Pelznickel - Giulia Marengo

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PELZNICKEL di Giulia Marengo “Dammela!” Ben strattona con forza, ma Karin tiene duro con tutta la determinazione di una bimba di cinque anni. Una bimba molto, molto arrabbiata. “No, Bette è mia!” La bambola di porcellana, dal viso dipinto con cura infinita da un artigiano paziente, è ciò che possiede di più prezioso. Ogni sera Karin ne pettina i soffici capelli, così simili a quelli della mamma, e rassetta il vestito dalla gonna bianca e vaporosa. Mentre svolge questo rito, racconta con dovizia intenta la sua giornata, i giochi e i dispiaceri. Se stringe forte le palpebre, riesce quasi a immaginare che la bambola la ascolti, e che i suoi occhi di vetro la guardino con affetto indulgente. Ora però Ben stringe una delle braccia di pezza, cercando di strapparla dalla presa della sorella. “Lascia, ti ho detto!”, ringhia il ragazzino, fissandola furente. “No-o!”, piagnucola la bambina, rossa in volto, il respiro rotto dai primi singulti. E' pressoché certa che i gemelli l'avranno vinta, come sempre. Ma non per questo intende cedere. Due mani l'afferrano da dietro, mentre Derik cerca di


allontanarla di peso. Karin, spaventata, molla la presa, e Ben ruzzola all'indietro, atterrando con uno schianto contro il letto a castello dipinto di blu. L'oggetto conteso, la bambola in porcellana, vola per aria, e compie una lenta, aggraziata parabola discendente. Karin trattiene il respiro, ancora trattenuta da Derik. Crash! Quando il volto di Bette si infrange contro uno spigolo, un pezzetto del cuore della bimba si spezza all'unisono. “No! Cattivo!” La bimba piomba seduta sul pavimento, piangendo senza ritegno. Inutilmente, tira su con il naso, poi si deterge il moccolo sulla manica. I sottili capelli biondi sono appiccicati al visetto paffuto. Passi affrettati nel corridoio. Una porta che sbatte. “Bambini! Cos'è tutto questo chiasso?” Alla voce della madre Ben, ancora sdraiato contro il letto, sobbalza visibilmente. Un rapido scambio di sguardi con il fratello, e comincia a strillare a sua volta, stringendo convulsamente la spalla che ha sbattuto contro il letto. La donna spalanca la porta come una furia, poi resta a guardare il terzetto. Le mani sono sui fianchi, e il piede batte ritmicamente il tappeto, indicando una pazienza agli sgoccioli. “Allora?” Lo sguardo si sofferma su Derik, che fa di tutto per sembrare un elemento di arredo. “Cosa


succede qui?” Ormai i singhiozzi di Karin sono ansanti, mentre inghiotte grandi quantità di aria. Il pianto si è ridotto a un lungo lamento inarticolato. Il ragazzino sospira, accarezzando con lo sguardo prima la sorellina, poi il gemello. “E' stata Karin. Ben aveva preso la bambola per giocarci, e lei l'ha spinto per terra. Poi si è messa a urlare”, spiega, pazientemente. Karin lo fissa sbigottita. “Non è vero!” L'ingiustizia di quella accusa la spinge a scordare che fino a un attimo prima stava piangendo. Rimane a fissare il fratello maggiore, aprendo e chiudendo la bocca come un pesce rosso. Stava giocando con Bette, quando Ben aveva preteso di portare la bambola nella sua stanza per fare “esperimenti”. Karin non poteva permettere che il suo bene più prezioso le venisse sottratto. La bambola era un regalo della nonna, e le ricordava le sue storie, e le caramelle che la donna anziana le regalava di nascosto ai genitori. Così aveva seguito i gemelli e aveva cercato di riprendersela. “Karin! Silenzio”, intima la mamma. “Derik, Ben, le bambole non sono giocattoli adatti a dei ragazzi. Sono sicura che domani San Nicola ve ne porterà di più adatti. Karin - ” una pausa, mentre la donna fissa la figlioletta con un misto di disapprovazione e rassegnazione. Le labbra sono strette in una linea


sottile. “Quante volte ti ho detto che non devi alzare le mani sui tuoi fratelli? Adesso la bambola è rotta, sei contenta? Se ti fossi comportata bene, non sarebbe successo. Che ti serva da lezione”. Un ultimo sguardo, e la mamma è fuori dalla porta. “Ora fila in camera tua!” L'ultima frase aleggia nell'aria, ma la donna è già lontana. Karin stringe forte le mani a pugno, finché sente le unghie piantarsi dolorosamente nella carne. Ha pianto così forte che le duole la testa, con un pulsare sordo alle tempie che tiene il tempo con la sua rabbia. Si asciuga le guance con un gesto di stizza, poi si alza in piedi e si avvia verso il corridoio. Sulla soglia si volta verso i fratelli. Sono uno accanto all'altro, spalla contro spalla. Quasi uguali. Biondi e belli, con quei grandi occhi azzurri che fanno sorridere le altre mamme. Ben è un po' più grassottello, e Derik ha una piccola cicatrice sul mento. Karin non vede nulla di tutto questo. Vede solo i due identici sorrisetti di scherno che i gemelli le regalano, mentre calpestano con le scarpe da ginnastica i frammenti spezzati della sua bambola. Karin si è arrampicata sul davanzale. La finestra della sua stanza è piccola, ma rientra quel tanto che basta da consentire alla figuretta della bambina di accoccolarsi comodamente contro il vetro. La sua stanza. Poco più che un ripostiglio, in realtà,


dipinto tutto di azzurro. Quando la mamma aveva scoperto di essere di nuovo incinta, aveva sperato che fosse in arrivo un altro maschietto. Quasi tutto quello che Karin possiede è azzurro, perché in genere si tratta di indumenti dismessi dai gemelli, o che sono stati acquistati per loro e poi adattati. Quando Ben vuole farla piangere, le sussurra all'orecchio sempre le stesse parole. “Sei uno sbaglio”, le dice. “Sei nata per errore”. Karin stringe forte gli occhi e si ripete che non è vero. La mamma le vuole bene. Ma è tanto impegnata, e da quando lei e papà hanno di... div... - la bambina incespica ancora nel pensare alle parole difficili - si sono separati, ha poco tempo per loro. Di notte, stringe a sé la bambola per non sentire nella testa le parole cattive di Ben. Perché Ben è cattivo, cattivo davvero. Le dà pizzicotti sulle braccia fino a renderle livide e doloranti, e rompe tutti i suoi giocattoli. Dice che un tempo erano stati suoi, e che quindi ha il diritto di farne quello che gli pare. Sa di essere il cocco della mamma, e ne approfitta spudoratamente, combinando quanti più guai possibile, e passandola liscia quasi ogni volta. Derik, invece, è più tranquillo e riflessivo. A differenza del fratello non la picchia mai, e a volte è quasi affettuoso con Karin. La bambina vive e respira per queste piccole gentilezze. Ma Derik è il gemello di Ben, e dà sempre ragione a lui. Sempre. Si coprono


a vicenda, inventando le scuse più fantasiose che la mamma non ha il tempo né la voglia di investigare. Le lacrime sono asciugate sulle guance di Karin lasciando lunghe strie argentee. Appoggia il naso sul vetro per guardare fuori. Il giardino è innevato, una coltre bianca e perfetta, resa lucida dal gelo. Un alone di condensa si forma sulla lastra davanti ai suoi occhi, e la bimba la deterge con la manica. Osserva, paziente, finché la porta della casa dirimpetto si apre con un suono che non può udire. Ne esce una bambina, imbacuccata fino alla punta del naso, che indossa un berretto rosso con le nappe. Stringe la mano della madre, e la donna sorride indulgente mentre la figlia spiega qualcosa con gesti concitati. Ogni tre o quattro passi, la bambina fa un saltello, lasciandosi scivolare sul selciato ghiacciato. Karin guarda la coppia fino a quando scompare, inghiottita dietro l'angolo. Attende a lungo, ma la madre e la bambina non ricompaiono. Quando fuori si fa scuro, fiocchi lievi come sospiri riempiono la notte, posandosi dapprima incerti e poi sempre più numerosi sul vialetto. In breve, anche la strada è coperta da una soffice coltre danzante. Karin si districa dal davanzale. Mentre indossa il pigiama azzurro, che ha le maniche troppo lunghe e la fa sembrare un piccolo fantasma biondo, ricorda che è la notte di Natale. Inginocchiandosi accanto al lettino, giunge le mani


alle labbra e aggrotta la fronte, concentrata. Dietro le palpebre chiuse, la bambina della casa di fronte saltella per mano a sua madre. “Per favore, San Nicola. Per Natale vorrei che la mamma avesse più tempo per me. Sarò buona. Per favore”, mormora, parole appena alitate e inghiottite rapide dalla penombra. La porta della stanza si apre. La mamma entra appena in tempo per vederla arrampicarsi sotto le coperte. Niente bacio della buonanotte, solo una rapida rassettata al piumone, perché Karin è in punizione. La bambina chiude gli occhi, e dopo qualche istante la lama di luce che filtra dal corridoio si riduce a un'ombra, mentre i passi della donna si allontanano ticchettando. Quando Karin si sveglia, la notte avvolge la stanza di liquido inchiostro. Solo dalla finestra gocciola pallida una polla di luce lunare che, riflettendosi sulla neve che ancora cade, evoca un chiarore quasi ultraterreno. La bimba si solleva a sedere. Qualcosa l'ha destata, certamente, ma ancora non ha chiaro cosa. Poi lo sente. Uno scricchiolio, quello ben noto del terzo gradino delle scale. Una risatina a mezza bocca, soffocata, e una bassa imprecazione. I gemelli stanno scendendo dabbasso, di nascosto alla mamma, che di certo dorme un sonno profondo chiusa nella sua stanza. Silenziosa come un topolino, Karin getta le gambe giù


dal letto e indossa le ciabatte gualcite a forma di coccodrillo. Con passo leggero esce nel corridoio, poi segue i fratelli giù al piano di sotto. Seguendo le basse voci concitate, attraversa il vestibolo e si nasconde dietro l'angolo, per osservare. Il soggiorno è illuminato debolmente dalle braci morenti nel caminetto. L'albero di Natale, nell'angolo accanto alla finestra, riluce di piccole lampadine multicolori, ed è carico di addobbi. Fino all'anno precedente, la nonna cuoceva i biscotti di pan di zenzero, e li decorava con cura paziente prima di appenderli con nastri colorati ai rami dell'albero. Ma la nonna non c'è più, e ora normali orpelli di plastica hanno preso il loro posto. Alle radici dell'abete, decine di pacchetti e pacchettini, quasi tutti avvolti in carta di colore azzurro e adornati da stelline dorate. I gemelli sono accanto all'albero, e gli occhi di Karin si spalancano per l'indignazione quando scorge Ben sollevare uno dei doni e, accovacciato, sollevare con cura un angolo dell'involucro, staccando lentamente il pezzetto di nastro adesivo. Derik ha già un altro pacco fra le mani. La bambina dimentica di colpo ogni cautela. “Cosa state facendo?”, domanda, le braccia sui fianchi in un'involontaria imitazione della madre. I gemelli sobbalzano, e il regalo di Derik gli sfugge tra le mani. Colpendo il tappeto, qualcosa all'interno tintinna.


Ben è già in piedi. “Piccola impicciona!”, sibila, facendo ben attenzione a tenere basso il volume della voce. Karin non si fa intimidire. “State aprendo i regali! Lo dico alla mamma”, minaccia. Ma non fa in tempo a voltarsi per correre su per le scale, che Derik la afferra per la vita e la solleva come una bambola di pezza. “Stai zitta, Karin, è meglio”, le borbotta all'orecchio, mentre lei si divincola con tutta la forza che il suo corpo di bimba le consente. Ma Derik la tiene saldamente, e Ben torreggia su di lei. Gli occhi azzurri del fratello lampeggiano di divertimento. “Adesso ti facciamo vedere cosa succede alle bambine che si impicciano di affari che non le riguardano”. Fra le mani tiene uno spesso rotolo di nastro per pacchi, di colore oro. In silenzio, quasi leggendo nella mente del fratello, Derik la trascina sulla poltrona. Karin sta nuovamente piangendo, silenziosi goccioloni che cadono con tonfi molli sul pigiama di flanella. E' stanca, e stufa dei continui soprusi dei gemelli. Ha paura. E sa che, se la mamma scendesse, richiamata dal baccano, finirebbe a farne le spese lei, ancora una volta. Con destrezza, Ben avvolge il nastro intorno al suo torso, e lo assicura allo schienale della poltrona. “Ora ti lasciamo qui, così Pelznickel verrà a prenderti per portarti via!”, l'avverte.


La sorella lo fissa con occhi sgranati. Le tornano alla mente i racconti della nonna. Pelznickel è il servo di San Nicola, lo spirito malvagio che rapisce i bambini cattivi nella notte di Natale. “Per favore”, piagnucola. “Lasciatemi andare”. I bambini presi da Pelznickel non fanno mai più ritorno nelle loro case, raccontava la nonna. Restano con lui a fabbricare i doni per i loro fratelli più buoni, notte dopo notte, per l'eternità. Lo sguardo di Ben è di scherno. “Pelznickel, Pelznickel, noi ti chiamiamo! Ti preghiamo, porta via la nostra inutile sorella”, cantilena con voce cavernosa. Poi scoppia a ridere, grattandosi la punta del naso. Derik la guarda quasi con compassione, poi si volta verso Ben. “Continuiamo, dai”. I gemelli recuperano il pacco dal tappeto, ricominciando a scartarlo con cautela. Concentrati come sono sul loro compito, non si accorgono che le fiamme morenti nel caminetto si sono fatte improvvisamente più vivide. Le lingue di fuoco giocano con i carboni e danzano minacciose, più alte ogni istante che passa. Nella stanza si diffonde un sottile odore di zolfo. Un ruggito, e le fiamme balzano alte a lambire la mensola. Una calza appesa, piena di dolciumi, avvampa rapida, e i gemelli sobbalzano, improvvisamente distratti dalla loro marachella. Sotto lo sguardo sgranato di Karin, dalla cortina


palpitante emerge una figura, indistinta. Sembra farsi più grande man mano che si fa strada oltre le pietre del caminetto, e quando si drizza in piedi, il suo capo sfiora quasi il soffitto. La bambina trattiene il fiato, terrorizzata. E' un essere enorme, coperto di una peluria nera e ispida e fitta. Il capo è sormontato da una coppia di corna ricurve, nere come la notte. Non ha un volto, non esattamente. Solo due occhi grandi e rotondi, vermigli come le fiamme alle sue spalle, e una fessura al posto della bocca. Tuttavia, il suo aspetto trasuda possenza, e fasci di muscoli guizzano sul petto, celati al di sotto del pelo. Invece delle gambe, due zampe caprine, e zoccoli al posto dei piedi. La puzza di zolfo si è fatta più forte. Karin si appiattisce contro la poltrona, gli occhi grandi come piattini, il labbro inferiore tremante per il terrore. “Pelznickel”, alita. Dopo un attimo di cieco panico, i gemelli arretrano contro la finestra, sulla schiena. I doni sono dimenticati. La creatura li osserva, immobile. Lo sguardo si sposta verso Ben, inchiodandolo sul posto. Quando parla, la voce ricorda il rumore che le unghie fanno su una lavagna. “Questa notte sono stati richiesti i miei servigi. Qualcuno ha pregato per il mio intervento”. Scandisce lentamente le parole, senza fretta. Ben deglutisce rumorosamente. Il volto è pallido,


sudato, forse per la paura, o forse per il calore che nella stanza si è fatto insopportabile. “Era solo uno scherzo”, mormora con voce esile. Il demone, perché è di questo che si tratta, muove un passo pesante verso di lui. Ben si stringe a Derik, ed entrambi sembrano farsi più piccoli. “Il nome di Pelznickel non deve essere evocato con leggerezza, ragazzo. Vedo molti doni in questa stanza, tutti per te. E per tuo fratello. Dove sono i regali per la bambina?” Ben stringe gli occhi, scuotendo il capo. “Rispondi”. L'alito del demone è fuoco contro la sua pelle. “Può...” Un singulto. “Può avere i nostri, dopo che ci avremo giocato”, confessa. Pelznickel osserva il ragazzo a lungo, poi si volta verso Karin, ancora raggomitolata, impotente sulla poltrona. “Ebbene, poiché così tanti dei tuoi desideri sono già stati soddisfatti, ragazzo, è compito mio riequilibrare le cose. Questa notte non esaudirò la tua preghiera, bensì la sua”. Un lungo dito adunco accarezza il contorno della figura di Karin. I gemelli lo guardano, senza capire. L'altro braccio del demone scatta in avanti veloce, le unghie ghermiscono il pigiama di Ben. Il ragazzino strilla, contorcendosi, allungando le mani vero quelle di Derik. Questi gli afferra i polsi, lottando per trattenerlo. Dalle labbra gli sfuggono parole


incoerenti. Ma è tutto inutile. La presa sfugge, mandando Derik a rotolare all'indietro, e già Pelznickel sta arretrando fra le fiamme, il corpo di Ben stretto al petto. Lo sguardo di fuoco si sofferma un'ultima volta su Derik, prostrato sul tappeto, a osservare scioccato. “Ci vediamo il prossimo Natale”, sono le ultime parole che riverberano nella stanza. Un lampo di fuoco, e il demone scompare, trascinando Ben con sé. I carboni tornano ad ardere quietamente, mentre fuori dalla finestra la neve prosegue la sua lenta danza. Lontano, in strada, si ode uno scampanellio. Derik fissa il vuoto, il corpo scosso da singhiozzi silenziosi. Gli occhi sono spenti, il respiro affrettato. Sulla poltrona, Karin sorride. Cari lettori e amici, sono orgogliosa di aver partecipato a questa bella iniziativa natalizia promossa con passione da Leo, a cui hanno contribuito entusiasticamente tante scrittrici piene di talento per portarvi doni inusuali fatti di parole e immagini e canzoni. Vi auguro di trascorrere un Natale colmo di soddisfazioni, circondati e protetti dall'affetto e dal calore delle persone che amate. Ma fate attenzione alle vostre preghiere. Pelznickel potrebbe essere in ascolto. Giulia Marengo


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