Buon Natale, Spike - Anita Book

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ANITA BOOK

BUON NATALE, SPIKE

Questa storia c’era, c’è e ci sarà. Per sempre. A te, lettore, perché la speranza che mantiene in vita tutti i tuoi sogni, possa fiorire ogni giorno di più. Buon Natale.

Anita Book

A Fedora Temp i pranzi e le cene di Natale piacevano un sacco. Si potrebbe dire che ne andasse matta. Attendeva quel periodo dell’anno con una tale ansia che sembrava ritornare bambina. Nonostante i suoi sessant’anni e i primi acciacchi, custodiva un entusiasmo irrefrenabile ed era conosciuta in tutto il paese per i suoi piatti dai sapori insuperabili. Non si era mai sposata e alcune malelingue sostenevano che i pochi amori della sua vita l’avessero abbandonata per via della sua ossessione per il cibo, ma la verità era che Fedora Temp preferiva avere amori collettivi piuttosto che individuali. Per questo trascorreva la maggior parte del suo tempo a rendere felice la gente bisognosa, povera, ammalata e in difficoltà dei vari quartieri. Comprava loro abiti nuovi, prodotti per la cura dell’igiene, accessori di prima e seconda necessità, e, naturalmente, si preoccupava anche del loro sostentamento.

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Le sue specialità erano frittelle dolci alla zucca, praline al mascarpone, risotto al salmone, zuppa di cipolle e spezzatino d’agnello. In ogni ricetta, poi, era solita aggiungerci un ingrediente segreto che conferiva quel gusto unico e magico capace di mandare in estasi. Ora, devi sapere, mio caro lettore, che il destino spesso si diverte a tessere tele molto elaborate, dagli intrecci imprevedibili. Alle volte ci concede la possibilità di scegliere quale direzione prendere, in modo da mettere alla prova la nostra saggezza e il nostro senso di responsabilità; altre, invece, ci orienta esso stesso verso la stella giusta. È il caso di dire che a Fedora Temp, quella sera del 24 dicembre in cui la nostra storia ha inizio, fu data l’opportunità di scegliere e che la sua capacità di donare amore attraverso piccoli e semplici gesti, finalmente, la ripagò.

— Sta’ buono, bello. Oh, sì, anch’io sono felice di averti incontrato. Era davvero un cucciolone vivace, constatò Nicolas quando se lo vide correre incontro. Musetto rotondo, occhioni smarriti, manto pezzato, orecchie a sventola, una vocina niente male e una gioia di vivere invidiabile. Gli si era gettato addosso e scodinzolava come un forsennato, contento di aver trovato qualcuno disposto a coccolarlo un po’. — Devi essere stanco e affamato, non è vero? — Per tutta risposta, l’animale tirò fuori la lingua e il suo stomaco brontolò. — Be’, in fondo alla strada c’è la caffetteria del signor Greg, potremmo inaugurare la nostra amicizia andando a chiedergli qualcosa di caldo. Che ne dici? Il cagnolino si dimostrò d’accordo e abbaiò facendo una piroetta. Nicolas non poté fare a meno di sorridere, intenerito dalla scena. Un attimo dopo, però, il suo sguardo s’intristì pensando alla sorte infelice che era capitata a quella povera bestiola. Lo accarezzò sul dorso e le sue dita si incastrarono nel pelo arruffato e pieno di nodi. C’erano macchie di sporco un po’ dappertutto e notò che dietro l’orecchio destro si apriva un piccolo taglio ricoperto di incrostazioni. — Mi dispiace — mormorò grattandogli la testa. — La gente non dovrebbe permettere che ciò accada. È sbagliato, ingiusto e crudele. Anche tu hai il diritto di avere una famiglia, una casa… Anche tu hai il diritto di essere amato. Il cucciolo inclinò la testa da un lato e i suoi occhi divennero specchi d’emozione in cui annegare. Il cuore di Nicolas batté più veloce del solito.

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— Sai cosa faremo, adesso? Staremo insieme, fino a quando non avrai trovato una sistemazione. Parola mia che sarà così. Certo, ho la mia età ma non ci sarà d’impedimento. Questa notte è benedetta, amico mio. Nella vigilia di Natale tutto è possibile. L’animale gli leccò il palmo della mano in segno di ringraziamento e poi strofinò il musetto contro la sua gamba, uggiolando. — È bene che ti dia un nome, però — rimuginò Nicolas mentre si chinava per prenderlo tra le braccia. — Quand’ero piccolo, mia madre mi regalò un cagnolino di peluche che era molto simile a te. L’avevo chiamato Spike, era il mio fedele compagno di dormite. Con lui al fianco, gli incubi fuggivano impauriti. — Lo osservò per benino e poi concluse: — Sì, credo proprio che Spike ti si addica. Il cucciolo abbaiò entusiasta e i due s’incamminarono lungo la strada, verso la caffetteria. Il passo di Nicolas era malfermo a causa degli anni trascorsi a elemosinare qualche spicciolo e un tocco di pane agli angoli delle vie, esposto alle intemperie e alla cattiveria di chi gli riservava insulti e indifferenza. Non aveva un guardaroba completo con sé, si accontentava di indossare il suo cappotto scolorito, che gli teneva caldo, un maglione un po’ logoro, dei pantaloni rattoppati e un paio di scarponi dalle punte consumate. Una volta, una gentile signora che passava da quelle parti gli aveva fatto dono di una coppia di morbidi guanti di lana lavorati a mano e lui si era sentito importante. Speciale. Li portava sempre in tasca, ne era molto affezionato. Ripensandoci, non aveva più visto quella signora, eppure qualcosa dentro di sé gli suggeriva che sarebbe stata perfetta. Oh, sì, perché Nicolas aveva un piano ed era convinto che, ancora una volta, quella notte gli avrebbe portato fortuna.

Sapeva di essere in ritardo ma non poteva farci niente. I biscotti di pan di zenzero avevano richiesto una preparazione più attenta e scrupolosa del solito. Si era servita dei coloranti alimentari per dare alla glassa le tinte natalizie del verde agrifoglio, rosso vermiglio e bianco neve, e si era sbizzarrita nelle decorazioni curandole nei dettagli. Alla fine, era rimasta così meravigliata del risultato che quasi si dispiaceva a immaginarli sgranocchiati. Tuttavia, non poteva lasciarsi ostacolare da simili pensieri e così adesso correva per le strade super-affollate del paese mordendosi il labbro per paura di non riuscire ad arrivare in tempo. Quei senzatetto contavano su di lei, deluderli sarebbe stato imperdonabile.

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— Permesso, permesso — domandava concitata cercando di guadagnare spazio in mezzo alla marmaglia di gente intenta a sbrigare gli acquisti dell’ultimo minuto. — Mi scusi… oh, non volevo… stia più attento… Permesso! Le mani erano ingombre del vassoio avvolto nella carta stagnola da cui traspiravano spirali di fumo odoroso di zucchero e spezie. Tutti quanti, al suo passaggio, si voltavano stregati dal profumo. — Avanti su... — si concentrò mentre aspettava che scattasse il verde del semaforo per attraversare. La comunità dei senzatetto era proprio dall’altra parte della strada, accanto alla caffetteria del signor Greg. Quello che Fedora Temp non sapeva, però, era che proprio in quel momento, quando sembrava che avesse riconquistato il controllo della situazione, a intralciarle il cammino ci si sarebbe messo anche un… cane.

Spike sgusciò via dalla braccia di Nicolas agile come un’anguilla, attratto da quel profumino delizioso. Il suo olfatto sopraffino l’aveva percepito all’istante e il suo stomaco, a digiuno da settimane, lo aveva supplicato di scoprirne la provenienza. — Ehi, amico, che ti prende? Torna qui! — lo richiamò Nicolas, invano. Il cucciolo era riuscito a individuare la fonte dell’odore e correva a rotta di collo verso di essa. Alcuni passanti si scansarono in tempo evitando di finire a gambe all’aria; altri, invece, ne furono travolti e lanciarono gridolini di sorpresa. Anche Nicolas, non avendo alternative, accelerò il passo per non perderlo di vista. — Spike! Torna qui! — riprovò ma cominciò a mancargli il fiato e dovette rallentare. Si piegò appoggiandosi alle ginocchia e lasciò che i polmoni recuperassero ossigeno. Nonostante la forza e lo spirito combattivo, non era immune agli attriti della vecchiaia. Forse, pensò, avrebbe dovuto cercarsi un’altra attività. Una maniera diversa di guadagnarsi da vivere. — Signore, si sente bene? — gli domandò d’un tratto una voce. Nicolas sollevò gli occhi e incontrò quelli di una donna dall’aria preoccupata. Indossava un cappottino col colletto dal bordo fiorato, aveva un paio d’occhiali dalle lenti spesse, con le catenelle infilate nelle stanghette, e reggeva un vassoio fumante tra le mani dal quale si diffondeva un pro-

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fumo da capogiro. Ai suoi piedi, un batuffolo di pelo compiva salti mortali smanioso di raggiungerne il contenuto. — Spike… — ansimò Nicolas sorridendo di sottecchi. — Oh, è sua questa creaturina? — chiese la donna guardando prima il cagnolino e poi Nicolas. — Mi ha quasi messo al tappeto, lo sa? Sarà peggio di un diavolo della Tasmania quando crescerà. — Il tono poteva sembrare di rimprovero e invece, un attimo dopo, aggiunse: — Però è così adorabile. Chi è quel duro di cuore che ha avuto il coraggio di lasciarti tutto solo, eh? Mentre si accovacciava per accarezzarlo, Nicolas fu inondato dai ricordi e, all’improvviso, ebbe chiara l’immagine di quella stessa donna solo un po’ più giovane, impegnata a tirar fuori dalla sua borsetta… un paio di morbidi guanti di lana lavorati a mano. — Ma allora è lei! — esclamò spalancando gli occhi e drizzando la schiena. — Sapevo che sarebbe successo oggi, ne ero sicuro! — Poiché, tuttavia, la donna lo scrutava con un cipiglio in mezzo alla fronte, decise di rispolverarle la memoria. — Non si ricorda? Qualche anno fa, proprio a due isolati da qui, lei mi ha donato questi — disse mostrandole il paio di guanti. — Ero al freddo e non avevo di che mangiare, e lei passava da quelle parti per portare un pranzo non so dove. Non appena mi vide, si fermò e me li regalò. Dev’essere per forza lei, ha il suo stesso sorriso. La donna restò a fissarlo ancora per un po’, con gli occhi socchiusi come nel tentativo di rievocare il volto di quell’anziano signore. Poi, d’improvviso, si illuminò di gioia. — Ma certo, ora sì che ricordo! — proruppe esultante. — Mi disse che si chiamava… Nicolas, non è così? — Nicolas annuì e il sorriso sulle labbra di Fedora si accese ancora di più. — Vorrei tanto trattenermi anche questa volta, tuttavia devo consegnare questo vassoio alla comunità dei senzatetto e sono già in netto ritardo. Nicolas si rabbuiò di colpo. — Ecco, la fretta… — farfugliò a bassa voce. — Come dice, scusi? Nicolas scrollò le spalle e fece un vago gesto della mano, come a dire che ciò a cui stava pensando non era importante. Fedora, allora, rivolse un’altra volta la sua attenzione al cucciolo che tremava ai suoi piedi, con la lingua penzoloni e il corpicino denutrito. — Mi è venuto appresso da quando mi ha visto, sa? — ne approfittò Nicolas avvertendo la compassione nello sguardo della donna. — Non che mi dispiaccia, sia chiaro, ma… cosa ho da offrirgli, io? Con questi indumenti riesco a malapena a riscaldare me stesso, figuriamoci raccattare qualcosa che possa proteggerlo dal cattivo tempo! Sarà un’impresa ardua e non vorrei che fosse lui

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a doverne pagare le conseguenze peggiori. — Fece una pausa e poi sospirò teatralmente. — Già, sarebbe un vero peccato. Però, magari, lei potrebbe… Fedora Temp si sollevò da terra e si sistemò gli occhiali che erano scivolati sulla punta del naso. Avrebbe ceduto, Nicolas non si sbagliava mai. E la cosa ancora più buffa fu che anche il cucciolotto parve afferrare la situazione! Infatti, per accattivarsi la benevolenza della donna, si sedette sulle zampe posteriori e rimase in attesa. — È la vigilia di Natale… — la incoraggiò Nicolas con un guizzo furbesco negli occhi. La donna abbassò lo sguardo sul vassoio che reggeva tra le mani e poi, dopo aver preso un bel respiro, annunciò: — D’accordo, allora. Probabilmente sto commettendo un grosso errore e il tempo mi darà modo di rendermene conto, oppure sto semplicemente facendo felice qualcuno, che, a detta di tutti, è la cosa in cui riesco meglio. Nonostante questo, desidero farlo. — Guardò il cagnolino e chiese: — Ti piacerebbe trascorrere il resto della tua vita con… me? Avrai una casa, un posto dove dormire, del cibo. Tanto cibo, a dire il vero. Oddio, sta suonando come una proposta di matrimonio. Cosa mi succede? Nicolas borbottò una risatina divertita accompagnata da un doppio abbaio di Spike. — Mi sa che non può tirarsi più indietro, Fedora. Le parole fatidiche sono state già pronunciate, la promessa è stata sancita. A sentire il suo nome, Fedora fissò di scatto lo sguardo sul viso di Nicolas. C’era qualcosa di familiare nella sua barbetta incolta, negli occhi chiari appesantiti dal troppo vagabondare, nel taglio dei capelli argentei e in quel sorriso generoso, capace di far sorgere il sole anche di notte. — Come fa a sapere il mio… — iniziò a chiedere ma il resto della domanda si perse nel nulla, come la scia di una stella cometa che piano si dissolve. — Ho girato per il mondo in lungo e in largo. Saprei riconoscere una Fedora Temp anche a mille miglia di distanza — fu la risposta enigmatica di Nicolas. — Io non… capisco… Fedora era sempre più confusa, eppure non fece altre domande. Qualcosa era scattato nel suo cuore, un meccanismo segreto che le suggeriva di fidarsi di quell’uomo. Nicolas le strizzò un occhio e poi si inginocchiò per salutare un’ultima volta il suo amico a quattro zampe. — Buon Natale, Spike — gli sussurrò mentre posava un bacio delicato sulla sua testa. — Non farmi pentire della scelta che ho fatto, mi raccomando. Comportati bene.

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Il cagnolino mugolò e gli leccò una guancia, dopodiché ritornò a zigzagare in mezzo alle gambe di Fedora, elettrizzato all’idea di condividere ogni istante delle sue future giornate con qualcuno che sapeva cucinare dei cibi così profumati. — Be’, è tempo di andare, mi sa — proseguì Nicolas dando un’occhiata a quello che sembrava un orologio da taschino. Il fatto curioso era che era davvero minuscolo, grande al massimo quanto l’unghia di un pollice. Fedora Temp si chiese da dove fosse saltato fuori. — È stato un piacere rivederla, signora Temp. Le auguro di passare un sereno Natale e di realizzare tutti i suoi sogni. A proposito, qualcosa mi dice che l’anno prossimo vincerà il premio come cuoca più talentuosa e creativa di tutto il paese. Naturalmente, tenga l’informazione per sé. — Grazie… — mormorò Fedora senza scollare gli occhi dall’anziano e strambo signore. Era entrata in una sorta di catalessi, di stato ipnotico, e non era sicura di volersi risvegliare. La sensazione le piaceva, era stimolante e le infondeva tranquillità. Tuttavia, un attimo dopo l’incanto finì e lei sbatté le palpebre ritornando al presente. Nicolas le aveva dato le spalle e stava già riprendendo la sua strada quando aggiunse: — Le ho abbonato anche cinque minuti, però si sbrighi comunque. Non vorrei che quei meravigliosi biscotti arrivassero freddi. Fedora non vide quello che accadde dopo perché una folata di vento improvviso le fece strizzare forte gli occhi. Quando li riaprii, di Nicolas non v’era più traccia. — Certo che di stranezze se ne vedono sempre più, oggigiorno — ragionò, ancora incapace di dare una spiegazione razionale all’evento. Poi spostò lo sguardo sul cuccioletto in trepida attesa ai suoi piedi e sorrise. — Andiamo, su. Abbiamo ancora un mucchio di lavoro da sbrigare questa notte e, tanto perché tu possa essere preparato, la prima cosa che faremo quando torneremo a casa sarà darci una bella ripulita. Niente storie, intesi? Il cagnolino abbaiò festoso e il sorriso di Fedora si trasformò in una risata squillante e piena di vita. Quello sarebbe stato senza dubbio un Natale da ricordare, perché in fondo basta poco per restituire la felicità a qualcuno. Persino a uno sconosciuto incontrato una volta soltanto o a un animale abbandonato sul ciglio della strada. Perché quando da bambini vi insegnano a credere nell’arrivo di Santa Claus, che monta sulla slitta e si lascia trainare nei cieli dalle sue fedeli renne per consegnare i balocchi, voi non dovete sentirvi traditi nello scoprire che, in realtà, nessun nonnino panciuto si è mai calato giù dal vostro camino.

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Non vi hanno preso in giro, Santa Claus esiste davvero. Non sempre indossa i suoi abiti tradizionali e a volte preferisce andare a piedi. Ma c’è. Magari si camuffa, magari cerca di passare inosservato perché ama svolgere il suo lavoro nella semplicità. Magari è il mendicante che dorme sulla panchina del parco, coperto da pochi stracci, o il venditore di zucchero filato che ogni domenica richiama folle di bambini golosi. Ma devi darmi retta quando ti dico che c’è e che non si dimentica mai di nessuno.

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