Periodico telematico quadrimestrale a carattere tecnico-scientifico di Psicologia con sede a Chieti in Via Vicoli, 11
Direttore Responsabile: Michele Mezzanotte Proprietario: Valentina Marroni Editore: Ass. L'Anima Fa Arte Web Master: Matteo Colangeli Curatore: Valeria Marroni Iscrizione al Tribunale di Chieti n.6
La collaborazione è aperta a tutti gli studiosi. Gli eventuali articoli (max 20000 caratteri spazi inclusi) e i libri per le recensioni vanno inviati alla redazione: info@animafaarte.it
Immagine Di Copertina: ROBERT INDIANA ETERNAL HEXAGON, 1964
www.animafaarte.it
Rivista di Psicologia Quadrimestrale www.animafaarte.it N.6 Settembre 2014
INDICE EDITORIALE, p.3
• Mezzanotte Michele JE NE REGRETTE RIEN P. 5
• Vincenzo Ampolo IL FUOCO DELLE PAROLE NELL'ESPERIENZA AMOROSA P. 11
• Luca Urbano Blasetti IL SIMBOLO DELL'ALBERO P. 17
• Stefano Vitaliani, Alfredo Vernacotola L'ERMAFRODITISMO ALCHEMICO (PARTE SECONDA) P. 27
• Nicolò Doveri FOTOGRAFIA E PSICHE: UNA TECNICA PER IMMAGINARE P. 33
• Piero Di Prinzio FLAMMA FUMO EST PROXIMA: FONDAMENTI SIMBOLICI NELLA FAVOLA DI EROS E PSICHE (PARTE SECONDA) P.
• Paola Volpe QUESTIONI DI VIOLENZA SESSUALE. ANIMA E LOGOS P. 53
• a cura di Michele Mezzanotte e Valentina Marroni INTERVISTA A RICCARDO BERNARDINII P. 65
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Valetnina Marroni, Lago Maggiore - Casa Eranos, 2014
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iamo a Settembre e questo è il primo numero del terzo anno della rivista L'Anima Fa Arte. Sono orgogliosa che questa rivista scientifica d'arte e di psicologia abbia riscosso un così gran numero di consensi. L'Anima Fa Arte è un'opportunità scientifica e di studi dell'anima, perchè in primis ci da modo di approfondire le diverse tematiche animiche offerte alla nostra lettura dagli studiosi che scrivono all'interno delle nostre pagine, in secondo luogo ci dà l'opportunità di valicare i confini di questa Italia diventando internazionali. Esattamente un anno fa, io e Michele Mezzanotte, il direttore dell'Anima Fa Arte, partimmo per la Svizzera ed incontrammo presso la Fondazione Eranos, Ginette Paris, una celebre scrittrice e psicoterapeuta, Core Faculty and Research Coordinator del Pacifica Graduate Institute in California. Così, pochi giorni fa siamo tornati in quel misterioso luogo di energie primordiali e, oltre ad aver seguito con piacere ed interesse gli interventi del Tagung, che è il convegno principale ed annuale che la Fondazione organizza, abbiamo incontrato Riccardo Bernardini, psicoterapeuta di Torino e storiografo di Casa Eranos. Nell'intervista di questo numero ci saranno le risposte di Riccardo Bernandini che ha approfondito la relazione Eranos-Zurigo e della relazione Carl Gustav Jung-Olga Frobe-Kapteyn. Inoltre durante il seminario condotto dallo stesso e dal filosofo Bernando Nante (Università del Salvador, Buenos Aires) abbiamo appreso dell'archetipo della Grande Madre, forza archetipica che muoveva le energie più profonde dell'anima di Olga Frobe-Kapteyn. Essa stessa la disegna più volte nelle sue tavole di meditazione intitolate "Visioni". Anche in questa occasione abbiamo avuto modo di notare l'elemento
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Editoriale
artistico che è sovente associato alla psiche, alla dinamica dell'anima e che cerca, ogni volta, in ogni numero, di essere colto nelle pagine dell'Anima Fa Arte. Vi lascio così alla lettura dei numerosi e validi contributi dei nostri studiosi sperando che, anche voi, possiate cogliere la dinamica della psiche nel movimento artistico della letteratura. Michele Mezzanotte arricchisce questo n° 6 parlandoci della dimensione dell'imperdonabile, della colpa e della dimenticanza, prendendo spunto dalla canzone che Edith Piaf canterà tre anni prima della sua morte: Je ne regrette rien. In seguito troverete la brillante riflessione di Vincenzo Ampolo che analizza il fuoco delle parole, ovvero il potere di dar vita e allo stesso tempo di distruggere del logos analitico. Proseguendo nella lettura incotrerete l'articolo di Luca Urbano Blasetti che con eleganza amplificativa ci descrive il simbolo dell'albero nelle sue molteplici sfaccettature. Stefano Vitaliani e Alfredo Vernacotola concludono lo studio sull'Ermafroditismo Alchemico inziato nel numero scorso, proponendo una particolare lettura della traslazione. Un nuovo studioso trova posto nella rivista: Nicolò Doveri, psicoterapeuta di Milano. Il suo originale articolo accosta fotografia e psicologia, intendendo la fotografia sia come percorso individuale, sia come metafora analitica. Piero Di Prinzio pubblica con noi la seconda ed ultima parte dello studio su Eros e Psiche, analizzando la fiaba, il mito e successivamente le prove destrutturanti che Psiche affronta in esse. Infine non dimentica di analizzare il personaggio di Pan strettamente collegato a Psiche. Paola Volpe ci regala un'eccellente riflessione concernente la violenza maschile sulle donne, il rapporto tra il maschio che abusa e la Grande Madre Terribile, mettendo in luce le ombre di questo tema così delicato e nel contempo così interessante. Vi auguro una buona lettura. Valentina Marroni
Valentina Marroni, Genio Loci - Casa Eranos, 2014
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Francis Bacon, Study for portrait of Dyer, 1964 "A volte devi fare qualcosa di imperdonabile per continuare a vivere" Carl Gustv Jung
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icuramente ognuno di noi nella propria vita è dovuto essere più o meno consapevolmente imperdonabile. Ognuno di noi ha commesso atti imperdonabili per cui senstirsi in colpa. La riflessione che vorrei descrivere in questo n° sei della rivista, parla di colpa e di perdono, parla di ciò che può essere considerato deprecabile e imperdonabile. Quando ci troviamo di fronte a delle persone nel nostro studio, ma anche quando facciamo uscire l'arte dell'ascolto al di fuori di esso, ascoltiamo storie condite da colpe, sensi di colpa e falsi perdoni. La dimensione dell'imperdonabile diventa un
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caposaldo della vita di ognuno di noi. Perfino Cristo fece dell'imperdonabile il motivo centrale della sua vita. Mentre cercavo e attendevo con l'immaginazione delle metafore per poter parlare di questo complesso argomento, ho iniziato a buttare giù su di un foglio qualche parola in maniera confusa. Lentamente dentro le mie orecchie hanno preso forma le note di una canzone. In principio non ne ho avuto cura, ma le note persistevano. Chiedendo a chi mi stava vicino che canzone fosse, ho scoperto che si trattava di Je ne regrette rien di Édith Piaf. Questa canzone è proprio il "ponte"
Michele Mezzanotte
archetipico di cui abbiamo bisogno per entrare più facilmente all'interno di questo argomento. Ascoltiamone le note e leggiamo il testo: Non, rien de rien Non, je ne regrette rien Ni le bien qu’on m’a fait Ni le mal; tout ça m’est bien égal ! Non, rien de rien Non, je ne regrette rien C’est payé, balayé, oublié Je me fous du passé ! Avec mes souvenirs J’ai allumé le feu Mes chagrins, mes plaisirs Je n’ai plus besoin d’eux ! Balayées les amours Et tous leurs trémolos Balayés pour toujours Je repars à zéro Non, rien de rien Non, je ne regrette rien Ni le bien qu’on m’a fait Ni le mal; tout ça m’est bien égal ! Non, rien de rien Non, je ne regrette rien Car ma vie, car mes joies Aujourd’hui, ça commence avec toi No, niente di niente! No, non rimpiango niente! Né il bene né tutto il male che m’hai fatto, e mi sta bene così. No, niente di niente! No, non rimpiango niente! È stato tutto saldato, spazzato via, dimenticato. Me ne fotto del passato. Coi miei ricordi, innesco la fiamma, i miei dispiaceri ed i miei piaceri, non ho più bisogno di essi. Rimossi gli amori e tutti i loro tremoli, dimenticati per sempre. Riparto da zero. No, niente di niente! Neanche del bene che m’hai fatto. No, niente di niente! Poiché oggi, la mia vita, le mie gioie tutto riparte con te.
Édith Piaf è Édith Giovanna Gassion, cantante dalla voce oscura e profonda, chiamata il piaf ovvero il "passerotto". La leggenda vuole che sia nata su dei gradini di un civico settantadue. Allevata per alcuni anni in un bordello, da sua zia e dalle prostitute che lavoravano nella casa. Durante i primi anni di vita si dice che bevesse vino rosso in sostituzione del latte per combattere eventuali malattie e batteri. Édith ha una vita turbolenta, già all'età di otto anni il padre la porta con sè per farla cantare e raccimolare qualche soldo in più. A diciassette anni ha una figlia. Édith la porta in strada quando canta e non se ne cura molto. A due anni la figlia si ammala di meningite e muore. Louis Lepleè la "scopre" come cantante e la fa debuttare in un locale di cabaret sotto lo pseudonimo di "La Mome Piaf". In seguito Lepleè viene assassinato da persone legate a Édith, ma lei ne risulta innocente. Nel 1936 pubblica il suo primo disco intitolato "La mome del la closches". Durante la seconda guerra mondiale canta per i soldati tedeschi e verso la fine della stessa, incide il suo grande successo: La vie en rose, anche se non è stata la prima a cantare questa canzone. Édith ha un'intensa relazione con il pugile Marcel Cerdan, che muore in un incidente aereo. La sera dell'incidente Édith canterà ugualmente in suo onore, ma dopo alcune canzoni, e sotto massicce dosi di farmaci, Édith ha un crollo sul palco e cade priva di sensi. Da quel momento in poi a causa anche dell'artrite reumatoide fa costante uso di morfina. Édith continua a cantare e ci regala altri capolavori della musica, fra i quali Je ne regrette rien. In seguito si sposerà ancora per pochi anni con il compositore Jaques Pills. In quegli anni cerca di disintossicarsi dai farmaci. Si sposa ancora una volta con Théo Sarapo. Édith muore a causa della cirrosi epatica che la affliggeva in seguito ad una ricaduta di broncopolmonite. Édith Piaf canta Je ne regrette rien per la prima volta registrandola nel 1960, tre anni prima di morire nel 1963. È una canzone legata alla sua esistenza sofferente ma intensa. Édith non rimpiange nulla, si perdona ogni cosa. Perdona il bene ma anche il male, a sè stessa e agli altri. Vuole ripartire da zero. Il mezzo che usa per cancellare i suoi peccati e quelli degli altri, lo possiamo leggere nei versi della canzone: è la dimenticanza, l'oblio, la distruzione dei propri ricordi. Rinuncia anche ai bei ricordi pur di
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Je ne regrette rien
perdonarsi e perdonare. Édith Piaf si dimentica e dimentica, distrugge la sua vita per darsi un'altra occasione. Nasce nuovamente per essere ancora una volta Édith Piaf in una nuova veste. Torniamo ora indietro di qualche anno, e arriviamo a fine Novecento quando Friederich Nietzsche modellava i fogli di carta con il suo pensiero "postumo". Anche lui parla di perdono e di colpa. Per il filosofo tedesco la colpa è un elemento innaturale dell'uomo, causata dalla "cattiva coscienza" (Schlechtes Gewissen) che è la malattia più profonda di cui soffre l'uomo e che si è creato per permettersi di vivere nella società. Perciò bisogna in qualche modo liberarsi da questa coscienza di colpa. Anche Nietzsche, con un linguaggio diverso, ci suggerisce un'operazione di "dimenticanza" e oblio. Dimenticare etimologicamente significa "fare uscir di mente". L'atto del dimenticare implica il far uscire dalla memoria i nostri ricordi. Il dimenticarsi significa far uscire sè stessi da dentro di sè. In particolare qualche parte di sè che ci procura senso di colpa. La colpa è un far del male, un far danno. In questo caso il senso di colpa è ciò che ci permette di individuare gli atti che fanno del male a noi e agli altri. Il problema, anche suggerito da Nietzsche, è che noi non abbiamo la minima idea di ciò che è male e ciò che è bene, perchè ci affidiamo a concetti già pronti per non riflettere, e comunque sono definizioni date dalla Schlechtes Gewissen. Per rimanere nel campo "Nietzchiano" della classicità notiamo che, anche nel mito, l'oblio e la dimenticanza erano due dimensioni fondamentali. Le anime dei morti prima di rinascere dovevano bere dal fiume Lete le cui acque servivano a dimenticare. È significativo fare attenzione al fatto che per "rinascere" bisogna dimenticare. Édith Piaf riparte da zero, ricomIncia da capo solo dopo aver dimentcato, ovvero solo dopo aver bevuto dell'acqua del fiume Lete. Anche Dante usa il mito del Lete per rinascere nel passaggio dal Purgatorio al Paradiso. Dimenticanza e rinascita sono quindi strettamente connesse l'una con l'altra. Nei giorni passati sono stato presente alla Tagung 2014 di Eranos, e tra i vari interventi vi è stato uno che mi ha colpito molto, quello di Emanuele Trevi, scrittore e critico letterario italiano. Nella sua brillante analisi sulla Cura di sè e Cura del mondo, fatta attraverso il linguaggio letterario, è stata
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significativa la riflessione in cui si diceva che la cura di sè e l'assunto Delfico "conosci te stesso", significassero disconosciti e distruggiti. Completando il discorso con quanto detto fino ad ora in relaziona ad Édith Piaf e Friederich Nietzsche possiamo affermare che la cura di sè passa attraverso la dimenticanza di sè stessi e degli altri, intesa come una distruzione della Schlechtes Gewissen. Nietzsche non è l'unico ad evocare la dimenticanza. Ricordo per esempio Jorge Luis Borges che dice: "Io non parlo di vendette nè di perdoni; la dimenticanza è l'unica vendetta e l'unico perdono". È come se Borges mettesse sullo stesso livello vendetta e perdono, e li superasse attraverso la dimenticanza. Rimanendo in ambito letterario Milan Kundera afferma: "L'oblio ci riconduce al presente, pur coniugandosi in tutti i tempi: al futuro, per vivere il cominciamento; al presente per vivere l'istante; al passato per vivere il ritorno; in ogni caso, per non ripetere. Occorre dimenticare per rimanere presenti, dimenticare per non morire, dimenticare per restare fedeli." Superare la colpa e il perdono significa rimanere vivi nella dimensione del presente. La maggior parte delle difficoltà, dei problemi e delle pato-logie non vivono nel presente, bensì sono un continuo ricordare, rimuginare o proiettarsi in avanti con frasi costruite con verbi al futuro. Per sfuggire il presente spesso si usano molte interlocuzioni come il "se", il "ma", il "però" e vari verbi usati al condizionale. La dimenticanza è un atto che si compie nel presente e ci libera dal trauma. Je ne regrette rien è la colonna sonora presente nelle scene finali del film Inception, uscito nelle sale nel 2010 e diretto da Jonathan Nolan, in cui i protagonisti devono risvegliarsi dal sogno, nel caso specifico da una serie di costruzioni di immagini mentali atte a fuggire dalla realtà per impiantare un'idea nel soggetto sognante. Nel film i protagonisti si costruiscono la cattiva coscienza per poi dimenticarla. Anche loro commettono un atto imperdonabile impiantando un'idea nella coscienza altrui, ma adoperano la dimenticanza per rinascere nuovamente. Cobb (Leonardo Di Caprio) torna a casa dai figli e nel momento in cui può conoscere la verità, mentre il totem sta girando, lui sceglie di andare verso la sua verità dimenticando il resto. Solo così nasce un nuovo sistema di
Michele Mezzanotte
vedere le cose. Vorrei precisare che la memoria è un elemento importantissimo dell'umanità in senso individuale e in senso collettivo, che ci permette di evolvere e migliorare. Ormai troppo spesso la frase "non bisogna dimenticare" si è trasformata in un ostacolo alla vita stessa. Non bisogna legare la memoria alla cattiva coscienza che descrive Nietzsche. La dimenticanza di cui parliamo è un atto di "far uscire fuori", per osservarci, per osservare e per trasformare la "cattiva coscienza" in "saggezza". Parlare di perdono ci apre a una moltitudine di argomenti e vie da percorrere, dalla psicologia al simbolismo, dalla religione all'arte. Il perdono lo troviamo sullo stesso continuum di idee del peccato, e per questo costituiscono uno stesso argomento di cui parlare. Non c'è perdono senza peccato e non c'è peccato senza perdono. Al principio dell'umana storia commettemmo l'atto imperdonabile di mangiare dall'albero della conoscenza. Dio in fondo è stato il primo a non perdonare cacciandoci dal paradiso terrestre per una nostra colpa. Grazie a questo atto da "padre", Dio ci ha permesso di uscire dal Paradiso Terrestre, e di entrare nel Mondo Terrestre. Un mondo in cui male, cattiveria e crudeltà sono presenti. La decisione che Dio compie di non perdonarci ci catapulta nel male e nella "cattiva coscienza". Grazie alla sua azione imperdonabile l'uomo nasce agli occhi della storia. Si libera dal Paradiso Terrestre. Entra in un mondo di crudeltà, ma nel contempo nasce come nuovo individuo. Dio sa, in fondo, che per vivificare la sua Creazione e per farla nascere nuovamente, deve cacciarla dal Paradiso Terrestre. Questo atto di Dio è una nuova creazione: l'ottavo giorno in cui Dio non perdonò e creò nuovamente l'uomo. L'uomo commette l'imperdonabile, ma anche Dio commette l'imperdonabile, ed e proprio da questi due atti che nasce la coscienza umana. La dimenticanza permette al perdonabile di diventare imperdonabile. L'imperdonabile può essere inteso quindi come qualcosa che va al di là della colpa e del perdono. È un atto che non può essere perdonato perchè non rientra in ciò che si può condannare o perdonare. È un atto connesso all'oblio. In questa categoria di cose rientra tutto ciò che facciamo per vivere e per andare avanti nel nostro viaggio terrestre. In alcuni frangenti della nostra vita possiamo dimenticarci, e quindi possiamo uscire fuori dalla colpa e dal
peccato. Nei momenti di morte, e nei momenti più difficili della vita, così come nei momenti di crisi e di passaggio, dobbiamo mettere in atto l'imperdonabile, ovvero la dimenticanza, per crearci nuovamente e rinascere fuori dal trauma.
Bibliografia e Note Friedirich Nietzsche, La genealogia della morale, Adelphi, 1984 James Hillman, Puer Aeternus, Adelphi, 1999 Piaf Édith, Au bal de la chance. La mia vita, Castelvecchi, 2011 Jorge Borges, Elogio dell'ombra. Seguito da Abbozzo di autobiografia, Einaudi 2007 Milan Kundera, La Lentezza, Adelphi, 1999 David Cornemberg, A dangerous method (Film) 2011
Michele Mezzanotte è uno psicoterapeuta e lavora a Chieti.. È direttore scientifico della rivista di psicologia L'Anima Fa Arte, e presidente dell'omonima associazione di volontariato psicologico.
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L'Anima Fa Arte
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ORNARECCIO È UN PICCOLO BORGO ABRUZZESE, CITTÀ DEL MIELE E DEI MOSAICI. CARATTERISTICHE E PICCOLE VIE DEL PAESE SI HA LA SENSAZIONE DI ESSERE IN
OSSERVANDO
PASSEGGIANDO TRA LE UN MUSEO ALL'APERTO.
I MOSAICI DI GRANDI ARTISTI INTERNAZIONALI, SI PERCEPISCONO LE FORZE ARCHETIPICHE CHE IL
SIMBOLO DELL'APE PORTA CON SÈ: ANIMALE DELLA VITA E DELLA MORTE, MESSAGGERO DELLA SAPIENZA DIVINA.
QUASI
RIUSCIAMO A PERCEPIRE IL SUONO DEL RONZIO.
"GLI
ALATI MINISTRI DELLE MUSE" SONO
PRODUTTORI DI MIELE E CON ESSO SONO IL SIMBOLO DI MATERNITÀ; INFATTI NELLE TRADIZIONI ANTICHE SONO SEMPRE ACCOSTATI AI GENITALI FEMMINILI: BASTA PENSARE ALLE FOCACCE GRECHE PREPARATE CON SESAMO E MIELE CHE ERANO A FORMA DI GENITALI FEMMINILI, O ANCHE ALLA MUTTERKRAUT TEDESCA, OVVERO LA MELISSA (PIANTE DEL MIELE E DELLE API), CHE SIGNIFICA LETTERALMENTE PIANTA MADRE. DELL'APE LO RITROVIAMO NELLA CULTURA EGIZIANA.
L'APE-ANIMA
E LE STRETTE VIE DEL
ALTRO SIMBOLO PAESE, PERMEANO
ANIMA IN UN'ATMOSFERA ARCHETIPICA D'INCANTO.
IN OCCASIONE DELL'EVENTO "UN MOSAICO PER TORNARECCIO" IDEATO DAL GALLERISTA E MECENATE ALFREDO PAGLIONE, ABBIAMO AVUTO MODO DI INCONTRARE LE VINCITRICI DELLE ULTIME DUE EDIZIONI CHE ABBIAMO INTERVISTATO PER L'ANIMA FA ARTE.
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OSSELLA
FARAONE (VINCITRICE
EDIZIONE
2014)
È UN'ARTISTA PARICOLARE.
LA PITTURA FIN DA BAMBINA DISEGNANDO E DIPINGENDO
SCOPRE
IL SUO DAIMON PER
PAESAGGI, PESCHETI E ANIMALI.
TUTTI
SOGGETTI LEGATI ALLA NATURA "VIVA"
PROSEGUE
LA SUA FORMAZIONE ARITSTICA E INTRAPRENDE LA STRADA DELLA GIOIELLERIA.
QUI
IN QUALCHE
MODO SCOPRE IL MONDO DELLA NATURA CHE SEMBRA "MORTA", MA IN REALTÀ RECEPISCE LA VITA CHE SCORRE NELLE PIETRE E NEI METALLI.
IL QUADRO VINCITORE DEL PREMIO SI CHIAMA FONTE DI VITA ED È ISPIRATO ALLE FORESTE PRIMORDIALI. FORESTA ETIMOLOGICAMENTE SIGNIFICA "STARE AL DI FUORI". NELL'ARTE SPESSO È RAPPRESENTATA INSIEME AD UNA FONTE DI LUCE PER INDICARE IL RAGGIUNGIMENTO DI UNA TAPPA SPIRITUALE. ANCHE IN QUESTO QUADRO È PRESENTE LA LUCE, GRAZIE AL SOLE FATTO DI ORO A VENTIQUATTRO CARATI. L'ARTISTA STESSA DURANTE L'INTERVISTA CI DICE: "MI PIACE TOCCARE I QUADRI CHE FACCIO, DENTRO DI ESSI È PRESENTE IL MIO SPIRITO". LA FORESTA INOLTRE, NELLA CULTURA CRISTIANA, È SPESSO ACCOSTATA ALLA FEMMINILITÀ, E QUI POSSIAMO INTRAVERDERE LA CONNESSIONE CON IL SIMBOLO DELL'APE DI CUI ABBIAMO PRECEDENTEMENTE PARLATO. ROSSELLA A PROPOSITO DELL'APE CI DICE:"L'APE IN QUALCHE MODO CI DONA LA VITA, IMPOLLINA LE PIANTE. SE L'APE SI DOVESSE ESTINGUERE ANCHE L'UOMO NON CI SAREBBE PIÙ."
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L'Anima Fa Arte
NELLA
ROSSELLA POSSIAMO ARCHETIPICA E GENERATRICE DI VITA DELL'APE, CHE HA QUALCOSA DI ANIMATO COME LA FORESTA PRIMORDIALE.
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RAPPRESENTAZIONE
DI
OSSERVARE
VIVIDAMENTE
ALL'OPERA
LA
FORZA
PERMESSO DI TRAMUTARE LE PIETRE E I METALLI IN
MINUTO (VINCITRICE EDIZIONE 2013) È UNA GRANDE ARTISTA ORIGINARIA DI SAVONA. UN'ARTISTA FIN DA PICCOLA SI SCOPRE ARTISTA DISEGNANDO OVUNQUE LE POTESSE CAPITARE. FINITA LA SCUOLA SI DEDICA SUBITO ALLA PITTURA CON GRANDE FATICA: UNA DONNA ARTISTA AI SUOI TEMPI ERA UN'ECCEZIONE SPESSO NON BEN VOLUTA. INIZIA A STUDIARE PITTURA PRESSO LO STUDIO ARTISTICO DI RENZO BONFIGLIO: "HO INZIATO IN ENATA
INTROVERSA CON UNA GRANDE ATTENZIONE AL SUO MONDO INTERIORE E A QUELLO DEGLI ALTRI.
QUESTA BOTTEGA E LA MIA PRIMA GRANDE SODDISFAZIONE FU QUANDO VENNI ACCETTATA PRESENTANDO UN MIO QUADRO: UNA NATURA MORTA".
NEL
QUADRO, VINCITORE DEL PREMIO, CI BALZANO SUBITO ALL'OCCHIO LE RAPPRESENTAZIONI DELLA
TARTARUGA E DELL'APE.
SUCESSIVAMENTE
ALLA VISIONE DI QUESTO LAVORO, ABBIAMO SCOPERTO CHE UNA
CURIOSA RICERCA ETOLOGICA HA MESSO IN LUCE CHE LE API MANGIANO LE LACRIME DEI COCCODRILLI O DELLE TARTARUGHE D'ACQUA DOLCE.
TARTARUGA
ETIMOLOGICAMENTE SIGNIFICA TARTARO E RAPPRESENTA IL MONDO INFERO DEI MORTI, LE FORZE
CTONIE CHE PERMEANO IL MONDO.
L'APE, COME
ABBIAMO DETTO IN PRECEDENZA, RAPPRESENTA LA CREAZIONE
E LA VITA. IN MOLTI MITI L'APE DONAVA AGLI UOMINI MORTI UNA NUOVA VITA.
A QUESTO PUNTO CI VIENE IN MENTE LA DEDICA CHE RENATA FA NEL QUADRO: PER TERESITA. L'ARTISTA STESSA CI DICE CHE IL QUADRO LO HA DEDICATO AD UN'AMICA CHE AMAVA COLLEZIONARE LE TARTARUGHE. A QUESTO PUNTO LA SUGGESTIVA RAPPRESENTAZIONE SI FA PIÙ CHIARA, E ANCHE QUI VEDIAMO COME LA POTENZA ARCHETIPICA DEL SIMBOLO SI FA SPAZIO ATTRAVERSO L'INCONSCIO DELL'ARTISTA: INTUIAMO COME L'APE RAPPRESENTI UN MODO PER RIPORTARE IN VITA, ATTRAVERSO LE LACRIME DELLA TARTARUGA, IL RICORDO DI TERESITA. INOLTRE, NELL'ORDINE COMPOSITIVO DI FORME E LINEE, POSSIAMO OSSERVARE LA PRESENZA DELL'ESAGONO. L'ETERNO ESAGONO, CHE ABBIAMO SINCRONISTICAMENTE INSERITO IN COPERTINA DI QUESTO N° 6 DELL'ANIMA FA ARTE, SEMBRA VOLER IMPRIMERE NELL'ETERNITÀ IL RICORDO DELL'AMICA PERDUTA. VALENTINA MARRONI MICHELE MEZZANOTTE
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Sabina: ”…no, Giuditta non uccide Oloferne per obbedire a Dio.” Jung: “E perché allora? “ Sabina : ”Lo uccide perché lo amava…” Dal film Prendimi l’Anima di Roberto Faenza, 2002
1- Una passione infuocata Angela, una donna di 40 anni, infelicemente sposata con un uomo conosciuto sin da bambina, figlio di amici dei suoi genitori, ricco e insensibile, che non sembra averla mai desiderata e che lei non ha mai veramente amato, trascorre le sue giornate tra inutili frivolezze intrise di noia e di insoddisfazione, curando in modo discontinuo tutto ciò che la riguarda. Mi parla delle lunghe assenze di lui per lavoro e dei suoi ritorni fatti di regali costosi ma anche di rimproveri e di offese più o meno esplicite, del suo non averla mai apprezzata se non come donnaimmagine, bambola-bella da mostrare agli altri
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come segno visibile dal suo essere uomo di successo. Angela divide la sua solitudine con “le sue bimbe”, due barboncini bianchi che abbaiano alle farfalle del suo piccolo Eden, nei giorni in cui la casa si apre al verde e ai mille fiori assolati del suo giardino. In questo mondo incantato, vissuto come una “gabbia dorata”, in questa foto incorniciata, rimasta immutata da troppo tempo, entra, assolutamente per caso, quello che chiameremo “ il giardiniere” , un uomo arcaico, rozzo e scostante. Già nelle sedute successive all’incontro con quest’uomo Angela mi parla con gli occhi che le brillano e con un’evidente eccitazione nella voce.
Vincenzo Ampolo Come una ragazzina al primo amore, mi racconta dell’irruzione, nel suo deserto di sentimenti, di un vissuto sconvolgente fatto di “batticuore, farfalle nella pancia, gambe molli, sogni erotici…” “ C’è qualcosa in lui d‘inquietante, eppure di estremamente seducente, sono affascinata soprattutto dalle sue imperfezioni, da ciò che nasconde, non dice, dal suo sfuggirmi quotidiano”. Angela brucia, brucia la sua pelle che ha il colore vivace di un’arancia baciata dal sole. Qualche linea di febbre segnala una temperatura alterata. Le suggerisco di bere qualcosa di fresco, rifiuta, non beve quasi mai, dice di non riuscirci, di non volere. Mi chiede come fare a conquistarlo, a bloccarlo, a rinchiuderlo, a mutilarlo, ad ucciderlo… sentimenti contrastanti lottano dentro di lei in modo ossessivo. Angela non sa esattamente cosa gli sta succedendo, è estremamente confusa e agitata, attratta e spaventata al tempo stesso, come una falena intorno ad una fiammella accesa nel buio. Ci viene incontro una poesia : “Suvvia finiscila con questo gioco Che c’è pericolo di prender fuoco” Vivian Lamarque
2- Sulle ali di Eros L'antica mitologia greca, ripresa da Joseph Campbell e da Rollo May, ci ricorda che Eros è il creatore per eccellenza, colui che creò la vita sulla terra. << Quando il mondo era desolato e inanimato, fu Eros che "colpì con le sue frecce vitali il caldo seno della terra" e "improvvisamente la sua bruna superficie fu ricoperta da rigogliosa vegetazione"(...) Eros, poi, soffiò nelle narici dei corpi d'argilla dell'uomo e della donna e infuse loro lo 'spirito vitale'>> 1 Una forza vitale che attrae, seduce ed affascina, questo è dunque l'Eros. Creature dell'Eros sono quindi le indagini e le invenzioni di tutti i tempi, le creazioni artistiche, scientifiche e filosofiche e soprattutto il desiderio di rapportarsi all'altro, al mondo dell'altro. Valori etici ed estetici si incontrano e si sommano nei cieli sorvolati da Eros. Eros infatti ci spinge in alto, dà ali e potere al
nostro sentire, supera le barriere della logica come le barriere esistenti fra diversi e persino fra nemici, incitando a desiderare ardentemente la conoscenza, l'unione con la verità. "Il canto di Orfeo placa il mondo animale, riconcilia il leone con l'agnello e il leone con l'uomo. Il mondo della natura è un mondo di oppressione, crudeltà e dolore, com'è il mondo umano; come quest'ultimo, esso aspetta la sua liberazione. Questa liberazione è opera di Eros. Il canto di Orfeo infrange la pietrificazione, fa muovere le foreste e le rocce - ma le muove per farle partecipi della gioia. " 2 Eros, quindi, come desiderio dell'altro, desiderio di conoscenza e di unione con l'altro fuori e dentro di noi. Un'avventura, un volo che implica il fascino dell'ignoto insieme alla consapevolezza del pericolo, del possibile fallimento. I percorsi creativi, estetici ed estatici sono manifestazioni dell'Eros che, cacciatore di istanti, si oppone a quella fuga della libertà che ci àncora e ci imprigiona nello spazio angusto di stabili certezze e sicurezze apprese una volta per tutte. Nella ricerca di Freud, Eros si oppone a Thanatos, l'istinto di morte, che opera per il ripristino di uno stato precedente in cui regna assoluta la materia inanimata, il silenzio, l'assenza. Ma ciò che appare semplice è al contrario complesso, giacchè Eros e Thanatos sono richiami antichi dei quali è impastato l'animo umano. 3 Ad un'analisi più approfondita ci accorgiamo che Eros è anche un demone, come Platone aveva rivelato nel Convito . Eros è figlio di Afrodite ma anche di Ares, dio, o meglio dèmone della guerra e dell'aggressività. Zeus infatti lo apostrofa: Fazioso incostante, e a me fra tutti i Celesti odioso. E risse e zuffe e discordie e battaglie, ecco le care tue delizie ! 4 L'aspetto negativo di Eros è la sua perversione, l'impulso demoniaco che porta alla collera, alla rabbia, alla brama di potere che sconvolge totalmente l'individuo. Ciò che dà impulso alla nostra creatività può diventare volontà di potenza e il genio creativo può scivolare in una forma di follia eversiva, che distrugge e che ci distrugge. “ Se non può essere mio, mio per sempre,
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Il fuoco delle parole
preferisco ammazzarlo con le mie stesse mani” mi dice Angela con gli occhi lampeggianti e le guance infuocate. Come nei primordi dell'Umanità, siamo spettatori ed al tempo stesso terreno ove gli Dei della Luce lottano contro gli Dei delle Tenebre, lo spirito Dionisiaco lotta contro lo spirito Apollineo. Forze opposte e contrastanti si fronteggiano incessantemente nella speranza di una battaglia apocalittica e tuttavia risolutiva, che decreti la vittoria finale del Bene sul Male o viceversa. La coscienza umana può tuttavia vigilare su tali processi, riuscendo a riconoscere ed integrare le forze oscure del demoniaco e, attraverso l'arte, dare a tali conflitti una forma significativa, tale da incanalare, nella ricerca del sublime, la totalità delle forze vitali ed attive. 5 3- Con Anteros " Il sapiente infatti (...) è colui che ha passioni, che vive nei giardini di Adone e non in quelli di Tantalo, che vive dunque secondo la sua natura, utilizzando le forze che sotto forma di passioni la natura stessa in lui ripone, per interpretarne i misteri, le qualità, le apparenti contraddizioni. " Elio Franzini, Le leggi del cielo Secondo la mitologia greca Eros "...non crebbe come gli altri bambini, ma rimase piccolo, un piccolo bambino roseo e paffuto dalle ali trasparenti e dalle fossette birichine. Preoccupata per la sua salute, Afrodite si consultò con Temi, che profeticamente le rispose, ‘L'Amore non può crescere senza la passione’. Solo alla nascita del fratello Anteros, dio della passione, (o secondo altre versioni, dell’amore corrisposto) Eros crebbe sano e forte e divenne un giovane agile e bello; quando però si separava da Anteros, Eros riassumeva immancabilmente l'aspetto di bambino malizioso.” 6 Il mito ci dice che l'eros, se si separa dalla passione corrisposta, rischia di diventare infantile e banale, di retrocedere ad un ripetitivo bisogno sessuale da soddisfare meccanicamente, senza alcun investimento e senza alcuna minaccia per lo stato sociale. Rollo May infatti ci ricorda a proposito che: " L'amante, al pari del poeta, rappresenta una minaccia per il mondo delle catene di montaggio. L'eros spezza le forme cristallizzate creandone
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delle nuove e rappresenta, per la sua stessa natura, una minaccia per la tecnologia. Quest'ultima esige infatti comportamenti regolari, prevedibili e sincronizzati, mentre l'eros infrange qualsiasi limite o schema temporale. L'eros è la forza che ha dato impulso alla costruzione delle civiltà, ma la civiltà sviluppandosi ha incatenato il suo progenitore e disciplinato gli impulsi erotici assegnando ad esso il compito di approfondire ed espandere la coscienza." 7 Il grande scrittore, oltre a possedere capacità di essere attento e di emozionarsi, non può non essere appassionato del suo lavoro, della sua arte e degli strumenti di quest'arte. Se l'oggetto di ogni passione diventa la fonte delle più vive emozioni è pur vero che spesso, come nel caso della scrittura o dell'amore, tale passione rende più attenti e sensibili ad altre realtà. La musica, ad esempio, ha per l'innamorato un valore particolare, così come l'osservazione della natura e l'espressione poetica. L'innamorato, come il poeta, osserva tutto il mondo attraverso il suo delirio, "proiettando" la sua passione sull'universo. In tutti i rumori del mondo egli ode vibrare l'oggetto della sua passione, la sua voce. Come non ricordare a questo proposito il delirio cosmico di Jacopo Ortis dopo il primo bacio di Teresa: Dopo quel bacio io fui fatto divino (...) O Amore! le arti belle sono tue figlie; tu primo hai guidato su la terra la sacra poesia, solo alimento degli animi generosi che tramandano dalla solitudine i loro canti sovrumani sino alle più tarde generazioni, spronandole con le voci e co' pensieri spirati dal Cielo ad altissime imprese: tu riaccendi né nostri petti la sola virtù utile a' mortali, la Pietà, per cui sorride talvolta il labbro dell'infelice condannato ai sospiri: e per te rivive sempre il piacere fecondatore degli esseri senza il quale tutto sarebbe caos e morte. Se la parola passione ha perduto nell'uso corrente il suo profondo significato di sofferenza, il calvario di Cristo, la sua "passione" stanno lì a ricordarcelo. La scrittura è una passione che può dare dolore, sofferenza, ed al tempo stesso può essere condivisione di amore, gioia e felicità, come in un abbraccio. E' necessario riconoscere e coltivare le proprie
Vincenzo Ampolo
passioni, qualunque esse siano, per non diventarne schiavi inconsapevoli, vittime della passione di un solo istinto, di un solo istante. Come il Foscolo insegna, la Passione, questa forza oscura e terribile, destabilizzante e divinizzante, può essere redenta dalla scrittura poetica, che ne fa un animale pacato ed armonico con il quale dolorosamente e gioiosamente convivere. 8 4- Eros e Cura "Nell'analisi, in ogni seduta, l'analista e il paziente fanno l'amore, fanno l'amore come André Breton diceva "Le parole fanno l'amore tra loro". Fanno l'amore nella loro testa e a ogni seduta ne viene fuori qualcosa. Ciò che ne vien fuori è un essere provvisorio che tra le due sedute può essere ucciso. Allora si ricomincia eternamente, fino al momento in cui il bambino vive." André Green, Seminari romani La cura si oppone al disinteresse e all’apatia. Curare è riconoscere l’importanza di ciò che va curato, di ciò che merita la nostra cura, le nostre cure. Se per il pensiero greco, come abbiamo precedentemente sottolineato, Eros non può vivere senza una passione condivisa, ciò vale anche per la cura. Eros, che si impone fisiologicamente, non può vivere senza cura che è l’aspetto psicologico e necessario di Eros “ Ogni cura è una storia d’amore…” là dove il “transfert”, come Freud e Jung ebbero modo di concordare “E’ l’alfa e l’omega della cura”. 9 In questo senso il rapporto analitico è un rapporto incendiario. Non rilevabile nella seriosità formale del Logos, si nasconde nel buio dell’inconscio dove alimenta la dimensione del desiderio, dell’Eros creativo, rendendolo incandescente . Il Fuoco, come ancestrale, sacrale potenza vivificante, energia primigenia, irrompe nell’Analisi e trasporta, con Hermes, la coppia analitica, oltre il confine stabilito. La “prova del fuoco” si impone nel viaggio esperienziale all’interno della propria psiche. In una fiammeggiante impermanenza, intraducibile e non rappresentabile, il Fuoco Sacro è capace di scardinare il repertorio atavico dei giochi di potere con la forza dell’Eros e della Bellezza. Archetipo dell’energia del cosmo, il fuoco, come
un essere vivente nasce e, per essere mantenuto in vita, deve essere alimentato ed accudito. I sacerdoti e le sacerdotesse di un tempo lo conservavano, nel segreto dei loro templi. La cura del fuoco, seguendo il movimento verticale delle fiamme, fa salire in alto le energie vitali che generano tutti gli eventi significativi. Le metafore aeree, ascensionali, che ritroviamo in molti sogni di rinascita, sono ricche di echi di un rapporto eterno tra la terra e il cielo. 10 Dove il fuoco è acceso là c’è la vita. Ma il fuoco analitico è pure capace di distruggere e di mandare in fumo tutte le certezze del proprio sapere. Come ha affermato Jung: “…il terapeuta si trova non di rado nella posizione dell’alchimista, il quale spesso non sa più se è egli colui che fonde nel crogiolo la sostanza arcana metallica, oppure se è lui stesso ad ardere nel fuoco come la salamandra…” (11) Dalle ceneri dell’appassionante ricerca comune emergono le eteree valenze simboliche di un destino segnato.
Bibliografia e Note 1- R. May L'amore e la volontà, Astrolabio, Roma, 1971, p. 7 2- H. Marcuse, Eros e civiltà, Ed. Einaudi, Torino, 1964, p. 189 3- Nell’analisi clinica della psicosi è evidente il primato della pulsione di morte rispetto a quella di vita, laddove il disimpasto tra Eros E Thanatos determina un disinvestimento libidico paralizzante e distruttivo. 4- Omero Iliade, V 5- Si veda a proposito: Cartesio, “Passioni dell’anima” in Opere filosifiche, Laterza, Bari, 1986 6- La leggenda del Mito greco-romano di Eros bambino viene ripresa da Rollo May citando il testo di Helene A. Grueber, Mythe of Greece and Rome, British Book Center, London, 1907, p. 86 7- R. May L'amore e la volontà, op. cit. p.93 8- Cfr. V. Ampolo Voci dell'Anima - Scrittura narrazione e pratica analitica, Ed Besa, Entropie, Lecce, 2004 9- P. Soliè “ Luoghi del cuore” Nella psicoanalisi Junghiana in L’Immaginale rassegna di psicologia immaginale, n.12; Anno 8° - aprile 1992 p. 5 10- V. Ampolo Il giorno della partenza in Progetto
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Il fuoco delle parole
Umanistico – periodico di cultura crescita e salute, Anno II n. 3 Novembre 1985, Centro Studi e Ricerche Medico-Psico-Pedagogiche, pp. 19-26 11- C. G. Jung “ La psicologia della traslazione” Opere, vol 16, Bollati Boringhieri, Torino,1981, p. 208
Vincenzo Ampolo: Psicologo-Psicoterapeuta di formazione analitica ed umanistico-esistenziale, saggista e formatore. Tra i più attivi collaboratori della rivista L'Immaginale, (rassegna internazionale di psicologia analitica), ha diretto riviste di pedagogia, psicologia e studi interdisciplinari, pubblicato numerosi saggi di psicologia analitica e studi sociali, in volumi collettivi e riviste di settore. Dal 1982 coordina le attività dell'Ente Morale di Ricerca, Formazione e Terapia "Perseo" e collabora con Istituti di Formazione e con le Università di Lecce, Bari e Genova per progetti di ricerca, attività didattiche e divulgazione scientifica. Tra le pubblicazioni curate dall'autore: La Pratica del Creativo (1988); EXTASY (1997); Musica droga & transe (1999); Diario e dintorni (2001); Voci dell''Anima - Scrittura narrazione e pratica analitica (2004); Dissociazione e Creatività - La transe dell'artista (2005); Martha Nieuwenhuijs Tra Eros e Logos (2009) Oltre La Coscienza Ordinaria Riti Miti Sostanze Terapie (2012).
Giuditta II, Gustav Klimt, 1909
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L'Anima Fa Libro
L
A DANZA DELL'ANIMA È UNA RACCOLTA DI POESIE MA ANCHE DI RIFLESSIONI INTIME E PERSONALI DELLO SCRITTORE
ALFREDO VERNACOTOLA. NELLA
LETTURA DEL LIBRO POSSIAMO RENDERCI CONTO DI COME
INCONSCIO INDIVIDUALE E ANIMA COLLETTIVA SPESSO PERCORRANO LA STESSA STRADA: SOGGETTIVO ED OGGETTIVO INTRECCIANO LE LORO INTUIZIONI PER COSTRUIRE UN'INSIEME DI PENSIERI DELL'ETERNITÀ.
LE POESIE CON I LORO VERSI LASCIANO SPAZIO ALLA NOSTRA IMMAGINAZIONE E ALLA NOSTRA RIFLESSIONE. PARTENDO DA IMMAGINI DEFINITE E DESCRIZIONI EVOCATIVE DI LUOGHI, EMOZIONI, PARTICOLARI E SENTIMENTI, A VOLTE SI HA L'IMPRESSIONE DI LEGGERE VERE E PROPRIE STORIE DI RICORDI SOTTO FORMA DI VERSI POETICI. NELLA SECONDA PARTE DEL LIBRO, LA PROSA METTE IN LUCE IL CORAGGIO DELL'AUTORE CHE RISIEDE NEL PARLARE DI SÈ PER VEICOLARE RIFLESSIONI PSICOLOGICHE. RIFLESSIONI ATTUALI CHE COINVOLGONO DIVERSI PIANI DI VITA, DAL PERSONALE AL COLLETTIVO. QUESTO È IL LIBRO GIUSTO PER CHI VUOLE PENSARE LIBERAMENTE, PER CHI VUOLE SENTIRSI UNICO E PLURALE VIAGGIANDO ATTRAVERSO LA CULTURA.
Alfredo Vernacotola: nato a L'Aquila il 27 Aprile 1978, Psicologo laureato in Psicologia presso la Facoltà di Psicologia dell'Università degli studi dell'Aquila, Psicoterapeuta in formaizone iscritto al secondo anno della Scuola di Specializzazione Atanor. Vive e svolge le proprie attività a L'Aquila.
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La psicoterapia: Il simbolo dell’albero, quale uso possiamo farne. Il 22 Ottobre scorso del 2012 mi trovavo a Parigi per mia fortuna. Un viaggio che è stato molto importante perché, con una certa prepotenza, sembrava ripercorrere una serie di immaginbi che mi erano venute in sogno e che stavo elaborando in analisi. Un viaggio breve all’insegna dell’arte e del nutrire la mia relazione di coppia con la mia proiezione di Anima. La Domenica pomeriggio, mentre le mie gambe iniziavano ad ululare ad una luna che si levava tardi e altrettanto tardi si ritirava, mi sono imbattuto quasi per caso in Rue Descartes nel quartiere latino. Una via che, invece di innalzare un inno alla ragione, mostra come biglietto da visita un albero blu su di una parete del primo palazzo. Quasi con leggerezza ho snobbato la pur
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bella opera ma la mia dolce metà mi ha ricordato che le avevo chiesto di indicarmi alberi di qualsiasi tipo per la mia relazione. Pierre Alewchinsky l’autore dell’opera, mentre Yves Bonnefoy è l’autore della poesia riportata accanto all’opera (Vedi foto sopra). Passante può bastare questo grande albero e attraverso luiguardare Fosse anche rovinato, insudiciato l’albero delle strade è tutta la natura il cielo per intero l’uccello vi si posa il vento vi si agita, il sole
Luca Urbano Blasetti
la stessa speranza vi racconta malgrado la morte Filosofo, tu hai fortuna di avere l’albero nella tua via saranno meno ardui i tuoi pensieri più liberi i tuoi occhi più desiderose di meno notte le tue mani Imbastire un elaborato sul simbolo dell’albero mi sembrava interessante, solo sfogliando i primi dizionari sui simboli mi sono però reso conto che è un’impresa. Sarebbe necessario lavorare su un testo solo per questo. Ma il motivo che mi ha spinto a lavorare in questa direzione nasce dal fatto che tale simbolo si è presentato alla mia attenzione senza che io ne andassi alla ricerca. Non sono quindi mosso da pretese di esaustività quanto da un istinto autobiografico. Scorrerò quindi, come negli ultimi due anni dove e in quale occasione mi sono trovato a che fare con questo simbolo così denso. Un paio di anni fa mi trovavo a Toffia, in provincia di Rieti, e guardai uno spettacolo teatrale di Lara Patrizio: Il Canto Dell’albero, tratto dall’opera di Jean Giono, “L’uomo che piantava gli alberi”. Seguivo a tratti quel monologo decantato e declamante che narrava di un uomo che, in viaggio, si trova in una valle desolata e arida con un villaggio abbandonato. Scorge di lontano un pastore con cui si avvia un silenzioso dialogo. Le parole non sembrano essere le protagoniste di questa relazione e il viaggiatore si appresta a passare la notte col pastore come se fosse l’unica cosa che potesse accadere. Il Pastore passa la sera a selezionare attentamente 100 ghiande e il mattino seguente escono insieme per piantare quelle querce futuribili. Il breve racconto prosegue e vede il viaggiatore partire e tornare nei successivi 40 anni con regolarità in quel luogo vedendolo trasformarsi e diventare rigoglioso, ricco di acque e di abitanti, il tutto grazie a un solo uomo che, perse moglie e figlia, dedica la vita a piantare alberi fino a piantarne 100000. Pur essendo un elogio all’altruismo e all’azione disinteressata, ho avuto un immediato rimando a Hillman che parla di Ghianda e Quercia come il naturale percorso da seguire nel processo di individuazione. Ne “Il
codice dell’anima”, con il quale mi sono imbattuto nel marzo del 2010 e poi quest’ anno, Hillman mirabilmente ci suggerisce come l’anima in ogni momento realizzi se stessa, negli eventi buoni e cattivi, questa è la fede psicologica di cui spesso parla. Un testo molto consolatorio. Quale metafora migliore se non quella di un uomo che pianta ghiande sapendo che la maggior parte non crescerà, ma alla metodica ricerca di se o del Sé. L’albero costituisce un axis mundi, ossia un immagine di collegamento tra cielo e terra, tra materia e spirito tra conscio e inconscio questo è il significato universalmente riconosciuto all’albero dallo junghismo fino allo sciamanismo. Ma prima di comprenderne l’utilizzo che ne possiamo fare in terapia proseguiamo le nostre amplificazioni. Filosofo, tu hai fortuna di avere l’albero nella tua via saranno meno ardui i tuoi pensieri più liberi i tuoi occhi più desiderose di meno notte le tue mani Questo il finale della poesia. Allora il racconto di Giono potrebbe essere proprio un richiamo al filosofo che ha l’albero nella sua via a render meno ardui pensieri e più liberi gli occhi, ma soprattutto a rendere le mani desiderose di meno notte. Non possiamo dimenticare che nei testi sacri al cristianesimo l’albero spesso è simbolo di saggezza, in tal senso risulta un buon compagno per il filosofo. DA qui ci vine una prima riflessione relativamente alla psicoterapia il cui primo obiettivo è, forse, proprio quello di promuovere l’avvento dell’immagine dell’albero, ossia della via che il percorso di individuazione doivrà seguire. L’Albero costituisce da sempre un immagine multiforme ma che immancabilmente rimanda alla vita in senso esistenziale, si pone come simbolo su cui “naturalmente” si proietta la propria identità e in tal senso nasce il Baumtest o test dell’albero. Questo test, pur nascendo in ambito teorico distante da quello in cui ci muoviamo, risulta in assoluta continuità con quanto andiamo affermando. Ho iniziato ad impiegarlo nella Comunità per tossicodipendenti nella quale lavoro, per ottenere un dato proiettivo efficiente. Partendo infatti dal simbolismo sull’albero, questo test
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Il simbolo dell'albero stabilisce criteri di valutazione assimilabili alla psicologia analitica, alla tradizione gnostica e a tutti quegli ambiti che partono dal simbolismo della croce come sospensione o meglio punto di incontro tra gli opposti, come punto di convergenza e di tolleranza di paradossi, come rappresentazione della coniuctio con tutte le diverse parti psichiche. Il Baumtest concepisce gli assi alto-basso e sinistra destra come assi cielo-terra, tu- io, passato e avvenire. Alto diviene Estroversione, espressione, conscietà e telos mentre basso diventa introversione, istinto, Inconscio e origine-causa. L’albero racchiude in se, quindi, immaginari contrapposti e l’incrocio delle variabili citate, insieme agli elementi accessori conduce ad una diagnosi o, per dirla in un linguaggio a noi meno antipatico, una descrizione di tratti di personalità. Così il suolo costituisce il contesto o il mondo circostante, le radici rappresentano il tipo di legame con le origini, con gli istinti. La chioma e il fogliame sono la maschera e l’albero sfrondato è nudo come chi lo ha disegnato. La frattura, la discontinuità tra fusto e chioma costituisce un sintomo di scissione, direbbe la psichiatria, o sintomo di una frattura nella comunicazione tra ciò che è supero e ciò che è infero. Qui di seguito un immagine che raccoglie alcuni alberi disegnati in età prescolare, intorno ai tre anni, potremmo dire archetipici.
Suggestiva a mio parere rimane la relazione tra conscio e inconscio, alto e basso, radici e chioma. Ritengo che nei disegni qui sopra presentati non ci troviamo di fronte all’assenza di inconscio quanto all’assenza del conscio. I bambini disegnano chioma e radici in modo intercambiabile.
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Bachelard ha definito la radice come l’albero rovesciato, l’albero sotterraneo e viene citato in tal senso dall’autore stesso del Baumtest. Io invece ricordo un viaggio di ritorno a Rieti da Pescara. Una gita domenicale con moglie e figli, passando per Navelli giungere fino al mare e poi tornare inseguendo il sole e prolungando il tramonto più che si potesse. Durante il ritorno i bambini si erano addormentati e io parlavo con la donna sulla quale ho proiettato la mia femminilità, anche se ritengo che lei la moltiplichi in più eco. Una di quelle chiacchierate semplici senza alcuna competizione, ove ognuno ha il permesso di essere ciò che è. Parlai della leggenda del Baobab. Secondo questa leggenda il baobab, che è poi albero dalle mille virtù, per vanità acquisisce da Dio tutte le qualità degli altri alberi. Il baobab è stato uno dei primi alberi a comparire sulla terra. Dopo di lui la palma, snella e graziosa. Quando il baobab vide la palma, gridò di voler essere più alto. Quando poi conobbe il bell’albero della fiamma il baobab fu invidioso del suo meraviglioso fiore rosso. Quando scorse l'albero di fico colmo di frutta, ha pregato per avere anch’esso dei frutti dolci. A tal punto gli dei si arrabbiarono per le richieste eccessive del baobab, lo sradicarono e per mantenerlo calmo lo ripiantarono al contrario. Secondo un’altra leggenda parecchio tempo fa, un gruppo di gnomi scontrosi decise di vendicarsi degli uomini, colpevoli di disturbare la loro quiete con musiche e litigi assordanti. In una notte buia si intrufolarono furtivamente nei villaggi e sradicarono tutte le piante che si trovavano nei paraggi. Non le gettarono nel fiume, ma le capovolsero a testa ingiù, dando vita ai baobab. Non sono nella posizione di incrociare tali leggende con le culture indigene delle savane africane, mi sento però a mio agio nel cercare di darne una lettura archetipica e in ottica analitica. Gli dei, infatti, puniscono colui che troppo sull’apparenza vuole costruire le sue virtù facendolo entrare in contatto con il mondo infero, con la parte inconscia, meno mascherata, meno personaggio. Le radici divengono la pérsona, l’inconscio diviene visibile a tutti e impossibile diventa mercanteggiare la propria identità perché data, visibile ininterpretabile. Nella medesima direzione si muove il processo di detronizzazione dell’Io che da Jung a Hillman giunge a noi attraverso Perilli.
Luca Urbano Blasetti
Se questa operazione avvenga per mano degli dei o di piccoli gnomi ciò è per noi di minor rilevanza anche se, cercando nessi laddove non vi sono, pensare che vi è un “piccolo popolo” che obbliga a fare i conti con la dimensione istintuale, primitiva o inconscia resta per noi di notevole suggestione. Effettivamente ogni albero mostra con la parte visibile, una volta sfrondata, la sua parte infera, sotterranea. Ho giocato a lungo nell’inverno del 2010 a pensare gli alberi spogli come tutti rivolti con le radici all’insù, a pensare a una chiomamaschera sotterrata. Ho pensato a come le stagioni dell’esistenza obbligano, volenti o nolenti, a mostrare di quando in quando la parte più autentica e globale di noi, quella parte erroneamente ritenuta la meno nobile, quella parte che ragionevolmente richiede una mediazione di un Io, qualora esso esista, una mediazione in assenza della quale la nostra cultura trova solo nella diagnosi una strategia relazionale efficace. I testi vedici parlano poi di un albero rovesciato da intendersi come prolungamento della terra che acquisisce nutrimento dal sole attraverso le foglie, poi giù fino alle radici. L’albero è la bocca della terra che assimila nutrimento. La vita viene dal cielo e penetra nella terra. Anche la cabala concepisce l’Albero della Vita come albero rovesciato. Ma ora riduciamo all’osso l’albero e pensiamo alla croce. In croce si trova Conan il Barbaro, nel noto film, quando viene condannato. L’archetipo del puer, che Conan rappresenta, vive come condanna ciò che è fortuna per il filosofo. Conan sospeso in croce non può realizzare l’archetipo del puer. La sospensione sulla croce rimanda al Cristo che si è fatto uomo affinché l’uomo potesse farsi Cristo, direbbero i cristiani. L’angoscia è superabile attraverso la funzione religiosa: attraverso la creazione del Dio che poi a sua volta crea e genera il suo genitore e quindi si fa uomo e va sulla croce. L’uomo può pregare se stesso di fronte all’angoscia. Insomma è l’uomo stesso a farsi uomo e poi trova nell’autosacrificio e nella croce il suo destino. Ma usciamo dai deliri, la sospensione sulla croce costituisce l’indicazione per il filosofo che si riduce al vecchio e caro in medio stat virtus. Nel mezzo del cammin di sua vita Conan ha quindi un’indicazione, ma poi, posseduto dall’archetipo, non può fare altro che essere se stesso.
Pacino Buonaguida:Albero della vita ( 1305 ca)
Sulla stessa direzione della croce invita a porsi l’oracolo cinese “I Ching”. Quando si consulta questo oracolo, caro anche a Jung come noto, si ottiene l’associazione di due trigrammi o in modo più semplice un’insieme di sei linee o continue o spezzate. Rimandando al testo per eventuali approfondimenti, qui ci limitiamo a dire che l’oracolo invita ad una sospensione tra 4 coppie di opposti:
Se poi Jung, in perfetto stile hillmaniano, abbia cercato di proporre una trama occidentale all’oracolo orientale non lo sappiamo. Ma ci sembra alquanto probabile che abbia subìto l’influenza di questo albero per proporre i suoi alberi ne “I tipi Psicologici”. Così troviamo due assi su cui si trovano contrapposti e in enantiodromia Intuizione- Sensazione e PensieroSentimento. Ricordando che poi il tutto va declinato sui tratti di Estroversione e Introversione otteniamo proprio 4 coppie di opposti come nell’oracolo cinese, la cui grafica rimanda a quella essenziale usata da Jung nel suo testo.
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Il simbolo dell'albero Fantasticando immagino i diversi simboli politici che rimandano alla croce e quindi all’albero, penso a come trattasi di tentativi ripetuti di trasformare gli assi secondo teorie di riferimento che spesso sfuggono alla naturalità delle cose. Una svastica sembra infatti il tentativo di rendere finiti gli assi, di interromperli dando un limite, di rendere finito l’infinito e quindi di dominarlo. Quasi a far si che le diverse funzioni psichiche o risorse psichiche (due per ogni asse), fossero più tangibili, acquisibili, gestibili. Nella stessa direzione va la volontà di creare un meccanismo di selezione della specie piuttosto che far parte del meccanismo. I dizionari dei simboli riportano comunque prima di tutto l’idea di un albero che si pone come asse di congiunzione tra cielo e terra, tra ctonio e uranio. Come sintesi di elementi. Questa sintesi potrebbe anche rappresentare la gnosi e in tale direzione si muove la tradizione ismaelita. L’albero della gnosi rimanda poi a quello della scienza del bene e del male, quello da cui, si vocifera, sia stata costruita la croce di cristo, per l’appunto anch’essa assimilata all’albero della vita. Sull’albero della vita sembrano convergere poi le tradizioni d’oriente e d’occidente. Notiamo infatti come il Buddha ebbe l’illuminazione sotto l’albero cosmico, mentre per i cinesi l’albero legato è simbolo di unione del bene e del male, dello yin e dello yiang. In generale molte tradizioni preelleniche o precedenti, oppure quelle nordiche vivono il culto dell’albero come fondante. La religione Norrena parla chiaramente dell’Albero cosmico conosciuto come Il frassino Yggdrasill o Frassino di Odino, su cui vivono e vengono generati gli dei. Sembra che prima di Dio erano gli Dei ma prima degli Dei era l’Albero. L’albero è il luogo che ha preceduto nella cosmogonia i mortali e gli immortali, l’albero è la nostra casa prima che noi nascessimo. Eliade osserva che l’albero oltre ad essere simbolo della perpetua rigenerazione è anche simbolo archetipale della potenza che finisce per coprire l’intero cosmo. L’albero può poi essere l’antenato, il padre, o trasformazione temporanea dell’uomo. Non possiamo dilungarci nelle specifiche di ogni albero e di ogni tradizione culturale, ma cerchiamo di restituire, seppur in modo vagamente grottesco, gli alberi nella storia, nel tempo e nelle culture. Prima di passare ai contributi di Jung e dell’alchimia sul simbolo dell’albero, vorrei provare a fare un passaggio a volo di gabbiano
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sull’Albero della Vita secondo la Cabala. Il motivo per cui mi cimento in un compito così arduo non risiede nelle mie conoscenze quanto nelle mie esperienze di sincronicità. Da tempo sarei infatti potuto andare ad Otranto
Luca Urbano Blasetti
nella mia vita, ma lo ho fatto solo questa estate dopo aver deciso di procedere in questa relazione. Ebbene è lì che nel duomo ho trovato una decorazione musiva che mi ha rapito. Un mosaico pavimentale che ricopre l’intera estensione della cattedrale e in cui si trova una tale commistione tra pagano e cristiano, tra sacro e profano che induce ad un’ubriacatura chi, come noi, ha scelto di leggere il mondo in senso immaginale. Pantaleone l’autore la realizza in due anni tra il 1163 e il 1165, è uno gnostico e ci sembra importante evidenziare che oltre ai consueti temi dell’antico testamento, ve ne sono alcuni totalmente fuori contesto. Uno di questi è Re Artù sotto Adamo ed Eva; un altro è il leone quadricefalo; un altro è Alessandro Magno. La prima lettura e interpretazione possibile è quella cabalistica. L’Albero della Vita è il programma secondo il quale si è svolta la creazione dei mondi; è il cammino di discesa lungo la quale le anime e le creature hanno raggiunto la loro forma attuale. Esso è anche il sentiero di risalita, attraverso cui l'intero creato può ritornare al traguardo cui tutto anela. Lungo di esso sale e scende anche la consapevolezza degli esseri umani. I tre pilastri dell'Albero della Vita corrispondono alle tre vie che ogni essere umano ha davanti: l’Amore (destra), la Forza (sinistra), e la Compassione (centro). Solo la via mediana, chiamata anche "via regale", ha in sé la capacità di unificare gli opposti. Senza il pilastro centrale, l’Albero della Vita diventa quello della conoscenza del bene e del male. I pilastri a destra e a sinistra rappresentano inoltre le due polarità basilari di tutta la realtà: il maschile a destra e il femminile a sinistra, dai quali sgorgano tutte le altre coppie d’opposti presenti nella creazione. L'insegnamento principale contenuto nella dottrina cabalistica dell'Albero della Vita è quello dell'integrazione delle componenti maschile e femminile, da effettuarsi sia all'interno della consapevolezza umana che nelle relazioni di coppia. La cabala sintetizza il percorso sapienziale che l’uomo deve compiere per giungere a Dio. L’albero ne è quindi lo schema. La contrapposizione tra le colonne laterali dell’albero, ossia l’assenza di quello centrale (la Consapevolezza) crea la schiavitù con lo spaziotempo (i 12 mesi raffigurati nel mosaico). Il percorso gnostico inoltre dovrebbe concludersi al di fuori della cattedrale dove campeggia di
nuovo il nome di Pantaleone. In questo mosaico appaiono poi 16 cerchi che indicano la cosmogenesi. La sirena in uno di essi ricorda l’Abraxas che è per Basilide il sommo architetto dell’universo che però era maschio. In sintesi la cabala ci suggerisce ulteriori letture del simbolo dell’albero di cui l’opera musiva sembra presentarne ulteriori possibili interpretazioni per noi molto suggestive. In conclusione di questa relazione mi soffermerei sul significato del simbolo dell’albero che Jung richiama in Studi sull’Alchimia. Parlando dello spirito mercurio Jung lo colloca, seguendo il racconto dei fratelli Grimm, in una bottiglia che è stata collocata tra le radici di una quercia, ossia il Re della foresta, il Sé. Senza soffermarci sullo spirito Mercurio, ci interessa qui sottolineare l’idea dell’albero come simbolo del Sé. Jung ricorda che albero e demone erano, in civiltà antiche, una sola cosa e che la loro separazione costituisce un grado superiore di civiltà, ossia la coscienza. Il Mercurio è poi affine alla trinità, dice Jung, e questo ci potrebbe ricondurre all’albero della vita e alle tre vie, ma forse è opportuno usare cautela. Ma è nel capitolo successivo che Jung presenta 32 tavole con rappresentazioni grafiche dell’albero prodotte da pazienti. Inizia il capitolo argomentando come tali rappresentazioni grafiche risultino assimilabili ad un MANDALA. Mentre il mandala è una visione del Sé visto dall’alto, l’albero ne costituisce una visione prospettica. Potremmo dire che il mandala è un’istantanea mentre l’albero un film sul Sé, sul processo in termini di processualità. Non staremo qui a entrare specificamente nelle tavole ma invitiamo a scorrerle per osservare come l’archetipo si presenta nel simbolo con diverse varianti ma con un comune denominatore. Sembra quasi di osservare lo studio di uno stesso soggetto ad opera di un solo artista. Jung prosegue parlando dei correlati alchemici del simbolo, di come in alchimia rappresenti il processo di trasformazione, nonché la totalità, il Sé, l’unità della quaternità, tra i 4 opposti (qui Jung rimanda direttamente alla Croce). Il saggio prosegue facendo cenno all’albero alchemico come albero filosofico che per analogia con vasi sanguigni costituisce il processo sapienziale che si dispiega ciclicamente con le stagioni e non una volta per tutte. Mi meraviglio nel leggere per ultimo questo
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Il simbolo dell'albero capitolo e osservare come necessariamente Jung passi in rassegna molti dei significati da me incontrati nel fare la mia relazione. Mi meraviglio come giungo alla fine della relazione citando l’albero filosofico e mi ritrovo circolarmente al punto di inizio, alla poesia di Bonnefoy e mi chiedo: Ma Bonnefoy avrà mai saputo di alchimia? Avrà mai letto Jung? Chiudo in modo autobiografico e cito ricordi o sogni che si impongono nel mio archivio mnestico in merito all’albero. Da ragazzo fino a 10 anni ho vissuto con i miei nonni. Ero l’addetto ad addobbare l’albero di natale e lo feci con dedizione, stimolato anche dalle mance generose. Poi mia nonna un anno decise di addobbarlo con foto, spazzolini, bustine da the, pupazzi e qualsiasi altra cosa capitasse tra le mani. Tutt’oggi io addobbo l’albero di natale con lo stesso spirito. Con mio fratello, persona simpatica a tutti, ricordo che costruivamo una casa su di un ippocastano. Poi una volta nostra madre ci chiese di potarlo e noi lo abbiamo fatto ma un ramo troppo grande è caduto sulla scala facendo cadere mio fratello e distruggendo la scala. Mia suocera ci regalò un limone quando andammo a vivere insieme con la mia compagna. Ho sempre cercato di curarlo ma inesorabilmente periva, soffriva e infine lo trovai coricato sul terrazzo abbattuto dal vento. Cambiai casa e tagliai tutti i rami. Avrei dovuto buttarlo e invece lo portai con me. Questo avveniva 4 anni fa. Oggi il Limone è pieno di foglie e ha molti frutti sui suoi rami. Quindi cosa ce ne facciamo degli alberi? Da psicoterapeuti quale utilità o uso possiamo fare dell’albero qualora esso giunga in analisi. L’albero, come qualsiasi altro simbolo, può giungere nella stanza d’analisi con un sogno, con un ricordo, con un evento recente, ma noi che ce ne facciamo di tutte le amplificazioni sull’albero per evitare il rischio di speculare gratuitamente ed essere tacciati di junghismo? L’albero e le amplificazioni che un paziente ne fa, ci saranno utili a comprendere il funzionamento del nostro paziente o di noi stessi. L’albero, nella sua forma e nel suo contesto, ci informerà di come sia il rapporto con la dimensione inconscia di chi porta dentro di se un certa immagine dell’albero. L’albero ci dirà in quale misura possiamo lavorare sul rendere conscio ciò che non lo è, su come entrare in contatto con l’ombra. Ci informerà poi
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sull’inflazione di spirito, qualora sia la chioma la parte prevalente, ovvero su un’inflazione di corpo e istinto qualora siano le parti delle radici a risultare preponderanti. Da archetipici lavoreremo su una riduzione dell’inflazione e una esaltazione degli aspetti deflazionati. La chioma è anche la maschera, la persona e un eccesso di chioma ci spingerà a promuovere la nudità, e qui ci riferiamo anche al senso alchemico della nudità, ma al contempo dovremo valutare come rivestire un albero troppo spoglio dato che la persona, la mschera, è lo strumento con cui ci si relaziona col mondo. Un albero senza radici andrà radicato, mentre troppe radici andranno recise. Ma l’albero ci darà anche una proiezione e una prognosi indicandoci il probabile andamento dell’analisi. L’obiettivo della psicoterapia è divenire “ciò che sta nel mezzo”, direbbe Jung, e, in tal senso l’albero ci indicherà quale funzioni siano inflazionate e quali siano deflazione. Con funzioni ci riferiamo sia a quelle che Jung cita nei “Tipi psicologici” sia quelle emerse nei “I Ching”. Nell’Oracolo cinese vediamo contrapposti, ad esempio l’eccitante al mite, o il creativo al ricettivo. Nella stanza d’analisi favoriremo, quindi, un equilibrio tra la creatività, ossia i rendersi generatori del mondo, la ricettività ossia essere generati dal mondo, il che poi si traduce in un equilibrio tra estroversione e introversione. Il simbolo dell’albero si presenterà in analisi molto asimmetrico e dovremmo lavorare nella direzione di favorire la simmetria fino a trasformare l’albero in un vero e proprio mandala, in un cerchio. L’albero ci indicherà il Kairos, il giusto momento in cui rendere conscio ciò che è inconscio. Ci indicherà il giusto momento in cui favorire l’istinto ovvero lo spirito. L’albero ci indicherà quando contrapporsi a un eccesso di psiche e quando favorirne lo sviluppo. L’albero ci indicherà come integrare gli opposti e il maschile col femminile; l’albero è la via verso l’ermafrodito.
Luca Urbano Blasetti
Bibliografia e Note Bachelard, G. 1943 :Psicoanalisi dell’Aria. RED, Milano, 2007. Giono, J, 1953 : L’uomo che Piantava gli alberi. Salani, Milano, 1996. Eliade, M., 1974: Lo sciamanismo. Mediterranee, Roma, 2005. Hillman, J., 1996: Il codice dell’anima. Adelphi, Milano, 1997. Jung, C. G., 1921: Tipi Psicologici. Bollati Boringhieri, Torino, 1977. Jung, C. G. , 1952: Studi sull’Alchimia: Lo spirito Mercurio (1943). in Opere, vol. 13, Boringhieri, Torino, 1970. Jung, C. G. , 1952: Studi sull’Alchimia: Lo spirito Mercurio (1943). in Opere, vol. 13, Boringhieri, Torino, 1970. Jung, C. G. , 1952: Studi sull’Alchimia: L’Albero Filosofico (1945). in Opere, vol. 13, Boringhieri, Torino, 1970. Koch, K.1958: Il reattivo dell’Albero: Giunti, Firenze, 2007. Perilli, V., Perilli, E., 2008: Oltre l’Io. Libreria Univ. Benedetti, L’Aquila.
Luca Urbano Blasetti: Psicologo e Psicoterapeuta in formazione; Dottore di Ricerca in Psicologia Dinamica sul tema Creatività e sue componenti dinamiche; Responsabile del Centro Emmanuel per Tossicodipendenti di Rieti presso cui cura diversi progetti regionali; autore di diverse pubblicazioni psicologiche; opera nel suo studio.
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L'Anima Fa Libro
L DUE
A SCOPERTA DI UN TESTO IN CUI SI RESPIRA ARIA CONVIVIALE TRA GLI ATTORI DI UNA TENZONE A
–
CON LA PRESENZA TANTO ALEATORIA QUANTO
INGOMBRANTE
DEL
AFFASCINANTI
LA
TERZO LETTURA
ESCLUSO E
IL
-,
RENDE
CONSEGUENTE
SFOGLIARE DELLE PAGINE PERCHÉ SI EVIDENZIA UN FILO DIRETTO CON LE PROFONDITÀ DELLA PSICHE, CON QUELLA
PSYCHÉ
DELLA
NEOPLATONICA,
FILOSOFIA
MATRICE DA CUI OGNI CREAZIONE HA EMESSO IL PRIMO VAGITO.
IL LAMENTO DEI MORTI SI APPRESTA A DIVENIRE UN TESTO D'AVANGUARDIA PER LA PSICOLOGIA, IN QUANTO OGNI ASPETTO CONCETTUALE RIMANDA AL SUBSTRATO IMMAGINALE DA CUI OGNI PROVIENE.
INDIVIDUALITÀ
L'UOMO
È
DIRETTA
EMANAZIONE DI STRATI PROFONDI SEDIMENTATI NELLA MEMORIA DELLA
STORIA,
RAPPRESENTATA DA
“MORTI”,
RELEGATI IN UN CASSETTO PERCHÉ TEMUTI, RITENUTI COME
AFFERENTI
A
CONCETTUALIZZAZIONE
SPIEGAZIONI PERSISTENTE
NELLA PSICOLOGIA ATTUALE
–
AVULSE CHE
DALLA AVVIENE
A QUALUNQUE SCUOLA
-. LA COPPIA SONU SHAMDASANI/ JAMES HILLMAN, ASSUMENDO LA PROFESSIONALITÀ DI DUE INVESTIGATORI, MUTUANDO LE PAROLE DI JUNG (IL TERZO ESCLUSO), RIESCONO A MOSTRARE QUANTO LO ZURIGHESE ABBIA TRATTO LA BASE DEI SUOI CONCETTI – SENZA CUI NON SAREBBE MAI STATO TENUTO IN CONSIDERAZIONE DALL'ESTABILISHMENT “SCIENTIFICO” - DALLE FANTASIE DI UN PERCORSO NELLA STORIA DELL'INDIVIDUO. NEL CONTEMPO È EVIDENTE QUANTO LA SFERA PERSONALE DI CARL GUSTAV JUNG ABBIA INFLUITO SULLA REDAZIONE DEL LIBRO ROSSO: OGNI ESPERIENZA, OGNI APPROFONDIMENTO ACCORSO NEL TRAGITTO D'ESISTENZA DELLO PSICHIATRA SVIZZERO MOSTRA QUANTO VI SIA NECESSITÀ DI UN CONNUBIO FORTE TRA CIÒ CHE APPARTIENE ALLA RAZIONALITÀ E CIÒ CHE – VUOLE, PRETENDE, ESIGE “PER NATURA” - UNA LETTURA METAFORICA, CHE PERMETTA DI CREARE UN LINGUAGGIO PIÙ ADEGUATO ALLA SPIEGAZIONE DI UN COMPLESSO DI IMMAGINI CUI È RIASSUMIBILE LA SOGGETTIVITÀ. È LECITO DOMANDARSI A CHI APPARTENGANO QUESTE IMMAGINI: LE IMMAGINI SONO DEI MORTI, QUEI MORTI BEN IN EVIDENZA NEL RITUALE EGIZIO, DOVE L'APERTURA DELLA BOCCA – E QUI CI VORREBBERO DELLE SPIEGAZIONI MITOLOGICHE A SUPPORTO DELLA STESSA TESI DI FONDO DEL LIBRO – CORRISPONDE A DAR VOCE ALLA STORIA DELL'UMANITÀ TUTTA, IN OGNI SUO ASPETTO. QUANTO SCRITTO NEL LIBRO INTERVISTA SEMBRA ESSERE PROFETICO RISPETTO ALLA SITUAZIONE GEOPOLITICA/SOCIALE/PSICOLOGICA CHE L'INTERO GLOBO TERRESTRE STA VIVENDO: PERDITA DEI PUNTI DI RIFERIMENTO, RITORNO ALLE CROCIATE RELIGIOSE, PERDITA DEI DIRITTI FONDAMENTALI. RECUPERARE LA STORIA EQUIVALE A FARE DELLA MEMORIA UNA COMPAGNA DI VIAGGIO CHE IMPEDISCE DI CADERE NELLE DINAMICHE FRAUDOLENTE (PER L'ESSERE UMANO INSERITO NELLA SOCIETÀ), FISSANDO I PARAMETRI CHE POSSANO GARANTIRE LA SOPRAVVIVENZA SIA DELL'UOMO CHE DELL'ECOSISTEMA TUTTO. HILLMAN SPECIFICA CHE DEV' ESSERCI IL RECUPERO DELLA BELLEZZA, RADICATA NEI FONDALI PIÙ INACCESSIBILI, PERCHÉ IN QUESTI RISIEDE LA POTENZIALITÀ CHE GENERA LA BELLEZZA STESSA. TALE DI
PENSIERO
SI
ADERISCA
AFFERMAZIONE È A SUPPORTO DI QUANTO GLI AUTORI DICONO RELATIVAMENTE AL LINGUAGGIO CONTENUTO NEL
LIBER NOVUS,
DEFINITO
“LIRICO”:
IL LIRISMO, LA POESIA FACILITANO L'ACCESSO NELLE SFERE SOGGETTIVE IN
CUI LO STESSO SOGGETTIVO DIVIENE OGGETTIVO. TRANSITARE ATTRAVERSO LA RAZIONALITÀ.
L'ARTE
PERMETTE DI ACCEDERE LÀ DOVE NON SI PUÒ
L'ARTE È IL RECUPERO DELLA MEMORIA, È IL RECUPERO DEI CANALI COMUNICATIVI CON IL PROFONDO. L'ANIMA SI MANIFESTA ATTRAVERSO LA METAFORA, GENERANTE UN FARE METAFORICO CHE ABBANDONA INTELLETTUALISMI CELANTI RESISTENZE DELLA PSICOLOGIA. È EVIDENTE COME IL DIALOGO CON LE IMMAGINI ARRIVI A PRODURRE DIALOGHI INSCRITTI NELLA PHANTASIA, AVENTI SPIEGAZIONI
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L'Anima Fa Libro
SOLTANTO CON LA SISTEMATIZZAZIONE PRODOTTA DA UN INTELLETTO CAPACE DI MEDIARE, RINFORZANDO LE SUE STESSE FRECCE CON CONOSCENZE DENSE DI ACUME PSICOLOGICO. JUNG HA DIALOGATO CON LE IMMAGINI,
HILLMAN
AFFERMA DI NON AVER MAI LETTO IL LIBRO, MA SI NOTA UNA VENA PROVOCATORIA POICHÉ NELLA
PARTE CENTRALE DEL LIBRO INTERVISTA AMMETTE DI AVER DEDICATO A JUNG E ALLA SUA OPERA BUONA PARTE DELLA SUA ESISTENZA: NON PUÒ ESSERE CHE COSÌ, IN QUANTO SI PUÒ DIALOGARE DEL MAESTRO SOLTANTO SE LO SI CONOSCE, SIA DA AVVERSARIO SIA DA DISCEPOLO.
L'INTERO
SVOLGIMENTO DELLE CONVERSAZIONI PONE IN ESSERE INTERROGATIVI CRUCIALI
NELLA CERCHIA JUNGHIANA
–
INTORNO A CONCETTUALIZZAZIONI COME
IMMAGINE, VIVE L'INDIVIDUO E VIENE
–
ANIMA, OMBRA
–
SPECIALMENTE
ETC. OGNI SINGOLA
DALL'INDIVIDUO
– VISSUTA. IL CENTRO PROPULSIVO RICONOSCIUTO NELLE ELABORAZIONI TEORICHE DELLO JUNGHISMO – IL SÈ – RISULTA ESSERE UN INSIEME BEN STRUTTURATO DI IMMAGINI E NON UN CENTRO TOPOGRAFICAMENTE INDIVIDUABILE. QUESTO EMERGE DALL'ANALISI CHE LA LETTURA DEL LIBER NOVUS HA PERMESSO DI ELABORARE AI DUE STUDIOSI. IMPERANDO IL COMPLESSO D'IMMAGINI TUTTO VIENE POSTO SULL'ALTARE DEL SACRIFICIO, DEFINENDOSI NELLA SUA DECOSTRUZIONE. ABBRACCIANDO L'IPOTESI DI UNA PSICHE CHE PARLA PER IMMAGINI, SI ABBRACCIA LA BASE POETICA DELLA MENTE. NEL CONTEMPO SI VIVE NELL'APERTA CONFLITTUALITÀ CON L'ASPETTO MEDICO DELLA PSICOLOGIA: BASANDOSI SU DIALOGO CON IL PROFONDO, OGNI TENTATIVO DIAGNOSTICO DIVENTA PIÙ POETICO E CREATIVO, METAFORICO, ADEGUANDOSI CON UN LINGUAGGIO, QUALE QUELLO ARTISTICO, CHE PONE IN ESSERE L'ABBANDONO DELLA CONCETTUALIZZAZIONE PER ABBRACCIARE IL VASTO OCEANO IMMAGINALE. NELL'OTTICA DELLA STORIA SI STAGLIA LA “NARRAZIONE”, CHE ASSUME UN ASPETTO CENTRALE QUANDO NON LA SI ESTREMIZZA – È MIA OPINIONE PERSONALE – COME IDEOLOGIA, MA LA SI RITIENE VEICOLO ATTRAVERSO CUI L'INDIVIDUO ACCETTA E SISTEMA IL PROPRIO PERCORSO DI VITA. QUANTO DETTO SI EVIDENZIA COME UNA CRITICA AI DUE CONVERSANTI, POICHÉ SI PONGONO COME SILENTI OPPOSITORI DEI JUNGHIANI, RISULTANDO ESTREMISTI. MI RIFERISCO ALLA DISAMINA RIGUARDO L'ANALISI JUNGHIANA, CHE VUOLE ESSERE UN ABBANDONO ALLA CULTURA, AFFERENTE A CHI DI CULTURA SI NUTRE; NATURALITER PER CULTURA SI INTENDE OGNI ASPETTO DEL SAPERE: ECCO CHE IL TEMA DELLA STORIA, IN TUTTE LA SUE SFUMATURE, VIENE RITENUTO CENTRALE. LA STORIA È LA NARRAZIONE, LA NARRAZIONE DELL'UMANITÀ, CHE HA ATTRAVERSATO MILLENNI DI VICISSITUDINI CHE CHIEDONO DI ESSERE INTEGRATE E MEDIATE, CON LA RISCOPERTA DELLE RADICI DELLA VITA. OVVIAMENTE LA POSSIBILITÀ DI AFFRONTARE IL PERCORSO DI CRESCITA DI MATRICE JUNGHIANA, RICHIEDE UNA INCLINAZIONE AD APPRODI TEORICI SEDIMENTATI DALL'ESPERIENZA TERAPEUTICA FONDATA SULLA PRAXIS ANALITICA, DECISAMENTE DIVERSA DAL “FARE ARCHETIPICO”, DOVE L'ECCESSIVO USO DELL'AMPLIFICAZIONE FINISCE CON IL RIVELARSI UN FRENO QUALORA NON VI FOSSE UNA PREDISPOSIZIONE DELL'ANALIZZANDO ALLA LETTURA SIMBOLICA. IL FARE ANALITICO JUNGHIANO VUOLE LA CONNESSIONE DI SEQUENZE DI IMMAGINI, NON ANALISI INDEFESSA DI UNA SINGOLA IMMAGINE: CIÒ CHE CONTA È IL PROCESSO ANALITICO, NON IL FLUSSO ESCLUDENTE L'INTERO PROCESSO: IL FLUSSO È IL PROCESSO. ELUDENDO DALLE CRITICHE DA ME POSTE IN QUESTE ULTIME RIGHE, “IL LAMENTO DEI MORTI” DEFINISCE UN NUOVO MODO DI FARE PSICOLOGIA, UNA PSICOLOGIA CHE ADOTTI UNA VISIONE D'INSIEME, RITENENDO CENTRALE IL VALORE DELLA STORIA, COME EVOLUZIONE/DEVOLUZIONE DAL COLLETTIVO AL PERSONALE, CHE RAPPRESENTA IL PROFONDO DELLA VITA. LA PSICOLOGIA DEVE DUNQUE RISCOPRIRE IL LINGUAGGIO DELLA POESIA, DELL'ARTE, DELLA PITTURA E DELLA SCRITTURA. L'UOMO È IMMAGINAZIONE E CIÒ CHE CREA IL MONDO È L'IMMAGINE. CONCLUDO RIPORTANDO L'ULTIMO PENSIERO DI JAMES HILLMAN, PIONIERE DI UNA PSICOLOGIA CHE SI FA ARTE. “HO UNA PROPENSIONE, UN'INCLINAZIONE, UNA VOCAZIONE, UNA TENDENZA A PENSARE CHE NIENTE È GIÀ DATO, E TUTTAVIA È SEMPRE QUI, DUNQUE INFLUISCE SU 'COME' VEDO E MI SENTO, 'CHE COSA' VEDO E PROVO, COME REAGISCO, COME MI PIACEREBBE REAGIRE. TUTTE QUESTE COSE E ANCHE DI PIÙ, COSE CHE NEPPURE IMMAGINO, SONO NELL'IMMAGINAZIONE, ALLA QUALE HO ACCESSO TRAMITE LA VITA PERSONALE, CIOÈ SCAVANDO NELLE MIE REAZIONI E RIEMERGENDO CON DELLE INTUIZIONI”(PAG. 108). LASCIAMO CHE I MORTI CI VENGANO A FARE DISSERTAZIONI SUL SAPERE; IL LORO LAMENTO È LA NOSTRA INCAPACITÀ DI ASCOLTARLI. ALFREDO VERNACOTOLA
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Salvador Dalì, L'ermafrodito, Litografia
3.1 Adler: l’ermafroditismo psichico Per Adler l’ermafroditismo psichico e protesta virile rappresentano un problema basilare nello sviluppo delle malattie nervose, prendedendo in considerazione la compensazione che assume l’individuo che, “soffrendo di un senso di
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inferiorità, è costretto ad assumere atteggiamenti di protesta virile per supplire a sentimenti di debolezza e passività che sente al suo interno come caratteristiche femminili” 1. La parola “ermafroditismo” porta immediatamente a pensare ad una fusione di ruoli sessuali; a tal proposito il tema della sessualità fu una delle
Vitaliani, Vernacotola principali cause di rottura tra Adler e Freud. Adler, infatti, considerò errata l’eziologia sessuale delle nevrosi, sostenendo che fosse il risultato di un conflitto di altra natura: “La fonte principale del contenuto sessuale dei fenomeni nevrotici sta nella contrapposizione astratta virile-femminile, e costituisce una forma modificata della protesta virile … tutto il quadro della nevrosi sessuale non è … altro che un simbolo” 2. La sessualità perde, quindi, diventa l’espressione di due ruoli contrapposti che vengono presi a riferimento come punti estremi di un continuum che va dall’inferiorità femminile alla superiorità maschile. Il concetto di ermafroditismo indica, di conseguenza, la presenza contemporanea dei due poli opposti in ogni individuo: “Come si può facilmente osservare, il bambino gioca temporaneamente un duplice ruolo. Da un lato mostra tendenze di sottomissione ai genitori e agli educatori, dall’altro desideri, fantasie e azioni esprimono la ricerca dell’indipendenza, la sua volontà e la sua importanza. Questa mancanza di coerenza interiore rappresenta il prototipo e il fondamento dei più importanti fenomeni psicologici, in particolare della nevrosi, della scissione della coscienza e dell’indecisione che possono manifestarsi nella vita futura. Di regola, gli individui tendono talvolta verso la direzione femminile e talvolta verso quella maschile e, in base alla tendenza manifestata, compiono sforzi per raggiungere una coerenza con sé stessi. Ciò dà luogo solitamente a un compromesso: un comportamento femmineo negli uomini … e ruoli virili nelle donne … , oppure una coesistenza apparentemente casuale dei tratti caratteristici dell’uomo e della donna” 3. In un altro passo, poi, Adler ribadisce: “Questa apparente duplicità di vita, che non è altro che un fermarsi o retrocedere velato e unitario, e che nei bambini normali si mantiene in misure ragionevoli e che forma anche il carattere degli adulti, non concede ai nervosi di inseguire unitariamente una meta, ed inibisce anche le loro decisioni con una costruzione di angoscia e di dubbio” 4. Adler, altresì, evidenzia come tratti fisici del sesso opposto siano effettivamente individuabili con notevole frequenza in alcune persone. Francesco Parenti nel suo “Dizionario Ragionato
di Psicologia Individuale” ritiene che “In ogni persona, al di là della caratterizzazione sessuale che distingue l’uomo dalla donna, esistono tendenze attribuibili al sesso opposto. Ciò può avere una spiegazione nella situazione anteriore alla differenziazione sessuale che, dal punto di vista psichico ed umorale, si realizza nel bambino dopo una certa epoca della vita, a seguito di fenomeni di maturazione e della socializzazione” 5. Parenti, dunque, definisce l’ermafroditismo psichico come un aspetto un aspetto innato, costituzionale, tipico dell’essere umano sin dalla nascita e che, durante lo sviluppo, andrà, in qualche modo perso o comunque ridotto di significato. Qualora questo passaggio fondamentale venisse a mancare, si potrebbe assistere ad una regressione portando l’individuo allo sviluppo di uno stato psicopatologico. La salute mentale secondo Adler sta nel saper accettare in modo “comprensivo” le sfumature che la vita presenta, mentre la malattia è frutto di una inevitabile accettazione rigida dei fatti, quindi dall’incapacità di sopportare e comprendere situazioni più sfumate. Ogni possibile tentativo, che il nevrotico mette in atto, per superare questo stato di ambivalenza che alberga in sé, limitando l’aspetto di “femminilità, farà sì che egli assuma un comportamento particolarmente aggressivo e attivo (“maschile”) in certe situazioni o con certe persone ed una modalità passiva e succube (“femminile”) con altre rendendolo così una sorta di caricatura grottesca. In quest’ottica si assisterebbe, quindi, alla formazione di un vero e proprio nuovo ermafroditismo psichico inteso come via di fuga patologica all’incapacità di sopportare l’ambivalenza residua fisiologica. Adler utilizza il concetto di ermafroditismo anche in riferimento al pensiero antitetico, cioè quel modo di pensare per opposti contrapposti. Nel nevrotico, poiché bisognoso di maggiori appigli che possano dare sicurezza, esiste uno schema di appercezione antitetico, basato sulla dicotomia alto-basso, maschile-femminile. Come sottolineano Heinz.L.Ansbacher e Rowena R. Ansbacher: “Il nevrotico è afflitto da un costante sentimento d'insicurezza e perciò il "pensiero analogico", cioè
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L'ermafroditismo alchemico
i tentativi compiuti per giungere a una soluzione dei problemi avvalendosi della loro analogia con le esperienze precedenti, è in lui più evidente di quanto non lo sia nei soggetti normali” 6. Il nevrotico si sostiene con tale forza alle proprie finzioni per la mancanza di sicurezza in sé, da non riuscire a esaminare soluzioni alternative. Hillman pone sotto accusa la modalità di pensiero tipica della società occidentale, che spinge l’uomo, attraverso una “dicotomizzazione forzata”, a fare a meno della sua completezza e autenticità: “E’ nel nostro modo di pensare che l’inferiorità si rivela. Proprio per i sentimenti di inferiorità e di insicurezza, escogitiamo costruzioni mentali che tengono a bada tali sentimenti. La più essenziale di queste protezioni nevrotiche è chiamata “pensiero antitetico”, un tipo di percezione basata sul principio degli opposti: forte/debole, sopra/sotto, maschile/femminile; e queste finzioni-guida determinano il nostro modo di sperimentare. Le antitesi dividono il mondo in maniera netta, dando la possibilità di sperimentare un potere con azioni decise e preservandoci dal sentirci deboli ed inefficaci. Il motivo che sta all’origine del pensare per opposti è la coppia maschio/femmina, l’unica vera antitesi che a sua volta può essere ricondotta alla prima esperienza che si fa nell’infanzia dell’ ”ermafroditismo psichico”. La psiche ha tratti sia maschili che femminili, e dall’infanzia in poi, noi identifichiamo con il femminile non solo la debolezza e l’inferiorità, ma anche l’ambivalenza causata dalla debolezza stessa. La società ci convince che soltanto due sono i ruoli sessuali possibili e si verifica così una dissezione” 7. E’ necessaria, dunque, una psicoterapia che valichi i muri dell’antitesi e abbia come oggetto/soggetto tutto l’individuo nella sua globalità e complessità e non solo delle ipotetiche parti della sua psiche. Hillman afferma: “Se restaurare l’ermafroditismo psichico, in un modo o nell’altro, è essenziale al concetto di cura, allora è controindicata ogni mossa disgiuntiva. Per arrivare a guarire non possiamo allora contare sull’Io… Ancora una volta esso non è altro che una forma dissociante della protesta virile contro l’inferiorità…L’ermafroditismo psichico mantiene le giustapposizioni senza sentirle come delle opposizioni” 8. 3.2 Jung: la Traslazione
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“Non è assolutamente esagerato affermare che tutti i casi che necessitano di un trattamento prolungato gravitino attorno al fenomeno della traslazione, e che il successo o l’insuccesso della cura sembrino dipendere da quest’ultimo” 9. Nella psicologia di Jung il Transfert può essere inteso come una forma particolare di proiezione, che non ha il solo scopo di difesa, ma anche il fondamentale compito di spostare all’esterno elementi inconsci e rendere visibili e conoscibili le situazioni interiori. Al contrario di quanto affermava Freud, lo psicologo zurighese sostiene che esso non possieda necessariamente una natura strettamente sessuale, ma può essere anche espressione di tendenze psichiche che chiedono di essere attualizzate. Scrive Jung: “Ogni cosa può essere proiettata, e il transfert erotico è solo uno tra le molte. Nell’inconscio umano vi sono tanti altri contenuti che sono pure di natura altamente emotiva, e che sono suscettibili di proiezione esattamente allo stesso modo della sessualità. Tutti i contenuti attivati dall’inconscio, hanno la tendenza a comparire nella proiezione” 10. Poiché la proiezione è fondamentalmente spiegata come l’effetto di una non-distinzione tra due differenti soggetti, il transfert fa riferimento, inoltre al motivo del contagio tra quei processi psichici differenti che si rendono attivi nella relazione analitica, con il fine di sviluppare e differenziare gli elementi non ancora affiorati o che non sono più presenti nella sfera cosciente. A tal proposito, aspetto per Jung particolarmente importante ai fini della conoscenza e della partecipazione al trattamento analitico, è il Controtransfert. “Non giova affatto a chi cura difendersi dall’influsso del paziente, avvolgendosi in una nube di autorità paternalistico-professionale: così facendo egli rinuncia a servirsi dell’organo essenziale di conoscenza. Il paziente esercita lo stesso, inconsciamente, la propria influenza sul terapeuta e provoca mutamenti nel suo inconscio: quei perturbamenti psichici che sono ben noti a tanti psicoterapeuti, e illustrano clamorosamente l’influenza quasi chimica del paziente. Una delle manifestazioni più note di questo genere è il controtransfert indotto dal transfert, ma sono frequenti gli effetti di natura assai più sottili. A
Vitaliani, Vernacotola
darne un’idea può servire l’antica concezione del demone della malattia: la malattia può essere trasmessa a una persona sana che, grazie alla sua salute, sottometterà il demone, senza pregiudicare però il proprio benessere. Esistono nel rapporto fra terapeuta e paziente fattori irrazionali che operano una reciproca trasformazione, alla quale la personalità più forte, più stabile, dà il colpo decisivo. Ho però assistito a molti casi in cui il paziente ha assimilato il terapeuta nonostante tutte le sue teorie e i suoi intenti professionali, e il più delle volte, anche se non sempre, a svantaggio di quest’ultimo” 11. Per Jung il controtransfert va accolto e controllato, in quanto è alla base della reciprocità trasformativa, identificabile nella relazione stessa, in cui in azione non è solo l’Io dell’analista e l’Io del paziente, ma anche l’inconscio di entrambi, la cui comunicazione costituisce l’elemento più autenticamente analitico. L’opportunità di trasmettere propri contenuti inconsci sull’analista, a sua volta portatore della proiezione, consente di andare ben oltre la conoscenza ed elaborazione dei contenuti inconsci personali, investendo anche quelli di natura collettiva. Il transfert, dunque, non è semplicemente collegato ad un rapporto personale, in quanto in esso agiscono le immagini trans-personali, archetipiche, ossia ogni intensa esperienza di natura personale attiverà anche la corrispondente immagine archetipica12. Ciò vale sia per il transfert positivo che per quello negativo. L’intensità del Transfert dipende dall’importanza dei contenuti per il soggetto stesso. Scrive, a tal proposito, Jung: “Nel caso di un transfert eccezionalmente intenso, si può essere sicuri che i contenuti del transfert, una volta che siano stati individuati e resi consci, saranno per il paziente tanto importanti quanto lo era il transfert. Quando un transfert viene a cessare non si dissolve nell’aria, ma la sua intensità, o un corrispondente quantitativo di energia, apparirà in un altro luogo, per esempio in un’altra relazione. Col dissolversi del transfert tutta l’emozione proiettata ricade indietro nel soggetto e il paziente è allora in possesso del tesoro che precedentemente, nel corso del transfert, aveva praticamente sperperato” 13. E ancora:
“Ogni professione possiede il suo specifico rischio, e il pericolo dell’analisi consiste nel fatto di lasciarsi contagiare dalle proiezioni transferenziali, soprattutto quelle di natura archetipica” 14. Jung sottolinea, dunque, il motivo della restituzione del contenuto trasferito sull’analista, evidenziando la caratura di esso nell’economia psichica del paziente, e del contagio, il quale consente di iscrivere il fenomeno del transfert nel più ampio contesto della mentalità primitiva, modello quest’ultimo, che viene ritenuto dallo zurighese fondamentale per leggere il modo in cui si articolano i processi inconsci. Infine, in Psicologia del Transfert Jung espose la sua teoria sul transfert, mettendo in risalto un’analogia con le immagini alchemiche contenute nel Rosarium Philosophorum, in cui le numerose immagini mostrano in forma simbolica la coniunctio oppositorum, del maschile e del femminile, rintracciabile nei metalli per giungere alla costituzione dell’“oro filosofico”. La forma della Sigizia chimica e ben rappresentata da Rex e Regina, uniti in matrimonio in un coito mortale che porterà alla loro rinascita in forma androginica. In tali effigi Jung vide descritto il “processo chimico” attraverso il quale si manifestava l’Immagine archetipica dell’unione dei contrari, conferma di ciò che avviene in analisi tra analista e paziente. Sottolinea Jung: “Il motivo, la necessità intrinseca di ciò, sta nel fatto che l’esatta valutazione di un problema di psicologia contemporanea è possibile solo quando ci riesca di trovare, al di fuori del nostro tempo, un punto a partire dal quale è possibile osservare il problema in questione. Questo punto non può essere rappresentato che da un epoca passata che abbia affrontato gli stessi problemi, anche se con premesse e in forme diverse 15. La psicologia archetipica neo-junghiana, svincola la traslazione dal semplice palesamento dell’attività erotica, ritenendola legata alla preghiera, poiché nella relazione tra terapeuta e paziente si crea la cura religiosa dei contenuti trans-personali. Hillman afferma: “Per mezzo della preghiera così intesa, il cuore può svincolarsi dalla limitatezza della situazione dialogica di analista e paziente, con i loro
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L'ermafroditismo alchemico
sentimenti reciproci, le loro traslazioni. La terapia secolare ha trasferito su queste figure umane e sui moti del loro cuore le figure immaginali della preghiera. La traslazione è la conseguenza ultima della confessione secolarizzata, e la risoluzione della traslazione, come dice Jung, è un prendersi cura religiosamente dell’impersonale, delle persone del mondo immaginale. La traslazione, il mistero della terapia, incomincerà a sciogliersi soltanto quando il cuore passerà dalla modalità di esperienza creata dalla confessione alla preghiera intesa come risposta alle sue immagini, come testimonianza: il recit di Corbin. La risposta a queste persone incomincia con l’immaginazione, resa attiva, con la Himma, l’appassionata testimonianza resa dal cuore a persone immaginali indipendenti dal cuore stesso che le contempla 16. La traslazione rappresenta l'elemento fondamentale di ogni processo analitico, la cui base si fonda sul trasferimento di energia erotica scaturita dalla relazione tra paziente e analista. L'eros che opera nel processo transferale si denota – quindi – come capacità di “saper capire”, come descritto dallo psicoanalista Heinrich Racker, tenendo presente l'altissimo valore del controtrasfert come motore aggiuntivo del buon esito del processo stesso. In fin dei conti l'analisi è la volontà del singolo di mettersi in gioco: il singolo che si fa coppia, attraverso il suo opposto, rappresentato dall'analista con cui crea un legame favorente l'acquisizione di nuovi contenuti, frutto dell'azione dell'analista tesa alla comprensione del paziente grazie all'opera prestata dal controtransfert. Come dice Racker “Alla realtà costante del transfert corrisponde la realtà costante del controtransfert, e viceversa. Il transfert conduce ad un comportamento reale del paziente nei confronti dell'analista e del suo lavoro; l'analista, partendo dal significato che hanno per lui (…) risponde al comportamento del paziente con altrettanti reali sentimenti, ansie, difese e desideri. (…) la risposta interna dell'analista è decisiva per la comprensione e la interpretazione dei processi psicologici del paziente”.
Bibliografia e Note 1. IN ARGOMENTO Adler A., Prassi e teoria della psicologia individuale, Astrolabio, 1967, pag.24 2. IN ARGOMENTO Adler A., Il Temperamento
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Nervoso, Astrolabio, 1950, pag.12 3. Ibidem, p.20 4. IN ARGOMENTO Adler, Prassi e Teoria della Psicologia Individuale, Astrolabio, 1967, pag.28 5. IN ARGOMENTO Parenti, Dizionario Ragionato di Psicologia Individuale, Utet, 2001, pag.69 6. IN ARGOMENTO H.L.AnsbacherR.R.Ansbacher, La psicologia individuale di Alfred Adler, pp.271-272. 7. IN ARGOMENTO Le storie che curano, Adelphi, 1983, pag. 129-130 8. Ibidem, pagg. 136-137 9. IN ARGOMENTO Jung, Opere, vol.XVI. Pag. 335 10. Ibidem, pag.312 11. IN ARGOMENTO Jung, C. G., I problemi della psicoterapia moderna, in Opere vol. XVI, Bollati Boringhieri, 2008. 12. IN ARGOMENTO Giusy Bucolo, Modelli e tecniche di psicoterapia dinamica, Franco Angeli Editore, 2007, pag.236 13. IN ARGOMENTO Jung, Che cos’è la psicoterapia?, in Opere, vol.16, Bollati Boringhieri, 2008, pagg. 142-143 14. Ibidem, pagg.148-149 15. IN ARGOMENTO Jung, Psicologia della traslazione, Bollati Boringhieri, 2008, pagg 322323 16. IN ARGOMENTO Hillman J., Anima, Adelphi, Milano, pag.74
Stefano Vitaliani: nato a L’Aquila il 23 Maggio 1986, laureato in Psicologia, presso la facoltà di psicologia dell’Università degli Studi dell’Aquila, iscritto al primo anno della Scuola di Specializzazione in psicoterapia Atanor, lavora attualmente a L’Aquila, in qualità di operatore, presso l’associazione per disabili Abitare Insieme. Alfredo Vernacotola: nato a L'Aquila il 27 Aprile 1978, Psicologo laureato in Psicologia presso la Facoltà di Psicologia dell'Università degli studi dell'Aquila, Psicoterapeuta in formaizone iscritto al secondo anno della Scuola di Specializzazione Atanor. Vive e svolge le proprie attività a L'Aquila.
L'Anima Fa Libro
VI PRESENTO QUESTO LIBRO INIZIANDO DALLE PAROLE DI JAMES HILLMAN TRATTE DAL CODICE DELL'ANIMA "PRIMA DELLA NASCITA, L’ANIMA DI CIASCUNO DI NOI SCEGLIE UN’IMMAGINE O DISEGNO CHE POI VIVREMO SULLA TERRA, E RICEVE UN COMPAGNO CHE CI GUIDI QUASSÙ, UN DAIMON, CHE È UNICO E TIPICO NOSTRO. TUTTAVIA, NEL VENIRE AL MONDO, CI DIMENTICHIAMO TUTTO QUESTO E CREDIAMO DI ESSERCI VENUTI VUOTI. È IL DAIMON CHE RICORDA IL CONTENUTO DELLA NOSTRA IMMAGINE, GLI ELEMENTI DEL DISEGNO PRESCELTO, È LUI DUNQUE IL PORTATORE DEL NOSTRO DESTINO." QUESTO LIBRO È PER TUTTI COLORO CHE SI AVVICINANO PER LA PRIMA VOLTA AL TEMA DELLA FELICITÀ E DEL DAIMON. IL DAIMON È UN TEMA CARO AI FILOSOFI E AGLI PSICOLOGI ARCHETIPICI. GIORGIO CEREDI TRA LE SAPIENTI RIGHE, CI FORNISCE NUMEROSI SPUNTI DI RIFLESSIONE IN PRIMIS SUL TEMA DELLA FELICITÀ CERCANDO DI INDAGARE A FONDO QUALI SONO I PENSIERI COMUNI SU DI ESSA, IN SEGUITO L'AUTORE METTE A CONFRONTO IL TEMA DELLA FELICITÀ CON IL CONCETTO DI EUDAIMONIA, OVVERO LA RICERCA DEL BENESSERE PERSEGUENDO IL PROPRIO "DESTINO". E' PROPRIO QUESTO CONCETTO CHE CI APRE LE PORTE ALLA RIFLESSIONE SUL DAIMON DI HILLMANIANA MEMORIA.
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Introduzione Dalle sue origini la psicologia analitica ha attribuito all'immagine significato centrale per la conoscenza di sÊ, l'evoluzione psichica individuale, la cura dell'anima. L'affiorare di rappresentazioni vivide e penetranti, enigmatiche e oscure, frutto di elaborazioni psichiche autonome, che prescindono dal linguaggio e semmai lo riducono a strumento ausiliario, è apparso a partire dal lavoro di Jung terreno privilegiato di espressione della dimensione inconscia individuale e collettiva. Le immagini che appaiono nei sogni, nelle fantasie diurne, nei disegni spontanei, racchiudono temi, figure, trame che rappresentano termini di un
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discorso parallelo che non è logico bensÏ psicologico. Discorso dell'anima, dunque, non piÚ teso a ordinare, connettere o separare, piuttosto ad evocare sentimenti ed emozioni radicali, che manifestano risvolti essenziali di esistenza umana. Nella pratica analitica, l'attenzione all'immaginale ha introdotto nel dialogo terapeutico processi e produzioni che non appartengono all'universo della parola. I sogni, innanzitutto, l'immaginazione attiva, la pittura e il disegno. Nel contempo, la cultura dell'immagine ha contribuito a portare nello spazio analitico tracce di produzioni artistiche vere e proprie (arti visive, musica, letteratura, cinema, danza). Con lo scopo di divenire insieme - terapeuta e paziente -
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spettatori di rappresentazioni emozionanti, ricche di senso e bellezza, in cui vicende umane cruciali, tra individuale e collettivo, si disvelano. Nella pratica di Ravasi, ad esempio: ‹‹certi film curano, perché permettono di prendersi cura delle immagini interne, e quindi - per strani percorsi di cui è sovrano l'inconscio - di quelle dei pazienti››1. Il riconoscimento della dimensione immaginale ha dunque rilievo centrale. In primo luogo, fornisce al soggetto un modo per esprimere e avvicinare ciò che non può essere detto e percepito altrimenti. In questa forma, l'inconscio diviene figura disponibile all'osservazione e, a volte, alla narrazione. Secondariamente, garantisce alla relazione analitica la possibilità di dispiegarsi ad un livello di comunicazione alternativo al piano concreto, in un universo metaforico, immateriale, simbolico. Infine, l'apparizione dell'immagine è occasione e contesto adatto ad emozionarsi, nel quadro di un'esperienza affettiva connotata dal piacere estetico. Così Hillman: ‹‹prima di diventare una storia qualsiasi la vita si offre alla vista come una sequela di immagini. Chiede innanzitutto di essere guardata. Anche se ciascuna immagine è certamente pregna di significati e suscettibile di un'analisi notomizzante, quando saltiamo ai significati senza apprezzare l'immagine perdiamo un piacere che non potrà essere recuperato da nessuna interpretazione, per quanto perfetta. ››2. L'immagine si rivela perciò risorsa per il lavoro psicologico e pensarla come strumento ci porta a riflettere su una sua zona opaca. Le produzioni a cui si è accennato privilegiano un processo di elaborazione dell'immagine che ha origine dalle profondità del soggetto e che, attraverso un lavoro di sintesi inconscia, porta all'esterno contenuti psichici indicibili. Il materiale di cui l'immagine è formata è, prevalentemente, materiale della memoria: esperienza del passato e prolungata sedimentazione delle impressioni soggettive. Nel momento in cui l'immagine si forma, proprio perché il soggetto volge lo sguardo al proprio interno, non può vedere ciò che lo circonda. Però, le immagini provengono anche dal contatto immediato con gli oggetti del mondo, qui sono date. Molte immagini che reclamano attenzione e ci scuotono sono un prodotto dei nostri sensi in rapporto a configurazioni dell'ambiente circostante. E' possibile concepire immagini che pur
conservando lo spessore psichico delle produzioni inconsce descritte nascano dall'impatto con i dati di esperienza? Nel pieno della relazione con l'ambiente fisico e umano che abitiamo? Immagini che siano sincroniche, coesistenti al "vedere gli oggetti" eppure radicate nei processi di rappresentazione e significazione inconsci? In ambito junghiano, Hillman è promotore di un'ipotesi psicologica ausiliaria che comporta un suggestivo ribaltamento di prospettiva. Attingendo alla tradizione neo-platonica, egli opera una rilettura metaforica che colloca la psiche in una regione intermedia tra soggetto e realtà sensibile, in cui il contatto estetico con gli oggetti introduce l'individuo in una dimensione archetipica che può essere vissuta e usata per acquisire conoscenza. L'esperienza emotiva dell'ambiente porta eco di dinamismi psichici che sono stati progressivamente offuscati e sostituiti dalla centralità della mente, con il sacrificio di una dimensione motivazionale, dalle risonanze istintuali, che può comportare una spinta decisiva all'ulteriorità e al rinnovamento. In quest'ottica, la sofferenza psichica proviene anche dalla rimozione della sensibilità estetica per l'ambiente, inteso come teatro dell'anima, e dall'ottundimento della facoltà immaginativa. Seguendo questa riflessione, si pone il problema di come trasporre concretamente all'interno del setting analitico una simile opportunità. Quesito complesso a cui accostiamo subito una constatazione empirica: la psicologia analitica, tra i mezzi utilizzati per sollecitare l'affioramento del mondo immaginale non ha accordato molto spazio alla fotografia. Fotografia intesa qui semplicemente come dispositivo tecnico per produrre immagini. Sarebbe concepibile chiedere ad un paziente di portare immagini fotografiche alla stregua di un sogno? Può esserci un modo di fotografare che racchiuda proprietà psicologiche del tipo considerato? Viviamo un'epoca di sovrastimolazione sensoriale e inquinamento percettivo: le immagini mediatiche ci sovrastano, inibiscono la capacità di visione introspettiva, concorrono alle perdita di interiorità. Scrive Galimberti: ‹‹alla depsicologizzazione dell'anima concorre il rumore del mondo, ossia quella sottomissione acustico-visiva per cui sempre meno esiste un posto silenzioso e non inondato da immagini, che consenta all'anima un
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Fotografia e Psiche minimo di introversione››3. La possibilità di cura dell'anima attraverso la riflessione, l'ascolto di sé attento e aperto all'attesa, è sempre più remota. Eppure, di trovare profondità e senso dell'esistere ci sarà sempre più bisogno e, forse, domanda. La fotografia, un certo modo di fotografare a cui ci si riferisce, da ispirazione per orientare la ricerca verso una risposta praticabile nei modi del nostro tempo. Che potremmo anticipare così: sulla superficie delle cose incontriamo, di nuovo, le immagini del profondo. Le pagine che seguono mirano a sviluppare questo enunciato: in primis attraverso la narrazione di un'esperienza personale in cui si illustra come questa tecnica possa facilitare l'oggettivazione di stati psichici a forte coloritura emotiva che sorgono nell'interfaccia con la realtà sensibile. Poi, mediante rilettura critica della stessa per individuare punti di contatto tra immagine fotografica e lavoro analitico. L'immagine fotografica: un percorso individuale Immaginate di compiere un itinerario abituale, un tragitto qualunque. State attraversando lo spazio/tempo del vostro quotidiano, in un giorno come tanti. Di fronte a voi un mondo di superfici e oggetti che conoscete, che avete imparato a riconoscere e lasciare sullo sfondo. Siete, in apparenza, indifferenti; quasi certi dell'evidenza di un ordine stabile delle cose circostanti, tanto da non sentirvi chiamati a sospettare variazioni o differenze. Vi muovete su una scena che non muta, non cela segreti, pur riflettendo immobile le vicissitudini delle figure umane che, come voi, incessantemente la percorrono. Ad un tratto, qualcosa. Qualcosa si sottrae alla visione solida del consueto, alla costruzione organizzata e sequenziale del reale, e produce un'incrinatura. Qualcosa penetra la superficie impermeabile della vigilanza, si insinua nella coscienza, tocca una parte sensibile e la scuote. Ora, siamo lì! Una luminosità insolita, una geometria sorprendente che traspare dalla tessitura delle linee, un contrasto inatteso, una visuale limitata da un ostacolo. Colore, ombra, volti, espressioni, segni della stagione che cambia. Ognuna di queste esperienze, così vicine al nostro incedere abituale eppure così folgoranti, è una
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visione a cui sentiamo di non poterci sottrarre. Sono immagini che stupiscono, trascendono la prefigurazione dei sensi, trasportano in uno scenario che ha qualcosa di avventuroso e di struggente. In esse si compie un piccolo prodigio: gli sguardi sul mondo esterno e su quello interiore si intrecciano e, toccandosi, si rinnovano; qui e ora, si rappresenta l'incontro fecondo tra materia e psiche. In queste apparizioni improvvise si condensano, misteriosamente, temi di importanza vitale, che facciamo fatica a nominare. Ci viene da richiamare la nozione forse desueta di belle arti. Perché ciò che accade sembra il frutto di due forze originarie che cooperano silenziosamente: creazione e bellezza. Le figure che la realtà offre al nostro svogliato consumo quotidiano divengono materia per figurazioni originali, ricomposizioni soggettive, in cui si crea con sorpresa uno sguardo differente sul reale. Ma ciò è possibile perché quel che osserviamo è bello. Di una bellezza che esula dai canoni collettivi. E' un sentimento estetico immediato che non fa a tempo a tradursi in contenuto razionale. Ci attraversa rapidamente, prima di scomparire, lasciando in noi - più che un segno un'impressione vaga di trascendenza. Cosa accadrebbe, adesso, se aveste con voi la macchina fotografica? In principio, è solo l'illusione infantile di catturare un istante significativo e magico. Oppure, è la forza stessa degli oggetti che avete di fronte ad agire come necessità e a obbligarvi a scattare. Ma è soltanto il punto di partenza. La tecnologia, con la promessa di registrare l'immagine, costringe a muoversi verso gli oggetti con attenzione religiosa, per cercare di rendere qualcosa (un sentimento, una forma, un riflesso) che il dispositivo ottico da solo non sarebbe in grado di riprodurre. Vi ingegnate a trovare una figurazione che riesca a raccontare ciò che è stato osservato e sentito: in primo luogo, a voi stessi. Cercate l'inquadratura, il taglio, l'equilibrio che renda quanto intimamente è stato visto. A volte, il risultato è deludente. Così, con imbarazzo, si torna sul luogo della visione, nella speranza di rivedere le stesse cose, riprenderle finalmente nella loro essenza. A volte, sorprendente.
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Col tempo scoprite che anche la fotocamera, a vostra insaputa, fa la sua parte. Come sostiene Vaccari, artista concettuale, il dispositivo ottico ha un suo inesorabile codice di lettura della realtà che non è riducibile a fonte di interferenza tecnologica, ma può essere colto come straordinaria opportunità conoscitiva. In questo modo, la fotografia <<aiuta a scoprire quello che non sappiamo invece che a confermarci in quello che già conosciamo>> poiché ci offre <<informazioni involontarie, informazioni parassite, nicchie di mistero, dove il rapporto tra gli elementi è in gran parte ignoto, strutturato a nostra insaputa dal mezzo stesso che usiamo>>4. In tal modo, perdendo il controllo sulla macchina rischiamo infine di ritrovare l'immagine. E' un "fotografare" che incontra l'incredulità e il sospetto di chi per caso si imbatte nei vostri appostamenti ottici. Non esiste un soggetto ammissibile, un'occasione convenzionale, un contesto adatto. Perché, in quel momento, l'immagine è solo vostra. All'inizio, si fotografa furtivi, contratti, con vago rincrescimento. Sempre avvolti dal timore di perdere la foto e, d'altra parte, di apparire insensati e inopportuni agli occhi degli altri. Proviamo una sorta di pudore, un senso di allarmata indecisione, perché, apparentemente, in quelle inquadrature non c'é niente di speciale: indugiare su ciò che appare ovvio, esaurito, evidente, sembra essere atto non solo inutile ma anche pericolosamente morboso e intrusivo. Alla fine, però, ogni remora scompare e lascia spazio ad una tenace determinazione: ciò che conta è scattare, catturare l'immagine. Secondo Baudrillard, mentre fotografiamo in questo modo, lo status di soggetto conoscente si eclissa a favore di una dimensione psichica più indifferenziata e primitiva: ‹‹l'oggetto deve essere fissato, guardato intensamente, e immobilizzato dallo sguardo. Non è l'oggetto a doversi mettere in posa, è l'operatore che deve trattenere il fiato, per fare il vuoto nel tempo e nel corpo. Ma anche impedirsi mentalmente di respirare e non pensare a nulla, affinché la superficie mentale sia vergine come la pellicola. Non credersi più un individuo rappresentativo, ma un oggetto che opera nel proprio ciclo, senza curarsi della messa in scena, in una sorta di circoscrizione delirante di sé e dell'oggetto››5. Adesso, la foto è presa, l'immagine ha iniziato la
sua corsa. C'é qui qualcosa di appassionante: un coinvolgimento emotivo, un trasporto frenetico, quasi patologico. Questo stato vi accompagna, diluendosi progressivamente, fino alla visione del prodotto finito. Se le immagini sono corrispondenti all'impressione ricevuta nell'istante dello scatto, allora cominciamo a guardarci dentro, a differenziarne i contorni. Lo sguardo si fa più analitico ed emergono temi e figure, con la loro implicita carica simbolica. Tracce di pneumatici sulla superficie di una risaia allagata, una scala di cemento dalle cui fessure fa capolino un cespuglio, una svolta di cui non vediamo l'esito. Queste immagini significano qualcosa? Continuare a guardarle suscita pensieri e intuizioni che è bene tenere con sé. La fotografia come metafora analitica L'esperienza immaginale che ho descritto può divenire stimolo per stabilire analogie e punti di contatto con l'esperienza analitica intesa come luogo di illuminazione e risignificazione di capitoli importanti della storia individuale; ma anche come campo relazionale in cui l'energia psichica si rinnova e fluisce, generando ulteriori possibilità di investimento. Nel corso dell'interazione analitica capita spesso di ritornare su fotogrammi e sequenze biografiche che si strutturano in nozioni statiche del passato, suggeriscono un'idea della memoria come cristallizzazione monovalente di accadimenti personali. A volte, pressati dalla sofferenza, ci pare di ripercorrere per l'ennesima volta passaggi che racchiudono inesorabilmente le stesse attribuzioni di senso e le medesime conclusioni. Ciò che appartiene incondizionatamente alla soggettività, che è prodotto specifico di un modo unico di sentire e patire gli eventi, assomiglia sempre più ad un "dato oggettivo", ad una inerte e disagevole res extensa. Come i luoghi che attraversiamo indifferenti, così anche la storia individuale può apparire una desolante distesa di oggetti fatalmente disposti che vincolano in modo deterministico le possibilità della nostra vita. La relazione analitica ha, a volte, il potere di sospendere tale irretimento, interrompere i processi anestetici di ripetizione e riduzione al già noto.
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Fotografia e Psiche
L'avvicinarsi e collaborare di due universi psichici differenti, con il loro peculiare modo di gettare luci e ombre sui comuni oggetti di attenzione, di emozionarsi quando qualcosa di significativo prende forma nel qui e ora, ha il potere di rompere l'incantesimo dell'identico e generare uno sguardo insolito sulle cose. Nello scambio analitico, come osserva Stern: ‹‹si determina quella reciproca interpenetrazione delle menti che ci consente di dire: "io so che tu sai che io so" o "io sento che tu senti che io sento" (...). Momenti come questi possono cambiare il corso della vita e orientare la storia relazionale dell'individuo››.6 Si osserva un costruttivo shock della memoria di riconoscimento: ciò che normalmente ci scorre di fronte, guardato ma non visto, finalmente diventa altro, porta altrove. La metamorfosi dell'oggetto - la sua riscrittura semantica e affettiva - coinvolge anche il soggetto: trasforma l'atteggiamento psichico complessivo. Non si tratta di stravolgere o rifiutare un copione che ha pure la sua ragion d'essere; piuttosto di ampliarlo, mobilitarlo, sottrarlo all'inerzia e alla passività. Qui l'indagine psicologica si accosta, con curiosità, al pensiero del fotografo Ghirri: ‹‹fotografare è soprattutto rinnovare lo stupore, come si osserva il mondo in uno stato adolescenziale, rovesciare il motto dell'Ecclesiaste perché "non c'è niente di antico sotto il sole". E così guardando prima nel mondo, poi sulla lastra e poi nell'immagine finale, manifestare la meraviglia del gesto che si compie, non ritenere nulla insignificante, e scoprire in un paesaggio, un punto dello spazio, un attimo della vita o un leggero mutamento della luce, la possibilità di una nuova percezione››.7 La parabola immaginale del maestro della fotografia italiana attribuisce valore all'imprecisione del ricordo nella produzione dell'immagine e allo sforzo di superare i luoghi comuni intesi come stereotipi visivi che "vedono attraverso i nostri occhi". Lo scopo della ricerca fotografica non è perciò mostrare cose nuove, piuttosto cercare di rivedere il già noto come fosse la prima volta: ‹‹la fotografia (...) è un linguaggio nel quale la differenza tra riproduzione e interpretazione esiste e da luogo ad un'infinità di mondi immaginari››.8 In questo gioco di specchi tra psicologia e fotografia non siamo distanti dal discorso sulla
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politica della bellezza proposto da Hillman: ‹‹dopo tutto, non è forse questo il grande enigma, il fatto cioè che le cose ordinarie - l'objet trouvé, il collage di carta di giornale, di carta da parati e di francobolli, la luce che scintilla dal ghiacciolo possono rivelare il potere invisibile della bellezza? (...) E' questo il compito, non di distinguere e separare ordinario da straordinario, ma di guardare l'ordinario con l'occhio straordinario 9 dell'intensificazione divina›› . Le fugaci apparizioni della bellezza sugli sfondi del quotidiano sono, secondo Hillman, espressioni dell'anima mundi, cioè del profondo che è fuori di noi. Con esse riprendiamo un cammino interrotto, liberiamo un passaggio ostruito verso l'anima. Sono occasioni in cui ci ascoltiamo e conosciamo al di fuori di noi stessi, in cui sperimentiamo soggettivazioni che eclissano l'Io e il suo controllo, intercettando piuttosto la potenza psico-logica di una realtà esterna che è percepita come altro da sé in relazione con sé. Nell'esperienza fotografica come nella relazione analitica, ci sentiamo esposti alla fascinazione delle cose che accadono e sottomessi allo stato interiore che Jung definì numinosità: ‹‹il numinosum è o una qualità di un oggetto visibile o l'influsso di una presenza invisibile che causa un particolare cambiamento della coscienza››.10 Attraversiamo stati febbrili da cui emergono vissuti intensificati dell'altro, punteggiati da sentimenti di trasformazione, di fatalità o svolta, da verità senza tempo che irrompono come folgorazioni, da un senso poetico di originaria integrità e di radici, da illusione e speranza. Ci inscriviamo in quella particolare forma di relazione con gli oggetti che Jung definì atteggiamento simbolico11. Per scoprire, infine, quando l'immagine prende corpo, che tutto questo lavorio non è fine a sé stesso. Infatti, mentre lo slancio passionale perde intensità, mentre le immagini decantano nell'essere guardate e riguardate, l'emozione originaria - con il suo carico di inflazione e irrealtà - si trasforma in visione più temperata e quieta, in materiale che può essere maneggiato e assimilato. Si apre perciò la strada ad un processo di integrazione delle immagini in cui la quota numinosa si attenua ma non decade. Le foto ottenute durante l'esplorazione commossa dell'ambiente, come le istantanee colte nel corso della relazione analitica, sembrano comportare una
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sorprendente polivalenza: mettono a disposizione dell'arricchimento individuale (dell'Io) i loro significati e, allo stesso tempo, conservano un potenziale energetico che sembra porsi aldilà dell'immagine stessa. Qualcosa di analogo ad un fenomeno vulcanico: una formazione che raffreddandosi si consolida ma mantiene sottopelle uno strato attivo, capace di produrre nel tempo ulteriori alterazioni morfologiche. Al termine di questo itinerario creativo, le immagini di cui abbiamo parlato (della fotografia?, della psicoterapia?) potrebbero essere riposte in un contenitore psichico che ci piace chiamare memoria produttiva. Non un archivio ordinato, piuttosto uno spazio intimo in cui si conservano tracce vive di esperienza che agiscono come piccoli ma potenti "nuclei simbolici". I quali, come reagenti di camera oscura, non contengono in sé l'immagine (il senso) ma hanno potere di farla apparire.
Nicolò Doveri: psicologo psicoterapeuta con formazione filosofica, socio-analista del Centro di Psicologia Analitica (CIPA) e membro IAAP. Vive e lavora a Milano.
Bibliografia e Note 1. Ravasi Bellocchio L., Gli occhi d'oro, Moretti & Vitali, Bergamo, 2004; p. 24 2. Hillman J., Il codice dell'anima, Adelphi, Milano, 1997; p. 56 3. Galimberti U., Psiche e techne. L'uomo nell'età della tecnica, Feltrinelli, Milano, 1999; p. 663 4. Vaccari F., Fotografia e inconscio tecnologico, Agorà, Torino, 1992; pp. 28-31 5. Baudrillard J., E' l'oggetto che vi pensa, Pagine d'Arte, Verona, 2003; p.9 6. Stern D.N., Il momento presente in psicoterapia e nella vita quotidiana, Cortina, Milano, 2005; p.63 7. Ghirri L., Niente di antico sotto il sole, SEI, Milano, 1997; p.19 8. Ghirri L., Topografia-iconografia, 1982 cit. Mussini M., Luigi Ghirri, Motta, Milano, 2001. 9. Hillman J., Politica della bellezza, Moretti &Vitali, Bergamo, 1999; p.93 10. Jung C.G., Opere, Vol.11, Psicologia e religione, Boringhieri, Torino; p.17 11. Jung C.G., Opere, Vol.6, Tipi psicologici, Boringhieri, Torino; p.486
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HO VISTO IL TUO SGUARDO HO ASCOLTATO IL TUO RICHIAMO HO SOPPESATO OGNI SILLABA HO IMPRESSO CESELLANDO IL VESSILLO DELL'OPERA CHE HAI DESIGNATO A ME HO CALPESTATO DISTESE DI LAPISLAZZULI HO RICONOSCIUTO IL BASTONE CUI POGGIARMI NELL'ISTANTE MOSTRANTE IL NULLA HO SENTITO IL SUONO DELLA LIRA HO PERCEPITO L'ODORE DEL CRISANTEMO HO RACCOLTO LO SPLENDORE DI VIOLE HO RITMATO LA DISSONANTE MELODIA HO ACCETTATO L'INDETERMINATA POLIEDRICITÀ DELLA FECONDITÀ HO SORRISO DINANZI ALL'OSCURITÀ HO BRANDITO LO SCETTRO CAPACE DI DARE FORMA ALL'INFORME HO SIBILATO CIÒ CHE HAI VOLUTO CH'IO PRONUNCIASSI. SONO QUI DINANZI AL GUADO GUARDO L'ORIZZONTE LASCIANDO CHE HELIOS M'ACCUDISCA LASCIANDOSI ACCUDIRE DA MADRE TERRA PRONTA A CULLAR LE SUE CREATURE NUTRENDOLE CON BACCHE
NETTARE RECANTE L'UNIVERSALITÀ RIGENERANTE FONTE AVVOLGENTE MANTELLO SERVENTE LA META. SONO QUI, ATTRAVERSIAMO INSIEME LO SQUARCIO POSTO NELLA TELA DELL'ESISTENZA PRENDIMI PER MANO T'INDICO LA VIA. (A. V.)
Paul Klee, Du gris de la nuit surgit soudain, 1918
IMMERGENDOMI NELLA SCALATA DELL'ESISTENZA CALPESTANDO PIETRE LEVIGATE DAL FLUIRE DEL TEMPO VEDO DINANZI A ME UN UOMO. DEVO CHIEDERGLI CHI SIA; HO RICORDO DI LUI. ARGONAUTA: - CHI SEI? L'UOMO DELLA TERRA: - SAI BENE CHI SIA. L'ESSENZIALITÀ DEL TUO ESSERCI É RADICATA NELLA TERRA. VUOLE SEMPRE LA CONCRETEZZA, NON SI NUTRE DEL REALE L'ARGONAUTA CHE É IN TE. IN TE SI CONIUGANO MILLE FACCE: TU SEI ME, L'UOMO DELLA TERRA ABBANDONA LE ESTREMIZZAZIONI; HA FIDUCIA DI QUEL CHE L'ESPERIENZA DICE. NON SI ARRICCHISCE DIVENENDO MAESTRO DELL'ASTRATTO. DECIDE D'AFFIDARSI AL
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L'Anima Fa... Poeio
COMPITO CHE IL SENTIERO HA TRACCIATO. ARGONAUTA: - MI SONO AFFIDATO AL BASTONE CHE MI HAI DONATO. RICORDO QUANDO ME LO HAI POSTO SUL PALMO DELLE MANI. HO FATTO CATTIVO USO DEL VESSILLO CHE HO CUSTODITO, PERCHÉ LA REALTÀ É DEFORMATA. SONO CERTO CHE SIA DEFORMATA; NON LO É COME PENSANO QUELLI CHE VAGABONDANO IN DISTESE DI VACUITÀ OVE SUSSISTE LA SOLA APPARENZA. MI SONO RIFUGIATO NELLA FANTASIA, L'HO RESA CONCRETA E HO PAGATO PER QUESTO. RITENEVO CHE IL PERSONAGGIO FOSSE LA FORZA MOTRICE MOVENTE LA VITA. L'UOMO DELLA TERRA: - LA VITA MOSTRA UN SENSO DONANDO LA SOLA ESISTENZA, PERCHÉ GIÀ NASCENDO SI È POSTI IN UN RICETTACOLO DI PROVE, LE PIÙ DISPARATE, COMPLESSE MA DENSE TANTO DAL PORSI COME SIGNIFICANTE DELL'INDIVIDUO CHE NE É ESPRESSIONE. A QUANTO PARE STAI PERCORRENDO LA SCALINATA IN PIETRA CON CONVINZIONE. L'ARGONAUTA: - LA PERCORRO OGNI GIORNO, LA VIVO OGNI GIORNO LA COMPLESSA ESISTENZA CHE MI É STATA DATA DAL FATO. BEH, PIÙ ADEGUATO DIRE CHE COL FATO HO AVUTO UNA TAVOLA ROTONDA IN CUI SONO STATE BRANDITE LE SPADE. TANTO PER DIFFERENZIARE QUALI FOSSERO LE SUE IMPOSIZIONI E QUALI LE MIE SCELTE. PER QUESTO POSSO DICHIARARE - LO DICO CON QUEL CHE MI CARATTERIZZA UN INTELLETTO CREATIVO CAPACE DI PROVARE ANCHE SENTIMENTI -: LA STRADA CHE PERMETTE NOI DI INCROCIARCI, L'HO SCELTA VOLONTARIAMENTE. D'ALTRONDE DEVI DIALOGARCI CON LA NATURA. VUOI CHE NON TI ASCOLTI? L'UOMO DELLA TERRA: - VENGO PROPRIO DA UN FITTO SCAMBIO SULLA SOPRAVVIVENZA DELLA MADRE CHE CI HA DATO I NATALI. NATURA AFFERMA CON CANDIDEZZA CHE SIAMO - NOI TUTTI - A FAR IN MODO CHE SI DIVERTA AD ESSERE BIZZARRA. VEDI? TU HAI AVUTO UNA TAVOLA ROTONDA E HAI BRANDITO LE SPADE. SAI PERCHÉ? TI HO INSEGNATO A MEDIARE. L'ARTE DELLA MEDIAZIONE É LA FORZA MOTRICE. ABBANDONA RANCORE, RABBIA, VOLONTÀ DI RIVALSA ABBRACCIANDO - RITENGO SIA UNA IMPRESA DEGNA D'UN FIGLIO DI ASKLEPIOS - IL CONTENDENTE E PROVANDO A DIALOGARE. L'ARGONAUTA: - DIALOGARE. IL DIALOGO É VITA, LO RICORDIAMO SPESSO, LO RICORDANO COLORO CHE NON AMANO "SENTIRE", AMANO ASCOLTARE. ANCHE SE GLI ATTENDENTI NON VOGLIONO SI DEVE DIALOGARE. DIALOGARE PER GLI EREDI DI HERMES É UNA MISSIONE, É ABBANDONO DI SOVRASTRUTTURE EGOICHE NARCISISTICHE. SI PUÒ DIALOGARE CON L'ONNIPOTENZA. L'UOMO DELLA TERRA: - SI, SORRIDENDO E APRENDO LE BRACCIA PER FAR TRASPARIRE COSA SIA LA CAPACITÀ D'ACCOGLIERE E PROTEGGERE. PRENDI L'ONNIPOTENZA DEL BAMBINO: PENSA D'ESSERE IL CENTRO DI TUTTO E DISPENSA CONSIGLI O DIKTAT OVUNQUE. MI CORREGGO: RITIENE CHE SIA COSÌ. FAI CAPIRE CHE C'É UN ANTRO ACCOGLIENTE E VEDRAI CHE TROVA QUIETE. L'ARGONAUTA: - AL BAMBINO? L'UOMO DELLA TERRA: - MI RIFERISCO AGLI ETERNI BAMBINI. VE NE SONO TRA INSIGNI INTELLETTUALI BAMBINI CHE PENSANO CHE IL SENO DELLA MADRE TERRA SIA CATTIVO. SAREBBE DA CULLARLI COME INSEGNANO I MAESTRI DELLA CROCE DI SANT'ANDREA: LO RICORDI QUEL MAESTRO? L'ARGONAUTA: - SI, MA APPARE ORMAI SBIADITO L'INSEGNAMENTO DEI CONQUISTADORES. ESISTE SOLTANTO UNA MITOLOGIA: QUELLA PROPRIA. BENINTESO CHE PER PROPRIA S'INTENDE L'IDEOLOGIA FATTA PROPRIA, NON LA MITOLOGIA. MYTHOS E LOGOS: L'UNIVERSALITÀ. NON LA DECANTAZIONE DEL PROPRIO SMISURATO EGO. SI EGO: SI DICE CHE RAPPRESENTA LA ESSENZIALITÀ DELL'INDIVIDUO. POI SI DICE CHE É UNO TRA TANTI. SICURAMENTE È L'ESSERE NEL MONDO. L'UOMO DELLA TERRA: - CHIUNQUE SIA, È. INFATTI NON CONTA L'INTELLETTUALISMO. NON CONTA L'ESTREMIZZAZIONE: CONTA LA MEDIAZIONE. COME LA TROVI? LAVORANDO SU PERSONAGGI CHE NON CONOSCI. CONTINUA A SCALARE.
MENTRE MI ACCINGO A COMPLETARE LA SCALINATA, DINANZI AI MIEI OCCHI C'É UN UOMO DEL MIO TEMPO. LO OSSERVO; LO GUARDO CONTINUANDO IL VIAGGIO ... TRA PICCHI E VALLI. IL SAGGIO E IL L'ETERNO PETER PAN. DIVERSI NELL'UGUAGLIANZA. LONTANO DA DOGMATISMI S'INCONTRANO GLI UGUALI, SAGGEZZA, EMOZIONE. RACCOLGO DIAMANTI GREZZI VIVIFICANDO ME. (A. V.)
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Marc Chagall, Homage to Apollinaire, 1911
Le prove destrutturanti La natura dei compiti proposti a Psyche non risiede tanto nella soluzione, umanamente impossibile, di quelli, quanto nella loro accettazione, in accordo con il principio che Dio affligge ma non abbandona o, per dirla con Castaneda, che il Potere costringe ma
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contemporaneamente sostiene. La prova, sempre insistita e ribadita, sta nellâ&#x20AC;&#x2122;abbandonarsi alla provvidenza divina, nel rimettersi ad essa o, sempre con le parole di Castaneda, confidare nel proprio potere personale grande o piccolo che sia. E come se Afrodite, che si è assicurata la partecipazione e la disponibilitĂ di Psyche tenendole prigioniero lâ&#x20AC;&#x2122;amato, le dicesse: vuoi
Piero Di Prinzio
essere un dio, allora comportati da dio. I prova: la separazione dei semi e l’intervento delle formiche. Apuleio non sottolinea l’importanza di un particolare seme, contrariamente a Pascoli che indugia su quelli di papavero: E come fine polvere di ferro sparsa per tutto il mucchio è la semenza dei papaveri. E tu, Psyche … scegli a lungo i semi del papavero immemore ... Pare proprio che l’intervento soccorritore delle formiche sia finalizzato a separare i semi vari da quelli di papavero, che alla fine residuano evidenziati e che questo sia in effetti il vero compito che Afrodite ha imposto a Psyche: E resta a te la polvere di semi, di cui ciascuno dal suo nulla esprima un lungo stelo e il molle fior del sonno. L’insistenza, qui come in altre prove, è sempre sul sonno, su Ipno padre di Morfeo, il primo porta ed il secondo forma del sogno. E il molle sonno tu lo chiami, o Psyche, … e mesta invochi il sonno, perché a te nasconda quell'altro sonno, che non vuoi, più grande. Perché Psyche teme e desidera il sonno, perché deve necessariamente dormire? Perché: Povera Psyche, io so dov'è l'Amore. Oh! l'Amore t'aspetta oltre la morte. Di là, t'aspetta. Se tu passi il nero fiume sotterra, troverai l'Amore … … e chiudi gli occhi, e dormi. Appena desta, rivedrai l'Amore. Il sonno permette l’accesso a una realtà, seppur fumosa, già sovraumana, che è il sogno, vera e propria botola su mondi altri da quello diurno. In questa prima prova si può evidenziare una tecnica protocollata nelle procedure della tortura: il marcare il contrasto tra la condizione del torturatore, che si presenta elegante, ben vestito, profumato, e quella del torturato, nudo, sporco, maleodorante: Psyche è malridotta, con i vestiti laceri, ferita, abbrutita mentre Afrodite, che si è recata ad un pranzo di nozze (le nozze invece tanto negate all’altra) è odorosa di balsami e con il corpo tutto inghirlandato di rose meravigliose. Questa tecnica di destrutturazione facilita
l’identificazione del torturato con il torturatore, che va a rappresentare una condizione invidiabile per la vittima e acquista sempre più i connotati dell’ideale dell’Io, fino ad una sorta di innamoramento (sindrome di Stoccolma). Riguardo alla natura degli altri semi: i semi in generale e quelli delle lenticchie e delle fave in particolare, sono legati al mondo infero e alle anime dei morti, come pure alla ricchezza, da cui l’usanza benaugurale di mangiare lenticchie a Capodanno. II prova: la lana d’oro delle pecore feroci e l’intervento della canna palustre. Psyche, in questa prova non riportata dal Pascoli, si dispone ad eseguire il nuovo ordine di Afrodite e così facendo si dispone all’accettazione della morte: non già per eseguire quell’ordine ma per trovare rimedio ai suoi triboli precipitandosi da una rupe giù nel fiume. Il pericolo insormontabile è questa volta rappresentato dalle pecore. Si tratta di pecore (oves) e non già di montoni ( il latino ha per montone un termine specifico: aries) come suppone Neumann forse ingannato dalla ostinazione a leggere l’intera favola in termini di conflitto maschile-femminile (montone come principio maschile solare distruttivo). Il latino oves usato da Apuleio indica la pecora e può avere il significato di sciocco: siamo di fronte quindi ad un gregge , molto umano, che si muove per imitazione e senza finalità consapevoli (contrariamente all’altro gregge, quello delle formiche, frugole e succinte … operaie nere di Pan, disciplinato e zelante). Un gregge che, in particolari condizioni, come per la vampa ardente del sole meridiano, non sopporta la vista del divino e diventa feroce (“Se vi dicessi una sola delle cose che mi ha detto, voi raccogliereste delle pietre e mi lapidereste …”Vangelo di Tommaso, 13) e pericoloso; oppure, preda della possessione divina, dimentica la mitezza delle convenzioni sociali e compie atti distruttivi agli occhi dell’ordine costituito e dell’umana pietà. Dunque Psyche consigliata dalla canna palustre deve attendere, quasi di nuovo dormire, quasi una siesta nell’ora di Pan, fin ché il sole del meriggio non avrà mitigato il suo ardore e le pecore non si saranno ammansite alla fresca brezza che sale dal fiume nascosta a bell’agio sotto un grande platano
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(Ed è un platano anche l’albero, lungo l’Ilisso, sotto cui Socrate, nell’ora di Pan di un giorno estivo cantato dalle cicale, annuncia all’amico Fedro di sentirsi nympholeptos e confessa il suo peccato contro Eros, un peccato verso “una sapienza che parla per gesti e per immagini”, dice Calasso, nella lingua delle Ninfe). Deve lasciar fare al tempo senza rischiare più del necessario per sottarre ad una umanità, poco evoluta ed in preda al panico tipico dell’ora meridiana, la parte divina, il prodotto aureo e lasciare che sia la natura stessa a farlo per lei: Quando le pecore si saranno quietate, allora recati nel bosco vicino e scuoti le fronde e troverai la lana d’oro rimasta attaccata qua e là nell’intrico dei rami. E la canna palustre soccorritrice non è forse un axis mundi, partecipata dei vari livelli dell’essere: il fango dove affonda le radici, l’acqua che attraversa e da cui emerge e l’aria ed il vento al cui respiro oscilla e zufola? E non è un axis mundi lo stesso Pan, patrono dell’ora magica e pericolosa del colpo di calore, con la sua natura insieme animale, umana e divina? Lo stesso Pan così imparentato con la canna palustre, Pan multiforme… che … soffia dolce così nelle palustri canne, che … la notte fa dolcemente sufolar le canne? Nell’atteggiamento di Venere nel presentare a Psyche il compito della lana d’oro, si evidenzia un altro artificio tipico delle iniziazioni, l’ inganno del maestro, che tranquillizza il discepolo per renderlo disponibile al pericolo insito nello step formativo: non v’è alcun guardiano dice Venere dissimulando il vero rischio, che non risiede in un ipotetico custode del gregge, ma nella natura stessa delle pecore. Atteggiamento presente anche in alcune fasi della tortura, quando il carnefice rassicura la vittima sulla tollerabilità del tormento che sta per infliggere o sulla facilità del compito che sta per imporre: nulla che il torturato non possa ancora sopportare. III prova: dell’aquila.
l’acqua
del
Cocito
e
l’aiuto
… voglio metterti ancora alla prova, proprio per vedere se hai veramente tanta forza d’animo e
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tanta saggezza … Venere dichiara apertamente che il suo interesse è rivolto alle qualità spirituali di Psyche più che all’acqua sacra. E Psyche, anche in questa prova, (pericolo senza via d’uscita; e non le restava nemmeno l’estremo conforto del pianto), si rassegna alla morte: si diresse alla cima del monte sicura che lassù almeno avesse termine la sua infelicissima vita. Tale rassegnazione si traduce in un abbandono alla provvidenza divina che non tarda a presentarsi, sotto forma di aquila: le tribolazioni di quell’anima innocente non sfuggirono all’occhio attento della buona provvidenza. E così l’uccello regale del sommo Giove, l’aquila rapace, spiegò le ali e in un attimo le venne in soccorso… Ed è quindi l’aquila che procura a Psyche un poco di quell’ acqua parlante, sacra e tremenda insieme, richiesta da Venere, volando nell’orrido tra i dracones insonni con le pupille aperte in perpetuam lucem. Nella poesia di Pascoli si evidenzia un nuovo accenno al sonno: e là vedesti, su la grotta, il drago, l'insonne drago, sempre aperti gli occhi; e tu chiudesti, o Psyche, i tuoi … non veduto, uno ti prese l'anfora di mano, che piena in mano dopo un po' ti rese, e dileguò. Tu lentamente a casa tornavi smorta, e con un gran sospiro, apristi gli occhi, e nel cristallo puro tu guardasti l'oscura acqua di morte, e vi vedesti il vortice del nulla … Solo dopo la fase ad occhi chiusi, intesi come sonno in contrapposizione agli occhi sempre aperti del drago insonne, Psyche diventa consapevole dell’oscuro, come è oscura l’acqua di morte e nell’oscuro, come nel cristallo puro, può guardare il vortice del nulla. IV prova: la discesa agl’Inferi e l’intervento della torre. Venere comincia a riconoscere i progressi iniziatici di Psyche: Credo proprio che tu sia una gran maga, una di quelle stregacce malefiche dal momento che hai eseguito come niente i miei ordini. E le affida il compito definitivo, la richiesta
Piero Di Prinzio
del sonno mascherato della bellezza di Proserpina: arriva fino agli Inferi, fino al lugubre palazzo dello stesso Orco e consegna a Proserpina questo cofanetto dicendole che Venere la prega di mandarle un poco della sua bellezza… Allora Psiche comprese che per lei era davvero finita e si rese chiaramente conto che ormai la si voleva mandare a morte sicura… L’accettazione della morte è ormai completa per Psyche, che sale su un’alta torre convinta che suicidandosi possa arrivare al Tartaro ed esaudire l’ultima richiesta di Afrodite: salì allora su una altissima torre per gettarsi di lassù a capofitto pensando che questo fosse il modo migliore e più spedito per giungere agli Inferi. Ma la torre le parla e l’avverte che la morte del corpo le impedirebbe il ritorno e che è dunque necessario seguire tutt’altra via: Una volta che il tuo spirito sarà separato dal corpo andrai, sì, in fondo al Tartaro, certamente, ma di laggiù in alcun modo potrai tornare… situato un po’ fuori mano … c’è l’imboccatura che porta all’inferno e attraverso le sue porte spalancate si vede l’inaccessibile strada. Tu varca la soglia… Varcare la soglia è l’espressione tipica che indica, nelle culture sciamaniche, l’accettazione incondizionata di una esistenza alternativa senza possibilità di revoca: … fermato il mondo… ti ritroverai vivo in un paese sconosciuto. Allora, come è naturale per tutti noi, la prima cosa che vorrai fare sarà prendere la via del ritorno … ma non c’è via di ritorno … quello che hai lasciato … è perduto per sempre. Allora, naturalmente, sarai uno stregone, ma non avrà importanza; in un momento come quello l’importante per tutti noi è il fatto che tutto ciò che amiamo, odiamo o desideriamo è rimasto alle nostre spalle. Tuttavia i sentimenti di un uomo non muoiono né cambiano, e lo stregone prende la via del ritorno sapendo che non arriverà mai, sapendo che nessun potere sulla terra, nemmeno la sua morte, lo porterà al posto, alle cose, alle persone che amava ( C. Castaneda, Viaggio a Ixtlan). Non ci si può tuttavia inoltrare in quel paese sconosciuto, in quelle tenebre a mani vuote, bisogna possedere un adeguato livello spirituale, aver compiuto già un cammino iniziatico preparatorio, avere i crediti necessari: due ciambelle … e due monete ... Le ciambelle per Apuleio sono d’orzo impastate
con vino e miele, ma più opportunamente per Pascoli sono fatte col miele e col mite papavero. Sia il vino che il papavero possono portare ad uno stato di coscienza non ordinario, il primo di ebbrezza ed il secondo ipnotico (il sonno): sono dunque sostanze psicoattive, attive per Psyche ed utili per il suo percorso negli Inferi. Il miele, uno dei componenti dell’ambrosia greca o norrena, afferisce ad un implesso simbolico più articolato: il miele è collegato alla divinazione, ad un particolare tipo di conoscenza che ha necessità, per poterla sopportare, della verità. Affrontare il sovraumano sulla base della menzogna, ossia per soddisfare l’orgoglio, la brama di ricchezze o di potere porta all’annientamento, come succede alle sorelle di Psyche; la via, la verità e la vita sono indissolubilmente collegate. Sulla fronte del Golem era scritto in ebraico verità; se si cancellava l’alef, il termine diventava morte. Le Thriai, le tre ninfe alate oracolari, svolazzanti sul Parnaso, si nutrivano di miele: esse dicono il vero se hanno potuto mangiare miele, ma mentono e turbinano nell’aria se ne sono prive (R. Calasso, La follia che viene dalle Ninfe). La Pizia era chiamata ape delfica ed il primo tempio di Delfi, prima che Apollo lo rifacesse in bronzo, era stato costruito dalle api stesse, in cera e piume. Circe consiglia a Odisseo la cera d’api per tappare le orecchie dei suoi marinai nell’incontro con le Sirene, esseri alati intermedi o transdimensionali, portatrici di una conoscenza insieme melodiosa e mortale, sopportabile solo con una protezione adeguata, legati o meglio collegati ad un altro axis mundi, l’albero maestro della nave. Le monete sono semplicemente il prezzo da pagare, ossia la rinuncia al mondo, la rinucia a Satana, la rinuncia alla menzogna: Quali alte grida là dal mondo! Quali tristi lamenti intorno alla tua casa, d'argilla, o Psyche, donde più non esce il tenue fumo, alla tua casa vuota … Ti cercano le genti, o fuggitiva. O Psyche! o Psyche! dove sei? … Tutti, o Psyche, invano! O Psyche! o Psyche! dove sei? Ma forse nelle cannucce. Ma chi sa? Tra il gregge. O nel vento che passa o nella selva che cresce. O sei nel bozzolo d'un verme forse racchiusa, o forse ardi nel sole. Ché Pan l'eterno t'ha ripresa, o Psyche.
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Psyche non è più di questo mondo, è ormai giunta all’altro, è giunta agli Inferi, e qui, come anticipatole dalla torre, incontra dei personaggi, ad alcuni dei quali la mitologia ci ha da sempre abituati ed altri meno familiari: Caronte, Cerbero e la cortese Proserpina, un vecchio morto, le vecchie tessitrici, l’asino e l’asinaio zoppi. Un vecchio morto: mentre traverserai quella pigra corrente un vecchio morto dal pelo dell’acqua solleverà verso di te le putride mani e ti supplicherà di accoglierlo nella barca, ma tu non lasciarti piegare da una pietà che non ti è consentita. Le vecchie tessitrici: delle vecchie intente a tessere una tela ti pregheranno di dar loro una mano … per farti cadere dalla mano una delle due ciambelle. L’asino e l’asinaio zoppi: incontrerai un asino zoppo carico di legna e un asinaio zoppo anche lui che ti pregherà di raccattargli alcuni rami caduti dal suo fascio; ma tu non ascoltarlo, passa oltre in silenzio. Questo gruppo di personaggi rimanda ad un altro doloroso precetto dei percorsi iniziatici: la rinuncia al mondo deve essere totale, includendo non solo le sue effimere illusioni e tentazioni, ma anche sentimenti comunemente ritenuti positivi e apprezzabili, umanamente degni, come la pietà in questo caso; che appartendo anch’essa al passato, al vecchio mondo, come vecchi e infermi sono coloro che a Psyche la chiedono, pur non essendo deplorevole in se stessa, può tuttavia riaccendere nostalgie e rimpianti per il tepore della prigione umana da cui faticosamente si è evasi e compromettere tutta la fuga. Il vecchio, le tessitrici, l’asinaio sono paragonabili ai fantasmi viaggiatori che Genaro incontra nel suo viaggio di ritorno ad Ixtlan e che cercano di distoglierlo dal suo intento, facendo leva sulla pietà per se stessi, sulla solitudine, sul senso di appartenenza, sul bisogno di cibo e di calore umano: … vidi un gruppo di uomini e donne venire verso di me. Erano indiani, pensai che fossero indiani mazatec … mi chiesero dove andavo …”Torno a casa a Ixtlan” risposi … “Ixtlan non è da quella parte, è nella direzione opposta. Ci andiamo anche noi … vieni con noi! Abbiamo del cibo!”… sono fuggito. Mi hanno chiamato e supplicato di
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tornare… Le loro invocazioni diventavano ossessionanti … E quindi vidi due uomini venire verso di me per il sentiero, anche lorosembravano indiani mazatec … avevano un asino carico di legna da ardere … “Mi sono perduto in queste montagne”, dissi loro. “Da che parte è Ixtlan?”. Indicarono nella loro direzione. “Sei molto distante”, disse uno di loro. “E’ dall’altra parte di queste momtagne” … Camminammo insieme per un po’ e quindi uno di loro prese il fagotto del cibo e me ne offrì … mi dissero che se non andavo con loro sarei morto sulle montagne e cercarono di esortarmi a seguirli. Anche le loro suppliche erano molto assillanti, ma fuggii con tutte le mie forze. Continuai a camminare. Sapevo di essere nella direzione giusta per Ixtlan e che quei fantasmi cercavano di attirarmi fuori della mia strada. Ne incontrai otto …Restavano sul fianco della strada e mi guardavano con occhi imploranti. Molti di loro non dicevano una parola; le donne invece … mi supplicavano. Alcuni mostrarono anche del cibo … Non mi fermai e non li guardai. … arrivai ad una valle che … aveva qualcosa di familiare … vidi un ragazzetto indiano (anche Genaro era indiano, un Mazatec) che pascolava le capre. Aveva forse sette anni ed era vestito come me alla sua età, anzi mi ricordava me stesso quando pascolavo le due capre di mio padre… parlava da solo, proprio come facevo io … Mi piacque… Gli parlai a lungo… “Sono molto stanco e ho fame, portami dai tuoi”. “Non ho nessuno”, rispose… “In casa mia non c’è nessuno”, disse. “Mio zio è andato via e sua moglie è nei campi. C’è molto cibo, moltissimo. Vieni con me”. Mi sentii quasi triste, anche il ragazzetto era un fantasma… (Tutti i brani sono tratti da Viaggio a Ixtlan di Carlos Castaneda) Caronte: A quel sordido vecchio darai per il pedaggio una delle monete che hai portato con te, ma lascia che sia egli stesso, con le sue mani, a prenderla dalla tua bocca. Apuleio è poco generoso con Caronte, lo definisce avaro nocchiero, più gentile Pascoli: C'è un vecchio, vecchio come il tempo, che tutti imbarca, e non fa male a Psyche! … lievemente il vecchio ti prende il piccolo obolo di bocca …
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Cerbero: che con le sue fauci spalancate latra contro i morti ai quali però, ormai, non può fare alcun male … tienilo a bada gettandogli una delle due ciambelle; così potrai facilmente passare. Anche qui Pascoli sembra cogliere meglio l’essenza di Cerbero, che Apuleio descrive come feroce e rabbioso, quella natura utile, per quanto possa apparire a molti spaventosa, non nociva, di divoratore del superfluo: E c'è un cane, oltre il fiume, che divora ciò ch'è di troppo, e non fa male a Psyche! Proserpina: Proserpina che ti accoglierà con cortesia e con benevolenza e ti inviterà a sedere a tuo agio e a consumare un lauto pasto. Tu però siederai per terra e chiederai soltanto un tozzo di pane e mangerai di quello. Proserpina, con la sua gentilezza, rappresenta forse la tentazione più grande per Psyche, la tendenza ad adagiarsi sui risultati raggiunti, a riposarsi, a dimenticare che il cammino iniziatico non ha mai termine, che pericolose sono le tregue, forvianti il morbido sedile e il cibo squisito offerti dalla benevolenza dell’ ospite. Psyche ha seguito tutte le raccomandazioni della torre, è già sulla via di ritorno ad Ixtlan, per rivedere questo nostro cielo con il suo coro di stelle, con la scatola che nasconde quel tesoro di divina bellezza; ma l’ultima raccomandazione, la più importante, quel Ma soprattutto ti raccomando una cosa: non aprire la scatola che porterai con te, non guardare dentro, non essere curiosa, quella non la segue, non la può seguire: tutta la strada fatta per ritrovare l’amato, per ricongiungersi ad Eros, si conclude e passa per il contenuto di quella scatola, non foss’altro per piacere di più al … bellissimo amante. … e, detto fatto, aprì la scatola. Ma dentro non v’era nulla, nessuna bellezza, ma solo del sonno… E Psiche giacque immobile nel suo sonno profondo, come morta. Si potrebbe dire che la curiosità, che nella classifica delle caratteristiche dell’uomo è ai primi posti, insieme alla vanagloria, fa rischiare a Psyche la definitiva caduta. Eppure, forse è proprio il sonno, l’uscita periodica naturale dalle diurne tribolazioni concessa all’umanità, che permette,
quasi costringe, l’intervento erotico di risveglio, la guarigione e la fuga dello stesso Cupido dalla prigionia impostagli da Venere, preludio del lieto fine: Cupido … non sopportando più a lungo la lontananza di Psiche, era fuggito … e, volando più veloce del solito … accorse dalla sua Psiche. dissipò il sonno … la svegliò. A questo punto Eros supplica il sommo degli déi, il pragmatico Zeus, perché interceda a loro favore e Zeus volentieri lo accontenta: Disporrò che queste nozze siano tra eguali , del tutto legittime … e là per là ordinò che Mercurio andasse a prendere Psiche e la portasse in cielo: ‘Bevi, Psiche’ le disse offrendole una coppa d’ambrosia ‘e sii immortale; né mai Cupido si scioglierà dal vincolo che lo lega a te e queste saranno per voi nozze eterne.’ Ché Pan l'eterno t'ha ripresa, o Psyche. In tutte le fasi della poesia di Pascoli, Pan è una presenza costante, quasi il tutore di Psyche. Ad ogni lacrima di quella, ad ogni sua indecisione, risponde Pan con il dolce canto soffiato nelle palustri Intorno alla tua casa, o prigioniera, pasce le greggi un Essere selvaggio, bicorne, irsuto; e sui due piè di capro sempre impennato, come a mezzo un salto. E tu ne temi, ch'egli là minaccia impazïente, e sempre ulula e corre; e spesso guazza nel profondo fiume, come la pioggia, e spesso crolla il bosco, al par del vento; e non è mai l'istante che tu non l'oda o non lo veda, o Psyche, Pan multiforme. Eppur talvolta ei soffia dolce così nelle palustri canne, che tu l'ascolti, o Psyche, con un pianto sì, ma che è dolce, perché fu già pianto e perse il tristo nel passar dagli occhi la prima volta. Tu piangi, quando Pan, la notte, fa dolcemente sufolar le canne; piangi d'amore, o solitaria Psyche… E piangi, ed ecco vengono le figlie dell'alma Terra, frugole e succinte,
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Flamma fumo est proxima dalla pineta dove a Pan selvaggio frangean tra gli aghi dei pinastri il suolo. Non so chi disse alle operaie nere di Pan la cosa. Tu lentamente a casa tornavi smorta, e con un gran sospiro, apristi gli occhi, e nel cristallo puro tu guardasti l'oscura acqua di morte, e vi vedesti il vortice del nulla, e ne tremasti. E Pan allora un dolce canto soffiò nelle palustri canne, che tu piangesti a quel pensier di morte come piangevi per desìo d'amore: lo stesso pianto, così dolce, o Psyche! e lievemente il vecchio ti prende il piccolo obolo di bocca; ma tu lo senti, e senti anche la rauca lena del vecchio rematore … anche senti un latrato, solitario; e tremi tanto … Ma Pan il gregge pasce là su l'orlo del morto fiume. Non udivi il suono, là, della vita? Tremuli belati e cupi mugli, il gorgheggiar d'uccelli tra foglie verdi, e sotto gravi mandre lo scroscio vasto delle foglie secche. E ti cullava nella vecchia barca un canto lungo, che da te più sempre s'allontanava sino a dileguare nella dimenticata fanciullezza. Pan! era Pan! Egli ti porge un braccio ispido, e su ti leva intirizzita, gelida, o Psyche; immemore; e ti corca nuda così, lieve così, nel vello del suo gran petto, e in sé ti cela a tutti… Ché Pan l'eterno t'ha ripresa, o Psyche. Nella relazione tra Pan e Psyche, che Pascoli rende come struttura portante nella sua poesia, c’è una progressione. Si va dall’iniziale timore ossessivo di Psyche (E tu ne temi, ch'egli là minaccia impazïente … e non è mai l'istante che tu non l'oda o non lo veda) ad un sempre più marcato riconoscimento della sua funzione consolatoria e di farmaco: Eppur talvolta ei soffia dolce così nelle palustri canne,
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che tu l'ascolti, o Psyche, con un pianto sì, ma che è dolce, perché fu già pianto e perse il tristo nel passar dagli occhi la prima volta. Il pianto di Psyche fu già pianto: è relativo ad un dolore antico, già conosciuto ma rimosso, che perde la sua natura inibente e deleteria (il tristo) nel momento in cui si prende coscienza della sua familiarità, del non essere quella sofferenza indotta dall’esterno, ma connaturata, interna, di esclusiva appartenenza. C’è stata una prima volta, è tutto già accaduto. Grazie a Pan, Psyche riconosce la natura del suo pianto: è un pianto d’amore, nostalgia e struggimento per un amore perduto ma già posseduto; e presente, ora, come potenzialità, forse già come destino inevitabile. E nella potenzialità evolutiva sono le formiche, le operaie nere di Pan, che mettono ordine, selezionano ed indicano la via da seguire. Quando Psyche apre gli occhi e vede l'oscura acqua di morte, getta uno sguardo nel vortice del nulla, nell’abisso del sé, Pan è presente al suo fianco: E Pan allora un dolce canto soffiò nelle palustri canne, che tu piangesti a quel pensier di morte come piangevi per desìo d'amore: lo stesso pianto, così dolce, o Psyche! Terribile, e sublime insieme, è associare quel pensier di morte al desìo d'amore e alla dolcezza: e naufragar m’è dolce in questo mare. Come Leopardi, anche Castaneda ci dice che di fronte all’infinito, quell’abisso di solitudine, vuoto e stracolmo insieme, il sentimento che si prova è una nostalgia struggente e insostenibile. Già agli’Inferi, sulla barca di Caronte, il vecchio rematore, vecchio come il tempo, Psyche trema: ma Pan è al suo fianco, che il gregge pasce là su l'orlo del morto fiume. E Pan diventa un canto lungo, che consola, che culla Psyche nella vecchia barca e originando nella dimenticata fanciullezza a quella la lega indissolubilmente : Pan diventa quello che è, quella parte del Sé che ci appartiene da sempre, che è parte solo dimenticata del nostro essere. Non temere Pan, riconoscerlo come uno di
Piero Di Prinzio famiglia, sostituire il panico con l’affetto e la riconoscenza, gli permette di porgerci la mano, gli concede di trarci dal freddo della dimenticanza e permette a noi di essere nudi, celati a tutti, non più ricattabili, finalmente liberi: Egli ti porge un braccio ispido, e su ti leva intirizzita, gelida, o Psyche; immemore; e ti corca nuda così, lieve così, nel vello del suo gran petto, e in sé ti cela a tutti… Ché Pan l'eterno t'ha ripresa, o Psyche. Così Psyche trova tregua e consolazione sulle ginocchia di Pan e può riprendere, completa, il suo cammino verso Eros e la divina immortalità, e divenire Anima, confinante ad Oriente, senza soluzione di continuità, con lo Spirito. Psyche siede su quelle ginocchia come su un trono ritrovato, nella scultura di Begas Reinhold del 1858. Conclusione Il grande Pan, Pan l'eterno, è morto? Il fumo che sale ora al cielo non è più quello dei camini, ma solo quello delle ciminiere industriali? Sono fuggiti gli oracoli? Dobbiamo proprio credere al grido di Tamo e levare a Palode un gran gemito collettivo? Pan è relegato sulle rive del morto fiume, dove ancora pasce il suo gregge e là custodisce per noi il suono della vita, il canto lungo della nostra dimenticata fanciullezza. L’amore di Psyche ed Eros può ancora varcare la soglia e, questa volta, essere lui che a Pan … tende la mano.
Bibliografia e Note Nicolini L., a cura di, Apuleio, Metamorfosi o L’asino d’oro, BUR, 2005 Pascoli G., Poemi conviviali, in Poesie Vol.II, Giunti, 1973 P. Nasone Ovidio, Metamorfosi,Einaudi, 2005 Castaneda C., Viaggio a Ixtlan, Astrolabio, 1973 Calasso R., La follia che viene dalle Ninfe, Adelphi, 2005 Finamore G., Tradizioni popolari abruzzesi, Adelmo Polla Ed., 1997 Neumann E. , Amore e Psiche, Astrolabio, 1989 Kelen J., Il simbolismo delle nuvole, Ed. Meditrerranee, 2008 Moraldi L., I vangeli gnostici, Adelphi, Mi 1987 Levi P., Se questo è un uomo, Einaudi, 1958 Bettelheim B., Sopravvivere, Feltrinelli, 1981 Bettelheim B., Il prezzo della vita, Bompiani, 1965 Sironi F., Persecutori e vittime, Feltrinelli, 2001 Plutarco, Il tramonto degli oracoli, in Dialoghi delfici, Adelphi, Milano 1995 Alce Nero, La sacra Pipa, Rusconi, 1975 G. C. Isnardi, I Miti nordici, Longanesi, 1991
Piero Di Prinzio: Laureato in Medicina e Chirurgia nel 1981, nel 1993 ha ottenuto il riconoscimento dell'attività psicoterapeutica (Legge 18.2.89 n.56). Dal 2003 al 2005 ha insegnato, in qualità di Docente a Contratto, Antropologia Culturale nel Corso di Laurea Specialistica in Psicologia Dinamica e Clinica della Personalità, presso la facoltà di Scienze della Formazione dell’Università degli Studi di L’aquila. Dal 2009 è titolare dell’insegnamento di Antropologia Culturale, Mitologia e Religioni presso la Scuola di Specializzazione in Psicoterapia ATANOR ad indirizzo Analitico di L’Aquila, riconosciuta dal Ministero dell’Università e della Ricerca. Svolge dal 1982 come libero professionista in Chieti l'attività di Psicoterapeuta
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L'Anima Fa Clinica
Salvador Dalì, Portrait of Sigmund Freud
I
n questa nuova sezione della rivista raccoglieremo testimonianze di professionisti della clinica analitica. In questo numero abbiamo intervistato la dott.ssa Simonetta Putti, analista junghiana e psicoterapeuta che ha vissuto a stretto contatto con Aldo Carotenuto. Vi auguro una buona lettura.
COME NASCE SIMONETTA PUTTI COME PSICOLOGA E, PRECISAMENTE, COME ANALISTA JUNGHIANA? QUALORA FOSSE POSSIBILE, POTREBBE RACCONTARE UN EPISODIO DELLA SUA INFANZIA IN CUI VEDERE ALL'OPERA IL SUO DAIMON DI ARCHETIPICA MEMORIA. VERSO
VITA MI PONESSE DAVANTI DUE PROBABILMENTE PER QUESTO MI SENTO IN ACCORDO CON L’ARCHETIPO DEL GUARITORE FERITO. CHE IO SIA POI DIVENTATA UN’ANALISTA JUNGHIANA CREDO SIA STATO UN CASO.. AVEVO ALTRETTANTA ATTRAZIONE PER FREUD, MA ALLORQUANDO DECISI DI INTRAPRENDERE UN’ANALISI MI FU PROPOSTO ALDO CAROTENUTO. IL MIO DAIMON, SE COSÌ VOGLIAMO CHIAMARE UN PARAMETRO SOSTANZIALE PER ME, È LA RICERCA DELLA VERITÀ. NON ASSOLUTA, MA SOGGETTIVA, DICIAMO PURE CON LA ‘V‘ MINUSCOLA. POSSO CITARE UN EPISODIO DEI MIEI 5 ANNI: I GENITORI MI MANDARONO ANTICIPATAMENTE IN PRIMA ELEMENTARE, IN UNA SCUOLA GESTITA DA SUORE ORSOLINE, SEPPURE GLI INSEGNANTI ERANO LAICI. UN GIORNO FUI CONVOCATA CON URGENZA NELLA STANZA DELLA PRESIDE, CHE MI FECE RIPETUTI E DURI RIMPROVERI PERCHÈ IO AVEVO CONFIDATO AD UNA PICCOLA COMPAGNA DI CLASSE CHE I BAMBINI NASCONO NELLA PANCIA DELLA MAMMA. LA MADRE DI QUELLA BAMBINA SI ERA POI SENTITAMENTE LAMENTATA CON LA PRESIDE. IO SAPEVO DI AVER COMUNICATO LA MIA VERITÀ E I
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ANNI MI AGGIRAVO IN UN PROFONDO MALESSERE.. COME SE LA
È POSSIBILE
STRADE: FARE LA MALATA O L’ANALISTA.
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HO
SCELTO LA SECONDA.
L'Anima Fa Clinica
SENTIRMI RIMPROVERATA DI QUESTO ERA PER ME INACCETTABILE, SOPRATTUTTO IN QUANTO IL RIMPROVERO VENIVA DALLE SUORE, CHE SEMPRE ANDAVANO RIPETENDO CHE
DIO
È VERITÀ E VITA.
PROFONDA FRATTURA CON LA RELIGIONE ISTITUZIONALE, UN CONFLITTO CHE IO
DA LÌ INIZIÒ UNA SCIOLSI – CRESCENDO -
OPTANDO APPUNTO PER LA VERITÀ SOGGETTIVA.
COME
CONIUGA,
NEUROSCIENTIFICA E
NELLA
SUA
ESPERIENZA,
LA
CULTURA
JUNGHIANA,
LA
CULTURA
FIOSOFICA,
– NON ULTIMA PER IMPORTANZA - LA CULTURA ARCHETIPICA?
HO CONSEGUITO L’ABILITAZIONE AD ESSERE ANALISTA PRESSO L’A.I.P.A (ASSOCIAZIOE ITALIANA PER LO STUDIO DELLA PSICOLOGIAANALITICA) E SONO STATA ACCETTATA INIZIALMENTE CON LA MIA LAUREA IN FILOSOFIA. SOLTANTO DOPO ALCUNI ANNI MI FU IMPOSTA LA LAUREA IN PSICOLOGIA. HO AVUTO COSÌ DUE PROSPETTIVE DALLE QUALI GUARDARE ED HO PERCORSO LA FASE DI TRAINING SENTENDOMI IN SINTONIA CON
JUNG. MA QUESTO AMORE NON È MAI STATO ESCLUSIVO, HA SEMPRE LASCIATO SPAZIO AD ALTRE CONOSCENZE (FREUD, LA KLEYN, RACKER, NEUMANN, GUGGENBUHL CRAIG, BUBER, CALLIERI…) RAPIDAMENTE MI SONO CONFIGURATA UNA CONCEZIONE DELL’UOMO COME UNITÀ SOMATO-PSICHICO-CULTURALE E IN QUESTA OTTICA HO MANTENUTO UN VIVO INTERESSE PER IL SOMA IN SENSO LATO. NON A CASO LO JUNG CHE AMO DI PIÙ È QUELLO CHE SCRIVE COME MEDICO; SEMPRE CON CAUTELA, INVECE, HO CAMMINATO NEI TERRITORI DELLA PSICOLOGIA ARCHETIPICA, CHE – A MIO PARERE – NON RARAMENTE SPOSTA IL GRADIENTE DELL’ATTENZIONE TROPPO IN ALTO, CON IL RISCHIO DI INTELLETTUALIZZARE E DAR LUOGO, QUINDI, AD UNA PERSONALITÀ UNILATERALE.. UN
ASPETTO MOLTO DISCUSSO DELLA PSICOTERAPIA DI OGGI È LA
WEB THERAPY. PENSA CHE QUESTO TIPO DI TERAPIA POSSA AVERE UN FUTURO NELLA NOSTRA PROFESSIONE? QUAL È IL RUOLO – OGGI – SVOLTO DAL LINGUAGGIO UNIVERSALE DEI SOCIAL MEDIA E QUALI – SE VI SIANO – SONO I DIFETTI E I PUNTI DI FORZA DELLA TIPOLOGIA DI COMUNICAZIONE GLOBALIZZATA? LA
COMUNICAZIONE È UNO DEI MIEI PRIORITARI INTERESSI E QUESTO COMPORTA UNA PASSIONE PER LE
TECNOLOGIE CHE LA SOSTENGONO.
HO AVUTO L’AVVENTURA (E LA FORTUNA) DI PARTECIPARE GIÀ NEL 1999PSYCHOINSIDE, DIRETTA DA TONINO CANTELMI, ED HO POTUTO VERIFICARE LA POSSIBILITÀ E FRUIBILITÀ DI UN AIUTO PSICOLOGICO ON LINE. PER I PRIMI ANNI DEL 2000 HO CONDOTTO SVARIATE TERAPIE ON LINE SINO A QUANDO - NEL 2004 - L’ORDINE PSICOLOGI LAZIO MISE SOTTO VETO IL SETTORE. RITENGO CHE IN ITALIA CI SIA UN GRAVE RITARDO RISPETTO A QUESTA BRANCA CORRELATA ALLO SVILUPPO DELLE I.C.T.. LA WEB THERAPY, SE CONDOTTA CON RIGOROSI PARAMETRI ETICI E DEONTOLOGICI – PUÒ CONSENTIRE ANCHE AI SOGGETTI DISAGIATI (PER TERRITORIO E /O PER HANDICAP) DI AVVICINARSI ALLA CONOSCENZA DI SÈ. PENSO CHE LA WEB THERAPY POSSA COSTTUIRE UN PONTE TRANSITABILE, CHE PUÒ ACCOMPAGNARE IL SOGGETTO ANCHE AD UNA SUCCESSIVA TERAPIA TRADIZIONALE. IN ITALIA SI ASSISTE DA MOLTI ANNI A SCHIERAMENTI RIGIDI TRA TECNOFOBI E TECNOFILI E PROBABILMENTE QUESTO CONFLITTO NON HA GIOVATO AL PROGRESSO DELLE RICERCHE E DELLA CONOSCENZA: CI SI È 2000
ALLA RICERCA SPERIMENTALE
PREVALENTEMENTE ARROCCATI NELLA DIFESA DEL NOTO E QUESTA POSIZIONE SI RIFLETTE SUL WEB NELLE SUE DIVERSE DECLINAZIONI.
PREVALE
UNA CULTURA DEL NEGATIVO, OVVERO LA DENUNCIA DI GUASTI E RISCHI
DIMENTICANDO LE AMPLISSIME OPPORTUNITÀ CHE TALI MEDIA OFFRONO.
COSÌ
È PER I SOCIAL NETWORK:
FACEBOOK. LO SI GIUDICA PREVALENTEMENTE COME UNA PIAZZA VIRTUALE IN CUI GLI UTENTI PERDONO TEMPO, O SI ESIBISCONO NARCISISTICAMENTE O SCARICANO LE PROPRIE IRRISOLTE AGGRESSIVITÀ. IO AMO SEMPRE DISTINGUERE: QUANTO SOPRA DETTO PUÒ ACCADERE, MA ATTRAVERSO FACEBOOK SI POSSONO SCAMBIARE INFORMAZIONI UTILI, ED ANCHE FARE CULTURA, LANCIANDO SEMI CHE L’UTENTE ACCORTO PUÒ COGLIERE. I VANTAGGI SONO CHIARAMENTI QUELLI DI UN FACILE ACCESSO, DI UNA DISINIBIZIONE GARANTITA ANCHE DALLA PENSIAMO A
POSSIBILITÀ DI ANONIMATO E COMUNQUE DI UNA FACILITAZIONE DELLA COMUNICAZIONE CORRELATA ALLA DISTANZA.
GLI
SVANTAGGI SONO RAPPRESENTATI DALLA POSSIBILE VIOLAZIONE DELLA PRIVACY, DAL RISCHIO DI ENTRARE
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L'Anima Fa Clinica
IN CONTATTO CON SOGGETTI DISTURBATI E DIFFICILMENTE GESTIBILI.
CREDO
PERÒ CHE UNA FRUIZIONE CAUTA E
PONDERATA, MAI DISGIUNTA DA UNA ADEGUATA DISTANZA EMOTIVA, CI POSSA ABBASTANZA SALVAGUARDARE.
NELLA
SOCIETÀ ODIERNA È PRESENTE UN TIMORE REVERENZIALE NEI CONFRONTI DEL LIMITE, ANCORA PIÙ
TIMORE SI RISCONTRA NELLA PAURA COLLEGATA ALLA MORTE E ALLE TEMATICHE DI FINE VITA. AD ESEMPIO
-
È UN TABÙ PER LA SOCIETÀ ITALIANA.
SECONDO
LA
SUA
L'EUTANASIA –
ESPERIENZA COME SI MOSTRANO LA
MORTE E IL LIMITE NELLA PRATICA ANALITICA?
NEL
NOSTRO TEMPO E PER LE ULTIME GENERAZIONI L‘IDEA DI
LIMITE
È DIVENTATA ALQUANTO ESTRANEA,
STANTE ANCHE L’EDUCAZIONE PERMISSIVA CHE NON LASCIA SPAZIO ALLA NECESSARIA FRUSTRAZIONE, NON LASCIA LA POSSIBILITÀ DEL DESIDERIO E DELLA DILAZIONE: VEDIAMO ADOLESCENTI E GIOVANI CONVINTI CHE
POTREI DIRE CHE VIVIAMO IN UNA DIFFUSA PARALLELAMENTE L’IDEA DELLA MORTE CONFIGURA UN PARADOSSO: DA UN LATO RIMOSSA ED ESORCIZZATA, DALL’ALTRO ENFATIZZATA ED AMPLIFICATA NELLA SUA DIMENSIONE DI SPETTACOLO. NELLA MIA ESPERIENZA CLINICA, INVECE, IL LIMITE E LA MORTE OCCUPANO UNA POSIZIONE CENTRALE, DIREI STRUTTURALE, NELLO SVILUPPO DI UNA PERSONALITÀ ARMONICA E PER LA CONQUISTA DI UN ADEGUATO EQUILIBRIO NELLA VITA. SUL PIANO PERSONALE POSSO DIRE CHE LA COSCIENZA DELLA MORTE - POSSIBILE SEMPRE - MI HA INSEGNATO A VIVERE FACENDO GIORNO PER GIORNO LE COSE CHE RITENGO GIUSTE, SENZA RINVII. PER QUANTO RIGUARDA L’EUTANASIA E LA LIBERTÀ DI SCELTA NEL FINE VITA SONO FAVOREVOLE: CREDO CHE LA VITA SIA UN DIRITTO E NON UN OBBLIGO. TUTTO SIA POSSIBILE O
–
AL CONTRARIO
DIMENSIONE DI ONNIPOTENZA
/
–
SENZA SPERANZA.
IMPOTENZA.
NELLA SUA VITA HA AVUTO L'IMMENSA FORTUNA DI CONOSCERE UN GRANDE UOMO E PROFESSIONISTA COME ALDO CAROTENUTO. PUÒ PROVARE A RENDERLO VIVO IN QUESTE PAGINE ATTRAVERSO LA SUA ESPERIENZA E MAGARI RACCONTARCI UN PICCOLO ANEDDOTO CHE VI COINVOLGE? ALDO CAROTENUTO È STATO DI DIVERSE ASSOCIAZIONI; È
IL MIO PRIMO ANALISTA E SUCCESSIVAMENTE È DIVENUTO COLLEGA NELL’AMBITO STATO UN FECONDO SCRITTORE ED UN PERSONAGGIO DI FAMA INTERNAZIONALE:
DETRAZIONI. FATTA QUESTA CAROTENUTO È STATO OGGETTO NON DI RADO DI CRITICHE, BIASIMO SINO ALL’APERTA CENSURA. LUI STESSO – IRONICAMENTE – SOLEVA DESCRIVERSI COME‚ UN TRASGRESSORE NATO (VEDI ANCHE PUTTI, S., LA SOLITUDINE INQUIETA, IN PSICOLOGIA ANALITICA CONTEMPORANEA, MILANO, BOMPIANI, 1989). NELLA MIA ESPERIENZA DI PAZIENTE, HO VISTO IN CAROTENUTO UN ANALISTA RIGOROSO ED ALLO STESSO TEMPO LIBERO DAI CONDIZIONAMENTI, SEMPRE ACUTAMENTE INTERESSATO AL NUOVO CHE SI MANIFESTAVA NELLA DIMENSIONE CLINICA E NEL MONDO. D’ALTRA PARTE, CAROTENUTO HA SPESSO MESSO IN RISALTO DI AVERE COME PROPRIO MITOLOGEMA PERSONALE IL SUPERAMENTO DEGLI OSTACOLI, CHE HA INCONTRATO PRECOCEMENTE NELLA PROPRIA STORIA FAMILIARE E VIA VIA NELLA VITA. IO PENSO CHE QUANDO CI SI ACCINGE A SALTARE GLI OSTACOLI, SI SPICCA SPESSO UN SALTO LUNGO E - QUANDO SI DEVE SUPERARE UNO SPAZIO CONSIDEREVOLE - LE FORZE DELLA SPINTA POSSONO NON ESSERE SEMPRE ADEGUATAMENTE CALIBRATE. L’EPISODIO CHE AMO RICORDARE È L’OCCASIONE IN CUI MI INCARICÒ DI PRESENTARE LA PSICOLOGIA ANALITICA IN UN SEMINARIO ORGANIZZATO DA LUIGI DE MARCHI: ERA LA MIA PRIMA USCITA NEL PUBBLICO E MOSTRAVO QUALCHE RESISTENZA. CAROTENUTO MI DISSE VAI VAI, TU NON HAI PROBLEMI…IO MI SENTIVO MANDATA ALLO SBARAGLIO MA QUELLA INIEZIONE DI FIDUCIA FUNZIONÒ. DA ALLORA HO MEGLIO COMPRESO QUANTO IL FATTORE FIDUCIA SIA BASILARE. POSIZIONI SCOMODE E CHE DETERMINANO AMMIRAZIONE MA ANCHE INVIDIA E PROMESSA È DOVEROSO RICORDARE CHE L‘OPERATO CLINICO DI
A CURA DI
ALFREDO VERNACOTOLA E MICHELE MEZZANOTTE
SIMONETTA PUTTI, ANALISTA JUNGHIANA E PSICOTERAPEUTA, SOCIA A.R.P.A. (ASSOCIAZIONE PER LA RICERCA IN PSICOLOGIA ANALITICA) E I.A.A.P. (INTERNATIONAL ASSOCIATION FOR ANALYTICAL PSYCHOLOGY).
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L'Anima Fa Azione
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Renè Magritte, Stupro, 1945
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Paola Volpe
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nquieta tutto ciò che nasce dalla violenza ed esprime debolezza. Violenza è soltanto prepotenza e, per capire la debolezza, bisogna parlare di una configurazione di rapporti sociali, dell'accumularsi delle frustrazioni, della profonda inquietudine, che viene trascinata avanti e mai risolta, ma soprattutto del potere o del non potere della ragione o della coscienza. Si tratta qui di situazioni marginali, ai limiti, in fatto di violenza sessuale. La mia attenzione non è particolarmente rivolta ai piccoli abusi nè alle molestie sessuali, che appartengono ad un malcostume maschile, con significati di prevaricazione, mancanza di rispetto e comunque prepotenza nei confronti del sesso femminile; è rivolta a fatti sconcertanti, raccapriccianti, che destano profondo disgusto e che vengono ricondotti alla dimensione animale dell'uomo. Si intende con questo fare riferimento alle situazioni in cui violenza e sessualità sono vissute congiuntemente con la piena esplosione degli istinti, fuori dal controllo di ogni coscienza e consapevolezza, producendo gravi danni all'altro, e a livello fisico e a livello psichico. Se gli animali potessero giudicare quanto detto dall'uomo sulla bestialità, finirebbero con il provare offesa, disgusto e risentimento. La liberazione dell'istinto nell'animale avviene esclusivamente nell'ambito di Madre Natura: se così non fosse, verrebbe sconvolto un ordine vitale e l'istinto aggressivo è vitale sempre e comunque, come quello sessuale. È l'uomo l'unico essere vivente a sconvolgere le regole e sconvolgente è l'attuarsi insieme dei due impulsi opposti, ma lo è ancor di più l'unione di sesso, morte e impulso cannibalico. Quando ciò si verifica, ci troviamo di fronte a situazioni psicopatologiche gravi in cui la vittima diviene preda, non solo passivizzata, ma anche annullata (stuprata, uccisa, smembrata e mangiata). In natura i tre istinti coesistono in rari casi: la mantide religiosa, la migdale, il ragno crociato dei pirenei, nei quali l'uccisione del maschio, produce la contrazione eiaculatoria fecondante poi... non si spreca nulla. Tra i mammiferi solo la tigre femmina dopo l'accoppiamento si rivolge contro il maschio e questi rischia di morire azzannato, se non se la da a gambe levate. I rinoceronti prima di accoppiarsi si caricano (maschio e femmina) per un'ora, brutalmente a rischio di morte. Considerando quanto il mondo animale è vasto, le "bestialità"sono proprio poche. Tra gli uomini è
opportuno accostare il rapporto di violenza sessuale con il rapporto di autorità. Spesso il corpo del violentato è già al servizio del violentatore (minori, deboli, apprendisti, domestiche o persone subalterne) e lo stupro è una estensione della autorità già presente. È l'australopiteco ad avere lasciato all'uomo (che all'origine era un mite vegetariano) in eredità la mentalità carnivora, essendo lui diventato cacciatore; ma è il momento dell'invenzione delle armi belliche, che ha dato via alla inibizione della pietas ed alla incapacità di lettura dei gesti di sottomissione per una richiesta pacifica. Oggi ogni forma di violenza è un prodotto patologico di una evoluzione distorta tra anima e logos. Quale evoluzione, se non c'è in atto una funzione trascendentale e armonizzante? L'atto violento è solo autoaffermativo e serve a tener coeso un nucleo di identità fragile. All'uomo soltanto appartiene il senso del proprio divenire e della propria trasformazione, segnata da quel quid che sfugge alle leggi della razionalità e che è l'attività simbolica. Simboli, immagini, sogni, sono carichi di significati che spesso riguardano una realtà profonda, quella dell'Anima. Il simbolo da solo ne esprime la complessa natura e unisce alla coscienza qualcosa che talvolta è inaccessibile alla coscienza stessa: apre ciò che è chiuso all'interno di una forma concreta e definita, verso qualcosa che trascende e non è ristretto nè nello spazio, nè nel tempo, e pertanto assume un valore storico, in quanto vale per sempre, non si esaurisce e contribuisce a dare all'uomo il senso della sua pienezza e delle sue possibilità. È vero che la donna ha fatto un grosso passo avanti rispetto al passato, avendo conquistato posizioni meno discriminate nei vari settori sociali. È altrettanto vero, però, che essa continua ad essere vittima di abusi, molestie e violenze sessuali. Lo stupro, pur essendo riconosciuto come crimine, non è ancora entrato adeguatamente nella percezione sociale, per il motivo che certi aspetti della coscienza sociale sono particolarmente resistenti al cambiamento. Stupri e violenze nell'ambito della famiglia sono aumentati. Per capirne i motivi e le dinamiche, il fenomeno andrebbe letto in chiave storico-antropologica, sociologica, economica, psicologica. Alcuni dei temi che andrebbero approfonditi riguardano l'identità personale, quella sociale,
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Anima e logos
l'organizzazione sociale, i valori che supportano gli equilibri dell'individuo e della società, la famiglia, i modelli culturali, gli stereotipi, il rapporto uomodonna ed il ruolo della sessualità nel processo di maturazione globale dell'individuo. Faccio notare che se le donne hanno raggiunto la parità dei diritti, è stato per la strenua lotta che esse hanno dovuto fare per conquistarli e non certo per la volontà espressa dei maschi. Questi ultimi hanno fatto fatica ad accettare la parità, e si sono visti obbligati a rinunciare al loro ruolo ufficiale di padroni. La loro potestas è stata "violentata"... Sappiamo bene che non basta un secolo a cancellare tradizioni millenarie, tantomeno quella della donna sottomessa e inferiore. Nella storia la donna è stata il suo corpo o la sua famiglia ed acquisiva dignità solo nel ruolo di moglie o madre. Non ha avuto diritto di pensiero, nè di parola. Ha lasciato poche testimonianze dirette di sè: a lei la storia ha concesso pochi spazi, quelli che l'uomo le ha voluto dare, proprio a lei portatrice di vita presente nelle sofferenze altrui e nelle malattie, lei fragile... A lei il Cristianesimo ha inviato il messaggio del silenzio e della sottomissione. San Paolo detta che "il capo della donna è l'uomo" e "l'uomo è immagine di Dio e la donna è immagine dell'uomo... nè fu fatto l'uomo per la donna, ma la donna per l'uomo". Questa tradizione passivizzante e repressiva, oscillante poi tra messaggi virginei, monacali, di castità e fedeltà della donna e tutti i dettami della morale che ha dominato per 2000 anni, hanno obbligato la donna alla posizione di inferiorità rendendola "sottoposta" e, in un modo o nell'altro costantemente vittima (sia potenziale che di fatto). Fausta Vitagliano scrive: "il mito dello stupro perpetua e tiene vivi gli aspetti della rappresentazione della donna, creati dagli uomini e che oggi non si trovano più esplicitati, ma sono quelli che hanno dominato fino a pochi decenni fa. Alcuni aspetti di queste rappresentazioni sono: il principio dualistico del rapporto sessuale per cui l'uomo appartiene alla categoria dell'attività e la donna a quella della passività (per la veirtà questo pensiero nasce da Aristotele e attraverso il Cristianesimo arriva al XX secolo); l'identificazione tra la sessualità e procreazione nella donna; la rappresentazione della donna asessuata, senza desiderio e piacere; il corpo femminile identificato con la sofferenza; la cultura del silenzio (Vitagliano 1993)."
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La sessualità coercitiva presenta tre componenti fondamentali: potere, rabbia ed impulso sessuale. Dei tre quello dominante è il potere. Lo si riscontra anche nelle violenze sessuali fatte in carcere da eterosessuali nei confronti degli ultimi arrivati (i maschi più deboli). Lo stupro in carcere non ha nulla di sessuale. I mass-media hanno intensificato l'aggressività, perchè hanno proposto nuovi modelli di comportamento aggressivo e contemporaneamente hanno prodotto una desensibilizzazione nei confronti delle conseguenze di questi comportamenti. Da ciò deriva una confusione dei modelli tradizionali, una alterata percezione dei valori, una passività nei confronti delle emozioni, fino alla incapacità di discriminare fra piacere e dolore: i messaggi dei mass-media passano immediatamente, vengono registrati nella psiche in forma di stereotipi e successivamente agiti, senza che ci sia stato un cammino di rielaborazione o di consapevolezza nei confronti dei messaggi stessi. Questo discorso è di primaria importanza soprattutto per quei bambini che crescono in ambienti sociali particolari, in cui non c'è il supporto del dialogo, della comunicazione, nè la possibilità di confronto fra i messaggi "esterni", con quelli "interni" rispetto al sistema (familiare allargato) in cui essi vivono. La tecnologia sta portando in auge modelli di sessualità senza contatto corporeo (internet, videoregistratori, telefono, videogames pornografici, sesso virtuale, etc.). Il rischio legato all'uso di questi media è un cambiamento dell'immaginario sessuale, con un allontanamento da modelli relazionali, di sessualità vissuta con "l'altro" o "l'altra". Tutto ciò può significare aumento della perversione (semplificando questo termine in "sesso senza coito"). La verità è che si osserva soprattutto nel maschio la tendenza a immaginare il rapporto e a non farlo. È opportuno anche ricordare alcuni elementi di verità: la paura dell'intimità, l'aumento delle disfunzioni erettive, lo scarso desiderio sessuale del maschio e la paura del maschio di assumere ruoli attivi nei confronti della donna. Alla luce di questi dati non fa meraviglia l'aumento degli abusi sessuali e delle violenze sessuali, oltre che dei veri e proprio stupri: la violenza permette di superare ogni forma di inibizione e di vivere a tutti i costi l'impulso quando questo emerge prepotente e incontrollato.
Paola Volpe
"Lo stupro non è l'espressione aggressiva della sessualità. È al contrario l'espressione sessuale dell'aggressività." (Groth, "New York Times", 5 novembre 1980). Lo stupratore può essere sessualmente deviante o sessualmente normale. Il comportamento sessuale dei maschi appartenenti a gruppi culturali primitivi può variare dalla totale mancanza di stupro e di ogni forma di abuso sessuale (come tra gli eschimesi e i Polinesiani), al regolare comportamento bellicoso e violento nel rapporto coniugale (Gusii del Kenya Meridionale), fino all'irruzione del maschio non coniugato presso le donne di altri clan (tra gli Yanomomo dell'Amazzonia vi è la massima diffusione di violenza per cui il 40% della popolazione muore per omicidio, e tra essi l'omicidio non è punito. Lì le femmine vogliono maschi violenti). Nelle culture dove lo stupro è abituale, vi è antagonismo tra uomo e donna e la violenza sessuale è usata come meccanismo di dominanza e controllo sociale e la violenza sessuale abituale nella coppia ha significati di prevaricazione e dominio. Stesso valore ha ogni forma di abuso sessuale intrafamiliare nelle società cosidette "evolute". Quello verso bambine e adolescenti si dipana spesso lungo un continuum di comportamenti seduttivi, al culmine dei quali la violenza fisica e quella psicologica si sommano e le conseguenze per la vittima spesso sono esasperate e vanno a turbare tutto l'equilibrio affettivo. Dall'adescamento alla coercizione sessuale, la costante presente nell'abuso sessuale minorile è la minaccia e l'imposizione del segreto. Talvolta la violenza si concretizza in un atto unico, ma talvolta si ripete, anche per tempi incredibilmente lunghi in uno straziante silenzio.... L'aumento delle denunce da parte delle donne dipende dal fatto che le donne riescono a rifiutare gli stereotipi negativi di cui sono di solito investite: non tacciono, non sono più passive, non accettano rimproveri, si sottraggono alle minacce; sono meno insicure e più consapevoli. Russel riferisce che l'80% delle vittime stuprate dal padre si trascina per la vita gravi conseguenze psicologiche; il 60% tra quelle stuprate dal fratello; ed il 40% tra quelle vittime di altri parenti (Russel 1986). i disturbi più frequenti sono: depressione, ansia, disturbi alimentari, disturbi del sonno, insonnia cronica, disagi
relazionali e sociali. Meno frequenti sono i sintomi dissociativi ed episodi autodistruttivi. Dalla mia esperienza clinica, che da sola non consente di fare una statistica, ho riscontrato episodi di abuso sessuale nella storia di donne adulte con grave disturbo del desiderio sessuale oppure frigidità, ma anche comportamento sessuofobico ed un caso di omosessualità femminile, in reazione ai ripetuti stupri di un fratello. Preciso che nessuno dei casi di cui sono a conoscenza ha mai esposto denuncia, pertanto non mi stupisce il dato fornito dalla TV: degli abusi consumati in famiglia solo 1 su 8 vengono denunciati. "L'Espresso" del 17 Febbraio 1995 riporta le seguenti cifre, in Italia, relative al 1994: 2700 denunce di abusi sessuali sui minori, dei quali circa 2000 avvenuti nell'interno della famiglia. Secondo il telefono rosa, 4 bambini su 100 subiscono violenze prima dell'adolescenza. Il 19,5% sono maschi e l'80,5% sono femmine. Il 65% dei padri incestuosi appartiene ad un livello medio-alto e solo l'8% sono disoccupati. Di anno in anno sembra aumentare il numero dei bambini sottoposti a rapporti omosessuali con il padre od il convivente della madre, ma anche il numero delle madri che abusano dei loro figli. Dai fatti al mito Comunque vengano detti, i fatti sono sempre raccapriccianti, ma non chiudiamo gli occhi su realtà che non ci piacciano! Caso di incesto (Isa, 14 anni). Da I quaderni delle bambine di Maria Parisi Quel che ho sempre in mente è il buio ed il dolore. La prima volta ricordo che dormivo e sentivo i dolori del mestruo. Ad un tratto mi sono svegliata ed ero già sotto mio padre e lui mi tratteneva la mano sulla bocca e con l'altra mi teneva ferma. Io non potevo gridare e non lo avrei fatto per non svegliare mia madre che dormiva. Poi mio padre ha fatto ed il male si è aggiunto al male, il sangue al sangue (Parisi 1990) Ed Isa all'età di diciotto anni poi scrive una poesia intitolata Ai Miei Genitori: Sangue al sangue così ha chiamato la violenza che hai fatto al mio
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Anima e logos cuore ai miei sogni alle mie speranze. Orco notturno accusatore ingiusto dove hai sepolto i fiori che ho raccolto per te e la canzone che da bambina ti ho dedicato? E tu madre silenziosa serva, nemica, come t'addormenti ogni sera sapendo quel che sai ma non dici? Che vale perdonarvi? Non c'è perdono in terra per chi umilia la luce. Con te padre ho perso Dio. Quando tu mi hai voluto guardare non ho avuto più nulla nessuna difesa accanto a me. Da sola ho guardato il mondo. Era freddo, ostile. Ed il mio corpo era un peso grave da portare. Caso di traffico di bambine destinate alla prostituzione. Così da V. Andreoli Era il vicepresidente del Consiglio Regionale, amministratore della Cassa di Risparmio della sua Città. Un fervente cattolico, esponente di un partito democratico cristiano. Aveva un amico a New York che gli procurava le bambine asiatiche dell'età che preferiva, 7-8 anni. Le teneva per duetre giorni, fino alla stanchezza. A questo punto le restituiva distrutte. Nel contratto era contemplata anche l'eventualità che morissero per sevizie. Da uomo prudente teneva molto a questa clausola:
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non voleva grane. Era certo che non esisteva nulla di più straordinario del giocare eroticamente con una bambina e poi violentarla tra il piacere delle sue grida. Per fortuna si era aperto al mercato asiatico e, sia pur nel cambio di dollari, le bambine costavano nulla e sembravano angioletti. Ne consumava due o tre ad ogni viaggio (Andreoli 1993) Caso di istigazione alla prostituzione da parte della madre. Alba è costretta dalla madre a presenziare agli incontri con gli amanti. La madre la tratta come una sorella e pian piano la induce ad assumere droghe, a 15 anni, è già da tempo vittima di abusi sessuali e di sevizie (sigarette spente sul corpo, piccoli tagli, fustigazioni, legature ed altro) durante i festini tenuti dalla madre con i propri "amici". Violenza e cannibalismo nella funzione mistica Tra gli Aztechi avveniva il seguente rito, il cui scopo era di imbonire la grande dea Chicomecoalt (significa serpente dalle 7 teste): quando le tensioni della gente preannunciavano calamità o punizioni e quindi aleggiava nell'aria la paura che la dea inferocita si scatenasse, iniziavano preparativi festosi, che duravano alcuni giorni, durante i quali si cantava, suonava, danzava intorno ad una giovane fanciulla, la più bella del villaggio e vergine. Questa sottostava al rito nella totale inconsapevolezza degli eventi. Veniva purificata, lavata, unta, adornata di fiori ed infine trasportata su una lettiga al cospetto della statua della dea passando attraverso un corridoio del tempio della suprema divinità maschile il dio Huitzlopochtli, e su un covone di mais il sacerdote le fracassava il cranio con un bastone. Il sangue veniva accuratamente raccolto e distribuito a tutti i presenti perchè ne bevessero. Poi il sacerdote procedeva a scuoiare il cadavere e si rivestiva della pelle della fanciulla, assurta al rango di dea, e con questa pelle, compiva simbolicamente l'unione con la divinità, assumendo la configurazione androgina, caratterizzata dal suo corpo maschile pià la pelle femminile, rendendo in questo modo reale un processo di integrazione di opposti, necessario al ritrovamento degli equilibri della popolazione. Il cadavere della fanciulla veniva poi smembrato e sminuzzato in modo che ciascuno dei presenti potesse mangiare un pezzettino di quel
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corpo, partecipando alla congiunzione mistica. L'insolito rito nuziale consumato a danno della fanciulla, rappresentante la struttura virginale della coscienza, placava le ire della dea, ma anche la paura della gente che le oscure forze dell'inconscio si potessero liberare con effetto malefico. È in questo rito orrido, che si può ritrovare la rappresentazione completa di quanto si configura nei peggiori crimini di violenza sessuale, accompagnati finanche da fatti cannibalici: la Dea Terribile è l'Anima divorante che alberga nelle profondità dell'inconscio e che muove i passi di chi, privo di ogni consapevolezza, è spinto a placare le sue tensioni o le sue potenti compulsioni, per restaurare un equilibrio interno. La vergine-vittima sacrificale è la depositaria della proiezione all'esterno di ciò che dentro non può essere annullato. Viene annullata lei. La congiunzione assume la valenza equilibratoria ed annienta il potere delle forze interne oscure, restaurando il potere di chi di quelle forze è preda. Tutto il cammino avviene a cospetto del Dio, egli forza solare, illuminante, che consente la liberazione. Nel rito mistico raccontato, come in tutti i riti collettivi, la situazione individuale divine quella di rinascita, perchè ignaro dei significati. Ciò che è attivo nel singolo oltrepassa la sua sfera vitale e la realtà spirituale collettiva impone la sua forza transpersonale ad ogni individuo. La recita rituale diventa una esperienza concreta della Grande Madre divorante, dell'Archetipo dell'Anima, dell'inconscio in tutta la sua dimensione abissale che emana terrore e angonscia e può spingere ad azioni criminose. Il rito collettivo, ma anche quello individuale, consente di fare un cammino di liberazione (dal proprio labirinto). È solo nel processo di individuazione, grazie al logos ed alla consapevolezza, che è possibile non cristallizzarsi nell'Archetipo. Ciò significherebbe follia. L'orrore delle profanazioni Le grandi interdizioni sociali sono: l'incesto, l'assassinio e il cannibalismo. Il primo rappresenta uno sconvolgimento dell'ordine dettato dalla collettività e, come in tutte le manifestazioni sessuali non approvate (adulterio, perversioni) evidenzia quanto l'erotismo si associ non alla regola, bensì al divieto. Il secondo è come l'atto sessuale, in cui l'uno esercita il potere sull'altro,
sconfinando questo potere verso l'esperienza religiosa della morte. L'annullamento dell'altro è una uscita da sè, in un vissuto di indifferenziazione, nel quale vita e morte, sacro e profano si confondono. Il cannibalismo per i primitivi permetteva di compenetrare "vita finita" e "vita eterna". Questa terza interdizione la possiamo considerare come trasgressione massima. Ci è sgradevole persino il pensarlo, ma il tema va ricondotto agli altri due, sia nel senso di congiungimento, sia di annichilimento totale dell'altro, che tramite l'uno rivive. Sono tutte profanazioni del corpo. L'interdizione porta al rifiuto della violenza. Chi la respinge si separa da essa e dichiara il profano rispetto al sacro. Chi con la violenza trasgredisce, in qualche modo li rimette insieme: il divieto crea il desiderio ed il tabù dà sapore alla carne. Sessualità e follia La sessualità consente l'annullamento di sè nell'unione con l'altro. È anche l'espressione di sè (o l'affermazione di sè) nell'estendersi e dilatarsi nell'altro. Appartiente alla dimensione folle dell'individuo cioè quella in cui si perde il senso dello spazio e del tempo e la realtà endopsichica si confonde fino a svanire in un atto in cui la coscienza non esiste più e l'individuo vive in uno stato di beatitudine primordiale estatica, quella che conferisce un senso magico o mistico alla esperienza vissuta. Platone lo dice: la sessualità appartiene all'enigma e l'enigma alla follia. E la follia è un'espressione dell'anima. Nel Fedro: "i beni più grandi ci vengono dalla follia data per dono divino"; "la follia proveniente dal dio è assai più bella della saggezza umana". Ma nel suo aspetto enigmatico, follia presagisce anche la morte. L'annullamento significa vuoto e abisso: è l'intervallo che sta tra l'umano e il divino, proprio quello in cui imperversa la violenza, il crimine, ed ogni proiezione di ciò che l'uomo non sa collocare dentro di sè, quando egli non ha in dono nè verità nè conspevolezza, nè capacità di distinguere sè (non ha identità) dall'altro (è troppo confuso!). Per superare lo stato di fatale smarrimento che caratterizza questo luogo psichico, c'è una sola via d'uscita: un atto di possesso. Divino o demonico che sia è un atto che sconvolge l'ordine e frantuma le regole (nel bene o nel male). Nel gioco delle
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passioni e degli istinti, nella irruzione delle forze incontrollabili e dell'angoscia, avviene il collasso della ragione ed esplode il totale disordine con l'annullamento dell'Io. È il dio Pan che subentra nel gioco cieco dell'istinto, cadenzando il ritmo della sessualità in una danza tragica in cui piacere e morte sono la stessa cosa. Nella criminosa follia sessuale l'uomo è preda del suo demone devastante che chiede un sacrificio. Nel crimine, come in ogni forma di violenza, vi è l'incapacità di riconoscere la differenza: non si discrimina fra "me" e "fuori di me", fra "Io" e "Tu", fra bene e male, tra norma e divieto, tra sacro e profano. Anima E' stato scritto molto su Anima. Sintetizzo i significati che Jung attribusice a questo termine:E' tutto ciò con cui l'uomo deve confrontarsi. Collega tutte le tensioni della nostra società per quanto riguarda i sentimenti, femminilità, eros, anima, fantasia. - Aspetto controsessuale della psiche maschile. - Immagine o archetipo di tutte le esperienze dell'uomo con la donna. - Immagine della totalità. - Energia di ciò che è pesante e torbido e si abbarbica al cuore corporeo carnale. I suoi effetti sono desideri sensuali ed impeti di collera. - Corrisponde all'eros materno. Il giovane che cresce deve liberarsi dalla fascinazione dell'Anima esercitata dalla madre. - Anima ha carattere erotico ed emotivo; ciò che dicono gli uomini dell'erotismo femminile deriva in gran parte dalla proiezione della loro anima e risulta pertanto distorto. - E' senso mistico della storia (l'Anima si protende all'indietro). - E' rivolta all'interno e nelle profondità (caverne, abissi, tombe...). - Porta la morte. La morte abita nell'Anima. - E' fattore psichico della natura. - E' psiche. - Ciò che l'Anima tocca diviene numinoso, pericoloso, magico, soggetto a tabù. - L'Anima attraverso l'integrazione diventa l'Eros della coscienza. - E' archetipo del femminile. - Anima, in quanto psicopompo, conduce a Dio e assicura l'immortalità . - E' la portatrice primordiale della vita. Ovvero è l'archetipo della vita stessa. - Anima è anima (come soffio vitale). - E' personificazione dell'inconscio. - Rappresenta l'inconscio collettivo. - E' lo strumento attraverso il quale tutto diventa psichico. - E' il Daimon personale dei Greci che non si riferiva alle funzioni della coscienza (pensiero, volontà, percezione, etc..), ma alla forza
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profonda e indefinibile che sta dietro le funzioni coscienti della vita. - E' mediatrice dell'ignoto (psicopompo). - E' qualcosa che ha vita propria e fa vivere. Hillman evidenzia, attraverso l'analisi dei fenomeni di depersonalizzazione (disturbo di rapporto tra l'Io e il Mondo) e di follia (impossibilità di rapporto con il Mondo o uscita dalla realtà del Mondo), come è l'Anima che permette di fornire il nesso tra l'uomo ed il mondo e tra l'uomo e la propria soggettività interiore: l'uomo trae la sua personalità di uomo, la coscienza di sè, in primo luogo dall'influenza di archetipi a carattere personale. È l'Anima, come archetipo, che rende possibile l'esperienza intesa come personale. L'assenza di Anima ci pone di fronte alle insondabili profondità dell'Anima: l'abisso. Scompare la possibilità di connessione attraverso le rappresentazioni personificate. È attraverso Anima che i sistemi autonomi della psiche vengono esperiti come personali. Senza di lei la profondità diviene vuoto. Poichè Anima è anche inconscio collettivo, nella sua assenza anche il mondo esterno appare privo di profondità e perde ogni prospettiva. È fin da Platone che si parla anche di "Anima Mundi". Il processo di maturazione ed evoluzione della persona depotenzia le forze demoniche della vita. È un processo che passa sempre attraverso il sacrificio che, in qualche modo si esprime, è il collegamento degli eventi umani personali con il loro sfondo divino impersonale. Significa scorgere l'archetipo dell'Anima. Ed ancora su Anima: i suoi significati sono legati alle epoche storiche ed alle produzioni linguistiche. Per Aristotele, conoscere l'anima contribuisce a schiudere l'accesso all'intero essere, pertanto: - E' salvezza e verità. - E' respiro che dando vita si avvicina più di ogni altra cosa alla morte. - E' ombra (dalla tradizione omerica appartiene alla corporeità e al mondo dei morti). È memoria (il non più morire): oltrepassa la caducità del tempo. - Consente la tradizione orale e il senso dell'individualità (è la possessione di Anima come memoria che sottrae i poeti al tempo). Anima come demone (o daimon): chi scendeva nell'Ade doveva bere nel Lete (oblio) per dimenticare la vita umana e nel Mnemosyne (memoria) per ricordare ciò che avrebbe visto nell'aldilà. Solo così la conoscenza non si sarebbe dilatata al passato e al futuro, Lete e Mnemosyne consentono di spiegare i riti appartenenti alla religione orfica
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(o dei Misteri) in cui Anima è principio divino (Daimon) caduto in un corpo per una colpa originaria e destinato a reincarnarsi fino a totale purificazione. Il soma diviene soltanto il suo involucro-prigione. L'anima poetica è diretta alla conoscenza. L'anima orfica alla salvezza. Entrambre cercano di oltrepassare la situazione presente avvertita come limite in un processo di trascendenza (superare il tempo). In Platone l'Anima non ha alcuna continuità nel tempo, quando taglia i legami con il corpo, non è per raggiungere unità con i suoi aspetti psichici. Lo fa per esprimersi in puro pensiero. Nietzsche: anima è l'unico mezzo per partecipare al privilegio dei morti: quello di non più morire. Anche in questo caso si parla di trascendenza. Stupro Il problema dello stupro può essere approcciato attraverso numerose ottiche. Il mio sforzo tende alla prospettiva archetipica e sacrificale. L'archetipo regola i movimenti endopsichici ed il sacrifico ti incanala entro una via iniziatica, di liberazione, in un tentativo di individuazione. Lo so che molti possono restare perplessi di fronte a questa affermazione. Accettatelo almeno come linguaggio che tenta di spiegare le dinamiche oscure di fatti che hanno radici nella non-coscienza e nell'ambiguità. Si tenta qui di dare un apporto alla consapevolezza, ovvero di "fare logos", per percorrere un cammino che procede dal buio verso qualche luce. (Ricordo che gli archetipi sono immagini primordiali, gli elementi che strutturano l'inconscio collettivo. Essi sono le forme immaginifiche degli istinti, perchè l'inconscio si manifesta alla coscienza anche con immagini che, come nei sogni, mettono in moto il processo di elaborazione cosciente). Stupro è il sacrificio dell'Anima. È impulso sacrificale espresso nelle forme più sadiche. È l'espressione dell'impossibilità di integrazione degli aspetti ambigui che il maschio stupratore porta dentro. I due poli dell'ambiguità sono rappresentati dalle due dimensioni "Anima devastatrice-divorante" (o Grande Madre terribile o inconscio abitato da potenze daimoniche) e l'ombra buia di sé, serpentina, del proprio maschile. L'Io male si destreggia su queste linee,
ed il suo rapporto con il femminile è inquietante in quanto accompagnato dalla paura della castrazione. Accanto allo stupratore va vista una donna che ha lasciato tracce di sé molto frustranti nel mondo emozionale profondo di lui: in genere la madre. Le sue esperienze di vita lo hanno fatto convivere con aspetti Anima terribili ed insopportabili. Sua moglie spesso è scarsamente sessuata: apparentemente remissiva (con tendenze masochiste e passive), in realtà è fredda e frustrante. Per il compagno è una minaccia continua alla sua maschilità, già vacillante per la paura inconscia dellla castrazione. La partner spesso prolunga il rapporto aggressivo che egli ha avuto con la madre. Lo stupro diviene un tentativo di sottomettere la madre seduttiva e rifiutante, spostando l'ira accumulata su un capro espiatorio debole. Nel suo inconscio, per quanto seduttiva possa sembrare la donna, tuttavia è un'alleata delle tigri istintuali che minacciano di divorarlo. Lo stupratore non possiede il senso della sua mascolinità. Egli lo conquista con un atto di potere che passivizza la vittima finanche alla morte. Nella sua storia personale c'è da aspettarsi un trauma sessuale prepuberale. Ha tendenze omosessuali rimosse (scarsa identità maschile) e la sua sessualità è spesso perversa. Il più delle volte è un soggetto socialmente tranquillo, ma mai del tutto ben adattato. Incapace di sperimentare eccitazione sessuale senza violenza, ha bisogno di fantasie ossessive e molto colorite. L'atto sessuale per lui è insoddisfacente, perchè non risponde alle sue fantasie e quindi non lo libera dalle tensioni che egli lega alla sessualità, ma in realtà sono frutto di aggressività repressa. L'assalto sessuale è determinato da questioni psicologiche interne all'aggressore, più che da fattori esterni situazioni ambientali... Ogni caso clinico ha alle sue spalle una storia multideterminata ma tutte sono riconducibili alla confluenza archetipica (non razionale quindi) della sessualità e della aggressiva volontà di potenza (Te Paske 1987). Preciso che è un fatto storico-culturale mettere l'accento su l'uno o l'altro aspetto. La sessualità "consenziente" nello stupratore non produce alcuna forma di piacere; gli determina uno stato emozionale misto di ansia, rabbia e depressione, che incidono negativamente sul comportamento
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sessuale, producendo in genere o una disfunzione erettiva (fino all'impotenza totale) o una disfunzione eiaculatora (talvolta precoce, ma molto più spesso ritardata). La presenza di queste disfunzioni anche nello stupro stesso giustifica il fatto che spesso non si trovano tracce di sperma sulla o nella vittima. Lo stupratore ha scarsa capacità di riflessione (ricordo che è la capacità su cui si basano tutte le tendenze culturali ed ha come prodotto per eccellenza la condotta etica) e prova disagio di fronte ai sentimenti. Tende alla negazione ed è emotivamente povero. Le forze del suo inconscio sono molto forti e sovrastano il potere della coscienza. Lo stupro, per crudele che sia è una via entro la psiche lungo la quale può emergere l'aspetto numinoso del rimosso (Te Paske 1987). Ricollego quest'affermazione a ciò che ho detto nel paragrafo Sessualità e follia a proposito di "luogo psichico", che rappresenta l'intervallo che sta tra umano e divino in cui l'umano collude con il divino ed è anche il luogo-momento in cui l'esperienza dei misteri tocca il profondo della sessualità ed il sacro e l'osceno stanno in equilibrio sul filo del rasoio dove il più sublime può essere ridotto a ciò che è più infimo. Il rimosso dello stupratore è il terrore del femminile, insito nell'esperienza dell'archetipo della Anima-Madre terribile, che abraccia insieme vita e morte ed è la totalità del suo inconscio. Uccidere la donna è un'immersione nel sangue della Madre terribile. Il meccanismo della negazione serve a far silenzio sul proprio terrore e a mantenere il rimosso quanto più lontano possibile dai lumi della ragione. In verità egli non ha gli strumenti per affrontare se stesso. Ripensando un attimo alla storia e alle immagini femminili tanto negative proposte dai maschi, se definiamo stupratore colui che, in preda all'Anima nera archetipica, agisce l'impulso distruttivo contro la donna, come possiamo, allora, chiamare tutti coloro che lo hanno fatto in maniera più raffinata, senza colpire il corpo (per quel che possiamo sapere), bensì usando l'intelletto, la parola e quindi la cultura? (Tertulliano: "Donna sei la porta di ingresso del demonio"; Sant'Agostino: "Inter faeces et urina nascimus"; Linneo non studiò i genitali femminili perchè giudicati abominevoli;
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etc.). In fondo sono tutte dissacrazioni del femminile di cui gli uomini hanno paura e pertanto lo svalutano o lo annullano. L'immagine paurosa dell'archetipo della Madre Terribile la si ritrova nelle culture di molti popoli: ad esempio in India nella rappresentazione della dea Kalì, che naviga in una barca su un fiume di sangue, adorna di teschi. Essa è la furia della creatività e fustiga le creature obbligandole a procreare attraverso la vita e la morte. Lo stupratore Charles Manson è un prigioniero dell'archetipo: egli afferma "Viviamo dentro il pensiero di una donna", frase che rende l'idea dell'invasività dell'archetipo. Nello stupro l'asserzione della propria mascolinità serve a contrapporsi all'archetipo invasivo. All'origine l'inconscio del maschio è femminile come quello della madre. Affermare se stesso significa ergersi contro di lei. Il comportamento eccessivo, prevaricante e violento contro la donna, nasce solo dal bisogno di togliersela da dentro. Il maschile tende all'esclusività, ad una posizione aerea, solare, luminosa del mondo degli archetipi. Non gli sta bene il mondo ctonio, oscuro quello matriarcale delle origini. Di questo egli deve liberarsi, per potersi differenziare. In alto c'è lo spirito in basso c'è l'istinto. Lo stupro è espressione del conflitto tra le forze dell'Olimpo (spirito-potere-intelletto) e del Tartaro (mondo sotterraneo degli abissi dell'inconscio, in cui dominano Pan, Dioniso e Ade). Stupro e tentativo di liberare la propria individualità mettendo insieme erotismo e potenza. In esso parlare di archetipo maschile significa descrivere uno spirito di maschio terribile, caratterizzato da forme rudimentali di eros, da una natura bruta e guerriera come quella di Marte iroso e prepotente, e nel quale il Logos, che libera dal peccato dell'incoscienza, è primitivo o addirittura inesistente. La paura di "non potere" lo fa vivere nella ambivalenza. Il suo Io non cresce con il supporto di Amore ed allora l'Odio diventa l'elemento forte per salvaguardare il suo Io. Ma l'Odio travolge e trascina nel caos infernale e in questo caos conflittuale è più facile placare la tensione con l'agire, ovvero lasciare che la violenza abbia funzione trascendente che permette di riunificare il tutto, dando un senso a quanto appartiene alla confusione del proprio caos per uscirne. Tutto ciò richiede l'attesa e la pulsione folle non sa aspettare.
Paola Volpe Logos Ciò che è razionale non è nella natura, bensì in ciò che si può esprimere con il linguaggio o anche con il simbolo, ma a rischio dell'ambiguità e dell'equivoco. L'Anima psichica spinge verso l'ambivalenza e non è capace da sola di conquistare un'identità concettuale. È anche vero che da natura e anima psichica si può procedere verso quel quid di razionale, solo narrando l'intero cammino. Nella narrazione è il linguaggio che toglie ogni ambivalenza e dà il senso a tutto il percorso e consente a quanto è chiuso e appartiene all'indivduale di espandersi in qualcosa di transpersonale: la verità? La memoria? Ovvero la rivelazione di ciò che è, che è sempre, ed è incorruttibile. Galimberti: Ragione e follia si ripropongono sullo scenario delle Verità e dell'Errore, dove verità è la capacità di cogliere l'uno dalla dispersione del molteplice, e l'errore è nell'errare tra le figure che lo spettacolo delle cose del mondo offre come scene di isolate fascinazioni. Sul registro della ragione e quello della follia, l'anima vivrà la sua doppia natura di raccoglimento nel mondo delle idee e di dispersione tra le immagini che il mondo non cessa di offrire: vita diurna e vita notturna (Galimberti 1987).
vette della luce.
Bibliografia e Note Andreoli V., La violenza, Rizzoli, Milano 1993; Cazeneuve J., Sociologia del Rito, Il Saggiatore, Milano 1996; Corbin A., La violenza sessuale nella storia, Laterza, Roma-Bari 1992; Eibl – Eibesfeldt, Amore e odio, Adelphi, Milano 1971; Eliade M., Il mito dell'eterno ritorno, Borla, Roma 1968; Galimberti U., Gli equioci dell'anima, Feltrinelli, Milano, 1987; Galimberti U., Orme del sacro, Feltrinelli, Milano, 2000. Paola Volpe: Biologa, psicologa, psicoterapeuta con specializzazione in sessuologia clinica. Ha diretto ed organizzato per dodici anni le conferenze de "Il Cenacolo, Cerchio di Psicologia Archetipica", con cui ha pubblicato articoli professionali. Insegna presso la scuola di specializzazione Atanor. Vive e lavora a Pescara.
Non tutti gli uomini (e tutti operano con la ragione) capiscono il Logos. È nella psiche di tutti. È l'espressione dell'emancipazione dell'anima dal corpo e dalle sue passioni. Solo grazie al Logos l'anima assurge all'altezza di verità e tanto più questa esprime da sola la verità di tutti, tanto più essa (l'anima) si solleva, slegandosi dai lacci del corpo (i suoi bisogni, desideri, passioni) ricongiungendosi ad un principio unificatore, divino. Il corpo che reclama necessità, vive le sue tensioni, si abbandona alle sue follie, spinge verso Ade, dove albergano le oscure profondità dell'Anima, nel dominio delle ombre e non dei lògoi spermaticoi, come principi generandi, creativi, propulsivi, espansivi. Chi stupra non si pone in rapporto con il proprio logos, né è capace di interiorità. Ha un'anima che non fronteggia mai sè stessa ed esige appagamenti immediati, lei famelica, inglobante, distruttiva, incapace di assumere quelle misure che la rendono, dal suo profondo, sensibile e aperta fino ad estendersi alle
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DSM CIN -que- EMA i film che spiegano la psiche di Max Lanzaro
Quando mi è stato comunicato che sarebbe stata necessaria la mia disponibilità a svolgere un supplemento di 'lavoro' se avessi avuto volontà di redigere la recensione del libro di Massimo Lanzaro, mi ha trasportato il titolo del libro “DSM Cin -que- ema”. Il confronto quotidiano con gli stati alterati della psiche sovente richiede un supporto che possa sortire una sistematizzazione 'logica' di quanto si presenta dinanzi agli occhi degli addetti ai lavori. Lo psichiatra Lanzaro riesce magistralmente a coniugare la descrizione scientifica delle patologie mentali dettate dalla nosografia e dagli assi della 'Bibbia Psichiatrica', con l'arte per eccellenza: il cinema. L' autore affronta il dualismo presente nell'arte cinematografica, che fluisce completamente nel mare magnum della psyché, abbracciando temi che riguardano sì temi psichiatrici, ma pur sempre il campo relazionale e la sfera emotiva dell'individuo che attraversa le difficoltà presentate dalla perdita di equilibrio tra forze inconsce e realtà. Il cinema presta la sua opera geniale a fini di levatura pregiata, definendosi come il teatro entro cui si muovono personaggi che rappresentano ogni individuo che decide di agire nella quotidianità. L'atmosfera da me vissuta durante lo scorrimento della lettura, mi ha condotto a vivere non una analisi critica e dettagliata, bensì una riflessione che lasciasse spazio alla risonanza emotiva che tale binomio (cinema & psichiatria) produce: leggere di Disturbi della Personalità, della Psicosi, della Depressione e degli stravolgimenti che avvengono a livello globale, aventi riflessi sulle vite individuali, attraverso il linguaggio metaforico del cinema, permette di intraprendere un processo che renda possibile un punto di vista diverso rispetto al mero sguardo psichiatrico. Nel contempo ovviamente non si può non tenere conto di analisi che mostrano un filo conduttore dominante: nel limite vive e si nutre uno spazio che sortisce l'ascolto di antri profondi della psiche. Gli antri profondi sono le valli sterminate ove si incontra Anima; anche il suo opposto, perché Animus, ponendosi da contrario, mostra entrambi i lati della luna, come suonano e cantano i Pink Floyd in 'Dark Side of the moon'. Certamente la discussione intorno ai Disturbi di personalità richiederebbe altro spazio – non certamente in queste poche righe di una recensione -; nel contempo leggendo quanto scritto dall'autore del libro, Dott. Lanzaro, si evince quanto sia necessaria una disamina che comprenda più la totalità dell'individuo che il mero sintomo che si mostra. Ciò lascia intendere l'autore quando recensisce il film 'Lei' di Spike Jonze. È negli stati liminali che il soggetto accede nelle profondità della psiche con estrema semplicità e potrebbe rimanerne schiacciato se non v'è una tempestiva presa in carico di chi si occupa della Psyché. Nel limite c'è l'Arte; l'istantanea ebbrezza di una folata di vento che richiede d'essere presa in carico ed espressa, non taciuta dietro ad un mero utilizzo di farmaci che risponde al famoso comparaggio di cui lo psichiatra parla nelle pagine conclusive della prima parte. Il pericolo dominante la società massificata ove si percepisce l'assenza di punti di riferimento, genera la voracità istintuale di forze che, imponendosi con autoritarismo, rendono lecita l'irrealtà futile, traslando la realtà facendola divenire illusoria. Tanto l'autoritarismo quanto il facile accesso alla dimensione irreale, generano la confusione che - non arginata - sfocia nella 'follia'. L'accesso difficile al soddisfacimento dei bisogni primari, nonché la continua messa in discussione dei
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L'Anima Fa Libro
diritti civili, conducono ad una costante perdita del 'centro' che finisce con l'acutizzarsi laddove non v'è consapevolezza che ciò sta accadendo. Quel centro generante e modellante l'individuo che si muove nella società non più sociale, è rintracciante nella figura di Zoran, rappresentante tipo della sindrome di Asperger: non spetta a me fare digressioni sull'eziologia (ignota) della patologia(???); nel contempo ci si rende conto di come ogni stato che presiede ad una grande intelligenza, in un determinato campo, ha di per sé una componente che conduce a ritenere un piccolo seme di Asperger. Quanto affermato è formulato da me, e nasce dalla convinzione che ognuno di noi mostra stereotipie e comportamenti evitanti in riferimento alla sfera emotiva e relazionale. In fin dei conti, lo stesso Lanzaro scrive che il centro è Altrove, non dove si pensa sia, ovvero nei posti solitamente frequentati. Il confine: esploriamolo e dialoghiamo con questo, che se tenuto in considerazione come individuo e non come 'affetto da patologia', risponderebbe mostrandosi al mondo. Siamo un po' tutti al limite. Il limite viene marcato dinanzi alla morte: la morte vuole l'elaborazione del lutto; questa attraversa fasi che vanno dalla rabbia alla consapevolezza. Il lutto ideologico, simbolico, oggi, si connota come fortemente invalidante in contesti ove permangono forti tensioni sociali e mancata inclusione sociale. Ovviamente il lutto collegato alla perdita di una persona cara, o l'acutizzarsi di una situazione di salute precaria e degenerativa, hanno la pervasività maggiore: anche in questo il cinema riesce ad essere una Maestra, l'Arte che meglio riesce ad unire il tragico con spaccati di ironia che riempiono le speranze di chi affronta un sentiero irto di ostacoli e di chi ha cura di soggetti a rischio. Colpisce favorevolmente – sono di parte come disabile affetto da malattia genetica degenerativa – il pensiero dello psichiatra Lanzaro, quando scrive un articolo riferito al capolavoro di Ozpetek ALLACCIATE LE CINTURE “Orbene non è che Ozpetek ha “inventato” e descritto una fase ulteriore, quella della sublimazione ironica post-accettazione, fatta di forza, garbo e delicatezza, ma nei suoi dialoghi ci va molto, molto vicino. Credo che anche in questo risieda la forza del film: riesce a sdoganare con eleganza e tatto classici argomenti ostici, mescolando sapientemente lacrime e risate. Un pò si vede che gli attori si erano concentrati principalmente sulla parte drammatica, al punto che quella iniziale un po’ ne risente.” Argomenti come la depressione sono spesso oggetto delle attenzioni dei cineasti, registi e produttori: maestro in questo è il grande ironista ebreo americano Woody Allen: nella sua monumentale opera BLUE JASMINE, è evidente l'illusione che attraversa come un sibilo la protagonista Blanchett: dalla ricchezza alla povertà assoluta che provoca la perdita di ogni diritto sociale, pena l'esclusione. Perdita d'interessi, anche di quelli vitali collegati alla sfera delle competenze dell'individuo etc. Limite che diventa foriero di grandezze luminose quando il tragico rende consapevoli che non v'è necessità di combattere, perché combattendo si finisce col perdurare nel proprio stato. Ecco perché il contatto con l'inconscio collettivo permette trasformazioni che la battaglia, nel suono assordante delle esplosioni, non permette: la battaglia necessità di silenzio e solerte impegno ascetico, non ruminazione (OLD BOY, e appunto BLUE JASMINE). Varcare la soglia dell'inconscio collettivo (IL SIGNORE DEGLI ANELLI, LA CITTA' INCANTATA) sortisce trasformazione non conforto. Ciò che imprigiona l'individuo nel suo percorso di liberazione è la comunicazione e la fruizione dei social media, deformanti l'individuo e i suoi costumi di vita: dall'ideologia alla dipendenza di qualsivoglia tipologia. Concludo affermando che ogni categorizzazione - seppur conducente a definizione – finisce col creare Golem che spesso si risolvono nell'implosione stessa del Golem e di chi lo ha creato. La libertà vuole un processo di trasformazione che attraversi, consapevolmente, i territori liminali della reale irrealtà. Alfredo Vernacotola
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Paul Klee, Wildwasser,1934
Come si sono incontrati Riccardo Bernardini ed Eranos? Si sono incontrati attraverso una congiunzione di cause più o meno fortuite. Ero ancora uno studente, alla ricerca di un tema per la mia tesi di laurea in psicologia. Ero al corrente di un legame di Carl Gustav Jung con Ascona, del suo rapporto con Otto Gross e con Monte Verità. Conobbi una persona, forse l’ultima “superstite” di questa pionieristica comunità vegetabilista, anarchica, riformatrice della vita e dei saperi nata a inizio Novecento. Tramite lei seppi dell’esistenza di Eranos, che scoprii così, come un luogo appartato, silenzioso e quasi nascosto, alle pendici di Monte Verità. Andando avanti nello studio, la mia tesi prese la forma di una ricerca storiografica sui collegamenti tra l’esperienza di Monte Verità, che finì ufficialmente nel 1920 (almeno nella sua forma di sanatorio), e quella di Eranos, che fu avviata tredici anni dopo. L'esperienza di Monte Verità e il progetto Eranos sono storicamente collegati? Le mie ricerche mi hanno portato a ritenere che non vi siano sono legami diretti. Al di là dell’arrivo ad Ascona di Olga Fröbe-Kapteyn – la fondatrice di Eranos – proprio come ospite del sanatorio di Monte Verità, nel 1919-1920, si trattò, piuttosto, di un successivo scambio di esperienze e di frequentazioni. Qualcuno ha parlato anche di una particolare “sensibilità ambientale”, o “archetipica”, legata al luogo in cui sorsero entrambe le esperienze (insieme ad altre). Si trattò, in ogni caso, di due progetti radicalmente differenti e relativamente indipendenti. Oggi pomeriggio terrà, insieme a Bernardo Nante, una conferenza sul tema “Dagli Archivi di Eranos: Cura e trasformazione di sé nelle Visioni di Olga Fröbe-Kapteyn”. Cosa ci può dire della relazione tra Olga Fröbe-Kapteyn e Carl Gustav Jung? Tra Olga Fröbe-Kapteyn e Carl Gustav Jung vi fu una relazione incredibilmente fruttuosa, che durò dal 1930, anno del loro primo incontro, al 1961, anno della scomparsa di Jung. Il loro rapporto, che non ebbe
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pressoché senza alcuna interruzione, è testimoniato da un numero importante di lettere. Lei si rivolse a Jung sia per problematiche riguardanti il suo progetto culturale, Eranos, sia per aspetti finanziari (ricordiamo che Jung sostenne personalmente Eranos o si fece tramite affinché altri facessero altrettanto), sia per questioni psicologiche – di cui le sue Visioni, appunto, sono una testimonianza straordinaria. Sebbene non vi sia mai stata una vera e propria analisi tra Olga Fröbe-Kapteyn e Jung, lei si rivolse costantemente a lui per chiedergli consiglio rispetto ai propri sogni e problematiche interiori. Non è chiaro se all’inizio Fröbe-Kapteyn avesse desiderato iniziare una analisi con Jung, ma lui lo negò, dopo aver visto alcuni disegni che li riguardavano. La storiografia deve comunque ancora far luce su questo aspetto. Lei sostenne in alcune occasioni di avere portato avanti l’impresa di Eranos da sola, senza l’aiuto di nessuno. Le sue vicine di casa, Alwine von Keller e Emma von Pelet, furono per lei delle amiche e consigliere, con cui condivise pensieri, sogni e interpretazioni. Olga Fröbe-Kapteyn intraprese successivamente un percorso analitico con Erich Neumann, l’allievo berlinese di Jung, e con Leopold Szondi, lo psichiatra ungherese che fondò l’“analisi del destino”.
Paul Klee, To the Parnassus,1932
I Diari analitici di Emma von Pelet sono in corso di pubblicazione. Cosa ci può dire di lei? Emma von Pelet fa parte di queste donne di grande erudizione e di spiccati interessi spirituali (spesso volti a Oriente, ma non solo), provenienti da famiglie importanti, le quali sentirono il bisogno di un lavoro interiore e, per questo, si identificarono con la psicologia analitica di Jung. Emma von Pelet si trasferì nel 1937 in Casa Shanti (la terza casa che è stata della Fondazione, insieme a Casa Gabriella, l’abitazione di Olga Fröbe-Kapteyn, e Casa Eranos, dove è situata la Sala Conferenze in cui ci troviamo adesso) e fu raggiunta quello stesso anno dall’amica Alwine von Keller. Entrambe lavorarono analiticamente con Jung sia a Küsnacht sia a Eranos. Abbiamo una documentazione importantissima e dettagliata della relazione analitica tra queste due donne e Jung, le quali raccolsero per moltissimi anni i loro sogni, spesso trasponendoli in dipinti, e le tracce della loro analisi con Jung. Entrambi i loro diari sono ora in corso di preparazione alla pubblicazione per la Fondazione Eranos. Che tipo di “Jung analista” troviamo nei diari di Emma von Pelet? La mia impressione è che Jung fosse, spesso, molto poco interpretativo (ma questo lo si sapeva già), molto “ermeneutico” (nel senso di apertura all’indeterminazione del simbolo) e con una grande enfasi data all’amplificazione. Nelle fasi avanzate dell’analisi troviamo uno Jung quasi “sciamanico”, che non
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affronta soltanto la dimensione individuale, talora quasi trascurata, ma che riconosce nei sogni dei significati culturali, “epocali” e “umani” nel senso più ampio della parola: il suo interesse è, spesso, la problematica culturale, di cui il paziente è un riflesso. Jung è attento ai diversi piani interpretativi del sogno? Era consapevole che ogni sogno rimanda sempre a più livelli e che il livello individuale fosse strettamente legato a quello collettivo. Sapeva scegliere quale tipo di lettura dare sulla base dello stadio dell’analisi raggiunto dal paziente. Lui stesso ammetteva che, nel corso dell’analisi, i sogni dei pazienti, man mano che questi si “approssimano” al Sé – dove individuale e collettivo, singolare e universale convergono –, parlano meno del piano personale e più del piano genericamente “umano”.
Paul Klee, Fire at full moon,1933
Abbiamo saputo che sta approfondendo il seminario di Jung sui “miti solari” e Opicino de Canistris, il sacerdote e cartografo pavese, tenuto proprio qui a Eranos, nel 1943. Cosa ci può dire a riguardo? Questo piccolo frammento della produzione junghiana dovrebbe essere pubblicato proprio in questi giorni. È un lavoro iniziato nel 2006 e che quindi ha ormai otto anni di storia. In questa pubblicazione, resa possibile dal sostegno della Fondazione Eranos e della Fondazione delle Opere di C.G. Jung (oltre che dal supporto dell’Associazione per la Ricerca in Psicologia Analitica), troviamo lo Jung più vivo e vitale. Uno Jung molto poco accademico, che ama tenere lezioni in maniera improvvisata, spesso ispirato da altre conferenze. Uno Jung che, pur non avendo fatto in tempo a preparare una conferenza per il simposio, decide di arrivare comunque ad Ascona come semplice ascoltatore. Uno Jung che, “spronato” dai partecipanti, si fa convincere a tenere un discorso “a braccio” in chiusura del convegno. Secondo i partecipanti, tra i quali molti allievi, si trattò dell’incontro di Eranos più bello tenuto fino a quel momento. Jung fu molto interattivo, spiritoso e tagliente, e infatti lui amava molto scherzare e fare battute. Parlava talora di amplificazione in amplificazione, rischiando talvolta di far perdere il filo della conversazione, ma arricchendo in questo modo incredibilmente il suo discorso. Questo seminario testimonia anche l’atmosfera che si creava durante i simposi di Eranos, e cioè la percezione di essere quasi “sotto il potere” di una qualche forza, forse presi da una qualche “magia”, tale da portare quasi a un senso quasi di
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svenimento, certamente qualcosa di straordinario e insolito. Ne parlarono molti relatori, alcuni dei quali anche diffidenti o insofferenti rispetto all’impostazione junghiana. Aniela Jaffé, sua segretaria e poi allieva, disse che a Eranos loro, come allievi, ebbero gli insegnamenti di psicologia più vivaci e brillanti che avessero mai ricevuto. C'è differenza tra lo Jung di Zurigo e lo Jung di Eranos? Tra il Club Psicologico di Zurigo e il circolo di Eranos vi furono, almeno all’inizio, un po’ di gelosie e di rivalità. Rispetto a Jung, potremmo dire che esista uno Jung più “clinico”, quello di Zurigo, e uno Jung più “psicologo della storia e della cultura”, quello di Eranos. Evidentemente, in tutti i casi, la riflessione culturale rimane in Jung sempre fondata nell’esperienza (empiria) clinica e, ancor prima, personale. Il suo coinvolgimento con Eranos corrisponde comunque all’idea di sviluppare una psicologia complessa, ovvero una psicologia generale che non si limitasse a coltivare una idea di una praxis strettamente clinica, ma che fosse capace, allo stesso tempo, di riflettere sulla cultura e sulla storia, anche attraverso il dialogo con discipline differenti. Quindi il progetto di psicologia complessa di Jung e il progetto di Olga FröbeKapteyn, nati in due momenti e contesti diversi, si incontrano qui in maniera particolarmente fruttuosa, dando vita a un sodalizio durò per circa vent’anni. Come procede oggi il progetto di psicologia complessa? Non particolarmente bene, mi sembra di poter dire. Dopo Jung nessuno ebbe il coraggio – l’interesse, l’ambizione, la capacità – di portarlo avanti. Come ha messo in luce la storiografia più recente, anche il C.G. Jung-Institut, già dalla sua fondazione, si distanziò per volontà della maggior parte degli allievi di Jung dal progetto che invece quest’ultimo aveva in mente, e cioè quello di una psicologia complessa, influenzando in questo modo tutto il successivo sviluppo della psicologia analitica per come ancora oggi la conosciamo. Vorremmo concludere questa intervista ricordando qualche aneddoto che riguardi Jung ad Eranos. Durante i convegni, Jung era solito sedersi sul piccolo muretto antistante la Sala Eranos e commentava, da un punto di vista psicologico, le conferenze appena ascoltate. In questi momenti, Jung era attorniato dal gruppo delle sue allieve, chiamato ironicamente Jung-Frauen – da un gioco di parole sul tedesco Jungfrau, “vergine”. Quando Jung era ad Ascona con la moglie e soggiornava al piano superiore di Casa Eranos, nell’appartamento messogli a disposizione da Olga Fröbe-Kapteyn dal 1940, ogni mattina alle sette in punto si sentiva un tuffo nel lago: era lui che nuotava. Una sua ammiratrice non mancava mai all’appuntamento quotidiano e nuotava così insieme a lui. Come racconta Mircea Eliade nei suoi ricordi di Eranos, lei diceva che nuotare insieme a Jung le dava l’impressione di nuotare nell’inconscio collettivo…
Paul Klee, Insula dulcamara,1938
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Silvano Tagliagambe ha insegnato filosofia della scienza presso le Università di _____________________________________________________________________________________ Cagliari, Pisa, Roma "La Sapienza" e Sassari. Attualmente è direttore scientifico del progetto "Scuola digitale" della regione Sardegna. Nelle edizioni Raffaello Cortina _____________________________________________________________________________________ ha pubblicato il Sogno di Dostoevskij. Come la mente emerge dal cervello (2002). _____________________________________________________________________________________
Angelo Malinconico, psichiatra, criminologo e psicologo analista, è membro didatta dell'AIPA e membro ordinario della IAPP. Insegna materie psichiatriche e _____________________________________________________________________________________ psicologiche presso le Università Cattolica e Statale del Molise. Tra i suoi lavori recenti, la cura del volume Psicosi e psiconauti. Polifonia per Ofelia (Roma 2010). _____________________________________________________________________________________ _____________________________________________________________________________________ www.animafaarte.it
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