l'Automobile Week 48

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INNOVAZIONE I MOTORI I LIFESTYLE

Settimanale digitale • Anno 2 • Numero 48 • 6/7/2018

Supplemento settimanale a l'Automobile.

Indipendenza.

PAOLO BORGOGNONE ■ “Sono vuoto e sofferente e non so perché. Conto le auto sulla New Jersey Turnpike. Sono venuti tutti a cercare l'America”. Parole (splendide come suo solito) dell'autore e cantante Paul Frederic Simon, scritte nel 1968 per “America”, cantata in duo con Art Garfunkel. E nella settimana dell'Independence Day – il 4 luglio – la festa nazionale a stelle e strisce, abbiamo deciso di andare oltre Oceano. Per scoprire come sarà il futuro da qui 30 anni e cosa

si nasconda dietro la guerra dei dazi innescata da Trump (rischi per gli Usa compresi). Vedremo come la metropoli più moderna d'America – Los Angeles – accetti e rilanci la sfida sul futuro e non smetteremo di sognare coi poeti e i musicisti che ci guidano sulla Route 66 (magari su un pick up, siamo in America), prima che la globalizzazione se la porti via del tutto. Il nostro viaggio, come sempre, parte dall'oggi ma guarda a domani e a ieri, sapendo che tutto si evolve e cambia durante il percorso. Anche noi, come Paul Simon e la sua Kathy che lo accompagna nella canzone citata in apertura, andiamo a cercare l'America.


INNOVAZIONE

America 2049, il futuro. FLAVIO POMPETTI

■ NEW YORK – Agli inizi degli anni '80 era facile immaginare qui in America quale sarebbe stata l'auto del futuro. Ogni pomeriggio girava sotto i nostri occhi in televisione. La Kitt era una Pontiac Trans Am Sport dell'82 modificata con l'aggiunta di molte spie a led e di grafica digitale luminosa piuttosto che di vera tecnologia, ed era la coprotagonista della serie televisiva “Knight Rider” a fianco di David Hasselhoff. Auto antropomorfa, dotata di olfatto e udito ma anche di un cervello pensante; aveva a bordo la prima versione dell'Intelligenza Artificiale, ma più che usarla per muoversi nel traffico lo faceva per interagire con il suo pilota e aiutarlo a risolvere rocambolesche storie di ordinario crimine urbano. In quanto al design, la Kitt era un coupé dal profilo basso e allungato in proiezioni ardite sull'anteriore così come sul posteriore. Qualcuno ha scritto che, come tutte le “pony car” dell'epoca, incarnava l'immagine di un'America ancora schiacciata dal peso di una guerra umiliante in Vietnam conclusa con la sconfitta e il desiderio di fuga dei giovani che in quell'immagine non si erano mai identificati. La Kitt era un'auto di transizione. Da una parte aveva una una sorta di carrozzeria-corazza indistruttibile che rimanda2

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va al concetto della Fortezza della solitudine di Superman e ai sogni di un automobilista che trova nella strada la via verso la libertà e l'avventura. Dall'altra anticipava con chiaroveggenza l'innovazione in arrivo: il suo cervello elettronico calcolava il percorso tra due località scegliendo l'itinerario migliore, era dotata di un dispositivo per telefonare dall'auto senza doversi fermare alle cabine telefoniche lungo la strada, aveva apparati radar e lettori di localizzazione, sensori anticollisione, sistemi di allerta, monitoraggio della qualità dell'aria e dello stato di salute dei passeggeri e perfino un assetto di guida automatico, per consentirle di “guidarsi da sé”. A voler spingere oggi la nostra mente con altrettanta agilità verso una data di metà secolo, l'immagine che rimbalza è molto meno entusiasmante. Ve la immaginate una serie poliziesca televisiva basata sulla Google Car? In America parliamo oggi dell'auto del futuro come di un “uovo” o di un “chicco di piselli” nello slang della Silicon Valley, o addirittura di un modulo anonimo nel trenino dell'Hyperloop, sistema di trasporto ad alta velocità per merci e passeggeri all'interno di tubi a bassa pressione. Oppure a volar lontano, nel vero senso delle parole, di SpaceX, la navicella che ci


porterà su Marte. Altro che guida autonoma. Qualunque sia però, la tecnologia non è più esibita con lampi da discoteca sul cruscotto, ma tende a rimpicciolirsi e scomparire all'interno del microchip, un po' come è successo con il passaggio dalla Lettera 32 allo smartphone. Allo stesso tempo gli spazi di libertà e di fuga si sono ristretti nella vita reale. Il concetto del trasporto si è sostituito a quello del moto, come a indicare l'inevitabilità della svolta utilitarista che stiamo prendendo. Visto dall'America, lo stesso obiettivo della mobilità di cui tutti parliamo è l'ammissione del rischio opposto al quale ci condannano sovrappopolamento e urbanizzazione: l'immobilismo. Diamo per scontato che il livello 5 di autopilota, quello che non prevede più un intervento umano alla guida, sia diventato standard comune entro il 2049. Elon Musk, patron di Tesla (e di SpaceX), lo ha promesso in via sperimentale entro fine 2019, e sulla sua scia gli altri protagonisti della corsa avranno superato facilmente il traguardo entro quella data. Mentre in tempi brevi, gli artefici del design dovranno iniziare a spiegarci che aspetto avrà l'abitacolo di una vettura non più progettata per rispondere all'arbitrio del suo conducente, ma inserita nella rete di un traffico intelligente dominato dall'impero dei dati informatici. Sacrificio imposto? Il sospetto è che saranno la qualità dei materiali, la funzionalità del disegno e la dotazione di infotainment a definire i più ambiti livelli delle automobili che compreremo, a discapito di propulsori e meccanica della vettura, il cui punto di perfettibilità potrebbe incontrare nel tempo il vicolo cieco dell'omologazione, esattamente come è accaduto nel giro di pochi anni nell'epopea dello sviluppo dei personal computer. Il sacrificio ci sarà chiesto, o forse ad un certo momento imposto, in cambio della promessa di un futuro privo di de-

cessi sulla strada, con tanto di corollario del risparmio della spesa oggi necessaria per assicurare sicurezza, obbedienza del codice e assistenza ai sinistri. Un altro concetto al quale siamo romanticamente legati, in particolare qui in America, sotto minaccia di estinzione è il “road trip”. Il lungo viaggio a tappe per arrivare da una città all'altra, con tutto il contorno al quale è legato: i motel all'uscita delle autostrade, i tesori nascosti, la musica e la letteratura che accompagnano il viaggio. La mappa dei trasporti veloci promessa da Hyperloop permetterà di percorrere nel giro di ore le distanze che oggi richiedono giorni, senza la licenza di dare un'occhiata al paesaggio mentre lo attraverseremo a velocità supersonica. Quando la ferrovia si impose sulla rete di sentieri e strade, i centri che rimasero fuori dalle linee di collegamento iniziarono ad impoverirsi e a spopolarsi. Accadrà lo stesso domani, lontano dalle coordinate di comunicazione delle grandi città? “E che ne sarà di noi?” Nessuno tra i manager dell'industria oggi sposerebbe una tale descrizione del futuro dell'auto. “Saremo mai costretti ad abbandonare la guida?”, la risposta, qualunque sia il marchio, è che l'opzione manuale resterà sempre affiancata a quella dell'autopilota e che il piacere di decidere traiettorie e cambi di velocità resterà facoltà dei guidatori. Ma la certezza di una tale sopravvivenza della scelta diventa sempre meno realistica di fronte ai dati che vengono dai campi di prova e dai simulatori in laboratorio. Forse il suo esercizio resterà disponibile, così come ancora oggi è l'utilizzo delle lampade all'acetilene e del giradischi. Il futuro ci porterà altrove, verso soluzioni più razionali e sicure. “E che ne sarà di noi?” chiede Ingrid Bergman sulla pista dell'aeroporto di Casablanca. Noi avremo sempre Knight Rider, su megaschermo pieghevole a bordo dell'iPod AI2049. 6 Luglio 2018 ·

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BUSINESS

Trump e l'auto, la love story è finita? PATRIZIA LICATA

■ L industria automobilistica di Detroit non ha bisogno della guerra dei dazi di Donald Trump per vendere più auto – anzi. Se i big dell'automotive a stelle e strisce avevano gradito l'amicizia del presidente americano con i gruppi petroliferi, che aiuta a tenere bassi i prezzi della benzina, e la posizione “scettica” sugli standard per le emissioni inquinanti, che la US Environmental protection agency renderà meno severi, sull'aggressiva politica commerciale della Casa Bianca i grandi di Detroit e le altre case automobilistiche in America dicono no, grazie: il risultato potrebbero essere auto più care, meno vendite e profitti e centinaia di migliaia di posti di lavoro persi. L'allarme dei costruttori Dopo che l'Europa ha varato dazi del 25% su decine di prodotti di largo consumo fabbricati negli Usa (una replica ai dazi americani su acciaio e alluminio), Donald Trump ha minacciato dazi americani del 20-25% sull'importazione di auto dall'Europa. La Alliance of Automobile Manufacturers, lobby dei costruttori attivi negli Stati Uniti, teme l'escalation: in una lettera al dipartimento del Commercio avverte che tassare le auto e la componentistica di importazione farà aumentare i costi per le case automobilistiche americane e quindi i prezzi per il consumatore finale: in media, 5.800 dollari per ogni nuovo veicolo venduto negli Stati Uniti. “Prezzi più alti per il consumatore faranno calare le vendite e anche il gettito fiscale connesso con gli acquisti delle auto: sono a rischio i posti di lavoro nella nostra industria”, sintetizza l'associazione di cui fanno parte anche Ford, General Motors e Fca. Quanto costa la guerra dei dazi Uno studio del Peterson Institute for International Econo4

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mics ha calcolato che, se Trump imponesse un dazio del 25% sulle auto e le componenti importate, la produzione negli Usa subirebbe una flessione dell'1,5% e 195.000 persone perderebbero il lavoro in 1-3 anni. Se Ue, Messico, Canada e Giappone (i principali partner commerciali degli Usa per auto e componenti) imponessero a loro volta dazi sulle auto e le componenti americane come forma di rappresaglia, la perdita di posti di lavoro negli Usa schizzerebbe a 624.000 in tre anni. Detroit boccia il Presidente Negli Stati Uniti l'anno scorso sono state vendute 17,1 milioni di auto, uno dei risultati migliori di sempre. Tredici diversi costruttori hanno fabbricato quasi 12 milioni di veicoli su suolo americano. L'industria dell'auto negli States vale nel suo complesso 1.000 miliardi di dollari nel 2017 e impiega 7,5 milioni di persone. I veicoli esportati dalle fabbriche Usa sono 2 milioni l'anno, con l'export verso l'Asia cresciuto del 500% dal 2003. Sono numeri pubblicati in un editoriale di Detroit News che commenta: “Questa non è un'industria che ha bisogno di essere protetta dai suoi partner commerciali”. A rischio le elettriche La Alliance of Automobile Manufacturers ha anche fatto capire a Trump che, se imporrà misure protezionistiche che faranno lievitare i costi, i costruttori avranno meno soldi da investire in innovazione, a scapito, per esempio, dello sviluppo delle auto elettriche. È un argomento cui il presidente e la sua squadra di governo potrebbero non essere molto sensibili, visto il dietro-front dell'Epa sui limiti per le emissioni inquinanti dei veicoli voluti dall'amministrazione Obama e ora bollati come “irrealistici” per l'industria dell'auto. Il passo indietro aveva ottenuto il plauso dei costruttori, ma adesso vale poco: i big di Detroit hanno cominciato a investire sull'elettrificazione, spronati dai concorrenti nazionali (come Tesla) e da quelli esteri, con la Cina in testa che, sulla mobilità a emissioni zero, avanza a passi da gigante. Per l'automotive statunitense, la guerra dei dazi di Trump potrebbe essere quanto di più lontano dall'America first.

BUSINESS

Auto Usa tra crisi e ripresa. FELIPE MUÑOZ ■ Nel 2017 il mercato statunitense ha registrato oltre 17 milioni di pezzi venduti e un calo dell'1,8% rispetto al 2016. E anche se durante i primi cinque mesi del 2018 il totale di vendite è cresciuto dell'1%, si mantengono i parametri va-


Lo “sciopero del compratore” Un'altra ombra pesa infine sulla crescita. Secondo Morgan Stanley, l'industria americana potrebbe affrontare uno “sciopero del compratore” senza precedenti. Le macchine usate sono destinate a perdere sempre più valore – tra il 25 e il 50% nei prossimi 5 anni – in rapporto all'aumento di tecnologia e connettività presenti a bordo delle auto nuove. E siccome 9 acquisti su 10 sono determinati dalla cessione di un'auto di seconda mano, gli analisti della banca d'affari prospettano una pressione importante sulla crescita delle vendite nei prossimi anni. Si parla di un mercato statunitense di solo 15 milioni di unità nel 2020. Forse. L'evoluzione non è così prevedibile. riabili che impediscono una spinta decisa verso l'alto, cioè l'aumento dei tassi d'interesse programmati dalla Federal Reserve, che incide sul costo del finanziamento per l'acquisto delle automobili. Le prospettive per i prossimi anni indicano poi che in Usa si va anche verso un nuovo tipo di mercato. Gli Stati Uniti sono stati il centro del mondo automotive per quasi tutto il secolo scorso. Oggi la situazione con l'arrivo di nuovi player, nuove tecnologie e sfide sempre più grandi è cambiata e viene da riflettere su come saranno i prossimi anni per chi ha creato modelli come Ford T, Cadillac Eldorado, Shelby Cobra e l'AMC Eagle. Baby Boomers Mentre negli anni '60 e '70 Europa e Giappone rinascevano lentamente, gli americani di Ford, General Motors e Chrysler approfittavano sia dell'aumento del potere d'acquisto della popolazione che della crescita demografica nel Paese. L'arrivo dei “baby boomers” ha fatto da turbo al mercato: le vendite di auto sono quasi raddoppiate fra il 1960 e il 1973, per arrivare ai 16 milioni (pick-up compresi) nel 1986. Guerre commerciali A una crescita così veloce segue ora una fase molto diversa. L'Amministrazione Trump ha imposto una deregulation finanziaria, una nuova tassazione che potrebbe avere impatto anche sull'automobile. Non è chiaro neppure quale sarà il futuro del Nafta, l'accordo americano per il libero scambio con Canada e Messico, e l'incidenza che una sua possibile modifica potrebbe avere sulla produzione locale di auto e dunque sui costi per il consumatore. Nel frattempo, la guerra commerciale con l'Unione Europea e la Cina potrebbe anche avere un effetto negativo sul consumatore finale, visto che i prezzi delle auto saliranno dopo un aumento delle tasse d'importazioni. È chiaro che Trump vuole alzare la quota dell'auto americana sul totale delle vendite sul mercato interno, ferma ora al 56%. Un amore infinito Gli americani continuano ad adorare i grandi suv e pick-up prodotti localmente: una eventuale fine della zona di libero scambio Nafta, e una caduta di auto importate dall'Europa rafforzerebbe la tendenza, fino al punto che nei prossimi anni alcune tipologie di auto potrebbero sparire. Un mercato più chiuso alle importazioni. Le nuove sfide non si fermano qui. Se il prezzo del petrolio continuerà a restare basso per la domanda di auto elettriche è prevedibile solo una lenta crescita. Anche se una forte spinta potrebbe arrivare da parte della nuova Tesla Model 3.

SMART MOBILITY

Los Angeles, città aperta. GLORIA SMITH

■ LOS ANGELES – Innovazione e inclusione: è così che la città di Los Angeles vuole vincere la sfida della mobilità sostenibile. La giunta del sindaco Eric Garcetti ha obiettivi ambiziosi per invertire la rotta sulla qualità dell'aria (Los Angeles è una delle città più inquinate degli Stati Uniti): solo autobus elettrici entro il 2030, 10.000 nuove colonnine per la ricarica dei veicoli a batteria entro il 2022, 120 miliardi di dollari per 38 maxi progetti infrastrutturali che potenzieranno nei prossimi decenni i trasporti pubblici e le piste ciclabili. Le cattive abitudini Gli “angelenos” – come la maggior parte degli americani – sono abituati a prendere la macchina per andare ovunque: l'automobile è un simbolo di indipendenza e di status sociale e la benzina costa poco. Tutto questo però ha un prezzo che si chiama smog. “I veicoli sono tra i principali responsabili della cattiva qualità dell'aria”, ci dice Lauren Faber O'Connor, la Chief Sustainability Officer della City 6 Luglio 2018 ·

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of Los Angeles, “ridurre lo smog è un obiettivo su cui siamo molto determinati e l'elettrificazione dei trasporti è un elemento chiave per centrarlo”. Insieme a nuove abitudini: “Stiamo cercando di cambiare la mentalità, vogliamo dimostrare ai residenti che ci si può spostare in modo efficiente anche senza prendere la macchina”. Ecco dunque il maxi piano sulla sostenibilità dei trasporti (Los Angeles County Traffic Improvement Plan) nel quale Garcetti ha coinvolto altre 88 città della contea di Los Angeles e ottenuto l'approvazione di un aumento dell'iva di mezzo centesimo (Measure M) per finanziare 38 grandi interventi infrastrutturali nei prossimi 40 anni. Ci saranno, tra l'altro, il completamento della linea Purple della metropolitana verso Westwood e della linea Crenshaw in direzione aeroporto internazionale, la costruzione di una metroplitana leggera da Artesia a Union Station, nuove piste ciclabili e l'ampliamento delle zone pedonali. Con questo piano il tempo passato dai residenti della contea in coda in auto si ridurrà del 15%: nella sola Los Angeles nel 2016 gli automobilisti hanno trascorso 104 ore a testa in fila nel traffico. E forse gli stessi “angelenos” cominciano a non poterne più: il programma di bike sharing, che conta in città 65 stazioni e 1.090 biciclette, ha totalizzato 113.000 viaggi nel 2016 e oltre 100.000 chili di anidride carbonica risparmiata. Un passo avanti verso il target di Garcetti per il miglioramento della qualità dell'aria: al suo insediamento, nel 2013, la città di Los Angeles aveva già ridotto le emissioni di gas serra del 20% rispetto ai livelli del 1990, ma l'attuale sindaco vuole arrivare a un abbattimento del 45% entro il 2025. Per questo l'Amministrazione preme anche sull'elettrificazione dei veicoli, sia pubblici che privati: entro il 2030 la City of LA vuole usare solo flotte municipali a emissioni zero. L'ufficio di Garcetti ha mandato ai costruttori d'auto di tutto il mondo una richiesta di informazioni sulla loro offerta di veicoli elettrici per individuare quelli che possono soddisfare la domanda di una flotta cento per cento a zero emissioni. “Non diciamo ai costruttori che macchine devono fare, ma a noi servono automobili e autobus a batteria”, chiarisce la Faber O'Connor. Il messaggio è chiaro: “Se voi li costruite, noi li compriamo”. Colonnine ovunque Quanto alle auto elettriche per i privati, l'Amministrazione pubblica interviene con l'incentivo numero uno: la creazione di colonnine per la ricarica. “Fanno la differenza quando si tratta di dare agli automobilisti la sicurezza che la loro auto sia affidabile”, continua la Faber O'Connor. A Los Angeles l'infrastruttura elettrica è di proprietà pubblica (Department of Water and Power) con quasi 1.500 punti di ricarica – più che in ogni altra città americana; nei prossimi cinque anni, la stessa azienda municipale si è impegnata a installare altri 10.000 stazioni, ci dice la funzionaria, mentre il City Bureau of Street Lighting (l'agenzia che si occupa dell'illuminazione pubblica) ha avviato l'installazione di punti di ricarica per auto a batteria sullo stesso sito dei lampioni stradali, sfruttando la presenza dell'elettricità per un duplice scopo.E chi non può permettersi di comprare un'auto elettrica? “Noi vogliamo che il passaggio alla mobilità sostenibile sia accessibile a tutti”, risponde la Faber O'Connor. Per questo ci sono progetti “inclusivi” e “communitydriven”, sottolinea, ovvero decisi in base alle necessità reali delle persone con le associazioni di quartiere. È il caso del 6

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car sharing elettrico Blue LA per le zone svantaggiate, finanziato da fondi dell'ente statale California Air Resources Board, che si occupa di difesa del clima e operato dalla società Blue LA Carsharing (parte del gruppo Bolloré, che negli Usa ha già lanciato il car sharing elettrico BlueIndy) in collaborazione con il Dipartimento dei Trasporti di Los Angeles. Nel corso del 2018 saranno messi a disposizione 100 veicoli elettrici e 200 punti di ricarica pubblici in aree dove risiedono famiglie con reddito più basso, tra cui Westlake, Koreatown, Boyle Heights, Chinatown. “Non vogliamo che le nuove tecnologie e le nuove opzioni di mobilità siano un lusso per pochi”, ci spiega la Faber O'Connor: “L'obiettivo emissioni zero deve essere raggiunto subito e con il contributo di ogni cittadino”. Olimpiadi all'orizzonte Certo, le strategie pro-clima di Los Angeles e della California non possono prescindere dal supporto di Washington: standard più blandi a livello federale sulle emissioni inquinanti dei veicoli, per esempio, potrebbero ridurre l'efficacia delle strategie locali per la mobilità a zero emissioni, ammette la nostra interlocutrice. Ma la giunta di Garcetti non è pessimista: in vista ci sono le Olimpiadi 2028, ritenute una grande occasione per accelerare sulle strategie per la sostenibilità, “facendo leva sull'entusiasmo e l'emozione che un evento internazionale di questa portata suscita”. Garcetti si è già incontrato con Anne Hidalgo, sindaco di Parigi (che ospita le Olimpiadi 2024) per mettere insieme idee e condividere strategie. La Faber O'Connor non ha dubbi: “Le Olimpiadi aiuteranno a rafforzare il nostro impegno e a spingere le nostre ambizioni ancora più in alto”. Nel frattempo Los Angeles, a differenza di altre metropoli degli Stati Uniti, si è già predisposta per la mobilità interconnessa e driverless: nel 2016 il Dipartimento dei Trasporti ha redatto un suo primo piano strategico chiamato “Mobilità urbana nell'era digitale”. In città sono stati installati 30.000 sensori, 4.500 semafori intelligenti e 500 telecamere che scambiano dati sul traffico e proiettano Los Angeles in un vicino futuro fatto di auto autonome e servizi on-demand. (Questo articolo è stato pubblicato sul numero 15 de l'Automobile - Febbraio 2018)

AUTO E MOTO

Il pick up dello zio Sam. SAMUELE MARIA TREMIGLIOZZI ■ Negli ultimi anni il concetto di auto pratica, versatile e spaziosa è cambiato notevolmente, complice anche l'ingresso nel mercato europeo di suv e crossover. L'omologazione dei gusti europei a quelli americani frutta molto ai costruttori, che recentemente hanno scommesso sui pick


non personale. In parole povere significa che le persone possono viaggiare, anche come passeggeri, ma solo ed esclusivamente nel caso in cui siano addette all'uso o alla movimentazione delle cose trasportate nel cassone. Problema che non esiste invece nel resto d'Europa.

AUTO E MOTO

up, così diffusi negli Stati Uniti, così di nicchia in Europa e in Italia. La formula dell'auto con il cassone non ha mai entusiasmato i consumatori del vecchio Continente, mentre domina da più di 40 anni il mercato a stelle e strisce: Ford F-Series, Chevrolet Silverado e Dodge Ram, queste le prime tre scelte degli americani per un totale di 1.9 milioni di esemplari venduti nel 2017, l'11,5% del mercato nazionale.

Tesla, mission possible. SERGIO BENVENUTI

Versione europea Nonostante l'offerta di auto cassonate dei costruttori statunitensi sia la più completa al mondo, gli europei sfidano l'egemonia americana: Volkswagen Amarok, MercedesBenz Classe X, le offerte del vecchio Continente. L'Amarok dal 2010 si va ad aggiungere a veicoli da lavoro di successo come il T5, il Caddy. La produzione avviene nel sito Pacheco, a pochi passi da Buenos Aires. Il progetto costò a Volkswagen 1700 milioni di pesos, circa 53 milioni di euro. il pick up tedesco è particolarmente curato nella meccanica e nello stile, da far invidia a vetture di alta gamma, specialmente per confort e tecnologia a bordo. Con la sua seconda generazione la proposta Volkswagen si aggiudica l'International Pick-up Award 2018, unico veicolo della sua categoria a conquistare il premio per la seconda volta (la prima nel 2010, anno del debutto). I connazionali di Stoccarda non stanno di certo a gudare: la Mercedes Classe X è il primo pick up del prestigioso marchio di Stoccarda. La stella a tre punta reinventa il genere e offre una soluzione a metà tra un veicolo commerciale e un suv di lusso. Interni curati in ogni minimo dettaglio, tecnologia da ammiraglia e capacità fuoristradistiche ereditate dalla sorella Classe G. La vettura è rivolta prevalentemente al mercato americano, ma strizza l'occhio a chi vuole un perfetto connubio tra eleganza tedesca e stile yankee. La nuova proposta di Daimler è figlia dall'ottima posizione competitiva del marchio Mercedes-Benz negli Usa rispetto ai competitor connazionali: 420mila esemplari venduti nel 2017, contro i 340mila di Bmw e i 260mila di Audi.

■ “Ce l'abbiamo fatta”. Elon Musk ha comunicato ai dipendenti e a tutti i suoi follower sui social che a fine giugno finalmente la Model 3 – l'auto che dovrebbe aprire il mercato delle elettriche al grande pubblico – ha toccato la quota di 5mila esemplari prodotti in una settimana. Un obiettivo originariamente fissato per dicembre dello scorso anno ma che, per vari motivi, era sembrato quasi irraggiungibile fino a poche settimana fa. Erano mesi che praticamente ogni giorno si inseguivano notizie su ritardi, difficoltà, mancanza di materie prime. Lo stesso Musk – che aveva anche parlato di “inferno produttivo” da attraversare per Tesla – a un certo punto ha deciso di trasferirsi presso gli stabilimenti di Fremont, in California per essere più vicino alla linea produttiva. Che è stata ampliata anche con l'uso di un tendone e che ha richiesto anche l'impiego di un numero sempre crescente di addetti.

Il caso Italia Le ragioni dello scarso successo dei pick up in Italia sono diverse. Sicuramente le dimensioni notevoli della carrozzeria scoraggiano i consumatori all'acquisto di un veicolo cassonetto. A questo si aggiungono anche gli elevati costi di gestione legati alle motorizzazioni mediamente più grandi e dispendiose e rispetto a quelle montate su altri segmenti. A complicare la vita dei pick up in Italia ci pensa, però, anche il Codice della strada: l'omologazione da commerciale N1 ne consente esclusivamente un uso accessorio e

Quota totale a 7 mila La soddisfazione di Musk è stata accresciuta anche dal fatto che, mentre si confezionava la Model 3 numero 5mila della settimana, sempre a Fremont sono state prodotte anche altre 2mila vetture, Model S e Model X, portando la quota totale a 7mila. “Siamo diventati una vera Casa costruttrice”, ha scritto il ceo nella sua lettera ai dipendenti. La notizia era molto attesa anche dagli investitori: secondo gli analisti di Moody's, Tesla avrebbe bruciato un miliardo di dollari nel primo trimestre 2018 rischiando di 6 Luglio 2018 ·

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non avere abbastanza denaro in cassa per fare fronte alle spese previste a inizio 2019 (circa 3,7 miliardi di dollari). Ma la Casa californiana ha sempre risposto che una volta raggiunta quota 5mila unità a settimana, gli incassi delle Model 3 avrebbero coperto le spese. Vedremo.

prezzo è di 4.676 dollari per un listino di 22.804 dollari contro quello iniziale di 27.480 dollari. Scegliendo invece il Ford F-150 XLT 4WD SuperCab, in assoluto il pick up più venduto negli States prodotto in Georgia, lo sconto è di 5.775 dollari (da 41.030 a 35.255 dollari). Mentre optando per una Toyota Avalon Limited, costruita nel Kentucky, la riduzione è di 8.129 dollari da 42.195 a 34.066 dollari).

BUSINESS

Independence Il declino Day, sconti della mitica per le auto made in Usa. Route 66. LIFESTYLE

PAOLO ODINZOV

ELISA MALOMO

■ Non solo computer, telefonini e hot dogs, per festeggiare al meglio negli Stati Uniti il giorno dell'indipendenza (l'Independence Day, il 4 luglio) diverse vetture popolari tra il pubblico statunitense hanno subito un ribasso temporaneo nel listino. Come specificato dalla rivista on line Consumer Reports, che ha raccolto le migliori offerte a riguardo, non si tratta nello specifico di automobili prodotte da soli costruttori locali. Ma di modelli, in particolare suv, berline e pick up, assemblati negli Usa.

■ Simbolo della cultura di massa americana, la Route 66 è stata recentemente annoverata, nel rapporto della National Trust for Historic Preservation, tra gli 11 siti Usa a rischio scomparsa. Nata nel 1926, la leggendaria strada americana è stata fra le prime highway federali negli Usa. Come una cerniera taglia in diagonale il territorio americano e per 400 chilometri si snoda fra Chicago e Santa Monica attraversando otto stati (Illinois, Missouri, Kansas, Oklahoma, Texas, Nuovo Messico, Arizona, California).

Un risparmio dal 9 al 22 per cento Gli acquirenti dei vari modelli che beneficiano dello sconto, sommando quello applicato dalle concessionarie agli incentivi nazionali, possono risparmiare dal 9 al 22 per cento sul prezzo di partenza, ridotto anche in proporzione al pedigree dell'auto. Ovvero in rapporto alla percentuale di componenti prodotte in Usa presenti a bordo. Tra le scontate il pick up Ford F150 Per fare qualche esempio acquistando una Hyundai Santa Fe Sport, prodotta in Alabama, il risparmio sul 8

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Il buio In realtà il declino della Mother of Roads ha origine nel 1985 quando viene declassata e il traffico che la attraversa si sposta sulla più moderna e veloce Interstate Highway System. Una scelta economica che la relega al ruolo di immagine da cartolina, la Historic Route 66. I segni dell'incuria, del degrado e della fatiscenza, non riescono però ad eclissare quello che rimane un tesoro inestimabile per la cultura americana. La vecchia strada resta nell'immaginario collettivo e, anche se nel tempo si adatta


alle nuove necessità economico-culturali del territorio, finisce per invecchiare come il mito che rappresenta. Quello che tutti riconoscono nella tradizione letteraria, cinematografica e musicale. Da Kerouac a Bruce Springsteen. La luce Ad oggi l'unica soluzione che eviterebbe la definitiva uscita di scena della Route 66 è la classificazione – entro la fine dell'anno – come National Historical Trail. Questo permetterebbe alla storica strada federale di risorgere dalle proprie ceneri: magari partendo dalla riqualificazione delle città poste lungo il percorso, favorendo una nuova valorizzazione economica e culturale.

tore per la zona della Bay Area nel nord della California, ha iniziato con 7.000 unità tra Berkeley, Emeryville, Oakland e San Jose. Jump invece è stato lanciato a San Francisco lo scorso giugno. A differenza delle prime, le sue bici sono dotate di dispositivi autobloccanti e possono essere parcheggiate ovunque. Per non essere da meno Ford GoBike ha intrapreso la stessa via. Motivate gestisce anche i servizi di Citi Bike a New York, Divvy a Chicago, Capital Bikeshare a Washington, Biketown a Portland, CoGo a Columbus e Nice Ride a Minneapolis.

INNOVAZIONE

Lyft punta sulle bici.

Uber, da agosto tornano i test.

SERGIO BENVENUTI

REDAZIONE

■ Il gigante della guida autonoma Lyft ha annunciato di aver acquistato Motivate, la società di bike sharing che gestisce anche il servizio Citi Bike a New York e il programma Ford GoBike a San Francisco. Un ulteriore passo nel settore dei veicoli condivisi per l'azienda “coi baffi”: non importa si tratti di biciclette, auto o scooter. Come ha fatto il più grande rivale Uber che qualche mese fa ha annunciato di essere entrato nel mondo delle due ruote assicurandosi l'intera piattaforma elettrica di Jump Bikes.

■ Uber ci riprova. Dopo lo stop ai test su strada pubblica delle sue auto a guida autonoma – imposto successivamente all'incidente che lo scorso marzo a Tempe in Arizona ha causato la morte di una persona – la società californiana ha intenzione di riprendere l'attività di ricerca a partire dal prossimo agosto, sia nella città del sud che a Pittsburgh.

BUSINESS

Condivisione senza limiti Il co-fondatore e presidente di Lyft, John Zimmer punta a espandere l'azienda verso piattaforme che uniscono car sharing, biciclette, scooter, autobus, treni e traghetti – inclusi operatori pubblici e privati – per creare un'esperienza senza limiti per l'utente: “Vediamo ancora un vuoto da colmare per gli utenti nel mondo dei trasporti, una grande carenza di opzioni per chi viaggia”. Ford GoBike, oggi principale punto di riferimento nel set-

16 regole da seguire Uber sta comunque lavorando a stretto contatto con il National Transportation Safety Board, l'organismo investigativo federale che si occupa di fare luce sulle cause degli incidenti e ha anche assunto l'ex presidente della stessa agenzia, Christopher Hart, come proprio advisor in tema di sicurezza. L'azienda californiana ha poi comunicato ai suoi dipendenti che presto renderà nota una lista di 16 nuove regole che dovranno essere seguite durante i test con vetture driverless. Per esempio verrà di nuovo permessa la presenza 6 Luglio 2018 ·

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in auto nel corso delle prove di un secondo “pilota”, in grado di intervenire e prendere i comandi in caso di pericolo. Uber ha anche scelto di realizzare un secondo sistema di frenata automatica da affiancare a quello già operativo sulle sue auto. È stato proprio il National Transportation Safety Board a raccomandare che fosse preso questo provvedimento. Sicurezza in primo piano il sindaco di Pittsburgh – William Peduto – ha formulato a Uber una serie di richieste che dovranno essere soddisfatte prima che la municipalità conceda il permesso di rimettere le vetture senza conducente in strada. Il primo cittadino vuole un limite di velocità tassativo a 40 chilometri all'ora e l'obbligo – per la app sviluppata dalla società californiana – di avvertire i tecnici a bordo se l'auto dovesse andare più veloce del preventivato.

LIFESTYLE

LeBron James, l'automobile va a canestro. PAOLO BORGOGNONE

Un garage da sogno Basta fare un giro su YouTube per trovare decine di filmati dedicati a LeBron James e alla sua quasi ineguagliabile collezione di vetture di ogni genere. Che per i prossimi quattro anni almeno faranno bella mostra di sé sulle strade della California. Vediamone alcune. Quello che molti considerano il pezzo forte della collezione è una Lamborghini Aventador Roadster. Già di suo una supercar che però in questo caso è davvero super. A realizzarla, infatti, sono stati alcuni affermati designer della Florida, Lou La Vie, Rich B. Caliente and Toys for Boys Miami. La fuoriserie è vestita di una livrea speciale creata per celebrare l'uscita nei negozi di tutto il mondo delle “LeBron 11”, una delle tante offerte di scarpe sportive griffate col nome del campione nativo di Akron. La “car collection” del giocatore – che vestirà il gialloviola di Los Angeles a partire da quest'anno, comprende anche – fra le altre – due Porsche 911 Turbo S (una bianca e una nera), un Hummer H2, una Mercedes S63 Amg, due spider Ferrari – 430 e 458 – una Dodge Challenger Srt, due Maybach – 57S e s600 – una Jeep Wrangler, una Chevrolet Camaro SS e, dulcis in fundo, una spettacolare Chevrolet Impala Convertible. Un uomo, un'azienda LeBron James non è solo un giocatore di basket. È un'azienda. Tra i soldi guadagnati giocando – e vincendo – sui parquet della Nba (l'elenco dei suoi record è più lungo perfino di quello delle fuoriserie che ha acquistato) e quelli per le sponsorizzazioni si stima che conti su un patrimonio di ben oltre i 300 milioni di dollari. Stiamo parlando del terzo sportivo più pagato al mondo nel 2016 (dopo Cristiano Ronaldo e Leo Messi). Il prescelto E pensare che, come spesso succede negli Usa, gli inizi sono stati davvero duri. James – soprannominato “The Chosen One”, il prescelto – è nato il 30 dicembre del 1984, quando sua madre Gloria aveva soltanto 16 anni. Del padre si sa poco, se non che aveva una fedina penale piuttosto lunga. Grazie alla sua incredibile presenza fisica – 2 metri e 03 di altezza, 115 chilogrammi – era già una promessa del football. LeBron giocava wide receiver per la St Vincent & St Mary School – fino a che, al secondo anno di liceo, la frattura di una mano non lo costrinse a cambiare sport.

■ Firmare un accordo da 153,3 milioni di dollari (circa 130 milioni di euro) non è un cosa da tutti i giorni. Come non lo è trasferirsi armi e bagagli (e auto al seguito, nel suo garage come vedremo ce ne sono a dozzine) dalla piovosa Cleveland, Ohio, all'assolatissima Los Angeles. È quello che sta succedendo a Lebron Raymond James Sr, 34enne giocatore di basket Usa che ha scelto – dopo aver lasciato cadere l'opzione di firmare un prolungamento del suo contratto coi Cavaliers di Cleveland – di giocare dalla prossima stagione con i leggendari Los Angeles Lakers, di proprietà dell'ex campione Magic Johnson. 10

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Tutti i record LeBron ha vinto quattro volte la classifica di giocatore dell'anno nel basket professionistico. Meglio di lui solo Kareem Abdul Jabbar (sei titoli), Bill Russell e Michael Jordan (5 vittorie). Al collo ha anche due ori olimpici, Pechino 2008 e Londra 2012 ed è stato il secondo di sempre – dopo Michael “Air” Jordan – a vincere nello stesso anno il titolo Nba, il premio come miglior giocatore del campionato e le Olimpiadi. James è anche il co-fondatore di una casa di produzione cinematografica, la SpringHill Entertainment e di una specializzata nella realizzazione di video digitali, la Uninterrupted. Fra i suoi interessi anche il calcio: LeBron è socio di minoranza nella proprietà americana della squadra di calcio inglese del Liverpool.


AUTO E MOTO

AUTO E MOTO

Opel, suv Mini per la vittoria. Countryman, alla ricarica. ALESSANDRO MARCHETTI TRICAMO

GIANLUCA PEZZI

■ FRANCOFORTE – Il marchio Opel è da tempo alla ricerca della strada che porta al futuro. Prima la rincorsa – sempre fallita – alla parte nera dei bilanci nella proprietà di General Motors, ora il ritagliarsi spazio e identità all'interno del gruppo Psa. Il punto di partenza però sembra ben definito: i suv. Primato tra i modelli compatti In Europa Opel ha la leadership dei suv compatti con Mokka X e Crossland X. Una buona base soprattutto pensando allo scenario disegnato dagli analisti: nel 2020 i cosiddetti B-suv arriveranno a valere il 14% del mercato europeo, oltre 2 milioni di unità l'anno. Un primato anche locale: in Germania nei primi 5 mesi del 2018 Opel è il marchio che ha venduto più suv. Una market share sbilanciata verso il segmento più trendy che porterà alla cassa di Tavares, numero uno di Psa, i profitti che tanto aspettava Gm, visto che in media nel 60% dei casi i suv tedeschi sono venduti in allestimento top di gamma (per la più grande Grandland X la percentuale arriva a 70). Tendenza positiva anche in Italia con una crescita dei tre modelli X – sempre nei 5 mesi iniziali del 2018 – pari al 34%. Protagonista in particolare la Mokka X pronta a superare in questo 2018 il record di vendite stabilito proprio lo scorso anno. Benzina, affare di Opel Suv ma non solo. Se i motori diesel arriveranno direttamente da Parigi, ai tedeschi toccherà lo sviluppo del 1.6 a benzina quattro cilindri per tutto il gruppo che sarà già predisposto per l'ibridizzazione. Arriverà nel 2022 e si affiancherà al 1.2 PureTech turbo tre cilindri in listino oggi. Anche se l'elettrificazione partirà comunque prima: entro il 2020 saranno quattro i modelli a batteria di Opel mentre dal 2024 lo sarà tutta la gamma. La prima elettrificata ad arrivare sul mercato sarà la Grandland X ibrida plug-in. Un suv. Neppure a dirlo.

■ MILANO – Il futuro sarà elettrico. Il mondo Mini lo abbraccerà nel 2019, quando verrà lanciata la prima Mini 100% a batteria. L'oggi invece è dominato dall'ibrido, che abbiamo provato nella versione ricaricabile plug-in della Countryman Cooper S E ALL4. Una spina in più Una Countryman la cui vera differenza estetica rispetto alle motorizzazioni tradizionali è nella presa elettrica sopra al parafango sul lato del guidatore. Scopriamo invece che sotto al cofano c'è un tre cilindri 1,5 litri TwinPower Turbo benzina da 136 cavalli mentre il motore elettrico da 88 cavalli è montato posteriormente, togliendo qualche litro alla capacità del bagagliaio. Sotto al divanetto posteriore trovano posto le batterie agli ioni di litio composte da cinque moduli di 16 cellule. La ricarica completa si effettua in poco più di tre ore con una presa tradizionale, oppure in due ore e mezza grazie al wallbox da 3,6 kilowatt. Per quanto riguarda l'autonomia massima (ma attenzione abbiamo sempre il serbatoio di benzina a disposizione), Mini dichiara 42 chilometri. Tre in una Ad una prima occhiata non si avvertono particolari cambiamenti a bordo: classica seduta Mini, con il piccolo quadro strumenti al quale si affianca sulla destra il pannello circolare. Osservando meglio si nota la leva start/stop gialla al centro del listello dei “toggle”, ed alla sua sinistra il comando eDrive. È proprio questo il “cuore” del sistema, perché è in grado di modificare la guida secondo tre modalità. Vediamole insieme. La modalità Auto eDrive è quella utilizzata maggiormente. La guida in elettrico è limitata alla velocità di 80 chilometri 6 Luglio 2018 ·

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orari, superata questa soglia la Mini utilizza il motore termico. Il 1,5 benzina interviene anche nelle accelerazioni importanti o quando la batteria scende sotto al 7%. Con la modalità Max eDrive, si ha un utilizzo prettamente elettrico. 125 chilometri all'ora è la velocità superata la quale viene azionato il motore a benzina, che si occupa anche delle accelerazioni a tavoletta. Save Battery è la modalità che inizialmente lascia un po' titubanti, ma che ha invece una interessante utilità. Serve a mantenere lo stato di carica superiore al 90%, tramite il generatore del motorino di avviamento, e la guida con il motore termico. Può essere utilizzata se si sa in anticipo di dover entrare in una zona ed esclusivo uso elettrico, come in un centro storico o ZTL. Guida programmata Anziché “sprecare” la batteria su una strada extraurbana, possiamo programmare la nostra guida in elettrico per un secondo tempo. Da questo punto di vista ci si può far aiutare dal sistema di navigazione: se è attiva la guida a destinazione, il sistema di gestione dell'energia provvede alla guida esclusivamente elettrica nei tratti richiesti. Considerando il percorso, viene impostata la strategia più opportuna in modo di utilizzare al massimo la capacità e l'autonomia della batteria. Decidiamo di partire in elettrico, con i primi metri di guida in elettrico piuttosto semplici, grazie anche al cambio automatico Steptronic a sei rapporti. C'è sempre da abituarsi al silenzio del motore elettrico, per quell'effetto di movimento senza rumore che lascia sempre un pizzico di meraviglia. L'accelerazione non è violenta come in altre vetture a batteria, che in questo caso è un bene. Anzi, la progressività con la quale viene gestita l'accelerazione è piacevole nel traffico urbano, dove non è necessario trovare il feeling con l'automobile. Per intenderci la ripresa c'è, ma non tale da generare un effetto tram o filobus, con i passeggeri sballottati in accelerazione o frenata. Si sente invece la fase di recupero energia, con la vettura che rallenta in maniera decisa, senza per altro essere fastidiosa. Sensazione verificata dallo strumento sulla plancia, che ha sostituito il contagiri e che misura l'energia erogata e quella recuperata in frenata. Cavalli a sufficienza Sulle strade extraurbane i due motori offrono una potenza combinata di 224 cavalli, più che sufficienti per potersi divertire e per assaporare il piacere di guida tipico delle Mini. Sicuramente il 1,5 benzina trova beneficio dall'aiuto fornito dal boost del motore elettrico, in grado di dargli quel tocco in più che serviva. Per contro, c'è da considerare che i 224 cavalli dei due motori non corrispondono alle sensazioni che può fornire un unico motore termico, se non altro per il peso aggiuntivo dell'elettrico delle batterie e dei vari sistemi tecnologici o, se viceversa preferite l'elettrico, dal peso del motore termico. Anche 4x4 Sempre interessante la possibilità di utilizzare i due motori per avere una trazione integrale quando necessario. Quando per la guida viene utilizzato solo il motore a benzina o solo quello elettrico, l'altro può essere utilizzato per ottimizzare la trazione, la stabilità di guida e l'agilità. Il Dynamic Stability Control (DSC) analizza costantemente sia la situazione di guida sia la richiesta del conducente, controllando l'intera12

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zione delle ruote anteriori attraverso il benzina e delle ruote posteriori attraverso il motore elettrico. Buono il comfort nel viaggio autostradale, senza particolari rumori o fruscii aerodinamici. Un plauso per l'impianto audio Harman Kardon, in grado di fornire un suono pieno e mai in crisi di fronte a bassi profondi ed alti cristallini. Per i più esigenti è sicuramente apprezzabile la presenza della radio DAB. La Mini Countryman Cooper S E ALL4 è disponibile nei concessionari ad un prezzo di listino che parte da 39.100 euro e 42.700 euro per la versione Hype.

PAESE

Friuli, più rigore sull'uso del cellulare. MARINA FANARA

■ Giro di vite contro il cellulare alla guida, per ora limitato al Friuli Venezia Giulia. A imporre la “stretta” è una direttiva (n. 4414 del 26 giugno scorso) emanata dalla Procura di Pordenone, su input della procura di Trieste: in caso di gravi incidenti, recita il provvedimento, le forze dell'ordine avranno la facoltà di ispezionare tablet, pc e smartphone del conducente, per verificare se il sinistro è riconducibile all'uso fuori norma di tali dispositivi durante la guida. Controlli immediati Qui il contenuto della direttiva pubblicato dal quotidiano giuridico dirittoegiustizia.it: “L'autista coinvolto in un grave incidente stradale dovrà prontamente collaborare con gli organi di Polizia esibendo cellulari, tablet e ogni altro dispositivo reperibile nell'abitacolo per consentire, nell'immediatezza, di verificare eventuali interferenze con la condotta di guida”, ovvero, se stava parlando al telefono senza vivavoce o auricolari o, peggio, se era impegnato a chattare, consultare internet, leggere o inviare mail o sms. Secondo quanto


stabilito dai magistrati, chi rifiuterà il controllo rischia il sequestro degli apparecchi. Durante il controllo, l'interessato potrà farsi assistere da un legale. Ovviamente, se dalle verifiche degli agenti non risulterà nessuna anomalia, i dispositivi verranno riconsegnati al legittimo proprietario. ACI: accertare le responsabilità Secondo i procuratori friulani, il provvedimento, che potrebbe risultare impopolare, è un ulteriore strumento per cercare di contrastare quella che è ormai diventata una piaga per la sicurezza stradale: stando ai dati ACI, la distrazione riconducibile per lo più all'uso imprudente del cellulare alla guida è causa o concausa in 3 incidenti su 4. “Un problema di enorme portata”, dice Angelo Sticchi Damiani, presidente dell'Automobile Clud d'Italia, “contro il quale l'ACI è in prima linea da tempo e, quindi, ben venga tutto quello che può scoraggiare o essere un deterrente per ridurre il fenomeno”. Nel caso della direttiva emanata in Friuli Venezia Giulia, Sticchi Damiani ha sottolineato: “È un provvedimento molto utile, anche se, ovviamente, serviranno ulteriori verifiche per attestare, con precisione, eventuali responsabilità riconducibili al conducente: per esempio, se a usare il cellulare al momento dello scontro fosse stato effettivamente l'autista o un'altra persona presente a bordo, come la moglie o un collega”.

AUTO E MOTO

L'innovazione elettrica di Jaguar. FRANCESCO PATERNÒ

■ La Jaguar I-Pace è la prima auto elettrica del marchio britannico. Il quale non poteva non farla a sua somiglianza: linea sportiva sotto le vesti di un crossover, due motori elettrici e una potenza equivalente di 400 cavalli, 480 chilometri dichiarati di autonomia con una sola carica, trazione

integrale, interni di alto livello per cura e spazio, tecnologia avanzata per la sicurezza e nella connettività. Ce ne è anche per gli occhi, grazie al doppio schermo touch sulla plancia oltre a un più piccolo display nel cruscotto. Prezzi e concorrenza La Jaguar I-Pace è ora alla prova del mercato, con prezzi che in Italia partono da quasi 80.000 euro nella versione S, per salire agli 87.900 per la SE fin su ai 94.000 della HSE. Prezzi elevati per un prodotto premium, ma che sfidano in modo forte l'unica concorrente in giro, la Tesla Model X, il cui listino parte da 94.480 euro per la versione da 525 cavalli. “Esserci ed esserci tra i primi” Come si riesce a bilanciare innovazione e conti in ordine con l'auto elettrica, nel momento in cui andare a batteria è ancora un mercato di nicchia? “È importante esserci ed esserci tra i primi – ci dice Daniele Maver, presidente di Jaguar Land Rover nel nostro Paese – certo, l'Italia è indietro nelle infrastrutture necessarie alla ricarica ma sono fiducioso che il settore crescerà. Sono cambiate le necessità: fino a ieri bastava investire su belle macchine, oggi non è più così. E si aprono scenari inediti per la rete di vendita, anche se nella strategia dell'elettrificazione il concessionario manterrà il suo ruolo centrale”. La figura dell'E-Angel Per il processo di vendita di I-Pace, la Jaguar introduce una nuova figura, chiamata E-Angel, una persona che aiuterà il cliente nelle pratiche tecnico-amministrative anche per l'installazione a casa di una Wallbox gratuita. Il cliente avrà naturalmente un'app dedicata per ricaricare la batteria sia presso i punti pubblici in Italia e in Europa di diversi operatori che presso le strutture Jaguar e quelli in partnership con il costruttore. Il quarto mercato di Jaguar Land Rover L'Italia è oggi il quarto mercato mondiale per il gruppo Jaguar Land Rover, dopo Cina, Stati Uniti e Regno Unito. Una posizione notevole che per ora non sarà possibile eguagliare negli obiettivi dei nuovi prodotti elettrificati come la Jaguar I-Pace o la Range Rover Sport ibrida plug-in, i primi di un nuovo corso tutto da seguire a fianco dell'impegno Jaguar in Formula E. Per l'auto a batteria, purtroppo l'Italia non dispone ancora di una rete di ricarica diffusa, né il sistema Paese ha messo sul piatto risorse specifiche per sostenere le vendite, come invece accade in Norvegia, in Olanda, in Germania o in Francia, per citare le punte più avanzate. Investire sul futuro Ma se è più facile per il cliente-tipo di Range Rover spendere 10.000 euro in più per avere una ibrida plug-in più efficiente e più politicamente corretta rispetto a una equivalente diesel V6 (coincidenza vuole che la versione sia nata in occasione del 70esimo anniversario del marchio Land Rover), più lenta appare la conversione verso l'auto a batteria di una clientela affluente e pure attenta all'innovazione. Ma è solo questione di tempo, di cose che cambiano. Perché, bilanciando i conti, oggi esserci tra i primi come dice Maver ha un valore di investimento sul futuro prossimo. Dentro il quale non esserci potrebbe avere un prezzo ancora più elevato da pagare domani. 6 Luglio 2018 ·

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LIFESTYLE

Tyson, pugni e supercar. PAOLO BORGOGNONE

■ Questa è la storia di un bambino schivo e delicato, di uno sfortunato piccione, di tantissimi cazzotti, di fuoriserie da sogno, morsi e tatuaggi. Soprattutto, è una storia di mille cadute e di una rinascita. E di uno che ogni volta che vince sul ring va da un concessionario di Manhattan e compra una supercar. Tutto comincia il 30 giugno del 1966 quando a Brownsville – una zona di Brooklyn che ci vuole coraggio a non chiamare ghetto – nasce un ragazzino che diventerà famoso: si chiama Michael Gerard Tyson e da grande farà il pugile professionista. Sua mamma si chiama Lorna, viene lasciata dal padre del ragazzo e da allora avrà come compagno soprattutto una bottiglia. Mike è un tipo introverso che parla poco anche perché ha un piccolo difetto di pronuncia sulle sibilanti e lo prendono in giro. Storia di un piccione Quando gli scherzi degli altri ragazzini di Brownsville diventano troppo pesanti si ritira nel suo nascondiglio. Il tetto del palazzo al 178 di Amboy Street dove vive. Qui alleva piccioni. “La gente li odia – dirà molti anni dopo parlando dei suoi amici pennuti – ma sono creature gentili e non fanno male a nessuno”. Siccome però certi fantasmi ti seguono sempre, un giorno su quello stesso tetto arriva una banda di teppistelli che hanno preso di mira Mike. Lo chiamano con nomi poco carini e uno – il più grande che ha 15 anni mentre Tyson solo 11 – acchiappa un piccione e gli tira il collo. Per far capire chi comanda. Gli altri ridono ma smettono subito. Mike il taciturno si arrabbia e comincia a menare cazzotti al bullo. Tanti 14

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cazzotti. Stende il più grande e glielo devono togliere da sotto. Nessuno disturberà mai più i piccioni al 178 di Amboy Street. Mike, però, si ritrova al riformatorio. E farà avanti e indietro con quel posto poco piacevole 38 volte entro i 13 anni d'età. Incontri fortunati Il riformatorio e la successiva scuola “per bambini complicati” non sono un granché ma qui avvengono due incontri che cambieranno la storia del ragazzo di Brownsville. E non solo. Il primo è con una leggenda. Cassius Clay, anzi Mohammad Alì come ha scelto di chiamarsi quando diventa musulmano. Lui è lì perché vuole spiegare ai ragazzini che un'altra strada c'è, che se si crede si può battere anche il ghetto e uscirne. Mike ne è – ovviamente – folgorato. Il secondo incontro è con un signore a metà strada tra una guardia carceraria e un insegnante. Si chiama Bobby Stewart, da giovane faceva e pure bene il boxeur, e quando Mike gli dice “I want to be a fighter”, voglio combattere, decide di aiutarlo. Gli insegna qualcosa della boxe ma, in cambio, Mike deve imparare a leggere e impegnarsi negli studi. Un accordo proficuo. Non appena Tyson viene rilasciato, Bobby lo affida a un allenatore vero, Costantine “Cus” D'Amato, uno che ha cresciuto dei campioni del mondo. Floyd Patterson primo fra tutti. 77 Secondi Mike Tyson cresce. Non tanto in altezza – rimarrà con i suoi 178 centimetri uno dei pesi massimi più basi di sempre come Rocky Marciano – ma soprattutto in potenza. E ha fame di


vittorie. La carriera da dilettante è fulminante come i suoi pugni. Il primo combattimento dura 8 secondi, anche se una sconfitta con tale Henry Tillman gli impedì di far parte della squadra olimpica di Los Angeles 1984. Poco male. Tyson diventa professionista e combatte la prima volta il 6 marzo del 1985 all'Empire State Plaza Convention Center di Albany, NY. Il suo rivale, fa sorridere, si chiama di cognome Mercedes. È un bravo pugile di Portorico ma Michael lo stende in 77 secondi esatti. Quella è la prima di 27 vittoria consecutive che lo portano alla sfida per il titolo mondiale. Una vittoria, una fuoriserie Il 22 novembre del 1986 – nel giorno in cui l'America ricorda l'omicidio del presidente John Fitzgerald Kennedy, ucciso a Dallas nel 1963 – a Las Vegas Mike Tyson affronta e demolisce in poco più di un round Trevor Berbick, quello che aveva battuto e fatto ritirare per sempre Mohammed Alì. In questo modo Tyson diventa a 20 anni, 4 mesi e 22 giorni, il più giovane campione del mondo della categoria. Da lì in poi sono solo trionfi: riunifica tutte e tre le corone (oltre alla Wbc strappata a Berbick fa sua anche la Wba contro James Smith e la Ibf contro Tony Tucker) e manda al tappeto, tra gli altri, Larry Holmes, Tony Tubbs, e – in soli 91 secondi – Michael Spinks. Ogni volta che vince, come scrivevamo all'inizio, Mike va da un concessionario di Manhattan e compra una supercar. Inizia con le Cadillac. Prima una Eldorado e poi una Seville. Ma qui ha ancora solo 20 anni. Vorrebbe una Rolls Royce ma il suo manager gli dice: “Aspetta di averne compiuti 21, ragazzo”. Detto fatto. Il 30 giugno del 1987 si compra una Blue Rolls Royce Silver Spur e la paga – in contanti – 119.500 dollari. Quando batte Tucker si regala una Rolls Royce Corniche decappottabile. Quando nel 1988 cambia manager – e prende Don King, quello che ha inventato la boxe spettacolo con gli incontri di Mohammed Alì, come “Rumbe in the Jungle” contro Foreman e “Thrilla in Manila” contro Joe Frazier – questi gli porta una in dono Rolls Royce Stretch Limousine. Il 1989 è l'anno in cui Mike scopre le Mercedes (magari in onore del suo primo avversario). Quando stende il gigantesco inglese Frank Bruno – che intanto è il primo a metterlo al tappeto – si compra una SL 560. Il più bell'arresto di sempre La carriera di Tyson sembra inarrestabile. Batte ancora Bruno – e in quella occasione si “regala” la sua prima Ferrari, una F50 – e poi Tillman, Stewart e due volte Ruddock. In mezzo però una cocente sconfitta, la prima in 42 match: gliela infligge a Tokyo l'11 febbraio del 1990 James “Buster” Douglas che pure era dato per sfavorito dai bookmaker che pagavano una sua vittoria 42 a 1. Intanto Mike ne combina altre due delle sue. Intanto compra una Ferrari 456 GT Spyder, realizzata apposta per lui dalla Straman Company di Costa Mesa, California. Ufficialmente da Maranello di questa auto – versione decappottabile della 456 GT – ne è uscita solo una, costruita apposta per il sultano del Brunei. Poi un giorno Tyson prende una delle tante “rosse” che nel frattempo ha acquisitato e la schianta contro una vetrina di un negozio. La polizia interviene e lo porta dentro. “Quello rimane il mio arresto preferito”, dichiarerà alcuni anni dopo l'ex campione. La parabola discendente Tyson diventa personaggio globale e i guai continuano a perseguitarlo. La prima moglie gli chiede il divorzio, si fa parecchia galera per una bruttissima storia con una ex candidata a

Miss America, viene squalificato per alcuni anni e solo nella seconda metà degli anni '90 riesce a tornare sul ring. Dove lo aspetta però un altro scandalo. Il 28 giugno del 1997 incrocia i guantoni con uno tosto, Evander Holyfield. I due si sono incontrati l'anno prima e il pugile dell'Alabama ha vinto all'11esimo round. Nella rivincita Mike esagera. In una Mgm Arena di Las Vegas stracolma, durante il terzo round “Iron Mike” si presenta senza paradenti. Per ben due volte morde l'orecchio dell'avversario, la seconda volta staccandone un pezzo. Match finito, licenza ritirata e Tyson riceve una multa da tre milioni di dollari. È l'inizio della sua discesa, che sarà implacabile. Certo anche in quel periodo non si fa mancare nulla, come la catena d'oro da 80 carati comprata in un negozio di Las Vegas. In garage mette una Bentley Continental (una versione speciale della quale furono prodotti soltanto 73 esemplari dl modico prezzo di 500mila dollari) e poi una Lamborghini Diablo VT Roadster e una Jaguar XJ 220. Nel frattempo, lo dice lui stesso, spende 230.000 dollari in cellulari e compra una casa a Las Vegas che assomiglia a una reggia. Nel 2003 divorzia anche dalla seconda moglie e dichiara bancarotta, lamentando 23 milioni di dollari di debiti e accusando Don King di averlo, in pratica, fregato. Mike rinasce L'addio al pugilato è del 2005 a 39 anni. la vita sembra girargli le spalle quando viene accusato di uso di cocaina. Lui stesso lo ammette ma si sottopone a un durissimo programma riabilitativo che gli evita il carcere e gli permette di uscirne per sempre. Incontra la terza moglie, Lakiha Spicer e la sposa anche dopo l'immenso dolore della perdita di una delle figlie avute da un precedente legame. In questi anni Tyson è diventato testimonial per campagne rivolte ai bambini, è apparso in moltissimi programmi televisivi e anche al cinema, oltre a diversi cortometraggi. Si è anche raccontato in uno show teatrale, da cui Spike Lee ha tratto un bellissimo film, “Mike Tyson – Undisputed Truth”. Tanto per non smentirsi dal 2003 quello che era chiamato “L'uomo più cattivo del pianeta” sfoggia anche un Moko, un tatuaggio tribale maori sulla parte sinistra del viso a sottolineare la sua metà combattente. Su una cosa pare che Tyson abbia scelto di non esagerare più: le auto. Ora guida “solo” una Jaguar.

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INNOVAZIONE I MOTORI I LIFESTYLE

Anno 120°

Tin Lizzie, il futuro. MASSIMO TIBERI

Protagonista di grandi trasformazioni sul piano industriale e sociale, la Ford T del 1908 anticipa da Detroit la motorizzazione di massa.

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Costruita inizialmente seguendo i criteri tradizionali, la T sarà la prima auto ad utilizzare dal 1913 le catene di montaggio

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■ Nella vecchia Europa ci vorrà molto più tempo, ma negli Stati Uniti la motorizzazione di massa è già una realtà ai primi del Novecento. E la Ford T resta nella storia dell’auto come il modello più proiettato verso il futuro, protagonista di grandi trasformazioni sul piano industriale e sociale. Dal 1908 al 1927 la “Tin Lizzie”, la “Lisa di latta”, nomignolo popolare che le viene attribuito quasi ad identificarla come una di famiglia, sarà prodotta in oltre 15 milioni di unità, contribuendo in modo determinante in appena dician-

nove anni a moltiplicare da 200.000 a 20 milioni di vetture il parco circolante americano. Con caratteristiche che ne faranno anche una “world car”, diffusa a livello globale, Italia compresa, dove verrà assemblata a Trieste dal 1923. Costruita inizialmente seguendo i criteri tradizionali, la T sarà la prima auto, dal 1913, ad utilizzare per la grande serie le catene di montaggio, sistema ispirato ad Henry Ford dagli studi di Frederick Taylor, teorico della razionalizzazione industriale. Ma anche dalle esperienze della Old-


smobile con la Curved Dash del 1901, antesignana delle utilitarie, o della fabbrica di armi Colt, che eseguiva montaggi con parti intercambiabili. “Illuminante”, come dirà lo stesso patron, la visita a Chicago di un centro per la lavorazione delle carni, con il passaggio dei quarti di bue appesi a ganci su linee aeree. Un’autentica prefigurazione. La “diavoleria”, secondo l’espressione usata in un articolo dell’epoca del New York Times, procederà per gradi, portando i tempi di allestimen-

to da dodici ore ad una e trenta. Ciò consentirà di contenere al massimo il prezzo al pubblico della T, che da 850 dollari scenderà addirittura a 260, creando tra l’altro una mitologia della semplificazione, dell’affidabilità e dell’interpretazione del senso comune immortalata da celebri affermazioni di Ford: “Quello che non c’è non si rompe”, “sceglietela di qualsiasi colore purché sia il nero”, “non occorre essere ricchi per comperare un’auto ma basta un’auto per sentirsi ricchi”. Le catene del complesso di Hi-

ghland Park, nell’area di Detroit capitale dell’auto Usa, porteranno inoltre ad un mutamento epocale e a nuove interpretazioni dei rapporti di lavoro. Se il salario operaio giornaliero passerà da 2,34 a 5 dollari e l’impiego da nove a otto ore, costringendo le riluttanti aziende rivali ad uniformarsi e rimescolando le carte delle fasce di reddito, la strategia del “one man, one job”, della ripetitività alienante, sarà oggetto già in quegli anni di opposizioni e di critiche, come quella approfondita del Gramsci dei “Quaderni” o della satira corrosiva del Chaplin di “Tempi moderni”. Dimensioni contenute Nel quotidiano, la T diventa parte del panorama nazionale, facendo valere le sue qualità tecniche e pratiche. La struttura di base, che utilizza una lega di acciaio al vanadio, è particolarmente robusta. Le dimensioni contenute (intorno ai tre metri e mezzo di lunghezza per varie tipologie di carrozzeria) non compromettono l’abitabilità e il motore è di quelli che macinano chilometri: un quattro cilindri 2.900 a valvole laterali da una ventina di cavalli, per velocità sui 70 chilometri orari. I freni a tamburo sono soltanto sulle ruote posteriori e le sospensioni classiche a balestre, mentre la guida è resa facile dall’acceleratore a mano e dall’originale meccanismo del cambio: le due marce sono comandate a pedale e ancora un pedale aziona la retro, che i più smaliziati utilizzano anche come freno di emergenza o per superare le salite più ripide. Una compagna fedele, insomma, in stretta simbiosi con l’anima popolare in grado di dare la massima confidenza e un’ottima resa. Chiedendo poco in cambio.

Nella pagina precedente la Model T, raffigurata nel 1915, anno in cui la milionesima auto uscì dalla catena di montaggio della Ford. Qui accanto l’esterno della fabbrica Ford dove costruivano la Model T.

6 Luglio 2018 ·

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