Idrocarburi contributo al dibattito parlamentare 052014 (2)

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LA PRODUZIONE DI IDROCARBURI NEI MARI ITALIANI. 10 CHIARIMENTI PER IL DIBATTITO PARLAMENTARE.

Maggio 2014


PREMESSA E OBIETTIVI

PREMESSA

Questo documento affronta alcune delle affermazioni piÚ ricorrenti nelle premesse agli atti di sindacato indirizzo e controllo relativi al settore Oil & Gas, con particolare attenzione all’off-shore (attività a mare) attualmente in discussione ed approvazione presso i due rami del Parlamento. Alcune di tali premesse non trovano riscontro scientifico, documentale, accademico o statistico ma sembrano piuttosto tratte da fonti stampa o Internet non accompagnate da una verifica delle fonti primarie.


1.

L’affermazione secondo cui la produzione di idrocarburi è un processo altamente inquinante non è corretta

PERCHE’

I costi esterni ambientali complessivamente calcolati da ECBA Project in relazione alle emissioni in atmosfera dell’economia nazionale nel 2012 ammontano a 48,3 miliardi di euro. Di questi solo una minima parte è riconducibile alla produzione di idrocarburi

FONTI

I risultati dello studio sono stati illustrati con due articoli pubblicati nel 2013 da Nuova Energia, rivista dello sviluppo sostenibile(n. 5 e 6/2013). Qui di seguito si propone una sintesi dei principali risultati dell’indagine, riferiti ai costi esterni ambientali e sanitari dovuti alle emissioni in atmosfera dei settori dell’economia italiana (secondo un primo livello di disaggregazione in 18 settori, famiglie incluse) e ai principali indicatori proposti da ECBA Project per analizzare le attività economiche secondo le tre dimensioni principali dello sviluppo sostenibile: quella ambientale, sociale ed economico-finanziaria.


2.

PERCHE’

FONTI

La presenza di idrocarburi nei mari imputabile alla produzione di gas e petrolio è di appena il 2% e non, come si afferma, dell'80 %.

Le attività offshore hanno un impatto trascurabile sulla presenza di idrocarburi nei mari: inferiore al 2%. Nel Mediterraneo tale percentuale è inferiore al 1% a causa della maggiore incidenza di altri fattori, primo tra tutti il trasporto marittimo. Maggiore produzione in Italia significa minore importazione e quindi minore traffico di petroliere. Oltre all’evidente vantaggio economico (bilancia dei pagamenti) e strategico (sicurezza degli approvvigionamenti), la produzione nazionale determina un minore impatto e un minore rischio ambientale, anche relativo a incidenti di petroliere. La produzione nazionale attuale contribuisce a ridurre il traffico di petroliere nei mari italiani in misura di una petroliera di medie dimensioni ogni 3 giorni. Studio RIE-Ricerche Industriali ed Energetiche- “L’importanza le opportunità dell’Industria Petrolifera Italiana”- Settembre 2012. Risposta del Ministro dello Sviluppo Economico del 04/05/2012 all’ Interrogazione n°4-06262 presentata dal Sen. Nicola Latorre. “The offshore oil and gas industry currently accounts for only one to two per cent of total marine pollution, which is quite low compared to other sources of marine pollution” (S.Patin, Environmental Impact of the Offshore Oil & Gas Industry, 1999, p. 47).


3.

Il riferimento, spesso usato, ai numerosi gravi incidenti che hanno interessato le piattaforme marine per l'estrazione di idrocarburi in diverse aree del mondo, non è indicativo dell’indice di rischio e non trova riscontro nella storia di queste attività nel Mediterraneo.

PERCHE’

Il settore estrattivo petrolifero in Italia ha una lunga tradizione, ma soprattutto ottime performance in termini di sicurezza: basandosi sui dati registrati per le compagnie petrolifere italiane che operano nel settore offshore sia nelle acque territoriali italiane che all’estero, si evidenzia che il dato statistico circa le performance in termini di blow-outs nel periodo di riferimento 2000-2010 è pari a zero nell’offshore italiano e ad 1,22/1000 pozzi nell’offshore mondiale.

FONTI

(fonti: “EU Proposal for offshore Safety Regulation” ; Audizione,nell’ambito dell’indagine conoscitiva ”Sicurezza delle attività estrattive offshore”, del Direttore Generale Ing.Franco Terlizzese- Min.Sviluppo Economico -Dipartimento per L’Energia – Direzione Generale per le risorse minerarie ed energetiche- presso le Commissioni 10a e 13a del Senato-Dicembre 2011)


4.

PERCHE’

Non è corretto affermare che nel nostro Paese, il numero delle piattaforme di estrazione di idrocarburi è notevolmente cresciuto nel corso degli ultimi anni.

L’attività di ricerca di nuovi giacimenti in mare ha visto il suo massimo periodo di espansione nei primi anni ‘90. Dalla seconda metà degli anni ’90 si è consolidata la tendenza alla riduzione del numero di titoli minerari. Anche il numero di nuove perforazioni in mare è andato gradualmente a ridursi. L’ultimo decennio ha visto solo 11 pozzi esplorativi con esito positivo a gas e un solo pozzo con esito positivo ad olio. Ciò soprattutto a causa delle complicazioni burocraticoamministrative.

FONTE

(Fonte: “Il Mare” – Supplemento al Bollettino Ufficiale Degli Idrocarburi e delle Georisorse/BUIG – Anno LVIII – N.2 – 28 Febbraio 2013 – Ministero dello Sviluppo Economico – Dipartimento per l’Energia-Direzione Generale per le Risorse Minerarie ed Energetiche – Pagg. 43-51)


5.

PERCHE’

Il fatto che le piattaforme del medio-alto Adriatico operino in acque relativamente basse non è un fattore rischio, bensì un fattore di sicurezza.

1)

Il battente d’acqua delle piattaforme generalmente e relativamente basso si associa a teste pozzo (e dispositivi di sicurezza associati) in superficie sulle piattaforme; un più ‘alto rischio di impatto inquinante’ e minore sicurezza è semmai presente per teste pozzo sottomarine in acque profonde o molto profonde (dove l’intervento di emergenza/manutentivo presenta maggiori problematiche e difficoltà).

2)

La pressione dei fluidi dei giacimenti presenti nell’offshore italiano risulta molto prossima alla pressione idrostatica (i pozzi perforati non erogano olio spontaneamente) tanto che si rende necessario predisporre dei sistemi di stimolazione per far uscire l’olio dal pozzo.

Basse profondità e basse pressioni riducono drasticamente il rischio di incidenti ed inquinamento.


6.

PERCHE’

FONTI

I divieti di balneazione e pesca in prossimità degli impianti non sono dovuti all'inquinamento marino, bensì a ovvie misure di sicurezza

Non è il presunto ‘inquinamento marino’ scaturito dalla coltivazione di idrocarburi in Adriatico a determinare il (‘consequenziale’) divieto di balneazione e pesca in prossimità degli impianti (le piattaforme offshore). Bensì la legge. E per ovvi motivi di sicurezza e precauzione. La disciplina delle ‘distanze di sicurezza’ per ‘teste pozzo e apparecchiature di produzione installate a fondo mare’ è contenuta nel DPR 24 maggio 1979,n.886 “Integrazione ed adeguamento delle norme di polizia delle miniere e delle cave, contenute nel decreto del Presidente della Repubblica 9 aprile 1959, n. 128 al fine di regolare le attività di prospezione, di ricerca e di coltivazione degli Idrocarburi nel mare territoriale e nella piattaforma continentale”. (GU n.114 del 26-4-1980 - Suppl. Ordinario) che,all’articolo 28 (“Zone di Sicurezza”), rimandando allo strumento dell’Ordinanza emessa dalla Capitaneria di Porto competente per le prescrizioni particolari, recita: “Intorno alle piattaforme fisse e mobili è stabilita una zona di sicurezza nella quale è proibito l'accesso a navi ed aerei non autorizzati. Per le teste di pozzo e per le apparecchiatura di produzione installate a fondo mare è parimenti stabilita una zona di sicurezza nella quale sono vietate le operazioni di ancoraggio e di pesca dì profondità. In entrambi i casi la zona di sicurezza è fissata con ordinanza dalla capitaneria di porto competente, sentita la sezione idrocarburi. L'ordinanza indica i limiti della zona di sicurezza che può estendersi fino alla distanza di 500 metri intorno alle installazioni, misurata a partire da ciascun punto del loro bordo esterno. L'ordinanza altresì precisa il divieto o le limitazioni imposti alla navigazione, all’ancoraggio e alla pesca.“


7.

PERCHE’

I fanghi di perforazione utilizzati nei pozzi petroliferi off-shore non hanno “composizione segreta” e non contengono elementi tossici.

Si utilizza tecnicamente il termine “fanghi o fluidi di perforazione” (e non “perforanti”): i fanghi in sè non “perforano” nulla; sono chiamati di perforazione perché intervengono nella fase di perforazione. L’elemento principale dei fanghi di perforazione è un fluido base (acqua o olio) nel quale vengono dispersi additivi solidi e liquidi (es. bentonite, calcare, sale marino, cloruro di potassio, polimeri). Questi prodotti non sono tossici per l’uomo o l’ambiente e non sono suscettibili di accumulo. I Fanghi a base oleosa (che vengono impiegati nei casi di formazioni instabili, chimicamente reattive, in condizioni di alta pressione/temperatura) non sono più utilizzati nei giacimenti offshore presenti in Mar Adriatico fin dall’inizio degli anni 90.

NOTE

FONTI

Nel corso degli ultimi 25 anni, proprio con l’intento di ridurre l’impatto ambientale, i fanghi oleosi sono stati definitivamente sostituiti da quelli a base di acqua e argilla La composizione dei fanghi di perforazione viene comunicata/denunciata dalle Compagnie all’Autorità Competente (Ministero dello Sviluppo Economico – Uffici UNMIG).

(Fonte: Wills I. –“Muddied waters. A survey of off-shore oilfield drilling wastes and disposal techniques to reduce the ecological impact of sea dumping”- Sakhalin Environment Watch, 2000)


8.

PERCHE’

FONTI

NOTE

Non è affatto vero che nel caso delle perforazioni a mare vi è la prassi di disperdere i detriti a mare.

Non esiste in tale materia (controlli) un elemento discriminante tra attività minerarie esercite in terraferma ed analoghe attività svolte in mare (entrambe soggette a rigorosi standard di vigilanza e controllo). Lo scarico in mare di “detriti derivanti da perforazioni effettuate con fanghi a base oleosa” è vietato e tale divieto rispettato (Allegato A, punto 3 - “Scarichi non autorizzabili”- del DM 28/07/1994).

Il Decreto con il quale è conferita la concessione di coltivazione, di competenza del Ministero dello Sviluppo economico, contiene tutte le prescrizioni e i vincoli stabiliti dagli Enti che hanno esaminato il progetto nel corso del procedimento amministrativo del quale il DM è l’ultimo tassello (tra gli Enti ricordiamo, il Ministero dell’Ambiente-caso dell’offshore- o la Regione per gli aspetti di compatibilità ambientale, le Province, i Comuni e le Soprintendenze per la realizzazione di impianti e pozzi). A questi vincoli e prescrizioni si aggiungono quelle impartite dal Ministero dello Sviluppo Economico in ordine agli obblighi del Titolare della concessione e riguardanti il buon esercizio degli impianti e la sicurezza mineraria che, qualora non rispettate, possono portare alla revoca della concessione secondo procedure specifiche stabilite dalla legge.


9.

PERCHE’

Nel Mediterraneo non esistono piattaforme che “nell'arco della propria vita rilasciano mediamente 90.000 tonnellate di sostanze inquinanti”

Tale dato, utilizzato del tutto impropriamente nel caso della produzione offshore nel Mediterraneo, fa riferimento alle grandi piattaforme oceaniche che lavorano su 50-100 pozzi a grandi profondità ed elevate pressioni, con utilizzo di fluidi di perforazione oleosi, insomma, per dimensioni (50-100 pozzi), latitudini e sostanze oggetto di dispersione in mare, l’esatto opposto delle piattaforme in produzione nell’offshore del nostro Paese che lavorano su pochi pozzi, a basse profondità, bassa pressione e con fluidi a base acquosa Nei mari italiani mediamente, afferiscono ad una singola piattaforma di produzione tra i due e i tre pozzi di estrazione. In italia quindi operano impianti di estrazione dalle 25 alle 30 volte meno estesi di quelli presi ad esempio.

FONTI

M. Heberer and P. Prentiss, “The environmental consequences of offshore oil drilling”(2008).

NOTE

La dichiarazione tratta da un paper di Heberer e Prentiss fa esplicito riferimento al Golfo del Messico: “A single production platform, which can drill 50-100 wells, discharges over 90,000 metric tons of drilling fluid and metal cuttings into the ocean”


10.

Le ricerche petrolifere nel mare Adriatico non hanno impatto negativo sulle dinamiche dell'economia locale ( pesca, turismo, agricoltura).

PERCHE’

La presenza di artefatti dedicati alla ricerca ed alla coltivazione degli idrocarburi non ha impatti negativi sulle attività turistico-ricettive, neanche in termini di “barriera all’entrata” nei confronti di turisti potenzialmente interessati a soggiornare in località in cui sono presenti tali infrastrutture. Ben 39 bandiere blu nel 2014 vengono assegnate alle spiagge di Emilia Romagna, Marche, Abruzzo e Molise, di fronte alle quali operano oltre un centinaio di strutture per la produzione di idrocarburi. Nell’ultima rilevazione (2014) l’Abruzzo ha perso 4 bandiere blu (dove non vi sono impianti) ma l’ha mantenuta a Punta Penna (Vasto) di fronte alla quale si trovano 8 piattaforme e una nave appoggio.

FONTI

Università degli studi di L’Aquila - Dipartimento di Ingegneria Industriale e dell’Informazione e di Economia , L.Fratocchi e M. Parisse, ‘ L’impatto economico ed occupazionale del “sistema del valore” degli idrocarburi: il caso Abruzzo ‘,2013


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