MINISTERO DELL’UNIVERSITÁ E DELLA RICERCA AFAM
ACCADEMIA DI BELLE ARTI DI PALERMO DIPARTIMENTO DI PROGETTAZIONE E ARTI APPLICATE SCUOLA DI PROGETTAZIONE ARTISTICA PER L’IMPRESA
DIPLOMA ACCADEMICO DI PRIMO LIVELLO IN PROGETTISTA DI MODA
l’irredimibile amante una proposta di costume per Don Giovanni
TESI DI
GIOVANNI LEONARDI Matricola 5414
Relatore
Prof.ssa Fr ancesca Pipi
A.A. 2013 2014
In copertina: Steven Meisel, The couturettes, 2006
Introduzione
p.
7
Capitolo I Don Giovanni: un thopos di seduzione?
p.
11
p.
12
Capitolo II Don Giovanni sulla scena
p.
41
II.1 Don Giovanni sulla scena teatrale
p.
47
II.1.1 Don Giovanni, regia di Sven-Eric Bechtolf, Salisburgo 2014
p.
47
II.1.2 Don Giovanni, regia di Robert Carsen, Milano 2011
p.
49
II.1.3 Don Giovanni, regia di Dmitri Tcherniakov, Aix-en-Provence 2010
p.
51
II.1.4 Don Giovanni, regia di Sergio Morabito, Jossi Wieler, Amsterdam 2007
p.
53
II.1.5 Don Giovanni, regia di Vincent Boussard, Baden-Baden 2006
p.
54
II.1.6 Don Giovanni, regia di Martin Kušej, Salisburgo 2006
p.
57
II.1.7 Don Giovanni, regia di Lluis Pasqual, Madrid 2005
p.
59
II.1.8 Don Giovanni, regia di Calixto Bieito, Barcellona 2002
p.
60
II.1.9 Don Giovanni, regia di Roberto de Simone, Vienna 1999
p.
62
II.1.10 Don Giovanni, regia di Franco Zeffirelli, p. 64 New York 1990
II.1.11 Don Giovanni, regia di Luc Bondy, Vienna 1990
p.
65
II.1.12 Don Giovanni, regia di Luca Ronconi, Bologna 1990
p.
67
I.1 Dalla antropologia religiosa a Da Ponte
3
II.1.13 Don Giovanni, regia di Peter Sellars, New York 1989
p.
69
II.1.14 Don Giovanni, regia di Michael Hampe, Salisburgo 1987
p.
71
II.1.15 Don Giovanni, regia di Giorgio Strehler, Milano 1987
p.
72
II.1.16 Don Giovanni, regia di Peter Hall, Londra 1977
p.
73
II.1.17 Don Giovanni, regia di Carl Ebert, Berlino 1961
p.
74
II.1.18 Don Giovanni, regia di Michele Lauro, Napoli1958
p.
76
II.1.19 Don Giovanni, regia di Herbert Graf, Salisburgo 1954
p.
80
II.2 Don Giovanni sulla scena cinematografica p. 82
II.2.1 Juan, regia di Kasper Holten, Danimarca 2012
p.
82
II.2.2 Io, Don Giovanni, regia di Carlos Saura, Italia, Spagna, Austria 2009
p.
85
II.2.3 Don Juan De Marco - maestro d’amore , regia di Jeremy Leven, USA 1995
p.
87
II.2.4 Don Giovanni, regia di Joseph Losey, New York 1978
p.
89
II.2.5 Don Giovanni, regia di Carmelo Bene, Italia 1970
p.
91
II.2.6 Il maestro di Don Giovanni (Crossed Sword), regia di Milton Krims e Vittorio Vassarotti, Stati Uniti d’America 1954
p.
97
Capitolo
III Il progetto
p.
103
III.1 Disinta costumi
p.
117
4
Apparati
p.
169
Indice delle illustrazioni
p.
170
Indice delle tavole di progetto
p.
176
Indice delle fotografie della performance p. 177 Bibliografia p. 178
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Introduzione
Della figura di Don Giovanni si sente parlare spesso, anche in ambiti diversi rispetto a quelli che più gli sono propri, come il teatro, la musica e la letteratura. Se da un lato egli entra nella vita quotidiana e nell’immaginario della mentalità comune e collettiva perdendo a volte completamente o quasi la sua connotazione artistica, dall’altro non è assolutamente azzardato affermare come non vi sia genere letterario o forma espressiva che nel corso dei secoli sia restata estranea alla figura di Don Giovanni, tanto da trasformarla in mito. È uno di quei personaggi caratterizzati da personalità forte e ben definita, aperto a molte e diverse letture, tanto da costringere moltissimi autori a parlarne, a divulgare le sue imprese e le sue beffe, a cercare un umanità ben nascosta, una dimensione reale del personaggio, una psicologia particolare dell’anima; interrogandosi in tal modo su cosa poteva esserci sotto la maschera e attribuendogli arbitrariamente emozioni e pensieri lontani dalle intenzioni dei primi autori. Mediante un approccio di carattere storico e antropologico, ci s’è subito resi conto di come in origine il protagonista non era solo un semplice seduttore di donne, un collezionista erotico rispetto al quale si potessero sondare gli impulsi sessuali e la psicologia amorosa, bensì un personaggio complesso inserito in una rete di rapporti con il sacro, con la morte, con l’altro da sé. È dal 1630 - anno in cui Tirso de Molina inaugurò il fortunato filone con El burlador de Sevilla y convidado de piedra (L’ingannatore di Siviglia e il convitato di pietra) - passando poi dalle mani di Moliére, e successivamente in quelle di Mozart7
Da Ponte, che le rielaborazioni della figura di Don Giovanni si sono moltiplicate, tanto da rendere difficile, forse impossibile, contare i testi susseguitisi. Questa enorme quantità di materiale rende a mio avviso interessante e significativo lo studio delle varianti. Lo si vede a metà Seicento, ad esempio, in commedie, tragedie, spettacoli fieristici, scenari della Commedia dell’arte. Sul finire del secolo, col passaggio dal “parlato al cantato”, in melodrammi e opere buffe, drammi giocosi e commedie per musica. Successivamente, la proliferazione dei generi si accentua, arricchendosi con opere in prosa, poemi, romanzi, balletti, poemi sinfonici, fino ad arrivare agli inizi del Novecento, in cui si vedrà Don Giovanni comparire come protagonista o comprimario anche al cinema. Il suo lungo cammino attraverso i secoli, nelle più svariate forme espressive, il suo continuo mutare natura e contesto, il suo rapporto perpetuo e ambiguo con il sacro, con l’altro da sé, tra uomo e donna, valori prepotenti per l’intera umanità, mi ha convinto dell’esigenza di “mettere in scena” ancora una volta la figura del Convitato di pietra. Si tratta di un progetto costumistico che tenta di far emergere il più possibile, attraverso il travestimento (mezzo che da sempre adotta Don Giovanni), quanto oggi sia volubile e insaziabile la fame di potere insita nell’uomo. Un travestimento che mette in risalto le costrizioni, le norme, gli stereotipi che governano i comportamenti dell’uomo, prendendo così in giro i valori convenzionali dell’umanità ed assottigliando sempre più il muro della divisione vestimentaria di genere, invertendo i segni del sistema economicamente e moralmente complicato che gli abiti rappresentano. Nel complesso, il Don Giovanni si dimostra una figura tanto affascinante 8
e imponente quanto misteriosa e inesauribile. La sua peculiarità risiede nell’essere un mito con un potere sempre vivo nella coscienza collettiva, mito che lo fa rinascere e trasformare continuamente. L’irriducibilità di Don Giovanni a persona, il suo essere cioè esclusivamente personaggio, ne dimostra la forza letteraria e l’essenza mitica. Doverosi sono i ringraziamenti alle personalità che più hanno contribuito per la realizzazione del progetto. In primo luogo la Prof.ssa Francesca Pipi relatrice del progetto di tesi, con Lei il Prof. Vittorio Ugo Vicari per i contributi forniti al miglioramento della parte bibliografica nonché storica/antropologica, ed il Prof. Sergio Pausig per la cura dei materiali editoriali e del mio portfolio online. Il progetto si completa grazie alla collaborazione e covenzione del Conservatorio Musicale V. Bellini di Palermo, pertanto un sincero ringraziamento va al Direttore Daniele Ficola, al Maestro Fabio Ciulla ed ai suoi allievi, Grazia Sinagra, Simone Spera e Fabrizio Persico, che hanno reso possibile l’esecuzione di una performance canora di un’aria tratta dall’opera Il Dissoluto punito. Ossia il Don Giovanni di Wolfgang Amadeus Mozart. Un ulteriore ringraziamento va alla make-up artist Federica Lepre, al fotografo di scena Giacomo Campagna, al Prof. Luca Pulvirenti ed ai suoi allievi, Claudio Scozzari, Chiara Pipitone, Manuel Pandolfi, Valentina Onufrio, del Corso di Audio / Video e Multimedia dell’Accademia di Belle Arti di Palermo per le riprese e il montaggio del videoclip dell’esibizione .
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CAP. I Don Giovanni: un thopos di seduzione?
Qui si racchiudono i materiali primi di un’indagine storica nonché antropologica del Don Giovanni. Nonostante la straordinaria quantità e varietà dei lavori comparsi in forme e in tempi diversi, attraverso le quali il personaggio è stato raccontato, le pagine che seguono, si occupano di sintetizzare schematicamente l’opera prendendo come modello le tre versioni “classiche”1, lavoro dovuto a tre autori, rispettivamente: Tirso de Molina in Spagna, nel periodo del Barocco coincidente con le grandi controversie teologiche della dottrina e della devozione dell’Europa cristiana; Molière in Francia, dove la narrazione arriva dai comici dell’Improvvisa; ed infine Mozart - Da Ponte a Praga, dove il capolavoro diventa il mito di riferimento del nostro tempo. A codeste tre versioni, si aggiungono inoltre riferimenti a folktales e ai drammi gesuitici, che intonano tutti temi arcaici legati alle credenze popolari e religiose. A creare il filo conduttore di ogni variazione saranno i due aspetti portanti che strutturano e caratterizzano l’opera, come l’ateismo e la seduzione, ciascuno dei quali rinvia all’altro. Dal processo di cumulazione dell’insieme di queste varianti prenderà forma il capolavoro del Don Giovanni.
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I.1 Dalla antropologia religiosa a Da Ponte Don Giovanni è molto più di un personaggio teatrale, è quello che si può definire un mito2: la figura più celebrata e rappresentativa, più variamente interpretata e più frequentemente riproposta di tutta l’età moderna. Proprio perché è un mito serve a rispondere ai grandi interrogativi dell’essere. Ricca e variegata è la tradizione artistica che lo caratterizza, ché nasce dalla sovrapposizione di figure diverse in contesti narrativi differenti. Non si esaurisce in nessuna delle forme letterarie, teatrali, musicali che lo hanno reso eterno. In esse si trova solo una parte parziale del mito, la totalità strutturale consiste solo dal processo di cumulazione delle variazioni. «Si tratta non di semplice somma, quanto di una selezione cumulativa di motivi e modelli che divengono altrettanti codici cui il racconto mitico ricorre per rideterminare linguisticamente e semanticamente i suoi enunciati»3. All’interno di ogni variazione si presentano elementi di ordine letterario, storico-culturale, popolare, religioso, filosofico, costituendo l’insieme delle varianti: dagli exempla seicenteschi al Burlador de Sevilla di Tirso de Molina, dai drammi gesuitici ai folktales, dal Festin de Pierre di Molière ai “Convitati di pietra” e agli “Ateisti fulminanti” dei comici dell’Arte, fino al Don Giovanni di Da Ponte-Mozart 4. Infatti, l’opera non sembra creare ex-novo un’immagine letteraria, bensì fissare storie e caratteristiche già conosciute da lungo tempo, opere coerenti tra loro nei motivi fondamentali e nella struttura portante. A dispetto di ogni cronologia, di ogni presunta o pretesa origine, si può dire che il sistema delle trasformazioni di età Barocca del Don Giovanni indicano il vero «mito di riferimento»5, quel12
lo in cui si radicano le tante variazioni in un insieme coerente, la somma delle versioni “colte” e quelle “popolari”, dei mille atei, dei mille seduttori e dei mille convitati, che presi singolarmente appaiono isolati del loro particolare storico-folclorico, propagandandosi nella cultura dell’Europa moderna. È in età barocca che prende forma in Spagna la grande versione teatrale del mito di don Giovanni con El Burlador de Sevilla y Convidado de piedra (L’ingannatore di Siviglia e il convitato di pietra), commedia attribuita a Gabriel Tellez, frate dell’ordine della Mercede, conosciuto come Tirso de Molina (Madrid, 1584 - Almazán, 1648). Schematicamente, alla base della costruzione narrativa della pièce ritroviamo la trama comune a esempi di folktales (racconti popolari) diffusi nei paesi europei, nell’Occidente cristiano e nella stessa Spagna, le cui varianti intonano tutti temi molto vicini a quelli che articolano il mito Don Giovanni, ovvero la descrizione dell’incontro con il morto, la burla, l’invito a cena6 e la punizione/vendetta finale scagliata dal morto che ritorna. Quest’ultimi riconducono il tema per un verso a un fondo arcaico costituito dalla pratica rituale dell’offerta di cibo ai morti come modalità dell’elaborazione del lutto e dalle credenze del cammino delle anime nell’altra vita, dall’altro, su tale impianto di base, il frate mercedario innesta essi stessi elementi nel clima della cultura teatrale barocca e nella fase di massima e conflittuale riaffermazione dei principi fondamentali del cristianesimo coincidente con le grandi controversie teologiche, della dottrina e della devozione dell’età della Controriforma7. Tirso, infatti, inserisce la colpa del protagonista nel clima della questione teologica reinterpretandola: Don Giovanni non sfiderebbe un morto qualunque, bensì colui che con la sua morte 13
ha salvato l’intera umanità. A questo, il commediografo aggiunge un tratto anch’esso comune ad alcuni drammi rappresentati nell’ambito delle scuole e dei collegi religiosi del Seicento, la seduzione, inaugurando il filone della tradizione denominata dongiovannesca, ovvero l’inclinazione del protagonista a “ingannare le donne, lasciandole senza onore”8, mettendo al centro dell’azione drammatica non il rapporto con la trascendenza (Dio) o con il soprannaturale (simulacro di un defunto), ma con la donna, con l’umano. La seduzione attribuita a Don Giovanni, è inconcepibile al di fuori del cristianesimo, non solo perché, come dice Kierkegaard (Copenaghen, 1813 - Copenaghen, 1855) “il cristianesimo ha introdotto la sensualità nel mondo”9, per il fatto stesso che esso “ha cacciato la sensualità fuori dal mondo, ha escluso la sensualità dal mondo”10 ma perché la distinzione della sensualità, intervenuta con il cristianesimo, infrange il concetto anteriore di eros classico, inteso come nozione nella quale si saldano organicamente “anima” e “corpo”, sessualità e spiritualità, amore e conoscenza, verso la pienezza originaria. Sullo sfondo della vicenda di Don Giovanni ritroviamo invece la perfezione emblematica dell’agape cristiana, il comandamento di amare con il prossimo e nel prossimo, Dio stesso. L’agape cristiana è una sorta di duplice movimento mediante il quale l’amore che da Dio scende verso gli uomini a Dio stesso ritorna, passando per così dire attraverso l’amore scambievole fra coloro che, proprio per questa ragione, possono definirsi figli di Dio. Il protagonista non rispetta i capisaldi della religione cristiana. Riduce l’amore (agape cristiana) in burla, in inganno, a strumento di conquista anziché assumerlo come tramite di un percorso 14
che, attraverso l’amore scambievole fra gli uomini, conduca a Dio. Infatti, le burle consumate nei confronti delle donne sono un modo diverso per declinare la mancanza di timor di Dio e l’assenza di rispetto per i trapassati. Il dongiovannismo è concepito come fase massima dell’ateismo. È con Tirso de Molina che il Convidado ricompare tra i vivi in forma di statua animata11. Nella maggior parte dei racconti fondati sul tema dell’invito, il revenant, prima di diventare il Convitato di pietra, è spesso un cranio incontrato in un cimitero o in un ossario, oppure uno scheletro o altra apparizione che rappresenti una simillima mortis imago (simile immagine di morte). Il processo di trasformazione dal cranio alla statua di pietra affonda le sue radici nel mondo greco, nel quadro di un simbolismo comune alla pietra e alle ossa, un’immagine della morte come pietrificazione. Nella cultura greca antica, infatti, il defunto è rappresentato da un simulacro di pietra, il Kolossos, qui inteso come sinonimo di fissità, di morte. Nel corso di alcuni cerimoniali legati alla concezione dell’ospitalità, il Kolossos veniva ritualmente ricevuto a tavola dal padrone di casa. Una volta consumato il pasto, l’anima del defunto vi ritornava12. La tradizione drammaturgica barocca riprende questa trasformazione, permettendo straordinari effetti teatrali atti a suscitare nel pubblico una forte emozione. A tal proposito è il caso di citare la scena ultima dell’atto secondo del Don Giovanni di MozartDa Ponte, nella quale possiamo riscontrare una corrispondenza lessicale in ciò che dice Leporello, servo dell’empio, dopo che questi è stato inghiottito dalle fiamme sotto i suoi occhi: «Venne un colosso … / Tra fumo e foco … / Badate un poco … / L’uomo di sasso … / Giusto là sotto … / Se ‘l trangugiò»13. 15
Nel Motif-In-dex di Antti Aarne (Pori, 1867 - Helsinki, 1925) e Stith Thompson (Bloomfield, 1885 - Bloomfield, 1975) con la sigla AT470A e con il titolo The Offensed Skull (Statue)14, compare un esempio di racconto fondato sul motivo dell’incontro del morto il cui prototipo è risalente al quattordicesimo secolo. Si tratta, secondo i due grandi studiosi, di un genere narrativo ricco di varianti, spesso sotto forma di canti popolari. In alcune di queste, il protagonista del racconto, in stato di ubriachezza, bestemmia incontrando il cranio, in altri casi la bestemmia è sostituita da un calcio tirato al morto. Il motivo si presenta frequentemente nelle raccolte di omelie dal quattordicesimo al diciottesimo secolo come rimprovero contro le conseguenze nefaste dell’ebbrezza e della bestemmia, nonché per insegnare a rispettare i morti per non subirne il castigo15. Motivo di lunga durata, al punto da arrivare sino ai nostri giorni, sempre in stretto rapporto al tema della vendetta esemplare dell’anima del purgatorio oltraggiata. Così Prosper Mérimée (Parigi, 1803 - Cannes, 1870) in Le anime del purgatorio riconduce il nucleo mitico della vicenda di Don Giovanni ad alcuni dei grandi temi teologici che attraversano la cultura e l’immaginario dell’Europa cristiana fra Medioevo ed età moderna, facendo del purgatorio l’ambiente soprannaturale dell’incontro tra Don Giovanni e il morto. Secondo le credenze e le dottrine del purgatorio, esso rappresenta storicamente il “terzo luogo”, spazio simbolico dove, diviene possibile la cristianizzazione16. La sua invenzione crea quindi la scena simbolica e immaginaria per la conversione dei revanants - anime ignote che vagano per il mondo, soprattutto in certi luoghi e in certi passaggi stagionali - in defunti cristiani, in anime bisognose dei suffragi e delle cure dei vivi17. Sono moltissimi e 16
particolari i luoghi terrestri che l’immaginario dell’Europa cristiana adotta per collocare/rappresentare i purgatori. Si tratta di grotte o fenditure della terra, spesso legate a fenomeni naturali particolarmente impressionanti: vulcani, fumarole, solfatare e persino luoghi termali sotterranei. È il caso dei bagni di Tripergole, situati sulla costa napoletana, tradizionalmente considerato il vestibolo dell’Ade. Di qui, secondo Pietro da Eboli (Eboli, 1170 ca. - 1220 ca.), autore del De balneis Puntolanis scritto nella seconda decade del sec. XIII, sarebbe passato Cristo per scendere agli inferi e liberare le anime dei giusti: «Est locus australis quo Cristus portas Averni fregit, et eduli mortuos inde suos»18 (Vi è un luogo nel Sud Italia, dove Cristo scardinò le porte dell’Averno, si prese i morti e li portò tra i suoi). La pietas dei vivi, che si prende cura delle povere anime, trasforma i revenants in anime benefiche, soccorrevoli e in grado di concedere favori e grazie come dei santi minori19. Queste anime beneficate, oggetto dei suffragi dei viventi, vengono paragonati anche a una sorta di poveri dell’aldilà per cui, al suffragio-grazia che caratterizza il processo che si istaura tra le anime del purgatorio e i vivi, corrisponde l’elemosina per i poveri di questa terra come rappresentanti dei morti, i loro doppi viventi, e beneficiari di risorse in cambio di preghiere per i trapassati, i simboli della povertà e del bisogno. I poveri su questa terra impersonano quei revenants appestati, decollati, appiccati, morti in guerra, stranieri, viandanti, resi tali da una mancata elaborazione del cordoglio. Ed è proprio alla metà del diciassettesimo secolo che la devozione purgatoriale crea una rete di simboli cultuali che favorisce, per esempio, la fondazione di chiese o cappelle, la diffusione della concezione della chiesa come ossario, come 17
luogo di sepoltura collettiva, le cassettine-teschio utilizzate per la questua per le anime, aventi una fessura parietale e una porticina occipitale per il recupero delle offerte20, iconografie sacre come la Madonna del Suffragio vocate alla devozione alle anime purganti21. Questa si estende non solo alle anime dei propri cari, ma all’anonima e indistinta schiera penante, coinvolta nella vita degli uomini sia per la pratica dei suffragi, sia per il fitto scambio simbolico che viene a instaurarsi tra vivi e morti in nome della caritas. Molto spesso, nell’ideologia e nelle pratiche del suffragio delle anime in pena, ricorre un simbolismo alimentare, offerta di cibo destinato a placare la sete e la fame dei morti. A tal proposito, è interessante citare l’esempio di una figura molto popolare nell’immaginario devoto della Napoli Barocca, San Pompilio Pirrotti (Montecalvo Irpino, 1710 - Campi Salentina, 1766), fondatore di una confraternita dedicata a Santa Maria del Suffragio, che ha fatto della devozione alle anime del purgatorio una delle caratteristiche della sua caritas. Si narra che Padre Pompilio conduceva spesso i fedeli nel cimitero della chiesa invitandoli a pregare per i trapassati allo scopo di soccorrere le povere anime, e spesso passando davanti ad alcuni crani il Santo esclamasse: «Oh, questo in verità ha bisogno!» e, detto ciò, prendesse dalla tasca un “taralluccio” o un pezzetto di pane e li mettesse tra i denti del teschio. I presenti, ripassando per quello stesso punto, notavano che il “taralluccio” o il pezzetto di pane non c’erano più22. La sparizione del pane per l’immaginario devoto diventava l’incorporazione di una metafora teologica, ovvero, il segno materiale della povertà di quelle anime, bisognose di grande aiuto. Quest’ultime, facendo scomparire quel piccolo dono, intendevano mostrare il loro alto gradimento 18
per i suffragi che venivano innalzati a Dio per loro. È anche da questo fitto e secolare intreccio di figure e pratiche del cordoglio che prende forma e senso uno degli elementi strutturali del mito di Don Giovanni, che si manifesta nel Convitato di pietra. L’uomo che invita a cena il morto, stravolge del tutto i valori della pietas cristiana e della reciprocità umana trasformando il suffragio in una blasfema parodia. L’invito a cena è presente in tutte le varianti, leggende e lavori teatrali, del Convitato di pietra e indica il simbolo di una vicinanza pericolosa, di una confidenza eccessiva tra vivi e morti. «Non si pasce di cibo mortale, chi si pasce di cibo celeste»23: il senso contenuto nella celebre aria del Commendatore nella scena diciassettesima del secondo atto del Don Giovanni di Mozart - Da Ponte, è presente in tutte le storie di questo tipo ad avvertire i rischi di una esagerata confidenza, di un contatto-contagio fatale ai vivi. Onorare i defunti, rendendone più agevole il passaggio finale per mezzo dei suffragi è, nella dottrina pedagogica del cristianesimo uno dei suoi punti essenziali, che stabilisce la relazione tra mondano e ultramondano: le relazioni tra gli uomini, tra questi e i defunti, nonché i rapporti tra colpa e punizione, tra tempo ed eternità, tra pietà ed empietà. Nella trattatistica devota barocca si evidenziano le punizioni destinate a quei peccatori tanto empi da mancare di rispetto e da negare suffragi alle anime del purgatorio. La loro colpa scatenerebbe a tal punto la collera di Dio che questi «ponendo mano alla sua spada, nella vita temporale di proprio pugno li trucida»24. La pièce di Tirso de Molina è di grandissima importanza, in quanto risulta essere il punto di confluenza e di diramazione dei diversi registri culturali e simbolici che si stratificano nella vicenda. Ed è proprio questa versione, la versione 19
del Burlador di epoca barocca, a creare l’architettura portante del mito, costituita dalla sovrapposizione di quelle diverse parti culturali rese compresenti e comunicanti tra loro. Un esempio è dato dai concetti di “popolare” e “precristiano”, spesso accomunati illecitamente a quel fondo arcaico presente nelle credenze folcloriche, di quel paganesimo popolare la cui permanenza è all’origine delle missioni che la Chiesa controriformata affida agli ordini religiosi, particolarmente alla Compagnia di Gesù25, allo scopo di evangelizzare le plebi pagane d’Europa, ivi è evidenziata la pertinenza teatrale e performativa nella scelta dei luoghi di predica e di missione, le tecniche persuasive più adatte, la valorizzazione delle potenzialità degli spazi di penitenza: «E nel primo luogo vò porre la scuola di mortificazione; così stimo, si debba con ogni giusta ragione chiamare una Chiesa, catacomba, od altra stanza scelta dal padre della missione per la più atta al suo disegno. Questa con lugubre apparato e dolorosa pompa funestamente s’adorna, se n’esclude quanto può la luce del sole, e con soli alquanti lumi ò d’olio, ò di cera con un divoto horrore s’escludono ancora benché debitamente le tenebre: stendonsi su ‘l pavimento nere gramaglie, e sopra di esse lunghe filze d’ossa, e teschi di morti tramezzati di spine funi, e altri stromenti di penitenza; e in capo alla stanza disteso decentemente in sù d’un qualche nero tapeto il Santissimo Crocifisso. Intorno preparansi piccole bacche, e altre tavole per accomodarsi gli uditori a sedere. Lasciasi nel mezzo una piazza, nella quale il Padre, à chi tocca ò passeggiando ò fermo, con un teschio morto in mano, in forma d’una furente meditazione propone agli uditori varij, e utilissimi punti da ruminare»26.
20
L’ostentazione del teschio - tipologia iconografica più comune per la rappresentazione dell’anima del purgatorio - è utilizzata come strumento per far accrescere la devozione attraverso la paura del castigo soprannaturale e raggiunge il suo culmine nella predica seicentesca. Infatti, durante il momento del sermone sulla morte - il cosiddetto dialogo con il “teschio di morte” - il predicatore si sdoppiava sulla scena del pulpito e forniva la sua voce al defunto: «Voglio far venire un altro predicatore, su questo pulpito, vostro paesano, ma venuto dall’altro mondo e voglio farvi fare da esso la predica della morte […] e in ciò dire prenderà le torce accese e dirà al popolo via! prima che venghi quell’altro predicatore cercate perdono a Gesù Cristo, sì correte a Maria Santissima, e intanto subito prenderà il teschio di morte e lo girerà con le torce accese avanti, e dopo farà un dialogo di domande fra lui e il teschio, avvertendo però che quando parla il teschio, si volterà al medesimo e quando poi farà rispondere il teschio, si volterà al popolo. Si avverte pure che la risposta che lui stesso darà al popolo da parte del teschio, la darà sempre a terzo tono di perorazione»27
Il “terzo tono”, così, sottolinea come nella predica e nelle “scuole di mortificazione”, si configuri una vera e propria recita della devozione. L’istruzione, la predicazione, le missioni, la catechesi e le penitenze trovano nel teatro, o meglio nella polisemica teatralità del barocco, uno strumento pedagogico. Le chiese stesse si trasformano in luoghi teatrali portando in scena ballate popolari e, più specificatamente, una serie di drammi di miracoli, premi, martirii e terrificanti castighi, con effetti macabri, apparizioni di morti che tornano al mondo come messi soprannaturali a punire chi conduce una vita dissoluta e senza 21
timor di Dio. Fra tali drammi, è opportuno citare quello rappresentato nel 1615, nel collegio dei Gesuiti di Ingolstandt, in Baviera, intitolato Storia del conte Leonzio che, corrotto dal Machiavelli, ebbe una fine terribile di cui riferisce il teologo della Compagnia di Gesù Paolo Zehentner28. È una vicenda molto simile a quella che si ritroverà nel Burlador: un giovane dissoluto, ateo, che andandosene a spasso prima di cena, passando per un cimitero si imbatte in un cranio con il quale inizia, in maniera offensiva, una discussione su articoli di fede come l’immortalità dell’anima, l’esistenza di un’altra vita, del bene e del male, di Dio stesso. Rimproverato dal cranio, l’empio spavaldamente lo invita a cena. La storia ha termine con la punizione dello scellerato. Il morto, infatti, giunge puntuale a far giustizia del giovane, scagliandolo con tanta forza contro un muro e trascinandolo all’inferno, dopo che il convitato-giustiziere ha pronunciato le parole che determinano la tremenda punizione: «È accaduto che per le mie colpe io bruci già da tempo nell’incendio dello Stige […]. La medesima sorte, o nipote mio, colpirà anche a te fra poco, perché, bandito ogni costume di devozione, senza ragione, senza legge, senza Dio, senza coscienza, scivolasti nel precipizio di tutti peccati»29. Risulta impossibile stabilire il percorso seguito dal nucleo originario della leggenda, fino a raggiungere la forma con la quale essa si presenta nel Burlador. La storia dell’empio spregiatore dei trapassati secondo molti è di origine italiana, perché si conservano tracce in una serie di ballate e racconti popolari, in numerose varianti regionali, in Toscana, a Ferrara, a Venezia e in Sicilia30. Per esempio le Novelle popolari toscane raccolte e illustrate da Giuseppe Pitrè31. Successivamente, dall’Italia ebbe 22
larghissima diffusione in tutta Europa approdando al teatro dei burattini, genere di largo consumo popolare e stabilendosi nel repertorio drammatico dei collegi gesuitici germanici. Si può riconoscere che, qualunque sia l’origine, … «… provenga dalle regioni scandinave, dalla Germania, dalla Francia o dall’Italia, si tratta in fondo sempre della stessa favola che si è diffusa di paese in paese, assumendo in ciascuno un colore e un senso un poco differente: divenendo in Italia una lezione contro gli atei; prendendo nei paesi del Nord un carattere più mistico; trasformandosi in Francia in una facezia macabra; mettendo in scena in Spagna non già un empio, un contadino ubriaco, o un malvagio, ma un corteggiatore di donne - un Don Giovanni»32.
All’interno della produzione gesuitica, si possono prendere in considerazione oltre al Leonzio, altre narrazioni e soggetti messi in scena negli stessi anni, che risultano legati ai temi fondamentali del mito, quelli connessi alla lotta contro l’ateismo, al libertismo, al machiavellismo e quelli centrati al polo della sensualità e della seduzione. Uno di essi è una storia di origine ispanica, ma rielaborata in Germania da autori gesuiti. Il protagonista, il conte Garcìa di Valdeverde, è caratterizzato dal contrasto tra i piaceri della carne e i doveri della fede. Egli si muove all’interno delle passioni e della trasgressione erotica, passa di conquista in conquista fino a giungere a sfidare Dio stesso strappando una monaca da un convento. Egli viene infine punito, costretto prima ad assistere al suo funerale e successivamente portato via dalla morte e dal diavolo. La persistenza del tema del defunto oltraggiato che torna a vendicarsi è dimostrata ancora oggi da storie come “la leggenda del Capitano”, presente nella 23
tradizione orale napoletana, strettamente connessa al culto delle anime del purgatorio. La storia ha come protagonista una delle cosiddette “anime abbandonate” i cui resti mortali si trovano nel cimitero delle Fontanelle, un’imponente grotta-ossario, che raccoglie migliaia di crani, identificati dall’immaginario devoto come anime purganti senza pace appartenuti a degli sventurati che morirono drammaticamente e senza conforti: privi di cordoglio. Marinai, appestati, decollati, soldati e in generale tutti “male morti”, di origine ignota, per questo chiamate anche «anime scordate» o, ancor più significativamente, anime pezzentelle33. Il loro abbandono e la loro marginalità persisterebbe anche nell’altra vita se non fosse per le cure e per le preghiere dei devoti, i soli capaci di restituire loro la pace. Nel corso dei secoli, in questi luoghi dove il culto è tuttora vivo, sono stati ritrovati resti umani appartenenti a epoche diverse34. Questa origine misteriosamente lontana e arcaica dei crani, accresce la carica simbolica. Si tratta quindi di «anime antiche», in quanto tali sono riconducibili dall’immaginario devoto ad alcuni momenti storici particolari, come il martirio dei primi cristiani, le guerre, le esecuzioni capitali, le grandi epidemie, che ne determinano la condizione di precarietà e di bisogno. È questo lo sfondo simbolico e culturale in cui va collocata la leggenda del Capitano. La storia narra di una coppia di promessi sposi che si reca in visita all’ossario. L’uomo, malvagio e miscredente, si prende gioco della devozione della sua fidanzata e incurante del luogo dove si trova, tenta addirittura di sedurla. Quando viene prodigiosamente apostrofato da un cranio che gli rimprovera il suo comportamento oltraggioso. Per nulla intimorito il giovane risponde di non temere la voce di un morto. 24
E con atteggiamento di sfida, invita il cranio al suo banchetto nuziale. Passa del tempo e finalmente arriva il giorno delle nozze. All’imbrunire, alla fine della festa, bussa alla porta un signore lugubremente vestito di nero e con il volto semicelato. Il misterioso convitato chiama a gran voce lo sposo che arriva ad accoglierlo. E quando gli porge la mano, cade morto all’istante35. In molti folktales iberici, anch’essi fondati sul motivo del morto convitato, il protagonista si rivolge al defunto, cranio o statua che sia, chiamandolo gran capitano, lo stesso nome del cranioanima protagonista della storia napoletana36. Ma c’è di più, si trova analogia anche dal punto di vista etimologico e semantico tra le parole capitano e caput ovvero testa, teschio. Un’altra corrispondenza arcaica legata alla leggenda di Don Giovanni,è data dalla festa di san Giovanni Battista, «che cade il 24 giugno - giorno in cui il calendario precedente a quello gregoriano collocava il solstizio d’estate, ora anticipato al 21 giugno - momento in cui confluiscono temi calendariali precristiani legati al simbolismo delle messi e alla festa latina di Fors/ Fortuna»37. Al complesso rituale del festeggiamento del santo, vengono trasmessi dal mondo pagano contenuti e simbolismi di tipo trasgressivo e sessuale. Al nome del Battista sono legate anche quelle pratiche simbolico-rituali caratterizzate dal tema del ritorno dei morti, incrociato a quelli della fecondità e dell’erotismo, festa del legame matrimoniale, ma anche momento cerimoniale per sollecitare passioni e amori extra coniugali. Come scrive A. Farinelli (Intra, 1867 - Torino, 1948), sulla base di molti studi e di testimonianze sulle tradizioni popolari europee, in molte storie fondate sull’immagine del morto che 25
punisce, è possibile notare che l’invito a cena avviene proprio la notte di san Giovanni. Proprio per questo al santo viene attribuito nell’immaginario cristiano europeo il patronato sulle anime purganti e in particolare sulle anime dei condannati a morte. Don Giovanni e san Giovanni sembrano essere legati dalle credenze del ritorno delle anime in pena, alla storia del Convitato di pietra, ed infine a quella del Capitano. In merito a queste pratiche e credenze, sarebbe derivato al nome Giovanni un potere magico e contemporaneamente inquietante. Il culto delle anime in pena e il tema del morto giustiziere sono due motivi riconducibili e determinanti al ruolo centrale della cultura napoletana nella diffusione europea del mito di Don Giovanni. Proprio a Napoli, infatti, il Burlador di Tirso fu tradotto per la prima volta da «un Onofrio Gilberto da Solofra che stampò il suo lavoro in Napoli»38 opera di cui non è rimasta traccia, ed è qui che ebbe la sua prima rappresentazione fuori dalla Spagna. Nel corso del suo passaggio per Napoli, pare che l’opera abbia perso alcuni dei suoi caratteri più solenni e gravi tipici della scena ispanica, per appropriarsi di altri propri della Commedia dell’Arte39. Gli attori dell’Improvvisa svilupparono il lato comico del personaggio, prestarono all’opera ispanica personaggi come quello del Capitano che diverrà un vero e proprio tipo fisso e inoltre mescolarono gli elementi drammatici con momenti buffi, ispirati agli scenari dell’Arlecchino Domenico Biancolelli (Bologna, 1636 - Parigi,1688. È stato un attore italiano) o il Trivellino Domenico Locatelli (1613 - Parigi, 1671. È stato un attore italiano). Secondo Georges Gendarme de Bévotte (1867 - 1938) fu proprio il dramma di Gilberto da Solofra e il lavoro di Biacolelli a sbarcare in Francia, fornendo la prima 26
vera fonte del Dom Juan ou Le Festin de Pierre del commediografo e attore teatrale francese Molière (Parigi, 1622 - Parigi, 1673), messa in scena per la prima volta il 15 febbraio del 1665, nella sala del Palais-Royal. Il Burlador cambia titolo e diventa Dom Juan, il personaggio della parabola tirsiana si trasforma in un libertino scettico e disincantato. Nella reinterpretazione di Molière si trovano alcuni elementi nuovi che risulteranno decisivi ai fini di rendere più comprensibile la personalità dell’eroe e più definito il significato complessivo del dramma. Infatti, è esemplare la scena conosciuta come l’incontro con il Povero, il vero architrave sotto il profilo strutturale e concettuale della commedia. Dom Juan, seguito dal suo servo, incontra un mendicante che gli indica la strada mettendolo in guardia contro i pericoli del cammino, e subito dopo gli domanda l’elemosina promettendogli in cambio di pregare il Cielo per lui. Al che il protagonista risponde al povero: «Eh, pregalo che ti conceda un abito, invece di preoccuparti degli affari degli altri»40. Interviene allora il servo che pronuncia una battuta di fondamentale importanza gettando una luce molto netta sulla vera natura della colpa del suo padrone: «Non conoscete il Signore qui presente, buon uomo; crede solo che due più due fa quattro, e che quattro più quattro fa otto»41. Segue uno scambio di battute in cui il signore si prende gioco del povero e della sua devozione, del tutto inutile dato che non serve ad assicurargli una condizione materiale decente: «Vuoi scherzare! Un uomo che prega il Cielo tutto il giorno non può mancare nulla!»42. Al vecchio che risponde di non avere nemmeno un tozzo di pane da mettere sotto i denti, Dom Juan fa una considerazione sull’ingratitudine di Dio nei confronti di chi ripone tanta fede in lui, e subito dopo pronuncia 27
una frase: «Ah, ah, ti darò subito un luigi d’oro, purché tu voglia bestemmiare»43. Il pio uomo rifiuta inorridito e dice che è preferibile morire di fame piuttosto che commettere un così tremendo peccato. Al che l’ateo, allungando la moneta al mendicante, gli dice: «Va’, va’, te lo do per amore dell’umanità»44. E subito dopo fugge via per correre in soccorso di un uomo assalito da tre malviventi. In questo scorcio si nota l’atteggiamento miscredente del protagonista. Egli mette in ridicolo la relazione tra elemosina e intercessione, fondamento della dottrina del purgatorio nella Chiesa post-tridentina. L’elemosina diventa qui non un gesto di pietà, ma il ricompenso di un peccato come la bestemmia che il protagonista incarica di compiere al povero. Al rifiuto di bestemmiare, il libertino dona lo stesso la moneta «per amore dell’umanità», formula che rappresenta l’esatto opposto della carità fatta per amor di Dio. Inoltre, Dom Juan, uomo che non crede a nulla se non che «due e due fanno quattro», lascia il povero per correre a salvare un uomo assalito da tre malviventi, mostrando quanto il vivo possa essere perfettamente in grado di aiutare se stesso e gli altri, senza alcun bisogno che Dio invii i defunti in soccorso. Ma non è tutto. Il Dom Juan della versione molieriana risulta essere anche un personaggio assolutamente originale su un altro piano, ovvero quello del libertinismo. Il termine libertino viene impiegato originariamente nel Cinquecento per indicare con disprezzo coloro i quali appartengono a gruppi religiosi antinomisti45 che professano una concezione panteistica, alla quale corrisponde una pratica amoralistica e una spiccata libertà di costumi sessuali. Nel Seicento assume un carattere più preciso in 28
senso culturale e prettamente filosofico. Il movimento culturale da esso derivato è denominato libertinage érudit, si afferma prima in Italia in particolare con Macchiavelli, e successivamente in Francia coinvolgendo molti poeti e letterati. Le tesi più radicali del movimento, quali la separazione della morale dalla religione in nome della tolleranza e contro ogni forma di fanatismo; impostazione antiaristotelica nel campo della metafisica, e anticartesiana sul piano dell’indagine fisica; empirismo dal punto di vista gnoseologico46, si trovano scritti nel trattato Theophrastus redivivus47, di autore sconosciuto pubblicato nel 1660, nel quale sono evidenti a sua volta influenze di un testo medievale Detribus impostoribus48, trattando anch’esso la critica della religione come espressione del timore superstizioso dei popoli. Il libertinage érudit, è collegato anche al “libero pensiero” rinascimentale e alle prime espressioni dell’Illuminismo, con le mediazioni di autori come Bernard le Bovier de Fontenelle (Rouen, 1657 Parigi, 1757) e Pierre Bayle (Carla le Comte, 1647 - Rotterdam, 1706)49. Secondo questi brevi accenni è possibile intravedere la coincidenza netta delle caratteristiche di Dom Juan con le teorie e le pratiche proprie del più importante movimento filosoficoculturale del Seicento francese, ovvero l’Ateismo50. È il servo ad offrire durante una conversazione con Donna Elvira una descrizione precisa del ritratto del libertino: «Ti voglio informare […] che don Giovanni, il mio padrone, è il più grande scellerato che abbia mai calcato la crosta terrestre, un forsennato, un cane, un diavolo, un turco, un eretico, che non crede né al Cielo né all’Inferno [né ai santi né a Dio] né al lupo mannaro, che trascorre l’esistenza da vero bruto, una bestia, un porco di Epicuro, un vero Sardanapalo, che non dà retta a qualsiasi [cristiana] rimostranza gli venga fatta, e considera una fola tutte le cose in cui crediamo»51. 29
Lo stesso don Giovanni completa in maniera ancor più dettagliata il discorso fatto dal suo servo. Infatti, per risponde alle critiche mosse dal servo, esprime le sue convinzioni di carattere filosofico non minimizzando, o relativizzando, le sue presunte colpe, ma mostrandone invece il fondamento razionale, rendendone esplicita l’intenzionalità, criticando o meglio rovesciando le opinioni correnti inculcate da una morale ipocrita e da una religione vissuta in maniera farisaica, per quanto riguarda i principi fondamentali che devono guidare il comportamento in tema di fedeltà e di costanza non solo dal punto di vista religioso ma anche della seduzione nei confronti delle donne, ritenendo non rispettoso riservare attenzioni soltanto a una fra esse, trascurando le altre. «Ti par bello avere il vezzo della fedeltà, questo falso onore, seppellirsi per sempre in una sola passione, ed esser morto fin dagli anni giovanili a qualsiasi beltà che nuovamente possa impressionare i nostri occhi? No, no, la costanza è la virtù delle persone da poco [«n’est bonne que pour des ridicules»], ogni bella donna ha il diritto di sedurci, e il vantaggio di essere arrivata prima non deve togliere alle altre il diritto, che tutte giustamente rivendicano, di aspirare al nostro cuore»52
L’aspetto che qui assume la seduzione e l’amore, inteso non come eros né tanto meno come agape, è la vittoria, il compiacimento della sopraffazione53. L’attività della conquista che scaturisce da quegli istinti e bisogni, desideri e impulsi, che sono alla base di una modalità di rapporto fra gli uomini primitiva dell’amore, quale la guerra e il godimento di ciò che si è conquistato sono il vero scopo e motore delle imprese amorose di Don 30
Giovanni. Tutte le sue conquiste non derivano dal suo aspetto e dalle sue qualità, ma dall’inganno per mezzo della metamorfosi, del travestimento, inteso come continua variazione di identità, presentandosi come altro da sé. Il mascheramento, già introdotto da Tirso nelle prime battute del Burlador, risulta evidente nella risposta del protagonista ad una delle donne che gli chiede di rivelare la sua identità: «Chi sono? Un uomo senza nome» e successivamente al re che gli pone la stessa domanda egli dice: «Chi volete che sia? Un uomo e una donna». Questo tema che ritorna anche nella versione molieriana è il principio che determina l’inafferrabilità della personalità del dissoluto, la sua propensione all’inganno va ben oltre la relazione con le donne, facendo della burla il modello del rapporto con qualunque individuo, come pure con la morte e la divinità, quindi con l’intero ordine del mondo. Il Dom Juan si presenta come un modello di comportamento che aspira a essere sostanzialmente più giusto di quello che è dettato dal conformismo e dall’ipocrisia della società della sua epoca. Infatti, è sostenitore della superiorità della ragione sulla superstizione, contro ogni forma di fanatismo, propugnatore del valore della scienza, distruttore delle false credenze e dei valori di una società ingabbiata da un cristianesimo stabilito, attuando una piena autonomia nei confronti delle norme religiose e della morale tradizionale. Molière sarà accusato di aver portato l’ateismo in teatro prendendosi gioco dei misteri della fede mettendo in ridicolo la credenza sia di Dio che del Diavolo, sovvertendo le norme della religione e della morale cattolica. E per l’aver insinuato nelle coscienze idee e atteggiamenti libertini corrompendo i costumi. 31
La nuova piéce verrà censurata e mai più riproposta da Molière vivente. Per rivederla sul palcoscenico bisognerà aspettare quasi due secoli54. Nel frattempo, l’opera verrà affidata e commissionata dalla vedova dell’autore al drammaturgo francese Thomas Corneille (Rouen, 1625 - Les Andelys, 1709) dopo la morte del marito, che presenterà una versione purificata da quelle parti ritenute oscene e sconvenienti che potevano imbattersi nuovamente a censure. La scena del povero, scena di argomento religioso e sociale, scomparirà definitivamente, verrà sostituita dalla seduzione di una ragazzina quattordicenne, evidenziando piuttosto le imprese amorose del protagonista. Versione che circolerà sotto il nome di Molière fino alla metà circa dell’Ottocento. L’ateista, che si prende gioco della morte e delle leggi di Dio diventa così seduttore. Con questa trasformazione la prospettiva mitica cambia la sua direzione e il protagonista cambia volto, il peso drammatico si sposta dal punitore al punito, ponendo il seduttore a eponimo del dramma e il Convitato di pietra nel ruolo di comprimario, se non perfino di caratteristica. Si tratta di un passaggio che inizia con Molière e con i comici per giungere a compimento con Mozart (Salisburgo, 1756 - Vienna 1791)- Da Ponte (Ceneda, 1749 - New York, 1838) il quale fornirà la forma definitiva del mito a noi conosciuto. Proprio quest’ultimi autori, daranno al loro capolavoro il nome di Don Giovanni aggiungendo il sottotitolo O sia il dissoluto punito, così da costituire la doppia articolazione del mito. Quel «o sia» indica, infatti, l’irriducibile duplicità del mito tra il seduttore e l’ateo, ciascuno dei quali rinvia all’altro.
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«Esiste una assoluta contiguità tra il seduttore che si compone dei pezzi dell’ateo e quest’ultimo che non potrebbe realizzare compiutamente il suo ateismo senza la seduzione, intesa etimologicamente non come attrazione bensì come sviamento, come perdizione, come distrazione e distruzione dell’altro»55.
L’ateismo può dirsi pienamente compiuto solo attraverso la più estrema delle metafore carnali: la seduzione. Essa è intesa qui come il rovescio della disciplina cristiana, di un ideologia e di una morale sessuofobiche, che riduce il corpo a funzione generativa della vita. È la seduzione il modo in cui Don Giovanni distrugge «ogni stabile intesa tra maschio e femmina destinata, in senso istituzionale, a propagare la vita»56. Il capolavoro di Mozart - Da Ponte assurge a mito di riferimento del nostro tempo, ricreando l’immagine madre di tutte le altre, compresa quella di Tirso, di Moliére, e della commedia dell’arte nonostante la loro precedenza cronologica. Quest’opera costituisce il passaggio dal “parlato” al “cantato”, inteso non solo dal punto di vista tipologico della varietà storica dei generi letterari relativi al mito di Don Giovanni, ma coincidente soprattutto con l’arrivo di quel linguaggio “la musica” più adatto a esprimere l’irriducibilità del personaggio a qualsiasi principio, parola che voglia definirne l’essenza. Infatti, l’aspetto più caratterizzante e filosoficamente più significativo di questa versione è l’imperfetta coincidenza fra il testo letterario e quello musicale. Di qui la strutturale ambiguità di questo “dramma giocoso”, genere teatrale dell’epoca, che cerca di fondere elementi di opera seria e di opera buffa, mescolando sapientemente momenti comici con momenti drammatici. Rispetto al testo letterario di Da Ponte, che ne ricalca una schematica e tendenzialmente alleggerita ri33
proposizione del mito fedele e conforme ai più scontati stereotipi della tradizione e alle opere buffe dell’epoca, è la partizione musicale creata da Mozart che gli conferisce straordinaria carica innovativa. I due registri, non si integrano, non si fondono in un insieme lineare, anzi, la peculiarità qui consiste nella disarmonica compresenza di componenti conflittuali. Mozart, infatti, non compone affatto la sua musica con la funzione di accompagnare il libretto, né di illustrarlo o di tradurlo, ma piuttosto, ad esso la contrappone, introducendo intenzionalmente dissonanze, squilibri e forzature. «Già nell’esordio, non l’armonia, ma la dissonanza - fra “parole” e “musica”, fra il tema dell’inganno e della seduzione e quello della vendetta, fra tradizione e innovazione, fra vita e morte, fra gioco e dramma - emerge come tratto specificamente distintivo dell’opera, come suo marchio costante e inconfondibile»57.
Il Don Giovanni non è più né il Don Juan blasfemo, incarnazione dell’Anticristo avente la grandezza demoniaca del protagonista di un dramma teologico quale quello della tradizione che fa riferimento all’interpretazione tirsiana, né il Dom Juan conquistatore, libertino e satanico rappresentato da Molière. Più semplicemente, forse per la prima volta nella lunga tradizione del mito, appare come l’immagine compiuta del “dissoluto”, libero da ogni legame religioso e da ogni impegno filosofico, privo di freni di carattere etico,di scrupoli e di palpiti emotivi, ma soprattutto carente di dubbi, incertezze o ripensamenti, non segnato da conflitti. Una vera e propria caricatura, o se si vuole una maschera, del tutto inadeguata a reggere il peso del 34
dramma, quale è quello che nel finale dell’opera si abbatte su di lui. Egli è un malandrino, un reprobo, compiutamente risolto nella sequenza di comportamenti condannabili, quali omicidio, inganno, minaccia, travestimento, fuga, oltraggio, il cui castigo finale suona come giusta punizione. Il ricorso alla violenza, all’inganno, al travestimento, sono il segno di un fallimento, la necessità di presentarsi diverso da quello che si è, allo scopo di raggiungere ciò che altrimenti resterebbe precluso.
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Note 1 Curi 2002, p. 8. 2 Mito s. m. [dal gr. μῦϑος «parola, discorso, racconto, favola, leggenda»]. 1.Narrazione fantastica tramandata oralmente o in forma scritta, con valore spesso religioso e comunque simbolico, di gesta compiute da figure divine o da antenati (esseri mitici) che per un popolo, una cultura o una civiltà costituisce una spiegazione sia di fenomeni naturali sia dell’esperienza trascendentale, il fondamento del sistema sociale o la giustificazione del significato sacrale che si attribuisce a fatti o a personaggi storici; con lo stesso termine si intende anche ciascuno dei temi della narrazione mitica in quanto trattati ed eventualmente rielaborati in opere letterarie o filosofiche […]. http://www.treccani.it/vocabolario/mito/. 3 Niola 2006, p. 64. 4 Sull’argomento, v. infra p. 39. 5 Niola 2006, op. cit., p. 25. 6 Curi 2002, op. cit., p. 50. 7 Controrifórma (o Controrifórma) s. f. [comp. Di contro- e riforma, secondo il modello del ted. Gegenreformation]. 1. Varia e multiforme opera svolta dalla Chiesa cattolica per arginare la Riforma protestante e riconquistare a sé le popolazioni che tale Riforma avevano seguito; iniziatasi quasi contemporaneamente alla Riforma protestante (cioè verso il 1517), agì con particolare intensità fra il quinto e il nono decennio del sec. 16°, operando sia nel campo del dogma (soprattutto con il Concilio di Trento del 1545), sia in quello della disciplina ecclesiastica (con varî ordini religiosi, primo fra i quali la Compagnia di Gesù), valendosi di mezzi religiosi, politici, giudiziarî (tra i quali è famoso il tribunale ecclesiastico dell’Inquisizione), polizieschi e militari, con lunghe e numerose guerre di religione. Anche, il periodo storico caratterizzato dalla nascita e dallo sviluppo di tale movimento. In senso fig., mentalità, metodi, da c., un clima di c., caratterizzati da uno spirito d’intolleranza e di repressione della libertà di coscienza e di pensiero. http://www.treccani.it/vocabolario/controriforma/. 8 Curi 2002, op. cit., p. 50. 9 Kierkegaard 20102, p. 65; prima ed. 1843. 10 Ibid. 11 Niola 2006, op. cit., p. 29. 12 Ivi, p. 55. 13 Mozart 1993, p. 141. 14 Niola 2006, op. cit., p. 30. 15 Ibid. 16 Ivi, p. 14. 17 Ibid. 36
18 Ivi, p. 16. 19 Ibid. 20 Ivi, p. 32. 21 Ivi, p. 22. 22 Ivi, p. 23. 23 Mozart 1993, op. cit. p. 135. 24 Ivi, p. 24. 25 Compagnia di Gesù. Ordine religioso di chierici regolari, fondato nel sec. XVI da S. Ignazio di Loiola (v.), i cui membri sono chiamati comunemente “gesuiti” dal nome di Gesù. http://www.treccani.it/enciclopedia/compagnia-di-gesu_(Enciclopedia_ Italiana)/ 26 Niola 2006, op. cit., p. 31. 27 Ivi, p. 32. 28 Curi 2002, op. cit., p. 40. 29 Ivi, p. 41. 30 Ivi, p. 42. 31 Niola 2006, op. cit., p. 43. 32 Curi 2002, op. cit., p. 43. 33 Niola 2006, op. cit., p. 49. 34 Ivi, p. 50. 35 Ivi, p. 51. 36 Ivi, p. 56. 37 Ivi, p. 60. 38 Ivi, p. 53. 39 Ibid. 40 Molière 1997, p.125. 41 Ibid. 42 Ibid. 43 Ivi, p. 127. 44 Ibid. 45 Antinomista s. m. e f. e agg. [Der. Di antinomismo] (pl. m. -i). - Seguace o fautore dell’antinomismo. http://www.treccani.it/vocabolario/antinomista/. Antinomismo s. m. [comp. Di anti-1 e del gr. νόμος «legge»]. - Avversione alla Legge intesa in senso religioso (la Legge mosaica e, in genere, l’Antico Testamento); il termine si riferisce soprattutto a sette gnostiche e marcionite nella Chiesa antica, a sette medievali, e ad altre particolari dottrine. http://www.treccani.it/vocabolario/antinomismo/. 46 Gnoṡeològico agg. [der. di gnoseologia] (pl. m. -ci). – Relativo alla gnoseologia:problema gn.; dottrina gnoseologica. Più genericam., che riguarda la conoscenza, conoscitivo: validità gnoseologica. Avv. gnoṡeologicaménte, dal punto di vista della gnoseologia e, per estens., 37
della conoscenza. http://www.treccani.it/vocabolario/gnoseologico/. Gnoṡeologìa s. f. [dal lat. mod. gnoseologia, termine coniato dal filosofo ted. A. G. Baumgarten (1714-1762) con il gr. γνῶσις – εως «conoscenza» e -λογία «-logia»]. – Termine usato (in una partizione ormai desueta della filosofia in metafisica, etica e gnoseologia) per indicare la dottrina o teoria della conoscenza umana, con riferimento soprattutto alla ricerca dei suoi fondamenti, alle sue strutture e modalità, nonché alla sua validità e verità. Anche la dottrina, la teoria del conoscere enunciata da un determinato filosofo, da una determinata corrente di pensiero: g.aristotelico-tomista, g. empiristica, g. kantiana, ecc. http://www.treccani.it/vocabolario/gnoseologia/. 47 Hessling, Elias Johannes, Theophrastus Redivivus Hoc est Usus Practicus Azothi, sive Lapidis Philosophici Medicinalis, qui vera Tinctura corporis humani, Gratia divina in his ultimis temporibus nobis redonati […], Ed. Ammon, Francoforte 1659. 48 De tribus impostori bus. Libro contenente la denuncia delle tre religioni storiche come imposture e dei rispettivi fondatori (Mosè, Cristo, Maometto) come impostori. Stampato per la prima volta in Germania verso la metà del Settecento, ma con la data del 1598, è citato più volte nelle polemiche contro atei, deisti e ‘libertini’ del Seicento, come un testo ‘clandestino’, che nessuno aveva letto ma del quale tutti sembravano conoscere il contenuto; di volta in volta era attribuito agli ‘eretici’ più in vista per antica fama o per polemiche recenti: da Federico II a Rabelais, da Serveto a Machiavelli, da Pomponazzi a Bruno e Vanini. Il problema dell’origine dello scritto e del suo autore resta aperto, ma non è possibile farlo risalire più indietro della metà del Seicento. http://www.treccani.it/enciclopedia/ de-tribus-impostoribus/. 49 Curi 2002, op. cit., p. 131. 50 Ateismo s. m. [dal fr. athéisme, der. Di athée «ateo»]. – Genericam., il non credere nell’esistenza di Dio o di ogni altra divinità, per agnosticismo, scetticismo o indifferenza religiosa; il termine, spec. in passato, fu riferito all’atteggiamento di pensiero e di vita di chi non aderiva alle credenze religiose o alla filosofia ufficiale della propria comunità, e fu spesso confuso con il materialismo, il panteismo, l’epicureismo. Più in partic., soprattutto in epoca moderna, la dottrina che nega l’esistenza di Dio, considerato come principio unitario, personale e trascendente dell’universo, detta anche a. teoretico, distinto dall’a. pratico, che è quello di chi assume nei riguardi dell’esistenza di Dio un atteggiamento di scettica indifferenza. http://www.treccani.it/vocabolario/ateismo/. 51 Curi 2002, op. cit., p. 130. 52 Ivi, p. 135. 53 Ivi, p. 142. 38
54 Ivi, p. 113. 55 Niola 2006, op. cit., p. 87. 56 Ibid. 57 Curi 2002, op. cit., p. 188.
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Capitolo II Don Giovanni sulla scena
Chiunque pensi al Don Giovanni ormai fa riferimento al capolavoro del dissoluto punito creato dal duo Mozart - Da Ponte. Come detto nel capitolo precedente (pag. 31), esso ricrea l’immagine madre di tutte le altre, anche quelle comparse cronologicamente prima, a conferma del fatto che, come affermava Walter Benjamin (Charlottenburg, 1892 - Portbou, 1940), in Il Dramma barocco tedesco, “L’origine sta nel fiume del divenire come un gorgo e trascina dentro la propria ritmica il materiale della nascita. L’origine non è emergente dai dati di fatto, essa ne è la preistoria e la storia successiva”1. Qui mi occuperò di presentare una schematica ma concreta rassegna delle interpretazioni / rappresentazioni “storiche” nel nostro secolo del Don Giovanni di Mozart - Da Ponte. La ricerca si avvale in parte di alcuni Don Giovanni citati già nel Dizionario dell’opera2 a cura del critico letterario e musicale Piero Gelli (Firenze, 1939), e continua indagando sulle ultime rappresentazioni del suddetto “dramma”. Tutto ciò non senza aver prima tentato di ricostruire brevemente, anche se è un impresa praticamente impossibile per le deboli testimonianze a riguardo, la storia e le vicende inerenti alla nascita di codesta versione. Il Dissoluto punito. Ossia il Don Giovanni. L’opera fu commissionata a Mozart appena dopo il grande successo praghese nel dicembre del 1786 di Le Nozze di Figaro, ossia la folle giornata (musica di Mozart su libretto di Lorenzo Da 41
Ponte), dai due condirettori del Teatro Nazionale, l’impresario nonché tenore Domenico Guardasoni (Modena, 1731 - Vienna, 1806), e il capocomico Pasquale Bondini (… - Brunico, 1789). Proprio per il successo riscontrato dalla rappresentazione del Figaro, anche questa volta Mozart richiamò naturalmente a collaborare con sé Lorenzo Da Ponte, il quale suggerì il soggetto della nuova opera. Nella stesura del testo il librettista attinse a piene mani da altri “Convitati” intere strofe3, specialmente dal libretto de Il Convitato di pietra di Giovanni Bertati (Martellago, 1735 - Venezia, 1808), rappresentato a Venezia nel gennaio 1787 con musica di Giuseppe Gazzaniga (Verona, 1743 - Crema, 1818)4, tanto da essere accusato di plagio5 sia dai suoi contemporanei che dai critici successivi. Man mano che le scene scritte da Da Ponte venivano visionate da Morzat per la composizione della musica, quest’ultimo interveniva anche nel modificare e migliorare l’architettura del testo dell’opera. Dopo qualche rinvio, la prima rappresentazione de Il dissoluto punito. O sia il Don Giovanni andò in scena il 29 ottobre del 1787 al Nostitztheater di Praga riscontrando un enorme successo. Il dramma giocoso in due atti, prevedeva il seguente cast: Don Giovanni, giovane cavaliere estremamente licenzioso, Luigi Bassi, basso Commendatore, padre di Donna Anna, Giuseppe Lolli, basso Donna Anna, dama promessa sposa a Don Ottavio, Teresa Saporiti, soprano Don Ottavio, Antonio Baglioni, tenore Donna Elvira, dama di Burgos, abbandonata da Don Giovanni, Caterina Micelli, soprano Leporello, servo di Don Giovanni, Felice Ponziani, basso 42
Masetto, contadino, Giuseppe Lolli, basso Zerlina, contadina promessa sposa di Masetto, Caterina Bondini, soprano
L’anno successivo, il 7 maggio del 1788 il Don Giovanni andò in scena al Burgtheater di Vienna su desiderio dell’imperatore Giuseppe II, con il seguente cast: Don Giovanni, giovane cavaliere estremamente licenzioso, Francesco Albertarelli, basso Commendatore, padre di Donna Anna, Francesco Bussani, basso Donna Anna, dama promessa sposa a Don Ottavio, Aloysia Lange, soprano Don Ottavio, Francesco Morella, tenore Donna Elvira, dama di Burgos, abbandonata da Don Giovanni, Caterina Cavalieri, soprano Leporello, servo di Don Giovanni, Francesco Benucci, basso Masetto, contadino, Francesco Bussani, basso Zerlina, contadina promessa sposa di Masetto, Luisa MombelliLaschi, soprano
Questa edizione si segnala nella storia dell’opera per una serie di modifiche apportate da Mozart per accordare le richieste dei cantanti. Ma è importante anche perché pone una questione nodale relativa al finale, ovvero il taglio di ciò che segue lo sprofondamento del protagonista agli inferi, quello in riferimento al sestetto finale in cui tutti i personaggi, salvo Don Giovanni e il Commendatore, ritornano in scena per commentare l’accaduto e trarre la cosiddetta morale dell’ antichissima “canzon” «Questo è il fin di chi fa mal»6. Alcuni storici affermano che 43
per la rappresentazione viennese Mozart avrebbe soppresso la scena facendo terminare l’opera con Don Giovanni trascinato all’inferno, secondo altri questo taglio era già stato praticato in occasione della prima rappresentazione a Praga, altri ancora addirittura negano che Mozart abbia mai accordato tale amputazione. Dal dibattito storico la questione passa sul piano estetico, infatti è possibile notare come l’indirizzo romantico preferisce inevitabilmente un finale tragico capace di avere sul pubblico un effetto più immediato e clamoroso, per cui veniva mantenuto questo taglio, mentre quello filologico e neoclassico predilige e difende lo spirito settecentesco della scena ultima, una conclusione, almeno in apparenza rassicurante. A dispetto delle preferenze è importante sottolineare comunque come di certo la musica non reggerebbe il confronto con la potenza sconvolgente della scena precedente, quella in cui “il corpo di Don Giovanni afferrato dalla statua si dissolve in un grido. Un grido in re maggiore, tonalità nobile e tragica, la più adatta a cotanto peccatore, inghiottito in un nulla quasi glorioso”7, comportando quindi una brusca caduta di tono. Ciò nonostante, oggi si pensa che a ragion del vero questa soppressione potrebbe portare al fraintendimento radicale di tutta l’opera, essa invece si colloca tra tragedia e commedia, tra opera buffa e seria, di cui proprio il finale, rappresenta la sua vera e propria necessaria ambiguità. La figura del Don Giovanni, che ha subito non poche trasformazioni nel percorso della sua esistenza, qui appare non solo in riferimento all’immagine compiuta del “dissoluto”e del giusto castigo finale, ma risulta interessante notare come da adesso in poi egli assuma una carica di simpatia, un’aura di fascino 44
inerente ai suoi trionfi libertini, che lo portano a divenire e ad essere consacrato eroe. Un eroe difensore dell’appagamento dei sensi, dell’attaccamento ai piaceri materiali, ma anche simbolo eterno di quella continua e disperata ricerca dell’eros hic et nunc, pronto a tutto pur di soddisfare le sue voglie. Egli è seduttore dell’immediatezza senza freno, vive solo nel godimento momentaneo e passeggero, che si consuma nell’attimo. In lui l’amore non ha nessuna pienezza, tutto viene sfogato nel tempestivo ripetersi di momenti del consumo del piacere, è determinato dal desiderio di una conquista indifferenziata, quantitativa e ripetitiva all’infinito. Infatti, conquista tutte, belle e brutte, giovani e vecchie, purché “portino la gonnella”8 anche solo “pe’l piacer di porle in lista”9. Questa spasmodica ricerca del piacere esprime anche l’irriducibilità del personaggio a qualsivoglia immaginazione univoca, egli infatti non rappresenta un individuo particolare, ma una potenza della natura che solo la musica è in grado di esprimere. A tal proposito è opportuno citare ciò che afferma Kierkegaard nel delineare la figura del Don Giovanni mozartiano. L’autore asserisce che il protagonista del dramma incarna la costante “fluttuazione tra l’essere idea - sarebbe a dire forza, vita - e individuo. Ma questa fluttuazione è il tremolo musicale”10 Nel nostro secolo il Don Giovanni ha incontrato un’attenzione particolarissima da parte di tutti i maggiori interpreti che, portandolo sulla scena, pur mantenendo le sue caratteristiche essenziali, mutano continuamente la sua fisionomia fino a renderlo irriconoscibile. A riguardo è necessario menzionare quelle rappresentazioni che a mio modesto avviso, dopo la loro visione, 45
risultano essere i più significativi del periodo dal punto di vista storico, distinguendo le rappresentazioni dell’opera lirica di Mozart - Da Ponte (§ II.1) dalle rappresentazioni cinematografiche (§ II.2), ed eccettuando dalla ricerca le rappresentazioni di prosa dal Don Giovanni stesso o dai suoi precedenti (vedi Tirso de Molina, ad esempio) ed epigoni (vedi Vitaliano Brancati).
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II.1 Don Giovanni sulla scena teatrale II.1.1 Salisburgo, Haus für Mozart, 03 agosto 2014 Direttore d’orchestra: Christoph Eschenbach Regia: Sven-Eric Bechtolf Scenografia: Rolf Glittenberg Costumi: Marianne Glittenberg Principali interpreti: Ildebrando d’Arcangelo (Don Giovanni), Tomasz Konieczn (Il Commendatore), Lenneke Ruiten (Donna Anna), Andrew Staples (Don Ottavio), Anett Fritsch (Donna Elvira), Luca Pisaroni (Leporello), Alessio Arduini (Masetto), Valentina Nafornită (Zerlina) L’ambientazione scenografico-costumistica La rappresentazione è ambientata in uno dei momenti e luoghi del XX secolo in cui la libertà - soprattutto sessuale - ha vissuto i suoi giorni più cupi: il franchismo spagnolo. La storia infatti sembra essere costruita intorno al tema “Viva la libertà!” frase pronunciata da Don Giovanni durante l’ingresso in scena di alcuni dei personaggi in maschera e si svolge in una hall in stile Art Déco di un hotel fuori Siviglia gestito dal Commendatore e da sua figlia Donna Anna; Masetto lavora al bar e Zerlina è una cameriera. Don Giovanni si incontra mentre fa il suo “lavoro” nell’abitazione di Donna Anna, mentre Leporello porta il bagaglio del suo padrone. Donna Elvira veste da sposa per gran parte dell’opera, in accordo con il racconto della fuga del libertino dopo tre giorni di matrimonio, e come c’è da aspettarsi, si impegnerà a disturbare il suo ex in ogni tentativo di seduzione. Ma, mentre i signori e le signore indossano abiti eleganti, il personale dell’hotel, cameriere, camerieri, facchini, clienti e, naturalmente falangisti comandati da Don Ottavio, incaricati di cacciare dalle camere ogni coppia peccaminosa, indossano uniformi. La costumista Marianne Glittenberg è una costumista tedesca che collabora con lo scenografo Rolf Glittenberg, suo marito. Inizialmente ha studiato Filologia te47
desca e Musicologia. Ha lavorato per diverse opere presso numerosi teatri in Germania, Svizzera e Austria, affiancando numerosi registi importanti quali Jürgen Flimm, Luc Bondy, Klaus Michael Grueber, Götz Friedrich, George Tabori, Johannes Schaaf, Luca Ronconi, Hans Neuenfels, SvenEric Bechtholf e direttori come Sir Georg Solti, Christoph von Dohnanyi, Lorin Maazel, Gerd Albrecht, Sylvain Cambreling, Nikolaus Harnoncourt e Franz Welser-Möst, Christoph Eschenbach. Ha creato costumi per: Der bauer als millionär di Ferdinand Raimund, Das mädl aus der vorstadt di Johann Nestroy, Il flauto magico di Wolfgang Amadeus Mozart su libretto di Emanuel Schikaneder e con il contributo di Karl Ludwig Giesecke, Die frau ohne schatten di Strauss Richard, per il Festival di Salisburgo; L’incoronazione di Poppea di Claudio Monteverdi su libretti di Gian Francesco Busenello, per il Festival di Salisburgo, il Théâtre de la Monnaie di Bruxelles; Don Giovanni di Mozart su libretto di Lorenzo Da Ponte, all’Opera di Zurigo e al Festival di Salisburgo; Wozzeck di Alban Berg su libretto di Georg Büchner, Hamburgische Staatsoper; Fidelio di Ludwig van Beethoven su libretto di Joseph Sonnleithner e Georg Friedrich Treitschke, Hamburgische Staatsoper, Opera di Zurigo; Lulu di Alban Berg, Hamburgische Staatsoper, Opera di Zurigo; Les Contes d’Hoffmann di Jacques Offenbach su librettodi Jules Barbier, Hamburgische Staatsoper, Opera di Berlino; Arabella di Richard Strauss su libretto in lingua tedesca di Hugo von Hofmannsthal, Wiener Staatsoper, Hamburgische Staatsoper; Le Nozze di Figaro di Mozart su libretto di Lorenzo Da Ponte, Opera di Amsterdam, Opera di Zurigo; Der Ferne Klang di Franz Schreker, Der Ring des Nibelungen di Richard Wagner, Cardillac di Paul Hindemith su libretto di Ferdinand Lion, alla Wiener Staatsoper; Così fan tutte di Mozart su libretto di Lorenzo Da Ponte, all’Opera di Zurigo, Teatro dell’Opera di Amsterdam; Tannhäuser di Richard Wagner, al Teatro dell’Opera di Berlino; Otello di Shakespeare, Die tote Stadt di Erich Wolfgang Korngold su libretto scritto dello stesso Korngold insieme a Paul Schott, Der Rosenkavalier di Richard Strauss su libretto dello scrittore austriaco Hugo von Hofmannsthal, Pelléas et Mélisande di Claude Debussy su libretto di Maurice Maeterlinck, Salome di Richard Strauss su libretto di Hedwig Lachmann, Don Carlo di Giuseppe Verdi su libretto di Joseph Mérye Camille 48
du Locle, Falstaff di Giuseppe Verdi su libretto di Arrigo Boito, all’Opera di Zurigo; Pelléas et Mélisande di Claude Debussy su libretto di Maurice Maeterlinck, al Théâtre de la Monnaie di Bruxelles; Hansel e Gretel di Engelbert Humperdinck su libretto di Adelheid Wette, Die sache Makropulos di Leoš Janáček, al Teatro dell’Opera di Stoccarda. II.1.2 Milano, Teatro alla Scala, 07 dicembre 2011 Direttore d’orchestra: Daniel Barenboim Regia: Robert Carsen Scenografia: Michael Levine Costumi: Brigitte Reiffenstuel Principali interpreti: Peter Mattei (Don Giovanni), Kwangchul Youn (Il Commendatore), Anna Netrebko (Donna Anna), Giuseppe Filianoti (Don Ottavio), Barbara Frittoli (Donna Elvira), Bryn Terfel (Leporello), Stefan Kocán (Masetto), Anna Prohaska (Zerlina) L’ambientazione scenografico-costumistica Lo spettacolo è andato in scena all’apertura della stagione 2011 / 2012 e ha inizio con il balzo del protagonista che va a strappare il sipario, svelando l’enorme specchio liquido in cui si riflette l’intera sala, costituendo un coup de théâtre formidabile. Don Giovanni lancia così la sua sfida al pubblico, mettendolo di fronte ai suoi vizi, alle sue falsità, ma anche alle sue debolezze. Nel prosieguo, vi è pressoché l’assenza totale di elementi scenici e di mobilio in genere, i grandi fondali fotografici, concepiti a mo’ di scatola cinese, riproducono dettagliatamente l’interno del teatro milanese la Scala stessa, è un esempio di teatro nel teatro. Dal punto di vista costumistico, lo spettacolo è caratterizzato da abiti signorili e contemporanei, ma giunti alla festa in maschera, l’atmosfera si fa densa e voluttuosa, intense luci rossastre evidenziano gli spessi costumi settecenteschi in velluto rosso, gonfiandoli al punto che lo spettatore prova la sensazione di essere avvolto e avvinghiato da tutto quel tessuto. La costumista Brigitte Reiffenstuel è una costumista tedesca. È nata a Monaco di Baviera 49
e ha studiato al London College of Fashion e alla Scuola d’Arte di San Martino. Ha progettato costumi per Falstaff di Giuseppe Verdi su libretto di Arrigo Boito per la Royal Opera House, La Scala, De Nederlandse Opera, Metropolitan Opera; Adriana Lecouvreur di Francesco Cilea su libretto di Arturo Colautti per la Royal Opera House, Wiener Staatsoper, Opera de Paris; Faust di Charles Gounod su libretto di Jules Barbier e Michel Carré, per la Royal Opera House, Opera de Lille, Monte Carlo, Trieste, Valencia; Elektra di Richard Strauss su libretto di Hugo von Hofmannsthal per la Royal Opera House; Lucrezie Borgia di Gaetano Donizzetti su libretto di Felice Romani, Peter Grimes di Benjamin Britten, ispirata ad un poema (The Borough) di George Crabbe, su libretto di Montgu Slater per l’English National Opera, Opera Oviedo, De Vlaamse Opera, Deutsche Oper Berlino; Tosca di Giacomo Puccini, su libretto di Giuseppe Giacosa e Luigi Illica, Damnation di Faust di Hector Berlioz, Lucia di Lammermoor di Gaetano Donizetti su libretto di Salvadore Cammarano, per l’English National Opera, Göteborg Opera, Washington Opera e Canadian Opera; Boris Godunov di Modest Petrovič Musorgskij per l’English National Opera, Staatstheater Stuttgart; Giulio Cesare di Georg Friedrich Händel su libretto di Nicola Francesco Haym per il Glyndebourne Festival Opera, Metropolitan Opera, Chicago Lyric Opera, Opera de Lille; Rigoletto di Giuseppe Verdi su libretto di Francesco Maria Piave, per l’Opera North, Opera Ireland; Il Trovatore di Giuseppe Verdi su libretto di Salvadore Cammarano e Leone Emanuele Bardare per il Metropolitan Opera, San Francisco Opera, Lyric Opera Chicago, Opera North, Opera Ireland; Un Ballo in Maschera di Giuseppe Verdi su libretto di Antonio Somma per il Metropolitan Opera; Don Giovanni di Mozart su libretto di Lorenzo Da Ponte per La Scala; Les Pêcheurs de perles di Georges Bizet, su libretto di Michel Carré e Eugène Cormon e Madama Butterfly di Giacomo Puccini, su libretto di Giuseppe Giacosa e Luigi Illica per il Santa Fe Opera; Don Carlo di Giuseppe Verdi su libretto di Joseph Mérye Camille du Locle per la Frankfurt Opera; Billy Budd di Benjamin Britten su un libretto di Forster e di Eric Crozier e Die sache Makropulos di Leoš Janáček per la Chicago Lyric Opera; Lulu di Alban Berg per la Bayerische Staatsoper; Semele di George Frideric Handel per il Théâtre des Champs-Elysées; Macbeth di Giuseppe Verdi su libretto 50
firmato da Francesco Maria Piave e Andrea Maffei per l’Houston Grand Opera, Lyric Opera di Chicago, Opera North; Maria de Buenos Aires di Astor Piazzolla su libretto di Horacio Ferrer per il Teatro Nacional de Sao Carlos; Sarka di Leoš Janáček su libretto di Julius Zeyer, Maria di Rohan di Gaetano Donizetti su libretto di Salvadore Cammarano a Wexford; Parsifal di Richard Wagner a Graz; Les Contes d’Hoffmann di Jacques Offenbach su librettodi Jules Barbier per De Vlaamse Opera di Anversa; Salome di Richard Strauss su libretto di Hedwig Lachmann per il Staatstheater Stuttgart; Eugene Onegin di Pëtr Il’ič Čajkovskij a Mannheim; Three Sisters di Peter Eötvös per il Teatro dell’Opera di Dusseldorf;Werther di Jules Massenet su libretto in francese di Édouard Blau, Paul Milliet e Georges Hartmann, Verdi Stagione a Hamburg e Pique Dame di Pëtr Il’ič Čajkovskij a Zurigo. Ha vinto il premio Oscar della Lirica 2013 per la realizzazione di costumi all’Opéra International Awards. II.1.3 Aix-en-Provence, Théâtre de l’Archeveche, 11 dicembre 2010 Direttore d’orchestra: Louis Langrée Regia: Dmitri Tcherniakov Scenografia: Dmitri Tcherniakov Costumi: Elena Zaitseva Principali interpreti: Bo Skovhus (Don Giovanni), Anatoli Kotscherga (Il Commendatore), Marlies Petersen (Donna Anna), Colin Balzer (Don Ottavio), Kristina Opolais (Donna Elvira), Kyle Ketelsen (Leporello), David Bizic (Masetto), Kerstin Avemo (Zerlina) L’ambientazione scenografico-costumistica È una rappresentazione moderna, ambientata in un ricco interno borghese, con una scena fissa d’immediato impatto visivo: un magnifico salone con biblioteca, soffitto in legno e un grande lampadario liberty. Si tratta di uno spettacolo in cui i personaggi, in abiti contemporanei, sono tutti uniti da legami di parentela, sono i componenti di una ricca famiglia del nostro tempo, caratterizzata però da ipocrisia che travolgerà i rapporti umani di base tra i membri della stessa famiglia, in cui contano le apparenze. Zerlina fidanzata di Masetto e figlia di primo letto di Donna Anna, a sua volta fi51
danzata con Don Ottavio; Don Giovanni marito di Donna Elvira, che è cugina di Donna Anna; Leporello un giovane parente del Commendatore. Il patriarca di famiglia è appunto il Commendatore stesso, un padre-padrone che qui appare come il difensore di un nucleo eterogeneo per caratteri e modi di abbigliarsi, ma incrollabile dietro la facciata di false convenzioni che lo regolano. Eppure c’è chi prova a opporsi a questo sistema. Ed a farlo è proprio Don Giovanni, che qui non appare come seduttore, bensì come essere emarginato e trasandato in una costante ubriachezza e abbandonato a se stesso nel suo cappotto color cammello, vittima di questa società borghese e ribelle alle regole sociali che stanno alla base di questo interno familiare. Don Giovanni, in questo contesto, risulta così apparire un debole che tenta di sedurre tutte le donne-parenti della casa, è frustrato e umiliato nel suo super ego di seduttore depresso. Le vere anime nere di questo torbido interno borghese sono i familiari che lo circondano, cinici ed amorali più del protagonista stesso. La costumista Elena Zaitseva nata a San Pietroburgo. Nel 1991, ha completato i suoi studi presso la facoltà di produzione teatrale presso l’Accademia di San Pietroburgo del Teatro d’Arte. Ha iniziato a lavorare come assistente costumista con Lenfilm Studio per i seguenti film: The House on Sand, Dreams of Russia, Khrustalyov, My Car! diretti Alexei German. Parallelamente al suo lavoro nel cinema, ha lavorato in teatro come designer-tecnologo in Die Fledermaus di Johann Strauss su libretto di Carl Haffner e Richard Genée a Novosibirs; Red Giselle di Théophile Gautier e Adolphe-Charles Adam a San Pietroburgo. Nel 1997, è diventata costumista per il Teatro Mariinskij. Come designer-tecnologo ha partecipato anche alle produzioni di Parsifal di Richard Wagner; The Queen of spades di Pëtr Il’ič Čajkovskij; Le nozze di Figaro di Mozart su libretto di Lorenzo Da Ponte; Der Fliegende Hollaender di Richard Wagner e la versione originale di La Bella Addormentata di Pëtr Il’ič Čajkovskij. Allo stesso tempo, ha creato i costumi per le produzioni teatrali di The Lark e Holy Monsters di Anouilh per il Teatro Youth on the Fontanka. Nel 2001, ha iniziato a lavorare a Mosca per la Novaya Opera Company. Nel 2003, entra a far parte del Teatro Bolshoi come 52
capo specializzata nella progettazione e produzione dei costumi teatrali realizzando i così la produzione di Lady Macbeth of Mtsensk di Dmitrij Dmitrievič Šostakovič su libretto di Alexander Preis nel 2004. Nel 2007, è stata assistente costumista per la produzione di Khovanshchina di Modest Petrovič Musorgskij, e nel 2010 costumista per la produzione di Les Dialogues des Carmélites di Francis Poulenc su libretto di Georges Bernanos, alla Bavarian State Opera con regista e designer Dmitri Tcherniakov. Ha realizzato anche i bozzetti dei costumi per i balletti di Le Corsaire di Lord Byron e musicato da Adolphe Adam. Sempre nel 2007, il Grand Pas classique da Paquita di Ludwig Minkus su libretto di Joseph Mazilier e Paul Foucher, e nel 2009 Wozzeck di Alban Berg su libretto di Georg Büchner. II.1.4 Amsterdam, Het Muziektheater, 2007 Direttore d’orchestra: Ingo Metzmacher Regia: Sergio Morabito, Jossi Wieler Scenografia: Barbara Ehnes Costumi: Anja Rabes Principali interpreti: Pietro Spagnoli (Don Giovanni), Mario Luperi (Il Commendatore), Myrto Papatanasiu (Donna Anna), Marcel Reijans (Don Ottavio), Charlotte Margiono (Donna Elvira), José Fardilha (Leporello), Roberto Accurso (Masetto), Cora Burggraaf (Zerlina) L’ambientazione scenografico-costumistica In Don Giovanni, tutti gli otto personaggi indossano abiti contemporanei. Lo spazio in cui avviene l’intera rappresentazione è occupato da letti di diversi modelli e dimensioni. Con poche eccezioni i personaggi sono in scena per tutto il tempo, anche il Commendatore giace morto nel suo letto dalla prima scena quando viene ucciso, fino alla scena sul sagrato della chiesa dov’è una statua di marmo e alla fine appare a cena a Don Giovanni. La costumista Anja Rabes è nata nel 1966 a Monaco di Baviera. Dopo un apprendistato come sarto presso la Bayerische Staatsoper, ha cominciato a frequentare corsi di studi teatrali e successivamente ha lavorato come assistente per 53
Anna Viebrock, Axel Manthey e Johannes Grützke alla Deutsche Schauspielhaus di Amburgo, al Burgtheater di Vienna e alla Kammerspiele di Monaco di Baviera. Ha progettato costumi per le produzioni di danza di Verena Weiss e Carolyn Carlson. Dal 1994, ha regolarmente lavorato come costumista con i registi Jossi Wieler, Stephan Kimmig e Anselm Weber per il teatro e l’opera. Con Jossi Wieler e Sergio Morabito ha realizzato nel 2006 il ciclo di Mozart e Da Ponte a Amsterdam; 2008 ha disegnato i costumi per Rusalka di Antonín Dvořák su libretto di Jaroslav Kvapil al Festival di Salisburgo. Al Bavarian State Opera nel 2009 ha disegnato i costumi per Don Giovanni di Mozart su libretto di Lorenzo Da Ponte, diretto da Stephan Kimmig. Dal 2002, Anja Rabe ha lavorato anche come scenografo. Ha creato scenografie e costumi per le produzioni di Wieler al Teatro Meeting di Berlino, per la prima mondiale di Elfriede Jelinek Rechnitz ai Giochi di Monaco, e Finché morte non vi separi di Beckett e Handke al Festival di Salisburgo. Anja Rabes è stata docente di scenografia alla Staatliche Hochschule für Gestaltung di Karlsruhe e attualmente insegna presso la Scuola di Teatro e Musica di Amburgo. Dopo la sua collaborazione con Wieler e Morabito nel Don Carlo di Giuseppe Verdi su libretto di Joseph Méry e Camille du Locle al Teatro dell’Opera di Stoccarda, Anja Rabe progetta tra il 2012/13 anche il design dei costumi per la nuova produzione Mood Indigo un film diretto da Michel Gondry basato sul romanzo La schiuma dei giorni di Boris Vian. II.1.5 Baden-Baden, Festspielhaus, 06 ottobre 2006 Direttore d’orchestra: René Jacobs Regia: Vincent Boussard Scenografia: Vincent Lemaire Costumi: Christian Lacroix Principali interpreti: Johannes Weisser (Don Giovanni), Alessandro Guerzoni (Il Commendatore), Malin Byström (Donna Anna), Werner Güra (Don Ottavio), Alexandrina Pendatchanska (Donna Elvira), Marcos Fink (Leporello), Nikolay Borchev (Masetto), Sunhae Im (Zerlina)
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L’ambientazione scenografico-costumistica È una produzione decisamente moderna, soprattutto perché sul palco vi sono pochi elementi architettonici e pochissimi quasi inesistenti oggetti di scena dallo scopo assolutamente utilitaristico. La messa in scena è molto semplice e di design unico, è costituita da un mezzo guscio bianco trafitto da porta, finestre e una falce di luna, e da un tendone rosso di grande effetto scenico che agitato ha il compito di simulare le fiamme durante la morte del protagonista. I costumi sono colorati e non appartengono ad un preciso momento storico, vi sono abiti contemporanei accostati ad esempi di fogge vestimentarie settecentesche rivisitati ad opera dello stilista Christian Lacroix. Il costumista Christian Lacroix nato ad Arles nel 1951, è uno stilista francese. Dopo aver studiato storia dell’arte all’Università di Montpellier, nel 1973 si trasferisce a Parigi dove si iscrive alla Sorbona ed all’École du Louvre, studiando come curatore di musei. Nel 1978 diventa assistente di Guy Paulin di Hermés e dal 1981 lavora presso la casa di moda di Jean Patou. Finalmente nel 1987 fonda la maison Christian Lacroix, la cui linea di abbigliamento Preta-porter viene realizzata ad Ancona. La produzione di Lacroix, a differenza dell’alta moda del periodo, si ispira alle tradizioni del sud della Francia e della Provenza. Nel 1987, Lacroix riceverà il riconoscimento dello stilista più influente dalla CFDA. Nel 1989 vengono aperte nuove boutique a Parigi, Arles, Aix-en-Provence, Tolosa, Londra, Ginevra ed in Giappone. Nel 2001 la casa di moda Christian Lacroix viene assorbita dal gruppo francese LVMH e l’anno successivo Lacroix diventa direttore artistico dello stilista fiorentino Emilio Pucci. Dal1999 viene prodotta una linea di profumi e dal 2002 una linea di gioielli. Dal 2004 Christian Lacroix espande la propria produzione alla lingerie ed all’abbigliamento maschile. Nello stesso anno ha disegnato le uniformi dello staff della Air France. Nel 2007 realizza il vestito color champagne indossato da Helen Mirren in occasione dei Premi Oscar 2007, giudicato dalla stampa uno dei migliori mai apparsi sul red carpet. Oltre al suo lavoro di stilista Christian Lacroix disegna dal 1987 per il palcoscenico. Tra le sue prime produzioni sono Angeli trapezio per Karol 55
Armitage presso l’Opéra de Paris; la Gaité Parisienne balletto coreografato da Léonide Massine su musiche di Jacques Offenbach, per Mikhail Baryshnikov al Metropolitan Opera; Carmen di Georges Bizet su libretto di Henri Meilhac e Ludovic Halévy nell’Arenes de Nimes; L’as-tu Revue all’Opéra Comique; Les Caprices de Marianne di Henri Sauguet su libretto di Jean-Pierre Gredy, Otello di Giuseppe Verdi su libretto di Arrigo Boito al Teatro 14, i costumi di Phèdre di Jean-Baptiste Lemoyne su libretto di François-Benoît Hoffman alla Comédie Française. Alla fine degli anni ‘90 ha disegnato i costumi per Don Juan di Montherlant per il Théâtre du Nantes; Les enfants du paradis di Jacques Prévert su coreografie di Jose Martinez per il Théâtre du Rond Point, nonché balletti per il Teatro dell’Opera di Vienna di Balanchine Tema e Variazioni, Cenerentola e il Concerto Sweet Waltz e Blue Danube Waltz. Nel 2000 Christian Lacroix disegna scene e costumi per il balletto di Balanchine Les joyeux all’Opéra di Parigi e l’anno successivo i costumi per produzioni al Festival d’Avignon e il Chaillot Teatro a Parigi per Bérénice di George Frideric Handel su libretto di Antonio Salvi, di Racine. Nel 2003, ha lavorato per la prima volta con il regista Vincent Boussard al Théâtre Royal de la Monnaie di Bruxelles, dove ha sviluppato i costumi per la messa in scena di Il re pastore di Mozart su libretto di Pietro Metastasio. La collaborazione del designer con il regista è proseguita negli anni successivi in altre produzioni. Tra cui Eliogabalbo di Francesco Cavalli e di Mozart su libretto di Lorenzo Da Ponte; Cosi fan tutte al Théâtre Royal de la Monnaie; Don Giovanni nel contesto del Festival di Innsbruck e Le nozze di Figaro per il festival della lirica d’Aixen -Provence. Altre produzioni includono Die Frau ohne Schatten di Richard Strauss con libretto di Hugo von Hofmannsthal al Théâtre Royal de la Monnaie; Fantasio di Alfred de Musset con musiche di Jacques Offenbach, e Cyrano de Bergerac di Franco Alfano su libretto di Henri Cain, di Rostand alla Comédie Française; Roméo et Juliette di Charles Gounod su libretto di Jules Barbier e Michel Carré, tratto da Romeo e Giulietta di William Shakespeare, all’Opéra Comique; Le cas Jekyll diretto e interpretato da Denis Podalydès in la Maison de la Culture d’Amiens e Aida di Giuseppe Verdi su libretto di Antonio Ghislanzoni all’Opera di Colonia diretto da Johannes Erath. Nel 2012 Christian Lacroix ha disegnato i costumi per la 56
Salome di Richard Strauss su libretto di Hedwig Lachmann al Teatro San Gallo. Nel mese di ottobre dello stesso anno ha disegnato i costumi per la produzione di Show Me al Friedrichstadt Palast di Berlino, e per Vincent Boussards la messa in scena di Madama Butterfly di Giacomo Puccini su libretto di Giuseppe Giacosa e Luigi Illica alla Staatsoper di Amburgo. All’inizio del 2013 le sue creazioni per L’Homme qui se hait di Emmanuel Bourdieu in una produzione diretta da Denis Podalydès in Amiens e altre due produzioni di Vincent Boussard; Radamisto di George Frideric Handel su libretto di Nicola Francesco Haym al Theater an der Wien, e Les perles de Pêcheurs di Georges Bizet su libretto di Michel Carré e Eugène Cormon a Strasburgo. Nel settembre 2013 ha anche disegnato i costumi per il Lohengrin, opera scritta e composta da Richard Wagner. Egli ha anche disegnato i costumi per Les méfaits du tabac di Anton Chekhov in una messa in scena di Denis Podalydès a Parigi. Nel febbraio 2014, i costumi per La Favorite di Gaetano Donizetti su libretto di Alphonse Royer e Gustave Vaez, a Tolosa. Nel mese di maggio 2014 le sue creazioni per La nuit des rois a Lione sotto la direzione di Denis Podalydès. Un ballo in maschera di Giuseppe Verdi su libretto di Antonio Somma nel settembre 2014 a Tolosa diretto da Vincent Boussard; nel dicembre 2014 La clemenza di Tito di Mozart su libretto di Caterino Mazzolà, diretto da Denis Podalydès a Parigi. Ha disegnato i costumi per Vincent Boussards per la messa in scena di La Fanciulla del West di Giacomo Puccini su libretto di Guelfo Civinini e Carlo Zangarini, per Amburgo. Tra le sue altre attività, si trovano i costumi per i film e illustrazioni Re-Invention World Tour di Madonna, e una varietà di progettazioni e design d’interni. Nel 2006 è stato nominato Presidente del CNCS (Centre National du Costume si Scène) a Moulins. Nel 2008 è stato Direttore Artistico del Rencontres Internationales de la Photographie di Arles. La mostra “Christian Lacroix Costumier” al Museo Nazionale di Singapore a partire da marzo al giugno 2009 presenta il disegno del costume per l’opera, il teatro, il ballo e la musica. II.1.6 Salisburgo, Großes Festspielhaus, 15 agosto 2006 Direttore d’orchestra: Daniel Harding Regia: Martin Kušej 57
Scenografia: Martin Zehetgruber Costumi: Heide Kastler Principali interpreti: Thomas Hampson (Don Giovanni), Robert Lloyd (Il Commendatore), Christine Schäfer (Donna Anna), Piotr Beczala (Don Ottavio), Melanie Diener (Donna Elvira), Ildebrando d’Arcangelo (Leporello), Luca Pisaroni (Masetto), Isabel Bayrakdarian (Zerlina) L’ambientazione scenografico-costumistica Il Don Giovanni qui rappresentato è un raffinato e perverso libertino, che gioca le sue conquiste più sull’asservimento psicologico delle sue “vittime” che sul contatto meramente fisico. L’impianto scenico è costituito da un girevole realizzato da tre cilindri concentrici con porte comunicanti dalla superficie semiriflettente totalmente bianca che ruota costantemente. I costumi risultano essere contemporanei a tratti banali, ma in alcune scene diventano interessanti per il loro impatto scenico, per esempio durante lo sposalizio di Zerlina e Masetto che tutti indossano abiti da sposi, in altre in cui appaiono donne in pelliccia, e in altre ancora dove giovani e vecchie, belle e brutte indossano slip e reggiseno. La costumista Heidi Kastler è nata in Austria e ha studiato presso l’Università di Arte di Linz. È una costumista austriaca. Dal 1990 ha vissuto ad Amburgo, e lavora come costumista freelance con registi importanti, tra cui Kušej, Christoph Marthaler, Jossie Wieler, Stephan Kimmig, Jürgen Flimm, Joachim Schlömer e Johann Kresnik. Le produzioni operistiche con Kušej includono Don Giovanni di Mozart su libretto di Da Ponte al Festival di Salisburgo; Lady Macbeth di Mtsensk di Dmitrij Dmitrievič Šostakovič su un libretto di Alexander Preis all’Opera Nazionale Olandese, al Teatro Real Madrid e Parigi Opéra, e Der Fliegende Holländer di Richard Wagner all’Opera Nazionale Olandese. Altri crediti d’opera della Kastler includono Salome di Richard Strauss su libretto di Hedwig Lachmann a La Monnaie di Bruxelles e al Gran Teatre del Liceu Barcellona; Fidelio di Ludwig van Beethoven su libretto di Joseph Sonnleithner e Georg Friedrich Treitschke all’Opera di Berna. È stata direttore artistico di costumi 58
nel Schauspielhaus di Amburgo per sette anni. Ha lavorato per molte delle principali aziende teatrali tedesche e austriache, tra cui a Monaco di Baviera al Residenztheater con Kušej nelle produzioni di Der Weibsteufel, Das Weite Land, In Agonie, Hedda Gabler di Henrik Ibsen; al Thalia Theater di Amburgo, al Kammerspiele di Monaco di Baviera, al Schauspiel di Francoforte e al Burgtheater di Vienna. Dal 2013 è professore di costumi presso l’Università di Hannover. II.1.7 Madrid, Teatro Real, 2005 Direttore d’orchestra: Victor Pablo Pérez Regia: Lluis Pasqual Scenografia: Ezio Frigerio Costumi: Franca Squarciapino Principali interpreti: Carlos Alvarez (Don Giovanni), Alfred Reiter (Il Commendatore), Maria Bayo (Donna Anna), José Bros (Don Ottavio), Sonia Ganassi (Donna Elvira), Lorenzo Regazzo (Leporello), José Antonio López (Masetto), Maria José Moreno (Zerlina) L’ambientazione scenografico-costumistica La storia si muove nel cuore oscuro della Spagna del 1940 mostrando il protagonista come un ribelle contro le ortodossie religiose del periodo del Franchismo. L’azione scenica si svolge inizialmente in un edificio demolito con vecchie automobili d’epoca e biciclette per poi passare durante la festa di nozze dei contadini in un luna park con giostre e autoscontri il tutto illuminato da luci coloratissime, successivamente il tono si fa più austero e ci si trova in un mausoleo di lusso. I costumi corrispondono perfettamente al periodo storico in cui l’opera è ambientata, abitini, uniformi e smoking degli anni ‘40, ma è durante la festa inaugurata dal protagonista che quasi tutti i partecipanti indossano chi particolari chi interamente fogge di abiti settecenteschi. La costumista Franca Squarciapino nata a Roma, 1940 è una costumista italiana, che ha lavorato in varie produzioni nazionali e internazionali, sia a teatro, al cine59
ma e in televisione. Per le produzioni cinematografiche ha creato costumi per Cyrano de Bergerac, per la regia di Jean-Paul Rappeneau; Louis, enfant roi, per la regia di Roger Planchon; Il colonnello Chabert, per la regia di Yves Angelo; L’ussaro sul tetto, per la regia di Jean-Paul Rappeneau; L’immagine del desiderio, per la regia di Juan José Bigas Luna; Volavérunt, per la regia di Juan José Bigas Luna. A teatro ha lavorato per Le nozze di Figaro di Mozart su libretto di Da Ponte, per la regia di Pierre Badel; Ernani di Giuseppe Verdi su libretto di Francesco Maria Piave, regia di Preben Montel; Tosca di Giacomo Puccini su libretto di Giuseppe Giacosa e Luigi Illica, per la regia di Dirk Sanders; Andrea Chénier di Umberto Giordano su libretto di Luigi Illica, per la regia di Humphrey Burton; Le Chat Botté di Charles Perrault, per la regia di Dirk Sanders; Don Giovanni di Mozart su libretto di Da Ponte, per la regia di Carlo Battistoni; Carmen di Georges Bizet su libretto di Henri Meilhac e Ludovic Halévy, per la regia di Barrie Gavin; La casa di Bernarda Alba di Federico García Lorca, per la regia di Stuart Burge e Núria Espert; El temps i els Conway scritta da John Boynton Priestley, per la regia di Mario Gas; il balletto La Bayadère coreografata da Marius Petipa, la musicata da Ludwig Minkus e scritta da Serghei Khudekov, per la regia di Alexandre Tarta; Romeo e Giulietta di Prokof’ev, per la regia di Tina Protasoni; La belle au bois dormant di Charles Perrault, per la regia di Pierre Cavassilas. Nel 1991 si aggiudicò l’Oscar per il film Cyrano de Bergerac. Oltre a questo premio la Squarciapino ottenne vari riconoscimenti nella sua carriera, fra cui il Premio Goya, il César, il BAFTA e tre Nastri d’argento. II.1.8 Barcellona, Gran Teatro del Liceo,12-17 dicembre 2002 Direttore d’orchestra: Bertrand de Billy Regia: Calixto Bieito Scenografia: Alfons Flores Costumi: Mercé Paloma Principali interpreti: Wojcie Drabowicz (Don Giovanni), Anatoly Kocherga (Il Commendatore), Regina Schörg (Donna Anna), Marcel Reijans (Don Ottavio), Véronique Gens (Donna Elvira), Kwangchul Youn (Leporello), Felipe Bou (Masetto), Marisa Martins (Zerlina) 60
L’ambientazione scenografico-costumistica Si tratta di una produzione teatrale contemporanea ambientato in Spagna nella desolazione urbana di un parcheggio vuoto del ventunesimo secolo. Tutti i personaggi, un gruppo di ragazzi di strada che fanno parte della stessa banda senza differenze sociali vivono ai margini della società, e sono costantemente alla ricerca di confini. È un don Giovanni provocante e insolito stordito dal consumo di alcol e droga, dipendente dal sesso ad un ritmo frenetico, senza alcuna barriera etica, è mostrato come un ragazzo viziato, irresponsabile e impulsivo, non sempre pienamente consapevole delle sue azioni, mosso semplicemente dal piacere della trasgressione, comportamento che lo porterà all’autodistruzione. L’allestimento scenica prevede una scena fissa semi buia ovvero una scatola nera di base abbastanza spoglia in cui vi è l’introduzione di oggetti vari quali un’automobile, un tavolo da biliardo, un divano, un carrello da spesa, un lungo bancone bar, una cugina a gas, che hanno valore funzionale. I costumi sono contemporanei e non seguono assolutissimamente uno stile, infatti per esempio troviamo Leporello che indossa la maglia del Barcellona, Zerlina l’abito da sposa e Don Ottavio quello da Superman, questo basta per capire che l’ironia non manca a questa edizione di Don Giovanni. Ma accanto all’ironia, alla provocazione, al gioco (sublime la serenata del libertino fatta per telefono), c’è anche la tragedia in veste horror, con il protagonista su una sedia a rotelle, pugnalato al cuore, uno per uno, dagli altri personaggi dell’ opera buffa di Mozart e Da Ponte. La costumista Mercé Paloma è una costumista che ha lavorato per numerosi spettacoli: Tirant lo Blanc di Joanot Martorell, Re Lear di William Shakespeare, Bodas de Sangre di Federico García Lorca, Carmen di Georges Bizet su libretto di Henri Meilhac e Ludovic Halévy, nel 2015 a Barcellona al Grand Teatre del Liceu, nel 2013 al Teatro La Fenice, nel 2012 alla English National Opera e al Teatro Regio di Torino. Parsifal di Richard Wagner nel 2013 e nel 2011 alla Staatstheater Stuttgart. Il burbero di buon cuore di Vicente Martín y Soler su libretto di Lorenzo da Ponte nel 2012 al Gran Teatre del Liceu. Molte opere saranno con la regia di Calixto Bieto. Ha partecipato 61
anche a collaborazioni cinematografiche quali: A los que aman per la regia di Isabel Coixet, Pa Negre per la regia di Agustí Villaronga. Diverse volte ha ricevuto premi come il Goya Award per i migliori costumi. II.1.9 Vienna, Theater an der Wien, 26 giugno 1999 Direttore d’orchestra: Riccardo Muti Regia: Roberto de Simone Scenografia: Nicola Rubertelli Costumi: Zaira de Vincentiis Principali interpreti: Carlos Alvarez (Don Giovanni), Franz-Joseph Selig (Il Commendatore), Adrianne Pieczonka (Donna Anna), Michael Schade (Don Ottavio), Anna Caterina Antonacci (Donna Elvira), Ildebrando d’Arcangelo (Leporello), Lorenzo Regazzo (Masetto), Angelika Kirchschlager (Zerlina) L’ambientazione scenografico-costumistica Questa produzione non segue le orme di altri registi che cercano di modernizzare il design aggiungendo qualcosa che non esisteva in originale nell’opera di Mozart. In un’atmosfera barocca, il regista manda don Giovanni in un viaggio attraverso il tempo nei secoli in cui il personaggio ha vissuto, un excursus che inizia con il costume originale del sedicesimo secolo e termina nel diciannovesimo secolo, distillato di suggestioni pittoriche, iconografie e costumi che variano secondo l’epoca. Risultano interessanti i costumi di Leporello, Zerlina e Masetto che vengono rappresentati come maschere della commedia dell’arte. La costumista Zaira de Vincentiis, diplomata all’Accademia di Belle Arti di Napoli nel 1978, inizia giovanissima la carriera di costumista. Tra i primi lavori: Sogno di una notte di mezza estate di William Shakespeare, per la regia di T. Russo e Tre sorelle di Anton Čechov, per la regia di G. Sepe. Dal 1982 inizia una lunga collaborazione con il Gruppo della Rocca per le regie di Guido De Monticelli tra cui ricordiamo Joseph K. fu Prometeo, tratto dalle 62
opere di Franz Kafka e dal Prometeo incatenato di Eschilo; Il maestro e Margherita di Michail Bulgakov; Anfitrione di Plauto; Il racconto d’inverno di William Shakespeare e Chernobyl di Elliot Vaughan. Nel 1984 approda alla lirica con Ernani di Giuseppe Verdi su libretto di Francesco Maria Piave, per la regia di Gianfranco De Bosio al Comunale di Modena; Elisabetta Regina d’Inghilterra di Gioachino Rossini su libretto di Giovanni Schmidt e Aida di Giuseppe Verdi su libretto di Antonio Ghislanzoni, per il Teatro Regio di Torino; La traviata di Giuseppe Verdi su libretto di Francesco Maria Piave, per l’Arena di Verona; Il matrimonio segreto di Domenico Cimarosa su libretto di Giovanni Bertati, per la regia di Giancarlo Cobelli per il Teatro San Carlo di Napoli, e nel 1994 Il flauto magico Wolfgang Amadeus Mozart su libretto di Emanuel Schikaneder per la regia di De Bosio per il Teatro Comunale di Treviso. Numerosi sono gli spettacoli a Siracusa, ricordiamo Le nuvole di Aristofane e Elettra di Sofocle, I Persiani di Eschilo. Dal 1990 collabora con Roberto De Simone negli spettacoli Il malato per apprensione di Molière, Don Pasquale di Gaetano Donizzetti per lo Sferisterio di Macerata; Il drago di Evgenij L’vovic Schwarz. Nel 1995 ha firmato i costumi per Le delizie e misteri napoletani, spettacolo ideato da Antonio Sinagra su testi dello stesso e Raffaele Esposito al Festival di Spoleto; nel 1996 Manola di Margaret Mazzantini con la regia di Sergio Castellitto. Per la Compagnia della Rancia ha disegnato i costumi de La cage aux folles di Jerry Herman e Harvey Fierstein; Cabaret, tratto dal romanzo di Christopher Isherwood con musiche di John Kander e libretto di Fred Ebb; Dolci vizi al foro di Stephen Sondheim; Fregoli la commedia musicale di Ugo Chiti con Arturo Brachetti per la regia di Saverio Marconi; Cantando sotto la pioggia ispirato alla commedia portata sullo schermo cinematografico da Gene Kelly e Stanley Donen nel 1952; Sette spose per sette fratelli di Laurence Kasha, David Landay, Jonny Mecer e Gene De Paul, traduzione Michele Renzullo adattamento Saverio Marconi; A qualcuno piace caldo su libretto di Peter Stone, musica Jule Styne, liriche Bob Merril, basato sull’omonimo film di Billy Wilder e I.A.L. Diamonds, tratto da una storia di Robert Thoeren, traduzione Michele Renzullo, adattamento Saverio Marconi. Nel 1999 è stata impegnata con il San Carlo di Napoli, nello spettacolo Eleonora di 63
Roberto De Simone. Sempre per De Simone, ha firmato i costumi del Don Giovanni di Mozart su libretto di Da Ponte, che ha debuttato a Vienna. Nel 2000 firma i costumi per Jean Gleur de Paris di Masnez e per Rondine di Puccini, entrambe al Teatro dell’Opera di Roma. È stata per Musical Italia la costumista dei musicals Greas e Hello, Dolly!, con la regia di Saverio Marconi. II.1.10 New York, Metropolitan Opera House, 31 ottobre 1990 Direttore d’orchestra: James Levine Regia: Franco Zeffirelli Scenografia: Franco Zeffirelli Costumi: Anna Anni Principali interpreti: Samuel Ramey (Don Giovanni), Kurt Moll (Il Commendatore), Carol Vaness (Donna Anna), Jerry Hadley (Don Ottavio), Karita Mattila (Donna Elvira), Ferruccio Furlanetto (Leporello), Philip Cokorinos (Masetto), Dawn Upshaw (Zerlina) L’ambientazione scenografico-costumistica È una rappresentazione tradizionale, a tal punto che il regista crea belle immagini di scena ricreando quelle antiche del teatro barocco. Infatti, simula attraverso una targa centrata in boccascena con inciso l’anno e il luogo della prima rappresentazione di Don Giovanni, ovvero Praga 1787, la versione originale. È un Don Giovanni di grande classicismo, immerso nello stile estetico del XVIII secolo, contrassegnato da un allestimento scenico tipico del periodo. Vi sono portali mobili, colonne scorrevoli, fondali illustrativi con riferimenti alla pittura del tempo, soprattutto quella di Tiepolo, bei paesaggi, illuminazione elegante, costumi sontuosi e opulenti, tanto da far sembrare eleganti anche gli umili contadini. La costumista Anna Anni Marradi, 1926 - Firenze, 2011. È stata una costumista italiana. Nel corso della sua carriera ha lavorato in più occasioni con il regista Franco Zeffirelli. Per Firenze film/documentario girato nel 1966 per la regia di Franco Zeffirelli; Pagliacci di Ruggero Leoncavallo per la regia di Franco 64
Zeffirelli; Cavalleria rusticana di Pietro Mascagni su libretto di Giovanni Targioni-Tozzetti e Guido Menasci, per la regia di Franco Zeffirelli; Otello di Giuseppe Verdi su libretto di Arrigo Boito, per la regia di Franco Zeffirelli; Turandot su libretto di Giuseppe Adami e Renato Simoni, lasciata incompiuta da Giacomo Puccini e successivamente completata da Franco Alfano, per la regia cinematografica di Kirk Browning; Don Giovanni di Mozart su libretto di Da Ponte, per la regia cinematografica di Brian Large; Don Carlo di Giuseppe Verdi su libretto di Joseph Mérye, per la regia cinematografica di Franco Zeffirelli; Carmen di Georges Bizet su libretto di Henri Meilhac e Ludovic Halévy, per la regia cinematografica di Gary Halvorson; Un tè con Mussolini, per la regia di Franco Zeffirelli; Callas Forever, per la regia di Franco Zeffirelli; Carmen, per la regia cinematografica di George Bloom; Metropolitan Opera: Live in HD, episodio Puccini’s Turandot, per la regia di Gary Halvorson. Il punto più alto della sua carriera fu la nomination all’Oscar per i migliori costumi nel 1987, insieme a Maurizio Millenotti per il film Otello. II.1.11 Vienna, Theater an der Wien, 1990 Direttore d’orchestra: Claudio Abbado Regia: Luc Bondy Scenografia: Erich Wonder Costumi: Susanne Raschig Principali interpreti: Ruggiero Raimondi (Don Giovanni), Anatolij Kotcherga (Il Commendatore), Cheryl Studer (Donna Anna), Hans-Peter Blochwitz (Don Ottavio), Karita Mattila (Donna Elvira), Lucio Gallo (Leporello), Carlos Chausson (Masetto), Marie McLaughlin (Zerlina) L’ambientazione scenografico-costumistica L’ambientazione scenica non è determinata né da spazi né da tempi precisi, ma reinventata. E nella stessa direzione vanno i costumi, che abbracciano tutte le epoche e tutte le fogge. La scena oscilla tra una visione astratta e metafisica quasi surreale, (diciamo alla Magritte) e una pittura illustrativa e descrittiva evocatrici di paesaggi naturalistici di forte impronta realistica, senza che tra i due intercorra una relazione chiara. Si può supporre che 65
alla concretezza delle situazioni in cui Don Giovanni si viene a trovare nel corso delle sue imprese libertine si voglia opporre il simbolo universale, fuori del tempo e dello spazio, del suo personaggio in lotta con se stesso e col mondo. Un cortile buio di un edificio in rovina all’inizio, in una notte di tempesta (per rendere credibili le parole di Leporello “piova e vento sopportar”), un’aia con covoni di fieno e paglia vera nella scena dei contadini (ma è poi qui, all’aperto, che ha luogo la festa finale del primo atto), un incredibile rifugio alpino con immense vetrate dalle quali vi è una vista sulle cime innevate e illuminate dal sole al crepuscolo nel Finale dell’opera. Per il resto domina invece l’astrattezza, con ambienti solo evocati dalle luci e dalle ombre: niente cameriera e palazzo di Donna Elvira, niente cimitero solo una enorme piattaforma vuota su cui si proietta l’ombra gigantesca della statua del Commendatore, presumibilmente fuori scena: con l’effetto grottesco di Leporello che parla con un’ombra e legge l’iscrizione guardando dietro le quinte. La costumista Susanne Raschig nata nel 1941 a Potsdam è una costumista tedesca. Ha studiato presso l’Accademia di Belle Arti di Berlino. Ha lavorato come assistente per Wilfried Visoni e con registi Kurt Hübner. Molte delle sue produzioni sono stati invitati al Teatro Meeting di Berlino. Ha realizzato i costumi a Brema e a Monaco di Baviare con Götz Friedrich quali Salome di Richard Strauss su libretto di Hedwig Lachmann; Le Nozze di Figaro di Wolfgang Amadeus Mozart su libretto di Lorenzo Da Ponte; Porgy and Bess musicata da George Gershwin su libretto di DuBose Heyward e testi di Ira Gershwin e Heyward; Fidelio di Ludwig van Beethoven su libretto di Joseph Sonnleithner e Georg Friedrich Treitschke. Per Peter Stein ha realizzato i costumi di Tragedy Optimistic di Vsevolod Vishnevsky e Mother. Empedocle, Ifigenia e The Backchen per Klaus Michael Grueber. Contemporaneamente alla realizzazione dei costume si dedicò anche alle scenografie allo Schauspielhaus di Bochum. Con Frank-Patrick Steckel nel 1976 realizzò The Lohndrücker di Heiner Müller e Die Nibelungen di Richard Wagner. Per Nils Peter Rudolph mise in scena Antigone di Sofocle, Three Sisters al teatro di Amburgo. Dal 1991 un lunga collaborazione arti66
stica con Luc Bondy porta sulla scena Chorus Final; Racconto d’inverno di William Shakespeare; Figaro ottiene un divorzio; La guida e Salomè. Con Andrea Breth La via solitaria, L’estate scorsa a Tschulimsk. Nel 1992 realizzò scene e costumi per Oreste di Euripide. Nel 1995 Family Schroffenstein di Heinrich von Kleist; nel 1997 Uncle Vanya di Neal Thornton su libretto di Anton Chekhov. A Berlino crea scene e costumi per Medea di Euripide per la regia di Edith Clever; Don Giovanni di Mozart su libretto di Da Ponte, alla Staatsoper di Vienna; Lohengrin di Richard Wagner con Robert Wilson a Zurigo; Edipo Re di Sofocle allo Châtelet di Parigi; Orlando di George Frideric Handel al teatro di Berlino; Orfeo su libretto di Alessandro Striggio e musica di Claudio Monteverdi, di Andrea Breth al Leipzig Opera; Parsifal di Richard Wagner nel 2005 a Ginevra. II.1.12 Bologna, Teatro Comunale, 1990 Direttore d’orchestra: Riccardo Chailly Regia: Luca Ronconi Scenografia: Margherita Palli Costumi: Vera Marzot Principali interpreti: Ruggiero Raimondi (Don Giovanni), Andrea Silvestrelli (Il Commendatore), Jane Eaglen (Donna Anna), Rockwell Blaxe (Don Ottavio), Daniela Dessì (Donna Elvira), Alessandro Corbelli (Leporello), Giovanni Furlanetto (Masetto), Adelina Scarabelli (Zerlina) L’ambientazione scenografico-costumistica Per la maggior parte del tempo in ogni scena lo spazio è popolato da letti in cui Don Giovanni seduce le sue donne, Donna Anna la si vede in un lettone disfatto dal quale emerge anche Don Giovanni, Donna Elvira in un lettino più snello e portabile, che la segue per le strade. Zerlina, contadina, può disporre di fienili e balle di paglia accuratamente preparati ma è disponibile, senza tante storie o progetti, anche in piedi, contro un muro o un pilastro, perfino su una scaletta a pioli. Quanto al protagonista, egli non ha un suo letto ma aspira, e lo otterrà alla fine, a un sontuoso letto tombale (giaciglio, mensa, altare, fossa e monumento tutto insieme). L’aria del catalogo diventa così il pretesto per una processione di letti enormi, disfatti e ormai vuoti 67
issati su macchine che avanzano e s’incastrano in bellissima composizione scenografica. Il tutto in prospettive fortemente oblique, immerso in spazi enormi scanditi da teorie di pilastri con pochi muri, contemporaneamente aperti e chiusi, minacciosi e freddi. Dal grigio della scena discendono le tinte di bianco e nero dominanti nelle restanti scene e nei costumi del 1600. Con pochi tratti in oro, come gli stucchi che adornano i palchi del teatro, scena in cui signori e contadini si ritrovano alla festa che conclude il primo atto. La scena finale ovvero quella del banchetto, non è in casa di Don Giovanni (egli non possiede case ma usa solo quelle altrui, oppure possiede un teatro come luogo perenne delle sue esibizioni) ma nella navata della stessa chiesa dove avevamo visto, con prospettiva capovolta, il monumento funebre del Commendatore durante l’incontro al cimitero. Una cena in chiesa non può fare a meno di trasformarsi in messa nera, con calici e patere, ostensori e pissidi in quantità. Qui il costo è la perdita della sorpresa: il Commendatore non arriva ma viene trovato. Più che una punizione comminata, quello di Don Giovanni è un auto annientamento ricercato. La costumista Vera Marzot è una costumista cinematografica e teatrale, nata a Milano il 22 giugno 1931. Per il grande schermo ha lavorato con registi come Luchino Visconti, Mario Monicelli e Vittorio De Sica, spesso in collaborazione con Piero Tosi, da cui ha appreso la meticolosità e l’attento studio storico delle forme, ma anche la capacità di uniformare il dettaglio con la visione d’insieme, al fine di rendere l’abito parte integrante e indispensabile del grande quadro cinematografico. Pur prediligendo i film in costume, ha lavorato spesso per opere di ambientazione contemporanea. Dopo aver frequentato senza diplomarsi il Centro sperimentale di cinematografia di Roma, debuttò nel cinema come assistente di Beni Montresor in Pia de’ Tolomei di Sergio Grieco nel 1958; di Flavio Mogherini in Il magistrato di Luigi Zampa nel 1959; di Piero Zuffi in Il generale Della Rovere di Roberto Rossellini nel 1959; di Dario Cecchi in I delfini di Francesco Maselli nel 1960; e di Pier Luigi Pizzi in Una vergine per il principe nel 1965 di Pasquale Festa Campanile. Esordì come costumista in Urlatori alla sbarra di Lucio Fulci nel 1960; tra i suoi lavori più importanti di questo primo 68
periodo vanno ricordati Un giorno da leoni nel 1961 di Nanni Loy; L’isola di Arturo nel 1962 di Damiano Damiani, ed Eva nel 1962 di Joseph Losey, film per il quale disegnò tutti i costumi, eccetto quelli della protagonista Jeanne Moreau curati dallo stilista Pierre Cardin. Nel 1963 iniziò la collaborazione con Tosi, come assistente sul set di due film: Il Gattopardo di Visconti, una delle avventure più suggestive della storia del costume cinematografico, nelle cui scelte stilistiche si avverte un richiamo alla pittura dei Macchiaioli e del migliore Ottocento europeo, in accordo perfetto con le scenografie di Mario Garbuglia, e I compagni di Mario Monicelli in cui utilizzò abiti smessi e stoffe povere. Firmò poi insieme a Tosi quattro film: La donna scimmia nel 1964 di Marco Ferreri, per il quale creò costumi ispirati al surreale e folle mondo ideato dal regista; Matrimonio all’italiana nel 1964 di Vittorio De Sica, in cui gli abiti aderenti e dai colori sgargianti di Sophia Loren, nella prima parte del film, contrastano vistosamente con quelli da lei indossati nella seconda parte, poveri e sciupati, che diventano una sorta di metafora delle sue disillusioni; La caduta degli dei nel 1969 e Gruppo di famiglia in un interno nel 1974, entrambi di Visconti, nel secondo dei quali il passaggio dalla realtà al ricordo è sottolineato dal contrasto di leggerissimi abiti del primo Novecento della madre e della moglie del protagonista riviste in sogno, e la vistosa eleganza degli abiti del personaggio interpretato da Silvana Mangano, simbolo di un presente privo di poesia. Nel 1973 disegnò i costumi di Il mio nome è Nessuno di Tonino Valerii e di La colonna infame di Nelo Risi. Successivamente ha rivolto la sua attenzione principalmente al teatro, lavorando ancora con Visconti e tra gli altri Luca Ronconi. II.1.13 New York, Festival Pepsico Summerfare, 1989 Direttore d’orchestra: Craig Smith Regia: Peter Sellars Scenografia: George Tsypin Costumi: Dunya Ramicova Principali interpreti: Eugene Perry (Don Giovanni), James Patterson (Il Commendatore), Dominique Labelle (Donna Anna), Caroll Freeman (Don Ottavio), Lorraine Hunt-Lieberson (Donna Elvira), Herbert Perry (Lepo69
rello), Elmore James (Masetto), Ai Lan Zhu (Zerlina) L’ambientazione scenografico-costumistica È una rappresentazione contemporanea, ambientata alla fine degli anni 80 in un vicolo di Harlem, con una chiesetta di lato, una drogheria, una lavanderia, un palazzo coi vetri oscurati di biacca e ovviamente fatiscente, scavi ovunque, attacchi per pompe, transenne di lavori in corso, cantine abitate. Non ci sono gerarchie sociali, ci sono negri, cinesi, mulatti, punk, heavy-metal. Il Don Giovanni, negro e aitante, si sbatte tutte le ragazze che incontra (il catalogo, proiettato da Leporello, è simile ai calendarietti che facevano la gioia dei barbieri, o un catalogo di sex-shop). Leporello, negro anche lui, lo imita a dovere. Elvira e Anna sono due mignotte o almeno due squinzie che la danno con facilità, anche sotto i nostri occhi. Cieli, che aspetto nobile, che dolce maestà si dice di Elvira, ma qui l’aspetto nobile consta di minigonne su calze viola, tacchi a spillo che più spillo non si può, giacca piena di spille e zaino a spalla pieno di mutande e coltelli. Don Ottavio è un vigile urbano, il Commendatore è più un protettore o padrone che non padre di Anna. Non manca la droga, infatti Don Giovanni e Leporello nel cimitero si fanno anche una buona sniffata di coca. Naturalmente si mangia McDonald hamburger con ketchup e Coca-cola e birra. Qualcuno ha immaginato che il Viva la libertà del finale primo abbia un contenuto politico. Per Sellars l’unica libertà è quella di denudarsi e buttarsi nell’orgia. Difatti Don Giovanni resta in slip e balla come un Travolta negro. Non esiste problema dell’aldilà. La costumista Dunya Ramicova è nata nella ex Cecoslovacchia nel 1950. Ha emigrato negli Stati Uniti nel 1968. Ha studiato presso la Scuola di Arte Drammatica Goodman e The Yale School of Drama. Ha disegnato costumi per oltre di 150 produzioni di teatro, opera, balletto, danza, cinema e televisione negli Stati Uniti e in Europa. Il lavoro di Dunya Ramicova è apparso in sedi prestigiose come The Metropolitan Opera con The Voyage, una prima mondiale di un’opera di Philip Glass su libretto di David Henry Hwang e I Lombardi alla prima crociata di Giuseppe Verdi su libretto di Temisto70
cle Solera, con Luciano Pavarotti; alla Royal Opera House di Londra con Alcina di Georg Friedrich Händel e Mathis der Mahler di Paul Hindemith; al Glyndebourne Festival Opera con Il Flauto magico di Mozart su libretto di Emanuel Schikaneder, e Teodora di George Frideric Handel su libretto di Thomas Morell, così come al Salzburger Festspiele, Chicago Lyric Opera e molti altri. Le sue più recenti produzioni includono Doctor Atomic, una prima assoluta di un’opera di John Adams a San Francisco Opera; An American Tragedy di Tobias Picker su libretto di Gene Scheer per la Metropolitan Opera e L’olandese volante di Richard Wagner a Seattle Opera. Ha anche disegnato i costumi per produzioni al Guthrie Theater, Lincoln Center for Performing Arts, Public Theater, Mark Taper Forum, il Teatro Goodman, Berkeley Repertory Theater. Lei è la collaboratrice di lunga data del regista Peter Sellars, il loro lavoro comprende insieme al compositore John Adams El Niño, e anche le prime mondiali di Nixon in Cina, The Death of Klinghoffer, Saint Francois e Il padiglione delle peonie, prima mondiale dell’opera del compositore Tan Dun. Dunya Ramicova ha insegnato costumi e argomenti correlati per gli ultimi 25 anni alla Yale School of Drama, Harvard University e la University of California a Santa Barbara e Los Angeles. II.1.14 Salisburgo, Großes Festspielhaus, 29 luglio 1987 Direttore d’orchestra: Herbert von Karajan Regia: Michael Hampe Scenografia: Mauro Pagano Costumi: Mauro Pagano Principali interpreti: Samuel Ramey (Don Giovanni), Paata Burchuladze (Il Commendatore), Anna Tomowa-Sintow (Donna Anna), Gösta Winbergh (Don Ottavio), Julia Varady (Donna Elvira), Ferruccio Furlanetto (Leporello), Alexander Malta (Masetto), Kathleen Battle (Zerlina) L’ambientazione scenografico-costumistica La messa in scena tradizionale risponde ad una ricostruzione documentaria della Spagna del diciottesimo secolo. L’opera è ambientata in spazi interni ed esterni in cui le colonne, le scale di marmo verde scuro e le pareti 71
scorrono dentro e fuori il palcoscenico durante l’azione, esse sono state utilizzate secondo soluzioni ingegnose con una certa fantasia allargando e restringendo l’immagine per alcune arie e altri numeri creando varie forme sceniche. Interessante risulta anche la scenografia del finale dell’opera quando appare la statua del Commendatore, uno sfondo costituito da immagini astronomiche del cosmo, dove Don Giovanni è inghiottito tra le galassie e trascinato all’inferno. Il costumista Mauro Pagano fu scenografo e costumista di straordinario talento che seppe imporsi all’attenzione del mondo del teatro e della lirica. Allacciò rapporti di collaborazione con Giorgio Strehler, Bernardo Bertolucci e grandi direttori d’orchestra da Muti ad Abbado, da Von Karajan a Maezel. Ha lavorato in molte città d’Europa. Al teatro a La Scala ha curato la scenografia di Aida di Giuseppe Verdi su libretto di Antonio Ghislanzoni e di La sonnambula di Vincenzo Bellini su libretto di Felice Romani; al Festival di Salisburgo ha curato Così fan tutte e Don Giovanni entrambe di Mozart su libretto di Da Ponte; a Colonia si è occupato di La gazza ladra di Gioachino Rossini su libretto di Giovanni Gherardini; a Parigi ha collaborato alla messinscena di Tristano e Isotta di Richard Wagner e L’amore delle tre melarance di Sergej Prokof’ev. L’ultima opera di cui si è occupato è stata Cenerentola di Rossini per l’edizione al Festival di Salisburgo. II.1.15 Milano, Teatro alla Scala, 1987 Direttore d’orchestra: Riccardo Muti Regia: Giorgio Strehler Scenografia: Ezio Frigerio Costumi: Franca Squarciapino Principali interpreti: Thomas Allen (Don Giovanni), Sergej Koptchak (Il Commendatore), Edita Gruberova (Donna Anna), Francisco Araiza (Don Ottavio), Ann Murray (Donna Elvira), Claudio Desderi (Leporello), Natale de Carolis (Masetto), Susanne Mentzer (Zerlina)
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L’ambientazione scenografico-costumistica Quest’opera dall’aria cupa, nera e angosciante, in grado di rappresentare il paradosso della storia raccontata, il tragico che si scontra col buffo, l’allegria con la pena degli inferi, ha un’impostazione tradizionale dalla quale emerge perfettamente sia dal punto di vista costumistico che dalla scenografia, il periodo del Barocco. L’azione scenica per la maggior parte dell’opera si svolge all’interno di un cortile di un palazzo con scale, terrazze con balconi dalla quale si scorge la veduta un paesaggio con ville che appare molto italiano, dal sapore di un tardo barocco proto-settecentesco. Al finale dell’opera dense nuvole di fumo avvolgono il palco, una voragine che si apre inghiotte Don Giovanni. La costumista (vedi pag.57) II.1.16 Londra, Glyndebourne Opera House, 1977 Direttore d’orchestra: Bernard Haitink Regia: Peter Hall Scenografia: John Bury Costumi: John Bury Principali interpreti: Benjamin Luxon (Don Giovanni), Pierre Thau (Il Commendatore), Horiana Branisteanu (Donna Anna), Leo Goeke (Don Ottavio), Rachel Yakar (Donna Elvira), Stafford Dean (Leporello), John Rawnsley (Masetto), Elizabeth Gale (Zerlina) L’ambientazione scenografico-costumistica A questa produzione anche se può essere definita classica, bisogna prestare attenzione alla scenografia e soprattutto ai costumi che nonostante la loro eleganza non sono appropriati per il periodo, l’opera sembra essere aggiornata relativamente agli inizi del 1800. Il costumista John Bury (1925 - 2000) è stato uno scenografo, costumista e lighting designer britannico che ha lavorato nei teatri e nella lirica internazionale. Ha iniziato la sua carriera disegnando scene e costumi per il Theatre Workshop 73
del regista Joan Littlewood. Rimase in teatro fino al 1962, accettando una proposta di lavoro con la Royal Shakespeare Company. Due anni più tardi è stato promosso alla posizione di capo designer. Nello stesso tempo, Bury ha incontrato l’acclamato regista Peter Hall con la quale ha avuto un lungo rapporto creativo. I due uomini hanno collaborato insieme per numerose produzioni, tra cui Tristano e Isotta di Richard Wagner, Il flauto magico di Mozart su libretto di Emanuel Schikaneder, A Taste of Honey di Shelagh Delaney, e Amadeus di Peter Shaffer, per i quali Bury ha ricevuto il premio Tony Awards per la fotografia, scenografia, costumi e l’illuminazione. Il rapporto di lavoro con Peter Hall portò Bury alla nomina di capo designer e direttore associato del Teatro Nazionale della Gran Bretagna, una posizione che ha tenuto fino al 1985. Il suo lavoro è stato caratterizzato da un fascino semplice e moderno. Bury utilizza materiali naturali spesso incorporati nei suoi disegni per ottenere un look autentico. Ciò è evidente nei disegni delle sue scene e costumi per La guerra dei Roses basato sul romanzo The War of the Roses di Warren Adler, Amleto di William Shakespeare, e Tradimento. Nel corso della sua carriera, Bury è stato nominato più volte vincitore del Tony Awards. Uno dei suoi più famosi crediti di progettazione è stato per una produzione a Broadway, The Homecoming di Harold Pinter nel 1967. II.1.17 Berlino, Deutsche Oper Berlin, 24 settembre 1961 Direttore d’orchestra: Ferenc Fricsay Regia: Carl Ebert Scenografia: Georges Wakhevitch Costumi: Georges Wakhevitch Principali interpreti: Dietrich Fischer-Dieskau (Don Giovanni), Josef Greindl (Il Commendatore), Elisabeth Grümmer (Donna Anna), Donald Grobe (Don Ottavio), Pilar Lorengar (Donna Elvira), Walter Berry (Leporello), Ivan Sardi (Masetto), Erika Köth (Zerlina) L’ambientazione scenografico-costumistica È una performance cantata in tedesco e registrata in bianco e nero alla Deutsche Oper di Berlino. Nei costumi emerge la Spagna del sedicesimo 74
secolo, in un’ambientazione classica, fondali dipinti, scale di palazzi e ringhiere in ferro battuto. Il costumista Georges Wakhevitch è un designer di arredamento, art director, scenografo e costumista nato a Odessa nel 1907, ma cresciuto a Parigi dove morì nel 1984. Studia al Ginnasio russo di Parigi, all’Ecole Nationale Supérieure des Arts Décoratifs e all’Académie de la Grande Chaumière. Nel 1924 è cofondatore della compagnia teatrale Théâtre des Jeunes che diverrà poi nel 1927 Les Virgules Bleues. Nel 1926 fa una breve apparizione nel film di Pierre Colombier, Paris en cinq jours. Nel 1927 inizia a studiare pittura con Edwin Scott e scenografia con Pavel Čeliščev, che in quegli anni collaborava alle stagioni dei Balletti russi di Djagilev. Mentre studia all’Ecole des Arts décoratifs, tra il 1924-1928 lavora come comparsa con la compagnia Albatros, poi diventa assistente dello scenografo cinematografico russo Lazare Meerson. Dal 1928 al 1930 è assistente di Jean Perrier, scenografo e architetto cinematografico. Inizia così una lunga carriera di scenografo. Crea le sue prime scenografie autonome nel 1930-31, lavorando presso la compagnia cinematografica Victorine di Nizza e la casa di produzione cinematografica internazionale Tobis, fondata a Berlino nel 1928. Nel tempo ha prodotto costumi e scene per oltre 100 film, collaborando con molti registi, Jacques Renoir, Marcel Carné, Jacques Duvivier, René Clair. Tra le sue realizzazioni si ricordano i film di Jean Renoir Madame Bovary 1933, La Marseillaise nel 1937, La grande illusion nel 1937, nel 1939 Louise di Abel Gance, di Marcel Carné Les visiteurs du soir nel 1942. Le sue realizzazioni risentono del gusto pittorico del “realismo magico” e dell’esperienza teatrale. Il suo lavoro di “costruttore di sogni” si definisce e precisa di spettacolo in spettacolo e di film in film, producendo vere e proprie innovazioni tecniche. Diventato scenografo e costumista di fama internazionale di spettacoli d’opera, balletti, prosa e cinema, collabora a più di 200 opere liriche e 300 spettacoli teatrali, lavorando per teatri famosi come il Théâtre du Vieux Colombier, la Comédie Française a Parigi, la Royal Opera House del Covent Garden a Londra, il Festival di Salisburgo e la Scala di Milano, dove allestisce numerosi spettacoli negli anni Cinquanta 75
e nei primi anni Sessanta. L’artista si è occupato anche di pittura e grafica, ha illustrato libri di Shakespeare e Garcia Lorca. Ha esposto le sue opere al Salon d’automne nel 1936 e 1946, nelle gallerie parigine Drouant-David tra il 1953 e il 1969, e Proscenium nel 1971. È autore di un libro di ricordi dal titolo L’Envers des décors edito a Parigi nel 1977. Nel 1982 gli è stato conferito il titolo di Accademico di Francia nella sezione pittura. II.1.18 Napoli, Teatro San Carlo, 1958 Direttore d’orchestra: Nino Sanzogno Regia: Michele Lauro Scenografia: Franco Zeffirelli Costumi: Franco Zeffirelli Principali interpreti: Mario Petri (Don Giovanni), Ferruccio Mazzoli (Il Commendatore), Orietta Moscucci (Donna Anna), Luigi Alva (Don Ottavio), Ilva Ligabue (Donna Elvira), Sesto Bruscantini (Leporello), Franco Calabrese (Masetto), Graziella Sciutti (Zerlina) L’ambientazione scenografico-costumistica Versione classica, con un impostazione tradizionale dalla scenografia dipinta e i costumi dalle fogge seicentesche. Il video è in bianco e nero. Il costumista Franco Zeffirelli, all’anagrafe Gian Franco Corsi Zeffirelli nato a Firenze 12 febbraio 1923 è un regista, sceneggiatore e politico italiano. Dopo aver frequentato l’Accademia di Belle Arti a Firenze, esordì come scenografo nel secondo dopoguerra, curando una messa in scena di Troilo e Cressida diretta da Luchino Visconti. Compì, insieme a Francesco Rosi, le prime esperienze nel cinema come aiuto regista dello stesso Visconti in La terra trema e in Senso. Nel 1953 cura i bozzetti dell’Italiana in Algeri per la regia di Corrado Pavolini al Teatro alla Scala di Milano. Negli anni cinquanta esordì come regista sia in teatro che al cinema. A La Scala nel 1954 cura la regia di La Cenerentola di Rossini e L’elisir d’amore di Gaetano Donizetti su libretto di Felice Romani; nel 1955 Il Turco in Italia di Gaetano Donizetti su libretto di Felice Romani portata anche in trasferta nel 1957 al 76
King’s Theatre Edimburgo; nel 1957 La Cecchina ossia La buona figliuola di Niccolò Piccinni su libretto di Carlo Goldoni; nel 1958 Mignon di Ambroise Thomas su libretto di Jules Barbier e Michel Carré; nel 1959 Don Pasquale di Gaetano Donizzetti su libretto di Giovanni Ruffini, al Teatro Verdi di Trieste; nel 1958 Manon Lescaut di Giacomo Puccini al Royal Opera Houseù; per il Covent Garden di Londra nel 1959 Lucia di Lammermoor di Gaetano Donizetti su libretto di Salvadore Cammarano portata anche in trasferta al King’s Theatre di Edimburgo; nel 1961 Cavalleria rusticana di Pietro Mascagni su libretto di Giovanni Targioni Tozzetti e Guido Menasci, e Pagliacci di Ruggero Leoncavallo. Sul grande schermo debuttò con Camping nel 1957, una commedia di ambiente giovanile. Ancora al Covent Garden nel 1960 disegna i costumi per Joan Sutherland di La traviata di Giuseppe Verdi su libretto di Francesco Maria Piave. Ancora a La Scala nel 1960 cura la regia de Le astuzie femminili di Domenico Cimarosa su libretto di Giuseppe Palomba e di Lo frate ‘nnamorato di Giovanni Battista Pergolesi su libretto di Gennaro Antonio Federico; nel 1963 La bohème di Giacomo Puccini su libretto di Giuseppe Giacosa e Luigi Illica, ed Aida di Giuseppe Verdi su libretto di Antonio Ghislanzoni; nel 1964 La traviata di Giuseppe Verdi su libretto di Francesco Maria Piave, al Teatro La Fenice di Venezia; nel 1960 Alcina di Georg Friedrich Händel su libretto anonimo, ispirato al libretto dell’opera L’isola di Alcina di Riccardo Broschi; nel 1961 Lucia di Lammermoor di Gaetano Donizetti su libretto di Salvadore Cammarano; a Trieste nel 1961 Rigoletto di Giuseppe Verdi su libretto di Francesco Maria Piave e nel 1967 Falstaff di Giuseppe Verdi su libretto di Arrigo Boito; al Glyndebourne Festival Opera nel 1961 L’elisir d’amore di Gaetano Donizetti su libretto di Felice Romani; a Londra nel 1961 Falstaff di Giuseppe Verdi su libretto di Arrigo Boito; nel 1962 Don Giovanni di Mozart su libretto di Da Ponte ed Alcina di Georg Friedrich Händel; nel 1964 Tosca di Giacomo Puccini su libretto di Giuseppe Giacosa e Luigi Illica; Rigoletto di Giuseppe Verdi su libretto di Francesco Maria Piave ed I puritani di Vincenzo Bellini su libretto di Carlo Pepoli; al Wiener Staatsoper nel 1963 La bohème di Giacomo Puccini su libretto di Giuseppe Giacosa e Luigi Illica (che fino al 2014 va in scena 410 volte); al Metropolitan Opera House di New York nel 1964 Falstaff di 77
Giuseppe Verdi su libretto di Arrigo Boito e nel 1966 la prima assoluta di Antony and Cleopatra di Samuel Barber di cui è anche il librettista. Verso la fine degli anni sessanta si impose all’attenzione internazionale in campo cinematografico grazie a due trasposizioni shakespeariane: La bisbetica domata nel 1967 e Romeo e Giulietta nel 1968. Nel 1966 realizzò un documentario sull’alluvione di Firenze intitolato Per Firenze. Negli anni Sessanta Zeffirelli diresse alcuni spettacoli memorabili nella storia del teatro italiano, come Amleto con Giorgio Albertazzi, recitato anche a Londra in occasione delle celebrazioni shakespeariane nel quattrocentesimo anniversario della nascita del grande drammaturgo; Chi ha paura di Virginia Woolf? con Enrico Maria Salerno e Sarah Ferrati; La lupa di Giovanni Verga con Anna Magnani. Ancora al Metropolitan nel 1970 cura la regia di Cavalleria rusticana di Pietro Mascagni su libretto di Giovanni TargioniTozzetti e Guido Menasci; nel 1972 a La Scala Otello di Giuseppe Verdi su libretto di Arrigo Boito e Un ballo in maschera di Giuseppe Verdi su libretto di Antonio Somma; a Vienna Don Giovanni di Mozart su libretto di Da Ponte, Carmen di Georges Bizet su libretto di Henri Meilhac e Ludovic Halévy ed al Grand Théâtre de Genève La Fille du Regiment di Gaetano Donizetti su libretto di Jean-François-Alfred Bayard e Jules-Henri Vernoy de Saint-Georges. Diresse Fratello sole, sorella luna, una poetica rievocazione della vita di Francesco d’Assisi. Scenografo e allievo di Luchino Visconti, le sue opere furono sempre accurate nelle ricostruzioni di ambienti, e scelse sempre soggetti di forte impatto emotivo sul pubblico. Nel dicembre del 1974 cura la regia televisiva in mondovisione della cerimonia di apertura dell’Anno Santo. Nel gennaio del 1976 torna a collaborare col Teatro La Scala di Milano, allestendo ancora una volta la sua celebre Aida di Giuseppe Verdi su libretto di Antonio Ghislanzoni, diretta da Thomas Schippers e con Montserrat Caballè e Carlo Bergonzi come protagonisti. Il 7 dicembre 1976 firma regia e scene di una storica edizione di Otello di Giuseppe Verdi su libretto di Arrigo Boito con la direzione di Carlos Kleiber e protagonisti Placido Domingo, Mirella Freni e Piero Cappuccilli, inaugurando la stagione lirica del Teatro La Scala, e per la prima volta trasmessa in diretta televisiva dalla RAI. Dopo il successo del film televisivo Gesù di Nazareth nel 1976, una coproduzione internazionale sulla vita 78
di Gesù, realizzò Il campione nel 1978; Amore senza fine nel 1981; Il giovane Toscanini nel 1988. Nel 1990 tornò a Shakespeare con un nuovo adattamento cinematografico di Amleto. Nel 1981 cura la regia di Cavalleria rusticana di Pietro Mascagni su libretto di Giovanni Targioni-Tozzetti e Guido Menasci e di Pagliacci di Ruggero Leoncavallo a La Scala; nel 1983 mise in scena Turandot di Giacomo Puccini, e Sei personaggi in cerca d’autore di Luigi Pirandello. Nel 1985 Il lago dei cigni di Pëtr Il’ič Čajkovskij a La Scala; al Metropolitan nel 1981 La bohème di Giacomo Puccini su libretto di Giuseppe Giacosa e Luigi Illica; nel 1985 Tosca di Giacomo Puccini su libretto di Giuseppe Giacosa e Luigi Illica; nel 1987 Turandot su libretto di Giuseppe Adami e Renato Simoni, lasciata incompiuta da Giacomo Puccini e successivamente completata da Franco Alfano; nel 1989 La traviata di Giuseppe Verdi su libretto di Francesco Maria Piave, e rifatta all’Opéra National de Paris nel 1986. A Trieste nel 1987 La Fille du Regiment di Gaetano Donizetti su libretto di Jean-François-Alfred Bayard e Jules-Henri Vernoy de Saint-Georges. Nel 1990 cura la regia di Don Giovanni di Mozart su libretto di Da Ponte; nel 1996 Carmen di Georges Bizet su libretto di Henri Meilhac e Ludovic Halévy; nel 1992 Don Carlo di Giuseppe Verdi su libretto di Joseph Méry e Camille du Locle; nel 1996 La Fille du Regiment di Gaetano Donizetti libretto di Jean-FrançoisAlfred Bayard e Jules-Henri Vernoy de Saint-Georges. Nel 1993 tornò al cinema con Storia di una capinera, di Giovanni Verga. Nel 1994 è eletto senatore della Repubblica nelle Liste di Forza Italia della circoscrizione Catania, ottenendo un numero record di voti che riconferma con la sua rielezione a senatore nel 1996. Allestì all’Arena di Verona nel 1995 Carmen di Georges Bizet ripresa poi nel 1996, 1997, 1999, 2002, 2003, 2006, 2008, 2009, 2010, 2012 e 2014; nel 2001 Il trovatore di Giuseppe Verdi su libretto di Salvadore Cammarano e Leone Emanuele Bardare, l’opera andata in scena anche nel 2002, 2004, 2010 e 2013; nel 2002 Aida di Giuseppe Verdi, riproposta nel 2003, 2004, 2005, 2006, 2010; nel 2004 Madama Butterfly di Giacomo Puccini su libretto di Giuseppe Giacosa e Luigi Illica è andata in scena anche nel 2006, 2010 e 2014; nel 2010 Turandot di Giacomo Puccini ripresa nel 2012 e 2014; nel 2012 Don Giovanni di Mozart. Tra il 1996 e il 1999 ha diretto i film: Jane Eyre e Un tè con Mussolini, quest’ul79
timo parzialmente autobiografico. Nel dicembre 1999 tornò a dirigere le riprese TV della cerimonia di apertura dell’Anno Santo. Nel 2002 sempre per il grande schermo, realizzò Callas Forever, liberamente ispirato alla vita di Maria Callas. Ancora per il Metropolitan nel 2002 cura la regia de Il barbiere di Siviglia di Gioachino Rossini su libretto di Cesare Sterbini. Fino al 2014 sono oltre 800 gli spettacoli con la sua regia andati in scena al Met. Il 24 novembre 2004 la Regina Elisabetta II lo nominò Cavaliere Commendatore dell’Ordine dell’Impero Britannico (KBE). Nel 2006 ha curato il suo quinto allestimento di Aida di Giuseppe Verdi su libretto di Antonio Ghislanzoni interpretata da Violeta Urmana per l’inaugurazione del Teatro La Scala. Dal 21 aprile a 3 maggio 2007 è andato in scena il suo nuovo allestimento de La traviata di Giuseppe Verdi per il Teatro dell’Opera di Roma, con direzione d’orchestra Gianluigi Gelmetti, la prima dello spettacolo del 21 aprile è stata trasmessa in diretta in ventidue sale cinematografiche. Al Teatro Filarmonico di Verona debutta nel 2012 con Pagliacci di Ruggero Leoncavallo. Nel 2014 interpreta se stesso a fianco del Premio Oscar in Il mistero di Dante di Louis Nero. II.1.19 Salisburgo, Felsenreitschule, 1954 Direttore d’orchestra: Wilhelm Furtwängler Regia: Herbert Graf Scenografia: Clemens Holzmeister Costumi: Clemens Holzmeister Principali interpreti: Cesare Siepi (Don Giovanni), Deszö Ernster (Il Commendatore), Elisabeth Grümmer (Donna Anna), Anton Dermota (Don Ottavio), Lisa della Casa (Donna Elvira), Otto Edelmann (Leporello), Walter Berry (Masetto), Erna Berger (Zerlina) L’ambientazione scenografico-costumistica È una produzione classica ambientata in una piazza o un cortile dove vi sono dei palazzi con scale dalle quali i personaggi entrano ed escono dalla scena. I costumi sono tradizionali e risalenti alla Spagna del 1600.
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Il costumista Clemens Holzmeister (27 marzo 1886 - 12 giugno 1983) è stato un importante architetto e scenografo austriaco del primo Novecento. L’Accademia Austriaca delle Belle Arti ha elencato 673 progetti del lavoro di Clemens Holzmeister. Ha frequentato il Politecnico di Vienna e conseguito un dottorato in architettura nel 1919. È diventato il capo del Dipartimento di Architettura dell’Accademia di Belle Arti in Austria nel 1924. Nel 1926 ha curato la ristrutturazione del Teatro Festival di Salisburgo, e successivamente ha trascorso diversi anni a erigere edifici governativi in Ankara, in Turchia. Oltre a costruire progetti in Austria, Germania e Turchia, è rimasto il Direttore dell’Accademia fino al 1938 quando il governo Nazista gli ha sequestrato i suoi uffici e i suoi documenti. Nonostante ciò egli ebbe la fortuna in quel momento di trasferirsi in Turchia, dove ebbe l’incarico di progettare e costruire l’attuale Parlamento turco, così come numerosi altri edifici statali. Rimase in Turchia fino al 1954, poi è tornando in Austria ed ebbe commissionato il Großes Festspielhaus. Il suo lavoro comprende un gran numero di edifici pubblici e semi-pubblici, chiese e monumenti. Ha sviluppato una nuova interpretazione delle tradizioni costruttive locali tra semplicità ed espressività. Holzmeister ha lavorato anche come scenografo a partire dal 1930 in collaborazione con Max Reinhardt per il quale ha creato il Faust-City per il Festival di Salisburgo. Nel 1950 Holzmeister progetta sempre per il Festival di Salisburgo Don Giovanni di Mozart su libretto di Da Ponte; per il Teatro dell’Opera di Vienna Fidelio di Ludwig van Beethoven su libretto di Joseph Sonnleithner e Georg Friedrich Treitschke. Nel 1955, per l’apertura rinnova il Burgtheater. Le scenografie di Holzmeister pur sempre rispettando i requisiti delle produzioni teatrali, non nascondono mai lo sfondo architettonico del loro creatore.
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II.2 Don Giovanni sulla scena cinematografica Di notevole importanza e per il grande successo che hanno riscontrato sono da citare anche alcune delle versioni cinematografiche del Don Giovanni. Alcune di esse, sono delle vere e proprie trasposizioni cinematografiche dell’opera lirica, altre anche se non trattano la conosciuta e storica fabula del Don Giovanni, ne ripropongono una versione rivisitata facendo emergere comunque le tante diverse realtà psicologiche dei personaggi e soprattutto il carattere seduttivo e perverso del protagonista. II.2.1 Regia: Kasper Holten Direttore d’orchestra: Lars Ulrik Mortensen Titolo: Juan Principali interpreti: Christopher Maltman, Mikhail Petrenko, Maria Bengtsson, Elizabeth Futral, Katija Dragojevic, Peter Lodahl, Ludwig Begtson Lindström, Eric Halfvarson. Genere: film - opera Scenografia: Steffen Aarfing, Dora Szentirmai Costumi: Marie í Dali Paese: Danimarca anno: 2012 minutaggio: 105 minuti Ambientazione / trama Una versione davvero unica della famosa opera di Mozart. Intensa, vibrante ed energica, un dramma senza tempo girato a Budapest. Don Giovanni diventa Juan. Il protagonista è un famoso artista iper-trendy e noto playboy grazie alla sua capacità di diventare ogni sogno di donna. Svolge la propria vita impegnato in un progetto d’inquietudine maniacale basato soprattutto sulle sue numerose conquiste e tradimenti, diligentemente filmati 82
e catalogati in HD da Leporello. Il soprannaturale è bandito, e lo scontro finale di Juan non è con il Commendatore, ma assume una dimensione psicologica, quella che lo porterà al suicidio. Una rappresentazione della sensualità maschile nel ventunesimo secolo, portata all’estremo. Questo Don Giovanni rivela come la benedizione di un appetito infinito per la vita e la volontà di conquistare il mondo, potrebbe rivelarsi il percorso spietato di autodistruzione. Il costumista Marie í Dali è una riconosciuta costumista. Ha studiato Scenografia alla Wimbledon School of Art di Londra (1989 - 1993), corsi di Arte e Disegno al St. Central Martins (1987 - 1989), Teatro all’Università di Copenhagen (1984 - 1987). Ha lavorato e creato costumi per il balletto, l’opera e il cinema, per tanti anni in stretta collaborazione con lo scenografo danese Steffen Aarfing. Nel 2009 creò i costumi del film d’opera Juan di Kasper Holten; nel 2005 The Substitute di Ole Bornedal; nel 2001 Sono Dina di Ole Bornedal; nel 1994 Cultura Società TV2. Per l’Opera ha creato i costumi: nel 2011 Il misantropo di Thomas Bendixen per il Teatro Reale; Sogni Maze per il Copenhagen Music Theatre; nel 2010 per Le Nozze Di Figaro in The New Opera Bergen; My Fair Lady di Kasper Holten per il Teatro Reale; nel 2009 Homer & Seno Mountain Odysseus Avventurosi Viaggi di Ina-Miriam Rosenbaum per il Teatro del Popolo; Per Damasco di Anne Zacho Søgaard per la Scuola Nazionale Danese di Teatro; Qualcuno volò sul nido del cuculo di Minna Johannesen per la Scuola Nazionale Danese di Teatro; nel 2008 Iphegenia di Aulide per il Teatro Reale; Le Nozze Di Figaro per il Teatro Reale; Natmandens Figlia di Inger Eilersen per il Teatro del Popolo; Miracolo di Frede Gulbrandsen per il Teatro Reale; Lo Schiaccianoci di Pietra Koerner per il Tivoli Concert Hall; nel 2007 Le Nozze Di Figaro per il Theater an der Wien; The Celebration di Vibeke Bjelke per Gasworks; The Nutcracker per il Centrale Teatro Oslo; nel 2006 per il Teatro Reale Götterdämmerung e The Ring Cycle; Masquerade per il Teatro Reale Danese; Rosenkrantz e Guildenstern sono morti di Emmet Feigenberg Winn-T; per House Theatre Padre nostro di Inger Eilersen, e Åsted di Maria Vinterberg; nel 2005 Siegfried per il Teatro Reale Dane83
se; Scapins Foxes Strokes di Frede Gulbrandsen, e Hotel Botho di Søren Iversen per la Scuola Nazionale Danese di Teatro. Nel 2004 Clockwork Orange di Kasper Holten, The Graduate di Søren Iversen per Nørrebro Theatre; Ansia mangia anime up di Søren Iversen per Aarhus Theatre; nel 2003 Cabaret di Flemming Enevoldsen per Gladsaxe Theatre; The Nutcracker di Pietra Koerner Winn-T, Die Walküre e Das Rheingold per il Teatro Reale Danese; nel 2002 Così fan tutte per il Latvian National Opera; Der Rosenkavalier per l’Opéra National de Lyon France; The Firebird per il Royal Opera Svezia; nel 2000 Regina di Picche per il Teatro Reale, nel 1999 Strano caso del Dr. Jekyll e Mr. Hyde di Flemming Flint per Gladsaxe Theatre; la Bisbetica Domata di Kasper Holten; Le Nozze Di Figaro Aarhus; nel 1998 Momo di Michael Ende; Le foreste nere di Søren Iversen per Aarhus Theatre; Mr. Paul di Eyun Johannessen per Aarhus Theatre; Terra del Sorriso per l’Opera dello Jutland. Nel 1997 Three girls di Kirsten Peüliche per Aalborg Theatre; Don Giovanni per The Young Opera Company; Il giro di domata per l’Aarhus Estate Opera; nel 1996 Variazioni Tristan caleidoscopio, Persone Forester di Emil Hansen, per la Scuola danese di Odense Theatre; Seta di Pia Rosenbaum per Vejle Music Theatre; Strada Separator di Inge Andersen per l’Odense Theatre; nel 1995 La notte prima del bosco di Malene Da per la Scuola danese; Viaggio a voi di Gerz Feigenberg per House Theatre; Tone di Lark Reddersen per l’Odense Theatre; Non è qui di Ulla Gottlieb per il Teatro Rialto; nel 1994 Turandot per il Teatro Reale; Livstegn di Kasper Holten per Teatro Drammatico Rialto; Granduchessa Addio di Kristian Vang Rasmussen per il Vintapper Theatre; nel 1993 Andorra per Hampstead Theatre; per il Teatro Reale nel 1989 - 93 Parsifal; per l’Opera dello Jutland Margrethe, Ridehuset DK, Bodas de Sangre; per il Teatro Reale L’assurdità di comunicazione di Jane Collins, Ultima Cena di Leonardo di Jane Abela. Durante la sua carriera ha ricevuto i seguenti premi: nel 2012 Nomination Danish Film Academy Award “Robert” per il miglior costumista in Juan, nel 2009 The Gramophone Award DVD per The Copenhagen ring, nel 2003 Reumert Best Dance Production per Lo Schiaccianoci, nel 2003 per la migliore Opera Reumert Production Das Rheingold, nel 2002 per migliore scenografia di Perché io sono Dina, nel 2000 Nominato nella categoria migliori costumi 84
per Le Nozze Di Figaro, nel 1999 Reumert per la migliore produzione musicale di La bisbetica domata. II.2.2 Regia: Carlos Saura Titolo: Io, Don Giovanni Principali interpreti: Lorenzo Balducci: Lorenzo da Ponte, Lino Guanciale: Mozart, Emilia Verginelli: Annetta, Tobias Moretti: Giacomo Casanova, Ennio Fantastichini: Antonio Salieri, Ketevan Kemoklidze: Adriana Ferrarese / Donna Elvira, Sergio Foresti: Leporello, Borja Quiza: Don Giovanni, Carlo Lepore: Il Commendatore, Francesca Inaudi: Costanza, Franco Interlenghi: Père d’Annetta, Cristina Giannelli: Caterina Cavalieri, Roberto Accornero: Empereur Giuseppe II, Francesco Barilli: Prete, Elena Cucci: Francesca Barbarigo, Sylvia De Fanti: Tipoletta, Alessandra Marianelli: Zerlina. Genere: drammatico Scenografia: Luis Ramirez, Paola Bizzarri Costumi: Birgitt Hutter, Marina Roberti Paese: Italia, Spagna, Austria Anno: 2009 Minutaggio: 127 minuti Ambientazione / trama Venezia 1763, Lorenzo Da Ponte viene giudicato dall’Inquisizione veneziana e condannato a quindici anni di esilio per il suo comportamento libertino. Giacomo Casanova lo raccomanda a Vienna al compositore Antonio Salieri per il suo talento letterario. Nella capitale austriaca incontra Mozart, e ben presto viene incaricato di scrivere il libretto in italiano di una sua nuova opera, Don Giovanni. Il costumista Birgitt Hutter nata nel 1941, è una scenografa e costumista austriaca. Ha studiato pittura presso l’Accademia di Arti Applicate di Vienna e presso la Art Students League di New York City, inoltre ha studiato scena e costumi 85
presso l’Accademia di Belle Arti di Vienna conseguendo una laurea in Studi Teatrali. Ha lavorato come assistente di Vivienne Westwood e Marc Bohan e ha insegnato presso l’Università di Arti Applicate di Vienna. Birgit Hutter si è affermata come costumista per numerose produzioni di cinema, televisione, opera e teatro. Degni di nota sono i film Goethe nel 2009 e North Face nel 2007 diretto da Philipp Stölzl e Dällebach Kari, Gripsholm nel 1999 con il regista Xavier Koller. Ha collaborato con direttori televisivi quali Urs Egger in Il cervello di Kennedy, Brusco risveglio, Il Giudizio Universale, Bernd Fischer Auer, Journeyman, Il Salzbaron. Candidata e vincitrice di diversi premi cinematografici e televisivi. Nel 1988 ha vinto il Film Award austriaco per The Vast per la regia di Luc Bondy; nel 1994 il premio Golden Squad per i costumi di The Salzbaron; nel 2008 è stato nominato il Television Award tedesco per Il Giudizio Universale. Nel campo del teatro e opera Birgit Hutter lavora regolarmente insieme con Jürgen Flimm per le produzioni al Festival di Salisburgo tra cui Moïse et Pharaon di Rossini e Lucio Silla di Mozart. Ha disegnato i costumi per Il pipistrello di Johann Strauss su libretto di Carl Haffner e Richard Genée al Teatro dell’Opera di Zurigo; La Clemenza di Tito di Mozart su libretto di Caterino Mazzolà. Inoltre, Birgit Hutter ha lavorato in luoghi come il Wiener Burgtheater, Vienna Folk Theater, il Theater an der Wien, il Theater in der Josefstadt, il Teatro Thalia di Amburgo e la Staatsoper Unter den Linden di Berlino. Marina Roberti ha collaborato e creato costumi per i seguenti set cinematografici: nel 2014 Squadra Mobile, Anime nere di Francesco Munzi; Amici come noi di Enrico Lando; Sole a catinelle di Gennaro Nunziante; nel 2012 La figlia del capitano di Giacomo Campiotti; nel 2010 Il sorteggio di Giacomo Campiotti; nel 2009 Moana di Alfredo Peyretti; nel 2009 Squadra antimafia - Palermo oggi di Stefano Bises e Leonardo Fasoli; nel 2009 Il Principe di Matteo Albano; nel 2008 Gio di Cristian Di Mattia; nel 2007 Il capo dei capi, Giuseppe Moscati: L’amore che guarisce, L’amore e la guerra di Giacomo Campiott; nel 2006 Marie Antoinette di Sofia Coppola; nel 2004 Nemmeno il destino di Daniele Gaglianone; Ocean’s Twelve di Steven Soderbergh; La passione di Cristo di Mel Gibson; nel 2002 Da zero 86
a dieci di Luciano Ligabue; nel 2001 Santa Maradona di Marco Ponti; Amarsi può darsi di Alberto Taraglio; nel 2000 I nostri anni di Daniele Gaglianone; Il partigiano Johnny di Guido Chiesa; nel 1998 Il cielo sotto il deserto di Alberto Negrin; nel 1997 Kundun di Martin Scorsese; La tregua di Francesco Rosi; nel 1995 Il grande Fausto di Alberto Sironi; nel 1992 El infierno prometido di Chumilla-Carbajosa; nel 1990 L’avaro di Tonino Cervi; nel1988 Il segreto del Sahara; nel 1986 El hombre de la multitud di Chumilla-Carbajosa; nel 1985 Berenice di Chumilla-Carbajosa. II.2.3 Regia: Jeremy Leven Titolo: Don Juan De Marco - maestro d’amore Titolo originale: Don Juan De Marco Principali interpreti: Marlon Brando, Johnny Depp, Faye Dunaway, Géraldine Pailhas, Bob Dishy,Rachel Ticotin, Talisa Soto, Marita Geraghty, Richard C. Sarafian, Tresa Hughes, Stephen Singer, Franc Luz, Carmen Argenziano, Jo Champa, Esther Scott. Genere: commedia drammatica - sentimentale Scenografia: Maggie Martin Costumi: Kirsten Everberg Paese: USA Anno: 1995 Minutaggio: 97 minuti Ambientazione / trama Il personaggio principale interpretato da Johnny Depp è ispirato al protagonista del poema Don Juan (1824) di George Byron. John Arnold DeMarco un giovane che si crede Don Juan, dopo aver sedotto con la sua corte irresistibile una donna in attesa del fidanzato al ristorante, decide di suicidarsi. Lo salva lo psichiatra Jack Mickler, spacciandosi per il nobile Don Ottavio. Interessatosi al caso, riesce a sottrarlo ai farmaci per studiare la sua mitomania: il giovane racconta di essere nato in Messico, da padre di origini italiane, e di aver avuto la prima esperienza con la giovane istitutrice Doña Julia, il cui marito ha sfidato a duello ed ha ucciso il padre di 87
Juan, mentre la madre si è ritirata in convento. Intanto, contagiato dall’ardore vitale del giovane, l’anziano e pingue psichiatra sembra trovare nuovi stimoli nel rapporto con la moglie Marilyn. Ma la nonna del giovane smonta la sua fantasiosa storia: il padre, un ballerino è morto in un incidente d’automobile; la madre è viva. Juan ribatte che la nonna è pazza, e narra a Jack di quando fu amante della sultana Gulbeyaz nell’harem di un emiro, introducendosi nel serraglio in abiti muliebri. Frattanto il collegio medico insiste perché Juan sia sottoposto a terapia farmacologica, anche perché il giudice deve stabilire se rinchiudere o meno il giovane in una casa di cura. Ad aumentare le perplessità di Jack è la madre del giovane, che arriva dal Messico, ed è effettivamente una suora. Poi Juan riprende il suo racconto: naufragato sull’isola di Eros, ha trovato l’amore della sua vita, Doña Ana, ma alla rivelazione delle sue innumerevoli amanti costei lo ha abbandonato per sempre ed egli ha così deciso di uccidersi. Ma davanti al giudice vien fuori un’altra verità: la madre si è fatta suora dopo la morte del marito cui era infedele, rinchiudendosi in convento in Messico. Juan viene dimesso, ma Jack, ormai completamente affascinato e con un rapporto matrimoniale ristabilito, lo porta con sé in un’isola che sembra stranamente quella dei racconti del suo ex paziente. Il costumista Kirsten Everberg ha creato i costumi per i seguenti film: nel 1998 L’altra faccia di Beverly Hills di Tamara Jenkins; nel 1997 Vulcano - Los Angeles di Mick Jackson; nel 1996 Il corvo 2 di Tim Pope; Paura di James Foley; nel 1995 Kansas di Robert Mandel; nel 1994 Don Juan DeMarco - Maestro d’amore di Jeremy Leven; Il prezzo di Hollywood di George Huang; Jimmy Hollywood di Barry Levinson; nel 1993 Il giorno del Sacrificio di Dick Lowry; Stolen Babies di Eric Laneuville; nel 1992 Melrose Place una Serie TV in 13 episodi: Dreams Come True di John Nicolella, Polluted Affairs di Daniel Attias, A Promise Broken di Nancy Malone, Burned di Janet Greek, Responsibly yours di Daniel Attias, Lonely Hearts di Jefferson Kibbee, My Way di Bethany Rooney, Second Chances di Jefferson Kibbee, Leap of Faith di Bethany Rooney, For Love of Money di Steven Robman, Lost & Found di Charles Braverman, Friends & Lovers di Daniel Attias, 88
Pilot di Howard Deutch. Nello stesso 1992 Striptease killer di Joseph Sargent; In the Line of Duty: Street war di Dick Lowry; nel 1991 creò costumi per gli uomini di Il padre della sposa di Charles Shyer; è stato supervisore dei costumi per il film TV Wildflower di Diane Keaton; Scelta d’amore La storia di Hilary e Victor di Joel Schumacher; Dice lui, dice lei di Ken Kwapis e Marisa Silver. Nel 1990 in qualità di assistente costumista creò i costumi per Linea mortale di Joel Schumacher, e lo stesso anno sarà assistente di Susan Becker in Giorni di tuono di Tony Scott, e nel 1989 Gioco sporco di Stuart Orme. II.2.4 Regia: Joseph Losey Direttore: Lorin Maazel Titolo: Don Giovanni Principali interpreti: Ruggero Raimondi, John Macurdy, Edda Moser, Kiri Te Kanawa, Kenneth Riegel, José van Dam, Teresa Berganza Malcolm King. Genere: film - opera Scenografia: Alexandre Trauner Costumi: Annalisa Nasalli-Rocca Paese: New York Anno: 1978 Minutaggio: 185 minuti Ambientazione / trama La poetica di Joseph Losey, regista statunitense scomparso nel 1984, ben si accorda con la materia torbida del Don Giovanni, specie per quell’estetica del doppio che pervade l’opera. Losey amplifica quest’elemento sfruttando tutti gli strumenti che il linguaggio del cinema dispone, primo tra tutti il continuo alternare l’azione tra interni ed esterni, nelle suggestive ville palladiane di Vicenza e dintorni. I personaggi formano un tutt’uno con la scenografia: la solitudine di Donna Elvira e Don Ottavio, ripresi a cantare i loro sentimenti errando per gli sterminati giardini; gli specchi in cui continuamente Donna Anna riflette la propria menzogna; la fornace che 89
inghiottirà Don Giovanni. Il doppio si esprime anche nel colore dei costumi, il bianco e il nero, e nel continuo rincorrersi del giorno e della notte. Presenza nuova e inquietante della narrazione é il Valletto nero, personaggio muto ma sempre presente: un neo sulla tempia sinistra, uguale a quello di Don Giovanni, ci fa supporre che sia un suo oscuro alter ego, in un ambiguo rapporto di complicità e soggezione col suo padrone. Una trovata registica geniale é la presenza costante di uno spettatore interno, una sorta di coscienza morale che guarda alle malefatte del nostro dissoluto: il popolo di contadini e un grande Cristo in croce assistono al corteggiamento di Zerlina in Là ci darem la mano, una schiera di cortigiani e un chierico rosso ripreso di spalle osservano freddamente lo smascheramento di Leporello. Dal punto di vista musicale, la scelta di Losey di riprendere in diretta i recitativi conferisce grande realismo all’azione. Degna di nota é anche l’Ouverture, simbiosi di musica e immagini, in particolare nel momento in cui alle sinuose scale ascendenti e discendenti la macchina da presa ondeggia su e giú sulla distesa del mare. 2 Premi César 1980: miglior montaggio,miglior scenografia. David di Donatello 1980: miglior produttore. Il costumista Annalisa Nasalli Rocca nata nel 1924 si è spenta a Roma il 1 novembre del 2007 è stata un’importante costumista attiva dagli inizi degli anni Cinquanta fino al 1990. Ebbe una carriera prestigiosa che l’ha portata a lavorare con molti registi stranieri. Private Angel nel 1949 di Micahel Anderson e Peter Ustinov; Vacanze romane nel 1952 di William Wiler; Saadia nel 1953 di Albert Lewin; Lord Vanity nel 1954; A farewell to arms nel 1957 di Charles Vidor; The Nun’s Story nel 1959 di Fred Zinneman; Francesco d’Assisi nel 1961 di Michael Curtis; Lovers must learn nel 1961 di Delmer Davis; Esacapade in Florence nel 1961 (serie tv) di Steve Previn; Jessica nel 1962 di Jean Negulesco e Oreste Paolella; Adventure of a young man nel 1962 di Martin Ritt; Face in the rain nel 1963 di Irvin Kershner; Panic Botton... operazione fisco! nel 1964 di George Sherman e Giuliano Carmineo; Combattenti della notte nel 1965 di Melville Shavelson; The shoes of the Fisherman nel 1968 di Michael Anderson; A walk with love and death 90
nel 1969 di John Huston; Hornets’ nest nel 1969 di Phil Karlson e Franco Cirino; Promise at dawn nel 1970 di Jules Dassin; The Trojan Women nel 1971 di Michael Cacoyannis; The assasination of Trotsky nel 1972 di Joseph Losey; Casar et Rosalie nel 1972 di Claude Sautet; Professione reporter nel 1973 di Michelangelo Antonioni; Alle origini della mafia nel 1975 di Enzo Mizii; Mr. Klein nel 1976 di Joseph Losey; Julia nel 1976 di Fred Zinneman; Un attimo una vita (Bobby Deerfield) nel 1976 di Sydney Pollack; Don Giovanni nel 1978 di Joseph Losey; La truite nel 1982 di Joseph Losey; Five days one summer nel 1982 di Fred Zinneman; The scarlet and the black nel 1983 di Jerry London; Benvenuta nel 1984 di Andrè Delvaux; Sheena nel 1984 di John Guillermin; Pirates nel 1986 di Roamn Polasnki; Haunted summer nel 1988 di Ivan Passer. II.2.5 Regia: Carmelo Bene Titolo: Don Giovanni Principali interpreti: Carmelo Bene, Salvatore Vendittelli, Gea Marotta, Lydia Mancinelli,Vittorio Bodini Genere: Drammatico-Commedia Scenografia: Salvatore Vendittelli Costumi: Carmelo Bene Paese: Italia Anno: 1970 Minutaggio: 75 minuti Ambientazione / trama Prodotto da Bene stesso, girato nel suo appartamento in 16mm (e successivamente gonfiato a 35mm), con budget e cast ridottissimi, caratterizzato da un montaggio frenetico, ipnotizzante (circa 4000 inquadrature), Don Giovanni è un monumento mentale e sembra, tra tutti i suoi film, quello più capace di impregnare l’inconscio dello spettatore: le atmosfere claustrofobiche e le tante inquadrature su fondo nero che danno l’impressione di visitare uno spazio interiore, fantasmagorico; il tempo stranamente sospeso e la ripetizione ossessiva di azioni frustrate che non arrivano a 91
una conclusione, come certi sogni; la predilezione per i colori scuri, la morbosità dei personaggi e dell’ambiente più in generale, tutte queste scelte fanno del Don Giovanni la regina “nera” della filmografia beniana. Il personaggio Don Giovanni di Carmelo Bene è non solo poco sexy, ma decisamente frustrato, impedito, incapace e in decomposizione, è l’incarnazione di un’idea, di una suggestione: l’impossibilità ultima, in fin dei conti, di qualsiasi seduzione. Un Don Giovanni privo, insomma, di tutta la sua “donjuanità”. Il risultato finale si distingue in una sensualità insolita grazie allo splendore visivo e sonoro della regia di Bene che qui firma forse l’opera più affascinante della sua filmografia, e anche quello che meno si avvale della parola, come se la scarsità di questa rinforzasse a sua volta l’effetto ipnotico delle immagini e dei suoni. Pur molto sensuale, il film non diventa mai veramente erotico, semmai, diciamo, solo molto eroticamente anti-erotico. La “De-dongiovannizzazione” messa in scena da Bene si basa su una trama in fondo molto semplice; a seguito di un breve prologo sui primi versi di un sonetto di Shakespeare, inizia la prima parte, quasi interamente in bianco e nero, vede Don Giovanni confrontarsi, durante il corso di una cena, con dodici tipi diversi di Donna (illustrati dalla colonna sonora nel catalogo Mozartiano dell’aria del Don Giovanni), tutti interpretati da un’unica attrice, Lydia Mancinelli. Nelle seconda parte, a colori, il film si svolge in uno spazio chiuso, indeterminato, e mette in scena quattro diversi tentativi di Don Giovanni di sedurre una giovane fanciulla, non ancora fiorita in donna, sotto gli occhi di sua madre. Questi tentativi, ognuno più intenso, complesso ed estremo di quello precedente, consistono il primo nella preparazione del thè, il secondo in uno spettacolo teatrale di burattini animati da Don Giovanni (che diventa poi egli stesso attore), mentre il terzo ruota intorno ad una serie di oggetti religiosi, quali campane e crocifissi, e l’ultimo vede Don Giovanni vestire letteralmente i panni di Cristo. Ogni suo atto, cerimonioso quanto sincero, fallisce tuttavia davanti all’ostinazione della ragazza e alla sua determinazione religiosa, quasi mistica. Il film raggiunge allora il suo climax nella confessione della fanciulla, esaurita e angosciata: per il solo fatto di essersi seduta sulla poltrona fino a poco prima occupata da Don Giovanni ella teme di essere rimasta incinta. Nella conclusione, l’immagine del seduttore fallito appare spezza92
ta nei frammenti di uno specchio, mentre la voce fuori campo cita una frase da un racconto di Borges: “Copulation and mirrors are abominable because they multiplicate the number of human beings” (la copula e gli specchi sono abominevoli perché moltiplicano il numero degli esseri umani). Parlare di una vera e propria trama è, come si è visto, difficile perché i tentativi di Don Giovanni, pur succedendosi uno dopo l’altro, sembrano ciascuno una bolla, una situazione chiusa con uno spazio e un tempo indeterminati, all’interno dei quali le azioni e le causalità rimangono spesso non-lineari, o circolari, pur avendo lo stesso “motore”, ovvero la fanciulla come oggetto del desiderio verso cui tutte le azioni e attenzioni di Don Giovanni convergono. Il film si stacca nettamente dalle sue fonti principali, ovvero il racconto di Barbey d’Aubervilly, Le Plus Bel Amour de Don Juan del 1867, e l’opera di Mozart con il libretto di Lorenzo Da Ponte. In linea col modus operandi abituale di Bene, entrambe le fonti vengono usate solo parzialmente, per poi essere mescolate e confrontate con una serie di altri elementi e riferimenti: dal sonetto di Shakespeare del prologo, a Borges, fino ai frammenti di Santa Teresa. Ma già i “tagli” fatti a Barbey e a Da Ponte fanno di per sé capire che quello di Bene non è più il Don Giovanni seduttore per eccellenza della leggenda. Da Barbey viene ripreso “solo” il motivo della cena con dodici donne e la confessione della ragazza, e da Mozart l’aria del catalogo “Ma in Ispagna son già mille e tre” che si trova qui però radicalmente compresso, o forse addirittura cancellato. Come già detto, tutte le donne della cena vengono incarnate da una sola interprete, prima che il racconto si concentri essenzialmente sul rapporto tra Don Giovanni e la fanciulla. Una giovane (interpretata da Gea Marotta) a priori aliena al suo repertorio per vari motivi: non è ancora donna (la ragione per cui non può essere sedotta) e non avrebbe probabilmente neanche da donna corrisposto ai codici di bellezza da lui ricercati: un volto senza nessun maquillage e dalle sopracciglia folte e ravvicinate (che non sono l’unico punto di somiglianza con Frida Khalo). Il mito, già “amputato” nell’uso ridotto delle fonti, viene inoltre sottoposto a una serie di processi di frammentazione estremamente complessi nel montaggio, che portano le immagini ad uno stato di disordine apparentemente assoluto, spaccando il senso di unità spaziale e l’integrità delle azioni filmate (come i tentativi di Don 93
Giovanni sono essi stessi incompiuti, eternamente votati all’insuccesso). Intenti a distruggere le immagini, Bene e il suo montatore usano una serie di metodi che vanno dal cambiamento del punto di vista nel passaggio da un piano all’altro, alla decostruzione del montaggio alternato tradizionale tramite la dilatazione dell’unità di una situazione in una moltitudine di punti di vista eterogenei. L’aspetto frenetico del montaggio deriva, inoltre, dall’accumulazione e l’affastellamento delle immagini inserite in modo eterogeneo, illeggibile, astratto, rovesciate, e sfocate. La colonna sonora non è meno raffinata: i personaggi del film parlano raramente, e se delle parole vengono pronunciate, vengono piuttosto da fuori campo, o da voci che non corrispondono ai corpi presenti nel film. La materia prima della colonna sonora è costituita da composizioni musicali classiche e rumori di varia natura che vengono tagliati, frammentati, sovrapposti. La colonna sonora e la banda-immagine trovano un solo momento di unità e di calma nella confessione della bambina, che pronuncia la sua confessione seduta, dunque immobile, e un pò balbettante. Il suo monologo è di fatto l’unico discorso che si ascolta in sincrono con l’immagine, non più da fuori campo, e per tutta la sua durata, facendone il piano più lungo del film (1 minuto e 35 secondi). La tensione creata da questo sforzo di tenere insieme immagine e suono per un momento tanto prolungato non può che terminare in un’esplosione: la demolizione dello specchio da parte di Don Giovanni che avviene poco dopo. La madre della fanciulla raccoglie i frantumi che riflettono solo frammenti del volto dell’uomo: il Mito è distrutto e siamo testimoni dell’ultimo sguardo di un corpo che non esiste già più. I pezzi per terra saranno mille e tre. Il costumista Carmelo Bene, Lecce 1937 - Roma 2002. Attore, regista teatrale e cinematografico italiano ha esordito nel 1959 come protagonista nel Caligola di Camus e ha poi formato una compagnia (primo caso in Italia di antiteatro) che ha dato vita a spettacoli in cui alla provocazione contro il teatro ufficiale si univa il gusto dello scandalo e uno stile carico di effetti istrioneschi e barocchi. Della sua vasta produzione teatrale in cui è costante tra l’altro la manipolazione integrale dei classici si ricordano: nel 1959 94
Caligola di Albert Camus; nel 1960 Spettacolo-concerto Majakovskij, di Majakovskij, Blok, Esenin e Pasternak; Lo strano caso del dottor Jekyll e del signor Hyde di Robert Louis Stevenson al Teatro la Borsa di Arlecchino; Tre atti unici di Marcello Barlocco Teatro Eleonora Duse Genova; Gregorio: cabaret dell’Ottocento al Teatro Ridotto dell’Eliseo; Pinocchio di Carlo Collodi, Roma, Teatro Laboratorio; Amleto di William Shakespeare, Roma, Teatro Laboratorio; nel 1962 Spettacolo-concerto Majakovskij (II edizione), Roma, Teatro Laboratorio; Spettacolo-concerto Majakovskij (III edizione), Roma, Teatro Laboratorio; nel 1963 Addio porco (II edizione di Gregorio: Cabaret dell’Ottocento), Roma, Teatro Laboratorio; Cristo ‘63, Roma, Teatro Laboratorio; Edoardo II di Christopher Marlowe, Roma, Teatro Arlecchino; I polacchi (Ubu Roi) di Alfred Jarry, Roma, Teatro dei Satiri; nel 1964 Salomè di Oscar Wilde, Roma, Teatro delle Muse; La storia di Sawney Bean di Roberto Lerici, Roma, Teatro delle Arti; Manon dal romanzo dell’Abbé Prévost, Roma, Teatro Arlecchino; nel 1966 Faust o Margherita di Carmelo Bene e Franco Cuomo, Roma, Teatro dei Satiri; Pinocchio di Carlo Collodi (II edizione) Roma, Teatro Centrale; Il Rosa e il Nero da Il monaco di Matthew Gregory Lewis, Roma, Teatro delle Muse; Nostra Signora dei Turchi (I edizione), Roma, Teatro Beat ‘72; nel 1967 Salomè di Oscar Wilde (II edizione), Roma, Teatro Beat 72; Amleto o le conseguenze della pietà filiale di Shakespeare (II edizione), Roma, Teatro Beat 72; Salvatore Giuliano, vita di una rosa rossa di Antonio Massari, Roma, Teatro Beat 72; nel 1968 Arden of Feversham, rielaborazione di Carmelo Bene e Salvatore Siniscalchi, Roma, Teatro Carmelo Bene. Spettacolo-concerto Majakovskij (IV edizione), Roma, Teatro Carmelo Bene; Don Chisciotte di Cervantes, a cura di Carmelo Bene e Leo de Berardinis, Roma, Teatro delle Arti; nel 1973 Nostra Signora dei Turchi (II edizione), Roma, Teatro delle Arti; nel 1974 La cena delle beffe di Sem Benelli, Compagnia del Teatro Stabile dell’Aquila; Amleto di William Shakespeare, Jules Laforgue (III edizione), Prato, Teatro Metastasio; S.A.D.E. ovvero libertinaggio e decadenza del complesso bandistico della Gendarmeria salentina, Milano, Teatro Manzoni; nel 1976 Faust-MarloweBurlesque di Aldo Trionfo e Lorenzo Salveti, regia di Aldo Trionfo, Prato, Teatro Metastasio; Romeo e Giulietta di William Shakespeare, Prato, Te95
atro Metastasio; nel 1977 S.A.D.E. ovvero libertinaggio e decadenza del complesso bandistico della Gendarmeria salentina (II edizione), Parigi, Opèra-Comique, Festival d’Automne; Riccardo III di Shakespeare, Roma, Teatro Quirino; Manfred, poema drammatico di George Gordon Byron, Roma, Auditorium di Santa Cecilia / Milano, Teatro alla Scala; nel 1980 Spettacolo-concerto Majakovskij (V edizione), Perugia, Teatro Morlacchi; XXXV Sagra Musicale Umbra, Hyperion, dall’opera per flauto e oboe di Bruno Maderna, con testo di Friedrich Hölderlin, Roma, Auditorium di Santa Cecilia; nel 1981 Lectura Dantis per voce solista, Bologna; Lectura Dantis e Eduardo recita Eduardo, recital di Carmelo Bene e Eduardo De Filippo, Roma, Palaeur; Pinocchio, storia di un burattino di Carlo Collodi (III edizione), Pisa, Teatro Verdi; nel 1982 Canti Orfici, poesia e musica per Dino Campana, Milano, Palazzo dello Sport; nel 1983 Macbeth di W. Shakespeare, Milano, Teatro Lirico; Egmont un ritratto di Goethe, elaborazione per concerto e voce solista, Roma, Accademia di Santa Cecilia; ...Mi presero gli occhi..., di Friedrich Hölderlin e Giacomo Leopardi, Torino, Teatro Colosseo; nel 1984 L’Adelchi di Alessandro Manzoni in forma di concerto, uno studio di Carmelo Bene e Giuseppe Di Leva, Milano, Teatro Lirico; nel 1985 Otello di William Shakespeare (II edizione), Pisa, Teatro Verdi; nel 1986 Lorenzaccio, al di là di Alfred De Musset e Benedetto Varchi, Firenze, Ridotto del Teatro Comunale; nel 1987 Canti di Giacomo Leopardi, Recanati, Piazza Leopardi; Hommelette for Hamlet operetta di Jules Laforgue (IV edizione), Bari, Teatro Piccinni; nel 1989 La cena delle beffe di Sem Benelli (II edizione), Milano, Teatro Carcano; Pentesilea la macchina attoriale - Attorialità della macchina, progetto-ricerca achilleide di Stazio, Kleist e Omero, Milano, Castello Sforzesco e a Roma al Teatro Olimpico nel 1990. Nel 1994 Hamlet suite, spettacolo concerto di Jules Laforgue (V edizione), Verona, Teatro Romano; XXXVI Festival Shakesperiano, Canti Orfici, poesia della voce e voce della poesia, di Dino Campana, Ostia Antica, Teatro Romano. Nel 1996 Macbeth - horror suite di Shakespeare (II edizione), Roma, Festival d’Autunno, Teatro Argentina; nel 1997 Adelchi di Alessandro Manzoni, spettacolo in forma di concerto (II edizione), Roma, Teatro Quirino; Voce dei Canti di Giacomo Leopardi, spettacolo in forma di concerto, Roma, Teatro Olimpico; nel 1998, Pinoc96
chio, ovvero lo spettacolo della Provvidenza di Carlo Collodi (IV edizione), Roma, Teatro dell’Angelo; nel 1999 Gabriele D’Annunzio - concerto d’autore, poesia da “La figlia di Iorio” Roma, Teatro dell’Angelo; nel 2000 In-vulnerabilità d’Achille, impossibile suite tra Ilio e Sciro, Roma, Teatro Argentina. Nel 2001 Lectura Dantis con Contrabbasso: F. Grillo. Otranto, Fossato del Castello. Sono sue le regie cinematografiche di: Ventriloquio nel 1970, mediometraggio, con Carmelo Bene e Lydia Mancinelli. Nel 1968 Hermitage, mediometraggio, con Carmelo Bene e Lydia Mancinelli. Il barocco leccese, cortometraggio documentario. A proposito di Arden of Feversham, mediometraggio, con Carmelo Bene, Giovanni Davoli e Manlio Nevastri. Nostra Signora dei Turchi, lungometraggio, con Carmelo Bene, Lydia Mancinelli, Ornella Ferrari, Anita Masini, Salvatore Siniscalchi e Vincenzo Musso. Premio speciale della giuria al XXIX Festival di Venezia per Capricci nel 1969, lungometraggio, con Carmelo Bene, Anne Wiazemsky, Tonino Caputo, Giovanni Davoli, Ornella Ferrari, Gian Carlo Fusco e Poldo Bendandi. Don Giovanni nel 1970 e Salomè nel 1972, lungometraggio, con Carmelo Bene, Lydia Mancinelli, Alfiero Vincenti, Donyale Luna, Veruschka von Lehndorff, Piero Vida, Franco Leo, Giovanni Davoli. Un Amleto di meno nel 1973, lungometraggio, con Carmelo Bene, Luciana Cante, Sergio di Giulio, Franco Leo, Lydia Mancinelli, Luigi Mezzanotte, Isabella Russo, Giuseppe Tuminelli e Alfiero Vincenti, soggetto liberamente tratto da: Jules Laforgue, “Hamlet, ou les suites de le pitié filiale” (1877). II.2.6 Regia: Milton Krims, Vittorio Vassarotti Titolo: Il maestro di Don Giovanni Titolo originale: Crossed Sword Principali interpreti: Errol Flynn, Gina Lollobrigida, Nadia Gray, Cesare Danova, Roldano Lupi, Alberto Rabagliati, Paola Mori, Silvio Bagolini, Renato Chiantoni, Riccardo Rioli. Genere: Avventura Scenografia: Arrigo Equini Costumi: Vittorio Nino Novarese 97
Paese: Stati Uniti d’America Anno: 1954 Minutaggio: 86 minuti Ambientazione / trama È un film d’avventura statunitense di particolare ambientazione seicentesca, è girato per buona parte delle scene nel castello Lancellotti di Lauro. Raniero, figlio del Duca di Sidona, rientra in patria dopo un viaggio di due anni, in compagnia di Renzo, intrepido spadaccino e accanito rubacuori, che è stato mentore e guida al giovane duca attraverso una serie d’avventure amorose. Pavoncello, bieco ministro del Duca, il quale medita in cuor suo di cacciare dal trono il suo signore, per prenderne il posto, vede in Renzo un ostacolo all’effettuazione dei suoi loschi disegni. Per liberarsi dei due giovani, egli fa emanare un bando che obbligando tutti i celibi al matrimonio, ha la virtù di mettere in fuga Raniero e Renzo. Francesca, la seducente sorella di Raniero, tenta invano con i suoi baci di trattenere Renzo, mentre anche la congiura, volta a sopprimere i due giovani, fallisce. Raniero e Renzo decidono di ritornare in patria, per difendere il ducato. Pavoncello, avendo arruolato dei mercenari, cattura il duca e più tardi Renzo, dal canto suo, Francesca mobilita tutte le donne, alle quali ordina di sedurre tutti i soldati. Dopo accanito combattimento, Pavoncello viene ucciso: al sopraggiungere del banditore, che pubblica l’editto contro il celibato, Renzo non fugge, ma chiede ed ottiene la mano della bella Francesca. Il costumista Vittorio Nino Novarese costumista, scenografo, soggettista e sceneggiatore cinematografico, nato a Roma il 15 maggio 1907 e morto a Los Angeles il 17 ottobre 1983. Eclettico cultore di studi storici e letterari, specialista di uniformi militari d’epoca e convinto sostenitore della funzione espressiva dei costumi intesi come rispecchiamento della psicologia dei personaggi, pose la propria erudizione e il proprio gusto al servizio di grandi produzioni cinematografiche dapprima in Italia e poi a Hollywood, offrendo un contributo di rilievo a spettacolari affreschi storici. Primo tra i grandi “artigiani” del cinema italiano a conquistare Hollywood, ottennecinque nomi98
nations e due premi Oscar per i migliori costumi: nel 1964, condividendolo con Irene Sharaff, per Cleopatra di Joseph L. Mankiewicz, e nel 1971 per Cromwell di Ken Hughes. Laureatosi in architettura all’Università La Sapienza di Roma, si specializzò in disegno teatrale all’École des Arts et Métiers di Parigi. Dal 1932 al 1934 lavorò presso il reparto costumi del Teatro La Scala di Milano al fianco del conte Luigi Sapelli (in arte Caramba), che in seguito gli affidò la direzione tecnica e artistica della sua casa d’arte milanese, il principale atelier italiano di costumi teatrali. Il primo contatto di Novarese con il mondo del cinema risale al film ambientato in epoca risorgimentale precisamente nel 1860 di Alessandro Blasetti nel 1933, il quale gli chiese di vestire i volontari di Garibaldi mettendone in evidenza le differenze sociali e culturali. Fu lo stesso Blasetti a cogliere la portata delle sue capacità invitandolo a collaborare con Ettore Fieramosca nel 1938 non solo in qualità di costumista ma anche di scenografo e sceneggiatore. Sebbene lontano dalla generazione che stava elaborando le basi teoriche del Neorealismo, Novarese in questo e nei film successivi ricercò nel costume d’epoca il sapore della quotidianità, attraverso l’attenzione del dettaglio. Da quel momento, egli venne sempre più frequentemente coinvolto nel lavoro di sceneggiatura, quasi esclusivamente per film storici come Marco Visconti di Mario Bonnard nel 1941, e solo in pochi casi di ambientazione contemporanea, come Avanti c’è posto… nel 1942 ancora di Bonnard, il quale lo volle al suo fianco anche come aiuto regista. Nessuno torna indietro nel 1945 di Blasetti, tratto dal romanzo di De Céspedes. Nel dopoguerra Novarese collaborò al soggetto e alla sceneggiatura del melodrammatico Furia del 1947 di Goffredo Alessandrini, impegnandosi anche nella riduzione di opere letterarie come I miserabili nel 1948 di Riccardo Freda, ma lavorò soprattutto come costumista in film d’avventura e storici, ottenendo nel 1950 la sua prima nomination all’Oscar per i costumi di una fastosa coproduzione italo-americana, Prince of foxes nel 1949 di Henry King. La svolta decisiva avvenne nella seconda metà degli anni Cinquanta, quando la Paramount Pictures decise di utilizzare un suo soggetto per rilanciare sul mercato americano Anna Magnani: Wild is the wind nel 1957 di George Cukor, film che aprì a Novarese le porte delle grandi produzioni hollywoodiane. Negli anni Sessanta si trasferì in California, lavorando so99
prattutto per la 20th Century-Fox, spesso in qualità di consulente storico, come nel caso del celebre Spartacus nel 1960 di Stanley Kubrick. La sua fama di costumista, già esaltata in occasione del Francesco d’Assisi nel 1961 di Michael Curtiz, crebbe ulteriormente con l’Oscar assegnatogli per gli abiti maschili di Cleopatra e con le due nominations ottenute nel 1966 per The agony and the ecstasy, biografia di Michelangelo diretta da Carol Reed, e per il kolossal biblico The greatest story ever told di George Stevens, entrambi del 1965. Dopo il secondo Oscar, insegnò storia del costume alla University of California (1970-1974) e ridusse progressivamente la sua attività nel cinema. Tra gli altri registi con cui ebbe modo di collaborare, vanno ricordati Umberto Barbaro, Raffaello Matarazzo, Gennaro Righelli, Guido Brignone, Marc Allégret, Mel Brooks. L’eredità artistica e culturale di Novarese venne raccolta dal suo assistente Enzo Bulgarelli, al suo fianco in molte produzioni. Nel 1996 è stato pubblicato uno dei suoi lavori di studioso: La guardia imperiale napoleonica: i reggimenti della vecchia e media guardia, 1806-1813.
Le varianti interpretative registiche dell’opera Don Giovanni evidenziano quanto il protagonista risulta essere una figura del possibile, quanto Lui nonostante riesca a cambiare continuamente vesti è sempre la stessa leggenda, archetipo, mito.
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Note 1 Niola 2006, p. 8. 2 Dizionario dell’opera 2006, pp. 337a-345b. 3 Curi 2002, p. 189. 4 Gazzaniga 1974. 5 Curi 2002, op. cit., p. 189. 6 Mozart 1993, op. cit., p. 143. 7 Niola 2006, op. cit., p. 112. 8 Mozart 1993, op. cit., p. 46. 9 Ibid 10 Kierkegaard 20102, op. cit., p. 107.
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CAP. III Il progetto
Attraverso una lunga analisi storica-antropologica di tutte le diverse varianti / interpretazioni dell’opera, soprattutto facendo riferimento alle tre versioni “classiche” dell’opera Don Giovanni già citate nel capitolo primo, è stato possibile far emergere in breve quali siano i motivi fondamentali che caratterizzano questo mito, ovvero l’Ateismo e la Seduzione. Motivi che costituiscono le due metà inseparabili della pièce, che si rinviano a vicenda, in quanto l’ateismo può dirsi pienamente compiuto solo attraverso la più estrema delle metafore carnali: la seduzione. L’atteggiamento che il protagonista assume nei confronti di tali temi è riconducibile all’inganno e alla burla soprattutto per mezzo del “travestimento”. La sua propensione all’inganno va generalizzata ben al di là del sesso femminile, facendo della burla il modello del suo rapporto con qualunque altro individuo, fino a investire ciò che sta oltre il piano strettamente umano: la morte e la divinità. Infatti le avventure e le presunte “conquiste” del protagonista, ed in generale i suoi scopi, non sono raggiunti per mezzo delle sue qualità, o grazie al suo aspetto irresistibilmente fascinoso; esse sono tutte realizzate ricorrendo appunto all’inganno o al mascheramento. Il travestimento qui allude non semplicemente a un espediente transitorio e contingente, ma a qualcosa che appartiene intimamente alla natura del protagonista, al principio che regola la sua vita, inteso come continua variazione di identità, il suo presentarsi sempre e comunque altro e inafferrabile, diverso da sé. Già introdotto da Tirso de 103
Molina, il quale presenta fin dall’inizio della sua opera il Burlador non nella sua vera identità, ma travestito da Don Ottavio, questo tema ritorna nella versione del Dom Juan di Moliére e nel capolavoro di Mozart - Da Ponte, come attributo specifico e irrinunciabile della sua personalità, anche qui come espressione dell’inafferrabilità del dissoluto continuamente in fuga. È importante sottolineare anche in riferimento allo spirito del secolo, allo stile proprio dell’età barocca, quanto il gusto per la maschera e la dissimulazione, per l’illusione e il travestimento, tipico della mentalità e della poetica del tempo, filtri nel dramma non come aspetto esteriore di carattere spettacolare della rappresentazione, ma come elemento costitutivo sul piano del contenuto rappresentativo, regalando l’immancabile coup de théâtre soprattutto nella scena finale dell’ingresso della statua. Detto ciò, nel mio progetto di tesi, L’irredimibile amante una proposta di costume per Don Giovanni, il quale prende come riferimento la rappresentazione dell’opera Don Giovanni O sia il dissoluto punito di Mozart - Da Ponte, mi avvalgo del motivo del travestimento per definire ed esaltare il suo significato che in maniera del tutto personale è espresso attraverso una rivisitazione del costume in chiave provocatoria e dissacrante, perché credo che la trasgressione vestimentaria rimane il segno più immediatamente leggibile di una violazione di ogni ordine ben costituito. Infatti, per meglio comprendere il senso della tesi, e quindi del travestimento qui messo in scena, è assolutamente necessario precisare che esso è legato all’aspetto del travestitismo, inteso non soltanto come camuffamento o mascheramento relativo ad alcuni momenti che la rappresentazione necessita, ma come tendenza perpetua che possiede il protagonista alla distruzione 104
di ogni tipo di intesa in senso istituzionale, soprattutto tra uomo e Dio, tra maschio e femmina, resa visibile attraverso l’uso di abiti o accessori dell’altro sesso. Cambiare abito, travestirsi è un modo per mettere in risalto le costrizioni, le norme, gli stereotipi che governano i comportamenti umani, fosse anche sessuali, per prendere così in giro i valori dell’umanità, convenzionali, invertendo i segni di quel sistema, economicamente e moralmente complicato, che gli abiti rappresentano, soprattutto in un periodo come gli ultimi decenni della nostra storia che dimostra quanto la trasgressione vestimentaria si sia fatta anche moda di gruppo e di massa, assottigliando sempre più il muro della divisione di genere. Facendo un percorso a ritroso nella storia e nelle diverse culture, notiamo che il travestitismo, nel tentativo di riconciliare il maschile e il femminile in un solo individuo, un uomo-donna o viceversa, è stato associato principalmente con le religioni e i suoi annessi rituali sacri. Simboli, teorie e credenze spiegano la creazione del mondo, basandosi sull’idea di un’unità primordiale, immagine della perfezione e dell’assoluto che si divide per dualità di opposti, e narrano che l’universo ebbe inizio da un “essere assoluto” che possedeva in se stesso il maschile e il femminile insieme a ogni altra potenzialità; in seguito l’“uovo cosmogonico” si ruppe, i sessi si separano e si originano la vita e gli individui. Tali racconti si incontrano non solo nel Mediterraneo e nel Medio Oriente, ma anche in molte altre culture esotiche e arcaiche e rappresentano in tale modo il concetto di una divinità a cui l’uomo deve aspirare. Per esempio, nelle più antiche teogonie greche alcune divinità generano da sole e la 105
bisessualità, in quanto espressione esemplare della potenza creatrice, si afferma come un loro fondamentale attributo. Come il padre degli dei Zeus (Giove) fa nascere dalla sua testa Atena (Minerva), così Era (Giunone) partorisce da sola Efesto e Tifeo, a uno Zeus barbuto, ma con le mammelle, si contrappone un’Afrodite (Venere) con le mammelle, ma barbuta, e Dioniso stesso aveva caratteristiche femminile. Tuisto, il primo uomo della mitologia germanica, è bisessuato, il dio del tempo in Iran e la divinità cinese delle tenebre e della luce sono androgini, ma anche in altre religioni, in Asia, America, Australia, Polinesia, troviamo divinità androgine, così come la maggior parte delle divinità dell’agricoltura sono bisessuate. L’androginia è nelle divinità distintiva di una pienezza e di una totalità originaria dalla quale possono scaturire tutte le possibilità. Nelle religioni primitive gli sciamani, cioè coloro che comunicavano con la divinità, erano vestiti da donna per rappresentare il grande potere della fertilità e della rinascita divina. L’iniziato era chiamato in sogno a diventare sciamano, a volte la sua vocazione emergeva attraverso il sorgere della follia o di una malattia grave. In ogni caso il futuro sciamano doveva rinascere prima di poter assumere il suo ruolo e per segnare tale rinascita indossava abiti femminili. Si diventava portatori di una istanza divina, dopo aver incarnato metaforicamente il maschile e femminile insieme. La doppia natura, l’androginia, la coesistenza dei due sessi rappresentava uno stato di potere che innalzava l’uomo alla divinità. Anche nei riti di iniziazione degli adolescenti presso i popoli antichi e primitivi veniva praticato il travestimento. Il travestimento è stato un elemento caratteristico dei “riti della pubertà”, un estremo tentativo ritualizzato di godere di un ruolo 106
sociale, e soprattutto sessuale, diverso da quello prescritto dalla società e imposto dalla natura corporea. Nel momento in cui stava per essere varcata la soglia dell’età adulta, si offriva alle fanciulle e ai ragazzi un’ultima occasione per recitare entrambi i ruoli sessuali. Il travestimento rappresentava anche la rinascita della vita e della forza e se è vero che la contrapposizione tra maschio e femmina può essere alterata, si pensava che anche quella tra vita e morte, tra umano e animale, potesse essere manipolata. In Africa, i ragazzi Masai, come gli antichi egizi, portavano vesti femminili dopo la loro circoncisione, finchè la ferita non si fosse rimarginata. Il travestimento era tollerato fin dall’antichità anche nella prostituzione, infatti, in Egitto gli uomini-prostitute avevano il corpo completamente depilato, mani, bocca e piedi dipinti con l’henna e un fiore dietro l’orecchio; in India gli omosessuali vestiti da donne si prostituivano e in Giappone degli uomini-geisha, chiamati “ragazzi-sorelle”, erano allevati e formati nelle arti femminili. L’androginia come condizione e privilegio divino viene evocata anche nelle classiche feste rituali religiose dell’antichità, attraverso i travestimenti dei giovani nelle cerimonie nuziali; pensiamo alle Calende e ai Saturnali, alle maschere del Carnevale dell’epoca moderna, le quali permettevano di vivere per qualche giorno l’illusione e il divertimento di cambiare le regole del mondo e di cancellare i propri limiti. Si rappresenta in questo caso l’uscita da se stessi, l’illusione di trascendere la propria finitezza concreta e particolare, per riscoprire una situazione originale al di sopra delle convenzioni, delle leggi umane e della storia. Si pensava di restaurare almeno solo per lo spazio di un giorno la pienezza delle origini, la sorgente dell’onnipo107
tenza e della sacralità. Il travestimento attraverso le maschere era accettato socialmente, come una valvola di scarico di pericolose tensioni e di possibili disordini morali e sessuali. Ma ciò nonostante, nel capitolo 22 del Deuteronomio, il quinto libro della Bibbia, dove sono elencati i dettami, le leggi e le ammonizioni relative alla condotta che il popolo eletto deve osservare per entrare in Cannan la terra promessa da Dio, era ritenuto un oltraggio al Padreterno che le donne mettessero vesti maschili e viceversa: «La donna non si metterà un indumento da uomo né l’uomo indosserà una veste da donna; perché chiunque fa tali cose è in abominio al Signore tuo Dio»1. Il travestitismo dello sciamano, il suo scopo nelle festività religiose, sopravvivono solo fino a che il fenomeno è temuto e rispettato; quando i riferimenti religiosi si perdono, tutto ciò che rimane è il grottesco e le sorprendenti disparità che lo scambio dei vestiti comporta. Anche nella letteratura filosofica oltre che in quella religiosa, ritroviamo l’essere dotato di ambedue i generi sessuali. Ma poiché la doppia natura sessuale è un aspetto del divino nelle culture antiche, se si manifesta concretamente nell’uomo acquista una diversa definizione. Platone (Atene,428 a.C./427 a.C. - Atene, 348 a.C./347 a.C.) nel Convito (IV secolo a.C.), per spiegare come sia sorta tra gli uomini la tensione amorosa, racconta che nei tempi remoti dei nostri progenitori esistevano tre sessi: maschile, femminile e un terzo sesso che aveva in sé i caratteri degli altri due, ma che oggi è scomparso e del quale è rimasto solo il nome: l’ermafrodito. Ogni corpo dei tre sessi era rotondo, aveva quattro mani e gambe, due facce, quattro orecchie e doppi organi genitali e sul collo cilindrico due visi in un’unica testa. 108
Appoggiandosi sui loro otto arti, correvano come i giocolieri che a gambe per aria fanno delle capriole a ruota. La figura androgina era composta da un uomo e da una donna attaccati, quella maschile da due uomini, quella femminile da due donne. Avevano vigore e forza e arroganza tali da mettersi in urto con gli dei. Zeus allora decise, dopo un consiglio con gli dei dell’Olimpo, non di sterminarli né di ucciderli, ma di renderli più deboli affinchè smettessero la loro tracotanza. Fu così che gli uomini furono divisi in due e ciascuna metà desiderava ricongiungersi all’altra. Quando poi una delle metà moriva, quella rimasta in vita, se ne cercava un’altra e le si avvinghiava. «Da tanto tempo, dunque, è connaturato negli uomini l’amore reciproco, che ricongiunge la nostra antica natura, tentando di fare di due esseri uno solo e risanare così la natura umana»2, ognuno di noi quindi è come la metà di un unico contrassegno, e dal momento che fu tagliato in due va continuamente in cerca dell’altra metà. Tutti quegli uomini che sono derivati dalla divisione di quel doppio essere, cioè dall’ermafrodito, sentono tutti l’attrazione per le donne e da lì provengono anche la maggior parte degli adulteri, così pure hanno la stessa origine quelle donne che vogliono il maschio e le adultere. Invece le donne che sono derivate dalla divisione di un essere di sesso femminile, non prestano molta attenzione nei riguardi degli uomini, piuttosto sentono attrazione verso le donne e da qui sono nate le lesbiche/tribadi. Quegli uomini, infine, che sono nati dalla divisione di un essere maschile, vanno dietro ai maschi preferendo sempre chi ha la loro stessa natura. Per tanto, quando si incontra quella che fu la sua metà, si sente allora nascere quel sentimento di amicizia, di intimità, di amore per cui non si può più vivere separato dall’altro, nemmeno per 109
un istante. La ragione di tutto questo è che tale era la nostra antica natura, eravamo uniti, e lo struggimento per quella perduta unità, il desiderio di riottenerla si chiama amore. Con questo racconto fantastico Platone cerca di dare ragione dell’attrazione e dell’amore sia eterosessuale sia omosessuale, aspirando comunque alla totalità, alla riunificazione. Anche nella letteratura troviamo il mito di una doppia natura sessuale, per esempio in Le Metamorfosi di Ovidio (Sulmona, 43 a.C. - Tomi, 18 d.C.), il quale descrive come il figlio di Ermes e Afrodite acquistò il suo aspetto metà femminile e metà maschile: un giovinetto bellissimo si presenta a una fonte, davanti allo sguardo di Salmace una ninfa particolare inabile alla caccia, che trascorreva i suoi giorni a bagnarsi nell’acqua, a specchiarsi, e a pettinare i lunghi capelli. Tanto è la bellezza del giovane, che Salmace lo scambia per un dio e gli manifesta il suo compiacimento attraverso dei complimenti che la portano tanto a desiderare una voluttà furtiva di essere lei la donna a possederlo. A tali parole il giovane risponde arrossendo, perché non sa cosa sia l’amore, e allontana bruscamente la ninfa. Poi, credendosi solo, si spoglia per immergersi nell’acqua; ma Salmace lo vede e di nuovo desidera quel corpo candido e statuario. “Sarà mio”, esclama la ninfa mentre si getta in acqua e lo imprigiona con abbracci e baci. Il giovane resiste e le nega la gioia che desidera; allora la ninfa implora gli dei affinchè i loro corpi non si possano mai separare e allontanarsi l’uno dall’altro. La richiesta è stata esaudita, i corpi si confondono e dopo che un fortissimo abbraccio li ha uniti l’uno all’altra, pur mantenendo una duplice forma non sono più due; quel corpo non si può definire né di uomo né di donna, sembra non avere alcun sesso e averli tutti e due. 110
Il giovane Ermafrodito, accorgendosi che entrato nell’acqua uomo, era diventato metà uomo e che le membra avevano perso il loro vigore, supplica gli dei che tutti coloro che si bagneranno a quella fonte subiscano la sua stessa sorte. Unendo i due poteri in un solo corpo, l’essere doppio esprime l’aspirazione maggiore della specie umana alla perfezione, vista come un’unità non tagliata. D’altra parte invece, quando tale aspirazione si realizza, mostra un aspetto assolutamente opposto: la debolezza, la svirilizzazione del corpo o addirittura la sua mostruosità. Dal punto di vista teatrale già nel teatro greco l’attore di farse e di pantomime era travestito e il gioco delle maschere e dello scambio di persone e di ruoli un cardine del teatro, poiché l’umorismo nasce anche dall’invertire le leggi e le situazioni sociali. Fino alla fine del XVII secolo gli uomini o i ragazzi recitavano vestiti da donne e il travestimento era in un certo senso una forma istituzionalizzata di espressione. Il travestimento teatrale non era solo comico e grottesco, ma esaltava le capacità di recitazione dell’attore, che si esercitava nei caratteri, nei gesti, nelle movenze femminili. Ciò che distingueva il talento di tali attori era la fascinazione esercitata dall’abilità di rappresentare, senza essere un soggetto alieno, estraneo, misterioso come la donna. Nel cinquecento in Inghilterra recitavano compagnie di bambini che, senza maschere, ma vestiti da donna e con il loro talento espressivo ottenevano strepitosi successi. Anche le prime eroine shakespeariane furono portate sulle scene da attori maschi. I Puritani fecero chiudere i teatri nel 1642. Quando, dopo circa vent’anni i teatri riaprirono, le donne cominciarono a recitare i personaggi femminili. Ma la passione di scambiare il ruolo sessuale non si esaurì, e fu la volta delle donne, le roaring 111
girls (ragazze ruggenti), a impersonare personaggi maschili. La società allora fu molto meno scossa e offesa da tale aspirazione alla mascolinità, e le attrici in calzoni rimasero elementi convenzionali e rispettabili del teatro. Anche se le donne si sono vestite da uomo, il gioco del potere - il presunto potere che in una società patriarcale risiede sempre nell’uomo - funziona più efficacemente quando sono gli uomini a imitare le donne. Il travestimento maschile invece, avendo perso funzione e autorità drammatica, si fissò sul piano comico e farsesco. Il travestimento aveva per lo più come oggetto le signore di mezz’età, figure lontane dall’erotismo e quindi meno soggette alle interpretazioni morbose e perturbanti, ma nello stesso tempo più vicine alle stereotipie del sesso femminile. Pensiamo alla straordinaria interpretazione di Dustin Hoffman nel film Tootsie, del 1982, diretto da Sydney Pollack. Durante il Novecento, e sopratutto tra le due guerre, si è sviluppata una forma di travestitismo più rutilante, un “glamour intenzionale”; in Francia e in Germania gli spettacoli erano fatti da travestiti veri e propri o da transessuali. Gli attori non sono più interessati agli effetti comici del travestimento, ma prevalentemente vogliono essere scambiati per donne, vogliono cioè incarnare e sentirsi la “vera donna”. Nel fatto di rendere visibili le intricate vicende dell’identità sessuale sta il successo di quei cantanti rock quali Elton John, Marc Bolan, RuPaul, Michael Jackson, Brian Eno e soprattutto David Bowie che nelle loro performances e nei loro numerosi videoclips mescolavano musica e teatralità, presentandosi al pubblico come mutanti dal Dna extraterrestre, rivendicando apertamente un’ambiguità sessuale con la conseguente negazione di un sesso definito. 112
Oggi il travestitismo assume una connotazione negativa perchè si pensa erroneamente che sia esclusivamente collegato ai temi dell’identità sessuale, una manifestazione dell’omosessualità, soprattutto perché si fa risalire ad alcune forme di prostituzione; ma bisogna partire dall’ antichità, dalla storia e dalle diverse culture per capirne il vero senso, la grande forza espressiva capace di esprimere qualcosa di esagerato, di oscuro, paure e passioni, vertigini e nostalgie che per la maggior parte dei casi esso è stato associato con i rituali sacri e con l’espressione del dissenso sociale e politico. Il travestimento, se da un lato inganna, occulta e nasconde un’identità, dall’altro rivela, palesa e ne rende evidente un’altra, senza poter alla fine stabilire con certezza quale sia quella vera. Esso annulla ogni netta distinzione, ogni rigido confine fra identità e alterità, mostrando quanto precaria sia la pretesa e il processo atto a costituire una soggettività capace di definire in exstremis la forma del soggetto. Ha contribuito a stimolare il processo creativo per lo sviluppo dell’idea progettuale della realizzazione dei costumi The Couturettes, uno shooting fotografico del 2006 di Steven Meisel3 (New York, 1954) pubblicato sulla rivista Vogue Unique, supplemento di Vogue Italia. Lo shooting di Steven Meisel, ricorda le Cockettes, (termine assimilabile alla parola francese Coquettes ovvero donna civettuola, che ama far mostra di sé): un gruppo di drag queens, travestiti e anche molti etero, che destò l’interesse dei media mondiali dalla West Coast fino a Parigi, emerso alla fine di quel periodo che è solito chiamare “The Sixties”, nel cuore di San Francisco. George Edgerly Harris III (New York, 1949 - New York, 1982), attore alternativo (storica la sua immagi113
ne immortalata dal fotografo Bernie Boston durante un corteo a Washington mentre infilava dei fiori nei fucili dei soldati in partenza per il Vietnam), con il nome d’arte Hibiscus, sarà il fondatore e leader delle Cockettes. Noto tra i fans anche come “Jesus Christ with lipstick”, in breve tempo egli diventa una figura messianica, una sorta di guru agghindato con abiti femminili anni ‘30 e abbondanza di glitter, capace di improvvisare una Madama Butterfly in finto cantonese. A Frisco, Hibiscus inizia a farsi conoscere nei teatri e in pochi mesi arruola una sessantina di “girls” di varie etnie (tra loro c’erano Sylvester, cockette di colore e futura icona gay della discomusic, e addirittura un bambino, Ocean Michael Moon, figlio della soubrette Dusty Dawn), creando un genere di spettacolo che ha fatto storia negli anni del teatro alternativo. Come detto in precedenza, dal teatro greco all’opera cinese, da Shakespeare alle voci bianche, per secoli il mondo del palcoscenico è stato precluso alle donne e accessibile solo ai travestiti e omosessuali specializzati in ruoli femminili. The Cockettes nascono nel solco di tale tradizione e in piena sintonia con lo spirito del tempo, celebrando la piena glorificazione del corpo come giocattolo da mascherare, decorare e da cui trarre un piacere da condividere coralmente. Il debutto delle Cockettes, fu al Pagoda Palace Theatre di North Beach, nella Chinatown di San Francisco, la notte di Capodanno del 1970. Dal 1970 al 1972 (periodo di massima popolarità del gruppo, perché per lungo tempo erano note soltanto ad un pubblico di nicchia e agli addetti ai lavori), misero in scena una ventina di shows, portando nelle rappresentazioni un’iniezione di ottimismo circense, teatralità, erotismo, travolgente energia e stravaganza, ricordiamo per esempio “Journey to the center 114
of Uranus”, “Tinsel tarts in a hot coma”, inoltre realizzarono anche due film che contengono le celebrazioni del travestitismo e parodie politiche. Il pubblico andava in delirio per le regine di San Francisco che ballavano e cantavano con seminudità esibite sul palco avvolte solo da uno strato sottilissimo di polvere d’argento. Avevano un’attenzione maniacale per la ricerca del loro guardaroba, il quale spaziava da capi originali degli anni ’20 - ‘40 fino a dettagli glam e pre-punk, il tutto impreziosito da galloni di glitter, metri e metri di tulle, copricapi di piume, accessori scintillanti di Swarovski, e da un make - up curatissimo. Le Cockettes, a fronte di tanto anticonformismo e alla conseguente attenzione mediatica, furono invitate sulla East Coast dove il debutto newyorkese il 7 novembre 1971, non ebbe successo. Tornate a casa deluse, prepararono l’ultimo show che avvenne il 15 luglio 1972, da qui in avanti, le Cockettes si dispersero nell’anonimato, tranne per alcuni personaggi come Sylvester, Harris Glenn Mistead in arte Divine, che ebbero fama come soliste drag e disco diva. Nel 2002 grazie all’archivio di un ex componente del gruppo, Martin Worman, è stato costruito un film-documentario intorno alle Cockettes per la regia di David Weissman e Bill Weber, consacrato pellicola cult al Sundance. All’interno di codesto shooting ho ritrovato quelli che potrebbero essere i travestimenti dei “miei” personaggi, mettendo in luce tutti quegli aspetti e caratteri di eccesso e abbattimento del limite, di perversione, del non tempo, cifra di modernità, di quella modernità contrassegnata dall’idea di emancipazione, d’indipendenza incondizionata, di libertà nella sua estrema e radicale purezza, che a mio parere sono prepotenti nella storia dell’opera Don Giovanni ed esprimibili attraverso il costume 115
del travestitismo. Ho immaginato una messa in scena in cui non è ben chiaro né il tempo né il luogo, ma risulta evidente il concetto della maschera dentro la maschera che sta a rappresentare una circolarità fatta di parvenze e mistero di cui è intrisa l’intera opera, coinvolgendo tutti i personaggi che cedono di fronte l’uragano di lussuria mascherato da pavone che annuncia Don Giovanni quale suo messaggero. Si tratta di una rappresentazione in cui l’uomo vuole sostituirsi a Dio, dove l’onnipotenza, la lussuria e la passione hanno il loro fascino e per questo fanno facilmente dell’uomo un peccatore e per di più vittima delle sue debolezze. Così, attraverso una ricerca di trovarobato e la realizzazione ex novo di costumi, costituiti per la maggior parte da tessuti velati, pizzo, lamée, paillettes d’oro e d’argento, guanti e piume di struzzo, zeppe, vestaglie, parrucche e copricapi esagerati, gioielli scintillanti ed un make up pittorico, ho cercato di creare un abbigliamento che ostenta eccesso, spudoratezza e inoltre la perversione, che come nervo di estasi si irradia da uomo a donna. Se la vanità e l’eccesso portano alla morte senza ritorno, allora una giustizia sempre presente, anche se solo infine vincitrice c’è. Così, ciò che passa, come la giovinezza, travolge i sensi e si traveste di paradiso terrestre, ma poi si sgretola; invece, ciò che da sempre c’è, una sorta di equilibrio cosmico fattosi giustizia sulla terra, permane anche dopo la morte.
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III. 1 Distinta Costumi Don Giovanni Abito da toreador: giacca corta in vita in lamée motivo damasco rosso e oro, spalline in piume nere, interamente bordata da passamaneria di cipolline color oro e cordone nero. Pantalone a vita alta in lamée motivo damasco rosso e oro. Slip in maglina di lameè nero con pendenti di catene dorati. Fusciacca in maglina di lamée nero, con bordo in passamaneria cipollina color oro e cordone nero. Stivali in pelle nera. Copricapo in maglina di lamée nero, spilla gioiello centrale, ornato da piume di pavone e piume nere. Ventaglio nero con bordura di piume. Macro orecchini circolari. Commendatore Vestaglia in velluto nero chiusa in vita da una cintura e foderata di raso rosso. Tunica a canotta trasparente in tela di cotone chiaro e lamée oro. Sandali alti fino al polpaccio in pelle dorata. Parrucca liscia, lunga e brizzolata, barba liscia lunga e brizzolata. Commendatore (La Statua) Tunica a canotta trasparente in tela di cotone chiaro e lamée oro. Drappo monospalla in velluto rosso, tenuto da una spilla gioiello, decorato sul bordo inferiore da passamaneria frangiata dorata. Mantello in velluto nero allacciato sul retro ad un ampio collare pettorale hosckh, in pelle rivestita da foglia oro; decorato con pietre vitree nere e rosse, e bordato da passamaneria frangiata dorata. Sandali alti fino al polpaccio in pelle dorata. 117
Cintura in pelle rivestita da foglia oro. Bracciali alla schiava in pelle rivestita da foglia oro, decorati con pietre vitree nere e rosse. Bastone nero con pomello sferico smaltato rosso e oro sulla quale poggia un prototipo di teschio umano, nastri e piume nere e rosse adornano il tutto. Parrucca liscia, lunga e brizzolata, barba liscia lunga e brizzolata. Copricapo in metallo leggero a raggiera, color oro, decorato con pietre vitree nere e rosse. Donna Anna Abito da sera lungo, in maglina di lamée nero, con scollo a “V” e spacco laterale. Vestaglia a tre tagli realizzata in velluto cinigliato dévoré con fondo nero e decori di fiori rossi e crepe de chine nero, interamente bordato da passamaneria di cordone dorato. Scarpe all’inglesina nere con plateau e tacco alto. Collana in tessuto con applicazioni di pietre vitree nere. Orecchini in celluloide con pendenti neri. Bracciali in pelle rivestita di foglia oro con pietre vitree nere e bordatura di passamaneria di cordone dorato. Boa di piume di struzzo nero. Parrucca nera, lunga e liscia, acconciata con nastri intrecciati e pennacchio frontale rosso. Don Ottavio Maglia aderente in lamée color rame. Giacca corta in vita marrone con decori ad onde e pettacci neri, bottoni dorati decorativi nei polsi e uno centrale di chiusura. Spalline in maglina di lamée color rame rame, con bordura in velluto nero e passamaneria frangiata dorata. Papillon in velluto nero con pendente in pietra vitrea nera. Pantacollant in maglina di lamée neri. Paraganba in lamée color rame. Mantello lungo in velluto nero e interno foderato di raso chiaro, 118
interamente bordato da passamaneria di cordone oro. Stivali alti con zeppa in pelle nera. Orecchino circolare in oro. Guanti in maglina neri. Bracciali in celluloide color oro. Bastone nero con pomello a forma di testa di pappagallo rosso. Copricapo cilindro in velluto nero con fascia decorative in lamÊe color rame e bordura della tesa in passamaneria di cordone dorato. Parrucca riccia, a caschetto, nera. Donna Elvira Abito lungo realizzato in pizzo argento doppiato a maglina di lamÊe argento. Spolverino avvolgente con ampie maniche in organza grigio perla, con bordi in passamaneria di cordone grigio perla e dorato. Scarpe spuntate con plateau e tacco a spillo in pelle glitterata argento. Cintura in pelle argento, con al centro pietre vitree. Guanti lunghi in ecopelle avorio. Bracciali in celluloide rivestiti da foglia oro / argento impreziositi da pietre vitree colorate. Macro orecchini argento, con pietre vitree colorate. Collana di catene in argento e pietre vitree. Boa in piume di struzzo bianco e grigio. Parrucca biondo platino cotonata e acconciata stile settecento, con fascia / turbante in maglina di seta panna, bordura inferiore frangiata e spilla gioiello frontale. Leporello Giacca in rasatello di cotone blu con pettacci ricoperti di specchietti e pietre vitree nelle tinte dell’ambra, del rosa, del bianco e del blu. Interamente bordata da passamaneria di cipollina marrone, specchietti e strass. Spalline rettangolari in plastica trasparente con strass bianchi. 119
Pantalone alla turca lungo al polpaccio in broccato blu e oro. Stivali con zeppa. Parruca nera cotonata a forma di cresta con fascia in broccato blu e oro. Un libro Masetto Maglia in maglina blu, maniche corte e scollo quadrato interamente ricamato in lameè dorato. Pantalone jeans grigio, con triangoli in camoscio marrone scuro posti lateralmente nella parte inferiore. Cintura in pelle di camoscio marrone scuro con macro fibbia dorata. Orecchino circolare in oro. Anello in oro e pietra vitrea rossa. Tatuaggio sul braccio con il nome di Zerlina e un cuore. Parrucca liscia, lunga e nera. Barba incolta nera. Due fiori in mano. Zerlina Abito e vestaglia lunghi fino alla caviglia in crepe di seta, entrambe con sprono e bordure decorate da plissè e ricamo a filè, tutto in tinta rosa confetto. Scarpe aperte con fascia anteriore rosa e plateau e tacco argento. Copricapo ricoperto interamente da fiori dai toni pastello. Bracciale in celluloide color argento.
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Note 1 La Sacra Bibbia, 20144, p. 243. 2 Platone, Simposio 1981, p. 110. 3 Steven Meisel (New York, 1954) è un fotografo statunitense, uno dei più celebri fotografi di moda al mondo. Ha ottenuto fama e successo per i suoi servizi fotografici e copertine per Vogue USA, Vogue Italia e L’Uomo Vogue e per aver fotografato Madonna nel 1992 nel libro Sex. Ha studiato alla High School of Art and Design e alla Parsons School of Design, dove ha seguito vari corsi ma, scelse la carriera di illustratore di moda eccellendo in questo campo. Uno dei suoi primi lavori fu quello di illustratore per lo stilista Halston. Non aveva mai pensato di dedicarsi alla fotografia. Ammirava fotografi come Jerry Schatzberg, Irving Penn, Richard Avedon e Bert Stern. In seguito, lavorando come illustratore per una collezione femminile, andò all’agenzia Elite, iniziando a fare provini fotografici per le loro modelle. Scattava foto nel suo appartamento a Gramercy Park oppure per strada: durante la settimana lavorava alle collezioni e nei fine settimana con le modelle. Una di loro era Phoebe Cates. Alcune di queste modelle portarono le foto fatte da Meisel alla redazione di Seventeen; i redattori della rivista, colpiti dalle foto di Meisel, si accordarono per lavorare con lui. Attualmente Meisel lavora per molte riviste di moda, tra cui le “bibbie” della moda Vogue USA e Italia. Per Vogue Italia è stato l’unico fotografo per la copertina durante gli ultimi 15 anni. È accreditato della scoperta di molte top model, tra cui Linda Evangelista, che ha spesso cambiato look su consiglio di Meisel. Ha portato alla fama Heather Bratton e Coco Rocha ritraendole spesso su Vogue Italia. Tra le sue muse possono essere citate Stella Tennant, Karen Elson e Kristen McMenemy. Successivamente Meisel è stato particolarmente affascinato da nuove modelle quali Lily Donaldson, Lydia Hearst, Hannelore Knuts, Missy Rayder e Elise Crombez. Il successo di Meisel è in parte dovuto all’apprezzamento per il suo stile fotografico da parte di due regine del fashion system: le direttrici di Vogue Italia e Vogue USA, rispettivamente Franca Sozzani e Anna Wintour. Ha curato campagne pubblicitarie per Gianni Versace, Valentino, Dolce & Gabbana, Calvin Klein (per il quale ha creato dei servizi fotografici molto controversi), Prada, Louis Vuitton, Lanvin, Mulberry e Anna Sui, della quale è grande amico. È stato l’artefice delle carriere di molte modelle utilizzate nelle campagne per Gianni Versace, così come i parruchieri Oribe Canales, Garren and Guido e i truccatori Kevyn Aucoin, François Nars, Laura Mercier e Pat McGrath.
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ILLUSTRAZIONI
Fig. 1
Fig. 2 124
Fig. 3
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Fig. 5
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Fig. 53
Fig. 54
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Fig. 55
Fig. 56
Fig. 57
Fig. 58 147
TAVOLE DI PROGETTO
TAVOLA I BOZZETTO PER IL COSTUME DI DON GIOVANNI
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TAVOLA II BOZZETTO PER IL COSTUME DEL COMMENDATORE
151
TAVOLA III BOZZETTO PER IL COSTUME DEL COMMENDATORE (La Statua)
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TAVOLA IV BOZZETTO PER IL COSTUME DI DONNA ANNA
153
TAVOVA V BOZZETTO PER IL COSTUME DI DON OTTAVIO
154
TAVOLA VI BOZZETTO PER IL COSTUME DI DONNA ELVIRA
155
TAVOLA VII BOZZETTO PER IL COSTUME DI LEPORELLO
156
TAVOLA VIII BOZZETTO PER IL COSTUME DI MASETTO
157
TAVOLA IX BOZZETTO PER IL COSTUME DI ZERLINA
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FOTOGRAFIE DELLA PERFORMANCE
Fig. 1
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Fig. 2
Fig. 3
Fig. 4
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Fig. 5
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Fig. 6
Fig. 7
Fig. 8
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Fig. 9
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Fig. 10
Fig. 11
Fig. 12
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Fig. 13
Fig. 15
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Fig. 14
Fig. 16
Fig. 17
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Fig. 18
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APPARATI
Indice delle illustrazioni Fig. 1 Donna Elvira, Zerlina, Masetto, Leporello, p. Don Giovanni, Donna Anna, in, Don Giovanni di Wolfgang Amadeus Mozart, regia di Sven-Eric Bechtolf, Salisburgo 2014 Fig. 2 Don Giovanni, Leporello, p. in, Don Giovanni di Wolfgang Amadeus Mozart, regia di Robert Carsen, Milano 2011 Fig. 3 Masetto, Zerlina, Leporello, Don Giovanni, p. Donna Elvira, Don Ottavio, Donna Anna, in, Don Giovanni di Wolfgang Amadeus Mozart, regia di Dmitri Tcherniakov, Aix-en-Provence 2010
124
124
125
Fig. 4
Zerlina, Masetto, Donna Elvira, Don Ottavio, p. 125 Don Giovanni, Leporello, in, Don Giovanni di Wolfgang Amadeus Mozart, regia di Vincent Boussard, Baden-Baden 2006
Fig. 5
Don Giovanni, in, Don Giovanni di Wolfgang Amadeus Mozart, regia di Martin Kušej, Salisburgo 2006
Fig. 6
Scenografia scena ventesima, festa di ballo, p. 126 in, Don Giovanni di Wolfgang Amadeus Mozart, regia di Lluis Pasqual, Madrid 2005
Fig. 7
Don Giovanni, Commendatore, in, Don Giovanni di Wolfgang Amadeus Mozart, regia di Calixto Bieito, Barcellona 2002
p.
127
Fig. 8
Don Giovanni, in, Don Giovanni di Wolfgang Amadeus Mozart, regia di Roberto de Simone, Vienna 1999
p.
127
Fig. 9
Bozzetti scenografie e costumi di Franco Zeffirelli, p. 128 in, Don Giovanni di Wolfgang Amadeus Mozart, regia di Franco Zeffirelli, New York 1990
170
p.
126
Fig. 10 Scenografia scena sesta, Donna Elvira, p. 128 in, Don Giovanni di Wolfgang Amadeus Mozart, regia di Luca Ronconi, Bologna 1990 Fig. 11 Don Giovanni, in, Don Giovanni di Wolfgang Amadeus Mozart, regia di Peter Sellars, New York 1989
p.
129
Fig. 12 Bozzetti scenografie di Mauro Pagano, p. 129 n, Don Giovanni di Wolfgang Amadeus Mozart, regia di Michael Hampe, Salisburgo 1987 Fig. 13 Don Giovanni, Commendatore, Leporello, in, Don Giovanni di Wolfgang Amadeus Mozart, regia di Peter Hall, Londra 1977
p.
130
Fig. 14 Don Giovanni, in, Don Giovanni di Wolfgang Amadeus Mozart regia di Carl Ebert, Berlino 1961
p.
130
Fig. 15 Don Giovanni, in, Don Giovanni di Wolfgang Amadeus Mozart, regia di Michele Lauro, Napoli1958
p.
131
Fig. 16 Don Giovanni, in, Don Giovanni di Wolfgang Amadeus Mozart, regia di Herbert Graf, Salisburgo 1954
p.
131
Fig. 17 Don Giovanni, Donna Elvira, in, Juan, film – opera, regia di Kasper Holten, Danimarca 2012
p.
132
Fig. 18 Mozart, Costanza, in, Io, Don Giovanni, film drammatico, regia di Carlos Saura, Italia, Spagna, Austria 2009
p.
132
Fig. 19
p.
133
p.
133
Don juan, Doña Ana, in, Don Juan De Marco - maestro d’amore, film commedia drammatica - sentimentale, regia di Jeremy Leven, USA 1995
Fig. 20 Don Giovanni,
171
in, Don Giovanni, film - opera, regia di Joseph Losey, New York 1978
Fig. 21 Don Giovanni, in, Don Giovanni, film drammatico - commedia, regia di Carmelo Bene, Italia 1970 Fig. 22
Locandina cinematografica, Il maestro di Don Giovanni (Crossed Sword), film d’avventura, regia di Milton Krims e Vittorio Vassarotti, Stati Uniti d’America 1954
p.
134
p. 134
Fig. 23 Elton John in giacca bomber con piume 1974
p.
135
Fig. 24 Marc Bolan, un glam rocker, con boa intorno al collo, gli occhi truccati con mascara e le guance punteggiate da glitter, i psichedelici anni ‘60 - ‘70 Fig. 25 Michael Jackson
p.
135
p.
135
Fig. 26 David Bowie, in Ziggy Stardust fotografia di Masayoshi Sukita 1973
p.
135
Fig. 27 Shooting fotografico di Steven Meisel, The couturettes, in, «VOGUE Italia», n. 373, settembre 2006
p. 136
Fig. 28 Shooting fotografico di Steven Meisel, The couturettes, in, «VOGUE Italia», n. 373, settembre 2006
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Fig. 29 Shooting fotografico di Steven Meisel, The couturettes, in, «VOGUE Italia», n. 373, settembre 2006
p. 137
Fig. 30 Shooting fotografico di Steven Meisel, The couturettes, in, «VOGUE Italia», n. 373, settembre 2006
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Fig. 31 Shooting fotografico di Steven Meisel,
p. 137
172
The couturettes, in, «VOGUE Italia», n. 373, settembre 2006
Fig. 32 Shooting fotografico di Steven Meisel, The couturettes, in, «VOGUE Italia», n. 373, settembre 2006
p. 138
Fig. 33 Shooting fotografico di Steven Meisel, The couturettes, in, «VOGUE Italia», n. 373, settembre 2006
p. 138
Fig. 34 Shooting fotografico di Steven Meisel, The couturettes, in, «VOGUE Italia», n. 373, settembre 2006
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Fig. 35 Shooting fotografico di Steven Meisel, The couturettes, in, «VOGUE Italia», n. 373, settembre 2006
p. 138
Fig. 36 Shooting fotografico di Steven Meisel, The couturettes, in, «VOGUE Italia», n. 373, settembre 2006
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Fig. 37 Shooting fotografico di Steven Meisel, The couturettes, in, «VOGUE Italia», n. 373, settembre 2006
p. 139
Fig. 38 Shooting fotografico di Steven Meisel, The couturettes, in, «VOGUE Italia», n. 373, settembre 2006
p. 139
Fig. 39 Shooting fotografico di Steven Meisel, The couturettes, in, «VOGUE Italia», n. 373, settembre 2006
p. 139
Fig. 40 Shooting fotografico di Steven Meisel, The couturettes, in, «VOGUE Italia», n. 373, settembre 2006
p. 140
Fig. 41 Shooting fotografico di Steven Meisel, The couturettes, in, «VOGUE Italia», n. 373, settembre 2006
p. 142
173
Fig. 42 Shooting fotografico di Steven Meisel, The couturettes, in, «VOGUE Italia», n. 373, settembre 2006
p. 142
Fig. 43 Shooting fotografico di Steven Meisel, The couturettes, in, «VOGUE Italia», n. 373, settembre 2006
p. 143
Fig. 44 Shooting fotografico di Steven Meisel, The couturettes, in, «VOGUE Italia», n. 373, settembre 2006
p. 143
Fig. 45
The Cockettes, in, una pubblicazione della tipografia libera Giornale (gratuito) Kaliflower, Vol. 1, n. 38, gennaio 1970
p.
144
Fig. 46
Hibiscus che balla con bambino al Golden Gate Park noto a molti come Hippie Hill, Fotografia di Robert Altman, San Francisco 1969
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144
Fig. 47 Cockette Wally, Fotografia di Clay Geerdes, 1971
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144
Fig. 48 Cockette Hibiscus
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144
Fig 49
The Cockettes, in, Luminous mezzana, un film di Steven Arnold, 1971
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Fig. 50
The Cockettes e la loro casa vittoriana su Haight Street, fotografia di Mary Ellen Mark, San Francisco 1971
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Fig. 51 Estratto da un libro unico pubblicato dalle Cockettes, San Francisco 1971
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146
Fig. 52 Estratto da un libro unico pubblicato dalle Cockettes, San Francisco 1971
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Fig. 53 Estratto da un libro unico pubblicato dalle Cockettes, San Francisco 1971
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Fig. 54 Estratto da un libro unico pubblicato dalle Cockettes, San Francisco 1971
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Fig. 55
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147
Cockette Dolce Pam, Cockette John Rothermel, Cockette Pristine Condition, in un vicolo del quartiere di Mission, Fotografia di Clay Geerdes, San Francisco 1971
Fig. 56 Cockettes nel campo di lavanda, fotografia di Fayette Hauser 1971 Fig. 57 Cockette Wally a casa su Oak Street, fotografia di Fayette Hauser, San Francisco 1971 Fig. 58 Cockette Scrumbly Koldewyn con uva nei capelli, San Francisco 1971
p. 147
p.
147
175
Indice delle tavole di progetto
Tav. I
Don Giovanni
p.
150
Tav. II
Commendatore
p.
151
Tav. III
Commendatore (La Statua)
p.
152
Tav. IV
Donna Anna
p.
153
Tav. V
Don Ottavio
Tav. VI
Donna Elvira
p.
155
Tav. VII Leporello
p.
156
Tav. VIII Masetto
p.
157
Tav. IX
p.
158
176
Zerlina
p. 154
Indice delle fotografie della performance
Fig. 1
Costume di Don Giovanni
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160
Fig. 2
Don Giovanni, particolare trucco
p.
161
Fig. 3
Don Giovanni, particolare cintura
p.
161
Fig. 4
Don Giovanni, particolare copricapo
p.
161
Fig. 5
Costume di Donna Elvira
p.
162
Fig. 6
Donna Elvira, particolare trucco
p.
163
Fig. 7
Donna Elvira, particolare bracciali
p.
163
Fig. 8
Donna Elvira, particolare scarpe
p.
163
Fig. 9
Costume di Leporello
p.
164
Fig. 10
Leporello, particolare trucco
p.
165
Fig. 11
Leporello, particolare scarpe
p.
163
Fig. 12
Leporello, particolare pettacci della giacca
p.
163
Fig. 13
Don Giovanni e Donna Elvira
p.
164
Fig. 14
Leporello e Donna Elvira
p.
164
Fig. 15
Leporello, Donna Elvira e Don Giovanni
p.
164
Fig. 16
Leporello, Donna Elvira e Don Giovanni
p.
165
Fig. 17
Leporello, Donna Elvira e Don Giovanni
p.
165
Fig. 18
Donna Elvira, Don Giovanni, Leporello
p.
166
177
Bibliografia
Bentivoglio L., Bramani L., E Susanna non vien. Amore e sesso in Mozart, Feltrinelli ed., Milano 2015. Bonazzi F., The Couturettes story, «VOGUE Italia», n. 373, settembre 2006. Curi U., Filosofia del Don Giovanni. Alle origini di un mito moderno, B. Mondadori ed., Milano 2002. De Simone R., Novelle k 666. Fra Mozart e Napoli, Einaudi ed., Torino 2007. Dizionario dell’opera, a cura di P. Gelli, F. Poletti, Baldini Castoldi Dalai ed., Milano 2007. Escobar R., La Fedeltà di Don Giovanni, il Mulino ed., Bologna 2014 Gazzaniga G., Don Giovanni, o sia il Convitato di pietra. Dramma giocoso in un atto di Giovanni Bertati, Bärenreiter ed., Kassel 1974, prima ed. it., Venezia 1787. Kierkegaard S., Don Giovanni, a cura di G. Garrera, introduzione A. G. 2
Quinzio, BUR rizzoli ed., Milano 2010 , prima ed. 1843. L’androgino, Istituto Geografico De Agostini ed., Novara 1992. Molière, Don Giovanni, a cura di D. Gambelli, traduzione di D. Gambel2
li, D. Fo, Marsilio ed.,Venezia 2003 . Mozart W.A., Don Giovanni. Libretto di Lorenzo Da Ponte, a cura di E. Rescigno, Ricordi ed., Milano 1993. Niola M., Don Giovanni o della seduzione, l’ancora del Mediterraneo ed., Napoli - Roma 2006. 178
Platone, Simposio, in, Dialoghi filosofici di Platone, 2 voll., a cura di G. Cambiano, UTET ed. Torino 1981, vol. II, pp. 87-149. 4
La Sacra Bibbia, CEI - UELCI. ed., s.l., 2014 . VirilitĂ e trasgressione, Istituto Geografico De Agostini ed., Novara 1992.
179
Io non cerco. Trovo.