BVW - Lara Manni

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BWV 147 di Lara Manni Non sa dire quando è successo, né come. Ricorda che ha infilato la mano nella tasca destra del giubbotto, dove tiene le sigarette e un paio di kleenex sporchi. Ricorda che ha pensato che doveva vuotare le tasche. Per un motivo o per l’altro, non lo fa mai. Jonathan la rimprovera (rimproverava) quando tira fuori quelle pallottole di carta ingrigita e si soffia il naso. “Non ti vergogni, Mina? Lo fai apposta? Vuoi mettermi in imbarazzo?”. Non lo faccio apposta. Non sono cattiva. Dunque ha infilato la mano e ha sentito la foglia sotto le dita. Il contorno era quello di una foglia, di questo era sicura. Spessa, liscia. Fresca. Per un istante, si era chiesta cosa ci facesse nella sua tasca. Sei disordinata, Mina. Poi la voce severa di Jonathan, gli occhi duri di Jonathan, e le spalle di Jonathan mentre si volta (nella sua mente, continua a voltarsi e andarsene, ancora e ancora), le avevano ricordato che la foglia non contava. Contava il computer acceso nella stanza piena di fumo che si era appena lasciata alle spalle, scappando in strada. Sul monitor, la pagina Facebook di Jonathan.


E’ più forte di lei. Da quando l’ha lasciata, due settimane fa (“Non posso più andare avanti così, Mina. Ho bisogno di sapere che esistono persone migliori di te”), ci torna in continuazione. Vuole sapere di che umore è. Se ha cambiato idea. Se qualcuna scrive sulla sua bacheca. Qualcuna lo ha fatto, oggi. “Devi pensare a chi ti vuole bene davvero, Jonathan”. Lucy. Gli occhi azzurri di Lucy (li ha guardati bene, nella fotografia del suo profilo, per capire se fossero così limpidi come sembrava, o se, proprio nel fondo, non scintillasse un bagliore di perfidia). Continua a lisciare la foglia con le dita. Altri occhi azzurri, molti anni fa. Quelli di Suor Anna, enormi dietro gli occhiali. “Cattiva Mina, dobbiamo portare Maria Grazia in infermeria. Non vedi che sanguina? Perché l’hai spinta?” Non l’ho fatto apposta. Non… Hanno undici anni. Maria Grazia cade all’indietro, batte la testa sul gradino. Sangue rosso sul grembiule nero. Gli occhi si chiudono di scatto, cancellando il brillio divertito di quando Maria Grazia spiava le sue reazioni davanti all’assorbente macchiato nascosto nella sua cartella (“Mina è una sporcacciona”) o alla gomma da masticare aggrovigliata a una ciocca di capelli (“Mina dorme sul pavimento come i barboni”). E’ Gesù la mia salvezza Il conforto del mio cuor


Riconosce la musica che esce da un negozio. Bach. Cantata BWV 147. Mancavano quattro giorni a Natale, come adesso, quando Maria Grazia è caduta. Mentre il suo corpo si sbilanciava all’indietro, avvicinandosi - in un istante che le sembrava lentissimo - al marmo della scala, Suor Olga suonava l’organo in cappella. Benedetto sempre sia Il pio nome del signor. Stringe la foglia. Dovrebbe lasciarla e prendere uno dei kleenek sporchi. Sto piangendo, pensa. Tre ragazze alla fermata dell’autobus. Devono avere la metà dei suoi anni. Sedici, dunque. Come Lucy. I contorni della foglia sotto le sue dita. “Com’è bello il tuo ragazzo nelle fotografie che hai pubblicato”, le aveva scritto Lucy quando lei aveva accettato la sua amicizia su Facebook. “GRAZIE”, le aveva risposto, tutto in maiuscolo, perché lei era davvero grata dell’immensa fortuna che le era capitata. Jonathan. Era stato lui ad avvicinarla su Internet, in un maggio caldo che la rendeva allegra come una ragazzina. Le aveva scritto cose bellissime. Frasi dolci come miele. Ti amo, nessuna come te. Mai. Lei si era tuffata in quell’amore come un’assetata. Mina la nerd. Mina che non esce di casa. Mina che apre il suo cuore a Jonathan, anche se non lo


ha mai visto, poi gli apre la porta Mina. Stato: fidanzata con Jonathan. I contorni della foglia sotto le sue dita. Fino a due settimane fa. Quando Jonathan aveva deciso che non ce la faceva più. Stato di Jonathan: single. E lei aveva pianto, supplicato, sperato che avrebbe cambiato idea. Invece. Stringe la mano a pugno. La punta della foglia preme contro il suo pollice. Davanti ai suoi occhi pulsa il cuoricino rosso, piccolo e lucente sullo schermo del computer. “Jonathan è passato da single a fidanzato”. Tira fuori la mano dalla tasca, stringe il pacchetto di sigarette. Ne prende una, lasciando che le lacrime le inzuppino le guance. “Signora, ha da accendere?” Una delle ragazze la fissa. Sì, ecco. Accendere. Allunga la mano. La ragazza fa una smorfia di disgusto. Mina segue il suo sguardo. La sua mano. Sotto il pollice. Sangue rosso sgorga da una ferita lunga e profonda. *** Mercuriocromo. Alla fine l’ha trovato, era sicura che ci fosse. E’ in fondo a una vecchia trousse per i trucchi, vicino a ombretti marroni sfarinati e un


bastoncino di rossetto che si è spezzato a metà. Si sporca le dita di Fatal rouge, prende il tampone, lo passa sulla ferita. Gocce rosse cadono sul lavandino. Il mercuriocromo macchia, ricorda. Passa la punta dell’indice sulle gocce. Traccia sulle guance due righe verticali. Come un clown. No. Come una guerriera. Una guerriera sconfitta. Quanto ci vorrà per mandare via i segni dalle guance? Quanto ci vorrà per mandare via i segni che non si vedono? Sotto il disinfettante, la ferita è rosso scuro. Fa un po’ male. Meglio. Torna al computer. Vuole sapere di Lucy. E’ per colpa sua. Sicuro. Lucy. Così giovane. Così bella. Così pura. Lucy. In ogni discussione sui gruppi a cui erano iscritti interveniva sempre, dando ragione a Jonathan su qualsiasi cosa, il gusto dei gelati o l’eutanasia. Quando Jonathan entrava in rete, lei appariva immediatamente, e non se ne andava finchè non si era disconnesso anche lui. Lucy. La sua pagina su Facebook. Le foto di Lucy al pianoforte. Le foto di Lucy ai campi scout. Stato: “Lucy è passata da single a fidanzata”. Il cuoricino rosso danza davanti ai suoi occhi. Pulsa. Pulsa come la ferita sulla mano. Sente i suoi tessuti contrarsi e battere sotto il cerotto. Bastardi. Cattivi. Mostri. Li odia. Sì. Adesso è davvero cattiva. Li vuole. Li vuole morti. Ping.


Una mail. Jonathan! Sicuro. Lui. Le dirà che è uno scherzo. Le dirà anzi che lo ha fatto per allontanarla da lui perché la ama troppo. Le dirà. No. Un messaggio. “Veive ti ha aggiunto ai suoi amici su Facebook. Per convalidare la richiesta di amicizia su Facebook, devi confermare di conoscere Veive”. Chi è Veive? “Per confermare questa richiesta di amicizia, segui il link in basso”. Va bene. Va bene tutto. Confermo. Confermo e vado via. Spegne il computer. E strizza gli occhi. C’è una foglia sulla scrivania. La prende fra le dita, esitando. E’ la stessa che era nella tasca? No, quella l’ha gettata via. La foglia che l’ha ferita. Ma questa è identica. La porta al viso. Annusa. Alloro. Ecco cos’era. Si chiede come sia finita sul tavolo. Impigliata nel giubbotto, proprio così. Non importa. Si sdraia sul letto, un cerotto sulla ferita (ma la confezione è scaduta, la colla non tiene, un angolo di tela rosa si arriccia intorno al suo pollice), resta a guardare le ombre arancioni sul soffitto. Il camion delle immondizie le ricorda che sono le cinque, e che questa è la sua prima notte insonne.


*** La mano destra continua a farle male. Anche dopo due giorni Forse perché sta tanto sul computer. Sempre sulla bacheca di Jonathan. Refresh. “Jonathan è finalmente felice”. E su quella di Lucy. Refresh. “Lucy non farà mai del male a Jonathan”. Male. Lei non ha mai fatto niente di male. Eppure Jonathan è convinto che sia malvagia. Perché? C’è qualcosa di lei che non riesce a vedere e che gli altri, invece, intuiscono? “Sono cattiva?”, chiede a Enrica, davanti a una tazza di tè all’arancio che non riesce a bere. “Sei stupida”, risponde Enrica. “Hai passato sei mesi d’inferno, in balia di un bastardo che ti ha fatto a pezzi, ti ha lasciata e te ne dà anche la colpa. Sei stupida”. Sta giocherellando con il cerotto. Al centro della ferita c’è un piccolo cuore verde, una pozza velenosa che luccica di pus. “Fammi vedere”, dice Enrica, prendendole la mano. Mina non reagisce. Enrica fa un piccolo sibilo: “Si è infettata. Devi medicarla. Mina, devi fare anche ordine in questa casa. E’ un porcile. Persino le foglie sul pavimento”. Enrica si china, raccoglie una foglia verde e lucente. Alloro. Qualcuno dei vicini deve aver piantato un


cespuglio per avere aromi freschi. Proprio così. Deve essere entrata dalla finestra col vento. *** Prende la bottiglia di alcool denaturato che ha nell’armadietto in balcone. Spruzza un getto rosato direttamente sulla ferita. Il bruciore la fa piangere. Una foglia d’alloro volteggia, si posa dolcemente sui suoi piedi. I vicini, pensa. Le luci di Natale sui balconi le fanno male agli occhi. Domani, la notte della vigilia, rimarrà a casa da sola a bere, fumare e piangere. E a spiare la felicità dei due innamorati. Jonathan è partito, ma scrive tutti i giorni a Lucy. Messaggi pieni d’amore. I cuoricini. Le fa i cuoricini con il tasto alt e il 3, come un adolescente. Nessuno scrive a lei. O sì, invece. Una mail. Veive ha scritto sulla tua bacheca: “Stanotte, Mina”. Spegne il computer, con rabbia. Ci mancavano gli stalker. Veive. Domani gli toglie l’amicizia. Si sdraia sul letto. Pensa che non dormirà. Invece precipita dentro una nebbia nera che deve essere il sonno dei disperati. Nel nero c’è un profumo e il profumo ha un colore e il colore è verde. Verde come una foglia. Una foglia d’alloro. Molte foglie che volteggiano attorno a lei e poi sotto di lei. Un letto di foglie su cui lei si sdraia. La mano pulsa, ma nel


sogno è piacevole. Anche il suo corpo pulsa. Il suo ventre. Piacevole. Fa un piccolo sospiro, quando un peso si poggia sul suo corpo. Jonathan. Nel sogno. Bello. No. Questo corpo pesante e grande e bianco non è di Jonathan. E questi capelli. Neri. Più neri del sogno più oscuro. Lunghi. Le piovono sul viso, sul seno. L’ospite. Ha occhi lunghi color foglia. Dio quanto è bello. E quanto è. Spaventoso. Qualcosa dentro il suo corpo. Non si vede, ma è come…come il frullare di ali bagnate dentro una crisalide. Bocca. Lunga. Denti. Aguzzi. La sta. L’essere entra dentro di lei, senza preavviso, Mina si inarca. Risponde. Asseconda. Precipita in un Nero che ora è Rosso e ah, è bellissimo. Mentre viene, l’ospite le bacia il polso, sale fino alla mano. La lecca. Affonda i denti nel centro esatto della ferita. Morde. Buio. *** Ha comprato il Cicatrene, ne ha spalmato uno strato sottile sulla ferita. Ha comprato cerotti che resistono all’acqua. Ha qualche linea di febbre. Dovrebbe lavorare, anche se è la vigilia di Natale. Invece apre Facebook. Bacheca di Lucy. “Lucy si prepara al concerto di stasera”. Un commento. Jonathan dice. “Sarai bravissima, amore”.


La ferita fa male. Pulsa e batte sotto la medicazione. La mano sta assumendo una tinta rosso violetto. Ping. Veive ha scritto sulla tua bacheca. Ancora questo idiota? “E’ stato bello, Mina. Priestess of mine”. Non capisce. Cosa è stato bello? Perché sacerdotessa? Ping. Jonathan ti ha mandato un messaggio su Facebook “Troia. Un modo di merda per vendicarsi. Sei l’anima nera che pensavo”. No. NO. Deve spiegare. Non è vero. Veive, bastardo. Senza accorgersene, digita la parola Veive nella finestrella in alto a sinistra. Google le chiede: Forse stavi cercando Veuve? No. Veive. Duecento risultati. Clicca sul primo. Veive. Dio etrusco della vendetta. Viene rappresentato come un giovane incoronato di alloro. Una fogliolina verde brilla sulla tastiera. Porta la mano alla bocca. Il sogno. NO. Cazzate. Sto male. Deliro. Ping. Veive ti ha lasciato un messaggio su Facebook.


“Non ti piace, Mina? Non sei felice? Non è questo che volevi?” Si allontana dallo schermo. L’odore dell’alloro. Forte. Ping. “Mina. Non sarebbe bello? Non ti hanno fatto del male? Pensa se.” Precipita di nuovo nel Nero. Le foglie le danzano attorno. Se. Lucy al concerto. Ha un vestito di velluto blu. Si siede all’organo, guarda la tastiera, sorride. Un sorriso felice. Sta pensando a Jonathan. Comincia. Bach. Cantata BWV 147. Il coro si alza in piedi. E’ Gesù la mia salvezza Il conforto del mio cuor Un rumore. Un crepitio. Il grande crocefisso sopra l’organo si stacca, le cade addosso. Lucy scivola all’indietro. Come Maria Grazia sotto la spinta feroce che lei le aveva dato. Sperando. Sente il crack della nuca contro il marmo. Sperando che si spaccasse la testa. Lo spasmo, il respiro che si spezza e si ferma. Gli occhi che si velano di colpo come due finestre vuote. Benedetto sempre sia Il pio nome del signor


Il sangue scivola sui gradini. Da qualche parte, il cellulare di Jonathan squilla. Mina dorme, accovacciata in terra, nel Nero. Dorme finchè le luci arancioni sul soffitto pulsano contro le sue palpebre chiuse. Le cinque. Di già. Buon Natale. Si alza pian piano, un crampo di dolore dal braccio destro, Abbassa gli occhi. Il braccio è quasi nero. Non riesce a muoverlo. La pelle è bollente. Tutta la sua pelle. Deve avere la febbra alta. Altissima, anzi. Sullo schermo del computer lampeggiano le finestre di messenger. Il lupo albino. L’avatar di Jonathan. “Mina. Sarai contenta. Troia. Maledetta”. “Mina. Scusami. Non ragiono”. “Mina parlami”. “Mina non lasciarmi solo in questo momento”. Quale momento? Cosa è successo? Il sogno. Lucy. Sorride appena. Mina è cattiva. Mina ha ucciso Maria Grazia e adesso ha ucciso Lucy. Non Mina, ma qualcosa che era dentro di lei e che lei ha finalmente riconosciuto. Adesso potrà tornare a sdraiarsi. Chiuderà gli occhi e un dio coronato d’alloro le sorriderà. Le dirà che potranno uscire. Che era tanto, tanto che lui non usciva. Che non riusciva a trovare la strada nel Nero e nel Verde. Profumo di alloro. Insieme,


respireranno come se fosse il primo mattino del mondo. Prima, però, deve fare una cosa. Con la mano sinistra, mordendosi le labbra, clicca modifica sul suo profilo. Lo stato di Mina è cambiato. “Mina è impegnata in una relazione”. Un cuoricino rosso pulsa sullo schermo. Qualunque sia la vostra idea di Natale, che questo sia sorprendente. Lara Manni


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