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LA VOCE DEL PRESIDENTE

Carissimo, anche quest’anno siamo riusciti ad organizzare il soggiorno a Gressoney con non poche difficoltà dovute alla presenza meno numerosa degli exallievi ed amici: questo è andato a scapito del bilancio, ma è andato tutto bene lo stesso per lo spirito comunitario che ci distingue, la famiglia, gli amici generosi che hanno fatto superare ostacoli e problemi. Comunico anche che dal prossimo anno la colonia sarà gestita dai cooperatori salesiani e ci saranno dei lavori di ristrutturazione per favorire soprattutto le famiglie, oltre i singoli e giovani, cioè per accogliere con maggiore confort quelli che desiderano passare le vacanze al fresco, all’aria aperta, in mezzo al verde. Prendi nota dei diversi appuntamenti programmati per il prossimo anno e per tempo organizzati in modo da non mancare, non solo per rivedere i tuoi compagni ed amici ma anche per ricaricarti spiritualmente con i giorni di esercizi e per vivere meglio nella famiglia, sul lavoro, nella società e nella Chiesa. Ti auguro di essere e vivere da cristiano aperto ed autentico, fedele agli insegnamenti appresi a Penango e Mirabello. Ogni bene a te e ai tuoi familiari.

Il presidente Gino Franco Torino, 1° novembre 2010




formazione

«IL MISTERO DEL NATALE» La Chiesa intera concentra il suo sguardo di fede verso il Natale predisponendosi, come ogni anno, ad unirsi al cantico gioioso degli angeli, che nel cuore della notte annunzieranno ai pastori l’evento straordinario della nascita del Redentore. A Betlemme giace l’Emmanuele, il Creatore fattosi creatura, avvolto in fasce e adagiato in una povera mangiatoia (cfr Lc 2,13-14). Per il clima che lo contraddistingue, il Natale è una festa universale. Anche chi non si professa credente, infatti, può percepire in questa annuale ricorrenza cristiana qualcosa di straordinario e di trascendente, qualcosa di intimo che parla al cuore. È la festa che canta il dono della vita. La nascita di un bambino dovrebbe essere sempre un evento che reca gioia. Il Natale è l’incontro con un neonato che vagisce in una misera grotta. Contemplandolo nel presepe come non pensare ai tanti bambini che ancora oggi vengono alla luce in una grande povertà, in molte regioni del mondo? Come non pensare ai neonati non accolti e rifiutati, a quelli che non riescono a sopravvivere per carenza di cure e di attenzioni? Come non pensare anche alle famiglie che vorrebbero la gioia di un figlio e non vedono colmata questa loro attesa? Sotto la spinta di un consumismo edonista, purtroppo, il Natale rischia di perdere il suo significato spirituale per ridursi a mera occasione commerciale di acquisti e scambi di doni! In verità, però, le difficoltà, le incertezze e la stessa crisi economica che in questi mesi stanno vivendo 4

tantissime famiglie, e che tocca l’intera umanità, possono essere uno stimolo a riscoprire il calore della semplicità, dell’amicizia e della solidarietà, valori tipici del Natale. Spogliato delle incrostazioni consumistiche e materialistiche, il Natale può diventare così un’occasione per accogliere, come regalo personale, il messaggio di speranza che promana dal mistero della nascita di Cristo. Tutto questo però non basta per cogliere nella sua pienezza il valore della festa alla quale ci stiamo preparando. Noi sappiamo che essa celebra l’avvenimento centrale della storia: l’Incarnazione del Verbo divino per la redenzione dell’umanità. San Leone Magno, in una delle sue numerose omelie natalizie, così esclama: «Esultiamo nel Signore, o miei cari, ed apriamo il nostro cuore alla gioia più pura. Perché è spuntato il giorno che per noi significa la nuova redenzione, l’antica preparazione, la felicità eterna. Si rinnova infatti per noi nel ricorrente ciclo annuale l’alto mistero della nostra salvezza, che, promesso, all’inizio e accordato alla fine dei tempi, è destinato a durare senza fine» (Homilia XXIII). Su questa verità fondamentale ritorna più volte san Paolo nelle sue lettere. Ai Galati, ad esempio, scrive: «Quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna, nato sotto la Legge... perché ricevessimo l’adozione a figli» (4,4). Nella Lettera ai Romani evidenzia le logiche ed esigenti conseguenze di questo evento salvifico: «Se siamo figli (di Dio), siamo anche eredi: eredi di Dio, coeredi di Cristo, se davvero prendiamo parte alle sue sofferenze per parteci-


pare anche alla sua gloria» (8,17). Ma è soprattutto san Giovanni, nel Prologo del quarto Vangelo, a meditare profondamente sul mistero dell’Incarnazione. Ed è per questo che il Prologo fa parte della liturgia del Natale fin dai tempi più antichi: in esso si trova infatti l’espressione più autentica e la sintesi più profonda di questa festa e del fondamento della sua gioia. San Giovanni scrive: «E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi» (Gv 1,14). A Natale dunque non ci limitiamo a commemorare la nascita di un grande personaggio; non celebriamo semplicemente ed in astratto il mistero della nascita dell’uomo o in generale il mistero della vita; tanto meno festeggiamo solo l’inizio della nuova stagione. A Natale ricordiamo qualcosa di assai concreto ed importante per gli uomini, qualcosa di essenziale per la fede cristiana, una verità che san Giovanni riassume in queste poche parole: «il Verbo si è fatto carne». Si tratta di un evento storico che l’evangelista Luca si preoccupa di situare in un contesto ben determinato: nei giorni in cui fu emanato il decreto per il primo censimento di Cesare Augusto, quando Quirino era già governatore della Siria (cfr Lc 2,1-7). È dunque in una notte storicamente datata che si verificò l’evento di salvezza che Israele attendeva da secoli. Nel buio della notte di Betlemme si accese realmente una grande luce: il Creatore dell’universo si è incarnato unendosi indissolubilmente alla natura umana, sì da essere realmente «Dio da Dio, luce da luce» e al tempo stesso uomo, vero uomo. Quel che Giovanni, chiama in greco «ho logos» – tradotto in italiano «il Verbo» – significa anche «il Senso». Quindi potremmo intendere l’espressione di Giovanni così: il «Senso eterno» del mondo si è fatto tangibile ai nostri sensi e alla nostra intelligenza: ora possiamo toccarlo e contemplarlo (1 Gv 1,1). Il «Senso» che si è fatto carne non è semplicemente un’idea generale insita nel mondo; è una «Parola» rivolta a noi. Il Logos ci conosce, ci chiama, ci guida. Non è una legge universale, in seno alla quale noi svolgiamo poi qualche ruolo, ma è una Persona che si interessa di ogni singola persona: è il Figlio del Dio vivo, che si è fatto uomo a Betlemme. A molti uomini, ed in qualche modo a noi tutti, questo sembra troppo bello per essere vero. In effetti, qui ci viene ribadito: sì, esiste un senso, ed il senso non è una protesta impotente contro l’as-

surdo. Il Senso ha potere: è Dio. Un Dio buono, che non va confuso con un qualche essere eccelso e lontano, a cui non sarebbe mai dato di arrivare, ma un Dio che si è fatto nostro prossimo e ci è molto vicino, che ha tempo per ciascuno di noi e che è venuto per rimanere con noi. È allora spontaneo domandarsi: «È mai possibile una cosa del genere? È cosa degna di Dio farsi bambino?». Per cercare di aprire il cuore a questa verità che illumina l’intera esistenza umana, occorre piegare la mente e riconoscere la limitatezza della nostra intelligenza. Nella grotta di Betlemme, Dio si mostra a noi umile «infante» per vincere la nostra superbia. Forse ci saremmo arresi più facilmente di fronte alla potenza, di fronte alla saggezza; ma Lui non vuole la nostra resa; fa piuttosto appello al nostro cuore e alla nostra libera decisione di accettare il suo amore. Si è fatto piccolo per liberarci da quell’umana pretesa di grandezza che scaturisce dalla superbia; si è liberamente incarnato per rendere noi veramente liberi, liberi di amarlo. Benedetto XVI 5


attualità

Genitori deboli e assenti, famiglie che da sole non ce la fanno. I falsi ideali e la mancanza di speranza nel futuro. I NOSTRI RAGAZZI SENZA BUSSOLA Escono di casa, vanno e rubano, vanno e accoltellano. Per divertirsi incendiano auto, cassonetti. Per vedere che effetto fa, danno fuoco al barbone. Sempre in gruppo, ovviamente. Da soli non oserebbero. Come i teppisti da stadio che si credono leoni. E poi, da soli in caserma, implorano in lacrime il carabiniere chiedendo di poter telefonare alla mamma. Ma il più delle volte, quando li arrestano, si coglie spesso in loro la freddezza e l’indifferenza, non solo per le vittime, ma anche per i propri cari e il proprio destino. Quasi che qualsiasi cosa, compreso il carcere, fosse preferibile all’insopportabile noia che li affligge. E questa indifferenza sembra uno specchio del loro abbigliamento. Sempre uguale. Jeans, scarpe sportive del

tutto indifferente a diversi luoghi e occasioni: casa, scuola, lavoro, sport oppure discoteca. Per ogni stormir di fronda della politica la Tv ci propina gli immancabili grilli parlanti quotidiani, che non hanno nulla da dire. Stesse frasi, fritte rifritte e riscaldate. Registrate in un angolo nascosto dell’encefalo, quasi sempre al secco di idee e di ideali. Ma dei giovani e giovanissimi, dei loro problemi, dei loro allarmi, della loro violenza, dei terrificanti crimini che riescono a commettere, dopo un momentaneo commento incredulo e sbigottito, si tende, invece, a tacere. E così gli accoltellamenti, le rapine, le aggressioni, gli stupri di gruppo, gli assassini per opera di adolescenti o poco più, transitano veloci, giorno dopo giorno, negli spazi delle cronache nere. Senza che ci prendiamo la briga di riflettere davvero su cosa sta succedendo nella nostra società. Non ci domandiamo da dove vengono questi ragazzi crudeli ed indifferenti. Quali siano le cause profonde che li spingono a delinquere. Sono i nostri figli, provengono da famiglie «normali» oppure in dissesto e dimezzate, sempre più deboli ed assenti con i propri figli. Dove manca la presenza equilibrante di entrambi i genitori. Famiglie che non sono più affiancate e sostenute da altre figure di educatori. Come insegnanti o sacerdoti. Capita allora che incappino, per solitudine, per noia, nell’amico più forte, nel gruppo sbagliato. E si sa che il gruppo ormai conta più della famiglia. Moltissimi sono naturalmente i padri e le madri forti abbastanza per farcela da soli a insegnare ai figli cos’è bene e cos’è male, ma molti sono anche quelli che, invece, non ce la fanno. Ai nostri ragazzi manca la speranza di un futuro, vivono in un’infelicità chiusa e senza desideri. E nel vuoto dei valori adeguati alla dignità dell’uomo, si inseguono valori fittizi e illusori. Da oltre trent’anni la televisione sta minando le coscienze con messaggi che esaltano l’edonismo, il facile successo, il consumismo sfrenato: dai lontani Drive in allo sdoganamento mediatico di tanti comportamenti viziati, conditi da commozioni plateali o rivendicazioni civili per oscurare ogni senso etico. Ci siamo chiesti quanti disvalori ha trasmesso negli anni con soap opera e siparietti televisivi, stravolgendo ogni senso della dignità umana? Talvolta, mi capita di sentire persino nonnine incitare le nipotine a comportamenti trasgressivi, come quelli visti in Tv: «Che male c’è», dicono, «non è più come una volta!».





si, predicate il Vangelo con la bontà semplice, accogliente, con l’amicizia serena, con l’interessa-mento cordiale, con l’aiuto disinteressato, adottando il metodo dell’evangelizzazione «feriale», capillare, dell’un per uno, a tu per tu. Entrate attraverso la finestra dell’uomo, per uscire attraverso la porta di Dio. Gettate ad ognuno il ponte dell’amicizia, per farci passare sopra la luce e la grazia di Cristo».6 Don Quadrio scende poi più nel concreto e si sofferma a parlare delle virtù umane del sacerdote. In una deliziosa lettera al giovane nipote Valerio Modenesi, che in seminario si stava preparando a diventare sacerdote, egli scrive il 24 gennaio 1956: «Sei presente ogni giorno nella mia Messa e nelle mie preghiere, perché sono troppo interessato alla tua formazione sacerdotale. Non sai infatti quanto mi stia a cuore la maturazione definitiva del tuo carattere in quelle virtù umane e naturali che ti renderanno un uomo autentico, completo... Queste virtù umane sono generalmente molto modeste e dimesse, ma basilari: la sincerità, la lealtà, l’amabilità, l’accondiscendenza, la generosità, la padronanza assoluta di sé, l’alacrità nell’azione, la calma imperturbabile nei contrattempi, la fiducia incrollabile, la costanza nei propositi, la forza di volontà che sa volere con chiarezza e pacata irremovibilità. La tua è l’età della maturazione umana, e l’uomo che ora plasmi in te, sarà quello definitivo. In quest’opera di formazione tutto può e deve concorrere e di fatto concorre o in bene o in male: la preghiera, la scuola, lo studio, le letture, le ricreazioni, le relazioni con i Superiori e i compagni. Tutto è grazia per uno che sa approfittarne. Se leggerai la Messa di Don Bosco il 31 gennaio, pensa un attimo all’Introito, all’Epistola, al Communio: ci troverai i tratti di una bella, simpatica, poderosa personalità umana e sacerdotale».7 E cinque anni più tardi, il 1° marzo 1961, don Quadrio scriverà ancora al nipote Valerio, già sacerdote: «Penso che anche (e specialmente) noi sacerdoti dovremmo saper gettare verso tutti il ponte di un’amabile, cortese, calda e serena personalità, generosa e semplice, ricca di umanità e di comprensione, accogliente e servizievole. Solo su queste arcate potrà correre il Vangelo e la Grazia! Bisogna entrare per la porta dell’uomo per uscire da quella di Dio: Tu che sei in tempo, formati un carattere umano che possa essere un sacramento vivente della Bontà del Signore Gesù».8 Termino questo punto con un ultimo testo tratto da 10

una lettera, il cui destinatario è rimasto anonimo e che perciò potrebbe essere destinato a ciascuno e a tutti. «La fisionomia che ora sta prendendo é quella definitiva. Faccia di tutto perché i tratti fondamentali di questa fisionomia siano l’assoluta lealtà, la generosità disinteressata, la nobiltà di pensieri e sentimenti, la perfetta coerenza tra convinzioni, propositi e azioni, l’indefettibile fedeltà al dovere e alla parola data. Come vede, sono i tratti caratteristici della figura di Gesù, che deve costruire l’ideale e il fascino della sua giovinezza. Modelli su di lui un carattere adamantino e una coscienza luminosa e virile».9 l Una delle lettere più belle del Venerabile e scritta nella piena maturità. Ricordo che egli morirà pochi mesi dopo, il 21 novembre di quello stesso anno. A questa lettera farò riferimento più volte, perché essa è come la magna charta sull’identità sacerdotale, secondo il pensiero di don Quadrio. 2 Interessante annotare che questo termine importante (ponte) viene usato anche dalla «Pastores dabo vobis» (= PDV), il documento tuttora più importante della Chiesa «circa la formazione dei sacerdoti nelle circostanze attuali» (1992), proprio nel luogo dove parla esplicitamente dell’importanza della formazione umana del sacerdote (PDV, 43): «Per questo la formazione umana del sacerdote rivela la sua particolare importanza in rapporto ai destinatari della sua missione: proprio perché il suo ministero sia umanamente il più credibile ed accettabile, occorre che il sacerdote plasmi la sua personalità umana in modo da renderla ponte e non ostacolo per gli altri nell’incontro con Gesù Cristo...». Anche la PDV defmisce la dimensione umana come il necessario fondamento dell’intera formazione sacerdotale. Mentre la formazione spirituale costituisce il cuore che unifica e vivifica l’essere e il fare del prete (PDV, 43 e 45). 3 Vedi Don Giuseppe Quadrio. Lettere, a cura di R. BRACCHI (= Spirito e vita 19), LAS, Roma 1991, lettera 242, p. 326, (d’ora in poi abbreviato: Let. seguita dal numero e dalla pagina corrispettivi). 4 Sottolineatura di don Quadrio. 5 Ancora sottolineato nel testo originale. 6 Let. 206, pp. 286-287. 7 Let. 089, p. 144. 8 Let. 182, p. 258. In un quaderno ancora inedito (Quad. 5 lett. U, p. 20) don Quadrio riporta quest’altro elenco più breve di virtù umane: «Discrezione, buon senso, senso della misura, onestà, sincerità, amabilità, longanimità, dominio di sé». E nello stesso quaderno riporta ancora una bella riflessione sul nostro Padre Don Bosco. «In Don Bosco una formidabile perfezione naturale portava una più formidabile perfezione soprannaturale; un colosso di santità, perché un colosso di umanità» (ivi). Vedi anche Let. 099, p. 156. Anche la PDV fa un elenco delle virtù umane del sacerdote: «Occorre allora l’educazione all’amore per la verità, alla lealtà, al rispetto per ogni persona, al senso della giustizia, alla fedeltà alla parola data, alla vera compassione, alla coerenza e, in particolare, all’equilibrio di giudizio e di comportamento. Di particolare importanza è la capacità di relazione con gli altri, elemento veramente essenziale per chi è chiamato ad essere responsabile di una comunità e ad essere “uomo di comunione”» (PDV, 43). 9 Let. 099, p. 156.


cronaca flash

Gli anni passano ma Gressoney rimane ed anche quest’anno abbiamo goduto 15 giorni intensi tra esercizi spirituali, feste, l’incontro annuale degli exallievi, le ferie e le serate. Siamo stati in numero minore rispetto allo scorso anno ma sempre impegnati, pronti a collaborare per fare famiglia, per migliorare l’amicizia e per sentirsi a casa propria. Era previsto per il 2 agosto, nel pomeriggio, l’inizio degli esercizi spirituali che si sono conclusi con il sacramento della riconciliazione, del perdono e della grazia. Gli incontri del mattino sono stati tenuti da don Bergamelli che ci ha proposto di riflettere sul sacerdozio oggi, su un esempio di forte spessore nella persona del Venerabile don Giuseppe Quadrio, sacerdote salesiano, uomo di pensiero e di cultura, grande teologo e filosofo (segue il contenuto degli esercizi). Don Lello, invece, al pomeriggio ci ha presen-

tato il sacerdote oggi nel mondo attuale con tutte le sue problematiche, i pregiudizi la sensibilità dell’uomo che incarna l’amore di Dio per gli uomini, punto di riferimento per tanti per formare un’umanità ricca e completa come quella di Gesù, la quale abbia lo stile, il volto dell’ambiente e del tempo in cui vive ed opera. Il giovedì, come ormai da decenni, è stato dedicato al mercato per fare incetta di cose utili, e non, oggetti particolari da regalare al ritorno a casa in segno di un bel pensiero, oppure abbigliamento, artigianato locale ecc. La cucina, come sempre, è stata buona, abbondante, varia: grazie a Gloria e Filomena per la loro disponibilità ed il servizio e per la loro bravura e pazienza. Sabato 7 è stata organizzata la rituale lotteria il cui ricavato sarà devoluto ai missionari exallievi di Penango e Mirabello. Domenica 8 agosto è stata la giornata del convegno estivo degli exallievi, l’occasione per rinsaldare l’unione. Quest’anno abbiamo ricordato i 50 anni della fondazione ed è stato anche il primo anno che segna l’assenza di don Cornelio Zavattaro. Sono state fatte alcune proposte per il nuo11


vo anno sociale: il convegno annuale in Veneto, la gita-pellegrinaggio forse in Tunisia sulle orme di S. Agostino, l’incontro di Penango, della Sardegna e di Gressoney 2011. Anche per il prossimo anno si pubblicheranno 2 numeri della Voce. Durante la S. Messa sono stati rinnovati i voti coniugali delle coppie che festeggiavano i 50 anni, i 40, 35, ... fino a 5. Dopo il rinfresco nel prato è seguito il pranzo festoso allietato dai canti, da poesie e da un curriculum del passato sentimentale del presidente, il quale è coronato dal matrimonio di 40 anni fa con Adriana. Il 10 agosto è stata la giornata di chiusura della cucina e quindi sono state organizzate diverse passeggiate: sorgenti del Lys, al Gabiet, Bettaforca e soprattutto nella valle del Loo per onorare san Lorenzo e dove, dopo la messa i gitanti hanno gustato la polenta con latte, offerta dai pastori della valle. Gli altri giorni sono trascorsi tra attività varie: camminate, relax, giochi, serate culturali a Gressoney, films, letture, giochi di carte. E in un baleno si è arrivati al 15 agosto, ultimo giorno del nostro soggiorno. Festa dell’Assunta:

c’è stata la partecipazione alla messa ed alla processione molto folta di popolo anche con i costumi locali. E dopo il pranzo contemplato le partenze e i saluti per il ritorno a casa, con un po’ di nostalgia ma con la promessa di rivederci alla casetta di san Domenico Savio alla prima domenica di ottobre. Ciao a tutti gli amici e grazie per la gioia e l’amicizia che ci lega. Arrivederci al prossimo anno e che Dio ci conservi tutti in salute.








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