi e piccoli. Il significato di questi oggetti è noto, si tratta dei tintinnambula che nelle religioni misteriche, nel culto di Demetra, di Cibele e di Iside, tutte divinità identificate con la dea madre, venivano usati per scacciare le forze malefiche, con significato apotropaico. Ancora oggi, quando si fa un gran baccano, si dice: "est uno mamuthino". È appena il caso di far notare l'assonanza tra i due termini mamuthone e mamuthino, ma anche il significato intrinseco, nonché il valore apotropaico della cerimonia.2

Resto immobile ad osservare il gruppo in avvicinamento, una bambina davanti a me scoppia a piangere; la guardo, avrà cinque o sei anni, un vestito rosa da principessa, costume carnevalesco di quelli da tabaccheria, uno di quelli che popolano le scuole elementari, le piazze e gli oratori di qualsiasi città. Ma, qui non c'entra nulla, c'è qualcosa di minaccioso, di lugubre in questo carnevale; trasmette uno strano senso di inquietudine, più che voglia di fare festa e soffiare le stelle filanti. Osservo il mio cappello da cowboy e la maschera da Zorro nella mano del mio amico e quasi me ne vergogno, mi stringo nella giacca mentre un lazzo mi sfiora i capelli e acchiappa il braccio del padre della bambina, che, tra le urla degli Issoccadores e i campanacci dei Mamuthones (che non possono parlare), viene spinto verso un bar di paese, dove entrano tutti, lasciando la piazza muta, gli spettatori a difendersi dal vento, mentre arriva il tramonto ed inizia a piovere.


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La bambina segue il padre con lo sguardo, con due occhi che sembrano ingigantirsi, fino a inglobarsi il naso e la bocca. Quando il gruppo sparisce dentro al bar, sembra diventata un bambina lampione. Il padre viene spinto al bancone, gli Issoccadores urlano, i Mamuthones si stringono attorno a lui, con l'odore acre delle pelli di pecora. Deve offrire da bere a tutti, solo dopo, gli viene levato il lazzo dalla pancia e può tornare dalla sua figlia lampione vestita da principessa. Il paese è Mamoiada nell'entroterra Barbaricino. Nella campagna appena fuori dal paese si trova una strana roccia che si erge isolata su un altipiano. Si chiama "Perda Pizzinna", pietra fanciulla, perché, si dice, faccia pensare a una figura di donna pietrificata. Intorno a questa roccia è fiorita da tempi immemorabili una curiosa leggenda che porta fino ai miti greci.

Il tema del numero

invaghì di lei e le si presentò sotto le spoglie di un giovane mortale, non potendone comparire dinanzi come un dio. Ma Era, gelosa, quando s'accorse che la fanciulla attendeva un bambino, prese le sembianze della sua nutrice e le insinuò il dubbio che il suo amante non fosse Zeus. Per conoscerne la vera identità avrebbe dovuto esigere che si presentasse a lei in tutto il suo splendore, così avrebbe saputo cos'era l'abbraccio di un dio. Semele cadde nell'inganno e, dopo essersi fatta promettere dall'amante che avrebbe esaudito ogni suo desiderio, gli chiese di mostrarsi a lei con il suo vero aspetto. Zeus ne fu costernato, ma dovette mantenere la promessa e quando comparve davanti alla fanciulla in tutta la sua luce, Semele rimase folgorata. Zeus, non potendo salvare la fanciulla, salvò il figlio che il loro amore aveva generato, estraendolo ancora vivo dal grembo della madre e cucendoselo entro la coscia per portarlo a compimento. Dioniso crebbe nei boschi allevato da Ninfe, ed era solito coprirsi con una pelle di capra o di cerbiatto. Nei riti Misterici, veniva celebrato soprattutto nel suo aspetto di fanciullo, Dionisos Junior, come lo chiamavano i romani ed era profondamente legato al culto delle acque. Era, sempre gelosa, persuase i Titani ad ucci-

Figura 6.1 - Maschera

di carnevale sarda. Le maschere tipiche sono descritte come "figure cupe con una pelliccia di caprone marrone scuro o nera, stivali neri, ognuno un volto in legno scuro di pero, una maschera ricavata da un pezzo unico di legno, cupa, tragica."

Perda Pizzinna era un tempo una bellissima fanciulla, figlia di un ricco pastore. Un giorno mentre stava seduta su una roccia, la vide un dio che, dopo aver ammirato la sua straordinaria bellezza, le si accostò assumendo le spoglie di un giovane mortale. Tra i due nacque l'amore e cominciarono ad incontrarsi tutti i giorni all'ombra delle querce, presso le rive del Rio. Ma il dio aveva una moglie molto gelosa, quando questa scoprì la relazione con una creatura umana, pensò subito di vendicarsi. Scese sulla terra e trovò la fanciulla seduta su una roccia, in attesa del dio innamorato. La sua vendetta fu immediata: la pietrificò proprio sul luogo in cui stava seduta.3

Possiamo rintracciare un parallelo con il mito greco di Semele, madre di Dioniso. Semele era figlia di Cadmo, re di Tebe. Zeus si

dere il bambino divino e benché questo, per non farsi prendere si trasformasse di continuo, riuscirono a catturarlo sotto forma di toro, mentre si guardava in uno specchio che gli avevano posto dinnanzi. Si dice che Zeus punì i Titani che avevano ucciso il fanciullo fulminandoli e che dalle loro fuliggine sono nati gli uomini4.

Come il mito legato a Perda Pizzinna ha una forte analogia con la storia di Dioniso, così anche il carnevale della Barbagia ha moltissimi legami con i riti misterici in onore di Dioniso, in questi riti veniva celebrato il dio in numerosi suoi aspetti, ma soprattutto la sua passione e morte, come esperienza catartica e propiziatoria per la pioggia e la fertilità del terreno. Il carnevale di Mamoiada è un carnevale inusuale, cupo, tragico, ove la pas-

Anemos neuroscienze

sione e la morte del dio vengono rappresentate come in un teatro all'aperto, lungo le vie del paese dove sfilano le maschere dei "Mamuthones", le maschere dionisiache coperte di pelli che da millenni ripetono la stessa danza ritmata dal suono dei campanacci che si scrollano sulle spalle. Un suono cupo, lugubre, che vuole allontanare gli spiriti del male, ma vuole anche ricordare il sacrificio del dio che nasce e che muore con la vegetazione dei campi, per poi rinnovarsi e morire ancora, per la sopravvivenza degli uomini e degli animali. Culto necessario per ottenere pioggia e raccolti abbondanti. I mamuthones sono dodici, come i dodici mesi dell'anno e si avviano con il loro passo di danza zoppicante, verso la meta finale, il sacrificio ultimo cui sono destinati. Li accompagnano 8 Issoccadores, maschere col corpetto rosso, non appesantite dal grappolo dei campanacci, che si muovono con agilità, tenendo in mano il laccio mortale col quale catturare le vittime, se tentassero di sottrarsi alla loro sorte.5 Questo tipo di processione passionale e con-passionale (nel senso etimologico del termine, di soffrire insieme, soffrire con: dal greco Pathein, cunpathein), non è presente soltanto a Mamoiada. Per esempio, ad Orgosolo (altro paese barbaricino), la maschera protagonista del carnevale viene chiamata, "su maimone 'e fune" e veste allo stesso modo dei Mamuthones di Mamoiada.

I carnevali che si svolgono in diverse zone della Sardegna rappresentano tutti la stessa cerimonia di passione e morte del Dio. Un tempo sia l'una che l'altra erano rappresentate e subite dalla stessa persona, che originariamente doveva realmente essere sacrificata. Progressivamente abolito il sacrificio, è rimasta la rappresentazione della passione da parte di un uomo, che al momento della morte, veniva sostituito da un fantoccio, o da un animale. Questo appare evidente ancora oggi osservando i diversi momenti del carnevale, così come si svolge in alcuni paesi dell'interno. Fino al secolo scorso una persona, sul serio o per burla, ha continuato a subire la passione e, anche se il più delle volte le torture erano simulate, si manteneva il valore simbolico della fuoriuscita di sangue da un corpo, per la convinzione radicata in tutta l'antichità che il sangue fertilizzasse i terreni. Il sangue fuoriusciva da una vescica nascosta

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APPROFONDIMENTI ♦ antropologia ◄ che ogni tanto veniva punta col pungolo da buoi

o con spilloni, oppure la vescica veniva nascosta entro il ventre di un fantoccio.6

Ad Orgosolo, ancora negli anni '30, la tortura è simulata solo in parte, perché spesso si cercava di pungere veramente su "Maimone 'e fune". Non si trattava di sadismo, ma della concezione ancora radicata che la terra, per produrre, necessita di sangue... Quando ero giovane - racconta Pasquale Basso anni 72 pastore ad Oliena - ricordo un ragazzo di Orgosolo che pascolava le pecore quasi al confine col territorio di Oliena ogni anno, a carnevale, alcune persone venivano all'ovile a prelevarlo per fargli fare il "Maimone 'e fune". Riuscivano a convincerlo facilmente perché era un semplicione, una persona incapace di difendersi, quando tornava all'ovile era pieno di punture con le gambe e le spalle imbrattate di sangue. Negli anni successivi quando si approssimava il carnevale, si nascondeva in modo che nessuno riuscisse trovarlo.7

"Su maimone e' fune" a volte si metteva in testa delle corna di caprone, di bue o di cervo, si mascherava molto bene anche perché nessuno lo riconoscesse, sotto le pelli nere applicava larghi pezzi di sughero perché tutti lo pungevano, sia col pungolo da buoi, sia con spilloni. Avvolgeva anche le gambe con pezzi di pelle, come se avesse gli stivali, perché le punture date col pungolo non sempre erano leggere e date per finta. C'era chi cercava le parti meno protette per vedere uscire il sangue. Per il ruolo di vittima da pungere, si cercava il folle, "lo scemo del villaggio", che veniva rapito e costretto con la forza, anno dopo anno, carnevale dopo carnevale. In mancanza di questo, dato che era un ruolo rifiutato da tutti, si cercava uno molto povero che, dietro compenso, si prestava a subire le torture. In alcuni paesi, non trovando nessun altro, i giovani del luogo si appostavano di notte negli angoli delle strade catturando chiunque si azzardava ad uscire di casa, oppure un forestiero di passaggio, vestendolo da Mamuthone, e legandolo ad una scala a pioli che serviva come lettiga. In altri paesi la vittima veniva chiamata "su mortu 'e carresegare", il morto di carnevale, lasciando intendere quale fosse la sua fine. L'incedere a saltelli, scollando in modo ritmico i campanacci non lo fanno soltanto i Mamuthones di Mamoiada, il Maimone 'e fune di Orgosolo, la ma-

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schera di Urzulei chiamata "su urcu" e, più anticamente, tutti i paesi dell'entroterra sardo, ma, questa stessa danza si faceva nel mondo greco, in primavera, per risvegliare la vegetazione. A Creta era detta "danza della pernice", ma altri popoli la chiamavano danza della gru e la si credeva inventata da Teseo. Era conosciuta anche in Siria e in Palestina e veniva eseguita per la cerimonia del Pesah. Questa parola (Pesah) ha il significato di saltare oltre e gli ebrei celebrano questa festa ricordo del salto fatto per tornare dall'Egitto e Israele. Cominciavano a celebrarla la sera del 14 del mese di Nisan, durante il plenilunio. Era una danza sacra e consisteva in una serie di salti che volevano rappresentare ritmico saltare oltre.8 Il salto reiterato, la ripetizione stordente enfatizzata dai campanacci, è veicolo di trasmissione da uno stato naturale ad uno stato di esaltazione, di estasi, dallo stato umano allo stato divino, dallo stato normale allo stato di posseduto. Resta da chiedersi perché la vittima prescelta per il sacrificio rituale fosse il folle, lo scemo del villaggio. Si è portati a supporre che la comunità volesse liberarsi di tali esseri, ma in questo caso ci si sarebbe liberati nella stessa maniera anche di tutte le persone non esenti da difetti fisici. Invece non si sentirà mai dire mamuthone per designare un uomo deforme, così come non lo si sentirà mai dire con riferimento ad una donna. Le ragioni della scelta vanno ricercate in altre direzioni. Innanzitutto la vittima, nelle religioni misteriche, doveva essere sempre maschio. Doveva inoltre essere integra, senza difetti fisici. Questa era la regola di tutte le religioni medio asiatiche, anche della Bibbia. La pazzia non era difetto tra i popoli mediorientali, poiché significava che l'individuo con alterazioni mentali, poteva più facilmente essere posseduto dal dio. La follia era più vicina alla divinità di quanto non fosse la razionalità. Se si domanda cosa significa nel linguaggio comune la parola Mamuthone, la risposta è la stessa: un pazzo, uno buono a nulla, un sempliciotto, un povero scemo. Lo stesso vale per Maimone. In alcuni paesi vengono utilizzati entrambi indistintamente. Il termine Maimone deriva da mainoles, il pazzo, il furioso. Con questo nome veniva chiamato Dioniso, dio dell'ebbrezza, mentre le sue seguaci, erano

Apr-Giu 2014 | anno IV - numero 13 dette mainades. In lingua greca deriva da mainomai, sono posseduto. I maimones dovrebbero essere dunque coloro che seguivano il corteo dionisiaco smaniosi di essere posseduti dalla figura del dio che si incarna nella figura del Mamuthone. Tale corteo banalizzato in periodo cristiano è passato con il tempo a far parte del carnevale sardo. Maimatterione era il quinto mese dell'anno attico (tra novembre e dicembre) ed era dedicato a Zeus pluviale.9 I cretesi, durante le feste in onore di Dioniso, ne rappresentavano la passione in tutti i suoi particolari. Tutto quello che egli aveva fatto e sofferto nei suoi ultimi momenti veniva rappresentato davanti agli occhi dei suoi adoratori che facevano a brani con i loro denti un toro vivente e vagavano nei boschi con grida frenetiche. Avanti a loro veniva portato uno scrigno che si supponeva contenesse il sacro cuore di Dioniso e alla selvaggia musica dei flauti e dei cembali, imitavano quei sonagli con cui il divino fanciullo era stato attirato nell'insidia fatale.10

Da qui l'aspetto tragico della maschera del Mamuthone, maschera tipica del culto dionisiaco, che a Mamoiada ha mantenuto tutta la sua tragicità. In tempi lontani il carnevale in Sardegna veniva rappresentato come una tragedia, anzi era una tragedia, il canto del capro. Dioniso veniva raffigurato in diversi modi: come capro, come toro, come serpente. In forma umana lo si rappresentava spesso con una maschera barbuta. Le più antiche maschere che si sono conservate al museo etnografico di Nuoro sono provviste di barba o pizzo e di lunghi baffi rivolti all'insù. Alcune maschere sono fatte di sughero ma le più antiche sono tutte di legno di pero selvatico. Se si domanda il perché agli anziani, si sente rispondere che il pero selvatico fornisce un legno leggero che si presta facilmente alla lavorazione. Indubbiamente questa è una delle ragioni che hanno portato alla scelta di quel legno, ma la ragione più profonda e più lontana nel tempo è un'altra: il pero selvatico era l'albero sacro alla divinità lunare Persefone, cui le vittime erano consacrate.11 ♦


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Anemos neuroscienze

Il tema del numero

DAL MONDO

LA MORTE è BIANCA di Laura Andrao

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a bimba di oggi è un'ombra bianca, un'ombra come altre cento, una trasparenza che avverti solo per il forte contrasto con la “normalità”. La protagonista immaginaria della nostra storia è una bambina la cui unica colpa è stata quella di nascere albina in Africa. L’unica colpa è stata quella di addormentarsi, come ogni sera, quella notte che alcuni uomini entrarono nella sua povera casa e armati di sega cominciarono a tagliarle il braccio mentre la madre era costretta a guardare. Questa bambina non è diversa dal bimbo ombra che poco tempo fa venne attaccato davanti alla scuola da alcuni uomini che con inimmaginabile ferocia gli hanno amputato una mano per poterla poi vendere. E queste ombre sono solo una piccola parte di un esercito di senza voce che hanno avuto la sfortuna di nascere albini in un paese che li considera dei mostri, e che li vende interi o a pezzi al migliore offerente. Albinismo è una parola derivante dal latino e significa “bianco”; si tratta di un’anomalia genetica che consiste nella completa o parziale carenza di pigmentazione melaninica nella pelle,

nell’iride e nella coroide, nei peli e nei capelli. Generalmente ne sono portatori coloro che presentano per un dato gene, un allele sano e uno mutato, con la possibilità tra l’altro di trasmettere un allele difettoso ai propri figli. Il fenomeno più comunemente, può presentarsi sia sull’uomo che sugli animali. In genere chi viene colpito da questa malattia, presenta disturbi alla vista e ha una predisposizione per i tumori della pelle. L’albinismo è una mutazione genetica derivante dall’incrocio di due individui portatori di geni albini; è un carattere recessivo e pertanto si manifesta soltanto in soggetti omozigoti per albinismo. La forma “classica” colpisce maschi e femmine con la stessa frequenza. Due genitori portatori sani hanno in media il 25% di figli albini. In Tanzania e nel Burundi troviamo un’altissima concentrazione di malati. Secondo la Croce Rossa solo in Burundi vivrebbero circa 1.000 albini su 8.000.000 di abitanti, mentre in Tanzania i dati ufficiali rivelerebbero 8.000 albini su 35.000.000 di persone, ma il governo ne stima almeno 150.000. Le “motivazioni” di tali abomini fonda-

no le loro radici nella notte dei tempi. Anticamente gli albini venivano uccisi alla nascita e le madri venivano ripudiate dai mariti, poiché si pensava che la loro nascita non fosse altro che fonte di sventura e disgrazia oltre ad essere causa di vergogna. Ad oggi in Tanzania e Burundi nulla è cambiato. Tale tragedia nasce dalla credenza che gli albini siano la reincarnazione di spiriti di morti che devono essere tenuti lontani dalla comunità, sono considerati dotati di poteri magici, le parti del loro corpo possono essere usate come “porta-fortuna” o utilizzate in rituali ed in pozioni per svariati scopi, come portare in superficie l’oro, incrementare la pesca, aumentare la fertilità ed infine curare l’AIDS. Inutile negare che il commercio degli albini frutta tantissimo e che sono soprattutto le famiglie stesse ad effettuarlo per prime, raggiungendo il duplice scopo del lavaggio della colpa e del guadagno. Ad oggi sarebbero circa 10.000 gli albini che vivono nascosti nell’Africa occidentale in veri e propri lager. ♦ Laura Andrao. Avvocato, si interessa di problematiche sociali e si occupa in particolare dell'amministrazione di sostegno, di sessualità e handicap e di violenza alle donne.

Note e indicazioni bibliografiche NOTE 1 Dolores Turchi. Maschere, miti e feste della Sardegna, Newton Compton Editori, 1990 2 D. Turchi [1990] 3 Elio Aste. Sardegna nascosta, Genova, Sagep, Cagliari, Della Torre, 1984. 4 R. Graves, I miti greci, Milano, Longanesi, 1983. 5 Dolores Turchi [1990] 6 F. Alziator, Il folklore sardo, Sassari, Dessi', 1978. 7 D. Turchi [1990] 8 R. Graves [1983] 9 D. Turchi [1990] 10 J. Frazer, Il ramo d'oro, Torino Borighieri,

1973 R. Graves [1983]

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI A.A. V.V., Storia dei Sardi e della Sardegna (a cura di M. Guidetti), Milano Jaka Book, 1988-1990 F.Fresi - F. Enna - G.L. Medas - N. Piras, La Sardegna dei sortilegi, Newton Compton Editori 2004. Miranda Niedda Giagnoni, Majarzas e Sanadoras, EDES 2009. K. Kerenyi, Gli dei e gli eroi della Grecia, Milano, Il saggiatore, 1963.

Sara Pinelli. Dopo essersi laureata in architettura, consegue una laurea specialistica in teatro presso lo IUAV, Venezia. Nel 2009 inizia a lavorare nell'opera lirica come assistente alle scenografie e al light design. Dal 2011 lavora presso Max Mara Fashion Group dove si occupa, in qualità di progettista, dell'immagine dei punti vendita con particolare attenzione al dialogo con le neuroscienze per migliorare l'appetibilità e la fruibilità degli spazi e del prodotto, in supporto alle strategie di vendita. Come lavoro di tesi, ha scritto uno spettacolo teatrale che comprendeva drammaturgia e una proposta di messa in scena (pubblicazione prevista per maggio 2014).

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sul credere Un'incursione filosofica: credenza, tra linguaggio e conoscenza

Bonsenso pratico Quanno, de notte, sparsero la voce che un Fantasma girava sur castello, tutta la folla corse e, ner vedello, cascò in ginocchio co' le braccia in croce. Ma un vecchio restò in piedi, e francamente voleva dije che nun c'era gnente. Poi ripensò: "Sarebbe una pazzia. Io, senza dubbio, vede ch'è un lenzolo: ma, più che di' la verità da solo, preferisco sbajamme in compagnia. Dunque è un Fantasma, senza discussione". E pure lui se mise a pecorone. Trilussa

di Franco Insalaco In 2 parole chiave. Credenza, linguaggio, filosofia. Abstract. Dire "non credo" significa comunque credere. Perché "non credo a questo e quello" vuol dire esserne convinti, credere ad altro, come ad esempio al suo opposto. La negazione porta con sè un aspetto positivo in questo caso. L'articolo si propone dunque di indagare lo stretto legame esistente tra credenza, linguaggio e conoscenza.

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Anemos neuroscienze

Il tema del numero

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o non credo e l'affermo con certezza!" Dire non credo significa comunque credere. Perché non credo a questo e quello vuol dire esserne convinti, credere ad altro, magari l'opposto. La negazione porta con sé un aspetto positivo. L'affermazione che "non credo" trascina con sé prevale sulla negazione che l'anticipa. D'altra parte è proprio in quanto c'è la negazione, il nulla, che sento il bisogno di dire cosa credo e cosa non credo. Su uno sfondo vuoto che oscilla, il linguaggio afferma positivamente ciò in cui crediamo. Se tale oscillazione non fosse possibile non avremmo alcun bisogno di credere. Un cane, un gatto credono? Non ne hanno la possibilità. Anche se qualche volta mi pare che al contrario pure a loro appartiene in minima misura una oscillazione nel vuoto. Ma poi la genetica interviene a guidare i comportamenti adeguati alla condizione in cui si trovano. Per le donne e gli uomini la cosa è più complessa, grazie a quel nulla, o a quel tutto, in cui il gioco linguistico si sporge emergendo poi con tutta la sua positiva certezza. Credere è da abbinare così alla certezza. Crediamo poiché necessariamente abbiamo bisogno di certezze. Altrimenti muti non parleremmo neanche. Se non dessimo credito a ciò che diciamo, il vuoto farebbe scivolare qualsiasi discorso o pensiero verso il nulla. Pensare richiede di credere che ciò che diciamo sia vero seppure lo mettiamo in dubbio? No, se lo metto in dubbio vuol dire che mi ancoro ad altro. Sempre siamo ancorati a qualcosa. La verità è, forse, l'àncora per non cadere in quel nulla. A volte disperatamente difendiamo la certezza del credere fino ad agire in modo violento. ◄

Figura 7.1 - Qui a fianco immagine del filosofo austriaco Ludwig Wittgenstein. Nella seconda fase del suo pensiero, Wittgenstein indicava con la formula di "gioco linguistico" la capacità del linguaggio di riferirsi a molteplici e mutevoli pratiche linguistiche, che sono tra loro correlate attraverso una rete aperta di analogie.

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Letteratura

Filosofia

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◄ René Girard. René Girard

mostra magistralmente cosa accade quando quel che si crede si sfalda. Per l'antropologo francese la violenza è l'esito conseguente alle certezze che stanno tramontando, cioè quando l'indifferenziato, il vuoto, il nulla si presentano. Se accade, allora per evitare la distruzione della comunità, tutti contro tutti, la violenza si incanala. Dato che senza più certezze l'essere che sono, il mondo in cui esisto, il soggetto che costituisce la mia identità, sono distrutti, la reazione è altrettanto violenta. La crisi è esterna o interna: guerra, carestia o cultura, e mette in pericolo la vita. Il modo che la religione arcaica ha inventato per evitare questa evenienza di tutti contro tutti è mettere tutti contro uno, il più debole, incanalando la violenza verso un capro espiatorio. Il sacrificio per Girard, a differenza di quel che credono i suoi colleghi più importanti, Mauss, Lèvi-Strauss, ecc. per i quali è concepito come passaggio per avvicinare la condizione umana a quella divina, è invece il rito, l'atto, con cui la violenza è incanalata. Attraverso questo gioco l'identità in crisi di fronte all'indifferenziato, al vuoto, al nulla, si ricompatta. Ritrova le sue convinzioni. Tutti in cerchio intorno alla vittima ci sentiamo diversi da lei e uguali tra di noi. Questa identità riconquistata è donata dalla differenza della vittima che si riflette nella nostra uguaglianza di carnefici. Perciò, secondo Girard, il capro espiatorio nella narrazione mitologica diventa infine il dio o l'eroe. In effetti la comunità è stata salvata proprio dal suo sacrificio. Perciò accade l'inversione, il capro diventa il salvatore. Le narrazioni coprono ciò che è veramente accaduto, almeno finché sono narrate dai carnefici. La comunità sopravvive alla catastrofe grazie al sacrificio del più debole, perciò i carnefici lo innalzano come un salvatore. Tale mistificazione avverrà finché non prenderà la parola una vittima a mostrare il vero meccanismo sacrificale. Gesù è il capro espiatorio che per la prima volta racconta quello che avviene non dal punto di vista del carnefice ma da quello della vittima. Ciò significa che Gesù mette in evidenza la

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sua assoluta innocenza riguardo le accuse che gli sono mosse. La verità in cui i carnefici credono è da Gesù ricusata. Noi sappiamo oggi che ciò che credevano vero un tempo è pura fantasia. Ad esempio, le streghe venivano dalla Santa Inquisizione, pensate un po', messe al rogo. Oggi neanche il più ignorante crederebbe alla sentenza emessa dalla Santa Romana Chiesa. La cambierebbe semplicemente condan-

Figura 7.2 e 7.3 - In alto l'antropologo francese René Girard. In basso a destra il filosofo Theodor Adorno. giola. Il linguaggio è usato come un arto del corpo. Un gatto reagisce graffiando, noi parlando. Poi se il piano della parola

«La verità spesso è inventata di sana pianta, soprattutto sul piano sociale e ai fini del dominio. L'arte ha un rapporto più integro in questo senso con la verità, industria culturale permettendo» nando alla galera gli inquisitori colpevoli di femminicidio. La percezione delle certezze si è da allora trasformata in modo radicale. Come avviene che la certezza sia così differente, in fondo sono passati pochi secoli, le ultime streghe sono andate al rogo nel '700 direi, solo tre secoli fa. Eppure, noi oggi pensiamo che erano ridicoli coloro che credevano alle streghe. Wittgenstein. Wittgenstein mostra come possano accadere simili cantonate. Il linguaggio è per Wittgenstein un gioco. Non inizia come un sapere, ma come un agire. Non lo parliamo a partire dal sapere, lo impariamo agendo, lo usiamo per dei fini. Un bambino non impara che c'è una seggiola, impara a sedersi su una seg-

non è sufficiente, la reazione può diventare via via più violenta. Scrive Wittgenstein in "Della certezza": "Qui voglio considerare l'uomo come un animale; come essere primitivo a cui si fa credito bensì dell'istinto ma non della facoltà di ragionamento. Come un essere in uno stato primitivo. Di una logica che sia sufficiente per un mezzo di comunicazione primitivo non dobbiamo vergognarci. Il linguaggio non è venuto fuori da un ragionamento... La forma primitiva del gioco linguistico è la certezza, non l'incertezza. Per il fatto che l'incertezza non condurrebbe mai all'azione. La forma di base del gioco deve essere una forma nella quale agiamo". Ecco cosa capita, mentre noi crediamo di seguire


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la ragione questa è trascinata dall'azione. Viene prima l'azione poi la sua gustificazione, cioè il sapere. Non da un ragionamento viene il gioco linguistico ma dall'agire. Non sappiamo perchè agiamo, tuttavia pensiamo di saperlo. Questo il problema, la questione. La certezza riposa su questo genere di sapere che punta alla verità. Si sa una cosa poiché è vera, almeno apparentemente, non perché crediamo sia vera. La scienza dimostra ciò che sa. Nella dimostrazione riposa la sua certezza. Mette in gioco la scienza una probabilità che tale certezza possa essere falsa, ma calcolata questa misura, questa alea, questo rischio, amen.

Poi si trova a dover ritrattare verità che con il tempo si sono rivelate patacche. Il pensiero secondo Hannah Arendt è altro dalla conoscenza. Giacché il suo riferimento non è la verità, ma il senso. Il pensiero elabora ciò che è sensato. Purtroppo questa forma di attività cerebrale è marcatamente oscurata dalla conoscenza della verità. Nonostante la conoscenza vincola alla verità e il pensiero libera, si preferisce la prima forma. Cosa è in gioco tra conoscenza e pensiero? Entrambi sono necessari, tuttavia il pensiero è trascurato. Per la ragione che pensare è pericoloso, oltre che difficile e ineconomico. I *

Il tema del numero

neoliberali valutano il capitale umano dall'aspetto cognitivo, cioè dalle competenze o conoscenze aquisite. Eppure, al contrario è il pensiero che dona senso, cioè il modo in cui la vita diviene creativa. Crea l'attimo che batte su di sé e pieno lascia alla memoria la pena di ricordarlo. Non è un attimo preoccupato, fuori di sé, proiettato al futuro, delocato, straniato, esterno, ma è in sé, saturo di senso. Ad esempio, se una poesia ha riempito il tempo in cui è stata scritta dell'autore e ha senso pure per chi l'ascolta, è un tempo eterno, non scivolato invano. Quel tempo non è gettato perché ha ricevuto un dono per ciò che ha dato. Ha dato la vita e ricevuto una poesia, una musica, un quadro, una scultura, un racconto, una creazione. È tempo graziato. La creazione è allora la grazia di un tempo del dono e della vita. Mi pare in ciò consista il senso del pensare. Adorno. La creatività di un opera si esprime senza che la verità sia il suo orizzonte, eppure Adorno pensa che solo l'arte dice la verità, "Teoria Estetica". Come mai? Se la psicoanalisi pensa che l'arte sia una forma di fuga dalla realtà certo è che negli artisti migliori la consapevolezza di come sia la realtà è al contrario massima. In un mondo in cui impera la divisione del lavoro non è che ad essere realisti, pragmatici, ci allontaniamo dal falso. Il fatto è che la scienza, il cognitivismo, la conoscenza pensano alla verità, secondo Adorno, immersi in questa falsificazione. Falsificazione della realtà perché è sottoposta alla divisione del lavoro e della proprietà, inoltre, direttamente derivabile da questi due punti, viene espressa da un linguaggio creato dal solo soggetto maschile. Dunque parlare di verità è un bel problema. La scienza di queste questioni non si preoccupa. Con ciò non voglio dire che non esistono verità inemendabili. Ma, insomma, si pongono diversi problemi se il modo in cui conosciamo il mondo è falso e se, come aggravante, è falso il mondo stesso. La verità spesso è inventata di sana pianta, soprattutto sul piano sociale e ai fini del dominio. L'arte ha un rapporto più integro in

Seminari tenutesi presso la Libera Università di Neuroscienze Anemos di Reggio Emilia a inizio 2014

Anemos neuroscienze

questo senso con la verità, industria culturale permettendo. Giacché non cercandola finisce che senza esserne interessata la trova. Ad esempio, negli incontri su Warburg* si è visto come certe forme nelle opere d'arte si ripresentano a distanza di tempo dietro alla bellezza. Rivendicano ciò che questa nasconde, cioè che Apollo prevale su Dioniso. Non percepiamo più spiegando il mondo che prima viene la vita e non la sua spiegazione. L'inversione mette la vita sotto il dettato della ragione, cioè sempre più del calcolo e dell'interesse economico. Non si lavora per vivere, si vive per lavorare, e se non si lavora lo si cerca, cioè si lavora lo stesso. Per questo, secondo Adorno, l'arte non può essere astratta dal reale, ma va riferita al mondo che è il suo correlativo oggettivo. Così ne può testimoniare. Pensa inoltre Adorno che la vita non può diventare arte, sarebbe operazione da esteti. D'Annunzio aveva capito benissimo come volgeva il secolo. La vita come opera d'arte industrialmente costruita con immagini di sé rilanciate da tutti i media allora disponibili, radio, foto, film, giornali, romanzi, ne fecero l'eroe del suo tempo, l'esempio per tutti. Un modello, insomma, rovinoso. Fatto è che nell'arte forma e contenuto sono la stessa cosa, perciò l'arte rappresenta se stessa, non la vita dell'autore, inoltre il contenuto è stratigrafico, in divenire, cioè mai concluso in modo irrevocabile. In questo senso appartiene a tutti, l'ultima parola sull'opera non è mai dell'autore. Allora come mai domina la concezione opposta? In sintonia con i neuroni specchio che si attivano nel soggetto quando guarda agire un altro, catalizzati allo stesso modo che se l'azione fosse compiuta da lui, mostrando con ciò che il nostro spirito imitativo è prescritto fin dentro le cellule più prossime al pensiero, anche secondo Girard non si desidera in proprio ma imitando l'altro. Si desidera una donna poiché la desidera il nostro modello. Se il modello è Berlusconi si desidera ciò che ha lui. Insomma, è in atto una triangolazione. Questo modo di copiare l'altro è ► il motore attraverso cui l'uomo, che

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Letteratura

Filosofia

è l'animale più imitativo, ha lasciato al palo gli altri animali. Ne segue il problema che se desidero ciò che ha l'altro, più il modello è vicino più la competizione diventa violenta. Finché, come dice Dante, "Galeotto fu il libro e chi lo scrisse", il "Don Chisciotte" ne è l'esempio più meraviglioso, il modello è trascendente, lontano, ma quando il modello non è più un libro ma il nostro vicino, diventa imma-

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to desideri comportarti nel modo in cui accusi l'altro. Beato colui che non si scandalizza di me dice Gesù. "Chi invece scandalizza anche uno solo di questi piccoli che credono in me, sarebbe meglio per lui che gli fosse appesa al collo una macina girata da asino, e fosse gettato negli abissi del mare. Guai al mondo per gli scandali! È inevitabile che avvengano scandali, ma guai all'uomo per colpa del quale

Figura 7.4 - A fianco

xilografia di un'edizione del "Don Chisciotte". L'opera di Cervantes è una rappresentazione letteraria del rapporto tra vero e immaginario, tra credenza e realtà.

nente alla nostra vita, allora le cose si fanno più pericolose. Se voglio ciò che ha lui significa che il mio desiderio si attiva inciampando sul suo ostacolo, per Girard si desidera solo ciò che non abbiamo soprattutto se ce l'ha il nostro mediatore. Allora abbiamo bisogno di inciampare in ciò che impedisce di avere ciò che si desidera, perché così si tiene vivo questo sentimento, catalizzandolo continuamente come avviene di fronte alla pietra dello scandalo. Se sei così scandalizzato è forse in quan-

avviene lo scandalo!" cioè, chi accusa l'altro di essere scandaloso. Non chi fa scandalo, ma chi lo accusa di farlo per Gesù deve essere gettato con la macina al collo. Scandalo è ciò che ci fa inciampare, perchè vorremmo e non possiamo. La pietra dello scandalo indica l'ostacolo che attira per respingere e respinge per attirare. Scrive Girard nel "Capro espiatorio": "Io vedo nello scandalo una definizione rigorosa del processo mimetico. Il senso moderno ricupera soltanto in minima parte il senso evangelico. Il desiderio vede perfettamente che, desiderando quello che l'altro desidera, fa di questo modello un rivale e un ostacolo. Se fosse saggio abbandonerebbe la partita, ma se il desiderio fosse saggio non sarebbe desiderio. Non trovando altro che ostacoli sulla propria strada, li incorpora nella sua visione del desiderabile, li trasporta in

primo piano; non può più desiderare senza di loro; li coltiva con avidità. È così che il desiderio diventa passione carica di odio verso l'ostacolo e si lascia scandalizzare". Conclusioni. L'ostacolo è colui che vogliamo imitare ma non possiamo. Siamo scandalizzati dal suo comportamento che conosciamo bene, vorremmo fosse il nostro. Se imitiamo per imparare il credere diventa invalicabile. In quel modello cui mi ispiro è la verità che desidero per me. Voglio essere come lui, anzi voglio essere lui. L'identità, insomma, in questo caso ci frega. Beato chi non ha modelli dice Gesù. Questo è un lato del problema. Ma, d'altra parte, c'è anche ciò che mette in gioco Magritte con i suoi quadri dal titolo provocatorio: "Questa non è una pipa". Con ciò mostra Magritte che il rinvio tra immagine e parola non è la cosa. Bisognerebbe allora esprimersi così: "per prima cosa l'occhio scivolerebbe sulla moquette grigia di un lungo corridoio, alto e stretto. Le pareti sarebbero armadi a muro di legno chiaro, dalle luccicanti guarnizioni di ottone. Tre stampe raffiguranti, l'una Thunderbird vincitore a Epsom, l'altra un battello a pale, il Ville-de-Montereau, la terza una locomotiva di Stephenson, guiderebbero verso un tendaggio di cuoio, sorretto da grossi anelli di legno nero venato, che un semplice gesto basterebbe a far scorrere. Alla moquette, allora, si sostituirebbe un pavimento di legno quasi giallo, ricoperto in parte da tre tappeti dai colori smorzati": George Perec, "La cosa". Ma, bisogna ammetterlo, non è facile. La certezza è meno complicata, attenti però ai fantasmi. ♦

Indicazioni bibliografiche

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Ludwig Wittgenstein, Della certezza, Luigi Einaudi Editore, 1999 René Girard, Il capro espiatorio, Adelphi Edizioni, 1999

René Girard, La pietra dello scandalo, Adelphi Edizioni, 2004 René Girard, La violenza e il sacro, Adelphi Edizioni Adorno, Teoria Estetica, Einaudi, 1992

Franco Insalaco. Autore di saggi filosofici e testi poetici. Organizza reading letterari e incontri culturali. Nel 2005 con il filosofo Pietro M. Toesca ha realizzato la “Festa Cantiere della Poesia” promossa dal Comune di San Gimignano e dalla Provincia di Siena. È stato direttore del bimestrale filosofico «Éupolis. Rivista critica di ecologia territoriale». Indirizzo web del Giardino Filosofico: http://giardinofilosofico.blogspot.it.


A Aprrofondimenti

Altri approfondimenti

â–ş ANCORA SULLE CREDENZE Slow neurosurgery. Quando intervenire in presenza di tumori cerebrali â–ş MEDICINA Neurochirurgia funzionale e stereotassica: lo stato dell'arte

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Neurochirurgia

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neurosurgery

Non sempre l'intervento chirurgico tempestivo è la cosa migliore nel caso di tumori cerebrali

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Anemos neuroscienze

Il tema del numero

Bruno Zanotti, Angela Verlicchi App 3

parole chiave. Neurochirurgia, interventi chirurgici, tumori cerebrali Abstract. Anche nell'ambito della medicina, esistono alcune credenze che persistono nel pensiero comune: una di queste è che in presenza di un tumore cerebrale la cosa migliore sia interveniere, clinicamente o chirurgicamente, il prima possibile. Nella stragrande maggioranza dei casi ciò e vero, ma non sempre.

Credenze, miti e luoghi comuni

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umori cerebrali. Si è abituati a pensare che la medicina abbia sempre meno limiti e sia spesso onnipotente. Inoltre, nel sentire comune, si ritiene che in presenza di un tumore prima si interviene, clinicamente o chirurgicamente, meglio è. Nella stragrande maggioranza dei casi ciò e vero, ma non sempre. E non sempre in neurochirurgia. Nel 1993 il Radiation Therapy Oncology Group (RTOG) ha cercato di identificare delle categorie prognostiche in Pazienti affetti da neoplasie cerebrali di alto grado di malignità. Ha evidenziato che in Pazienti con età pari o superiore ai 50 anni affetti da glioblastoma, dopo asportazione chirurgica (senza residui deficit neurologici), la sopravvivenza è di poco più di 11 mesi, ma scende a circa 9 mesi in presenza di deficit neurologici post-chirurgici. Sopravvivenza sostanzialmente paragonabile a quella di Pazienti non trattati chirurgicamente privi di deficit. Nel 2005 uno studio clinico condotto dall’European Organisation for Research and Treatment of Cancer (EORTC) e dal National Cancer Institute of Canada (NCIC) ha

riportato che, associando al trattamento chirurgico anche la radio- e la chemio-terapia vi può essere un innalzamento della sopravvivenza (per la stessa classe di Pazienti) da 11 a 13 mesi. Vi è grande dibattito fra i neurochirurghi su quanto sia importante la radicalità chirurgica per garantire la migliore sopravvivenza, ma non ci sono, tuttora, indicazioni univoche.1 Anche perché una reale radicalità microscopica non è affatto ottenibile. Le cellule gliomatose sono estremamente infiltrative e si rilevano anche a distanza di vari centimetri oltre il confine macroscopico del cratere chirurgico. La recidiva post-chirurgica è sostanzialmente la regola, anche se le indagini neuroradiologiche immediatamente dopo l’asportazione chirurgica sono negative per residuo tumorale. Nell’80% dei casi la recidiva, infatti, avviene in prossimità del vallo chirurgico. Alla luce del fatto che, anche di fronte ad una “radicalità” chirurgica, ove vi sia il rischio di produrre danni neurologici, con il possibile scadimento della qualità della vita, il guadagno di sopravvivenza è al massimo di ulteriori 2 mesi, si giustifica l’aggressività chirurgica? E questo, ancor più nella recidiva? E l’ulteriore guadagno in termini di sopravvivenza di circa 2 mesi se

associamo radio- e chemio-terapia trova sempre giustificazione? Inoltre, sebbene si tratti di tumori cerebrali maligni, l’aggredirli terapeuticamente il più presto possibile ha sempre dei risvolti positivi? Dalle “Linee guida neoplasie cerebrali” stilate nel 2013 dall’Associazione Italiana di Oncologia Medica apprendiamo che “non esistono prove significative che una diagnosi precoce condizioni favorevolmente la sopravvivenza in tutti i tumori cerebrali [...]”. Uno dei presidi contro il rigonfiamento cerebrale peritumorale da edema è l’uso di cortisonici. Il loro effettivo ruolo è molto dibattuto da decenni e alcune evidenze farebbero ritenere che il loro utilizzo ad alte dosi potrebbe avere addirittura un effetto dannoso.2 Da un’analisi del 2007, eseguita su 333 Pazienti affetti da recidiva di glioblastoma, emergerebbe una conferma sul dato sfavorevole, dal punto di vista prognostico, sull’uso dei cortisonici (Tabella 1).3 È ben comprensibile che chi deve usare steroidi è già potenzialmente più grave di chi non ne ha bisogno, e la classe medica, pur nel dubbio di portare a morte precoce il Paziente, ne fa uso perché in questo caso prevale la scelta che è meglio limitare o eliminare, alme- ►

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Neurochirurgia ◄ no per un periodo, i

disturbi del Paziente, piuttosto che prolungarne la sopravvivenza a fronte di gravi deficit neurologici o alterazioni della coscienza. In un Paziente sonnolento o soporoso a causa dell’ipertensione endocranica, l’uso terapeutico di cortisonici può portarlo a repentino risveglio e ad una nuova valida interazione con l’ambiente. Quindi, in questo caso si privilegia la qualità della vita piuttosto che una sopravvivenza puramente vegetativa.

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Traumi cranici. In presenza di gravi traumi cranici il chirurgo, giustamente, agisce in stato d’urgenza ed il suo atto chirurgico può essere veramente salvavita. Sia che si appresti a rimuovere un ematoma, a realizzare una toilette dello sfondamento cranico o sia costretto a realizzare una decompressione osteo-durale. Nei casi ad evoluzione favorevole, a distanza variabile di tempo, il chirurgo poi dovrà ricostruire l’integrità della calotta cranica tramite l’apposizione di una cranioplastica. Può succedere che questo trattamento incontri delle difficoltà in quanto la craniolacunia ha conformazione o margini non consoni ad un ottimale risultato funzionale ed estetico. È vero che si hanno a disposizione modalità di intervento che possono rimediare a questi inconvenienti (tecnica di demolizione-ricostruzione), ma tutto questo sarebbe facilmente evitabile pensando, durante l’atto chirurgico urgente, anche al dopo, cioè alla fase ricostruttiva. Il chirurgo solitamente si giustifica dicendo che ha dovuto

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agire in urgenza. Questo è vero: il chirurgo agisce in urgenza durante la primissima fase dell’intervento chirurgico salvavita, ma non nella fase di chiusura, a fine intervento. Il Paziente, solitamente, finirà in terapia intensiva, comunque intubato ed assistito nelle funzioni vitali né più né meno di come è in sala operatoria. Quindi, non trova giustificazione il ribadire che non si è avuto il tempo necessario per preparare un buon alloggiamento per la futura cranioplastica. Una volta evacuato l’ematoma o decompressa la scatola cranica si ha tutto il tempo per condurre una “slow neurosurgery”, nell’interesse futuro del Paziente. Ma questo cozza con il mito che un chirurgo veloce è anche un buon chirurgo. Chiosa. Se è difficile comprendere per il chirurgo la necessità di non agire, sempre e comunque, in fretta, ancor più lo è per la gente comune o per il Paziente. Il tumore e l’urgenza neurochirurgica hanno un connotato reale di indifferibilità, ma sempre con una ponderazione sull’atteggiamento più utile da tenere. Nel glioblastoma, sia di prima diagnosi sia nelle recidive, non è detto che l’essere precipitosi sia funzionale alla sopravvivenza ed alla qualità della vita. Inoltre, l’asportazione chirurgica radicale, specie in aree cerebrali eloquenti con alto rischio di realizzare deficit permanenti, non è detto che sia la migliore qualità da ricercare in un chirurgo. Può essere difficile saper ponderare fra l’utile e la presunzione salvifica, che nei glioblastomi è inganne-

Glossario minimo Glioblastomi: fra i tumori cerebrali, i glioblastomi rappresentano la forma più maligna. Costituiscono circa il 30% di tutti i tumori intracranici e circa il 50% di tutti gli astrocitomi, il più comune gruppo di tumori cerebrali, benigni e maligni. Il glioblastoma multiforme non ha sedi tipiche: può occupare più o meno estesamente un intero lobo (spesso frontale o temporale) o estendersi a più lobi, raggiungere le strutture profonde ed invadere anche l’emisfero opposto coinvolgendo il corpo calloso (glioblastomi a farfalla). Colpisce di solito i soggetti sopra i 50 anni ed è prevalente nel sesso maschile. Anche se operati o radio- e chemio-trattati, questi tumori recidivano, inesorabilmente. La sopravvivenza media non supera l’anno e mezzo. Decompressione cranica: qualsiasi sia l’insulto cerebrale (traumatico, infettivo, ischemico, neoplastico, ecc.) l’encefalo ha sostanzialmente un’unica modalità di reagire: si “gonfia” (è il cosiddetto edema cerebrale). L’edema, quando severo, comporta gravi danni permanenti del parenchima cerebrale (e quindi esiti estremamente invalidanti) o addirittura la morte. I neurointensivisti hanno sicuramente molti presidi per cercare di contrastare questo edema, ma, essendo la scatola cranica rigida ed inestensibile, può succedere che questo rigonfiamento sia di tale portata da essere controllato solo da una decompressione cranica. La decompressione in sostanza consiste nel realizzare una ampia lacuna cranica, da un solo lato o da ambo i lati, seguita da una incisione della membrana durale al fine di permettere al cervello di estroflettersi oltre la breccia e fornire così più spazio all’encefalo. Cranioplastica: in presenza di una craniolacunia l’atto della riparazione si chiama cranioplastica. Quest’ultima si realizza chiudendo la breccia o con l’osso del soggetto opportunamente conservato o inserendo una protesi su misura realizzata precedentemente in laboratorio. La cranioplastica è sempre un atto terapeutico, in quanto restituendo integrità alla scatola cranica fa regredire o previene l’instaurasi delle cosiddette “sindromi del trapanato cranico e del lembo infossato” (che compare in presenza di un’ampia craniolacunia ed è caratterizzata da cefalee, attacchi epilettici, vertigini, alterazioni del tono dell’umore, deficit motori, ecc.). Emergenza - urgenza: si sente spesso parlare di emergenza-urgenza in medicina. La distinzione risiede sostanzialmente nei tempi di intervento (ore, per quanto riguarda l’urgenza, minuti, per quanto riguarda l’emergenza).


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Il tema del numero

Figura 8.1 - Risultati della Recursive

Partitioning Analysis (RPA), che è un metodo statistico che consente di valutare i fattori prognostici, su 333 adulti con glioma recidivante. Le 7 classi RPA sono rappresentate da quadrati, in cui sono indicati il numero dei decessi all’epoca dell’analisi/il numero dei pazienti in quella classe e la mediana di sopravvivenza in mesi. Legenda: GBM: Glioblastoma, KPS: Karnofsky Performance Score, punteggio della relativa scala di valutazione dei Pazienti con tumori maligni che tiene conto della qualità di vita. Fra l’altro, dal grafico si evince che l’uso dei cortisonici potrebbe portare ad un accorciamento della sopravvivenza (modificato da Carson KA, Grossman SA, Fisher JD, Shaw EG, 2007).

vole ed illusoria. Anche in neurotraumatologia l’urgenza decade una volta effettuata la detensione encefalica e non trova valida giustificazione il rimandare la preparazione cranica per il successivo alloggio della cranioplastica, con piccoli ma essenziali accorgimenti sul bordo craniectomico ed inserimento di un foglietto sintetico per impedire l’adesione della membrana durale alla cute sovrastante. Non comporta rischi per il paziente, non allunga eccessivamente il tempo opera-

Note e indicazioni bibliografiche Chaichana KL, Cabrera-Aldana EE, JusueTorres I, Wijesekera O, Olivi A, Rahman M, Quinones-Hinojosa A: When gross total resection of a glioblastoma is possible, how much resection should be achieved? World Neurosurg. 2014 Feb 6. [Epub ahead of print]. Solheim O, Gulati S, Jakola AS: Glioblastoma resection: in search of a threshold between worthwhile and futile. Neuro Oncol. 2014; 16 (4): 610-611. 2 Hohwieler Schloss M, Freidberg SR, Heatley GJ, Lo TC: Glucocorticoid dependency as a progno1

stic factor in radiotherapy for cerebral gliomas. Acta Oncol. 1989; 28 (1): 51-55. 3 Carson KA, Grossman SA, Fisher JD, Shaw EG: Prognostic factors for survival in adult patients with recurrent glioma enrolled onto the new approaches to brain tumor therapy CNS consortium phase I and II clinical trials. J Clin Oncol. 2007 Jun 20; 25 (18): 2601-2606.

Anemos neuroscienze

torio, ma consente una più agevole e veloce ricostruzione della calotta cranica nel successivo intervento. In definitiva, anche la neurochirurgia vive di “credenze” e per questo bisogna avere una realistica visione su quanto è da ascrivere alla “fast neurosurgery” e quanto alla “slow neurosurgery”. Per il bene del Paziente.♦

Bruno Zanotti. Neurologo e Neurochirurgo, attualmente dottorando di ricerca presso l'Università degli Studi di Udine. Segretario nazionale della SNO (Scienze Neurologiche Ospedaliere). Direttore scientifico della rivista "Topics in Medicine". Angela Verlicchi. Neurologa, collabora con la Libera Università di Neuroscienze Anemos di Reggio Emilia. Con Bruno Zanotti ha pubblicato la monografia Il Coma & Co. (400 pagg.).

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Neurochirurgia

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Neurochirurgia Funzionale e Stereotassica Lo stato dell'arte di questa importante branca della neurochirurgia

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Anemos neuroscienze

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di Flavio Giordano, Barbara Spacca, Lorenzo Genitori App 3 parole chiave. Neurochirurgia funzionale e stereotassica, patologie, cervello. Abstract. Neurochirurgia stereotassica: tramite l'utilizzo di un casco stereotassico e di un neuronavigatore è possibile raggiungere e operare aree profonde del cervello. Attraverso un piccolo foro nel cranio si inseriscono strumenti mini invasivi della dimensione di un grosso ago controllati virtualmente e tridimensionalmente al monitor. Neurochirurgia funzionale: permette di migliorare e correggere il funzionamento del sistema nervoso centrale e periferico tramite l'impianto di stimolatori, la microlesione, la resezione o la modulazione di circuiti cranici, midollari o di nervi periferici.

S

i tratta di una branca della neurochirurgia che comprende gli interventi atti a migliorare e correggere il funzionamento del sistema nervoso centrale e periferico perturbato da patologie acquisite o congenite insorte in diverse età della vita. A differenza quindi di altre procedure chirurgiche che mirano a rimuovere la patologia (per esempio tumori, emorragie) o a correggere le malformazioni (disrafismi spinali, malformazioni cranio-facciali, idrocefalo), la neurochirurgia funzionale ha come scopo la rimozione, la modulazione e la ricreazione di funzioni e circuiti neuronali attraverso interventi di resezione, stimolazione, ricostruzione e trapianto. La possibilità di raggiungere aree profonde ed eloquenti del cervello per eseguire registrazioni, ablazioni, modulazioni e stimolazioni di nuclei e parti di tessuto attraverso piccoli fori nel cranio secondo precise coordinate spaziali costituisce la cosiddetta Neurochirurgia Stereotassica, elemento chiave nella Neurochirurgia Funzionale. Strumento fondamentale per queste procedure è il casco stereotassico sincronizzato con diverse tecniche di neuronavigazione, che consentono al Neurochirurgo di raggiungere queste aree senza diretta visualizzazione. Si possono distinguere diversi gruppi fondamentali di patologie che si possono beneficiare di questa disciplina: Paralisi cerebrale infantile (PCI). Varie sono le opzioni chirurgiche per il trattamento spasticità (Figura 1). Nelle forme caratterizzate da ipertono spastico resistente al trattamento farmacologico e riabilitativo, è possibile attuare interventi di sezione delle radici posteriori del midollo spinale (rizotomia dorsale selettiva) per

il controllo della paralisi spastica agli arti inferiori (diparesi o diplegia spastica) o di neurotomia periferica (forme segmentali). Nel caso di forme gravi di tetraparesi spastica, è più frequente l’utilizzo di pompe per infusione intratecale di farmaci miorilassanti come il Baclofen, agonista dei recettori GABAb, a cui può essere eventualmente associata la morfina o altri oppiodi (Ziconotide) per il controllo del dolore associato (Figura 2). A differenza degli interventi di rizotomia e neurotomia, l’infusione di Baclofen è reversibile e costituisce un intervento di neuromodulazione. Epilessia farmaco-resistente. Il trattamento chirurgico dell’epilessia farmaco-resistente non può prescindere da un adeguato percorso di valutazione diagnostico-terapeutico (Figura 3) che può includere esplorazioni invasive con elettrodi subdurali (Figura 4) e/o elettrodi di profondità (Figura 5). Gli interventi curativi, che consistono nella resezione diretta delle aree epilettogene responsabili. A questa categoria appartengono: lesionectomie di tumori e displasie corticali focali; lobectomia temporale (Figura 6) per displasie corticali temporali spesso associate a sclerosi temporale mesiale; lobectomia frontale; lobectomia multilobare. Maggiore e più completa è infatti la ablazione del tessuto epilettogeno, migliore sarà l’outcome nel controllo delle crisi. Nei casi di patologia estesa a tutto un emisfero (angioma di Sturge-Weber, emimegalencefalia, esiti di ischemia perinatale o lesioni traumatiche -) altrettanto efficace risulta la emisferectomia o meglio la emisferotomia, cioè la deconnessione delle vie commisurali dell’emisfero malato che viene tuttavia lasciato in situ (Figura 7). Sullo stesso principio si basa la chirurgia

di deconnessione endoscopica degli amartomi ipotalamici per il trattamento dell’epilessia gelastica (Figura 8). Nei casi in cui non sia possibile realizzare alcuna resezione parcellare di tessuto, esistono interventi palliativi come la callosotomia e le transezioni subpiali multiple, o come varie metodiche di neuromodulazione: impianto di elettrodi di profondità o Deep Brain Stimulation (DBS), stimolazione del nervo vago (VNS) (Figura 9). Disturbi del movimento. In passato molti sono stati gli interventi ablativi eseguiti a carico dei nuclei profondi del sistema extrapiramidale per il trattamento del tremore essenziale, del morbo di Parkinson e della distonia. Dalla fine degli anni ’80 la stimolazione cerebrale profonda (Deep Brain Stimulation – DBS), che permette di modulare in maniera reversibile i circuiti alterati mediante l’erogazione di una corrente ciclica su target differenti, è diventata prepontemente la principale opzione terapeutica chirurgica. Differenti sono i target proposti a seconda della patologia: nucleo subtalamico (STN), globo pallido interno (Gpi), talamo ventrale laterale (VL) e ventrale mediale (VM) per il morbo di Parkinson; Gpi per la distonia primitivia idiopatica diffusa o multifocale, o focale (crampo dello scrivano, torcicollus musculorum deformans) (Figura 10) con risultati migliori in caso di mutazioni dei geni DYT-1, DYT6, e DYT-11; nucleo talamico ventrale intramidollare (Vim) per il tremore essenziale. Malattie psichiatriche. Dopo un periodo di oscurantismo causato dall’abuso della psicochirurgia con tecniche ablative, prima dell’avvento della farmacoterapia, negli ultimi anni è tornata in auge la possibilità di ►

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Neurochirurgia ◄ ricorrere ad interventi di neuro-

modulazione mediante DBS. Al momento in Italia l’unica procedura approvata senza necessità di ricorrere a Comitati Etici è la stimolazione profonda del braccio anteriore della capsula interna (in passato capsulotomia stereotassica) (Figura 11) per il trattamento del Disturbo Ossessivo compulsivo non responsivo alla terapia farmacologia e invalidante. Tuttavia esistono non pochi report e studi pilota che mostrano una potenziale efficacia per la cura della depressione maggiore unipolare, della aggressività e automutilazione isolata o associata ad altre sindromi (Lesch-Nyan, de la Tourette), della anoressia nervosa, e per i disturbi da abuso/dipendenza (alcolismo, cocainomania, eroinomania). La stimolazione vagale (VNS) è approvata in Italia anche per la cura della depressione maggiore endogena. Paralisi dei plessi nervosi periferici e dei nervi cranici. Anche se in via di estinzione, le paralisi ostetriche dei plessi sono ancora osservate; interventi di innesto di nervi periferici, di anastomosi nervose, o di trasposizione di muscoli/nervi periferici possono consentire maggiore autonomia di movimento ai pazienti. Fra la lesioni dei nervi cranici, rimane di interesse la paralisi del nervo faciale trattata mediante anastomosi ipoglosso-faciale, trigemino-faciale (Figura 12), mediante trasposizioni muscolari facciali o con innesto di autotrapianto di un segmento di nervo surale. Sindromi nevralgiche e da conflitto neurovascolare. Buona parte delle sindromi nevralgiche facciali (nevralgia trigeminale tipica, emispasmo del faciale, nevralgia del glossofaringeo, sindrome di Meniere) sono determinate da un conflitto neurovascolare tra vasi arteriosi (di solito arterie cerebellari) e nervo all’emergenza o ingresso all’interno del tronco encefalico (Figura 13). Quando la terapia medica non è più responsiva o in caso di intollerabili effetti collaterali può essere considerata la liberazione chirurgica del nervo dalla arteria (decompressione microvascolare secondo Jannetta).

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Figura 1 - Soluzioni chirurgiche per il trattamento della spasticità

Figura 2 - Schema di pompa per infusione intratecale di Baclofen

Figura 3 - Percorso diagnosticoterapeutico per il trattamento chirurgico dell’epilessia farmaco-resistente Figura 4 - Grids subdurali per registrazione invasiva di superficie posizionati mediante craniotomia

Figura 5 - Elettrodi di profondità per registrazione invasiva posizionati mediante casco stereotassico

Figura 6 - Lobectomia temporale anteriore per displasia focale corticale (caso personale)

Figura 7 - Emisferotomia funzionale per epilessia post-traumatica (danno diffuso dell’emisfero dx) (caso personale) Figura 8 - Deconnessione endoscopica di amartoma ipotalamico per il trattamento dell’epilessia gelastica farmaco-resistente (caso personale) Figura 9 - Schema e controllo

RX (caso personale) di Stimolatore vagale (Vagal Nerve Stimulator) per il trattamento neuromodulatorio e palliativo dell’epilessia farmaco-resistente multi-focale

Figura 10 - DBS su Globo pallido interno bilaterale (Gpi) per il tratSindromi da dolore cronico nocicettivo e neuropatico. Le sindromi da dolore cronico nocicettivo (dolore da cancro, dolore radicolare) e neuropatico (dolore da deafferentazione spinale e radicolare, dolore centrale da lesioni cerebrali e midollari, dolore da amputazione o sindrome da arto fantasma) si avvalgono da molto tempo degli interventi di Neurochirurgia funzionale. Il dolore nocicettivo può essere controllato con i sistemi di infusione intratecale di morfina, ziconotide, clonidina (Figura 2). In casi selezionati, ma sempre meno, possono essere necessarie metodiche ablative di talamotomia e leucotomia (sezione fascio spino-talamico). Il dolore neuropatico da deaf-

tamento di un caso di distonia generalizzata idiopatica con mutazione DYT-1

Figura 11 - DBS con impianto bilateral braccio anteriore capsula interna per disturbo ossessivo-compulsivo associato a disturbi del comportamento (aggressività, automutilazione) (Caso personale) Figura 12 - Anastasmosi tra nervo faciale e ramo masseterino del nervo trigemino (caso personale) Figura 13 - Nevralgia trigeminale tipica da conflitto neurovascolare tra Arteria Cerebellare Superiore (SCA) e radice del nervo trigemino

Figura 14 - Stimolatore epidurale spinale cervicale per il trattamento di dolore neuropatico secondario a lesione midollare traumatica Figura 15 - Stimolatore epidurale corticale posizionato sull’area motoria primaria per il trattamento di dolore centrale post-stroke Figura 16 - Schema stimolatore

e controllo RX dopo impianto stimolatore bilaterale del nervo grande occipitale (ONS) per il trattamento della cefalea e dell’emicrania farmaco-resistente

Figura 17 - Neurochirurgia Funzionale e riparazione plastica dei tessuti ferentazione spinale può beneficiare dalla stimolazione epidurale spinale (Figura 14), quello da lesioni centrali (di solito dopo stroke ischemico a carico della capsula interna con comparsa di sindrome di Dejerine-Roussy o sindrome della mano talamica) dalla stimolazione epidurale corticale della area motoria (Figura 15). Cefalea tensiva e a grappolo ed emicrania farmaco-resistente. Accanto alle metodiche più invasive di stimolazione cerebrale profonda dei nuclei dell’ipotalamo posteriore proposti per il trattamento della cluster headache, esistono tecniche meno rischiose e promettenti come la stimolazione sottocutanea ►


Anemos neuroscienze

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Figura 1

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Neurochirurgia

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Figura 10

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Figura 17

◄ bilaterale del nervo grande occipitale di Arnold (Occipital

Nerve Stimulator= ONS) (Figura 16). La ONS sembra essere efficace sia nella emicrania comune che nella cefalea a grappolo.

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Rigenerazione nervosa centrale e periferica. Il trapianto delle cellule staminali pluripotenti, l’uso di vettori virali per la terapia genica sintetizzati con le tecniche di biologia molecolare, l’erogazione di fattori di crescita neurotrofici (Nerve Growth Factor) con nanotecnologia possono essere eseguiti sia durante la vita fetale che extrauterina e permetterebbero di “correggere” precocemente gli errori di sviluppo del sistema nervoso centrale riprogrammandolo e riplasmandolo (Figura 17). Quest'ultimo capitolo è sicuramente ancora sperimentale e lunga è la strada da percorrere, ma è sicuramente il futuro prossimo venturo della Neurochirurgia funzionale. ♦

Autori. Flavio Giordano, Barbara Spacca, Lorenzo Genitori UOC Neurochirurgia, Ospedale Meyer, Firenze


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Pensiero al femminile

Simone Weil Vita e pensiero di una donna complessa e affascinante

Pensiero al femminile. L'approccio multidisciplinare di ÂŤNeuroscienze AnemosÂť guarda anche al mondo della psicologia sociale. La questione delle discriminazioni di genere e del ruolo della donna nella societĂ rientra tra le problematiche anche della nostra epoca. Da qui l'esigenza di puntare la lente sul contributo del genere femminile ai settori importanti della scienza e della cultura.

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IL PERSONAGGIO

UNA VITA IN MOVIMENTO La vita di Simone Weil di Simone Ruini

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ilosofa, insegnante, operaia, contadina, scrittrice, mistica, credente e miscredente, dentro le cose divine e fuori dalla chiesa, Simone Weil appare come una singolare guerriera senza eserciti, la cui breve esistenza – muore a trentaquattro anni, il 24 agosto del 1943 – occorrerebbe misurare in base all’intensità, alla profondità con cui è stata vissuta. Di intelligenza precoce, fu studentessa all’Ecole Normale laureandosi nel 1931 e dedicandosi successivamente all’insegnamento in vari licei. La scoperta della condizione operaia, la vicinanza agli oppressi e ai deboli l’avvicina a posizioni politiche radicali, spingendola ad abbandonare l’insegnamento e gli studi puramente teorici per vivere la condizione operaia in prima persona nel 1934, quando incomincia a lavorare come manovale in una fabbrica metallurgica di Parigi. Nel 1936 prende parte alla guerra civile spagnola. Passa la frontiera francese come giornalista e si arruola come miliziana fra i volontari della colonna anarchica Buenaventura Durruti. Incapace ad utilizzare le armi, contribuisce alla lotta attraverso lavori di servizio e di cucina. Feritasi lavorando e dubbiosa sull’utilità del conflitto torna dopo alcuni mesi a Parigi: “Non era più, come mi era sembrata all'inizio, una guerra di contadini affamati contro i proprietari terrieri e un clero complice dei proprietari, ma una guerra tra la Russia, la Germania e l'Italia” La militanza di questi anni segue continue analisi del dibattito teorico e politico internazionale, che la portano a intrattenere relazioni con molti pensatori e attivisti (da Trotsky a Souvarine, da Monatte a Guerin tra gli altri) e a confutare criticamente gli assunti del maxismo-leninismo attraverso la continua ricerca della migliore espressione pragmatica della libertà, nel sudato rapporto tra libertà individuale e felicità pubblica. La collaborazione con diverse riviste, in particolare La Critique sociale, la spinge a prende pubblicamente posizione contro lo stalinismo e il burocratismo dello Stato e delle istituzioni in genere, contro la degenerazione sociale cui spinge il potere.


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In L’azzurro del cielo, Georges Bataille, intellettuale del Cercle communiste democratique, conosciuto dalla Weil durante questo periodo, delinea una trasfigurazione di Simone Weil nel personaggio di Louise Lazare: “Era sui venticinque anni, brutta e visibilmente sporca… Il cognome, Lazare, si addiceva al suo aspetto macabro meglio del nome proprio. Era strana, anzi piuttosto ridicola… Era, in quel momento, la sola persona che mi aiutasse a sfuggire alla prostrazione… Portava abiti neri, sgraziati e macchiati. Pareva non vedesse nulla davanti a sé, spesso urtava i tavoli passando. Senza cappello, i capelli corti, irti e spettinati le creavano ali di corvo intorno alla faccia. Aveva un gran naso di ebrea magra, la carnagione giallastra usciva da quelle ali sotto gli occhiali cerchiati d’acciaio… Esercitava un suo fascino, e per la lucidità e per le sue idee di allucinata. Quel che mi interessava di più in lei, era l’avidità morbosa che la spingeva a dare la sua vita e il suo sangue alla causa dei diseredati. Riflettevo: dev’essere un sangue povero di vergine sporca”. Dal 1937-1938 emerge e si impone con grande intensità la ricerca di propri percorsi di fede, destinati a diventare centrali nell’ultimo scorcio della sua vita. L’attenzione ad essi non diminuisce la volontà di condividere con gli ultimi e gli sfruttati l’esistenza, ma anzi approfondisce e significa l’attivismo politico sotto una diversa luce, la vita politica non più ristretta ai soli luoghi deputati dei costituiti poteri temporali. Dopo aver trascorso la Pasqua a Solesmes iniziano le esperienze mistiche, e la religione cattolica verrà sempre più vissuta come un riferimento, sebbene non si deciderà mai a ricevere il battesimo e sebbene mantenga la convinzione della irriducibile valenza del soggetto individuale nell’esperienza religiosa. Con l’inizio della seconda guerra mondiale è fortemente pacifista, convinta che nulla possa giustificare la tragedia di un conflitto. A causa dell’invasione tedesca della Francia nel giugno del 1940 lascia Parigi per rifugiarsi con la famiglia prima a Vichy, poi a Tolosa e infine a Marsiglia, nella parte di territorio denominato “zona libera” sotto il controllo del governo di Vichy. In questo periodo studia il sanscrito, ricerca e scrive di tematiche sociali, religiose, letterarie, scrive poesie. Viene arrestata a Marsiglia per la distri-

Anemos neuroscienze

buzione di volantini scritti contro il governo. Viene inoltre esclusa dall'insegnamento in seguito alle leggi razziali, poiché la famiglia è di origine ebraica. Conosce Perrin, un domenicano che diverrà il suo referente spirituale e che la metterà in contatto con la famiglia Thibon, presso la quale Simone lavorerà come agricoltrice, nella speranza di trovare momenti di serenità attraverso il connubio di lavoro manuale e lavoro intellettuale. Gustave Figura 9.1 - In alto Simone Weil, in piedi; Thibon, filosofo-contadino, seduti, da destra a sinistra: André Weil, Henracconta così: “Ogni sera si se- ri Cartan e Jean Delsarte durante il congresso deva su una panchina di pietra Bourbaki a Chançay 1937. vicino alla fontana […] e là mi posto eccessivi problemi organizzativi, leggeva a lungo Platone sostenendo, con avrebbe avuto un’efficacia simbolica mille spiegazioni, il mio incerto procenello scenario della guerra. Il progetto dere di grecista. I suoi doni pedagogici fu sottoposto a De Gaulle, che però non erano prodigiosi: se essa sopravvalutava l’approva. Affossato dalla Commissione volentieri le possibilità di cultura di tutti per la guerra il suo progetto di essere pagli uomini, sapeva anche mettersi al livelracadutata sul campo di battaglia nella lo di chiunque per insegnargli qualsiasi Francia occupata, si nutre per quel poco cosa. Sia nell’insegnare la regola del tre a a cui i razionamenti del periodo di guerun ragazzino ritardato sia nell’iniziarmi ra costringevano la popolazione franceagli arcani della filosofia platonica, essa se, affetta da tubercolosi si lascia morire metteva se stessa e tentava di ottenere in sanatorio. dal suo discepolo quella qualità di estreIl suo pensiero arriverà ad un pubblico ma attenzione che, nella sua dottrina, si vasto solo dopo la morte grazie ad Albert identificava alla preghiera”. Camus che fece pubblicare nella collana Nel 1942 fugge dalla Francia con i geEssais Philosophiques l’Enracinement nitori imbarcandosi per l’America dove “La prima radice”. ♦ ritrova il fratello Andrè. In America Simone continua le ricerche filosofiche e religiose, scrivendo due saggi sui catari e mantenendo una posizione critica rispetIndicazioni bibliografiche to all’Ecclesia. A dicembre dello stesso anno riparte, questa volta per Londra, Dossier su Simone Weil, Monica Giorgi, A rividove grazie a contatti costruiti con esuli sta Anarchica, n.345, maggio 2009 e politici in nord America riesce a ricon- L’indomabile Simone Weil, laure Adler, Jaka giungersi alla resistenza di France libre, il Book, Milano, 2009 governo di resistenza in esilio guidato dal Incontri libertari, Eleuthera, Milano, 2009 generale De Gaulle contro l’invasione te- Wikipedia, voce Simone Weil Roberto Rondanina, Simone Weil. Mistica e ridesca della Francia. Qui è incaricata dal voluzionaria, Milano, Paoline, 2009 Commissario agli Interni di raccogliere idee su come gestire la situazione politica- sociale del dopoguerra, componendo un corpo di scitti che prenderà il nome di l’Enracinement. Contemporaneamente redige il progetto di una formazione di infermiere di prima linea: donne, lei compresa, disposte al sacrificio della vita per prestare i primi soccorsi ai feriti direttamente sul campo di battaglia, presenza che avrebbe dato coraggio morale, ben diverso dal fanatismo dei nazisti, ai combattenti. L’azione, che non avrebbe

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IL PERSONAGGIO

Simone Weil

e la gorgone

Filosofa e poetessa, attivista e mistica: pensare e agire erano due facce della stessa medaglia di Franco Insalaco

S

imone Weil è una filosofa, poetessa e mistica francese. La sua posizione è particolarmente interessante per la prospettiva con cui pensa e si muove all'interno del periodo più difficile del '900. Bisogna proprio dire si muove, perché per la filosofa francese pensare e agire sono tutt'uno. L'uno senza l'altro ammutoliscono nell'impotenza. Pensare significa per la Weil anche agire. Così come agire significa prima di tutto pensare. Agire senza pensare non lascia alcuna chance. In Inghilterra credeva di poter contrastare più radicalmente il nazismo, resasi contro che non era vero si lasciò morire. Il carattere principale del suo pensiero riguarda la dimensione religiosa. Per Simone le religioni pensano da prospettive differenti lo stesso dogma, lo stesso Dio, la medesima verità. Il linguaggio. Verità linguisticamente inavvicinabile per l'infinita complessità che la realtà pone in essere. Verità che non può essere compresa dalla rappresentazione che se ne fa un essere finito come l'uomo. Accediamo al mondo attraverso il linguaggio, ma non siamo in grado di padroneggiare le infinite relazioni che effettuano l'universo. Pertanto abbiamo solo possibilità di avvinarci a rappresentazioni parziali di quella infinita complessità. Accediamo solo a dei punti di vista limitati. Il modo per andare verso la verità, allora, richiede per Simone Weil il superamento dei limiti che la

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lingua oppone. Superando la traduzione continua di significati con cui crediamo, siamo certi, di afferrare il mondo, di afferrare ciò che è vero, si ha la possibilità di non stare più nel nostro singolo punto di vista. Perché le cose reali che riguardano anche la nostra esistenza, sono al di là delle prerogative che la lingua possiede. Pertanto è solo forando il guscio del linguaggio, superando la sua gabbia, il suo limite, che si può avvicinare il vero. Ad esempio Simone scrive: "Il criterio per la scelta delle parole è facile da riconoscere e da impiegare. Gli sventurati, sopraffatti dal male, aspirano al bene. Bisogna dar loro soltanto parole che esprimono il bene, il bene allo stato puro. La discriminazione è facile. Le parole alle quali può aggregarsi qualcosa che indichi il male sono estranee al bene puro. Si esprime un biasimo quando si dice: "Mette la sua persona davanti a tutto". La persona è dunque estranea al bene. Si può parlare di un abuso della democrazia. La democrazia è dunque estranea al bene. Il possesso di un diritto implica la possibilità di farne un buono o un cattivo uso. Il diritto è dunque estraneo al bene. Al contrario, il compimento di un obbligo è un bene sempre, dovunque. La verità, la bellezza, la giustizia, la compassione, sono dei beni sempre, dovunque. Per essere sicuri di dire quel che occorre, basta limitarsi, quando si tratta delle aspirazioni degli sventurati, alle parole e alle frasi che esprimono sempre, dovunque, in ogni circostanza, unicamente del

bene... L'amore della verità è sempre accompagnato da umiltà. Il genio naturale non è altro che la virtù sovrannaturale dell'umiltà nel campo del pensiero. Invece d'incoraggiare lo sbocciare dei talenti, come si erano prefissi nel 1789, bisogna amare teneramente e scaldare con tenero rispetto la crescita del genio; perché soltanto gli eroi realmente puri, i santi e i geni possono rappresentare un soccorso per gli sventurati. Tra gli uni e gli altri, la gente che ha talento, intelligenza, energia, carattere, forte personalità, fa da schermo e impedisce il soccorso. Non occorre far male allo schermo, bisogna metterlo tranquillamente da parte, facendo in modo che se ne accorga il meno possibile. E bisogna rompere lo schermo molto più pericoloso del collettivo, sopprimendo tutta la parte delle nostre istituzioni e dei nostri costumi in cui risiede una qualche forma dello spirito di partito. Né le personalità, né i partiti prestano mai attenzione sia alla verità che alla sventura. C'è alleanza naturale tra la verità e la sventura, in quanto sia l'una che l'altra sono dei supplicanti muti, condannati in eterno a restare senza voce davanti a noi. Come un vagabondo, accusato in tribunale di aver preso una carota in un campo, sta in piedi di fronte al giudice, il quale, comodamente seduto, infila elegantemente domande, commenti e scherzi, mentre l'altro non riesce neanche a balbettare; così sta la verità di fronte a un'intelligenza occupata ad allineare elegantemente opinioni."


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Apr-Giu 2014 | anno IV - numero 13

Gli astri

Astri di fuoco che la notte abitate cieli lontani, Astri muti che nell’eterno gelo ciechi volteggiate, Voi strappate ai nostri cuori i giorni trascorsi E nel domani senza il nostro consenso ci gettate, Noi piangiamo e le nostre grida verso di voi son vane. Vi seguiremo, se occorre, le braccia incatenate, Gli occhi rivolti al vostro puro scintillio dolente. Al vostro sguardo ogni dolore è niente. Noi vacilliamo in silenzio sul nostro cammino. E là, si spalanca nel cuore il loro fuoco divino. Simone Weil

L'anarchia. In questa citazione ripresa da: "La persona e il sacro", troviamo alcune questioni fondamentali del pensiero di Simone. Il suo pensiero anarchico, ad esempio, che possiamo avvertire nel fatto che il diritto non appartiene al bene, perché di fatto il diritto si trascina dietro la forza per farsi rispettare. Poi anche nello spirito di partito e nelle istituzioni, dice Simone, sussiste lo schermo più pericoloso che deve essere rotto. Ciò che è evidente è che l'intelligenza addestrata non sa che allineare opinioni, mentre il vagabondo, la verità, è di fronte a lei. Uscire dal linguaggio significa allora innanzitutto allontanarsi proprio dalle isituzioni, dal linguaggio collettivo, neutro, astratto, per andare verso una capacità espressiva che si singolarizza. Passare dal collettivo al singolare è per Simone la premessa per fare poi l'ulteriore salto verso la rottura del soggetto cartesiano: "cogito ergo sum". Soggetto che si tira su da solo, autonomo, indipendente, questo è, secondo Simone Weil, il vero problema che impedisce di accedere alla realtà. Il soggetto orzoticamente si eleva al centro di tutto illudendosi di sapere come stanno le cose. Prerogativa in un certo senso del linguaggio stesso che per parlare non può che affermare e credere ciò che intende. Anche quando dice il falso sapendolo, crede al vero che nasconde. Per questo il movimento che per la Weil può rompere il guscio linguistico deve anche decostruire il soggetto. Perché l'io è, a somiglianza di Dio, al centro dell'Universo. Al contrario, Dio per

Simone non si impone all'umanità, non usa il suo potere dall'alto, ma cala verso le creature seducendole con la bellezza e il bene. La controprova è l'esistenza del male, per cui o Dio non è onnipotente, o non è buono, o non comanda ovunque ne abbia il potere. Dunque, poiché non è possibile non attribuire a Dio i primi due attributi, occorre pensare che la creazione da parte di Dio non è un atto di espansione, ma di contrazione, di rinuncia. Questo il nucleo essenziale della rivelazione da cui si sono generate le religioni autentiche. Rivelazione non tanto di Dio all'uomo in generale quanto esperienza interiore di una contraddizione tra necessità e bene, attraverso questa via la decisione che il bene per noi è possibile solo negando il nostro io e assumendo fino in fondo la nostra condizione di creature. Solo nella piena coscienza di essere creati ci è rivelato che Dio ha negato se stesso per darci la possibilità di negarci per lui. In altri termini, la rivelazione non è un contenuto formalizzato che noi dobbiamo osservare, ma è una esperienza interiore della realtà di Dio, chiunque esso sia e anche se non gli si dà questo nome. Scrive la Weil: "Poiché è Dio che deve venire a cercare l'uomo, a prendergli l'anima sorprendendo i sensi, ci sono a tal fine solo due mezzi: le bellezze naturali (il cielo, il mare, le stagioni, le pianure, montagne, fiumi, alberi, fiori, gli spazi - e i bei corpi e bei visi degli uomini, delle donne e dei bambini) - e i segni sensibili (linguaggio, opere d'arte, azioni...) provenienti dalle

anime in cui egli è entrato". Il contrario è ciò che invece accade comunemente. In questo senso la riveazione è inoperativa perché secondo Simone nella prassi prevale ancora il paganesimo. La pietrificazione. Ciò la porta a scrivere un saggio su quello che per lei è il testo più importante della cultura Greca: "Iliade il poema della forza". La cultura Greca, secondo lei precristiana, a partire da Omero si interroga proprio sulla condizione che porta gli uomini a diventare cose, la guerra sottopone tutti al gioco per cui l'anima viene congelata da entrambe le parti, negli attaccati e negli attaccanti, nei vincitori e nei vinti, nelle vittime e nei carnefici. L'Iliade mostra come tutti gli eroi dalla parte greca e troiana passino dall'esaltazione della vittoria al terrore della sconfitta, lo stesso Achille, il più forte, passerà da un sentimento all'altro. Questo pendolo che oscilla in modo ineluttabile lascia senza via di scampo i combattenti. Essi ne sono pietrificati. Gandhi con la sathyagrà cercherà proprio il modo di uscire da quella oscillazione che ci trascina con la sua forza in quella gorgonica condizione. ♦

Indicazioni bibliografiche Simone Weil, La Grecia e le intuizioni precristiane, Rusconi editore, 1974 Id., L'ombra e la grazia, Rusconi editore, 1985 Id, Morale e letteratura, ETS, 1990 Id, Sulle guerra, Pratiche editrice, 1999 Id, Sul colonialismo, Medusa Edizioni, 2003

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Eventi&Formazione

Convegni medici Eventi scientifici di interesse neurologico 24 - 25 Maggio 2014, Firenze 4° Congresso Nzionale S.I.F. Casi clinici in fisioterapia dalla diagnosi funzionale al trattamento Pagine dedicate al Congresso SIF 2014: www.sif-fisioterapia.it email info@sif-fisioterapia.it 3 - 6 Giugno 2014, Torino XVIII Congresso SINPF Personalizzazione dei trattamenti:un ponte tra Scienza di base,clinica, ambiente e terapie Segreteria Organizzativa: Comunicazione Eventi & More tel. 06 89011781 Email info@morecomunicazione.it 4 - 6 Giugno 2014, Mestre VII Corso Teorico-Pratico sul Monitoraggio Neurofisiologico Intraoperatorio in Neurochirurgia Segreteria Organizzativa: Consorzio Ferrara Ricerche Rif. Chiara Ciampaglia tel. 0532 762404 Email convegni@unife.it 5 - 7 Giugno 2014, Verbania 50°CONGRESSO AINPeNC e 40°CONGRESSO AIRIC Per ulteriori informazioni si prega di contattare la Segreteria Organizzativa: Istituto Auxologico Italiano fax 02.700509124 email iscrizioni@auxologico.it 24 - 26 Ottobre 2014, Vibo Valentia HIPPONION NATIONAL PRIZE V Edizione VIBO STROKE SEMINAR: “LA VITA PRIMA E DOPO L’ICTUS”

A Genova dal 21 al 23 maggio

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i svolgerà dal 21 al 23 maggio a Genova presso l'Hotel Tower Genova Airport il 54° Congresso SNO (Scienze Neurologiche Ospedaliere). Durante la prima giornata di congresso, mercoledì 21, si terrà una sezione dedicata alla Neuroestetica e al premio Anemos di tesi di laurea legate alle Neuroscienze. Per il programma completo del congresso si rimanda al sito del Congresso. Mercoledì 21 maggio 14.30-17.00 SALA 3 NEUROESTETICA: GRUPPO DI STUDIO SNO L’OCCHIO DELLA MENTE E L’ARTE DI VEDERE Moderatori: E. Grassi (PO), B. Lucci (UD) 14.30 - Lettura Magistrale La figurazione inevitabile M. Bazzini (PO) 15.10 - La memoria dell’occhio: Michelangelo e il teatro anatomico della Sistina E. Grassi (PO) 15.25 - L’errore fotografico: le illusioni dell’occhio e dell’obbiettivo M. Aguggia (AT) 15.40 - L’invenzione dell’occhio. Il ruolo della visione nel processo evolutivo G. Vallortigara (TN) 15.50 - Discussione 16.30 - Premio Anemos 17.00 - Chiusura dei lavori Per aggiornamenti, iscrizioni e informazioni scientifiche: www.avenuemedia.eu - www.snoitalia.it

7 - 9 Novembre 2014, Frascati XII Corso ASC di formazione su Cefalee e Dolori Cranio-Facciali - 2 ° Modulo Segreteria Organizzativa: Eva Communication tel. 06 6851549 Email info@evacommunication.it asc@evacommunication.it

La manipolazione dei nervi periferici: plesso lombare e plesso sacrale

20 Novembre 2014, Palermo Update sulle lesioni nervose periferiche dell'arto superiore

Reggio Emilia, 7-8 giugno, Libera Università di Neuroscienze Anemos

21 - 22 Novembre 2014, Palermo Workshop teorico-pratico – la diagnostica neurofisiologica ed ecografica nelle lesioni nervose periferiche dell’arto superiore

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54° Congresso Nazionale SNO

10 - 12 Dicembre 2014, Roma 4° The Brain Ischemia and Stroke (BIS) Segreteria Organizzativa: Nico Congressi tel. 06 48906436 Email info@nicocongressi.it

C

orso residenziale teorico pratico di formazione sul campo rivolto a medici e fisioterapisti per un totale di 13 ore complessive. Richiesti ECM. Il corso si svolge presso la Libera Università di Neuroscienze Anemos, in via Meuccio Ruini 6, a Reggio Emilia. Segreteria: tel 0522. 922052



Gli Editori

L'Associazione Anemos

Presidente: dr. Marco Ruini

L

’Associazione culturale e di volontariato Anemos, fondata nel marzo 2009, nasce per coordinare e ampliare le attività di volontariato sociale di un gruppo di amici di Novellara (RE), nonchè le attività culturali del Centro di Neuroscienze Anemos, l’attività editoriale scientifica in collaborazione con la casa editrice New Magazine Edizioni e con la casa editrice La Clessidra. Tra i vari campi d’attività accennati: ♦ Libera Università di Neuroscienze Anemos: organizza convegni, seminari e corsi multidisciplinari sul tema delle neuroscienze in collaborazione con La Clessidra Editrice (vedi testo sotto). Pubblicazione della rivista «Neuroscienze Anemos» ♦ “Libri Anemos”. Attività editoriale con la Casa Editrice New Magazine con una collana di Neuroscienze e una collana di Narrativa e Poesia ♦ Biblioteca di Neuroscienze Anemos ♦ Promozione e valorizzazione di giovani artisti ♦ Programmi di volontariato sociale nei paesi in via di sviluppo e in Italia

www.associazioneanemos.org

La Clessidra Editrice Direzione editoriale: Davide Donadio Tommy Manfredini

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ell’autunno del 2010 è nato il progetto «Neuroscienze Anemos», trimestrale di neuroscienze, scienze cognitive, psicologia clinica e filosofia della mente. Il periodico di divulgazione scientifica, distribuito gratuitamente nelle biblioteche pubbliche della provincia di Reggio Emilia e Mantova e in altri circuiti distributivi, si sviluppa in stretta correlazione con La Clessidra Editrice, giovane casa editrice Reggiana (con sede a Reggiolo, RE) nata in un contesto di associazionismo culturale nel 2004 e costituitasi come casa editrice nel 2006. ditrice La Clessidra è specializzata in editoria periodica locale e settoriale. La giovane casa editrice raduna intorno a sé un attivo gruppo di intellettuali, collaboratori abituali e occasionali, che agiscono oltre la sfera dell'editoria. otto questo aspetto, le attività promosse dall'editore contribuiscono ad alimentare il dibattito sulla contemporaneità, non solo presentando e divulgando la propria attività e quella di altri operatori culturali, ma anche promuovendo convegni e seminari (riguardanti l'ambito scientifico e le scienze umane) , divulgando l'attività di artisti, scrittori, studiosi di varie discipline.

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Le Clessidra Editrice. Redazione editrice e della rivista: via XXV aprile, 33 - 42046 Reggiolo (RE) tel. 0522 210183


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