Ripensare e Riusare l’Architettura
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Ripensare e Riusare l’Architettura Arch. Leopoldo Casertano
L’articolo seguente è un estratto della conferenza che ha avuto luogo il 19 ottobre 2019 - "L'INIZIO DEI GIOCHI" (Un contributo dei giovani alla ricerca di una sempre maggiore fruibilità, sostenibile ed accessibile, dei beni archeologici) presso la sala conferenze del Polo Culturale del Comune di Pozzuoli "Palazzo Toledo", via Pietro Ragnisco 29.
Analizzando il titolo parola per parola, si nota la presenza, per giunta ripetuta, del prefisso ri-, nei due verbi che guardano l’Architettura. Generalmente, e nel caso specifico, esso ha valore iterativo, esprimendo la duplicazione o ripetizione di un qualcosa già fatto o già detto. Per capire l’essenza di questa reiterazione, bisogna in prima istanza analizzare l’azione umana prima che essa si duplichi, esaminare quindi i due termini privi di prefisso. Il pensiero in architettura è tutto. Partendo dall'etimologia del termine "progetto" sappiamo che questo deriva dal latino proiectus, ovvero gettare avanti. Esso è quindi il frutto di una visione ed implica appunto un pensiero prima del fare. Il secondo verbo "usare" lega l’essere umano ad un oggetto attraverso una relazione che permette allo stesso di espletare la sua funzione, la sua utilità. Caratteristica questa ben descritta nel trattato vitruviano dove, firmitas, utilitas e venustas sono alla base di ogni buona costruzione. Una architettura non usata è quindi inutile e perciò non ha ragione di esistere. Il tempo, la quarta dimensione, ha il potere di alterare uno di questi capisaldi ed è compito dell’uomo, chiamato quasi per vocazione, con la sua azione ad intervenire per ridare vita all’architettura alterata da Krónos. L'intervento dell'uomo, atto a garantire un adattamento alle nuove esigenze, deve assicurare la leggibilità dei segni del tempo, commissionati e stratificati, che fanno dell’edificio il luogo della memoria, dal latino il monumento. 2
Tali interventi, che spesso tendono ad un adeguamento della struttura, devono essere guidati da accurati studi che garantiscano il rispetto del bene in questione aspirando quindi alla sua valorizzazione. Questo breve intervento in materia di riuso architettonico, non vuole avere la presunzione di dare una risposta universale al problema del "riuso" in architettura, anche se sarebbe più corretto parlare di opportunità offerta al progettista che di vero e proprio problema, bensì, presentando alcuni casi studio, mostrare delle soluzioni specifiche a problemi specifici. Tali riferimenti hanno la volontà di suscitare, in primis a chi scrive e poi al lettore, domande e interrogativi riguardo il tema specifico dei loci amoeni puteolani. Guardare le architetture del passato, identificandole come “rovine”, oggetti lontani ed estranei alle nostre vite, è un atteggiamento tipico della nostra cultura occidentale derivato da due fattori, la riscoperta illuministica del Classicismo e riprendendo Settis dalla loro stessa natura: “le rovine sono al tempo stesso una potente epitome metaforica e una testimonianza tangibile non solo di un defunto mondo antico ma anche del suo intermittente e ritmico ridestarsi a nuova vita.” 1 Aver cura delle rovine o nel caso più specifico dei monumenti, quindi, è un dovere sociale al quale tutti sono chiamati senza esclusione alcuna, tema ripreso da una epistola dei maggiori referenti in materia di conservazione di fine ottocento, William Morris che così scriveva: “coloro che hanno una qualsiasi responsabilità verso le reliquie dei tempi dell’arte devono ricordarsi di essere i guardiani non solamente di un edificio pubblico, né tantomeno di Pietre di Calce e di Legno, ma che detengono in loro potere i molti semi della Civilizzazione a venire” 2
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S. SETTIS, Futuro del “classico”, Giulio Einaudi editore, Torino 2004, p.84
W. MORRIS, Lettera n. 815 (4 settembre 1882) in Collected Letters of William Morris Part II, Princeton University Press, Edito da Norman Kelvin, 2014. 2
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Di seguito si ripropone un sunto di una serie di casi studi minori dove, o con interventi di restauro o con semplici eventi, si è data nuova vita a rovine delle quali ci si è semplicemente preso cura. Per gli interventi di restauro si parlerà ad esempio, dell’aula ottagona delle terme di Diocleziano, dell’Anfiteatro di Lucera e dell’arsenale di Pisa. Accanto a questi verranno citati alcuni eventi culturali, come: Suggestioni all’imbrunire al Parco Archeologico del Pausylipon, i tableau vivant negli scavi di Ercolano, la sfilata The Down of Romanity, Vinofrum allo stadio di Domiziano, la rievocazione storica di Tuscolo, Jurassic World nell’oasi faunistica degli Astroni, a dimostrazione di come sia possibile l'avvicinamento a siti di interesse storico ed artistico attraverso manifestazioni nuove che, destando curiosità in un ampio pubblico e contribuiscono alla rivalutazione di questi luoghi. Il primo intervento citato è uno tra i più famosi casi di riuso nello scenario italiano: l’aula ottagona delle terme di Diocleziano. Nata come ambiente per la cura del corpo e dello spirito, diventa in epoca rinascimentale granile papale, in epoca moderna planetario, di cui è ben visibile la struttura leggera in ghisa, e infine oggi sala museale per esposizioni temporanee. La qualità spaziale di tale ambiente ha permesso una sua adattabilità nel tempo che di certo in fase di costruzione non era prevista. Le necessità dei suoi fruitori, a volte poco attenti al rispetto del passato, hanno fatto sì che oggi un edificio, nato come polo termale per la classe altolocata dell’impero, ospitasse saltuariamente opere d’arte. Caso studio differente è l’anfiteatro di Lucera, nel foggiano, che all’indomani del restauro compiuto su progetto dell’Arch. Serpenti, si presenta accessibile ai fruitori per essere ammirato così com’è. Altrettanto interessante, in prossimità del suddetto anfiteatro, è il polo espositivo dei resti lapidei che, o per incuria o per volontà o per il semplice passare del tempo, si trovavano confusamente disposti nell’arena o nelle sue vicinanze. Si tratta di una galleria a pianta a forma di arco ellittico che, 4
esterna al sito, permette oggi di osservare i resti archeologici. Analogo al primo caso studio, non per forma né tantomeno per evoluzione o epoca di costruzione, bensì per capacità di riproporsi come altro, è l’arsenale di Pisa. Il luogo nasce per la costruzione di imbarcazioni e armi, trasformato in stalle per i principi di Lorena e in caserma in epoca moderna, oggi, grazie al sapiente restauro degli architetti Pasqualetti e Daole, è uno spazio espositivo caratterizzato da gallerie suggestivamente illuminate. L’intervento di restauro deve essere improntato anche ad individuare una nuova destinazione d’uso per gli spazi. L’edificio quindi deve rinascere ed essere usato per poter essere manutenuto. Spesso ci sono architetture, rovine o edifici del passato, che per la loro qualità spaziale permettono una plurima destinazione d’uso, senza che su di essi vengano effettuati ulteriori lavori di trasformazione. Venendo agli eventi sopra citati, pur non riguardando veri e propri interventi di restauro, ci mostrano altri modi di pensare ad architetture e ruderi archeologici: il Parco Archeologico del Pusylipon con i suoi eventi delle “Suggestioni all’imbrunire” o i Tableau Vivant di Ercolano notturna ne sono la prova. Non si tratta, in questi casi come negli altri, di interventi che stravolgono l’esistente, ma piuttosto di eventi che sfruttano le potenzialità spaziali di edifici, rovine o luoghi paesaggisticamente validi, senza alterarne le qualità, per come si presentano ai nostri occhi, all’indomani, spesso, di interventi di restauro sapienti. Nella nostra amata Pozzuoli, o meglio Puteoli per citare la lingua del popolo che l’ha resa grande, sono presenti una serie di siti che offrono spunti di riflessione. Come si evince dalle numerose testimonianze storiche fino alla citazione negli Atti degli Apostoli, la presenza del Portus Iulius, permettendo la crescita economica dell’Impero nelle rotte orientali prima dell’avvento del porto di Ostia, contribuì all'ascesa della città. Proprio da qui, dall'importanza storica e non solo di Pozzuoli, si deve partire per mirare a più ampi orizzonti. 5
I Siti diffusi sul territorio dai più famosi e centrali Serapeo e Anfiteatro, ai meno noti della Grotta di Cocceo o la Via Per Colles, non possono prevedere un superficiale copia e incolla di idee altrui, un improvvisato riuso basandosi solo sugli esempi precedentemente citati, anzi è questa la circostanza nella quale va applicata la teoria caso per caso, dove lo studio specifico e approfondito, non espresso in questa sede, deve essere il preliminare prodotto per portare ad un’azione efficace.
Bibliografia consultata B. G. MARINO, William Morris. La tutela dei monumenti come problema sociale, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli 1993. S. SETTIS, Futuro del “classico”, Giulio Einaudi editore, Torino 2004. F. DELIZIA, Dal Riuso alla Conoscenza dell’antico: Archeologia e restauro nel XVIII secolo in S. Casiello, Verso una Storia del restauro. Dall’età classica al primo Ottocento, Alinea editrice, Firenze 2008. R. PICONE, Il Restauro di Palazzo Penne a Napoli. Saperi a confronto per la trasmissione al Futuro in (a cura di) M. Campi, A. Di Luggo, R. Picone, P. Scala, Palazzo penne a Napoli tra conoscenza, restauro e valorizzazione, arte’m, Napoli 2008. M. V. POLLIONE, De Architectura, Studio Tesi, Pordenone 1990 C. BRANDI, Teoria del Restauro,Piccola Biblioteca Einaudi, Torino 2000
In copertina Giovanni Battista Piranesi ,1720-1778, Ruins of Pozzuoli. Penna e inchiostro bruno-nero, su gesso nero, su carta patinata color crema. Il soggetto raffigura il Serapeo, meglio noto come Tempio di Serapide.
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