GRACE KELLY Icona intramontabile
RACHEL UCHITEL E’ il destino, bellezza
LE GAMBE DELLE DONNE ladysmagazine.it
nelle locandine dei film
Anno 03 special DIGITAL EDITION 2013
CRISTIANO RONALDO E io firmo le mutande
Tante news E Un tocco
Fashion
www.annabella.it
sommario Anno 03 special digital edition 2013 Bimestrale a diffusione gratuita Autorizzazione Tribunale di Pavia n. 741 del 21/07/2010
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pubblicazione Adverum Srl Via R. Brichetti, 40 27100 Pavia Tel. (+39) 0382 309826 fax (+39) 0382 308672 info@adverum.net DIRETTORE RESPONSABILE Stefano Spalla direttore@ladysmagazineonline.com SEGRETERIA DI REDAZIONE C. Moretti - Tel. 0382 309826 redazione@ladysmagazineonline.com
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STAR: Cristina Parodi torno DOPO IL TG ICON: Grace Kellyi SENZA PIÙ GHIACCIO HERO: Rachel Uchitel URLA DAL SILENZIO MOVIE: Le gambe DONNE SULL’ORLO DI UNA LOCANDINA FASHION: Pitti Immagine W 13 SULL’ARNO LUCCICA BEST SHOP: Boutique Pomposi IL LUOGO DOVE È NATA L’ELEGANZA DREAM: Cristiano Ronaldo THE SLIP WAR MODA: Sergio Rossi S/S2014 SANDALO AL SOLE ART: Iain Crawford L’ALTRA PELLE
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FOREVER: Sun City Pomps NON TOCCATE LE VECCHIETTE LAW: L’infedeltà traditi per legge lady’s news
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editoriale
e m o c l e W ON BOARD
Piacere, accomodatevi. Siamo al primo numero, quindi è giusto fare gli onori di casa: Lady’s, dovete saperlo, è un vecchio cruccio di questa casa editrice, una scommessa lanciata qualche anno fa a livello sperimentale che da allora ci pizzica con forza le corde della fantasia. Perché è un’idea tosta, totalmente votata alla donna e con la nostra solita arma in più che di questi tempi è quasi infallibile: essere gratuita, in tutto e per tutto. Fate un esperimento: andate in edicola e date un’occhiata alla quantità di “femminili”, come sono chiamate in gergo le pubblicazioni dedicate alla donna, che riempiono glie espositori. Nessuno, a parte noi, si sognerebbe mai di regalarvi una copia, di non chiedere nulla in cambio. Di cosa parleremo? Lo sforzo sarà quello di raccontare le donne a 360°, senza tappi per le orecchie di fronte ai problemi, e tantomeno cercando di evitare la moda, la cosmesi, la bellezza e tutto quello che, confessiamolo, alle donne piace da morire. Ma siamo aperti ai suggerimenti, alle indicazioni che chi ci segue vorrà mandarci. Di nostro, mettiamo in campo una redazione ed una rete di collaboratori quasi tutta al femminile, perché a parlare alle donne siano altre donne. C’è un solo, piccolo piccolo sforzo che chiediamo alle nostre lettrici: se avete per le mani una copia cartacea di questo primo numero non fateci l’abitudine. Lady’s è una sfida, ma lo è anche nel modo di diffondere questa testata: ci troverete unicamente in forma elettronica, per leggere le nostre pagine su smartphone o tablet. Inutile nasconderci dietro false scuse: contenere i costi è ormai quasi un obbligo per tutti, ma a questo ci aggiungiamo la voglia di raggiungere ogni angolo d’Italia, cosa che passando attraverso i costi tipografici non potremmo fare senza restare gratuiti, e ancora la certezza di potervi fare compagnia ovunque voi siate, in casa come in treno, bus, metropolitana, aereo, sala d’attesa. Come si fa a ricevere ogni nuovo numero di Lady’s? Semplice, basta una semplice iscrizione al sito www.ladysmagazine.it o attraverso la pagina Facebook https://www.facebook.com/pages/Ladys-Magazine/295222993931353 o ancora più semplicemente inviandoci una mail alla casella di posta redazione@ladysmagazine.it. Al resto pensiamo noi. Dovremmo aver detto tutto, quindi andiamo a incominciare. A darvi il benvenuto trovate Cristina Parodi, celebre donna della tivù, giornalista raffinata nei modi e nello stile. È lei il viatico a questa nuova avventura, la prima di tante Lady’s in arrivo. Prendete posto dove volete, tanto noi non abbiamo bigliettai.
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Cristina Parodi
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Tg
PER OLTRE 20 ANNI È STATA IL VOLTO DEL TELEGIORNALE TARGATO MEDIASET. MADRE DI TRE FIGLI, SORELLA DI ALTRE DUE CELEBRITÀ DEL PICCOLO SCHERMO, UN ANNO FA CAMBIA TUTTO E RICOMINCIA DA CAPO. RITRATTO DI UNA DONNA OTTIMISTA E POSITIVA CHE HA UN LIBRO IN USCITA E NUOVO UN PROGRAMMA IN PARTENZA SULLA RAI di Germano Longo foto di Zambelli ladysmagazine.it
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È appena sbarcata dal Brasile, e oltre al fuso orario ha ancora un po’ di “saudade” da smaltire e barattare con il freddo che ha colpito l’Italia mentre lei era dall’altra parte del mondo. Capita, fa parte di ogni ritorno, ma è il pensiero di un attimo, perché subito dopo Cristina prende fiato e la sua voce torna ad essere quella di una meravigliosa sconosciuta di famiglia, entrata per migliaia di sere nelle case degli italiani dalla scrivania del TG5. Per tanto tempo, e tanti anni, il volto del telegiornale targato Mediaset è stato lei: sorridente, elegante, inappuntabile, mai sopra le righe. Come dovrebbe essere chi fa il giornalista, e malgrado sia fatto di sangue e nervi, come tutti, le proprie idee ha imparato a tenersele strette. Giulio De Benedetti, uno dei direttori storici de La Stampa, ai suoi cronisti raccomandava: “Userete la prima persona solo quando andrete sulla luna”. Ovvero mai, non illudetevi. Piemontese di Alessandria, classe 1964, arriva un anno dopo suo fratello Roberto e otto prima di Benedetta: nessuno di loro sa che da grandi diventeranno dei volti della tivù, ognuno per strade così diverse da chiedersi dov’è la parentela. Cristina studia al classico, si laurea in lettere moderne e inizia qualche piccola collaborazione, attirata dal mestiere della notizia. Ma il destino sa riconoscere la propria clientela: tutti o quasi, prima o poi nella vita si buttano, ma solo qualcuno prende il volo, gli altri restano a metà o stramazzano a terra. Un decennio dopo, negli anni Novanta, Cristina passa dalle piccole televisioni di provincia al neonato TG di Mediaset, con “Chicco” Mentana sul ponte di comando. Lei ci arriva per via dello sport: è bella, ha un viso che passa, nessun imbarazzo davanti alle telecamere e ne capisce più di molti uomini. Era
una promessa italiana del tennis, una che picchiava forte e aveva un “dritto” cattivo, dicevano gli avversari. Alla metà degli anni Novanta il primo giro di boa: Cristina si sposa con Giorgio Gori, da cui avrà tre figli (Benedetta, Alessandro e Angelica) e l’anno successivo lascia la poltrona del TG5 attirata da “Verissimo”, settimanale di approfondimento che conduce per quasi un decennio, quando Carlo Rossella, nuovo direttore del TG5, la rivuole al suo posto, come il resto degli italiani. L’addio però è solo rimandato: nel 2012, dopo 22 anni di Cologno Monzese, lascia Mediaset per La7. Ma alla gente sono questioni che in fondo importano poco: basta che quando accendono la tivù, Cristina ci sia. Com’è andata in Brasile? Alla rete non è sfuggito qualche tweet… Bene grazie, bellissima esperienza: è un paese che non conoscevo, molto affascinante. Lei nutre una grande passione per social network… Li uso per lavoro, ma non mi considero una “drogata” di social come fanno i giovani, ad esempio i miei figli. Non amo Facebook, perché non ho bisogno di cercare gente nuova, ne conosco a sufficienza così. Twitter è invece più vicino al mio mestiere, è un bel modo per comunicare. Alla rete non è sfuggito neanche il suo tatuaggio, uguale a quello di sua figlia Benedetta: tre rondini. L’ho dovuto fare, sono stata quasi costretta da mia figlia, la più grande: ne voleva uno che ci unisse, così abbiamo scelto le tre rondini, che li rappresentano. Il problema è che anche la più piccola ormai insiste: si è già prenotata per farne uno fra qualche anno, ovviamente insieme a me. Speriamo nel frattempo si dimentichi… A ladysmagazine.it
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“MI CONSIDERANO ELEGANTE? NE SONO LUSINGATA, IN FONDO MI APPARTIENE. IL PROSSIMO ANNO USCIRÀ UN LIBRO CHE HO SCRITTO PER LE DONNE IN CUI CERCO DI SPIEGARE COME ESSERE ELEGANTI E A POSTO IN OGNI OCCASIONE”
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Ma è vero che quella in Brasile è stata una breve vacanza prima di rituffarsi nel lavoro, rappresentato da Long Lost Family? È un format, di cui ancora non c’è il titolo. Partirà dal 20 dicembre su Rai 1, per quattro puntate. A condurlo siamo io e Al Bano, ma non c’è studio, si tratta di filmati dal taglio cinematografico in cui raccontiamo storie di famiglie che si sono separate anni fa, perdendo ogni traccia uno dell’altro. È un’idea delicata, piena di emozioni ma senza essere lacrimosa ad uso e consumo televisivo: l’incontro ad esempio lo lasciamo a loro, senza telecamere, perché resti un momento privato. Dopo 22 anni in Mediaset è passata a La7, dove però i suoi due primi programmi non hanno avuto il successo sperato. È stata lei stessa a comunicarne la fine per mancanza di ascolti: in un mondo come quello televisivo è un atto coraggioso. In realtà avrei continuato volentieri, e sono convinta che gli ascolti sarebbero cresciuti, anche se peraltro erano attestati nella media della rete. Il problema è diverso: c’è stato un cambio di proprietà, con una nuova linea editoriale e un profondo taglio dei budget. Ricorda una notizia che non avrebbe mai voluto dare? Tante, ma purtroppo un telegiornale è fatto al 90% da notizie brutte. Le violenze sulle donne o sui bambini mi hanno sempre turbata profondamente. A noi può dirlo: ma Benedetta è davvero così brava ai fornelli e Roberto è realmente un professionista delle moto?
Ma perché nessuno ci crede? Benedetta è bravissima ai fornelli, pur non essendo uno chef, e sa preparare piatti meravigliosi con poco. Roberto invece è un grande viaggiatore, musicista e scrittore: è il più talentuoso di noi tre. Lei è considerata una delle giornaliste italiane più eleganti: si ritrova in questa definizione? Mi lusinga, perché in fondo mi appartiene. E non a caso, la prossima primavera uscirà un mio libro, in cui cercherò di dare consigli alle donne per essere a posto in ogni occasione. Come sta cambiando il mestiere dell’informazione? Il web ha fatto fare un carpiato al mondo, a cominciare proprio dall’informazione, che è stata un po’ danneggiata dalla velocità della rete. Questo ha costretto i mass media a rinnovarsi, perché oggi nessuno aspetta più il TG per sapere cos’è successo: tutti sanno già tutto, un attimo dopo che è accaduto. Qualche rammarico professionale? No. Sono una persona positiva e ottimista. Sicuramente passare a La7 non è stata una decisione vantaggiosa, ma quando ho scelto una rete di nicchia con ottime idee, poi è cambiata. Ora sono contenta dell’esperienza su Rai 1. Ma se fra qualche anno uno dei suoi tre figli fosse in bilico fra una carriera sportiva o giornalistica, quale si sentirebbe di consigliargli? Decideranno loro, l’importante adesso è che studino. La più piccola, 12 anni, è una campioncina di ginnastica ritmica, e spesso sogna medaglie e Olimpiadi. Ma stiamo cercando di farle capire che quelle sportive sono carriere brevi e faticose. Non che con le altre si fatichi meno, sia chiaro… H
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Grace Kelly
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PER HITCHCOCK ERA “GHIACCIO BOLLENTE” PER IL MONDO RESTA UN’INIMITABILE COMMISTIONE DI BELLEZZA, FASCINO ELEGANZA E FEMMINILITÀ. AD OLTRE TRENT’ANNI DALLA MORTE PREMATURA, UN DOVEROSO OMAGGIO ALLA PRIMA DI UNA LUNGA SCIA DI PRINCIPESSE TRISTI
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è il 13 settembre del 1982, ormai più di trent’anni fa, la data in cui per le principesse cambia tutto. Dai castelli e le carrozze trainate da cavalli bianchi delle favole che si raccontano ai bambini a realtà difficili fatte di tristezze, solitudini, amarezze e un’infelicità che da quel giorno porteranno spesso dritte verso la parola fine, che sia sotto un tunnel parigino o su una strada della “gran corniche”, alle spalle del Principato di Monaco, mondo fiabesco per via delle tasse, abitato da ricchi e famosi. A
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Grace Kelly se n’è andata così, trent’anni fa, pagando il prezzo di sciupare la favola al mondo intero, che per un attimo aveva finito per credere alle favole: la ragazza non nobile ma bellissima, il principe e il suo castello affacciato sul mare, l’amore che scavalca gli oceani. Quel giorno, il 13 settembre 1982, per uscire con Stephanie, la figlia più piccola, Sua Altezza Serenissima sceglie la Rover SD1, e per l’autista non c’è posto. Perde il controllo e va fuori strada a La Turbie, dimostrando ancora una volta che il destino ama nutrirsi di cinismo: sono, quelle, le stesse strade in cui anni prima la futura principessa aveva girato “Caccia al ladro”, e conosciuto il Principe Ranieri III, dando inizio alla fiaba. Per anni si è favoleggiato su quel giorno, sussurrando che alla guida ci fosse Stephanie, ma mai nessuna ammissione è uscita dal palazzo dei Grimaldi: Grace Kelly muore il giorno dopo l’incidente all’età di 52 anni a causa delle gravissime ferite riportate, senza mai riprendere conoscenza. Terza figlia di John Brendan Kelly e Margaret Majer, Grace Patricia Kelly nasce il 12 novembre 1929 a Philadelphia, in Pennsylvania, da una famiglia ricca ma tutt’altro che nobile. A
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Non importa, perché Grace la nobiltà ce l’ha dentro: è di una bellezza imbarazzante, alta, austera e naturalmente elegante come un’europea di ottimi natali. Malgrado la famiglia si opponga, la giovane Kelly non fa fatica a trovare lavoro come modella, ma lei punta al cinema ed il cinema anche: a 22 anni è sul grande schermo, ritagliandosi una parte in “Mezzogiorno di fuoco”, al fianco di Gary Cooper. Non le serve altro: l’anno successivo, alla faccia di tutti, Grace è candidata all’Oscar per l’interpretazione di “Mogambo”, questa volta con Clark Gable e Ava Gardner. È Alfred Hitchcok a trasformarla nella sua musa assoluta: con lui gira “Il delitto perfetto” e “La finestra sul cortile”, ambedue del 1954, e “Caccia al ladro”, del 1955.
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Per lei, il regista più noir che c’è, conia una definizione che le calza a pennello: “ghiaccio bollente”. L’Oscar arriva comunque nel 1955 per “La ragazza di campagna”, ma appena un anno dopo, nel pieno della carriera e al massimo di una bellezza che non conosce confini, Grace Kelly rinuncia a tutto per salire sull’altare con il Principe Ranieri III. Avrà tre figli, Carolina, Alberto e Stephanie, trasformando il Principato in una sorta di succursale di Hollywood: attori e registi a corte non mancheranno mai, A lasciando trasparire la malinconia per i cinque anni in cui il cinema ed il mondo non avevano scelta, e si inchinavano ai suoi piedi, incapaci di reagire. Proprio nei giorni dell’incidente, nel settembre del 1982, Grace Kelly stava ultimando di girare un film che avrebbe segnato il suo ritorno sulle scene ventisei anni dopo aver dato l’addio alla carriera. Ma il destino quel
giorno era appostato sui tornanti di Cap d’Ail, pronto a chiudere la pratica, forse convinto di averle concesso a sufficienza. Il film, “Rearranged”, rimarrà incompleto, ed il Principe Ranieri chiederà di non distribuirlo mai. Ma di Grace non si perdono le tracce, anche dopo la morte. Difficile che da allora si passato un solo anno senza che qualcuno non le abbia dedicato una mostra, un libro, una canzone o un capo d’abbigliamento. Difficile che a qualcuno sfugga il suo nome ancora oggi quando si parla di eleganza, immagine e femminilità. Grace resta nella memoria, di tutti quelli che per un solo attimo avevano creduto che le favole esistono davvero, come di coloro che alle favole invece non hanno mai creduto. H
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Rachel Uchitel
URLA DAL SILENZIO
Modella, PR, bellissima e ferita nel profondo: perde un fidanzato nel crollo delle Torri e faticosamente prova a rinascere, mentre l’America inorridisce guardandola vivere 18
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è americana e si chiama Rachel Uchitel, un nome che ai più dice poco, ma basta guardarla per capire già molto di come andrà a finire questa storia. Il quarto d’ora di celebrità a lei tocca dieci anni fa esatti, quando nei giorni intorno all’11 settembre girava disperata a Ground Zero con appesa al collo la foto del fidanzato, un giovane e rampante broker di Wall Street: chiedeva di lui, cercava lui, ma lui, avrebbe scoperto poco dopo, non era riuscito a lasciare il centoquattresimo piano, restando sotto quelle tonnellate di macerie, insieme alle altre 2.900 vittime di una follia destinata a cambiare per sempre la strada ai brividi del mondo. La foto di Rachel finisce in prima pagina sul “New York Post”: è alta, bionda e tanto bella, in qualche modo libera e ha urgente bisogno di consolazione. Ma si sa come va la vita in queste cose, e quanto la disperazione sappia portarti su strade imprevedibili, specie se cerchi una scusa per ricominciare ad alzarti alla mattina e credere nel giorno che hai davanti. L’11 settembre del 2001 Rachel non perde solo un uomo, ma tutti insieme i suoi sogni di ragazza con 26 anni, la voglia di farsi una famiglia, di avere una cassetta della posta da svuotare ogni mattina e dei figli da portare a scuola dopo avergli preparato il panino con il burro di arachidi. Così prende le sue cose e parte, finendo dopo un po’ ospite di un’amica a Las Vegas, l’unico posto in America dove la memoria non sanno cosa sia. Riprende a lavorare come PR, si dice così, in alcuni night club della capitale del vizio, così come le era success di fare a New York. A
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un buco enorme, fra quelle due date, lasciato da un cuore che ha continuato a battere, ma solo per vivere. E Rachel, sul suolo diventato sacro dove sorgevano le Twin Tower piange ogni anno, tirando fuori lacrime ormai vecchie di oltre un decennio: per lui, rimasto lì sotto insieme a tutti i loro sogni, che si è portato dietro i bambini, la casa e l’albero di natale pieno di luci. Altre macerie, che nessuno ha visto e soprattutto, che nessuno saprà mai portarle via. H Ma in Nevada le luci sono tante e le notti anche, così di lei e delle sua gambe lunghe e dritte si accorge un tizio chiamato Tiger Woods. E’ un campione di golf pieno di soldi e fama, ma anche corredato di una moglie con un’ottima mira e pochissima pazienza. Lui e lei, Tiger e Rachel, fanno prima coppia, poi notizia, quindi gossip, fin quando il nome di lei non finisce sui giornali, per la seconda volta. Ma non è più lei a piangere: la mogliettina tradita spazzola con una mazza da golf la macchina di Tiger, e lui se la cava a malapena, scoprendo che un ferro da 9 può fare davvero paura. Rachel smentisce tutto pubblicamente, ma si mormora che abbia preso una sorta di “buona uscita” per non svelare alcuni dettagli piuttosto intimi della relazione. Da quel giorno, Rachel Uchitel è tornata sola, c’è chi dice che abbia firmato per posare nuda su Playboy, chi invece da quel momento la biasima pubblicamente perché la ragazza disperata dell’11 settembre 2001 e quella tornata a Ground Zero per i dieci anni della tragedia, siano due persone totalmente diverse. Ma guardando bene, spostando con cura ogni parola ed ogni pensiero, si intravede l’unica verità: c’è solo
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le gambe
LA BELLEZZA FEMMINILE CELEBRATA ATTRAVERSO i manifesti DI CELEBRI FILM
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Quelle lunghe lunghe di Julia Roberts nella fiaba Pretty Woman, coperte fin sopra il ginocchio da stivaloni neri, quelle di Sharon Stone, maliziosamente accavallate come un marchio di fabbrica in ogni episodio della saga Basic Instict, quelle di Anne Bancroft alias Mrs Robinson ne Il laureato, che lasciavano stupito un giovane e imberbe Dustin Hoffman, per finire a quelle di quasi tutti i film di 007: gambe lunghissime, in primo piano, usate come quinta teatrale per racchiudere l’immagine dell’agente segreto Bond, James Bond, lasciando intuire azione ma anche e soprattutto seduzione. Sulle gambe delle donne il cinema ci ha costruito una
fortuna, usandole come accessorio da locandina, una sorta di richiamo che pare davvero infallibile, vista la moltitudine di poster in cui le gambe, e che gambe, bastano per promettere, ammiccare e sussurrare tutto quello che in una locandina non ci sta, e forse nemmeno ci dovrebbe mai stare. Va da sé che un po’ di sano voyerismo si intravede, seppure ai minimi termini, visti le barbarie di
questi tempi, come pure si fanno strada discorsi più profondi, vicini alla solita mercificazione del corpo femminile a fini lucro, ma la verità è che le gambe femminili, che siano velate da un’autoreggente nera o inguainate in uno stivale o ancora innalzate verso l’alto da un décolleté con tacco da 15, sono sinonimo di grazia, bellezza, eleganza e sensualità da tempo immemore, almeno da quando Dio ha creato le donne e subito dopo imbottito gli uomini di ossessioni. D’altra parte, secondo l’illuminato parere di Bertand Morane, protagonista de L’uomo che amava le donne, diretto da Francois Truffault nel 1977, “Le gambe delle donne sono dei compassi che misurano il globo terrestre in tutte le direzioni, donandogli il suo equilibrio e la sua armonia”. La raccolta di alcune decine di locandine cinematografiche con le gambe femminili in primo piano sono state di recente raccolte e analizzate da Christophe Courtois, un blogger francese che mettendole una in fila all’altra ha svelato un cliché fatto di gambe lunghissime, spesso sproporzionate rispetto al resto dell’immagine, ma anche che nella maggioranza dei casi si è trattato di veri successi al botteghino. A
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Oltre alla già citata Sharon Stone, è giusto in proposito rendere onore a Demi Moore, che inizia a vedere l’effetto che fa alzando maliziosamente la gonna fra le braccia di Michael Douglas in Rivelazioni (1994) e due anni dopo abbandona ogni remora mostrandosi nuda sulla locandina del discutibile Striptease. Per finire in bellezza con Angelina Jolie, che nel 2001 mostra le sue gambe dentro gli hotpants di Lara Croft in Tomb Raider (2001), per poi ripetersi due anni dopo in Tomb
Che fosse per la bontà dell’opera o per la bellezza delle gambe difficile dirlo con certezza, a questo punto. Ma per contro, va anche detto che sono poche, pochissime le star che hanno resistito alla tentazione di mostrare le proprie gambe, consapevoli di poterci costruire sopra carriere sfolgoranti. Difficile dimenticare il fotomontaggio di Mash (1070) che mette insieme delle gambe femminili a due mani maschili intente a mostrare il segno “V”, ma anche le chilometriche gambe della locandina di Solo per i tuoi occhi (1981), dodicesimo film della saga di 007. Piantate nella memoria collettiva resta l’immagine della romantica Jennifer Beals, ballerina-operaia
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in Flashdance (1983), seguita dalla conturbante Kim Basinger in 9 settimane e mezzo (1986), film che segnò un’epoca.
Raider, la culla della vita. Fra i due episodi si fa notare Austin Power Goldmember (2002) che scimmiotta 007 anche nella locandina. Per finire con New York Taxi (2004), che invece la mette giù facile usando le chilometriche gambe di Gisele Bundchen, a ragione considerata l’angelo di Victoria Secret’s, e chiuderla con la conturbante Jessica Simpson che in Hazzard (2005), presta le sue al personaggio di Daisy Duke trent’anni dopo quelle di Catherine Bach, che ai tempi turbavano le notti dei giovani americani. H
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Pitti Immagine W 13
L’ANNO DELLA MODA INIZIA A FIRENZE, CON LE PASSERELLE DEDICATE ALLA DONNA: STILI, MOOD E MUSICA FRA TALENTI DEL FUTURO E UN PASSATO PIENO DI STORIA
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SULL’ luccica
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Se l’Italia è la patria della moda, Pitti Immagine è la sua sartoria. È un’equazione infallibile che funziona dagli anni Quaranta e ha imparato a nutrirsi di un paio di concetti senza eguali: da una parte l’antica bellezza di Firenze, fatta di storia, architettura, letteratura e arte, dall’altra lo stile, le tendenze, la moda, il fashion: quanto di più iconico e attuale possa esserci al mondo, quando al mondo viene in mente il Made in Italy. Oggi Pitti Immagine è una delle passerelle più all’avanguardia del pianeta, un vero “fashion district” con epicentro nella Fortezza da Basso, l’antica fortificazione di San Giovanni Battista realizzata alla metà del 1500 fra le mura di Firenze: passare da lì significa assicurarsi platee sconfinate
e un’attenzione mediatica a cui non serve altro. La moda, certo, resta uno dei capitoli a cui Pitti Immagine presta ancora oggi più attenzione, ma nel tempo si sono aggiunti l’industria, il design e perfino, in tempi ancor più recenti, l’enogastronomia e i profumi. Tutto nasce con Pitti Uomo, più o meno 80 anni fa: è quella la rassegna principe, che ancora oggi si ripete due volte all’anno per svelare le collezioni di moda maschile, dettando regole e tendenze all’intero pianeta. Ma la moda non avrebbe senso, senza quella femminile, e “Pitti W”, dove la lettera sta per “Woman”, arriva a ruota: ancora una volta Firenze diventa il quartier generale dello stile che sarà, il posto dove si stabiliscono colori, lunghezze e misure di ciò che le donne indosseranno durante le stagioni successive. A
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SETTANTA ANNI DI STILE C’erano ben altri problemi, negli anni Quaranta, rispetto alla moda. L’unica concessione, in quegli anni, erano le botteghe e le piccole sartorie: vetrine di una moda che allora amava riempirsi la bocca di termini francesi, per trasmettere un senso di internazionalità ad un’Italia che ancora tirava a campare grazie al lavoro della terra. Nessuno sa che quello è un inizio, un piccolo e infinitesimale braciere sotto cui cova la prima idea della moda italiana. Bisogna attendere il decennio successivo perché il nostro paese cominci la rincorsa alla Francia, imponendo un proprio stile fatto di fantasia, creatività e scelta dei tessuti. Giovanni Battista Giorgini, uno dei tanti sarti fiorentini, ospita a casa propria una piccola sfilata di moda, organizzata per mostrare ciò che l’Italia sta imparando a fare a giornalisti e ricchi compratori d’oltreoceano. A sfilare sono modelli creati dalle sorelle Fontana, Jole Veneziani, Pucci, Carosa. È il 1951, il vero inizio di questa storia. Dall’anno successivo, la Sala Bianca di Palazzo Pitti, a Firenze, diventa un appuntamento di cui si parla in tutto il mondo, e l’Italia non è più soltanto un paese di contadini e suonatori di mandolino, ma un piccolo trampolino di idee che dopo la guerra scopre di avere una rara capacità di savoir vivre.
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Nel 1954 nasce il CFMI, acronimo di Centro di Firenze per la Moda Italiana, l’organismo da lì in poi chiamato a gestire i maggiori eventi fashion nel nostro paese. Il resto di questa storia è una discesa che scavalca i decenni imponendo stili, nomi, leggende, miti. Negli anni Settanta esordiscono giovani stilisti che sembrano promettere bene: uno si chiama Giorgio Armani, piacentino di nascita, ha lavorato per La Rinascente facendosi le ossa nell’atelier di Nino Cerruti, e nel 1975 debutta sulle passerelle fiorentine con la sua griffe. Gli appuntamenti alla Fortezza da Basso si susseguono, ad un ritmo che dimostra quanto lo sguardo di chi fa moda sia costretto a guardare all’Italia: nel 1972 nasce “Pitti Uomo”, seguito tre anni dopo da “Pitti Bimbo”, altri due anni ed è la volta di “Pitti Filati”, quindi “Pitti Casa”. Un turbinio di eventi, di gente da ogni angolo del mondo e di giornalisti che obbliga il CFMI a rivedere i meccanismi: nasce il “Centro Moda”, società con il compito di gestire il sempre più fitto calendario fieristico, ma un anno appena e l’azienda cambia nome, diventando “Pitti Immagine”, embrione di ciò che è oggi, ma già allora creata con obiettivi precisi: internazionalità, contemporaneità, comunicazione, eventi. Oggi “Pitti Immagine” è Uomo, Donna e Bimbo, i tre filoni storici, a cui nel tempo si sono aggiunti Taste e Fragranze, la prima dedicata all’enogastronomia, la seconda alla profumeria.
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Ed è proprio “Pitti W”, la cui 13esima edizione è in programma dal 7 al 10 gennaio prossimi presso l’Arena Strozzi (in concomitanza con Pitti Uomo), sempre a Firenze, la sezione che sta per vivere una profonda rivisitazione, curata dalla designer Ilaria Marelli. “Pitti W” è una finestra lunga quattro giorni, un incubatore di stile per mostrare in anteprima le precollezioni, ma con una costellazione di proposte,
capsule, idee e installazioni per incontrare buyer e operatori, scoprire le tendenze dei marchi più celebri e imbattersi in nuovi talenti in arrivo da ogni angolo del pianeta. Lo dimostra l’attesa che si è creata intorno al nome di Barbara Casasola, guest designer di Pitti W 13 a cui il mondo della moda guarda già da tempo per via di uno stile abilmente sospeso su un personalissimo mood minimalista e ro-
fiorentina con una carriera da sempre sospesa fra moda, televisione, scrittura e politica. Sulle passerelle della Dogana di via Valfonda, mercoledì 8 gennaio, Chiara Boni darà vita ad un nuovo capitolo del suo brand “La Petite Robe”: l’anteprima di una nuova collezione prêt-à-porter dal forte appeal metropolitano basata su tessuti stretch che reinterpreta la passione della stilista, unico
mantico che nulla toglie a seduzione, glamour, eleganza e cura dei dettagli. Classe 1984, brasiliana di origine ma ormai trapiantata a Londra, Barbara Casasola ha debuttato lo scorso settembre sulle passerelle della London Fashion Week dopo essere entrata nelle finali di due importanti contest.
nome femminile nel Gruppo Finanziario Tessile, per la lycra. Ma ad ogni edizione, Pitti Immagine ama alzare l’asticella, magari esplorando nuovi territori, alla ricerca di commistioni che sappiano esaltare il fashion, uno dei pochi settori su cui l’Italia continua a dettare legge da anni. La nuova
Malgrado la giovane età, al suo attivo Barbara vanta importanti collaborazioni con Roberto Cavalli, See by Chloé e Lanvin: le sue collezioni sono attualmente vendute in 14 paesi attraverso alcuni luxury multi brand store come Harvey Nichols a Londra, Spiga2 di Milano e Joyce di Hong Kong. Lo speciale event di Pitti W 13 è invece rappresentato da Chiara Boni, celebre e originale stilista
edizione, quella di gennaio, avrà un’appendice battezzata “Rock me Pitti”: una sorta di enorme playlist, un contenitore di musica che dal piazzale della Fortezza da Basso è destinato a trasportare suoni, parole, immagini e strumenti in ogni angolo della fiera. La tracklist, curata dal critico de La Repubblica Ernesto Assante, sono i grandi “live” della storia della musica. H
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LADY’S BEST SHOP
Boutique Pomposi
IL LUOGO DOVE È nata
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Nel 1965 un abito confezionato costa 35.000 lire e un paio di scarpe 6.000, ma il mondo intero sembra autorizzato a ben altri panorami: e allora via con i sogni di un’epoca che almeno in quell’inizio è pronta ad essere ricordata come felice, spensierata e perfino ricca. Renzo Arbore e Gianni Boncompagni pensano la musica: “Bandiera Gialla”, il loro programma radiofonico, diventa un cult, mentre a Roma esplode il “Piper”, locale che trova la sua musa in Nicoletta Strambelli, in arte Patty Pravo. C’è in giro l’aria giusta per parlare anche di moda, una roba fino ad allora “di proprietà” dei francesi, che opzionano l’argomento imponendo al pianeta il loro prêt-à-porter. È proprio quello, il 1965, l’anno in cui inizia l’avventura di Piero Pomposi, che intravede nella gente una nuova voglia di vestirsi bene e curare l’immagine.
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La boutique Pomposi ci mette poco ad affermarsi, e la palazzina dei primi del Novecento, nel centro storico di Voghera, diventa uno degli indirizzi più celebri d’Italia. La voce si sparge e la clientela si allarga a macchina d’olio, richiamando gente da ogni dove, attirata da un gusto nelle proposte che sanno intuire in anticipo mode e tendenze, tagli e lunghezze. Nulla, da Pomposi, è mai casuale, oggi come allora: il meglio che c’è, la griffe più attuale, le firme più prestigiose non mancano mai, fin dai tempi in cui firme non erano ancora, ma embrioni di ciò che anni dopo avremmo chiamato stilisti, i veri creatori di un concetto che ancora oggi il mondo ci invidia: il Made in Italy.
Pomposi non vende, crea, dicono i suoi clienti. Sa plasmare uno stile, consigliare, guidare, correggere, interpretare, smussare ciò che a volte scambiamo per moda, ma agli occhi degli altri appare come un errore madornale. Serve fiducia, per affidare la propria immagine a qualcuno, e Piero Pomposi se la guadagna mandando in giro intere generazioni di donne e uomini eleganti, ma senza mai ricorrere all’esagerazione: la vera eleganza, ama ripetere, è quella
QUASI 50 ANNI FA PIERO POMPOSI INIZIAVA LA SUA AVVENTURA NEL MONDO DELLA MODA CREANDO NEL CENTRO VOGHERA UNA BOUTIQUE CHE HA ATTRAVERSATO IL TEMPO CONSERVANDO LA RARA CAPACITÀ DI ESSERE SEMPRE IN ANTICIPO
che non si nota. I clienti si fidano, i decenni passano e quelli che un tempo erano i bambini che aspettavano mamma e papà diventano i nuovi clienti della boutique. Il negozio, già: il tempo passa anche lì, i piani oggi sono diventati tre, ognuno specializzato in qualcosa: in basso la donna, a metà l’uomo e in alto l’under, più gli accessori. Pomposi entra anche nell’esclusivo circuito dei “Best Shop” della “Camera Italiana Buyer Moda”, dove hanno accesso non più di un
centinaio di boutique, selezionate secondo regole rigidissime. E la moda intanto cambia rotta, un po’ come i gusti della gente, che ama ancora vestirsi bene ma ha imparato a far convivere un capo firmato con altro che costa molto meno. Quelli di oggi poi, sono gli anni dell’informale e del casual, in cui è importante l’accessorio: la scarpa, la cintura, la borsa, il profumo. E Pomposi è pronto a creare uno spazio nella sua boutique in cui trovare ciò che serve a rendere attuale un “look”, come si definisce da anni lo stile di una persona. Nel 2013, 48 anni dopo, Piero Pomposi e sua moglie Olga sono ancora i signori assoluti dei tre piani al numero 51 della via Emilia, nel centro storico di Voghera.
Quelli che potrebbero essere i nipoti, in senso artistico, di Arbore e Boncompagni si occupano di altra musica e forse c’è in giro un’aria più pesante, meno allegra e spensierata di quella che c’era alla metà degli anni Sessanta. Ma in fondo, a pensarci bene, per Pomposi poco è cambiato: l’eleganza è la sola bellezza che non sfiorisce mai, diceva Audrey Hepburn. Forse perché aveva sentito parlare anche lei della boutique di Voghera, vai a capire. H ladysmagazine.it
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cristiano ronaldo
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THE SLIP WAR
L’attaccante dei Galácticos e del Portogallo ha presentato di recente la sua prima collezione di intimo. Che sia l’inizio di una guerra all’ultima mutanda lanciata a David Beckham?
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Volendole dare una definizione a tutti i costi, è una vera guerra all’ultima mutanda, quella in corso fra David Beckham e Cristiano Ronaldo. Il primo, consorte dell’ex “Spice Girls” Victoria, ha iniziato già da tempo a sfruttare ore e ore di palestra mettendosi al servizio delle mutande altrui, per la precisione quelle di Armani e quelle del colosso H&M. Le sue gigantografie, con cui intere facciate di palazzi sono state tappezzate, hanno calamitato gli sguardi ammiccanti di migliaia di donne d’ogni età, rapite dalla tartaruga perfetta, dai pettorali scolpiti, dalle gambe tornite e della sguardo ammiccante assai di re David. Poi la questione, come si diceva prima, è diventata una battaglia, se non proprio ancora una guerra. A
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sorizzazione marchiata Nike, il portoghese ha da poco presentato “CR7”, la sua personalissima linea di intimo. Il nome della collezione, per i pochi che non lo sanno, è in realtà il nomignolo stesso con cui il giocatore è conosciuto nel mondo: CR sono le iniziali del suo nome, il 7 il numero della maglia che indossa nel Real. Poca fantasia o abilissima mossa di marketing? Forse tutte e due le cose, ma in fondo poco importa, perché le signore d’ogni età hanno nuovamente di che sollazzare le cornee. La collezione CR7 by Cristiano Ronaldo, alla presenza di invitati Vip e del suo eroe in carne e carnet (di assegni), è stata ufficialmente presentata qualche giorno fa al Palacio de Cibeles di Madrid, accompagnata dal tripudio di una gigantografia alta 19 metri in cui anche i suoi muscoli guizzanti (e non solo), spiccano come non mai. La linea, articolata in Luxury, Fashion, Basic e Boys, è stata creata con la collaborazione del designer Richard Chai, che si è occupato dei singoli capi, lasciando a Ronaldo il fastidio dei colori, e comprende mutande, ma anche calze, decisamente più semplici da indossare per qualsiasi uomo, senza restarci male. H
Perché Cristiano Ronaldo, uno dei più forti e pagati attaccanti del mondo, attualmente in forza a “galácticos”, come i tifosi amano definire il Real Madrid, ha deciso di fare di meglio. Dopo essere stato anch’egli nella scuderia della Giorgio Armani, Underwear prima e Jeans dopo, ed aver rimpolpato il conto corrente con un’altra spon-
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Cristiano dalle uova d’oro Cristiano Ronaldo dos Santos Aveiro, portoghese di Funchal, classe 1985, è una delle più fulgide
stelle del calcio mondiale. Capitano della nazionale portoghese, nel 2008 ha vinto il prestigioso Pallone d’Oro, sfiorando il titolo altre
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cinque volte. Con una cifra che ovviamente è in continua evoluzione, ha segnato 398 gol in 667 partite considerando club e nazionali. Ben altre e più impressionanti, invece, sono le cifre che lo riguardano: i quotidiani spagnoli hanno dato per certo un rinnovo del contratto con la società che ha alzato l’asticella su un fisso di 13 milioni di euro a stagione, cifra che può variare di molto in base al rendimento e crescere ancora per ogni trofeo conquistato da Real Madrid. Ultima postilla, senza minimamente considerare le sponsorizzazioni personali, quella dei diritti d’immagine, che gli fruttano una quota del 40% per ogni maglietta, foto, poster o chincaglieria venduta nel mondo. Secondo le cronache rosa, Ronaldo è felicemente fidanzato con la modella Irina Shayk, anche lei non nuova alle passerelle di intimo: Dio li fa, poi li spoglia.
LADY’S moda
Sergio Rossi S/S2014
sand SI CHIAMA “ITALIAN EXTRAVAGANZA”, LA COLLEZIONE CHE UNO DEI PIÙ CELEBRI BRAND ITALIANI DI CALZATURE HA PRESENTATO ALLA MILANO FASHION WEEK
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C’è quel tocco di glamour sapientemente mixato con il made in Italy, in ogni collezione firmata Sergio Rossi. Marchio di shoes design fra i più celebri, creato negli anni Cinquanta a San Mauro Pascoli e oggi presente in oltre 100 paesi con 56 flagship store, a testimonianza di un’immutata passione artigianale che non conosce confini e attraversa gli oceani per finire sulle colline che contano, dove di glamour e glitter se ne intendono. A
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Alle recenti sfilate Milano Moda Donna primavera estate 2014, Sergio Rossi non si è smentito firmando una collezione solare, spesso dalle cromie forti, i contrasti accesi e le forme destinate ad una donna che pretende gli sguardi, da capo a piedi. Nulla cambia, in fondo, anche per la prossima stagione calda: quelli di Sergio Rossi sono un esercizio di sapiente italian touch in cui detta legge il sandalo, che scopre il piede avvolgendolo con pelle, lo chiude con laccetti minimal e lo impreziosisce attraverso
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materiali naturali come il bambù e un uso mai smodato di perline e glittering che disegnano motivi floreali: non si stenta neanche un po’, a immaginarne l’effetto su una gamba dorata dal sole. Non ci sono vie di mezzo, per la prossima stagione immaginata da Sergio Rossi: sandali optical dai tacchi vertiginosi o dal tacco basso, appena accennato, ma con la chiusura che resta ben al di sopra della caviglia, perché non solo con un tacco 15, si misura il fascino di una donna. O ancora stivali estivi alla caviglia, in patchwork
caleidoscopici con colori accesi ispirati ai sacri anni Settanta, larghi e aperti davanti mentre dietro un vertiginoso stiletto in acciaio sembra sospeso nell’aria. Al blindatissimo (e riservatissimo) cocktail party ad inviti che ha seguito la premiére della collezione Sergio Rossi spring/summer 2014, presente una sostanziosa fetta di bel mondo, accolti da Angelo Ruggeri, design director del marchio, fra cui i rampolli delle dinastie Missoni e Versace, più attrici, attori e volti noti, pronti a tirar tardi sulle note very italian di Nina Zilli. H
LADY’S ART
Iain Crawford
UN GRANDE FOTOGRAFO LONDINESE CON UN PASSATO NELLA PUBBLICITÀ HA SVILUPPATO UN TECNICA UNICA PER FISSARE SU PELLICOLA L’ISTANTE ESATTO IN CUI TINTE E POLVERI SI ALLARGANO SUI CORPI FEMMINILI
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È un attimo, l’unico a disposizione, quello in cui un fluido colorato colpisce un corpo di donna e lì si infrange, allargandosi fino a vestirla, per un attimo solo, e irripetibile. Iain Crawford è un fotografo che arriva alla pellicola dopo essere passato dalla pubblicità, mondo dove ha imparato a guardare con modo diverso le polveri dai colori tenui usati in cosmetica e le tinte di tessuti così impalpabili che a volte sembrano un’altra pelle.
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Poi in qualche modo, nell’architettura della sua tecnica, c’entra anche la pittura, altra arte dove lui – forse senza volerlo – si è idealmente riallacciato a quella di Jackson Pollock, artista americano che non amava cavalletti, pennelli e tavolozze, ma preferiva che fossero i colori a prendere direzioni diverse, creando quella che ancora oggi è riconosciuta come la sua impronta, la sua arte. A
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Crawford però non è un artista in preda all’autodistruzione, come Pollock, ma un signore distinto, un londinese di nascita cresciuto fra Africa e Malesia e rimasto anglosassone nei modi e nei gesti, uno di quelli che puoi trovare sulle panchine di Hyde Park a leggere un buon libro, e mai e poi mai diresti che quando piazza il cavalletto della macchina fotografica, diventa uno dei più grandi esponenti dell’action painting. La sua, di arte, è usare vernici, acqua colorata, polveri, fluidi di ogni tipo e densità, e con quelli colpire i suoi soggetti, che di colpo si vestono di spruzzi, schizzi e materia liquida, diventando abiti per un solo istante, in un ordinato caos fatto di punti di colore vicini e così distanti da rendere impossibile ogni replica, anche se partisse dalle mani di un grande stilista. Di Crawford la moda si è accorta, eccome: alcune campagne Lancôme, l’Oréal e Givenchy portano la sua firma, piuttosto inconfondibile, così come i più grandi magazine l’hanno voluto a gran voce in copertina, per quanto è unico quello che riesce a fare. Ad affascinarlo, si legge nelle rare interviste che concede, è la spontaneità dei fluidi nel momento stesso in cui impattano su un corpo femminile, l’esplosione di una tinta che per una briciola di esistenza si spezza in mille gocce, mille tessiture armoniche e altre mille sfumature diverse. Ma non ci sono solo modelle, dai corpi perfetti, negli shooting di Crawford, che spesso attinge soggetti dallo sport, dove la fisicità è una certezza di gesti che abbinati alle sue tinte diventano quadri,
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anche se in fondo, per qualcuno “soltanto” di foto si tratta. Per rendere possibile tutto questo servono attrezzature sofisticate, come macchine fotografiche ad altissima velocità, capaci di non perdere quell’attimo di cui si parlava all’inizio, serve un set attrezzato, luci e fondali giusti, ma alla fine ciò che non deve mancare mai è pazienza, precisione e occhio, ma non un organo della vista qualsiasi, ma uno allenato al bello, che sappia cogliere ogni volta il momento migliore per allontanare da
chi guarda l’idea che quella sia solo una donna coperta di vernice. Ma un’opera d’arte, che un istante dopo sarebbe persa per sempre, se non arrivasse puntuale il click di una macchina fotografica. H
FOREVER LADY’S
Sun City Pomps
NON TOCCATE Le
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Per farne parte bisogna aver compiuto almeno 55 anni, avere un fisico atletico e voglia di viaggiare. Storia di un gruppo di vispe anziane che non ha alcuna voglia di farsi fermare dal tempo
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È facile fare la cheerleader quando si hanno vent’anni o poco meno, un fisico prorompente che sta su da solo, senza tiranti, e uno stadio intero che da una parte si sloga le mascelle e dall’alta si spella le mani. Una cosa così la sanno fare tutti, e in America se ne intendono, visto che il fenomeno nasce proprio in casa loro nel 1880, quando ad uno studente della Princeton University inizia a dirigere il tifo del pubblico agitandosi come un forsennato, durante una partita della squadra di football, inteso quello loro, con la palla tonda e la meta al posto
del gol. Il tizio esagitato dura poco, perché già nel 1903 nasce la “Gamma Sigma”, la prima formazione ufficiale di cheerleaders tutta al femminile, e da lì in poi è un turbinare attraverso i decenni di stivali, minigonne, ombelichi e corpetti che strizzano tutto lo strizzabile, lasciando al pubblico la speranza che prima o poi, se qualche dio è in ascolto, un paio di laccetti cedano. Non hanno ceduto, per esempio, quelli di donne destinate a carriere miliardarie sulle colline di Hollywood, ma che prima ancora di avere una carriera hanno A
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saggiato l’effetto che scatenavano su maschi famelici. Qualche nome? Insospettabili, davvero: Christina Aguilera, Kim Basinger, Sandra Bullock, Jamie Lee Curtis, Cameron Diaz, Eva Longoria, Madonna, Britney Spears e via così, su e giù da Beverly Hills. Ma c’è una squadra, sempre lì in America, che davvero non ha eguali, e non perché le socie siano
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particolarmente avvenenti o solo bionde, brune o rosse. No, la particolarità delle Sun City Pons è di essere arzille vecchiette per nulla impaurite da spaccate e sculettamenti in favore di pubblico, coperte da costumini laminati, pompon e collant. La formazione nasce nel 1979 in Arizona e da allora rimpolpa le file con nuove adepte, un po’ perché il fisico dopo un po’ dice basta e un altro pizzico perché inevitabilmente, ogni tanto qualcuna passa a miglior vita. Unico requisito richiesto dalle Sun City Pons è un’età mai inferiore ai 55 anni ed un’ampia disponibilità di tempo, visto che le vecchiette si esibiscono almeno cinquanta volte all’anno ovunque siano chiamate: feste, partite, eventi, fiere, raduni e sagre di qualche salamella americana. Ma a parte la facile ironia, resta il
dato: dall’altra parte dell’oceano, l’età non è sinonimo di nipotini da portare ai giardini, maglioni ai ferri da maglia e malinconie per il tempo che fu. Lo dimostra il calore che accompagna ogni esibizione delle Sun City Pons: applausi scroscianti e convinti, e in fondo una speranza diffusa fra gli spalti: che qualche laccetto, se qualche dio è in ascolto, tenga duro. H
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LADY’S LAW
i t di a Tperr L’infedeltà
legge Separazione, addebito e divorzio: oggi l’infedeltà va riscritta. Per capirne di più, la parola passa ad un legale specializzato in materia di Chiara Pelizza
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La nozione di fedeltà coniugale va avvicinata a quella di lealtà, la quale impone di sacrificare gli interessi e le scelte individuali di ciascun coniuge che si rivelino in conflitto con gli impegni e le prospettive della vita comune. Non sempre però questo patto per nulla tacito viene rispettato. Quando è la donna a infrangere questo accordo, cosa succede? Olga Moscato, avvocato e membro del consiglio dell’Ordine, ha incontrato durante la sua carriera diverse situazioni in cui i coniugi prima legati da passione e amore si sono visti contrapposti sui banchi del Tribunale. Avvocato, com’è stato trattato il tradimento da parte femminile nel matrimonio dalla Giurisprudenza italiana? Già nel diritto romano l’adulterio della moglie era previsto come reato. Nel diritto italiano, l’art. 559 del Codice Penale del 1930 prevedeva la reclusione per “la moglie adultera” ed anche per il “correo dell’adultera”
(il caso più noto è stato quello riguardante Giulia Occhini, la compagna di Fausto Coppi). Due interventi della Corte Costituzionale dichiararono illegittima la
norma, ritenuta discriminatoria. Il testo dell’art 151 Codice Civile, nella formulazione anteriore alla riforma del 1975, ammetteva la separazione personale dei coniugi soltanto per colpa e per altre cause tassativamente indicate ed identificate nell’adulterio, nel volontario abbandono, sevizie, eccessi, minacce o ingiurie gravi, condanna penale e nonché nella non fissata residenza. Si può discutere se l’adulterio sia o meno una colpa morale: va evidenziato come anche in Italia, fino al 1975, il sospetto adulterio di una donna - ma non di un uomo - poteva considerarsi motivo per richiedere la separazione con addebito, in un’evidente situazione di “asimmetria” tra il marito e la moglie. Pare di capire quindi che il 1975 fu un anno di svolta nel trattamento dell’adulterio… Con la riforma del diritto di famiglia del 1975, il concetto di colpa e la separazione vennero divisi e vennero poste le basi per delineare
il nuovo istituto “dell’addebito della separazione”. Il concetto di fedeltà fu concepito come un obbligo coniugale più ampio, perché ancorato, nell’impegno solennemente A
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assunto con le nozze dai nubendi, di non tradire la fiducia reciproca. Tale ricostruzione deve ormai considerarsi anacronistica alla luce delle più recenti pronunce giurisprudenziali, che hanno affermato il principio secondo cui la separazione non può essere addebitata al coniuge infedele, qualora il tradimento non abbia spiegato effetti negativi sull’unità familiare e la relazione sia giunta alla rottura per il concorrere di altri motivi. Com’è oggi la situazione? Attualmente si distingue la domanda di separazione personale dei coniugi dalla domanda di addebito. Per la prima richiesta, la separazione dei coniugi presuppone l’esistenza di fatti tali da rendere intollerabile la prosecuzione della vita coniugale, mentre ai fini della dichiarazione di addebito, è, invece, il comportamento posto in essere da uno dei due coniugi in contrasto
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con i doveri che derivano dal matrimonio. Non ogni inadempienza causa l’addebito della separazione: occorrono piuttosto violazioni di un certo peso e rilievo che influiscano anche sotto il profilo della figura assunta in ambito famigliare o pubblico dall’altro coniuge (un esempio possono essere gli incontri “galanti” di Silvio Berlusconi, resi pubblici dai media, e la conseguente lesa dignità della moglie). Oggi, pertanto, si deve rilevare come l’infedeltà
non sia presupposto sufficiente per ottenere la pronuncia di addebito, essendo parimenti necessario che essa sia stata causa della fine dell’unione tra i coniugi secondo un rapporto di causalità diretto tra infedeltà ed intolleranza della convivenza, se sia stata causa o concausa della frattura del rapporto coniugale, ovvero se non risulti aver spiegato concreta incidenza negativa sull’unità familiare e sulla prosecuzione della convivenza. H
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news
PLAY KATE
Poteva Kate Moss sfuggire alla copertina di Playboy? La più iconica e storica fra le testate erotiche, il prossimo gennaio festeggia i suoi primi 60 anni, proprio mentre Kate soffia su 40 candeline. Un bel modo per dimostrare al mondo che nessuno ha voglia di invecchiare: la testata ideata da Hugh Hefner e tantomeno la supermodella inglese. Nella foto, uno scatto in anteprima postato su Twitter, con Kate nei panni di coniglietta.
KAMALA, EROINA IMMIGRATA
Nella galleria dei supereroi Marvel, dalla cui fantasia sono usciti miti inaffondabili come Spider Man, X-Man, Capitan America, i Fantastici Quattro, Iron Man, Hulk e Thor, sta per aggiungersi Kamala Khan. Un’eroina politicamente corretta, che per la prima volta mostra come anche la casa editrice americana sia attenta alle mutazioni sociali. Kamala, oltre a poter cambiare la propria immagine quando lo desidera, è una tipica 16enne musulmana-americana di seconda generazione: vive nel New Jersey con una famiglia di immigrati di origine pakistana.
RUPEE SULLA CIMA DEL MONDO
È un cucciolo di nemmeno un anno e si chiama Rupee, o meglio l’ha voluto chiamare così Joanne Lefson, ex giocatrice di golf sudafricana, quando l’ha trovato a gironzolare in una discarica, smagrito e pieno di ferite, fra montagne di spazzatura. Joanna l’ha preso con sé, l’ha curato, rimesso in forze e gli ha regalato un’occasione per cui è diventato il cane di cui tutto il mondo sta parlando. Rupee e la sua padrona sono partiti il 14 ottobre scorso dal villaggio di Lukla, in Nepal, e insieme, dopo dieci giorni di marcia non facile, hanno raggiunto la cima dell’Everest, la montagna più alta della Terra.
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LA NONNA È MOBILE
Cosa c’entrano un fotografo di moda come Tim Walker e 26 vecchiette? Sono le modelle che hanno posato per un libro intitolato “The Granny Alphabet”, pubblicato di recente nel Regno Unito, dove è diventato grande successo editoriale. Walker ha voluto celebrare lo stile delle donne avanti negli anni, quelle che malgrado l’età non rinunciano a presentarsi in ordine e alla moda. L’opera si articola in due volumi, il primo con le fotografie scattate alle arzille nonnette, l’altro con i deliziosi disegni di Lawrence Mynott.
LADY’S
news
LA DOCCIA? IN ORIZZONTALE
È una delle idee di interior design che più sta dividendo la popolazione del web: la doccia orizzontale. Prodotta dalla tedesca Dornbracht, è una vera doccia, ma disposta in orizzontale, per permettere a chi vuole di dormire sotto una serie di getti d’acqua dal calore e l’intensità variabile. Da una parte c’è chi si chiede che senso abbia tutto questo, visto che la doccia è un accessorio usato per lavarsi velocemente, dall’altro chi invece giura che sta per farsela installare a casa, perché non può più pensare di vivere senza.
ANCORA FANTASMI
La data di uscita nelle sale è il 1990, oltre 23 anni fa, ma Ghost, film diretto da Jerry Zucker e interpretato da Patrick Swayze, Demi Moore e Whoopi Goldberg, continua ad essere una delle pellicole più amate di sempre. Tanto è vero che la sfortunata storia di Sam e Molly, il primo morto tragicamente ma capace di tornare per salvare la sua donna, sta per diventare un telefilm prodotto dalla Paramount. Ma il “rumor” si ferma qui: nessuna indicazione sul nome degli interpreti e sulla trama.
ELASTIC WOMAN
In Russia la conoscono bene: si chiama Julia Gunthel ed oltre ad essere una bellissima donna è anche una contorsionista che sfiora l’incredibile e che ogni anno pubblica un calendario a tema: le casalinghe e le eroine del passato gli ultimi soggetti. Ma quest’anno Julia ha voluto celebrare le donne che lavorano in ufficio: e in effetti, quale migliore allusione può offrire una contorsionista, per ironizzare sulle difficoltà che le donne incontrano nel mondo del lavoro?
TATTOO MANIA
MARIELE E I SUOI BIMBI
I meno giovani ricorderanno bene il nome di Mariele Ventre, viso minuto e sorridente, per 32 anni vera anima del Piccolo Coro dell’Antoniano negli anni dello Zecchino d’Oro e dei primi programmi per bambini trasmessi dalla televisione. Sul nome di Mariele, che ha dedicato la vita ad insegnare canto a migliaia di bimbi rinunciando ad una promettente carriera di pianista, è stata inoltrata una proposta di beatificazione voluta da padre Berardo, fondatore dell’Antoniano.
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Il giro d’affari, solo in Italia, sfiora gli 80 milioni di euro, e fra gli amanti del tatuaggio si alza sempre di più la percentuale di donne che ha, o comunque vorrebbe avere, la pelle dipinta. Fra i soggetti più richiesti dominano i tribali e i maori, seguiti dai segni zodiacali e dalle stelline, mentre in America spopolano i tattoo con sponsor e quelli fosforescenti. Una mania che da tempo ha contagiato anche le star di Hollywood: fra le “aficionados” Megan Fox (nella foto), che sulla pelle si è fatta incidere addirittura un passaggio di Re Lear di Shakespeare, seguita da Angelina Jolie, Miley Cyrus, Rihanna e Victoria Beckham.