1 elaborato teorico bs laura albini

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UNIVERSITÀ CATTOLICA DEL SACRO CUORE SEDE DI BRESCIA CORSO DI FORMAZIONE PER IL CONSEGUIMENTO DELLA SPECIALIZZAZIONE PER LE ATTIVITÀ DI SOSTEGNO

A.A. 2014/2015

ELABORATO di APPROFONDIMENTO TEORICO Titolo LA GLOTTODIDATTICA SPECIALE NELLA DISABILITà VISIVA, OLTRE IL METODO AUDIORALE

Candidata: Laura Albini Matricola N. 4414477 ANNO ACCADEMICO 2014/2015


INDICE INTRODUZIONE CAPITOLO 1: L'INCLUSIONE DELL'ALUNNO DISABILE VISIVO NELLA SCUOLA 1. Incontro, comprensione e valorizzazione delle differenze 2. La disabilità visiva, un fenomeno complesso 3. I sensi vicari 4. Il ruolo della didattica speciale nella disabilità visiva: l'importanza dell'esperienza diretta ed attiva.

CAPITOLO 2: IL METODO AUDIORALE 1. Il metodo audiorale. 2. Perchè è importante in glottodidattica speciale per il disabile visivo? 3. Superamento del metodo audiorale.

CAPITOLO 3: OLTRE IL METODO AUDIORALE: IL TOTAL PHYSICAL RESPONSE, L'APPROCCIO COMUNICATIVO E LE NUOVE TECNOLOGIE 1. Il metodo Total Phisical Response (TPR)? 2. Perchè il TPR è importante in glottodidattica speciale per il disabile visivo? 3. L'approccio comunicativo. 4. Perchè l'approccio comunicativo è spendibile in glottodidattica per il disabile visivo? 5. Il role play 6. Le applicazioni multimediali: suoni, musica, video e la possibilità di registrare la propria voce.


CONCLUSIONE

INTRODUZIONE


Il presente lavoro costituisce un approfondimento di contenuti affrontati durante il corso di formazione per il conseguimento della specializzazione per le attività di sostegno, focalizzando l'attenzione sulla disabilità visiva e presentando alcuni metodi glottodidattici, sfruttabili in tale situazione specifica. Solo dopo aver analizzato i testi presenti nella bibliografia è stato possibile tracciare uno schema generale, che successivamente è stato dettagliato nella ricerca che segue. Il lavoro si apre con un primo capitolo che sviluppa il tema dell'inclusione dell'alunno disabile visivo nella scuola. In particolare viene trattata la valorizzazione delle differenze individuali, che porta al riconoscimento dei bisogni speciali di ciascun alunno, ai quali corriponde una risposta educativa speciale ed inclusiva della scuola. Il discorso viene poi ristretto all'ambito della disabilità visiva, che è presentata nella sua varietà, dalla cecità totale, all'ipovisione e viene evidenziato come l'eterogeneità di bisogni specifici, in tale ambito, porti alla necessità di un intervento mirato, sfruttando materiale dedicato. Si passa poi all'analisi dei sensi vicari, che assumono per lo studente disabile visivo un ruolo fondamentale, e dell'importanza dell'esperienza diretta ed attiva, quali metodi privilegiati per la conoscenza della realtà. Restringendo ulteriormente l'attenzione all'ambito della glottodidattica speciale vengono analizzate alcune indicazioni che favoriscono le abilità di reading, writing, speaking, listening, vocabulary e grammar. Il secondo capitolo passa all'analisi del metodo audiorale che, basandosi su una serie di esercizi strutturali, i pattern drills, e focalizzando sull'aspetto orale della lingua, presenta aspetti di notevole importanza per l'apprendimento delle lingue straniere degli studenti disabili visivi.


Il terzo ed ultimo capitolo descrive altri metodi utilizzabili in ambito di glottodidattica speciale, in particolare il Total Physical Response, ovvero l'insegnamento di una lingua straniera attraverso una serie di comandi verbali. Viene inoltre descritto l'approccio comunicativo che, spostando l'attenzione dalla correttezza formale della lingua all'agire attraverso la stessa lingua, è spendibile in ambito di apprendimento in caso di disabilità visiva, soprattutto per il suo legame con situazioni autentiche e oggetti della vita reale, in cui appare anche la tolleranza nei confronti dell'errore formale. Infine viene trattato l'argomento delle applicazioni multimediali che parte dalla stimolazione di diversi canali sensoriali per conferire all'allievo un ruolo attivo nel proprio processo di apprendimento. Il presente lavoro non si propone l'obiettivo di una completezza assoluta in ambito di glottodidattica per lo studente disabile visivo ma vuole approfondire alcune delle tecniche che potrebbero risultare utilili alle caratteristiche dello studente con tali bisogni educativi speciali.

CAPITOLO 1: L'INCLUSIONE DELL'ALUNNO DISABILE VISIVO NELLA SCUOLA 1. Incontro, comprensione e valorizzazione delle differenze Nella scuola sono presenti gruppi eterogenei di alunni, per tanto l'apprendimento necessita di molte diverse prospettive, approcci e punti di arrivo.


In una stessa classe, infatti, si incontrano bambini e ragazzi con esigenze particolari, che richiedono interventi specialistici e mirati, e altri che necessitano di attenzioni, anche se non specialistiche.1 Questi bisogni di ciascun alunno devono trovare una risposta nella scuola, in una scuola che integra tutti, qualunque sia il loro bisogno speciale e che rende significativa la loro presenza.2 La didattica quotidiana deve dunque diventare “speciale”, cioè con più qualità.3 La capacità di riconoscere le situazioni “speciali” e specifiche di ciascuno è una prerogativa essenziale di ogni insegnante, per rispondere alla molteplicità dei bisogni presenti in ciascun gruppo. L'importanza della valorizzazione delle differenze individuali è stata sostenuta da importanti studiosi, quali gli psicologi Howard Gardner, con la “Teoria delle intelligenze multiple” e Robert Sternberg, con il modello tripartito dell'intelligenza, o Cesare Cornoldi, con la definizione degli stili cognitivi dell'allievo, sulla base dei quali i docenti dovrebbero modulare il proprio stile di insegnamento. Nel 1983, infatti, Howard Gardner parlò di nove diversi tipi di intelligenze: linguistico-verbale, logico-matematica, visivo-spaziale, musicale, cinestecica, naturalistica, interpersonale e intrapersonale che si combinano in modo unico per cui ciascuno di noi ha un proprio originale profilo intellettivo.4 A questa visione del variegato panorama degli studenti presenti in una stessa classe dovrebbe corrisponde un'impostazione didattica che valorizzi ogni tipo di intelligenza di ciascun componente del gruppo classe. 1

D'ALONZO L., Come fare per gestire la classe nella pratica didattica, Giunti, pp 11

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IANES D., Didattica speciale per l'integrazione, Erikson, p. 31

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Ivi, pag. 32

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Slide della Professoressa Ferraboschi L., “Metacognizione e differenze individuali”


Solo due anni dopo Sternberg delineò i tre tipi basilari dell'intelligenza: quella analitica, intesa come capacità di giudicare, valutare e scomporre, fare confronti ed esaminare i dettagli; vi sarebbe poi un'intelligenza creativa, intesa come capacità di scoprire, produrre novità, immaginare ed intuire ed infine l'intelligenza pratica ovvero la capacità di organizzazione e l'abilità nell'usare strumenti, applicarli, attuare concretamente progetti e piani mirati ad obiettivi concreti. Sempre in quegli anni Boscolo parlò di "stili cognitivi" definendo come ciascuno ne segua uno proprio e come gli stessi varino a seconda dei compiti e delle situazioni. Cornoldi li classificò in: stile globale o analitico a seconda che vi sia una visione di insieme o dei dettagli, sistematico, se l'alunno procede a piccoli passi o intuitivo, se invece formula ipotesi teoriche di cui cerca velocemente una conferma, impulsivo o riflessivo, verbale o visuale, autonomo o creativo.5 E' dunque evidente come, a livello di apprendimento, vi siano specificità di ciascuno, che vanno considerate, e valorizzate, al fine di portare ogni alunno al proprio livello di successo formativo. Tale panorama di valorizzazione della differenziazione ha poi, come obiettivo finale, l'inclusione di tutti e di ciascuno, inclusione come valore fondante un intero sistema (UNESCO 2008, EDUCATION FOR ALL). L'Agenzia Europea nel 2012 ha per tanto delineato il profilo del docente "inclusivo", sottolineando come tale figura debba "valutare la diversità dell'alunno (la differenza è da considereare una risorsa e una ricchezza).6 Ecco quindi come sia la norma incontrare le differenze in un sistema, anzi, come queste lo portino all'evoluzione. 5

Slide Professoressa Ferraboschi L., “Stili cognitivi e stili di apprendimento”

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Slide Professoressa Ferraboschi L., “L'insegnante di sostegno e le buone pratiche inclusive”


Anche Ianes affronta il tema della specialità delle "normali differenze individuali" alle quali corrisponde la specialità di alcuni interventi. Per valorizzare le differenze individuali vi è dunque la necessità di differenziare le attività didattiche: ecco quindi che in uno stesso momento sono tutti gli alunni a fare cose diverse, con metodi e strtegie diverse. Ai bisogni educativi speciali deve corrispondere una risposta educativa speciale in senso inclusivo, senza considerare la “specialità” come qualcosa legato al singolo. In un'accezione più autentica di inclusione non è il signolo a doversi adattare al sistema ma è quest'ultimo che deve essere pronto al cambiamento. Ciò non significa che non vadano tenuti in considerazione i concetti di individualizzazione e personalizzazione, ma non è il ricorso a tecniche o a strumenti ideati ad hoc a garantire l'efficacia dell'attività di apprendimento; al contrario è il modo in cui si costruisce la realzione con lo studente7 a partire dal rispetto, ascolto, pazienza, capacità di coinvolgimento, attenzione alla diversità. La risposta “speciale” va dunque inventata in ogni momento e sembra richiedere una speciale capacità di “pensare” che inizia dalla percezione globale, unitaria e contestuale del problema da elaborare in ogni situazione. 8 Ecco quindi come fare didattica speciale significhi fare didattica inclusiva nel senso di valorizzare le specificità di ciascuno, utilizzando procedure che contemplino il raggiungimento degli obiettivi con modalità differenti per ciascun alunno. Gli insegnanti possono proporre in classe attività che insegnino agli studenti a comprendere ed accettare le differenze individuali.

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D'ALONZO L., BOCCI F., PINNELLI S., Didattica speciale per l'inclusione, La Scuola, Brescia, p. 91

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D'ALONZO L., BOCCI F., PINNELLI S., Didattica speciale per l'inclusione, La Scuola, Brescia, p. 95


Saledn e Schniedewind e Davidson hanno sviluppato attività e materiali attraverso cui i docenti possono esplorare, con gli studenti, le differenze individuali collegate alla disabilità, cultura, al genere ed allo status socio-economico. 9 Tali attività si riferiscono al diversificare il materiale didattico in classe in modo che rispecchino i diversi stili cognitivi, i tipi di intelligenza ed il background di esperienze dei diversi alunni, al presentare agli studenti informazioni su personaggi famosi con diversità, al mostrare e far leggere libri che trattino di questo argomento, al decorare la classe e i corridoi con poster, fotografie e disegni che comprendano persone con diversità individuali, al discutere somiglianze e differenze tra le culture, sono solo alcune tra le possibili. Infine, visto gli studenti osservano i loro insegnanti, questi si devono porre come modello che mostra come tutti gli studenti siano ugualmente accettati e stimati proprio in virtù della loro singolarità, che li differenzia da tutti e da ciascuno.

2. La disabilità visiva, un fenomeno complesso La definizione delle disabilità visive è stata approvata dallo Stato italiano con la legge 138/2001, la quale riconosce formalmente che la disabilità visiva non equivale alla mancanza completa della vista, nè alla sua drastica riduzione quantitativa, accogliendo le raccomandazioni suggerite dall'Organizzazione Mondiale della Sanità secondo le quali, nel valutare gli effetti invalidati di tale disabilità, va tenuto conto non solo della quantità di visus residuo posseduto, espressa sottoforma di frazione, ma anche della percentuale di campo perimetrico disponibile.10 9

IANES D., Didattica speciale per l'integrazione, Erikson, p. 344

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CALDIN R., Percorsi educativi nella disabilità visiva, Erikson, p. 47


Con il termine disabilità visiva si intende dunque sia la cecità totale che l'ipovisione, sia la cecità congenita o quella tardiva e la pluridisabilità. Un caratteristica della popolazione non vedente è infatti la sua eterogeneità; diversi sono i fattori che influenzano lo sviluppo e le capacità del soggetto non vedente: la causa della ciecità, l'età di insorgenza, la presenza o meno di un minimo residuo visivo. Mentre il termine "cecità" è sempre risultato di facile comprensione, la parola "ipovisione" si presta a svariate interpretazioni, non fornendo indicazioni precise circa l'entità della visione residua. Inoltre le stragegie di intervento in caso di "cecità" sono comuni alla maggior parte degli alunni; al contrario in caso di "ipovisione" vi sono condizioni diversificate da impedire di progettare percorsi educativi standard. La cecità tardiva a sua volta, presenta un notevole vantaggio rispetto a quella congenita, che mina alle radici la crescita di chi ne è colpito. Il deficit si può riscontrare a livello centrale oppoure può essere campimetrico

A sua volta il deficit campimetrico può essere tubolare, a macchie o maculare


Risulta per tanto fondamentale che il docente reperisca informazioni sulla natura del deficit visivo. Oltre alla Certificazione medica, alla Diagnosi Funzionale ed al Profilo Dinamico Funzionale è importante conoscere il momento di insorgenza della problematica, il livello evolutivo e le conseguenze sullo sviluppo e sull'apprendimento. E' indispensabile anche avere informazioni sulla storia personale dell'alunno in modo da conoscere i suoi bisogni specifici e le sue risorse, è importante conoscere l'ambiente familiare e socio-culturale. Attraverso adeguate osservazioni e valutazioni andranno poi accertati i prerequisiti, ovvero le abilità di base indispensabili, che, nel caso di disabilità visiva, sono: la capacità di riconoscere la realtà utilizzando i sensi residui, l'uso della tattilità ai fini cognitivi, l'acquisizione dello schema corporeo, la capacità verbale e gestuale per interazioni significative, la capacità di relazionarsi con i pari, con gli adulti e la partecipazione alla vita di classe. 11 Sulla base di tali osservazioni e valutazioni verrà progettato l'intervento educativo in modo personalizzato rispetto alle esigenze dei compagni vedenti, al fine di accedere alla conoscenza in integrazione con i compagni di classe. Lo studente disabile visivo normodotato presenta potenzialità di sviluppo molto alte ma necessita di metodologie, sussidi e strumentazioni specifici per poterle realizzare; tale studente può partecipare a tutte le attività didattiche programmate nella classe, imparare a fare in autonomia. 11

Slides Professor Abba “L'alunno non vedente entra nella scuola”


Una piena inclusione necessita della parità delle condizioni di partenza e per questo è necessario fornire all'alunno disabile visivo strumenti specifici pensati a partire dalle sue potenzialità sensoriali di apprendimento. Al fine di rimanere nella cornice di una didattica inclusiva, affrontata nel precedente paragrafo, rivolta a tutti e non ad un alunno con difficoltà specifiche, va sottolineata l'importanza del materiale didattico specifico per il non vedente affinchè possa essere guidato a condurre esperienze percettive volte allo sviluppo di capacità. Il materiale didattico tuttavia non si sostituisce alla realtà, la conoscenza verrà acquisita attraverso l'esperienza concreta. E' dunque fondamentale il supporto di macchina dattilobraille per scrivere, display braille e sintesi vocale per leggere, piano di gomma per il disegno (tecnico, geometrico o artistico) in rilievo, riga squadra, gognometro compasso con tacche in rilievo; questi ausili permettono all'allievo di entrare in contatto con la realtà attraverso i sensi vicari. Ma questi ausili non sono gli unici di cui si serve l'allievo disabile visivo; infatti il docente specalizzato in didattica inclusiva può supportare l'apprendimento con schede tallili, come quelle qui di seguito riportare, realizzate durante il presente corso TFA:


Tali supporti permettono all'alunno di esprorare tattilmente, e quindi conoscere il mondo circostante. Nella strutturazione degli stessi è necessario partire da un livello molto vicino alla realtà sino a giungere ad uno maggiormente simbolico. Affinchè tale materiale tattile sia fruibile è necessario sia essenziale, semplice, percepibile e riconoscibile, come negli esempi sopra riportati. Gli ausili didattici e la strumentazione specifica divengono quindi, per lo studente disabile visivo, elementi integranti, sia in quanto favoriscono la sua autonomia sia in quanto supportano l'aspetto cognitivo. L'insegnante di sostegno, con i colleghi curricolari con i quali è contitolare, ai sensi della legge 104/1992, art. 13, hanno dunque il compito di facilitare i processi di apprendimento dello studente con disabilità nel contesto classe. In particolare il docente di sostegno renderà comuni ai colleghi le strategie più opportune per raggiungere gli obiettivi e saranno poi i docenti curricolari a programmare i contenuti volti al raggiungimento degli stessi.

3. I sensi vicari In assenza di percezione visiva gli altri canali assumono un ruolo fondamentale nell'interazione e nella conoscenza della realtà. Non esiste tuttavia alcuna compensazione organica ma è un adeguato intervento educativo che deve stimolare l'utilizzo dei dati acustici, olfattivi, tattili e motori in modo significativo. L'insegnante deve sapere attraverso quali vie di sviluppo la minorazione visiva può essere equilibrata in modo efficacie per poter eseguire precise azioni educative.


La percezione uditiva rappresenta un canale largamento utilizzato dai disabili visivi, anche se è necessario ricordare che il suono non da informazioni relative alla struttura fisica delle cose, aspetto fondamentale per la formazione delle immagini mentali. Sarà per tanto importante associare all'ascolto di suoni e rumori l'esperienza diretta, acquisita attraverso l'esplorazione tattile e l'utilizzo attivo. La percezione tattile rappresenta quindi lo strumento fondamentale di conoscenza per la persona non vedente per cui tale esplorazione attiva, sistematica e intenzionale prende il nome di "esplorazione aptica". Essa diviene la base per le rappresentazioni mentali in quanto fornisce informazioni su forma, dimensione, posizione, peso, consistenza e tessitura ma comporta tempi più lunghi rispetto all'esplorazione visiva. Inoltre bisogna considerare il fatto che molte cose non si possono toccare: i colori, un oggetto lontano, troppo piccolo, troppo delicato, pericoloso, un movimento troppo rapido ecc... Il mondo tattile risulta per tanto molto povero rispetto a quello visivo. Come per la vista giocano un ruolo importante i contrasti cromatici, analogamente avviene per il tatto di fronte ai contrasti tra liscio e ruvido, caldo e freddo, solido e liquido. Anche la percezione olfattiva è fondamentale nel riconoscimento di situazioni, contesti e persone. Tuttavia, a differenza della vista, come l'udito si prestano solo parzialmente ad un utilizzo intenzionale e risentono del variare dei fenomeni atmosferici, alcuni dei quali sono in grado di modificare gli stimolti. Udito ed olfatto funzionano perciò come canali riceventi e svolgono un ruolo passivo di mediatori di informazioni, la cui interpretazione corretta può avvenire soltanto attraverso un'esperienza pregressa.


Inoltre sono dotati di scarso potere selettivo quindi, in mancanza di un idoneo intervento educativo-riabilitativo, il loro impiego spontaneo rischia di esaurirsi nell'ambito delle necessità fisiche. Infine la percezione gustativa consente l'apprezzamento non solo dei sapori ma anche il riconoscimento di alimenti e la discriminazione di alcune sostanze. Grazie alle informazioni acquisite attraverso i canali sensoriali integri la persona non vedente può avviare un processo di conoscenza della realtà e partecipare dalle sistuazioni di vita quotidiana. L'insegnante ha pertanto a disposizione tali canali sensoriali vicari in risposta alle esigenze individuali degli studenti all'interno della classe ed è importante che tali canali tengano in considerazione i principali stili di apprendimento degli studenti. Bisogna tuttavia ricordare che attribuire a udito, tatto, olfatto e vista un ruolo compensativo della vista sia fuorviante, in quanto la natura non ha dotato gli individui di detti sensi affinchè vengano utilizzati in sostituzione di quallo visivo, tanto più che ognuno di essi possiede caratteristiche proprie, diverse tra loro e veicola informazioni specifiche. Ad essi i disabili visivi sono tenuti a ricorrere, non tanto per compensare il senso mancante, ma al fine di ottenere tutti i dati che si riferiscono all'ambiente ed ai fenomeni che vi hanno luogo ed ad interagire con esso mediante l'organizzazione funzionale delle percezioni facenti capo ad ogni signolo senso.

4. Il ruolo della didattica speciale nella disabilità visiva: l'importanza dell'esperienza diretta ed attiva. Una scuola inclusiva necessita di una grande capacità didattica, soprattutto speciale, intesa in senso inclusivo, come delineato nel primo paragrafo.


La didattica inclusiva in presenza di disabilità visiva non è una didattica “altra”, ma tiene conto delle caratteristiche individuali dei singoli allievi, che, in carenza della vista, giungono alla comprensione attraverso altre modalità. Ciò che cambia, rispetto ai compagni vedenti, è il loro modo specifico di approcciare alla realtà.12 Sin dall'infanzia, mentre il bambino vedente è attratto dal mondo circostante, e si adopera per esplorarlo, quello non vedente non lo è spontanemente e va quindi stimolato alla conoscenza della realtà. Il “fare esperienza diretta” assume un ruolo fondamentale per lo studente con disabilità visiva perchè è attraverso la stessa azione che egli determina il proprio ambiente e dà significato alle cose che non vede. Occorre quindi educare il disabile visivo in modo sistematico all'esplorazione tattile degli oggetti affinchè l'esperienza sia significativa, anche attraverso materiale didattico speciale. Il materiale didattico “speciale” può essere di uso individuale, se utilizzato direttamente dall'alunno disabile per sollecitare l'esplorazione e l'apprendimento oppure di uso collettivo, se supporta la partecipazione e la socializzazione. Lo stesso può essere organizzato, come una carta geografica o una figura geometrica in rilievo, semiorganizzato, come barrette metalliche di forme diverse che possono richiedere la riproduzione di forme geometriche. La costruzione e la scoperta conducono allo sviluppo dell'immaginazione.13 Focalizzando l'attenzione al campo più specifico della glottodidattica, la didattica speciale inclusiva dovrà favorire l'apprendimento delle principali abilità linguistiche di base quali il reading, writing, speaking, listening e per presentare il vocabulary e la grammar, partendo dalle peculiarità di questi studenti. 12

Giancarlo Abba, “Immagini da toccare”, p. 49

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Abba G.C., “Immagini da toccare”, pag. 53


Due primi esempi di attività, frequentemente utilizzate in ambito glottodidattico, che sono precluse allo studente disabile visivo, in ambito di lettura, sono lo Skimming e Scanning, due azioni di recupero di informazioni ed indizi sul significato attraverso uno sguardo veloce al testo. Un'attività inclusiva potrebbe essere quella di far precedere alla lettura di un testo una discussione, in modo da favorirne la comprensione, oppure proporre registrazioni audio della voce del docente in cui egli stesso legge lentamente, con attenzione al fraseggio ed all'espressione, per fare in modo che lo studente legga il testo insieme all'ascolto, prima di rileggerlo da solo silenziosamente.14 Se lo studente legge utilizzando il Braille, va considerata la maggiore lentezza che ciò comporta, quindi, sono da preferire testi brevi, come articoli di giornale, canzoni o poesie. Per quanto attiene l'attività di comprensione del testo letto, non vi sono differenze con i metodi utilizzati per la classe, per cui lo studente disabile visivo parteciperà a discussioni, domande sul testo, rielaborazione con le proprie parole ecc... L'abilità linguistica più difficile da apprendere per lo studente disabile visivo è il writing, in quanto lo spelling è una competenza di visualizzazione. L'alunno potrà essere facilitato dalla fonetica, che consente di legare determinati suoni a gruppi di lettere, dalla tecnologia che permette di rileggere le parole che ha scritto ed dal lavoro a coppie o in piccolo gruppo. E' tuttavia probabile che necessiti di un percorso specifico di approfondimento ed esercizio. Per quanto concerne il tradizionale metodo di individuazione dell'errore attraverso segni sul testo, questo può essere adattato ideando un codice da porre a fine testo. Tale codice sarà

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BORROMEO E., “Lingue straniere e disabili visivi: strumenti e stragegie didattiche”, BULZONI EDITORE, p. 35


definito e concordato tra studente ed insegnante (ad esempio “sp” per spelling, “t” per tense ecc...).15 Per quanto concerne l'attività di speaking è importante tenere in considerazione anche l'insegnamento della comunicazione non verbale ed il linguaggio del corpo, i turni di conversazione, il registro, considerando che i gesti in una lingua possono assumere un significato diverso in un'altra. Indicazioni didattiche utili possono essere il concordare convenzioni per il passaggio di turno, come il chiamarsi per nome, oppure presentarsi prima di prendere la parola, l'ordine di intervento può essere definito in anticipo o informare circa qualunque cambiamento avvenga in aula. E' anche fondamentale educare l'alunno a dirigere il proprio corpo verso il parlante per mostrare il proprio interesse. Riguardo all'abilità di listening si può prevedere l'uso del laboratorio di lingue per fornire una vasta gamma di storie, dialoghi e canzoni, registrazioni di programmi televisivi o radiofonici, che possono essere sfruttati sia come lavoro di classe che come autoapprendimento. Una risorsa pe tutti gli studenti, in particolare i disabili vivisi, è rappresentata dagli audiolibri, in cui la storia viene resa viva in base alle capacità del lettore; ciò permette allo studente di sviluppare forti competenze di ascolto. Ed infine il vocabulary per presentare il quale diviene fondamentale l'uso di oggetti reali da far toccare (sia offrendoli all'allievo che portandolo dagli stessi anche attraverso uscite programmate al mercato, al parco ecc...). L'insegnante potrà inoltre mageggiare insieme all'allievo monete o oggetti tipici del paese di cui si studia la lingua. Anche il tono di voce può essere utilizzato per spiegare vocaboli diversi (toni diversi per vocaboli come annoiato, felice).

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Ivi, p. 37


Diviene anche importante utilizzare non solo la cinesica ma anche l'olfatto ed il gusto, ad esempio in riferimento alla spiegazione del colore: attraverso il gusto di frutta, verdura ed alcuni cibi, si potrà arrivare alla definizione che il pomodoro è rosso e la cioccolata marrone, identificando il colore con il cibo di riferimento. 16 Infine il vocabulary può essere definito tramite una spiegazione dello stesso attraverso una definizione linguistica oppure attraverso sound pictures , ovvero loro registrazioni sonore. Per l'insegnamento della grammatica ci si potrà servire di oggetti reali: una mela può essere utilizzata per l'apprendimento della forma passiva in quanto può essere mangiata, tagliata e sbucciata. Il corpo può inoltre rappresentare un ottimo veicolo di comprensione attraverso movimenti o azioni; ad esempio è possibile utilizzare le dita di una mano per spiegare le contrazioni, assegnando ad ogni dito una parola della frase per poi raggrupparle in base alla contrazione da insegnare. Un oggetto può essere sfruttato per insegnare le preposizioni di luogo, i comparativi ed i superlativi e cartoncini con le parole in Braille o a caratteri ingranditi possono essere utilizzati per l'insegnamento delle strutture grammaticali, in cui lo studente dovrà costruire frasi affermativa, interrogativa o negativa a seconda dell'indicazione dell'insegnante. La didattica speciale, qui sopra citata, va posta nella direzione della didattica inclusiva, nel momento in cui tali attività vengono pianificate per dare risposte ad ogni studente. Un insegnante che agisce sul piano inclusivo programma il proprio lavoro in modo da raggiungere e soddisfare le necessità di ogni allievo della sua classe.

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Nella scuola inclusiva

ogni alunno viene coinvolto, viene fatto sentire parte di un gruppo e valorizzato, ogni alunno 16

BORROMEO E., Lingue straniere e disabili visivi: strumenti e strategie didattiche, Bulzoni, p. 41

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D'ALONZO L., BOCCI F., PINNELLI S., Didattica speciale per l'inclusione, La Scuola, p. 37


merita attenzioni specifiche, disabili e non disabili, italiani e stranieri, alunni con disturbi sociali o problemi più o meno marcati. Ogni compagno, che può anche arrivare ad obiettivi simili con strumenti diversi, viene considerato una risorsa indispensabile per la propria crescita.

CAPITOLO 2: IL METODO AUDIORALE 1. Il metodo audiorale. Il metodo audioorale è nato nell'ambito di un programma specializzato per l'esercito americano per l'insegnamento delle lingue straniere (Army Specialized Training Program, ASTP). Esso si basa sull'approccio strutturalistico, oltre che sulla psicologia comportamentista di Skinner, e considera la lingua oggetto di apprendimento come un insieme di microstrutture da apprendere attraverso una serie intensiva di pattern drills, ovvero esercizi "strutturali", costituiti da varie sequenze stimolo-risposta-conferma, presentate con ritmo incalzante, al fine di impedire una riflessione consapevole e di privilegiare la memorizzazione spontanea.18 I pattern drills possono essere "sintagmatici", se modificano la struttura del sintagma ("io mangio" diventa "io ho mangiato", quindi "io bevo" diventa "io ho bevuto" ecc...), oppure "paradigmatici", se legano un verbo con un oggetto ("io mangio, mela" diventa "io mangio la mela", io bevo, acqua" diventa "io bevo l'acqua" ecc...), o ancora "combinati" ("io mangio, pera, ieri" diventa "ieri ho mangiato una pera"). Tali esercizi vengono per lo più svolti in laboratorio linguistico e propongono una sorta di memorizzazione di strutture e di lessico che dovrebbero poi generare la lingua in maniera

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BALBONI P., Le sfide di Babele, insegnare le lingue nelle società complesse, UTET, p. 21


spontanea. La memorizzazione avviene attraverso esercizi di ripetizione imitativa e tramite lo svolgimento di esercizi meccanici strutturati con cui interiorizzare i pattern da apprendere. Nel metodo audio-orale la priorità risulta essere l'apprendimento della lingua, appunto, a livello orale; esso risponde infatti all'esigenza di imparare a comprendere i madrelingua ed a comunicare in breve tempo, mentre la lettura e la scrittura sono introdotte in un secondo momento. Il ricorso alla spiegazione esplicita delle regole non è previsto, essendo la grammatica appresa in modo implicito, tramite induzione ed analogia. Essa cessa quindi di essere il focus primario dell'apprendimento linguistico, sino a quel momento imperante. In tale ambito lo studente viene considerato una sorta di “tabula rasa”, che apprende secondo i principi del comportamentismo, ed il docente assume il ruolo di gestorie di batterie di esercizi strutturali. Egli infatti dovrebb solo guidare l'apprendente lungo un cammino costituito da tappe ben precise. Tuttavia, essendo il modo di apprendere la seconda lingua analogo a quello di apprendimento della lingua madre, si può verificare la sovrapposizione in L2 di abitudini linguistiche precedentemente apprese in L1, portando a meccanismi di interferenza linguistica. E' diventato quindi centrale prevedere ed eliminare l'errore attraverso opportuni esercizi calibrati sulla conoscenza delle possibili interferenze.

2. Perchè è importante in glottodidattica speciale per il disabile visivo? Il metodo audiorale è stato sperimentato in ambito di glottodidattica speciale sia negli anni '60, dall'Office of National Rehabilitation degli Stati Uniti, durante in programma di addestramento


linguistico per studenti ciechi e ipovedenti, che a New York, negli stessi anni da The Catholic Guild for the Blind in un programma di insegnamento dell'inglese come seconda lingua.19 In entrambi i casi gli studenti dovevano prima raggiungere un buon controllo dei sistemi dei suoni della lingua straniera e in un secondo momento venivano introdotti lessico, grammatica e la produzione scritta. In particolare i ricercatori Kesselman e Snyder affermarono che i disabili visivi possiedano un'eccezionale abilità nell'apprendimento delle lingue straniere, destrezza attribuita alla loro maggiore sensibilità uditiva ed all'allenamento all'uso della memoria.20 Il ruolo positivo della ripetizione nella memorizzazione è infatti un punto focale del metodo audiorale. Anche recenti ricerche degli anni '90 sui neuroni specchio hanno rivalutano significativamente il ruolo della ripetizione, cioè del rispecchiare eventi già avvenuti (ad esempio frasi appena udite). Ecco quindi come lo studente con disabilità visiva, potendosi avvantaggiare dell'importanza data all'ascolto ed all'aspetto orale della lingua in tale metodo, potrebbe sfruttare ancora oggi un uso di questo metodo, non intendendolo come l'unico possibile, a causa dei difetti che verranno di seguito indicati, ma come integrazione di altri metodi, più recentemente sperimentati. L'utilizzo di tecniche che potenzino il canale uditivo, la ripetizione continua, che porta all'acquisisione meccanica di automatismi e la memorizzazione del materiale proposto risultano per l'allievo disabile visivo strategie efficaci per l'apprendimento delle lingue straniere, ambito nel quale molti studiosi hanno sottolineato la loro particolare predisposizione. 19

BORROMEO E., Lingue straniere e disabili visivi: strumenti e strategie didattiche, BULZONI EDITORE, p. 27

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ELEONORA B., Lingue Straniere e disabili visivi: strumenti e strategie didattiche, BULZONI EDITORE, p. 27


3. Superamento del metodo audiorale. La gloria dell'approccio strutturalistico tuttavia si chiuse alla fine degli anni '50, per l'attacco di Chomsky al modello skinneriano, che distrusse l'idea di apprendimento comportamentista ma anche per l'evoluzione del pernsiero di Robert Lado, anche ad opera della nascita della sociolinguistica che lo portò alla conclusione che le microstrutture linguistiche perderebbero significato se non in una situazione sociale. Anche nell'ambito della disabilità visiva si riscontrano svantaggi a carico del metodo audioorale. Le conclusioni infatti a cui è arrivato Marshall nel 1968 furono infatti a meno ottimistiche rispetto a quelle indicate dai due ricercatori nel paragrafo precedente, in quanto egli sottolineò le difficoltà a selezionare ed ad adattare il materiale di insegnamento per questa categoria di disabilità. Inoltre ribadì l'importanza di apprendere una lingua in un contesto significativo in cui poter esporre gli alunni disabili ad una varietà di oggetti che possano toccare. Negli anni '80 l'entusiasmo per il metodo audiorale lasciò inoltre spazio ad una maggiore preoccupazione verso le abilità di lettura e scrittura nell'apprendimento delle lingue straniere. In particolare Nikolic nel 1986 sottolineò l'importanza di un adeguato adattamento dei materiali di studio, che talvolta significherebbe stravolgerli, ed il fatto che gli studenti, prima di procedere alla lettura e scrittura in lingua straniera, dovrebbero essere abili con queste capacità con il sistema Braille in lingua madre. Egli vedrebbe però il problema principale nell'insegnamento di intonazione e ritmo attraverso il testo, visto che la lettura Braille è un processo più lento, e quindi l'inevitabile presenza di errori di pronuncia, a causa dell'incapacità dello studente di identificare velocemente la parola che segue. Nikolic suggerirebbe per tanto


corsi di lettura veloce in Braille, intravedendo un grande potenziale professionale per gli studenti non vedenti nel campo delle lingue straniere, grazie alla loro sensibilità uditiva ed addestramento mnemonico.21 Anche negli anni '90 Guinan criticò tale metodo perchè partì dal presupposto che gli studenti debbano padroneggiare le abilità di comunicazione orale e ascolto prima di affrontare quelle di lettura e scrittura, secondo lei da attribuire al fatto che gli insegnanti di lingua straniera non conoscono il Braille, più che ad una scelta metodologica di fondo. La conseguenza della poca esposizione alla parola scritta porterebbe ad errori di ortografia. La Guinan sottolinò quindi l'importanza di avere insegnanti di lingue doppiamente competenti, sia nell'ambito dell'inglese come lingua straniera, che in quello della didattica per disabili visivi, cosa poco praticabile in un contesto scolastico in cui un docente incontra differenti tipi di disabilità, per cui è altresì necessaria una formazione in tali svariati ambiti.22 A partire dagli anni '70 quindi tali pattern drills vengono in generale abbandonati, almeno in apparenza, in ragione della loro considerazione eccessiva rigidità e del fatto che porterebbe a sminuzzare e decontestualizzare una lingua, che verrebbe poi appresa da uno studente ridotto ad una tabula rasa. In realtà sono probabilmente solo mimetizzati e rimangono nei manuali secondo modalità meno meccaniche. Gli aspetti tuttavia ancor validi di tale metodo sono da ricondurre all'importanza data all'aspetto fonetico della pronuncia ma anche al fatto che non si impara una lingua se non si automatizzano alcuni processi e l'automatizzazione richiede la ripetizione. Non vanno infine dimenticate le ricerche sulla memoria che riprendono l'idea che la ripetizione abbia un ruolo fondamentale nella memorizzazione. 21

BORROMEO E., Lingue straniere e disabili visivi: strumenti e strategie didattiche, BULZONI, p. 28

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Ivi, p. 29


CAPITOLO 3: OLTRE IL METODO AUDIORALE: IL TOTAL PHYSICAL RESPONSE, L'APPROCCIO COMUNICATIVO E LE NUOVE TECNOLOGIE 1. Il metodo Total Phisical Response (TPR) A partire dagli anni '60 è stata abbandonata l'idea di sezionare e decontestualizzare una lingua a favore di approcci che vedono la stessa come azione sociale, che serve per comunicare. In questi anni si fanno strada anche i così chiamati "metodi clinici", che molte volte sembrano riprendere il modello del rapporto tra psicologo e paziente nella psicoterapia: l'insegnante parla poco e stimola lo studente a farlo, lo incoraggia. Uno di questi è il Total Physical Response. Insegnare una lingua straniera attraverso la “risposta fisica” ad una serie di comandi verbali, ossia attraverso l'associazione tra parola e movimento fisico: in questa frase si concentra l'essenza del Total Physical Response 23, più comunemente noto come TPR, ideato negli anni Sessanta da J. Asher, professore di psicologia all'Università di S. Josè in California. L'asse portante di questo approccio è che, come per l'apprendimento naturale della lingua madre , il bambino ascolta e risponde con gesti alle parole dei genitori, espresse in genere sottoforma di esortazioni, così sia possibile l'apprendimento della lingua straniera. Come nella fase iniziale il bambino ascolta e, prima di iniziare a parlare, risponde con gesti ai genitori, così, secondo Asher, un adulto può imparare una lingua straniera.

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BORNETO. C.S., “C'era una volta il metodo, Tendenze attuali nella didattica delle lingue straniere, CAROCCI EDITORE, p. 65


L'associazione ripetuta di un concetto al movimento fisico lascierebbe una traccia permanente, in quanto attraverso l'attività pratica collegata al movimento sarebbe possibile acquisire direttamente la realtà. Ai fini della memoria ciò rivelerebbe una maggiore incisività rispetto ad un procedimento essenzialmente astratto. Nel TPR la lingua è concepita quasi esclusivamente come codice orale e l'intero sistema ruota attorno all'imperativo. Asher sostiene quindi che gli studenti possano acquisire una competenza sufficientemente completa attraverso gli elementi concreti di una lingua, senza fare alcun ricorso alle astrazioni. Ecco il motivo per cui potrebbe essere ben sfruttato in caso di disabilità visiva, grazie al suo legame con la realtà concreta, che potrebbre poi dall'alunno essere esplorata anche tattilmente. La lingua verrebbe poi assimilata a livello di chunks o macrostrutture, piuttosto che a livello di singoli elementi lessicali, attraverso il movimento fisico. Non esiste un testo di riferimento, in una fase iniziale sono sufficienti la voce dell'insegnante, i gesti che il movimento fisico implica e gli oggetti della classe quali penne, quaderni, sedie e banchi. In una fase più avanzata si può passare ad attività di role play, di domanda e risposta, storie e dialoghi creati dagli studenti. Il ruolo fondamentale dell'apprendente è quello di "ascoltatore" ed "attore"mentre l'insegnante ha un ruolo molto attivo e diretto, è un "regista" che decide che cosa insegnare e che organizza la lezione nei minimi particolari. L'insegnante dovrebbe dunque creare opportunità di apprendimento, cercare la situazione migliore affinchè gli studenti possano riorganizzarle nella loro mente, ma soprattutto procedere rispettando i tempi di appredimento, senza forzarli a parlare se non si sentono pronti.


La lingua diviene uno strumento per comunicare, in cui la correttezza formale è di secondaria importanza e lo studente deve essere messo in condizione di comunicare senza inibizioni. Un esempio di lezione in TPR potrebbe partire con una revisione degli argomenti relativi alle lezioni precedenti, una sorta di veloce riscaldamento, che richiede l'esecuzione di alcuni comandi già conosciuti. La lezione proseguirebbe poi con i comandi nuovi, con gli studenti seduti di fronte all'insegnante, disposti in semicerchio, sul tavolo l'insegnante può mettere alcuni oggetti, come matite, libri e fogli di carta, chiama a fianco a se uno studente (ad esempio il disabile visivo come modello che pre agisce quanto accadrà), la classe guarda ed ascolota in silenzio. Quando lo studente dimostra di essere in grado da solo di rispondere ai comandi impartiti, l'insegnante chiama a turno gli altri e ripropone loro la precedente sequenza, all'interno della quale in un secondo momento introdurrà delle variazioni. Un esempio di sequenza potrebbe essere "pick up the paper and the pencil/put down the paper only/now put down the pencil/put down the book but do not put down the pencil". La lezione procederebbe poi con altri comandi nuovi, in cui all'alunno viene chiesto di ricombinare gli elementi ormai familiari, formulando frasi che gli studenti non hanno mai sentito prima (ad esempio "Paolo, stand up/ walk to the table/pick up the pencil and the paper/walk to the window and put the pencil on the floor/put the paper on your chair"). A questo punto verranno introdotti nuovi materiali, ad esempio name, address, on, under, numbers ecc...inserendoli nella sequenza all'imperativo. La fase finale, di revisione, vedrebbe l'insegnante ripetere i comandi, far muovere a turno tutti gli studenti e scrivere alla lavagna ogni nuovo elemento introdotto leggendo ad alta voce quanto scrive.


L'essenza di tale metodo sono dunque il verbo all'imperativo, le strutture grammaticali ed il lessico; le forme linguistiche sono finalizzate alla trasmissione di un messaggio che richiede una "risposta fisica" immediata. Gli argomenti vanno introdotti in modo graduale e si procede con il riproporre in modo diverso solo quando gli studenti hanno appreso le strutture precedentemente illustrate. In questo modo si stimola la flessibilità linguistica degli apprendenti evitando l'assimilazione meccanica di formule fisse, come visto nel medoto audioorale. I movimenti del corpo rappresentano dunque la peculiarità di questo metodo ed un veicolo di comprensione ed assimilazione dei nuovi elementi della lingua straniera, soprattutto a livello di macrostrutture o chunks.

2. Perchè il TPR è importante in glottodidattica speciale per il disabile visivo? La glottodidattica speciale si pone come obiettivo l'insegnamento apprendimento delle lingue straniere attraverso lo sfruttamento dei canali integri, in particlare il tatto e l'udito. Ecco che il Total Physical Response, basandosi sia sull'oralità (comprensione di un comando orale) che sul legame con elementi concreti o movimento come esecuzione di comandi appresi, ben si presta all'utilizzao di tali due sensi vicarianti. Infatti, un primo aspetto del TPR sfruttabile in presenza di una alunno disabilità visiva è l'associazione di un concetto al semplice movimento fisico, oltre che alla ripetizione verbale. Attraverso tale attività pratica, collegata al movimento, è infatti possibile "aquisire direttamente la realtà"24, necessità fondamentale per alunni disabili visivi, ed ai fini della memoria ciò si rivela

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BORNETO C.S., C'era una volta il metodo, tendenze attuali nella didattica delle lingue straniere, CAROCCI EDITORE, p. 69


maggiormente incisivo rispetto ad un procedimento essenzialmente astratto come la mera ripetzione verbale, tipica del metodo audioorale. Attività quali 

Stand up and walk

Touch your desk

Pick up your book and give it to Paul

Put down the book

possono essere seguite da tutti gli allievi e rappresentano un valido veicolo di comprensione ed assimilazione dei nuovi elementi della lingua straniera, staccando l'allievo disabile visivo dal rischio di verbalismo, cioè dal rischio di ripetizione di parole per loro prive di significato. Uno dei principali rischi dei disabili visivi infatti è proprio quello di affezionarsi alle parole più che alla realtà, per cui la pratica didattica del cercare di rendere le esperienze di apprendimento il più concreto possibile può ridurre questa possibilità. Un principio pedagogico su cui si basa la tiflodidattica italiana è proprio quello di concretizzare per quanto possibile le loro esperienze di apprendimento. In secondo luogo l'importanza della comprensione orale in questo metodo, lo rende particolamente adatto con studenti disabili visivi, grazie alla possibilità di sfruttamento del canale uditivo, che va però sempre stimolato. Essendo fondamentale un percorso di educazione del senso dell'udito e dell'attività di ascolto e comprensione, se affiancata da una pratica costante, la loro capacità di ascolto e comprensione sia in alcuni casi migliore di quella dei compagni vedenti. Eccon quindi come il TPR si presta allo stimolo uditivo, ascolto e comprensione al fine di eseguire il comando impartito.


Anche la gradualità con cui vengono introdotti i nuovi argomenti, nonchè la flessibilità linguistica del riproporli in modo diverso rispetto all'inizio, evita agli studenti l'assimilazione meccanica di formule fisse a cui si era abituati negli anni passati, ed in presenza di disabilità visiva si può limitare il rischio del cosiddetto parroting

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a cui loro sono più di altri esposti,

data la loro tendenza a riprodurre i suoni sentiti, se non hanno avuto esperienza diretta. Infine l'atmosfera distesa necessaria in classe, attraverso l'umorismo e la conduzione della lezione in modo vivace e divertente diventa una componente importante al fine di mantenere vivi attenzione ed interesse. Per tanto nella glottodidattica speciale, in presenza di un'alunno con disabilità visiva, il metodo TPR ,basandosi sulla possibilità di sfruttamento dei canali sensoriali integri, può giovare al loro processo di apprendimento andando olre la loro mancanza, al contrario potenziando il canale uditivo che li può anche portare oltre i livelli e le capacità raggiunge dai vedenti.

3. L'approccio comunicativo. Gli approcci comunicativi nascono all'inizio degli anni Settanta, in contrapposizione alle forme di insegnamento tradizionali allora dominanti, tra cui il metodo audiorale, con l'obiettivo di eliminare il difetto principale che si caratterizza come la difficoltà di trasferire quanto appreso in classe a situazioni pratiche reali. Il metodo audiorale infatti, benchè privilegiasse la lingua orale, risultava troppo rigido e meccanico e lo studente riusciva a comunicare agevolmente solo se doveva applicare le strutture già esercitate, mentre era in difficoltà a reagire a situazioni non codificate.

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BORROMEO E., Lingue straniere e disabili visivi: strumenti e strategie didattiche, BULZONI EDITORE, p. 19


L'etnolinguista americano Dell Hymes infatti, quando nel 1972 coniò il termine di competenza comunicativa, riteneva che conoscere le caratteristiche formali di una lingua non fosse condizione sufficiente per comunicare.26 Hymes rilevò infatti come la competenza linguistica non garantisse la capacità comunicativa, la quale richiede anche componenti extralinguistiche e socioculturali.27 La competenza comunicativa includerebbe non solo la competenza grammaticale, ma anche quella sociolinguistica, legata all'appropriatezza, quella discorsiva, connessa a coesione e coerenza ed a quella strategica. L'approccio comunicativo infatti non si concentra solo sugli aspetti strutturali della lingua da apprendere ma pone particolare attenzione al suo “uso”. Ecco quindi che la lingua oggetto di insegnamento è il più possibile autentica, quella che si sente alla radio, in trasmissioni televisive o si legge sui giornali. Gli esercizi di competenze isolate come i drills vengono dunque sostituiti da interazioni sociali concrete del mondo reale che conivolgono attività interessanti con persone ed oggetti. L'allievo diviene parte attiva ed è chiamato ad interagire con i compagni per simulare situazioni comunicative realistiche, attraverso giochi di ruolo, drammatizzazioni, attività in coppia e di gruppo. Tuttavia l'approccio comunicativo non si basa solo sulla suddetta “competenza comunicativa” ma piuttosto sulla "competenza d'azione", cioè sulla capacità di interagire linguisticamente con altri individui in modo partecipativo e orientato al messaggio per raggiungere determiati scopi.28 Essa è dunque legata al "saper fare", competenza fondamentale nell'intervento con il

26

BORNETO C.S., C'era una volta il metodo, CARROCCI EDITORE, p. 140

27

BALBONI P., Le sfide di Babele, insegnare le lingue nelle società complesse, UTET, P.26

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BORNETO C.S., C'era una volta il metodo, CARROCCI EDITORE, p. 143


soggetto non vedente per il quale è di fondamentale importanza l' esperienza attiva, al di là dell'eventuale utilizzo dei sensi vicari. La lingua non viene più dunque usata solo per esprimere atti comunicativi come il sapersi presentare, fare richieste, rispondere ad un'offerta, fare un invito o dare un ordine, ma anche e soprattuto per interagire in modo partecipativo con gli altri interlocutori, per il raggiungimento di determinati “saper fare”. Viene progressivamente abbandonata la prospettiva delle "correttezza" formale e l'attenzione si è dunque spostata sulla lingua d'uso, ovvero in quella di conversazioni spontanee tra parlanti nativi. Si tratta così di una lingua che comprende anche guasti della performance quali false partenze, esitazioni, lapsus. Nasce quindi la tolleranza nei confronti dell'errore, considerato come parte fondamentale del processo di apprendimento di una lingua, al contrario di quanto era accaduto sino ad allora, per cui l'errore veniva considerato elemento negativo da reprimere. Mentre la consuetudine didattica tradizionale portava a correggere l'errore non appena si verificasse, la prospettiva comunicativa lo considera parte ineliminabile del processo di apprendimento di una lingua, che fornisce all'insegnante preziose informazioni circa le stragegie di apprendimento che sta mettendo in atto l'allievo. Durante le produzioni orali, scritte e i role plays, in cui si chiede allo studente di porre l'attenzione sul contenuto, gli errori non andrebbero corretti, sarebbe una valutazione stragegica perdente da parte dell'insegnante correggere in tali situzioni. La correzione davanti alla classe potrebbe infatti inibire la loro voglia di partecipare attivamente, di rischiare, di "buttarsi", bloccando il motore fondamentale che è la curiosità,


l'interesse la capacità di procedere per tentativi, di essere protagonisti del proprio processo di apprendimento. Ciò su cui si sposta l'attenzione è la coerenza e la fluenza del discorso, la loro capacità di far passare la comunicazione, di negoziare argomenti.29 Un possibile ambito di correzione potrebbe essere quello delle attività analitiche e controllate, ovvero quelle che focalizzano l'attenzione sulla forma. L'insegnante potrebbe portare gli allievi alla consapevolezza dell'errore ed alla loro autocorrezione, facendo praticare espressioni volte alla richiesta di ripetizioni, riformulazioni o promuovendo una riflessione metalinguistica da parte degli studenti sulle proprie produzioni. Nell'aula comunicativa l'idea di fondo è quella di favorire l'interazione tra studenti quindi i banchi potrebbero essere disposti in gruppi da quattro oppure, nel caso di attività di drammatizzazione, l'insegnante dovrebbe lasciare il suo spazio agli studenti-attori e mettersi tra il "pubblico" costituito da studenti non recitanti. La lezione partirebbe quindi con una fase di presentazione, in cui l'insegnante introduce alla classe il contenuto della lezione che intende svolgere, ricorrendo all'ascolto o alla lettura di un dialogo. Successivamente gli studenti mettono in pratica la struttura precedentemente presentata attraverso esercizi e lavoro di coppia; infine gli studenti utilizzano in modo libero la nuvoa struttura attraverso il role play. In focus è posto sulla comunicazione. Lo studente è dunque, in un contesto comunicativo, al centro del processo di apprendimento, con il diritto al rapporto diretto con la realtà, senza la mediazione dell'insegnante; il diritto al

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BORNETO C.S., C'era una volta il metodo, tendenze attuali nella didattica delle lingue straniere, Carrocci Editore, p. 151


libero scambio tra studenti, il diritto al libero apprendimento, seguendo intuizioni personali, il diritto di sbagliare.30

4. Perchè l'approccio comunicativo è spendibile in glottodidattica per il disabile visivo? La didattica comunicativa sposta quindi l'attenzione sulla comunicazione basata sul concetto di azione. Comunicare significa agire attraverso la lingua, azione che è di fondamentale importanza per lo studente disabile visivo, innanzitutto per evitare il rischio di verbalismo, ovvero la ripetizione di parole prive di significato, ed in secondo luogo come mezzo privilegiato di conocenza della realtà, oltre allo sfruttamento dei sensi vicari. Si è infatti visto in precedenza come, in presenza di alunni disabili visivi, sia importante associare sempre la percezione acustica alla conoscenza diretta della realtà, acquisita sia attraverso l'esplorazione tattile ma anche attraverso l'utilizzo attivo di quanto percepisca acusticamente. La sola parola non può sostituire l'esperienza diretta, per tanto diventa di fondamentale importanza l'agire, anche attraverso la lingua straniera. La lingua, non essendo limitata ad una mera percezione a livello uditivo, viene infatti, nell'approccio comunicativo, utilizzata per veicolare un significato, per interagire attivamente con altri interlocutori, per il raggiungimento di determinati "saper fare", per risolvere situazioni di uso comune. Apprendere una lingua viene per tanto considerata un'esperienza totale, nel senso che coinvolge l'individuo su più piani, non più soltanto quello razionale di riflessione sull'aspetto formale della lingua, ma anche quello emotivo e fisico. 31

30

Ivi, p.168


In secondo luogo, l'importanza della didattica comunicativa per lo studente disabile visivo è legata al fatto che l'attore principale in tale ambito sia proprio lo studente, considerato in tutta la sua complessità, con determinati bisogni, scopi e motivazioni. Tale approccio didattico pone la personalità dell'allievo al centro del processo di apprendimento, rispettandone le preferenze di studio, le motivazioni, i tempi e le resistenze e questa valorizzazione delle differenze abbiamo visto essere il punto cardine della didattica inclusiva. Inoltre, abbandonando la focalizzazione dell'attenzione sulla "correttezza formale" ma spostando invece il focus attentivo sulla lingua stessa, così come avviene in conversazioni spontanee, in cui possono anche apparire "guasti" della performance, quali false partenze, esitazioni, lapsus l'approccio comunicativo si è spostato verso la "tolleranza" nei confronti dell'errore, che, visto come parte ineliminabile del processo di apprendimento, non viene per forza corretto, con il rischio di inibire la voglia di rischiare di parlare dello studente. E' stata anche sottolineata l'importanza dell' instaurare un clima non direttivo, in cui non si focalizza sull'aspetto valutativo, affinchè l'alunno sia messo nella migliore per apprendere; questo approccio didattico, ponendo l'accento sulla competenza d'uso e accettando eventuali errori di forma, sembra essere particolamente adatto a creare la condizione che favorisca l'apprendimento. L'alunno viene infatti non solo lasciato libero di parlare, ma anche di farlo di ciò che più gli interessa, e l'insegnante motiva ed incoraggia la comunicazione spontanea. Diviene importante instaurare un clima di cooperazione, tutti aspetti che si concretizzano nell'approccio comunicativo, che chiama lo studente ad interagire con i compagni al fine di simulare situazioni comunicative realistiche quali giochi di ruolo o drammatizzazioni. 31

BORNETO S.R., C'era una volta il metodo, tendenze attuali nella didattica delle lingue straniere, Carroci Editore, p. 143


Infine, mentre la lezione frontale potrebbe portare a rendere alcuni studenti passivi, soprattutto il disabile visivo, a non esporsi, a non rischiare, a delegare ogni decisione didattica all'insegnante, la didattica comunicativa, al contrario, sprona l'alunno a "buttarsi" nel compito di comunicazione, evitando l'insegnante l'eventuale correzione dell'errore in tali situazioni. Così tutti gli alunni, anche il disabile visivo che potrebbe essere portato ad una naturale passività, vengono incentivati a provare, sia perchè stimolati dalla natura stessa dell'attività, ma anche viste le ridotte conseguenze negative di un eventuale insuccesso. L'approccio comunicativo può essere considerato una metodologia da seguire per fare didattica inclusiva e l'insegnante comunicativo deve innanzitutto essere un esperto della relazione e saper sollecitare, nel soggetto disabile visivo, tutte le potenzialità degli altri canali percettivi. In particolare l'insegnante comunicativo di un alunno disabile visivo deve cercare di mantenere il più possibile il contatto attraverso la parola, chiamando spesso per nome l'allievo. stimolare un suo feedback, e condurlo sempre alla concretezza delle operazioni richieste.

5. Il role play Il role play richiede ai partecipanti di svolgere il ruolo di attori, di rappresentare cioè alcuni ruoli in interazione tra loro, metre altri fungono da osservatori. Permette a chi partecipa di agire come se si trovasse in una situazione significativa. Ai partecipanti che fungeranno da "attori" verranno assegnate delle "parti/situazioni" che poi insceneranno. Il

role

play

viene

ampiamente

utilizzato

all'interno

dell'approccio

comunicativo

precedentemente illustrato. Nel contesto comunicativo si passa infatti dal concetto di drill, inteso come esercizio meccanico di una certa forma linguistica, a quello di task ovvero di un'attività didattica


completa che coinvilge più abilità contemporaneamente, quali ascoltare, parlare, prendere appunti. ed il focus si sposta dalla correttezza formale alla comunicazione. Un tipo di task è il real world taks, che permettono allo studente di "simulare" situazioni di vita reale, quali quelle che gli studenti potrebbero incontrare appena fuori dalla classe. Esempi tipici di questi task sono i role plays, alla base dei quali c'è la convinzione che il miglior modo per apprendere sia il fare (learning by doing), attività che ben si presta allo studente con disabilità visiva data l'importanza dell'apprendere manipolando la realtà. Inoltre, la lingua utilizzata in questa fase è quella di uso comune, vera, autentica, spontanea, caratterizzata dall'accettazione dell'errore o della mancata perfezione. Durante il role play, così come durante le produzioni libere orali e scritte, si chiede allo studente di concentrarsi sul contenuto più che sulla forma; ecco quindi che torna in campo la tolleranza dell'errore. Ciò a cui ci si dovrebbe interessare in tali situazioni è la coerenza e la fluenza del discorso, la capacità di interagire in modo partecipativo con gli interlocutori. Tale attività viene per tanto considerata utile in presenza di studenti con disabilità visiva, data la necessità di vivere in un clima di classe non direttivo, in cui non prevale l'aspetto valutativo ed in cui vengono offerte opportunità per far parlare spontaneamente gli studenti.

6. Le applicazioni multimediali: suoni, musica, video e la possibilità di registrare la propria voce. Se ad un testo si aggiungono immagini, suoni, musica, video e la possibilità di registrare la propria voce si passa alla multimedialità (utilizzazione di più mezzi).32 La multimedialità è un modo di organizzare le informazioni per promuovere l'apprendimento; la lezione diviene infatti più piacevole, più ricca e dettagliata rispetto ad un testo stampato.

32

Ivi, p. 307


L'applicazione multimediale permette di scegliere le informazioni a cui accedere e le modalità (video, o audio o testo). La teoria educativa all'interno della quale meglio si possono inquadrare le nuove tecnologie è il costruttivismo, secondo la quale, l'apprendente costruisce le conoscenze in modo attivo, anzichè assorbirle passivamente dall'insegnante.33 L'apprendimento sarebbe quindi il risultato dell'inserimento di nuovi dati e dell'istituzione di collegamenti con la struttura conoscitiva preesistente. I programmi multimediali permettono diverse modalità di presentazione dell'input ma anche un maggior controllo sullo stesso, il che favorisce la spinta motivazionale. Sembra esista un effettivo legame tra controllo da parte dell'apprendente e motivazione intrinseca: l'aumento del livello del controllo porta ad un aumento della motivazione intrinseca, dell'autodeterminazione e della volontà di creare nuovi legami propri e connessioni tra le conoscenze. Le ricerche internazionali attestano che uno degli ambiti di maggiore efficacia statisticamente rilevata di impiego delle tecnologie in contesto di apprendimento è proprio il settore dei bisogni educativi speciali.34 Ecco quindi come un brano possa essere contemporaneamente letto, ascoltato ma soprattutto come vi sia la possibilità di riascoltare l'informazione, ripeterla, andare avanti, tornare indietro, confrontarla con quella di un parlante nativo. Vanno tuttavia menzionate alcune perplessità: innanzitutto, non essendo il mezzo a determinare l'apprendimento, il computer può risultare utile ma non genera di per sè apprendimento. Non è quindi sufficiente esporre l'allievo ad un ambiente multimediale perchè egli elabori le strategie per imparare ad imparare; tuttavia la multimedialità può promuovere l'apprendimento. 33

Ivi p.310-311

34

D'ALONZO L., BOCCI F., PINNELLI S., Didattica speciale per l'inclusione, La Scuola, p. 218


In uno scenario dominato dalle tecnologie il docente è sempre meno l'unico dispensatore della conoscenza ma è colui che accompagna, che sa come fare, che pianifica le attività e da allo studente gli strumenti che gli permettono di imparare facendo. In secondo luogo va menzionato che c'è chi vede nel web un “depotenziamento formativo della parola viva e della gestualità in presenza”, congiuntamente al rischio della inibizione della creatività e dell'incremento di un atteggiamento passivo nei soggetti apprendenti.35 Inoltre vi è chi teme che gli utenti in rete acquisiscano una conoscenza più superficiale della realtà, rapidamente reperibile on line, a scapito della comprensione dell'essenza che porterebbe ad una conoscenza profonda della stessa. Alla luce di quanto sopra esposto, per quanto alcuni ragionevoli dubbi possano essere parzialmente condivisibili, il presente lavoro si approccia con uno spirito maggiormente ottimista nei confronti delle nuove forme di comunicazione, per cui verranno prese in considerazione le possibili appricazioni multimediali nella didattica delle lingue, particolarmente adatte agli studenti con disabilità visiva. Innanzitutto internet come risorsa di materiali autentici. Nell'approccio comunicativo esposto nei precedenti paragrafi è stata sottolineata l'importanza di esporre gli studenti ai materiali autentici in lingua straniera ed è chiaro come internet possa fornirne unitamente ad attività audio. Inoltre l'uso di internet favorisce un apprendimento attivo, costruttivo e collaborativo anche se è sempre fondamentale la presenza dell'insegnante che strutturi ed organizzi le risorse e che fornisca allo studente le stragegie per orientare la propria ricerca. Lo studente disabile potrà attraverso il computer associato a barra Braille e programma di sintesi vocale consultare dizionari on-line oppure accedere a grammatiche di riferimento 35

MARIAPIA D'ANGELO, Nuove tecnologie per la didattica delle lingue e della traduzione, Aracne Editrice, p. 26


indicate dal docente oppure lavorare in gruppo grazie all'utilizzo di blog, chat o nelle classi virtuali gestite dall'insegnante. In secondo luogo l'e-mail che permette agli studenti di interagire con i parlanti nativi e quindi di utilizzare la lingua per uno scopo comunicativo. Un esempio di utilizzo della e-mail per l'apprendimento di una lingua straniera è il tandem email, ovvero lo studio in coppia, utilizzando la posta elettronica. Due persone di diversa lingua madre lavorano in coppia con lo scopo di aiutarsi l'un l'altro a migliorare la conoscenza della lingua straniera. L'apprendimento avviene dunque nuovamente in maniera autentica. Lo studente disabile visivo dovrà possedere buone competenze nell'utilizzo del computer con barra Braille per poter navigare autonomamente, sfruttando la sintesi vocale. Va sottolineata l'importanza dell'impiego didattico dei social network che annulla le distanze spazio-temporali e rende disponibili contesti significativi autentici in cui l'allievo trova un continuo feedback sull'efficacia della propria performance linguistica.36 Infine vi è la possibilità di utilizzo di strumenti come smartphones o tablet come registratori di voce che possono scrivere quanto detto (speech to text) o al contrario leggere quanto è scritto (text to speech) + sintesi vocale Vi è poi il Mobile Assisted Language Learning che può essere realizzato tramite smartphones o tablet, dispobili sempre ed ovunque,attraverso cui è possibile registrare e riascolare lezioni, conversazioni in lingua straniera, ascoltare canzoni o registrare attività da inviare ai tutor. Alcune indagini glottodidattiche concordano nell'evidenziare i fattori positivi legati alle proprietà tecniche del mobile learning quali: l'interattività sociale tra studenti, la connettività,

36

MARIAPIA D'ANGELO, Nuove tecnologie per la didattica delle lingue e della traduzione, ARACNE EDITRICE, p. 45


la personalizzazione dell'apprendimento, il coinvolgimento degli studenti, abituati all'uso di tali tecnologie in altri ambiti della loro vita. Ecco quindi come si riveli di fondamentale importanza per un alunno disabile visivo l'acceso alla possibilità di utilizzo di tali strumenti grazie all'utilizzo congiunto della barra Braille e della sintesi vocale. Tra i sussidi informatici applicati al conteso educativo, la Lavagna Interattiva Multimediale (LIM) occupa un posto di particolare rilievo nella didattica delle lingue, offrendo la possibilità di lavorare su una superficie interattiva e multimediale, per cui sarà possibile ascoltare CDROM, navigare in intenet, fare video conferenze, utilizzare blog, software didattici o partecipare ad attività di scambio quali e-Twinning (una sorta di gemellaggio elettronico tra classi di scuole diverse). Tutto ciò va ad integrare gli ausili parzialmente o interamente dedicati ai disabili visivi per l'accesso alla cultura ed all'informazione, quali lo screen reader per trasferire i dati dal video di un computer ad una periferica, il sistema videoingrandente, che consente agli ipovedenti di ingrandire il carattere sullo schermo di un computer, il videoingranditore, che permette di ingrandire qualsiasi supporto cartaceo, il Display Braille, che trasforma in Braille i dati ricevuti dallo screen reader, il computer integrato portatile, che integra sintesi vocale e riga Braille, il magnetofono e registratore digitale, indicati per la lettura d'ascolto di materiale precedentemente registrato; tali ausili rientrano sotto il nome di “tecnologie assistive”. Con tale denominazione si intende qualunque oggetto, supporto, equipaggiamento o sistema usato per aumentare, migliorare le capacità funzionali di bambini con disabilità. Le tecnologie assistive si inseriscono tra le innovazioni che hanno contribuito a migliorare la vita delle persone disabili in quanto semplificano la vita di ogni disabile grazie all'utilizzo di strumenti tecnologici in grado di sopperire alle difficoltà che si presentano.


CONCLUSIONI Dall'analisi delle peculiarità dello studente con disabilità visiva, e dal conseguente riconoscimento dei suoi bisogni educativi speciali, è stata delineata, nel presente lavoro, una possibile risposta

educativa

speciale

inclusiva da

parte

della scuola

nell'ambito

dell'apprendimento delle lingue straniere. In particolare alcune metodologie, approcci e strumenti, quali il Total Physical Respose, l'approccio comunicativo e le applicazioni multimediali sono stati individuati come facilitatori del processo di apprendimento dell'alunno disabile visivo.


Si è infatti visto come il TPR, basandosi sull'oralità ed sul legame con elementi concreti, ben si presti allo sfruttamento dei sensi vicari di udito e tatto; si è sottolineata l'importanza, soprattutto per uno studente disabile visivo, dell'attenzione all'uso della lingua, più che alla lingua stessa, su cui si fonda l'approccio comunicativo. Si è infine visto come la multimedialità dia la possibilità di sfruttare vari canali per l'apprendimento, in particolare offra la possibilità di registrare e ripetere le lezioni. Nell'attuale mondo, sempre più globalizzato, la conoscenza delle lingue straniere diviene uno strumento necessario per la vita lavorativa e l'inclusione sociale ed il disabile visivo, non avendo altri impedimenti se non quelli di origine strumentale e metodologica, può riuscire ad avere le stesse competenze linguistiche dei vedenti.

BIBLIOGRAFIA D'ALONZO L., BOCCI F., PINNELLI S., Didattica speciale per l'inclusione, La Scuola, Brescia, 2015 IANES D., Didattica speciale per l'integrazione, Erikson, 2001 CALDIN R., Percorsi educativi nella disabilità visiva, Erikson, 2005 BORROMEO E., Lingue straniere e disabili visivi: strumenti e strategie didattiche, Bulzoni, 2015 SERRA BORNETO C., C'era una volta il metodo. Tendendze attuali nella didattica delle lingue straniere, Carrocci Editore, 2011


BALBONI P., Le sfide di Babele. Insegnare le lingue nelle societĂ complesse, UTET, 2012 MONTI S., Internet per l'apprendimento delle lingue, UTET, 2000 D'ANGELO M., Nuove tecnologie per la didattica delle lingue e della traduzione, Aracne Editrice, 2012


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