I sapori della nostra italia

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ISTITUTO COMPRENSIVO “XX SETTEMBRE” VIA SIGNORELLI, 1 – TEL/FAX 095/434114 95128 – CATANIA

Il meraviglioso viaggio tra i sapori della nostra Italia (Prodotti e piatti tipici)

Classe V sez. A Ins. Cacopardo Rosanna

Valle d’Aosta

Piemonte

Lombardia

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Trentino Alto Adige

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La Micooula è una pagnotta piccola e scura ma prelibata. È impastata con farina di segale – che le conferisce il caratteristico colore marrone – mista a quella di frumento, lievito madre, acqua e resa golosa da castagne lesse, fichi secchi, noci spezzettate, uva passa e scaglie di cioccolato fondente. Viene gustata in qualsiasi momento della giornata: a colazione, bagnata nel caffellatte, da sola oppure insieme ai pregiati mieli regionali , nel pomeriggio, accanto a una cioccolata fumante o una tazza di tè, o a fine pasto con il caffè alla valdostana, aromatizzato con diversi liquori (grappa, punch all’arancia, Genepì) e chiodi di garofano. Molto raffinato l’abbinamento con i formaggi della tradizione locale, dalla celebre Fontina DOP morbida e dolce, fino ai più decisi come il Fromadzo – anch’esso a marchio DOP –, leggermente salato, e la Toma di Gressoney, dal profumo muschiato.

Lo pan ner, il pane nero, è il pane di segale tradizionale della Valle d'Aosta. Si fa ancora oggi nei forni comunitari tutti insieme, di solito prima di Natale e, come un tempo, dura tutto l'anno. Oggi, come un tempo, quando diventa secco e duro lo si spezza e lo si usa nelle minestre o con il brodo dando origine alle seupette come la celeberrima Valpellinentze.


La Fontina è un «formaggio grasso a pasta semi-cotta, fabbricato con latte intero proveniente da una sola mungitura, a acidità naturale di fermentazione». Il latte, ottenuto da una sola mungitura – della mattina o della sera – di vacche di razza valdostana allevate negli alpeggi in loco, va immediatamente conferito nella caldaia e scaldato leggermente a una temperatura non superiore ai 36° durante la cagliatura. Una rapida cottura della cagliata, una salatura a secco delle forme pressate all’interno delle caratteristiche forme (i serclle, cioè i “cerchi” nel patois francoprovenzale della Valle d’Aosta) e tre mesi di stagionatura in ambiente umido (almeno 90%) e fresco (6°-12°) completano il ciclo della sua produzione

La Seupa de grì è una gustosissima zuppa di origini antiche e contadine tipica della cucina valdostana. E’ composta da orzo (grì), costine di maiale e verdure di stagione

Camoscio–capriolo alla valdostana Un piatto di selvaggina tipico della tradizione culinaria valdostana, dal sapore intenso, arricchito da spezie aromatiche. In genere si utilizza la coscia o il filetto, messo a bagno nel vino rosso con aromi natura, poi rosolato in tegame e spruzzati di grappa. Viene servito con polenta fresca.

La zuppa alla Valpellinentze è il piatto povero della tradizione gastronomica valdostana. Gli ingredienti di base di questa zuppa sono poverissimi, pane raffermo, cavolo verza, brodo di carne, fontina e burro.


I grissini sono una tipica specialità di Torino e sono uno dei prodotti italiani più famosi all’estero. La storia del grissino: nel 1668 Antonio Brunero, fornaio piemontese fosse stato invitato dal dottor Pecchio di Lanzo, medico curante di Vittorio Amedeo II di Savoia, che allora aveva due anni, a fabbricare un tipo di pane leggero e facile da digerire. Il piccolo duca di Savoia, futuro Re di Sicilia e Sardegna, era delicato di stomaco. Il fornaio pensò di modificare la ghersa, il pane tradizionale dell’epoca, tirandola ed assottigliandola per ridurla ad un bastoncino con pochissima mollica e la crosta croccante, ben cotto ma con pochissima acqua. Venne naturale chiamare questa novità piccola ghersa, ossia ghersin, riferendosi alla parola dialettale.

Tajarin sottili tagliatelle di pasta all’uovo fatta in casa, tipiche della zona di Cuneo.

I Ravioli del Plin, sono un primo piatto tipico della cucina piemontese. La peculiarità di questa pasta all’uovo sta nella quantità di tuorli contenuti nell’impasto. Occorrono 36 tuorli per un kilo di farina 00, la pasta che ne deriva è particolarmente estensibile, si adatta quindi ad essere tirata molto sottile. Tradizionalmente il ripieno era creato a partire dagli avanzi di carne arrostita, arricchita da ortaggi e in qualche caso riso bollito.


Salam d'la Duja salsiccia ricoperta da strutto fuso. La parola "duja" (scritto anche, secondo la grafia classica del piemontese "doja") in piemontese significa "vaso, contenitore, recipiente, orcio". Dunque il nome di questo salume, tradotto in italiano, sarebbe "salame del vaso", dal contenitore in terracotta invetriata che viene utilizzato per conservare il salame sotto grasso. E' un salame di puro suino, lungo un palmo, che si ottiene con un trito misto di carni scelte e magre (spalla, coppa e ritagli di coscia) e di grasso di lardo o di pancetta.

Paniscia alla novarese è un piatto tipico della città di Novara, in Piemonte. Questo piatto nasce come una ricetta povera, è infatti a base di riso, uno degli alimenti più comuni della zona. È un risotto con fagioli, lardo, cotenna di maiale, salame e verze. Le famiglie più umili erano solite concedersi nei giorni di festa, soprattutto nel periodo invernale. In realtà la varietà degli ingredienti che sono inseriti nel piatto ne fa sicuramente una ricetta ricca e nutriente, così tanto che spesso è servito come piatto unico

La Toma Piemontese DOP è un formaggio da tavola tipico del Piemonte e vanta origini molto antiche. E’ distinguibile in due versioni: Toma Tenera e Toma Semidura. Entrambe sono ottenute da latte vaccino proveniente da differenti mungiture che, una volta portato a temperatura di coagulazione e addizionato il caglio, da origine alla formazione del formaggio. Le forme, vengono salate a secco o in salamoia e messe a stagionare per minimo 15 giorni. La Toma Piemontese DOP ‘Tenera’ ha crosta elastica di colore giallo, la pasta morbida di colore paglierino, ed è caratterizzata da occhiature molto diffuse. Il sapore di questa varietà è dolce e delicato. La Toma Semidura ha crosta spessa e scura, la pasta è consistente, di colore paglierino intenso e finemente occhiata; l’intensità dell’aroma e del sapore diventa più marcato con il prolungarsi della stagionatura.


Torino e il Piemonte hanno un’antica e ricca tradizione dolciaria che affonda le sue radici nella storia delle corti e dei chiostri dell’Alto medioevo e del rinascimento per giungere fino al 1861, epoca d’oro di Torino capitale. Pasticceri, con bignole e zabaglione, confettieri, con caramelle, confetti, torroni, marrone glacés, e maestri cioccolattieri hanno creato nuove dolcezze e posto le basi dell’industria dolciaria nazionale, tanto da far meritare a Torino il titolo di “capitale del dolce e del cioccolato”. Nel 1500 l’arte dolciaria piemontese raggiunge un grado di ricchezza e raffinatezza senza precedenti: nella corte piemontese si sviluppa un artigianato che vanta i migliori maestri pasticceri della penisola. Baci di Dama: sono formati da due calottine di pasta a base della rinomata nocciola “Tonda Gentile del Piemonte”, legate da un’immancabile goccia di cioccolato che ne sigla la storia tutta piemontese.

Amaretti: sono dolci tipici in molte località del Piemonte e sono fatti con mandorle dolci e amare

Krumiri: sono dei biscotti ricurvi di pura semola di frumento

Bicerin: latte, caffè e cioccolata dolcificata con sciroppo di zucchero e servita in bicchieri di vetro

Biscottini di Novara: biscotti leggeri fatti con farina di frumento, uova e miele.

Uovo di cioccolato: nasce a Torino nell’Ottocento nelle botteghe di Torino, sull’usanza tutta aristocratica di regalare uova di legno intagliate o di pietre dure in segno d’augurio. Ancora oggi è tradizione donare un uovo di cioccolata a Pasqua, prima di tutto ai bambini.

Gianduiotti: Questi cioccolatini prendono il nome da gianduia, maschera del carnevale di Torino. Il gianduiotto è il primo cioccolatino ad essere incartato.


La michetta è conosciuta anche come rosetta. E’ il pane dei milanesi. Nel 1700 i funzionari dell’Impero Austro-Ungarico portarono in Lombardia il famoso “Kaisersemmel”, un panino del peso da 50 a 90 grammi e dalla forma a rosetta. I risultati furono deludenti : il “Kaisersemmel” a Milano non rimaneva, come a Vienna, fresco e fragrante e diventava velocemente “gommoso”. L’umidità del clima lombardo penetrava eccessivamente nel pane. L’intuizione dei maestri panificatori milanesi fu di privare quel pane della mollica, svuotarlo, alleggerirlo, renderlo “soffiato”: così sarebbe stato fragrante e digeribile, garantendone una migliore conservazione. I Casoncelli sono un primo piatto tipico della cucina lombarda; si tratta di una pasta ripiena, farcita prevalentemente con carne, grana padano e altri ingredienti che ne differenziano il ripieno da zona a zona. I più particolari e gustosi sono quelli prodotti nel territorio della bergamasca, chiamati in dialetto locale Casonsei, perché ricordano la forma dei gustosi calzoni ripieni sebbene in formato ridotto. Questa sorta di ravioli, dallo spessore consistente, presentano un’inconfondibile sapore agrodolce, infatti il ripieno, prevalentemente caratterizzato da carne di manzo e suino, è arricchito con uvetta, amaretti e pezzetti di pera, preferibilmente di qualità spadona. L’origine del caratteristico ripieno agrodolce è legata ad una leggenda popolare secondo cui un uomo avaro, in occasione delle sante feste, decise di economizzare in cucina, realizzando un unico piatto che “racchiudesse” in un’unica soluzione le tre portate da tavola (un primo, un secondo di carne e il dolce). Nato come piatto “povero” per utilizzare gli avanzi delle carni suine e bovine, a partire dall’800, la preparazione della sfoglia e del ripieno divenne più elaborata, ed oggi è un piatto onnipresente in tutte le trattorie tipiche ma anche nei ristoranti più moderni del territorio.


La cassoeula è un piatto tradizionale lombardo. La preparazione è lunga e un po’ complessa, ma il risultato è veramente gustoso. Si presenta in molte varianti. Gli ingredienti di base sono le verze e le parti povere del maiale: piedini, cotenne, costine, testa, verzini (salamini). Per il suo alto apporto calorico e il senso di sazietà che genera, la cassoeula è da considerarsi un piatto unico.

Cotoletta alla milanese: è una ricetta molto semplice e veloce da preparare: la carne, senza essere battuta, viene passata nell'uovo e poi nel pangrattato quindi fritta nel burro

L’ossobuco alla milanese è un secondo piatto classico appartenente alle ricette tradizionali della Lombardia e principalmente della città di Milano. Si tratta di una preparazione a base di carne di bovino, più precisamente la parte della tibia che da poi il nome al pezzo di carne, in milanese oss buss, insieme al midollo contenuto nel foro.


Il legame fra la città di Milano e il Panettone dura da secoli, risale al Medio Evo e vari sono i racconti che accompagnano la nascita del più famoso dolce meneghino. Due sono le storie con maggior credito, ma vi racconto quella più probabile che narra la storia del cuoco al servizio di Ludovico il Moro che fu incaricato di preparare un ricco pranzo di Natale a cui erano stati invitati molti nobili milanesi. Il cuoco preparò il dolce che, dimenticato nel forno, si bruciò. Vista la disperazione del cuoco, Toni, un piccolo sguattero di cucina, propose una soluzione alternativa con un dolce preparato con gli avanzi della dispensa :farina, burro, uova, della scorza di cedro ed un pò di uvetta. Il cuoco acconsentì e servì il dolce dello sguattero Toni al termine del pranzo. Tutti furono entusiasti ed a Ludovico il Moro che voleva conoscere il nome di quella prelibatezza, il cuoco rivelò il segreto: «L’è ‘l pan del Toni». Da qui con il passare dei secoli da pan di Toni il nome si tramutò in panettone. Fra leggenda e realtà, quel che è certo è che un decreto del 1395 consentiva a tutti i forni di Milano di cuocere a Natale il cosiddetto Pan del ton (pane di tono, di valore): un pane bianco, di solo frumento, che solo in quell’occasione anche i poveri potevano consumare. Un pane “di lusso” che accompagnava quindi il rituale natalizio delle famiglie milanesi, la cerimonia del “ciocco”: la sera della vigilia, il padre di famiglia divideva fra i propri cari, riuniti attorno al focolare, un Pan del ton porgendone a ciascuno un pezzo. Col tempo il Panettone è diventato il dolce tipico della tradizione natalizia più amato da tutte le famiglie italiane, da Nord a Sud. Impossibile non trovare un panettone sulla tavola imbandita delle feste ed oggi sono tanti i produttori sparsi un po’ il tutto il nostro Paese.


Il pane di Triora viene impastato con farina, lievito, acqua, sale, farina di grano saraceno e crusca. Viene lasciato lievitare e riposare per un giorno e una notte e cotto nel forno a legna. Il risultato sono delle fantastiche e profumatissime pagnotte tra gli 800 e 900 gr dalla particolare forma e dal gusto speciale ... l pesto genovese (anche pesto alla genovese) è, senza ombra di dubbio, uno dei condimenti per la pasta più noti e apprezzati sia in Italia che all’estero ed è anche uno degli emblemi della tradizione gastronomica ligure e che non a caso è stato inserito nell’elenco dei Prodotti agroalimentari tradizionali liguri. Il pesto genovese è essenzialmente una salsa fredda dal caratteristico colore verde basata, come vedremo più avanti, su pochi, ma ben precisi ingredienti (quello principale è il basilico, più precisamente il Basilico Genovese) il pesto genovese, per essere chiamato tale, deve essere preparato con il seguenti ingredienti: • Basilico genovese Dop (o basilico ligure) • Olio extravergine di olive ligure • Formaggio grattuggiato (1/4 di pecorino, tre quarti di parmigiano reggiano o grana padano) • Aglio di Vessalico (o comunque aglio di produzione nazionale) • Pinoli dell’area mediterranea • Sale grosso di produzione nazionale Contrariamente a quello che si potrebbe pensare, il pesto è un’”invenzione” piuttosto recente della cucina genovese. Ci racconta infatti John Dickie in Con Gusto – storia degli italiani a tavola, editori Laterza, 2007, che il pesto, secondo quanto risulta da un dizionario del 1844, era un condimento ottenuto pestando insieme aglio, olio, formaggio e basilico, o in alternativa, prezzemolo o maggiorana. Quindi , originariamente, era preparato utilizzando anche altre erbe, ed era utilizzato non per condire la pasta ma era un condimento usato soprattutto per insaporire il minestrone genovese. E' forse per questo motivo che ancora oggi si fanno bollire, insieme alla pasta, anche una patata ed un po' di fagiolini. Solo i primi del novecento, nel dizionario moderno genovese-italiano il pesto comparve per la prima volta come condimento per la pasta (i taggioen col pesto, i taglierini col pesto), ma contemplava tra gli ingredienti soltanto il basilico. Non risultano esserci i pinoli. Oggi si utilizza per condire le lasagne, gli gnocchi e trennette


Simili ai ravioli, i pansotti (o pansoti) sono un tipo di pasta tipico della tradizione gastronomica genovese. Generalmente conditi con il sugo di noci, costituendo così un piatto davvero unico e prelibato, i pansotti differiscono dai ravioli essenzialmente per l'assenza di carne nel ripieno e devono il loro nome all'aspetto che è per l'appunto panciuto. Nelle ricette più tradizionali le verdure utilizzate per il ripieno sono costituite da un miscuglio di erbe fresche che crescono spontanee nella coste liguri, il cosiddetto preboggion. Tra gli altri ingradienti si ricorda inoltre un particolare tipo di ricotta o quagliata ligure, la prescinseua, parmigiano, maggiorana e uova.

Le Trofie sono un tipo di pasta di semola, a forma di bastoncello.

l musciame è una specialità diffusa in varie zone costiere italiane, dalla Liguria alla Sicilia. In alcune località prende il nome di "mosciame" o "mosciamme". Nella sua versione ligure antica era sostanzialmente una carne secca di delfino, ma attualmente si prepara con la carne di tonno rosso mediterraneo.

Il Pandolce è un dolce è tipico della tradizione culinaria ligure, e genovese in particolare e vanta origini molto antiche. Secondo la leggenda il Doge Andrea Doria nel

XVI secolo, indisse un concorso gastronomico che coinvolgeva i più importanti e bravi pasticceri genovesi, affinché si adoperassero a creare un dolce che si ergesse a simbolo dello splendore e dell`agiatezza della città di Genova, ma che fosse anche in armonia con l`indole marinara del popolo della città . Doveva quindi essere anche un dolce che non andasse a male facilmente, durante le lunghe tratte delle navi genovesi. Sembra proprio che in occasione di questa manifestazione, fu inventato il prelibato e delizioso pandolce genovese.

La Farinata è un sottilissimo strato di farina di ceci, mischiata ad acqua e cotta al forno a temperatura molto elevata.


I Canéderli sono grossi gnocchi di pane, latte, uova, farina, salame, lardo, prezzemolo, che si possono gustare in brodo o asciutti

Gli osèi scampadi sono rotolini di carne fermati da uno stecchino e cotti con lardo e salvia

I crauti sono cavoli cappucci macerati in salamoia, cotti con salsicce e carne di maiale

Il segreto di un buon tortel di patate trentino sta in tanti piccoli segreti…sì, la consistenza della patata, il tipo di farina, la cottura, …patate a pasta gialla, farina bianca 00 Sale e Olio extra vergine d’oliva per cuocere


La Pinza è un dolce trentino è figlio della povertà. Le vecchie massaie erano capaci di creare quasi dal nulla, da pane raffermo e latte, una gustosa merenda, ancora oggi molto apprezzata pur con le inevitabili varianti

Nel nostro Paese, lo strudel viene preparato soprattutto in Trentino Alto Adige, in particolare nella Val di Non, nota per la produzione delle sue deliziose mele. Lo strudel si presta bene anche per ripieni totalmente diversi: pere e cioccolato, albicocche, o addirittura strudel salati.

Lo Zèlten è un tipico dolce trentino a base di fichi secchi, uvetta, talvolta anche datteri, e frutta secca. È un dolce interessante che confezionato si conserva ottimamente per alcune settimane.


I bigoli o “bigoi” si possono ritenere la pasta più tradizionale del Veneto. Sono degli spaghetti di diametro di circa 2 millimetri e lunghi circa 25 centimetri, si ottengono facendoli passare nel bigolaro, uno speciale torchio in bronzo dal quale si ottengono questi grossi spaghetti dalla superficie ruvida. Questo tipo di pasta, tipico della tradizione contadina, risale ai tempi della Serenissima, e la leggenda racconta che, nell’anno 1604, un pastaio di Padova ricevette autorizzazione da parte del Consiglio del Comune a brevettare un’apposita macchina per la lavorazione della pasta, si trattava del bigolaro.

Casunziei: Piatto tipico del bellunese. Questi ravioli sono ripieni di zucca o spinaci, con prosciutto cotto e insaporiti con cannella. Vengono conditi, dopo la cottura, con burro fuso e ricotta affumicata grattugiata. Il Risotto alla trevigiana, come dice il nome, è un piatto tipico del trevisano. Dopo aver preparato un soffritto a base di cipolla e sedano, si aggiunge alla cottura del riso pezzi di luganega di Treviso, la quale è composta con le carni del collo e del guanciale del maiale insaccate in corti pezzi di budello

I bruscandoli: sono le tenere cime di luppolo che cresce spontaneo, vengono poi bolliti e utilizzati per preparare minestre o risotti.


Il bacalà alla Vicentina è sicuramente la ricetta simbolo della città di Vicenza, in Veneto. La fortuna di questa celeberrima ricetta, conosciuta e apprezzata in tutto il mondo, è sicuramente la sua semplicità ma allo stesso tempo il suo inconfondibile sapore. Le origini del baccalà alla vicentina sono da far risalire al 1432 quando, una spedizione guidata dal mercante veneziano Pietro Querini naufragò. L’equipaggio si salvò raggiungendo l’isola di Røst in Norvegia dove, alcuni giorni dopo, arrivarono in soccorso gli abitanti di un’isola vicina che li accolsero ed accudirono. Essi erano soliti conservare il merluzzo in un modo insolito: essiccato, come l’attuale stoccafisso. Tornando a casa, il mercante decise di portare con se un po’ di quel pesce secco. Arrivato in patria, i gastronomi vicentini furono incuriositi dallo stoccafisso e si resero conto che poteva essere un’alternativa al costosissimo pesce fresco che oltretutto era facilmente deperibile.

l fegato alla veneziana è un piatto tipico del Veneto. Si usa più frequentemente il fegato di vitello ma si può adoperare anche il fegato di manzo, di coniglio, di capretto, o qualsiasi altro abbiate a disposizione. Nelle nostre campagne si usava cucinare il fegato alla veneziana soprattutto in inverno, quando i contadini ammazzavano il maiale.


Brazadela Questa classica ciambella veronese, fine e delicata, la si ottiene impastando la farina con le uova, lo zucchero, il latte e irrorando il composto con il mezzo bicchierino di grappa; aggiungere all'impasto il pizzico di sale e il lievito.

Smegiassa Dolce originario delle campagne di Chioggia prodotto con farina di mais, farina di grano, acqua di cottura del musetto, zucchero, miele, uva passita, fichi secchi, buccia di arancia, grappa, zucca arrostita in forno; nella pianura padovana sud-orientale in luogo dell’acqua di cottura del musetto vengono utilizzati i ciccioli di maiale; nella realizzazione attuale l’acqua di cottura del musetto o i ciccioli di maiale vengono sostituiti, in talune zone, con mele. Gli ingredienti vengono amalgamati e cotti in forno. Nella tradizione cittadina al posto dei ciccioli veniva utilizzato lo strutto, mentre le attuali produzioni di pasticceria hanno eliminato anche questo in favore del burro.

Fugassa padovana Dolce tipico di cucina casalinga prodotto con lievito, farina, latte, uova, zucchero, burro, buccia di limone e sale. Gli ingredienti vengono amalgamati, lasciati a riposo e cotti in forno. Originariamente veniva preparata in ogni occasione di festivitĂ , da quelle religiose a quelle private, oggigiorno invece viene consumata quasi esclusivamente a Pasqua.


Cjarsòns; Tipici della Carnia, sono specie di ravioli nel cui ripieno (a base di uova, carne, e formaggio) abbondano le erbe aromatiche (basilico, menta, maggiorana, mentuccia, salvia). STORIA E LEGGENDA - Un’antica leggenda della Carnia racconta che un giorno di tanto tempo fa il Guriùt, un folletto molto goloso, fu sorpreso dalla padrona di casa a rubare la panna che affiorava dal latte appena munto. Il folletto, forse pentito, decise di risarcire la donna insegnandole la ricetta dei cjarsòns, i ravioli simbolo della Carnia, il cui ripieno varia non solo da paese a paese ma anche da famiglia a famiglia. In realtà, l’origine di questo che è il piatto carnico più tipico è legata ai cramârs, i venditori ambulanti di spezie che, dal ‘700, attraversavano a piedi le Alpi per vendere nei paesi germanici la loro preziosa ed esotica mercanzia acquistata a Venezia e riposta nella crassigne, una sorta di piccola cassettiera di legno che portavano a mo’ di zaino sulle spalle. Quando tornavano a casa, era festa grande e le donne preparavano i cjarsons, agnolotti di pasta di patate con ripieno a base di ricotta impastata con una ricchissima varietà di ingredienti: spezie, frutta secca, uva sultanina, aromi orientali, erbe aromatiche…quanto insomma rimaneva sul fondo dei cassetti della crassigne. Ovviamente, gli ingredienti variavano di volta in volta, di anno in anno, di casa in casa.

Muset: È un profumatissimo cotechino composto da parti della testa del maiale, cotenna e carne degli stinchi, insaporite da cannella, coriandolo ed altri aromi. Viene bollito e servito con la "Brovada",(un contorno tutto speciale a base di rape fermentate che si trova e si produce solo tra le province di Pordenone, Udine e Gorizia) e in questo caso si completa la cottura in tegame con le rape acide, oppure con la polenta

Cevapcici: Piatto di origine slava, come il suo nome, è presente nella cucina triestina e goriziana. Sono salsicce fresche, piuttosto piccanti, tagliate a pezzi di lunghezza di tre-quattro centimetri, il cui impasto è carne mista di maiale, manzo e agnello. Cotte alla griglia o saltate in padella.


La Gubana è un dolce tipico del Friuli Venezia Giulia, prodotto nelle località dislocate nelle valli del Natisone, in provincia di Udine. Questa specialità è fatta di pasta dolce lievitata, avvolta su se stessa a mano e poi cotta al forno; all’esterno è ricoperta di zucchero mentre, al suo interno, racchiude un ricco ripieno di nocciole tritate, noci, uvetta, pinoli, un po’ di grappa e una scorza grattugiata di limone. Il suo nome è legato alla caratteristica forma a chiocciola e ai legami etno-gastronomici con la vicina Slovenia, infatti, sembra che possa derivare dalla parola slava “guba” che significa piega, gomito. Storia e curiosità: I primi cenni storici ufficiali della Gubana li abbiamo grazie agli scritti di Angelo Correr di Venezia, che ci testimonia come fosse nota in Friuli già dal 1490, anno in cui fu servita in un banchetto preparato in occasione della visita di papa Gregorio XII a Cividale del Friuli. Anticamente questo dolce veniva gustato nel giorno di Pasqua; la sua forma a spirale rappresentava la ciclicità tra la vita e la morte. Oggi è il simbolo delle grandi feste e viene offerto e consumato durante tutto l’anno per augurare prosperità e ricchezza.

Torta Di Mandorle. Tradizionale nella provincia di Gorizia e nella zona di Spilimbergo, la torta di mandorle friulana è fondamentalmente costituita da una pastella di mandorle tritate finemente mescolate con tuorli d’uovo montati su cui, messa in una teglia, viene versato l’albume delle uova montato a neve. Si mette quindi in forno e infine si serve con uno spolvero di zucchero a velo. La torta di mandorle in versione friulana si differenzia da quelle di altre regioni perché l’ interno è morbido e cremoso

Castagnole di Sacile Questo è un dolce carnevalesco molto famoso, presente nella città liventina tra Friuli e Veneto fin dai tempi della Serenissima.


Lo gnocco fritto, tipico piatto della gastronomia emiliana, è sicuramente una delle ricette più conosciute e apprezzate, non solo in Emilia Romagna ma in tutta Italia. Lo gnocco fritto è una ricetta molto semplice da preparare: altro non è che pasta per il pane che viene fritta e poi farcita con salumi e/o formaggi a piacere. Lo scarpazzone è un tipico piatto emiliano così definito perché le famiglie contadine per la sua preparazione usavano anche il fusto bianco, comunemente chiamato scarpa della bietola. È un piatto che viene preparato da fine giugno al giorno dei Santi, periodo di crescita delle bietole. Lo scarpazzone è anche conosciuto con il nome di erbazzone e non è altro che una torta salata ripieno con un impasto di bietole lesse, uova, scalogno, cipolla, aglio e tanto parmigiano reggiano. Viene poi richiuso con un altro strato di pasta e cosparso di pezzetti di pancetta.

Il Culatello è uno dei salumi più prestigiosi della tradizione gastronomica italiana. Patria di questo eccellente salume, citato da storici e letterati fin dal Quattrocento, è la Bassa Parmense, quella zona pianeggiante lambita dal corso del Po che ha in Zibello il proprio epicentro, favorita da condizioni climatiche estreme e particolarissime in grado di far maturare le inconfondibili doti di dolcezza e fragranza del Culatello: le fitte nebbie del Po ed il freddo pungente dell'inverno.

Prosciutto di Parma. Le cosce del suino, trattate e massaggiate con dosi di sale proporzionato al peso, vengono poi lavate, asciugate e riposte a stagionare negli appositi locali per un periodo di 10-12 mesi.


I tortellini sono un tipo di pasta caratteristico di Modena e Bologna. L`origine di questo cibo è segnata da alcune leggende. Alcuni credono che i tortellini siano la rappresentazione dell`ombelico di una bellissima marchesa; la donna alloggiava presso una locanda e il cuoco del locale, attratto dal suo fascino, la sbirciò dalla serratura rimanendo colpito dalla perfezione del suo ombelico. Il cuoco diede così la forma di un ombelico alla pasta che avrebbe preparato quella sera per cena. Secondo altri invece, i tortellini sono la rappresentazione dell`ombelico di Venere, anch`ella ospite presso un`osteria e anch`ella sbirciata nelle sue nudità dal proprietario del locale. Secondo la ricetta tradizionale il tortellino va cotto in brodo in carne, anche se spesso si accompagna con la panna o col burro.

Friabile, tenera, delicatissima al gusto, la piadina è uno dei simboli della Romagna. Famosa in tutto il mondo e soprattutto apprezzata da milioni di persone, per le strade romagnole la si può assaggiare nei caratteristici chioschi (i baracchini della piadina) e sulla tavola di qualsiasi ristorante, osteria e agriturismo della zona. Per molti anni la piadina è stato il pasto povero degli antichi contadini costretti ad accontentarsi dei prodotti della terra. Bastava un po’ di farina di grano, acqua, sale e strutto, per realizzare quello che il poeta romagnolo Giovanni Pascoli chiamava “pane rude di Roma” e che aveva il grande pregio di procurare una rilevante sensazione di sazietà. Il Parmigiano Reggiano DOP è un formaggio a pasta dura e a lunga stagionatura. Contiene solo il 30% di acqua e ben il 70% di sostanze nutritive, proteine vitamine minerali. Per ogni forma di Parmigiano Reggiano DOP sono necessari circa 600 litri di latte. Scaglie di gusto e salute in una dieta equilibrata per grandi e piccini. Lunga stagionatura, naturalità, gusto e alta digeribilità sono la forza del Parmigiano Reggiano DOP. L’esperto casaro, compie gesti antichi per controllare che ogni forma di parmigiano reggiano sia perfetta.


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Oggi la Mortadella di Bologna, che ha ottenuto anche la IGP, fa da regina in raffinati antipasti e succulenti piatti di alta cucina, ai quali dona un “tocco” assai apprezzato. La “vera” bolognese, infatti, è prodotta con carne e grasso suini pregiati. I tagli che solitamente vengono usati sono la spalla e i tritati derivanti dalla lavorazione della coppa e del prosciutto. Il grasso è solitamente prelevato dalla gola del maiale perché è quello più duro, certamente il più apprezzabile. Carni e grasso, i cosiddetti lardelli, sono amalgamati con sale e aromi. Il famoso grande cilindro così formatosi viene poi insaccato in grossi involucri, quindi si procede alla sua cottura, a basse temperature in stufe molto particolari. La Mortadella di Bologna cuoce per un paio di giorni e, dopo essere stata raffreddata, è immediatamente pronta per essere mangiata.

Squacquerone Di Romagna È il prodotto caseario tipico dell'Emilia Romagna, in particolare delle province di Ravenna, Forlì-Cesena, Rimini, Bologna e parte del territorio di Ferrara. Formaggio fatto con latte di vacca a pasta molle che “squacquera”. La maturazione non supera i 4 giorni. Formaggio fresco senza nervo. Il nome descrive la sua non forma, determinata dalla confezione che lo contiene. Tipicamente utilizzato con la Piadina romagnola. Formaggio Di Fossa Formaggio storico degli Appennini dell'Emilia Romagna e delle Marche, dove i Malatesta nascondevano i prodotti, passibili di razzie, in fosse scavate nella roccia. È fatto con latte di vacca, pecora o misto. Prima dell'infossatura viene inserito in un sacchetto di tela. L'affinatura in fosse dona al formaggio un'alta intensità aromatica. L'Aceto Balsamico, sorseggiato dopo il pasto a mo' di liquore, si trasforma in un insolito e davvero intrigante digestivo. Ma attenzione! Perché l'effetto sia garantito, bisogna utilizzare il “vero” , ossia quello autentico invecchiato a lungo nei pregiati legni delle botti. Agisce beneficamente sulla secrezione della saliva, dei succhi gastrici e pancreatici, riducendo contemporaneamente le fermentazioni intestinali. Se bevuto diluito in acqua, aiuta a calmare la tosse e a sciogliere il catarro, mentre sfruttato per i gargarismi, sempre diluito (un cucchiaino in un bicchiere d'acqua), allevia il mal di gola. Bevuto la mattina (un cucchiaino in un bicchiere d'acqua) ha effetto energizzante ed è estremamente efficace nella cura e guarigione dell'ulcera gastrica poiché i fenoli, i polifenoli e gli enzimi rinforzano le pareti dello stomaco e dell'intestino. Una goccia sulla parte aiuta a contrastare l'herpes labiale. Attenua il mal di testa, specie quello dovuto alla febbre: basta appoggiare sulle tempie una compressa imbevuta di aceto balsamico.


Il pane toscano è il re della tavola e si differenzia dal pane prodotto in altre zone d'Italia perché totalmente privo di sale. Per chi non è abituato a mangiarlo può risultare sciapo, insipido, ma il suo scopo è soprattutto quello di accompagnare cibi decisamente saporosi. Il pane toscano è rustico e può durare per giorni. Quando diventa raffermo viene impiegato come parte integrante di zuppe oppure viene usato tostato o così com'è nella preparazione di crostini e appetitose bruschette, fatte con olio extravergine di oliva e aglio. Le zuppe sono piatti forti della tradizione rurale toscana: sono ricette di una volta che fungevano da piatto unico, che dovevano riempire la pancia con il minimo della spesa. Insieme al pane raffermo si mettono verdure e legumi e si insaporisce il tutto con aglio e cipolla. I più famosi sono la ribollita, la zuppa di cavolo nero, la zuppa di fagioli e pappa al pomodoro, ma anche la semplicissima panzanella. Rientra tra le zuppe anche il cacciucco, la zuppa di pesce cosiddetto "povero" tipica della zona di Livorno, un tempo fatta con gli avanzi della pesca rimasti invenduti.

Ribollita

Zuppa Di Cavolo Nero

Panzanella

La pasta toscana è rigorosamente fatta a mano e si sposa soprattutto con sughi di carne. Pappardelle al cinghiale o al sugo di lepre e pici al sugo vanno per la maggiore e si alternano a ricette con ingredienti più semplici come funghi, carciofi e pomodoro.

Cacciucco

Pappardelle al cinghiale

Pici al Sugo


Le carni non solo fanno da condimento alla pasta ma sono il secondo piatto piÚ gettonato. Basta rammentare la famosissima bistecca alla fiorentina, che si ottiene dal taglio della lombata del vitellone di razza Chianina. Diffusissima è anche la cacciagione, la carne bianca e la carne di maiale e di Cinta Senese, sfruttata in ogni sua forma: sia come rosticciana (salsicce, costole e bistecche aromatizzate e cotte sulla griglia), sia come affettati e insaccati (prosciutto, salame, buristo, finocchiona). Specialità piÚ particolari tipiche della Toscana sono il lardo di colonnata, la trippa e il lampredotto, quest'ultimo diffuso nei dintorni di Firenze. Lampredotto

Bistecca alla Fiorentina

Finocchiona

Buristo

Lardo di Colonnata Il pecorino toscano fresco o stagionato, formaggio fatto con latte di pecora da abbinare a miele, marmellate, pere e noci, da mangiare fuso, sui crostini caldi o grattato sulla pasta, parte integrante di alcune ricette come i golosi pici cacio e pepe.


Gli impasti dei dolci della tradizione della cucina toscana sono conditi con frutta secca, castagne, miele e i derivati. Nascono così tutti i dolci senesi come i ricciarelli, i cantucci, il panforte e i cavallucci, il castagnaccio, i brigidini e il pan co' santi.

I Ricciarelli sono un dolce tipico del Natale in Toscana a base di mandorle, zucchero e albume d'uovo. Nati nel XIV secolo nelle corti toscane, seguendo antiche origini orientali, si sono poi evoluti in varianti arricchite con cioccolato in superficie. La leggenda narra che fu un senese, tale Ricciardetto Della Gherardesca, ad introdurre questi biscotti, al ritorno dalle crociate, nel suo castello vicino a Volterra. Vengono lavorati tradizionalmente con la macina e lasciati riposare due giorni prima di cucinarli.

Il panforte di Siena è uno di quei dolci che certamente non potrà mancare sulle tavole natalizie dei toscani e non.

La preparazione del panforte di Siena era incaricata agli speziali e/o farmacisti ed era destinato alla degustazioni di pochi: difatti, solo i nobili ricchi ed il clero potevano avere sulle proprie tavole questo dolce natalizie, oltre ad avere le costose spezie e droghe. Il tempo passava, ma a quanto pare il panforte non subì molte modifiche e gli ingredienti rimasero all’incirca gli stessi fino a 1879,anno in cui vi fu la visita a Siena della regina Margherita. In occasione della visita della regina Margherita, uno speziale preparò il panforte senza aggiungere la buccia di melone ed aggiunse una copertura di zucchero vanigliato eliminando così il pepe nero. In questo modo, la popolazione senese offrì questo nuovo dolce alla regina rinominandolo Panforte Margherita, nome che ancora oggi identifica questo tipo di panforte di Siena, dal gusto molto più delicato e gustoso.

I dolci toscani si sposano ottimamente con il vinsanto, vino dolce prodotto non senza discrete difficoltà fermentative con uve di tipo Trebbiano, Malvasia o Sangiovese.


Crescia Imparentata con la piadina romagnola, la crescia indica alcuni tipi di focaccia diffusi nelle Marche e nell'Umbria. Di probabili origini comuni con la piadina romagnola per quanto riguarda l'uso del pane, la crescia è comunque una prelibatezza i cui ingredienti variano secondo la zona di produzione: la crescia urbinate, ad esempio, (definita anche crescia sfogliata, crostolo o, più raramente, piadina sfogliata) si distingue per l'impiego di farina, uova, acqua, strutto, sale e pepe e, generalmente, viene degustata calda insieme salsiccia, erbe di campo, prosciutto, lonza o formaggio, oppure, secondo un'altra variante (il crostolo di Urbania) la farina di grano viene sostituita con la polenta che resta attaccata al caldaio. In provincia di Ancona, la crescia si prepara con la stessa pasta del pane, ed è in genere cotta alla griglia, o, in una versione più tradizionale, sotto la brace. Si mangia di solito con erbe di campo anche se, per i più esigenti, può essere degustata con salumi come lonza, salame e prosciutto. Nella provincia di Macerata, e nella zona di Gubbio, la crescia si prepara con la pasta del pane, ma assume una consistenza simile a quella della schiacciata toscana. Rotonda, con l'orlo spezzettato e con fossette sulla superficie si condisce con olio, sale, cipolla o rosmarino. Nelle aree interne della provincia di Ascoli Piceno, ormai lontano dalla zona di dominazione bizantina, la crescia lascia il posto alla focaccia ripiena, o chichì ripieno, più alta della crescia e riccamente farcita. Una prelibatezza davvero unica in grado di appagare i palati più difficili.

“Chichì Ripieno”. È un nome dialettale che significa focaccia ripiena, anticamente fatta con l’impasto del pane, farcita con ingredienti comuni, tonno, alici capperi e peperoni tritati.


Vincisgrassi Sottilissime sfoglie di pasta, simili a quelle delle lasagne, farcite con un sostanzioso ragù fatto con diversi tipi di carne e frattaglie, talvolta impreziosite dal tartufo, completate da abbondante parmigiano e cotte in forno. I vincisgrassi sono tra i piatti più rappresentativi della cucina marchigiana: tipici di Macerata, sono diffusi anche ad Ancona e Pesaro da almeno duecento anni. Immancabili nel pranzo natalizio e nelle occasioni speciali, vanno preparati con qualche giorno di anticipo rispetto a quando saranno consumati, per permettere agli ingredienti di legarsi alla perfezione. Braciole all'Urbinate Per la preparazione vengono utilizzate fette di carne della coscia. Su tali fette, ben battute, disporre una frittata sottile (uova, latte, farina, formaggio, sale e pepe), poi un po' di prezzemolo tritato e prosciutto affettato; arrotolarla e legarla, quindi cuocerle dopo averle soffritte con olio, lardo e cipolla.

Le olive all’ascolana sono sicuramente il piatto tradizionale più rappresentativo della gastronomia Marchigiana, apprezzate e conosciute in tutto il mondo. Questa antica ricetta nata intorno alla fine dell’800, prevede l’utilizzo di olive "ascolane tenere", generalmente conservate in una salamoia condita con semi di finocchio selvatico ed erbe aromatiche locali, e anche di tre tipi di carne differenti, cioè manzo, suino e pollo (o tacchino), unite a Parmigiano Reggiano, Serpe di Apiro Si tratta di un dolce di pasta di mandorle, a forma di serpente (diametro 20/25 cm circa), di consistenza croccante, superficie liscia e bianca. Particolarmente conosciuta quella di Apiro. Per antica consuetudine questo dolce veniva donato dai padrini ai cresimandi. Erano le monache di clausura dell’ordine delle Clarisse a produrlo. Il significato simbolico di questo dolce evoca il peccato originale, la tentazione di Eva, e consumarlo il giorno della cresima o a natale vuol dire esorcizzare il peccato legato all’origine dell’uomo.


L'Umbria è la regione del centro Italia "per eccezione" essendo l'unica non bagnata dal mare, e concentra dunque la sua produzione sui prodotti che contraddistinguono questa zona d'Italia: il maiale, l'olio e i prodotti orticoli di montagna. Norcia è uno dei contri più importanti del maiale in Italia, tanto che dal suo nome deriva la parola norcino, che definisce, in Italia, l'esperto nelle lavorazioni delle carni suine.

Il Tartufo nero di Norcia sicuramente ha una maggiore sapidità ed è al tatto ruvido e granuloso. E’ speciale per esaltare condimenti sulla pasta, sui crostini e nei piatti a base di selvaggina. Il Tartufo bianco è più raffinato e ha un sapore delicato. Non ha bisogno di cottura e si può gustare su pasta, crostini e molti altri piatti.

Pecorino stagionato ricavato dal latte di pecora. Senza conservanti. Pasta leggermente occhiata. Stagionatura 45/60 giorni.

Il crudo di Norcia è uno dei salumi più pregiati del panorama nazionale: dalla caratteristica forma a pera e dal colore che oscilla tra il rosso e il rosato, ha un sapore gentile e perfettamente equilibrato, sapido ma non salato, e un delicato profumo speziato, dato dagli aromi naturali impiegati prima della stagionatura.


Pan Mostato Prodotto da forno simile ad una filetta di pane, tipico del comune di Foligno e preparato nel periodo della vendemmia. Ingredienti: farina di grano tenero, uova (facoltativo), sale, zucchero (facoltativo), acqua, grassi vegetali, lievito di birra, aromi, mosto, anice, uvetta La "torta al testo" è un alimento molto antico, è una schiacciata di farina, acqua, olio di oliva, un pizzico di sale (nel caso la si voglia far alzare si aggiunge una punta di bicarbonato o di lievito di birra). Il nome deriva dal “testo”, la pietra piatta refrattaria resa rovente dal fuoco ed utilizzata in origine per la sua cottura, ma è conosciuta anche con i nomi di “crescia” (Gubbio), “torta del panaro” o “pizza sotto il fuoco” (Terni). Economicissima e facile da preparare spesso nelle famiglie umbre era utilizzata come sostituivo del pane. Le occasioni per prepararla erano quelle relative ai grandi lavori dei campi (mietitura, vendemmia, uccisione del maiale), quando occorreva saziare appetiti robusti con un cibo di difficile digestione che permettesse di risparmiare il più prezioso pane. Oggi la torta al testo si degusta naturale o farcita con prosciutto, salsiccia cotta, verdure lessate, porchetta, stracchino e rucola.

I passatelli sono una pasta corta cilindrica (o minestra) con superficie rugosa, diffusa nella provincia di Perugia. Ingredienti: pangrattato, grana padano, uova, noce moscata, limone grattugiato, sale.

I bringoli conosciuti anche come bringoli, brigonzoli (Comune di Lisciano Niccone ) o biche (comune di Ficulle (TR). Sono grossi spaghetti fatti a mano con farina e acqua.

La ciriola è una pasta lunga a sezione quadrata tipica della provincia di Terni, composta tradizionalmente da farina di grano tenero, acqua o in alcune varianti da farina di grano tenero (2/3), semola di grano duro (1/3) e acqua.


Dolce tipico della zona di Perugia dalla classica forma a ciambella con incisione pentagonale a indicare, secondo la tradizione, le cinque porte di Perugia). Il Torcolo di San Costanzo è stato creato in onore di San Costanzo, patrono di Perugia, condannato alla decapitazione. E’ nato come dolce povero, preparato con ingredienti semplici e facilmente reperibili; l’impasto di base, infatti, veniva preparato con la pasta del pane. Sull’origine della sua forma a ciambella esistono varie versioni: a) si dice che il buco rappresenti il collo decapitato del Santo; b) si dice che la forma a ciambella rappresenti la collana del Santo ricca di pietre preziose (da qui il cedro candito), che si è sfilata al momento della decapitazione; c) si dice sia stato fatto con il buco semplicemente per poterlo infilare facilmente nei bastoni per trasportarlo alle fiere o ai mercati.

Strufoli Dolci fritti rotondi o allungati imbevuti di alchermes o cosparsi di miele o zucchero. Sono tipici di tutta la regione Umbria prodotti durante il periodo di Carnevale.

Le pinolate sono dei pasticcini secchi alle mandorle e pinoli di forma rotonda, sono una specialità natalizia. L'inverno è la stagione in cui si consuma con facilità, oltre che con piacere, la frutta secca, per cui molte ricette di questo periodo, legate ad importanti ricorrenze religiose, hanno come ingredienti di base mandorle, noci, nocciole, pinoli. Le pinolate sono appunto dolcetti rotondi, ciascuno di circa 4-5 cm di diametro, in cui una stessa quantità di mandorle tritate e di zucchero viene amalgamata con albumi montati a neve. Un gradevolissimo gusto amaro viene dato dall'aggiunta di mandorle amare. Il nome deriva dai pinoli che, interi e triturati, sono distribuiti sulla superficie di ogni dolcetto e che i più ghiotti amano centellinare, masticandoli uno dopo l'altro, prima di aggredire il corpo principale del dolce.


Coppiette Prodotto storico del Lazio, in particolare della zona dei Castelli Romani, le coppiette sono strisce di carne essiccata, condita con sale, semi di finocchio, peperoncino e altre spezie. La carne utilizzata può essere di cavallo, suino o bovino. Il loro nome deriva dalla tecnica di stagionatura, che prevede che vengano piegate in due su un filo e lasciate ad essiccare davanti a un fuoco. Spianata romana: salume a base di carne di maiale dalla tipica forma schiacciata. Ricotta romana: ricotta di latte ovino o misto, tipica dell'agro romano.

Mortadella romana salume che risale ai tempi dei romani e viene prodotto nell’alto Lazio con carne di prosciutto magra, macinata grossa e speziata in modo delicato. In ultimo vengono aggiunti i pistacchi. Quindi prima viene fatta asciugare in stufa, affumicata e cotta in caldaia. Il Pecorino Romano E’ un formaggio stagionato a pasta dura che risale ai tempi dei romani e viene particolarmente prodotto nel Lazio da allevamenti di ovini autoctoni.

Il pane casareccio di Genzano ha una tradizione antica legata alla donna. In paese non tutti disponevano di un forno, anzi, a differenza di oggigiorno, possiamo affermare che solo i luoghi preposti per la produzione del pane e alcuni rarissimi privati potevano vantarne uno. Il pane poteva essere acquistato dal fornaio o preparato in casa, ma tuttavia necessitava di una cottura che doveva avvenire esclusivamente nei luoghi preposti. Perciò le donne, di primissima mattina, si recavano presso chi possedeva il forno per cuocere le proprie pagnotte, che venivano contraddistinte da segni, ad esempio dei tagli trasversali o forme particolari distintive. Genzano, dunque, era un viavai di donne che portavano a casa il proprio pane, e da qui si radicò una tradizione così identificante che ha poi portato alla certificazione di Indicazione Geografica Protetta.


Bucatini all’Amatriciana-ricetta tipica romana in cui i bucatini possono essere sostituiti con gli spaghetti. il sugo prevede l’uso esclusivo di guanciale, peperoncino e pomodori a pezzettoni che vanno prima rosolati e poi cotti con olio d’oliva. conditi i bucatini si spolvera una grattugiata di pecorino romano

I carciofi alla romana sono un contorno della tradizione laziale preparati con un trito di prezzemolo e mentuccia che li rende profumati ed aromatici. Abbacchio alla Romana Agnello in pezzi cucinato in una di terracotta con rosmarino, salvia, aglio, olio, sale e pepe. Si cuoce in forno e durante la cottura viene irrorato con vino. Si prepara un battuto con acciughe, aglio e aceto e si versa sull’agnello appena uscito dal forno. Quindi si lascia cuocere altri 5 minuti e si serve col suo intingolo Porchetta di Ariccia E’ un prodotto a base di carne suina. La carcassa delle femmine viene disossata e condita con rosmarino, pepe nero e aglio, lasciando solo la testa e le zampe.

Maritozzo con la panna. Un dolce tipico del lazio mangiato per lo più a colazione. Pieno di panna, risale al periodo in cui i Romani consumavano delle pagnottelle dolci con uvetta e miele; nel Medioevo, invece, si mangiavano durante la Quaresima. Il termine maritozzo si lega a due tipi di tradizione. La prima prevede che, il primo venerdì del mese di marzo, i ragazzi regalino un maritozzo alla futura sposa; la seconda, invece, vuole che siano le donne in età da marito a dover preparare i maritozzi partecipando ad una vera e propria competizione il cui premio è il corteggiamento dei più belli del rione.


Mortadella di Campotosto si prepara dai tagli magri del maiale, con una piccola aggiunta di pancetta: all'impasto viene poi inserito il tipico lardello, che dopo l'affumicatura (15 giorni) e la stagionatura (almeno 3 mesi) rimane piacevolmente croccante.

Pecorino di Farindola: Aroma persistente, sapori erbacei e pochissima piccantezza: il pecorino di Farindola, ottenuto rigorosamente da latte crudo, si presta ad essere utilizzato in molte ricette tradizionali.

Genziana In ogni casa abruzzese che si rispetti non può mancare il liquore di genziana, meglio conosciuto come "genziana". Questo superalcolico ancora prodotto soprattutto in maniera casalinga - viene ricavato dalle radici della pianta omonima, che si trovano facilmente in commercio e possono essere utilizzate anche per tisane e infusi.

Lenticchie di Santo Stefano di Sessanio Tanto piccola quanto saporita, questa varietà di lenticchia ha una particolarità : è tanto permeabile che non ha bisogni di ammollamento prima di essere cotta. Un legume perfetto per la montagna, che si adatta bene a climi difficili e terreni aridi, e infatti viene coltivato da prima dell'anno 1000.


Maccheroni alla chitarra È la ricetta più famosa della cucina abruzzese. La pasta deve essere preparata con uno strumento detto "chitarra" e che consiste in un telaio di legno con i fili d'acciaio tirati in mezzo. Dopo aver preparato l'impasto per la pasta, tirarlo a sfoglia e appoggiarlo sull'attrezzo passandoci sopra il mattarello tagliando così la pasta a striscioline. Dopo la cottura vanno conditi con il ragù precedentemente preparato e aggiungervi abbondante pecorino.

Ricetta tipica della cucina abruzzese, le "scrippelle 'mbusse" sono in realtà una rivisitazione di una ricetta francese, le classiche crepes, ma servite in brodo. Si tratta di uno dei piatti più delicati della cucina d'Abruzzo, dalla semplice realizzazione e originario della zona di Teramo. Coda di rospo al rosmarino: Questo piatto è conosciuto anche come "coda di rospo alla cacciatora ed è un piatto tipico pescarese. Dopo aver tagliato la coda di rospo, soffriggerla nell'olio con aglio, rosmarino e naturalmente peperoncino.

Parrozzo È un dolce tipico di Pescara, tondeggiante, a forma di pagnotta e rivestito di cioccolata e il suo nome deriva da - pane rozzo


l Caciocavallo Silano DOP è un formaggio semiduro, a pasta filata, prodotto con latte di vacca di diverse razze, tra cui la Podolica, una tipica razza autoctona delle aree interne dell'appennino meridionale.

Il fico bianco del Cilento DOP deve la sua denominazione al colore giallo chiaro.

La mozzarella di bufala campana è un prodotto caseario dell’Italia Meridionale, prodotto tradizionalmente in Campania, soprattutto nelle province di Caserta e Salerno.

La materia prima per la produzione della Ricotta di Bufala DOP è costituita dal «primo siero» proveniente dalla lavorazione del latte di bufala, ottenuto dalla mungitura manuale e/o meccanica di bufale di Razza Mediterranea Italiana, allevate nell’areale di produzione della Mozzarella di Bufala Campana DOP. Essa si distingue dalle altre varietà di Ricotta per le particolari caratteristiche strutturali di cremosità e morbidezza, per il colore bianco porcellana, e per le spiccate proprietà sensoriali descrivibili come fragranza di latte e dolcezza.


La Pizza Napoletana è uno degli alimenti che rappresenta maggiormente l'Italia in tutto il mondo, è mangiata e apprezzata da qualunque popolo. La sua nascita è riconducibile alla metà del Settecento, infatti, in quel periodo Vincenzo Corrado, in un trattato sulle abitudini alimentari della città di Napoli, scrisse che il popolo napoletano usava condire la pizza ed i maccheroni con il pomodoro. Le prime pizzerie comparvero a Napoli nel corso del XIX secolo e fino alla metà del XX secolo esse furono un fenomeno esclusivo di quella città. Dalla seconda metà del Novecento le pizzerie si sono diffuse ovunque nel mondo. Secondo i puristi sono solo due le pizze della tradizione napoletana, la Marinara e la Margherita.

Frittura di alici: il Mar Mediterraneo ne è ricco e il popolo campano ha ben saputo sfruttare questa ricchezza naturale. 2 sono le tipologie note nella regione: le alici di Cetara e le alici di Menaica. Le prime prendono il nome dal borgo marinaro da cui partono le barche che si dedicano da generazioni alla pesca di alici. Menaica, invece, è un’antica tecnica di pesca che viene ancora utilizzata nel Cilento, nella zona tra Palinuro e Pisciotta. La frittura di alici, inserita poi nel classico cuoppo, è considerato un piatto classico della tradizione Una prima versione di sfogliatella sia stata sfornata nel Convento della Croce di Lucca a Napoli, ma la realtà dei fatti ci conduce nella provincia salernitana del 1600 e, più precisamente, a Conca dei Marini, in Costiera Amalfitana. La leggenda narra, infatti, che un giorno di 400 anni fa, nella cucina del Monastero di Santa Rosa, un’abilissima monaca pasticcera decise di riutilizzare creativamente un rimasuglio di latte e semola, aggiungendogli qualche goccia di liquore al limone – probabilmente un antenato del limoncello – e un po’ di frutta secca. Pose, poi, il composto tra due sfoglie di pasta, arricchite con strutto e vino bianco, lasciate a dorarsi nel forno a legna con la forma di un cappuccio di monaco.

La Pastiera viene realizzato per la Pasqua, ma c’è chi la prepara anche a Natale. Gli ingredienti principali sono grano, ricotta, uova, sugna, zucchero e canditi, su una base di pasta frolla.

Migliaccio: un dolce a base di semolino e ricotta tipico del periodo di Carnevale.


Soppressata

Sagicciotto

La Capunata: un antipasto veloce da preparare, fresco e sfizioso, adatto sia a grandi che piccini

Fusilli alla molisana Questo tipo di pasta viene preparata "arrotolando", su un "ferretto", l'impasto precedentemente preparato e i fusilli, cosĂŹ ottenuti, si condiscono con sugo di pomodoro riccamente insaporito con peperoncino e una spolverata di pecorino.

Laganelle e fagioli Consiste in piccole lasagne fatte a mano e servite come minestra con fagioli, varie erbe aromatiche e peperoncino. Viene servita nei piatti e arricchito con olio crudo e pecorino grattugiato.

Picellati: Sono delle specie di panzerotti cotti al forno e farciti con mollica di pane lavorata insieme a mosto di vino cotto, miele, noci e mandorle

Ceppelliate di Trivento Dolce provenente dal Molise, in particolare da Trivento nella provincia di Campobasso, e tipico per i giorni delle festivitĂ natalizie, le ceppelliate di Trivento sono dei dolcetti di pasta frolla a forma di mezzaluna con gusto leggermente fruttato.


Cappello: Uno dei mille modi in cui si cucinano le melanzane e le zucchine. Ăˆ un calzone tipico del Salento con una forma che ricorda quella del cappello di un gendarme. Si tratta di un timballo farcito con melanzane e zucchine fritte, fette di carne, uova sode e formaggio.

Orecchiette: Questa è la classica pasta asciutta della tradizione pugliese in cui l'impasto formato da pasta di semola di grano duro, non viene tirato a sfoglia ma lavorata a mano, da cui si staccano velocemente dei pezzetti di pasta che vengono schiacciati con il pollice a formare una piccola "orecchia". Lasciate seccare per qualche ora vengono bollite e condite con un sugo in cui si sono fatte cuocere a fuoco lento le brasciole, oppure bollite e scolate con le cime di rapa e un condimento fatto con aglio e acciughe soffritti nell'olio Brasciole: Involtini formati da fettine di carne con un ripieno di prosciutto, prezzemolo e pecorino grattugiato. Vengono soffritti nell'olio e cipolla, con l'aggiunta di pomodoro. Taralli: La ricetta vuole che il tarallo, prima di essere infornato, venga immerso per un istante in acqua bollente. Possono essere conditi con pepe oppure con i semi di finocchio.

Ncapriata: Piatto ricco di sapori composto da una crema di fave secche bollite a lungo in acqua e sale. Si aggiunge alla fine della cicoria o cime di rapa giĂ cotte a parte e condite, a crudo, con olio extra vergine d'oliva.


Le carteddate sono dolci tradizionali natalizi pugliesi ormai conosciute in tutta Italia per la loro bontà e semplicità. La ricetta delle Carteddrate si tramanda di generazione in generazione e il loro significato simbolico è quello di rappresentare le fasce in qui è stato avvolto Gesù Bambino. "L' cart'ddat" è la sua pronuncia nel dialetto barese, anche se questo dolce è tipicamente salentino

Le pettole pugliesi non sono solo palline di pasta lievitata e fritta che si preparano durante le festività natalizie, sono il dolce del Natale per antonomasiache, per la sua sofficità viene spesso chiamato "cuscin du Bambinell". Una simpatica leggenda ne descrive le origini narrando la

storia di una donna che, la mattina di Santa Cecilia, si alzò come di consueto per preparare l'impasto del pane ma, durante la lievitazione, fu distratta dalle melodie degli zampognari e, come ipnotizzata, iniziò a seguirli per i vicoli della città. Al ritorno a casa, però, si accorse che l'impasto era lievitato troppo e non poteva più essere usato per il pane. Di fronte ai bambini ormai svegli che reclamavano la colazione, mise a scaldare dell'olio e cominciò a friggere dei pezzettini della pasta lievitata. La storia racconta che, finito di friggere tutto l'impasto, la donna scese in strada per offrire le pettole a tutti.

In Puglia non è Pasqua senza le scarcelle, uno dei dolci più classici di questo periodo. Come la maggior parte delle ricette tradizionali anche questa prevede l'utilizzo di ingredienti poveri e semplici come uova, farina, latte e olio che danno vita ad una pasta frolla speciale, spesso aromatizzata con la scorza del limone! La forma varia da paese a paese: deliziosi coniglietti, graziosi cestini o colombe stilizzate sono le più comuni, anche se la più originale rimane quella a "ciambella". La glassa di albume e zucchero che le ricopre è facoltativa, c'è chi non la preferisce e chi invece ricopre interamente le scarcelle, per poi decorarle con codette, perline colorate di zucchero e con le immancabili uova sode, segno di rinascita e simbolo pasquale. Per accontentare anche i più piccoli spesso l'uovo sodo viene sostituito con delle piccole uova di cioccolato o con delle uova bollite decorate insieme alle proprie mamme!


L'antico appellativo di Lucania ci riporta ai fasti della Magna Grecia. Una regione montuosa ricca di pascoli e di boschi che ci portano, insieme ai due mari che la circondano, una cucina ricca di sapori montani e marinari Il Caciocavallo podolico è ottenuto da 100% latte di vacca podolica, una razza rustica che può essere allevata solo allo stato brado, e vacche podoliche si alimentano esclusivamente al pascolo e il latte da esse prodotto viene traformato entro 24 ore in Caciocavallo Podolico. Ritenuto uno dei migliori formaggi d'Italia, ormai rarissimo e pregiato, il Podolico è prodotta da un latte di straordinaria qualità organolettica, le vacche podoliche mangiano solo ed esclusivamente quanto di naturale e spontaneo trovano nei boschi lucani, producono latte solo in un determinato periodo dell'anno e vanno munte una sola volta al giorno, pochissima la loro produzione di latte, quindi, ma di una qualità strepitosa Il nome Cacioricotta deriva dalla particolare tecnica di lavorazione che ha come conseguenza la presenza nella cagliata sia della caseina del latte che dell'albumina. Le regioni che producono i maggiori quantitativi di Cacioricotta sono le Puglie, la Campania e soprattutto la Basilicata. questo formaggio è particolarmente appetibile sia fresco che stagionato, adatto ad accompagnare tanti piatti tipici locali

Prosciutto di Cinghiale Lucano Il prosciutto di cinghiale è un prodotto tipico locale proveniente da carni suine allevate allo stato semi-brado sull’ Appenino Lucano. E’ ottenuto dalla coscia del cinghiale e prevede un tempo di stagionatura di circa 12 mesi. Il prosciutto di cinghiale è caratterizzato dal tipico gusto selvatico del cinghiale.


Fusilli con la mollica: Questo tipo di pasta viene preparata "arrotolando", su un "ferretto", l'impasto precedentemente preparato e i fusilli, cosĂŹ ottenuti, si condiscono con olio, aglio e mollica di pane raffermo. Grano al sugo: Dopo aver pulito il grano, metterlo a bagno per tutta la notte. Lessarlo in acqua bollente leggermente salata, scolarlo e condirlo con pecorino grattugiato e succo di pomodoro. Cutturiddu di pecora: Mettere in un tegame capiente la carne di pecora tagliata a pezzi con tutte le verdure (pomodorini, peperoni, patate, cipolla, aglio) anch'esse tagliate a grossi pezzi, l'olio, il lardo e una manciata di sale e dopo aver coperto il tutto con l'acqua, mettere il coperchio e lasciare cuocere a fuoco moderato per circa un paio d'ore.

Ciammotta: Questo piatto è la versione lucana della ciambotta calabrese. Si tratta di verdure (patate, peperoni, melanzane e pomodori) fritte tutte separatamente e poi riunite in un tegame insieme ad uno spicchio d'aglio intero ma schiacciato. Cuocere ancora un'ora a fuoco molto basso e rigirando il tutto delicatamente.

Panzerotti: In versione dolce sono farciti con passata di ceci, cioccolato, zucchero e cannella, quindi fritti o cotti al forno e cosparsi di zucchero a velo oppure con il miele.


La cucina calabrese è strettamente collegata alla vita religiosa e spirituale e comporta regole e abitudini spesso legate alle ricorrenze che risalgono ai tempi antichi, essendo il risultato di quasi 3.000 anni di storia, dalla Magna Grecia all'Unità d'Italia. Per esempio a Natale e all'Epifania era usanza mettere in tavola tredici portate, mentre a Carnevale si mangiano maccheroni, polpette e carne di maiale. La Pasqua si festeggia con l'arrosto d'agnello, i cuddruriaddri e i pani spirituali e così per le altre feste. Ogni evento della vita familiare (nozze, battesimi etc.) si festeggia sempre con una cena particolare. Oggi le abitudini non sono così rigide, ma mantengono molte delle antiche usanze. Rivestono molta importanza i cibi conservati, come le acciughe sotto sale, dissalate e messe sotto olio col peperoncino, gli insaccati di maiale (come la 'nduja e la soppressata calabrese), i formaggi, le verdure sottolio e i pomodori seccati, che consentivano di sopravvivere nei periodi di carestia, oltre che ai lunghi periodi d'assedio dei pirati turcheschi. Oggi nelle aree coltivate si raccolgono ottimi prodotti agricoli, sulle montagne si producono molti formaggi e sono in crescita la viticoltura e la produzione di olive. Le ricette calabresi fanno molto uso di verdure, di cui il territorio è fertile: melanzane soprattutto e poi pomodori, peperoni, cipolle rosse e fave.Un ruolo centrale nella cucina calabrese è occupato dal pane. La 'Nduja è un salame spalmabile dalla consistenza molto morbida e ovviamente piccante. Il suo color ruggine, consistenza e sapore la rendono abbastanza unica nel panorama degli insaccati italiani. Originaria di Spilinga, paese in provincia di Vibo Valentia, è preparata con le parti grasse del maiale e tanto peperoncino. Tutto viene messo in budello e poi viene affumicato. Buona soprattutto spalmata sul pane, oggi la 'Nduja viene utilizzata anche in cucina sopra la pizza o per insaporire i sughi.

Soppressata, è un insaccato fatto di carne magra e grasso di maiale al quale spesso viene aggiunto del peperoncino rosso piccante e del finocchietto selvatico. È facile comunque trovarla anche senza peperoncino.


Uno dei pani preferiti dai calabresi: il Pane di Cerchiara viene dal Pollino, e viene prodotto e cotto nei forni storici del paese in provincia di Cosenza. Nove forni, tutti o quasi gestiti da donne, che lavorano costantemente per rifornire tutta la provincia e la regione. Sguta - Prodotto da forno che si trova sulle tavole dei calabresi generalmente verso Pasqua. Si tratta di un filoncino di pane che abbracci un uovo crudo, che verrà cotto in forno con l'impasto del pane. Si consuma sia dolce che salato La Cipolla di Tropea IGP è un tipo di cipolla più dolce e meno aspro rispetto alle altre varietà: il sapore particolare deriva da condizioni climatiche e geografiche particolari: terreni volti al mare e un inverno mite.

I "Turdilli" di San Giovanni in Fiore sono dolci tipici natalizi ricoperti di miele

I mustazzola: Biscotti tipici a base di miele

Cuccìa - Piatto tradizionale preparato in occasione delle feste patronali dei paesi della presila cosentina. Il piatto è a base di grano, carne di maiale e/o di capra.


La cucina siciliana ha una cultura gastronomica regionale che mostra tracce e contributi di tutte le culture che si sono stabilite in Sicilia negli ultimi due millenni, tramandata di generazione in generazione oltre che in ambito letterario, motivo che spiega perché alcune ricette, di origine antichissima, sono tutt'oggi preparate e servite a tavola con frequenza. Complessa ed articolata, la cucina siciliana è sovente ritenuta la più ricca di specialità e la più scenografica d'Italia. Alcuni dei cibi più noti, diffusi non solo a livello regionale ma addirittura mondiale, sono la cassata siciliana, il cannolo siciliano, la granita e gli arancini. Grazie al suo clima mite, l'isola è ricca di spezie e piante aromatiche; origano, menta, rosmarino, fanno quotidianamente parte dei condimeti siculi. Il terreno fertile produce arance e limoni in grande quantità, al punto tale che la Sicilia è spesso soprannominata la terra dei limoni o la terra delle arance. Mandorle, ficodindia, pistacchio e olive sono gli altri suoi simboli culinari nei quali eccelle. Nonostante nell'insieme il carattere alimentare di tale cucina risulti unificato, nella maggior parte dei casi si tratta di varianti della stessa ricetta regionale, in alcuni casi questi cibi, come ad esempio le panelle palermitane o i muccunetti di Mazara del Vallo, hanno una preparazione e una commercializzazione rilevata solo nella loro zona di origine. Tale caratteristica alimentare ha portato spesso ad una divisione culinaria tra "Sicilia occidentale", "Sicilia centrale" e "Sicilia orientale".

Limoni Fichi D’india

Pistacchio

Ricotta

Tuma

Arance Mandorle Mandarini

Melograni

Pecorino

Pomodorini secchi


I cannoli sono una delle specialità più conosciute della pasticceria siciliana. Il nome è legato alle canne di fiume cui veniva arrotolata fino a pochi decenni fa la cialda durante la sua preparazione In origine venivano preparati in occasione del carnevale; col passare del tempo la preparazione ha perso il suo carattere di occasionalità ed ha conosciuto una notevolissima diffusione sul territorio nazionale, divenendo in breve un rinomato esempio dell'arte pasticcera italiana nel mondo. Si compone di una cialda di pasta fritta (detta scòrza e lunga da 15 a 20 cm con un diametro di 4-5 cm) ed un ripieno a base di ricotta. Il cannolo farcito viene poi spolverato di zucchero a velo.

Cassata: Dolce tipico siciliano di origine araba. Si tratta di un Pan di Spagna ricoperto di crema di ricotta, con glassa di zucchero e con una decorazione fatta da canditi.

La granita è un dolce freddo al cucchiaio tipico della Sicilia. E’ un composto liquido semi-congelato preparato con acqua , zucchero, polpa di frutta o con altri ingredienti più golosi, tipici del territorio. Le sue origini sono legate alla dominazione araba in Sicilia; a loro si deve la ricetta dello sherbet, una bevanda ghiacciata aromatizzata con succhi di frutta o acqua di rose. Dall’epoca medievale in Sicilia esisteva la figura del “nivarolo”, colui che si occupava sia della raccolta delle neve, caduta sui monti dell’Etna, dei Peloridani e dei Nebrodi durante il periodo invernale, sia della sua conservazione in appositi habitat, chiamate neviere, al fine di “commercializzarla” durante il caldo periodo estivo. Infatti, il ghiaccio, così preservato, veniva grattato e utilizzato per preparare freschi sciroppi di frutta o di fiori molto apprezzati dalle famiglie benestanti dell’epoca. La consistenza e i gusti di questa specialità siciliana cambiano di zona in zona: nel messinese e nel palermitano spiccano i gusti al caffè e al limone ma si differenziano per la consistenza; più granulose le prime e più compatte le altre. Nel ragusano è tipica quella alla mandorla. Pesca, fragola e mandarinosono molto diffuse a Noto e nel Catanese, dove all’elenco di granite di quest’ultima, si aggiunge quella al pistacchio e al cioccolato.


L'arancino o arancina è uno dei piatti tipici della cucina siciliana. È una palla di riso ripiena di ragù o altri ripieni di vario tipo, il tutto impanato e fritto per qualche minuto in olio bollente. Il nome deriva dai colori e dalla sua forma che può essere a palla o conica. La sua storia sembra che inizi dagli arabi che importandolo in Sicilia è diventato poi il simbolo che contraddistingue l'intera isola. È considerato da tutti i siciliani il piatto tipico della loro rosticceria e simbolo dell'intera regione. La forma conica si pensa sia dovuta da un'ispirazione con il vulcano Etna, infatti mangiando la punta spesso ci si accorge che ne fuoriesce il vapore dato dalla temperatura ancora alta della sua cottura. Gli elementi fondamentali che contraddistinguono un vero arancino, è soprattutto il colore arancio del riso, dovuto dalla presenza dello zafferano.

Le panelle, frittelle di farina di ceci sono una delle specialità gastronomiche "da strada" palermitane, diffuse anche nelle province di Agrigento, Trapani e Caltanissetta. Preparate con farina di ceci, acqua e sale e l'eventuale aggiunta di prezzemolo, le panelle solitamente si mangiano in mezzo a panini con sesamo, rotondi e morbidi, spesso accompagnate con crocchè di patate alla menta, chiamate in siciliano cazzilli o con altre specialità fritte in pastella.

La scaccia ragusana è una ricetta tipica che viene preparata con una base di pasta per pizza, stesa in una sfoglia sottile, farcita con salsa, cipolla, formaggio rapé e con ogni altro ingrediente solletichi il palato, come in questo caso le melanzane, e arrotolata per formare un largo salsicciotto millefoglie.


Pasta alla Norma: Piatto caratteristico di Catania, in omaggio al compositore cittadino Vincenzo Bellini. Sono spaghetti coperti da melanzane fritte nell'olio, salsa di pomodoro e una spolverata di ricotta salata grattugiata.

Insalata d'arancia: Dove può arrivare la fantasia culinaria. Tagliare a fette sottili l'arancia, meglio se agra, condirla con olio, sale e un po' di pepe. Da servire come contorno. Pasta alla Palermitana con sarde e finocchietto selvatico- Questa meraviglia della cucina siciliana e palermitana in particolare, sembra essere nata per caso durante l’assedio degli arabi in Sicilia. Pare che l’addetto al nutrimento dell’esercito del generale Eufemio non avendo a disposizione altro che pasta e sarde, peraltro non molto fresche, utilizzò quello che la natura intorno gli offriva, cioè il finocchietto selvatico che cresceva spontaneamente e che, oltre ad essere molto gustoso, con il suo forte odore, attenuava quello poco gradevole delle sarde. Aggiunse pure i pinoli, che a quei tempi venivano ritenuti una panacea per le intossicazioni alimentari, scongiurando così gli inconvenienti che potevano derivare dall'ingestione delle sarde da lui utilizzate.

La caponata è un prodotto tipico della cucina siciliana, generalmente cucinato durante le feste natalizie. Il piatto consiste in un insieme di ortaggi fritti, conditi con sugo di pomodoro, sedano, cipolla, olive e capperi, in salsa agrodolce


Bottarga Il termine bottarga o bottariga si riferisce alle uova del muggine o del tonno, salate, pressate ed essiccate. Cabras, sull’omonimo stagno, in provincia d’Oristano, è considerata la patria della bottarga di muggine, mentre un'ottima bottarga di tonno è prodotta nei paesi costieri del Sulcis. Affettata e condita con un filo d’olio, la bottarga diventa un delizioso antipasto. Squisiti gli spaghetti con la bottarga grattugiata.

Olive a scabecciu - Vengono incise in tre punti, messe in salamoia per circa tre giorni, lavate e scottate in acqua e aceto, successivamente fatte essiccare al sole. Vengono quindi soffritte col prezzemolo e aglio e messe sott'olio. Dopo circa un mese dalla preparazione posso essere consumate.

La materia prima del Pecorino sardo è il latte intero di pecora di razza sarda; è un tipo di formaggio a pasta bianca, compatta, a stagionatura variabile: - il Pecorino sardo dolce è caratterizzato da un gusto particolarmente delicato e mai piccante; il Pecorino sardo stagionato, nelle forme usate da grattugia, arriva anche a 12 mesi di stagionatura;


I Malloreddus sono gnocchetti di semola di grano duro tradizionalmente aromatizzati con lo zafferano. Solitamente sono conditi alla campidanese ossia con sugo di salsicce, ma tra le ricette tipiche esiste la variante con Casu furriau cioè con formaggio fuso e zafferano. Sono conosciuti anche come Cigiones nel sassarese e Cravaos nel nuorese, e - in lingua italiana - Gnocchetti sardi; Le Lorighittas sono una pasta preparata fin dall'antichità a Morgongiori, piccolo paese al centro dell'isola, intrecciando un doppio filo di pasta;

Il porceddu o porcheddu (spesso italianizzato con il termine "porcetto") , è il maialino da latte di circa 4 – 5 kg o di venti giorni, cotto lentamente allo spiedo, su graticole e aromatizzato dopo la cottura con mirto o rosmarino. Questo arrosto costituisce un classico della cucina pastorale sarda;

Il cinghiale sardo presenta una taglia più piccola rispetto a quella del cinghiale maremmano. Nella tradizione gastronomica sarda il cinghiale viene cucinato col metodo “a carraxu” (interramento). Si utilizza una buca scavata nel terreno che si riempie di brace per scaldare le pareti, una volta tolta la cenere si ricopre la buca con frasche di mirto e timo, si sdraia sopra il cinghiale e si chiude la buca con uno strato di terra dove poi viene acceso un fuoco. Dopo qualche ora il cinghiale raggiunge la cottura ideale. Fra gli altri metodi di preparazione si segnala il cinghiale in agrodolce. La carne tagliata a tocchetti viene fatta rosolare in un trito di cipolla, prezzemolo, mirto e timo. In un secondo momento si aggiunge aceto, zucchero e poi la passata di pomodoro.


Corikeddos nuoresi Biscotti ripieni di miele e mandorle a forma di cuore, tradizionale omaggio alla sposa da parte della suocera, fatto con nove grandi “coros” circondati da tanti cuoricini, sempre in numero dispari e in quantità rapportata al prestigio della famiglia.

Aranzada nuorese è un dolce di arance candite nel miele e mandorle di circa 1 cm di altezza e porzionato in piccoli pezzi romboidali. Colore, aroma e gusto sono di agrume dolce. La consistenza è complessivamente gommosa e di compattezza variabile a seconda delle proporzioni e del taglio degli ingredienti.

Amaretti Sardi Simili per alcuni aspetti agli Amaretti italiani ma, a differenza di questi più soffici e con un gusto particolarmente delicato, sono in prevalenza costituiti da una bilanciata amalgama di mandorle dolci e amare, da zucchero e bianchi d’uovo.

Le Pardule anche conosciute con il nome di formagelle, sono forse il dolce sardo più conosciuto e apprezzato al di fuori della Sardegna. Questo a buon diritto essendo probabilmente anche uno dei più buoni, oltre che uno dei più antichi, in quanto legato alla nostra millenaria cultura pastorale. Anche il gusto rimanda a sapori antichi. Quando fatte bene, le formagelle associano al gusto delicatissimo dell'impasto e dell'aroma d'arancia il gusto leggermente più deciso del formaggio, contrasto che si ha anche al palato ,tra la pasta croccante che le racchiude e l'impasto che deve essere soffice e uniforme.


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