Light di Dorotea De Spirito When you are still waiting for the snow to fall, it doesn’t really feel like Christmas at all… Quando stai ancora aspettando la neve cadere, non davvero il Natale …
senti
Io sono quel senso di attesa, io sono lo spazio vuoto tra le parole, esisto nella mia assenza e nessuno mi vede. Mi chiamo Light e sono una fata della neve, della luce, del ricordo. In realtà non so molto di me, penso di essere una fata del ricordo quando aiuto le persone a ricordare il loro passato e loro non mi vedono ma sono io a ricordare loro ciò di cui hanno bisogno, quando sono fermi sulla porta di casa a fissare il freddo intirizzire il loro prato e tutto intorno è gelo e silenzio, io suggerisco loro il calore perso di un momento passato e li vedo sorridere come sciocchi, fermi con la mano sulla maniglia, perché all’improvviso nella loro testa è tornato il bel tempo e il calore si irradia da un caminetto acceso e da un tavolo imbandito di quando erano bambini. Penso di essere un essere della neve quando fa freddo e il cielo assume quel bellissimo colore, bianco e grigio, che lo fa sembrare più grande e calmo, allora mi diverto a soffiare la prima neve sulle foglie ancora attaccate agli alberi, a nascondere la brina trai fili del prato, riempire di disegni il ghiaccio sui vetri. Ma non lo vede mai nessuno.
Allora penso che forse sbaglio qualcosa e che in realtà sono una fata della luce e dovrei andarmene in giro ad accendere candele prima di Natale, a far sentire meglio la gente che cerca conforto nel calore di lanterna, in una fiammella in cima ad una torcia colorata. Poi arriva Natale e sono io a bruciare e disfarmi in una fiammella, come ogni anno. Penso faccia parte dell’essere una fata, uno spirito o come altro possa definirmi, insieme al non sapere esattamente molto di se’, al parlare con animali e bambini e provare solo pochi sentimenti per volta. Poi di solito rinasco e devo ricominciare tutto da capo: sono una fata, sono uno spirito? Servo alla neve, al gelo? Alla luce nelle case e nei sentimenti? Ai ricordi delle persone? Mancano pochi giorni al Natale. Ma non c’è traccia di neve. E da quando mi sono svegliata questa mattina penso al senso di attesa, alla neve e al fatto che senza neve non si può davvero parlare di Natale. Niente neve niente Natale, niente Light che scompare in un piccolo fuoco e deve ricominciare tutto da capo ogni primo giorno del nuovo anno. Ma nonostante tutto mentre sto qui in cima al mio albero a disegnare brina su qualche foglia e a sbirciare i ricordi di quella signora, spero che nevichi comunque. Forse senza neve gli umani non sentirebbero il Natale, forse non lo vedrebbero nemmeno, sono così ciechi a volte. Non vedono i sentimenti, le emozioni, i ricordi, la pioggia che sta per cadere. Non vedono neanche me eppure io esisto in qualche modo, faccio accadere cose, ma sono invisibile e nessuno mi nota. Stamani la casa qui davanti si sta animando di rumori, la
mamma di Pulce sta tirando fuori le decorazioni e le ghirlande, il papà e Pulce stanno montando l’albero. Pulce è il bambino che ogni tanto mi vede, lo chiamo così perché è piccolissimo . Anche il cane Lolly ogni tanto mi vede, è divertente coccolarlo un po’, grattargli la testa quando nessuno se ne accorge, ovvero … ehm sempre. C’è molto movimento oggi. Sembra stia arrivando qualcuno. Che porti la neve? A casa di Pulce è arrivato un nuovo essere umano, è alto per essere un bambino come Pulce ma è più piccolo dei suoi mamma e papà, mi chiedo chi sia. Stamani devo andarmene un po’ in giro, manca poco a Natale, ho poco tempo per capire a cosa servivo in questa vita, prima di dover ricominciare tutto e chiedermi a cosa diavolo serva il mio piccolo corpo di preciso. Volo per la città e il cielo è così azzurro e grigio e freddo che quasi non smetterei più, è così bello. Nella prossima vita spero di poter ancora volare e non scoprirmi fata delle-cose-al-chiuso o simili. Quella ragazza sembra in difficoltà, è ferma sull’altalena da quasi mezz’ora… La ragazza ha dei bellissimi capelli rossi, si muovono nel vento leggero e sembrano alghe, nastri di seta rossissima nel bianco del cielo, dovrebbe esserne molto felice ma non sembra, di raro gli umani si incantano per queste cose, noi fate siamo così scioccamente sensibili particolari che loro reputano vani, questi capelli per esempio. La ragazza è triste. Ha il volto di chi ha perso un ricordo. Forse per lei posso essere una fata ricordo ancora una volta.
Mi appoggio alla sua spalla, la pelle del collo si arriccia appena, ma lei non si accorge di nulla. Pensa al passato e la macchia nera del ricordo perduto preme ai bordi di altri ricordi, momenti felici, momenti di festa, colori, luci. Tante luci, file e file di lampadine colorate, nastri brillanti e luccichii elettrici. Questo è il ricordo. E’ un ricordo strano, semplice, ma lo sento pesare, ha un valore enorme per lei, ma il tempo lo aveva coperto, confuso. Capelli-rossi sussulta appena e io prendo i fili del ricordo, sono rossi e dorati, come i suoi capelli. Li intreccio piano, piano, per non intimorirla, li lego ai vecchi pensieri con nodi minuscoli così che non si sciolgano più, faccio un buon lavoro e in poco tempo è come se il ricordo non si fosse mai slegato dalla trama di memoria della ragazza. Stringe gli occhi verdi e da un piccolo calcio al terreno, spingendosi, l’altalena dondola appena e soffio il ricordo nella sua mente, lasciando che riprenda il suo posto. Capelli rossi sorride e sorrido anche io. Da un’altra spinta all’altalena e sorride di più. Luci, dice la sua testa, tante luci. Ora sa cosa desidera per sentire davvero il natale, ecco cosa è la sua neve, non troppi regali e richieste difficili e nemmeno una vera nevicata, ma tante luci in casa, come quando era bambina, come quando la nonna faceva così. Anche senza neve reale capelli-rossi sentirà il suo Natale, penso orgogliosa, felice. Noi fate siamo così, ci emozioniamo con poco. Saltello sulla sua spalle mentre l’altalena sale più in alto, più vicina alle nuvole azzurre, rido. Evviva, evviva. Poi capelli-rossi fa un salto e quasi cado, sbalzata dalla sua spalla. Sta correndo verso casa, felice, e io rimango qui, con la catena dell’altalena che cigola e il freddo del terreno che ricomincia a
salire. Sono triste tutto all’improvviso, prego vorrei dirle, Buon Natale grazia a me, aggiungerei, ma sono troppo triste tutto insieme, noi fate siamo così basta poco per rattristarci. Scalcio un sassetto, si ricopre di brina e scricchiola. Capelli-rossi è una fiammella lontana con la sua chioma rossissima, avrà un bellissimo Natale con o senza neve e non lo dividerà con me, non mi dirà neanche grazie. Riprendo a girare per la città, il ghiaccio scricchiola sulle strade, gli addobbi cominciano a uscire nelle vetrine. Luci, colori, nastri, bambini con il naso schiacciato sui vetri dei negozi di giocattoli. Odio il Natale. Un bambino mi guarda con la boccuccia stupita, gli mando un bacio sulla punta del naso e gli regalo una stella cadente di desideri per lui e i suoi cari. Lo odio come lo può odiare qualcuno che in realtà lo ama tantissimo, che dice di odiarlo e in realtà lo adora. E io lo adoro. Svolazzo un po’ per le vie del centro, persone pattinano, ridono. Faccio una risata anche io, ne esce un piccolo fiore d’argento di brina, lo trova una bimba e lo adora. Avrei preferito ridesse con me. Proseguo fino alle strade meno illuminate, meno risate e luci, meno colori. C’è una casa che è particolarmente buia, neanche una luce, una candela. Mi rimbocco le maniche e entro dal buco della serratura. Bambini giocano con un trenino rotto, la mamma rimesta pentole in cucina, un alberello storto e poco altro. Faccio un giro e il gatto di casa arriccia le orecchie al mio
passaggio. Quando stai aspettando la neve non senti davvero il natale. La frase mi torna in mente e penso che questa è la mia ultima missione prima di bruciare e ricominciare. Io sono quel senso di attesa. Ma posso portare le neve alle persone, la loro neve: luce, giochi, risate. Cosa vuoi per Natale? Forse te lo porterò, posso portare luce, neve e ricordi, sono una fata o qualcosa del genere, nessuno mi vede ma posso aiutarti, posso far splendere il tuo Natale. Quale è la tua neve bimbo? Gli accarezzo i capelli e lui mi intravede, sorrido e faccio una smorfia, accarezzandogli la tempia. Non è facilissimo, penso strofinandomi le dita sui pensieri del coetaneo di Pulce. Poi guardo la casetta buia e penso che ne valga la pena. Volo fino in centro e fin in un ufficio. Lavorano ancora tutti qua dentro anche se è sera e manca poco a Natale, vorrei urlarlo a tutti :- Svegliaaa, andate a comprare qualche dolce, andate a abbracciare i vostri amici e bambiniVoi che ne avete. Mi limito a staccare un po’ di corrente, spengo qualche computer e quando la gente si arrabbia per il lavoro, tendo le mani e ripesco ricordi, ricordi di qualche anno fa, di cene insieme, sorrisi e tempo per recuperare un po’ di lavoro messo da parte. Il papà del bambino che non è Pulce torna a casa prima, ha portato un po’ di addobbi nuovi ed è felice, tutti sono più felici e io mi darei il cinque da sola, ma da soli non si può fare, così perdo l’equilibrio e faccio una capriola cercando di non cadere giù dal comò dove sono appoggiata. Esco dalla casa soddisfatta, ma mi pesa non aver potuto neanche appendere una decorazione a quell’albero. In fono è
anche merito mio. Volo fino alla prossima casa, questa è così fredda e buia che penso quasi di poterci trovare chiuso dentro tutto il gelo che sta impendendo alla neve di cadere. E invece viene da una persona, non ho mai visto di recente una persona emanarne tanto. Quale è la tua neve? Vorrei chiederle. Mi appoggio al suo volto e provo a capire. Poco dopo il gelo rischia di prendere anche me, se piango verranno fuori piccole gemme di vetro e la signora si potrebbe turbare. Le accarezzo i capelli chiari e tirati indietro. Lui non te lo posso restituire. Penso amaramente. La tua neve è troppo difficile da concedere, impossibile da regalare. Le accarezzo la fronte e la sento sospirare. Ma posso portarti altro amore, altro affetto, altra luce; magari non la vorrai, magari non ti cambierà niente ma voglio regalartela lo stesso. Tieni prendi tutti questi bei momenti, questi bei ricordi, se non vuoi usarli ora non importa, puoi anche rimetterli via, ma voglio darteli lo stesso. Poi prendi questi, sono tutti i tuoi amici che ti sono vicini, che ti vogliono bene, loro capiscono e possono consolare più di una fata invisibile e volubile che non sa nemmeno chi è; prendi anche loro, sono desideri e speranze, di solito li regalo ai bambini ma ne hai bisogno. Lui sarebbe stato felice, di vederti sorridere un po’ almeno a Natale. Un barlume piccolissimo si accende appena e penso di non poter fare di più, che sono stanchissima per le energie usate e
che fuori è già notte. Esco dalla casa che sa di gelo, felice di quel piccolissimo barlume che sono riuscita a dare. Oscillo stanca e penso che, però, né capelli-rossi, né il bambino non-Pulce, né questa donna potranno mai darmi la mia neve, poi ci penso meglio e non so nemmeno io cosa sia la mia neve. Penso solo che io sono quel senso di attesa e il senso di attesa non può avere la neve, altrimenti smette di esistere. E’ un ragionamento complicato, ma ha senso. A noi fate piacciono così. Nessuno di loro mi regalerà un ricordo, una luce. Non sanno nemmeno di me. Quando stai ancora aspettando la neve cadere, non senti davvero il Natale. Io sono quel senso di attesa, io sono lo spazio vuoto tra le parole, il respiro che manca, il silenzio tra le note suonate, quello dopo una domanda, il ghiaccio, la brina, il momento prima di svegliarsi. Sono la goccia di vita invisibile che esiste nelle cose invisibili. Nessuno si cura di una goccia di vita. Anche se lei si cura di tutti. Sbuffo e creo un ghirigoro di polvere di ghiaccio leggero. Cade a terra e io volo via. Verso casa di Pulce, che ogni tanto mi vede, ma poi mi dimentica e mi dimenticherà. Torno a casa, al mio albero, desidero solo una foglia verde in cui avvolgermi, un cielo stellato da guardare, attraverso la luce e il freddo. La casa davanti è tutta illuminata, finestre, porte, ghirlande e calore, sembra già Natale. Le ossa mi pesano ma volo fino alla finestra. Pulce sta giocando con gli ultimi addobbi, il fuoco riscalda la
stanza, tutta la famiglia termina di decorare ogni spazio e Lolly muove la coda nella mia direzione, amichevole, vorrei fargli una carezza. Il nuovo venuto è seduto accanto a Pulce e lo aiuta con gli ultimi decori, lunghi fili di luci da appendere all’esterno, lunghissimi e colorati, rossi, dorati, d’argento … C’è qualcosa in questo ragazzo, nel modo in cui aiuta Pulce e accarezza la testa di Lolly. Nel modo in cui srotola con cura i fili di luci, quasi con delicatezza, con affetto. Distolgo gli occhi a fatica, Lolly punta la finestra e mi sta guardando con i grandi occhi marroni. Gli sorrido da dietro il vetro. Lo sconosciuto si alza ed esce dalla stanza. Volo fino al piano superiore, lo vedo prendere una chitarra, farle come una carezza e posarla subito. Pulce lo ha seguito e sta chiedendo una canzone. Lo sconosciuto fa una carezza anche a lui e sospira. :-Non stasera- Mormora. :-Non ho l’ispirazione- Aggiunge in silenzio. Torno al mio albero e mi stringo in una foglia. Non ho l’ispirazione. Ha detto. Ha accarezzato quella chitarra di legno come un vecchio amico. Non stasera. Ripenso al modo in cui muoveva quei piccoli addobbi luminosi, alla delicatezza di quel gesto che forse io solo ho notato. Al fatto che un gesto così semplice mi abbia fatto sentire quasi parte di qualcosa. Mancano due giorni esatti al Natale e ho deciso. Porterò anche a lui la sua neve, la sua ispirazione: una canzone bellissima, per Pulce, per Lolly e per tutti loro, ma soprattutto per lui. Sarà il mio ultimo dono, la mia ultima neve.
Anche se nessuno saprà. La mattina dopo mi sveglia l’alba, delicata, dorata, bellissima. Resto qualche minuto a guardare il sole, sorgere piano dietro i monti. La mia ultima alba. Inizio subito, devo sbrigarmi. Inizio a volare, in alto in alto, in basso in basso. Lungo le vie della città, lungo le strada che si iniziano a muovere. Devo raccogliere suoni, devo trovare emozioni, devo scovare note. Bianco nel cielo, nero in terra. Le più belle di tutte, per una canzone, la sua canzone. Volo lungo le strade raccolgo sorrisi, primi risvegli, profumi di freddo e note delicate. Volo verso il cielo, verso le nuvole, note di freddo, di azzurro. Volo verso il fiume, verso i prati, verso l’orizzonte e di nuovo verso le case. Raccolgo momenti, espressioni, note e note. Finché non è buio e domani è Natale e tutta la città sembra brillare e se non fossi così stanca, così al limite di tutto il mio tempo, come sarei felice. Ma sono felice, in effetti. Luci ovunque, luci che si accendono e brillano. E tra queste luci prendo le ultime note. Le più belle di tutte e lui capirà. Torno alla casa, la fine è vicina, Natale è vicino, ma io porto note, io porto la neve e senza la neve non si sente il Natale, non si vede il Natale. Io porto la neve, l’ultima neve. In casa è già tutto quiete, tutti hanno fretta di arrivare prima a domani, a Natale e ora è solo silenzio, riposo. Io non ho fretta di arrivare a domani. Volo fino in cima alla casa e entro dagli spiragli tra i vetri. Lui dorme, la chitarra è silenziosa, Lolly arriccia il naso quando mi sente passare ma continua a dormire.
Mi fermo accanto al suo cuscino e lo guardo dormire. Sono stanchissima. Ma non c’è tempo, domani è vicino, allungo le mani e scosto i capelli biondi, piccolissima brina li sfiora. Prendo le note, una ad una come gemme preziose, come luci delicate che lui saprà maneggiare con cura, che saprà capire. Le tiro fuori piano, le lascio brillare e prendere forma, la forma di un bel sogno e di una bella canzone. Una melodia che potrà arricchire con le sue parole, che potrà dedicare alla sua famiglia o magari alla sua fidanzata. Alla sua vita e al suo Natale e si dirà: bravo, che bella canzone, che splendida canzone! Non sa che è il dono di una fatina che domani brucerà e che nessuno, nessuno ricorderà. Le ultime note scivolano dorate, arricciano l’aria, formano melodie. La notte finisce. E’ già Natale e io non sento più nulla tanto sono stanca, saluto Lolly, saluto Pulce e dico addio alla mia canzone e a lui. Addio Neve. Buon Natale. Quella mattina lui si è alzato prestissimo, ha preso la chitarra e ha suonato la mia canzone, fluida, bella. Poco dopo l’ho sentito cantare, mentre io cominciavo a sentire il calore prendermi la pelle per l’ultima volta, ho teso un orecchio e mi è venuto da sorridere, le fate sono capaci di sorridere anche alla fine. Il testo della canzone iniziava con una strana frase: Quando stai ancora aspettando la neve, non senti davvero il Natale. E mentre iniziavo a bruciare, mentre il mondo perdeva spessore, la mia piccola vita lo ha acquistato tutto all’improvviso, per un piccolo istante. Perché quella canzone la ha chiamata Light, Christmas Lights
e, ricordandosi di chi gliel’ aveva donata, aveva donato a lei la sua neve. A lei, a me, al senso di attesa, al nulla che nessuno ricorda. E mentre una piccola luce brillava, bruciando, la canzone finiva così: Oh Christmas Light, keep shinin’ on. Oh Luce di Natale, continua a brillare … Auguro a tutti voi un bellissimo Natale, che possiate sentirlo in tutto e per tutto e che possiate ricevere la neve capace di farvelo apprezzare, sia essa una nevicata vera, una grande gioia, un amore o l’affetto di chi vi vuole bene, siano questi i vostri cari, la vostra famiglia, o una piccola luce… Buon Natale