IL CACCIATORE ITALIANO

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l’editoriale

Direttore Gian Luca Dall’Olio Direttore responsabile

Per una caccia

Pino Scaramuzzo Vicedirettore Gino Falleri Comitato di direzione Leandro Calzetta Lorenzo Carnacina Antonio D’Angelo Caporedattore Marco Calvi Impaginazione Jlenia Scarpello Editore, Redazione, Amministrazione, Pubblicità Greentime S.p.A. Via Ugo Bassi, 7 - 40121 Bologna Tel. 051 223327 Fax 051 222946 E-mail: info@greentime.it Stampa Grafica Editoriale Printing Bologna Proprietà Federazione Italiana della Caccia Via Salaria, 298/A - 00199 Roma Tel. 06 8440941 - n. verde 800043952 Registrazione N. 6873 del Tribunale di Bologna in data 07/01/99 Foto di copertina: Anticoli Livio / Gamma / Eyedea

Tutti i diritti riservati Vietata la riproduzione, anche parziale, se non autorizzata. Printed in Italy

Finito di stampare il 30 Settembre 2009

Associato all’Uspi Unione Stampa Periodica

Gian Luca Dall’Olio

più europea

Al momento di leggere queste mie considerazioni, la stagione venatoria sarà già avviata, passando per la classica e sempre emozionante apertura che porta con sé, da sempre, qualsiasi caccia si pratichi, il profondo ed intimo sentimento di ritornare a caccia. L’apertura è il momento che raccoglie le speranze, gli auspici, le aspettative, per le soddisfazioni possibili, per le esperienze, le gioie e i piaceri che possono derivare dall’intenso ma corretto confronto con la natura. Ma sempre al momento di leggere non sarà venuta meno la principale preoccupazione che coinvolge il mondo venatorio, e cioè il dibattito sul necessario aggiornamento della legge sulla caccia. L’importanza e la delicatezza dell’argomento impone di non abbassare la guardia e richiede l’assenza di distrazioni. Ma non è mia intenzione, almeno per ora, quella di aggiungere riflessioni sulla proposta di modifica alla legge-quadro nazionale 157/92: le due interviste che troverete all’interno ad Innocenzo Gorlani e a Nicola Perrotti suppliscono egregiamente in questo senso. Per parte mia, mi limito a condividere alcune semplici e spero utili considerazioni. La caccia non è uno sport, e oggi non è più un’attività di massa. La situazione storica in cui va collocato il problema ambientale e il rapporto ambiente-fauna-attività venatoria è fortemente modificato e in continua modificazione. La caccia è una variabile sociale e culturale e non può essere più il pretestuoso capro espiatorio dei problemi ambientali. Occorre ribadire con forza come la consapevolezza dell’utilità della conservazione del territorio e della fauna è da sempre un patrimonio essenziale del mondo venatorio. In più oggi molti cacciatori hanno acquisito una concezione deontologicamente corretta della responsabilità che comporta l’esercizio della loro attività. E infine le campagne denigratorie contro i cacciatori e la caccia, a volte sulla base di notizie diffamatorie amplificate dai media, distorcono la realtà, sono poco civili e non rendono un servizio al Paese. Questi semplici dati di fatto, oggettivi, reali e laici che ciascun parlamentare dovrebbe perlomeno considerare, favorirebbero un dibattito critico ma costruttivo e possibilmente privo di sterili ostruzionismi, nell’interesse dello Stato e dei cittadini. Di tutti i cittadini. Il timore, infatti, è che l’iter parlamentare possa incontrare barriere dettate da steccati ideologici o, peggio ancora, personali isterismi. Il mio auspicio, che ritengo sia quello della stragrande maggioranza dei cacciatori italiani, è quello che si possa giungere, lo ripeto, a una modifica sostenibile della legge, che renda la caccia più europea anche nel nostro Paese, che la colleghi alla gestione della foresta, dell’agricoltura e dell’ambiente in genere. Una legge che preveda l’istituzione di un ente scientifico preposto alla valutazione funzionale del prelievo venatorio per specie e per tempi, in grado di svolgere le proprie funzioni in maniera frequente e non ventennale, come invece sino ad oggi è avvenuto. Le consistenze e le abitudini delle varie popolazioni di fauna selvatica cambiano repentinamente: occorre adeguarsi a questo continuo mutare se si vuol rendere la caccia uno strumento davvero utile e sostenibile, come avviene in quasi tutti i Paesi del mondo. Anche sotto questo aspetto auspico che le Regioni, il cui contributo, in ragione delle loro competenze, è indispensabile per ottenere una buona legge, non si aggreghino fra loro per coloritura politica-partitica, ma offrano una lettura analitica delle varie realtà. Solo così può aumentare la sensibilità sulla materia “caccia” in seno alle istituzioni, obiettivo di fondamentale importanza affinché ciò che oggi non funziona venga domani tradotto in nuove opportunità per il sistema ambiente, fauna, agricoltura, prelievo venatorio. GIAN LUCA DALL’OLIO ilCACCIATORE ITALIANO

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I cacciatori e la legge di Rodolfo Grassi

Sulla rotta giusta

8 di Stefano Simeoni

Il compak Fidc ha i suoi big

36 di K.S.

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È tempo di norme condivise di Rodolfo Grassi

mille abitudini della lepre 12 Le di Gigi Foti

La ricerca, nero su bianco di Carlo Romanelli

16 di Domenico Vigliotti

Una vittoria importante di Michele Sorrenti

20 di Goffredo Grassani

Diamo i numeri! di Alex Guzzi

22 di Rino Masera

I vip a difesa della caccia di Emanuela Dolci

23 di Lorenzo Mari Cenni

Dio salvi la regina! di Vincenzo Celano

26 di Sestilio Tonini

Quaglie d’autunno di Vito Buono

28 di Marco Ragatzu

Il canto più bello di C.R.

30 di Angelo Cammi

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Il bottaccio dei desideri di Raniero Massoli-Novelli

Il setter batte tutti 32 di G.F.

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a cura di R.L.

In attesa del “bacio” di Pierluigi Ghilarducci

34 di Claudia Sansone

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a cura di Silvana Bergamaschi Grassani

Un equivoco da chiarire I due volti del foraggiamento La forza del capriolo

Le cartucce del re

Il versatile figlio dell’Ariege A scuola dalla starna Bilanci di metà stagione

Il piattello Fidc unisce l’Italia

Silenzioso, ma etico

38 di Danilo Rosini

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Sos falconeria

42 di Paolo Taranto

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A caccia con fatica

45 di Andrea Beni

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Segnali d’allarme

46 di Gabriella Fiecchi

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Una questione di date

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48 di Franco Livera

Giustizia è fatta

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51 di Francesco Molfese Una settimana speciale

52 di Adelio Ponce de Leon

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Dalle Regioni

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Le rubriche Eco4

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il cacciator gourmet

ilCACCIATORE ITALIANO

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Esclusivo - Parla Innocenzo Gorlani, padre, con Giacomo Rosini, della 157

C’

è un errore da evitare nella maniera più assoluta. Sì, sarebbe proprio un errore… Le parole vestono pensieri nella tranquilla cadenza bresciana e delineano la caccia prossima ventura. “Ci sono tante, troppe proposte per una nuova legge ed alcune sono dettate dalla speranza che un Governo amico aiuti a varare una normativa che sostituisca la 157 voluta dal compianto on. Giacomo Rosini. L’andamento del dibattito fra associazioni agricole e ambientaliste e cacciatori dimostra però che, in questo caso, si tratta di una speranza non fondata…”. Tace d’improvviso l’avv. Innocenzo Gorlani, capelli candidi, portamento e vivacità di pensiero da cinquantenne. Considerato uno dei più acuti giuristi, certamente il punto di riferimento anche per la legislazione venatoria, fu, accanto a Giacomo Rosi-

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ni, uno dei “padri” illuminati della legge ancor oggi in vigore, e che ha restituito ai cacciatori la dignità e l’onere d’essere protagonisti nella gestione della fauna selvatica, rivalutandone l’attività e recuperandone l’immagine di operatori responsabili sul territorio. *** In un momento in cui tutto cambia, non sarebbe sbagliato lasciar proprio la caccia, con la sua legge, al palo? “Non voglio dire questo. I mutamenti ci devono essere, ma in armonia con i tempi e le circostanze, rispondendo a esigenze e cogliendo opportunità. Governare il cambiamento di una legge organica qual è la 157 è un’impresa difficile e complessa, e ritengo che l’impianto debba non solo sopravvivere, ma rimanere uno degli elementi fondanti. Detto questo, non sono contrario all’idea d’un aggiornamento, anche se


non si può che procedere, a mio avviso, su un binario obbligato. Non si possono ignorare limitazioni imposte dall’Unione Europea, dai trattati internazionali, dai principi in materia ambientale elaborati dalla nostra Corte Costituzionale”.

UN PACCHETTO DI GIORNATE DA SPENDERE NELLA PENISOLA Quali dovrebbero essere i mutamenti più significativi? La domanda sfuma in uno stridio ovattato di martelli pneumatici: Brescia costruisce la sua metropolitana e le grandi finestre a vetri, nel centro città, svelano non lontani tetti di laboratori e grattacieli che raccontano storie di lavoro. “Comincio dall’opzione…”. La voce giunge sicura: “Tutte le proposte mirano a eliminare la nettissima distinzione fra caccia vagante e da appostamento temporaneo (che la legge equipara a vagante) e appostamento fisso. La modifica non dovrebbe scontrarsi a mio avviso contro ostacoli insormontabili. Se riflettiamo che l’opzione fra le due forme di caccia ha esordito con la 157 dovremmo domandarci il perché. Sono tante le considerazioni da fare, ma mi limito a quella che, scomparendo l’opzione, il cacciatore potrà liberamente esercitare l’una o l’altra forma di caccia con qualche ricaduta sulla ‘contabilità faunisticovenatoria’ per l’aumento delle possibilità di prelievo. E aggiungo: siamo sicuri che in questo modo non si dequalifichi la caccia da appostamento con il risultato che il suo esercizio potrebbe essere ristretto al punto da eliminarne la ragione stessa?”. Tace. Il silenzio, come un’ombra delle parole, avvolge il grande studio e comprendi perché Balzac sosteneva che ogni domanda fosse un gradino verso la saggezza. “La caccia per appostamento - continua Innocenzo Gorlani - era concepita per gli anziani e richiede un’apposita programmazione. Eliminando l’opzio-

ne temo possa venir meno anche l’esigenza di una pianificazione degli appostamenti… Cioè che si smarrisca questa forma di caccia. Non sarebbe un gran risultato...”. L’interrogativo resta decapitato dalla risposta. “Problema ancor più complesso riguarda la mobilità venatoria. Nelle proposte che definirei estreme si ragiona di una libertà di movimento del cacciatore sul territorio della Penisola per quanto riguarda la migratoria, e si indica per questa pratica un numero di giornate che appare certamente spropositato. Le proposte richiamano il grande tema della migratoria, e quindi della libertà per il cacciatore di prelevarla ovunque gli paia opportuno. A me sembra che tali proposte siano miopi. Anche nei confronti di una migratoria che, per fortuna, non ha perso di consistenza salvo evenienze legate a particolari situazioni e a determinate specie selvatiche. La 157 già prevede un regime più generoso per i cacciatori di migratoria in ottobre e novembre, mesi significativi. Si tratta quindi di assegnare un numero di giornate supplementari perché ogni cacciatore possa muoversi sul territorio nazionale nel rispetto delle regole dell’accoglienza dei singoli Atc”.

MIGRATORIA: PER OGNI SPECIE I SUOI GIORNI E LA SUA CACCIA La stagione di caccia è così breve che occorre utilizzare ogni opportunità altrimenti… “La mobilità richiama il problema territoriale, la gestione non solo della stanziale, il lavoro fatto negli Atc, il volontariato, e non va sminuita l’importanza faunistico-venatoria e l’autogoverno del territorio in collaborazione con gli agricoltori e le associazioni ambientaliste. Sottovalutare questa problematica sarebbe una smemoratezza dalle conseguenze devastanti, capace di far perdere il contatto con l’ambiente e successivamente con la selvaggina che vi è ‘coltivata’. E una volta esclusi dalla 9


gestione del territorio, i cacciatori perderebbero anche la… selvaggina. Ritengo che occorra in maniera assoluta salvaguardare il principio della gestione, potenziarlo, dargli ancor più importanti contenuti. In Italia non c’è alcuna categoria di sportivi o comunque di persone a cui a livello nazionale sia affidato un territorio non suo per programmare la propria attività. Occorre quindi rivedere le regole dell’ospitalità in modo da favorire una caccia responsabile e non penalizzare quanti vi operano o comunque vi fanno riferimento. E mi permetta di ricordare, per inciso, che una efficace programmazione faunistico-venatoria del territorio richiede Atc gestibili per dimensioni e dislocazione”. Il sole incide sui vetri le ombre brevi del mattino: la città continua a raccontarsi nei suoi rumori e sembra così lontana dalle parole che delineano l’immagine d’una caccia moderna, consapevole del proprio ruolo e fiera delle sue origini, come la considerano e la chiedono nei giorni dell’Europa, gli uomini della Federazione. Settembre nel suo esordio vive giorni dimenticati dal solleone: son già passate le tordine, tra poco giungeranno i tordi, le allodole renderanno omaggio a S. Teresa, poi arriveranno le cesene a portar la galaverna e la fine del passo. *** Avvocato, la stagione di caccia è così breve che... La domanda è solo apparentemente ovvia e la risposta lo conferma. “Non riterrei opportuna una dilatazione della stagione, ma proporrei una diversificazione dei periodi di caccia allungando la stagione in rapporto alla specie, che va cacciata quand’è presente. Se questo accade in agosto la si cacci in agosto, se in febbraio si dia l’opportunità di catturarla a febbraio. I tempi di caccia devono essere rapportati ai ritmi biologici delle specie cacciabili: non allungare, quindi, ma

diversificare i periodi dando al cacciatore la possibilità di far preda quando la selvaggina c’è, e magari non consentirgli di uscire col fucile quando il selvatico è migrato”. Le deroghe permettono di ovviare a qualche incongruenza…

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L’importanza della gestione. Le opzioni, la libertà di movimento, le deroghe, i calendari. Cacciare la selvaggina quando c’è. Più spazio alla cinofilia. La governance

“Non sono contrario per principio alle deroghe, ma occorre inserire una corretta disciplina nella legge. Ci sono state infatti ripetute pronunce della Corte Europea in proposito. La soluzione mi pare corra lungo binari obbligati che considerino la quantità globale del prelievo ripartita poi per regioni. Infine, credo sia opportuna una maggior libertà per l’addestramento cani prima e dopo la conclusione della stagione di caccia. Il tempo oggi concesso infatti è troppo breve e penalizza, a me pare ingiustamente, il cacciatore cinofilo”. La caccia come la vorremmo o come la pretende la realtà del Duemila: ma chi la governa? Nell’attimo di silenzio guardi un disegno alla parete ed una foto-

grafia più in alto. L’uno raffigura un castello costruito dalle matite incerte di scolaro, l’altra un giovane, il secondo figlio di Innocenzo Gorlani, con i capelli folti, lo sguardo franco. Sono due parentesi, un sogno colorato dai pastelli ed un’immagine, che racchiudono la storia d’una vita giovane destinata a rimaner tale in eterno. “Ogni vero dolore - diceva Dino Buzzati - viene scritto e non basta un’eternità per cancellarlo”. “Bisogna fare una distinzione. All’autorità centrale spetta dettare le linee generali di tutela della fauna selvatica (elenco delle specie cacciabili e durata della stagione venatoria nei termini di cui ho appena detto), anche in rapporto alla distribuzione delle aree naturali protette. Alle Regioni compete la pianificazione faunistico-venatoria nelle sue linee generali, lasciando alle Province la competenza di elaborare in concreto i Piani faunistico-venatori che sono strumenti indispensabili di tutela della fauna selvatica e di organizzazione del prelievo venatorio. Nella proposta Fidc ho notato il proposito di concentrare nel vecchio ministero dell’Agricoltura una governance nuova rispetto all’impostazione della stessa 157. Personalmente sono favorevole a ricondurre il tema della caccia al Ministero di via XX Settembre, da sempre capofila delle istanze venatorie. Naturalmente la componente ambientale della caccia reclama la partecipazione del ministero dell’Ambiente. Ciò che conta e che la proposta di riforma del Comitato tecnico-faunistico venatorio offra alle associazioni venatorie, agricole e ambientaliste un luogo autorevole di confronto e di mediazione, mentre ritengo che il rapporto fra autorità centrale e Regioni debba trovare la sua sede più idonea nella Conferenza permanente StatoRegioni e Province autonome. In quella sede vedrei con favore la composizione delle istanze e dei conflitti in materia di deroghe”.

Rodolfo Grassi


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Esclusivo - Parla Nicola Perrotti, presidente Anpam

È TEMPO DI NORME CONDIVISE

roprio com’è il giudizio comune, l’avvocato Nicola Perrotti, 35 anni di Brescia, presidente dell’Associazione dei produttori d’armi e munizioni, è uomo di equilibrio. E in più, questo

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“Il progetto Orsi è un importante riferimento. Mi auguro che tutte le forze politiche e quanti hanno a cuore caccia, salvaguardia dell’ambiente ed equilibrio fra le specie diano il proprio contributo” 12

avevano dimenticato di dirmi, gli occhi prima delle parole fanno da spia a un‘intelligenza non usuale. Racconta la caccia da economista e manager insieme. Fa riferimenti a leggi e trattati chiamandoli a testimoni, come viandanti su un sentiero da consumare insieme. Così la marcia del popolo dei cacciatori verso un ammodernamento delle norme chiama tutti a trasformarla in un capitolo da scrivere per quanti sono, e conquistare per coloro che verranno. Ed è il modo migliore di legare attualità e futuro alla maniera di Camus, convinto che ogni progetto sia già un dono al domani. “La vicenda della caccia non può essere ridotta alla passione, così come non può venir confinata nella sola economia. Va vista in una prospettiva globale. Immaginiamo un prisma…”. Tace. Diresti cerchi il modo migliore di disegnarti l’immagine. “Il fatto è che bisognerebbe abituarsi a pensare la caccia in un modo diverso. Finora sono state percorse due vie parallele, entrambe prigioniere del sentimento. Da una parte la presunta distruzione del patrimonio faunistico, l’accusa di desertificare le specie, dall’altra la tradizione, l’amore del cacciatore per la natura, la sua consapevolezza d’essere predisposto a comprendere un universo che altri non capiscono e per questo lo osteggiano”. La voce fa da sottofondo ad un disegno che si crea lentamente, come una fotografia in bianco e nero, e ripropone i contrasti degli ultimi decenni con “caccia no” e “caccia sì”, la

raccolta di firme, i referendum, la mobilitazione di due mondi che, a ben considerare, pretendono l’assurdo di viver antitetici. Due trincee o, ad esser ottimisti, il destino arido di vie parallele destinate a correre per non incontrarsi. Così si perpetuano i contrasti ed allontanano le soluzioni. A ben pensarci questo spicchio di storia della caccia diventa esemplare per tante altre situazioni, dalla politica alla sociologia, all’arte, allo spettacolo. Ovunque universi che dovrebbero convivere ed invece… “La pratica venatoria va considerata nel suo aspetto laico, che poi altro non è se non il realismo: conoscere i vantaggi ed il loro contrario. Esaltare i primi, ridurre i contrasti, incamminarsi verso le soluzioni”. Da fuori un rumore improvviso richiama alla stagione che scrive le poche altre pagine del suo diario destinato a concludersi in fretta per far da staffetta all’ultimo capitolo dell’anno.

IL MONDO IN CUI VIVIAMO NON È ANIMATO DA DISNEY La voce di Nicola Perrotti richiama alla realtà di un mondo che è ben diverso da quanti lo ritengono un canovaccio per recitarvi le loro fantasie naturalistiche. “C’è la pervicacia di dividersi persino su un singolo animale. Ci troviamo in una società urbanizzata che non frequenta spazi aperti ed ha un rapporto disneyano col mondo che la circonda. Così l’animale è sempre buono, il cacciatore sempre distruttore. Si è creata una mitologia di animali dai comportamenti umani, ed è una fuga


dalla realtà che ci conferma invece come la scarsa dimestichezza con l’ambiente, il mancato controllo delle specie crea solo disastri a danno della natura e degli animali stessi. Vediamo ciò che ci fa vedere la Tv e per tanti quello è il mondo”. Aspetta: il fruscio della penna sembra una vendetta contro il silenzio. “La selvaggina è una risorsa e la caccia va considerata come un movimento economico che consente a centinaia di migliaia di persone di vivere, di operare, di avere la dignità del lavoro. E mi riferisco al turismo, agli alberghi oltreché agli operatori del settore. È un’attività che ha riflessi su tanti comparti e ci sono ricadute positive sul territorio, sulle stesse specie. Ecco, mi pare che manchi questo aspetto, fondamentale ed imprescindibile, dalla presunta analisi che alcuni vorrebbero far pretendere vera”. Quale sarebbe lo strumento o gli argomenti per un mutamento di direzione? “Credo ci sia un’autocritica da fare per le

accuse alla legge in vigore avversata dagli ambientalisti e anche da una parte dei cacciatori, e mai pienamente attuata. Credo occorra ringraziare il sen. Franco Orsi per una proposta organica su un tema spinoso per tutti. Ci sono tante possibilità di scelta, tante opportunità per procedere, soprattutto c’è l’occasione di affrontare la tematica con un approccio diverso senza barricate contro o a favore di una tesi, contro o a favore di una specie”. Le associazioni hanno posizioni diverse... “È vero, e sono tutte importanti, ma conta ancor più che ci sia una sintesi con proposte accettabili di tipo imprenditoriale. Se vogliamo che rimanga nell’attualità, e non vedo altre soluzioni, dobbiamo fare in modo, tutti insieme, che sia una caccia sostenibile, che non penalizzi, ma sia programmata. La direttiva “Uccelli”, ad esempio, prevede differenti periodi di aperture e chiusure della stagione perché…”. Ha qualche timore? La domanda giunge irrituale a metà

risposta generandone un’altra: “Auspico che la riforma Orsi, lasci che la chiami così, non venga interpretata come una proposta di destra. Sarebbe un errore d’impostazione. I cittadini cacciatori sono trasversali e lo hanno sempre dimostrato. Ogni partito, a mio avviso, deve rappresentare i suoi cacciatori e dire quello che i suoi cacciatori vogliono. Il testo di legge sulla caccia dev’essere condiviso per ovvie e profonde motivazioni politiche e di equità. Non può essere né diventare simbolo o patrimonio soltanto della maggioranza che governa, perché le maggioranze cambiano, ma le leggi eque devono restare…”.

DAI TANTI CONTRIBUTI DIVERSI LA SINTESI DI UNA NORMATIVA Come vede quindi sotto questa prospettiva la riforma Orsi? “Anzitutto, ed è fondamentale, dovrebbe essere la sintesi di tanti contributi, aumentare i periodi di caccia per specie, consentire le deroghe dando quindi alla legge una “identità” con il coinvolgi-

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RINNOVO CARICHE SOCIALI A MATERA La Sezione provinciale di Matera ha proceduto prima al rinnovo delle cariche sociali nelle Sezioni comunali e poi si è riunita in Assemblea elettiva provinciale per procedere all’elezione del nuovo Consiglio direttivo. Successivamente il Consiglio si è riunito per assegnare le cariche sociali. Per acclamazione è stato riconfermato presidente Michele Perito, che verrà afiancato dai Michele Lapadula, Antonio Marchese e Michele Viggiani. Segretario tesoriere è stato riconfermato Vincenzo Calamiello. I consiglieri sono: Giovanni Albano, Antonio Barbaro, Cesare Carbone, Giuseppe Dambrosio Clementelli, Salvatore Oliva, Giuseppe Prisco, Luigi Prisco e Vito Maurizio Tucci. Il Presidente ha ringraziato tutti per la fiducia accordatagli ed ha ribadito il proprio impegno per tutto quello che concerne l’interesse della Fidc in tutti gli ambiti ove la stessa è coinvolta, e in particolar modo al rispetto della normativa nazionale e regionale, nonché all’impegno sempre profuso nell’interesse dell’ecologia e dell’ambiente. Ha chiesto ai neoconsiglieri collaborazione e idee, auspicando un maggior numero di adesioni alla Federcaccia per avere sempre più voce nelle iniziative intraprese e da intraprendere. Si è augurato, inoltre, una maggiore collaborazione e sinergia anche con le altre associazioni venatorie e con quelle degli agricoltori e degli ambientalisti nell’interesse e per la salvaguardia dell’ambiente, della fauna, dell’ecosistema, del territorio tutto e per la conservazione delle specie in pericolo di estinzione. M.P.

mento dei Governi regionali. C’è, e lo ripeto, il diritto di caccia da difendere, ma occorre anche guardare complessivamente le singole proposte, comprenderne spirito e sostanza, e soprattutto fare una legge che regolamenti ciò che si ritiene importante oggi e quello che sarà necessario fra dieci anni”. Ma per far questo... “Bisogna comprendere com’è la caccia e soprattutto dove va. Occorre un’indagine che sgomberi il terreno da tante calunnie, presunte verità, equivoci, false concezioni, proposte demagogiche che hanno un taglio estremista, rinunciando a porre l’attenzio-

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ne sulla disciplina europea. Esiste, da parte di molti nemici della caccia, un atteggiamento che definirei originale se non arrecasse tanti danni e fomentasse tante incomprensioni: c’è un continuo richiamo all’Europa, ma chi è contrario alla caccia è anche contro le disposizioni europee. Vorrebbe insomma avere un’Europa ad immagine delle sue tesi, e questo francamente mi pare bizzarro. Ritengo che un‘analisi serena della direttiva “Uccelli” potrebbe essere un primo importante passo avanti”. Ci sono state molte polemiche sulla licenza a 16 anni… “Non insisto proprio per non dar esca a

nuove affermazioni non veritiere e strumentali, e che nel clamore perdono di vista il reale. È un fatto incontrovertibile che la licenza responsabilizza proprio perché vi è, a monte, una preparazione teorica all’uso dell’arma, al suo maneggio con un costante richiamo alla prudenza. Inoltre la licenza a 16 anni presupporrebbe un accompagnatore, e quindi una sorveglianza continua. Insisto invece sul richiamo al senso di responsabilità da parte di tanti nemici della caccia, a un ritorno alla ragionevolezza, cioè ad affrontare seriamente i problemi uscendo dalla gabbia di un sentimentalismo che provoca seri danni alla natura con uno squilibrio evidente fra le specie. Guardiamo alla caccia con serenità, con senso di responsabilità, come fattore economico e risorsa. Troviamoci insieme per discutere, cercare soluzioni che non possono attendere. Il mondo corre in fretta sospinto dalle emozioni, ma soprattutto dalle leggi economiche e, per quanto riguarda gli animali, da un equilibrio fra le specie che l’uomo può e deve garantire. Credo fermamente che anche la buona fede e la pace, soprattutto la pace, abbia le sue vittorie, e una potrebbe essere proprio la condivisione di una legge sulla pratica venatoria e il costante impegno nella gestione che significa equilibrio e valorizzazione della natura”.

Rodolfo Grassi


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Prossima la creazione di

ella prima riunione di insediamento del nuovo Consiglio di Presidenza, il presidente Gian Luca Dall’Olio ha fatto presente la necessità improcrastinabile di raggruppare le esperienze delle settoriali Acma e Ucim in un Ufficio nazionale per l’avifauna migratoria. Un settore, di indubbia importanza, per il quale è stato delegato il vicepresidente Lorenzo Carnacina. Con lui facciamo una chiacchierata su questa iniziativa che si collega strettamente al futuro della caccia nel nostro Paese. Qual è la genesi di questo Ufficio? In Italia la gestione della caccia è un tema che è oggetto di animati dibattiti, carichi di emotività, in cui due opposti “estremismi” si contrappongono: da una parte i sostenitori di un divieto totale e dall’altra i sostenitori di una caccia senza leggi. Basta leggere i giornali in occasione della proposta di modifica della legge

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nazionale 157/92 o della copertina dello scorso “Cacciatore Italiano”, e ci accorgiamo che a volte i media s’interessano del problema caccia estremizzando le varie posizioni. Questo atteggiamento non è consono a un Paese civile come il nostro: le contrarietà sono sinonimo di democrazia, ma non come sta accadendo da noi, dove più che parlare o scambiare opinioni ognuno “vomita” in faccia all’avversario le proprie ragioni. L’intransigenza porta a operare scelte emozionali che non sono buone consigliere, per questo motivo in Italia non riusciamo ancora oggi a discutere per adeguare alle direttive europee e all’Europa una legge vecchia di 17 anni. Le direttive vengono applicate solo per la parte che riguarda i divieti, mentre quando permettono la caccia con aperture e chiusure differenziate per specie non si rispettano mai. Anche la parola conservare assume per gran parte dell’ambientalismo-animalista italiano un solo significato, chiudere

la caccia, quasi che la connessione tra conservazione e caccia fossero in antitesi e non complementari. È vero che anche nel nostro mondo parlare di conservazione di ambienti naturali, biodiversità e protezione della fauna selvatica, molte volte viene interpretato come un discorso fatto da un ambientalista e non da un cacciatore. Un fatto è certo: non risolveremo i problemi rimbalzandoci addosso le colpe, ma vanno affrontati e approfonditi con conoscenze tecnico-scientifiche per trovare soluzioni che non possono mai essere assolute, ma ricercate e costruite su proposte condivise. Dovremo tutti parlare meno e agire più sul territorio, proponendo una caccia al passo con i tempi e riservando una particolare attenzione a quella alla migratoria per la delicatezza che riveste. Dovremo pertanto prestare il nostro impegno, la nostra opera in quello che sappiamo fare, che facciamo tutti i giorni nel campo dei censimenti, del moni-


un Ufficio per la migratoria

Le esperienze tecnico-scientifiche delle settoriali Fidc, Acma e Ucim, verranno coordinate e diffuse a livello nazionale da un’unica struttura. Il responsabile sarà il vicepresidente nazionale Lorenzo Carnacina toraggio delle migrazione, della difesa degli habitat naturali, producendo esperienze e dati con una rete di rilevatori nazionale, mettendo poi quanto raccolto a disposizione delle istituzioni pubbliche per aiutare gli uffici preposti nelle decisioni in materia di leggi e di calendari venatori. In Europa queste attività vengono già effettuate dai cacciatori. L’Ue ha confermato la piena legittimità della caccia sostenibile agli uccelli selvatici ai sensi della Direttiva 79/409, la Commissione Europea sta collaborando con i cacciatori e con gli ambientalisti (Face, che raggruppa 36 associazioni venatorie per un totale di 7.600.000 cacciatori; Birdlife, un insieme di associazioni ambientaliste che raggruppa più di 2.500.000 di soci). Nell’Ue c’è la piena consapevolezza che la tutela della biodiversità e la protezione della natura non saranno mai efficaci senza l’appoggio della varie parti interessate, e i cacciatori sono una di queste. Incentivando a

mantenere e migliorare molti habitat importanti, le siepi e i bordi dei campi coltivati vengono gestiti a vantaggio della piccola selvaggina, gli stagni dell’entroterra, le zone prative umide e le paludi costiere salmastre a vantaggio degli uccelli acquatici. Vi sono già esperienze pratiche al riguardo. Sì, e vanno portate a livello nazionale. Penso a quelle maturate nella migratoria acquatica, alle iniziative che da oltre un decennio stiamo portando avanti con Stefano Simeoni, presidente Acma, e Michele Sorrenti, responsabile dell’Ufficio ricerche Acma: il monitoraggio degli acquatici in varie parti d’Italia, dal Delta del Po alla Calabria, alla provincia di Caserta, anche con incarichi di enti pubblici; la ricerca sulla struttura di popolazione e il successo riproduttivo attraverso la raccolta delle ali; quella sugli abbattimenti; una costante azione di difesa tecnico-scientifica di questa caccia attuata a livello regionale, pro-

vinciale e nazionale che ha portato a molti risultati positivi. Che compiti avrà l’Ufficio? Per la gestione della caccia in generale, e in particolare per quella alla migratoria, risulta indispensabile un approccio tecnico-scientifico: non è pensabile di confrontarsi con politici, amministratori, agricoltori, ambientalisti e opinione pubblica senza argomentazioni scientifiche e tecniche. Risulta ormai evidente che su un tema che ha dimensioni di interesse nazionale ci deve essere un Ufficio nazionale che ne coordini le iniziative. Questa materia complicata deve essere gestita con conoscenza, cognizione di causa, preparazione. Il controllo delle popolazioni avviene o dovrà avvenire tramite prelievi per specie, su un determinato territorio per una stagione di caccia, come già da anni stanno facendo con buonissimi risultati gli amici cacciatori francesi. La caccia nel terzo millennio si esercita con un approccio di conoscenze scientifiche oltre che legislative. 17


VEDUGGIO, DISTRUTTA SEDE CACCIATORI “Cacciatori bastardi e brutti, voi che sparate agli uccelli divertitevi a pulire”: questa la scritta lasciata sulle macerie di una minuscola costruzione distrutta da vandali nel quagliodromo di Veduggio (Mi), un impianto sportivo dove ogni domenica si radunano alcune centinaia di cacciatori con i loro cani per fare gare senza peraltro l’uso delle armi. “I danni compiuti da vandali ammontano ad almeno diecimila euro. - ha detto il presidente dei federcacciatori di Veduggio, Giovanni Ciceri - Non comprendiamo il perché di un’azione tanto devastatrice e inutile ai danni della collettività”. Il quagliodromo di Veduggio, infatti, la domenica è meta anche di persone che nulla hanno a che fare con la cinofilia agonistica, e le quaglie liberate restano poi sul terreno. I vandali hanno infranto tutte le vetrate della costruzione, rotto i frigoriferi e sparso il contenuto sul pavimento, strappato i fili della luce, spezzato i tavolini e divelto le porte. Di recente un gruppo di sedicenti anticaccia aveva provocato danni per oltre 15mila euro ad un allevamento di selvaggina in Brianza. “È un autentico atto di violenza, ancor più grave perché gratuito ed ingiusto. - ha detto il presidente della Sezione provinciale Rodolfo Grassi - Il quagliodromo di Veduggio è stato spesso teatro di manifestazioni in cui sono stati raccolti fondi per partecipare ad iniziative filantropiche. Ed anche questo dimostra la stupidità di un atto di cui speriamo ne siano presto rintracciati gli autori”.

Questo salto di qualità ci permetterà di diventare gestori delle risorsa e, per quanto riguarda il nostro Paese, anche di discutere sui tempi e gli orari di caccia senza pregiudiziali, dato che l’Unione, se da un lato impone delle limitazioni, offre anche la possibilità di cacciare la migratoria per specie con tempi ed orari diversi. Le esperienze maturate dalle settoriali dell’Ucim col presidente Romualdo Cirò e da te Romanelli come ricercatore sulla caccia alla migratoria di terra, e quelle dell’Acma sulla migratoria acquatica saranno unite in un Ufficio che, mantenendo le origini e il patrimonio di ognuna, ne coordini le iniziative. Saranno preziosi pure gli input di “Amici di Scolopax” e del “Club della

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beccaccia”. Anche l’Ekoclub con il prof. Mario Spagnesi si e dichiarato disponibile in materia di aggiornamenti, comunicazione, formazione. A questo riguardo potremo benissimo utilizzare la bellissima struttura dell’Oasi di Cannevié (Fe). Ho già avuto alcuni incontri sia di persona che telefonici, e devo dire che ho trovato tantissima disponibilità e grande entusiasmo per l’iniziativa. Quanto prima ci troveremo a livello nazionale per stabilire un programma e iniziare ad essere operativi. Nutro inoltre la speranza che l’ex vicepresidente Italo Fanton faccia parte del gruppo, la Fidc ha bisogno della sua indispensabile competenza in materia giuridica e di conoscenza e applicazione delle direttive Europee.

Quali sono le ipotesi di lavoro? Con Michele Sorrenti abbiamo delineato tre aree: Culturale ed educativa per l’aggiornamento dei quadri direttivi Federcaccia e dei propri associati; Ambientale, per la conservazione degli ambienti naturali; Tecnico-scientifico-giuridica (analisi dati di pubblicazioni scientificoornitologiche, interpretazione ed elaborazione nel quadro della caccia in Italia; pianificazione e coordinamento di ricerche proprie eseguite con la collaborazione dei cacciatori e l’eventuale consulenza di esperti esterni al mondo venatorio; confronto su basi tecnico-scientifiche con mondo politico, istituzionale, agricolo e quella parte del mondo ambientalista disponibile al dialogo; assistenza, aggiornamento direttive, deroghe, legislazioni europee e nazionali). Le prime due aree rappresentano le strategie per la trasformazione dell’immagine del cacciatore da “prelevatore” a “conservatore”. Le attività della terza hanno una finalità di partecipazione, collaborazione, preparazione e supporto per la promulgazione di leggi e regolamenti nazionali, regionali, provinciali e degli Atc, oltre all’emanazione dei calendari venatori e alla collaborazione con la Face e l’Ue. Dalle parole di Carnacina emerge un grande impegno a favore di una caccia legata sempre più alla ricerca, e con il punto fermo delle tradizioni e della conservazione degli habitat.

Carlo Romanelli



Caccia riaperta nei pantani della Sicilia sud orientale

ei pantani della Sicilia sud orientale, per la parte che riguarda la provincia di Siracusa, è possibile andare a caccia. La notizia non ha solo riflessi locali, ma sta a testimoniare che, con argomentazioni scientifiche e istituzioni scevre di pregiudizi ideologici, è possibile ribaltare gli effetti di un proibizionismo spesso privo di fondamento. Questo risultato è stato il frutto di un lavoro cominciato all’indomani della pubblicazione del Calendario venatorio siciliano 2009-10, che ha coinvolto moltissimi soggetti, tra cui l’AcmaFidc che ha fornito un documento dettagliato. Il testo esordisce con la descrizione delle aree interessate, che sono un complesso di zone umide situate

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nelle province di Siracusa e Ragusa, costituito da 6 aree umide: pantano Cuba, pantano Longarini, pantano Bruno, pantano Baronello, pantano Auruca, salina Morghella. La caccia agli uccelli acquatici è un’attività tradizionale in queste zone. La dimensione di queste aree consente di praticare la caccia da appostamento tradizionale con uso di stampi e richiami vivi, ovvero una forma di caccia tipica, corretta e controllabile. La prima questione a cui risponde lo studio Acma è se la caccia sia un elemento negativo per l’anatra marmorizzata e la moretta tabaccata. Le tesi a favore della caccia sono: l’anatra marmorizzata (Marmaronetta angustirostris) ha nidificato per la prima volta in Sicilia nel 2000 in pro-

vincia di Trapani al pantano Leone, quando questo era un’area aperta alla caccia; la specie è giunta nell’area quando la caccia era già terminata (aprile) e ha successivamente nidificato, sempre in periodo di caccia chiusa; frequenta le aree umide siciliane in modo quasi esclusivo quando non si caccia; nella prima stagione venatoria successiva alla nidificazione la caccia era aperta, ma nell’anno 2001 la marmorizzata tornò a nidificare al pantano Leone; la specie non è più stata presente dopo l’anno 2004, ovvero dopo 3 anni in cui la caccia è stata chiusa nell’area, ma da informazioni ottenute da un dottore in Scienze naturali abitante in zona, essa è stata allontanata dalla presenza di pastori e cani randagi lungo le sponde del la-


go, ovvero da fattori estranei al divieto di caccia; secondo un parere dell’Ispra la specie ha frequentato e ha nidificato nei pantani della Sicilia sud orientale, ovvero ancora una volta in aree di caccia aperta e per stagioni consecutive di caccia aperta. Per tutte queste ragioni “si può quindi concludere - si legge - che la caccia nei pantani della Sicilia sud orientale non è stata un elemento negativo per l’anatra marmorizzata, sia per la sua iniziale colonizzazione dell’area, sia per il suo ritorno in zona nelle annate successive”. Per la moretta tabaccata (Aythya nyroca), si afferma che la specie nidifica e sosta da molti anni nei pantani della Sicilia sud orientale, ovviamente in dipendenza delle condizioni idriche dei bacini, soggetti ad essiccamento estivo in caso di primavere ed estati siccitose. Quindi, la caccia aperta in queste zone umide non ha prodotto decremento della specie che, al contrario, continua anno dopo anno a scegliere i pantani della Sicilia sud orientale per sostare e nidificare, similmente a quanto accade al pollo sultano (Porphyrio porphyrio), che da alcuni anni ha colonizzato i pantani, sempre durante stagioni di caccia aperta, non soffrendone in alcun modo. Dopo queste considerazioni, la settoriale Fidc fornisce degli spunti di riflessione generale. Innanzitutto viene citato il principio guida sulla

conservazione delle zone umide (The Ramsar Convention ManualRamsar Convention Bureau 1994): “L’uso sostenibile delle risorse ed il coinvolgimento delle popolazioni locali sono i fattori chiave per il successo di qualsiasi iniziativa di conservazione delle zone umide”. Ne consegue che solo l’utilizzo delle risorse naturali (incluse la caccia e la pesca) consente

Con argomentazioni scientifiche e istituzioni scevre di pregiudizi ideologici, è possibile ribaltare gli effetti di un proibizionismo spesso privo di fondamento. Il ruolo dell’Acma-Fidc il coinvolgimento delle popolazioni locali e l’accettazione della zona umida come elemento naturale da mantenere e conservare nel tempo, e qualsiasi iniziativa che penalizzi le tradizioni locali diventa una minaccia per la sopravvivenza stessa della

zona umida e dell’avifauna che la popola. Inoltre, a breve distanza da questo comprensorio di zone umide esistono la Riserva naturale di Vendicari, il biviere di Lentini, le saline di Priolo, le saline di Augusta, le saline di Siracusa, il biviere di Gela, la foce del fiume Irminio (tutte aree a divieto di caccia), in cui trovano rifugio migliaia di uccelli acquatici che sostano indisturbati. Ciò rende i pantani della Sicilia sud orientale l’ultimo comprensorio di aree umide oggi aperte alla caccia, in uno scenario di zone circostanti tutte chiuse alla caccia. Il documento si conclude con quattro proposte: apertura della caccia nei pantani della Sicilia sud orientale posticipata al 15 ottobre; organizzazione, da parte dell’Ufficio ricerche Acma in collaborazione con le Ripartizioni e la Regione Sicilia, di serate di sensibilizzazione e istruzione dei cacciatori sulle specie in questione, da realizzare in loco; in alternativa, chiusura del solo pantano Bruno in Comune di Ispica, in quanto si tratta dell’unico sito che mantiene l’acqua durante l’estate, anche quando gli altri si asciugano; studio per le prossime stagioni di un regolamento particolare per la caccia nei pantani, redatto in collaborazione con l’Ufficio ricerche Acma.

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L’importanza di fornire ed elaborare i dati sugli abbattimenti

DIAMO I NUMERI! È uno dei temi centrali della caccia moderna, che non può basarsi su norme astratte, ma deve partire dalla reale consistenza faunistica

introduzione del concetto del controllo dei capi abbattuti nasce negli anni ’70, con il tesserino regionale venatorio, sul quale il cacciatore annota l’uscita e i capi catturati, ma è solo con l’avvento della legge 157/92, che introduce i concetti fondamentali di legame cacciatore-territorio e di caccia programmata, che quello che un semplice strumento di controllo diviene elemento di valutazione e potenziale strumento statistico di maggiore importanza. Considerare la selvaggina una risorsa infinita è stato il grande errore che ha caratterizzato il periodo compreso tra gli anni ’50 e ’70: il nuovo benessere economico, la mobilità data dal boom automobilistico e la convinzione che l’immissione di selvaggina d’importazione potesse bilanciare il prelievo operato hanno concorso a questa visione poco lungimirante e superficiale. Oggi ci si accosta con atteggiamento più responsabile e scientifico alla fauna selvatica, e la raccolta dei dati reali sui capi abbattuti diviene un elemento strategico, oltre che un ritratto fedele della realtà, indispensabile per sciogliere leggende ed esagerazioni da parte del mondo anticaccia, che della scarsa informazione approfitta largamente. Per la migratoria, in un Paese come il nostro, carente di osservatori ornitologici operativi a tempo pieno, i dati su specie abbattute, periodi e luoghi di cattura forniscono informazioni insostituibili, che possono costituire supporto al mondo scientifico anche per modifiche di calendario e

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richieste di deroghe. Decisiva è sempre l’elaborazione dei dati, ovvero il confronto tra capi effettivamente abbattuti e consistenze teoriche, tra previsioni e risultati concreti, che a volte non coincidono, ma forniscono in ogni caso un elemento oggettivo di valutazione. In Zona Alpi, ad esempio, dove i censimenti sono estesi alla fauna pregiata alpina (coturnice, forcello, bianca, lepre variabile) il riscontro dei capi abbattuti è un elemento nodale: in molti Ca se a metà stagione non si raggiunge almeno il 50% degli abbattimenti previsti, la caccia può essere sospesa, considerando la consistenza faunistica troppo a rischio. Ovviamente per arrivare ad una trasparenza effettiva dei dati occorre una gestione corretta: è inutile sapere quanti capi sono stati catturati negli Atc, se molti di questi, in spregio alla legge nazionale, insistono nei “lanci programmati” (fino a 3 per stagione!) per garantire a ciascuno un fagiano in padella! Nella caccia di selezione le informazioni sul prelievo sono molto complete, ma non sempre se ne fa buon uso. I selecontrollori perdono ore nei centri di controllo misurando peso, lunghezza del garretto, altezza al garrese, visionando tavole dentali e trofei, ma le schede compilate finiscono per lo più in polverosi magazzini, anziché essere trasferite velocemente in database appropriati: si salvano i dati grossolani, ma si perdono informazioni preziose. Il coordinamento e l’elaborazione dei dati raccolti sono e saranno sempre più alla base della pianificazione venatoria.

Alcune Regioni lavorano già in questa direzione e pubblicano annualmente i dati sugli abbattimenti, ma manca un coordinamento nazionale che permetta una leggibilità ragionevole, soprattutto per quanto riguarda i migratori che sono patrimonio transnazionale. Nel futuro prossimo, il cacciatore deve divenire la fonte d’informazione decisiva dal passeriforme al cervo, dalla valutazione della consistenza all’abbattimento. Si partirà dal semplice dato numerico, integrandolo con note sulla specie, sul suo stato di salute, le peculiarità e le anomalie comportamentali e alimentari. Di tutto questo, finora, ci si è occupati poco e quasi solo per passione nell’indifferenza delle istituzioni, per cui questo lavoro è considerato perdita di tempo. È tempo di invertire la tendenza e investire in personale sempre più preparato nel settore faunistico pubblico, ma anche all’interno delle stesse associazioni venatorie, la cui funzione di avanguardia nella crescita ed educazione del cacciatore deve essere valorizzata sempre più. I numeri li possiamo fornire già, la competenza per elaborarli la stiamo costruendo.

Alex Guzzi


Lo star-system riconosce all’attività venatoria una funzione riequilibratrice

rosegue la nostra indagine tra i vip sulla caccia, e piacevolmente spunta qualche sì. Certo, sono sì condizionati, ma sono sempre un primo passo verso il rifiuto di una demonizzazione della caccia sempre e comunque. E mostrano anche come l’affermazione di un’attività venatoria sempre più strumento di gestione stia facendo breccia in quelli che possiamo definire “opinion maker”. C’è il conduttore Alessandro Di Pietro, che condivide la caccia solo se “bioregolatrice”, o Beppe Braida che non sopporta la caccia come attività sportiva, ma la accetta quando è necessaria. Dello stesso parere anche Barbara Chiappini che, nonostante l’amore che prova per gli animali, la trova giusta quando è necessario al riequilibrio ambientale. Dello stesso parere anche l’attrice Nathalie Caldonazzo, che deplora la violenza gratuita sugli animali, ma condivide l’eventualità di salvaguardare l’ambiente con l’abbattimento di unità in esubero.

Barbara Chiappini

Alessandro Di Pietro

P

smo, considero giusto aver dato alla caccia uno spazio più ampio, ma purché la si eserciti in maniera giusta.

BEPPE BRAIDA

comico Sono contrario alla caccia come attività sportiva, mentre sono favorevole quando l’abbattimento di unità in esubero di cinghiali può evitare il danneggiamento di altre specie o coltivazioni. Quindi sì all’arte venatoria quando è strettamente necessaria.

BARBARA CHIAPPINI

Beppe Braida

showgirl Sono contraria alla caccia per l’amore smisurato che provo per gli animali. Ma ritengo che il nostro pianeta, già molto malato, ha bisogno di un riequilibrio, e quindi se la caccia diventa necessaria per regolare l’ecosistema sono favorevole.

NATHALIE CALDONAZZO

ALESSANDRO DI PIETRO

conduttore televisivo Sono favorevole alla caccia soltanto quando svolge una funzione bioregolatrice, quindi soltanto quando è strettamente necessaria. Dopo anni di ostraci-

Nathalie Caldonazzo

attrice Sono contro il fanatismo, la violenza gratuita nei confronti degli animali, ma sono favorevole all’abbattimento di specie animali quando diventa necessario per la salvaguardia dell’ambiente.

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I sì sono condizionati, ma sono pur sempre un primo passo verso il rifiuto di una demonizzazione della caccia sempre e comunque 23


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Arriva dalla Francia una novità che farà discutere

La pratica del “No kill” (non uccidere) viene adottata da molti beccacciai d’oltralpe. Immaginiamo come potrebbe essere una battuta senza fucile, ma con il flash-ball ento spesso dire che il sogno di molti beccacciai è di poter ridare vita all’oggetto del loro desiderio e lasciarlo ancora volare. Per quanto mi riguarda, non mi è necessario uccidere tutte le beccacce che incontro in un giorno di caccia. Evito così anche dal farmi prendere da questo rimorso-rimpianto di non poter ridare loro la vita. Fra l’altro, ai miei cani servono selvatici vivi e non morti. Ma se sparo e colpisco, quello che prendo voglio tenermelo e, nella contemplazione di quella beccaccia bene in vista sul

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tavolo del mio studio, torno più volte a rivivere l’evento. E penso che sia ancora per questa stessa spinta che non mi do pace se ho abbattuto un animale e non mi riesce di averlo tra le mani subito dopo lo sparo. Dunque, sono uno di quelli che non sognano di ridare la vita alla beccaccia sparata. Mi trovo invece molto incuriosito da una particolare versione di caccia che lascia continuare a vivere la beccaccia o qualsiasi altro animale dopo essere stato perfettamente… centrato. La pratica del “No kill” (non uccidere), che si va sviluppando in

Francia soprattutto presso i beccacciai e i cacciatori di grossi selvatici, ha fatto la sua apparizione nello stesso tempo in cui una società ha messo a punto la famosa arma flashball, strumento sbalorditivo di difesa che proietta a forte velocità una palla di gomma morbida che si deforma all’impatto col bersaglio. La pubblicità su quest’arma, che spara e colpisce senza uccidere, ha sedotto quei cacciatori che privilegiano l’atto di caccia piuttosto che il carniere. Anno addietro, ricordo, ne parlò in Francia “La revue nationale de la chasse” con un articolo di


Antoine Breton. Ma proviamo a vedere la scena. Il cacciatore è piazzato di fronte alla sua setter tricolore schiacciata nelle felci del sottobosco. Se Bora ferma così, nessun dubbio: una beccaccia deve essere là, o almeno ci dovrebbe essere stata fino a poco fa. Il cacciatore tiene a due mani il flash-ball, le due canne leggermente montanti, diametro 44 mm: è un’arma estremamente maneggevole grazie a un’impugnatura che si adatta bene alle esigenze di chi la deve usare. Il cacciatore di beccacce è pronto e incoraggia il cane: “Dai Bora, dai”. E tutto accade proprio come nella caccia cacciata. L’involo dell’uccello sorprende entrambi, cacciatore e cane. La beccaccia s’impenna, sale a candela, quasi avvitandosi lungo la verticale di uno svettante ontano. La detonazione riecheggia due volte, pari a quella prodotta da un cal. 12. Due palle in successione tempestiva proiettate in aria, che sfiorano lei che è in cima alla colonna. L’uccello fugge senza reclamare resto, tanto che Bora guarda il padrone di traverso con aria di condanna. Ha diritto di attenuanti, il padrone: non è neanche un mese che si è lanciato in questa pratica, che il più delle volte, tra l’intrico, richiede una pazienza di santo e movimenti da Sioux per piazzarsi in posizione favorevole e il più vicino possibile all’animale. Cosicché la tricolore, questa volta, deve proprio scusarlo, il suo comprimario padrone, se si è palesato maldestro. Bisogna considerare che la traiettoria di questa palla di caucciù si mantiene completamente corretta per una quindicina di metri e dopo devia la sua corsa a causa della perdita di energia. Ma la cosa non andrà sempre così. La volta dopo, all’impatto con il proiettile, sua maestà compie in aria uno scarto inequivocabile e, raddrizzato il volo, fila via veloce. Il nostro beccacciaio ha chiaramente

toccato. Si gira col pollice eretto mostrando orgoglio. Se sono bene informato, non esiste ancora un’associazione specialistica del “No kill”. Esistono piuttosto degli appassionati che trovano in questa pratica un mezzo originale per conciliare la loro passione venatoria col non togliere la vita all’animale profondamente amato. Ma, ci si chiede, questa forma di caccia imprimerà un’evoluzione profonda e durevole alla nostra passione? L’articolista citato riferisce al riguardo che mr. Brent Losey-Etirtaw, presidente della sezione “No kill” della potente Associazione canadese dei cacciatori e pescatori, ha confermato lo sviluppo rapido di questa caccia, specialmente sul loro nobile caribù e la ptarmigan, una pernice delle nevi che lì vive. E certi cacciatori sperimentano proiettili meno potenti della palla di caucciù, preferendo una palla di plastica piena di una pittura che si rompe al contatto con l’obiettivo, rilasciando il contenuto sul bersaglio. La flash-ball viene molto esportata dalla Francia verso il mercato americano, dove ha prima incontrato successo presso il grande pubblico in quanto arma di difesa, ma si sa che ora viene anche utilizzata dai cacciatori. C’è chi si domanda se la caccia “No kill” servirà anche a reclutare cacciatori tra coloro che non hanno simpatia per le armi a munizione vera. E c’è chi si chiede pure se gioverà a mettere l’animo in pace a qualche esagitato anticaccia o se, in mancanza di altro appiglio, salirà agli onori della gloria la solfa del disturbo arrecato alla fauna. Tutte cose semmai da verificare nel tempo. Ma intanto pensate al diletto di andare per beccacce, e per altri selvatici, e tenersi sul territorio vivi e vegeti gli animali.

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Alla ricerca dei posti più frequentati dal piccolo migratore

differenza di quel che accadeva fino a pochi anni fa, le quaglie mostrano ora una certa pigrizia ad abbandonare le terre del Sud. Capita quindi sempre più spesso di incontrarle anche quando la stagione autunnale è molto avanti, fin quasi alle porte dell’inverno. Non si tratta però di selvatici che hanno allargato i loro quartieri di svernamento, tant’è che durante l’inverno non è ancora capitato di levarne qualcuna, salvo qualche rara eccezione che non fa regola. Si tratta, più probabilmente, di selvatici che allungano la permanenza al di qua del Mediterraneo, e rimandano il gran balzo scendendo lungo la Penisola

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con ritardo rispetto al passato e con minor fretta, concedendosi più tappe e più lunghe fermate tra una tappa e l’altra durante il loro volo migratorio verso sud. Qualcosa certamente sta cambiando nelle abitudini del selvatici migratori, specialmente di quelli che hanno i loro quartieri di svernamento nei Paesi tropicali ed equatoriali e, d’estate, risalgono verso nord per cercare terre più fresche per attendere alla faccende della riproduzione durante la stagione estiva. Sarà vero che il deserto avanza? Questo lasciamolo stabilire ai meteorologi. A noi sta solo di registrare un fenomeno che non è più ormai episodico, che, cioè, non

ha più il carattere dell’eccezionalità perché si ripete con una certa regolarità da un po’ di tempo a questa parte. Fino ad una decina d’anni fa, infatti, nessuno si sognava di allungare la stagione delle quaglie oltre la fine di settembre: quasi nulli gli incontri, rare le stoppie ancora in piedi dove andarle a cercare. E così tra la chiusura della stagione a quaglie e l’inizio di quella a beccacce che non cominciava che a fine ottobre, il passatempo era per tutti un’allodolata o qualcosa d’altro. Oggi invece sono sempre più numerosi quelli che tra l’ultima quaglia e la prima beccaccia non devono più frapporre quel lasso di tempo di un mese, che li vedeva girovagare senza precisi obiettivi per la campagna per spigolare selvatici ai quali ci si dedicava accidentalmente, giusto per riempire il tempo tra la partenza dell’ultima quaglia e l’arrivo della prima beccaccia, o anche giusto per tenere in esercizio i cani in vista delle fatiche invernali. Le speranze di trovare le quaglie ancora ad ottobre e a novembre sono assai fondate, e trovano riscontro nel numero di catture che ancora si può fare e si fanno in questi periodi. È evidente, però, che in questo periodo bisogna aggiustare il tiro, e non mi riferisco a quello con lo schioppo, ma piuttosto ai luoghi dove cercare le quaglie e alle strategie di caccia da adottare. In autunno, infatti, non si può pensare di disporre di quelle stoppie così estese nei granai del Sud, perché ormai ogni seminativo è arato e di nuovo pronto per dare la vita ai grani dell’anno che verrà. Bisogna così andarsi a cercare quelle lasciate in piedi da chi non ha avuto né il tempo né la voglia di bruciarle o ararle, perché magari vuol lasciare il campo a maggese o farvi pascolare ancora un po’ gli armenti, specie se le piogge di fi-


ne estate hanno rinverdito le stoppie di freschi e teneri germogli. Ma queste sono poche. Meglio puntare sugli incolti, primi fra tutti le depressioni nelle quali proliferano molte specie di graminacee, terreni che non vengono mai dissodati perché non si prestano ad allevare alcunché di buono, in quanto d’inverno sono sempre acquitrinosi: è questo l’incolto che al Sud chiamano “faloppa” (un intrigo di graminacee filiformi). Ottimi poi sono i prati naturali di alta collina lasciati alle erbe spontanee non solo per esigenze di pascolo, ma anche perché inadatti per orografia a colture da reddito. Eccellenti sono poi i poco elevati altopiani delle aree carsiche: terreni pietrosi dall’aspetto pseudosteppico, mai violati da un aratro, dove un manto di erbe sec-

che che ha concluso il suo ciclo vitale si offre con una dispensa piena non soltanto di semi, ma pure col suo carico di piccoli insetti che la quaglia non disdegna di mangiare, perché sa che deve far scor-

In questa stagione possiamo trovare qualche ritardataria tra gli incolti, i prati naturali di alta collina, i terreni dunali prossimi al mare ta di energia per il viaggio di ritorno. Sono ancora relativamente numerosi quelli sfuggiti alla parcomania nelle terre d’elezione di questi ambienti, e cioè nella parte

centromeridionale della Puglia, nelle terre garganiche e a nord della Basilicata. Ottimi anche i terreni dunali prossimi al mare e vestiti di macchie basse e assai rade, e di erbe. Qui si può avere anche la sorpresa di un buon concentramento di quaglie che sono pronte a spiccare il balzo finale. Un’accortezza che si deve avere cacciando la quaglia d’autunno è di non darsi fretta nel menare i cani nei terreni, stoppie o incolti che siano: la maggiore umidità del mattino che la frescura condensa sul terreno e sulle erbe non agevola certo il lavoro dei cani. Meglio quindi aspettare che il sole si sia levato ed abbia asciugato un po’ tutto: quell’oretta di tempo che s’è persa sarà compensata da una ricerca più proficua.

Vito Buono

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La poesia del capanno nei richiami del fringuello

IL CANTO PIÙ BELLO

ella nostra memoria di cacciatori c’è sempre posto per qualcosa di speciale. Una rastrelliera annerita, qualche fucile, un seggiolino scomodo dove aspettare il giorno, l’odore delle cartucce appena sparate... È il nostro ottobre di giornate sempre uguali e sempre diverse, fatte di sguardi che escono da una feritoia, è la poesia dei canti e dei silenzi, degli zirli e delle primavere. La musica di un merlo sembra riempire l’aria fresca della campagna... e poi tordi... sasselli, lo schiamazzo delle cesene. Sono loro i protagonisti di questa nostra caccia, figlia dell’uccellagione, che si inizia da piccini quando si impara a conoscere la varietà dei canti degli uccelli, i suoni della natura; ed assieme a questi i colori che fanno un selvatico diverso da ogni altro, il rosso dell’alba e quello della sera. Capisci che il capanno è un’orchestra che ti piace ascoltare e dove ciascuno ha un proprio ruolo, un proprio posto assegnato… le giornate ti sembrano troppo brevi, le albe troppo veloci… una sinfonia che hai conosciuto ancora più completa. Sì perché i tordi non erano i soli protagonisti. In una batteria che si rispetti primeggiava la varietà dei fringuelli, dal “Boschereccio” al “Francesco mio”, ed è proprio questo grazioso uccelletto che garantiva il maggior numero di catture. Il canto del fringuello è uno dei più belli che si posso-

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Dal “Boschereccio” al “Francesco mio”, in ogni luogo i cacciatori avevano battezzato la strofa finale del verso di questo grazioso uccellino

no ascoltare nella nostra campagna. Studiosi come Alfred Edmund Brehm e letterati del calibro di Alberto Bacchi Della Lega lo stimavano moltissimo, dedicando splendide pagine alle differenti varietà canore: “I dilettanti della Turingia e dell’Ercina, dell’alta Austria sono famosi per le loro cognizioni in questa materia, come i nostri uccellatori di Romagna: essi distinguono diciannove versi: noi, meno dotti, sette soltanto. Un verso, il più comune lo chiamiamo Francesco mio, perché l’uccello terminandolo sembra che dica in fretta, ma chiaramente quelle due parole; un altro lo chiamano Barbazio; un altro Cescrio, e battezziamo poi col nome del verso il fringuello che lo possiede. Ad un certo musico diam titolo di Ribaltone, dal modular a sbalzi il canto, dal ribaltar le note; ad un altro di striscione, dallo strisciar le battute; ad un altro ricercatissimo di Monte Giove; ad un altro di Boschereccio, che è un Francesco mio più corto e strapazzato”. In ogni luogo i cacciatori avevano battezzato la strofa finale del canto di questo grazioso uccellino. Meno preparati dei romagnoli, i carraresi nella strofa finale riuscivano a distinguere le parole “bella mia ti vedo”, quasi una dichiarazione d’amore fatta da questo uccellino alla propria amata. O forse, una loro dichiarazione per questa caccia che rischia di essere dimenticata rendendo la poesia del nostro capanno un poco più povera.

C.R.



Migrazione autunnale e caccia del tordo comune

IL BOTTACCIO DEI DESIDERI

Preda molto ambita sia per la difficoltà del tiro, sia per la bontà delle sue carni, è il protagonista dei flussi migratori che interessano il nostro Paese

er i migratoristi il tordo risulta una preda molto ambita sia per la difficoltà del tiro, sia per la bontà delle sue carni. Direi da sempre: nel 1622 Giovanni Pietro Olina scriveva, nella sua opera “Uccelliera”, “Essendo il tordo buono per cantare e per servizio della tavola, merita che di lui, ben che abbastanza noto, se ne scriva quel più che se ne sa”. Anche per questo siamo qui. A queste due antiche sue caratteristiche aggiungiamo anche il fascino della migrazione, in particolare quella autunnale. Parliamo qui soprattutto della specie di tordo più frequente nel nostro Paese, il tordo comune o bottaccio, di gran lunga il più presente come dice il suo nome. Poi, come è noto, vi sono il sassello, più piccolo e con le sottoali rossicce, la cesena e la tordela, più gran-

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de e anche nidificante in alcune località, ed altri tordi rari o rarissimi di origine siberiana. È noto da tempo che la migrazione autunnale del tordo comune avviene su un fronte molto largo: ad esempio le catture di uccelli inanellati nella stazione ornitologica di Rossitten (Germania) sono avvenute in autunno in luoghi molto distanti tra loro, ad ovest in Portogallo e nelle Baleari, ad est in Tunisia, con numerose catture ovviamente in Francia ed Italia settentrionale, lungo una larga via di migrazione definita “Centro-europea o germanica”. Per l’Italia centrale e meridionale vi sono invece frequenti catture di tordi inanellati in stazioni dell’Europa orientale che dimostrano l’esistenza, per tali regioni italiane, di una via di migrazione più ad est della precedente, chiamata “Carpatico-danubiana”. Anche circa i tempi della migrazione vi sono differenze: dai dati esistenti si nota che il passo è più precoce nell’Italia settentrionale, ad iniziare dalla fine di settembre, mentre risulta più ritardato nelle regioni centrali e meridionali, dove giungono contingenti migranti fino a novembre inoltrato. Ovviamente, occorre stare attenti e cercare di distinguere il “passo” vero e proprio da Paesi a nord o nord-est dell’Italia dai frequenti e normali “spostamenti” tra collina, pianura e zone litoranee, che avvengono per questa e tante altre specie in funzione di


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variazioni climatiche e ancor più della scarsità del cibo preferito. Appare certo che i tordi, una volta giunti nelle nostre regioni, si spostano mano a mano che scarseggiano, oppure maturano, i frutti (vedi le olive) e le bacche da loro desiderate (mirto, lentischio, corbezzolo, ginepro, edera ecc.). È anche ovvio che i movimenti dei tordi avvengono anche in funzione del disturbo e del prelievo venatorio eccessivo: il tordo, come tutti gli uccelli migratori, tende ovviamente a lasciare le zone ove si spara troppo senza un necessario e adeguato “riposo”, e che in queste occasioni il cibo conta ben poco. Non dimentichiamolo mai. Il passo autunnale del tordo sassello si verifica In Italia con almeno quindici o venti giorni di ritardo rispetto alle date medie di regolare arrivo del tordo comune: generalmente l’arrivo dei sasselli significa, per gli appassionati, il progressivo esaurirsi della migrazione autunnale del tordo bottaccio e annuncia l’imminente arrivo, con i primi freddi intensi, delle cesene. Ancora per la migrazione post-nuziale del tordo bottaccio, nel nord Italia risulta di notevole interesse la consistente attività dell’Osservatorio di cattura e inanellamento di Arosio (Co), ad opera del Fein, ossia la Fondazione europea “Il Nibbio”. Dal mio diario di caccia, svoltasi per i tordi in diverse regioni centrali italiane ma soprattutto in Sardegna, osservo che la percentuale di sasselli incarnierati è stata di circa uno a dieci rispetto ai comuni. Le cesene abbattute risultano pochissime, essendo le temperature delle zone da me frequentate, soprattutto in Sardegna, troppo alte per loro. Ho avuto la fortuna di effettuare importanti cacciate ai tordi nei numerosi oliveti dell’Isola, in particolare nella provincia di Oristano e nel Nuorese. Secondo i miei resoconti, i tordi arrivano e svernano più numerosi in queste zone rispetto agli oliveti pur numerosi del Cagliaritano, ovviamente con eccezioni per situazioni di cibo particolari, come sopra accennato. In particolare a Seneghe e Cuglieri ho avuto il massimo della soddisfazione e della varietà dei tiri: alle due si saliva verso l’alto, ossia verso le “poste” al limite dei fitti boschi dello splendido massiccio vulcanico del Montiferru, boschi ove tordi e merli rientrano in quantità a dormire, dopo le scorpacciate mattutine di olive, e il tiro al rientro è affascinante; si vedono i tordi da lontano avvicinarsi velocemente, e quando l’uccello giunge a tiro, a volte con il vento dietro, diventa una freccia e occorre tirare con grande anticipo. Meno male che da tempo è stato giustamente introdotto il limite dei capi abbattuti, oltre alla ben nota e saggia limitazione nei giorni, perché in questo modo i tordi restano per settimane avendo la possibilità di riposare ben bene tra una giornata di caccia ed un’altra.

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A caccia di beccaccini con il cane da ferma

Quando

il funambolico scolopacide emette il suo caratteristico verso, forse è già troppo tardi anche per prenderlo di mira. Cacciatori

e ausiliari

devono essere più furbi di lui er cacciare il beccaccino, il principe dei volatori che popolano i paduli, occorre poter disporre di un cane da ferma. Insegnare al neo cacciatore come si cacciano questi scolopacidi è cosa che può essere accettata, pretendere di insegnarlo ad un cane adulto è assurdo, perciò diremo che cosa il cane non deve fare. L’ausiliare che, appena messo piede in terra si avventa nel falasco improvvisando corse cronometriche, deve essere subito riportato nella cuccia. Il cane che allunga, ma che mantiene la ferma fino al sopragiungere del padrone, può anche essere tollerato. Spesso, però, sono i beccaccini a non tenere la ferma, perciò il cane deve sempre rimanere nei paraggi del padrone. Il beccaccino può trovarsi ovunque, anche ai piedi del cacciatore stesso, se il cane non si è ancora portato in quella direzione. Esso ama intrattenersi nel “segato”, tra cui ricerca larve e vermi che vivono nelle zone

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acquitrinose. Quando è in pastura, è solito spostarsi tracciando percorsi a forma di ferro di cavallo. Per questo suo strano modo di procedere, il cane, molto spesso, rimane sconcertato dalle tracce confuse e ravvicinate tanto da anticiparle. In questo caso il beccaccino può spiccare il volo alle sue spalle, prendendo in contropiede lo stesso cacciatore che nel frattempo ha seguito l’evolversi della situazione. Durante la cerca sono inutili i vari “toh”, “qui”, “vai là” e così via: se lo abbiamo addestrato a compiere certe operazioni, che fino ad ieri hanno dato risultati soddisfacenti, non occorre, ogni volta, salire in cattedra, ma bisogna lasciargli fare il suo mestiere, badando, noi, di fare il nostro quando è il momento di sparare. Quando il cane è fermo, è compito del cacciatore scegliere la posizione ideale. Non dimentichiamo che il beccaccino ha, momentaneamente, una chance in più nei nostri confronti: la sorpresa. A cane puntato

non è ammesso distrarsi, ma neppure rimanere rigidi e impietriti con le mani incollate sul fucile: chi prenderà il volo è un uccello, non un leone. Per quanto, in certi casi e con i “loggioni” che a distanza assistono sempre alla scena, si può affermare che lasci più il segno la padella ad un beccaccino che la zampata di un leone. Il tiro al funambolico scolopacide mette a dura prova anche il tiratore più provetto. Infatti, esso può levarsi, silenzioso, procedendo linearmente a forte velocità. Oppure, più frequentemente, si alza emettendo il classico “bacio” e, zigzagando a poche decine di centimetri dal suolo, in pochi secondi si porta nell’alto del cielo, prima ancora che il cacciatore abbia avuto modo di prendere la mira. Solo nel primo caso si ha la possibilità di sparare di stoccata, oppure lasciare che il selvatico si distenda. Ma non sempre esso si comporta così, perciò le “magre” figure sono all’ordine del giorno.


Incontrare i beccaccini “croccoloni”, oggi quasi scomparsi dalla scena venatoria, è sempre stato il sogno di tutti. Sono più grossi dei comuni beccaccini, e per il loro volo uniforme e lineare ci ricordano la beccaccia. Anche il “frullino”, parente più piccolo dei tre soggetti, ha un volo dritto, nonostante il nome che porta, e non presenta grandi difficoltà nel tiro, per quanto, in certi casi, possa indurre lo stoccatore a compiere inaspettati anticipi. Questo piccolo scolopacide dimostra un’astuzia inaudita, raramente riscon-

trabile nei selvatici. Dopo una fucilata andata a vuoto, si lascia cadere nel falasco come se fosse stato ferito, inducendo il cacciatore inesperto ad insistere in un’inutile ricerca nel luogo in cui è caduto. In realtà, quando questi frullini si ributtano a terra perpendicolarmente al terreno, è difficilissimo farli rialzare. Si rannicchiano sotto l’erba e non si muovono più, non rilasciando, quindi, quella passata che consente al cane di percepirne le tracce. Per cacciare i beccaccini si può usare il classico sovrapposto, oppure il

semiautomatico con canna di cm 68-70 di lunghezza. Le cartucce più indicate sono quelle caricate con piombo n. 10, 9, 8 in successione. La mattina è terminata, si nota dai capanni circostanti ormai vuoti. Il cacciatore, camminando a fatica negli acquitrini che ad ogni passo risucchiano le suole degli stivaloni, torna alla barca. Il cane, stanco ed esentato dal suo compito di cercatore, rimane attratto da quelle due cannaiole che bisticciano sulla cresta di una cannella. Sulla barca ognuno riprende il proprio posto. Il cane, sulla punta, è già in fase di pulizie personali. Mentre il cacciatore sta per togliersi gli stivali, l’improvviso “bacio” di un beccaccino, che da pochi passi si leva portandosi alto nel cielo, conferma, ancora una volta, che sulla scena palustre non c’è mai un copione: si recita a soggetto, anzi, a sorpresa.

Pierluigi Ghilarducci

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L’importanza delle settoriali Fidc per la difesa della caccia alla migratoria

Il primo anniversario della “riabilitazione” dei richiami vivi ci ricorda che solo serie argomentazioni scientifiche possono tutelare questa passione. In previsione l’istituzione di un Ufficio Fidc che veda Acma e Ucim come primi referenti

l primo agosto è ricorso il primo anniversario della firma che il sottosegretario al ministero del Lavoro, della Salute e delle Politiche sociali, Francesca Martini, ha apposto all’ordinanza relativa all’applicazione della deroga per l’uso dei richiami vivi nella caccia agli acquatici, vietati a causa dell’influenza aviaria dal 2 novembre 2005. La nostra Associazione non può scordare questo giorno, in cui sono stati coronati da successo l’enorme impegno e la smisurata passione che sono stati messi in campo. Come è facile lamentarsi quando i problemi si affacciano e risultano spesso di difficile soluzione, così è altrettanto facile scordarsi di quanto lavoro sia stato profuso per risolverli. L’occasione è utile per sottolineare come le settoriali specialiste della Federcaccia, come in questo caso l’Acma, se ben utilizzate e messe in grado di lavorare a fondo possono senz’altro ottenere quei risultati che possono recare il bene della caccia, dei cacciatori e della Federazione stessa, ovviamente. Forse questa riconquista dei richiami vivi rappresenta l’aspetto più noto, diciamo di interesse più generale di

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cui l’Acma si è interessata. Ma non ci si può limitare a questo pur importante e soddisfacente successo per ricordare l’utilità delle settoriali e gli obiettivi che si possono raggiungere con la difesa della caccia in termini tecnici, seri e scientifici come da anni propugna l’Acma. Infatti, successi di respiro più locale hanno arriso all’impegno della nostra Associazione, come l’inserimento di specie cacciabili eliminate in tempi più o meno lontani dai calendari venatori di alcune Regioni, o il mantenimento nei medesimi calendari nei casi in cui vi era il concreto rischio della loro eliminazione: pensiamo alla canapiglia, al codone e al porciglione in Lombardia, alla moretta in Emilia-Romagna e in Veneto, al combattente in Toscana, all’alzavola in alcune aree umide della Sicilia ecc., oppure alla difesa dell’attività venatoria a rischio di essere vietata in alcune zone umide (come in Sicilia), oppure ancora alla concessione di alcune forme di caccia in precedenza vietate (come la caccia in mare dalla spiaggia nel Lazio o in Calabria). L’ottimismo non è onestamente una delle doti più spiccate e radicate nel mio spirito, ma il quinquennio recente-

mente inaugurato dalla nuova dirigenza Fidc non può far altro che accendere una speranza in più, una miccia che potrebbe far esplodere un’avventura molto importante alla quale parteciperanno le settoriali specialistiche per la migratoria, cioè l’Acma e l’Ucim. Mi riferisco, infatti, alla creazione dell’Ufficio per la migratoria abbozzato dall’Ufficio di Presidenza della Federazione e che vede come suo coordinatore il vicepresidente Lorenzo Carnacina. Riteniamo che, con i reiterati attacchi che la caccia ha subito e continua a subire in tema di tempi, spazi e specie cacciabili, ma anche con l’ennesima ultima spiaggia in fatto di modifica della legge 157, questa sia un’occasione che non vada persa e che debba essere resa operativa nel più breve tempo possibile, per far sì che la voce dei cacciatori possa essere supportata da tecnici esperti, con argomenti scientifici, con dati attendibili, e creare così una difesa professionistica della nostra passione per la migratoria. Non ci sono molte altre strade e molti altri mezzi per ottenere risultati: le esperienze dell’Acma ce lo hanno da tempo dimostrato.

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“Falli”, “doppie”, “ganghero”, “a cavaliere”, “alla volpina”...

E MILLE ABITUDINI ella lepre, ovvero delle sue abitudini e, perché no, diabolici trucchi. Nel panorama venatorio di casa nostra forse non esiste selvatico (la beccaccia? Ma ne ha senza dubbio di meno...) in cui conti davvero conoscerne le abitudini per una buona giornata di caccia. Già il fatto che sia un selvatico dalla vita prevalentemente notturna, o tutt’al più crepuscolare, la dice lunga su quanto sia difficile, complicata la sua caccia. Se poi ci togliamo lo sfizio di addentrarci nella vastissima letteratura venatoria dedicata alla lepre, rischiamo di perder la testa fra le tante definizioni ormai codificate del suo comportamento: “falli”, “doppie”, “ganghero”, “a cavaliere”, “alla volpina”... e potremmo continuare a lungo. Tanto a lungo che, aggiungendo i termini della caccia con il segugio, qualcuno in passato ne ha addirittura compilato un corposo e ormai quasi introvabile vocabolario. E

D

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dunque conoscenza delle abitudini per una caccia redditizia a un selvatico che, per fortuna, in molti territori soprattutto del Nord tornati ad essere autosufficienti grazie a una politica accorta di allevamento e di immissioni, è “vero”. Certamente, in alcune zone vive ancora la nostra straordinaria lepre autoctona, l’italica, che raramente supera i tre chili, e che “tiene” e se ne resta ben schiacciata al covo. Senza paura, al contrario delle altre lepri, quelle frutto di immissioni dall’estero, senza dubbio meno furbe delle nostre originarie: lepri che non si sentono sicure e perciò, al primo sfrascare lontano, schizzano dal covo. Ma qui siamo già addentro alla più raffinate fasi della caccia con il segugio che, una volta su una “doppia”, pensa già che di lì a poco farà saltare la lepre dal covo. Ma quella, dal sangue mischiato da mille immissioni, è già schizzata dal suo covo, e così cacciatore e cane si perdono una delle


più esaltanti fasi di questa caccia. Ma siamo nel troppo tecnico, lontani dalla notte che è il vero regno della lepre che, sia nei campi di pianura che in quelli di collina o in montagna, se ne va al pascolo e cerca l’altro sesso per accoppiarsi con “giochi” straordinari alla luce della luna. E di giorno, quando la si può cacciare? Prudente al massimo, appunto come una lepre, il selvatico torna al covo dai luoghi di pastura prima che sorga il sole. Il cacciatore pratico sa che la lepre è animale d’abitudini sempre uguali. E sa che, al massimo, si allontana dall’habitat in cui è nato di un paio di chilometri al massimo. E dunque, conoscerne il “bazzico” (altro termine antico e tuttora in uso che definisce con rara efficacia il luogo in cui si muovono lepri

a questo selvatico, si devono conoscerne a fondo la maniera di vivere e i diabolici trucchi. Uscite col fucile che non si improvvisano, nemmeno con la muta più preparata e cinghiali) vale già mezza caccia. Pur essendo sinonimo di velocità, il nostro selvatico quasi mai si spinge a tutta forza per lunghe distanze e ha percorsi preferiti per andare e venire al covo. Qui, nel rudimentale ed essenziale rifugio, niente di più che una buchetta sul suolo, la lepre sembra quasi scomparire allo sguardo più attento: facile allora passarle accanto senza vederla, soprattutto per il fatto che sceglie sempre punti del terreno che si confondono col colore del suo mantello. A seconda della stagione dovremo quindi pensarla nei posti più freschi, se il caldo è ancora abbastanza forte: allora le zolle ai limiti degli arati saranno le sue, e così le sponde dei corsi d’acqua, quelle preferibilmente alberate. Il paesaggio tipico, insomma, della piana lombarda. Mentre con la pioggia predilige terreni incolti, ma sempre aperti, le stoppie, i rialzi e le pietraie quando non le cave. Punti, insomma, in cui la vegetazione sotto gli scrosci della pioggia non le impedisca di rilevare il pericolo con il suo finissimo udito. E così si va avanti nella stagione di caccia, quando a ottobre la lepre guadagna il bosco, le colture di patate e i campi di cavoli. Bosco che abbandona col cattivo tempo, con il vento e la pioggia che fanno troppo rumore e la costringerebbero a vivere in continuo allarme. Con il freddo e il gelo, roveti, stoppie di granturco, fossi asciutti e ancora ghiaieti saranno i suoi, così come i pendii che battono mezzogiorno. I più caldi.

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70 milioni di euro: è il totale degli indennizzi per danni alle colture he l’ammontare dei danni alle coltivazioni causati da selvaggina stia raggiungendo livelli allarmanti è cosa nota anche a chi non mastica né di caccia né di agricoltura. Numerose sono le iniziative tese ad approfondire l’argomento. Tra queste è il caso di citare una giornata di studio dal titolo “Danni causati dalla fauna selvatica all’agricoltura” svoltasi presso l’Accademia dei Georgofili (Firenze). Dal confronto degli interventi si è confermato che i danni più ingenti sono sempre causati dagli ungulati, e tra essi soprattutto dal cinghiale. Quel che non tutti sanno, o meglio, quel che soltanto di recente inizia a diventare di dominio pubblico è l’ammontare degli indennizzi: le Pubbliche amministrazioni italiane erogano ogni anno risarcimenti superiori a 70 milioni di euro. Questa cifra è comprensiva del valore dei danni arrecati a colture più “povere”, quali boschi e prati-pascoli, e del valore delle misure preventive adottate per limitare i danni imputabili ad avifauna, nutrie, predatori e cani rinselvatichiti. Un articolo pubblicato di recente su Agrisole (settimanale del sistema agroindustriale de “Il Sole 24 ore”) n. 26 del 2009 riporta testualmente: “Aumentano le superfici destinate a boschi e aree protette con oltre 9 milioni di ettari. Un patrimonio di biodiversità, tutelato da norme Ue, che ora presenta il conto alle imprese agricole: la fauna selvatica è in aumento e, complici una gestione venatoria errata e l’assenza di prevenzione, cinghiali e caprioli devastano i campi con danni stimati di 70 milioni l’anno”. In merito a stima e risarcimento dei danni da fauna, il quadro generale è molto variegato. Dati aggregati a livello nazionale sono disponibili presso l’Ispra ma, ovviamente, essi si basano su quanto dichiarato dalle singole Regioni o Province. Scendendo nel dettaglio, questo quadro è composto da Regioni che già da anni dispongono di tutti i dati necessari, da Regioni che tentano di risolvere alcune lacune e da Regioni che rappresentano davvero l’ultima ruota del carro. Quel che spesso accomuna gran parte di esse è il continuo aumento delle richieste di risarcimento e il ritardo nell’erogazione della copertura al danno… ma qui corriamo il rischio di scendere in argomentazioni politiche! Le Regioni maggiormente colpite dall’aumento dei danni da fauna so-

C

Distribuzione degli indennizzi sul territorio nazionale suddivisi per specie (Fonte: ISPRA 2009)

La tutela dei selvatici non può rappresentare un onere per l’impresa agricola e, al contempo, il risarcimento danni non deve essere inteso dall’agricoltore come un’entrata aggiuntiva elargita dall’Ente pubblico 42


no Toscana, Emilia-Romagna, Liguria, Marche e Umbria. In Toscana è di forte impatto la presenza del cinghiale: dopo mesi di proteste da parte delle organizzazioni agricole, il 18 maggio scorso la Giunta regionale ha approvato una delibera che delega le Province a predisporre, entro 30 giorni, piani straordinari d’intervento per il contenimento della specie secondo un protocollo tecnico firmato dalla stessa Regione con l’Ispra. L’obiettivo doveva essere quello di riportare la densità di cinghiali a 2,5 capi/ha di Saf (Superficie agricola forestale) prima dell’inizio della nuova stagione venatoria. In termini numerici tutto ciò significava provvedere all’abbattimento di circa 100.000 capi nell’arco di un bimestre. Poco dissimile è la realtà delle altre Regioni menzionate, anche se, chiaramente, l’impatto di questa o quella specie muta al variare delle situazioni oro-

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INCIDENZA DELLE SPECIE SUL TOTALE DEGLI INDENNIZZI NELLE PROVINCE EMILIANO-ROMAGNOLE Fagiano Lepre Cinghiale Capriolo Cervo Daino Passeri Storno Corvidi Uccelli Ittiofagi Anatidi Nutria Piccione di città Columbiformi Fringillidi Altre specie

Reggio Emilia 0,1 11,1 9,7 4,3 8,7 n.c. 0 49,4 3,6 0,5 n.c. 10,8 1,8 0 n.c. 0

Ravenna 1,4 4,8 2,3 2 n.c. n.c. 9,6 19,5 1,4 37,2 0,2 3,7 5,2 5,7 3,6 3,4

Piacenza 1,5 17,6 49,4 1,5 n.c n.c 0 8,6 2,3 n.c n.c 6,7 12,4 n.c n.c 0

Parma 1,1 10,3 18,6 3 0,3 0 0 50,4 8,5 n.c. 1,2 5,3 1,1 n.c. n.c. 0,2

Modena 8,4 3,8 6,1 2,2 0,5 0 0 16,7 26,2 10,8 0 13,5 1,6 0 n.c. 10,2

Forlì-Cesena 1,2 3 12,5 15,7 4,8 0,33 15,8 17,2 2,2 1,5 n.c. 0,17 1,9 1,2 11,9 10,6

Bologna 12,5 8,5 24 3 0,7 0,3 0 5,8 6,9 11,6 0,1 2,2 7,7 1,1 1,2 14,4

Rimini 6,4 7,4 9,3 5 n.c. n.c. 10,8 17,7 1,8 0 n.c. n.c. 15,8 2,5 15,9 7,4

Fonte: www.ermesagricoltura.it

n.c. = non contemplata nell’elenco delle specie territorialmente dannose

geografiche e ambientali, così come varia il danno a questa o quella coltura agricola. In Emilia-Romagna, negli anni più recenti, il problema principale pare essere rappresentato dai caprioli. Il cinghiale, infatti, frequenta zone d’alta collina e di montagna dove sussistono colture meno produttive dal punto di vista agricolo o di minor valore economico; il cervide, invece, è molto diffuso anche in pianura e tende ad alimentarsi di colture ortofrutticole d’elevato valore. Sono pochissime le Regioni che, a oggi, rendono disponibili e facilmente accessibili i propri dati a tutti gli interessati. L’Emilia-Romagna ha provveduto a pubblicare dettagliate informazioni provinciali facilmente reperibili on-line (www.ermesagricoltura.it). Dai dati si evince che l’ammontare del risarcimento danni da fauna aumenta dal 2004 al 2007 in tutte le province considerate, ad eccezione di Piacenza (-13,6%) e Modena (-39,7%). Di contro, casi eclatanti sono le province di Rimini e Reggio-Emilia, realtà in cui l’aumento dei danni risarciti nel 2007 ammonta rispettivamente a +212% e +482,3% rispetto all’anno 2004. Aggre-

Ferrara 4,3 29,7 0 0 n.c. n.c. 0,1 3,4 8,1 9,1 5,4 35,5 3,9 0,3 n.c. 0,2

gando i dati a livello regionale si evince che nell’anno 2007 l’Emilia-Romagna ha rimborsato danni per un totale di circa 2,5 milioni di euro. Le specie che maggiormente hanno inciso su questo totale sono state: storno (21%), cinghiale (14,7%), lepre (10,7%), nutria (8,7%), uccelli ittiofagi (7,9%), corvidi (6,8%), piccione di città (5,7%). Di certo non sarà l’attività venatoria a far diminuire i danni che la fauna selvatica arreca all’agricoltura, è dunque necessario fare un netto distinguo tra essa e le misure di contenimento diretto. Il controllo delle popolazioni selvatiche, dove necessario, deve essere approfonditamente pianificato, controllato e applicato a livello territoriale e specie-specifico. Un unico fondamentale concetto deve essere condiviso a livello Italia: la tutela delle specie selvatiche non può e non deve rappresentare un onere aggiuntivo a carico dell’impresa agricola e, al contempo, il risarcimento danni non deve essere inteso dall’agricoltore come un’entrata aggiuntiva elargita dall’Ente pubblico.

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Un tema che vede posizioni di segno opposto

iprendiamo un argomento, lasciato in sospeso nel numero scorso, salito alla ribalta a seguito delle grandi nevicate dello scorso inverno: il foraggiamento alla fauna selvatica. Subito dopo le grandi (un tempo normali) precipitazioni invernali, ci sono state prese di posizione pro e contro. In linea di massima, gestori delle aree protette e naturalisti sono contrari, perché si tratterebbe di una “forzatura contraria alla selezione naturale”, cacciatori e animalisti, invece, favorevoli, ovviamente a vario titolo: gli uni per motivi pratici tesi a conseguire una gestione produttivistica, gli altri sotto il profilo etico-emotivo. Quello della selezione naturale è un principio che, di primo acchito, sembra il toccasana del problema. Ma a ben guardare, non sempre esso ha prodotto e produce frutti positivi. Senza voler andare alla sparizione “naturale” dei dinosauri, basterebbe la considerazione che la fauna selvatica è una risorsa che va gestita per conservarla e migliorarla, senza lasciarla a se stessa, perché così si perderebbe un prezioso patrimonio e sarebbe facilmente destinata ad autodistruggersi. D’altra parte, il foraggiamento dei selvatici è un elemento della gestione che, come tale, va organizzato efficacemente e programmato tempestivamente. L’intervento in extremis, in situazioni di emergenza, ha solo un valore di facciata, anche se riscuote un grosso consenso sociale proprio per l’emotività che sprizza dal contatto sporadico con un animale selvatico. Chi invece ha dimestichezza con l’ambiente e le sue esigenze, nel rapporto con la

R

fauna selvatica si pone il problema dal punto di vista globale: in primo piano la densità ottimale dei selvatici, in rapporto al territorio e alla capacità portante, l’attenzione alla biodiversità, che va curata per mantenerla il più possibile allo stato naturale, e la distribuzione territoriale. In primis, quindi, lo studio della situazione ambientale. Sono le grandi nevicate che rendono prioritario il problema del foraggiamento della fauna selvatica. Ci sono specie, come lo

C’è chi dice sia un aiuto necessario e chi lo considera un’alterazione della selezione naturale. Ma se lo si attua, bisogna farlo con certi criteri stambecco (forse) e il camoscio, che non abbisognano di particolari attenzioni da questo punto di vista. È sufficiente qualche salina, razionalmente dislocata. Il cervo, là ove si è imperiosamente stabilito, va attentamente studiato nei suoi movimenti e, se ritenuto opportuno, sostenuto con fieno. Altre essenze (mele, residui di spremiture, granaglie ecc.) potrebbero provocare eccessivi addensamenti, con aumento di danni alla forestazione in rinnovamento e incentivazione del bracconaggio. Discorso a parte merita il capriolo, brucatore delicato. Sulla qualità degli alimenti (foraggi, granaglie, mele ecc.) il

discorso va approfondito sulla base dello studio della conformazione di questo animale. Quindi è indispensabile il supporto tecnico di veterinari qualificati. Anche la dislocazione dei centri di foraggiamento non deve essere lasciata al “genio” dei singoli, ma attentamente valutata (esposizione, facilità di accesso per i rifornitori e difficoltà per i cervi ecc.). Soprattutto per il capriolo è indispensabile, in montagna, l’aiuto energetico per l’inverno. Intanto deve essere, appunto, un aiuto tempestivo (a inizio autunno, quando le risorse naturali cominciano a scarseggiare e la necessità di immagazzinare energie aumenta) e il prima possibile (un foraggiamento d’emergenza o tardivo è sicuramente inutile). Né va sottovalutato l’impatto socio-ambientale di questa attività: in montagna, si sa, si riducono sempre più le coltivazioni e il bosco avanza prepotentemente. L’erba, base del sostentamento del capriolo, è sempre più povera perché i prati non vengono più concimati perché calano sempre più i bovini. Da qui discende anche la necessità di qualche integratore al fieno, come mais o altre granaglie. La mancanza di bovini, poi, indurrebbe i residui contadini, proprietari dei prati, a smettere lo sfalcio se non intervenissero istituzioni e cacciatori a proporre ed attuare l’acquisto del fieno per foraggiare i selvatici. Attuando così anche l’insegnamento dei vecchi che volevano foraggiare i caprioli con il fieno prodotto sui prati normalmente frequentati dagli stessi.

Goffredo Grassani 45


La grande adattabilità del piccolo cervide

La FORZA del capriolo Il “generale inverno” non sembra aver creato gravi danni alla popolazione a dispetto delle previsioni

el mio articolo sul n. 3 de “Il Cacciatore italiano” scrivevo dell’alta mortalità del capriolo e del cervo che, nell’inverno passato, risultava consistente sulla base delle carcasse ritrovate, e calcolando che non tutte erano state rinvenute. Ero un po’ pessimista e un po’ ottimista ed ecco la sorpresa: nei censimenti primaverili in tutta la Zona Alpi, all’infuori di diverse valli di alta montagna, dove la caduta di neve consistente abbinata a temperature molto basse ha messo a dura prova i popolamenti di capriolo e la mortalità ha inciso fortemente, le consistenze erano ottimali. I piani di prelievo predisposti nelle zone dove si esercita la caccia di selezione erano al risparmio, come è giusto, dopo un inverno così inclemente, ma l’altra sorpresa è che in certe zo-

N

ZONA VIPITENO Brennero Prati Val di Vizze Trens* Mules* AREA DOLOMITICA Badia La Valle Marebbe* Braies Dobbiaco*

Habitat capriolo 5.700 2.200 4.300 1.800 2100 Habital capriolo 6.100 3.100 5.000 4.500 6.100

Densità di prelievo capi/100 ha 1 1.4 0.8 2.8 1.9 Densità di prelievo capi/100 ha 1.4 1.3 2.4 1.5 2.7

ne in pochi giorni è stato completato il piano di prelievo. Forse questa specie non la conosciamo ancora bene. Su gentile concessione dell’Associazione cacciatori Alto Adige, riprendo parte di uno studio del tecnico faunistico dell’Acaa Lothar Gerstgrasser pubblicato sul “Giornale del Cacciatore” dal titolo ”Inverno 2008/2009 Una catastrofe per la selvaggina?”: “Quello passato è stato uno degli inverni più rigidi da 46

molti anni a questa parte, con la coltre nevosa che ha raggiunto spessori enormi, ovvero di più metri. Per il turismo invernale ciò si è rivelato una carta vincente, per la nostra selvaggina certamente no”. Vi si legge che le perdite comunicate riguardano 2.236 caprioli e 453 cervi da cifre fornite dagli agenti venatori e da alcuni rettori: “I dati non sono ovviamen-

Prelievo 2008 57 31 36 50 41

prelievo che non in altre adiacenti, quelle con asterisco, caratterizzate da un più marcato intervento venatorio. “Ma quanto ci ha tolto l’inverno? Siamo giunti alla conclusione che per i caprioli le perdite siano quantificabili in un 25% dell’abbattimento della stagione precedente, ovvero che corrispondano ad un valore tra il 6 e l’8% rispetto ad una consistenza stimata di 30-35.000 capi”. Dopo un attento esame dei capi ritrovati “più dell’80% delle perdite invernali sono risultate concentrate nella classe dei piccoli (kitz) e in quella delle femmine vecchie. Ne consegue che la parte produttiva della consistenza ha potuto superare indenne l’Inverno. Che insegnamento ne possiamo trarre? Semplice: che dobbiamo occuparci di più di un prelievo adeguato, misurato e selettivo dei capi femmine”. Sono del parere che la sottostima della specie capriolo sia diffusa su tutto il territorio nazionale, e che i censimenti, difficili da effettuare in tante zone, sono tuttora carenti, per questo le cifre oscure determinano in certi casi anche la salute di questa specie. Si sa che se le consistenze sono eccessive risulterà più facile l’insorgere di malattie, pertanto un’alta fruizione è possibile, sta agli addetti

Perdite 2008/2009 55 33 47 11 9

Prelievo 2008 85 41 122 69 168

te da considerarsi completi, non essendo una certa parte delle perdite oggettivamente rilevabili”. Le elaborazioni svolte hanno comunque portato a delinearsi che ove sia più alta la fruizione venatoria, più basse risultino le perdite: “Una popolazione selvatica è più resistente e sana se è oggetto di controllo venatorio”. Come si legge nella tabella, sono state accertate perdite più ingenti in talune riserve altoatesine con una ridotta densità di

Perdite 2008/2009 80 61 15 69 10

Densità perdite capi/100 ha 1.0 1.5 1.1 0.6 0.4 Densità perdite capi/100 ha 1.3 2.0 0.3 1.5 0.2

ai lavori tentare di conoscere al meglio questa specie. Non è facile mettere a disposizione più tempo libero, ma credo ne valga la pena per poterne gestire al meglio la caccia. Il capriolo in Italia è da nord a sud lo stesso: mi domando come mai Regioni, Province, Atc e Ca non riescano a concordare le stesse date d’apertura e chiusura della caccia su tutto il territorio.

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Le munizioni per la caccia al cinghiale in battuta e palle per fucile ad anima liscia, secondo le varie marche, sono pesanti dai 29 ai 32 g. di piombo più o meno duro e di diversa forma, quasi adatte… anche per canne strozzate, e hanno vari accorgimenti per essere stabilizzate come la borra di impennaggio, le alette, che dovrebbero imprimere un moto rotatorio, e cosi via. Sono animate da una velocità che varia dai 300 ai 400 m/sec alla bocca. Le più note sono Gualandi, Brenneke, Winchester e Remington. Nella scelta bisogna guardare alla precisione e alla deformazione della stessa palla. Si differenzia, secondo alcune prove, la cartuccia (borra proiettile) Gualandi di 32 grammi con velocità iniziale di 500 m/sec e una energia cinetica dichiarata di 400 kgm: è efficace e precisa anche a 100 metri. Si avvicina così alla prestazione del-

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la carabina, e ha anche una buona deformazione. I proiettili delle carabine sono viceversa poco pesanti, animate da una forte velocità che varia dai 700 ai 950 m/sec con una traiettoria molto tesa rispetto alle palle del fucile. Senza cannocchiale si può fermare l’animale in corsa fino a 100 metri, più lontano è difficile per il bersaglio troppo piccolo; con un cannocchiale appropriato (tipo il 1,5-6x40), tenendo conto della traiettoria e dell’anticipo, anche a 200 metri e oltre. Il calibro più usato è il 30-06 Springfield, progettato per l’omonimo fucile militare americano, che con palle di 160-180 grani (un grano equivale a 0,064 grammi) è ani48

Nella scelta bisogna guardare alla precisione e alla deformazione delle palle utilizzate sia per l’anima liscia, sia per la carabina mato da una velocità alla bocca di 800-900 m/sec. Ha un’energia cinetica che a 100 m raggiunge circa i 350 kgm. Esiste un’ampia scelta di palle, e questa cartuccia comune è ben sufficiente per animali di circa

100 chili. Un ottimo calibro derivato dal 30-06 è il 35 Whelen, più rabbioso e potente, camerato solo nelle carabine Remington. Si può menzionare anche il 280 Rem. o al limite il 270, ma è un po’ scarso. Chi è più pessimista può usare il 300 Winchester Magnum, il 9,3x62 o addirittura il 338 Winchester Magnum, certamente esuberanti per i nostri suidi. Solo i cacciatori che vogliono fare un po’ di “macinato”, o hanno la possibilità di cacciare i grossi esemplari del centro Europa di oltre 200 chili, possono scegliere tali calibri. Secondo me in Italia si possono adottare nelle carabine il 30-06, il 35 Whelen, o al limite il 300 Winchester Magnum. I fucili express og-


gi si trovano anche a prezzi accessibili, e in genere sono camerati con il calibro 9,3x74 rimmed molto potente o con altri calibri validi come l’8x57 Jrs di derivazione dal Mauser tedesco o il 7x65. Si possono scegliere anche express camerati con cartucce con palle più pesanti, naturalmente animate da minor velocità come il 444 Marlin o il vecchio 45/70 Government, non adatte per lunghe distanze. Ho visto qualche snob sparare ai cinghiali e sciuparli con il 375 H&H Magnum o addirittura con il 458 Winchester Magnum solo per darsi importanza, decisamente troppo esuberanti per la bestia nera. Riguardo alla scelta del tipo di palla per carabina, non credo che sia necessaria una tabella in quanto le prestazioni, velocità, precisione ed energia cinetica delle varie marche, Rws, Federal, Norma, Winchester, Remington e cosi via, sono analoghe o con poche differenze. Allora si deve tenere conto solo del tipo di palla. Le palle blindate, quasi indeformabili, passano da parte a parte la preda anche se colpita alla spalla (naturalmente non incontrando ossa), hanno così un pessimo potere di arresto con effetto di cedere pochissima energia cinetica e non procurare danni rilevanti. L’animale per emorragia interna può morire lontano e dopo molte sofferenze. Nel caso opposto, se il proiettile è molto deformabile e animato da una

VITERBO PREMIA I CAMPIONI PROVINCIALI Il Presidente della Sezione provinciale di Viterbo, Giorgio Perugi, e il vicepresidente, Giulio Cuboni, hanno premiato i vincitori del Campionato provinciale per cani da seguita su cinghiale, prova valida quale selezione per la Coppa Italia. Le prove, riservate a cani in singolo o in coppia, si sono svolte nei primi due weekend di marzo presso il recinto Le Coste di Vejano, grazie anche all’organizzazione della Sezione di Oriolo Romano. Sotto l’occhio esperto del giudice Arcangelo Graziani si sono alternate le sciolte che non hanno deluso le attese, anche perché la qualità dei soggetti presentati è stata di livello superiore a quella delle passate edizioni. In particolare, la gara del singolo, dove tutto si è deciso all’ultima sciolta dopo un’appassionante alternanza di risultati, alla fine ha visto prevalere il giovanissimo e promettentissimo conduttore Stefano Tofone di Orte, che con la sua Mozza ha vinto meritatamente, precedendo Marco Di Ventura di Orte con Med e Mario Galletti di Monteromano con Mora. Tutti e tre sono stati giudicati nei valori di Ecc., un risultato che fa ben sperare per il proseguimento di questa manifestazione e della cinofilia viterbese. Più regolare la gara delle coppie vinta da Mario Galletti su Stefano Quattrini di Tarquinia e Gioacchino De Sanctis di Oriolo Romano.

esuberante velocità può frantumarsi in superficie senza penetrare nel nostro selvatico dalla pelle coriacea, arrecandogli solo ferite superficiali. È importante così la scelta della palla. In una prima analisi dei proiettili si può dire che ne esistono di tre tipi principali: - interamente blindati full jacked o semiblindati - a punta molle soft point - a punta cava hollow point. I proiettili interamente blindati poco deformabili non sono idonei. Occorrono palle di almeno 170 grani, o con accorgimenti nel rivestimento che all’impatto le fanno aumentare notevolmente di diametro, che si deformano in profondità o addirittura si frantu-

mano nella parte superiore. La scelta è varia, posso suggerire la 180 grani soft point core lockt della Remington, la Vulcan della Norma, le Tug della Rws, la Silvertip della Winchester o, meglio, la Balistic Tip della Winchester. Nel mercato si trovano anche altri tipi di palle idonee che hanno una buona deformazione. Importante non scegliere quelle appuntite, blindate di piombo duro che sono solo adatte a tiri molto lunghi su selvaggina tenera. Un ultimo consiglio: evitare l’impiego di palle pesanti da 220 grani o oltre, non adatte per carabine semiautomatiche che spesso non riescono a “scartocciare”.

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Nato per la lepre, si è ben adattato a tutta l’altra selvaggina da pelo

Il versatile figlio I francesi, fra le altre importanti qualità di carattere cinofilo e venatorio, hanno il merito di aver prodotto il più elevato numero di razze di cani da seguita esistenti. Hanno sapientemente selezionato soggetti appartenenti anche a razze diverse, sia francesi che inglesi, e ad estrarre soggetti che, pur mantenendo le caratteristiche di base dei progenitori, hanno comportamenti, attitudini, colore del manto e costruzione morfologica completamente autonoma. Per quanto riguarda l’ariegeois, la razza è stata fissata nel tempo unendo originariamente il gascon saintogeois con dei “briquet de pais”, presenti in numero massiccio nel dipartimento dell’Ariege situato ai piedi dei Pirenei. Come in quasi tutte le razze francesi, il nome deriva dal dipartimento dove la razza ha avuto origine. A descrivere pregi e difetti di questo cane verso l’inizio del 1900 furono il conte Elia de Vezins e il dott. P. Castets. La razza fu definitivamente riconosciuta nel 1913 e la sua salvaguardia fu affidata nel 1978 dalla Société Centrale Canine al Club del Bleu. Questo è un cane elegante e solido allo stesso tempo, dotato di buona muscolatura con ossa abbastanza sottili, ma molto resistenti. È riuscito a fondere in sé i pregi del gascon per insistenza, caparbietà e metodo nell’accostamento e nell’inseguimento, e adattarlo all’intelligenza, rapidità e buona iniziativa del briquet dell’Ariege. Cane nato per cacciare prevalentemente la lepre, si è ben adattato e distinto nel cacciare tutta l’altra selvaggina da pelo: coniglio, volpe, capriolo, daino, cervo e, buon ultimo, il cinghiale. Un soggetto così non poteva sfuggire all’attenzione dei cinofili e dei cacciatori italiani. I primi soggetti importati furono utilizzati per rinsanguare anche il nostro segugio: ne scaturirono fattori molto positivi per quanto riguarda l’impegno, la determinazione, lo spirito di muta e l’obbedienza, ma altrettanto negativi per l’iniziativa, il colore del mantello, la costruzione morfologica ed in particolare la voce che diveniva un misto tra scagno ed ululo. Questo ha fatto riempire tante pagine di giornali e riviste fra chi difendeva questo tipo di cane e chi invece lo considera deleterio e fortemente dannoso per il mantenimento delle caratteristiche di razza del nostro segugio. Successivamente cacciatori ed allevatori importarono questi ca-

Tra i segugi esteri l’ariegeois è entrato nel cuore dei cinofili italiani, tanto che vanta il primato nelle iscrizioni all’Enci ni per utilizzarli nella caccia, nelle prove di lavoro e nelle esposizioni. I risultati furono apprezzabili, tant’è che mute di ariegeois sono riuscite a primeggiare anche in manifestazioni di alto livello, in campo nazionale, sia su lepre che su cinghiale. Questi risultati adeguatamente descritti sulle riviste cinofile hanno permesso che il cane si estendesse in tutta Italia, ed oggi vanta il primato nelle iscrizioni all’Enci per le razze da seguita estere.

Sestilio Tonini Foto All. Da Nogara 51


È il vero e unico “professore” del cane da ferma

A scuola dalla starna

omeriggio inoltrato d’inizio autunno. Il sole è oramai tramontato da tempo, e fuori dalla piccola casa di campagna tutto tace. Il piccolo meticcio di guardia all’umile dimora abbaia agitato, avvertendo l’arrivo del ciclomotore che riporta a casa il vecchio nonno con il suo “rosso” dalla caccia nelle lontane colline del soranese. Avevo soltanto undici anni e mi chiedevo il perché di tanto sacrificio: in Maremma, lungo la costa, fagiani e lepri ancora impestavano l’allora immenso terreno cacciabile, eppure un atavico richiamo lo costringeva a queste trasferte impegnative, e poi soltanto per un paio di starne. Non era un cinofilo, almeno per come noi oggi siamo abituati a intendere il significato di questa parola, ma sosteneva comunque che non esisteva altro selvatico come la starna che riesce a dare il vero senso alla caccia con il cane da ferma. Sono diventato grande (in età), e immerso nel mondo della cinotecnica ufficiale ritrovo sorprendente conferma a ciò che mio nonno sosteneva in maniera spartana. Ripensate a quanto solo pochi anni fa prevedeva l’iter per il Campionato di lavoro per i cani da ferma: oltre ai titoli conseguiti su selvaggina naturale era indispensabile prima almeno un Eccellente a starne e poi addirittura un Cac! Perché tale considerazione? Quale motivo spinge a ritenere la starna il metro di misura imprescindibile? Nata per il cane da ferma come egli ha trovato i suoi natali per lei, essa rappresenta da sempre il target d’eccezione, l’obiettivo tecnicamente più probante, il selvatico che soltanto il grande fermatore riesce a predare. Oramai da tempo la starna italica (Perdix perdix

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italica), una volta presente dall’arco alpino allo stretto di Messina, è praticamente scomparsa, e per il cacciatore di palato fine sono necessari impegnativi e lunghi viaggi oltre confine per udire ancora il fragore metallico del volo dei branchi. Per quanto concerne l’aspetto puramente tecnico, questo nobile fasianide rappresenta un punto fisso per il cane da ferma, a qualsiasi razza appartenga e per tutte le discipline venatorie verso le quali verrà messo in opera. Un vero e proprio “professore”, capace di insegnare il mestiere all’eccelso fermatore. Grazie alle sue particolari abitudini di vita, alla scaltrezza che la contraddistingue, agli ambienti particolarmente adatti, la starna è unica nel suo genere, e costituisce l’insieme dei selvatici verso i quali è rivolta la caccia con questo tipo di cane.

Prerogativa fondamentale per il cane da ferma è l’utilizzo dell’aria nel tentativo di riuscire a predare la selvaggina minuta da piuma, e per le caratteristiche che abbiamo descritto nulla di meglio e di più appagante delle starne riesce a garantire la verifica di tale qualità. Nella selezione zootecnica, al di là degli aspetti prettamente stilistici e di “tipo”, una delle caratteristiche fondamentali e trasmissibili geneticamente è la capacità di intelligere, di apprendere dall’addestramento infuso dalla mano dell’uomo, ma anche e sopratutto maturata dagli errori commessi durante il percorso di apprendimento. Ecco entrare in gioco la starna, i branchi per l’esattezza. “Cane starnista nasce!” e ciò corrisponde al vero, nella misura in cui quel soggetto non viene al mondo (come romanti-


camente molti sognano) con la cognizione dell’esistenza di questo selvatico, bensì perché possiede quelle innate caratteristiche psicofisiche che lo rendono particolarmente adatto all’elegante lavoro nella caccia a starne. L’Italia cinotecnica, l’Enci per l’esattezza, organizza ogni anno in autunno e in primavera meravigliose e probanti verifiche funzio-

le delle spettacolari manifestazioni per continentali ed inglesi. Grazie alle possibilità che mi sono state concesse dalla cinofilia, rivivo quello che cercavo di immaginare fosse la “magia della caccia” che il vecchio nonno raccontava soddisfatto al rientro nelle giornate settembrine. Credetemi, non esiste altro selvatico (figuriamoci i poveri surrogati o da questi

le pagine, eccezionali prove a starne si sono appena concluse nella lontana Lomza, nel nord della Polonia, e stanno per aprire il sipario quelle nella parte sud-est d’Europa, nel triangolo delle starne tra Nis, Doljevac e Zitoradja, in Serbia. Come ogni anno, oramai da due decadi, pointer, setter, breton, kurzhaar, korthals e bracchi francesi daranno

Scomparsa in Italia, i cinofili italiani si trasferiscono oltre confine per addestrare i propri ausiliari al cospetto di questo insostituibile selvatico nali in Polonia e Serbia. Prove su branchi nel primo periodo e su coppie nel secondo (identificabili quali prove a carattere prettamente venatorio le une, e “classiche” le altre) che vedono il lungo “serpentone bianco” dei dresseur italiani impegnato in periodi che si alternano da fasi di intenso addestramento a quel-

derivati che popolano i campi italiani) che permette di preparare il cane da ferma, osservarne le potenzialità, infondere in lui la necessaria esperienza per poi, superate le prove zootecniche, guadagnare la laurea con il pregiato titolo (oggi in palio) di “Campione a starne”. Mentre queste lodi scorrono ad impiombare

vita ad indimenticabili spettacoli d’arte venatoria, che nascono e trovano motivo prima di tutto nei preponderanti motivi zootecnici di contribuire alla selezione del cane da ferma destinato alla caccia, qualunque essa sia.

Marco Ragatzu Foto dell’autore

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Dopo le prime uscite cerchiamo di capire se il cane ha qualche problema

l mese di ottobre è lo spartiacque della stagione venatoria. Nel mezzo del cammin della stagione ci ritroviamo a fare un bilancio consuntivo del periodo ed un progetto migliorativo per la parte conclusiva. Se anche nella prima parte sono state poche le magagne, uno spazio di miglioramento è nell’ordine delle cose. C’è il cacciatore esigente e perfezionista che vorrebbe vedere sempre un perfetto lavoro del suo cane, quello più possibilista che tende a giustificare. Devo dire che io mi metto nel primo gruppo. Al cane dobbiamo dare il massimo e pretendere in relazione al suo potenziale. Se abbiamo sbagliato la scelta credendo che quel cucciolo per genealogia, valore dei genitori, buon sviluppo e via dicen-

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In caso di prestazioni deludenti,

un passaggio dal veterinario e tanto affetto favoriranno un ultimo periodo di caccia ricco di soddisfazioni

do potesse rendere cento ed invece il suo bagaglio non va oltre al sessanta, è inutile intestardirsi perché si potrebbe anche fargli del male, senza volere, ma per errata valutazione e addestramento. Fargli del male non significa maltrattarlo, ma insistendo ad insegnargli ciò che non può capire si stressa e va facilmente in confusione. Meglio, invece, scegliere bene ed impegnarsi assieme a lui a superare gli ostacoli che il selvatico frappone. Dalla terza settimana di settembre sino alla fine di ottobre o a metà mese, a seconda della stagione, si caccia la selvaggina “estiva”, fagiani, pernici rosse e, quando va bene, quaglie. Successivamente, si cambia registro con beccacce e fagiani nei termini previsti dai calendari nei vari Atc.


La storia dei cani specialisti è stata affrontata più volte, ma in ultima analisi è inutile rincorrere le farfalle. Serve un cane buono, ma buono sul serio, e dopo qualche esperienza caccerà bene tutto. Se invece lo stesso cane lo abituerai a cacciare un solo selvatico, eccellerà solo su quello, perché è l’unico che persegue e che conosce meglio di altri per i suoi comportamenti, i suoi habitat ecc. Questa è la storia del cane specialista, e chi vi dice che nasce tale, quasi fosse un predestinato, racconta una storiella o non ha molta competenza in materia. Allora in ottobre che si fa? Riferendoci sempre al cane che rappresenta il

fulcro della nostra passione, in ottobre facciamo il film delle nostre uscite, dell’apertura che, è inutile far finta di niente, è un giorno speciale, che ti fa assaporare l’ambiente, i suoni, le voci, i fischi, le braccate dei segugi, le campane che rintoccano le ore, le mezze e i quarti che rimbalzano da una collina all’altra, anche quando si hanno 48 licenze come il sottoscritto. Anche il tuo cane vive il momento, e il suo lavoro ha un certo non so che di nuovo. Se il giorno dopo ripensi a tutto ciò che è successo all’apertura, ebbene le sensazioni hanno un impatto diverso. Questa è la caccia! Se porti a caccia un cucciolone, men-

tre percorri la strada che ti porta là dove hai scelto pensi se partire qui, là no perché magari sparano un po’ troppo e non vorrei… sì, è vero l’ho provato, ma… Il bilancio della sua metà stagione è più complesso. È stato costante nel rendimento? Ha avuto alti e bassi? Perché? Non stava bene? Sarà stato condizionato da qualche altro cane, da una cagna in calore? Qualche dubbio ce l’ho. Aveva tanta passione ma “in quei giorni” non sembrava lui, cercava sì, ma lo smalto di prima… Innanzitutto va verificato lo stato di salute. Una parassitosi non seguita o che escludevi, un’otite, qualche zecca, tonsilliti. Parlo di questi pro-

Sogni Ogni cacciatore spera sempre di trovarsi di fronte il trofeo della vita. Certi sogni sono importanti. Come le munizioni

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RINNOVO CARICHE A MESORACA Si è svolta, nella sala “Nicholas Green” messa cortesemente a disposizione dal Comune, l’assemblea elettiva che ha riunito i federcacciatori della Sezione comunale di Mesoraca (Kr) che, alla presenza dei dirigenti provinciali, il presidente Angelo Madia e il segretario Francesco Corigliano, hanno eletto i componenti del nuovo Consiglio direttivo. Cambio di guardia alla presidenza. A capo della Sezione è stato eletto Carmine Mazzei, vicepresidente Piero Matarise e segretario Giovanni Marrazzo; affiancati da altri 7 consiglieri, guideranno la Sezione per il quinquennio 2009/2013. Ottimi i propositi dei nuovi dirigenti e tanta da parte dei soci la fiducia di poter rivedere riunita la pro-

Il nuovo Consiglio direttivo con il presidente provinciale Madia al centro

pria Sezione. Fra le varie idee e progetti, il primo da realizzare è quello di ricostituire un circolo funzionante, con una sede che possa essere punto di riferimento e di incontro per i cacciatori, ma soprattutto luogo di informazione su tutto ciò che riguarda il mondo venatorio. Obiettivo fondamentale, infatti, per la Federazione è l’istruzione venatoria, mettere cioè il cacciatore, e non solo, a conoscenza di ciò che riguarda le leggi in materia di caccia, di quelle che sono le giuste norme di comportamento nell’ambito dell’attività venatoria, e soprattutto come agire nel rispetto dell’ambiente e della natura. Un ringraziamento particolare per la buona riuscita di questo incontro va al neovicepresidente Matarise, che si è prodigato per riunire i cacciatori del posto; a lui e agli altri dirigenti vanno i migliori auguri di buon lavoro per la nuova stagione e un “in bocca al lupo” per l’ottimale realizzazione dei vari propositi. L.C.

blemi perché possono passare inosservati e invece danno disturbi e fastidi notevoli. Una visita veterinaria è il primo passaggio. Se aveva passione tornerà ad averla. Il compianto Paolo Ciceri, che sempre menziono perché non ho conosciuto nessuno più preparato di lui su tutti i punti della vasta materia cinofila, mi diceva: “Se vedi fare un lavoro di particolare risalto al tuo cucciolone ricordati che ha i mezzi per farlo, e da cane maturo potrà esprimersi spesso così, oppure lavorare sempre a quel livello che potrebbe essere il suo standard”. Diceva così perché sapeva benissimo che nella fase di crescita, che si completa fra i 18 e 24 mesi a seconda di taglia, razza ecc., il cane subi56

sce nel lavoro l’incompletezza dello sviluppo. Il progetto per la seconda parte della stagione? Curarlo e metterlo nelle condizioni di poter esprimere il suo vero potenziale. Prendiamo in esame le offese. Non tutti i caratteri sono uguali! Anche quelli meno forti si rafforzano per avere maggior sicurezza se il rapporto con il cacciatore è di sincera fiducia. Se lo rimproveri per qualcosa di cui non sa rendersi conto, e lo fai in modo diciamo un po’ grezzo, il cane è disorientato e in quel momento la sua fiducia barcolla: provate a immaginare quali e quanti ragionamenti passano nel suo cervello che fino a quel momento non aveva mai messo in di-

scussione il modo di porsi del suo amico-padrone. Caratteri forti o dubbiosi che siano, si adattano a fare tutto, e ripeto tutto, ciò che chiedi loro se li tratti con correttezza e pazienza, insistendo dolcemente per fargli capire cosa deve fare e come. Insegnargli il “terra” è la base di qualsiasi esercizio e l’inizio della comprensione del suo e del tuo ruolo. È facile, basta avere garbo e perseveranza. Passando ai rimproveri, se il vostro amico che vi accompagna da anni e col quale ci si intende con uno sguardo (non è un modo di dire) ha bucato qualche situazione da cui vi aspettavate tanto di più, lui, che capisce, sarà il primo a rammaricarsi e ve lo dice con lo sguardo abbassato. Le cause? Qualche problema di salute, un eventuale acciacco che dai sette anni può cominciare a manifestarsi. Cosa può succedere con un cane adulto? Meno sorprese che con il giovane, è scontato. Può essere che cominci a soffrire più di prima il caldo o la pioggia, che perda un po’ d’udito e nel complesso anche un poco le forze. Può essere che l’allenamento preapertura non sia stato adeguatamente calibrato e si trascina l’incompletezza per un po’ di tempo. Muscoli, legamenti, fiato e piedi vanno portati all’efficienza gradualmente. Nei piedi controllate anche i plantari, i cuscinetti. Eh sì, ci si può dimenticare che le scarpe rotte fanno male. Il cuscinetto plantare, la parte che tocca il suolo per intenderci, deve avere un pigmento marcato e totale, nel senso che deve coprire tutta la parte. Una depigmentazione può causare, anzi senz’altro vi contribuisce, una zoppia apparente o occulta che sia. Insomma, per trascorrere al meglio l’ultimo periodo di caccia basta una “revisionata” dal veterinario e una terapia d’affetto senza fine. Una cura impareggiabile adatta a tutti.

Angelo Cammi


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Iscrizioni ai Libri Genealogici Enci e tendenze della cinofilia italiana

IL SETTER siste un’ideale quanto inattaccabile classifica delle preferenze cinofile del cacciatore di casa nostra, ed è quella che l’Enci compila ogni anno tenendo conto, razza per razza, dei cuccioli iscritti nei Libri Genealogici, che certificano la purezza dei soggetti. In questa classifica non vi sono naturalmente riportati soltanto i cani da caccia, ma anche quelli da compagnia, difesa, i pastori e tutti gli altri Gruppi sino ad arrivare a oltre 123.000 cuccioli iscritti nel 2008. Ebbene, di questi 123.000 circa la metà sono di stretto impiego venatorio (ma anche bassotti e levrieri sono cani da caccia), e questo la dice lunga sull’importanza dell’attività venatoria anche soltanto sul piano economico. Inattaccabile classifica, dunque, e in cima ad essa c’è da anni un cane da caccia, il setter inglese, o meglio, il setter “di casa nostra”, poiché l’appassionato italiano, nel tempo di oltre mezzo secolo, ha adattato la razza d’oltremanica alle proprie esigenze e al proprio gusto. Razza straordinaria per affidabilità ed eleganza, il setter è diventato quindi il compagno del cacciatore italiano nell’iconografia ufficiale della caccia. Ecco i numeri: 14.411 cuccioli iscritti nel 2008, il triplo di un altro cane molto apprezzato, il breton. Non c’è storia, soprattutto nel mondo della caccia, anche nei confronti dei pur numerosi segugi, rimpolpati lo scorso anno dall’ammissione ai Libri Genealogici dal “pattuglione”

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dei segugi maremmani, ben 6.618 soggetti iscritti, di cui parleremo in altra occasione. Ma torniamo alle qualità straordinarie del setter inglese. Da qualche tempo i cacciatori ne stanno apprezzando una che non è mai stata particolarmente evidenziata finora, se non addirittura del tutto trascurata: la sua indifferenza nei confronti di quegli ungulati che ormai dominano colline, boschi e, per tanti tratti, le pianure: in particolare caprioli e daini. Un valore aggiunto, questo, nei confronti di altre razze più “sanguigne”, come ben sanno tanti cacciatori, soprattutto di beccacce. Lunghi inseguimenti di ungulati da parte di kurzhaar e breton soprattutto, sono accidenti che capitano ormai troppo di frequente sia a cac-

cia, sia in prova. Una situazione che impone al nostro allevamento l’adozione di contromisure adeguate e al più presto, vista la massiccia diffusione degli ungulati. E dunque, quasi 15.000 cuccioli di setter inglese iscritti nel 2008. Tantissimi, ma in pesante calo (-2.144) rispetto al 2007. Una diminuzione che prosegue da qualche anno, così come per tutto il panorama cinofilo, confermando un momento di crisi di un settore un tempo al vertice mondiale per qualità e quantità. Numeri in discesa anche per l’altra grande razza inglese da ferma, il pointer, che da 3.350 soggetti iscritti nel 2007 è piombata a 2.712, quasi un 20% in meno. Situazione difficile per una razza che fino agli anni ‘70 dominava in lun-


Ancora una volta i numeri danno ragione alle grandi capacità venatorie e soprattutto all’estrema adattabilità di questo inglese, che resta

di gran lunga il preferito

ELEY Tradizione e Qualità

rispetto al pointer

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go e in largo per numeri e qualità: a caccia se ne vedono sempre di meno, soggetti in mano a cacciatori di montagna e a “beccacciari”. Il cacciatore di tutti i giorni, per il quale il fagiano è la selvaggina principale, difficilmente oggi si accosta al pointer inglese, ma che anche in questo caso possiamo dire “di casa nostra”: una straordinaria macchina che, a causa delle prove, abbiamo reso troppo al disopra dei nostri terreni e della nostra selvaggina. Nonostante gli sforzi che sta facendo il Club di razza per farlo “tornare a caccia”, i risultati tardano a venire e i numeri fortemente negativi confermano questa tendenza. Il pointer delle stagioni passate, ormai troppo lontane, era un formidabile cane da caccia, e il

cacciatore italiano riusciva a sfruttarne appieno le grandissime qualità. Poi... poi ecco il gran caravanserraglio delle prove, la Grande Cerca e tutto ciò che ne è conseguito di negativo sulla razza e di cui abbiamo già avuto modo di parlare. Invece, lo strapotere del setter come cane per tutto e per tutti appare incontenibile, e si ha l’impressione che la razza sia capace di adattarsi più di ogni altra al mutare delle condizioni dell’ambiente e della qualità della selvaggina. Tanto di cappello agli inglesi, ma anche giù il cappello agli appassionati di casa nostra che hanno saputo renderla attuale anche per le cacce, difficili, del Terzo Millennio.

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Interessante il fatto che il frazionamento dei serbatoi del metano, collocati nell’intercapedine del pianale e nella coda, ha evitato il classico problema del “bombolone” nel vano bagagli, che ruba sempre molto spazio. Sulla Classe B, il serbatoio posteriore occupa solamente il doppio fondo del bagagliaio, quindi è invisibile e fa scendere di appena 128 litri la capacità di carico; in pratica, viaggiando in cinque, resta disponibile un volume di 416 litri, quanto basta per i bagagli di tutta la famiglia. E con una spesa per il carburante che diventa meno della metà rispetto a quando si viaggia a benzina.



Al Trap Concaverde 450 federcacciatori/tiratori

Nella 41ª edizione del Campionato italiano fossa, Lombardia, Veneto e Marche hanno fatto la parte del leone rande successo di partecipazione, con circa 450 federcacciatori/tiratori provenienti da ogni regione d’Italia, alla 41ª edizione del Campionato italiano Fidc di tiro al piattello fossa svoltasi sulle pedane del Tiro a volo Trap Concaverde di Lonato (Bs). La manifestazione si è svolta in due giornate: sabato 25 luglio hanno gareggiato i Federcacciatoritiratori delle categorie Eccellenza-Prima, Seconda e Terza e le Squadre Federcacciatori-tiratori; domenica 26 luglio si sono svolte le prove riservate ai Federcacciatori e alle qualifiche per le categorie Junior, Lady, Veterani e Master oltre alle Squadre Federcacciatori. Eccellente l’organizzazione del tiro a volo Trap Concaverde che può vantare uno staff supercollaudato, e che si avvalsa della preziosissima collaborazione della Federcaccia Lombardia, nelle persone del delegato Andrea Scotti e di Aurelio Guarneri della Sezione provinciale di Brescia.

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La cronaca sportiva ha registrato i successi per i concorrenti veneti Mario Veronese nella Terza, Mario Simonato nei Veterani e Francesca Sella per le Lady.

Le Marche con Gabriele Petrucci e Giovanni Natalini agguantano i podi più alti fra gli Junior

Ottime affermazioni dei padroni di casa, Michele Marchesi per i tiratori di Seconda categoria, Sergio Cartella nei Cacciatori individuali e la Squadra Cacciatori di Borgosatollo composta da Mario Ferrai, Rinaldo Fusi e Mariuccio Portesi. Inoltre sono saliti sul gradino più alto del podio Silvio Zangrilli del Lazio per l’Eccellenza-Prima e il toscano Giuliano Fabbri nei Master. Merita un cenno a parte la regione

Marche che si è aggiudicata il primo posto Tiratori con la squadra di Serrapetrona composta da Antonio Corvatta, Fausto Minichelli, Giovanni Natalini e Lorenzo Zamparini, ma soprattutto sforna campioni tra gli Junior, visto che in questa categoria per la seconda edizione consecutiva un suo tiratore ha sbaragliato la concorrenza. Quest’anno è toccato a Gabriele Petrucci, che si è imposto sul corregionale Giovanni Natalini. Le premiazioni si sono svolte alla presenza del presidente regionale Fidc Mauro Cavallari, e nella giornata di domenica del presidente nazionale Gian Luca Dall’Olio che ha porto un caloroso ringraziamento a tutti coloro che, a diverso titolo, hanno contribuito all’eccellente riuscita della manifestazione, organizzatori, direttori di tiro e concorrenti, e ha ribadito l’importanza delle manifestazioni sportive, circostanze che favoriscono lo spirito di aggregazione e consolidano il senso di appartenenza alla Federcaccia.

Claudia Sansone


Assegnati gli scudetti del pull&mark Fidc

A TREVISO GRAN FESTA DELLO SKEET Nonostante tra le tre discipline di tiro di cui Fidc organizza annualmente il campionato lo skeet sia quella che raccoglie sicuramente un minor numero di appassionati, ben 118 partecipanti hanno affollato le pedane dello Sporting Club tiro a volo Santa Lucia di Piave (Tv) per vincere i titoli in palio nella 37ª edizione del Campionato italiano Fidc. Perfetta l’organizzazione, risultato della stretta collaborazione tra la Sezione provinciale di Treviso, e a tale proposito si ringrazia Monica Cadorin, e l’impianto, rappresentato del presidente Tarcisio Rottin e dal coordinatore Carlo Cestaro, i quali hanno chiamato a garantire il regolare svolgimento della gara 9 direttori di tiro validi e professionali.

AZIENDA AGRICOLA ALLEVAMENTO PETTORANESE IN ABRUZZO CON AFFISSO ENCI Paola Cuccarolo, vecchia conoscenza dell’agonismo cinofilo, ha vinto l’oro nella sua categoria

Tutti i partecipanti sono rimasti pienamente soddisfatti dell’andamento della manifestazione, sia da un punto di vista tecnico, sia dei servizi offerti e dell’accoglienza ricevuta. D’altronde la struttura aveva già mostrato le sue ottime credenziali lo scorso anno con l’organizzazione della finale del Campionato italiano di percorso di caccia in pedana. La cronaca sportiva ha registrato grandi affermazioni per gli atleti lombardi: Stefano Battaglia nella categoria Eccellenza-Prima, Mauro Mazzoleni in Seconda e Gianfranco Fieni tra i Cacciatori. Gli ottimi risultati nelle classifiche individuali hanno permesso a due squadre lombarde di aggiudicarsi il primo posto a squadre: per i Cacciatori la squadra di Gussago e per i Tiratori quella di Bergamo. Inoltre sono saliti sul podio rappresentanti di varie regioni italiane: i tiratori del Lazio Marco Calafiore e Vincenzo Grizi si sono imposti rispettivamente nella Terza categoria e tra gli Junior; per la classifica Veterani si è aggiudicato il primo posto il toscano Roberto Lepri, tra i Master il friulano Egidio De Ponte e per le Lady la veneta Paola Cuccarolo, nome già noto alle cronache sportive per i suoi successi nazionali e internazionali in campo cinofilo. Alla cerimonia di premiazione erano presenti l’assessore alla Caccia della Provincia di Treviso, Mirco Lorenzon, il vicepresidente regionale Fidc, Oscar Stella, il vicepresidente della Sezione organizzatrice, Dario Toffoli, e il segretario provinciale Fidc, Luciano Schiavon. C.S.

CUSTODE DI UNA LUNGA TRADIZIONE nella selezione di cani da beccacce, setter inglesi, setter gordon, setter irlandesi, pointer, bracchi tedeschi ed epagneul breton. Si cedono con prova di trenta giorni qualche adulto specialista sulle beccacce, qualche specialista su fagiani e quaglie selvatiche. Inoltre si cedono cuccioli di setter inglese genealogia Francini e Pettoranese, pointer genealogia della Cisa e Pettoranese, nati da ottimi specialisti in beccacce. Epagneul breton e bracchi tedeschi di ottima genealogia, con grande potenza olfattiva e grande resistenza. Si garantisce bellezza e lavoro. I cuccioli vengono venduti tutti con garanzia di riuscita sulle beccacce. Su prenotazione si accettano cani in addestramento su selvaggina naturale, su beccacce, coturnici, fagiani, starne e quaglie selvatiche.

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Parrano laurea i campioni federali di una disciplina in ascesa

Il compak Fidc ha i suoi

Straordinario successo di presenze agli “Italiani” svoltisi in Umbria. La manifestazione ha testimoniato la forte vicinanza tra la caccia e questa specialità tiravolistica

di Anteo Susigan. Tra gli Junior è gio tra Rinaldo De Nardi, Mauro Boempre più spesso praticando stato Matteo Argiangiu ad avere la si e Andrea Ciamaglia, tutti appaiati le pedane di tiro a volo, someglio. Il ragazzo sardo ha messo in a quota 69: è stato Mauro Bosi ad prattutto quelle di compak, fila tutti con 66 bersagli all’attivo. avere la meglio per il bronzo. Non capita di vedere folti gruppi Davide Serioli sale nella seconda popoteva che esserci lo zampino di di cacciatori che le popolano. La passizione con 65 e Marco Bordignon Marco Battisti in Seconda categoria, sione che avvicina a questo sport, incompleta il podio con lo stesso score. il pesarese mette tutti in riga con 69, fatti, è spesso e soprattutto derivata Paola Nicolai vince il tricolore Lady mentre lo shoot off attesta Eugenio dal mondo venatorio, e probabilcon il totale di 43, seguita dall’argenCorti al secondo posto seguito da mente molti dei campioni di questa to di Gilberta Tassini disciplina lo hanno con 40, mentre il bronzo scoperto proprio imin rosa va a Barbara Bobracciando un fucile netti con 34. L’oro dei da caccia. La dimoVeterani va a Ferruccio strazione di tale pasMorelli con 68. Il toscasione venatoria riporno si aggiudica il tricolotata in carattere tirare relegando alla seconvolistico ci viene proda piazza Gianmarco prio dalle manifestaFerrari con 65. Terzo zioni che la Federcacposto per Romano Rezcia ogni anno orgaza che conclude la sua nizza per festeggiare i prova a quota 64. Frantanti appassionati. co Mottin è risultato il Grandissima la parteIl podio delle squadre Tiratori con Rimini 1 sul gradino più alto più agguerrito dei Macipazione dei federster. Il veneto si è portato a casa il tiMarco Spini. Buonissima la prestacacciatori che nelle due distinte giortolo con 66 punti facendo il barrage zione di Renato Vitelli che domina le nate di gara hanno popolato lo stand con la medaglia d’argento Marino Terze con 67. Spareggio anche in di Parrano. Il sabato sono scese in Pagnottini. Il bronzo va a Ivano Carquesta categoria per il secondo e terpedana tutte le categorie dei Tiratori nio con 62. Altro punto focale delle zo posto che vanno rispettivamente a nel foltissimo numero di 180 partecidue giornate è stata l’agguerrita gaLuigino Azzano e Maurizio Caruso panti. Ma la grande soddisfazione si ra a squadre. Per i Tiratori vince Ricon 65. La categoria che più ha rapè ottenuta sommando anche le 165 mini 1 di Provenzale, Bettini, Pagliapresentato questa manifestazione è partecipazioni dei Cacciatori e delle rani con 195. Argento per la formastata quella dei Cacciatori con ben qualifiche in gara domenica. Ad imzione Fire Fox di Latina e bronzo al 110 partecipanti. “Amatori” è un terporsi nella gara di Eccellenze e Priterzetto di Firenze. mine inadeguato per definirli, visto ma è stato Giuseppe Calò, uno tra i Per i cacciatori vince invece la scudeil rendimento in gara di questa nobimaggiori esponenti del percorso di ria di Firenze con 190. Stesso punle qualifica. Il migliore di tutti è stato caccia italiano, con 71 centri su 72. teggio per l’argento di Pistoia e terzo Riccardo Pizzini a cui è andata la meUn ottimo Marco Pagliaccia si aggiuposto per San Biagio con 189. daglia d’oro con l’importante pundica l’argento ad una lunghezza di teggio di 72/75, alle sue spalle si inritardo. Per l’assegnazione del terzo K.S. sedia il 70 di Roberto Badiziol e il 68 posto si è dovuti ricorrere a sparegFoto Mauro Bosi

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a cura di Silvana Bergamaschi Grassani

Lombardia a vastità della regione che va dalla Pianura Padana ai laghi prealpini e all’alta montagna spiegano la diversità della cucina tra provincia e provincia: tradizione veneta della polenta a Bergamo e Brescia (derivata dalla Serenissima), Mantova e Cremona opulente come la “bassa emiliana”, Pavia che vuole distinguersi dalla vicina Milano. Comunque, un fattore comune c’è in tutte: la meravigliosa presenza del burro, attestato in questa terra fin dal tempo dei Romani (pare che Cesare gustasse con piacere gli asparagi al burro) e dei vari rinomati formaggi conosciuti in tutto il mondo: grana lodigiano, gorgonzola, taleggio, robiola, stracchino, mascarpone… Alcuni piatti sono strettamente milanesi, come il risotto, il panettone e la costoletta, che deve essere rigorosamente di vitello con l’osso e che sembra sia nata al tempo degli Sforza, quando venne di moda dare ai cibi il color dell’oro con lamine dorate, sostituite più tardi dall’uovo sbattuto e dal pangrattato. Annosa è stata la discussione se le costolette fossero di origina austriaca, finché non si trovò nell’Archivio di Vienna che Radetzky considerasse la costoletta alla milanese qualcosa di squisito, tanto che l’imperatore chiese ai suoi cuochi di

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In pentola Tagliare una lepre in otto pezzi (nelle giunture, mi raccomando, per non trovare ossa puntute), sfregarli con 2 spicchi d’aglio e metterli in una casseruola dove prima sono stati soffritti 30 g. di pancetta in 100 g. di burro. Rosolare da tutte le parti, facendo asciugare ben bene la carne, versare quindi un bicchiere di riesling. Una volta asciugatolo a fuoco moderato, unire 300 g. di pomodori pelati tritati e continuare la cottura a fuoco basso e coperto per circa 2 ore. Aggiungere quindi la “gremolata”, fatta con 6 gherigli di noce, una manciata di prezzemolo, alcune fogliette di ro-

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riprodurre la specialità oggi conosciuta come Wienerschnitzel. I risotti e le rane adagiate sul riso oppure in guazzetto, annegate nel famoso Riesling, appartengono alla civilissima Pavia, cui appartengono anche il salame e la coppa, gli stracotti, gli umidi, i formaggi. La mostarda cremonese (composta di frutta e senape), il risotto alla pilota, gli agnolini dei Gonzaga e i tortelli di zucca sono prerogativa di Mantova, mentre i casonsei (ravioli locali), riso alla pitocca e polenta sono il simbolo di Brescia, così come a Bergamo, dove il piatto emblematico è “polenta e uccelli”. Le province di Como e Varese, costellate di laghi e fiumi, mostrano la presenza di pesce persico, cavedano, tinca e temolo, di lavarelli e trote salmonate, usati per le specialità in carpione, mentre se saliamo verso la montagna (Valtellina) ci accolgono i festosi e saporiti pizzoccheri, tagliatelle di grano saraceno cotte con patate o verze e condite con burro fuso e i formaggi locali, bitto e scemut, e la bresaola, filetto di bue salato da gustare con olio, limone e pepe. Le zone vinicole sono un piacevole condensato di vini che vanno dal pinot al barbera, dal riesling alla bonarda, senza dimenticare lugana, Franciacorta, Valtellina, Riviera del Garda, Inferno… smarino e la buccia di mezzo limone (il tutto tritatissimo), mescolare, regolare di sale e servire.

Bianco, rosso o rosato Che la selvaggina non voglia sempre del vino rosso lo dimostra il riesling, originario della Germania. È un bianco dal colore giallo paglierino con tonalità verdoline, limpido e brillante. L’odore è delicatamente fruttato, con sentori leggermente aromatici, di anice e fieno. Il gusto è fresco, leggermente minerale, sempre molto delicato, ma al tempo stesso intenso e pronunciato. Il sapore ricorda la mela golden, la prugna o la salvia.


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L’arco come strumento di una moderna gestione faunistica

S a stagione venatoria 2009-2010 dell’Aica-Fidc è iniziata sotto i migliori auspici. L’ampliamento dei rapporti con le istituzioni, al fine di far comprendere, come mai in passato, le caratteristiche dell’utilizzo venatorio dell’arco, si sta concretizzando, come dimostra il caso dell’Emilia-Romagna. A questa Regione, in cui non è ammessa la caccia con l’arco (così come in Piemonte, Trentino, Valle d’Aosta e Sardegna), è stata fatta richiesta di riapertura. Richiesta che è l’ultimo atto di un cammino iniziato la scorsa primavera, con un convegno nazionale a Bologna in cui la caccia con l’arco è stata presentata da relatori tecnici che, tramite videoproiezione di scene venatorie realizzate appositamente nel corso della passata stagione, hanno fornito spiegazioni sui rapporti tra massa, velocità, energia cinetica, potere lesivo della freccia da caccia, tempo di arresto del selvatico ed altro. Tra gli altri relatori anche ricercatori, rappresentanti delle istituzioni, dirigenti federali e giornalisti: tutti hanno concordato sulla compatibilità della moderna caccia con l’arco con le esigenze tecniche della corretta gestione del patrimonio faunistico, in particolare per l’efficacia nel prelievo degli ungulati. È emerso anche che ormai il vecchio preconcetto che sia un’arma scelta dai bracconieri è superato: l’arco è difficile da utilizzare in modo corretto (è molto più facile armare una balestra o utilizzare un cal. 22), e il fatto che lo scocco sia silenzioso (ma non più di tanto) non rende affatto pericoloso il volo della freccia: basti pensare che una fucilata a 200 m di distanza si percepisce in un tempo di fatto identico al momento dello sparo, e nessuno potrebbe mai evitare l’impatto se il colpo fosse mal indirizzato. Dunque non è l’elevato rumore a “sal-

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ilenzioso, vare” la vittima, né il sottile sibilo della freccia a poter causare un pericolo, e proprio per come la caccia con l’arco viene normalmente praticata! Dovrebbe far riflettere che in molti Paesi, in aree dove la densità abitativa è elevata e la presenza dei selvatici incombente, le autorità consentono non solo l’arco, ma addirittura l’utilizzo di fucili con silenziatore! Non è dunque lo strumento il problema. La caccia con l’arco agli ungulati si pratica, infatti, prevalentemente da postazione elevata, per cui la traiettoria è sempre verso il terreno e la freccia viene praticamente sempre ritrovata, sia in caso di errore che di colpo a segno. Comunque, anche in linea retta una freccia tirata a 90° cade a 60-70 m al massimo, e per i tiri al volo (raramente praticati) si utilizzano frecce altamente frenanti, efficaci non oltre i 20 m, che arrestano il volo a 45° a 50-60 m al massimo. Gli atti del convegno sono stati raccolti in un dvd dove le spiegazioni tecniche si alternano alle opinioni dei relatori, ed il materiale è stato presentato alla Regione Emilia-Romagna a supporto della richiesta di riapertura. Il materiale è a disposizione delle istituzioni che intendano approfondire l’argomento in modo consapevole, al fine di poter predisporre regolamenti corretti ed omogenei sul territorio. Può essere richiesto al nostro indirizzo mail. Il 21 e 22 novembre, invece, si svolgerà a Grosseto un nuovo corso di avvicinamento alla caccia con l’arco, con l’utilizzo di materiale didattico audiovisivo sempre più ricco di sequenze filmate eloquenti e dati tecnici inequivocabili. Le iscrizioni sono riservate ad un numero massimo di 15 partecipanti, chiunque sia interessato ci contatti.

Non è un’arma per bracconieri. La sua corretta conoscenza da parte delle istituzioni ne può ampliare la diffusione. Il caso Emilia-Romagna

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La riabilitazione dei rapaci nei centri recupero

SOS FALCONERIA

Alcune tecniche di addestramento alla caccia sono utilizzabili per la reimmissione in libertà di individui feriti o pulli rapaci che normalmente vengo accolti nei centri recupero sono di due tipi: adulti/immaturi feriti o debilitati, pulli. Queste tipologie possono andare incontro a differenti destini: gli individui feriti o debilitati possono essere curati e rilasciati, possono morire oppure possono rimanere con problemi permanenti che ne impediscono il rilascio (rapaci irrecuperabili); i pulli, invece, vengono allevati fino al completamento della crescita e rilasciati. Le tecniche di falconeria sono necessarie sia per il rilascio degli adulti/immaturi, sia (e soprattutto) per il rilascio dei pulli cresciuti nel centro, sia per la gestione in cattività degli irrecuperabili. Tre sono le categorie, quindi, che richiedono obbligatoriamente le tecniche di falconeria

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INDIVIDUI FERITI/DEBILITATI Possono essere adulti oppure immaturi da poco involatisi dal nido. Questi individui generalmente sanno già cacciare e alimentarsi da soli (ad eccezione dei giovani involatisi dal nido da troppo poco tempo) e non necessitano di addestramenti alla caccia; in questo primo caso le tecniche di falconeria servono solo ad assicurare il recupero della necessaria fitness atletica prima del rilascio, e sono tanto più importanti quanto: a) è stata lunga la degenza del rapace; b) il rapace appartiene a specie predatrici attive come pellegrino, lanario, smeriglio, lodolaio, falco della regina, sparviere, astòre, aquila reale e aquila del Bonelli. È da ricordare in proposito che i rapaci classificati come “predatori attivi” necessitano di una fitness muscolare perfetta per cacciare e dunque sopravvivere: uno sparviere rimasto in degenza anche solo un mese può non essere più in grado di in70

seguire attivamente le sue prede, e necessita dunque di un “fitness training” per ripristinare la forma atletica (aumento della massa muscolare, riduzione della massa grassa, aumento della concentrazione di eritrociti nel sangue, aumento della capacità polmonare etc.).

PULLI Quelli che arrivano al centro recupero devono essere allevati artificialmente con le apposite tecniche sviluppate dai falconieri (soprattutto le tecniche anti-imprinting o di inversione dell’imprinting). La cosa più importante è comunque il loro rilascio: i pulli di tutte le specie (dai rapaci più generalisti come gheppi e civette ai rapaci più specialisti, e soprattutto cacciatori attivi) devono imparare a cacciare da soli prima di essere rilasciati. Per ottenere questo tipo di addestramento è necessario usare la tecnica dell’hacking. Tale tecnica, ideata dai falconieri, consente di creare una sorta di “mamma artificiale” (la “hack box”) che permette ai giovani di guadagnare gradualmente l’indipendenza alimentare imparando a cacciare e nutrirsi da soli.

RAPACI NON RECUPERABILI Spesso la gestione di questi individui è problematica, ed è dunque necessario fare le giuste scelte (l’eutanasia in alcuni casi ne è un esempio). I rapaci irrecuperabili occupano spazio, richiedono lavoro e spese di gestione, ma allo stesso tempo si dovrebbe cercare di offrire loro comunque un’esistenza degna. L’impiego di tali rapaci per scopi didattici o per riproduzione in cattività dimostra ancora una volta come le tecniche di falconeria possano contribuire nella gestione degli irrecuperabili.

Paolo Taranto Foto dell’autore


Alti ingrandimenti secondo Swarovski Un cannocchiale straordinario della linea Z6i HD per il battesimo a 30x della casa austriaca

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Z6i 5-30x50 P HD BT: solo il nome è complicato nel nuovo cannocchiale Swarovski, da poco disponibile ai cacciatori di tutto il mondo. “i” sta per reticolo illuminabile micrometricamente con sistema di illuminazione integrato nell’oculare. “P” significa che il cannocchiale è dotato di correttore di parallasse, “HD” significa “High Definition” ovvero “Alta Definizione”. Per la prima volta nei cannocchiali da puntamento vengono adottate lenti che eliminano virtualmente l’aberrazione cromatica e danno quindi in fase crepuscolare e in presenza di foschia immagini dai contorni meglio definiti. “BT” significa “Ballistic Turret”, la torretta balistica semplice e precisa che equipaggia a richiesta (e in alternativa ai reticoli balistici BRi e 4A-300i) gli Z6 dai 15 ingrandimenti in su (da gennaio 2010 anche il 2-12x50 e il 1.7-10x42) e da ora anche le nuove serie di cannocchiali col tubo da un pollice Z3 (3-10x42 e 4-12x50) e Z5

(3.5-18x44 P e 5-25x52 P) che Swarovski sta lanciando sul mercato in questi giorni. Nonostante il range di ingrandimento, l’uso di lenti HD e il sofisticato quanto semplice sistema di illuminazione del reticolo, che sono senza confronti sul mercato, il “mostro” si presenta con misure e pesi contenuti, 398 mm di lunghezza per 640 grammi. Quello che colpisce immediatamente chi lo ha testato in anteprima è l’effettiva possibilità di andare a caccia senza il lungo. 30x50 con lenti HD, in effetti, significa avere una definizione dell’immagine tale da consentire la valutazione corretta di un animale con affidabilità comparabile a quella di un lungo. Questo Z6 è il massimo per chi va a caccia su lunghe distanze. I prezzi di listino sono in linea con quelli degli altri tre modelli Z6 HD, poco sopra i 2.000 Euro senza reticolo illuminato e vicini ai 2.800 se si sceglie reticolo illuminato e torretta BT.

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Monterias di Roveta: 70 capi da abbattere (22 persone) - 10 trofei importanti di muflone, cinghiale, daino e cervo; 20 maschi di muflone, cinghiale e cervo - 40 capi misti. Abbattimento illimitato con regolamento interno. EURO 1.000 A PERSONA compreso: ingresso, 1ª colazione, pranzo, scuoiatura, 1 capo da portare via, tutte le teste dei trofei abbattuti, foto ricordo. Si effettuano nei seguenti giorni: domenica 20/12/2009, domenica 24/01/2010.

Grandi battute agli ungulati “ Tipo Maremma” 90 capi da abbattere (30 persone) Cinghiali, daini, mufloni, cervi, cinghiali giovani sotto 25 kg, femmine e giovani di daino, mufloni e cervi, alcuni capi di cinghiali adulti. Si effettuano nei seguenti giorni: domenica 27/09/2009 - domenica 25/10/2009- sabato 28/11/2009sabato 19/12/2009 - domenica 31/01/ 2010 - sabato 13/2/2010 - domenica 28/2/2010. Garanzia di sparo e possibilità di abbattimento di due capi a persona rispettando il regolamento si può abbattere il 3°capo. Euro 400 a persona compreso: ingresso, 1ª colazione, scuoiatura, ½ cinghiale e ½ daino da portare via.

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Indaghiamo sui fattori dello stress canino

A CACCIA CON FATICA

tress” è un termine di origine inglese che, tradotto in maniera letterale, significa sollecitare, sottoporre a tensione, mettere in tiro qualcosa. Nel nostro caso mi interessa parlare dello stress del cane sportivo, di tutto quell’insieme di fattori, negativi o positivi, che tengono l’organismo del cane in “attenzione” in relazione all’ambiente circostante, prima, durante, dopo la gara o la caccia. Questi fattori, se eccessivi per intensità o durata, possono dare luogo ad una vera e propria patologia. Lo stress è controllato da un meccanismo ormonale complesso con qualche lato ancora oscuro, anche se l’indagine su questa “risposta dell’organismo allo stimolo esterno” è iniziata molti anni or sono. Già nel 1957 il dr. Seyle dimostrò che un certo numero di stimoli come paura, freddo, fatica causavano nell’organismo sempre la stessa reazione. In pratica, nell’organismo si succedono i seguenti eventi: il nostro cane percepisce uno stimolo, dal più innocuo, la vista di un gatto o del cibo, al più pericoloso, una macchina che lo sta per investire a tutta velocità. In ogni caso il suo sistema nervoso reagisce liberando nel sangue adrenalina e nor-adrenalina (detti appunto “ormoni dell’emergenza”). Queste sostanze causano una serie di modificazioni adatte alla fuga od alla lotta: il cuore batte più forte, la respirazione è più veloce, aumenta il consumo di ossigeno e si alza il livello di zucchero nel sangue

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(iperglicemia), si bruciano di più i grassi di riserva, si blocca l’intestino e la vescica (se si dovesse scappare non è il caso di fare pipì!), la pupilla si dilata (midriasi) per vedere meglio il pericolo, aumenta la quantità di sangue che va ai muscoli (per correre veloce) ed al cervello (per capire dove scappare al sicuro), e diminuisce quella intestinale. In ogni caso, se lo stress è troppo forte o non controllabile o duraturo, se queste cause stressanti sono continue o troppo intense, o tutt’e due, subentra nel cane, così come nell’uomo, un vero quadro di

malattia. Vengono rilasciati continuamente ormoni (tra cui i corticosteroidi cortisolo e cortisone), e questi producono effetti complessi che possono esitare in una vera patologia con: immunodepressione, iperglicemia, osteoporosi, miopatie, ritardo nella cicatrizzazione. Si crea una sorta di malattia, tipo “pseudodiabete”. Inoltre avvengono anche modificazioni nel comportamento dell’animale. Si possono osservare: manifestazioni di aggressività, disturbi nel movimento, comportamenti alimentari alterati (il cane mangia le feci o il muro), iperappetito, anoressia, apatia, inattività, automutilazioni, estro irregolare. Si capisce facilmente che il cane colpito da questa sindrome non è più un cane felice, le sue prestazioni psicofisiche saranno diminuite, il suo rendimento sicuramente peggiore. La sintomatologia non è da poco. Spesso la causa di tutto ciò è l’uomo. In natura l’animale cane riesce ad adattarsi, in un habitat costruito dall’uomo non ci riesce. La diagnosi clinica non è facile perché non esiste un esame a “botta sicura”. Possiamo indagare cercando di verificare alcuni parametri. Ad esempio: 1) valore di Ald (aldolasi), enzima che si ritrova del sangue ad alta specificità muscolare. Ci interessa soprattutto a riposo, momento in cui deve essere molto basso. È indicativo nei sospetti di stress, di superlavoro o nella mioglobinuria (patologia da troppo sforzo).


2) esame del sangue con formula linfocitaria. Si verificano situazioni di neutrofilia (valori alti di cellule del sangue dette “neutrofili”) e linfopenia (valori bassi di cellule del sangue dette “linfociti”) nel superlavoro. 3) glicemia, la sua determinazione è importante non tanto per la diagnosi del classico diabete, ma per indagare su un eventuale “pseudodiabete da stress o da superlavoro”. Il metabolismo del glucosio è multifattoriale ed è influenzato da ormoni ed enzimi assai importanti. Questo sistema si può alterare nella pratica agonistica eccessiva o mal gestita. Nell’urina si possono reperire proteine da stress, da superlavoro, da eccessiva alimentazione proteica. Anche l’eccesso dell’albumina non deriva da una nefropatia diabetica, ma da quella situazione di pseudodiabete da stress di cui abbiamo accennato. Come si vede una diagnosi un po’ articolata. Cosa si può fare

Se la situazione di “depressione” o svogliatezza, dopo una battuta o una gara, non passa in pochi giorni, allora è il caso di prendere provvedimenti

per combattere questo subdolo avversario invisibile prima che bussi alla nostra porta? Naturalmente non stressare oltremisura il nostro cane con cause varie. Evitare gli eccessi, il troppo o il troppo poco. Troppo sport, poco sport, troppi viaggi, troppe mostre, troppa solitudine etc., chi più ne ha più ne metta. Ultima spiaggia il ricorso ai farmaci. Da poco in commercio, la clomipra-

mina anche per il cane fornisce un grandissimo aiuto. Altra opzione, a mio avviso molto più “naturale”, è il ricorso alla melatonina. Pare che quest’ormone abbia un’effettiva e importante azione antistress combattendo l’immunodepressione e frenando gli effetti del cortisolo. Altra soluzione, soprattutto nel cane da sport, è l’integrazione con aminoacidi ramificati e alanina, che per l’aiuto che offrono nella fase di produzione di energia e di disintossicazione dai metaboliti della fatica limitano le situazioni di eccessivo stress fisico e psichico. Comunque sia, meglio non doversi confrontare con problemi di questo tipo per poi tentare di risolverli in farmacia. Cerchiamo di prevenire le manifestazioni da stress nel nostro cane provando ad essere equilibrati e naturali nella sua gestione. Curarlo sarebbe decisamente troppo stressante!

Andrea Beni

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La macchina uomo e i suoi piccoli malfunzionamenti

na nuova stagione di caccia è iniziata da poche settimane. C’è stata la tanto sospirata apertura, preparata con ansia ed emozione da giovani e meno giovani. Tutti si sono occupati di fucili, cartucce, cani e abbigliamento consono alle varie attività venatorie. Ma ben pochi si saranno sottoposti ad un check up del proprio fisico per un controllo periodico, paragonabile ai tagliandi della macchina che si eseguono prima che compaiano guasti e carenze, e quindi poter viaggiare sicuri. Infatti anche la macchina uomo va incontro a parecchi tipi di malfunzionamenti, non necessariamente gravi e soprattutto facilmente sistemabili, soprattutto se presi per tempo. Quindi c’è bisogno di verifiche preventive prima ancora che curative. Allora la grande Madre Natura ci protegge, sopperendo a trascuratezze e dimenticanze, facendoci mandare dei segnali di allerta proprio dal nostro corpo. E così, se dopo le prime due o tre uscite di caccia abbiamo avuto sensazioni o stranezze particolari, siamo in grado di provvedere. Vediamo i fatti più usuali. Stanchezza eccessiva, mancamento di forze, sudorazione esagerata, crampi diffusi, palpitazioni, sete fortissima, senso di languore allo stomaco, perfino mancamento dei sensi ecc. potrebbero essere segnali di alterato metabolismo degli zuccheri, e quindi spia di un diabete latente o del cosiddetto stress insulinico, o più banalmente di crisi di ipoglicemia. In pratica l’organismo per poca presenza o cattiva utilizzazione degli zuccheri nel sangue si trova a corto di energia di immediato uso, e quindi si mette “a basso regime”. Per chiarire il problema, che è sempre ben risolvibile, basta chiedere al medico di famiglia gli esami di controllo sul sangue: glicemia a digiuno (che ci dice se abbiamo la tendenza ad avere pochi zuccheri nel sangue), emoglobina glicosilata (che ci dice se siamo a rischio diabete), curva glicemica (per sapere come si comporta il nostro pancreas e quindi l’andamento dell’insulina quando mangiamo). Fatta la diagnosi, la cura è semplice e risolutiva ed anzi, anche in caso di diabete (frequente il tipo 2 dopo i 50 anni) l’attività fisica e quindi anche la caccia fanno parte delle abitudini di vita terapeutiche. Abbiamo accennato ai crampi, che se colpiscono le gambe possono dipendere tanto da carenza di sali, soprattutto il potassio, che basta integrare con i soliti “integra-

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Sudorazione esagerata, crampi diffusi, palpitazioni durante le prime uscite di caccia sono piccoli allerta che il nostro corpo ci invia. I sintomi più diffusi e gli esami cui sottoporsi


tori per lo sport”, come pure da cattiva circolazione del sangue agli arti inferiori. In questo caso il medico verificherà l’eventuale presenza di varici (sfiancamento delle vene con ristagno di sangue) esterne o interne, e farà fare un controllo ecodoppler (esame esterno ad ultrasuoni) per quantificare la situazione. Anche in questi casi i rimedi sono semplici e completi, e vanno dalle calze contenitive agli interventi laser. La stessa situazione di crampi con difficoltà a camminare (claudicatio intermittens) può far sospettare che arrivi poco sangue alle gambe per poca forza del cuore, soprattutto se sono anche presenti affanno, fame d’aria e dolore al petto: il cardiologo chiarirà tutto con elettrocardiogramma, ecocardiogramma ecc., e provvederà ai rimedi. Altro evento frequente sono le vertigini, che possono comparire tanto per disturbi digestivi come per problemi di vista, dell’orecchio, di artrosi cervicale o deficit circolatori. Vale la pena controllare e non trascurarle, perché possono predisporre ad infortunistica che in ambiente di caccia può essere seria per sé e gli altri. E se manca il respiro in modo violento, anche a riposo? Potrebbe trattarsi di asma, facilmente allergica, che si scatena in presenza di talune sostanze, tipo i pollini, che dovrebbero avere stagionalità ma che, di fatto, sensibilizzano l’apparato respiratorio tutto l’anno. Se il problema è noto, basta avere appresso lo spray per il trattamento sintomatico immediato, mentre se è la prima volta che accade conviene richiedere al medico di fare la spirometria ed eventualmente i test allergologici. Nel caso esistono i vaccini desensibilizzanti da prendere per bocca. Non vanno trascurati nemmeno i segnali che vengono da articolazioni e tendini: la spalla che può dolere eccessivamente col carico del fucile potrebbe avere una sublussazione o una periartrite, le caviglie e il tendine di Achille possono soffrire nei salti, come pure le ginocchia e le anche che, fisiologicamente con gli anni, vanno incontro ad usura e quindi artrosi e artriti. Oggi si curano benissimo arrivando fino all’applicazione di protesi con sostituzione dei capi articolari lesi. E poi si torna a caccia alla grande a qualunque età. Contrariamente a quanto si potrebbe pensare, poco o niente dobbiamo raccomandare ai seniores (80 e oltre) che dimostrano ai più giovani come comportarsi: sono previdenti e attenti alla buona gestione del proprio corpo; inoltre, sostituendo alla forza esplosiva e alla velocità di scatto della giovinezza la resistenza e la forza di durata che gli anni attribuiscono, continuano a fornire prestazioni altamente ammirevoli.

Gabriella Fiecchi Medico in Milano 77


La parola al legale - Licenza di caccia e tassa di concessione governativa

UNA QUESTIONE DI DATE La decorrenza e la scadenza dei termini di pagamento e validità è spesso oggetto di scarsa comprensione e di dispute con le Questure

l presidente della Sezione comunale di Cingoli (Mc) ci chiede di fornire un “importante chiarimento in merito alla scadenza annuale della licenza di caccia”, sottolineando in particolare che il dubbio sarebbe se “la licenza di cui sopra, valida per 6 anni, annualmente scade alla data del rilascio, segnata sotto la foto del titolare, anche se il pagamento è stato effettuato successivamente”, ovvero se invece “la scadenza successiva all’ultimo pagamento, fatto in ritardo, non deve coincidere con la data del rilascio, ma un anno dopo l’ultimo pagamento in modo che la tassa pagata abbia durata di un anno”. Effettivamente la questione relativa alla decorrenza e alla scadenza dei termini di pagamento e validità della tassa di concessione governativa è spesso oggetto di scarsa comprensione e di dispute con le Questure. Possiamo allora cercare di riassumere i corretti termini della vexata quaestio. Per farlo, il riferimento inevitabile, e necessariamente chiarificatore, è al Decreto ministeriale 28/12/1995 sulle tasse di concessione governativa. Esso recita che le licenze sono valide per sei anni ed aggiunge, attenzione!, che “agli effetti delle tasse annuali, si intende per anno il periodo di dodici mesi decorrente dalla data corrispondente a quella di emanazione della licenza”. Appare evidente, condivisibile o no è altra cosa, che il legislatore non collega il periodo di dodici mesi alla data del versamento, quale che essa sia, ma a quella di emanazione. Le conseguenze pratiche sono le seguenti: - nessun problema quando il versamento di validità annuale coincide con quello di emanazione;

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- i versamenti annuali successivi effettuati prima della data di emanazione andranno a scadere in tale momento, col rischio di dover ripagare; - i versamenti annuali successivi effettuati dopo la data di emanazione andranno a coprire tutto il periodo fino alla data di emanazione stessa. Risulta chiara l’opportunità che il cacciatore, se può, effettui il versamento quanto più in corrispondenza possibile con la data di emanazione, per evitare “vuoti di copertura”: se infatti, per esempio, la data di emanazione è il 1° settembre e il versamento dell’anno successivo avviene il 15 settembre, il lasso di tempo dall’uno al quindici non è soggetto alla validità annuale garantita dal versamento della tassa. A quest’ultimo proposito, giova ricordare che “la tassa deve essere pagata, per ciascun anno successivo a quello di emanazione, prima dell’uso dell’arma e non è dovuta per gli anni per i quali non se ne fa uso”. Dal che deriva che la va-

lidità della licenza non viene meno per il mancato pagamento della tassa. Ma quali sono le conseguenze derivanti dall’utilizzo della licenza stessa senza tassa pagata? Sicuramente, cacciare senza tassa pagata (ma con licenza nei sei anni dal rilascio, ovviamente), comporta la sanzione amministrativa di cui all’art. 31 della legge 157/92 (da euro 154 a 929), mentre non costituisce abuso penalmente perseguibile in relazione al porto dell’arma. La licenza, in periodo di mancato pagamento della tassa, vale come titolo per l’acquisto ed il trasporto di armi o munizioni? Il ministero dell’Interno, ahimè, sostiene di no, sicché non può negarsi il rischio che qualche zelante tutore dell’ordine segnali il malcapitato per violazione dell’art. 35 del Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, che è reato contravvenzionale penale. A nostro sommesso avviso, peraltro, si tratta di uno strafalcione ministeriale, visto che la licenza in corso di validità resta un titolo di polizia di pari valore a quella che abilita al tiro a volo (tanto che basterebbe al cacciatore che non intenda più andare a caccia recarsi in Questura e sostituire l’una con l’altra), licenza quest’ultima che non richiede il pagamento di alcuna tassa annuale, ma che è perfettamente valida per acquistare, detenere e trasportare armi e munizioni. Non si vede davvero, quindi, in forza di quali argomentazioni, e di quali norme, si debba negare una siffatta validità residua alla licenza di caccia.

Franco Livera



La parola al legale - La Pubblica amministrazione non ha sempre ragione

Una sentenza del Tar in un caso di rinnovo della licenza chiarisce i confini tra discrezionalità e arbitrio ue fratelli richiesero e ottennero, in data 13/7/99, la licenza per porto di fucile per uso caccia dalla Questura di Lodi. All’atto del rinnovo per scadenza del libretto, i due fratelli dichiaravano la non sussistenza di precedenti penali a loro carico, circostanza che veniva confermata dalle risultanze del casellario giudiziale. In data 21/07/05 ai richiedenti veniva comunicato dalla Questura il rigetto della richiesta di rinnovo del porto d’armi, perché “sono sottoposti a procedimento penale... per aver partecipato ad una rissa riportando e provocando lesioni personali, fatto avvenuto in data 8/3/1999”. Gli interessati, nell’intento di dimostrare l’infondatezza di quanto rilevato, inviavano scritto difensivo alla Questura con cui allegavano la sentenza del Tribunale di Lodi che non solo assolveva gli imputati dall’accusa di rissa con formula piena perché il fatto non sussiste, ma altresì dava atto della qualità di parte offesa degli interessati, per cui si insisteva per ottenere il rinnovo. Ma, nonostante dalla lettura della sentenza emergesse inequivocabilmente la condizione di persone offese, il questore decretava che “i fatti verificatisi sono da considerarsi sintomatici di scarsa capacità di autocontrollo e pertanto non consentono di escludere la possibilità che i Sigg.ri possano in futuro abusare delle armi in loro possesso”. A seguito di un ingiusto diniego, venivano presentati ricorsi al Tar Lombardia con richiesta di sospensione di tale provvedimento della Questura. Il Tar accoglieva la sospensione e quindi veniva rilasciato ai ricorrenti

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il porto di fucile. Si faceva presente al Tar che gli artt. 11 e 43 del Tulps indicano con elencazione tassativa i casi in cui la Pubblica amministrazione può rifiutare ovvero revocare un’autorizzazione di Polizia quale quella che ci occupa. Nel caso di specie, nessuna delle ipotesi previste dalla legge ivi specificatamente contemplate riguarda la posizione dei ri-

pone a carico del ricorrente di fornire la prova di aver tenuto buona condotta. Alla luce di quanto sopra, il provvedimento del diniego non poteva riferirsi ad una presunta condotta irreprensibile dei ricorrenti. È vero che i ricorrenti avevano avuto un precedente per presunta rissa, ma il Tribunale li aveva assolti perché il fatto non sussiste. Questa circostanza non fu tenuta in considerazione dal Questore, ma è stata ben considerata dal Tar Lombardia che, nella sentenza del 6/5/09, afferma: “La pubblica amministrazione nell’effettuare le proprie valutazioni non è totalmente sganciato da qualsiasi parametro perché in caso contrario il proprio potere discrezionale trasnoderebbe in arbitrio - e continua - ...il punto di equilibrio è dato allora dal canone di ragionevolezza, il quale deve essere sempre tenuto presente dall’Autorità anche nell’esercizio di poteri altamente discrezionali come quelli in esame... canone che segna anche i limiti del sindacato che l’Autorità giudiziaria può compiere... Il Tar, inoltre, rileva che l’Autorità amministrativa aveva fondato la propria valutazione di diniego su una sentenza di assoluzione emessa nei confronti del ricorrente per il reato di rissa, reato che non poteva ritenersi verificato mancando la presenza di tre persone in quanto uno degli imputati era solo intervenuto per dividere i due contendenti e separarli”. Ritiene il Collegio che “tale circostanza sia dirimente, atteso che non può trarsi un giudizio di pericolosità in capo a colui che interviene a difesa di altro soggetto, aggredito da chi si introduce abusivamente nel cortile della propria abitazione”.

Giustizia è fatta

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correnti, che mai hanno portato condanne di cui all’art. 43 Tulps, né misure di prevenzione di cui all’art. 11. L’ultimo comma dell’art. 43 del Tulps dispone che: “la licenza può essere ricusata... a chi non può provare la sua buona condotta e non dà affidamento di non abusare delle armi”. In ordine alla prova di aver serbato una buona condotta è già intervenuta la Corte Costituzionale (16/12/93 n. 440), che ha dichiarato l’incostituzionalità di detto articolo, nella misura in cui

Francesco Molfese


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Una delle tante dicerie sul mese di novembre

Una Settimana speciale e un titolo venatorio deve essere dedicato al mese più fecondo, che dà maggiori possibilità di incontri con le più svariate specie di selvaggina, le maggiori soddisfazioni, i carnieri opimi, le giornate intense di azioni, il numero maggiore di fucilate, questo titolo di “eletto” deve essere dedicato a novembre. In questo mese transitano, nel massimo del ciclo, i maggiori trasmigratori che arrivano dal Nord per recarsi nei Paesi a clima temperato o caldo nei mesi invernali. È il mese del più numeroso incontro con i selvatici: quegli stanziali che si sono salvati dalle sparatorie di apertura e di ottobre; quei migratori del passo agostano e settembrino che avevano dovuto ritardar la partenza, quaglie che avevano nidificato tardivamente o tortore che trovavano ancora cibo nelle stoppie di riso, di frumento, di segale, di miglio e addirittura di girasoli tra i quali reperivano tanti chicchi lasciati sul terreno dopo le mietiture. Le giornate sacre nella memoria, nei racconti nelle hostarie dei cacciatori sono quelle della “Settimana dei morti”, ove vige la credenza che sia quella più ricca di passo. Se parli con un beccacciaro di passo, subito magnifica i primi sette giorni di novembre elogiando la “Settimana dei morti”. Anch’io per tanti anni sono stato vittima di questa credenza, perché mi è capitato che durante la celebre settimana ho fatto nessuno o qualche raro incontro, mentre nell’ultima settimana di ottobre e nei giorni dal 10 novembre in avanti sono entrato in un passo di regime numerosissimo. A novembre le giornate sono brevi, il tempo spesso è avverso, ma il cuore del cacciatore raccoglie in questo mese il fascino della nostra passione. Le foglie sono passate dal colore dell’oro a quelle del rame, poi una appresso all’altra sono scese a terra. Ora la terra è nera sotto i castagni, rossa sotto i pioppi delle “tappe” a formare un tappeto che profuma di

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humus delizioso per le beccacce. Ci sono giornate di pioggia continua, di nebbia, di grigiore uniforme ed ovattato in cui sembra che l’alba non riesca a spuntare, che la notte non finisca. Ci sono giornate di sole luminoso, di colori irreali, di bellezza eccessiva per la nostra penna e forse per l’animo nostro. Ci sono giornate serene e fredde di

È quella “dei morti”, ritenuta più ricca di passo delle altre. È una della credenze giuste o fallaci che circolano nel mondo della caccia tramontana impetuosa che danno il presagio dell’inverno vicino, con quel lieve sgomento di qualcosa che finisce. Il tepore della casa si fa più dolce, e più accogliente è la panca avvicinata alla “stiva” dove scoppiettano le bruciate, nella cucina che si prepara alle lunghe veglie invernali. Per il cacciatore classico è il mese della grande passione: le beccacce al buio sfarfallano sui valichi e a giorno frullano in quell’angolo dove il loro volo falcato realizza il sogno di mille notti, e il fischio dei sasselli e il vociare delle cesene sono voci abituali nei grandi silenzi della montagna. Qualche colombaccio alle ghiande, qualche merlo ai corbezzoli. Le starne sono cattive ed inabbordabili perché sono sfuggite a tante fucilate, sono furbe nel pedonare e allontanarsi dalle insidie, ma possono riservare sorprese.

Lepri e fagiani hanno perduto la valida difesa del fogliame. Il passo migratorio è aumentato, e ai valichi montani allodole e zigoli passano in un cielo che scolora senza perdere in bellezza. Per il mare e la palude è ancora presto; il gelo non é ancora venuto, ma non può tardare, le avanguardie dei palmipedi sono già in moto. Le stoppie di riso nell’immensa Pianura Padana sono ricche di acqua e di cibo, e lo sgneppare dei beccaccini eccita i patiti della saetta alata. I cani, dopo due mesi di fatiche, sono finalmente allenati; non rallentano il trotto o il galoppo neppure alle precoci ombre della sera. Il problema più grave è la scelta, un tormento: dove andare? E qualunque sia la decisione, anche se fortunata, resta il rimpianto per le vie non tentate. Eppure c’è ancora chi parla di crisi della caccia, di deserto, di assenza di selvatici. Ma dove vivono questi cacciatori di pantofole, di reumatismo, da caffè di periferia? Peccato che il tempo voli e la vita fugga; le ore, i giorni, i mesi incalzano in questa fugace e meravigliosa vicenda che viviamo, in cui sogno e realtà sono tanto simili e tanto vicini. Voglio esprimermi sulla credenza della “Settimana dei morti”. Il fatto che sia un’opinione unanime non la rende però un assioma indiscusso o un dogma. Fa parte delle credenze giuste o fallaci che vigono nel mondo della caccia. Molti credono o giurano sulla potenza e superiorità dì alcune polveri, sulla precisione di alcuni fucili, sul naso potente di una razza di cani… Così sono varie le dicerie sul mese di novembre idoneo, magro o ricco durante la stagione di caccia. Io però penso che il passo in tutti i giorni del mese di novembre sia proficuo a seconda delle condizioni atmosferiche, del numero delle specie di uccelli in migrazione e delle condizioni dell’habitat che gli uccelli trovano. Adelio Ponce de Leon Disegno di Barbara Biggi



Gara di tiro a Statte In uno scenario immerso nella macchia mediterranea, all’interno della Zona addestramento cani “La Pizzica”, si è svolta la 37ª Gara sociale del Circolo cacciatori di Statte (Ta). La manifestazione si è articolata su 2 serie da 25 piattelli sul percorso di caccia. Il circolo fondato nel 1959 festeggia il sua 50° anniversario. Ha presenziato alla premiazione tutto il direttivo e il sindaco Angelo Miccoli. Alessio Parsi

Il direttivo della Sezione di Statte

LA CLASSIFICA Prima 1. Cosimo Galeone Seconda 1. Vincenzo Santoro Terza 1. Michele Leo Gli Amici 1. Salvatore Galiandro

Inaugurata Zac ad Acqui Terme I tre campioni di Almé

Alla presenza, fra gli altri, del presidente regionale Fidc Bruno Morena e dell’assessore al Turismo del Comune di Acqui, Anna Leprato, è stato inaugurato il Campo addestramento cani di tipo C “Sottovento” ubicato nei pressi della città di Acqui Terme (Al) e fortemente voluto dalla locale Sezione comunale con l’incondizionato appoggio della Sezione provinciale di Alessandria. Per l’occasione si è svolta una prova cinofila su starne, valida per la qualificazione regionale dei Trofeo S.Uberto a squadre, che ha visto la partecipazione di una nutrita schiera di concorrenti che hanno molto apprezzato terreni, selvaggina e organizzazione tecnica

affidata all’esperienza di Francesco Carosio. Le prove sono state giudicate dai giudici federali Mirko Cavallari e Francesco Ruzzon e, per la cronaca, si sono qualificate per la finale nazionale del 41° Campionato le squadre Torino2 (Calza, Colombi, Tani) e Torino1 (Morello, Morini, Bontiempo). La vicinanza dell’impianto alla città di Acqui, nota in ambito non solo nazionale per le virtù curative delle sue terme, che ne fanno anche un importante polo turistico, ne arricchisce il richiamo anche in campo cinofilo, considerata altresì la collocazione geografica strategica della zona. La sua ubicazione a ridosso del corso del fiume Bormida, la natura dei terreni e le dimensioni (circa 35 ha tutti praticabili) ne fanno un impianto di grande interesse di cui la Federcaccia alessandrina è giustamente fiera, e per il cui approntamento e attuazione ringrazia Franco Novelli, dinamico presidente della Sezione di Acqui, e lo staff di collaboratori che con lui si è prodigato per la realizzazione.

La Sezione comunale di Almè (Bg) ha festeggiato i suoi campioni italiani 2009 di tiro ad avancarica. Ben tre iscritti, infatti, si sono fatti onore al Campionato italiano Uits svoltosi al Tsn di Parma: Ruben Scotti, un sedicenne con la tessera amatoriale, e suo padre Franco si sono piazzati rispettivamente primo e secondo nella categoria Lorenzoni Originale; Gino Gambini ha vinto la gara con Lorenzoni Replica. Ruben, che ha battuto due ex campioni del mondo, il papà Franco e l’amico Gino, si può fregiare del record di essere il più giovane campione italiano della storia del tiro con armi ad avancarica, sia a palla che al piattello.

Al centro l’assessore al Turismo Leprato, alla sua sinistra Novelli e alla destra Morena, Carosio, Ciampanelli e alcuni concorrenti

Giornata ecologica a Colbuccaro

I volontari al termine della raccolta

La Sezione comunale di Colbuccaro (Mc), in collaborazione con il Comune di Corridonia ha organizzato una giornata ecologica per ripulire alcune strade limitrofe all’abitato, una zona a rimboschimento e alcuni tratti

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del fiume Fiastra dai rifiuti abbandonati. Tanti i cacciatori che hanno raccolto l’invito dell’attivissimo presidente della Sezione, Alessandro Zamponi, e del suo staff, ma ancor di più sono stati i ragazzi che hanno at-

Il vicepresidente nazionale Uits, Riccardo Finocckì, premia Ruben e Franco Scotti

tivamente partecipato con entusiasmo alla raccolta dei rifiuti. Presenti alla manifestazione le autorità del Comune di Corridonia e le guardie volontarie della Sezione provinciale di Macerata rappresentata dal vicepresidente Nazzareno Galassi. Tutti si sono complimentati per la lodevole iniziativa, sperando che sia “copiata” da altre sezioni comunali per far comprendere a tutta la comunità che i cacciatori sono tra i primi ad attivarsi in modo concreto per la salvaguardia dell’ambiente. La giornata è terminata a mezzogiorno con un pranzo offerto a tutti.


Inaugurata la Sezione di Palese

Il presidente Pace (terzo da sinistra) ha presenziato all’inaugurazione

È stata inaugurata la nuova Sezione comunale di Palese (Ba) sita in largo D. Renna 7 e affiliata alla Sezione provinciale Bari2. Il Consiglio direttivo è formato dal

presidente, Michele Fiorentino, dal vicepresidente, Giuseppe Caporale, dal segretario, Antonio Basile, e dai consiglieri Nicola Basile, Michele Saracino e Antonio

Caselli. All’inaugurazione erano presenti il presidente regionale Saverio Pace, il responsabile alle attività agonistiche Vito Scavo e tanti cacciatori. Al termine Pace si è intrattenuto con i presenti per discutere di alcune problematiche riguardanti l’andamento della caccia nel territorio pugliese, rassicurandoli sull’impegno costante sia a livello nazionale che regionale per migliorare la gestione del territorio, della fauna e della grande passione comune. I partecipanti alla fine della serata hanno ringraziato il presidente Fiorentino, che ha dato ampie garanzie che questa Sezione, che sicuramente sarà punto d’incontro di tutti i cacciatori della zona, possa mettere gli associati, finora disinformati e poco tutelati, in condizione di essere a conoscenza di tutte le novità venatorie.

Mostra di trofei a Treviso Una cornice nuova ha accolto la Mostra dei trofei della Provincia di Treviso: il borgo medievale di San Salvatore di Susegana, perfettamente conservato, con, all’interno, la splendida residenza dei Conti di Collalto ricca di storia, d’arte, di cultura e di tradizioni, ha messo a disposizione gli spaziosi ed artistici ambienti. La Mostra ha evidenziato l’ottimo stato di salute della fauna alpina in provincia, ma anche la preoccupante espansione del cinghiale che, visti il numero e la qualità dei trofei, comincia veramente a far temere per persone e cose. Un convegno, che ha rappresentato il motivo centrale della Mostra, ha visto la partecipazione di un migliaio di cacciatori, attenti e interessati agli autorevoli interventi di politici, amministratori e tecnici. Per l’occasione, la Sezione provinciale Fidc ha distribuito libri e gadget nei suoi gazebo, e ha offerto ristoro ai numerosi convenuti, mentre immagini di caccia scorrevano

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Lo stand della Sezione provinciale Fidc

sui maxischermi strategicamente posizionati. Interessantissima la manifestazione, stupendo l’ambiente, perfetta

l’organizzazione, notevole e notabile la presenza della Fidc trevisana, ben guidata dal presidente Carlo Torresan.


28ª “Giornata del cacciatore garlaschese” Presso il Tav Lomellino di Gambolò (Pv) si è svolta la consueta “Giornata del cacciatore garlaschese”, organizzata dalla Sezione comunale di Garlasco (Pv) e giunta alla 28ª edizione. La gara, valida per il Campionato sociale, si è svolta su 25 piattelli specialità percorso di caccia, e ha visto la partecipazione di una trentina di tiratori che si sono contesi i ricchi premi messi in palio. La vittoria è andata a Paolo Grioni (24/25), seguito da Pietro Vignati (23) e Paolo Sangiorgi (22). Dopo aver stilato la classifica, la Sezione ha organizzato una grigliata sul campo con lotteria finale e, al termine, ha ringraziato tutti gli intervenuti e augurato il consueto arrivederci all’anno prossimo. I tre del podio mostrano orgogliosi i trofei vinti

Lissone, un giorno sereno per i diversamente abili

Un attimo di serenità è anche una canna tesa sull’acqua, il sorriso di un amico che incita a lanciar a fondo l’esca, una libellula che sfiora il laghetto. Ed a donarlo sono stati i federcacciatori di Lissone, che con il

vicepresidente provinciale di Milano Maurizio Masiero e il coordinatore Claudio Casagrande hanno voluto organizzare la quarta giornata di gara di pesca per diversamente abili nel magnifico laghetto del parco del

Comune. Vi hanno partecipato sedici ragazzi del Centro didattico di Desio. Accanto a loro Lino Fossati, assessore comunale allo Sport, Fabio Monti, assessore provinciale alla Caccia della neo Provincia di MonzaBrianza, Fabio Meroni, assessore provinciale al Patrimonio, e Rodolfo Grassi, presidente provinciale Fidc. Una mattinata piena di sole per un incontro che dimostra il grande cuore degli uomini della Federazione e delle Genti di Lissone. In primo piano Masiero e Casagrande per una iniziativa che conferma come la Federazione sia inserita nella Società civile e voglia farsi carico di un impegno che supera i confini dello sport e della gestione. E ne hanno preso atto sia i responsabili politici che i molti cittadini. È da augurarsi che tale iniziativa venga imitata nel maggior numero di città e da quante più sezioni possibili.

“3° Memorial Micucci” Su iniziativa della Sezione Fidc di Gradara (Pu), guidata da Claudio Gostoli, si è tenuto il “3° Memorial Micucci” in ricordo del sindaco scomparso. La manifestazione, consistente in una gara di biliardo e biliardone, si è svolta presso il chiosco Mirage di Gradara ed è stata seguita e applaudita da un pubblico numeroso, a testimonianza dell’affetto che i cittadini di Gradara nutrono per il loro sindaco. Per la Fidc provinciale erano presenti il presidente Alberto Roscetti e il vicepresidente Agostino Felicetti che hanno espresso parole di compiacimento e di elogio.

I rappresentanti della Fidc impegnati nel biliardone

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“Festa del cacciatore” a Frontone Si è tenuta in località Valpiana del monte Catria, la tradizionale “Festa del cacciatore” organizzata dall’attiva Sezione federcacciatori di Frontone (Pu). Nell’amena località montana, situata in un incantevole anfiteatro oltre i mille metri di altitudine circondato da prati e faggette, si sono dati convegno circa duecento Basstto Ba on ne/s e/su e/ supp ppor orto to te ellesco essco cop piicco o a 3 seezzio ioni ni con co con on bl bo occ oc ccagg cc ag gg gio io aad d aav avv vvvita itttaamen meeen ntto o e impu mp gna gnatu turaa in tur gom go ommaa cco con on la o lacci cci cc ciolo. olo olo ol o. Punta unt ntta in met eta tallo, llllo, ttapp llo a o di app gom gom go mma ma aant an n isc nt isciivo vo olo l e rote tteelllla la an antia t ffo fo ossa sssa samen mee to. o. o Uti Ut Uti tillliz izzzab abiile ab lee co come me bas baston baston to on o ne, nee,, ma m anc anche nche he com om me supp up ort per to peer ll’arm rm ma graz grra raz aazziee allla fo azie orc r eell rc ellla la am mo mov o ib ibi bilee (a (altezza z da 82 a 1855 cm)) peer fiss da fiss i are ree o ottic ttiiche i hee o appa apparec ppa p rec eccchi c ch fot oto ot ogr g afi fiici. ci Peeso so g 305. 0 05

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Lo staff della Fidc di Frontone

persone, tra cacciatori, familiari e amici. Presenti alla manifestazione il sindaco e il parroco di Frontone, nonché il segretario provinciale, Augusto Martinelli, e il vicepresidente, Agostino Felicetti, della Fidc di Pesaro e Urbino che hanno portato il proprio saluto, rallegrandosi con i dirigenti locali per l’ottima organizzazione e le finalità perseguite dall’iniziativa, tesa a valorizzare la natura, la caccia e l’amicizia. Ha completato la “Festa del cacciatore” una tavolata a base di polentone alla carbonara accompagnata da prodotti e vino locale, mentre un gruppo musicale intratteneva i presenti, molti dei quali si davano alle danze moderne ed al liscio. La manifestazione si è conclusa con una ricca lotteria e con un arrivederci al prossimo anno.

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A Longare (Vi) si è svolta una prova pratica su starna organizzata dalla locale Sezione. La prova, che ha visto numerosi soggetti nelle 4 classiche categorie, si è svolta in un buon terreno attorniato da ottima selvaggina. Al termine del barrage finale, che vede aggiudicare il trofeo della gara a Claudio Balbi, il presidente della Sezione De Zotti e il sindaco Gaetano Fontana hanno svolto le premiazioni. Riccardo Cariolato

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Il momento conviviale al termine delle gare

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Stagione da record per la Zac di Capannoli La Sezione “Strada” di Capannoli ha portato a termine anche per l’anno 2009 l’ambizioso programma di gare cinofile: ben 7 prove iniziate nel mese di febbraio e concluse alla fine di giugno, che

La consegna dell’assegno al medico dell’ospedale pediatrico Meyer

I VINCITORI DEI TROFEI 2° “Trofeo Agraria Cantini” Cosimo Marzo con il setter Gimmi 4° “Trofeo Città di Capannoli” Turbati Maurizio con lo springer Tequila 9° “Trofeo Renata Moncini” (alla memoria) Paolo Lippi con il setter Pittino 19° “Trofeo Casa Della Coppa” Alfio Dini con il setter Rubens fra l’altro sono servite a immettere sul territorio oltre 300 fagiani, 100 starne e pernici, nell’interesse di tutti i cacciatori iscritti all’Atc. Durante la premiazione e la cena finale, svoltasi presso l’area addestramento cani di Capannoli, sono stati assegnati ben 9 trofei ai concorrenti che complessivamente hanno totalizzato i maggiori punteggi. Nell’occasione, alla presenza dell’assessore comunale Fabiano Bernardeschi, il presidente della Se-

La Fidc Basilicata si rinnova Alla presenza del presidente nazionale Gian Luca Dall’Olio, in veste di commissario straordinario, e del presidente della

Fidc Puglia, Saverio Pace, si è proceduto al rinnovo delle cariche sociali in Federbasilicata. Dopo un periodo di commissariamen-

13° “Trofeo Paolo Bimbi” (alla memoria) Claudio Selmi con il pointer Kaka 1° “Trofeo Granchi Sirio” (alla memoria) Giancarlo Sardi con il breton Varenne 1° “Trofeo Collecchi Mario” (alla memoria) Fabrizio Riccetti con lo spinger Speedi 6° “Trofeo Federcaccia Sez. Strada” Cosimo Marzo con il setter Gimmi 2° “Trofeo Allevamento Indio’s” Giancarlo Sardi con il breton Alì zione, Roberto Salvini, e i suoi più stretti collaboratori, dopo aver ringraziato tutti coloro che hanno collaborato e contribuito alla riuscita del programma, hanno consegnato per il 2° anno consecutivo un assegno da 1.500 euro ad un medico dell’ospedale pediatrico Meyer di Firenze per l’assistenza ai piccoli ammalati che vi si trovano ricoverati. Il tutto è stato notevolmente apprezzato dai presenti e dai concorrenti stessi. to succeduto a una gestione presieduta da Adalberto Corona, dimissionario dal 2007, il nuovo Consiglio direttivo, espressione delle province di Potenza e di Matera, ha eletto, per acclamazione, Giovanni Tucci di Montalbano Jonico come presidente regionale, e Vincenzo Calamiello come segretario e tesoriere. Vicepresidente è Pasquale Ladaga. Il Consiglio di Presidenza, come da statuto, sarà costituito dal presidente regionale, dal vicepresidente, dal segretario e dai due presidenti provinciali di Potenza e di Matera, Antonio Paradiso e Michele Perito. Il presidente nazionale ha augurato a tutti un proficuo lavoro. Il nuovo direttivo con il presidente Dall’Olio

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Mascali, volontariato Fidc protagonista Per il quinto anno consecutivo, la Giunta municipale del Comune di Mascali (Ct) ha siglato un protocollo di collaborazione con le associazioni di volontariato presenti sul territorio comunale. Fra esse spicca la Fidc: con tale intesa le guardie ittico-venatorie della locale Sezione, comandate dal capitano Giuseppe Cannavò, collaborano attivamente con la polizia mascalese in specifiche attività di controllo e prevenzione a difesa dell’ambiente, ed in particolare nella salvaguardia Lo stemma del territorio dagli incendi. Nel corso di del Comune di Mascali una conferenza di servizio tenutasi presso il comune, il sindaco Filippo Manforte ha evidenziato il vivo apprezzamento nei confronti delle guardie della Federcaccia e del volontariato. “Le motivazioni, altamente nobili nel contribuire positivamente alle attività di interesse collettivo - ha dichiarato il presidente della Sezione provinciale di Catania, Cateno Di Bella si estrinsecano in una funzione sociale condivisa non soltanto dalle istituzioni, ma anche dai singoli cittadini, e favoriscono positivamente la comprensione dell’opinione pubblica sull’importanza che rivestono i cacciatori e con essi la caccia”. Mariano Andò

Prove attitudinali a Pesaro Grande successo della cinofilia in località Candelara - S.Maria dell’Arzilla del comune di Pesaro. Le prove attitudinali su selvaggina liberata, giunte alla 29ª edizione, sono state organizzate dalla Federcaccia di Pesaro. I migliori “trialer” della provincia, ma anche di quelle vicine, Romagna compresa, si sono confrontati per due giorni, sui campi, in una serie di gare per razze da ferma. Massiccia è stata la partecipazione, con ausiliari degni di nota. Segnalata una buona presenza di giovani e giovanissimi alle loro prime esperienze come conduttori. Si sta constatando, purtroppo, la scarsa presenza di spinoni e bracchi italiani, in costante diminuzione, mentre è netto il predominio dei soggetti inglesi, setter e pointer, oltre alla buona presenza di kurzhaar ed epagneul breton. Alta la partecipazione alla prova speciale riservata ai cani da cerca, numericamente in crescita, springer spaniel su tutti. Entusiasti gli organizzatori, dirigenti e giudici insieme al presidente provinciale Alberto Roscetti, pronti ad impegnarsi per la 30ª edizione prevista per il 2010.

Il presidente Roscetti posa con gli organizzatori della gara

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4° “Trofeo De Berardinis” La Sezione comunale di Nereto (Te) in collaborazione con il Circolo cacciatori “Val Vibrata” e il Gruppo cinofilo Teramano ha organizzato il 4° “Trofeo G. De Berardinis” intitolato al giovane cinofilo prematuramente scomparso. Una qualificata presenza di concorrenti, sotto l’attento e sempre puntuale giudizio di Goffredo De Matteis, ha dato vita ad una prova di notevole livello. Nella Libera

Il momento della premiazione

inglesi si è aggiudicato la prova il pointer Full, condotto da Mario Alberini con questa motivazione: “Si adatta immediatamente al tipo di terreno; buono il movimento. La cerca è di giusta ampiezza e di buona continuità. Si aggiudica tre ferme utili prese con decisione e bella espressione e correttissimamente risolte”. L’eccellente organizzazione, i ricchi premi e la cordiale ospitalità sta portando questo Trofeo oltre i confini regionali, come si evince dal 3° Ecc. di Rudy condotto da Dante Capriotti di Fermo. Nella Libera continentali prevale ancora Capriotti con il suo breton Febo. Cesare Ripani

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Inglesi cacciatori 1. Roky - st Giuseppe Tres Continentali cacciatori 1. Atos - kh Filippo Zamprogno Libera cinofili 1. Alex - st Mario Berdusco La premiazione di Filippo Zamprogno da parte del presidente Carlo Torresan e dall’assessore alla Caccia della Provincia di Treviso Mirco Lorenzon

La Sezione provinciale di Treviso per ricordare l’amico Alfonso Girardi, dirigente della Federcaccia e cinofilo di grande passione che ha profuso il proprio impegno anche per la nascita dei campi di addestramento cani da ferma e delle prove cinofile nella Marca Trevigiana, ha organizzato il 4° “Memorial” a lui intitolato, svoltosi in cinque prove cinofile per cani da ferma a coppie su starne liberate riservato a cacciatori e cinofili. Le prove si sono tenute nei campi di addestramento di Vittorio Veneto, Gaiarine, Volpago del Montello, Falzè di Piave e a Montebelluna la finalissima. Hanno partecipato alla riuscitissima manifestazione 327 soggetti. Alle premiazioni erano presenti il presidente della Sezione provinciale, Carlo Torresan, il segretario provinciale e responsabile della cinofilia, Luciano Schiavon, Anna Lioni, componente della Commissione cinofila, autorità del Comune di Cornuda e Mirco Lorenzon, assessore provinciale alla Caccia della Provincia di Treviso.

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Macerata: 17ª “Festa del Cacciatore” Organizzata dalla Sezione comunale di Macerata, presieduta da Giorgio Fusari, si è svolta presso il Centro Fiere di Villapotenza (Mc) la 17ª “Festa del Cacciatore”. Come nella tradizione, la partecipazione dei soci e delle loro famiglie è stata massiccia: sulle 350 presenze. Diverse le iniziative che hanno caratterizzato la giornata: dalla gara di briscola alla valutazione dei Trofei da parte del prof. Pulozzi, che nel chiarirne i criteri ha fornito interessanti informazioni sulla vita del cinghiale (i trofei di maggior interesse sono risultati quelli presentati da Fusari, Bracaccini e Bonvecchi). La gara dei richiami a fiato o meccanici “lu zizzu” ha visto la partecipazione di cacciatori di ogni età. Primo è risultato il più giovane, Michele Galassi, poi Piersantolini e Bracaccini. Le Medaglie al cacciatore quest’anno sono state assegnate a: Iommi, Castricini, Bellesi, Lattanzi e Tombesi. La partecipazione alla premiazione del vicepresidente del Coni provinciale di Macerata, Moretti, dell’assessore alla Caccia della Provincia di Macerata, Giuseppe Pezzanesi, dell’as-

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sessore alla Cultura del Comune di Macerata Massimiliano Bianchini, del consigliere delegato allo Sport Canesin, del consigliere Carancini, del presidente onorario della Federcaccia Giancarlo Gorini, ha contribuito al maggior lustro dell’evento. Si ringraziano i F.lli Benedetti della Fertilval-

le e tutti i volontari che hanno contribuito al successo dell’evento, che si è concluso con la serata conviviale allietata dal complesso “Peppe de Filò” e con le danze alle quali hanno partecipato una coppia di ballerini professionisti. Alessandro Giumetti

Corso di caccia ad avancarica ad Alba L’Acca (Associazione cacciatori cuneesi avancarica), in collaborazione con la Sezione provinciale di Cuneo, la Sezione comunale di Alba e l’Atc Cn4, ha promosso una serie di 3 incontri d’approfondimento sulla caccia con fucile ad avancarica e ausiliare presso il Campo di addestramento cani “La Serenel-

la”. Il programma, esposto dal presidente dell’Acca, Bruno Pronzato, prevedeva una parte pratica, con fucili e cariche messi a disposizione dal presidente, e una teorica: storia ed evoluzione del fucile ad avancarica a bacchetta e a luminello; note sul caricamento; precauzioni e procedura di caricamento. Al termine degli incontri Pronzato ha consegnato a tutti i partecipanti degli scritti riassuntivi preparati da lui. Alla cerimonia finale erano presenti: Giuseppe Pio, presidente provinciale di Cuneo; Aldo Ardesia, presidente della Sezione comunale di Alba; Mario Rolando, responsabile del Campo addestramento cani “La Serenella”; Santo Caruso, collaboratore e assistente sul campo; Luisa Albertin, vicepresidente e segretaria Acca.

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4° “Trofeo dell’Etna” Presso la Zona addestramento cani “S.Uberto” sita LE CLASSIFICHE in Randazzo (Ct), si è svol- Cacciatori to l’annuale “Trofeo del- 1. Gulisano (Ct) l’Etna”, giunto oramai alla Cinofili sua quarta edizione. La manifestazione è stata or- 1. Martino (Rc) ganizzata dalle Sezioni co- Lady munali di Mascali e Ran- 1. Romina Patanè (Ct) dazzo, con la collaborazio- Veterani ne dalla Sezione provincia- 1. Lupica (Me) le di Catania. Presenti alla Juniores manifestazione cacciatori e Il presidente regionale Ernesto Del Campo premia uno dei vincitori cinofili provenienti da tut- 1. Sariga (Rc) ta la Sicilia e dalla vicina Calabria. Impegnativo il terreno di gara e arduo il lavoro per i due giudici federali, Mariano Andò e Salvatore Allia, che hanno decretato la vittoria per la categoria Cacciato tutte le tappe: la sua passione vera ciatori dell’armiere Alfio Gulisano di Mascalo aveva reso già protagonista delle più li, mentre per la categoria Cinofili è salito Il Circolo cacciatori “Il Colombaccio” di memorabili azioni venatorie. Al papà Ansul gradino più alto del podio l’armiere AnGagliano (Cz) piange l’immatura e tragica tonio, veterano cacciatore, e al fratello tonino Martino di Reggio Calabria. Alla mascomparsa di Salvatore Pugliese di 21 anFrancesco ci stringiamo con la massima nifestazione ha preso parte il presidente ni. A soli tre anni dal primo rilascio della solidarietà e con il più alto senso di amiregionale Ernesto Del Campo, che si è licenza di caccia, Salvatore aveva già brucizia. Salvatore era veramente una persocomplimentato per la sportività e l’educana unica e speciale, il suo sorriso era carizione venatoria dimostrata dai concorrenti co di educazione e di spontanea gentilezsul campo di gara; un elogio è stato confeza verso tutti. Vitaliano Argirò rito al presidente provinciale di Catania, Cateno Di Bella, e ai presidenti comunali Giuseppe Scandurra (Mascali) e Salvatore Cariola (Randazzo) per l’impeccabile orgaLa Federcaccia Sicilia, nella persona del nizzazione. Il servizio di vigilanza è stato presidente Ernesto Del Campo, a nome di curato dalle guardie ittico-venatorie della tutti i cacciatori italiani esprime il proprio Fidc di Linguaglossa e Misterbianco capitacordoglio alla famiglia del piccolo Giusepnate dal comandante Giuseppe Cannavò. pe Vitali di Caltanissetta, colpito da un Alla fine della manifestazione tutti i convefulmine mentre accompagnava lo zio a nuti si sono riuniti presso l’agri-hotel “Da caccia. Al padre Paolo e agli altri familiari Marianna” a Santa Domenica Vittoria per il vada il più sentito dolore per questa grapranzo conclusivo. ve e improvvisa perdita. Sebastiano Mosca

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6° “Trofeo Luigi Paradiso” A Marsiconuovo (Pz), in località Piana del Prisco, si è svolta la sesta edizione del “Trofeo Luigi Paradiso”, una prova di lavoro con sparo riservata agli ausiliari da ferma su selvaggina liberata. Il Trofeo è stato organizzato interamente dalla famiglia Paradiso per ricordare Luigi, scompar-

prova ed hanno decretato vincitore, con giudizio unanime in base all’azione di caccia realizzata sul campo, il concorrente proveniente da Lauria, Antonio Cafaro, che si è aggiudicato il “VI Trofeo Luigi Paradiso” rappresentato da un quadro raffigurante un cane da caccia realizzato dal-

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so prematuramente. La prova di lavoro, che ha raggiunto livelli tecnici di assoluto valore, si è svolta in contemporanea su quattro campi per ospitare i circa 90 concorrenti iscritti provenienti da varie regioni del Sud, e ciò denota ancora una volta la valenza tecnica di questa manifestazione. La prova di lavoro è stata giudicata dai giudici Federcaccia che ogni anno sono presenti a questo appuntamento: Adalberto Corona (Basilicata), Giovanni De Luca (Puglia), Giuseppe Fogliamanzillo (Campania), Vincenzo Palaja (Basilicata). Al termine della prova si è svolto il barrage tra i primi di ogni campo: Antonio Cafaro, Rocco Martoccia, Gennaro Truono, Antonio D’Anna. Tutti i giudici hanno seguito la CACERIAS AGRESTES - Direttore Jesus Ramirez -

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l’artista Vincenzo Palaja. Alla premiazione, effettuata sul campo, era presente tutta la famiglia Paradiso, e nei vari interventi effettuati si è notato in tutti, in particolare nel giudice Corona, la grande emozione nel ricordare un amico cacciatore. Antonio Paradiso, attuale presidente della Sezione provinciale di Potenza, visibilmente emozionato per la grande partecipazione di amici e conoscenti, ha ricordato il fratello scomparso. Dopo la premiazione tutti si sono recati nel parco Fontana delle brecce per consumare il pranzo offerto, come sempre, dalla famiglia Paradiso, che al completo, dimostrando grande unione, ha servito tutti i commensali ai tavoli. Testo e foto di Rocco Latorre


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