Laura Martorana Fenomenologia degli stili Docente A. Zanchetta corso Vmd I a.a. 2014-2015
Gli insetti
Ritrovo un certo fascino nell’osservare insetti inermi, giacenti ormai in fin di vita, come in attesa della mummificazione depongono le loro piccole zampette sul corpo. Le mosche, le farfalle, le falene o qualsivoglia ritenute di poco conto compromettono l’apparente serenità ritrovata nelle nature morte, o meglio silenziose. E le morti di questi insetti, cose naturali, vengono riprese silenziosamente dall’artista Sara Bjarland in più occasioni. Ella decide di inquadrare attraverso il video la caducità della vita, ma non solo, usa anche come espediente piante di plastica - Fejka, 2014 - che imbruttisce e insecchisce, una sorta di doppia morte: quello che già non è vivo, diventa morente con una finta essiccazione perpetua. Come se il suo intento fosse di uccidere quella vanitas ipocrita che aspira all’immortalità commerciale o semplicemente rendere immortale la sua opera; contrariamente a Marc Quinn che aveva arrestato il corso del tempo attraverso un ibernazione. Per ricordarsi che tutto vive, deperisce e muore, a tal proposito la Bjarland quest’anno propone Still Life Sludge
Un video che in loop ripesca la Still Life che si trasforma in questo caso in ‘fango’, simboleggiando interrottamente la brevità e la fragilità dell’esistenza. Analogamente Sam Taylor-Wood nel 2013 attraverso un video ritrae la sua Still life con la decomposizione di frutta. Molto più curioso, invece è il video - Globe, 2014 - rimanendo sul tema, poiché l’artista Bjarland decide di inquadrare una palla bianca di polistirolo che nell’arco di 5 minuti implode concentrandosi in un piccolo spazio di materia.
Quanto un osso bianco che si sgretola, una ferita che diviene frattura, distrugge visibilmente il globo, ma come un dolore che si dissolve o il racconto di una morte apparente? Si potrebbe tradurre anche come una rinascita in un nuovo agglomerato. Ma la mia curiosità verte comunque sui suoi primi soggetti, denominati ad esempio “cose minute” 1 . In - Passing, 2005 - ritrae, in 4 minuti di agonia, la morte straziante di una vespa attraverso un silenzio inverosimile, paragonabili ai 4’ 33’’ di Cage. Lo spettatore è invitato ad osservare e magari provare ad ‘ascoltare’ il grido di un animale morente. Come una danza macabra la vespa tarantola cercando la pace. La scena non viene assolutamente alleggerita, come si poteva cercare di sdrammatizzare nei riquadri delle danze macabre, anzi il silenzio aiuta a concentrarsi su quello che sta succedendo. La correlazione più opportuna nel vedere questa danza è la taranta, come le donne salentine la vespa si dimena, rotola cercando una liberazione dal ‘veleno’ che la tormenta. Tutti i soggetti ritratti da Sara Bjarland sono in un vertiginoso limbo mentre combattono tra la vita e la morte. A differenza ad esempio delle mosche, raffigurate spesso col teschio ( Guercino, Et in Arcadia ego ; Barthel Bruyn il Vecchio, Vanitas ; Carlos Aires, I Want to Break Free ) o in presenza di cadaveri, la vespa come allegoria della fugacità della vita mostra come niente sia immune alla presenza della morte. L’atteggiamento nordico della Bjarland non fa trasparire nessun sentimento, così in disparte rimane semplicemente a documentare come “vivere dentro quest’idea di morte” le provocasse “una reale necessità di vivere” 2 . In Jan Fabre questo è certo, per la Bjarland sicuramente non è fondato anche se lo stile e l’attenzione posta su questo tema è similare al nipote dell’entomologo.
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Alberto Zanchetta, Frenologia della vanitas, il teschio nelle arti visive, Johan & Levi, 2011, p. 101. Germano Celant (a c. di), Arti & Insetti & Teatri, Costa & Nolan, Genova 1994, p. 64 e p. 19.
In conclusione - Death No.3, 2013 - proietta sul pavimento in scala 1:1 una vespa morente, mentre invece con - Takeoff, 2010 - ritrae intimamente una farfalla ormai inerme che prova a decollare per un un’ultima volta.