COME TI VIENE IN MENTE DI FARE GRAFFITI?
LO SPRAY NON FA DELLA PERSONA CHE LO USA UN WRITER
IL WRITING È UN FENOMENO CULTURALE E NON LO SI INSEGNA, LO SI VIVE. ABBIAMO PRODOTTO QUESTO LIBRETTO AL FINE DI OFFRIRE DEL MATERIALE CHE CONSENTA ALLE PERSONE DI AVVICINARSI A QUESTO FENOMENO E COMPRENDERLO. Prodotto da Alessandro DEVA Barbieri in collaborazione con Alessandro Mininno.
Stampato giovedì 23 Aprile 2009
ART ON THE SUBWAY
Di Alessandro Mininno 4
INTRODUZIONE It’s not even called graffiti…
La parola “graffiti” viene dal greco “graphein”, che significa scrivere. Il significato corrente di questa parola (italiana) usata in tutto il mondo è quello di “scritture su un muro antico”, “disegno o scrittura incisa su muro o altre superfici”, con un evidente riferimento alle pitture rupestri che risalgono alla preistoria. Questa parola non è mai stata usata dai writers: fin dal principio essi si definivano, semplicemente, “writers” e definivano la loro attività “writing”. Ciò che essi fanno, infatti, consiste nell’elaborare la scrittura, in modo da raggiungere uno stile originale nella forma delle lettere. “First of all it’s not even called graffiti, it’s writing. Graffiti is some social term that was developed (for the culture) some where in the 70’s.” (IZ THE WIZ) Furono i media a chiamare il writing “graffiti”, in senso dispregiativo: questa parola era adatta ad esprimere il dissenso sociale verso il vandalismo dilagante, che stava cambiando, in un modo che sarebbe stato definitivo, il volto delle città di New York e di Philadelphia. Il writing è spesso associato alla cultura Hip Hop, una delle più ampie sub-culture moderne; l’Hip Hop nasce nei primi anni ‘80 a New York, e racchiude in una schematizzazione ideologica unitaria il writing, la musica rap e la breakdance: pur non trascurando gli importanti legami dell’aerosol movement con la cultura Hip Hop, questa ricerca è focalizzata sul fenomeno in sé.
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L’EMERGERE DEL FENOMENO A NEW YORK Taki 183 Spawns Pen Pals
Possiamo collocare la nascita del writing verso la fine degli anni ‘60, in una New York densa di rivolte sociali e di stimoli culturali: Julio, un ragazzo della 204th strada, cominciò a scrivere il proprio nome (“Julio 204”) per le strade e sulla metropolitana. Nel 1968, era possibile vedere la sua tag in tutta la città. Il writing esplose veramente quando fu portato alla ribalta dai media: Taki 183, un diciassettenne greco (il suo nome era Demetrios), partendo da Washington Heights (Manhattan) riempì di tag tutta New York City. Nel 1971, cercando di comprendere il significato delle sue firme, un reporter del New York Times lo trovò e pubblicò l’intervista “Taki 183 Spawns Pen Pals”, rendendo Taki una celebrità tra i suoi coetanei, ed aprendo la strada a centinaia di imitatori. Molto presto centinaia di ragazzi sentirono il bisogno di scrivere il loro “nome” ovunque, imitando Taki 183, Julio 204 ed altri come loro. L’introduzione di alcuni prodotti come i pennarelli indelebili (Magic Marker) e le bombolette spray diede la spinta definitiva alla diffusione del fenomeno. Lo scrivere il proprio nome sui muri o sulla metropolitana era una pratica diffusa da tempo, seppure in scala molto ridotta: i membri delle gang giovanili firmavano per delimitare il territorio, e gli altri ragazzi spesso scrivevano dediche o insulti. L’attitudine di Taki 183 o di Julio 204, però, comportava un radicale cambiamento di prospettiva, e stabiliva un obiettivo fisso e comune a tutti i writer, cioè la fama: chi scriveva il suo nome più volte, nei luoghi più inaccessibili o più pericolosi diventava quasi un “eroe popolare” tra i suoi coetanei. Chiamavano questo tipo di attività “getting up”, venire fuori, evidenziarsi, mettersi in mostra rispetto agli altri ragazzi e agli altri “scrittori”. Ognuno sceglieva un nomignolo, un soprannome che potesse distinguerlo dagli altri, spesso corredato da un numero, ad esempio il numero della strada di provenienza, oppure il numero
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di una serie (Bam, Bam 4, Bam 5, Lee163!D, Lee II). “Giocavo come difensive end nella squadra di football della mia junior high school. Durante una partita, un tipo non mi vide arrivare e lo colpii duramente. Il pubblico iniziò a fare un coro…spaccali. Pensai subito...sì, mi piace, e così diventai Il Distruttore.” (The II Crusher) “I remember seeing that pretty ass car... the Chrysler Ltd.” (LTD I) All’inizio degli anni ‘70, la pratica di scrivere il proprio nome sulla metropolitana era ormai dilagata: tra I tanti nomi, possiamo ricordare Phil T. Greek, Bronson 1, Tree 127, Thor 191, Bubba 161, Hitler II, Tan 144, Coco 144, El Cid, Lee 163d!, Phase 2, Stay High 149 e Kool Herc, ma ce ne sarebbero moltissimi altri. Questi ragazzi provenivano da Brooklyn, da Manhattan, dal Bronx ed usavano marker con le punte di diverse misure, per lasciare un segno riconoscibile in ogni parte della città. Potremmo collocare in questo momento (era il 1972) la nascita vera e propria dell’aerosol movement: centinaia di ragazzi erano ormai ossessionati dalla ricerca della fama, e “colpivano” con tenacia qualunque superficie avessero a disposizione.
LA METROPOLITANA DI NEW YORK “Steel iz real, you know what I mean…”
Fin dall’inizio, i writer sono sempre stati molto affezionati ai treni: la metropolitana di New York permetteva alle firme di muoversi per tutta la città, era come un gigantesco sistema di comunicazione che collegava i writer di quartieri lontani. L’alta visibilità delle firme sui vagoni, la vasta audience potenziale (4 milioni di passeggeri al giorno, fonte MTA) ed il suo ruolo di collegamento-comunicazione spinse i writer ad eleggere la metropolitana a supporto preferito per
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il “getting up”. Alcuni writer sostengono, inoltre, che il moto del treno conferisca ai graffiti una componente stilistica in più, un effetto di movimento che sarebbe difficilmente ottenibile su un muro. Anche i colori risaltano meglio sulla lamiera di un treno, piuttosto che su di un muro. La metropolitana di New York, posseduta da una società di nome MTA, serve tutta la città con 466 fermate: sono presenti sia treni locali che treni espressi (linee 4, 5, 6). Nel 1990 almeno la metà dei treni era vecchia di 20 anni, e 500 treni avevano addirittura 30 anni. I writer chiamavano i treni più vecchi “flats” (costruiti negli anni 50), mentre quelli vecchi erano chiamati “coalminers” e quelli nuovi, rossi, “rocket trains”. Le linee preferite dai writer erano la 2 e la 5 (number 5 Lexington Avenue Express), perché servivano una vasta area della città, diffondendo così il nome dei writer su un territorio più ampio. Tra i molti rischi, che i ragazzi affrontavano di buon grado pur di riuscire a diffondere il proprio nome sulla subway, c’erano quello di venire arrestati, di inciampare sulla terza rotaia (“the live rail”: 600 volt) o di venire investiti da un treno. Inizialmente i writer dipingevano i treni durante le fermate nelle stazioni: il tempo limitava l’opera dei writer, costretti a fare solo delle semplici tag in fretta e furia. Ben presto qualcuno scoprì che, percorrendo le banchine utilizzate dagli operai, si potevano raggiungere dei punti della linea ferroviaria in cui i treni erano depositati, di giorno o di notte (“lay-ups” o “yard”, “depositi” in italiano): qui era possibile colpire più treni in una volta, con più tempo a disposizione. Questo favorì di sicuro la gara a chi faceva le firme più grosse e più belle. Man mano che i treni si riempivano di firme, diventava necessario differenziarsi per rendere le proprie più evidenti, più grandi, più leggibili. I ragazzi iniziarono ad introdurre variazioni nelle loro firme, ed a sviluppare veri e propri logo riconoscibili all’istante. “Stay High 149” aggiungeva alla sua firma un personaggio stilizzato, mentre “Sweet Duke 161” disegnava un coniglietto. Il rispetto del nome è una norma fondamentale tra i writer: scrivere sopra il nome di un altro può portare a terribili conseguenze. Lo stesso vale per l’originalità: copiare il nome di un altro significa
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rubare la sua identità, imitare il suo marchio di fabbrica; infrazioni come questa incorrono sempre in sanzioni sociali di vario tipo, che variano dall’esclusione sociale da un gruppo, al “crossing over” (gli altri scarabocchiano il tuo nome, o ci dipingono sopra) fino a sanzioni “fisiche”, che contemplano metodi da “gang” giovanili. “In quel periodo, c’erano parecchie crew ma nessuno violava la regola del rispetto reciproco. Se coprivi il nome di qualcuno, ti coprivano con il nome “Hot 110”. Era una valvola di sicurezza per prevenire che i nomi venissero coperti. Se mancavi di rispetto, ti beccavi lo Hot 110.” (Lee163d!) “Un writer, Lava, si prese l’incarico di risolvere una certa situazione piantando una cinquina in faccia ad un writer meno conosciuto, che aveva coperto non Lava, ma certi suoi amici. “Ah, non l’avevi visto?” (SMACK!!) “Beh, inizia a fare più attenzione!!!” [“Style, writing from the underground”, Stampa Alternativa/IGTimes, 1996] Oltre allo stile, i writer iniziarono a studiare le dimensioni ed il colore: scoprirono che potevano coprire grandi superfici utilizzando le bombolette spray. Qualcuno provò a sostituire i tappini originali delle bombolette con i “cap” della schiuma da barba, o dell’appretto, e scoprì di poter ottenere un tratto molto più grosso.
LA NASCITA DEI PEZZI: ‘72-’75 The early ‘70
Alcuni writer iniziarono ad aggiungere il contorno alle loro firme più grosse, o ad aumentare lo spessore delle lettere. Super Kool 223, per primo, fece una grossa firma con il contorno su un vagone, introducendo ciò che sarebbe stato chiamato il “masterpiece”.
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“Tutti parlavano di “quello che aveva fatto Super Kool”, ma di fatto dovevi vederlo per capire cosa fosse. Una volta che i writer si resero conto che ci volevano una o due bombole per farlo, persero un po’ d’entusiasmo. Potevi fare più o meno 50 firme con una bombola, dunque perché fare quest’altra cosa? Ma forse era in un certo modo inevitabile, o era la sfida a fare qualcosa di nuovo. Prese piede.” (Phase II) Il passo successivo per Super Kool fu il primo top to bottom: pensò di colorare anche sui finestrini, impedendone l’uso, per tutta l’altezza del vagone. Nessuno ci aveva ancora pensato. Queste due innovazioni aprirono la strada ad un approccio diverso, al passaggio dalle semplici firme ai veri e propri pezzi. Molti writer, spaventati dalla nuova direzione che stava prendendo il movimento, lasciarono perdere. Altri invece accettarono la sfida e cominciarono ad elaborare sempre di più le loro firme, aggiungendo elementi nuovi quali outline, stelle, tagli, softie (lettere gommose) fusioni, piedistalli, loops, frecce (Phase II), sfumature, nuvole, fumetti (Flint 707), gocce sottili, lettere dei fumetti, lettere crepate (Worm/Riff 170), effetti tridimensionali (Pistol). Possiamo considerare questi elementi “fondamenta dello stile”, cioè caratteristiche che entrarono a far parte del linguaggio visivo di moltissimi writer, e che sono utilizzate tuttora. Un esempio è la nuvola di sfondo, inventata da Phase II nei primi ‘70 ed utilizzata da molti writer ancora oggi (cfr. Dumbo). Con il diffondersi degli stili nelle lettere, si accentuò la competizione: i writer facevano a gara per chi aveva le lettere con uno stile più originale, con le migliori colorazioni. Ognuno cercava di “bruciare” gli altri, di ottenere gli effetti migliori ed una tecnica perfetta. Nel 1973, all’incirca, nacque il wildstyle: le lettere softie cominciarono ad allungarsi, a contorcersi, separarsi ed ornarsi di frecce, a scapito della leggibilità del pezzo. Gli elementi inventati da un writer venivano ripresi e modificati dagli altri, che li usavano nei propri pezzi portando lo stile ad un livello superiore. L’ampio spazio concesso dai media al fenomeno (in questo periodo,
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1973, numerosi articoli apparvero sul New York Magazine e su altre riviste) spinse i writer a dipingere ancora di più ed ancora meglio. L’apparire su una rivista procurava ai writer proprio ciò che essi cercavano, ovvero una fama immediata e ad ampio raggio.
STYLE WARS
The late ‘70: Le fondamenta dello stile Nel luglio del 1974 David Yunich, il presidente della MTA, annunciò una campagna da 10 milioni di dollari per eliminare i graffiti dai treni, ed utilizzare cani addestrati per fermare i writer. In seguito a questo annuncio, il New York Times cambiò la sua posizione da pro a contro i graffiti. Sembrava la fine, ma non fu così: i writer, per nulla scoraggiati dalla politica della transit authority, continuarono a dipingere. I vagoni, puliti dalle vecchie firme, erano come tele bianche, pronte per essere colorate. Ormai, molte nuove leve si erano aggiunte agli originari pionieri del Bronx: la nuova generazione, potendo contare sull’esempio dei più “anziani”, era molto avvantaggiata sia dal punto di vista tecnico che stilistico. Nello stesso periodo, ai pezzi iniziarono ad aggiungersi elementi figurativi, come personaggi dei fumetti o cartoon. Lee per primo iniziò a collocare il pezzo in un contesto pittorico più ampio, dipingendo fondali scenografici. L’elaborazione di stili nuovi si era ormai arrestata: i writer sfruttavano gli stili fondamentali tramandati dai pionieri, e li rielaboravano in chiave personale per ottenere uno stile riconoscibile. In questa fase la tecnica di pittura acquista un ruolo centrale: i writer cercano di eliminare le sbavature, di ottenere colorazioni uniformi e tratti di contorno precisi e puliti, di dipingere nel minor tempo possibile. La maggior parte dei pezzi in questo periodo sono stati realizzati in intervallo che va dai 15 ai 60 minuti. “Cosa rende bello un pezzo? Numero uno, devi avere i colori, intesa tra i colori. L’outline, sai com’è, deve essere molto preciso. Le linee devono unirsi bene, toccarsi. Frecce, chips, nuvole. È come se
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ogni pezzo che fai, dovessi cercare di differenziarlo, sperimentare qualcosa. Provare un outline beige e buttare un po’ di porpora e rosso scuro dentro al pezzo - marrone scuro, hai presente, colori del genere e poi invece dei riflessi bianchi provi a metterli neri. Si tratta, sai, di sperimentare” (DEZ) I writer emersi dopo il 1974 sembravano arrivare ai binari con l’intenzione di diventare “graffiti artist”: Lee II incarnava perfettamente questa tendenza, ed ottenne la fama di essere uno dei migliori quando dipinse una “married couple” (due vagoni che girano sempre uniti) intitolata “doomsday”, rivisitando lo stile fatto di slogan e di rivendicazioni proprio di Lee163d!. Ciò che lo rese famoso, fu lo spostamento del nome da elemento unico e centrale del progetto del pezzo, a parte di una composizione artistica più ampia. Questo atteggiamento verso il writing, è anche il risultato del fatto che Lee considerasse il writing un’arte vera e propria, e ricercasse quindi un risultato artistico più che la “street fame” attraverso la scrittura del Nome. Questo atteggiamento artistico portò anche, da parte di Cain I (deceduto) e Flame I, alla realizzazione (luglio 1976) del primo whole train, o “worm”: tra le dieci vetture che dipinsero, due recavano la scritta “Merry Christmas New York”, con Babbo Natale e le renne. Negli anni successivi il writing iniziò ad essere riconosciuto come un’arte vera e propria, attraverso diversi tentativi (UGA, Fashion Moda) di ricondurlo ai canoni dell’arte ufficiale: molti pezzi, dipinti su tela, vennero esposti nella gallerie newyorkesi. La maggior parte dei ragazzi, però, continuava a ricercare la fama dipingendo i vagoni della subway, utilizzando nuovi materiali e nuove tecniche. Inevitabilmente, si giunse ad una frattura nel movimento, da una parte i “graffiti artist”, coloro che accettavano di esprimersi secondo i canoni tradizionali, e dall’altra i “veri” writer, convinti che l’illegalità fosse l’unica via per esprimersi liberamente. “Quella sensazione di dipingere sui treni, non la puoi ricreare. È tutta un’altra storia. Non voglio dire che è l’adrenalina che ti entra in circolo, ma uno che disegna coi gessetti sui cartelloni neri
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della pubblicità non si assume gli stessi rischi di uno che entra nei depositi. Il terzo binario è lì, e sai che scotta. Andare nei depositi ti rendeva euforico. Esser lì con tutti gli altri ed incontrare qualcuno che conoscevi solo di nome, quello era già storia mentre stava succedendo. Era come una cosa organizzata da sé, senza che nessuno avesse voluto. Agivi secondo il tuo istinto. Non poteva venir fuori in maniera più pura.” (Phase 2) Non possiamo fare a meno di notare l’ironia contro Keith Haring, da parte di Phase 2, uno dei fondatori del writing, l’inventore del “wild style”. “graffiti is a kick in the face to the gallery/museum system, where the artist is pimped like a whore for the capitalist system, made into another commodity for people to buy… graffiti art is free for all to come and view, no-one can own it, it belongs to all of us” (Eskae, Walsh backcover)
IL BUFF SYSTEM “Will graffiti ever last?”
La lotta ai graffiti iniziò ad ottenere qualche effetto solo nel 1977, quando la MTA scoprì un cocktail di acidi in grado di rimuovere la vernice dai vagoni. Le carrozze venivano fatte passare in un gigantesco autolavaggio, che le spruzzava di acido e rimuoveva tutti i pezzi. Il costo di questo “buffing system” si aggirava sui 400.000$. Secondo la MTA, sarebbe stata la “soluzione finale”. Purtroppo, non era tutto così semplice: una scuola vicina all’impianto dovette chiudere, quando i bambini iniziarono a lamentare problemi respiratori. Anche gli operai della MTA avevano gli stessi problemi, ed ottennero nel 1985 un risarcimento per “problemi di salute causati dall’esposizione a ai fumi dei solventi usati per la pulizia” per 6,3 milioni di dollari. I solventi, inoltre, corrodevano i treni e inquinavano l’ambiente. Gli acidi non rimuovevano completamente i graffiti, ma lasciavano le
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carrozze macchiate in modo quasi peggiore che prima del lavaggio. I vagoni “puliti”, come al solito, erano considerati una tela bianca da molti writer: anche se molti abbandonarono il writing in questo periodo, molti altri continuarono. Nel 1980, in occasione dell’anniversario della sua fondazione, la MTA aumentò la manodopera per pulire i treni, ma i pezzi continuavano a circolare. I media sottolinearono il fallimento della politica antiwriter della MTA, mettendola in ridicolo. Nel 1981, la MTA riuscì ad ottenere risultati notevoli, recintando le yard con filo spinato, e difendendole con cani da guardia. Nello stesso anno, alcuni writer, Ali e Zephyr, proposero alla MTA di lasciargli dipingere un treno, e fare un sondaggio sulla reazione del pubblico. La MTA rifiutò, sostenendo che il pubblico odiava certamente i graffiti. Nel 1984 i treni furono tolti dalla circolazione non appena venivano dipinti, e l’anno dopo l’acquisto di spray fu vietato ai minori. Dall’89 in poi, il writing si spostò per le strade della città, abbandonando la metropolitana a favore dei muri. Nonostante questo, i writer ancora oggi scendono nei tunnel per dipingere la metropolitana, anche se nessuno vedrà mai i loro pezzi. Documentano le loro opere con fotografie e filmati, per dimostrare che fare la subway di New York è ancora possibile. In realtà, la metropolitana di New York subisce ancora tra le 3500 e le 4000 piccole incursioni vandaliche a settimana. Un nuovo tipo di graffiti sta prendendo piede: le scratch tag, firme graffiate sui vetri della metropolitana, sono molto costose da cancellare, e per questo motivo durano abbastanza a lungo. Di certo però, non hanno un lato artistico paragonabile agli whole car dipinti negli anni settanta. “There was once a time when the Lexington was a beautiful line when children of the ghetto expressed with art, not with crime. But then as evolution past, the transit buffing did its blast. And now the trains look like rusted trash. Now we wonder if graffiti will
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EVER LAST…????????” (da un pezzo di Lee, 1980) “Many people are of the misconception that New York City subway graffiti is dead. The movement still exists. On May 12, 1989 the MTA declared a victory over graffiti. The MTA set in effect a policy of removing all marked subway cars from service. The objective being no graffiti will run. This was the birth of what is known as the Clean Train movement. Though the army smaller and the victories fewer the movement lives on. Continuing the tradition despite tremendous odds and low moral among their peers, these committed individuals battle on. Many of these writers bomb under the notion that walls, canvas, freights are second rate mediums and that the only “real graffiti” is on New York City subway trains. Many writers condemn the efforts of Clean Train writers, stating that its pointless to do work that will not run. This line of thinking does not discourage the Clean Train writer. The participants range from, die hards who are unwilling to give up the war against the MTA to new writers who are too young to have experienced transit bombing to foreign writers making their pilgrimage to the birth place of aerosol art. It all seems to boil down to the thrill of it.” (da http://www.at149st.com )
CONCLUSIONE
Design gratuito per le masse Il writing è un fenomeno artistico molto complesso: molto ancora ci sarebbe da dire, e da approfondire, sul lato artistico di questa espressione che, sebbene sia relativamente giovane, sembra destinata a durare ancora molto. Il fascino, l’espressività di quest’arte (uso il termine arte nel senso più ampio, di tecnica, te???) è dovuto in gran parte all’illegalità: lo straniamento, la sorpresa, l’effetto che ci provoca vedere un pezzo, è causato dal fatto che, in quel punto, che ora è dipinto, non dovrebbe esserci niente.
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E invece qualcosa c’è, è qualcosa di strano, di insolito, di incomprensibile: il paesaggio urbano viene modificato, in un modo sempre diverso e sempre meno prevedibile, che stupisce tanto il semplice passante quanto il critico d’arte. Per questo motivo, non sarà mai possibile trasferire il writing, in modo integrale, in una galleria d’arte, né si potrà mai imbrigliare la sua forza espressiva su una tela, che non sia in movimento: il buio, la lamiera del treno, la rapidità di esecuzione, la velocità, il violento colore, valori insieme impressionisti e futuristi, la lotta tra la paura e la concentrazione nella mente di un writer che dipinge in un lay up, non possono essere ricreati in vitro, in una galleria d’arte. È giusto che quest’espressione rimanga illegale, è giusto che la società lotti contro di essa, perché dalla sofferenza, da sempre, nasce l’arte più notevole.
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BIBLIOGRAFIA M.COOPER, H.CHALFANT, “Subway Art”, Thames & Hudson Ltd, 1984 SCHIMDDLAPP, “Style: Writing from the underground”, Stampa alternativa 1996 D. LUCCHETTI, “Writing - Storia, linguaggi, arte nei graffiti di strada”, Castelvecchi 2000 “American Graffiti” (catalogo della mostra), Napoli, Electa, 1997 H. CHALFANT - J. PRIGOFF, “Spraycan Art”, London, Thames & Hudson, 1987 M. COOPER, J.SCIORRA, “RIP New York Spraycan memorials”, London, Thames & Hudson 1994 A.DE PALMA, “Culture Aerosol, storie di writer”, Roma, Odradek, 1998 E. PEDRINI, “Il mondo della Graffiti Art” (Catalogo della mostra), Gallarate, Civica galleria d’arte moderna, 1995 F.BERARDI (a cura di), “Hip hop. Rap graph gangs. Scenari subculturali sullo sfondo di Los Angeles che brucia” - ES/Synergon/ Percorsi Synergon n° 6, 1992 U.ECO, “Etica, estetica e aerosol”, in “La bustina di Minerva”, Bompiani, 2000 I.BALDIERI - L.SENIGALLIESI, “Graffiti metropolitani. Arte sui muri delle città” - Ed. Costa&Nolan, Genova, 1990 MDJ+, “Trainz”; “Loredana”; “Bboyz” - pubblicazioni in proprio O.CACHIN, “Il rap, l’offensiva metropolitana” - Universale Electa B.CROSS, “Hip Hop a Los Angeles” - Shake Edizioni Underground W.UPSKI WIMSATT, “Bomb the Suburbs”
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QUELLO CHE PENSO IO DEL WRITING
Aggiornato a sabato 21 marzo 2009 alle cinque del pomeriggio. Di Alessandro Mininno
Il “writing”, la pratica di scegliere un nome e scriverlo con spray e pennarelli, esiste ormai da più di quarant’anni (se ne data l’inizio attorno alla fine degli anni Sessanta). Eppure, nonostante il fatto che questa forma espressiva sia longeva e onnipresente (sui libri d’arte, in televisione, sugli zainetti, sui quaderni e addirittura sulle riviste femminili, come sfondo ai servizi di moda più cool) le persone continuano a chiedersi da dove vengano i graffiti, chi li realizzi e cosa ci sia dietro questa cacofonia di sigle incomprensibili. La risposta è semplice: vengono dagli States, come Beautiful, la Coca Cola e Terminator. Ma, a differenza di Beautiful e Terminator, sembrano piuttosto coriacei: 18
non hanno intenzione di scomparire nel giro di pochi anni. La leggenda dice che i primi writer fossero di Philadelphia e che avessero iniziato a scrivere il proprio nome alla fine degli anni Sessanta, in un contesto urbano in cui la pubblicità tendeva a dissolvere lo spazio pubblico e a comprimere l’identità individuale. New York ne rivendica la paternità con orgoglio e prepotenza, nonostante, nel 2006, il municipio della Grande Mela spendesse più di cinque milioni di dollari l’anno per combattere il fenomeno. Effettivamente il writing, come lo conosciamo oggi, si è sviluppato sui treni della metropolitana newyorchese, dove i nomi dei ragazzi delle periferie sono apparsi e si sono diffusi con un vigore inarrestabile, sempre più grandi, sempre
Nella pagina precedente: Un esempio di sfruttamento commerciale del fenomeno del writing.
più colorati, per passare a invadere i muri, i cavalcavia, gli autobus della metropoli americana e poi, via via, le superfici verticali delle aree urbane di tutto il mondo. Più che la tecnica e lo stile, ciò che ha contagiato il pianeta è la potenza di un’idea: scrivere il proprio nome. È la base ed è alla portata di tutti: è la prima cosa che si impara a scuola. Simboleggia noi stessi. Scriverlo in giro significa “sono stato qui”: in una città enorme può essere un segno di vita importantissimo. È un’idea di una semplicità disarmante, ma allo stesso tempo forte e contagiosa: i graffiti hanno cambiato forma mille volte, ma il concetto di base rimane fermo e inattaccabile – finchè ci saranno metropoli e ci saranno adolescenti, ci sarà
qualcuno che scrive il suo nome, da Tokio a Rio fino a Bassano del Grappa. Se il nome ha dato il via al gioco, lo stile ha innescato la bomba della competizione: qualcuno ha detto che il writing è una guerra di stili, per chi scrive meglio, con una calligrafia migliore, con una colorazione più coerente, nel posto più inaccessibile, con gli strumenti più strani. Qualunque elemento può contribuire alla formazione di uno stile: una freccia, la forma di una lettera, l’utilizzo di un particolare colore, di un insieme di forme piuttosto che di altre. Tutti i graffiti sono, in fondo, delle grandi firme: dei nomi giganti, elaborati e sviluppati con una calligrafia originale. Personaggi, elementi figurativi, sfondi elaborati e particolareggiati fanno 19
solo da sfondo a quella che è un’arte squisitamente tipografica. Tra l’altro, spesso è praticata con competenza da persone che non sanno nulla di arte, di grafica e di tipografia. Perché il writing è totalmente trasversale: viene praticato allo stesso modo a tutte le età e in tutte le fasce demografiche. Non è mai stata una pratica confinata ai ragazzi del ghetto: molti dei primi writer erano addirittura bianchi, middle-class e ascoltavano musica heavy metal. Perché migliaia di ragazzi, in tutto il mondo, rischiano pelle, salute e portafoglio per scrivere il proprio nome, spesso illegalmente, in ogni angolo della propria città? Questa è la domanda più bella: resterà per sempre senza risposta.
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Ogni writer ha il proprio intento, la propria pulsione: alcuni si sentono artisti e altri vogliono restare vandali, alcuni vogliono fare un dono alla propria città e altri vogliono distruggerla con la propria firma (non c’è un writing buono e uno cattivo: sono due facce, identiche o opposte, della stessa medaglia). Qualcuno ha un intento politico, in senso lato (ogni azione nello spazio pubblico può essere letta attraverso la lente dell’attivismo), ma l’appartenenza partitica e le ideologie sono totalmente assenti da questa longèva, sterminata e coriacea sottocultura. Qualcuno dipinge per noia, qualcuno firma per impressionare le ragazze. Qualcuno non sa perché lo fa: ha perso traccia del motivo, ma non ha perso la spinta a uscire ogni notte,
freddo o caldo, a cambiare il paesaggio che lo circonda. Semplicemente, ai writer non interessano i dibattiti o i motivi: gli interessano i graffiti. “È uno dei pochi ambienti in cui conta l’arrosto, non il fumo”, ha detto il writer Rocks in una coinvolgente intervista di qualche anno fa. Conta quante firme fai, quanti muri, quanti treni. Se sei capace di disegnare le lettere oppure no. Tutto il resto è sovra-struttura ininfluente. I writer, molto spesso, disegnano per i writer. È una sub-cultura autoreferenziale (come lo è stato il punk, forse). Per questo, quando le persone chiedono loro “però potresti disegnare una bella figa” la risposta è no, non lo possono fare. Perché scelgono di utilizzare uno slang specifico e intricato, di scrivere lettere
coloratissime ma intricate, neo-iconoclasti rifuggono volontariamente dal livello base della comunicazione: non te la disegnano, una bella figa, chè le pareti della nostra città ne sono già piene. Solo questo, c’è dietro i graffiti. Scegliere un nome, un colore. Metterlo dappertutto. Competere con gli altri per lo spazio e per lo stile. Esattamente come fa la Coca Cola. Ma a differenza della Coca Cola, qui non c’è una targhetta col prezzo: l’unico prodotto che viene promosso dalle tag sui muri delle nostre città è l’utopia di uno spazio pubblico (veramente pubblico) in cui ognuno, da solo e con pochissimi soldi, scrive un po’ quello che gli pare.
Qui a fianco: Un pezzo di DONDI sulla metropolitana newyorkese.
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“Lo studio delle lettere. È una cosa meravigliosa” DASK (True Vandals)
DASK (True Vandals)
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“Posso riempire una decina di fogli con mille B diverse, solo per il gusto di esplorare la lettera B.� DASK (True Vandals)
DASK (True Vandals)
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“...tutti i writers sono dei megalomani, egocentrici e arroganti...” FORMA (VK9, La Roba)
FORMA (VK9, La Roba)
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“Alla fine graffiti = moda o no?” FORMA (VK9, La Roba)
FORMA (VK9, La Roba)
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“Per appagarmi il pezzo dovrebbe essere croccante e avere qualità “tattili”.” SPARKI (La Cremeria, Overspin)
SPARKI (La Cremeria, Overspin)
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“L’aspetto “illegale” del writing non m’interessa più.” SPARKI (La Cremeria, Overspin)
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“...la realizzazione della bozza è una fase fondamentale.” NOLAC (Overspin)
NOLAC (Overspin)
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“...credo molto più in un segno pensato, magari rivisto e corretto più volte, ma che alla fine rispecchia esattamente quella che è la mia concezione di writing.” NOLAC (Overspin)
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“Chiunque si avvicini ai graffiti deve accettarne sia la dimensione legale che illegale.” LOSER (RCV)
LOSER (RCV)
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“...la carta serve a poco se dipingi con costanza perché le lettere si modificano parallelamente a chi le disegna.” LOSER (RCV)
LOSER (RCV)
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“...la tecnica che uno si crea in situazioni difficili con poca visibilità e col tempo contato è assoluta.” CHUCK (B2K)
CHUCK (B2K)
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“L’illegalità per il writer è come una fetta di dolce in mano ad una cicciona in dieta” BRUL (La Roba)
BRUL (La Roba)
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“Legalità/illegalità ...bel dilemma! Cerco di viverle entambe con pregi e difetti che comportano.” FRANKO (Plus)
FRANKO (Plus)
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“...qualsiasi cosa basta che mi affascini e mi rimanga impressa in mente.” FRANKO (Plus)
FRANKO (Plus)
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“La cosa interessante è riuscire a comunicare al di fuori della cerchia dei writers.” DEVA (La Roba )
DEVA, BRUL (La Roba)
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“Penso che solo uno stolto non si relazionerebbe con il supporto sul quale disegna. Di stolti ce n’è tanti in realtà.” DEVA (La Roba)
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DASK (True Vandals), DEVA (La Roba), FORMA (VK9, La Roba), DEM125 (Verde Bosco)
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Quanto è importante la fase preparatoria, la realizzazione di una bozza, per i tuoi pezzi? DASK Lo studio delle lettere. È una cosa meravigliosa. Un processo al quale non posso sottrarmi, è una sorta di esigenza inconscia. Basta qualsiasi cosa che possa tracciare un segno. Difficile spiegarti se ho un metodo di lavoro. Diciamo che le mie bozze contengono tutto. Posso riempire una decina di fogli con mille B diverse, solo per il gusto di esplorare la lettera B. E poi tags tags tags e tags. Mi piace provare varie tipologie, contrastare le strutture. Ecco, credo molto nella struttura delle lettere. Nella loro architettura interna. Che poi siano lettere marcissime e ignoranti, o super bars and arrows non ha importanza. Che tu sia Zaha Adid o Tadao Ando, i tuoi progetti devono stare in piedi. Il processo successivo, la realizzazione del pezzo, è istintivo. Ha lo stesso impeto creativo delle bozze. Un po’ riassume tutto quello che ho affrontato su carta, e un po’ se ne frega. Parlando in gergo, mi ci butto in fristàil. Con la consapevolezza di quello che sto facendo. 40
DEVA La fase preliminare che precede il pezzo non sta nella singola bozza. Sono convinto che esista un continuo studio sulla forma che va oltre il singolo pezzo. Un pezzo non nasce da un disegno sulla carta e si conclude sul muro. Io disegno su carta sperimentando forme che poi le trasporto su muro dove sperimento di nuovo per poi ritornare sulla carta a rivedere quel che ho fatto in uno studio infinito che mi porta sempre a qualcosa di nuovo. Per questo non sono mai contento di un pezzo quando lo finisco, mentre chiudo un disegno sto già pensando al successivo. SPARKI Quando si dipinge un muro non bisognerebbe avere cartacce tra le mani, ma essere soli e concentrati rispetto allo spazio visivo che il muro offre. Lo spazio-carta ha delle caratteristiche profondamente altre da quelle dello
spazio-muro. Dipingere con un occhio rivolto al bozzetto e l’altro al muro, non significa solamente perdere attenzione e controllo su ciò che accade sul muro in termini di tensione visiva, ma significa anche non esserci, dipingere in maniera passiva un qualcosa di già fatto. Mi è sempre difficile progettare su carta esattamente quello che realizzerò poi su muro, devo trovarmici di fronte per “sentire” cosa e quanto dovrà occupare il pezzo, i puppet, ecc... Per me le bozze sono piuttosto un archivio di appunti, idee ed esercizi stilistici per allenare la mente alla pratica freestyle. NOLAC Per quanto mi riguarda, la realizzazione della bozza è una fase fondamentale. Sono dell’opinione che sia molto difficile ottenere un risultato finale su muro buono e originale, lavorando completamente in free-style; molto spesso infatti, se non si fa riferimento ad una bozza o ad un lavoro di progettazione, si rischia di essere ripetivi nel risultato e, purtroppo, anche negli errori. Alle volte mi capita di riutilizzare la stessa bozza per 2/3 lavori; in quelle occasioni mi concedo delle modifiche, decise al momento, ma si tratta sempre e comunque di piccoli cambiamenti. L’unica fase in cui mi piace improvvisare completamente, perché ritengo che sia lì che si riflettono a pieno le emozione che provo in quel momento, è quella della colorazione. FRANKO Penso che la fase preparatoria sia fondamentale, soprattutto in un primo periodo, per la creazione di uno stile “personale”, se così si può definire; non tanto del singolo pezzo, ma ritengo sia utile a conoscere la lettera, a studiarla e
a rappresentarla in modo da poter creare un criterio di rappresentazione, che, soprattutto se originale, valorizza il pezzo. CHUCK Mi sono abituato fin dall’inizio a dipingere in freestyle, quindi utilizzo gli sketch come “allenamento”. Odio fossilizzarmi sulla stessa cosa, ogni mio pezzo deve essere diverso da quello precedente... quindi faccio molte bozze veloci direttamente a penna per trovare nuove soluzioni e per perfezionare la tecnica in modo che traccia e outline vengano come voglio al primo colpo senza ritocchi e rimaneggiamenti vari. LOSER Quando ho iniziato disegnavo molto su carta ma ultimamente non vado oltre la lettere abbozzata su un foglio a caso; arrivi a un certo punto in cui la carta serve a poco se dipingi con costanza perché le lettere si modificano parallelamente a chi le disegna e l’evoluzione avviene più nella testa che nella mano. FORMA Disegnare su carta è fondamentale per capire poi, cosa fare o cosa non fare su muro. BRUL Solitamente una bozza è un nuovo studio della lettera e della composizione della parola, un nuovo modo di concepire le forme e le linee. Normalmente una bozza mi dà le linee guida per la realizzazione del pezzo, e se la stessa viene usata per più lavori gioca molto l’improvvisazione seguendo l’idea principale delle lettere.
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Quali sono gli elementi che rendono speciale un pezzo?
LOSER Per quanto mi riguarda è sempre stata la lettera il mio criterio di giudizio, se non altro perché è l’elemento fondamentale. Mi piace vedere le linee tirate con sicurezza e spontaneità e il termine “impatto” credo che renda bene l’idea di come un pezzo possa essere efficace nel catturare l’attenzione, obiettivo sicuramente ricercato da chi dipinge. FRANKO L’impatto! Che può essere dato da una 42
lettera, o dalla dimensione, o dal posto, o dall’accostamento dei colori, ma anche dalla frase che accompagna il pezzo o dalla tag che lo affianca.qualsiasi cosa basta che mi affascini e mi rimanga impressa in mente. DEVA Un pezzo è speciale quando ha qualcosa che ti colpisce, che lo distingue dagli altri. Ognuno vede qualcosa di speciale a seconda del suo punto di vista, del suo interesse, per questo un pezzo che per
me può essere particolarissimo ad altri può non dire niente. A chi i graffiti non interessano non troverà nulla di speciale in un pezzo. La cosa interessante è fare qualcosa di speciale per questo pubblico; riuscire a comunicare al di fuori della cerchia dei writers. CHUCK L’outline. BRUL Se per speciale si intende originale io credo che per la ricerca dell’originalità si debba tener conto della giusta dose di classicità e innovazione, per non esagerare nella ricerca di qualcosa di nuovo, mantenendo quel che l’esperienza altrui ha insegnato. Se si intende qualcosa di eccezionale credo che lo stile, che rappresenti appieno il modo d’essere di un writer, sia di basilare importanza per far uscire un graffito dall’ordinario e dal banale. NOLAC Sicuramente al primo posto va lo stile con cui vengono realizzate le lettere, che compongono lo pseudonimo del writer. Anche se non sono sempre stato di questa opinione (per una buona parte della mia “carriera” infatti ho lavorato soprattutto sulla realizzazione di composizioni astratte), oggi sono fermamente convinto che lo scopo principale del writer sia quello di scrivere, con il miglior stile possibile, il proprio nome. Non sono comunque da sottovalutare altri aspetti, quali l’armonia compositiva e la colorazione del pezzo. DASK Parlando di writing, guardo le lettere. Guardo come sono bilanciate, cerco
di capire il perché sono state messe in quel modo. Mi piace quando mi stupisco, quando ci sono degli elementi che mi gasano! Poi l’originalità, ma non è fondamentale. Anzi, lo sarebbe, se questa però fosse una conseguenza all’applicazione assidua e costante. Più mangi lettere, più assimili lettere. Più ci vivi con esse, più esse diventano tue. Se poi la tua estetica ti porta a non eccedere con l’evoluzione, ma a rimanere su canoni antecedenti alla diffusione europea, è una tua scelta. Si riconoscerà comunque se quelle lettere sono tue, o sono tra le tante. E così funziona per tutti, a prescindere dall’abito che decidi di mettere ai tuoi pezzi. Parlando di graffiti, sono vari gli elementi che possono rendere speciale un pezzo. Il posto in cui è realizzato, l’atmosfera, le persone, la birra, i colori. Troppe cose. Ed è proprio questo il bello. SPARKI Niente rende speciale un pezzo, non c’è pezzo migliore o peggiore, ogni pezzo è speciale e straordinario purché rispecchi il suo tempo e in qualche modo la personalità di chi lo realizza. Per appagarmi il pezzo dovrebbe essere croccante e avere qualità “tattili”. FORMA In ogni pezzo può variare l’aspetto che lo rende “speciale”. Delle volte possono essere i colori, delle volte le lettere, altre volte è l’insieme della murata che rende particolare il tutto. Ogni pezzo che faccio o che vedo, ha una sua particolare caratteristica determinata da una tecnica grafica (il modo in cui è fatto) o dal contesto in cui viene effettuato (un muro di periferia, un treno, il muro dell’oratorio del paesino da 1000 abitanti).
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Quali sono le tue fonti di ispirazione, sia all’interno del mondo del writing che all’esterno (film, fumetti, libri,... )? BRUL Il mio interesse per il disegno nasce dal fumetto, e in particolare i disegnatori di Dylan Dog come Luigi Piccatto e il padre di Gea Luca Enoch. Salvador Dalì per il connubio di ingegno creativo con il suo surrealismo e la tecnica con la quale riusciva a rappresentarlo. Per il writing mi sono sempre confrontato con le immagini dei più famosi writers dal web e fanze ma soprattutto con le persone con cui sono entrato in contatto in questi anni ed il costante e millenario confronto con il mio socio Deva. CHUCK Ho iniziato facendo WildStyle classico e avevo come modelli CKC THP e tutta la old skool della mia città e dintorni. Ultimamente seguo molto la scena di 44
Praga, Los Angeles, Berlino. Mi piacciono tutti i writers completi (dalla tag al pezzo super complesso, dallo stampatello al throw up) e coloro che sanno sperimentare mantenendo però sempre come cosa primaria lo studio del lettering. Sono convinto che i graffiti debbano rimanere graffiti e non debbano diventare delle grafiche fatte con Illustrator... la ricerca della troppa perfezione a livello di realizzazione sta appiattendo totalmente i pezzi eliminando qualsiasi valenza artistica. Per quanto riguarda le influenze esterne spesso nei riempimenti mi ispiro a grafiche 70s e 80s. NOLAC Ci sono moltissimi writers del passato e del presente dai quali traggo ispirazione. Non ve n’è uno in particolare, in
quanto non sono le opere di questi nel loro complesso ad influenzarmi, bensì dei particolari compositivi o della colorazione. Numerosi stimoli mi arrivano anche da tutto ciò che è esterno al writing e che si colloca soprattutto nell’ambiente che mi circonda; considerato il mio approccio grafico-geometrico, ricavo parecchi spunti dall’architettura e dal design. FORMA Prendo ispirazione dai graffiti degli altri. Il resto cerco di non farcelo entrare. A volte guardo gli accostamenti dei vestiti delle vetrine per scegliere i colori dei pezzi che farò. Alla fine graffiti = moda o no? SPARKI Di certo i fumetti e la musica, ma per me tutto diventa preziosa fonte di ispirazione creativa, la forma delle nuvole, le zampe di un ragno, la cacca dei lombrichi, i microbi, le candele sciolte, i broccoli, la corteccia degli alberi, i manifesti strappati, le forme del vento...ognuno modella e investe il lettering di quello di cui si nutre ogni giorno e della propria individualità: da piccolo disegnavo oltre il quaderno, mi disegnavo nelle magliette e nelle braghe e ho sempre espresso un forte senso plastico delle forme che tuttora caratterizza quello che dipingo. Relativamente al mondo del Writing ho trovato affinità e subìto l’influenza della “scuola” tedesca del 3D, dove veniva messa in risalto piuttosto la composizione plastica d’insieme, talvolta anche a scapito del lettering stesso. LOSER Quando devo dipingere non m’ispiro a niente, cioè a tutto; ormai dipingere è un
qualcosa di cui non posso fare a meno. Nessuno mi obbliga, non lo faccio per dimostrare qualcosa a me stesso, dipingo semplicemente perché è un qualcosa che mi appartiene e per la quale porto grande rispetto. Più che ispirarmi, aspiro ad essere soddisfatto di quello che faccio, e visto che sono quello che faccio, aspiro ad essere soddisfatto di me stesso. DEVA Io prendo ispirazione da tutto ciò che vedo intorno a me, tutto ciò che può suscitarmi interesse. Sono molto attento al cambiamento delle tendenze e cerco sempre nuovi stimoli per il mio lavoro. Adoro i supporrti cartacei, i libri, le riviste, i manifesti e spendo un sacco di soldi in questo senso dove posso vedere le cose più recenti. Cerco di partecipare a tutte le manifestazioni in zona e mi tengo informato su mostre ed esposizioni. Inoltre lego indissolubilmente il mio modo di vedere il writing al mio modo di vedere la grafica e mescolo stimoli che mi arrivano da una e dall’altra parte. Alla fine sono convinto che la mia produzione, come writer, risenta moltissimo di stimoli che provengono da tutto un mondo che con i graffiti non ha niente a che fare.
FRANKO Dalla scatola dei cereali alle giostre del lunapark, mi può far suscitare qualcosa: una colorazione, un modo diverso di affrontare una lettera ecc. Quanto percepisco però cerco di adattarlo, applicarlo a quello che faccio. DASK Tutto ciò che mi mette in condizione di osservare ed “ascoltare” con attenzione ed interesse, influenza il mio percorso. 45
Quanto contano nel tuo lavoro elementi come l’illegalità e l’interazione con lo spazio pubblico?
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CHUCK Il 90% delle cose che faccio sono illegali.... non disprezzo nessun tipo di superficie.. hall of fame incluso... la cosa migliore è fare entrambe le cose... perche’ la tecnica che uno si crea in situazioni difficili con poca visibilità e col tempo contato è assoluta. Chi dice che uno impara a dipingere quando riesce a fare bel pezzo sul metallo non ha tutti i torti. Streetbombing rimane la cosa che più preferisco...molto spesso c’è più stile in poche linee che in tanti pezzi elaborati e leccati. Nella mia città le tag e i throw up ci sono sempre stati e ho il dovere di portare avanti questa pratica che è alla base di tutto. Io ho iniziato perché vedevo le tag e i bombing in giro per il mio quartiere, non per gli hall of fame nel campetto imboscato del prete o per i treni in stazione. BRUL L’illegalità, volenti o nolenti, è parte integrante del writing. Il fascino del proibito sommato alla soddisfazione del vedere il proprio lavoro nel punto desiderato fa di questa attività una fetta di dolce in mano ad una cicciona in dieta. Sai che lo farà. FORMA Con i graffiti si comprende un mondo di varianti e possibilità legate al modo in cui intendi il dipingere con gli spray. Per quanto mi riguarda trovo fondamentale che il graffito sia fatto per essere visto. In qualsiasi modo uno intenda dipingere (legalmente o non legalmente) il risultato è uguale. Io dipingo per vedere il mio nome o i miei progetti in un muro o in un determinato posto x. Questo è quello che importa perché tutti vogliono vedere le proprie cose in grande... se no
dipingerebbero chiusi in cameretta. La dimensione del muro è quella che piace ai graffittari perché tutti i writers sono dei megalomani, egocentrici e arroganti del cavolo. Fare le tag in giro o fare un puppet tiratissimo alla fine risponde solamente ad un forte bisogno di farsi vedere. NOLAC Non sono mai stato un writer da illegale, anche se ho fatto degli esperimenti, soprattutto all’inizio della mia “carriera”. Traggo molta più soddisfazione da un lavoro legale e da una riflessione ponderata su quello che sto realizzando; credo molto più in un segno pensato, magari rivisto e corretto più volte, ma che alla fine rispecchia esattamente quella che è la mia concezione di writing. DASK O lo fai o non lo fai. O scrivi il tuo nome, o non lo scrivi, c’è poco da fare. L’illegalità è sicuramente un fattore determinante, ma non significa che l’assenza di questo annulli il significato del writing. L’atto non concesso ha qualcosa di poetico e affascinante. E questo fascino e questa poesia acquisiscono credibilità e sostanza quando si cambia messa a fuoco. Io non la vivo come un andare contro Quelli e Questi. Non vado contro nessuno, lo faccio perché voglio e devo farlo. Lo faccio perché io sono questo, e non altro. E’ una superficie, e io la utilizzo. Che Loro mi dicano se posso o meno, è un’altra cosa. L’attitudine ad affrontare le diverse situazioni ovviamente varia. Per me al momento è fondamentale concentrarmi nel processo autoreferenziale e di autoaffermazione più puro del writing. Ed è una mia scelta, non un segno di immaturità artistica. Ognuno fa il suo. 47
SPARKI L’aspetto “illegale” del writing non m’interessa più, quando ero più piccolo era un divertimento e basta, un piacevole momento di sfogo e occasione di trovarmi in situazioni e luoghi inusuali e interessanti. L’Hall of fame è il mio campo di gioco, anche se sono consapevole di quanto poco si possano creare delle dinamiche comunicative interessanti. E’ un po’ la tela del writer, uno spazio asettico dove cancellata la storia con una mano di biancone si possono sviluppare e sperimentare tecnica e soggetti senza essere influenzati dal carattere del luogo. Su un Hall of fame ti aspetti di vederci un pezzo quanto sulla tela ti aspetti di vedere dipinto qualcosa, mancano l’effetto sorpresa, lo shock visivo, il coinvolgimento sensoriale che s’innesca nell’imbattersi dietro l’angolo in un’immagine inattesa. Tutto ciò però è una strategia consumata, agli occhi della società contemporanea i “Graffiti” in senso generale non hanno forte impatto e sono identificati semplicemente come naturale e monotono muschio urbano. LOSER L’illegalità nei graffiti preoccupa le istituzioni perché mostra a tutti quanto un atto vandalico possa essere estremamente affascinante e valido; Chiunque si avvicini ai graffiti deve accettarne sia la dimensione legale che illegale, ricordando che se oggi ci sono hall-of-fame, commissioni, esposizioni e gente che lavora facendo graffiti lo deve soprattutto ai graffiti illegali, che rappresentano il nucleo iniziale di questa disciplina su cui oggi tanta gente cerca addirittura si speculare.
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FRANKO Legalità/illegalità ...bel dilemma! Cerco di viverle entambe con pregi e difetti che comportano; penso che le emozioni e le soddisfazioni che ti dà una, l’altra è ben distante dal trasmetterle e dall’altra parte una giornata in compagnia ci stia sempre bene. DEVA Penso che solo uno stolto non si relazionerebbe con il supporto sul quale disegna. Di stolti ce n’è tanti in realtà. La tag ed il throw-up si legano al luogo in cui vengono fatti perché conta quanta gente poi passando di là li vedrà e penserà a quanto rischioso sia stato per il writer farlo proprio in quel punto. Ma tutto ciò è bisogno di autoaffermazione sostenuto da una buona dose di esibizionismo che si esaurisce troppo in fretta per sentirsi soddisfatti. Per questo chi fa tag non riesce a smetter di farle. Io non sono interessato a ciò. Nelle hall of fame il luogo non ha più importanza e nemmeno la quantità di persone che vede il tuo pezzo, ma la coerenza della murata nel suo insieme. Io considero importantissimo il fondo in cui pongo il mio pezzo per questo passo metà del tempo a progettare la murata nel suo insieme prima di passare a fare il mio disegno. Ammetto che mi attira l’idea di smetter di creare uno sfondo fittizio prefetto e dettagliato e di interagire con il contesto reale, urbano per quello che è. Penso sia una delle direzioni che sta prendendo più piede.
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FABER EST SUAE QUISQUE FORTUNAE L’espressione è caratteristica della teoria dell’homo faber, secondo cui l’unico artefice del proprio destino è l’uomo stesso. Esso è visto come intelligente, astuto ed energico, e perciò capace di utilizzare al meglio ciò che la natura gli offre. Ringraziamenti: Alessandro Mininno, Valentin Guriyanuv, Ivan Lamon, Riccardo Bellei, Gianmarco Bacchin ed i writers BRUL, FORMA, DASK, SPARKI, NOLAC, LOSER, CHUCK, FRANKO. Prodotto in occasione della manifestazione EXPRESS YOURSELF presso il Teatro Astra, Vicenza. 50
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